Pieces of Us di jomarch (/viewuser.php?uid=40142)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo Capitolo ***
Capitolo 3: *** Terzo Capitolo ***
Capitolo 4: *** Quarto Capitolo ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Sesto Capitolo ***
Capitolo 7: *** Settimo Capitolo (parte I) ***
Capitolo 8: *** Settimo Capitolo (parte II) ***
Capitolo 9: *** Ottavo capitolo ***
Capitolo 10: *** Nono Capitolo ***
Capitolo 11: *** Decimo Capitolo ***
Capitolo 12: *** Undicesimo Capitolo ***
Capitolo 13: *** Dodicesimo Capitolo ***
Capitolo 14: *** Tredicesimo Capitolo ***
Capitolo 15: *** Quattordicesimo capitolo ***
Capitolo 16: *** Capitolo Quindicesimo ***
Capitolo 17: *** Sedicesimo Capitolo ***
Capitolo 18: *** Diciassettesimo Capitolo ***
Capitolo 19: *** capitolo diciottesimo ***
Capitolo 20: *** Diciannovesimo Capitolo ***
Capitolo 21: *** Ventesimo Capitolo ***
Capitolo 22: *** Ventunesimo Capitolo ***
Capitolo 23: *** Primo Epilogo ***
Capitolo 24: *** Ventiduesimo Capitolo ***
Capitolo 25: *** Capitolo Ventitreesimo ***
Capitolo 26: *** Ventiquattresimo Capitolo ***
Capitolo 27: *** Venticinquesimo Capitolo ***
Capitolo 28: *** Ventiseiesimo capitolo ***
Capitolo 29: *** Capitolo Ventisettesimo ***
Capitolo 30: *** Ventottesimo Capitolo ***
Capitolo 31: *** Ventinovesimo Capitolo ***
Capitolo 32: *** Trentesimo Capitolo ***
Capitolo 33: *** Trentunesimo Capitolo ***
Capitolo 34: *** Capitolo Trentaduesimo ***
Capitolo 35: *** Trentatreesimo Capitolo ***
Capitolo 36: *** Trentaquattresimo Capitolo ***
Capitolo 37: *** Trentacinquesimo Capitolo ***
Capitolo 1 *** Primo Capitolo ***
Well,
I know that it's early And it's too hard to think. And the
broken empty bottles Are reminder in the sink. But I thought
that I should tell you If it's not to late to say. I can put
back all the pieces They just might not fit the same.
Bowling for Soup, When we die-
*Bene,
lo so che è presto,
e
che è troppo difficile da pensare
e
le bottiglie vuote rotte
sono
un promemoria nel lavandino
Ma
io penso che dovrei dirvi
se
non è troppo tardi per parlare,
che
io sono in grado di rimettere insieme tutti i pezzi
solo,
loro non staranno più uniti allo stesso modo.
Novembre 1976
Lily Evans camminava sola per i
corridoi del castello di Hogwarts.
I capelli rossi, più lunghi di quanto
non fosse di moda, le scendevano dolcemente sulle spalle e i suoi
grandi occhi verdi erano fissi sul pavimento di pietra.
Camminava sempre così, Lily, a testa
bassa, per evitare di incontrare gli sguardi della gente. Non le
piaceva che gli altri la fissassero.
Era oramai pomeriggio inoltrato, le
lezioni erano finite e, come spesso capita nei mesi invernali,
nonostante non fossero nemmeno le cinque, era già buio pesto.
Lungo la strada incontrò gruppi di
studenti che, come lei, stavano rientrando nelle proprie Sale Comuni
oppure in Biblioteca, per poter studiare con più tranquillità.
Il carico di libri le faceva rallentare
il passo e un incontro col professor Vitious le fece perdere tempo e
così, quando giunse alla Torre di Grifondoro, il suo dormitorio, il
suo piano di studio per la giornata risultava già modificato.
Non si fermò in Sala Comune come i
suoi compagni, non poteva studiare in mezzo a tutto quel chiasso: non
solo c'erano ragazzi che, evidentemente liberi da ogni obbligo
scolastico, chiacchieravano indisturbati, ma, soprattutto vi era la
fastidiosa presenza di Potter e della sua cricca che, attorno al
fuoco del camino, fingevano di studiare, impegnati com'erano in
realtà, a progettare la loro nuova trovata per far venire
l'esaurimento nervoso a Gazza, il custode.
Lily passò oltre, senza udire la
chiamata di Remus Lupin, un componente del gruppo, nonché unico
membro a cui Lily rivolgeva la parola di sua spontanea volontà.
“Lily! Lily!” la chiamò ancora il
ragazzo, alzandosi in piedi.
Lily si girò, quando era già vicina
alle scale per salire in camera sua.
“Scusa Remus, non ti avevo sentito.”
rispose, accennando un sorriso.
Il ragazzo le si avvicinò, Era alto e
dinoccolato e a Lily, piccola e dalla corporatura esile, pareva
sempre di doverlo guardare dal basso, tanto doveva alzare la testa.
“Non ti preoccupare. Volevo solo
dirti che la McGranitt mi ha consegnato il calendario con i turni di
ronda per questo mese. Ne abbiamo parecchi insieme.”
Remus, così come Lily, era uno dei
Prefetti della scuola.
A Lily Remus piaceva. Era un bravo
ragazzo, studioso, attento, sempre disponibile ad ascoltare gli
altri, cercando sempre di dare un consiglio, un appoggio, senza mai
giudicare.
Le era stato di grande aiuto qualche
mese prima, in seguito alla rottura della sua amicizia con Severus
Piton, quello che era stato il suo migliore amico per sei lunghi
anni.
L'unica cosa della persona di Remus che
a Lily non risultava del tutto chiara era la sua amicizia con James
Potter e Sirius Black, ragazzi tanto brillanti e talentuosi quanto
arroganti e pieni di sé.
Si chiedeva spesso come il Prefetto
Remus Lupin potesse essere amico di quei due e, ogni volta che
sfioravano l'argomento, lui le sorrideva, la guardava inclinando un
po' la testa verso destra e le rispondeva:
“Sono amici. Di quelli veri.”
“Grazie Remus, allora poi passerò a
farmene dare una copia.”
“Oh, non preoccuparti. Ho io la tua.
Ce l'ho nella borsa. Vieni, così te la do.”
Remus le fece cenno di seguirlo e Lily,
un po' riluttante, camminò fino alla poltrona, ai piedi della quale
stava la borsa di Remus.
“Evans...” la salutò James Potter,
con un sorriso sghembo, alzando la testa dalla curiosa pergamena che
stava studiando col suo amico Sirius Black, che le fece un leggero
cenno col capo.
“Potter, Black...” rispose lei.
“Ciao Lily...” disse infine,
timidamente, Peter, il quarto componente del gruppo, un ragazzo
piccolino e grassoccio che non aveva nulla del fascino di Black e
Potter e nemmeno la mentre acuta e lo spirito comprensivo di Remus.
Lily era arrivata a pensare che lo
tenessero nel gruppo solo per avere qualcuno da tormentare con
battute sarcastiche.
“Ciao Peter.” ricambiò lei.
Nel frattempo Remus aveva trovato ciò
che cercava e lo consegnò all'amica.
“Bene, grazie di tutto, Remus.”
disse la ragazza, per accomiatarsi.
“Figurati. Ci vediamo più tardi a
cena, Lily.”
Lily annuì e si voltò.
“Di solito si saluta, Evans!” urlò
Potter
“Che ci vuoi fare, James, noi non
siamo degni della sua attenzione...” commentò Sirius Black,
facendo sì che Remus li fulminasse entrambi con lo sguardo.
Raggiunse la sua stanza, e, come si
aspettava, la trovò vuota.
Cinque letti a baldacchino la
occupavano e Lily percorse tutta la stanza per arrivare al suo.
Dormiva nell' ultimo, quello in fondo e
più nascosto.
Aveva sempre desiderato poter avere
quello vicino alla finestra, le sarebbe piaciuto affacciarsi e
guardare fuori, durante le notti un po' tormentate, tuttavia, siccome
esiste una legge non scritta per cui i posti che si ottengono al
primo anno valgono anche per gli altri sei, Lily si era tenuta il suo
letto lontano.
Quando, al termine del banchetto del
primo anno, tutti si erano affrettati a raggiungere i propri
dormitori, ansiosi di sapere come sarebbero stati, lei si era
trattenuta nella Sala Grande, per parlare con Severus dello
Smistamento. Così, le sue quattro compagne avevano già scelto i
propri letti e a lei era rimasto solo quello.
Dopo sei anni si era ormai affezionata
a quell' angolo buio e non le dispiaceva stare lì, lontana da tutti.
Non era mai stata una persona molto
socievole, Lily.
Andava facilmente d'accordo con tutti
e, per quanto ne sapesse lei, era abbastanza simpatica ai suoi
compagni di Casa, semplicemente non riusciva ad aprirsi e a
raccontare di sé.
Questo portava gli altri a non sapere
esattamente come rapportarsi con lei, quindi, ormai, dopo sei anni
tutti erano abituati a vedere in lei qualcuno a cui chiedere aiuto
per un compito particolarmente difficile, per un consiglio che
riguardasse la scuola, però nessuno vedeva in Lily Evans un'amica.
In verità, a lei non era mai importato
più di tanto, degli altri. Cercava di essere gentile ed educata con
tutti, ma non era alla ricerca della loro amicizia.
Lei aveva Severus e quello le bastava.
Lily camminò fino al suo letto e vi si
stese sopra, abbandonando ogni proposito di studio. L'Aritmanzia
poteva aspettare.
Chiuse gli occhi, desiderando
dimenticare per sempre quell'orribile periodo e ritrovandosi, invece,
ancora intrappolata nei ricordi della giornata.
E della settimana.
E del mese.
E del passato.
“Perchè dovete sempre essere così
dannatamente rumorosi? Sto cercando di leggere, accidenti!” esclamò
Remus, chiudendo con uno scatto violento il pesante tomo che aveva in
grembo.
“E che cos'è stavolta, Lunastorta?
Forse qualche sconosciuto drammaturgo del Seicento?” chiese Sirius
afferrando il libro, fingendo di consultarlo con interesse.
“Dammi qua. E se ti riferisci a
Shakespeare, sappi che non è sconosciuto. Sono solo i buzzurri come
te che non sanno neanche che forma abbia un libro a non conoscere il
suo nome.” Remus si riprese il suo libro e lo mise al sicuro nella
borsa, lontano da fastidiose mani indiscrete, ovvero quelle di Sirius
Black, sempre pronto a farsi gli affari degli altri e mai i propri.
James Potter rise forte,
spontaneamente, di una risata cristallina che non potè non
contagiare anche gli altri tre membri del gruppo.
Peter gettò via le sue Cioccorane per
ridere con gli amici.
“Pete, Remus, venite qui. C'è
bisogno anche di voi. Stavo pensando che questo mese dovremmo
cambiare percorso per raggiungere la Stamberga. Gazza l'altra volta
ci ha quasi visti.” disse James, tornando serio non appena anche
Remus e Peter si furono chinati sulla pergamena.
Remus sospirò. Si ricordava
perfettamente cosa era successo il mese prima. Se Gazza li avesse
trovati, l'espulsione sarebbe stata immediata.
E sarebbe stata colpa sua.
“Non so ragazzi, forse è meglio che
lasciamo perdere.” disse infine.
“Ma sei matto Lunastorta? Vuoi
davvero che lasciamo perdere? Con tutta la fatica che abbiamo fatto!”
esclamò Sirius, così forte da far girare tutti quanti verso di loro
“Zitto, cretino! Vuoi che ci
sentano?” lo rimproverò James, tirandogli un amichevole colpo
sulla nuca.
“Ahi!”
“Bella serata, vero? Proprio
divertente!” fece Sirius, quando per la seconda volta tutti gli
occhi della Sala Comune furono puntati sui quattro Malandrini.
Quei quattro ragazzi, dalle personalità
così diverse, l'una rispetto all'altra, riuscivano sempre ad
attirare l'attenzione.
I più piccoli li prendevano come
modelli. I più grandi li classificavano come il più grande gruppo
di idioti che avesse messo piede ad Hogwarts da anni, anche se non
potevano non rimanere affascinati dal loro modo di comportarsi.
James Potter, l'indiscusso leader,
Sirius Black, sua fedele spalla, Remus Lupin coscienzioso e saggio in
apparenza e Peter Minus, docile ragazzino che sembrava capitato lì
per caso erano tra gli studenti più indisciplinati e al contempo più
brillanti che la scuola avesse da sempre avuto.
Quando tutti gli altri studenti
tornarono a fare ciò che stavano facendo prima che Sirius li
distraesse, James prese la parola.
Fissò Remus negli occhi con sicurezza.
“Non dire sciocchezze, Remus. Abbiamo
fatto quello che abbiamo fatto per te. Non puoi dirci adesso di
lasciar perdere.”
“Ma io non ve l'ho chiesto! Se vi
scoprono, se ci scoprono, finiamo in guai
grossi. Vi espelleranno e vi processeranno. Siete tre Animagi
illegali.” spiegò Remus, perdendo la calma.
“Ascolta, smettila di vedere tutto
nero. Non succederà niente. L'altra volta, alla fine, è andato
tutto bene. Senza contare che ogni tanto un po' di rischio è
divertente...” intervenne Sirius
“Non è questo il punto. Il punto è
che io vi ho costretto. Se voi avete fatto tutto questo è perchè vi
sentite in dovere di farlo. A causa mia.” rispose Remus
“L'hai detto. Noi ci sentiamo in
dovere di farlo per te. Non a causa tua. Per te. Perchè vogliamo
darti una mano e scusaci se questo è l'unico modo che abbiamo
trovato. L'abbiamo fatto per te, Remus. Ficcatelo in quella zucca. Io
non voglio tornare indietro. Se Ramoso ti può aiutare, ci sarà. E
voi ragazzi?” chiese James, interrogando con gli occhi anche Peter
e Sirius.
“Felpato c'è. Remus, dannazione, sei
tanto bravo a memorizzare incantesimi e rivoluzioni di Goblin, perchè
non riesci ad imparare anche che ci sono cose che gli amici fanno per
gli amici?”
“Sirius, è pericoloso. Posso
mettervi in pericolo tutti quanti! Se perdessi la calma, che
accadrebbe?” ribattè Remus. Voleva disperatamente che i suoi amici
fossero presenti in quei momenti orribili, ma non voleva metterli in
pericolo.
Si sentiva in colpa. A causa della sua
maledizione, a causa di un Lupo Mannaro come lui, i suoi amici si
erano sentiti in dovere di diventare Animagi.
Avevano studiato per anni e, pochi mesi
prima, ce l'avevano fatta. Ma lui allora non aveva detto niente,
troppo ebbro di felicità per quello stupendo regalo.
“Se posso permettermi... posso
parlare, vero James, Sirius?- intervenne timidamente, titubante,
Peter- Dicevo, se vuoi la mia opinione, Remus, io ti dico che, se
questa cosa ti può far piacere e ti aiuta, noi ci saremo. Del resto,
ormai è tardi per tornare indietro.”
“Peter ha ragione, Remus. Ormai è
tardi per tornare indietro. Potremmo essere scoperti comunque. Facci
provare ancora, Remus. Ormai siamo in sella alla scopa e conviene
volare. Senza contare che c'è ancora quella parte della foresta che
mi piacerebbe esplorare...”disse Sirius, con un ghigno.
“Ma...” tentò nuovamente Remus
“Niente ma, Remus. Ora basta.
L'abbiamo deciso tempo fa. L'abbiamo promesso tempo fa.
Lunastorta, Codaliscia, Felpato e
Ramoso. Insieme possiamo farcela, Remus. Condividi con noi il tuo
fardello. Possiamo aiutarti.”
James era intervenuto, con voce sicura
e convincente come al solito.
Le sue parole sincere, unite al calore
che trasmettevano i suoi occhi del colore delle nocciole, convinsero
Remus che posò un sorriso di gratitudine su tutti e tre i suoi
amici, ringraziando Dio di essere stato così fortunato.
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Capitolo 2 *** Secondo Capitolo ***
secondo capitolo
Capitolo
secondo
“Bene,
allora è tutto. Un'ultima cosa, prima di andare... Ricordatevi
che gli elenchi con le persone che necessitano di corsi di recupero
vanno consegnati ai vostri CapoCasa entro il venti.” disse a
tutti gli altri Prefetti presenti alla riunione Susan Jacob, una
ragazza del settimo anno di Tassorosso che era stata nominata
Caposcuola.
“Saranno
organizzati come al solito?” chiese un Prefetto di Corvonero
del quinto anno.
“No-
rispose Gabriel, l'altro Caposcuola- Quest'anno per quelli che la
McGranitt chiama “ problemi di organizzazione” sarà
diverso.”
“Di'
pure che è tutto dovuto all'intensificarsi dei turni di ronda
dei professori, Gabriel.” lo corresse Susan
“Hanno
paura che attacchino la scuola?” domandò un altro
Prefetto
“Ufficialmente
ci hanno detto che è dovuto ai loro impegni, ma credo che tu
abbia ragione Kate.” rispose grave Gabriel
Immediatamente calò il
silenzio. Quella angusta e fredda aula in cui si tenevano i periodici
incontri tra Prefetti e Caposcuola sembrò ancora più
gelida, ora che non era animata dal consueto chiacchericcio.
Lily abbassò lo sguardo.
Dunque anche i professori avevano paura.
Quello che stava succedendo
fuori, quella guerra nascosta, di cui nessuno parlava ma che tutti
sapevano essere in corso stava a poco a poco coinvolgendo anche
Hogwarts.
Lord Voldemort e i suoi
Mangiamorte avevano già corrotto le menti di alcuni studenti
di Hogwarts con le loro idee razziste e, a quanto pareva, secondo il
Preside e gli insegnanti presto anche a scuola gli insulti e le prese
in giro sarebbero sfociati in qualcosa di più.
Diversi studenti avevano già
perso amici e famigliari ed erano un paio d'anni, almeno, che spesso,
dopo le vacanze, si vedeva qualche ragazzo non tornare più.
Remus sospirò. Se Silente
si comportava così, significava che le cose stavano peggio di
quanto il Profeta non dicesse. Del resto, avrebbe dovuto immaginarlo.
Le notizie che dava il padre di James erano tutto fuorchè
rassicuranti.
“Avanti.
Diteci che dobbiamo fare. Non ho molto tempo da perdere per piangere
sulle sciagure di qualche Mezzosangue.” disse Avery, Prefetto
di Serpeverde allo stesso anno di Lily e Remus.
Tutti irrigidirono all'istante,
tranne gli altri Prefetti di Serpeverde.
“Gradirei
che moderassi il linguaggio, Avery.” rispose gelido Gabriel
“Comunque-
continuò Susan- quest'anno i professori ci hanno chiesto se
siamo disposti ad aiutare gli studenti più in difficoltà,
supportando così le loro ripetizioni. Ci hanno tenuto a
sottolineare che non è un obbligo e che possiamo rivolgerci
anche ad altri studenti della nostra Casa che sono interessati a
partecipare a questa attività. Basterà che facciate
avere a noi l'elenco.”
“Io
di certo non faccio ripetizioni a qualche Sanguesporco di Grifondoro!
Sarebbe tempo perso, non trovate, ragazzi?” Rachel Nott si
rivolse ai suoi amici di Serpeverde, che risero soddisfatti e poi si
alzò, avviandosi verso la porta.
“Non
ho detto che potete andare.” ringhiò Gabriel
“Bè,
io non vedo altri motivi per restare, Ci si vede in giro.” così
dicendo il gruppo di Serpeverde lasciò l'aula e, subito dopo,
i due Caposcuola sciolsero la riunione.
Lily era rimasta sola, seduta
dietro al banco a controllare per l'ennesima volta di avere tutto
nella borsa.
L'ultima cosa che voleva era
uscire e ritrovarsi in corridoio con le stesse persone che l'avevano
insultata qualche minuto prima.
Perchè non la lasciavano
semplicemente in pace? Il suo sangue era sporco, forse avevano
ragione. Forse non apparteneva al Mondo Magico e nemmeno a quello
Babbano.
Però, se erano certi di
questa sua diversità, perchè non la lasciavano
semplicemente in pace? Potevano ignorarla.
Pensare che quelle persone erano
anche quelle che Severus, il suo Severus, riteneva amiche la faceva
stare male.
Quando ci pensava un nodo le
avvolgeva lo stomaco. L'avevano cambiato. Era di certo colpa loro.
Severus non sarebbe mai diventato così. L'avevano fatto
diventare così.
Era colpa loro. Solo colpa loro
se da quel giorno di giugno il mondo le era crollato addosso.
“Lily,
ci sei?” la testa bionda di Remus aveva fatto capolino dallo
stipite.
Era rimasto lì a guardarla
armeggiare con piume, calamai, quaderni e pezzi di pergamena per
tutto quel tempo? Se Remus era uno dei pochi a non considerarla un
po' strana, da quel momento in poi avrebbe di sicuro cambiato idea.
“Remus!”
esclamò, sorpresa
“Cosa
ci fai ancora qui?”
“Ti
stavo aspettando. Dai, andiamo, altrimenti facciamo tardi a cena. A
quest'ora Peter e Sirius avranno già finito anche la nostra
porzione di pollo, se non ci muoviamo.”
“Inizia
pure ad andare.”
“Se
anche andiamo insieme in Sala Grande, poi non sei obbligata a cenare
con noi.” disse Remus, sorridendo e comprendendo qual era il
timore della ragazza.
Lily sorrise a sua volta e lo
raggiunse. Si diressero insieme verso le scale, in silenzio.
“Sei
preoccupata per quello che hanno detto i Serpeverde?” chiese
Remus, augurandosi di non essere invadente.
Lily ci pensò un momento,
prima di rispondere. Come faceva a spiegargli che quelle offese le
facevano male ma che a dilaniarla era soprattutto il fatto che
provenissero da quelle persone che avevano traviato il suo migliore
amico, il fatto che ora anche Severus la pensasse così?
“Un
po'.” disse infine.
“Ti
capisco, Lily. Non è facile.”
“No,
Remus. Forse tu non puoi capirmi. Non è solo per quello. E'
tutto quanto. Sono tante cose.”
“Ascolta
Lily, io forse non sono la persona più adatta per dirtelo, dal
momento che giro con gente che lancia incantesimi continuamente su
chi osa dirmi “Pazzo, pezzente Lupin” o su chi fa
distinzioni tra Purosangue e Mezzosangue e Sanguesporco... Sì,
insomma, i miei amici non sono proprio le persone da prendere come
modello in queste situazioni... ad ogni modo, non vergognarti mai di
quello che sei, Lily. Se poi è altro quello che tu preoccupa,
sappi che io ci sono, se me ne volessi parlare. D'accordo?”
concluse Remus sorridendo sincero.
“Grazie,
Remus. Magari un giorno te ne parlerò.”
Remus capì che non era il
caso di fare altre domande, quando Lily avesse avuto voglia di
parlare, l'avrebbe fatto.
Insieme raggiunsero la Sala
Grande, i cui tavoli erano già affollati di studenti.
“Bè,
allora ci vediamo, Remus.” disse Lily, notando un gruppo di
compagne e volendo raggiungerle.
Remus annuì e lei lo vide
andare in direzione opposta alla sua, per sedersi accanto a Potter,
Black e Minus, immersi in un'allegra conversazione che vedeva James
sul punto di strozzarsi col succo di zucca, evento evitato dal
provvidenziale intervento di Remus che, con una sonora pacca sulla
schiena, evitò il trapasso del Capitano della squadra di
Quiddich di Grifondoro.
“Posso
sedermi?”
“Certo,
Lily, vieni.” le rispose Mary McDonald, tornando poi al
discorso che aveva interrotto con le amiche.
Lily posò lo sguardo sui
Malandrini e per un momento li invidiò: così uniti,
così sereni, così semplicemente se stessi insieme a
persone che ti conoscono e rispettano per quello che sei.
Lei, invece, nonostante le sue
compagne fossero amichevoli, non riusciva mai ad intromettersi con
successo nei loro dialoghi. Era come se, ormai, non potesse più
entrare in un gruppo già formato.
Tornò a guardare la
bistecca nel suo piatto. Del resto, si disse, non poteva lamentarsi.
Era una situazione che aveva costruito lei stessa anni prima, quando
ancora aveva Severus e lui le bastava.
“Mi
passeresti il sale, Lily? Tu credi davvero che la McGranitt venga a
controllare i nostri dormitori la notte, Lil? Sai, ho sentito dire
questo...” disse un'altra compagna
“Io...
non lo so. Perchè dovrebbe?”
“Lily,
non lo sai? Gira voce che Black non passi mai una sera nel suo letto!
Me l'ha detto Jane Hossas di Corvonero. Dice che...” proseguì
un'altra.
All'altro capo del tavolo i
Malandrini ridevano sguaiatamente.
“Grazie
Remus, sei stato provvidenziale! Senza di te non sarei qui!” fu
il teatrale ringraziamento che James rivolse a Remus, con tanto di
abbraccio.
“Eh,
Remus! Se non fossi intervenuto tu ci toccava appendere le sue corna
di cervo alla testata del letto come ricordo perpetuo del nostro
Ramoso...” convenne Sirius, solenne.
“Mi
vuoi davvero veder tirare le cuoia?”
“Ma
guarda che ho appena detto che sono lieto che sia giunto un
salvatore!” si indignò Sirius
“Ok,
ragazzi basta così. Peter, passami quello che loro due non
hanno divorato così mangio qualcosa anch'io.” disse
Remus, pratico, mettendosi seduto di fronte a James.
Peter ridacchiò e passò
a Remus il piatto, prima di dire.
“Remus,
ascolta. Avete parlato delle lezioni di recupero, alla riunione? Io
credo di avere bisogno per Incantesimi...”
“Codaliscia!-
esclamò Sirius- zuccone! Perchè devi sempre vedere
tutto nero? Non hai bisogno di lezioni di recupero! Ci siamo noi! Io,
James e Remus ti aiutiamo come abbiamo sempre fatto!”
“Davvero?
Anche se siamo al sesto anno?”
“Sì,
Pete. Tranquillo. Ci siamo noi, del resto, dobbiamo pur sdebitarci
con te per gli appunti di Storia della Magia, no?” sorrise
James, sistemandosi gli occhiali sul naso.
“Ma
ci sono anche quelli di Remus, di appunti. Sono senz'altro migliori
dei miei. Ancora mi chiedo perchè li chiedete sempre a me.”
constatò Peter, perplesso.
Sirius fece un gesto della mano,
come per scacciare via un'immaginaria mosca.
“I
suoi sono troppo lunghi, fitti e pieni di fronzoli. I tuoi sono
brevi, concisi ed essenziali. Quello che basta per arrivare ad un
decoroso “Accettabile”, che grazie alle mie doti da
attore consumato sfocia sempre in un “Oltre Ogni Previsione”
c'è tutto. Perchè devo rovinarmi gli occhi con la
minuta grafia di Messer Lunastorta?”
“Io
già non ci vedo. Vuoi mica che le mie diottrie scendano e la
mia miopia peggiori, Peter? Non faresti mai un'azione così
meschina nei confronti del tuo caro amico James, vero? Né
rovineresti il bel viso del qui presente cane pulcioso, alias Sirius
Black, con una deturpante montatura per occhiali, vero?” chiese
James, con una orrenda faccia da cane bastonato, abbracciando Sirius
che si stava esibendo in un' altrettanto orribile e contorta
espressione.
Peter rise di gusto e Remus roteò
gli occhi, posando sul tavolo il vassoio colla purè.
“Quanto
siete stupidi!”
Sirius e James ghignarono e
tornarono alle loro cene.
“Per
il resto, che si dice coi Prefetti? Di cosa parlavi con la Evans?”
chiese James
Remus raccontò quello che
era successo, lasciando sconcertati gli amici.
Sapevano che la situazione era
grave, ma non credevano fino a quel punto.
“Gran
bello schifo...” commentò Sirius
“Già.
Se Silente è preoccupato significa che le cose vanno male. Mio
padre mi ha detto che la settimana scorsa hanno per poco sventato una
strage di Babbani, però un suo collega è
morto.”raccontò James.
“In
ogni caso noi qui siamo al sicuro no ragazzi? E' una scuola....”
disse Peter, preoccupato.
“Sì,
dovremmo. Finchè c'è Silente, almeno...” lo
rassicurò Remus
“Sapete,
quello che mi fa più schifo di tutto questo è che
sembra che i nostri compagni non se ne rendano conto. Cioè,
perchè delle amicizie si devono rompere per motivi così
stupidi? Guardate la Evans con Mocciosus! Prima erano sempre insieme
e adesso a lui hanno fatto il lavaggio del cervello...E guardate lei,
sempre da sola, sperduta e spaurita. Cioè, che Mocciosus non
mi sia mai piaciuto è ovvio e su questo non ci piove, però
non ha senso. E loro due non sono gli unici a non parlarsi più.
E' stupido. Lei è sempre quella di prima, non è che è
diversa ora che hai scoperto cosa sono i Mezzosangue e i
Sanguesporco...” osservò James, attaccando rabbiosamente
la sua fetta di torta
“Hai
ragione, James. Ma come ti ho già spiegato innumerevoli volte,
non tutti sono come voi.” disse Remus.
“Guarda
la mia famiglia, Jamie. Guarda mio fratello. Non c'è mai
niente di giusto o sbagliato del tutto. Dipende dai punti di vista.
Si può tranquillamente affermare che la Evans doveva stare più
attenta nello scegliersi gli amici. Certo, mi dispiace per lei, ma
deve reagire. Persone così è meglio perderle che
trovarle.” constatò Sirius, guardando verso il fratello
al tavolo di Serpeverde.
James e Remus non risposero,
comprendendo le allusioni che Sirius aveva fatto nel suo discorso.
Sirius li ringraziò
tacitamente e fu ancora più grato a Peter che cambiò
discorso, riportando la conversazione sull'imminente luna piena.
Dopo cena i quattro si alzarono e
si incamminarono verso il dormitorio, affrontando le solite risate di
scherno dei Serpeverde che, al loro passaggio non potevano non ridere
di Peter, offendere Remus, chiamare traditore Sirius e Babbanofilo
James.
“Brutti
luridi bastardi.” mormorò Sirius a bassa voce,
afferrando la bacchetta, stanco di sentire ingiurie sui suoi amici.
“No.
Lascia perdere.” Remus lo spinse via.
Lily era appena dietro di loro ed
aveva sentito tutto. Avrebbe voluto avvicinarsi e dire a Remus che le
dispiaceva per quello che gli avevano detto che ammirava la calma con
cui affrontava la situazione. Glielo doveva, dopo che lui era stato
così gentile.
James si voltò e si
accorse di lei.
“Buonasera,
Evans? Tutto bene?” chiese, sorridendo e scompigliandosi i
capelli.
“Sì,
Potter. Grazie.” rispose, nervosa. Perchè cercava sempre
l'occasione di rivolgerle la parola? Si divertiva forse a farla
sentire ancora più in imbarazzo e fuori luogo?
James Potter aveva sempre la
capacità di imbarazzarla e di irritarla. Questo non perchè
spesso le parlasse, anche solo per intavolare conversazioni sciocche,
ma perchè Lily si chiedeva come mai James Potter parlasse
proprio a lei, che spesso risultava invisibile ai più.
Non c'erano motivi per cui il
popolare James Potter dovesse curarsi di lei.
Aveva la perenne sensazione che
si burlasse di lei. Perchè James Potter si divertiva così
tanto ad importunarla?
Lily era arrivata alla
conclusione che per lui fosse solo un gioco, così come
lanciare incantesimi e fatture a chi osava dire qualcosa contro di
lui. Tormentarla era solo un gioco per far vedere quanto James Potter
fosse superiore a tutti.
“Torni
in Sala Comune con noi, Lily?” domandò Remus affabile.
“Io...”
“Eddai,
Evans! Non mordiamo mica! Solo Sirius è un po' pericoloso a
volte, ma ti prometto che lungo la strada sarà buono come...
come...” iniziò James
“Come
un barboncino!” gli venne in aiuto Peter
“Grazie,
Pete. Sì, Sirius sarà buono come un barboncino!”
concluse James, ridendo con gli amici
“Io
non sono un barboncino!” protestò Sirius
Gli altri tre andarono avanti a
lanciargli frecciatine e, dietro di loro, Lily talvolta non poteva
fare a meno di sorridere.
E di invidiarli.
Ecco
il secondo capitolo.
Ho
aggiornato prima del previsto, ma ripeto, non posso garantire
aggiornamenti frequenti. Non ne sono molto soddisfatta, ma serviva
per far capire come vanno le cose ad Hogwarts. Nessuno ha ancora ben
chiaro cosa accada davvero fuori, a loro giunge solo l'eco delle
tragedie.
Spero
che questa mia visione di Lily e James vi piaccia e vi incuriosisca
almeno un po'.
Ringrazio
Bellis e Ron84 che hanno inserito questa storia tra i preferiti,
ringrazio chi ha letto e ringrazio soprattutto Lady blue e Bellis per
le loro recensioni.
Lady
blue: grazie per i complimenti! Sì, Lily e James
saranno diversi dal solito, spero di poterli rendere abbastanza reali
e non troppo artefatti.
L'altra
storia è una What if: Lily e James non sono morti, così
come Sirius e Remus. Tutto è finito quel 31 ottobre.
Si
intitola” La mia famiglia e la Coppa Quattromalandrini.”
E' incentrata sulle vicende di Harry, chiamato a partecipare al
Torneo Tremaghi al suo settimo anno e su Beth, la sua timida
sorellina e su Dan, turbolento figlio di Sirius. Ovviamente i
Malandrini sono sempre molto presenti.
Siccome
questa storia ha riscosso parecchio ed inaspettato successo, ora sto
scrivendo il seguito, Finding My Own Way. Per saperne di più
guarda sul mio profilo.
Bellis:
grazie per la recensione. Mi ha fatto immensamente piacere! E' una
delle più belle che abbia mai ricevuto. Lily sarà
diversa dal solito: non sarà bisbetica ed isterica e non sarà
nemmeno la versione femminile di James. E' una ragazza di sedici anni
in crisi con se stessa che non riesce a capire a chi o a cosa
appartiene, dato che non è una strega, secondo alcuni, ma non
è nemmeno Babbana. E poi c'è il rapporto con Severus,
il suo unico amico, così esclusivo da precluderle altre
amicizie. Ha sempre anteposto lui a tutto il resto ed ora che si
ritrova sola ti lascio immaginare come si sente. Sono felice che i
Malandrini siano fedeli. Spero che ti piacciano anche in questo
capitolo, dove mi auguro sinceramente di essere riuscita ad evitare
le scene da telefilm. Fammi sapere, mi raccomando!
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Capitolo 3 *** Terzo Capitolo ***
Capitolo Terzo
Inizio
di Dicembre, 1976
Novembre
era passato, lasciando dietro di sé il vento gelido e il cielo
coperto per far posto alle prime nevicate. Sul prato di Hogwarts si
stendeva una bianca coltre di neve e, guardando fuori dalle finestre,
ci si perdeva facilmente in quel paesaggio.
Questo
pensava Lily Evans, china sul suo libro di Trasfigurazione una
domenica pomeriggio, fissando i prati imbiancati al di là
della finestra della Biblioteca.
Quella
era stata la prima nevicata di quell'anno: la neve era caduta
ininterrottamente per due giorni e non era raro vedere studenti che,
tra la pausa di una lezione e l'altra, correvano fuori per
improvvisare battaglie.
Tra
questi c'erano, inevitabilmente, i Malandrini e Lily, quando aveva
visto Remus Lupin che, armato di pergamena indicava con precisione ai
suoi amici come costruire una trincea non potè non stupirsi.
Erano
sei anni che si meravigliava di come lui cambiasse non appena si
trovasse in compagnia dei suoi amici, diventando, se possibile, più
pericoloso di loro, in fatto di trovate demenziali.
Osservarlo
però dare ordini per la costruzione di una trincea, con in
mano il progetto, che, evidentemente doveva aver disegnato di notte,
dal momento che non si distraeva mai in classe ( a meno che, e questo
Lily non lo sapeva, non arrivassero pergamene volanti dall'altra
parte dell'aula o, addirittura, se seguivano lezioni differenti,
dall'altra parte del castello), era tutta un'altra cosa e il Prefetto
Lily Evans arrivò anche a dubitare della sanità mentale
del suo collega, chiedendosi se, in fondo, anche Remus non fosse
esibizionista, gradasso e borioso quanto i suoi amici.
Ripensando
però a tutte le volte che l'aveva notato spiegare con pazienza
a Minus come eseguire un incantesimo, alla costanza che manifestava
negli studi, al sorriso disponibile nei confronti dei ragazzini del
primo anno, ancora spaesati, alle volte in cui, Lily ne era certa,
aveva coperto le bravate dei suoi amici, arrivò alla
conclusione che Remus fosse una delle persone più meravigliose
che avesse avuto l'onore di incontrare e che se, non ci fosse stato
lui, probabilmente la sua situazione emotiva, già di per sé
instabile, sarebbe stata senza dubbio peggiore.
Dopo
quel momento di distrazione che la portò ad osservare i
quattro ragazzi che pattinavano sul Lago Nero (Sirius Black era
appena caduto per la terza volta a furia di cercare di far perdere
l'equilibrio a Remus, che, ovviamente, risultava posato ed aggraziato
anche sui pattini e James Potter rialzava di continuo Minus, disastro
ambulante, cercando di aiutarlo a stare in equilibrio), Lily ritornò
al suo studio, cercando memorizzare il complicato movimento della
bacchetta per eseguire correttamente un Trasfigurazione Scambiata.
La
sua concentrazione però fu ben presto interrotta dal rumore di
passi pesanti, i cui proprietari, del tutto incuranti delle proteste
di Madama Pince, accrebbero la confusione con risate sguaiate e
commenti ben poco educati.
“Voglio
proprio vedere come riuscirà a liberarsi, quello schifoso
Mezzosangue!” disse una voce roca, che Lily, irrigiditasi
immediatamente sulla sedia, riconobbe come quella di Mulciber.
Un
nodo le bloccò lo stomaco e, per poco, non le veniva da
vomitare.
Erano
in tre. Sicuramente. Lily vedeva le loro scarpe dall'angolo in cui
era nascosta.
“Dannazione,
Piton! Gliel'hai proprio fatta pagare! Voglio proprio vedere se si
azzarderà a togliere ancora punti a Serpeverde, quello
schifoso! E dire che l'avevo avvisato, alla riunione.” proseguì
Avery.
Piton
rise, una risata fredda, che Lily non riconobbe come quella del suo
amico.
“E'
stato un gioco da ragazzi! Persino qualche sudicio Grifondoro
riuscirebbe... magari anche quell'idiota di Minus potrebbe farcela,
ovviamente solo se ha dietro di sé Potter!”
“Bell'idea
quella di legarlo con delle funi e di fustigarlo... che ne dite,
andiamo a liberarlo tra un po'?” propose, scherzosamente
Mulciber
“E
poi magari lo medichiamo anche!” proseguì Avery, ridendo
“Con
una pozione orticante, ovviamente.” concluse Piton.
Risero
di nuovo e a Lily parve di non poter più respirare.
Tratteneva
a stento le lacrime e voleva solo andarsene di lì, il prima
possibile, senza essere vista.
Dal
loro ultimo incontro, Lily faceva di tutto per evitare Severus: se lo
incrociava per i corridoi, cambiava strada, in Sala Grande si sedeva
sempre in un posto dal quale non avrebbe potuto vederlo.
Era
costretta a stare con lui solo nelle lezioni che i Grifondoro
condividevano con i Serpeverde e quelle ore erano per lei una vera e
propria tortura e non perchè gli studenti delle due case
rivali si insultavano e si affatturavano continuamente, non perchè
Potter trovasse divertente farsi colpire da qualche incantesimo,
dopo averne scagliati altrettanti a chi osava dire qualcosa a lui o
ai suoi amici o a qualche altro Grifondoro.
Certo,
a Lily era ben chiaro che lui detestasse dal profondo le Arti Oscure,
tuttavia non le pareva il caso di dare corda a quelle persone,
ripagandole con la stessa moneta.
Lily,
durante quelle ore stava male perchè vedeva Severus: era
costretta a vederlo ridere, senza poter partecipare della sua gioia,
era costretta vederlo sereno. E soprattutto era costretta vederlo
soddisfatto ogni volta che un Grifondoro, lei compresa, veniva
schernito o affatturato.
Stava
male perchè in quella persona non riconosceva il suo migliore
amico.
Con
lo stomaco ridotto ad un granello di sabbia Lily si alzò,
afferrò rapidamente i libri, senza darsi la cura di riporli
nella borsa ma tenendoli in mano.
Si
nascose nel corridoio laterale, sperando di riuscire ad uscire dalla
porta secondaria, senza essere vista.
Si
trovava nella fila di scaffali parallela a quella in cui stavano
Piton, Avery e Mulciber.
Affrettò
il passo ma, sfortunatamente, un libro le cadde per terra, provocando
un fragoroso rumore nella Biblioteca deserta e silenziosa.
I
tre Serpeverde si scambiarono un'occhiata rapida.
“Vediamo
un po' se c'è qualche Mezzosangue a cui insegnare la buona
educazione!” sussurrò Mulciber agli atri due.
Lily
sentì che si stavano avvicinando e raccolse il libro di
Trasfigurazione in fretta, stava quasi per raggiungere l'altro
corridoio, che l'avrebbe portata lontano dalla loro vista, quando, i
tre varcarono l'angolo.
Non
era difficile capire di chi si trattasse. I suoi capelli rossi la
tradivano.
“Bene
bene... Meglio del previsto. Nessun Mezzosangue ma una Sanguesporco.-
sogghignò Avery- Di' un po', Severus, questa non è
forse la tua amica Evans?”
Lily
si era bloccata lì davanti a loro. Non riusciva a fare un
passo né in avanti né indietro.
Il
suo sguardo incontrò quello di Piton, per un istante, ma lui
si ritrasse immediatamente.
“Io
non ho amici tra i Sanguesporco.” disse, perentorio, e quasi
offeso da ciò che aveva detto Avery
Per
Lily quelle parole furono peggio di una pugnalata. Ciò
nonostante non l'avrebbero vista piangere, mai.
“Allora
potresti dare tu una bella lezione a questa Mezzababbana di
Grifondoro, no?” Mulciber desiderava sondare il terreno. Voleva
capire quanto si potesse fidare di Piton.
“Sì,
Piton. Avanti. Se hai bisogno di aiuto, noi siamo qui, vero?”
Avery alzò la bacchetta.
Lily
non riusciva a muovere un muscolo,ma, quando vide la luce partire, il
suo corpo agì per lei, spostandosi rapidamente.
“Corri
corri, Sanguesporco! Sarà per la prossima volta!”
Lily
corse per il corridoio, fermandosi solo una volta arrivata alla Torre
di Grifondoro.
Non
sentiva più niente.
Si
sentiva solo vuota.
Entrò
in Sala Comune e si diresse immediatamente nella sua stanza, dove
sperava di poter restare sola.
Per
sua sfortuna era dicembre e faceva freddo.
Mary
McDonald e la sua amica Rose King sedevano sul letto di quest'ultima
intente a scambiarsi confidenze,
“Lily,
tutto bene?” chiese Mary, vedendola entrare di corsa
“Sì,
tutto bene.” rispose Lily, con un tono che non ammetteva
ulteriori domande, prima di buttarsi sul letto.
Rose
e Mary si scambiarono un'occhiata scettica e perplessa, come a dirsi,
un'altra volta, che quella Lily Evans era proprio strana e, in men
che non si dica tornarono alle loro chiacchiere, senza accorgersi
che, a quattro letti di distanza Lily singhiozzava con la testa
affogata nel cuscino.
Quando
ormai il Sole stava iniziando a calare e vedere qualcosa sul ghiaccio
stava diventando impossibile, grondanti acqua e doloranti, i
Malandrini fecero ritorno al Torre di Grifondoro.
I
loro schiamazzi rianimarono la tranquillità della Sala Comune
e, sempre gocciolando, raggiunsero la loro stanza.
James
e Sirius si stravaccarono sul letto, Peter si diresse verso il suo
baule per cercare un maglione asciutto e Remus prese a guardare fuori
dalla finestra.
Il
silenzio fu rotto da un 'esclamazione di Sirius, alzatosi in piedi.
“Porco
Bolide che male!” esclamò, massaggiandosi le gambe dopo
aver mollato i suoi pattini in mano a Remus.
Era
uscito piuttosto malconcio da quel pomeriggio sui pattini.
“Sirius!”
lo rimproverò Remus, roteando gli occhi
“Che
c'è?”
“Il
linguaggio! Per favore! Parli come un allevatore di draghi!”
“Ma
che ho detto?” chiese ancora Sirius, sempre più
meravigliato
“Ti
costa tanto parlare come un essere umano civilizzato?” proseguì
Remus, che, dopo sei anni ancora si chiedeva come mai qualsiasi frase
esclamativa di Sirius fosse cosparsa di imprecazioni.
“Quanto
sei noioso, Lunastorta! Finirai a fare l'insegnante!”
“Dico
solo che ci sono modi diversi per esprimere lo stesso concetto, vero
James, Peter?”
Peter
annuì convinto e James disse:
“Sirius,
devi partire dal presupposto che Remus ha sempre ragione, mi
dispiace, ma è così.”
“Visto?
Ripeti con me: “ Io non ucciderò più la
grammatica e non parlerò come un troll.” avanti,
ripeti!”
“Io
non ripeto un Bolide di niente! Dio, ma siamo impazziti? Jamie questo
sta andando completamente fuori di testa!” protestò
Sirius, cercando il supporto del suo migliore amico, che ora rideva.
“Sirius!
Il linguaggio!”
“Ficcati
in quella zucca da secchione che io parlo come mi pare e piace! E
poi, senza espressioni colorite... oh Merlino? Che ho detto! Jamie,
Peter! Ho detto davvero “espressioni colorite!” questa è
tutta colpa di Lunastorta! Me misero! Me tapino! Finirò
ridotto come Lunastorta!” Sirius si rigettò sul letto,
sfogando tutta la sua disperazione sul cuscino.
“Remus,
mi spiace dirlo, ma qui devo concordare con Messer Felpato! Ci stai
plagiando tutti! Se questo inizia a parlare di “espressioni
colorite”, ben presto, che ne sarà di me? Smetterò
di essere capace di volare iniziando a soffrire di vertigini? Oh,
povero me! Vieni Sirius! Soffiamo insieme!” James si gettò
sul letto dell'amico, che, per scacciarlo, gli mise il cuscino in
testa, salendo a cavalcioni sulle sue spalle.
“Basta,
basta! Gli occhiali! Cretino! Se cadono sarà il terzo paio che
rompo in un anno! Mia madre non mi darà più un galeone!
Gli occhiali ti ho detto! “
“James!”
“Ahi!
Lasciami, stupido! Sai che soffro il solletico! Brutto sacco di
pulci! Se ti prendo!”
“Che
cosa mi fai? Se non sbaglio non ci vedi visto che i tuoi occhiali li
ho io!” esclamò Sirius, brandendo come un trofeo gli
occhiali di James che, mezzo accecato, si rotolava sul letto.
“Sirius!
James!”
I
due non diedero segno di averlo sentito, anzi, proseguirono la lotta,
con Peter che, in piedi lì di fianco, attendeva l'evolversi
della situazione.
“SIRIUS!
JAMES!”
“Che
c'è? Non vedi che siamo impegnati?” chiese James, mentre
la sua mano destra sfiorava pericolosamente l'ascella sinistra di
Sirius, che, soffrendo il solletico, giaceva a terra in preda a
risate convulse.
“Basta!
Ti prego, basta! James smettila!”
“Sirius!”
“Che
vuoi, Lunstorta?”
“Mi
distraete!”
James
e Sirius si guardarono. Remus era in piedi di fronte alla finestra,
non sembrava intento a fare nulla.
“Remus,
possiamo sapere cosa stai facendo di così importante lì
impalato?” domandò James, riacquistando non solo i suoi
occhiali ma anche la posizione eretta.
“Sto
calcolando di quanto ho sbagliato a calcolare l'angolo sinistro della
trincea che abbiamo costruito stamattina. Credo che averla inclinata
di trenta gradi di più l'avrebbe resa più stabile...”
disse Remus, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Sirius
scoppiò a ridere, prese un cuscino e lo gettò contro
Remus.
“Ma
che...?” fece appena in tempo a bofonchiare, prima che anche il
cuscino di James gli volasse addosso.
Anche
Peter prese il suo cuscino con l'intento di scagliarlo contro Remus,
solo che finì in testa a Sirius, frappostosi sulla
traiettoria.
“Ehi!
Non vale! Era il tutti contro Lunastorta!”
“Zitto,
Felpato! C'è anche per te!” Remus lo zittì con
una cuscinata e ben presto il dormitorio fu ridotto ad un campo di
battaglia.
Sirius
e James si rotolavano uno sull'altro con sporadiche intrusioni di
Peter, Remus, studiando le mosse migliori, li colpiva quando si
distraevano.
In
quei momenti il mondo non esisteva. Contava solo quello che accadeva
in quella stanza, solo loro quattro.
Solo
Lunastorta, Codaliscia, Felpato e Ramoso.
Qualche
minuto dopo, tutti e quattro giacevano esausti sul letto di Peter
che, prontamente, scartò una barretta di cioccolato di
Mielandia da offrire agli amici.
“Grazie,
Pete! Se non ci fossi tu, avrei anche saltato la merenda!” lo
ringraziò Sirius, stritolandolo in un violento abbraccio ed
ingurgitando mezza tavoletta.
“Povero
cucciolo, lui! Avrebbe saltato la merenda!”pigolò James,
accarezzando la testa di quello che prima era Sirius, ma che ora era
appena diventato Felpato.
“Sirius!
Torna immediatamente te stesso! Potrebbero vederti!” lo sgridò
Remus
Sirius,
di malavoglia, tornò se stesso. Detestava obbedire, ma sapeva
che Remus aveva ragione e l'ultima cosa che voleva era ficcarlo in un
guaio grosso come quello dell'anno prima.
Se
non ci fosse stato James...
Sirius
scosse la testa, per scacciare via quei pensieri.
Quello
che avrebbe potuto succedere senza l'intervento di James lo
tormentava ancora, quotidianamente.
Il
segreto di Remus, Piton, lo stesso James... tutti in pericolo per
colpa di una sua trovata.
Ricordava
la faccia spaventata di Peter quando l'aveva saputo, ma soprattutto
ricordava l'espressione di James, la sicurezza con cui aveva detto
che sarebbe andato a salvare Piton.
Quello
che proprio non riusciva a cancellare erano state le parole di James
mentre attendevano che il Preside li ricevesse.
“Sei
un idiota, Sirius. Un idiota. Che cosa credevi di fare, eh? Lo potevi
ammazzare! E a Remus non hai pensato? Remus sarebbe stato processato
e magari soppresso! E anche adesso, anche adesso non lo so cosa
deciderà Silente! Sei un idiota, Sirius.”
Sirius
non ricordava di averlo mai visto così arrabbiato.
James
era raro che si arrabbiasse. Capitava solo in casi estremi.
Non
era come lui, James.
“Io...”
“Io
cosa, Sirius? Io cosa?”
Stavano
quasi per fare a botte, quella volta.
“Mi
dispiace.” aveva mormorato, infine.
“Vieni
qui, va tutto bene, fratello.” James l'aveva abbracciato e
perdonato.
“Va
tutto bene, Sirius. Non ci pensare.” disse James,
distogliendolo da quei ricordi dolorosi.
“Dai
Sirius, andiamo. Non vorrai fare tardi a cena, vero? E poi se non
sbaglio hai qualche invito ad Hogsmeade da fare, me l'hai detto
stamattina...” disse Remus, come a volergli ribadire che ormai
non si tornava più indietro e che era necessario andare
avanti.
Insieme.
Sirius
sorrise agli amici, ringraziandoli tacitamente e stette al gioco:
“In
effetti c'è quella Kathy di Tassorosso...”
“E
così settimana prossima si va ad Hogsmeade... Me n'ero
dimenticato.” constatò James, mentre si avvicinavano
alla Sala Grande.
“Hai
intenzione di chiederlo alla Evans di nuovo, Ramoso?”
chiese Sirius, a metà tra l'incredulo e l'ammirato. Non
riusciva a comprendere la fissazione che James aveva per quella
ragazza, a suo parere nemmeno bellissima. Aveva solo sedici anni! Non
era presto per legarsi così tanto a qualcuno? Da un lato però
lo ammirava, lui, fatta eccezione per i suoi amici, non aveva mai
provato un simile attaccamento per qualcuno.
“Sì. Chissà che
oggi non sia la volta buona? Avrebbe bisogno di parlare con qualcuno,
la Evans. Mi spiace vederla sempre così sola. Vorrei che mi
desse la possibilità di farmi conoscere, di conoscerla, prima
di rifiutarmi così...”sospirò James
“Noi sappiamo che non la vuoi
prendere in giro, lei no. Devi solo farglielo capire.” osservò
Peter, nella sua ovvia deduzione.
“Stai attento a come ti rivolgi a
lei, James. Sii gentile, non usare i tuoi modi soliti. La spaventerai
e continuerà a credere che ti voglia prendere gioco di lei.”
consigliò Remus che era quello che conosceva meglio Lily e
che, in cuor suo, sperava davvero che lei si facesse aiutare. Forse
James era davvero quello che ci voleva. Sapeva che il suo interesse
era sincero, ma era conscio del fatto che, dati i modi con cui le si
rivolgeva di solito, James pareva proprio volerla prendere in giro.
“Ma non è così! Io
vorrei davvero poter parlare con lei, magari la riesco ad
aiutare...”disse James, varcando la soglia della Sala grande e
facendosi largo tra i primini.
“Eccoti con le solite manie da
salvatore del mondo! James, magari lei non vuole essere aiutata!
Magari lei sta bene così.” affermò Sirius,
sedendosi sulla panca del tavolo di Grifondoro.
“Se la conoscessi almeno un po',
Sirius, non parleresti così.”lo contraddisse Remus,
seduto di fronte a lui.
“Lo vedo anch'io che è
sempre sola. E' così dal primo anno, dico solo che forse non è
da James che vuole essere salvata. Tutto qui.” andò
avanti testardamente Sirius.
“Eppure è sempre così
gentile! Mi ha aiutato spesso con i compiti. Mi chiedo perchè
nessuno le parli... James, o anche tu Remus, falle capire che se
proprio non vuole parlare con nessuno, o nessuno le vuole parlare,
potremmo farlo noi.” propose Peter, allegro.
Remus sorrise all'indirizzo del suo
timido amico che, per tutta risposta, affondò il viso nel
piatto.
“Grazie, Peter! Se riesco a
parlare con lei civilmente lo farò senz'altro!”
ringraziò James, guardandosi nervosamente attorno.
Non la vedeva.
Non era a cena.
“Evviva ,evviva! Mettiamo su un
Fan Club!” scherzò Sirius
James si alzò improvvisamente.
“Ehi! Lo dicevo per dire, non
volevo farti arrabbiare! Torna qui, Ramoso!” si scusò
Sirius, che non intendeva davvero fare dal sarcasmo maligno ( si
accorse di averlo fatto solo guardando la faccia di Remus).
“Devo andare!”
“Ok, è ufficiale.
L'abbiamo perso. C'erano una volta quattro Malandrini. Ora sono tre.”
sospirò Sirius, ritornando alla sua frittata.
Lily
scese in Sala Comune: a quell'ora tutti erano a cena. Forse avrebbe
potuto stare un po' accanto al fuoco.
La
sua stanza non le era mai parsa così fredda.
Fece
per sedersi sulla poltrona alla destra del camino, ma si accorse che
era occupata.
Occupata
da James Potter, che, anche se lei non lo sapeva, stava seduto lì
da un'ora, nella speranza di poterla vedere.
Lily,
comprendendo subito chi fosse il proprietario della chioma corvina e
spettinata che si intravedeva, si voltò per tornare in camera.
L'ultima
cosa che ci voleva in una giornata come quella era James Potter.
James,
sentendo un rumore di passi, girò la testa e la vide correre
verso le scale.
Era
impossibile non riconoscerla.
“Evans!
Ehi Evans! Aspettami!” gridò, alzandosi e facendo appena
in tempo a bloccarla per un polso.
“Che
vuoi, Potter? Ho da fare.” rispose gelida, abbassando lo
sguardo
“Ti
rubo solo un minuto. Se mi consenti una domanda.” disse James,
con il suo solito tono strafottente, così lontano da quello
fermo e sicuro che usava con i suoi amici.
Lily
non rispose e James, prendendo il silenzio come un assenso parlò
di nuovo.
“Perchè
non eri a cena, stasera? Ti ho cercato.” proseguì
“Non
avevo fame. E comunque non sono affari tuoi.”
“Ok,
hai ragione, non sono affari miei. Adesso posso farti l'altra
domanda?” chiese, lievemente più affabile.
“Sbrigati,
però.”
“Come
vuoi... Allora la faccio breve ed evito tutto il discorso che mi ero
preparato...”
“Non
ci vengo ad Hogsmeade con te, Potter. Risparmia il fiato e smettila
di prendermi in giro. Come se a te importasse qualcosa di me!”
“Non
è vero! Mi importa! Ora che hai detto di no un'altra volta, mi
spieghi almeno perchè? Non lo capisco, Evans. Che cos'ho che
non va?”
“Non
ci sono motivi per cui io debba uscire con te, Potter. Smettila di
prendermi in giro. Non mi tormentare. Io sono l'anonima Lily Evans e
tu il popolare James Potter. Non ci sono motivi per cui tu debba
voler parlare con me E adesso devo andare.”
Lily
si girò di scatto, volendo salire, ma Potter le continuò
a trattenere il suo braccio.
“Lasciami!”
gridò Lily
“Non
ti lascio! Non ti lascio fino a quando non mi dici perchè!
Fino a quando non mi dai una motivazione sufficiente. Mi hai già
detto le stesse parole il mese scorso e quello prima ancora e ancora
e l'estate scorsa e la primavera prima. Dimmi perchè, Evans!”
“Te
l'ho già detto! E ora lasciami!”
“No!
Sono abituato a guardare la gente negli occhi, quando parlo. Adesso
tu alzi la testa a mi guardi. Mi guardi, hai capito? Mi dai una
motivazione logica e mi guardi! Guardami, Evans, dannazione!
Guardami! Guardami quando ti parlo! Non nasconderti dietro ai tuoi
capelli! Urlami tutto il tuo disprezzo, ma guardami! Guardami Evans,
per una volta guardami in faccia, quando mi dici no!”urlò
James così forte e con un tono così violento che Lily
ebbe quasi paura.
La
sua mano non si staccava dal polso di lei che alzò la testa e
piano, con voce quasi inudibile, cercando di non piangere, dato che i
suoi occhi erano già arrossati dalle lacrime versate in
precedenza, sussurrò:
“Lasciami,
per favore.”
James
intercettò il suo sguardo supplichevole, incontrando, per la
prima volta i grandi occhi verdi di Lily e si sentì un verme.
Si
vedeva che si stava sforzando di non piangere, si vedeva che aveva
appena finito di piangere.
La
lasciò immediatamente e lei, come se non ci credesse, rimase
lì impalata.
“Chi
è stato? Perchè hai pianto, Evans?” chiese James,
dolcemente, come se tutta la rabbia di qualche istante prima non
fosse mai esistita.
Lily
non rispose e a lui non era mai parsa tanto piccola e fragile come in
quel momento.
I
capelli rossi le cadevano disordinati e pieni di nodi, le guance
erano arrossate, così come gli occhi.
Tutto
quel colore contrastava con la sua carnagione diafana.
James,
ora che ci pensava, non aveva mai avuto occasione di stare tanto
vicino a lei.
Lily
si riscosse improvvisamente, distolse il suo sguardo da lui e corse
di sopra.
James
rimase lì, in piedi fissando il muro e mormorando a se stesso
che, in fondo, lei aveva ragione.
Non
c'erano motivi per cui lui li considerasse affari suoi.
Spero
che questo primo contatto Lily-James sia piaciuto, anche se credo che
susciterà qualche perplessità...
Grazie
a Bellis,
jellicat, Lady blue, marco 121184, ron84,
Fritty
e Thaleron
per aver inserito
la storia tra i preferiti.
Ringraziamenti
ancora più speciali per aver recensito a:
Padfoot_07:
sì, i miei Lily e James sono diversi. Ma è così
che li immagino, spero che tu possa apprezzare anche questa visione,
molto più drammatica rispetto al solito.
Lady
Blue:sì,
è vero spesso la guerra è assente dalle storie sui
Malandrini, ma Hagrid dice ad Harry nella Pietra Filosofale che,
prima che scomparisse in seguito all'attacco ai Potter, Voldemort era
stato al potere per undici anni, quindi almeno negli ultimi tre o
quattro anni dei Malandrini credo che avesse già iniziato a
mostrare il suo volto spietato.
E'
pertanto mia intenzione portare avanti entrambe le trame, anche
perchè, se non ci fosse stata la guerra, molte cose sarebbero
andate diversamente: un esempio l'amicizia tra Lily e Severus.
Spero
che ti piaccia anche questo capitolo!
Bellis:
io e te ci siamo già dette tutto, comunque, GRAZIE. La tua
recensione è stata tra le più belle ricevute.
Sicuramente la guerra e le divisioni hanno permeato i loro anni di
scuola facendoli diventare quelli che sono e per Lily non è
semplice.
Non
si sente parte di nessuno dei due mondi. Troppo Babbana per essere
una strega e troppo strega per essere Babbana. Severus non c'è
più e in compenso c'è Potter che la tormenta, senza
apparenti ragioni, dato che lui è il popolare James Potter e
lei la sconosciuta Lily Evans.
La
mediazione di Remus sarà importante e mi piace pensare che
fossero ottimi amici, loro due, oltre che come dici tu simili
caratterialmente, entrambi bisognosi di aiuto e di legami. Solo che
Remus ha i Malandrini, che uniti riescono a trovare il giusto
compromesso tra le riflessioni su quello che accade “fuori”
e la vita da adolescenti che spetta loro.
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Capitolo 4 *** Quarto Capitolo ***
Capitolo
Quarto
Natale 1976
La neve era scesa senza tregua, nelle settimane prima di
Natale e il prato di Hogwarts si stendeva sotto una bianca e soffice
coltre.
Tutta quella neve dava serenità all'aspro
paesaggio scozzese e, all'interno delle possenti mura del castello,
ci si sentiva protetti.
Mai Hogwarts era parsa così accogliente e sicura.
Era come se, stando lì dentro, tutte le tragedie
che colpivano e straziavano il mondo esterno, le cui eco giungevano
anche al castello, fossero lontane.
Parecchi studenti avrebbero voluto restare a scuola per
le vacanze, ma, consci del fatto che isolarsi non era possibile e,
preoccupati per le loro famiglie, quotidianamente esposte alle
violenze dei Mangiamorte, praticamente tutti avevano infine scelto di
tornare a casa.
Lily, invece, contrariamente alla maggior parte dei suoi
compagni, desiderava solo tornarsene a casa. Voleva solo rivedere i
suoi genitori, per essere scaldata dagli abbracci di sua madre e
coccolata ed incoraggiata dalle parole di suo padre.
In quei mesi, per la prima volta in sei anni, Hogwarts
le era parsa fredda, distaccata ed inospitale.
Non si era mai sentita tanto fuori posto. Certo, in
molti l'avevano sempre vista come una ragazza un po' strana, per via
delle sue scarse amicizie, delle poche parole e del costante e, forse
esagerato, impegno a scuola. Ora, però, i bisbigli dei
Serpeverde e di qualche altro studente sulla presunta sporcizia del
suo sangue le ronzavano continuamente nelle orecchie.
Ma non era solo per quello che Hogwarts era cambiata,
Il motivo principale era Severus. Lily aveva sempre
sopportato tutto, perchè c'era lui.
C'era Severus che la spronava di continuo, che le aveva
sempre spiegato che non era diversa, perchè nata in una
famiglia di Babbani.
C'era Severus che non rideva, se lei chiedeva cosa fosse
uno Knarl, una Finta Wroski o come si potesse mangiare una Piperilla
Nera senza che esplodesse in bocca.
Severus nei suoi ricordi era una presenza costante, ma,
in quei mesi Lily era giunta alla conclusione che fosse stato solo il
flusso dei suoi ricordi, a renderlo tale.
Ripensandoci e cercando di organizzare le memorie
lucidamente, Lily poteva chiaramente ricordare che era dal terzo anno
che qualcosa aveva iniziato a rompersi. E l'episodio dell'anno prima
era stato solo la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
“Non ho bisogno dell'aiuto di una piccola
lurida Sanguesporco”
Lily si girò nel letto, afferrò le coperte
e sussurrò a se stessa:
“Basta così, Lily. E' Natale. Sei casa. Sei
coi tuoi genitori, con la tua famiglia. Qui tutto quello che tocca il
Mondo Magico non arriva. Qui non c'è nessuna Gazzetta del
Profeta che porta notizie di morte.”
Attorno all'albero di Natale, posizionato nel grazioso
salotto, i signori Evans attendevano che le figlie scendessero per
scartare, tutti insieme, i pacchetti colorati che erano stati
ordinatamente accatastati.
Negli occhi di Edward e Rose Evans si leggeva
trepidazione: erano curiosi di sapere se il loro regalo sarebbe stata
una sorpresa gradita per la loro amata secondogenita, per la quale
non avevano smesso di provare affetto ma che, spesso, sentivano
sfuggente, appartenente ad un qualcosa che non conoscevano, viandante
sulle strade di un mondo in cui non erano certi di poterla guidare.
“Eccovi! Lily, Petunia! Buon Natale, figlie mie!”
la signora Evans andò incontro alle due ragazze che, in
silenzio, una dietro l'altra, stavano scendendo le scale.
Petunia, la primogenita, ormai ventiduenne, alta,
slanciata e bionda e la piccola Lily, minuta e con i capelli rossi
ereditati dalla nonna materna scesero gli ultimi gradini strette
nelle loro vestaglie colorate.
“Su, avanti! Sono curioso anch'io di guardare che
cosa mi hanno regalato le mie figlie quest'anno!” esclamò
Edward Evans, ridendo e invitando la famiglia a radunarsi.
A lui, come anche a sua moglie, non erano sfuggite le
occhiate diffidenti che le sorelle, prima così unite, si
lanciavano.
“Grazie! Grazie mille! Mi mancavano proprio questi
libri!” esclamò Lily, abbracciando i suoi genitori ed
aggrappandosi saldamente alle loro braccia, così come faceva
da bambina.
“Era il minimo, Lily! Dopo che hai consumato le
pagine del volume del nonno, prendertene uno tutto tuo era
doveroso!”le rispose, soddisfatto, suo padre.
“Ti serviranno per occupare i momenti liberi,
cara. Sei sicura che questi maglioni siano sufficientemente pesanti?
Deve essere terribile il clima, in Scozia...” commentò
la signora Evans, cercando di tenere ferma la figlia per provarle
sulle spalle la sagoma dei maglioni.
Petunia osservava la scena in disparte. Perchè a
lei nessun chiedeva se i nuovi abiti andavano bene?
La ragazza si morse le labbra. Sapeva che non le stavano
facendo domande per il semplice fatto che era presente all'acquisto,
avendoli scelti di persona e che, i suoi genitori, avendo ben poche
occasioni di stare con Lily, cercavano di sfruttare al massimo quelle
giornate.
“Adesso lasciate che vi dia il mio regalo! Spero
proprio che vi piaccia!” Lily si sciolse dall'abbraccio e corse
a prendere un pacco quadrato, foderato di blu e rosso. Lo porse ai
genitori, mentre questi stavano scartando la cravatta e la spilla
donate da Petunia, la quale si stava godendo il suo momento di
attenzioni.
“Mamma, papà! Tenete! Fate attenzione che è
fragile!”si raccomandò Lily.
Edward prese il pacco e sembrò osservarlo con un
po' di scetticismo.
“Guarda che non morde, papà!” rise
Lily
“Io non ne sarei così sicura... non si sa
mai cosa possono aver messo dentro questi qui...” commentò,
acida, Petunia, la quale si era vista ignorare non appena la sorella
era giunta col suo regalo.
La madre delle ragazze scoccò un'occhiata gelida
alla figlia maggiore, la quale stizzita, andò a sedersi sul
divano.
“Oh... ma.. Lily... sembra.. E'... !”
“Esatto, papà! Con questa potrai fare anche
tu quelle foto che si muovono! Allora, vi piace?”
“Oh, tesoro! E' stupenda! Grazie!”
Mentre Rose tornò ad occuparsi della colazione e
suo marito si rigirava tra le mani la macchina fotografica, Lily,
raccolse da terra un piccolo pacchettino.
Si inginocchiò davanti alla sorella.
“Che vuoi?” le chiese, seccata
“Darti il mio regalo di Natale, Tunia.”
“Non lo voglio.” le rispose, facendo per
alzarsi.
“Ma...”
“Ti ho detto che non lo voglio, Lily. Chissà
che sarà, questa volta! Un anno mi regalasti un enorme pacco
di quelle disgustose caramelle, d'estate te ne torni con rane e
topi... che sarà questa volta?”
“Aprilo, almeno, Tunia. Tienilo.” proseguì
Lily, senza nascondere la sua delusione e mettendo nelle mani della
sorella il pacchettino.
“Ti ho detto di no. Sono costretta a stare con te
in questi giorni, ma non sono obbligata ad accettare le tue
stramberie.”
“Ragazze, la colazione!” urlò la
signora Evans
“Andiamo, Lily. E non farne parola con mamma e
papà.”
Petunia si avviò svelta in cucina, seguita da
Lily, scossa.
Perchè da quando aveva ricevuto la lettera da
Hogwarts, cinque estati prima, il rapporto tra lei e la sorella era
cambiato?
Perchè Petunia la considerava un mostro? Perchè
non faceva altro che ripeterglielo?
“Va tutto bene, Lily?” domandò suo
padre, osservandola mentre prendeva posto.
“Sì papà, tutto bene.” mentì,
sforzandosi di sorridere ed osservando gli occhi di Petunia,
abbassati verso il pavimento.
Mentre la signora Evans stava versando il the per tutti,
un allocco color castagna picchiettò al vetro della cucina.
“E' sicuramente per te, Lily!” esclamò
Edward, facendo entrare l'animale, che planò sulla spalla di
sua figlia.
“Stammi lontano! Porta via quell'animale!”
strillò Petunia.
“Petunia, calmati! E' solo un gufo! Sarà
qualche compagni di scuola di Lily.” la rimbrottò la
madre.
Lily srotolò, curiosa, la lettera dalla zampa
dell'animale e sfilò anche il pacchetto che portava.
L'allocco, così come era arrivato, volò
via, senza aspettare alcuna risposta.
“Allora, che cos'è? Apri, Lily!” la
esortò suo padre, curioso.
Lily scartò piano l'involucro ed infilò le
mani in una morbida sciarpa verde, tessuta di lana calda e pesante.
“E' morbidissima, Lily!” esclamò
Rose, toccandola. La figlia annuì, incredula, e cercò
la lettera che accompagnava il regalo.
Doveva sapere chi gliela mandava.
“Buon Natale, Lily!
So che non è il massimo dell'originalità,
come regalo... ma non avevo proprio idea di cosa ti avrebbe fatto
piacere ricevere e così mi sono detto che, in fondo, una
sciarpa in più fa sempre comodo a tutti. Spero tanto che ti
piacciano!
Tanti auguri,
Remus”
Il sorriso sul volto di Lily si fece più largo:
quel biglietto era, se possibile, ancora più prezioso del
regalo.
Era la prima volta che riceveva un regalo da parte di un
compagno: solitamente si limitavano ai canonici auguri di buon
compleanno, se conoscevano la data.
Remus le aveva fatto un regalo.
Era per lei.
Afferrò la sciarpa che, nella foga, aveva gettato
a terra e la accarezzò. Era un regalo di Remus per lei.
“E così anche voi conoscete il
Natale? Sei sicura che non nasconda un qualche strano amuleto per
affatturarci tutti?” intervenne brusca Petunia, ignorando i
richiami dei genitori.
“Sì, Tunia. Anche noi festeggiamo il
Natale. Non siamo diversi. E questo è un regalo del mio amico
Remus.”
“Amico? Ti sei fatta degli amici in quella scuola
di pazzi?”
“Sì, Petunia. Mi sono fatta degli amici.”
rispose Lily, a tono, certa che nulla, in quella giornata poteva più
andare per il verso sbagliato.
Godrick's Hollow, Casa Potter
“Svegliati, amico! E' Natale! E' Natale!”
trillò James, spalancando la porta della camera di Casa Potter
che aveva accolto Sirius un anno prima e scostando le tende per far
entrare la luce del sole.
“Avanti, Sirius! Svegliati! E' Natale! Dobbiamo
aprire i regali! I miei genitori ci stanno aspettando!”
James lo scosse pesantemente e Sirius, mugugnando frasi
prive di senso compiuto, si svegliò faticosamente.
Detestava alzarsi presto, Sirius.
Per troppi anni era stato costretto svegliarsi molto
presto, al mattino, perchè la pigrizia non si addiceva ad un
Black.
“Arrivo, James, Arrivo...”
“E muoviti! Mi avranno senz'altro preso la nuova
Nimbus 780! Dai! Voglio vederla!” insistette James,
saltellando, impaziente, qua e là per la stanza.
“E' l'alba! Si può sapere perchè sei
così attivo, porco Bolide!”
“Sirius! E' Natale! E non è l'alba! Sono le
otto, quasi! Avanti che la mia scopa mi aspetta!”James lo
afferrò per il polso e lo trascinò al piano di sotto,
dove, il signor Potter li attendeva seduto sul divano.
“Era ora che vi alzaste, pelandroni! Dorea, si
sono svegliati!” gridò il padre di James, mentre sua
moglie correva dalla cucina per andare ad augurare Buon Natale a
James e Sirius.
“Eccovi qui, finalmente! Temevo quasi che si
freddasse la colazione! Ho preparato i biscotti!” Dorea Black
in Potter sbucò dalla stanza di fianco con un buffo grembiule
a stampa floreale legato in vita e i ricci neri che scendevano sul
viso liberandosi dalla crocchia improvvisata in cui li aveva stretti.
Era un donna piccola e leggermente in carne, ma, quello che aveva
colpito Sirius fin dalla prima volta che l'aveva vista, era il
brillio dei suoi occhi castani, di una tonalità molto simile a
quella di James. Aveva sempre il sorriso sulle labbra e, da quel poco
che il ragazzo aveva capito, vivendo per circa un mese a casa di
James, era proprio l'allegra signora Potter, sua lontana parente, a
mandare avanti la casa, perchè, sia James sia suo padre erano
alquanto confusionari.
“Forza! I vostri pacchi sono lì che vi
aspettano! Charlus, va' a prendere la macchina fotografica, le mie
mani sono completamente imbrattate di farina!” la donna si
ripulì velocemente nel grembiule e spintonò James e
Sirius verso l'albero, un alto abete che rasentava il soffitto del
grande e ricco salotto di casa Potter.
James si fiondò sotto l'albero, inciampando nelle
frange dell'antico tappeto persiano, mentre sua madre scuoteva la
testa, sorridendo.
Sirius rimase un po' indietro, incerto. Era il primo
Natale che trascorreva dai Potter. L'anno prima aveva insistito per
restare ad Hogwarts, fino a quando sua cugina Andromeda non era
venuta a trascinarlo via di peso, dicendogli che:
“Il Natale si passa in famiglia. E io e te
siamo tutto quello che ci siamo rimasti.”
Andromeda era scappata per sposare Ted Tonks, un nato
Babbano, rifiutando così il nome dei Black e il matrimonio che
le era stato combinato.
Si erano sposati, avevano una bambina bellissima,
Ninfadora, ed erano felici.
Sirius l'aveva invidiata, sino a quando non aveva
trovato il coraggio di fare altrettanto.
Di andarsene, per essere finalmente se stesso e non il
perfetto primogenito della casata dei Black.
AGOSTO
1975
Dove poteva andare? Da Andromeda? No, non sarebbe
scappato da sua cugina a piangere come una femminuccia. Senza contare
che non aveva la minima idea di come trovare casa sua.
Sapeva solo l'indirizzo.
No. Non si sarebbe rifugiato tra le braccia di
Andromeda. Era un uomo, lui.
Trascinò il pesante baule ancora per qualche
metro, giusto per allontanarsi il più possibile da quella casa
e si sedette su una panchina cercando di riorganizzare le idee.
Una settimana e la scuola sarebbe ricominciata.
Doveva solo trascorrere quei giorni, ma dove poteva andare?
Non aveva nemmeno sedici anni, era un mago minorenne
e quindi non poteva usare la magia.
Ma soprattutto non aveva un soldo.
Sbuffò. Era stato un incosciente.
Si era ripromesso che, quando se ne sarebbe andato,
avrebbe avuto un piano. Un qualcosa di sicuro. Un posto dove andare,
tanto per cominciare.
Quante volte ne aveva parlato, con James?
Tante, troppe. Ogni volta l'amico aveva offerto il
proprio aiuto, la propria casa.
Eppure, in quei momenti, Sirius era certo che non
avrebbe mai trovato il coraggio di andarsene. Non che il fegato gli
mancasse, però... però quella era pur sempre casa sua.
Quelli erano i suoi genitori e, sebbene desiderasse con tutto se
stesso andarsene da quell'inferno, andarsene da quei maniaci del
sangue puro, tagliare i ponti con chi sosteneva senza vergogna pazzi
assassini, non era semplice.
Erano i suoi genitori, comunque.
Si divertiva, quasi, a provocarli. Vestire come un
ragazzo Babbano, ridere sguaiatamente, rispondere da maleducato e
scendere a tavola con la sciarpa di Grifondoro lo divertiva
immensamente.
Era bello e soddisfacente vedere le espressioni
contrite di suo padre, il palese disprezzo di sua madre, la quale non
faceva che rinfacciargli la vergogna che provava di fronte ai suoi
comportamenti, lo sbigottimento di suo fratello.
Sì, erano tutte cose molto, molto divertenti.
Sinistramente divertenti.
Era stato bello fino a quel pomeriggio. Fino a quando
suo padre non aveva pronunciato freddamente cinque semplici parole.
“Tu non sei mio figlio.”
Lui non un figlio.
Lui non era degno della loro considerazione. Di
essere un Black.
Lui non c'entrava niente con loro, con quella
famiglia.
Non c'erano state scenate plateali e litigate
furibonde. Solo altre taglienti parole.
“Tu non sei mio figlio. Sei libero di
andartene. ”
Era rimasto immobile a fissare i suoi genitori,
ansioso che sua madre, l'arcigna Walburga, intervenisse e gli
ordinasse, brusca, di tornarsene in camera sua.
Invece niente. Nessuno aveva più aperto bocca.
Era stato invitato a levare le tende, ad andarsene
perchè lui non era come loro.
Si era messo a ridere.
Rideva.
Istericamente.
“Bene. Sarete contenti! Il disonore della
famiglia che se ne va! Me ne vado! Finalmente me ne vado! Me ne vado,
madre! Non mi darete più ordini! Reg, piccola serpe, me ne
vado! Me ne vado! Non potevate farmi favore più grande!”
Aveva raccolto in fretta le sue cose, infilate a caso
nel baule e se n'era andato.
Aveva sentito la porta di Grimmauld Place, quella
casa che era stata come una prigione per quasi sedici anni, sbattere
dentro di lui. Senza che nessuno, né sua madre, né suo
padre e nemmeno suo fratello si desse pena di guardarlo mentre se ne
andava.
E adesso era libero.
Libero di essere se stesso.
Assaporò l'aria notturna, che gli scompigliava
i capelli chiedendosi, un'altra volta, dove avrebbe potuto andare.
C'era solo un posto. Solo una persona che l'avrebbe
accolto a qualunque ora del giorno e della notte.
James.
Ma, come arrivare a Godrick's Hollow? Non aveva uno
zellino.
“Ok, bene Sirius. E' ora di far valere tutte le
tue qualità.” si disse, decidendo di andare alla prima
stazione Babbana che trovava prendendo il primo treno che lo portasse
a Godrick's Hollow (uno avrebbe ben dovuto esserci), sperando che
nessun controllore lo fermasse.
Mentre il sole albeggiava, Sirius scese dal treno,
trascinandosi il pesante baule.
No ricordava esattamente la strada per arrivare dai
Potter, ma, in quel momento, riteneva di aver avuto un'idea piuttosto
sciocca.
Cosa avrebbe fatto?
Si sarebbe presentato dicendo:” Buon giorno a
tutti. Mi hanno appena cacciato di casa, non è che posso
restare qualche giorno?”
Vagò per le vie del borgo, suscitando le
occhiate interessate di tutti gli abitanti: era mattino presto e lui
era un ragazzo solo, sporco e spettinato che girovagava con un baule
di legno.
Raggiunse la casa di James e si fermò lì
davanti. Non riusciva a trovare il coraggio di entrare, di imboccare
il vialetto e di bussare alla porta.
Non poteva farlo.
Non era casa sua.
Ma lì c'era James. La sua roccia. Il suo
migliore amico, quello che, il primo anno non si era fermato davanti
ai suoi modi inizialmente scorbutici e scostanti.
Era quello che, fin da quel primo giorno, aveva
deciso che sarebbero stati amici.
James l'aveva capito. Aveva capito la sua necessità
di avere dei legami e gli aveva offerto la sua amicizia, senza
chiedere nulla in cambio.
Se avesse saputo che era stato cacciato di casa e che
non si era rivolto a lui, si sarebbe senz'altro offeso.
E avrebbe fatto bene.
Si passò una mano tra i capelli e si decise a
bussare.
“Jamie, va' ad aprire!” si sentì
urlare da una donna, la madre di James.
“Papà, va' ad aprire!” gridò
James a sua volta
“James Potter! Obbedisci a tua madre!”
strillò il signor Potter, visibilmente divertito
“Che noia! Ma chi diavolo può essere a
quest'ora!”si lamentò James, aprendo la porta.
“Se ti dico che sono io va bene?” disse
Sirius, cercando di mostrarsi sicuro e sfrontato.
James allargò la bocca in un' espressione di
pura sorpresa. Che ci faceva lì Sirius?
“Santo Boccino, Sirius! Che cosa ci fai qui?”
“Il vecchio mi ha cacciato e io me ne sono
andato. Ti basta?”provò a dire, sperando di comunicare
menefreghismo.
James lo guardò e Sirius non si vergognò
di mostrare il suo volto abbattuto e ferito.
James non fece domande. Se Sirius avesse voluto
raccontare l'avrebbe fatto.
Si limitò a farlo entrare.
“Mamma, una tazza in più. Ho appena
guadagnato un fratello!” esclamò senza rendersi conto
che da quel giorno fratelli lo sarebbero stati per davvero.
“Non gli è mai piaciuto, quel tappeto... è
da quando era piccolo che inciampa sempre.” sussurrò la
signora Potter a Sirius.
Lui sorrise.
“Santo Boccino! Mamma, grazie! Grazie! Grazie! La
Nimbus! Oh, non ci credo!” strillava James, eccitato.
“Vai, Jamie! Vedrai che quest'anno la vinciamo, la
Coppa!” rispose Sirius
“Puoi scommetterci! Oh no! La prozia Jane mi ha
mandato un altro dei suoi orribili maglioni a righe! ” si
lamentò James.
L'espressione di Sirius divenne improvvisamente
malinconica: James prendeva tutto per scontato. Per lui era normale
alzarsi a Natale e ricevere una miriade di regali, ciascun pacco
contenente il suo ennesimo capriccio, spesso passeggero come solo sa
essere il desiderio di un sedicenne. Per lui era normale avere una
madre che si svegliasse presto, per preparare i biscotti e un padre
che ti porta allo stadio a vedere il Quidditch o a pesca, perchè
pare che sia una cosa che entusiasmi parecchio i Babbani.
James non si rendeva conto della fortuna che aveva. Per
James era tutto così dannatamente normale.
“Forza Sirius, vai. Sono sicura che c'è
qualcosa anche per te.” lo incoraggiò Dorea,
intercettando il suo sguardo.
Sirius arrossì, non voleva che la madre di James
lo considerasse debole o sentimentale.
“Oh, bè... non credo che i miei genitori si
siano sprecati di mandarmi qualcosa...” borbottò
“Forse loro no, ma sono sicura che c'è
qualcuno che ti vuole bene.” gli rispose.
“Sirius, che cosa ci fai ancora qui? Se tuo zio
Alphard non riceve tue notizie entro un'ora sono convinto che ce lo
vedremo piombare in salotto vestito da tibetano!”rise Charlus
Potter, sopraggiunto armato di macchina fotografica, ripensando al
suo amico Alphard, noto giramondo.
“Lo zio Alphard? Che cosa c'entra lui?”
domandò Sirius
“Credevi forse che ti avrebbe lasciato senza
regalo di Natale? Andiamo, ragazzo, lo conosci!”
“Sirius! Ti muovi? Voglio vedere se Remus ha
regalato anche a te una Ricordella incantata con la sua voce che ti
minaccia se non fai i compiti!” chiamò James
Sirius sorrise, di un vero sorriso, per la prima volta
in quella mattina.
Zio Alphard gli aveva mandato qualcosa... Se non fosse
stato per lui non avrebbe nemmeno potuto pagarsi gli studi. Era
grazie a lui che Sirius aveva soldi sufficienti per comprare libri,
divertirsi e fare tutte quelle cose che fa un ragazzo di diciassette
anni.
“Oh Charlus! Ancora con questa diavoleria Babbana!
Perchè non usi la nostra macchina fotografica?”
“Dorea, questa qui sì che è un
'invenzione geniale! Ferma il momento, lo scatto da l'impronta di
quello che accadeva in quell'istante! I personaggi non si muovono qua
e là. Questa sì che è una vera macchina
fotografica! Racconta emozioni, sentimenti!” proseguì il
signor Potter, mentre la moglie, oramai rassegnata per l'interesse
che il marito aveva per tutto quello che riguardasse i Babbani, lo
trascinava dai ragazzi. Se voleva usare quell'aggeggio Babbano, che
facesse pure, bastava che scattasse almeno qualche fotografia di quel
Natale.
Il padre di James era un uomo alto ed allampanato e,
sebbene i suoi capelli non fossero più nero corvino ma
leggermente brizzolati, sparavano in tutte le direzioni proprio come
quelli di suo figlio.
Diceva sempre che era il marchio Potter: miopia e
capelli neri e ribelli caratterizzavano tutti i maschi di casa
Potter. Sirius poteva scommettere tutti i suoi pochi averi che,
superati i cinquant'anni, James sarebbe stato la copia di suo padre.
Capelli brizzolati e spettinati, sorriso stampato in volto, occhi
nocciola, anziché azzurri come quelli di Charlus, celati
dietro a spesse lenti.
“Ecco, lo vedi che Remus è proprio fissato?
Non è capace di pensare ad un regalo divertente!”
esclamò James, mentre Sirius scartava la Rimembragenda
speditagli da Remus.
“Caro vecchio Lunastorta! Voglio proprio vedere
cosa penserà scartando il nostro, di regalo!”disse
Sirius scuotendo la testa e pensando, per la prima volta in vita sua,
che, in fondo, il Natale non era così male. Era stato abituato
a non chiedere né pretendere nulla, per Natale. Per la nobile
ed antichissima casata dei Black le feste natalizie erano solo
un'altra delle mille occasioni per mostrare al mondo quanto fossero
ricchi e superiori.
Invidie e gelosie serpeggiavano tra parenti che,
tuttavia, a Natale celavano se stessi dietro al miglior regalo da
fare a cugini o nipoti, in modo tale da mostrare quanto ciascuno
fosse migliore del suo stesso sangue.
Da bambino Sirius ricordava di aver sempre ricevuto
pochi regali. Lui come suo fratello e le sue cugine, del resto.
Niente giochi o passatempi, solo austeri vestiti e seriosi libri che
facevano di loro dei piccoli adulti in miniatura.
Soltanto zio Alphard giungeva, di tanto in tanto,
addobbato con i suoi colorati mantelli a portare dono che fosse
davvero degno di essere chiamato tale per i suoi nipoti. Una bambola
per Narcissa, un libro di cucina per giovani streghe per Andromeda,
dei colori da pittura per Bellatrix, una Puffola Pigmea per il
piccolo Regulus e, infine per Sirius, il prediletto, sua croce e sua
delizia, nuovi spartiti per il vecchio pianoforte di Grimmauld Place.
“Tieni, Felpato, questo è da parte di
Andromeda. Grazie per la felpa dei Cannoni di Chudley, mi mancava!”
“Figurati, amico, anche se direi che è il
caso che inizi a rassegnarti, il campionato è stato dello
United un'altra volta...”rispose Sirius, ghignando, e
scartando il regalo di sua cugina, un curioso libro sull'incanto di
manufatti Babbani.
“Andromeda sta impazzendo... ti pare che io mi
metta a leggere questo mattone?”
James alzò le spalle
“Evidentemente si è messa d'accordo con
Remus...Anche se credo che il capitolo sulle moto sia interessante.”
Disse James, con uno strano sorriso stampato in volto.
“Ma io non ho una moto, James!” esclamò
Sirius, con disappunto.
Al terzo anno aveva scelto di studiare Babbanologia solo
per far dispetto ai suoi genitori, ora però, la riteneva la
scelta migliore che avesse fatto.
Grazie a quelle lezioni aveva scoperto le motociclette.
Desiderava averne una tutta sua. Sarebbe stato come sancire
pienamente la sua indipendenza, senza contare tutto quello che lui e
James avrebbero potuto fare...
Ma erano sogni ad occhi aperti, non avrebbe mai avuto
abbastanza denaro per comprarne una, anche vecchia e malandata e
sistemarla.
“Non avete ancora finito, ragazzi? Sto iniziando
ad avere fame!”
“Charlus, sei sempre il solito!” lo
rimproverò sua moglie, scuotendo la testa.
“Ah, ecco cosa mi sono dimenticato! Mamma, papà!
Io e Sirius abbiamo preso delle cose per voi!” James saltò
in piedi, dimenticando per qualche istante la sua preziosa Nimbus 780
e corse a prendere due sacchetti colorati.
“Ci sono costati diversi pomeriggi di ricerca ad
Hogsmeade e qualche punizione...”
“Come sarebbe qualche punizione, James?” si
spaventò sua madre, la quale era abituata alle punizioni per
le bravate del figlio, ma non sapeva che quello scapestrato di James
era in grado di farsi mettere in punizione anche per cercare un
regalo.
“Bè, vuoi mica che esauriamo la scelta dei
regali in un paio di pomeriggi al mese? Ci è voluto qualche
giro... diciamo... in più ad Hogsmeade...”
“L'unico problema è stato che anche la cara
Minnie ha pensato che quello fosse il pomeriggio perfetto per
comprare i regali di Natale.”terminò Sirius, ridendo.
“Comunque, vi abbiamo preso queste cose qui. Se
non vi piacciono prendetevela anche con Sirius, sono state anche idee
sue.”precisò James, indicando l'amico in piedi accanto a
lui.
“Un momento, Sirius, hai finito di aprire i tuoi
regali? La lettera di tuo zio l'hai vista?”
“Lettera di mio zio? No, in verità no...”
“Oh, Charlus, mi pareva che non l'avesse vista!
Altrimenti sarebbe già in giardino! Te l'avevo detto!”
esclamò Dorea.
“Tieni, Sirius. Ecco qui, mentre loro discutono io
ti do la lettera.”
James era al corrente della sorpresa e non vedeva l'ora
che Sirius potesse vedere coi suoi occhi quello che suo zio Alphard e
suo padre avevano pensato per lui.
Non stava più nella pelle. Certo, mantenere il
segreto non era stato semplice, ma ce l'aveva fatta. Il buon
Lunastorta vegliava sulle sue parole.
Se c'era una persona che si meritava davvero un regalo
così, quello era senza dubbio Sirius.
E non solo perchè le motociclette erano diventate
il suo interesse principale, dopo le ragazze, ovviamente, ma perchè
gli avrebbe fatto bene sapere che c'era ancora qualcuno, oltre ai
suoi amici, che pensava a lui.
E James voleva che Sirius sapesse che non era solo. Che
c'era qualcuno guidare le sue azioni, che, se aveva bisogno, non
c'erano solo i suoi scapestrati amici.
Accanto a lui Sirius leggeva, scorrendo lo sguardo
rapido tra le righe:
“Caro Sirius,
Innanzi tutto, buon compleanno!
So che questi miei auguri avrebbero avrebbero dovuto
giungerti una quindicina di giorni fa, tuttavia, nel posto in cui
sono non è semplice trovare un gufo postale. Pare che i
tibetani si consegnino la posta tramite degli strani uccelli di cui
non ho ben capito il nome... Sai come parlano qui, tutti quei
biascichii...Ad ogni modo, mi auguro che questa lettera ti giunga per
Natale o comunque, prima che tu torni a scuola.
Dimmi, se ci sono stati problemi quest'anno? Il
Preside ha forse detto qualcosa a proposito della tua mancanza di
tutori? Sì, ragazzo mio, sono certo che Silente sia a
conoscenza del fatto che tu sia scappato di casa. Sa sempre tutto,
Silente.
Qualora dovessero esserci problemi, digli che ci sono
io. Dovunque sarò, Silente mi troverà.
Per qualsiasi altra necessità che richieda
l'immediata presenza di un adulto rivolgiti a Charlus, baderà
lui a te così come io non sono in grado di fare. Se hai
bisogno di parlare con qualcuno, non dimenticarti di Andromeda,
d'accordo? Anzi, se la vedi fai alla piccola Ninfadora i complimenti
per la sua scintillante chioma e chiedi a Ted come fanno i Babbani a
viaggiare con quegli aereocosi...
Ma... che stavo dicendo? Ah, sì! Il tuo
compleanno! Sei diventato maggiorenne, Sirius, ci pensi?
Ho pensato a due cose, per il tuo compleanno e per
questo Natale: prima di tutto ora che sei maggiorenne intendo
nominare te e Andromeda miei unici eredi e, poi, sappi che ti
intestato un bel gruzzolo di galeoni, alla Gringott. Sono certo che
ti saranno utili, fanne buon uso. Mi raccomando.
E poi... poi ho pensato ad un'altra cosa che credo
che ti possa piacere. Una parte indispensabile di questo regalo è
contenuto nella scatoletta che è giunta con questa lettera.
Guarda cosa c'è dentro e segui Charlus, lui
saprà dove condurti.
I miei più cari auguri, Sirius.
Zio Alphard ”
“James, sono appena diventato ricco. Credo che
questa cosa produrrà un'altra bruciatura sull'albero
genealogico dei Black...”
“E?”
“Bè, poco male. E' da quando ha finito la
scuola che lo zio è in giro per il mondo. Credo che
aspettassero solo la scusa per cancellarlo dalla famiglia. E lui sarà
felice di aver raggiunto il suo obbiettivo. Da quanto mi ha
raccontato erano anni che ci provava. Ma sai com'è, per essere
cancellato devi comportarti come un essere veramente spregevole,
nella loro ottica, sempre. Fino ad ora lo zio era strano, sì,
ma non aveva mai violato la legge del sangue, quindi...” spiegò
Sirius
“Se non altro ora ce l'ha fatta...allora, non
apri?”chiese James, mentre Sirius esaminava ancora il
pacchetto, sentendo un tintinnio per ogni scossone che gli dava.
“Ma.. ma.. sono delle.. chiavi. Che me ne faccio?
James, Ramoso! Non c'è da ridere! A me hanno regalato delle
chiavi! A te una scopa!”
Sirius, indignato, si dibatteva, mentre James rideva a
crepapelle, rotolandosi sul tappeto.
“Segui Charlus, Sirius. Sì, Jamie può
venire.” gli disse la signora Potter, leggendogli negli occhi
la domanda di essere accompagnato da suo fratello.
I due ragazzi, seguiti dalla madre di James, raggiunsero
Charlus Potter nella rimessa.
“Era ora! Allora, Sirius, ti piace?” chiese,
indicando la grossa moto nera accanto a lui.
Sirius rimase pietrificato: il manubrio lucido invitava
ad essere impugnato, i sedili di pelle nera sembravano essere i
futuri testimoni di mille avventure...
“Basterebbe dire di sì.” gli sussurrò
James.
Sirius annuì a fatica. Era un regalo per lui. Era
per lui. Da parte della sua famiglia, quella vera.
Il suo strambo ed originale zio ed i genitori di James,
le due persone più meravigliose che conoscesse. Avevano
accolto il ragazzo ribelle e col cuore sanguinante e ne stavano
curando le ferite.
Con loro non era costretto ad essere Sirius Black, con
loro era Sirius e basta. Solo Sirius e a loro bastava, a loro andava
bene.
E non erano i suoi amici, erano due adulti, a cui Sirius
andava bene.
“Io.. grazie.”
Dorea gli sorrise, materna e Charlus lo invitò a
salire.
Sirius provò l'impulso di fare da solo quel primo
giro, ma poi posò gli occhi su James, in piedi a fianco a lui.
Il suo solito sguardo sicuro, nascosto dietro alle lenti
trasparenti. La sua espressione sincera, la sua confortante presenza.
“Vieni con me, James?”
“Ora e sempre.” gli rispose.
“Ora e sempre” ripetè mentalmente
Sirius.
Ora e sempre. Là dove ci fosse stato James
Potter, Sirius se lo promise, ci sarebbe stato anche lui.
Non sarebbe bastata una vita per ringraziarlo di quello
che lui e la sua famiglia stavano facendo.
Ora e sempre. Black e Potter.
Ho situato la fuga di Sirius nell'agosto del '75
perchè secondo alcune fonti Sirius è nato nel dicembre
del 1959. Pertanto ha qualche mese più di James e degli altri
e, avendo lui detto ad Harry di essere fuggito poco prima dei suoi
sedici anni, ho dedotto che fosse l'estate del 1975.
Grazie a chi ha letto, a chi ha recensito e a chi ha
inserito questa storia nei preferiti.
Grazie davvero!
Lady blue: Piton non è un
personaggio che mi piace, nonostante quello che si è scoperto.
A pare mio non ha protetto Harry perchè convinto di aver
sbagliato, così come non ha lasciato Voldemort perchè
ha compreso di aver sostenuto la parte sbagliata. Ha agito solo
perchè, in un certo senso, sentiva di essere responsabile
della morte di Lily, ma non perchè avesse compreso di aver
scelto delle idee malvagie. Sono anche del parere che non abbia
chiaro il motivo che ha portato Lily e James a morire. Senza contare
che, viste le amicizie che aveva a scuola, tutto mi fa pensare che
non fosse poi così innocente... Visioni personali... le tue
sono più che legittime!
Allora, io adoro Remus! Secondo me quel ragazzo è
un genio del male! Un plasmatore di coscienze si nasconde dietro allo
studente modello... spero che ti piaccia anche questo capitolo.
Lussissa: lieta di aver riscontrato il
tuo apprezzamento! Sì, sarà una storia un po' diversa,
per certi versi molto più drammatica. Spero che la mia visione
dei personaggi ( di Lily in particolare) continui a piacerti.
Bellis:
mi ha colpito quel tuo “Per la giovane
ragazza, è un sicuramente sì”. Non sappiamo se
Severus avrebbe davvero trovato il coraggio di colpirla, quello che
conta è ciò che sente Lily, che p spaventata ed
incredula. Quello non è il suo migliore amico. Non lo è
più.
Non è più
tempo di parole ed evitarlo fa meno male. Fare finta che lui non ci
sia fa meno male.
James e i Malandrini la
aiuteranno, fornendole quell' amicizia che le manca, quell'appoggio
da lei tanto agognato. Ma ci vorrà tempo, anche perchè
i ragazzi dovranno capire che prima di cambiare il mondo devono
cambiare se stessi. E James avrà una prova grandissima da
superare. Una prova che gli farà tirare fuori il meglio di sé.
Quanto a Remus, io lo
vedo esattamente così: coscienzioso, studioso, affidabile sì,
ma anche estremamente perfido e maligno. Quasi più pericoloso
di James e Sirius, perchè più razionale, anche in fatto
di malandrinate.
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Capitolo 5 *** Capitolo quinto ***
Gennaio 1977
La fine
delle vacanze di Natale era giunta troppo in fretta, secondo Lily
che, mai come quell'anno avrebbe tanto desiderato restare a casa
circondata dalla sua famiglia. Persino da sua sorella Petunia.
Non
voleva tornare ad Hogwarts, ma, nonostante questo, non ne aveva fatto
parola con i suoi genitori, sebbene essi avessero intuito che non
tutto stava andando per il meglio e le avessero più volte
chiesto se era sicura di voler tornare.
Scendendo
i ripidi scalini che portavano ai sotterranei per le lezioni di
Pozioni, Lily ripensò per l'ennesima volta alla sua ultima
conversazione con sua madre, avuta proprio la mattina della partenza.
“C'è
qualcosa che non va, Lily?”
“No, mamma, Va
tutto come al solito. Sono solo un po' stanca, questa mattina.”
rispose, mescolando il latte nella sua tazza a righe gialle e blu.
“Sei sicura? Non mi
pare che tu sia così entusiasta come al solito di rientrare a
scuola.- obbiettò Rose Evans, cercando di incontrare gli occhi
della figlia- Gli altri anni non facevi che parlare di Hogwarts,
delle lezioni... Sei stata così taciturna, invece, in queste
settimane. Sei sicura che vada tutto bene? C'è qualcosa che
vuoi dirci?”
“No, mamma. Davvero
stai tranquilla. E' solo che quest'anno è molto pesante, sai,
è il sesto,... l'anno prima dei M.A.G.O. Tutto qui.”
Non avrebbe potuto dire
altro. Non solo non avrebbe saputo come spiegare ai genitori la
violenza che si stava abbattendo e che stava distruggendo il mondo
magico ma, se ne avesse fatto parola, i suoi genitori si sarebbero
preoccupati troppo, allarmati da cose che non riuscivano a
comprendere fino in fondo.
Il loro sostegno ai suoi
studi non era mai mancato, ma non riuscivano a cogliere
completamente tutto quello che Lily raccontava e dire loro di Lord
Voldemort e dei suoi Mangiamorte li avrebbe solo impensieriti.
Sempre poi che fosse
davvero un pericolo reale. In fondo, magari, si trattava davvero solo
di tempo, come scriveva il Profeta, prima che li arrestassero tutti.
“Sei sicura che sia
tutto qui? E Severus, come sta? Non è mai passato in queste
settimane. Avete litigato, per caso?” proseguì la madre.
“Abbiamo avuto una
piccola discussione...” confessò Lily, imbarazzata per
la mezza verità.
Non era propriamente una
bugia, ma era certa che la madre non avrebbe capito esattamente il
significato della parola “Sanguesporco,” seppure tra
maghi questa costituisse il peggior insulto.
“Capisco.- annuì
Rose, senza porre ulteriori domande.- ... e quel ragazzo, Remus, che
mi dici di lui? E' stato gentile a mandarti quella sciarpa. Non so
cosa sia successo con Severus, Lily, ma ricordati che dopo la notte
sorge sempre il sole e che qualcuno che ci sorrida c'è sempre,
magari è nascosto. Ma c'è. Ed è lì per
te.”
Alla
fine, Lily, aveva scelto di tornare. Non per coraggio o tenacia o
intraprendenza o fiducia nel futuro e nemmeno per una sorta di tacita
scommessa che aveva fatto con Petunia, che l'aveva più volte
invitata a mollare tutto e tornare a casa.
Solo
perchè si sentiva, in un certo senso, obbligata a farlo, che
lo volesse o no.
Quello
ormai era il suo mondo e non ne poteva uscire: Hogwarts, la magia,
tutto quello che succedeva nel mondo magico la riguardava e non
poteva tornare indietro.
Era una
strega e quello era il suo mondo.
Entrò
nell'aula e fece per sedersi al suo solito ed isolato banco in fondo
all'aula: non aveva bisogno della prima fila per seguire Pozioni, il
professor Lumacorno sarebbe comunque giunto da lei, in qualsiasi fila
sedesse. Era noto che gli fosse estremamente simpatica.
“Ciao,
Lily! Hai passato delle belle vacanze?” Remus Lupin era
scivolato giù dal banco su cui si era appollaiato con i suoi
amici: Black e Potter stavano intrattenendo l'intera classe con delle
piccole palline di pergamena infuocate che, dopo aver fatto il giro
della stanza, scoppiavano dando origine a dei piccoli e colorati
fuochi d'artificio.
“Lo
sai vero che i tuoi amici dovrebbero essere puniti per quello che
stanno facendo, Remus?” chiese, prima ancora di rendersene
conto.
Remus
parve sorpreso, ma non si scompose.
“E'
il primo giorno, Lily. Lasciamoli divertire e sfogare un po'... Manca
loro qualche neurone e su questo direi che siamo d'accordo, però,
nel complesso, sono bravi ragazzi...” le sorrise, parlandole
tuttavia con quella lieve punta di stizza che riservava a chiunque
osasse criticare i suoi migliori amici i quali erano tutto fuorchè
perfetti, ma che Remus adorava nella loro totale imperfezione.
Lily
abbassò lo sguardo a terra. Che cosa aveva detto? Avrebbe
dovuto essere più cortese, rispondere alla domanda di Remus e
ringraziarlo per la sciarpa.
“Io..
sì, Remus, scusami. Mi sono fatta prendere da non so cosa..
scusami. Comunque le vacanze sono andate... Ho studiato parecchio, ma
sono andate bene. Io ti devo ringraziare per la sciarpe, Remus. E'
stato il regalo più bello che potessi farmi. Non ti ho preso
niente, mi dispiace...”
“Oh,
non ti preoccupare: se ti ho fatto un regalo era perchè mi
andava di fartelo, ti pare?”
“Sì,
bè... Comunque, come sono andate le tue vacanze?”
domandò Lily, impacciata, sperando di recuperare la figuraccia
di qualche minuto prima.
“Tranquille
o meglio, tranquille per come le si intende quando i tuoi migliori
amici si chiamano James Potter e Sirius Black... a Sirius hanno
regalato una moto volante e ti lascio immaginare in che condizioni
sono spesso rientrato.” spiegò Remus, ridendo.
In
quelle due settimane di vacanza aveva più volte pensato che
non sarebbe riuscito a tornare ad Hogwarts e a proseguire i suoi
studi: Sirius con la sua moto volante ( definita da Remus “Il
Terrificante Trabiccolo”) e James stretto a lui erano giunti, a
parere di Remus, alla sua finestra in troppe nottate.
Ogni
volta l'avevano costretto a mettere da parte i suoi libri per fare un
giro, infrangendo ogni regola del buon senso comune, dal momento che
in tre su una moto del genere era impossibile starci.
E,
puntualmente, ogni volta, Remus tornava a casa rimettendo l'anima.
Lo
sapeva di essere di salute cagionevole e delicata, checchè ne
dicesse James che lo definiva un malato immaginario, e allora, perchè
ogni volta riusciva a farsi coinvolgere in quelle ridicole, ma
soprattutto pericolose, trovate?
La
verità era che nemmeno il savio Remus Jhon Lupin riusciva a
trovare una risposta a quella domanda.
Lo
faceva e basta.
Lily si
limitò a fissarlo per un momento, quasi inebetita: cosa aveva
combinato Remus in quelle settimane? Quel ragazzo la stupiva sempre,
ogni volta che aveva occasione di parlargli.
Ma mai
in negativo, anzi.
Era come
se dentro di lui coesistessero due personalità: lo studente
modello e il Malandrino.
Però
era sempre così gentile e Lily non se la sentì di fare
commenti, peraltro negativi, sulle sue esperienze da motociclista.
Così si limitò a sorridergli e ad aggiungere:
“Capisco...
devono essere state delle settimane movimentate... allora ci
vediamo, dopo, Remus, Lumacorno sta entrando.”
In quel
momento il professore stava varcando la soglia della porta e, con un
rapido movimento della bacchetta, incenerì le palline
incantate che stavano ancora volteggiando per la stanza.
“Signor
Black e signor Potter, in punizione, questa sera!”
“Ma
signore, non ha prove che siamo stati noi!” protestò
Sirius, che, fin dal suo primo anno detestava Lumacorno dal profondo
del cuore, visti i continui paragoni che faceva tra lui e le sue
cugine.
“E
chi altro è stato, signor Black?”
Sirius
non rispose e James sospirò: ci mancava colo un'altra
punizione con Lumacorno! Non bastava il fatto che lui fosse
totalmente incapace nella miscelazione di intrugli, no, ci voleva
anche una punizione!
Remus,
nel frattempo sedutosi accanto a Peter alle spalle di James e Sirius,
ridacchiò maligno.
Era
sempre così sinistramente divertente vedere i suoi amici che
andavano in punizione per delle bravate veramente sciocche: se
avessero lasciato fare a lui senza dubbio non vi sarebbe stata
nessuna punizione.
Sirius,
accortosi delle risate, lo fulminò con lo sguardo, digrignando
i denti e ringhiando:
“Lupo
infame! C'è ben poco da ridere!”
“Bene,
ed ora, ragazzi, vi chiedo di consegnarmi le fiale con le Pozione
Restringente che vi avevo richiesto per le vacanze. Ci sono state
difficoltà, per caso? Accio Pozioni!” disse Lumacorno,
mentre dai banchi degli studenti si alzavano le piccole boccette
dirette alla cattedra.
Lily
vide la sua boccetta sollevarsi e la guardò compiaciuta: era
perfetta, ne era certa.
Adorava
mescere pozioni, la rilassava. Per preparare una pozione doveva
essere tutto calcolato, tutto perfetto: se servivano due cucchiai di
dente di cobra in polvere, ne servivano solo due. Non si poteva
metterne tre o uno e mezzo.
Se
bisognava mescolare in senso orario per cinque volte, farlo in senso
antiorario non avrebbe dato gli stessi risultati.
Preparare
una pozione richiedeva attenzione e precisione, certamente, tuttavia
si era sicuri che, con un poco di attenzione tutto sarebbe andato per
il meglio.
Non
potevano esserci imprevisti: l'arte delle pozioni era esatta e
prevedibile.
Il
contrario della vita.
E Lily
desiderava disperatamente che anche la sua vita fosse così
esatta, così prevedibile e perfetta come una pozione.
Invece
vivere era diverso. Era difficile, complicato ed imprevedibile.
Adorava
preparare pozioni. Non si poteva sbagliare.
“Complimenti,
signorina Evans! La sua pozione è proprio del verde brillante
indicato! Cinque punti a Grifondoro!” esclamò Lumacorno,
eccitato, brandendo la fiala come un trofeo.
“Ma
se non l'ha nemmeno provata, come fa a dire che è perfetta?
Magari la mia è meglio!” mugugnò Sirius.
“Ci
sono problemi signor Black? ”
Peter e
Remus continuavano a tirare calci a Sirius per impedirgli di
aggravare la sua posizione.
“Perfetta
o no vale cinque punti, quindi zitto, Sirius!” precisò
Peter, preso da un impeto di di coraggio che fece ridere forte James.
“E
adesso che succede, signor Potter? Cosa ha detto il suo amico di così
divertente? Se non sbaglio qui non compare la sua pozione...”
James
ghignò, abbassò la testa sul banco e poi prese a
rovistare la sua tracolla: la capovolse e fece cadere l'intero
contenuto sul tavolo, ormai del tutto ingombro di cose dalle dubbie
qualità.
“Temo
di averla lasciata a casa, signore... - iniziò, sorridente,
mentre si scompigliava i capelli con fare fintamente preoccupato-anzi
no, ora che ci penso mia madre mi ha impedito di fare i compiti dopo
che, per preparare la sua pozione, ho fatto saltare in aria due volte
la mia stanza e una volta il garage... mi può perdonare?
Dopotutto, non è colpa mia...” spiegò James,
scanzonato, dimostrando al professore un'altra volta che per lui la
preparazione di intrugli era del tutto inutile.
Mentre
l'intera classe rideva e Remus si sfregava la faccia, sorpreso da
cotanta idiozia,Lumacorno sospirò: spiegare a Potter come
preparare una pozione era del tutto inutile e quello gli era chiaro
fin dal primo anno. Quello zuccone non avrebbe capito, tuttavia,
erano un paio d'anni che si era fatto fastidiosamente insolente.
“Punizione,
signor Potter! Domani sera! E non mi interessa se ha gli allenamenti
di Quidditch- aggiunse, rispondendo alla muta occhiata perplessa di
James- Bene, ed ora andiamo avanti! Ho già perso troppo
tempo!” ordinò il professore, richiamando il silenzio e
facendo comparire alla lavagna gli ingredienti e le istruzioni per
l'esercitazione del giorno.
“Ben
ti sta!” disse Sirius, prendendo in giro James.
“Zitto
sacco di pulci.” rispose James, sminuzzando violentemente le
sue radici: detestava Pozioni.
Era una
materia inutile: le vendevano già pronte.
E
prepararle era quanto di più fastidioso potesse esistere: che
gusto c'era nel preparare un qualcosa seguendo rigidamente delle
istruzioni? Nessuno.
Nessuna
variazione era concessa. Doveva essere così e basta.
Niente
fantasia, niente imprevedibilità. Niente di niente, solo
regole già scritte in precedenza.
Erano
statiche: l'esatto opposto della vita, tale proprio per la sua
dinamicità, per il cambiamento.
Per il
non sapere quello che sarebbe successo.
La
metafora migliore per descrivere la vita, secondo James, era il
Quidditch: non si poteva mai sapere come sarebbe finita una partita,
prima di giocarla.
Mai. I
battitori avversari ti potevano disarcionare. Un portiere avrebbe
potuto parare il tiro di un tuo amico e allora stava a te salvare la
partita, parare le spalle a tutti e cercare di portarli in salvo.
Bisognava
solo catturare il Boccino, peccato che fosse così sfuggente...
ma era una sfida, Lì stava il gusto.
L'esatto
opposto delle pozioni.
Maledendo
mentalmente l'odiato professore, James si tagliò un dito ed
imprecò.
Remus,
che lo sentì lo chiamò prontamente per medicarlo con un
veloce incantesimo, mentre Lumacorno era impegnato ad esaminare il
lavoro dei compagni,
“Girati,
James.”
Il
ragazzo porse la mano offesa e godette del sollievo immediato dopo
che una debole luce rossastra gli avvolse il dito.
“Cosa
farei senza di te, Lunastorta?” sorrise, grato.
“Di
sicuro saresti ancora più idiota, senza di me, Ramoso.”
sospirò.
“Credo
che tutti saremmo più idioti senza Lunastorta-intervenne
Sirius- E credo anche che ci divertiremmo molto meno!”
“Già-
concordò James- Pochi sono gli apparenti santarellini... di'
la verità, Rem, ti sei divertito in moto. Avanti, ammettilo!”
“Io...
”
“Coraggio,
Remus, puoi anche dire di esserti divertito! Conosci questa parola o
sei solo una vecchia suocera criticona? Sai, il divertimento è
quella specie di sentimento che la gente prova quando sta con gli
amici e ride e sta bene e fa cose stupide, sentendosi stupida per
averle fatte e però è contenta di averle fatte... mi
spiego?” chiese Sirius
“Sei
chiaro come il Cambridge, Sirius. Cristallino, direi...”
“E
sarebbe?”
“E
il dizionario, Sirius. Il dizionario. Lo conosci? Sai, quel libro
grosso ed alto su cui la gente cerca il significato delle parole...”
“Credi
che non sappia cos'è un dizionario? Certo che lo so. Solo non
sapevo che l'avesse scritto il signor Cambridge...” si irritò
Sirius
“Cambridge
non è un signore. E' un' Università Babbana, Sirius.
Meno male che studi Babbanologia!” scosse la testa Remus.
“Bè,
dettagli... comunque non hai risposto: ti sei divertito?”
“Come
un Malandrino!” confessò Remus, ghignando e facendo
ridere gli amici.
“Mi
dispiace di non essere venuto con voi, ragazzi, ma proprio non potevo
muovermi da casa... Sapete, la scuola non è andata molto bene
e mia madre si è preoccupata...” disse Peter,
visibilmente dispiaciuto.
“Non
preoccuparti, Codaliscia! Ci rifaremo quest'estate! Allora saremo
tutti maggiorenni!” disse allegro e convincente James
“Potter!Black!
Minus e Lupin! Punizione raddoppiata! Dieci punti in meno a
Grifondoro!” strillò il professore, cogliendoli in
flagrante e facendoli ridere ancora di più.
Da quel
momento in poi nessuno in classe fiatò: tutti erano
concentrati sui loro calderoni ed i quattro Grifondoro erano già
riusciti a procurarsi punizioni per tutta la settimana seguente e
quindi optarono per un diplomatico silenzio mettendosi al lavoro.
Al
termine della lezione Lumacorno fu costretto ad assegnare a
Grifondoro altri quindici punti: cinque a Lily Evans per la sua
pozione e altrettanti a Sirius Black che, per quanto scansafatiche,
sbruffone ed irritante fosse, a mescere non era poi così
imbranato; altri cinque punti fu costretto ad assegnarli a Remus
Lupin che aveva risposto brillantemente ad una domanda sui veleni.
Per
questo motivo il solitamente gioviale insegnante lasciò la
classe con un lieve moto di stizza: lui, così come i suoi
colleghi, si vedeva obbligato a causa dei rilevanti risultati
scolastici a premiare i Malandrini con lo stesso identico
quantitativo di punti che aveva sottratto loro per una condotta a dir
poco esagerata.
Sebbene
Potter non fosse stato citato per un qualche esemplare esercizio,
Lumacorno poteva scommettere che nel corso dell'ora seguente, dopo
essesi fatto togliere dalla McGranitt un non meglio precisato
quantitativo di punti, era perfettamente in grado di guadagnarne il
doppio con una trasfigurazione ben riuscita: lo sapevano tutti, del
resto, che fosse particolarmente bravo in Trasfigurazione.
Non
appena la campanella suonò Lily raccolse le sue cose,
avviandosi verso la porta: voleva lasciare l'aula il più in
fretta possibile. Non le piacevano le occhiate che Potter le aveva
lanciato per tutta la lezione, voltandosi continuamente verso il suo
angolo e, sebbene avesse avuto piacere a parlare ancora con Remus,
così come gli aveva detto, desiderava allontanarsi da lì.
James la
vide varcare la soglia e, stipate velocemente alla rinfusa le sue
pergamene nella tracolla logora, la seguì:
“James!
Dove vai? Torna qui!” lo chiamò Sirius, che non si era
accorto di nulla.
“Oh
no!- esclamò Remus- Ma perchè continua ad insistere
così? Non si accorge che va sempre peggio?” domandò
retorico.
“Non
dirmi che è andato dalla Evans, Lunastorta...” commentò
Sirius, che stava iniziando a capire.
Peter e
Remus annuirono e Peter, tra un sospiro e l'altro disse:
“Speriamo
che vada meglio dell'altra volta... Non deve essere andata bene.”
“Fino
a quando James non mette da parte le sue manie da salvatore del mondo
non andrà mai bene, Codaliscia.” gli rispose Remus,
mentre anche loro stavano lasciando l'aula.
“Ma
perchè si è fissato così? E perchè lei lo
respinge sempre, voglio dire, lui è James Potter! Farebbero la
fila per uscirci anche solo per un'ora... certo, io sono meglio, ma
anche Ramoso non è male... Potresti metterci una buona parola,
Remus, visto che state diventando amici.” osservò
Sirius, in quella sua logica ferrea che per lui era il massimo ma che
per Remus costituiva sempre un ottimo argomento di discussione.
“Non
è così semplice, Felpato: Lily ha molti problemi. Sta
soffrendo ancora per quello che è successo con Piton e non
credo che lo supererà facilmente. Ha bisogno di potersi fidare
di qualcuno. Ha bisogno di amici non di James che, con fare
arrogante, le chiede di uscire.”
“Ma
James non è arrogante. E' solo fatto così. Ha questo
modo di porsi, ma è la persona più altruista e generosa
che conosca. Dovrebbe imparare a moderare i suoi modi...”
intervenne Peter.
“Appunto,
ma se glielo dici non ti da retta e non vuole sentir parlare della
Evans. Spero solo che non faccia danni ancora più gravi.”
concluse Remus.
“Ah,
Remus, ora che mi viene in mente... me l'ero appuntato da
chiederti.... Questa mattina, quando parlavi con la Evans, non hai
citato la mia moto, vero? Sai, credo che non sia una cosa
propriamente legale... credo che infranga un centinaio di comme ed
articoli del Decreto sulla Restrizione dei Manufatti Babbani, dato
che vola...forse mio zio e il padre di James potrebbero andare nei
casini... e, insomma, la Evans è la persona più ligia
alle regole che conosco, non vorrei che dicesse qualcosa. Non le hai
detto niente, vero Lunastorta?” chiese Sirius, più che
precauzione che per la reale convinzione che davvero Remus ne avesse
fatto parola.
Il già
di per sé pallido Remus sbiancò: forse aveva davvero
detto qualcosa che non doveva.
Tuttavia
in un istante recuperò il suo sangue freddo, pronto ad
utilizzare le sue eccelse qualità di mentitore: non solo era
sicuro che Sirius non avrebbe sospettato niente, ma era ancora più
sicuro che Lily non ne avrebbe fatto parola con nessuno.
Prima di
tutto non era una cosa che riguardava la scuola e poi Remus era certo
che Lily non avrebbe tradito la fiducia che aveva riposto in lei: non
erano propriamente amici, d'accordo, e lei pareva non volere avere
niente a che fare con i Malandrini, però qualcosa diceva a
Remus che mai li avrebbe traditi.
Sirius
parve non notare il cambiamento di espressione di Remus perchè,
bruscamente cambiò strada.
“Felpato,
dove vai? Trasfigurazione è di là!” lo chiamò
Peter.
“Andiamo
di qui. Facciamo la scorciatoia del quarto piano.”bofonchiò
a voce bassa e senza aggiungere altro, mentre Peter si affrettava a
trotterellare alla sua sinistra.
Remus,
con la coda dell'occhio vide che, dal fondo del corridoio un
gruppetto di Serpeverde si stava avvicinando a loro e, al centro del
gruppo c'era un ragazzo molto simile a Sirius, lievemente più
basso e con dei tratti meno marcati: Regulus Black.
Senza
dire niente, Remus prese posto al fianco destro di Sirius: qualunque
cosa fosse successa lui era lì.
Sirius
non era solo. C'erano lui e Peter. C'era James.
James la
vedeva camminare avanti a sé testa bassa, volto coperto dai
capelli lunghi, spalla appesantita dalla borsa.
Per la
prima volta non sapeva come avvicinarla: dopo quella volta nella Sala
Comune non aveva più avuto occasione di parlarle.
Forse
allora aveva esagerato, ma, a parer suo, si meritava delle risposte.
Perchè
quella ragazza non voleva uscire con lui?
Perchè
rispondeva sempre a monosillabi ogni volta che le rivolgeva la
parola?
James
sapeva di essere bello e popolare.
Sapeva
che molte avrebbero voluto essere al posto di Lily Evans, eppure lui
si era intestardito.
Se solo
gli avesse detto perchè, allora, forse, avrebbe potuto farsene
una ragione...
Che poi,
sinceramente, non sapeva nemmeno lui come esattamente era iniziata.
Non
riusciva a ricordarsi come di preciso avesse avuto intenzione di
conoscere quella ragazza solitaria e dai capelli rossi.
Forse
era perchè al primo anno i loro rapporti non erano poi così
tesi, forse era perchè lei pareva ignorare che lui fosse il
Cercatore di Grifondoro preferendo la compagnia di Mocciocus.
Forse
era per qualcosa che aveva detto in classe o, forse era perchè
nel suo sguardo James leggeva una muta richiesta d'aiuto.
Forse
era qualcos' altro ancora, che James non riusciva a definire, fatto
sta che lui aveva bisogno di una risposta.
Doveva
sapere perchè, solo così avrebbe potuto lasciarla
perdere anche se nutriva il sospetto che non sarebbe comunque stato
semplice.
Lily
camminava svelta, sentendo i passi di Potter dietro di lei. Non
voleva girarsi. Non voleva parlargli. Forse facendo finta di non
essersi accorta della sua presenza avrebbe potuto raggiungere la
classe di Trasfigurazione senza problemi, mentre tentava di
concentrarsi sull'articolo di prima pagina del Profeta in cui il
Ministro, a seguito di una nuova tentata strage che aveva portato a
qualche ferito, invocava la Nazione a mantenere la calma.
Non
voleva parlare con James Potter: l'ultima volta l'aveva quasi
spaventata e poi, di fatto, il problema era sempre il solito: lui non
aveva motivi di interessarsi a lei.
Era il
caso che la smettesse di prenderla in giro, aveva già altri
problemi per la testa: Severus, sua sorella, tutto quello che stava
succedendo nel Mondo Magico... no, non poteva permettersi di
aggiungere anche Potter.
Ce
l'aveva quasi fatta, ancora pochi metri e avrebbe potuto sedersi
tranquilla sotto l'espressione severa della McGranitt.
“Lily
aspetta!” gridò Potter, infrangendo ogni sua regola
precedentemente autoimpostasi.
Più
per abitudine che per altro, Lily si voltò e fissò il
ragazzo che svelto le si avvicinava: i capelli sempre in disordine,
gli occhiali perennemente sul punto di cadere e il suo classico
sorriso strafottente stampato in volto.
A
fianco a lei ragazze molto più alte, più belle, meglio
pettinate e sui cui la divisa nera ed austera di Hogwarts pareva un
capo d'alta moda li fissavano.
Lily si
sentì ancora più inadatta.
“Wow...
ti sei fermata... Non ci speravo.” mormorò James, messo
immediatamente a tacere dall'occhiata che lei gli lanciò.
“Potter...
abbiamo lezione.”
“Sì,
lo so, lo so... Io.. volevo solo chiederti scusa... insomma, l'altra
volta non mi sono comportato bene. Voglio dire ... tu avevi altro per
la testa ed io sono arrivato.. sì, insomma, hai capito, no?”
Lily
faceva fatica a seguire il discorso: l'arrogante James Potter pareva
faticare a trovare le parole.
A
fatica, annuì.
“Ecco,
adesso, io ti chiedo di dirmi perchè. Solo questo. Prometto
che ti lascerò in pace. Non ti stresserò più.
Non mi vedrai più chiederti di uscire ogni volta che c'è
programmata una visita ad Hogsmeade. Mai più, però ti
chiedo di dirmi perchè. Solo questo.” James aveva
riacquistato la sua aria sicura. James Potter era sempre sicuro di
sé.
Lily non
sapeva cosa rispondere, esattamente: perchè non voleva provare
a conoscere Potter?
“James...
ascolta... io.. so che tra noi non funzionerebbe.” balbettò,
arrossendo furiosamente.
James la
guardò di sottecchi e sorrise: anche Lily Evans allora poteva
essere imbarazzata.
“E
perchè'?”
“Perchè
io sono io e tu sei tu. Quelle come me non possono uscire con quelli
come te. Lo sappiamo entrambi che è un gioco. Solo un gioco.
Ed io ho tante altre cose per la testa.” disse Lily, cercando
di mantenere un tono di voce basso.
Sentendo
quelle parole, James provò una strana sensazione di vuoto
dentro.
Ma aveva
promesso. Non serviva che le dicesse che lui voleva davvero provare a
conoscerla. Aveva promesso.
Aveva
promesso che l'avrebbe lasciata in pace.
Incassò
il colpo. Rimase zitto per qualche istante, giusto il tempo di
riprendersi e poi, riacquistata la sfrontatezza necessaria, rispose:
“Bene.
Ora lo so. Ti lascerò in pace. Aspetto i miei amici ed entro
in classe.”
Quelle
parole a Lily parvero ancora più dure: dunque aveva ragione. A
Potter non importava niente di lei.
Aveva
fatto bene.
Si
voltò, per entrare in classe mentre verso l'aula si stavano
dirigendo anche i Serpeverde: Lily intravide Severus, che, in mezzo
ad Avery e Mulciber, rideva.
Abbassò
rapida lo guardo ed entrò.
A James,
che scrutava il corridoio in cerca dei suoi amici, non sfuggì
nulla: non gli sfuggì l'occhiata rancorosa che Piton scoccò
a Lily.
Non gli
sfuggirono i sorrisetti ironici di Avery e Mulciber.
Ma
soprattutto non gli sfuggì l'espressione persa della ragazza.
Aveva
promesso: l'avrebbe lasciata in pace.
Nulla
però gli impediva di detestare ancora di più Severus
Piton.
Scusatemi per il ritardo,
ma ho avuto diversi impegni con l'università.
Spero che questo capitolo
vi sia piaciuto, io non ne sono soddisfatta: ringrazio chi ha letto,
chi ha inserito la storia tra i preferiti e chi ha recensito.
Grazie davvero.
Purepura: hai
ragione, lo scorso capitolo non c'entrava molto... ma mi piaceva
staccare un po' ed illustrare anche qualcos'altro. Credo che, ai fini
della trama, sia stato in qualche modo obbligato.
Spero che ti piaccia
anche questo!
PrincessMarauders
: mi fa piacere avere una lettrice così accanita! Grazie
mille! Spero che ti piaccia anche questo capitolo. Eh sì, per
Charlus Potter è una sorta di Arthur Weasley, non so
esattamente perchè, ma uno come James doveva pur avere una
famiglia particolare, ti pare?
Bellis: grazie,
grazie! Hai colto nel segno: Lily torna a casa chiedendo di
dimenticare quello che succede ad Hogwarts, ma c'è Petunia. E
questo non fa che aumentare le sue preoccupazioni.
Però, forse, c'è
qualcosa a far tornare il sereno... quel regalo di Remus..
Parlare del Natale in
casa Potter ha intenerito anche me: è così che immagino
la famiglia di James, allegra, affettuosa e calorosa. Pronta ad
accogliere il ribelle Sirius, a crescerlo e ad amarlo per come è,
curando le sue ferite con l'affetto.
Spero che ti piaccia
anche questo capitolo!
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Capitolo 6 *** Sesto Capitolo ***
Febbraio 1977
Lily
stava tornando da Hogsmeade assieme ad alcuni compagni che, come lei,
avendo compiuto i fatidici diciassette anni, avevano appena sostenuto
l'esame di Materializzazione.
“Oh,
Paul! Non fare così! Hai dimenticato solo mezza unghia del
mignolo! E' stato veramente meschino da parte del signor Hopkirk
bocciarti!” stava dicendo Mary McDonald al suo ragazzo, Paul
Foster, un corpulento giocatore di Quidditch di Tassorosso.
“Bè,
amico, in fondo te la sei anche un po' cercata!- commentò
Jason Stephenson, il suo migliore amico- Com'è che dicevi fino
stamattina? “ E' impossibile che mi boccino! Scommetto che
rimarranno strabiliati!”Eh... vorrà dire che ti
accompagnerò a sostenere l'esame il mese prossimo...”
“Eh
stai zitto, J.! Parla proprio quello che mi ha stressato per dei mesi
col suo “ Non passerò mai!”
“Intanto
io ce l'ho fatta!” rimbeccò l'amico, senza accorgersi
che Paul, munito di un ampio quantitativo di neve appena raccolta, si
stava pericolosamente avvicinando.
“Ahi!
E' fredda! Razza di... vieni qui che se ti prendo!” esclamò
Jason, raccogliendo a sua volta della neve.
“Quando
avete finito di fare i bambini avvisatemi!” strillò
Mary, ridendo divertita.
Anche
Lily si era fermata a guardarli, desiderando di poter prendere parte
attivamente di quell'allegria, che sembrava però non poterla
contagiare, non essere destinata a lei.
“No!
Ahi! Paul no! J.! Mettimi giù! No! La neve no! Ho capelli
puliti!” gridava ancora Mary, mentre i due ragazzi la tenevano
sollevata, pronti a farla cadere nella neve.
Sembravano
non essersi accorti di lei. Era come se, di colpo, Lily fosse
scomparsa.
Come se
lei non potesse prendere parte ai loro giochi.
Si erano
solo ritrovati ad andare per caso tutti e quattro insieme ad
Hogsmeade per l'esame perchè, per caso, erano nati tutti e
quattro nello stesso periodo.
Al
termine di quella situazione tutto sarebbe tornato come prima.
Non che
Lily avesse pensato seriamente di fare amicizia o di instaurare un
rapporto con Paul e Jason, coi quali, per altro, parlava per la prima
volta, ma forse, con Mary.,. Dopotutto andavano abbastanza d'accordo.
Diede un
ultimo sguardo alle loro risate e ai capelli di Mary ormai bagnati
dalla neve e poi ritornò verso il castello, immergendo nella
coltre bianca le scarpe quasi per divertimento.
La
realtà era che Lily si era sempre immaginata quella giornata
in modo diverso.
Aveva
sempre immagino lei e Severus camminare tesi ed eccitati allo stesso
tempo per il sentiero che portava ad Hogsmeade.
Si era
vista sorridergli preoccupata prima di andare a sostenere il suo
esame ed aveva già in mente lo sguardo fiducioso con cui il
ragazzo avrebbe ricambiato.
Ed aveva
già immaginato lei stessa fare la medesima cosa quando,
qualche minuto dopo di lei, sarebbe toccato a Severus entrare e
presentarsi di fronte al signor Hopkirk.
Aveva
chiaro in mente anche il ritorno ad Hogwarts: i commenti a caldo su
quanto era successo, qualche piccola frecciatina ironica diretta
all'esaminatore e poi, magari, avrebbero provato a Smaterializzarsi
fino al perimetro di Hogwarts, fin là dove era concesso farlo
senza incorrere nei potenti incantesimi che difendevano la scuola...
Smaterializzarsi per pochi metri appena, così, solo per il
gusto di farlo...
“Ci pensi Lily?
Tra un anno saranno diciassette! Diciassette, ci pensi? Saremo
maggiorenni! E potremo fare l'esame di Materializzazione!”
esclamò il ragazzo, chiudendo di scatto il biglietto che Lily
gli aveva scritto per augurargli buon compleanno.
“Ma se hai appena
compiuto sedici anni, Sev!” gli rispose, divertita,ma anche
leggermente infastidita dalla poca attenzione dedicata al suo
biglietto.
“Bè...
dettagli... comunque, fra un anno saranno diciassette!” ribadì
lui, guardando perso verso il cielo rosso dell'ora del tramonto.
“Tanto so già
che mi bocceranno e dovrò rifare l'esame...” rise Lily
“Non dire così!
Lo faremo insieme! E' una fortuna che siamo nati nello stesso
periodo!” disse Severus,convinto, voltandosi e fissando Lily
negli occhi.
“Sì, così
andremo insieme a farlo e poi... poi saremo pronti per girare il
mondo!” si convinse lei, sognando assieme al suo migliore amico
quel giorno in cui, finalmente, si sarebbero sentiti adulti.
E
invece, i diciassette anni tanto agognati erano arrivati, insieme
all'esame di Materializzazione.
Nessun
Sev l'aveva accompagnata né le aveva fatto gli auguri.
I
diciassette anni, la tanto sognata maggiore età, non era
fantastica quanto credeva prima... del resto, cosa cambia con un anno
in più?
Forse
era solo l'attesa a renderla così carica di aspettative,
l'attesa che si trascorreva in compagnia di qualcuno a fare progetti,
però.
Pensando
a questo, e quasi senza rendersene conto, Lily aveva raggiunto il
castello.
Stava
salendo lo scalone marmoreo che dall'ingresso conduceva alla Torre di
Grifondoro: quella mattina Remus si era non solo offerto di
accompagnarla ( offerta da Lily declinata gentilmente) ma si era più
volte raccomandato, con fare quasi asfissiante, di venire a
comunicargli immediatamente il risultato dell'esame, sul quale, per
altro, lui aveva detto di non avere dubbi.
Stava
per svoltare nel corridoio, quando un allampanato Remus Lupin, forte
delle sue gambe lunghe, le comparve all'improvviso davanti.
“Lily!
Allora, come è andata?” si informò,
immediatamente, sorridendole caloroso.
“Mi
hanno promossa!” esclamò Lily sorridendo, per la prima
volta da quando glielo avevano comunicato, in modo netto, rendendo
l'intero viso e anche gli occhi partecipi di quella gioia.
“Non
avevo dubbi! Hai già pensato a dove andare, come prima tappa?”
chiese Remus, accomodandosi sui gradini.
“Prima
tappa? E per andare dove?” domandò Lily, senza capire
dove intendesse arrivare.
“Di
solito, non appena si supera l'esame di Materializzazione si
stabilisce una meta e si usa il primo week-end utile per andarci...
Non lo sapevi?”
No, Lily
non lo sapeva. Non ne aveva idea. Era rimasta esclusa da quella
tradizione adolescenziale.
La
ragazza abbassò gli occhi verso il pavimento.
Se anche
ne fosse stata a conoscenza, non avrebbe saputo con chi andarci...
“Lily,
tutto bene?”
“Oh
sì... stavo... stavo solo pensando a dove potrei andare...- si
affrettò ad aggiungere lei- Dimmi, Remus, a te dove piacerebbe
andare, quando farai l'esame?”
“In
verità, io mi accontenterei anche solo di una capatina a
Diagon Alley, ma purtroppo, con gli amici che mi ritrovo è
pressochè impossibile. Aspetteremo che anche James e Peter
compiano diciassette anni,
sai,
sono nati circa un mese dopo di me e poi andremo a Londra. Nella
Londra Babbana, per la precisione. James e Sirius volevano a tutti i
costi andare a Barcellona: dico io, ma si può essere più
stupidi? Barcellona! Ma come gli è venuto in mente! E solo per
la sangria! Ci scommetto, quei due hanno intenzione di dare
spettacolo sulla Rambla! Come se si potesse andare e tornare in
giornata da Barcellona!” esclamò Remus, infervorato.
Lily
sospirò: Potter, Black e le loro idee del Bolide! Se andavano
avanti così, avrebbero fatto venire un infarto al povero
Remus, che già, secondo lei, talvolta rasentava delle
pericolose crisi di nervi.
“Però...
sarebbe bello andare a Barcellona. Voglio dire, sperimentare per una
volta un po' di vero sole e di vero caldo! Mi sa di città
colorata, Barcellona. Certo, se non dovessimo andare e tornare in
giornata... Dopotutto si è sempre costretti ad utilizzare la
giornata programmata per Hogsmeade.” divagò Remus, che,
nonostante la sua bella predica, aveva chiara in mente la visione di
loro quattro
in
bermuda, sandali, camicia hawaiana, occhiali da sole e cappello di
paglia a spasso per le afose strade del Barrio Gotico, il quartiere
più antico della città catalana.
Quel
quadretto era stato impiantato saldamente nella testa di Remus dai
ripetuti lamenti di Sirius che, offeso per il veto che l'amico aveva
imposto sulla proposta sua e di James, continuava a menarla
raccontando scenette ed aneddoti, non ancora verificati, che era
certo sarebbero capitati qualora loro quattro fossero andati a
Barcellona.
Il tutto
era intervallato dal ripetuto commento di James: “Cioè,
ma io devo ancora capire perchè ogni volta che siamo in parità
su una proposta messa ai voti, la parte di Remus vince sempre...”
“Sono
certa che potrete andarci un'altra volta, a Barcellona, Remus. Magari
quest'estate. Comunque, non so se la conoscete, ma Londra è
davvero una gran bella città.” disse Lily, più
per necessità di ravvivare la conversazione che non perchè
convinta del fatto che la proposta della gita a Barcellona avesse
delle salde basi e non infrangesse un centinaio di regole della
scuola e altrettante leggi.
“Sì...
ci siamo già stati troppe volte, a Londra. Però è
sempre bello camminare lungo le rive del Tamigi, non credi?
Soprattutto quando fa buio... magari potresti venire con noi, se ti
va.” le rispose Remus, chiudendo a chiave in un cassetto
l'immagine di Barcellona e di Sirius e James affogati nella sangria,
mentre Peter cercava di convincerli ad evitare di abbracciare i muri
e lui stesso si scusava con il proprietario del locale per i danni
inferti al suo mobilio.
“Oh...
grazie. Vedremo un po'...- disse Lily, cercando di prendere tempo e
certa del fatto che mai e poi mai avrebbe trascorso una giornata
intera coi Malandrini- adesso penso che andrò a studiare
Incantesimi, vieni con me Remus?”
“Sì,
stavo aspettando Peter, mi aveva chiesto di aiutarlo. Ti dispiace se
c'è anche lui?”
“No,
figurati.” si affrettò ad aggiungere Lily. Peter non le
dispiaceva, in fondo. Era un bravo ragazzo, troppo timido ed
impacciato per poterle risultare fastidioso. E poi era sempre così
gentile, non la finiva mai di ringraziarla quando lo aiutava con
qualche compito.
Remus si
alzò di scatto e assieme a Lily si diresse verso il
dormitorio.
Nell'ultimo
mese si erano avvicinati: i ripetuti turni di ronda assieme, la
confidenza che Remus si era preso e che Lily non aveva rifiutato
avevano fatto il resto.
Lily
stava scoprendo che fare amicizia era più semplice di quanto
credesse: un sorriso, due parole prima di colazione, sedersi uno
accanto all'altro se si trovavano in Biblioteca...
All'inizio
era un po' stupita dalle attenzioni che Remus le rivolgeva: in cinque
anni non erano mai andati oltre qualche educata conversazione e poi,
di punto in bianco, si stavano scoprendo amici.
Forse
era iniziato tutto in quel pomeriggio di giugno, quando fu sorpresa a
piangere, inginocchiata in un corridoio della biblioteca.
Sanguesporco.
Severus l'aveva definita
così.
Sanguesporco.
Era una sciocca, doveva
immaginare che sarebbe finita così.
Se chiamava in quel modo
tutti quelli come lei, per quale motivo con lei avrebbe dovuto essere
diverso?
Per via di una vecchia
amicizia?
Ma quel ragazzo era
ancora il suo il migliore amico, il suo Severus?
Lily non ne era certa.
Sapeva solo una cosa:
l'aveva mandato via.
Lui aveva aspettato per
ore in corridoio, sopportando i commenti malevoli della Signora
Grassa, stanca di essere svegliata nel cuore della notte, solo per
poterle parlare, per chiedere scusa.
E lei lo aveva cacciato.
L'aveva mandato via.
Ma lui, forse, in quei
mesi non l' aveva, a sua volta, cacciata dalla sua vita, preferendo
Avery e Mulciber, pronti per entrare nelle file dei Mangiamorte?
Perchè era finito
tutto, di chi era la colpa?
Perchè era così
sbagliata? Forse, se lei fosse stata diversa, lui non se ne sarebbe
andato...
Ma che cosa comportava
l'essere diversa? Severus le diceva sempre che lei era speciale,
proprio perchè era diversa. Diversa dalle altre ragazza,
diversa da ogni persona che avesse conosciuto sino a quel momento.
Era unica ed era quello
che gli permetteva di considerarla la sua migliore amica... ma forse,
per stare vicino a Severus, ci voleva ben altro.
Forse avrebbe dovuto
cambiare.
Forse non era più
così speciale, come credeva.
Ma che prezzo le veniva
richiesto per cambiare, per averlo a fianco? Ne valeva la pena?
Lily era certa di no.
La parte razionale di sé,
quella che di fronte al mondo esterno prevaleva sempre, le diceva che
era inevitabile che finisse così e che Severus se l'era
meritata, che non doveva piangere, perchè lui aveva scelto da
che parte stare, così come lei.
Avevano scelto
schieramenti opposti, era inevitabile che finisse così.
Ed era giusto che la loro
amicizia fosse finita.
Ed allora... perchè
quel vuoto dentro? Perchè aveva voglia di scomparire, di
sprofondare e di non riemergere mai più?
Stava pensando a questo,
Lily, mentre i capelli rossi che le avvolgevano il viso si bagnavano
delle lacrime, che, copiose, andavano ad inumidire le pagine di
Miranda Gadula.
“Lily...
Evans...Posso?” Remus era sbucato così, con passo
felpato ed inudibile, con la frangetta che gli copriva il volto
pallido ed emaciato, mentre le maniche della camicia arrotolate sino
ai gomiti scendevano impietose del caldo.
“Oh... scusa... sì,
mi alzo subito. Passa pure.” rispose, asciugandosi le guance
con il palmo di una mano e voltandosi rapida, per nascondersi alla
vista del ragazzo.
“No, no.
Tranquilla, resta seduta. Sono solo venuto per sapere come stavi...
non ti ho visto ad Antiche Rune, non eri in dormitorio né in
Sala Comune e così...”
“Va tutto bene,
grazie, Remus.” si scansò Lily, imbarazzata e stupita.
“Sicura? Non hai
una bella cera... E' per Piton che stai così, Lily?”
chiese, bandendo ogni cautela.
Lily si girò e lo
fissò con occhi spalancati.
“E' per lui, vero?”
Lei annuì a fatica
e il ragazzo sospirò.
“Ascolta, mi
dispiace per come l'hanno trattato James e Sirius. Non sto a dirti
che non volevano, che non l'hanno fatto apposta e cose simili perchè
non è vero.
Lo volevano fare, hanno
sbagliato e io me la sono presa con loro.”
“Se la prendono
sempre con lui. E solo perchè lo trovano divertente. Per loro
è un passatempo.”
Remus evitò di
dire che il caro Mocciosus non era innocente e che, a volerla ben
vedere, era lui, con i suoi amici Serpeverde, ad aver iniziato.
Era lui che se ne andava
in giro a scagliare incantesimi contro chiunque non fosse all'altezza
del sangue puro. James e Sirius, sbagliando e comportandosi da veri e
propri imbecilli, perchè non era senz'altro quello il modo di
fare, cercavano solo di combattere quel razzismo che stava
contagiando Hogwarts.
Evitò di dire che
in quei giorni erano tutti e quattro piuttosto arrabbiati per quello
che Mocciosus aveva organizzato ai danni di Remus. Non voleva fare la
vittima e passare per il perseguitato e quindi glissò sulle
reali motivazioni che avevano portato James e Sirius a comportarsi in
quel modo.
Si limitò a dire,
non potendosi e non riuscendo a trattenersi:
“Su questo ho i
miei dubbi: personalmente non credo che Severus sia così
innocente- Lily gli scoccò un'occhiata gelida- però...
ecco,vorrei solo dirti che io ci sono, per qualsiasi cosa tu possa
voler dirmi, d'accordo? Non voglio entrare nel merito della vostra
discussione, non sono affari miei e non devono esserlo. Solo vorrei
che tu sapessi che mi dispiace per come sono andate le cose e che
vorrei aiutarti. So quanto sia orribile perdere i propri amici.”
E Remus sapeva quello che
diceva: lui e Sirius avevano appena fatto pace dopo un tremendo mese
di silenzi, seguito a quella che era stata definita la “bravata
di Felpato”, bravata per cui, per poco, Sirius e James non si
scannavano, tante erano le botte che stavano per darsi.
“Grazie Remus, è
gentile da parte tua. Voglio dire, non ci conosciamo nemmeno...”
“Figurati. Se sono
qui è perchè mi va di esserci. Se hai bisogno io ci
sono.”
Era
piacevole, per Lily, sapere di avere anche lei qualcuno su cui
contare.
Erano
pochi mesi che i rapporti tra lei e Remus si erano fatti più
stretti e non voleva darsi l'illusione di aver trovato davvero un
amico, uno di quelli veri, però stare in sua compagnia era
piacevole e la stava aiutando.
“Remus!
Remus! Vieni! Devi venire subito! La McGranitt ha appena detto che
Silente ci vuole tutti in Sala Grande!” Peter Minus, correndo
come un forsennato, per poco non travolse Lily e Remus, giunti ormai
in prossimità della torre di Grifondoro, ma non ancora così
vicini da poter scorgere numerosi gruppi di ragazzi venire in
direzione opposta.
“Peter,
calmati! Che succede?”
“Silente...
in Sala Grande. Ci vuole tutti in Sala Grande. La McGranitt è
arrivata con una faccia sconvolta a dirci di muoverci e di andare in
Sala Grande.” spiegò, tra un sospiro e l'altro, pregando
i due compagni di fare in fretta.
Lily
spalancò gli occhi: era capitato solo un'altra volta che
Silente li avesse chiamati tutti in Sala Grande e non era per delle
buone notizie.
Remus
annuì gravemente.
“Dove
sono James e Sirius?”
“Non
lo so- rispose Peter. Io ti stavo aspettando per studiare, quando è
arrivata la McGranitt. Sirius era uscito da pochi minuti per
raggiungere James, avevano in programma di andare ad Hogsmeade dal
vecchio Aberforth...”
“Prega
Merlino che non siano usciti, accidenti!” imprecò Remus
“Remus,
che succede? Temi che ci sia stata un'altra strage?” domandò
in fretta Peter, mentre Lily, ancora scossa, pareva non sentire.
“Non
lo so, forse no. Peter, vai in Sala Grande con Lily. Io vado a
cercarli.”
Dall'altra
parte di Hogwarts, James Potter stava cercando di liberarsi da una
sensazione scomoda, molto scomoda.
“Devi
proprio andare, James?” chiedeva una ragazza bionda, seduta
ancora su un banco a James Potter che, facendo confusione tra i
bottoni della camicia, cercava disperatamente di ritrovare il
contegno perduto per raggiungere Sirius e Peter nel più breve
tempo possibile.
Rachel
gli si avvicinò, prendendo tra le mani la stoffa bianca ed
inserendo con tocco sinuoso ogni bottone nella sua asola.
“Sì,
i ragazzi mi aspettano. Ho bisogno di parlare con la squadra per la
partita di domenica.” rispose, togliendo le mani di lei dal suo
petto ed afferrando il maglione abbandonato su una sedia lì di
fianco.
Non era
propriamente una bugia: avrebbe dovuto raggiungere Sirius per andare
alla Testa di Porco. Il vecchio Aberforth avrebbe senz'altro venduto
loro qualche bottiglia di Wisky Incendiario per festeggiare la
vittoria nella partita di Quidditch di quel fine-settimana contro
Corvonero.
In caso
di sconfitta sarebbe stato ottimo per affogare il dispiacere: chissà,
magari quella volta sarebbero anche riusciti a far ubriacare il savio
Remus... Erano due anni che ci provavano, senza successo, ovviamente.
Far
sbronzare Peter era così semplice che la cosa aveva perso il
suo fascino, ormai.
Il
delirio di Remus, invece, costituiva un gran sfida...
Quanto a
lui e Sirius, bè, non c'era nemmeno da discuterne: la prima
sbronza insieme, accasciati sul pavimento ad urlare improperi contro
un mondo troppo ingiusto e a strillare le cose più
vergognosamente scurrili che esistessero. Prima di essere costretti
da Remus a bere uno strano intruglio da lui preparato nel cuore della
notte trafugando gli ingredienti dalle dispense della scuola.
Né
lui né Sirius ricordavano di aver mai vomitato così
tanto.
Il tutto
sotto gli sguardi apprensivi di Peter, che zampettava da un angolo
all'altro del bagno.
“Allora
ci vediamo dopo cena, James?” gli chiese Rachel, distogliendolo
da quei pensieri che gli avevano fatto spuntare un involontario
sorriso sul viso.
“Cos...Ah,
sì. Certo. A dopo, allora, Rachel.” disse James,
attirandola a sé per un ultimo bacio e uscendosene sorridente
dalla porta.
Rachel
in fondo non era male. Era simpatica, si aveva sempre di che parlare,
con lei.
Tra le
ragazze che aveva girato nell'ultimo mese era senza dubbio la
migliore: Julia, Cassie, Sarah... tutte belle ragazze, un po' troppo
insipide per i suoi gusti, ma ottime per qualche momento di
leggerezza.
In
fondo, quello era quello che la Evans voleva, no? Essere lasciata in
pace. Vederlo circondato da persone che erano senza dubbio alla sua
altezza, a cui lei era convinta di non poter mai arrivare.
Non le
aveva più rivolto la parola da allora. Non l'aveva quasi più
guardata in verità.
Possibile
che fosse così semplice dimenticarsene? Possibile che avesse
ragione Sirius a sostenerla una “cotta adolescenziale”?
E allora
perchè da quel giorno l'odio nei confronti di Mocciosus si era
accresciuto così tanto?
Perchè
da quella mattina non perdeva mai l'occasione di giocargli qualche
tiro mancino, di metterlo in imbarazzo davanti a tutta la classe, di
scagliargli qualche fattura nei corridoi?
Solo
perchè voleva farla pagare a lui e ai suoi amichetti per tutti
quelli che loro chiamavano scherzi e che in realtà erano delle
vere e proprie violenze nei confronti di ragazzi nati Babbani o con
un genitore privo di poteri?
James
non riusciva a dimenticarsi la faccia di Anita Jhonson, la sua
Cacciatrice, tempestata di ferite provocate da schegge di vetro
esplose proprio mentre lei stava passando in corridoio.
Non
riusciva a scordarsi nemmeno l'espressione di Andrew Smith o di
Stephen Willow, due ragazzini del primo anno, costretti ad andare in
giro con la scritta “Il mio sangue non è puro” per
un intero fine-settimana.
La
rabbia che provava in quei momenti pareva venir compensata, almeno
per qualche minuto, dalla smorfia di dolore che compariva sui volti
di Piton, Mulciber, Avery, Nott o di qualcuno dei loro compagni,
quando una fattura sua o di Sirius raggiungeva l'obbiettivo.
A fargli
male c'era anche il fatto che, fra quelli c'era anche Regulus Black.
Non osava immaginare che peso albergasse sul cuore di Sirius.
Pensando
queste cose, James raggiunse Sirius di fronte all'ingresso della
Stanza delle Necessità, nella quale c'era un passaggio diretto
per la Testa di Porco.
L'amico
stava passeggiando inquieto per il corridoio, portandosi
continuamente indietro il ciuffo di capelli che gli copriva il viso.
James
pensò che fosse solo impaziente di andare a trovare Aberforth,
uomo sempre prodigo di ottimi consigli di vita nei loro confronti.
“Ehi,
Ramoso! Eccoti! Hai una faccia! Va tutto bene?” lo accolse
immediatamente Sirius.
“Stavo
pensando...”ammise l'altro
“Strano...”
“Già...
hai preso tutto? Soldi? Mantello? Mappa?” chiese James,
cancellando dalla mente i pensieri degli ultimi minuti e
concentrandosi sulla prossima uscita.
L'amico
ghignò:
“Tranquillo,
Remus è impegnato dall'altra parte del castello. Con la
Evans.”
“Remus
è libero di fare quello che vuole. E la Evans pure. Se
diventano amici sono contento.” rispose, secco, James e Sirius
capì che non era il caso di far battute.
“Peter
non è venuto?”
“No,
stava aspettando Remus per studiare. Cielo, è incredibile,
quel ragazzo. Se va avanti così diventerà peggio di
Remus!”
“Forse
dovremmo aiutarlo di più noi- azzardò James- così
da non doverci ritrovare con un Lunastorta II, la vendetta.”
“Per
Godric, te li immagini? A quel punto credo proprio che dovremmo
proporre una petizione per trasferirli a Corvonero!” esclamò
Sirius, mentre attraversavano la porta della Stanza delle Necessità,
pronti per imbucarsi nel tunnel.
“Sai
che però, nonostante tutto ero serio? Alla fine, il povero
Remus si ritrova sempre a fare doppio lavoro... anzi, quadruplo
lavoro.”commentò James.
“E
rilassati, Jamie! Hai quasi diciassette anni! Pensa a divertirti,
Peter se la caverà!”ribattè Sirius infilandosi
per primo.
“A
volte ho paura di non fare abbastanza, ti dirò...”
confessò James, in un sospiro.
“Sempre
con queste manie da salvatore del mondo, James. Rilassati. Che dovrei
dire, io?”
“In
che senso?”
“Mio
fratello, Jamie.” disse Sirius, mordendosi le labbra e
chiarendo col tono di voce che, per quanto lo riguardava non
intendeva andare oltre col discorso.
James
capì: capì che Sirius si sentiva responsabile di quanto
stava accadendo. Capì che nella sua testa ronzava
continuamente il pensiero di non aver fatto abbastanza e, per quanto
il tunnel fosse stretto, si fermò e posò la sua mano
sulla spalla di Sirius, per tranquillizzarlo.
“Va
tutto bene, James. Davvero. Non preoccuparti. Va tutto bene.”
confermò Sirius.
Sapevano
entrambi che era una bugia, ma James annuì.
“Avanti,
muoviti cervo quattrocchi, Abe ci aspetta! Non vorrai che venda la
nostra riserva a qualcun altro?” fece Sirius, superando in un
balzo l'amico e bussando violentemente contro il pannello circolare
che stava all'imboccatura opposta.
“Aberforth!
Aberforth! Siamo noi! Avanti, apri!” picchiettò il
ragazzo.
“Per
Merlino e per le sue mutande a fiori! Quanto ci mette!” imprecò
Sirius
“Aberforth!
Vieni ad aprirci, dai! Fa freddo!” aggiunse James
“Bè,
non dirgli così... non è che alla Testa di Porco faccia
molto più caldo... secondo me il vecchio pur di risparmiare si
è adattato alla broncopolmonite perenne. Non senti che
raucedine che ha sempre?” chiese Sirius, prima di cadere a
gambe all'aria sul pavimento tarlato del pub, dato che il pannello
era stato aperto.
Aberforth,
il gestore del locale, li aspettava dall'altra parte, osservando
truce Sirius, che stava occupando ancora il pavimento, mentre James
entrava scavalcando l'amico.
“Ehm...
stavo scherzando sulla raucedine, dai! Lo sai che sono sempre molto
spiritoso!” si scusò Sirius, afferrando al volo la mano
che James gli stava tendendo per tirarsi finalmente in piedi.
“Non
dovreste essere qui. Tornate immediatamente a scuola.” disse
burbero il barista, continuando a guardare scontrosamente i due
ospiti.
“Bè...
non è che ti abbiamo fatto fuggire la clientela. E' vuoto come
al solito- azzardò James- Comunque, hai il Wisky che ti
abbiamo chiesto?”
“Sei
bottiglie. Del '74 lo volevamo, ti sei ricordato?” precisò
Sirius.
“
Vi ho detto che dovete andare via. In fretta. Avanti, forza, tornate
a scuola.” ripetè Aberforth, spingendoli entrambi nel
tunnel.
“Ehi!
Che modi! Si può sapere che ti abbiamo fatto?” chiese
Sirius.
“Via,
via andate via! Tornate a scuola!”
“Aberforth,
che succede?” domandò James, serio.
Il
vecchio barista era sempre stato un po' scorbutico, misantropo,
scontroso, ma con loro si era sempre mostrato sufficientemente
gentile e disponibile. Almeno, quel tanto che bastava per concludere
degnamente buoni affari, come l'acquisto illegale di bevande
alcoliche.
Pareva
che gli piacessero, e allora, perchè li stava cacciando via?
“Un
attacco. Ma non posso dirvi di più. Ve lo spiegheranno di
certo. Ora tornate in fretta a scuola e non uscite. Non uscite sino a
quando la situazione non si normalizza. E' il secondo in pochi
giorni. Non uscite, mi avete capito?” spiegò,
velocemente, Aberforth.
Le
espressioni dei due ragazzi si erano fatte improvvisamente serie. Non
c'era più traccia dello sguardo irriverente di pochi istanti
prima. C'era solo sconcerto. E un' ombra di paura.
“Voldemort!
Maledizione!” imprecò Sirius
Aberforth
annuì gravemente.
“Dove?
Chi? Quando?” chiese James.
“Ve
lo spiegheranno, ora per la spada di Godric, tornate al castello e
non uscite. Non uscite, d'accordo? Non vi voglio vedere per un po'.
Avanti, andate. Via.”
Silenziosamente
e non opponendo reclami i due ragazzi si incamminarono per tornare ad
Hogwarts.
Nessuno
dei sue parlava, ma Sirius ruppe per il primo il ghiaccio. Aveva
bisogno di parlare.
Aveva
bisogno di conferme.
“James,
che è successo? Come è possibile che con tutti gli
Auror in servizio sia successo ancora qualcosa?”
“Non
lo so... pensavo... pensavo si fossero fermati. Era un po' che non
succedeva più niente...”
“La
settimana scorsa è saltata in aria una bottega a Diagon Alley.
Le cose si fanno serie, James.”
“Lo
so. E mai come ora mi rendo conto che aveva ragione Silente sin
dall'inizio: non finirà tanto in fretta. Non si tratta di un
piccolo gruppo di pazzi. Sono pericolosi e ci distruggeranno tutti se
non si agisce in fretta.” disse amaramente James.
“Ma
al Ministero non combinano niente! Più che fare proclami che
invitano alla calma non fanno. Più che dire di stare
tranquilli non fanno. Sono degli idioti.”
“Tanto
che gliene importa a loro? Sono gli Auror che si ritrovano le mani
sporche di sangue, sono loro che sono mandati in giro per il Paese,
sono loro che si ritrovano a dover dire ad una donna che suo marito è
scomparso. Sono loro che rischiano la pelle ogni giorno,
maledizione!” urlò James, tirando rabbiosamente un pugno
contro la parete.
Sirius
ingoiò il groppone che gli si stava formando in gola e prese
il pugno serrato di James, che stava ancora addosso alla parete.
“Tuo
padre starà bene, James. Non gli è successo nulla.”
disse, cercando di usare il tono più dolce e tranquillizzante
che riusciva a trovare e ricacciando il braccio teso contro il fianco
dell'amico.
“Sì.
Adesso muoviamoci. Silente starà già parlando.”
Senza
aprire bocca si ritrovarono nella Stanza delle Necessità e da
lì davanti all'arazzo di Barnaba il Babbeo.
“Non
c'è in giro nessuno. Sono già tutti in Sala Grande.”
commentò Sirius, mentre scendevano le scale.
“James!
Sirius! Per fortuna state bene!” Remus corse loro incontro,
percorrendo le scale in direzione opposta.
Aveva le
guance rosse per la corsa, il fiatone e gli occhi cerulei si
spostavano nervosamente da James a Sirius.
“Remus!
Stai calmo! Stiamo bene! Stiamo bene. Va tutto bene.” Sirius
cercò di tranquillizzarlo, afferrandolo e posando entrambe le
braccia sulle sue spalle.
“Siete
stati ad Hogsmeade? Grazie a Merlino siete tornati in fretta. Silente
ci vuole tutti in Sala Grande.”
“Lo
sappiamo, Aberforth ce l'ha detto. Adesso muoviamoci.” disse
James, che non voleva perdere tempo.
Desiderava
sapere al più presto cosa fosse successo e in cuor suo pregava
che, qualsiasi cosa fosse accaduta, suo padre stesse bene.
Raggiunsero
in fretta la Sala Grande, dove i ragazzi di tutte le Case avevano
ordinatamente preso posto presso i loro tavoli.
Sedettero
accanto a Peter, al cui fianco stava anche Lily, quando Silente stava
già parlando.
James
non potè non fissare Lily, seduta con le braccia strette
attorno alle spalle, come a volersi riparare da un immaginario vento,
mentre guardava verso il Preside con la paura negli occhi.
Regnava
il silenzio: tra i loro compagni parecchi avevano espressioni
spaventate. Qualche ragazza stava addirittura piangendo e neppure gli
insegnanti parevano esenti da tensione.
“Mi
duole dirvi che siamo in tempi difficili, ragazzi miei. Non voglio
mentirvi: qualcuno potrebbe augurarsi che io vi dica di stare
tranquilli, perchè si tratta di una situazione passeggera.
Temo
purtroppo che non sia così. Ho il sospetto che ci aspetteranno
dei momenti difficili e mi duole dirvi che non siamo più
vicini alla cattura di Lord Voldemort ora di quanto non lo fossimo
l'anno scorso.
La
tragedia che ha colpito i vostri compagni, Margaret e Thomas Glow non
deve passare inosservata. E' una tragedia che vi riguarda tutti. Dal
primo all'ultimo, a prescindere dalla vostra Casa di appartenenza:
siate voi Corvonero e Grifondoro come loro o Tassorosso e
Serpeverde....”
“Che
è successo a quei due ragazzi, Pete?” bisbigliò
Sirius.
“S-ssono
to-to..”
“Muoviti,
Peter! Che diamine è successo?”
“Non
urlate, per l'amor di Dio!” li rimproverò Remus, che
pure fissava agitato il professor Silente, desideroso di sapere il
più possibile.
“Sono
tornati a casa. Hanno ucciso i loro genitori.” riuscì,
infine, a dire Peter
“Che
cosa? Ma perchè?”
“Il
padre dirigeva l'ufficio che si occupa dei rapporti con il Primo
Ministro Babbano.” spiegò Lily aprendo la bocca per la
prima volta ed incontrando gli occhi James dopo molto tempo.
James,
che lesse tutta la paura possibile in quello sguardo, dimenticò
la rabbia che provava. Voleva solo riuscire a tranquillizzare quella
ragazza impaurita, che temeva non solo per sé ma anche per i
compagni e per la famiglia a casa.
Voleva
parlare, ma non gli riuscì, si limitò a proseguire il
contatto e Lily lesse tanta determinazione in quello sguardo.
Lesse la
voglia di dire:
“Non
distruggeranno il nostro mondo, stai tranquilla.”
E per la
prima volta apprezzò di essere vicina a James Potter.
Nel
frattempo Silente parlava ancora.
“Mi
aspetto che tutti quanti comprendiate la gravità della
situazione e vi chiedo di non aggravare la sana, giusta e competitiva
rivalità tra Casa con dell'inutile odio razziale. Ho fiducia
in voi. Ho fiducia nella generazione che verrà e sono certo
che sarà anche grazie a voi se questa terribile minaccia sarà
sconfitta e per sconfiggerla si inizierà proprio da qui. Da
Hogwarts.
L'esempio
di correttezza che vi darete l'un l'altro qui dentro aiuterà
ad estirpare questa terribile minaccia dalla nostra società. E
adesso tornate nelle vostre Sale Comuni. E' ancora sabato pomeriggio,
del resto.”
Il
Preside congedò la scolaresca con un sorriso, invitandola a
velocizzare il rientro.
Lily si
alzò, desiderosa di dimenticare quanto aveva udito, ma conscia
che non fosse possibile. Quella era la realtà ed andava
affrontata. Non era più una bambina e Silente aveva ragione:
addolcire la pillola non avrebbe reso meno innocuo il pericolo. Li
avrebbe solo colti impreparati.
Per una
volta non voleva restare sola. Non voleva essere costretta a tornare
con la mente a quei momenti: voleva attorno tanta gente, per questo
non accellerò il passo, ma attese che arrivasse Remus, seguito
dai suoi amici.
Il suo
viso magro e pallido parve ancora più esangue, ma le sorrise
ugualmente.
Dovevano
cercare assolutamente di stare tutti calmi.
Peter
sembrava non rendersi pienamente conto di quanto stava accadendo: si
voltava di continuo, desideroso di controllare che Remus, Sirius e
James fossero ancora lì.
Sirius
presentava un'espressione diversa da tutte quelle che Lily gli aveva
visto sino a quel momento: era preoccupato. Angosciato, per la
precisione.
Si
girava continuamente verso il gruppo di Serpeverde che stava
imboccando il corridoio alla loro sinistra. Osservava un ragazzino
poco più basso di lui, magro, ma con gli stessi capelli neri e
gli stessi occhi scuri.
Camminava
fianco a fianco con Nott e Mulciber, mentre Piton assieme ad Avery li
precedeva di qualche metro.
Lily
capì che doveva trattarsi di suo fratello Regulus.
La cosa
che la sconvolse era che tutti e cinque stavano ridendo.
Ridevano.
Ridevano,
incuranti di quanto aveva detto il Preside. Incuranti di quanto stava
succedendo.
Parevano
felici.
Sirius
ingoiò molta saliva e strinse i pugni, sentendosi per la prima
volta inerme.
Suo
fratello era là e lui aveva scelto un altro posto, un altro
fratello.
Non
aveva fatto abbastanza.
Lily
sentì che Sirius condivideva i suoi stessi pensieri:
impotenza, vuoto.
L'uno
per il fratello e l'altra per l'amico. Entrambi perduti.
Un vuoto
incolmabile pareva ingombrare i loro cuori.
James
chiudeva la fila, con un' espressione inquieta: Silente predicava
tolleranza, predicava condivisione e coesione. Aveva un bel dire!
In
quella scuola c'erano persone che provavano una sorta di strano e
sadico gusto nell'umiliare i Nati Babbani o i Mezzosangue e lui, lui
doveva tollerare? Lui doveva starsene tranquillo al suo posto, da
bravo, mentre questi spadroneggiavano impuniti?
Come
poteva sforzarsi di non esasperare la rivalità tra Case quando
vedeva i suoi amici presi in giro, i suoi compagni tormentati e
feriti nell'animo oltre che nel fisico?
Come
poteva non desiderare di annientarli tutti quando vedeva che Remus
per poco non ci rimetteva la vita per colpa di Piton, che la
coscienza di Sirius lo tormentava sino allo sfinimento, dichiarandosi
colpevole delle scelte di Regulus?
Come
poteva pensare che la cosa non lo riguardasse, se per colpa di quelle
persone Lily Evans, che nonostante tutto continuava ad occupare i
suoi pensieri, sembrava fosse sprofondata nella via del non ritorno?
Ciao a tutti!
Lo so, è tanto che
non aggiorno più, ma l'università mi impegna
tantissimo. Ora sono in vacanza, spero tanto di poter portare avanti
la storia con più costanza.
Vi ringrazio tutti per la
pazienza con cui mi seguite. Ringrazio chi ha letto, chi ha inserito
questa storia nei preferiti.
Un ringraziamento
particolare va, ovviamente, a chi ha recensito:
purepura: stai
tranquilla, non mi ero offesa per quel commento. Anzi, mi ha fatto
riflettere. Ti dirò, anche questo mi pare un po' slegato dal
resto, tu che dici?
Ti confesso che scrivere
di Remus mi diverte tantissimo: è un genio del male, quel
ragazzo, ma è anche così disponibile, così
comprensivo che non si può non amarlo... Li seguirei
volentieri in quella visita a Barcellona! James voleva davvero capire
cosa aveva che non andava, perchè lo rifiutasse sempre. Voleva
solo capire.
Pare essersi ripreso, in
questo mese, anche se ora tornerà più determinato di
prima, ma per motivi diversi: ora il suo scopo principale è
diventato proteggerla, non farla diventare la sua ragazza, come puoi
intuire da questo capitolo. Questo creerà ovviamente ulteriori
problemi a Lily, già confusa e spaventata di suo, perchè,
ovviamente, James ha ancora parecchia strada da percorrere.
Padfoot_07: Anche
questo capitolo rientra nel modo in cui ti immagini tutti i
personaggi? Spero di sì... tra qualche giorno aggiornerò
anche Finding My Own Way. A presto!
PrincessMarauders:
Grazie, mi fa piacere che tu mi segua sempre e che i personaggi ti
piacciano. Spero sia così anche qui. Tra poco, come ho già
detto a Padfoot_07 aggiornerò anche Finding My Own Way,
quindi, a presto!
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Capitolo 7 *** Settimo Capitolo (parte I) ***
Febbraio
stava avanzando rapido e la neve si stava piano piano sciogliendo.
Il
bianco che avvolgeva Hogwarts da ormai tre mesi sarebbe scomparso
non appena fosse arrivato marzo, con le sue prime, timide, giornate
di sole.
Le
nevicate abbondanti stavano lasciando il posto alle più
consuete piogge, intervallate da giornate coperte da pesanti nuvoloni
grigi.
Lily
non ricordava di aver mai assistito ad un inverno tanto freddo e
tanto buio; ogni giorno ringraziava mentalmente sua madre per i
maglioni che le aveva regalato a Natale. Erano essenziali da
indossare sotto la divisa, se non si voleva morire di freddo.
Scostandosi
una ciocca di capelli rossi, Lily sbirciò fuori dalla finestra
della Biblioteca, augurandosi di trovare solo nubi e non acqua: non
le dispiaceva la pioggia, in verità ed anzi, adorava
sinceramente l'inverno con le sue giornate grigie, le quali le
risultavano ben più gradite del sole estivo, però
attraversare il parco del castello per raggiungere la capanna di
Hagrid sotto una pioggia torrenziale non rappresentava certo il suo
passatempo preferito.
“Mary,
Rose, Priscilla, io credo proprio di dover andare: sono già le
quattro e avevo promesso ad Hagrid che sarei passata per il tè,
un giorno di questo fine-settimana. Oggi è già
domenica...” si scusò Lily.
Aveva
passato la giornata a studiare con le sue compagne di stanza: non le
era dispiaciuto, anzi, le aveva fatto piacere che le avessero chiesto
di unirsi a loro. Ovviamente questo non significava che
all'improvviso fossero diventate amiche.
“D'accordo...allora
grazie, Lily! Ora la ricetta dell' Infuso della Serenità mi
pare più chiara! Quasi quasi me lo preparerò prima di
ogni lezione di Pozioni, giusto per prevenire l'ansia.” scherzò
Priscilla, una ragazza sempre sorridente che giocava come Cacciatrice
nel Grifondoro.
“Bastasse
quella per dare serenità...” commentò Rose
Lily
sorrise e non potè non trovarsi d'accordo con lei: erano solo
sei anni che viveva nel Mondo Magico, ma una cosa l'aveva capita.
Nessuna pozione o incantesimo era in grado di risolvere i problemi.
La magia non rappresentava una soluzione per tutto.
“Sono
felice di esservi stata d'aiuto... allora vado. Ci vediamo dopo.”
salutò Lily
“Ciao
Lily!”
“Bah...
io non so chi glielo fa fare di attraversare il parco con
quest'aria!” bisbigliò Mary McDonald alle amiche.
Rose
alzò le spalle e disse:
“Lo
sappiamo che è un po' strana, Lily. Certo, sempre gentile,
disponibile e tutto... però è strana, bisogna
ammetterlo.”
“Già
il fatto stesso che fosse amica di Piton! Voglio dire, Piton!
Guardate la gente con cui va in giro!” intervenne Priscilla.
“Fossi
in te considererei di più il fatto che preferisse Piton a
Potter...- osservò scettica, Mary- comunque è sempre
tanto gentile, Lily. Su, avanti, torniamo ai compiti. Lily può
fare quello che crede, è grande abbastanza.”
Lily,
in piedi poco lontano da quel tavolo, aveva sentito tutto ma non
diede peso a quelle parole.
Sapeva
benissimo di essere un strana: l'aveva sempre saputo.
Lei
stessa si considerava un po' stana, quindi, per quale motivo gli
altri avrebbero dovuto pensare qualcosa di diverso?
Salutò
Madama Pince, la vigilie bibliotecaria, e si ritrovò nel
corridoio.
Tirò
fuori dalla tracolla in pelle la sciarpa e il mantello, che aveva
appallottolato alla bell'e meglio e si bardò, pronta per
affrontare il vento.
Le
faceva piacere andare a trovare Hagrid. L'aveva conosciuto all'inizio
del suo primo anno, un giorno che lei e Severus si erano persi e non
riuscivano a trovare l'aula di Trasfigurazione.
Hagrid
li aveva accompagnati e aveva garantito per loro presso la McGranitt
che così non si era arrabbiata.
Da
allora Lily passava a trovarlo, di tanto in tanto. Il più
delle volte da sola, dal momento che Severus non gradiva molto
quelle visite e non solo per la pessima cucina del guardiacaccia.
Trovava
che fosse fondamentalmente un rozzo e zotico mezzogigante, buono solo
per tener vivo l'orto.
Ma da
quell'anno, Lily non doveva più farsi problemi: la questione
del giustificare con Severus le visite da Hagrid era archiviata,
fondamentalmente perchè non c'era più nessun Severus.
Uscì
dal castello e proprio a metà strada scorse quattro figure che
andavano in direzione opposta alla sua: i Malandrini.
Lily
pensò immediatamente che fossero andati anche loro da Hagrid,
visto che, come lei ben sapeva, anche per quei quattro il
guardiacaccia sembrava aver sviluppato una spiccata e singolare
simpatia.
Tutti
trovavano simpatici i Malandrini, del resto.
“Evans”
la salutò Black, con un cenno del capo.
“Ciao
Lily!” fu l'entusiasta esclamazione che accompagnò il
sorriso di Peter.
“Ciao,
Lily.” disse secco, Potter
“Lily!
Dove stai andando?” le chiese Remus, fattosi più vicino.
“Sto
andando da Hagrid. Siete stati lì anche voi?” domandò,
affabile.
La
settimana prima era stato piacevole stare tutti e cinque insieme in
Sala Comune, dopo il discorso di Silente. Tutti e cinque troppo
spaventati per stare da soli, salvo Sirius.
“Oh
sì. E' piuttosto loquace, oggi.” le spiegò Remus
“E
ti offrirà tè e biscotti.” precisò Sirius,
con una smorfia.
“Come
al solito.” disse Lily, tormentandosi le mani.
“Già,
come al solito.” sospirò funereo, Peter.
James
Potter scoppiò a ridere e con lui anche gli altri due, ma Lily
non capì per quale motivo e quindi si limitò ad
osservarli, in attesa di spiegazioni.
“Devi
sapere che nemmeno Peter riesce a mangiare quelle gallette e ciò
significa che sono immangiabili. Per il compleanno di Hagrid
pensavamo quasi di regalargli un ricettario, ma dubito che
servirebbe. Credo che sia un problema congenito.” le raccontò
Potter.
“Sì,
sono veramente immangiabili, però mi dispiace e quindi mi
sforzo sempre di mandarne giù almeno una...” confessò
Lily, facendoli sorridere tutti e quattro.
“Ragazzi...
cosa ne dite di rientrare al castello. Fa piuttosto freddo e temo..
temo di non stare molto bene.” balbettò Remus e Lily,
guardandolo in faccia notò che aveva un'aria più
sbattuta del solito.
Sembrava
più pallido, gli occhi erano quelli di un febbricitante e
profonde occhiaie gli solcavano il viso.
Subito
a James e Sirius si ghiacciò il sorriso sul viso.
“Non
hai una bella cera, Remus. Prova ad andare da Madama Chips, di sicuro
avrà qualcosa da darti.” gli consigliò Lily, non
capendo però il motivo del gelo comparso sui volti dei tre
amici di Remus.
In
fin dei conti, tutti sapevano che Remus era piuttosto cagionevole di
salute e non le pareva il caso di allarmarsi così tanto per un
po' di febbre.
“Sì,
farò senz'altro così. Allora, ci vediamo, Lily.”
Remus accennò un sorriso e si avviò con gli altri al
castello.
Lily
li guardò allontanarsi e pensò che, in fondo, se presi
a piccole dosi, non erano poi così male, i Malandrini.
Lily aveva seguito
Remus e i suoi amici in Sala Comune.
A differenza del
mormorio che contraddistinse il percorso degli altri studenti,
all'interno del loro piccolo gruppo nessuno aveva parlato e, anche
ora che stavano tutti e cinque seduti attorno al camino, regnava il
silenzio.
Remus aveva tirato
fuori dalla cartella un libro e stava fingendo di leggerlo, seduto
sulla poltrona.
James stava sdraiato,
a gambe distese, sotto alla poltrona di Remus e guardava per aria,
giocando nervosamente col Boccino che teneva sempre in tasca.
Gli occhietti nervosi
di Peter Minus saettavano continuamente da un amico all'altro,
soffermandosi maggiormente su Lily, la nuova venuta e su Sirius che
ogni manciata di secondi cambiava posizione.
La stessa Lily non
sapeva esattamente il motivo per cui sedeva con i Malandrini: era
conscia solo del fatto di non voler stare da sola e allora aveva
seguito Remus.
Il fatto che lui
stesse con gli amici aveva fatto il resto.
Inaspettatamente fu
proprio Lily a parlare.
“Li conoscevo.”
disse semplicemente
Remus alzò la
testa dal libro, Potter smise di giocare col Boccino, intrappolandolo
nella mano, Peter prese a fissare lei, desideroso di altre notizie e
Sirius stette fermo a gambe incrociate.
“Sì.-
riprese Lily- Li conoscevo. Thomas Glow mi aveva portato la sua
sorellina dopo il Banchetto di inizio anno. Si era persa e non
riusciva più a ritrovare il gruppo di Grifondoro per salire
alla torre e lui... lui è di Corvonero e non sapeva come
arrivare. Da allora ogni tanto ho scambiato qualche parola con loro.”
“Ma loro... loro
staranno bene, vero?” chiese Peter
“Probabilmente
li avranno affidati a qualche parente.- ipotizzò Remus- Magari
tra qualche settimana rientreranno a scuola, sempre che non li
vogliano tenere a casa, visto quello che è successo.”
“Devono
rientrare a scuola. Hogwarts è il posto più sicuro. Qui
c'è Silente. Ci sono i professori, ci sono incantesimi in ogni
luogo.
Hogwarts è il
posto più sicuro. Sarebbe una follia non farli tornare.”
intervenne James
“Non è
sicurissima, Hogwarts. Guardate che gente la frequenta! Nott, Avery,
Mulciber... Mocciosus. Hogwarts non è sicura.” Sirius
si aprì in una risata aspra e roca.
“E' sempre più
sicura di altri luoghi. Questi fanno sul serio. Ricordate Justin
Dewey e Ophelia White? Non sono tornati quest' anno a scuola.
Scomparsi. Come le loro famiglie.” disse grave, Remus.
“Ma se Silente
non riesce a proteggere i suoi studenti, come si possono invogliare
le famiglie mandare i figli qui? Vi rendete conto di tutto quello che
succede ogni giorno in questo posto? Maledizioni, soprusi... e
Silente sa perfettamente chi c'è dietro.” replico duro
Sirius.
“Ma non
attaccheranno Hogwarts, Sirius. Non attaccheranno il castello come
hanno fatto con qualche villaggio. Non ci saranno stragi di Babbani e
nemmeno di maghi “Mezzosangue” .-insistette James- Certo,
credo che la situazione qui non sia meglio di quella fuori. Mio padre
ha a che fare con dei veri Mangiamorte e qui... qui ci sono gli
aspiranti. Ma le cose cambieranno.”
Per la seconda volta
in una sola serata Lily si ritrovò ad apprezzare Potter: era
sicuro, concreto e pareva sapere esattamente cosa andava fatto.
Camminò
in fretta, per percorrere i pochi metri che la separavano dalla
capanna di Hagrid.
Bussò
alla pesante porta di legno, augurandosi che le aprisse in fretta.
“Hagrid!
Apri! Sono Lily!”
“Lily!
Che bella sorpresa, entra!”
Hagrid
accolse con un enorme sorriso la ragazza che gli arrivava
difficilmente alla vita.
“Avanti
Lily, siediti! Che cosa ti posso offrire? Prima sono stati qui James,
Sirius, Remus e Peter... avevo preparato del te. Ora sarà
freddo, ma te lo rifaccio!”
“Non
preoccuparti. Sto bene così.”
“Sciocchezze!
Fuori si gela! Tanto è un attimo!”
Hagrid
mise la teiera a bollire e prese posto di fronte a Lily.
“Che
si dice al castello Lily? Ho avuto la versione di quei quattro, ma
sono certo che la tua è molto più corretta...Ah... ho
anche dei biscotti in forno, aspetta che te li tiro fuori!”
Lily
lo vide armeggiare con una presina grossa quanto due tovaglioli
attorno ad una stufa fatta a misura d'uomo. Il contrasto era evidente
e non poteva non far sorridere.
Non
appena Hagrid tirò in avanti la maniglia dello sportello entro
cui aveva messo la teglia con i biscotti, un piccolo botto precedette
la dispersione di un fumo verdastro e puzzolente per la stanza.
“Accidenti!
Maledetti Sirius Black e James Potter! Questa me la pagano!”
imprecò Hagrid, facendosi
aria con una mano e sbattendo nella pattumiera la teglia con le
gallette con l'altra mano.
“La
prossima volta che li vedo! Caccabombe! A casa mia! Nei miei
biscotti! Ha ragione quel vecchio rimbambito di Gazza! E io che li
copro sempre! Ah, ma se li prendo!” inveì, prima di
ricordarsi che non era solo, ma che c'era davanti a lui Lily Evans,
con uno sguardo perplesso e che i biscotti avrebbero dovuto essere
per la sua ospite
“Mi
dispiace, Lily, non ho più nulla da offrirti, salvo il tè.
Colpa di quei due mascalzoni!”
“Non
preoccuparti, Hagrid. Davvero. Va bene così. E poi... non
avevo molta fame. Davvero, siediti.” lo tranquillizzò
Lily.
Il
suo stomaco non poteva che considerare provvidenziale lo scherzo, ma
la parte razionale di Lily non riusciva a non trovare veramente di
cattivo gusto quello scherzo.
Il
povero Hagrid era sempre così gentile e disponibile e Potter e
Black si erano dimostrati ancora una volta due bulli arroganti,
convinti che tutto fosse loro dovuto.
“Mi
dispiace di poterti dare solo il tè... ma come vedi...”
“Davvero,
Hagrid. Non importa. Non è colpa tua: sono Black e Potter che
proseguono imperterriti con le loro pessime burle.”
“Ancora
non corre buon sangue tra voi, eh Lily? Eppure pensavo che i vostri
rapporti fossero migliorati. Mi hanno detto che tu e Remus siete
amici.” disse il nerboruto guardiacaccia, versando il tè
nella tazza di Lily.
“Oh
sì... bè... siamo amici, credo. Cioè, non lo so
di preciso, però penso che siamo amici...”rispose Lily,
imbarazzata.
Non
si aspettava certo una domanda del genere da Hagrid. Senza contare
che la risposta che gli aveva dato raffigurava pienamente il suo
pensiero: erano amici lei e Remus? Oppure no?
Quel
rapporto era così diverso dal morboso ed esclusivo legame che
aveva con Severus da non essere pienamente riconoscibile.
Ma
forse, forse Remus la considerava un'amica... e lei, lei era pronta a
considerare lui un amico?
“Come
sarebbe a dire credi? O si è amici o non lo si è.”
osservò Hagrid, con quella sua saggezza popolare.
“Bè...
è strano. Si può dire strano? Però sì,
penso che siamo amici. Chi te l'ha detto?”
“Me
ne hanno parlato prima i ragazzi. Certo, Remus è un gran bravo
ragazzo. Molto meglio lui di quel Piton, Lily. Dammi retta. Quello è
sempre immerso in cose strane... e nemmeno i suoi amici mi piacciono.
Remus invece è proprio un bravo ragazzo.” proseguì
Hagrid, mostrando scarso tatto.
“Severus
è... era... è diverso.” disse Lily a mezza voce.
“Lily,
lo sai. Piton non mi è mai piaciuto... ero gentile solo perchè
c'eri tu. Ma ecco, aveva uno strano modo di fare. E non mi piaceva.
E' meglio se avete rotto, dammi retta. E se diventi amica di Remus io
sono solo contento. Ti farà bene stare con lui.”
proseguì Hagrid, calcando la voce.
“E'
sempre molto gentile, Remus. Forse troppo.” sussurrò
Lily, sorseggiando il tè.
“Sì.
Nonostante tutto quello che gli è successo è proprio un
bravo ragazzo. Certo, se non avesse gli amici che si ritrova...teste
matte, quei due, ma veramente buoni amici. Sirius, sempre pronto a
scherzare e James, che mette tutti a proprio agio... e anche Peter,
timido, ma buono. Ah, se non ci fossero loro!”
“Hagrid-
chiese Lily- che intendi dire? Ti riferisci forse alla madre di Remus
che è gravemente malata?”
Hagrid
sgranò gli occhi, come se si fosse appena accorto di aver
detto qualcosa che non doveva lasciarsi sfuggire.
“Hagrid...
tutto bene?”
“Sì,
sì... tutto bene, Lily. Ora però devi andare, si è
fatto tardi ed è quasi ora di cena.” Hagrid si alzò
di colpo, colpendo con la vita il bordo del tavolo e facendo
rovesciare il tè.
“Hagrid,
ho detto qualcosa che non andava? Se è così scusami.
Non volevo, davvero.”
Lily
non sapeva cosa pensare: stavano parlando tranquillamente quando
Hagrid se n'era saltato in piedi agitato.
“No,
Lily, no. Stai tranquilla.- Hagrid raddolcì il tono, vedendo
la sua espressione meravigliata ed anche insicura-Adesso però
devi andare. E promettimi di stare attenta. Non è un bel
periodo e anche a scuola è difficile. Promettimi di stare
attenta e se puoi non girare da sola.”
Hagrid
la accompagnò alla porta e tra mille raccomandazioni la lasciò
andare.
Lily
si ritrovò sola nel parco e nuovamente mille riflessioni
presero a tormentarla.
Perchè
Hagrid l'aveva mandata via così? E Remus, erano amici?
Non
era lei ad essere completamente sbagliata? Se Hagrid aveva reagito a
quel modo doveva essere colpa sua, per via di qualcosa che aveva
detto.
Immersa
in mille pensieri, Lily raggiunse il castello, del tutto impreparata
alla vista della scena che le si parava davanti.
Una
ragazzina di almeno un paio d'anni più piccola se ne stava con
le ginocchia tra le mani contro una parete, mentre il sangue le
bagnava la divisa.
Davanti
a lei James Potter e Sirius Black schivavano fiotti di luce colorata
proveniente dalle bacchette di un gruppo di Serpeverde.
La
bocca di Lily si spalancò quando riconobbe la testa di
Severus.
Ecco
qui: ho aggiornato prima che ho potuto... ma sapete, le feste e tutto
quanto, gli esami che incombono...
Non
è un gran bel capitolo, questo, ma serviva a preparare il
prossimo, più denso, lugubre e alquanto disperante.
Proprio
per via dei due toni così diversi ho scelto di dividerli.
Non
temete, è quasi pronto... mancano poco. Spero di riuscire a
postarlo nel giro di un paio di giorni.
Ringrazio
chi ha letto, inserito la storia tra i preferiti e, ovviamente, chi
ha recensito.
Purepura:
grazie per la tua recensione: sono sempre illuminanti i tuoi
commenti! Sirius e Lily hanno qualcosa in comune: la perdita, il
vuoto dentro. Credo che potrebbe servire ad avvicinarli.
E
la guerra... la guerra è lì fuori, alle porte. Ed è
anche dentro Hogwarts. E Sirius e James, sbagliando, cercheranno di
combatterla, questa guerra, in modi non proprio ortodossi...
Nel
prossimo capitolo capirai meglio, per ora scusami. E' orribile
questa parte, ne sono consapevole..
Ti
è piaciuta questa parte su Lily? Preparati, nel prossimo
capitolo sembrerà che tutti i progressi che ha tentato
faticosamente di fare siano falliti. E la realtà cadrà
su di lei.
PrincessMarauders:
grazie anche a te! Mi segui sempre e non posso che esserne felice.
Nel prossimo capitolo ci sarà una parte più
introspettiva dedicata a Lily, spero che ti piaccia.
|
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Capitolo 8 *** Settimo Capitolo (parte II) ***
“Lily,
togliti di lì!” gridò Potter, piegandosi per
evitare uno Schiantesimo
“Evans,
va' via! Vai a chiamare un insegnante, qualcuno, dannazione!”
le urlò Black, mentre lei, inebetita non riusciva a muoversi
di un millimetro.
Posò
gli occhi sulla ragazzina che si stringeva le ginocchia e la vista
del suo terrore le fece recuperare la calma necessaria ad agire.
Era
un Prefetto, dopotutto.
“Adesso
basta!- strillò con fare isterico- Basta! Riponete le
bacchette!”
“E
lo dovrei fare solo perchè me lo dice una MezzaBabbana?
Tornatene a casa, Evans. Questo non è il tuo posto.”
ghignò Nott, quel corpulento Corvonero del settimo anno,
fratello della Rachel Nott Prefetto di Serpeverde.
“Bada
a come parli!” ringhiò Potter, puntandogli contro la
bacchetta e scagliandogli una maledizione.
“Parlo
come voglio, Potter.” gli rispose l'altro, mentre Black dava
battaglia ad Avery e Piton.
“Basta!
Ho detto! Basta!- proseguì Lily, senza sapere da dove le
veniva quel coraggio- Expelliarmus!”
L'incantesimo
di disarmo colpì e tutte e cinque le bacchette finirono ai
piedi di Lily che, rapida, le raccolse.
“E
adesso andatevene, tutti quanti. Avanti. In fretta. Consegnerò
le vostre bacchette alla McGranitt. Rivolgetevi a lei.”
sentenziò, senza ammettere repliche.
“Tu
credi che ce ne andremo così in fretta, Sanguesporco? Non
credi che volendo, ci siano altri modi?” rise Avery.
“In
effetti la tua faccia aspetta solo di essere gonfiata di botte.”
replicò Sirius, sardonico.
“Come
ti premetti, traditore! Il tuo posto dovrebbe essere tra noi!”
“Ti
sbagli. Lui ha scelto di abbandonarci molto tempo fa.” Regulus
Black era comparso all'improvviso, sbucando dall' angolo.
La
sua somiglianza con Sirius era impressionante.
“Reg,
che bella sorpresa. Mancavi solo tu.”ironizzò Sirius.
“Ho
detto che dovete andarvene! Immediatamente.” proseguì
Lily, senza accorgersi che Avery si stava allontanando dal gruppo,
avvicinandosi pericolosamente alla ragazzina.
“Non
provare a toccarla.” soffiò James, parandosi davanti a
lei.
“Altrimenti
cosa mi fai, Potter? Sei disarmato.”
“Anche
tu, se non erro.”
“Ho
detto basta!” Lily puntò la bacchetta contro Potter ed
Avery, facendoli sbattere entrambi contro le pareti, così da
separarli.
“Andiamo
via.- propose Piton, vedendo come si stava mettendo la situazione-
Evans ha già le nostre bacchette. Ci cacceremo nei guai.”
Gli
altri annuirono e, recuperato Avery e lanciata qualche minaccia, si
allontanarono.
Sirius
li fissò, con occhi spiritati e li seguì.
“Sirius! Dove vai! Torna qui!” gridò James,
tamponandosi con un gomito la piccola ferita che aveva sulla guancia.
L'amico non lo sentì e continuò a correre.
Lily, cercando di non lasciarsi prendere dalla disperazione, si
inginocchiò di fronte alla ragazzina, che tremava.
“Stai bene? Come ti chiami?” le chiese, gentilmente.
“Eva. Eva Flynn.” balbettò, ancora spaventata.
“Ti
fa male la gamba? Pensi di poter arrivare da Madama Chips?”
domandò apprensiva.
“Sì.
Credo di sì.” rispose, provando a sorridere.
“Aspetta,
provo a fermarti il sangue e poi ti accompagno da Madama Chips.”
“Lascia
stare, Lily, faccio io.” James Potter si protese in avanti,
cercando di aiutare come meglio poteva.
“Non
sei d'aiuto, Potter. Accompagno lei e poi vado dalla McGranitt.
Potrai rivolgerti a lei per la bacchetta.” replicò dura.
“Allora
vai solo dalla McGranitt. Accompagno io Eva.”
Le
mani di Lily si muovevano agili sulla ferita che, grazie ad un
piccolo aiuto magico, stava venendo ripulita.
“Grazie.
Non so davvero come avrei fatto senza di voi.” Eva provò
ad alzarsi in piedi, ma ricadde immediatamente a terra, non riuscendo
ad appoggiare il peso.
“Aspetta,
vieni. Appoggiati a me.” Potter le offrì il braccio a
cui la ragazza si attaccò, a mo' di stampella.
“Adesso
andiamo, Eva. Solo un momento. Lily... non è che mi ridaresti
la mia bacchetta?”
“No,
Potter. La riavrai anche tu come gli altri dalla McGranitt.”
“Grazie
per la considerazione. Si da il caso però che io sia dalla
parte dei buoni, Lily.” le fece notare irritato.
“Ti
credi diverso da loro, Potter? E' così?” lo aggredì
Lily
“Sì.
Nel caso non te ne fossi accorta non vado in giro ad aggredire la
gente. Sai com'è...” constatò, cercando di
mantenere la conversazione su un livello civile ed ironico.
“Non
siete diversi, Potter. Ti sei scontrato con loro. E scagli
incantesimi contro chiunque dica qualcosa su di te o sui tuoi amici.”
gli disse, decisa ad arrivare al punto.
“Scaglio
maledizioni contro chi osa dire sostenere Voldemort e le sue fottute
idee. Non le scaglio a caso.”
“E
questo fa sì che tu ti reputi diverso, Potter? Siete uguali,
invece. Avete la mente annebbiata dagli stessi pregiudizi. Non sei
migliore di loro se ti metti a duellare in mezzo ad un corridoio.”
“E
che diavolo avrei dovuto fare, sentiamo. Che cosa avrei dovuto fare
oggi?” ruggì, sempre più arrabbiato.
Lily
trasalì, ma non si fece intimidire. Eva desiderava solo che la
facessero finita, così da portarla in Infermeria.
“Non
sto parlando solo di oggi, Potter. Possibile che tu non capisca?
Possibile che non ti renda conto che questo tuo comportamento non
porterà da nessuna parte? Genererà solo altri scontri.”
ribattè accorata Lily.
“E
allora che scontro sia. Sono pronto.” replicò James,
facendole capire che la conversazione era chiusa.
“Dovresti andare in Infermeria anche tu, Potter.” gli
disse Lily, gelida.
“E' tutto a posto.”James si sfregò la ferita e si
caricò sulle spalle Eva e chiedendosi per l'ennesima volta
come potesse Lily Evans non capire.
“Di che Casa sei, Eva?” le chiese James, con fare
gentile.
“Tassorosso. Dicono tutti che sia la Casa degli smidollati.”
rispose, tra un singhiozzo e l'altro la ragazza.
“Oh, io non credo. Sai Eva? Non ci credo per niente. Non credo
che essere amici leali e fedeli significhi essere smidollati.”
le sorrise.
“Sirius! Dove vai! Torna qui!” gridò James,
tamponandosi con un gomito la piccola ferita che aveva sulla guancia.
L'amico non lo sentì e continuò a correre.
Seguì il gruppo di Serpeverde davanti a lui, ripetendo di
continuo il nome di suo fratello.
“Regulus! Regulus! Vieni qui!”
Regulus esitò per un momento, sostando in mezzo al corridoio,
quando uno dei suoi compagni, che Sirius non riuscì a
riconoscere, lo strattonò per la manica, portandolo via.
Sirius continuò a correre, con le gambe mosse dalla forza
della disperazione. Lui doveva parlare con suo fratello.
Non poteva assistere impotente.
Li seguì per i corridoi, giù dalle scale ripide che
portavano ai freddi sotterranei.
Sirius capì che la Sala Comune di Serpeverde doveva essere
vicina.
“Reg! Vieni qui!” urlò, senza smettere di correre.
Corse, sino a quando non afferrò il colletto della divisa del
fratello.
“Adesso io e te parliamo.- ringhiò- E voi non azzardate
a mettervi in mezzo.” disse, rivolto ad Avery e Mulciber, che
si stavano preparando ad un nuovo scontro.
“Andate. Vi raggiungo subito.” Regulus scacciò gli
amici e, sprezzante, si rivolse al fratello.
“Che vuoi, Sirius?”
“Ti devo parlare, Reg. Sono... sono preoccupato per te.”
confessò Sirius, cercando i tanto famigliari occhi di quel
fratello che era stato amico e compagno di giochi nell'infanzia.
Un' infanzia che mai come allora gli parve così lontana.
Ricordava due occhi azzurri, innocenti e trasparenti e non freddi e
distanti come quelli che lo stavano squadrando in quel momento.
“Adesso ti ricordi che esisto, Sirius? L'estate scorsa e negli
anni prima io non esistevo. Io ero solo il pedante fratellino
rompiscatole.” lo schernì
“Reg, ti rendi conto di che gente sono i tuoi amici?”
proseguì Sirius, con tono accusatorio, fingendo di non aver
sentito.
“Da quando ti interessa?”
“Sono preoccupato, Reg!”
“E' un po' tardi per essere preoccupati, Sirius.” disse
atono
“Dannazione, come puoi non capire! Quelli... quelli non vedono
l'ora di unirsi a Voldemort! Non vedono l'ora di diventare
Mangiamorte! Hai visto cosa hanno fatto a quella ragazzina?”
strillò Sirius, mettendolo al muro.
“Lei non è come noi.” replicò Regulus,
altrettanto duramente.
“E queste cosa sono? Le belle idee che ti ha messo in testa
mamma o te l'hanno detto i tuoi nuovi amici? Lascia che ti dica una
cosa, Reg: se lei è qui significa che è come noi.
Impara a pensare con la tua testa.” soffiò Sirius,
strattonandolo.
“Come fai tu? Tu che non sei altro che il cagnolino di Potter?”
lo schernì
“Lascia fuori James da questa storia.”
“Oh no, Sirius no.- Regulus scoppiò a ridere. Una risata
glaciale ed ironica.- Non lascio fuori Potter, visto che tu continui
a parlare dei miei amici.”
“James non è un aspirante assassino.”
“No, forse no. Forse è solo un povero illuso ignorante
come la maggioranza delle persone che popola questo posto, però
Sirius, ammettilo: da quando lo hai conosciuto nessun altro è
più esistito. Io per te non sono più stato nessuno.”
“Mi dispiace Reg. Mi dispiace davvero, ma lo sai... negli anni
i rapporti a casa sono peggiorati sempre più. Non riuscivo ad
essere me stesso. Non mi accettavano per quello che ero... e invece
qui, qui... ho potuto essere apprezzato per quello che sono: perchè
sono Sirius, solo Sirius. Non Sirius Black il primogenito, l'erede.
Solo Sirius. E mi dispiace, mi dispiace Regulus se ti ho trascurato.
Ma adesso... adesso potremmo riprovare. Sono preoccupato, Reg: là
fuori sta per scoppiare una guerra e quelli sono dei pazzi.... e
tu... tu ti stai lasciano coinvolgere.”
Regulus fissò il fratello che gesticolava di fronte a lui,
come in preda al panico.
“Non c'eri quando avevo bisogno, Sirius.” sentenziò,
secco Regulus.
“Mi hanno detto che non ero loro figlio! Renditene conto! Che
dovevo fare? Restare lì? Tu la fai semplice, sei sempre stato
preferito, rispetto a me. Il ribelle, lo sfrontato, l'ingrato Sirius
contrapposto a te. Come fai a non capirlo, Reg, io ero geloso!
Geloso. Geloso marcio, Regulus. Di te.” urlò Sirius,
profondamente irato.
“Geloso? Di me?- lo schernì- Se è così
torna a casa, Sirius. Ne saranno felici. In famiglia tutti ti
riaccoglierebbero.”
“Ti sbagli. Riaccoglierebbero l'erede maschio primogenito. Non
Sirius. Non me, con i miei pregi ed i miei difetti, con le mie
convinzioni ed i miei ideali. Credi che vogliano bene a te per quello
che pensi, per come sei? Ti vogliono solo perchè rispecchi le
loro convinzioni. Apri gli occhi, Reg. non è troppo tardi.
Vieni via.”
Sirius si accorse che il tono distaccato e severo che aveva
all'inizio della conversazione stava diventando sempre più
simile ad una supplica.
“No.” fu la perentoria risposta che Sirius ricevette.
“Ma vuoi diventare come loro? Un piccolo, spocchioso razzista
assassino?”
“Io ci credo, Sirius. I nostri genitori, Lord Voldemort...hanno
ragione. Te ne renderai conto.” fu la replica che ricevette e
che gli risultò dolorosa quanto una coltellata.
Furibondo abbassò la testa, per poi rialzarla, di scatto e
guardare ancora una volta negli occhi quel viso simile al suo.
Strattonò il fratello per la collottola, urlandogli tutto il
suo disprezzo.
“Ah, va' al diavolo, Regulus. Tu e tutta la nostra famiglia. La
cara Walburga in primis.”
Mentre lui si allontanava, di corsa, Regulus, si lasciò cadere
contro la parete, impotente, chiamando per un'ultima volta il
fratello perduto.
“Sirius! Torna qui!”
Ma Sirius non ascoltava e continuava la sua corsa solitaria.
Aveva bisogno di prendere a pugni qualcosa, qualcuno...
Salì le scale senza interrompere la corsa. Percorse tutti i
corridoi possibili, senza far caso al fatto che ciascuno appariva
identico al precedente.
Arrivò al settimo piano. Barnaba il Babbeo dal suo arazzo gli
strizzò un occhio, ma Sirius era troppo impegnato per
potersene accorgere.
C'era solo una cosa che avrebbe potuto calmarlo, fatta eccezione per
il prendere a botte Avery, Mulciber e tutti i loro compagni.
Titubante entrò nella Stanza delle Necessità: qualora
non avesse trovato quello che cercava, avrebbe comunque potuto
starsene da solo.
Invece un lucido pianoforte a coda lo stava aspettando proprio al
centro della stanza.
Sirius lo scrutò da lontano, incredulo.
Suonare era l'unica cosa che lo faceva stare meglio durante la sua
permanenza a Grimmauld Place.
Era ormai più di un anno che non toccava quei tasti bianchi e
neri che erano stati i suoi compagni in pomeriggi solitari.
Si avvicinò, incerto, come se temesse che quel regalo
inaspettato potesse sparire da un momento all'altro.
Ne accarezzò i tasti, prima di decidersi a sedersi.
Spostò lo sgabello per prendere posto e poi inspirò,
iniziando a premere i primi tasti.
Le dita agili e flessuose parevano aver riconosciuto immediatamente
il loro posto e presero a muoversi da sole, lasciando il loro
proprietario immerso in mille pensieri.
E Sirius suonò.
Suonò quella “Per Elisa” per sé stesso.
Per quello che era stato.
Per quello che sarebbe diventato.
Suonò per quel fratello che correva nella sua stanza dopo un
incubo e per le volte in cui cercavano di divertirsi, nascondendosi
agli occhi dei genitori.
Suonò per le volte in cui si erano finti malati, pur di non
partecipare alle noiose feste di società a cui erano costretti
a presenziare.
Suonò per tutte le botte che aveva preso al posto di Regulus,
coprendo i suoi errori.
Suonò una sonata che grondava dolore e disperazione.
Suonò senza accorgersi che James l'aveva trovato e si era
acciambellato ai suoi piedi, meravigliato dalla bravura del suo
migliore amico, ma soprattutto sconvolto per il dolore che quella
musica comunicava.
Suonò, guardando oltre le sue spalle solo all'ultimo, quando
posò lo sguardo su James ringraziandolo tacitamente per essere
stato in silenzio.
Ringraziandolo per essere stato lì.
“Di che Casa sei, Eva?” le chiese James, con fare
gentile.
“Tassorosso.
Dicono tutti che sia la Casa degli smidollati.” rispose, tra un
singhiozzo e l'altro la ragazza.
“Oh,
io non credo. Sai Eva? Non ci credo per niente. Non credo che essere
amici leali e fedeli significhi essere smidollati.” le sorrise.
Lily aveva consegnato le bacchette alla McGranitt, svolgendo
perfettamente il suo compito di Prefetto, ricevendo lodi e promesse
di convocazione dal Preside per tutti gli altri.
Ciò nonostante, durante quel colloquio, la sua attenzione era
altrove.
Quelle parole, quelle semplici frasi di circostanza, forse, che
Potter aveva rivolto ad Eva Flynn continuavano a ronzarle nella
mente.
Il sorriso appena accennato che era riuscito, grazie a quelle parole,
forse scontate, a far spuntare sul viso di quella ragazzina
spaventata le era rimasto impresso.
Il punto era che lui ci credeva davvero in quello che aveva detto.
Potter era fermamente convinto.
Ne era sicuro, non certo, perchè la certezza è
soggettiva, proprio sicuro. Oggettivamente sicuro che Tassorosso
fosse una Casa importante tanto quanto le altre.
E forse, forse era proprio quella sicurezza che traspariva e che
aveva reso così funzionanti quelle frasi consolatorie
altrimenti scontate e banali.
Quei modi gentili, calorosi e rassicuranti cozzavano con il ragazzo
burbero, bellicoso ed arrogante con cui aveva avuto modo di
confrontarsi poco prima.
Chi era James Potter? Era il ragazzo egocentrico e borioso che aveva
conosciuto in quegli anni oppure il perno attorno a cui ruotava la
vita dei suoi amici, come aveva osservato in quella settimana?
Si era resa conto di non conoscerlo affatto, di non sapere nulla di
lui. Eppure, eppure in quella settimana che avevano vissuto più
o meno insieme le era sembrato di vedere qualcosa di positivo in lui,
qualcosa di buono, qualcosa che faceva sì che lui fosse,
meritatamente, uno dei ragazzi più popolari di Hogwarts e non
solo per il bell'aspetto o per la bravura nel Quidditch, ma per il
sorriso, per l'incoraggiamento e le buone parole che aveva per tutti,
i suoi amici per primi.
Le era sembrato di capire, anche solo lievemente, per quale motivo
Remus o il timido Peter avessero concesso la loro fiducia
all'appariscente e carismatico James Potter.
Ma era possibile farsi l'idea giusta di una persona in una sola
settimana?
Dopotutto, Potter era sempre lo stesso. Era l'attaccabrighe
sfrontato, convinto che essere Grifondoro lo mettesse automaticamente
tra i “buoni”. Convinto che Serpeverde fosse il Male,
convinto di essere l'unico depositario della ragione e, pertanto,
autorizzato a fare quello che gli pareva, duellando tra una lezione e
l'altra con coloro che aveva inserito nelle liste dei “cattivi.”
Il modo in cui lui e il suo amico Sirius Black si erano comportati
poco prima non faceva che confermarlo.
Ma, allora, che avrebbero dovuto fare? Possibile che non ci fosse un
altro modo per combattere quella guerra dentro Hogwarts? Possibile
che fosse necessario lo scontro?
Lily non lo sapeva.
Non sapeva cosa pensare.
E poi... poi c'era Severus.
Severus, il suo migliore amico.
Severus, il bambino che le aveva rivelato di essere una strega.
Ma esisteva ancora quel bambino?
Esisteva ancora da qualche parte il suo migliore amico?
Lily sapeva solo che aveva troppe cose per la testa. Troppi erano i
pensieri che si affastellavano l'uno sull'altro, senza darle tregua.
Aveva bisogno di stare da sola, senza vedere nessuno. Forse, così,
si sarebbe calmata.
Cercando di ricacciare in fondo alla mente i pensieri più
dolorosi, Lily attraversò i corridoi ormai bui e freddi, alla
ricerca una stanza, una qualsiasi, in cui potersene stare da sola.
Sola.
Come era sempre stata.
“Ma chi vuoi prendere in giro, Lily?” si disse, mentre
spingeva la porta di legno di un'aula vuota al primo piano, quella
che era stata la classe di Incantesimi al suo primo anno.
“Stare da soli non serve a niente. A niente!” strillò,
prendendo a pugni il muro di pietra ed aggrappandosi ad esso come ad
un sostegno.
“Non serve a niente stare da soli.” singhiozzò,
lasciandosi cadere lungo la parete e prendendosi il viso tra le mani.
Dov'era Severus? Perchè se n'era andato?
Perchè?
Perchè lo avevano traviato? Perchè non c'era più
il ragazzo timido ed impacciato che aveva imparato a conoscere, a cui
voleva bene e che considerava un fratello?
Perchè Severus non era lì ad asciugare le sue lacrime?
Lily desiderava disperatamente che lì di fianco ci fosse il
suo Sev, a dirle che non era lei, quella sbagliata. Era il mondo a
non essere ancora pronto per una come Lily.
“Ci
sarai sempre, Sev?
“Sei
la mia migliore amica, Lily. E questo non cambierà mai.”
“Quindi
ci sarai sempre?”
“Sempre.”
“Anche
se sono complessata e paranoica?”
“Sempre.
Anche se sei complessata e paranoica.”
Perchè sembrava che lei fosse destinata a stare sola? Non ce
la faceva più a stare da sola.
Era stanca di essere sempre la perfetta Lily Evans, quella che sembra
non avere mai problemi.
Lei, invece, di problemi ne aveva fin troppi. E non c'era nessuno
disposto a dividere con lei quel fardello.
“E invece c'era... c'era qualcuno che avrebbe voluto esserci.
Ma io... io ho mandato via tutti. Sono... sono... sono sbagliata. E'
ovvio che io sia qui sola.”
Forse, se fosse stata come le sue compagne, non avrebbe avuto quei
problemi.
Sarebbe stata più furba, più sveglia, più
accorta. Più amata.
Anche Remus, presto, si sarebbe stancato di Lily Evans.
“Volevo
solo che tu sapessi che, se hai bisogno di parlare io ci sono, ok?”
Ma sarebbe stata capace di afferrare quella mano tesa?
E pianse.
Pianse per Severus. Per quello che era stato il “suo” Sev
e per quello che era diventato.
“Piccola
lurida Sanguesporco.”
Pianse per Petunia e per le loro incomprensioni.
“Mi
dispiace, Tunia. Magari potrei chiedere al professor Silente se puoi
venire anche tu.”
“Mostro.
Io non voglio parlare con te. Sei un mostro.”
“Tunia...
io... sei mia sorella, non andartene.”
“Mostro.”
Pianse per se stessa.
“Certo
che Lily Evans è proprio strana.”
Pianse, pur sapendo che non sarebbe servito. Pur essendo conscia
della necessità di affrontare la realtà rimboccandosi
le maniche.
Ma Lily da sola non ce l'avrebbe fatta. Non ne era capace.
Pianse, invocando l'aiuto di qualcuno che la salvasse.
Qualcuno che la salvasse da se stessa.
Ok,
è andata. Non è stato un capitolo semplice, questo. Né
da scrivere e nemmeno da leggere, credo. Pareva che Lily e James si
fossero avvicinati un po', ma è davvero così? Quello
che li aspetta, che li aspetta tutti quanti, non è semplice e,
in un modo o nell'altro, questo capitolo rappresentava un po' una
svolta, credo.
Vi
ringrazio ancora una volta tutti quanti, perchè questa non è
una storia semplice. Non è bella, non è allegra e non è
spensierata e so che anche da leggere risulta più dura di
altre; sono anche consapevole del fatto che spesso i capitoli possano
sembrare slegati uno dall'altro, ma è voluto. E' mia
intenzione dare una narrazione “spezzettata” perchè,
come dice il titolo, questi sono Pezzi di Loro e, quindi, per una
traduzione esatta del titolo, Pezzi di Noi.
Per
questo motivo non posso che ringraziarvi tutti quanti.
Ringrazio
Bellis per le continue rassicurazioni e ringrazio chi ha
inserito la storia tra i preferiti e Princess Marauders e purepura
che hanno recensito e che è
giusto che abbiano la loro risposta.
PrincessMarauders:
grazie a te, ad Emanuela e a Leila. Spero che anche questo capitolo
ti sia piaciuto.
Purepura:
sai, io non sono una sostenitrice del “cambiamento di James a
tutti i costi”, io credo che lui sia sempre stato così.
Empatico, disponibile, riflessivo, corretto. James, per quanto
impulsivo, non è Sirius. Non lo è mai stato. Io credo
fondamentalmente che lui sia sempre stato “buono”, nel
senso che la sua posizione nei riguardi della guerra e di tutto
quello che accadeva l'ha sempre espressa ed è sempre stato
dalla parte dei “buoni”, però credo che sbagliasse
nel modo di combattere, come ho cercato di spiegare un po' qui.
Intendo
dire, perchè è una spiegazione confusa, hai presente la
scena del peggior ricordo di Piton, quello che ha dato il via alla
campagna del “Potter è un bullo arrogante e prepotente
che si diverte a prendere in giro i compagni più deboli”?
Se
non erro, salvo Lily, nessuno interviene. Nessuno va a salvare Piton,
sebbene attorno ci fosse molta gente. E questo perchè?
Evidentemente non è Potter ad essere il cattivo della
situazione, il bullo che tormenta gli studenti più deboli, ma
è Piton a non essere proprio innocente.
Se
Potter &Co fossero dei bulli arroganti e basta, dubito che
godrebbero del sostegno e dell'ammirazione dei compagni( senza
contare che ad Hogwarts tutti conservano ottimi ricordi di James). Mi
sono quindi convinta che, agli occhi degli altri, Potter apparisse
come una sorte di “giustiziere”, se così posso
dire.
Ovviamente
è un'opinione personale, condivisibile o meno che sia.
Il
cosiddetto “cambiamento” io lo vedo in altro modo e, se
vorrai continuare a seguirmi, lo potrai leggere.
Sai,
nella tua recensione hai colto perfettamente il punto: Lily deve
accettare la realtà, deve essere messa di fronte alla realtà
e deve reagire. Solo così potrà andare avanti e
riappropriarsi si se stessa, però, come hai visto, questa
“mia” Lily da sola non ce la fa.
Spero
di non averti traumatizzata con questa lunga risposta, alla prossima!
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Capitolo 9 *** Ottavo capitolo ***
STANZA DELLE NECESSITA'
“Non sapevo che sapessi suonare.” James abbozzò un
sorriso, abbassando immediatamente lo sguardo, come se trovasse la
punta delle sue scarpe tremendamente interessante.
“Ci sono cose che nemmeno tu sai, James.” gli rispose
Sirius in un soffio, fissando un punto imprecisato sulla parete.
James avrebbe voluto dire qualcosa. Qualcosa di più, qualcosa
che lo facesse stare bene.
Il passato di Sirius per lui, per loro, era avvolto ancora da troppe
nebbie.
“Sirius non è colpa tua.” disse semplicemente
“Ah no? E se lo fosse, James? Se fosse colpa mia? Se avessi
dovuto e potuto fare di più?”
“Non potevi, Sirius.”
“Ma dovevo. Dovevo fare di più. Dovevo, dannazione. E'
mio fratello! Mio fratello! Finirà male, James. Lo sento.
Finirà male. Lo devo tirare fuori da lì. Lo devo
assolutamente tirare fuori da lì.”
Sirius si era alzato, passeggiava nervosamente per la Stanza delle
Necessità e il tono di voce si stava facendo pericolosamente
isterico.
“Dovevo fare di più, maledizione! Di più! Avrei
dovuto portarlo via con me! Avrei dovuto! Sono sempre il solito
egoista! Ho pensato solo a me stesso! Solo a me stesso, James. Solo a
me stesso.”
Anche James si era alzato. Afferrò i pugni vaganti per aria
che Sirius stava tirando contro un nemico immaginario e li strinse
tra le braccia.
“Non è colpa tua. Non è colpa tua. Ognuno è
responsabile delle sue scelte, Sirius. Anche Regulus.”
“Ma..”
“Non è colpa tua, Sirius. Mi hai capito? Non è
colpa tua.”ripetè James serio
“James...”
Sirius si aggrappò a lui prendendo a pugni la schiena di
quell'amico che rappresentava il fratello che non aveva avuto.
“Sono qui. Sono qui.”
Rimasero così per qualche minuto, il tempo necessario perchè
Sirius si riprendesse.
“James, che non esca di qui quello che è successo, ok?”
si raccomandò Sirius, a metà tra il serio e il faceto.
“Hai la mia parola. - confermò l'amico- E comunque suoni
bene. Avresti potuto dirmelo.”
“La musica è la memoria di un passato che vorrei
dimenticare.”
DORMITORIO MASCHILE DI GRIFONDORO
In camera erano rimasti solo James e Remus: Sirius era andato a farsi
una doccia e Peter stava cercando un libro in Biblioteca.
Remus stava leggendo Narciso e Boccadoro, impegnato com'era nella
conoscenza dell'intera opera di Herman Hesse, mentre James se ne
stava sdraiato sul letto a fissare il soffitto.
“Remus. Posso chiederti una cosa?” domandò,
interrompendo il silenzio.
Remus aggrottò le sopracciglia. Annuì e
dall'espressione di James capì che doveva trattarsi di cose
serie, pertanto chiuse il libro posandolo sul comodino.
“Dimmi.”
“Sapevi che Sirius sa suonare il pianoforte?”
“Lo immaginavo.”
Vide la faccia sorpresa e compiaciuta di James e scelse di
proseguire.
“Mi è capitato di vedere qualche spartito accartocciato
nel baule di Sirius-spiegò-ma soprattutto negli anni scorsi,
forse perchè era ancora più disordinato, qualche anno
fa.”
James sorrise: Remus sapeva sempre tutto. Remus capiva tutto sempre
prima degli altri.
Era come se la sua maledizione gli avesse donato una sensibilità
e un'attenzione agli altri così particolare, acuendo alcuni
tratti che già gli sarebbero stati propri, da permettergli di
essere sempre una spanna avanti.
“Perchè non ce ne hai mai parlato? A me e a Peter
intendo.”
Remus alzò le spalle.
“Non mi sembrava giusto. Se Sirius avesse voluto che lo
sapessimo ce l'avrebbe detto, credo.”
“Remus...”
“Hmmm?”
“Dici che capiremo mai Sirius completamente? Dici che
riusciremo mai a farlo parlare di più di sé?”
Ogni volta che il passato di Sirius arrivava a scombinare il tipico
equilibrio malandrino James si poneva delle domande su se stesso,
certo di non fare abbastanza per quell'amico che per lui era un
fratello.
Il fratello che lui, nella sua coccolata infanzia di figlio unico non
aveva avuto e che aveva trovato in quel ragazzino scostante e
impertinente, col quale, il primo giorno di scuola, aveva già
deciso di fare amicizia. Come se già sapesse che i loro
destini sarebbero stati indissolubilmente legati.
Aveva vinto le sue resistenze e la sua ritrosia.
Aveva fatto di Sirius il suo migliore amico e lui stesso era
diventato altrettanto, ma allora, allora perchè Sirius restava
così misterioso?
“Non lo so, James. Se devo essere sincero, non lo so. Vedi
James, io dopo mille titubanze mi confido con voi, Peter ci viene a
dire tutto. Tu sei una via di mezzo: chiacchieri e sei logorroico
oltre misura ma , anche se non te l'ho mai detto, so perfettamente
che molte e troppe cose te le tieni per te, come se non volessi
turbare nessuno. Come se fossero problemi tuoi e basta, come se tu
dovessi sempre mostrarti sicuro e senza preoccupazioni, solo per far
star bene noi. Dico bene?”
Remus ammiccò in direzione dell'amico, che alzò gli
occhi al cielo, vergognoso.
“Lunastorta, Lunastorta, Lunastorta... sfugge mai niente a te?”
disse, con il suo solito sorriso sghembo stampato in volto.
“E Sirius, Rem? Cosa hai capito di Sirius?” chiese poi,
ansioso di sentirsi dire che anche Remus aveva avuto le sue stesse
intuizioni.
“Ho capito che Sirius conserva troppi brutti ricordi, dentro di
sé. Ci sono cose di cui non so se ci parlerà mai. Ci
sono cose che vuole rimuovere, ma che l'hanno reso quello che è.
Sirius è sempre così diretto e schietto nell'esprimere
le sue emozioni. Lo è molto più di tutti noi, ma il suo
passato, la sua famiglia, lo tormenta ancora.”
“E noi cosa possiamo fare, Rem?”
“Possiamo solo essergli amici, James. E se vorrà
parlare, sarà lui a farlo.” concluse Remus, in un
sorriso tirato, facendo però capire a James che, nonostante
tutto, loro stavano già facendo tutto ciò che era
possibile per dei ragazzi di diciassette anni.
Essergli amici, stargli vicino. Essere la sua famiglia.
La bocca di James si aprì in un sorriso: il primo, vero
sorriso della giornata.
“James... come sta Lily? Dopo quello che è
successo...intendo con Piton e gli altri” chiese ad un tratto
Remus
“Credo sia molto turbata, ma nonostante questo ha trovato il
tempo di dirmi che sono arrogante, presuntuoso e prepotente perchè
ho osato attaccare il suo amichetto aspirante Mangiamorte.”
“James!” sbruffò Remus
“E che dovevamo fare, scusa? Per poco non facevano perdere una
gamba ad Eva Flynn! Dovevamo andare lì e dire “ Ehi,
scusa... non è che puoi evitare? Comunque, bella camicia,
amico!” Remus, anche tu! Dalla Evans me lo aspetto, ma da te!”
James era piuttosto irritato. Perchè nemmeno Remus capiva?
Perchè sembrava che la colpa ora fosse sua?
“James, per Merlino, calmati! Siediti e non urlare.”
“Remus! Che diavolo avrei dovuto fare! Che cosa? Avanti,
dimmelo! Da solo non capisco! Dimmelo, Remus! Adesso tentare di
fermare dei pazzi è sbagliato? E' sbagliato, Remus?”
gridò James, infervorato.
Anche Remus si era alzato in piedi e costrinse l'amico a sedersi.
“James, basta! Siediti e ascoltami! Non è sbagliato il
cosa. E' sbagliato il come. Capisci che, se attacchi uno di loro ti
poni al loro stesso livello? Perchè credi che Silente vi abbia
convocati tutti dopo cena? Per fare le congratulazioni a te e a
Sirius? No, James. Avete attaccato degli studenti, accidenti! Avete
duellato in mezzo ad un corridoio! Ecco cosa avete fatto di
sbagliato. E non si fa!”
“Remus, se tu ci fossi stato concorderesti con me nel dire che
non ci sarebbe stato niente di diverso da fare!” insistette
James, prendendosi la testa tra le mani.
Il tono di Remus si raddolcì lievemente.
“James, io non c'ero e non so cosa sia successo. Non ne ho
idea. Mi devo basare sulle tue parole però sappi che resto
della mia opinione. Forse c'è un altro modo di combattere.”
James sbuffò a sua volta, saltando in piedi e sporgendosi quel
tanto che bastava per afferrare la Gazzetta del Profeta che stava
appoggiata sul comodino di Remus.
La dispiegò, mostrando la prima pagina all'amico.
Il Marchio Nero, simbolo di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte,
stava comparendo sempre più spesso negli ultimi tempi e quella
mattina troneggiava sull'anonima villetta della fotografia di
copertina.
“Quanti ancora dovranno essercene di questi? Quanti Remus?
Quanti? Quanti candidati a Ministro della Magia dovranno morire
ancora? Sei così sicuro che Owen Hook sia l'ultimo? Quanti
villaggi Babbani dovranno essere straziati da assassini senza nome e
senza volto? Quanti? Quanti altri come Sirius dovranno vedere la loro
famiglia disgregarsi? E quanti altri come Lily Evans perderanno i
propri amici più cari? E quanti come te saranno disprezzati e
ghettizzati come vogliono questi pazzi? Come vogliono Piton ed Avery
e Nott e Mulciber e non so quanti Serpeverde.”
Strillava come un matto e Remus faticò a scavalcare la sua
voce, commentando con poche, semplici e lapidarie parole.
“Hai ragione. Sono pazzi e noi dobbiamo combattere. Ma non è
questo il modo, James. Hai gli stessi loro pregiudizi, se parli così.
Ora scusami, devo andare.”
Remus si alzò dal letto, gettando un'occhiata preoccupata
verso James: lo vedeva troppo carico di preoccupazioni.
Preoccupazioni che, forse, non dovevano essere tutte sue.
Ma James era fatto così.
Sospirando spalancò la porta. Sul pianerottolo, stretto in un
angolo, stava in piedi Peter.
“Peter, che ci fai qui? Perchè non sei entrato?”
chiese, sorpreso
“Ho sentito te e James urlare e non volevo disturbare. Perchè
stavate litigando, Remus?”
“Non stavamo litigando, Peter. Siamo solo preoccupati.”
raccontò Remus
“E' per Sirius, vero? Vorrei tanto poter fare qualcosa per
lui...” confessò Peter, cercando conferme nell'amico.
“Non solo, Pete, non solo. Anche se Sirius rappresenta la
preoccupazione principale. Dobbiamo solo stargli vicino e ascoltarlo
se ci chiama.” disse Remus, corrugando la fronte
“Remus, sono preoccupato anch'io, sai? So che sembra che non mi
accorgo mai di niente, ma li vedo tormentati entrambi, da qualche
tempo. E' come se James stesse combattendo da solo contro qualcosa...
un po' come Don Chishotte coi mulini a vento, mosso dalla sua mania
da salvatore del mondo. E Sirius è così distante...”
Peter espresse i suoi pensieri: era un po' che l'aveva notato, ma non
ne aveva mai parlato perchè temeva di passare per il solito
visionario e di essere schernito.
Si sentiva tutto sommato sollevato dal fatto che anche Remus
condividesse le sue idee.
“Che cosa possiamo fare, Remus? Non ci perderemo, vero?”
domandò, accorato.
“Possiamo solo cercare di venirci incontro, Peter. Ma non ci
perderemo, stai tranquillo. Siamo i Malandrini e niente e nessuno può
dividerci.” gli rispose Remus, in quel suo tono conciliante che
pareva quasi una nenia.
“Remus... non ne parlerò con James. Io no vi ho sentiti
discutere. Se vorrà, sarà lui a raccontarmi la sua
versione.” Peter salutò Remus ed aprì piano la
porta della loro stanza, ricevendo in cambio un muto ringraziamento.
Remus guardò Peter entrare e scosse la testa, dolcemente. Sino
a che fossero stati insieme, non ci sarebbero stati problemi.
Scese le scale, intenzionato a starsene un po' da solo per
riflettere, certo che Sirius, presto, molto presto, sarebbe giunto da
lui.
Non sapeva se sarebbe stata notte inoltrata, come spesso capitava o
mattino presto o se l'avesse costretto a saltare la cena, sapeva che
Sirius sarebbe arrivato con qualche sua trovata demenziale da
attuare, trovata che sottintendeva certo molto di più.
Una trovata che aveva in sé il bisogno di certezze che
accompagnava Sirius sin da quando lo conosceva.
Remus accantonò la sua stanchezza o i suoi malesseri per luna
piena ormai troppo vicina, non era il caso di aggiungere anche
quelli. C'erano questioni ben più importanti da risolvere e la
chiacchierata che sapeva prossima con Sirius era una di quelle.
Stava passeggiando per i corridoi, senza meta, in attesa della cena
che li avrebbe riuniti tutti quanti, prima dell'inevitabile confronto
di James, Sirius e degli altri con Silente.
Chissà come li avrebbe puniti, quella volta...
Camminava, senza fare caso alla marmaglia di studenti che si
incamminava nella sua stessa direzione o in quella opposta.
Colse qualche mormorio dai loro discorsi e quei brevi frammenti gli
erano più che sufficienti per rendersi conto che, come sempre
in quei casi, l'intera scuola era al corrente di quanto era accaduto.
A Remus non importava più di tanto, in verità. Del
resto, non era una novità che James e Sirius fossero colti in
flagrante in un'azione che mai avrebbe dovuto essere compiuta.
Quell'ultimo accadimento non faceva altro che allungare la loro
fedina penale e, in ogni caso, loro quattro avevano problemi ben più
gravi da risolvere che non le chiacchiere che si diffondevano per
Hogwarts.
Comunque, si disse, la reputazione di James e Sirius ne avrebbe solo
giovato, constatando che, alla fine, seppur con metodi non proprio
ortodossi, avevano salvato Eva Flynn.
E, in ogni caso, quello non era affatto un problema suo.
Non avrebbe fatto nemmeno caso a tutti quelli che gli passavano di
fianco, se non avesse colto la sagoma di Lily Evans camminare avanti
a lui.
Non era pienamente certo del da farsi: avrebbe dovuto lasciarla
andare o chiamarla?
Non erano propriamente amici e quello era comprovato, però, in
fin dei conti, Remus era sicuro che anche lei fosse rimasta piuttosto
sconvolta dalla giornata. Sapeva che non avrebbe avuto occasione di
parlarne con nessuno, dal momento che i rapporti con le sue compagne
di stanza non erano certo ottimi o men che meno confidenziali (
dopotutto, non era difficile capire che era improbabile che Mary
McDonald, Rose King e Priscilla Cole diventassero amiche di Lily
Evans. Non potevano essere più lontane.) ed era consapevole
anche del fatto che, escluso Hagrid, lui era l'unica persona con cui
Lily Evans avesse una sorta di rapporto di complicità, quindi,
forse, fare due chiacchiere con lui le avrebbe fatto bene.
Fu questo che lo portò ad accelerare bruscamente il passo
travolgendo un imprecisato numero di persone pur di braccare Lily che
stava salendo le scale.
“Lily! Lily!”
La ragazza si voltò, leggermente incerta su quello che avrebbe
dovuto fare.
“Remus?”
“Ti disturbo, forse? Dove stavi andando?”
“In giro in attesa della cena- sorrise- e tu?”
“Oh... io... diciamo che ero in pellegrinaggio.” Lily si
sforzò di usare una voce allegra. Non aveva voglia di vedersi
commiserata per gli occhi gonfi persino dall'unica persona che
sembrava avere piacere nel parlare con lei.
“Bè, allora siamo in due. Ti dispiace se ti accompagno?”
propose Remus, sperando di non essere invadente.
Lily non si aspettava proprio una richiesta del genere: le
dispiaceva?
Sì, in verità un po' le dispiaceva che qualcuno la
seguisse nella sua passeggiata senza meta, ma rifiutare la compagnia
di Remus era scortese e, Lily ne era sicura, avrebbe causato il
ripetersi di un'ennesima crisi di pianto, esattamente identica, se
non peggiore, a quella che aveva avuto poco prima, a sua volta
somigliante a quelle che la colpivano di tanto in tanto a partire da
quel giorno di giugno.
Era il caso di provare, di farsi coraggio e provare. Si trattava solo
di condividere meno di un'ora, in attesa della cena.
E poi Remus era da solo, senza i suoi fastidiosi amici. Senza Black e
la sua risata sguaiata e senza Potter pronto a sparare giudizi e
sentenze sul mondo.
“No, Remus, figurati. Vieni pure. Ah, che maleducata! Non ti ho
chiesto come va la febbre! Sei stato da madama Chips?”
Remus strabuzzò gli occhi. Febbre? Lui non aveva la febbre...
E poi ricordò: ricordò del suo malessere mentre stavano
ritornando dalla visita ad Hagrid e ricordava come avessero detto a
Lily che si trattava di qualche linea di febbre.
Erano successe talmente tante cose nel giro di poche ore che quel
pomeriggio spensierato gli pareva lontanissimo.
“La febbre... eh... sì... va meglio. Già, dopo
l'infuso di Madama Chips va proprio meglio!” si sforzò
di sorridere Remus.
Lily si fermò e prese ad esaminargli il volto, mentre il
ragazzo faceva di tutto per sottrarsi a quel contatto.
Era consapevole di essere più pallido del solito e di avere
un'aria tutt'altro che salutare.
“Sei sicuro? Non mi sembra che tu abbia un bell'aspetto. Vuoi
per caso che passiamo in Infermeria di nuovo? Magari Madama Chips ti
può tenere lì per la notte...” propose Lily
“No, no davvero Lily, non preoccuparti. Ha detto che passerà
in breve tempo e poi non ho voglia di passare la serata lì da
solo.”
“Sicuro?” insistette
“Sicurissimo.” affermò Remus con il suo miglior
sorriso di circostanza.
“Ok.”
Camminarono in silenzio ancora per qualche minuto.
Lily si guardava, nervosa, attorno: il suo sguardo vagava dal
soffitto, all'orizzonte o al pavimento, come incapace di fissare un
punto solo.
Remus le camminava a fianco, incapace di iniziare un discorso.
“Lily come stai?” disse, ad un tratto, non riuscendo più
a trattenersi.
“Come sto in che senso?”
“In generale.”
“Oh... in generale.- increspò le labbra, come in
un'espressione rassegnata-Sto. Diciamo che sto.”
Remus sospirò.
“E cosa vuol dire che stai?” proseguì
“Vuol dire... che va tutto come al solito, credo.”
rispose Lily, imbarazzata. Aveva intuito dove Remus volesse arrivare
e non era sicura di riuscire a dargli le risposte che chiedeva.
“Ed è un bene o un male che vada tutto come al solito?”
Questa volta toccò a Lily, sbruffare.
“Remus, ho capito dove vuoi arrivare e tu prego, non
fraintendere quello che ti dico. Mi fa piacere che tu sia qui, non
sai quanto. Mi fa piacere che stiamo diventando amici ma ti prego,
non parliamo di oggi. Credo di non essere ancora pronta.”
confessò Lily rossa per l'imbarazzo, dicendo una parola via
l'altra prima di perdere il coraggio.
“Lily, ascolta- iniziò Remus- non è mia
intenzione sforzarti a parlare. Se c'è qualcosa che mi vuoi
dire, me lo dirai quando vuoi e quando te la senti. Ok? Vorrei solo
essere certo che, nonostante quello che è successo oggi tu
stia bene. James mi ha detto che ti ha vista piuttosto scossa
dall'accaduto.”
“James?” chiese Lily, sorpresa. Potter si era accorto di
qualcosa che non fosse lui stesso o il suo amico Sirius Black?
Sì, Potter se n'era accorto, si disse. Potter era anche la
stessa persona che aveva così ben consolato Eva Flynn.
“Sì, James- ridacchiò Remus- sembra che non si
accorga mai di niente, ma in realtà osserva tutto. Perdonami,
Lily, non intendo fare l'avvocato difensore di James.”
“No, scusami tu, Remus... ecco, non mi va di fare sempre quella
che parla male dei tuoi amici.” si scusò Lily, quasi
vergognandosi.
Remus scacciò un'immaginaria mosca e sorrise:
“Sciocchezze. Non devi scusarti e, comunque, nemmeno noi siamo
mai stati gentili nei confronti di Piton. Scusa Lily, non dovevo
parlarne.”
Lily sorrise: forse avrebbe dovuto iniziare a parlarne. Iniziare a
dirlo ad alta voce. Iniziare a raccontare. Ma la verità era
che non era ancora pronta per parlare di Severus in terza persona,
per raccontare ad altri quello che sentiva dentro: il vuoto, la
rabbia, la disperazione.
“Lascia stare, Remus. Siamo pari. E comunque, comunque Severus
ha fatto una scelta. Non è la mia scelta, ma ha scelto.”
la voce non era ferma come avrebbe dovuto essere e quelle parole
sembravano una riflessione fatta ad alta voce.
Remus non rispose: non sapeva davvero cosa dire. Non sapeva che cosa
Lily avrebbe voluto sentirsi dire. L'argomento Severus Piton non
sapeva proprio come affrontarlo.
Immaginava solo che dovesse fare tanto e troppo male.
Fu Lily a rompere il ghiaccio. Gli afferrò una manica e lo
costrinse a fermarsi.
Remus posò gli occhi chiari su di lei, abbassando la testa
quanto era sufficiente per incontrare lo sguardo dell'amica.
“Remus, grazie.” disse, in un sussurro.
“Perchè?” la interrogò Remus, senza capire.
“Perchè oggi mi hai cercato. Perchè mi hai
chiesto come stavo. Perchè... perchè eri qui.”
spiegò Lily.
Era venuto il momento di afferrare quella mano tesa. Non poteva
lasciarsela sfuggire.
Non un'altra volta. Non dopo quello a cui aveva assistito.
Remus sorrise. Come si rispondeva? Lui era abituato ai discorsi tra
ragazzi. A quelle conversazioni di poche parole e di tanti gesti. A
quelle confessioni imbarazzate e piene di reticenze.
Se lì davanti ci fosse stato o James o Sirius o Peter avrebbe
saputo esattamente cosa rispondere ( a prescindere dal fatto che
nessuno di loro avrebbe mai provato a dire una cosa simile), ma ad
una ragazza che cosa si diceva?
Aggrottò le sopracciglia e si passò una mano tra i
capelli.
“Bè... diciamo che mi andava di esserci. Ok?”
Lily scoppiò a ridere.
“Ok.”
“Adesso vado, Remus. E' quasi ora di cena.”
“Lily” Remus la chiamò indietro. C'era ancora una
cosa che desiderava dirle. Una piccola precisazione che era
necessario fare. Lo doveva a James, in fin dei conti.
Lei si voltò, del tutto ignara dell'argomento che sarebbe
stato tirato in ballo.
“Sì?”
Remus si avvicinò di nuovo.
“Ascolta, Lily, forse non vuoi sentirtelo dire, ma te lo dico
lo stesso.”
Lily lo guardò con aria interrogativa.
“So che tu e James avete discusso oggi pomeriggio e lui...
bè... lui ci è rimasto un po' male.”
L'espressione di Lily divenne improvvisamente fredda.
“James è pieno di pregiudizi. James è come loro.
E' esattamente come loro. Avresti dovuto vederlo, Remus, sembrava
assatanato.”
“Ferma, Lily, ferma. Lasciami parlare e poi giudica come vuoi.
Posso dirtelo?”
Annuì con la testa.
“Non voglio giustificare il comportamento di James. Non voglio
dire che sia giusto arrivare allo scontro, però, oggi, che
cosa avrebbero dovuto fare? Forse si poteva evitare di duellare e di
questo te ne do atto, ma quello che ci aspetta là fuori non è
semplice. E James, a modo suo, sta cercando di proteggerci. Non dico
che quello che fa sia giusto, che abbia le reazioni migliori o più
corrette, ma ti prego di credermi se ti dico che James è
preoccupato.”
“Preoccupato?- lo aggredì Lily- A me sembra solo che lui
abbia diviso il mondo, la scuola in Buoni e Cattivi. Mi sembra che
reputi di avere la ragione dalla sua, come se viaggiasse con un
paraocchi, rifiutandosi di osservare il grigio che c'è tra il
bianco ed il nero.”
“E' vero. Per James il mondo è o bianco o nero. In
questo è rimasto lo stesso bambino che ho conosciuto sei anni
fa ma, ma lascia che ti dica che è preoccupato per noi; per
me, per Peter e per Sirius soprattutto, per motivi che non ti sto a
spiegare. E' preoccupato anche per te, perchè si è
accorto che da quando tu e Piton avete litigato sei sempre sola.
E' preoccupato per suo padre che ogni giorno rischia la vita. E' un
Auror, sai.
E' preoccupato e a modo suo sta cercando di proteggerci. Sta cercando
di proteggere, come può, le persone a cui tiene. Spesso
sbaglia, è vero, ma non me la sento di condannarlo del tutto.”
“Io... io non lo sapevo. Non sapevo di suo padre e di tutto il
resto. Non sapevo di...me. E' davvero così, Remus?”
Era piuttosto sorpresa da quelle rivelazioni, che non facevano che
accrescere le sue domande su Potter.
“Sì, Lily. E' preoccupato anche per te. Non lo da a
vedere, perchè se ha un problema difficilmente ne parla,
però.. però questo è James. Volevo solo dirti di
aspettare a giudicarlo.”
“Remus... io...”
“Va bene così, Lily. Dovevo solo dirtelo. Sei libera di
crederci o meno. Come vuoi. Ci vediamo a cena.”
Così come era venuto, Remus se ne stava andando, lasciandola
preda di altri mille dubbi, portandola a chiedersi, ancora una volta,
chi fosse davvero James Potter.
Lily si sentiva spiazzata.
Una parte di lei faticava a credere che quello che Remus aveva detto
fosse vero, anche se lui appariva così tremendamente serio.
Un lieve senso di vergogna si fece strada dentro di lei: se Remus
diceva la verità allora, aveva sbagliato a giudicare Potter.
Però... però lui era quello dal comportamento
aggressivo, dai mille pregiudizi e dalla rigida classifica di “Buoni”
e “Cattivi”.
James Potter era preoccupato per lei.
Significava che l'aveva osservata, che ne aveva colto gli sbalzi
d'umore e la malinconia.
Era preoccupato per lei. Non la conosceva, ma era preoccupato per
lei.
Forse aveva sbagliato a giudicarlo solo un vanesio ed egocentrico
ragazzino viziato... forse c'era davvero qualcosa di buono in lui.
E allora, allora perchè sembrava che lui facesse di tutto per
nascondere le sue buone qualità?
O era solo lei a non vederle? Lei, che l'aveva sempre rifiutato per
partito preso. Solo perchè era James Potter.
Solo perchè lo vedeva così lontano ed irraggiungibile.
Non si era data nemmeno la pena di conoscerlo.
Oppure era un misto di cose: da una parte, forse, c'era lei con la
sua folle paura di essere inadeguata e dall'altra lui, così
tronfio delle sue sicurezze.
Se era così preoccupato per lei e per i suoi amici, per quale
motivo sembrava che facesse di tutto per metterli in pericolo,
scagliando fatture a destra e a manca?
Tutto questo però non toglieva un particolare, per nulla
insignificante.
James Potter era preoccupato per lei.
DORMITORIO MASCHILE DI GRIFONDORO
Remus non sapeva quale ora del mattino fosse esattamente quando un
bisbiglio ben poco sommesso lo riscosse dal sonno.
“Remus! Remus! Remus!” sussurrava forte Sirius, da lui
lasciato per l'ultima volta mentre stava per essere convocato in
presidenza ed ora chinato interamente sul suo letto.
Remus non provò nemmeno ad opporre resistenza, quella volta.
Non gli tirò in testa il cuscino, non si girò
dall'altra parte fingendo di non aver sentito né si lanciò
nell'apologia delle otto ore di sonno.
“Remus ti alzi? Ho voglia di andare a fare un giro!”
“Arrivo, per Merlino, arrivo!” esclamò, cercando
di ritrovare i calzini e di afferrare la vestaglia.
“Remus!”
“Arrivo! Lo sai che poi prendo freddo e mi ammalo!”
protestò, infilando un braccio nella manica della vestaglia
scozzese.
Sirius Black sorrise.
Dopo tutto quello a cui aveva assistito quel giorno, la vista di
Remus che si infilava la vestaglia scozzese era il miglior indice di
normalità possibile.
Capitolo
nato per caso e scritto molto prima del previsto.
Spero
vi sia piaciuto. Come al solito vi ringrazio tutti quanti per
la lettura.
Alla
prossima.
Ps: se tra voi c'è
chi ha letto eo recensito “Like father & son” eo
“Ti ricordi di Remus Lupin?”, grazie!
Purepura:
Lily non è arrabbiata con James perchè ha difeso Eva,
gli contesta il solo fatto di considerarsi automaticamente tra i
“buoni”, di dividere il mondo in Grifondoro buoni vs
Serpeverde cattivi, certa del fatto che, questo atteggiamento, non
porterà da nessuna parte, anzi, creerà ulteriori
attriti. Spero di essermi spiegata!
Quanto
a Sirius e Regulus... sì, Reg ha ragione ha dire che Sirius
l'ha abbandonato, però, insomma, i tra di loro penso che fosse
cambiato già qualcosa prima, no? Senza contare che, per come
la vedo io, Sirius era geloso, geloso marcio di Regulus. Ha sempre
cercato l'approvazione dei genitori, da bambino, e non l'ha mai
trovata, ma anzi, Reg risultava sempre il migliore.
Spero
tanto di poter esplorare sempre meglio questo rapporto fraterno così
complicato e doloroso.
Grazie
della recensione!
PrincessMarauders:
grazie del commento! Vedrai, piano piano Lily uscirà dalla sua
bolla. Ci vuole solo tanto coraggio. Le discussioni tra Sirius e
Regulus non sono finite, non si possono archiviare qui, anche se
sappiamo tutti come è andata.
A
presto e grazie, tra qualche giorno ci sarà anche Finding My
Own Way!
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Capitolo 10 *** Nono Capitolo ***
Qualche giorno era trascorso dagli ultimi avvenimenti.
Tutta la scuola sapeva ormai che James Potter e Sirius Black avevano
aiutato Eva Flynn, a danno di un gruppo di Serpeverde.
Contrariamente alle sue aspettative, però, Lily non vide né
Potter né Black atteggiarsi a salvatori della patria, anzi,
scansavano l'uno educatamente e l'altro non troppo, le domande che
venivano rivolte.
Nessuno sapeva cosa Albus Silente avesse detto ai ragazzi, durante il
loro incontro in Presidenza e, accanto ad ipotesi di encomio stavano
supposizioni di punizioni.
Avrebbe voluto chiedere a Remus qualche notizia, certa com'era che
lui fosse al corrente di qualcosa, ma il ragazzo era stato ricoverato
in Infermeria, come aveva appreso da Sirius Black.
Lily era intenzionata ad andarlo a trovare: erano un paio di giorni
che non riusciva ad incontrarlo e, nonostante le continue e vaghe
rassicurazioni dei suoi amici, i quali la informavano che Remus era
in via di miglioramento, andarlo a trovare era la cosa migliore.
Non appena la lezione di Antiche Rune, alla quale, Black e Potter
avevano deciso di non presentarsi, terminò, Lily afferrò
libro, quaderno e piuma per andare subito in Infermeria.
Attraversò il castello, senza far caso a nessuno e, giunta al
cospetto di Madama Chips, implorò la strega di farla entrare.
Madama Chips non era molto entusiasta, in verità: sosteneva
che quel povero ragazzo non riuscisse ad avere un attimo di pace, a
causa dei suoi rumorosi amici che si erano trasferiti lì in
pianta stabile.
Alla fine, però, considerando che Lily non era tipo da
chiedere con insistenza, le fu accordato il permesso.
“Venti minuti, signorina Evans. Non un uno di più. E'
ora che il signor Lupin si riposi.” le rammentò, mentre
Lily spalancava la porta.
Una decina di letti occupavano la stanza e Remus stava in quello
vicino alla finestra.
Lo trovò sveglio, con un libro sulle ginocchia, nonostante
fosse ancora a letto.
“Ciao Remus, come stai?” chiese Lily, allegra, emozionata
all'idea di rivederlo dopo due giorni.
Remus non aveva una bella cera, presentava ancora un aspetto
sofferente. Aveva due occhi stanchi, due guance infossate e i capelli
erano stati disordinatamente tirati indietro. Tuttavia, appena la
vide entrare, come al solito carica di libri, sul suo viso era
comparso il suo abituale sorriso gentile.
“Oh, oggi molto meglio! Pensa che sono anche riuscito a
mangiare delle uova, per pranzo!” rispose, scanzonato.
“Allora significa che stai bene, giusto? Sai già quando
tornerai a scuola?”
“Penso dopodomani: Madama Chips insiste per trattenermi qui
ancora oggi e domani. Se devo essere sincero, sto cominciando ad
annoiarmi. Fortunatamente i miei amici sono stati qui tutto il
pomeriggio.”
Quindi, pensò Lily, se Potter, Black e Peter non erano stati
presenti alle lezioni del pomeriggio, era perchè l'avevano
trascorso da Remus.
“Mi hanno anche portato gli appunti della giornata, ma non ho
capito molto. Diciamo che erano solo quelli di Peter e.. bè,
ha un modo di prenderli completamente diverso dal mio..James e
Sirius, ovviamente, non ne hanno presi e, come se non bastasse, al
pomeriggio hanno avuto la brillante idea di non andare a lezione.
Cioè, non fraintendere, sono felice che siano venuti, però,
ecco, la fine dell'anno si avvicina, mi sono assentato in giorni
cruciali e loro non prendono appunti! Capisci, no Lily?”
proseguì Remus, infervorato.
A Lily venne da ridere: come cambiava, quando si trattava della
scuola! Pareva che per lui fosse una questione di vita o di morte, ma
non era forse più importante, secondo Lily, avere amici che,
pur di starti vicino mentre sei malato, saltano le lezioni?
Cosa avrebbe dato lei per essere al posto di Remus...
“Se vuoi ti do i miei.- intervenne Lily- Te li ho portati
perchè ho pensato potessero servirti.”
“Davvero? Grazie mille, Lily! Sai, la settimana scorsa non
avevo ben capito quello che la McGranitt aveva spiegato a proposito
della Trasfigurazione Umana e mi dispiace così tanto di aver
perso l'occasione di chiarirmi i miei dubbi oggi! Ha detto qualcosa
di nuovo? Dici che, se la prossima volta le chiedessi delle
precisazioni, mi risponderebbe senza storie?”
Discussero per un po' di scuola e di compiti, fino a quando, non
finirono, inevitabilmente, a parlare d'altro.
“Penso che dovrei parlare con James.” disse Lily, ad un
tratto, alzando la testa e fissando Remus che, per tutta risposta,
sistemò meglio la schiena sul cuscino.
“E io penso che faresti bene.- le sorrise- Voglio dire, non
voglio intromettermi, però, ecco, James è uno dei miei
migliori amici e, quindi, se tu e lui riuscite ad andare d'accordo
non posso che essere felice.”
“Non è detto che scopriremo di andare d'accordo. Ci sono
ancora troppe cose che non mi piacciono di lui.” puntualizzò
Lily.
“Dammi retta, Lily. James è fatto a modo suo, per certi
versi è ancora nella fase del delirio da onnipotenza, ma è
fondamentalmente buono e giusto ed onesto. In ogni caso, è mio
amico.” concluse Remus, come a dire che, qualsiasi cosa potesse
fare, qualsiasi difetto potesse avere, James era un amico e, quindi,
nulla era importante.
“Spero che tu abbia ragione.”
“Se ti può consolare, all'inizio lo odiavo. Odiavo sia
lui che Sirius, in realtà.” confessò Remus,
ridendo.
“Davvero?” Lily strabuzzò gli occhi: non riusciva
a ricordare un solo momento in cui James Potter, Sirius Black, Remus
Lupin e Peter Minus non fossero un tutt'uno.
“Sì, li detestavo proprio! Andavo d'accordo solo con
Peter. Non capivo come potessero prendere tutto così alla
leggera, come potessero pensare solo a divertirsi. Però, anche
se mi dicevo che io ero ad Hogwarts solo per studiare, un po' li
invidiavo. Mi sembravano più sereni e più felici di
me.” raccontò Remus.
“E poi?”
“Poi con la loro invadenza mi hanno trascinato in una delle
loro folli idee e il resto- concluse alzando le spalle-... il resto è
storia.”
Lily gli sorrise, come a dirgli che aveva capito. In realtà,
sapeva benissimo quello che aveva provato Remus, da bambino.
Erano le stesse sensazioni che provava lei, quando si ritrovava ad
osservare i Malandrini: uniti, felici, sereni grazie alla certezza
che, qualunque cosa fosse successa, l'avrebbero affrontata insieme.
“Sai- proseguì Remus- all'inizio nemmeno Sirius poteva
vedere James.”
“Sirius Black che non soffriva James Potter? Ma se sembrano
fratelli!” esclamò Lily, sempre più sorpresa.
“Ora sì, ora non potrebbero stare l'uno senza l'altro,
ma sei anni fa, bè... Sirius ha fatto un mese abbondante a non
sopportare James. Vedi, Lily, James è la classica persona
che, di primo acchito, prenderesti a sberle. E' vero, lo dico
seriamente, sai? E' un bel ragazzo, si capisce che è uno nato
per vincere, è abituato ad essere circondato da gente che lo
apprezza, è coccolato e viziato dalla sua famiglia... è,
insomma, quello che molti vorrebbero essere. Sirius compreso. Quindi,
si può dire, che, inizialmente, Sirius volesse star lontano
dal bambinetto petulante che, dopo che avevano parlato per soli
cinque minuti, gli aveva già giurato amicizia eterna.”
“Ero convinta che si fossero dichiarati migliori amici dopo il
solo viaggio in treno. Sai, io e Severus abbiamo condiviso lo
scompartimento con loro due per qualche minuto.” spiegò
Lily.
“Non lo sapevo. Immagino che siate fuggiti a causa delle loro
battute. Comunque, fidati di me. Sirius Black ha detestato James
Potter e la sua vocetta petulante per un bel po', prima di rendersi
conto che, forse, James era l'amico di cui aveva bisogno. Immagino
che tu sappia che le cose tra Sirius e la sua famiglia non vanno
molto bene...”
“Ho intuito qualcosa, ma non so molto, a parte che non parla
con suo fratello Regulus.”annuì Lily
“Non credo di essere la persona più adatta per
parlartene, Lily. Sono cose che riguardano Sirius e, pertanto, se mai
vorrà ,te ne parlerà lui.- precisò Remus- Ti
basti sapere che James aveva tutto quello che Sirius desiderava ed è
facile immaginare per quale motivo inizialmente non volesse avere a
che fare con lui.”
Lily comprese che per Remus quell'aspetto della conversazione poteva
considerarsi concluso. Controllò l'ora e, notando che erano
trascorsi bene trenta minuti, si affrettò a salutare Remus.
“Credo di dover andare.”
“Sì, prima che Madama Chips piombi qui. Tornerai
domani?” le chiese Remus
“Se ti fa piacere, io vengo volentieri.” affermò
Lily.
“Certo che mi fa piacere! Vieni quando vuoi, Lily!”
“Allora a domani!”
“A domani e fammi sapere se parli con James!” le gridò
dietro Remus, osservandola voltarsi per un ultimo saluto.
“Mi è sembrato che Remus stesse abbastanza bene, ieri.”
esordì Peter, la mattina dopo a colazione, slegando dalla
zampa del gufo l'edizione del Profeta destinata a Remus.
“Fortuna che Madama Chips saprebbe resuscitare anche un morto!-
esclamò Sirius- Ha perso molto sangue l'altra notte, per via
di tutte quelle ferite sul torace.”
“E' tutta colpa loro se non abbiamo potuto essergli accanto!”
disse James, con rabbia, indicando il titolo di prima pagina del
Profeta, sotto al quale campeggiava il Marchio Nero.
“James- provò Sirius- era un po' difficile che
potessimo essere con Remus durante la notte, quando Silente ci ha
voluto nel suo ufficio. Non fartene una colpa, là dove non
l'hai.”
James borbottò qualcosa, contrariato e né Sirius né
Peter osò replicare, ben sapendo che sarebbe stato inutile.
Una civetta bianca planò sul tavolo di Grifondoro, sul piatto
di uova strapazzate di Sirius Black, per la precisione.
“Santippe, per i boxer a pois di Merlino, possibile che tu non
riesca a consegnarmi la posta senza invadere la mia colazione?”
brontolò Sirius Black, infilando nella bocca dell'animale
qualche mollica di pane.
“Dammi retta, amico, quella civetta ha qualche problema. Del
resto, nomen omen!” commentò James Potter, riferendosi
alla tradizione che volesse la Santippe moglie di Socrate come
particolarmente bisbetica.
“E' un'altra lettera di Andromeda?” domandò Peter,
voltandosi verso Sirius, intento a convincere Santippe a tornarsene
in guferia.
“Cosa? Ah no, non è di Andromeda. La grafia è
quella di zio Alphard.”
“E che dice? Che si è perso in Nuova Zalanda assieme ai
Maori?” ipotizzò James, spalmandosi un generoso
cucchiaio di marmellata sul pane tostato.
L'espressione che vide sul volto di Sirius gli fece però
capire che non era il caso di scherzare.
“Ehi, che succede, Sirius?”
“Sta tornando in Inghilterra. Vuole vedermi. E' preoccupato e
arrabbiato. Andromeda gli ha scritto di quello che è successo,
gli ha detto che è stata convocata qui ad Hogwarts da Silente
e lo zio ha deciso di tornare a casa per essere più vicino nel
caso in cui succeda qualcosa. Ma, dannazione, me la so cavare
benissimo da solo! Sono anni che me la cavo da solo!” spiegò
Sirius, rimestando con rabbia il contenuto del suo piatto.
Peter non sapeva cosa dire e, in mancanza di Remus, il quale aveva
sempre una frase per tutti, toccò a James parlare.
“Anche mio padre è piuttosto arrabbiato, Sirius. Come se
fosse colpa nostra, adesso. Come se fossimo noi, ad aver sbagliato.”
Sirius annuì. Non aveva mai visto il padre di James irato col
figlio come quella sera.
Non credeva nemmeno che il gioviale signor Potter fosse capace di
arrabbiarsi tanto.
A differenza di Andromeda, che era stata in grado di sgridare Sirius
davanti a tutti, senza farsi troppi problemi, il padre di James aveva
parlato poco e, quelle rare frasi che aveva detto, erano state senza
dubbio in grado di mettere a tacere James e le sue rimostranze.
Per un attimo a Sirius parve di rivedere suo padre in Charlus Potter:
aveva parlato poco, ma aveva fissato il figlio con delle occhiate
torve che, ne era certo, avevano turbato parecchio James. Non perchè
fossero particolarmente cariche d'ira, ma perchè trasudavano
delusione.
Sapeva che avevano litigato, prima che Potter lasciasse il castello,
ma James non gli aveva detto niente e lui aveva evitato di fare
domande.
Del resto, si diceva, tra amici funzionava così: poche
domande. Ciascuno era libero di dire solo quello che si sentiva di
dire.
“Coraggio, James, andiamo. La Minnie ci aspetta.” disse
Sirius, così, tanto per cambiare argomento.
“Passiamo a trovare Remus, all'ora di pranzo?” chiese
Peter, incerto se prendere o meno qualche panino in più, da
mangiare qualora non pranzassero in Sala Grande.
“Mi sembra ovvio, Peter. Non possiamo lasciarlo là da
solo. Anzi, ho deciso: quest'oggi seguirò anche le lezioni e
prenderò appunti, così li darò a Remus!”
esclamò James, scherzando, con un'ombra sul viso di cui Sirius
si era accorto.
“Raccontane una più grossa, Ramoso, la prossima volta!
Scommetto che non resisterai più di dieci minuti, al termine
dei quali mi pregherai di giocare a Battaglia di Scope!” lo
prese in giro Sirius.
“Nient' affatto! Giuro solennemente di avere buone intenzioni,
per oggi! Almeno fino a quando Remus è Infermeria!”
rimbeccò Potter, alzandosi dalla panca.
“Sì, sì l'importante è crederci!
Codaliscia, zuccone, lascia stare! Non serve che fai scorta di cibo!
Passiamo dopo in cucina, così portiamo anche qualcosa di
decente da mangiare a Remus!”urlò Sirius, riferendosi a
Peter, che proseguiva la sua incetta di cibo, come se fossero in
arrivo tempi di carestia.
“Cercavo solo di rendermi utile!” protestò lui.
“Ecco, bravo e allora fa' una cosa intelligente. Vai a tenerci
i posti nell'aula della Mc!” gli suggerì, ironico,
Sirius.
“Sirius, dai!- lo corresse James- Siamo in anticipo, non è
necessario che mandiamo Peter. Non dargli retta, Pete. E'che Sirius
oggi è solo ansioso di andare a lezione, non è vero
Felpato?” James gli tirò una gomitata nelle costole. Gli
dava parecchio fastidio quando Sirius prendeva in giro Peter in modo
così maligno.
“Guastafeste!” gli bisbigliò Sirius all'orecchio.
James rispose con un'alzata di spalle, avviandosi verso l'aula.
“Va tutto bene, James?” chiese Sirius.
James si voltò.
“A meraviglia.”
“Sicuro?” insistette Sirius, per nulla convinto.
“Sì.” ribadì James, cercando di convincerlo
anche se, dentro di lui, ben poche cose andavano bene.
“James,
sono deluso.” così aveva cominciato Chalus Potter, dopo
aver ottenuto da Silente il permesso di scambiare qualche parola con
suo figlio.
James
sedeva scomposto su una sedia. Lo sguardo basso.
“Gradirei
che almeno mi guardassi in faccia, quando ti parlo. Mi farebbe
piacere anche che non avessi quell'aria di sufficienza, quasi mi
facessi un favore a stare qui.”proseguì.
James,
in risposta, chinò la testa dall'altra parte, sbuffando
sonoramente.
“James,
ascoltami!”aveva urlato, allora.
“Non
ti ascolto! Non ti ascolto, invece! Siete tutti bravi a dirmi cosa
devo o non devo fare! Ma nessuno di voi era lì. Nessuno di voi
li ha visti! L'avrebbero uccisa a furia di fatture, dannazione!
Perchè non volete capirlo! Ho fatto solo quello che era
giusto.”aveva replicato James, con rabbia.
“Non
urlare, James! Non urlare!”
“Se
urli tu, perchè io non posso?” aveva chiesto, con
l'espressione di sfida che ogni adolescente riserva ai propri
genitori.
“Perchè
non hai ragione, ecco perchè!”
“Non
ho ragione? Non ho ragione? E allora chi ha ragione, papà?
Chi? Cosa diavolo avrei dovuto fare? Smettetela di fare gli
ipocriti!”
“James
sono stato ad Hogwarts anch'io e un conto è lanciare un
Fattura Gambemolli, una Pastoia Total-Body o far esplodere il
calderone di quel Serpeverde particolarmente antipatico, un conto è
mettersi a guerreggiare con dei compagni! Credi che possa cambiare
qualcosa se ti metti a cercare lo scontro ad ogni costo? Non sono
giorni semplici, James. Per niente e lo sai bene. Io vorrei solo che
mio figlio fosse d'esempio ai compagni in un momento come questo.
Vorrei che sapesse distinguere ciò che è giusto da ciò
che è facile.”
“
Non lascerò che distruggano tutto. Papà, hai visto
Sirius? E' distrutto! Suo fratello si unirà ai Mangiamorte e
nella sua famiglia li sostengono tutti! Non ce la faccio più a
vederlo così! E Remus... è trattato come un animale!”
“E tu non ci puoi fare niente!
Tu non puoi farci niente, James! Puoi solo cercare di comportarti in
modo corretto con tutti! E' anche così, che si combatte! Non
solo con le bacchette sguainate ! Con il tuo comportamento non fai
che ingigantire le loro file!”
“Fantastico-sbruffò
James- ora il cattivo sono io!”
“James, non ho detto questo:
dico solo che per ora quello che tu puoi fare, anche per impedire che
questi tuoi compagni si uniscano ai Voldemort è opporre
tolleranza e rispetto ad odio e violenza. Questo è quello che
puoi fare a diciassette anni quando sei ancora a scuola. Quando
uscirai di qui, allora diventerai un Auror o quello che ti pare .”
“E va' al diavolo!”
aveva gridato, allora, James, abbandonando suo padre in quella stanza
e sbattendo la porta.
“Buongiorno a
tutti. Oggi riprendiamo quello che ho spiegato ieri sulla
Trasfigurazione Umana, dopodiché vi eserciterete a coppie. Sì,
signorina Cole, temo che per la durata di questa lezione la sua
perfetta acconciatura biondo miele subirò un cambiamento. Ed
ora, cominciamo.”
“Professoressa...
avrei una domanda.” Sirius alzò la mano
“No Black,
non puoi uscire, non puoi andare in bagno, non puoi fare niente che
non riguardi la Trasfigurazione e no, trasfigurare il signor Minus in
un calice di Burrobirra non ha niente a che fare con la lezione.”
la McGranitt anticipò la sciocca richiesta che aveva in
programma di fare Sirius.
“E io che
volevo chiedere se potevo trasfigurare Potter in un Boccino d' Oro!”
esclamò Sirius, facendo ridere tutta la classe, prima di
essere messo a tacere da un'occhiata della McGranitt.
James si accorse di
essere a lezione solo dopo aver sentito fare il suo nome da Sirius,
il quale si beccò uno spintone.
Osservò la
classe e gli parve di notare un sorriso sul viso di Lily Evans,
allora, forse, non stava andando tutto male.
E lui non avrebbe
permesso che le cose andassero peggio.
Lily sedeva sul suo letto, con un libro di Antiche Rune alla sua
destra, il vocabolario a sinistra e la pergamena davanti. La versione
di quel giorno era molto complicata o, forse, era lei a non riuscire
a trovare la concentrazione necessaria.
Li aveva osservati durante tutta la giornata. Li aveva visti
scherzare tra di loro, li aveva visti correre via durante la pausa
pranzo per andare a trovare Remus.
Aveva visto James aiutare Peter ad Incantesimi e Trasfigurazione,
l'aveva visto mettere a tacere Sirius con una sola occhiata dopo una
battuta troppo cattiva nei confronti di qualcuno.
Aveva visto James scansare le attenzioni di alcune ragazze,
preferendo i suoi amici. L'aveva osservato prendere “appunti
per Remus”, come aveva scoperto che stava facendo, origliando
una loro conversazione.
Aveva riso, di nascosto, delle loro battute.
Quindi, che Remus avesse ragione? Che si fosse intestardita lei a
voler vedere solo il male in James Potter?
Aveva deciso, doveva provare a parlargli... dopotutto, qualche volta
erano anche riusciti ad avere una conversazione civile e, in quei
casi, Lily ringraziava mentalmente James Potter di essere così
come era. Emanava sicurezza, quella sicurezza di cui lei aveva un
disperato bisogno.
Si alzò, di scatto, abbandonando i suoi compiti dove erano,
uscendo in fretta dalla stanza. Scese di corsa le scale, sperando di
trovare Potter in Sala Comune. Al suo posto, però c'erano solo
molti studenti di Grifondoro, sorpresi dalla vista di una Lily Evans
così trafelata.
“Meglio così, in fondo. Non avrei mai trovato il
coraggio di parlargli di fronte a tutta questa gente.” pensò,
dirigendosi verso l'uscita.
Se era alla torre, James avrebbe ben dovuto uscire, prima o poi. Se,
invece, era fuori, avrebbe dovuto rientrare. Aspettarlo davanti alla
Signora Grassa sembrava la soluzione migliore.
Lily continuava a tormentarsi, nervosa. Prima le mani, poi i capelli,
poi la manica del maglione e poi l'orlo della gonna, poi di nuovo i
capelli.
Se solo non fosse stata così dannatamente insicura, avrebbe
cercato di parlare con James Potter in un altra circostanza:
l'avrebbe avvicinato al termine di una lezione o all'ora di pranzo o
in Sala Comune.
Dopotutto, che cosa ci voleva ad andare lì a dirgli:
“Scusa, James, posso parlarti un attimo?”
In fondo, a lei di James Potter non era mai importato niente. Non
aveva senso che si agitasse.
Invece, ogni volta che si ritrovava, suo malgrado, ad avere a che
fare con James Potter Lily era agitata, imbarazzata, nervosa. Si
sentiva insignificante, inadeguata.
Per quel motivo aveva scelto di aspettarlo in corridoio, davanti al
quadro della Signora Grassa, sperando di poterlo trovare in un
momento in cui era da solo o, al limite, accompagnato da qualcuno dei
suoi amici, evitando così che l'intera scuola vedesse Lily
Evans parlare con James Potter.
Aveva pensato e ripensato a quanto le aveva detto Remus: James era
preoccupato per lei.
James si era accorto che stava male, che soffriva, che non era ancora
del tutto riuscita a riprendersi dalla rottura con Severus. Aveva
notato le sue espressioni perse e i suoi occhi malinconici.
Forse aveva fatto male a giudicarlo così male.
“James!” chiamò, quando intravide una sagoma alta
e spettinata dirigersi in direzione opposta alla sua.
Il ragazzo si voltò, con un'espressione stupita.
Non aveva più parlato con Lily da quel pomeriggio. Anzi, per
la precisione, era fermamente convinto che lei non volesse avere
nulla a che fare con lui.
“Lily, è successo qualcosa?” domandò,
avvicinandosi a lei.
Non c'erano motivi particolari per cui lei dovesse parlare proprio
con lui, quindi, James, si era preparato al peggio.
“No, va tutto bene. Volevo solo parlarti. Posso?” chiese,
intimidita, con le guance rosse d'imbarazzo.
James sorrise, Lily gli faceva sempre una tenerezza infinita.
“Sì, certo che puoi parlarmi. Dimmi.”
“Non so bene da che parte iniziare... comunque, comunque volevo
dirti che ho ripensato a quello che è successo l'altro giorno
e credo che, alla fine, tu e Sirius abbiate fatto l'unica cosa che si
poteva fare. Voglio dire, con le parole non credo che si sarebbero
fermati.”
“Tu li hai fermati con le parole, Lily.” la contraddisse.
“Solo perchè tu e Sirius eravate già arrivati.
Non credo che, se fossi stata da sola ce l'avrei fatta. L'altra
volta... l'altra volta sono scappata via.”
“Altra volta?” James aggrottò le sopracciglia:
cosa le avevano fatto? Avevano forse provato a farle del male?
“Sì, li ho incontrati in Biblioteca, prima di Natale,
sai, quella volta che ti ho spaventato con la mia faccia da crisi
isterica.” confessò Lily, arricciando le labbra, senza
essere sicura che fosse stato un bene o un male toccare quel punto.
“Quindi era per quello che piangevi?” domandò
James a voce bassa, con un tono completamente diverso da quello
sguaiato che usava di solito, cercandole gli occhi.
“Sì.” ammise Lily
“Ma ti hanno fatto qualcosa, Lily? Ti hanno fatto del male?”
domandò, preoccupato.
“No, no non mi hanno fatto niente. Sono fuggita via, te l'ho
detto.”
“Se dovessero dirti altro, verrai a dirmelo, Lily?”
“Non ho bisogno del tuo aiuto, James, so cavarmela da sola.-
replicò, leggermente stizzita- e comunque, troveranno di certo
qualcosa da dirmi. Io non sono... come loro.”
“Ehi, non dire mai più una cosa del genere. Tu vali
dieci volte più di loro.”
“Sono contenta di essere come sono... solo che, sai, a volte ti
chiedi se sei giusta oppure no. Tutto qui.” spiegò Lily,
in un'amara alzata di spalle.
“Se essere giusti significa essere come loro, preferisco
essere sbagliato. Dovremmo essere fieri, di essere sbagliati.”
disse James, deciso.
“James...”
“Hm?”
“Perchè sei così?” chiese, di colpo,
stupendo se stessa per il coraggio trovato nel fare la domanda.
Lily sapeva che, probabilmente, la risposta che avrebbe ricevuto non
le sarebbe piaciuta. Sapeva che, molto probabilmente, avrebbe portato
alla fine di quella conversazione, al suo allontanamento definitivo
da James Potter, però, sentiva la necessità di capire.
James aggrottò le sopracciglia.
“Così come?”
“Così... io non ti capisco, James. E' vero, non ti
conosco e quindi forse è per questo che non ti capisco, però,
fino a qualche mese fa, se mi chiedevano di descriverti sapevo
esattamente cosa dire. Ora, invece, non lo so più. In questi
mesi, senza che io lo volessi, abbiamo passato del tempo insieme ed
io ho visto una persona che mi sono pentita di non aver conosciuto
prima. E' il James di cui mi parla Remus, il James che aiuta i suoi
amici, il James che non si vergogna di parlare con me, nonostante io
non sia nessuno.”
“Lily io...” la interruppe, venendo immediatamente
fermato dalla mano che Lily aveva alzato per zittirlo.
“Ho visto però anche un altro James. Un James che
combacia di più con quello che ho sempre pensato di te, con il
ragazzino viziato e vanesio che vedevo in te. James, quando ti
rivolgi ad Avery, Mulciber, Nott mi... mi fai paura, mi spaventi.
Diventi violento, aggressivo, pieno di pregiudizi. Diventi
esattamente come loro.”
“Lily, che cosa dovrei fare? Quelli sono dei pazzi! Bisogna
solo combattere!”
“Ma è questo l'unico modo di combattere, James? Non si
potrebbe, forse, cercare di andare al di là della divisione
tra Case? Non tutti a Serpeverde sono Mangiamorte! Credi forse che
qui a Grifondoro siano tutti degli eroi senza macchia e senza paura?
Anche qui c'è gente convinta che abbiano ragione!”
“Io non ne ho trovati.”
“Non ne hai trovati perchè ti ostini a non volerli
vedere!” gridò Lily, sovrastando la voce di James.
“O forse perchè non ce ne sono.” replicò
secco.
“E se ci fossero? Non credi che, forse, bisognerebbe provare,
dato che siamo a scuola, ad andare d'accordo con tutti? Non credi che
si possa combattere anche opponendo tolleranza ad odio e non solo con
le bacchette sguainate? Sei migliore di loro se hai i loro stessi
pregiudizi?”
Lily lo investì di domande, stupendosi di se stessa.
James fermò il fiume di parole.
“Lily, loro non vogliono un accordo. A loro non importa niente.
Mettitelo in testa. Severus Piton non è più il tuo
migliore amico. E' ora che apri gli occhi. Se parli così è
solo perchè ti vuoi convincere che lui è quello di
prima.”
L'espressione di Lily mutò improvvisamente. Perchè
aveva nominato Severus, perchè?
“Lui non c'entra.” sibilò a mezza voce.
“C'entra eccome, Lily! Ogni volta che parliamo lui salta fuori,
in qualche modo! Forse è per colpa sua se non sono mai
riuscito nemmeno ad uscire una dannatissima volta con te!”
ruggì James
“Che cosa c'entra questo adesso? Che cosa, James? Se non te ne
fossi accorto sono venuta qui, ho cercato di parlare con te, ho
cercato di mettere da parte la timidezza, ho cercato di dar retta a
Remus solo perchè mi sembrava di vedere qualcosa di buono in
te! E invece non fai che confermare di essere solo un egocentrico e
presuntuoso ragazzino viziato, abituato ad avere attorno gente che lo
idolatra!” il tono di voce si era fatto acuto, rasentava
l'isterismo. Lily si era fatta tutta rossa in volto e sembrava sul
punto di piangere.
“Se mi conoscessi non parleresti così!”
contrattaccò James
“Se ti conoscessi? Se ti conoscessi cosa, James? Quello che ho
conosciuto di te mi basta e mi avanza.”disse Lily
“Bene, Evans, come ti pare. Ma forse, se imparassi a vivere un
po' di più coi piedi per terra, senza startene sempre nel tuo
mondo fatto di libri e belle favole, ti accorgeresti che, forse, ogni
tanto, anche tu sbagli a giudicare le persone. E che, forse, c'è
un motivo per cui non hai amici.” ringhiò James,
arrabbiato per le continue sentenze che aveva sentito sul suo conto
in quei pochi minuti.
“Questo non dovevi dirlo.”
Lily troncò la discussione, correndo via.
“Lily! Aspetta! Non volevo! Lily!” urlò James,
rincorrendola per le scale.
“Lily! Lily!”
“Lasciami in pace, Potter! Ogni volta che compari tu, fai solo
danni!”
Ok,
con il solito esagerato ritardo ecco qui il capitolo... Era periodo
d' esami, sapete com'è...
Ho
deciso di smetterla di fare pronostici sui prossimi aggiornamenti
perchè, tanto, non sono mai rispettati.
Spero
che, nonostante i miei mostruosi ritardi, continuiate a seguire la
storia perchè, sebbene Lily e James sembri proprio che
facciano un passo in avanti e due all'indietro, ci sono novità
importanti in vista.
Vi
ringrazio tutti quanti per la lettura e per le recensioni. Grazie
davvero. Alla prossima.
PrincessMarauders:
la professione psicologo di Remus va avanti alla grande, come vedi!
Non lo ferma nessuno, nemmeno da “malato”! Lily e James
hanno litigato, di nuovo, e ora... aspettiamo fiduciose. Vedrai, si
sistemerà tutto.
Purepura:
ti anticipo che Sirius e Lily diventeranno ottimi amici, ma non è
ancora il momento. Prima di tutto occorre avvicinarsi a James, cosa
non facile, dal momento che mai come ora sembrano lontani...
Ayumi
Yoshida: benvenuta! Spero di non averti già perso,
come lettrice, visto che ci ho messo tanto ad aggiornare! Scherzi a
parte, grazie per la magnifica recensione che mi hai lasciato:
cercare di descrivere come si sentono i personaggi è una cosa
abbastanza sfiancante, anche perchè, spesso è un po'
“dolorosa” ma sono felice che ti stia piacendo il modo in
cui li ho resi fino ad ora. Anche se sono un po' diversi da quello
che si vede di solito.
Un'altra
scena Lily James c'è stata, anche se forse non è
proprio l'apoteosi del romanticismo, ma abbi fede! Lily si aprirà
e capirà che James è l'unico che la possa aiutare
davvero e James, dal canto suo, la smetterà di partire dal
presupposto di avere ragione, accorgendosi che, non è
possibile dividere il mondo in Buoni e Cattivi, perchè c'è
molto grigio laddove lui vede solo o bianco o nero.
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Capitolo 11 *** Decimo Capitolo ***
CAPITOLO DECIMO
Marzo
1977
L'ora di Storia della Magia trascorreva lenta come al solito.
Il professor Ruf aleggiava da un angolo all'altro della classe
raccontando del Concilio degli Stregoni del 1659 e delle sue
importanti conseguenze per la comunità magica.
Come al solito, però, nessuno degli studenti di Grifondoro o
Tassorosso sembrava interessato alla lezione, salvo gli abitudinari
dei primi banchi: un ragazzo ed una ragazza di Tassorosso, Lily Evans
e, seduto un paio di file dietro di lei, Remus Lupin.
Ruf proseguiva imperterrito nella spiegazione, senza far caso al
chiacchiericcio della classe, che, quel lunedì pomeriggio,
aveva un motivo in più per parlare.
La sera prima c'era stata la festa di compleanno di James Potter,
diventato finalmente maggiorenne.
Metà degli studenti tra il quinto, sesto e settimo anno aveva
partecipato e la serata precedente era ancora il miglior argomento di
conversazione per tenersi occupati durante le lezioni.
Dall'ultima fila James Potter e Sirius Black ammiccavano
ringraziamenti a tutti i compagni che lanciavano segnali nella loro
direzione o spedivano pergamene cariche di messaggi e di foto ricordo
stampate nella notte.
“Per Merlino e i suoi boxer fiorati, Ramoso, quella di ieri
sera è stata la festa più degenerante che io ricordi!”
esclamò Sirius, non riuscendo a fermare le risate di fronte
alla foto appena planata sul loro banco di lui e James con le spalle
coperte da una tenda usata come mantello.
“Te l'avevo detto! Ti avevo detto che i miei diciassette anni
avrebbero battuto i tuoi!” rispose James
“Voi non siete stanchi però, ragazzi?” chiese
Peter, che manteneva la testa appoggiata al banco dalle nove di
quella mattina.
“Peter, insomma! Bisogna divertirsi! Erano i diciassette anni
di James! Vale la pena di patire un po' di sonno!” fece Sirius,
scuotendo la testa.
“Vorrà dire che stasera andrai a letto prima.” gli
consiglio James, afferrando l'ennesima pergamena che stava
svolazzando per l'aula.
“Sì, come no! Con voi prima dell'una non si riesce ad
andare a dormire!”sospirò Peter, sbattendo via la piuma
e rinunciando a prendere appunti. Avrebbe usato quelli di Remus anche
lui, per una volta.
“Dovremmo prendere esempio da Remus e drogarci di caffeina.
Nonostante i suoi non molto segreti bagordi notturni, questa mattina
il caro Lunastorta è pimpante ed attento come al solito.”
osservò James.
“Dite che si è reso conto che mezza scuola l'ha visto
ballare sul tavolo sbronzo?” chiese Sirius, malcelando
noncuranza.
“Io credo proprio di no. Altrimenti stamattina sarebbe ancora
chiuso nell'armadio rifiutandosi di uscire.” rispose Peter,
contento di non avere nulla da nascondere.
“O magari se n'è reso conto, solo che ci tiene troppo
alla sua immagine di studente modello e, quindi, ha scelto di far
finta di nulla. Non è lui che, in queste occasioni fa suo il
motto: “Negare sempre”?” ridacchiò James
cercando di attirare l'attenzione di Remus gettandogli qualche
pallina di pergamena contro la schiena.
“Bè, credo che non potrà negare di fronte a
questa!” Sirius sventolò sotto il naso degli amici la
fotografia appena giunta sul suo banco.
Ritraeva Remus in una posizione davvero imbarazzante: se ne stava
sdraiato per terra, con gambe e braccia aperte, come per abbracciare
l'obbiettivo.
“Vediamo che faccia fa!” James tolse la foto dalle mani
di Sirius e la spedì sul banco di Remus.
“James! Se Ruf ci vede è la volta buona che ci manda da
Silente!” strillò Peter, preoccupato.
“Tanto Silente da ragione a noi, Codaliscia! Lo sa anche lui
che seguire Ruf è impossibile!” lo zittì Sirius.
Remus alzò appena gli occhi dalla pergamena, quando vide la
fotografia incriminata discendere sul suo banco.
Rapidamente la afferrò, tenendosela stretta ed arrossendo fino
alla punta delle orecchie. Senza far caso a quello che il professore
stava dicendo e perdendosi qualche prezioso secondo di appunti, si
voltò verso gli amici e sillabò:
“Voi tre siete morti se fate vedere questa in giro. Morti, mi
avete capito? Morti. Sì, anche tu Peter, anche tu. Tu smettila
di ridere, stupido cagnaccio pulcioso. E non mi importa se hai appena
compiuto diciassette anni, James. Non me ne frega niente. Mettetela
in giro e siete morti.”
Soddisfatto della minaccia, tornò alla sua pergamena, mentre,
dietro di lui i tre amici sghignazzavano senza contegno.
A Lily la scena non era sfuggita.
Sorrise, come faceva sempre quando li osservava.
Aveva litigato nuovamente con James Potter, non gli aveva più
rivolto la parola e si era mantenuta alla larga dai Malandrini, ma
non da Remus.
Era solo merito suo se lei stava, piano piano, ricominciando a
camminare con le sue gambe. Se stava, piano piano, ricominciando a
fidarsi della gente.
Avevano stretto un tacito accordo: non si parlava di Potter o di
Black. Remus era libero di frequentare chi voleva.
Venendo a conoscenza dell'ultima discussione tra Lily e James, Remus
non aveva più cercato di fare da intermediario. Aveva scelto
di smetterla di intromettersi, iniziando a pensare di aver sbagliato
a pensare che, forse, loro quattro avrebbero potuto aiutare Lily.
In ogni caso, né James da una parte, né Lily dall'altra
aveva più toccato l'argomento ed anzi, entrambi sembravano
fingere che l'altro non esistesse.
Se questo riusciva bene a Lily, però, non si poteva dire lo
stesso di James, che veniva sorpreso spesso a fissare i capelli rossi
di Lily, seduta sempre qualche banco avanti a lui.
Eppure, dentro di sé, Lily non poteva fare a meno di invidiare
il calore e l'amicizia in cui era sommerso Remus.
Nonostante disprezzasse James Potter, nonostante trovasse così
distante da lei il modo di pensare che avevano le sue compagne, non
poteva fare a meno di non essere invidiosa di quello che loro
avevano.
Calore, affetto, amicizia.
Lei aveva se stessa. E Remus, Remus, grazie al quale si stava
riprendendo un pezzo della sua vita. Tuttavia, per dieci brevi giorni
ci aveva creduto.
Aveva creduto che James, Sirius, Peter e Remus potessero aiutarla.
Aveva creduto di essersi sbagliata, nel giudicarli.
Aveva creduto che avrebbero potuto diventare amici.
Aveva creduto nello sguardo di James, nelle battute di Sirius,
nell'aria paciosa di Peter e nel sorriso di Remus.
Aveva creduto di poter, finalmente, fare anche lei parte di qualcosa.
Poi era successo quello che era successo e ciascuno si era mostrato
per quello che era.
Punto e basta, fine delle fantasticherie.
Lei era rimasta da sola con se stessa e con Remus, che ricompariva,
di tanto in tanto, a ricordarle che, forse, non era tutto perso.
Questo tuttavia, non implicava che Lily non provasse rimpianto nel
vedere i suoi compagni godere di qualcosa che, a lei, sembrava
precluso.
Le sarebbe piaciuto moltissimo partecipare alla festa di compleanno
di Potter: non perchè fosse la festa di Potter, ma perchè
era una festa e, di solito, la gente in quelle occasioni si diverte,
spensierata.
Remus l'aveva invitata. Le aveva proposto più volte di unirsi
a loro, in fondo, poco importava che si trattasse del compleanno di
James: avrebbe partecipato mezza scuola e, di certo, pochi erano
quelli venuti appositamente per festeggiare la maggiore età di
James Potter.
La maggioranza aveva visto in quella serata un'occasione per rompere
la quotidianità, per divertirsi e stare insieme, liberi, per
una volta, dai seriosi ed imponenti schemi di comportamento di
Hogwarts.
Ma lei, cosa ci sarebbe andata a fare ad una festa?
Non aveva voglia di starsene in un angolo davanti a tutti a farsi
osservare, a recitare, nuovamente, la parte di quella strana, quella
che viene e non si sa integrare.
Non aveva voglia di guardare gli altri divertirsi, mentre lei se ne
stava sola.
Avrebbe potuto tallonare Remus per tutta la serata, certo, ma gli
avrebbe impedito di divertirsi con i suoi amici. L'avrebbe, in un
certo senso, costretto a fare una scelta: o me o loro.
Non era giusto.
Così, aveva declinato l'invito, adducendo come scusa il fatto
che fosse il compleanno di Potter e non le pareva il caso di
partecipare, dato che si conoscevano poco e che, quel poco, era
sufficiente a farli litigare non appena si rivolgessero la parola.
Tuttavia, quando aveva saputo che, a causa di improvvisi imprevisti
(Remus le aveva riferito che Silente era stato visto da James e
Sirius dipingere ed appendere le proprie tele esattamente nella Sala
prescelta per la festa), tutto era spostato in Sala Comune, non aveva
resistito.
Si era innervosita parecchio quando aveva sentito Sirius Black
scacciare i ragazzini dei primi anni e mandarli a letto, perchè
stava per avere luogo “La più grande festa che Hogwarts
ricordi”, ma non aveva detto nulla, mordendosi le labbra: in
fondo, se la festa fosse stata la sua, probabilmente anche lei
avrebbe fatto altrettanto.
Aveva rassicurato le sue compagne sul fatto di non voler scendere:
sarebbe stata in camera a leggere, non le piacevano le feste.
Lily era convinta di quello che aveva detto e, sebbene una parte di
lei morisse dalla voglia di scendere, dopo cena si era sistemata sul
suo letto.
“Noi
scendiamo, vieni anche tu Lily?” le chiese Penelope, provando
un po' di pena per la compagna stesa sul letto in compagnia di un
libro mentre loro stavano andando a divertirsi.
“No,
grazie. Preferisco restare qui. Sono un po' indietro con la lettura.”
rispose Lily, abbozzando un sorriso di scuse.
“Ah,
come preferisci. Allora noi andiamo. Buona serata, Lily.” le
augurò Mary, lanciando un'occhiata scettica alla copertina del
Giovane Holden.
“A
domani Lily!”esclamò Rose, facendo appena in tempo ad
infilarsi l'ultimo orecchino prima di seguire le amiche fuori dalla
porta.
“Divertitevi!”
gridò Lily, senza avere la certezza di essere sentita.
Sospirò
e riaprì il suo libro: Il Giovane Holden.
Glielo aveva consigliato suo cugino e sfogliando quelle pagine non
poteva non pensare a lui e alla travagliata ed entusiasmante
adolescenza che, Lily poteva scommetterci, era stata molto simile
all'inquieta vita di Holden.
Tristan
per lei era come un fratello maggiore: l'aveva sempre coccolata
moltissimo, quando era bambina e le era stato vicino quando il
distacco tra lei e Petunia si era fatto più netto ed
insanabile.
Ora
però viveva lontano, in America. Si era recato lì per
lavoro e si era sposato, trasferendosi dall'altra parte dell'
Atlantico in pianta stabile.
Certo,
potevano scriversi e telefonarsi, ogni tanto, quando lei era a casa,
però... però non era la stessa cosa e Lily sentiva
terribilmente la mancanza di quell'abbraccio fraterno che Tristan
riservava a lei sola.
Forse,
se rileggeva di continuo Il Giovane Holden era per riportare alla
memoria quei ricordi lontani.
Era
arrivata alla conversazione notturna tra Holden e la sua sorellina,
Phoebe, il suo momento preferito. Stavano ballando.
Non
riusciva a leggere. Nonostante “Il giovane Holden” fosse
un romanzo coinvolgente, nonostante rivedesse se stessa in alcune
sensazioni del protagonista, nonostante le venisse spontaneo
chiedersi dove andassero le anatre di Central Park quando il laghetto
era ghiacciato, proprio come faceva Holden, quella sera ogni pagina
le sembrava vuota.
Non
capiva quello che stava scritto. Non riusciva a seguire Holden nei
suoi pellegrinaggi per New York.
Lei
voleva andare a quella festa. Lily voleva essere lì, stare coi
suoi compagni, ridere, scherzare...
Voleva
ballare come faceva Holden con la piccola Phoebe e voleva ridere,
come ridevano Holden e Sally.
Ma,
se fosse andata, cosa avrebbe fatto?
No,
non era ambiente per lei, quello. Era la classica situazione in cui
si trovavano a loro agio Mary, Rose, Penelope. Persino sua sorella
Petunia avrebbe saputo perfettamente cosa fare e come comportarsi.
Lei
era come Severus: un po' ombrosa, incapace di integrarsi nel gruppo,
gelosa custode di se stessa.
Non
era posto per lei. Ma, forse, avrebbe potuto, comunque, dare
un'occhiata, vedere, almeno, quello che stavano facendo.
Abbandonò
il libro sul letto, salutando Holden ed i suoi problemi con un
sorriso malinconico.
Si
spazzolò i capelli e pescò un maglione e un paio di
jeans puliti da quell'ammasso di vestiti che riempiva il suo baule.
Contrariamente
alle aspettative, Lily Evans non era ordinata.
Non
era per niente ordinata.
Quando
sua madre o, prima, anche Severus, due veri maniaci di ordine e
perfezione, le facevano notare che, forse, il disordine che invadeva
le sue cose era diventato davvero troppo, lei soleva rispondere, con
un sorriso:
“Sciocchezze,
io nel mio disordine trovo tutto!”
Non
era propriamente vero e molte erano le volte in cui aveva
letteralmente ribaltato scatole e cassetti, pur di trovare “quella
cosa” che era certa di aver messo “proprio lì”.
Tuttavia, era bello vedere le loro smorfie di insoddisfazione, quando
venivano zittiti a quel modo.
Aprì
piano la porta della sua stanza, controllando diverse volte che
nessuno la vedesse uscire.
Scese
lentamente gli scalini, appollaiandosi sul primo pianerottolo: il più
vicino alla Sala Comune.
Da
lì sarebbe riuscita a vedere gli altri, senza essere vista.
Si
prese il viso tra le mani, appoggiando i gomiti alle ginocchia ed
iniziò a canticchiare il ritornello della canzone che stava
passando dalla vecchia radio che qualcuno era riuscito a recuperare.
Vide
Mary Mcdonald in compagnia del suo ragazzo, scoprendo così che
i dissapori che aveva sentito raccontare a Rose e Penelope erano
stati accantonati.
Riconobbe
gli studenti di altre Case: una ragazza che seguiva Antiche Rune con
lei, Susan Ferguson, di Corvonero e Max Frost di Tassorosso.
Vagò
per la stanza, cercando i Malandrini: probabilmente il festeggiato
stava dando il meglio di sé, impegnato nei suoi soliti
spettacolini in compagnia di Sirius Black.
I
Malandrini stavano, tutti e quattro, vicini al tavolo di cibi e
bevande, comportandosi quasi come se non toccassero cibo da una
settimana.
Persino
Remus continuava ad ingozzarsi come un cavernicolo.
Lily
sorrise: era bello vederli insieme.
Non
seppe per quanto tempo rimase lì, a fissarli scambiarsi
battute e improvvisati passi di danza.
Successe
però una cosa che la fece fuggire via, pentita di essersi
concessa quello svago.
James
Potter e Sirius Black stavano guardando nella sua direzione.
“James!”
chiamò Sirius
James
stava stappando due bottiglie di Burrobirra, una per sé ed una
per un ragazzo che gliel'aveva chiesta.
“James!”
richiamò Sirius, più forte.
“E
non urlare, per Merlino, Sirius! Cosa c'è di così
urgente? E' il mio compleanno, Santo Boccino! Potresti lasciarmi un
po' in pace per questa sera! Lo so che ti manco, però,
accidenti, non succede nulla se anche stiamo lontani per qualche
minuto!” James arrivò, portando anche un bicchiere pieno
di vino elfico per l'amico.
“La
Evans.” sillabò piano, Sirius, attento a non farsi
sentire.
L'espressione
di James cambiò immediatamente e il suo solito sorrisetto
sghembo cedette il posto ad una smorfia contrita.
“Non
c'è. E se proprio lo vuoi sapere non l'ho nemmeno invitata.
Non abbiamo più nulla da dirci.” rispose, duro. Si era
convinto di non aver più nulla a che spartire con Lily Evans.
Era stanco di accuse, di bisticci e di sentenze emesse da chi non
sapeva nulla di lui e della sua vita.
Lily
Evans era libera di fare e pensare quello che voleva, lui non
l'avrebbe più disturbata né innervosita. Anzi, non si
sarebbero innervositi a vicenda. L'avrebbe guardata da lontano,
tenuta al sicuro dai pericoli come si tiene al sicuro un fiore
delicato durante un temporale, ma avrebbe smesso di pensare a quello
che avrebbe potuto essere.
Non
aveva senso. Non ne aveva mai ricavato nulla di buono.
Aveva
ragione Sirius, sin dall'inizio.
“E'
qui.” disse Sirius, senza aggiungere altro.
“Dove?”
gli occhi di James fecero un guizzo. Era lì? Perchè era
venuta? Per dirgli quanto fosse da irresponsabili organizzare una
festa a scuola?
“E'
nascosta sulle scale. Forse è venuta per te.” gli
suggerì l'amico, con un ghigno divertito, indicandogli la
sagoma nascosta dall'ombra.
James
la vide. La vide raggomitolata su se stessa, con le ginocchia strette
alle mani che si guardava attorno, meravigliata. Forse aspettava
semplicemente che lui andasse lì, la prendesse per mano e le
dicesse che era la benvenuta.
No,
se fosse andato lì avrebbero discusso, ancora una volta e
James non aveva la minima intenzione di rovinarsi la sua festa di
compleanno.
Se
la meritava, per Morgana! Diciassette anni si compiono una volta
sola.
“Non
credo.” rispose, bevendo dalla bottiglia.
“Vuoi
andare da lei?”chiese ancora, Sirius.
“Non
è me che sta aspettando.” rispose James, amareggiato,
adducendo al fatto che, sebbene lei non volesse ammetterlo, stava
ancora attendendo che il suo caro amico Mocciosus la invitasse a
pranzare con lui nel parco domenica.
“Bè,
di sicuro Remus non può andare da lei. Credo che sia già
in botta.” ridacchiò Sirius, indicandogli quel che
restava della dignità di Remus, impegnato in conversazioni
deliranti con alcuni degli invitati.
“Santo
Boccino! Dici che ce l'abbiamo finalmente fatta a farlo sbronzare? Ma
è un miracolo, Sirius!” esclamò James, quasi
dimentico di Lily.
“Io
non credo nei miracoli,ma nel punch corretto sì!” ghignò
Sirius
“Sirius
Black, tu sei...” iniziò James
“Un
genio?” ammiccò Sirius
“No,
la più grande canaglia che sia mai esistita!” rise
James, di gusto, iniziando a prendere scherzosamente a pugni l'amico.
“James!
James!” cinguettò Peter, raggiungendoli.
“Sì,
Codaliscia, lo sappiamo! Remus è sulla via della perdizione,
finalmente!”
“Ma
no, Sirius, che cos'hai capito!- esclamò Peter scuotendo la
testa-Me ne sono accorto subito che avevi corretto il punch apposta,
cosicchè bevesse anche Remus!”
“Complimenti,
Peter, fai progressi!” lo prese in giro Sirius
“Spiritoso!
Comunque, sono venuto a dirvi che è l'ora della torta!”
nel dirlo Peter strizzò l'occhio a Sirius, che rispose.
“Giusto,
la torta! Dovrei proprio regalare qualche calzino bucato agli Elfi!-
intervenne James- Il pandispagna che mi hanno preparato sembra
delizioso! Dite alla gente che sto per andare a prendere la torta.”
“Ma
no, James, lascia stare! Avvisali tu, ci pensiamo io e Peter a
prendere la torta.” lo contraddisse Sirius, con dei modi un po'
troppo teatrali, a cui, però, il festeggiato non badò.
Sirius
e Peter si allontanarono, mentre James chiamava a raccolta gli
invitati.
“Dici
che Remus sarà in condizione di aiutarci?” domandò
Peter, un po' perplesso.
“Deve
aiutarci! Pesa troppo quella roba! Ehi, Remus, ce la fai?”
Sirius lo scosse pesantemente.
“Ci
sono... Sirius... Ci sono. C'è solo qui Amelia che vuole farci
una foto... come siamo belli, Sirius... Sorridi. Anche tu, Peter.”
“Si
ecco, facciamo questa foto così sei contento.”annuì
Sirius, scorbutico.
“Amelia,
però datti una mossa, che noi abbiamo da fare e questo qui è
ubriaco.” aggiunse, in fretta.
“Un
attimo, Sirius. Non è immediato! Sorridete!”
“Sirius,
te l'ho sempre detto che devi imparare a trattare le ragazze con più
cura. Non sono le tue Elfe Domestiche.” spiegò Remus.
“Remus,
per favore, abbiamo da fare. Smettila di farmi prediche, stasera che
sei pure sbronzo. Dobbiamo andare a prendere quella cosa per James.”
insistette Sirius, trascinandolo via a fatica.
“Quella
cosa?- strillò Remus, strabuzzando gli occhi- Allora
muoviamoci! Peter, muoviti! Usa quelle gambe, per una volta!”
“Remus,
sono davanti a te! E' incredibile come anche in questa condizione
riesca a darci ordini.” sbruffò Peter.
“Credo
sia insito nella sua natura, purtroppo.” commentò
Sirius.
“Studia
, Sirius! Studia!” strillò Remus
“E
impiccati!” lo insultò Sirius, strattonandolo.
Finalmente il trio riusci a recuperare quello di cui aveva
bisogno, tornando giusto in tempo per ascoltare l'orazione che James
Potter stava rivolgendo al suo pubblico.
“Bene,
grazie a tutti per essere venuti! Sono certo che questa festa resterà
negli annali: in fondo, la maggiore età di James Potter,
ovvero me, ovvero il più grande Cercatore e Capitano che
Hogwarts abbia da secoli, sarà qualcosa da ricordare! Ah,
siccome è una festa, c'è ovviamente la torta, che i
miei fidi collaboratori di malefatte, nonché compagni di
stanza e di banco, nonché miei migliori amici, sono andati a
recuperare: arriva direttamente dalle cucine. La pasticceria Hogwarts
si è data da fare, stavolta!”
Mentre
partivano gli auguri degli invitati, Sirius scambiò con gli
amici il segnale concordato.
“Auguri,
fratello!”
“Auguri,
Ramoso!”
“Auguri,
James!”
gridarono,
uno ad uno i tre amici, immergendo le mani nello scatolone e tirando
contro il festeggiato un' imprecisata quantità di panna
montata.
“Ehi
ma che cosa...” stava dicendo James, senza capire.
“Panna!
Ma voi siete matti!” esclamò James, ricoperto di soffice
schiuma su tutta la faccia.
“Hai
detto che volevi una sorpresa per il tuo compleanno, no?” gli
gridò dietro Sirius, sommergendolo di altra panna.
“L'hai
voluta!”rispose James,affondando la mano nella panna per
rincorrere Sirius.
“Si
chiama panna, amico!” gli gridò qualcuno, mentre da quel
momento in poi iniziò un degenero fatto di panna montata sugli
invitati.
“Credo di avere ancora panna sui capelli.” osservò
James, annusandosi la mano con cui si era appena scompigliato la
zazzera nera.
“Che schifo, Ramoso! Potresti lavarti!” lo insultò
Sirius, allontanandosi da lui.
“Mi sono fatto lo shampoo tre volte! Può essere che ci
voglia un po', prima che venga via del tutto...” ipotizzò,
continuando ad esaminarsi i capelli.
“Sulla mia testa non c'è più una traccia di panna
montata, ergo, se sulla tua sì significa che non sei in grado
di lavarti!” andò avanti Sirius.
“Magari può essere semplicemente che i capelli di James
siano diversi dai tuoi.” azzardò Peter.
“Ecco, vedi. Può essere che sia così. Ben detto,
Codaliscia.” approvò James.
Sirius sbruffò, appena prima che si sentisse qualcuno bussare
alla porta.
La professoressa McGranitt entrò, aveva una strana
espressione. più seria del solito e appariva quasi...
addolorata.
“Ruf, per favore, ho bisogno che Potter, Lupin e la signorina
Dewey vengano con me.”
Ruf la guardò stupito, ma non accennò protesta, facendo
cenno agli studenti chiamati di alzarsi.
“Che cosa è successo? Perchè dobbiamo venire con
lei?” domandò Emily Dewey di Tassorosso, alzandosi
preoccupata.
“Prof, le giuro che qualsiasi cosa sia successa Remus ed Emily
non c'entrano niente! E' colpa mia per ieri sera!” esclamò
James, raggiungendo la vicepreside.
“Prof- Sirius si alzò in piedi- lasci in classe Remus.
Siamo io e James ad aver organizzato tutto. Quello che è
successo è colpa nostra.”
La McGranitt guardò meravigliata i due ragazzi in piedi.
“Non so di cosa stiate parlando, Black, però ho ordini
precisi del professor Silente: i signori Potter e Lupin e la
signorina Dewey devono venire con me.”
“Ma prof!” protestarono ancora Sirius e James, mentre già
Remus e Emily Dewey avevano affiancato la McGranitt.
“Potter, Black, quello che è successo non riguarda
nessuna delle vostre sciocche trovate. Black, siediti e tu, Potter,
vieni qui, in fretta.” disse spiccia, la McGranitt.
In silenzio James attraversò la classe, intuendo dal tono e
dallo sguardo che la professoressa gli riservò che c'era
qualcosa di serio che non andava.
Sirius, invece, proseguiva nella sua protesta e ci volle tutta la
pazienza di Ruf e la forza di Peter nel tirargli la manica della
divisa per convincerlo a mettersi a sedere.
Le ore trascorsero, ma nessuno dei ragazzi chiamati tornò a
scuola per cena.
Lily si era detta che sarebbero senza dubbio tornati presto, che
c'era di certo qualcosa da sistemare, ma nulla di grave. Cercava di
convincersi che la sensazione negativa che la pervadeva da quando se
n'erano andati non fosse altro che una sensazione.
Sirius e Peter avevano ciondolato in giro per il resto della
giornata, senza meta.
Sirius in particolare si sentiva perso ed impotente. Era all'oscuro
di tutto e detestava non poter fare niente.
Perchè la McGranitt li aveva portati via? Ormai era sicuro che
non c'entrasse alcuna bravata: era venuto a sapere che diversi
studenti erano stati fatti allontanare da scuola e quello poteva
significare solo una cosa: era successo qualcosa alle loro famiglie,
magari un attacco di quei pazzi.
Se ne stava mollemente abbandonato su una poltrona della Sala Comune,
con Peter seduto di fronte a lui, incapace di emettere una frase
sensata da quel pomeriggio.
“Sirius, scusa, posso chiederti una cosa?” la voce di
Lily Evans era arrivata del tutto inaspettata, così come lei,
che lo fissava in piedi, con la testa inclinata.
Da quanto avesse memoria, era la prima volta che Sirius doveva alzare
gli occhi per parlare con Lily.
Si tirò a sedere, in una posizione più consona, facendo
aderire la schiena allo schienale della poltrona.
“Dimmi tutto, Evans. In cosa posso esserti utile?”domandò,
con tono beffardo
“Remus è tornato? Non l'ho più visto.”
spiegò Lily.
“Siamo in due. ” le rispose Sirius, mesto.
“Sai cosa è successo?” incalzò Lily.
“Ti pare che possa sapere per quale motivo la Mc ha portato via
sia lui che James? Qui c'è sotto qualcosa, Evans. Qualcosa di
grosso. E la cosa non mi piace.”
Lily fece per rispondere qualcosa, ma Sirius la precedette.
“Basta: vado da Silente.”
“Ma, Sirius- intervenne Peter, rimasto zitto fino a quel
momento- credi davvero che ti dirà qualcosa?”
“Deve dirmi qualcosa, Peter! Non può far scomparire nel
nulla James e Remus per una giornata!” esclamò Sirius,
rabbioso.
“Voglio venire con te.” disse Lily
“Ma... Evans...” cominciò Sirius, perplesso.
L'ultima cosa a cui aveva pensato era di doversi portare la Evans a
fare un giro turistico di Hogwarts in notturno.
“Sirius...” bisbigliò Lily
Sirius si voltò verso Peter, per sapere cosa ne pensava lui e,
visti i continui cenni d'assenso che gli stava mandando, uniti ad
occhiate che comunicavano un “Non fare il solito buzzurro”,
cedette.
“E sia.”
“Grazie.” gli sorrise Lily, grata come se le avesse fatto
il dono più grande.
Sirius cercò di non pensare al fatto che quella ragazza si
accontentava davvero di poco e nemmeno volle badare più di
tanto alla sensazione che gli faceva l'averle concesso il permesso di
seguirlo.
“Pete, noi andiamo. Tu stai qui, nel caso tornino.”
ordinò, alzandosi in piedi.
“Evans, allora, ti muovi?” chiamò, quando già
lui era al buco del ritratto e lei stava ancora scambiando qualche
parola con Peter.
Lily salutò Peter e si precipitò al fianco di Sirius.
Camminarono in silenzio per i corridoi, solo quando stavano per
raggiungere il gargoyle di pietra che consentiva l'accesso
all'ufficio di Silente, Lily si azzardò a parlare.
“Pensi che staranno bene?” domandò
“Evans, se la sanno cavare benissimo da soli. Fidati. Solo io
vorrei sapere per quale razza di motivo li hanno portati via senza
spiegazioni.” le rispose Sirius, usando un tono di voce più
dolce, quasi si fosse reso conto della necessità di infonderle
sicurezza.
Raggiunsero il gargoyle.
“Piperilla Nera, DoppiaCoppa alla Mollelingua, Cioccorana!”
strillò Sirius
“Perchè stai urlando i nomi di dolci, siamo qui per
Silente!” lo rimproverò Lily, senza capire.
“Silente usa sempre parole d'ordine di questo tipo.- spiegò
Sirius, con aria di sufficienza- Cioccocalderoni!”
Il gargoyle si mosse.
“Cioccocalderoni?- fece, scettico, Sirius- Wow, mi delude! Era
molto meglio Burrobirra come l'anno scorso!”
“Ti ringrazio per i complimenti, signor Black, ma temo che la
parola d'ordine non sia nemmeno Cioccocalderoni. Caso vuole che
avessi deciso di fare una passeggiata...” la sagoma imponente
di Albus Silente scese gli ultimi scalini, ponendosi di fronte ai due
ragazzi.
“Buona sera anche a te, signorina Evans.”
Lily rispose con un timido cenno di capo.
“Dove sono James e Remus?” chiese immediatamente Sirius
“Con calma, ragazzo, con calma. Sapevo che sareste venuti.
Anzi, mi aspettavo di trovarvi qui molto prima.”
“Le ho chiesto dove sono Remus e James, professore! Mi
risponda!” proseguì Sirius, irritato.
Il Preside sospirò, grave, e si sedette su un gradino,
invitando anche i ragazzi a fare altrettanto.
Lily obbedì, pensando che fosse meglio assecondarlo.
Sirius, invece, rimase in piedi, a fissarlo torvo.
“Questa mattina i Mangiamorte hanno attaccato Diagon Alley. Il
padre di James, la madre di Remus e i genitori di altri studenti sono
rimasti coinvolti.”
“Che cosa, ma non è possibile! Dovevano esserci dei
controlli! Ci sono Auror ovunque!” esclamò Sirius, fuori
di sé, incapace di crederci.
Il padre di James... la madre di Remus... no, doveva esserci uno
sbaglio.
“Eppure è accaduto.- riprese Silente- James e Remus ora
sono al San Mungo. I loro genitori sono ricoverati lì.”
“Ma staranno bene, vero? Si riprenderanno?” chiese Lily,
sconvolta, pensando già alla salute della signora Lupin, che
credeva già compromessa di per sé.
“Purtroppo non posso dirvi niente, se non che le loro
condizioni sono gravi.”
“Come sta il padre di James?” chiese Sirius, bianco in
volto. Charlus Potter non poteva essere ricoverato in un ospedale.
Non lui.
“E' grave, ma dovrebbe riprendersi.” rispose, Silente,
ben sapendo che mentire era inutile.
“Io vado là.” disse Sirius.
“No, non se ne parla.- lo bloccò Silente, duro.- Potrete
andare da loro tra qualche giorno. Ora è giusto che siano
presenti solo i famigliari.”
“Ma lei non capisce!- sbraitò Sirius- James e Remus
hanno bisogno di me!”
“Sirius, non è tuo padre.” disse Silente,
scandendo bene ogni sillaba e certo di aver individuato quale punto
della questione premesse maggiormente a Sirius.
“Ma è come se lo fosse!” urlò Sirius,
forte.
“E' come se lo fosse! E io devo sapere come sta!”
Forse
sarete sorpresi da questo brusco cambio di scenario, ma come ho già
precisato qualche capitolo fa, il fatto che a volte la storia risulti
“spezzettata” è voluto.
Da
questo capitolo iniziamo ad entrare nel vivo e si avranno i primi
cambiamenti nei rapporti.
Sono
convinta che a far maturare James sia stato qualcosa che è
successo, qualcosa che gli ha fatto capire che si faceva sul serio e
che tutto andava oltre una rivalità tra Case. Questa è
la mia versione, spero che vi possa sembrare credibile.
So
benissimo che la scena di Lily che sbircia la festa dalle scale è
improbabile e, per certi versi esagerata, però vorrei che
fosse ben chiaro che Lily stessa vorrebbe essere diversa. Vorrebbe
essere come i suoi compagni, vorrebbe divertirsi, è conscia
della sua situazione e sa perfettamente che cosa ha perso legandosi
così tanto a Severus ed escludendo qualsiasi altra persona
dalla sua vita. Sa benissimo anche che cosa andrebbe fatto, come
dovrebbe fare per riappropriarsi della sua vita, solo che non ci
riesce. Non da sola. Credo che momenti simili nella vita capitino.
Ps:
se non l'avete fatto, leggete “Il Giovane Holden”, è
un libro che dovrebbero leggere tutti prima dei vent'anni.
Vi
ringrazio tutti quanti infinitamente, il particolare:
Alohomora:
grazie mille per tutti gli splendidi complimenti! Spero di averti
fatto ridere, sognare, commuovere e preoccupare con loro anche in
questo capitolo!
PrincessMarauders:
ti anticipo che presto Lily e James smetteranno di urlarsi contro
ogni volta che si vedono. Hanno solo “bisogno di rodaggio”,
si può dire? Qui il Dott. Remus Lupin non ha potuto esercitare
la sua professione, ma tornerà a farlo. Adesso ha bisogno che
siano gli altri ad aiutare lui.
Purepura:
ogni tanto anch'io ho voglia di urlare a James di evitare di tirare
in ballo Piton ogni volta, è solo che sono convinta che lui la
prenda un po' sul personale, qualcosa come:
“Ehi,
non vuoi uscire con me perchè dici che sono arrogante e
prepotente, però sei stata amica di Severus Piton per anni.
Hai per anni difeso lui e i suoi amichetti Mangiamorte ed ora
continui a soffrire per lui, mentre invece hai sempre demonizzato me,
che, comunque, posso definirmi dalla parte giusta.”
Se
ti può tranquillizzare, direi che da questo capitolo, Lily e
James non si allontaneranno più.
Ayumi
Yoshida: ciao, la tua recensione mi davvero emozionato ed
inorgoglito, sai? E' così bello sapere di riuscire a
trasmettere qualcosa!
Sono
felice che il dialogo tra James e suo padre ti sia parso vero, anche
perchè quelle parole torneranno spesso nella mente del
ragazzo, da questo momento in poi.
Sì,
hai ragione, James vuole mostrare sempre il suo lato un po' superbo,
è come se volesse farsi portatore di tutte le sicurezze di cui
Lily ha bisogno, solo che... lo fa in maniera leggermente sbagliata.
Da
questo capitolo, però, Lily e James si avvicinano e non si
allontaneranno più.
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Capitolo 12 *** Undicesimo Capitolo ***
CAPITOLO UNDICESIMO
HOGWARTS
Sirius aveva discusso col Preside per una decina di minuti abbondanti
e c'erano volute tutta la pazienza e tutta la capacità di
persuasione di Silente per convincerlo a non precipitarsi al San
Mungo.
Se anche fosse andato, non avrebbe potuto fare nulla e non gli
sarebbero state date notizie importanti: era il caso che aspettasse
almeno sino al pomeriggio dopo per raggiungere James e Remus.
In ogni caso, riuscì a farsi congedare con la promessa che, se
fosse successo qualcosa, sarebbe stato mandato immediatamente a
chiamare.
Silente affidò a Lily il compito di riportarlo in dormitorio e
di non fargli fare pazzie, assicurando che, alla fine delle lezioni,
si sarebbe impegnato personalmente per farli arrivare al San Mungo.
“Andiamo, Sirius.” aveva detto Lily quando il Preside era
sparito oltre il gargoyle.
“Non serve che me lo dica tu, Evans.” aveva ribattuto
Sirius, scontroso.
Lily preferì non rispondere, sebbene si fosse irritata
parecchio.
Non aveva potuto fare a meno di rimanere colpita dalle proteste di
Sirius, che sembrava temere per la sorte del padre di James come un
figlio e che desiderava poter raggiungere Remus per essere al suo
fianco. Tuttavia, quando Sirius Black mostrava quei modi così
strafottenti, Lily non poteva non irritarsi.
Fecero ritorno alla Torre di Grifondoro e lì si separarono:
Lily salì nella sua stanza e Sirius raggiunse Peter.
Sirius si era seduto sul letto, incapace di parlare e desideroso di
silenzio per raccogliere i propri pensieri.
Peter, che lo aveva tempestato di domande, avrebbe voluto parlare
ancora e ancora, come per convincersi che sarebbe andato davvero
tutto bene: ma come poteva andare tutto bene se non c'erano il
sorriso confortante di Remus e le parole di James, l'unico che
riuscisse davvero a farti credere che ogni cosa si sarebbe risolta?
Vedendo Sirius ridotto in quello stato di catalessi, Peter non potè
fare a meno di pensare che, sotto quell'aspetto, fossero molto
simili: entrambi erano incapaci di affrontare la vita da soli,
entrambi si sentivano persi di fronte ad una difficoltà, se
non c'era qualcuno che li trascinasse via dai loro pensieri.
James ogni tanto diceva che Sirius era ammalato dei suoi pensieri e
Peter, in quel momento, pensò che avesse pienamente ragione,
anche se, forse, la definizione doveva essere ampliata anche a lui.
Terminò di infilarsi il pigiama e zampettò due letti
oltre, sino a raggiungere Sirius.
Era strano vedere quella stanza vuota.
Il letto di Remus, prima di quello di Sirius, era immacolato e sul
comodino era stato posato “Delitto e Castigo”.
Sul letto disfatto di James, vicino alla finestra, stava ancora la
sua divisa da Quidditch, abbandonata lì dalla sera prima.
“Sirius...” chiamò piano, Peter.
Sirius si voltò e gli fece posto accanto a sé.
“Non può morire, Peter, non può. Non può.
Non è giusto.” continuava a dire Sirius, come se si
trattasse di una litania apotropaica.
Peter non sapeva cosa dire: del resto, che parole si potevano avere
di fronte alla morte? C'era davvero qualcosa da dire o bisognava solo
stare in silenzio e farsi una ragione della cosa?
La mattina dopo, a colazione, Lily notò che non era l'unica ad
aver passato la notte in bianco.
Aveva sentito diverse conversazioni e tanti erano gli studenti che
temevano per la sorte dei genitori dei loro compagni.
Buttò l'occhio verso l'angolo del tavolo di Grifondoro
solitamente occupato dai Malandrini: era strano vederlo così
vuoto, così silenzioso, così privo dell'abituale
chiasso festoso che lo animava.
Sirius fissava il suo piatto, senza avere realmente il coraggio di
assaggiare qualcosa della montagna di cibo con cui l'aveva riempito.
Peter era seduto di fronte a lui e consumava la sua colazione in
silenzio, anzi, la divorava, per nervosismo, probabilmente.
Sembravano persi senza James e Remus.
Facendo scorrere gli occhi sul resto della Sala Grande, Lily osservò
che quella era una scena che si ripeteva, sebbene ci fossero i più
temerari che discutevano animatamente dell'accaduto.
Forse, proprio per evitare che si diffondessero per la scuola
versioni fantasiose di quanto era successo, Albus Silente si alzò
in piedi e pretese il silenzio.
Tutti notarono immediatamente come averlo dal tavolo di Serpeverde
non fu affatto semplice.
Silente, tuttavia, non si lasciò scoraggiare e parlò,
certo che chiunque avesse intenzione di ascoltarlo l'avrebbe fatto.
“Sono certo che da ieri sera circolano le versioni più
strampalate su quanto è successo nella mattinata di lunedì
a Diagon Alley, pertanto, assieme ai miei colleghi, siamo giunti alla
conclusione che sia più opportuno informarvi direttamente.
Ieri mattina Lord Voldemort e i suoi seguaci hanno attaccato Diagon
Alley a scopo dimostrativo: molte persone sono rimaste ferite,
qualcuno, come purtroppo sapete, è morto. Gli Auror hanno
fatto quel che hanno potuto, ottenendo, ahimè, una controversa
vittoria. Ci tengo infatti a sottolineare, dal momento che non so
quanto i giornali riporteranno dell'effettiva verità, che per
consentire la ritirata dei Mangiamorte o la loro decimazione,
qualcuno è stato eletto a vittima sacrificale, si trattasse di
Auror scelti o di semplici passanti. Riflettete su questo, ragazzi
miei, ponetevi delle domande e datevi una risposta: è giusto o
è semplice? O forse è entrambe le cose?”
Senza aggiungere altro, il Preside si risedette e, in fretta, il suo
posto fu preso dalla McGranitt, la quale invitò tutti quanti a
sbrigarsi a raggiungere le aule delle proprie lezioni.
Lily si alzò ed si accorse che tutti quanti stavano mormorando
qualcosa, a proposito delle parole del Preside.
Afferrò la sua Gazzetta del Profeta e si incamminò
verso le serre di Erbologia, per la prima lezione di quella giornata.
Colse anche gli sprazzi di conversazione di qualche Serpeverde e
quello che sentì, non le piacque per niente.
“Andiamo, Sirius. E' tardi.” Peter cercò di
convincere Sirius ad alzarsi dalla panca.
“Sì, arrivo, Pete. Un attimo.” gli occhi di Sirius
vagavano nervosi per la Sala Grande, cercando Regulus.
Si era reso conto di quello che era successo, aveva capito sino a
dove si stava spingendo la follia di quei pazzi? A Diagon Alley la
mattina precedente ci doveva essere stato per forza anche qualche
parente dei suoi compagni di Casa.
Nemmeno i nobili eletti a far parte della Casa di Salazar Serpeverde
potevano dirsi esclusi dalle compere.
Finalmente individuò il gruppo che cercava. Regulus marciava
accompagnato da Severus Piton, Avery e Mulciber.
Sembravano non essere stati toccati minimamente dalla cosa, seppur
quella ragazza con cui ricordava che Reg fosse piuttosto amico
durante i suoi primi anni, Diane Greengrass, avesse perso la madre o,
almeno, così aveva sentito dire.
Senza far caso agli schiamazzi di Peter che lo pregava di
raggiungerlo, Sirius si fece incontro al fratello.
Lo guardò sfilare via, passando oltre.
Che cosa potevano avere mai da dirsi, dopotutto?
Credeva davvero che, se fosse andato lì, sarebbe riuscito a
convincere Regulus, a trascinarlo via, a metterlo al sicuro e a farlo
ragionare?
Sirius non ci credeva più. Non quando lo aveva visto passargli
avanti, senza degnarlo d'uno sguardo. Non quando, in cuor suo, sapeva
già che Regulus aveva una riposta.
Avrebbe parlato della Causa. Tutti quei morti avevano uno scopo: la
Causa, liberare il Mondo Magico dalla feccia.
Sapeva che James aveva ragione, a sostenere che ciascuno era
responsabile delle sue scelte, però quello era suo fratello.
Ed era invischiato in qualcosa di più grande di lui.
Maledisse mentalmente se stesso e quell'orribile marchio chiamato
sangue, quella stessa cosa che gli faceva provare un viscerale (e a
suo parere esagerato, perchè non Regulus non se lo meritava di
certo) attaccamento a quello che per lui sarebbe stato sempre il suo
“fratellino”.
Scavalcò il seggiolino della panca e gli corse dietro.
“Hai visto, Reg, hai visto cosa è successo?”
grugnì.
Appena lo avevano visto avvicinarsi, gli altri Serpeverde si erano
allontanati: nessuno di loro era così stupido da voler
ingaggiare un duello in mezzo alla Sala Grande.
“Non so di cosa tu stia parlando.” rispose, gelido, il
fratello.
“Reg, hanno ammazzato un sacco di gente! Escine, finchè
puoi! Non farti coinvolgere in qualcosa di più grande di te!
Troveremo un posto, zio Alphard ci aiuterà, vieni via!”
“Era per la causa. Hanno agito per la causa.” spiegò,
meccanicamente, Regulus.
“Causa? Quale causa?- ribattè Sirius, sprezzante- E' una
causa ammazzare un sacco di gente?”
“Ripulire il nostro mondo, questa è la causa, Sirius.”
“Non credo che Diane Greengrass sia molto d'accordo su questo
punto...” commentò Sirius
Regulus si irrigidì.
“Diane sa che sua madre è morta per la causa. Purtroppo
ci sono sempre delle vittime.”
“Prova a spiegarlo a Diane, se ne sei così sicuro.
Cresci, Reg, e datti una svegliata.” ribadì, voltandosi.
Regulus lo vide allontanarsi e scosse la testa: un giorno avrebbe
capito. Un giorno si sarebbe reso conto di qual era il suo posto. Il
posto di Sirius era con loro e, presto o tardi, se ne sarebbe reso
conto.
Lily stava seduta in sala comune, sulla poltrona vicino al camino,
cercando di dare un senso agli appunti di Trasfigurazione. Non era
riuscita a prestare molta attenzione alle lezioni, quel giorno, come
tutti del resto. Il suo pensiero correva a Remus e persino a James
Potter. Non andavano d'accordo, certo, ma non si poteva augurare a
nessuno una cosa simile.
Arrivò addirittura ad essere grata di avere dei genitori
Babbani: forse loro avrebbero potuto essere al sicuro, lontani da
tutta quella violenza.
Controllò l'ora, come faceva ormai da quando le lezioni erano
terminate: Silente le aveva assicurato che avrebbe concesso loro di
andare al San Mungo. Che Sirius Black avesse deciso di non avvisarla?
“Evans... noi andiamo. Vieni?” la voce di Black la fece
sobbalzare e, voltandosi, Lily vide che sia lui sia Peter erano in
piedi dietro di lei.
Lily annuì e si avviò con loro verso l'Infermeria dove
c'era un camino collegato col San Mungo, solitamente usato in casi di
emergenza.
Peter stava aprendo la porta dell' Infermeria, al di là della
quale li aspettava Madama Chips.
“Evans...” chiamò Sirius
“Sì?”
“Mi dispiace per ieri sera... lo so che anche tu sei amica di
Remus.” confessò Sirius, imbarazzato.
“Non importa. Davvero, non farti problemi.”lo scusò
Lily
“Sirius...- aggiunse poi e Sirius notò come lei mai
facesse ricorso al cognome- cosa credi che troveremo?”
“Non ne ho idea, ma ce la caveremo anche stavolta.” le
rispose, cercando quasi di confortare anche se stesso.
OSPEDALE SAN MUNGO
“Vai a casa a riposare un po', James, non c'è niente che
tu possa fare qui.” la signora Potter si era alzata dalla
scomoda sedia metallica che stava al bordo destro del letto del
marito per raggiungere il figlio, in piedi dall'altro lato.
“No, voglio stare qui.” rispose perentorio, James,
trattenendosi per non aggiungere quello che la madre gli lesse negli
occhi.
“Resto qui fino alla fine.”
James non riusciva a capacitarsi di come tutto fosse cambiato in
poche ore.
La sua festa di compleanno gli pareva di mesi prima, dal suo arrivo
all'ospedale sembravano passate settimane, anziché poche ore.
“Andrà
tutto bene, Remus. Non sarà niente di grave, ne sono certo.”
continuava a ripetere a se stesso e all'amico.
Remus
camminava al suo fianco, pallido.
Come
James non riusciva a credere a quello che gli era stato detto: sua
madre non poteva morire, non era giusto, dannazione, già aveva
perso il padre da bambino. Non poteva andarsene anche sua madre. Non
era giusto.
Che
colpa ne aveva? Era un reato recarsi al lavoro ogni mattina ed aprire
quel bugigattolo di libreria che era stata dei suoi genitori prima
ancora che sua?
“Remus,
vieni, la mamma e di là.” Remus si sentì prendere
per una spalla. Suo nonno, un anziano mago di origine irlandese, era
venuto ad aspettarlo all'ingresso.
“Come
sta?”chiese immediatamente Remus
“Crediamo
che si riprenderà. Non è grave, qualche escoriazione da
fattura. Vieni con me, ora.” lo esortò l'uomo.
“Io
vado, James, mi raccomando. Fammi sapere. Non esitare a venirmi a
chiamare, d'accordo?” si raccomandò Remus, accorato. Se
suo nonno aveva ragione, non aveva più molto da temere. La
paura avrebbe presto ceduto il posto ad un grande spavento. Ora
l'incognita era il padre di James.
James
annuì, grave.
“Anche
tu, Remus.”
“Andrà
tutto bene, James. Ne sono certo.” Remus diede una pacca sulla
spalla di James, che accennò un sorriso contrito, e lo vide
allontanarsi sulle scale.
James
chiese informazioni a qualche infermiera e, lungo i corridoi,
incontrò persino qualche compagno di scuola: era evidente che
fossero lì tutti quanti per lo stesso motivo.
Salì
due rampe di scale, prima di arrivare al piano giusto:
“Traumatologia”, riferiva il cartello appeso sulla porta
a vetri.
Percorse
in fretta il corridoio, sino a trovare la stanza indicatagli.
“Mamma!”
esclamò, entrando, di corsa.
“James!”
Dorea Potter gli venne incontro e strinse forte il suo ragazzo.
“Come
sta papà?”
La
madre si spostò, per lasciare che James si rendesse conto da
solo della situazione.
Charlus
Potter era a letto, vigile e cosciente. Capelli disordinati e sguardo
vivace.
“Che
ti credi, che ci voglia così poco per far fuori il tuo
vecchio?” ridacchiò.
Anche
James potè finalmente lasciarsi andare in una risata
liberatoria.
Poi era peggiorato tutto, di colpo i valori avevano iniziato a
calare, la coscienza era venuta meno e Charlus Potter era passato in
uno stato di coma.
James si prese il volto tra le mani: non riusciva a crederci. Dov'era
la Giustizia che tanto era decantata? Che anche l'antica Dike fosse
cieca quanto la Fortuna con il suo corteo?
Essere dalla parte dei buoni non avrebbe dovuto mettere al sicuro da
tutto quello?
Suo padre era un Auror, uno dei migliori di sicuro. Combatteva per
riportare l'ordine, aveva svolto il suo compito, era dalla parte
giusta.... non poteva andarsene. Non lui. Non era giusto.
Ma esisteva la Giustizia? Oppure era tutta una bella favola, quella
che ti raccontano e in cui il bene vince sempre?
Dorea gli si avvicinò e gli scompigliò affettuosamente
i capelli e James trattenne la mano della madre nella sua.
Dorea fissò il figlio: non voleva che James vivesse momenti
simili. Aveva solo diciassette anni. Avrebbe dovuto avere altri
pensieri per la testa: Quidditch, amici, ragazze.
Si voltò a guardare il marito: era come se dormisse. Con le
lacrime agli occhi, Dorea si ritrovò a pensare che Charlus
aveva avuto ragione sin dall'inizio. Per quanto si sforzassero di
tenere lontano il pericolo da James, per quanto cercassero di fare
finta che non fosse successo niente, James aveva capito da solo.
Aveva ragione Charlus ad avvisarla che non avrebbero potuto
proteggerlo per sempre: la realtà avrebbe fatto presto
irruzione nelle loro vite.
“Mamma, non è giusto!” esclamò
rabbiosamente James, scattando in piedi.
“Lo so che non è giusto, Jamie. Tante cose non sono
giuste. A questo punto possiamo solo sperare.” gli disse con
tono consolante.
“Permesso? Possiamo?” la testa nera di Sirius fece
capolino dallo stipite, seguita dalla gambetta tarchiata di Peter.
“Sirius! Peter!” esclamò James, correndo verso di
loro.
Diede una pacca sulla spalla di Peter e poi corse immediatamente da
Sirius.
La stretta di mano si tramutò in uno stretto abbraccio
fraterno.
“Sono qui, James.” gli sussurrò Sirius,
nell'orecchio.
“Grazie.” James non potè non notare il panico che
aleggiava nello sguardo dell'amico.
Era preoccupato quanto lui.
“Come sta, James?”
“Guarda tu stesso.” disse, in un sospiro, staccandosi da
lui.
Sirius posò gli occhi sul letto: quell'uomo non sembrava
nemmeno Charlus Potter. Charlus Potter era un uomo attivo, allegro,
sempre in movimento... non era lui quello.
“E' in terapia intensiva.” spiegò la madre di
James, mentre lui distoglieva in fretta lo sguardo.
Nessuno riusciva a parlare.
“Siete stati da Remus? Sua madre come sta?” domandò
la signora Potter, per rompere il silenzio.
“Sì, siamo stati lì fino adesso. Sta meglio:
chiacchiera e i Guaritori sono del parere che tra un paio di giorni
possa ritornare a casa.” spiegò Sirius.
“Adesso Remus è là da solo?” intervenne
James
“No.- rispose Peter- C'è Lily Evans con lui.”
“Ah, capisco.” rispose semplicemente James. Non c'era da
meravigliarsi, dopotutto, si disse, era ovvio che si precipitasse
anche lei all'ospedale.
Per un istante James si chiese se sapesse di suo padre...
“Più tardi vorrei passare da Remus anch'io. Lui è
stato qui questa mattina.” raccontò James.
“Se vuoi andare, James, vai.” lo incoraggiò sua
madre.
James annuì, ma rimase nella stanza.
Peter si guardava attorno, nervoso. Quelle situazioni lo mettevano a
disagio e non poteva non pensare a come avrebbe reagito lui al posto
di James: James sembrava calmo, rilassato. Peter immaginava che
dentro di lui si agitasse una tempesta, eppure, era così bravo
a mostrarsi sicuro anche in quell'occasione.
Avrebbe voluto fare di più per James, lui l'aveva aiutato così
tante volte... e invece, l'unica cosa che poteva fare era stare in
ospedale e sperare.
Gli occhi di Sirius dardeggiavano continuamente dal letto di Charlus,
a Dorea, a James e lui stesso aveva solo un pensiero in testa. Non
era giusto, non se lo meritava. Non James, non Dorea, non Charlus...
Aveva ancora un sacco di cose da insegnargli, un sacco di promesse da
mantenere. Non poteva andarsene anche l'unico uomo somigliante ad una
figura paterna che aveva conosciuto.
Faticò a non tirare un pugno contro al muro.
James incrociò gli occhi dell'amico e gli fece cenno di
uscire. Non voleva che sua madre li sentisse parlare ancora di quanto
era successo. Peter li seguì a ruota e i tre si ritrovarono
soli in corridoi.
James rispose finalmente alla muta domanda che Sirius gli aveva
rivolto non appena era entrato.
“Era una sorta di imboscata: volevano diffondere il panico...
poi con l'arrivo degli Auror lo scontro è degenerato. Non sono
riusciti a salvare tutti, molti civili sono rimasti coinvolti
nell'esplosione, mi chiedo se non li si potesse salvare, se fosse
indispensabile lasciarli lì, far esplodere la vecchia sede
dell'Archivio... ordini delle gerarchie, così mi ha detto mio
padre. Hanno dovuto obbedire, farlo per forza, diceva, altrimenti
sarebbe stato peggio. Ma è giusto, Sirius? Credo che si
sarebbero potute evitare le morti di persone innocenti. Papà
ne è venuto fuori per miracolo... ma oggi, lo vedete anche
voi...”
Nessuno dei due seppe cosa replicare.
Finalmente Sirius prese la parola, comprendendo il timore di James.
“Vai a prendere una boccata d'aria, James. Resto io con lei.”
James lo guardò negli occhi, sapendo che già quello
bastava come ringraziamento.
Dall'altra parte dell'ospedale, qualche piano più in su, Remus
e Lily si stavano salutando.
Lily era sollevata, sapendo che la madre di Remus stava meglio. Non
si meritava di perderla: già era mancato suo padre che lui era
poco più di un bambino, non poteva perdere anche la madre.
Non era giusto.
Ma cosa era giusto, nella situazione che stavano vivendo? Era forse
giusto che stesse male il padre di James Potter, così come
aveva saputo?
Non doveva esserci nessun tipo di strano contrappasso per cui Potter
si meritasse una cosa simile.
“Adesso devo andare: i miei nonni stanno tornando a casa e io
andrò con loro. Grazie di essere venuta, Lily. Mi ha fatto
piacere.” disse Remus, riscuotendola dalla sua riflessione.
“Oh, figurati, era il minimo.” gli sorrise.
“Allora ci vediamo presto, Lily. E grazie di tutto, davvero.”
Remus si chinò per abbracciarla e Lily ricambiò la
stretta, consapevole di quanto fosse confortante la certezza di avere
accanto qualcuno in momenti come quelli.
Remus fu il primo a staccarsi, avendo visto la nonna fargli cenni.
Lily lo vide andare via più sereno e non potè non
esserne contenta.
Lily prese a passeggiare per il corridoio ed arrivò in fondo,
dove c'era la porta a vetri che conduceva alla scala d'emergenza.
Si fermò per un momento ad osservare le foglie che il vento
spazzava in giro: probabilmente stava per scoppiare un temporale.
Il suo sguardo venne catturato dalla sagoma di un ragazzo che se ne
stava appoggiato alla ringhiera metallica: James Potter.
Senza sapere bene perchè, Lily spalancò la porta ed
uscì.
“James...” mormorò Lily, avvicinandosi a lui che
se ne stava lì fuori, incurante del vento, incurante
dell'aria.
“Mi dispiace.” aggiunse, facendosi sempre più
vicina.
James alzò la testa e la fissò: le punte dei capelli
danzavano mosse dal vento, dipingendo tante lingue di fuoco perse
nell'aria col freddo che la faceva apparire ancora più
pallida.
“Lo so.” rispose semplicemente, a voce bassa.
Lily non sapeva cosa replicare: avrebbe voluto dirgli tante cose, ma
nessuna pareva consona al momento e, in più, lui era lo stesso
James Potter con cui non mancava occasione di discutere; era
difficile dire qualcosa che non apparisse falso o retorico.
Pertanto se ne rimaneva lì, in piedi sul pianerottolo della
scala d'emergenza, a fissare il nulla.
“Ne vuoi?” chiese James, incerto sul da farsi e scartando
un pacchetto di sigarette.
“Cosa?” fece Lily, senza capire.
“Ti ho chiesto se ne vuoi una...” ripetè James,
mostrandole il pacchetto di sigarette e tirandone fuori una.
“No, no. Grazie.” rispose Lily, a scatti.
James le fece un cenno e si accese la sigaretta.
“Non sapevo che fumassi.” disse Lily.
“Ogni tanto. Quando sono nervoso.” spiegò James,
in un'alzata di spalle.
Lily fece qualche passo in avanti, sino ad arrivare esattamente di
fronte a James.
“Andrà tutto bene.” gli sussurrò,
cercandogli gli occhi.
Anche se erano nascosti dalle lenti degli occhiali, non era difficile
capire che aveva pianto, tanto erano arrossati.
“Lo spero.” le rispose, distogliendo lo sguardo ed
eliminando una boccata di fumo.
La osservò mentre, silenziosa, faceva ritorno nel corridoio
dell'ospedale.
“Lily!” chiamò.
La ragazza si voltò verso di lui.
“Grazie!”
Lily gli sorrise e poi aprì la porta.
Uhm...
che aggiornamento rapido! Sto migliorando...
Ci
tengo a sottolineare una cosa: non fumo, anzi, mi è una cosa
che mi infastidisce parecchio, però non riuscivo a figurarmi
quella scena in modo diverso, quindi, se dovessi aver offeso la
sensibilità di qualcuno, chiedo scusa.
Vi
ringrazio tutti quanti, chi legge, chi recensisce e chi ha inserito
la storia tra i preferiti: grazie davvero, è importante sapere
che c'è qualcuno che ci sta credendo.
Da
questo capitolo, come potete facilmente notare, ci sarà una
svolta nei rapporti tra Lily e i Malandrini.
Alla
prossima.
Purepura:
sì, esatto: Lily difende il suo amico Sev, non il Mangiamorte.
E' James a non riuscire a separare le due cose. Ed hai ragione anche
sul fatto che Lily vedrà in James il suo salvatore, nel senso
che, comunque, lui e i Malandrini l'hanno trascinata via da quel
sentiero scosceso e roccioso in cui era intrappolata. Si sono dati la
pena di conoscerla e James l'ha amata, tanto quanto lei ha amato lui.
Alohomora:
Lily e James si avvicineranno piano piano e James si renderà
conto che la sua “cotta” è qualcosa di più
profondo, per il fatto che finalmente conoscerà la vera Lily e
non l'idea che si era fatto di lei.
PrincessMarauders:
purtroppo anche il mio invito alla festa si è perso! Ah, se
trovi un Remus Lupin, ti pregherei di darmi il suo indirizzo perchè
sono anni che lo cerco...
Ti
è piaciuto questo incontro tra Lily e James?
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Capitolo 13 *** Dodicesimo Capitolo ***
CAPITOLO DODICESIMO
Aprile
1977
TILFORD, SURREY, CASA EVANS
Le vacanze di Pasqua erano finalmente arrivate ed Hogwarts si era
svuotata in fretta: dopo quello che era accaduto appena dieci giorni
prima a Diagon Alley, la maggioranza degli studenti aveva preferito
tornare a casa.
Lily era casa, finalmente a casa dalla sua famiglia.
Peccato che tutto questo comprendesse anche la presenza di Petunia.
Da quando era tornata, cinque giorni prima ormai, non aveva fatto
altro che ignorarla. Forse, Lily, avrebbe dovuto prendere la cosa con
un po' più di filosofia, eppure, si era ritrovata a
rimpiangere i momenti in cui sua sorella la insultava, la scherniva,
la definiva un mostro.
Se non altro, così facendo, mostrava di ricordarsi di avere
una sorella. Ignorandola era come se l'avesse cancellata dalla sua
vita, come se Petunia non avesse sorelle.
Provare a parlarle era inutile perchè, tanto, non rispondeva,
anzi, passava gran parte del suo tempo fuori casa, probabilmente in
compagnia del suo fidanzato, quel Vernon che Lily aveva sentito
nominare spesso ma che mai aveva incontrato per volere di Petunia.
Sua madre e suo padre non sapevano più come gestire la
situazione: i rimproveri su Petunia non avevano alcun effetto, se non
quello di farla innervosire ancora di più e di scatenare
furibonde discussioni in cui, ciascuna delle sorelle, urlava contro
l'altra.
Lily stava leggendo, raggomitolata sul divano, quando sentì la
voce di Rose Evans chiamarla.
“Lily! Lily! C'è posta per te!”
Si alzò in fretta, correndo in cucina. Magari era una lettera
di Remus: era tornato a scuola per gli ultimi tre giorni, a
differenza di James, e si erano salutati con la promessa di
scriversi.
“Brava mamma! Ormai i gufi ti riconoscono! Potresti quasi
passare per una strega!” esclamò, ridendo.
“Direi che di strega già ci basti tu! Chi è?
Forse quel tuo compagno che ti ha mandato la sciarpa per Natale?”
si informò la donna, scoperchiando l'arrosto.
“Credo di sì. La grafia sull'indirizzo mi sembra la
sua.” Lily si sedette su una sedia e scartò la
pergamena, del tutto ignara di quello che avrebbe trovato.
“Ciao
Lily,
spero
di non disturbarti, volevo solo avvisarti che il padre di James è
morto questa notte.
I
funerali si terranno domani mattina a Godric's Hollow, il paese in
cui abita James.
Non
sei obbligata a venire, solo mi sembrava giusto dirtelo.
Se
dovessi sentire qualcuno dei nostri compagni di scuola, se puoi, se
riesci, non dire niente. A James non va che si sappia in giro.
Spero
che tu stia passando delle buone vacanze.
Remus”
Lily gettò la lettera sul tavolo, incredula.
Non era possibile. Non era giusto.
La signora Evans sbirciò la pergamena ed intuì che il
padre di quel ragazzo di cui la figlia le aveva parlato dovesse
essere morto.
Lily si gettò nell'abbraccio di sua madre: era dispiaciuta per
il padre di Potter, certo, ma era l'insieme di cose, tutte sommate
assieme, a farle avere quella reazione.
La signora Evans le baciò la fronte.
“Va tutto bene, mamma, davvero. Adesso salgo in camera, ci sono
ancora quei vestiti da ritirare.” disse.
Uscì dalla cucina e salì le scale in fretta e proprio
quando stava per aprire la sua porta, sentì la sorella, dietro
di lei.
“Che succede?” domandò, con tono quasi
impercettibile.
Lily si girò e la fissò.
“Va tutto bene?” chiese di nuovo, la sorella, ora
preoccupata che fosse successo qualcosa di grave.
Lily scosse la testa e si inginocchiò sul pavimento del
corridoio, singhiozzando.
Petunia si affiancò a lei e, accarezzandole i capelli, la
invitò a parlare.
“Dimmi, Lily.”
Lily la guardò negli occhi: possibile che le importasse
qualcosa?
E Lily parlò.
Racconto di lei, di Severus, di Remus, di quello che stava succedendo
nel Mondo Magico, di Voldemort e ancora di Severus, di come Remus la
stesse aiutando e degli amici di Remus, di Sirius Black, Peter Minus
e, naturalmente, di James Potter e delle loro discussioni e di come
lui stesse entrando prepotentemente nella sua vita, senza che
entrambi facessero qualcosa perchè questo accadesse.
E pianse mentre riviveva quei momenti d'angoscia seguiti ai fatti di
Diagon Alley, mentre rievocava la corsa in ospedale e il sollievo
conseguente alla guarigione della madre di Remus e poi, subito dopo,
le notizie sul padre di Potter.
Petunia si era inginocchiata di fianco a lei e l'aveva lasciata
parlare, senza interromperla, nemmeno per un attimo.
Tirò fuori dalla tasca un fazzoletto di stoffa bianca e lo
porse alla sorella.
“Non disperare, Lily, c'è qualcosa che possiamo fare.”
le disse.
“E cosa, Tunia? Cosa? Ho paura, Tunia, ho paura per voi.”
singhiozzò Lily.
“Vieni via, Lily, allontanati da quel mondo di squilibrati
sinchè sei in tempo!” spiegò con impazienza
Petunia, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
“Che cosa?” Lily sgranò gli occhi.
“Sì, Lily! Abbandona quella tua scuola e torna a casa!
Sei intelligente, sei studiosa, potresti recuperare in fretta gli
anni di studio che hai perso e tra un anno o al massimo due
iscriverti all'università come tutti i tuoi coetanei. Sei
ancora in tempo, Lily. Torna a casa e dimentica tutto.”proseguì
Petunia, infervorata.
“Tunia, ma sei impazzita? Non posso lasciare tutto! E' la mia
vita quella, ormai!”esclamò Lily, sorpresa: sembrava che
Petunia avesse capito, sembrava che stessero risolvendo tutto e
invece si trattava solo di un nuovo modo per non accettarla.
“Lily, questa tua vita, questo tuo mondo, lo vedi dove ti sta
portando? Se tu vivessi con le persone normali tutto questo non ti
sarebbe mai successo!” urlò Petunia.
“E invece sì! Hai sentito di quegli strani incidenti e
di quelle scomparse? Chi credi che sia stato, Petunia? Voldemort! C'è
lui dietro a tutto questo!” spiegò Lily
“Sciocchezze! E' una frottola che ti hanno messo in testa in
quella tua scuola di anormali! Quelli come voi non stanno con quelli
come noi!” esclamò Petunia.
“Ascoltami, quello è il mio mondo, è la mia vita,
Petunia. Ormai ci sono dentro, sono una strega. Non posso far finta
di niente, non è un film che posso scordarmi di aver visto! Io
ormai faccio parte di quel mondo: è il mio mondo! E che tu ci
creda o no, troppo spesso Maghi e Babbani entrano in contatto e se ti
dico che sono preoccupata per voi è perchè ho paura che
i Mangiamorte possano arrivare anche qui!” proseguì
Lily, infervorata quanto sua sorella, gesticolando a destra e a
manca.
Petunia impallidì impercettibilmente e scosse in aria le mani,
come per scacciare via quel pensiero, il pensiero che la sorella
potesse avere ragione.
“Se sei così preoccupata come dici, Lily, allora
dovresti riconoscere che l'unica cosa sensata da fare è
tornare a casa!”
“Ma non posso, non posso, Petunia, capisci? Non posso! E' la
mia vita, il mio mondo! Io sono così, sono una strega e se tu
non lo vuoi accettare, non posso farci proprio niente! Mamma e papà
l'hanno capito, perchè tu no, Petunia?” ribattè
Lily
“Perchè non accetto che mia sorella sia un'anormale,
ecco perchè!” sbruffò Petunia.
“Ma non sono un'anormale, sono sempre Lily, tua sorella!”
Petunia inspirò, come se volesse prendere tempo per dire
quello che stava pensando.
“Fai la tua vita, Lily, resta in quel tuo mondo, ma ti prego,
non trascinarmici più dentro. Siamo intesi?” detto
questo, Petunia si voltò, lasciandola in mezzo al corridoio,
raggomitolata su stessa.
GODRIC'S HOLLOW
Lily si Smaterializzò nella piazza di Godric' s Hollow. Era
una piazzetta circolare, sulla quale si aprivano tante piccole
costruzioni di foggia seicentesca che davano al piccolo borgo un'aria
accogliente.
Un vecchio pub, una bottega di alimentari, quello che sembrava un
negozio di vesti per Maghi, un minuscolo ufficio postale e tante
casette tutte uguali si inerpicavano per ciascuna delle quattro
stradine ricoperte di porfido che partivano dalla piazzetta
circolare.
Godric's Hollow sembrava proprio uno di quei tanti borghi fatati di
cui si sente raccontare nelle fiabe, uno di quei posti in cui il
tempo sembrava essersi fermato e, forse, pensò Lily, era così,
dal momento che il paese era famoso per la pacifica convivenza tra
Maghi e Babbani ma, soprattutto, per aver dato i natali al valoroso
Godric Grifondoro.
“Chissà dove abita James...” pensò.
Si era sempre figurata un imponente maniero, uno di quelli in cui
dimorano le antiche famiglie Purosangue, quando pensava alla casa di
James Potter: in fondo lui era più che benestante e,
sicuramente, l'ambiente che l'aveva cresciuto doveva essere tale.
Tuttavia, un castello, una dimora altolocata stonavano del tutto con
l'atmosfera accogliente e famigliare di Godric's Hollow.
Una folata di vento la riportò alla realtà: c'era un
motivo per cui si era avventurata sino a Godric's Hollow,
attraversando l'intero Paese e giungendo ai piedi della Scozia.
Si strinse nel suo mantello scuro ed imboccò la direzione
della chiesa: intravedeva la punta del campanile dietro ad un fitto
filare di alberi.
Diede le spalle alla piazza e si incamminò.
Lungo la strada incontrò diverse persone, qualcuno stretto in
pesanti mantelli come lei e qualcun altro, invece, dall'aria
chiaramente Babbana, imbacuccato in sciarpe e cappotti.
Era la prima settimana di aprile, la giornata era soleggiata e il
cielo terso ma faceva ancora freddo: faceva sempre freddo in Scozia e
il vento non la smetteva mai di soffiare.
La chiesa non era lontana e non le ci volle molto per arrivare: era
una piccola costruzione di epoca gotica in muratura grigia. Il tetto
spiovente pareva volersi avvicinare al cielo in modo sorprendente.
Dietro la chiesa sorgeva il cimitero: un largo prato verde brillante
solcato da tante lapidi di marmo bianco o, più comunemente, di
pietra chiara.
Un nodo le attanagliò lo stomaco al pensiero che il signor
Potter sarebbe giaciuto lì in eterno.
La spaventava terribilmente il pensiero della morte, il non sapere
cosa c'era dopo, l'idea di terminare per sempre, l'idea di non
esistere, di non provare più nulla.
Un freddo brivido attraversò il corpo di Lily, irrigidendolo
tutto e lei, per riscuotersi, volse la testa, entrando in chiesa dal
pesante portone di legno.
C'era una sola navata e l'ambiente era raccolto ed intimo.
Gran parte delle panche era già stato occupato ed altre,
mentre lei ragionava su dove sedersi, stavano per essere occupate da
chi stava entrando in quel momento.
Sostò in piedi per qualche istante, scorgendo Remus e Peter
seduti in seconda fila: accanto a loro c'erano due donne ed un uomo,
probabilmente i loro genitori.
Davanti a loro c'era James con sua madre e con Sirius. Erano
accompagnati da un uomo alto con i capelli scuri che Lily non riuscì
a riconoscere: forse uno zio o un parente di James.
Dalla parte opposta della navata, sulla fila sinistra di panche,
sedevano, avanti ma non troppo, Albus Silente, Minerva McGranitt ed
Hagrid.
Non ritenne opportuno farsi troppo avanti e così si sistemò
accanto ad una strega piuttosto anziana in ultima fila.
Scrutò l'ambiente: c'era parecchia gente, ma non erano
presenti molti dei loro compagni di scuola.
C'erano lei e gli amici di Potter più il resto della squadra
di Quidditch.
Evidentemente James non aveva voluto che si sapesse in giro.
Lily non ascoltò molto delle parole del celebrante. La sua
mente tornava continuamente al pensiero che l'aveva attanagliata sin
da quando aveva ricevuto la notizia: come avrebbe affrontato lei un
momento simile?
Ce l'avrebbe fatta? Sarebbe riuscita ad andare avanti oppure si
sarebbe ripiegata sempre di più nel suo dolore? Avrebbe avuto
una sorella da confortare e da cui essere confortata oppure Petunia
l'avrebbe ignorata, ritenendola, magari, addirittura responsabile?
Alla fine della cerimonia, Lily si fece più avanti, cercando
di non farsi calpestare da chi, come lei, stava cercando James e sua
madre per le condoglianze di rito.
Passando di mano in mano, di stretta in stretta, James giunse a
detestare quel momento.
Non ne poteva più di sentirsi dire che erano dispiaciuti per
lui o che avevano conosciuto suo padre e potevano testimoniare che
fosse un grand'uomo.
Non voleva la loro compassione. Non voleva la compassione di nessuno,
tanto meno quella di persone che non sapevano nulla di lui o di suo
padre.
Stava ricevendo un anziano e grassoccio mago, il quale era intento,
probabilmente nell'elencargli tutte le numerose occasioni in cui
aveva avuto modo di incontrare suo padre.
James, nello stringergli la mano, alzò lievemente la testa,
quel tanto che bastava per individuare Lily, nascosta dalla folla.
La vide lì, stretta nel suo mantello nero, e si accorse che lo
stava cercando.
Scavalcò due coniugi che, nel vederlo, mostrarono un'aria
contrariata e le arrivò di fronte.
“Sei venuta.” disse, semplicemente.
Lily abbozzò una sorta di sorriso.
“Mi dispiace, James. Mi dispiace davvero tanto.”
“Lo so.” rispose lui, chinandosi per baciarle la guancia,
come era in uso.
“Ci vediamo a scuola, Lily.” disse poi, sforzandosi di
apparire sicuro.
Lily annuì, rimanendo, come una settimana prima in ospedale,
colpita dal suo modo di fare.
Ancora una volta sentì che quelle due semplici parole, quel
“Lo so.” detto a mezza voce, contenevano in sé
molto di più.
“Mi
dispiace.”
“Lo
so.”
Per due volte avevano avuto la stessa conversazione e per due volte
entrambi si allontanarono sentendo che in quelle due semplici parole
c'era molto di più.
“Che ci fa lei qui?” ringhiò Sirius, rivolgendosi
a Remus.
Lui, Remus e Peter stavano qualche metro dietro a James e alla
signora Potter, insieme al Alphard Black, lo zio di Sirius.
“Le ho scritto io.” rispose calmo Remus.
“Non doveva venire. James sta male. James è distrutto e
non ha bisogno di Lily Evans e dei suoi giudizi. Non oggi.”
disse, rabbioso.
Non ce l'aveva con Lily Evans, non davvero. Ci aveva parlato un po',
negli ultimi giorni, avevano anche fatto il viaggio di ritorno
insieme; non era poi così male, però lei non doveva
essere lì quel giorno.
Non doveva e basta. Aveva sempre trattato male James, aveva sempre
emesso sentenze su di lui senza sapere niente di James Potter.
Non sapeva quanto James fosse generoso, al punto di condividere con
lui la sua famiglia, non sapeva quanto fosse bravo a farti credere
che tutto sarebbe andato bene, che ogni cosa si sarebbe risolta,
quando tu non avevi un solo motivo per andare avanti.
Non sapeva quanto James fosse capace di farti credere che ce
l'avresti fatta, perchè lui aveva fiducia in te.
Non sapeva quanto James fosse noioso e ridicolo e petulante e
logorroico e tremendamente rompiballe ( Lunastorta diceva sempre che
era una bella sfida, tra lui e James, in fatto a capacità di
far innervosire la gente).
Non sapeva quanto James fosse bravo a nascondere ogni sua
preoccupazione, solo per non far insospettire chi gli stava attorno.
Non sapeva quanto James fosse testardo, nel volersi arrangiare da
solo ad ogni costo.
Non sapeva quanto James avrebbe finto di stare bene, pur di non
sentirsi fare domande su suo padre.
Non sapeva quanta fatica avrebbe fatto James per uscirne da solo.
Non lo sapeva. Non lo sapeva e basta. Per questo avrebbe dovuto
starne fuori, lei, coi suoi giudizi su tutto e su tutti, lei con la
sua perfezione.
Erano affari di James e basta, ergo, erano affari dei Malandrini. Non
di Lily Evans.
Remus fece finta di non sentire e, seguito da Peter, incominciò
ad avviarsi verso il fondo della chiesa.
Sirius non volle muoversi, ma anzi, proseguiva nello scortare James e
sua madre come un 'ombra.
Erano la sua famiglia e quello era il suo posto.
A poco a poco la chiesa si svuotò e i Potter si diressero
verso il cimitero, per la tumulazione.
Alcuni dei presenti li seguirono, coloro che erano sempre stati i più
intimi.
Mancavano le autorità: salvo il Capo Dipartimento Auror, che
poteva considerarsi un amico di Charlus, Dorea non aveva voluto
nessuno.
Non voleva curiosi o stampa o rappresentanti del Ministero al
funerale di suo marito: era un dolore privato e discreto il loro, il
suo, quello di James e quello di Sirius, ovviamente.
Era stata proprio lei a chiedere che fosse Alphard Black e non
qualche politicante di turno a tenere l'orazione funebre: Alphard e
Charlus erano amici sin dai tempi della scuola, era giusto che fosse
qualcuno che aveva avuto la possibilità di conoscere suo
marito a parlare.
Uscirono da retro e il piccolo gruppo si avviò verso la fossa
che era stata scavata sul lato est del prato, leggermente isolata.
James scortò sua madre proprio davanti alla buca.
Sirius fece per seguirli, ma suo zio lo fermò tenendolo per un
braccio.
“No, Sirius. Questo momento deve essere loro.” lo ammonì,
serio, Alphard.
“Ma...” protestò il ragazzo.
“No, non è tuo padre.” Alpahrd scandì bene
ogni sillaba e, alzando la testa verso di lui, Sirius quasi lo
scambiò per suo fratello Orion.
Alto, con i capelli e con gli occhi scuri. Gli bastò però
osservare quegli occhi per capire che quello non era il suo severo
padre, arido di affetto, ma era suo zio. Il suo buffo, caloroso ed
affettuoso zio.
“E' come se lo fosse, zio.” rispose Sirius con rabbia.
“Lo so, ragazzo mio, lo so. Ma lascia che siano solo loro ad
affrontare questo momento. E' giusto così.” gli spiegò
l'uomo, trattenendo il nipote al suo fianco.
Dorea, notando che il posto alla sua sinistra era vuoto, si voltò,
alla ricerca di Sirius.
Sirius incrociò gli occhi di Dorea e scosse la testa,
facendosi rispettosamente indietro.
La signora Potter tra le lacrime gli sorrise e annuì.
“Mi aveva detto di badare a James, una volta.” sussurrò
Sirius, amaramente, allo zio.
Charlus in quei quasi due anni era stato un padre: l'aveva
rimproverato duramente quando necessario e l'aveva incoraggiato ogni
volta che lo vedesse troppo pensieroso.
Ogni settimana i Potter scrivevano a James. Da due anni a quella
parte arrivavano due lettere ad Hogwarts: una era anche per lui e
Sirius sorrise, ripensando a tutte quelle volte che lui e James non
avevano risposto o che mandavano indietro pezzetti di pergamena
strappati e bruciati, così, tanto per far sapere di essere
ancora vivi o, come diceva James:
“Avvisiamoli che io non mi sono ancora spaccato l'osso del
collo con la scopa e che il tuo fan club non ti ha ancora ucciso.”
“Ti voleva bene, Sirius, e sapeva quanto tenessi a James.”
commentò Alpahard.
“Finirà questa guerra, zio?” chiese
“Temo che debba ancora cominciare, Sirius.” fu la
risposta di Alphard.
“Allora ci troverà pronti a combattere.”giurò
Sirius, stringendo i pugni, con rabbia.
Suo padre.
Quella bara di legno, quella tomba apparteneva a suo padre.
James aveva continuato a ripeterselo per tutta la funzione.
Chiuso in quella cassa di legno c'era suo padre: ma com'era possibile
se lui ancora si ricordava il suo ghigno divertito (lo stesso che
Dorea era solita dire appartenesse anche a lui, quando era sul punto
di confessare una “Malandrinata”), se ancora ricordava il
tono scocciato con cui era solito ripetergli:
“Basta scompigliarti quei capelli, James!”
Non l'avrebbe più sentito.
Non l'avrebbe più sgridato o difeso quando sua madre
incominciava ad urlare, tirando fuori tutto quello che James aveva
combinato negli ultimi sei mesi.
Non si sarebbe messo più a ridere quando sua madre minacciava
di sbatterlo fuori, se non si decideva a rendere presentabile
quell'ammasso di cose accatastate che lui osava definire camera.
Non avrebbe più detto:
“Avanti, James, obbedisci a tua madre.”
dopo essere stato minacciato anche lui, se non tentava di aiutarla ad
infilare un po' di sale nella zucca di suo figlio.
Aveva perso.
Per la prima volta nella sua vita, James, si sentiva di aver perso.
Il suo tanto osannato intuito, la sua innata capacità di
mettersi nei guai e poi di tirarsi fuori, quella volta non avevano
funzionato.
Aveva perso.
Si accorse che sua madre stava cercando Sirius: James si era
immaginato che anche lui sarebbe stato lì, quando... quando
l'avrebbero fatto. Invece, quando vide l'amico scuotere la testa in
segno di diniego, si ritrovò sollevato.
Quel momento doveva affrontarlo da solo.
E avrebbe dovuto uscirne, anche, prima o poi, ma come poteva se
ricordava che le ultime parole che aveva detto suo padre erano state:
“E
va' al diavolo!”
prima di andarsene sbattendo la porta.
Le ultime parole che aveva detto erano state per cacciarlo, per
mandarlo via, per dirgli che lui non aveva capito niente.
Che razza di figlio era?
Che razza di figlio era quello che per partito preso, per una insulsa
questione di principio non risponde nemmeno alla lettera d'auguri,
ringraziando per il magnifico regalo di compleanno, solo perchè:
“E' uno sciocco tentativo di farsi perdonare.”
come l'aveva definito la settimana prima.
Perchè è naturale che un padre ami incondizionatamente
il proprio figlio, anche quando questo urla per testimoniare le sue
ragioni.
Perchè, in fondo, è solo una questione di punti vista:
io la penso così, mio padre la pensa in un altro modo, ma
comunque ho ragione io, perchè, tanto, la verità è
relativa. Quello che è bene per me non lo è per te.
Pazienza.
“E va' al diavolo!”
Lui era quel figlio che urlava “Va' al diavolo!” con
rabbia.
James strinse con rabbia la mano di sua madre, mentre le lacrime
iniziavano a rigargli il volto.
Ok,
eccomi qui.
Non
sono particolarmente convinta di come ho descritto i pensieri di
James, però, credo di riuscire ad approfondire meglio nei
prossimi capitoli. Credo che sia chiaro tuttavia, che James vuole
uscirne da solo, affrontare la cosa da solo.
Vi
ringrazio ancora una volta tutti quanti. A presto.
PrincessMaruaders:
apriamo un'agenzia di ricerca di Remus Lupin? Da qualche parte
dovranno pur esistere, accidenti! Spero che questo capitolo ti sia
piaciuto e che non ti sia risultata oscena la ripetizione del dialogo
tra Lily e James.
Alohomora:
ho riflettuto molto sulla sorte di Charlus, non ne ero sicura che
questa fosse la cosa migliore e, alla fine, è andata così.
Spero di non aver sbagliato. In particolare, mi auguro di riuscire a
gestire i sentimenti di James e Sirius.
Purepura:mi
odi per la fine che ho fatto fare a Charlus? Ok, sappi che mi
disprezzo da sola: mi stava parecchio simpatico, Charlus.
Sai,
io individuo due “categorie” di Mangiamorte: quelli un
po' più grandi, che si sono uniti a Voldemort da “adulti”,
non credo che considerassero lo sterminio di Mezzosangue,
Sanguesporco e Babbani una priorità. Anzi, credo che gliene
fregasse ben poco di tutto ciò. Penso che fossero molto più
attratti dal potere e dai vantaggi che sarebbero derivati se
Voldemort avesse conquistato il Mondo Magico. Credo che Voldemort
stesso usasse questa della purezza di sangue come una sorta di scusa,
per far leva sulle coscienze e raccogliere consensi, soprattutto tra
i più giovani. I ragazzini come Regulus o come forse altri
coetanei dei Malandrini, rimanevano senz'altro affascinati da questi
discorsi e forse è stata la Causa il motivo principale che li
ha portati ad unirsi ai Mangiamorte.
Spero
di poter approfondire questo aspetto.
Ayumi
Yoshida:temevo di averti perso! Grazie, grazie per la
magnifica recensione! Non so che cosa risponderti, davvero... sai, mi
imbarazzano molto i complimenti.
Io
ci provo, a renderli reali questi personaggi e spero di riuscirci.
Spero di trasmettere quello che sentono, non so se ci riesco sempre,
ma ci provo.
Forse,
quella con cui ci riesco di più è Lily, forse, è
più semplice immedesimarsi in lei e nei suoi pensieri.
Quanto
a James, il vero James deve ancora venire fuori e farsi strada piano
piano, arrampicandosi, arrabbiandosi e avvicinandosi a Lily. Forse,
quello che gli è successo lo aiuterà a venire fuori.
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Capitolo 14 *** Tredicesimo Capitolo ***
I
see the course we're on Spinning farther from what I know I'll
hold on *
*Vedo
il percorso su cui siamo
precipitando
lontano da quello che conosco
Resisterò
TREDICESIMO CAPITOLO
Fine
Aprile 1977
La campanella trillò, segnando la fine di un'altra
interminabile giornata.
Il professor Kettleburn congedò la classe richiamando
l'attenzione sul compito per la lezione successiva, un tema sulle
proprietà curative delle lacrime d'unicorno.
James gettò un'occhiata veloce ai suoi tre amici: notò
Sirius guardare per aria, rammentando a Remus di segnarsi bene tutte
le indicazioni per il compito, Remus rimproverarlo istericamente e
Peter scrivere affannosamente sulla sua agenda tutto ciò che
stava dicendo il professore.
A
Peter piaceva veramente tanto Cura delle Creature Magiche ed era
bravino, soprattutto nella parte teorica, sapeva infatti tantissime
cose che loro tre ignoravano sugli Animali Fantastici e, persino
nella pratica si dimostrava portato, a meno che a Kettleburn non
saltasse in mente di portare a lezione strani incroci pericolosi,
come quando aveva avuto la brillante idea, l'anno prima, di far fare
la conoscenza del suo illegale esemplare di Manticora incrociata con
uno Schiopodo.
James si mise poi a fissare il cielo: aria secca, cielo terso e
giornate finalmente un po' più lunghe.
Quella sera sarebbe stata perfetta per l'allenamento di Quidditch.
Quidditch... ormai gli era rimasto solo quello. Il Quidditch e gli
amici, quelli no, non se ne sarebbero mai andati.
“Ehi! James! Dove stai andando? Aspettaci!” gli gridò
Peter.
“Ho l'allenamento, Codaliscia, devo andare, voi fate pure con
calma!” rispose, salutandoli con la mano e camminando in
direzione del castello quando il resto della classe era ancora
accalcato sul prato dove c'era stata la lezione sino a pochi minuti
prima.
Peter sospirò. Ultimamente James aveva sempre l'allenamento o
i compiti da fare o una cosa da sistemare.
Da solo.
Sirius e Remus interruppero immediatamente il loro battibecco e,
assieme a Peter presero a fissare James che camminava solitario.
“Io non ce la faccio più.” disse Sirius,
interrompendo il silenzio.
Peter lo guardò con aria interrogativa e Remus inarcò
il sopracciglio, in attesa che continuasse.
“Non ce la faccio più a vedere James così. Non è
più lui. E' da quando siamo tornati a scuola che non parla con
nessuno, che sparisce appena può, che finge che vada tutto
bene.”
Peter abbassò la testa. Remus era sul punto di dire qualcosa,
ma non riuscì a pronunciare parola.
Era stanco a lui di vedere James così. Ma cosa potevano fare?
Non lo potevano certo costringere a parlare o a passare del tempo con
loro.
Sirius grugnì qualcos'altro, ma né Remus né
Peter lo ascoltarono, iniziando invece ad avviarsi verso il castello.
James rientrò al castello ed evitando i corridoi più
frequentati, tornò in dormitorio.
C'era già troppa gente ad occupare la Sala Comune, per i suoi
gusti. Gente che, pensava, avrebbe potuto trovare un altro posto in
cui studiare, come la Biblioteca o aule vuote, anziché
starsene lì seduti a controllare morbosamente chi entrava o
usciva dalla torre.
Salì nella sua stanza e si diresse verso il suo baule, dal
quale tirò fuori la divisa di Quidditch per l'allenamento di
quella sera.
Grandi chiazze tra il verdastro e il marroncino la sporcavano,
testimoni silenziose del suo solitario allenamento della sera prima.
Si rendeva conto di essere esagerato, di essere diventato fanatico,
continuando a fissare allenamenti su allenamenti ad orari sempre più
improbabili. Era consapevole anche del fatto che la squadra non
l'avrebbe tollerato per molto, ma, se non altro, quello era un buon
modo per non pensare.
Quando giocava a Quidditch nessuno poteva chiedergli come stava.
Nessuno poteva avvicinarlo per porgergli le sue condoglianze o
offrigli il suo sostegno.
E James non voleva il sostegno di nessuno. Se la sarebbe cavato da
solo anche perchè erano affari suoi e basta.
Indossò la divisa, afferrò la sua scopa dal baule e
tornò di sotto. Nessuno dei suoi compagni di squadra si
trovava in Sala Comune già pronto per l'allenamento, anzi,
James si ritrovò ad essere fissato dai ragazzi lì
presenti.
Senza degnare nessuno di uno sguardo, attraversò il buco del
ritratto e si diresse al campo. Avrebbe aspettato lì che la
squadra lo raggiungesse.
Attraversò il castello e il parco e raggiunse lo stadio.
Era vuoto, come ci si poteva aspettare. Le torri che sostenevano gli
spalti si innalzavano solitarie, rendendo anche un lievemente
inquietante l'atmosfera, dal momento che il cielo si stava
rannuvolando.
James, con la sua scopa in mano, sembrava un minuscolo puntino rosso-
oro sul prato.
Inforcò la scopa e si sollevò in volo, provando, ancora
una volta, la stessa sensazione di libertà che aveva provato
la prima volta.
27 Marzo 1968
“Allora
è davvero senza incantesimi frenanti? E' davvero una scopa di
quelle vere? Una di quelle da grandi?”
James
saltellava per il giardino, eccitato, facendosi arruffare i capelli
ancora di più e quasi perdendo gli occhiali, a furia di
saltelli e stringendo la sua nuova scopa, una Tornado dell'ultimo
modello.
“Papà!
Allora ti muovi?”
“Sono
qui, James!” Charlus Potter era sbucato fuori dalla rimessa,
ridendo.
“Allora
io vado, eh!” aveva esclamato James, inforcando la scopa e
volando, per la prima volta, davvero in alto.
Quella
scopa non aveva limiti di velocità, non aveva incantesimi
frenanti e limiti d'altezza. Era una scopa vera. E cavalcarla faceva
stare bene, faceva essere liberi.
“Papà, non ti mai detto grazie.”
Una virata e poi un'altra, nell'aria, nel vento, sino a non capirci
più niente.
“Io
vorrei solo che mio figlio fosse d'esempio ai compagni in un momento
come questo. Vorrei che sapesse distinguere ciò che è
giusto da ciò che è facile.”
“E
va' al diavolo!”
“Papà, non ti ho mai chiesto scusa. Non ho fatto in
tempo.”
La velocità era sempre più alta, il sangue gli stava
andando alla testa e James per un istante desiderò davvero
perdersi.
Quei bastardi... tutta colpa loro. Loro e le loro folli idee.
Se non fosse stato per loro, suo padre sarebbe stato ancora a casa,
in attesa di ricevere le sue lettere, ansioso di sapere se anche
quell'anno la Coppa del Quidditch sarebbe stata di Grifondoro e di
sapere quante centinaia di punti lui e Sirius avevano fatto perdere
alla Casa.
Glielo avevano portato via.
“Ciò non toglie che non abbia potuto chiederti scusa,
papà.” pensò, amaro.
“Ehi, Capitano, che ci fai quassù?” Theodore
Vaughn, Cacciatore, gli si era affiancato, mentre il resto della
squadra attendeva istruzioni dal bordo campo.
“Scusami, Theo, vi stavo aspettando e non vi ho sentiti
arrivare.”si scusò James, ancora immerso in altri
pensieri.
“Nessun problema. Ora, cominciamo?” propose, eccitato,
Theodore, era al quarto anno ed aveva una vera e propria venerazione
per il suo Capitano.
James annuì, riportandosi a terra ed iniziando ad impartire
indicazioni, pur con la spiacevole sensazione che nulla lo potesse
distogliere da quello che aveva in testa.
Lily stava studiando in Biblioteca, o meglio, stava sudando e si
stava annoiando su una versione di Antiche Rune. Era già ora
di cena, la maggior parte della scuola si era già riversata in
Sala Grande e Lily non vedeva l'ora di finire: aveva fame ed era
rimasta d'accordo con Remus che si sarebbero visti a cena. Peccato
che la versione non fosse d'accordo.
“Ciao Lily.”
Lily sobbalzò, non era abituata ad essere chiamata da qualcuno
in Biblioteca.
Si girò per controllare chi fosse, anche se sapeva
perfettamente a chi appartenesse quella voce.
Non era più la voce squillante a cui era abituata, era un tono
sommesso e delicato quello che aveva accompagnato il saluto.
“Ciao James.”
“Tutto bene?” si informò, più per
cordialità che per voglia di proseguire la conversazione
James, appoggiato allo schienale della sedia di fianco a quella in
cui sedeva Lily.
“Sì, sì, tutto normale. Tu? Stavo facendo la
versione di Antiche Rune.” rispose Lily, mostrando il
vocabolario aperto e con mille pezzi di pergamena infilati a far da
segnalibro, il foglio già scritto a metà e il testo da
tradurre con i verbi sottolineati ed uniti al soggetto da una
freccia.
“Oh, Antiche Rune... me n'ero dimenticato, della versione. Sono
un po' distratto, ultimamente.” James abbozzò un
sorriso, si scompigliò i capelli e tornò ad appoggiarsi
allo schienale della sedia.
Lily non sapeva cosa replicare. Era ovvio che James avesse altri
pensieri per la testa.
“Non sei andata a cena?” chiese James, ad un tratto.
La Biblioteca era vuota, eccetto loro due e Madama Pince che li
fissava astiosa appollaiata alla sua scrivania.
“Volevo cercare di finire la versione, prima. Credo di fare in
tempo, a mangiare qualcosa. Mezz'ora e dovrebbe chiudere, anche se
dubito che riuscirò a finire di tradurre.” spiegò
Lily.
“Dove sei arrivata?”
“Sono a metà, circa, mi sa tanto che dovrò
continuare in camera.” sospirò Lily.
“Tu, invece, come mai non sei andato a cena?”
“Avevo gli allenamenti di Quidditch.” rispose James,
alzando le spalle.
Lily sapeva da Remus che James passava gran parte del suo tempo sul
campo da Quidditch, in sella alla sua scopa, anche da solo.
Solitamente gli allenamenti finivano in tempo per l'ora di cena e
Lily immaginò che lui fosse rimasto da solo a volare.
Rimasero in silenzio per un po', sino a quando James non disse.
“E' un genitivo partitivo, qui. Non una specificazione.”
indicò una riga della traduzione di Lily.
Lily si affrettò a controllare, rileggendo tra sé la
frase.
“Oh, è vero. Ecco perchè non quadrava. Grazie.”
“Figurati.” sorrise James, desideroso di andarsene, per
essere lasciato solo con se stesso ma allo stesso tempo affascinato
dalla prima conversazione che stava avendo con Lily Evans.
Rimasero così per qualche istante, incerti su cosa dirsi,
senza capire bene se dovevano salutarsi oppure no.
Lily iniziò a raccogliere le sue cose e ad infilarle nella
borsa e James non si mosse. Rimase lì a guardarle mentre
ordinava i libri nella tracolla.
Attese che Lily finisse e la seguì fuori dalla Biblioteca,
fino al corridoio.
“Bè, allora ci vediamo in giro, Lily.” salutò
James, prendendo la direzione opposta alla sua.
“Sì... ci vediamo.”
Lo vide allontanarsi e, istintivamente, lo chiamò:
“James!”
Il ragazzo si voltò, facendo qualche passo indietro e
tornandole di fronte.
“Spero che vinciate, domenica.”
James sorrise per ringraziare.
“Non sapevo che seguissi il Quidditch. O che comunque te ne
importasse qualcosa.”
Lily avvampò e balbettò una risposta.
“Oh.. bè, in realtà vengo a tutte le partite.
Sai, è un po' difficile non interessarsene quando sei
cresciuta con un padre tifoso del Manchester United.”
Lily si rese conto solo dopo aver parlato che, forse, citare suo
padre davanti a James Potter, non era proprio opportuno.
“Scusa, James, non volevo. Scusami.” si affrettò a
dire.
James si era irrigidito, sentendo parlare Lily di suo padre, non
poteva farci niente. Però, non era colpa di Lily Evans se lui
un padre non ce l'aveva più.
“Non devi scusarti, non è colpa tua.”
Non era colpa di Lily, era colpa di quei bastardi.
Lily non rispose, abbassò solo la testa.
“Forse non dovevo dirtelo comunque.” disse, infine.
“Non è colpa tua. Allora, allora ci si vede domani,
Lily.” ribadì James, sentendo che era ora di andare.
“A domani, James.” sussurrò Lily.
Remus, Sirius e Peter stavano cenando in Sala Grande. In verità,
stavano cercando di allungare il più possibile la cena, nella
speranza che James si presentasse, anziché aspettare di
passare in cucina dopo cena, mangiando da solo con la compagnia di
una ventina di Elfi ossequianti.
“Non verrà neanche stasera.” disse Remus,
pulendosi la bocca con il tovagliolo.
“Non vuole domande.” aggiunse, poi.
“Si riprenderà. E' James. Si rialza sempre.”
commentò Peter, che pure sentiva che qualcosa gli stava
sfuggendo, che pure aveva compreso che quella volta James non si
sarebbe rialzato così in fretta.
Sirius non sembrava stesse ascoltando, anzi, fissava con occhi vuoti
il tavolo di Serpeverde.
“Come
sta tuo fratello?” le parole di zio Alphard suonavano come una
condanna. Una condanna a parlare.
Eppure,
Sirius dovette ammettere che lo zio aveva visto là dove lui si
ostinava a non voler guardare: aveva capito che Sirius aveva bisogno
di dirlo a qualcuno, qualcuno, però, che potesse capire. Che
potesse capire davvero cosa significava essere un Black, essere un
Black sbagliato, perdere un pezzo di sé.
Qualcuno
che potesse anche dirgli, dall'alto della sua esperienza, che cosa
sarebbe stato giusto fare, qualcuno che gli dicesse che non era lui,
quello sbagliato.
Sirius
abbassò lo sguardo, tornando a fissare il pavimento.
Erano
ancora a Godric's Hollow, a casa di James. Sirius ci sarebbe rimasto
fino alla fine delle vacanze e Dorea aveva insistito perchè si
fermasse anche Alphard, il quale però, pur promettendo che
sarebbe passato ogni giorno, aveva ritenuto più opportuno
tornare nella sua casa immersa nelle nebbie dello Yorkshire.
“Sono
preoccupato, zio. La gente con cui gira...le idee che ha in testa.-
rise- Il perfetto figlio di Walburga Black.”
Zio
Alphard scosse la testa. Sua sorella Walburga, un'ottima persona se
avevi la fortuna di pensarla come lei.
Se
solo suo cugino Orion avesse badato un po' meno agli affari e un po'
di più ai suoi figli, forse, tante cose si sarebbero potute
evitare.
Forse,
Sirius sarebbe stato ancora a casa, forse Regulus non sarebbe stato
sul punto di unirsi ai Mangiamorte.
Orion
non era una cattiva persona, non del tutto, almeno. Era semplicemente
il perfetto Purosangue, che perpetrava le convinzioni della
tradizione nella sua famiglia.
Come
tutti i Purosangue era convinto di essere superiore, era certo che
essere un Black lo rendesse migliore di ogni altra persona, ma non
era fanatico come sua moglie.
Le
sue uniche colpe erano quelle di rappresentare le convinzioni
dell'elite e di essere fermamente convinto che nulla potesse essere
cambiato. Certo, forse, nel mestiere di padre non eccelleva tanto
quanto negli affari, ma semplicemente perchè a lui non
interessava essere padre.
Aveva
fatto il suo dovere, si era sposato ed aveva dato i natali a due
rampolli Purosangue che avrebbero perpetrato la dinastia, ma non era
interessato a partite di Quidditch nei boschi o a battaglie di
solletico sul letto o a conoscere ogni singolo dettaglio della vita
dei figli.
A
lui era sufficiente che sapessero come comportarsi, che non lo
facessero sfigurare e che i loro voti a scuola fossero decenti, per
il resto, c'era Walburga. L'educazione era un suo compito.
E
i risultati si erano visti.
Avrebbe
potuto schierarsi in difesa di Sirius, se avesse voluto, se avesse
anche solo provato a conoscere suo figlio, anziché
disinteressarsene completamente.
Orion
non era uno sciocco e, conoscendolo, si stava già rendendo
conto da solo di quello che stava succedendo, non si trattava di
ridare il Mondo Magico ai Purosangue, c'era molto di più in
gioco.
Se
avesse voluto, avrebbe potuto fermare Regulus.
Il
suo onore non avrebbe potuto sopportare di perdere un altro figlio.
“Hai
parlato con lui?” domandò a Sirius, pur conoscendo già
la risposta.
“Sì.
E abbiamo finito per litigare. Zio, finirà male, lo sento.
Bisogna tirarlo fuori. E' solo un ragazzino.”
“Lo
so, Sirius, lo so. E' solo un ragazzino ubriaco di idee che nemmeno
capisce fino in fondo.”
“Proverai
a fare qualcosa?”
Alphard
annuì, alzandosi in piedi e sedendo accanto al nipote.
“Certo,
Sirius, gli scriverò. Gli dirò che,se vuole, potrà
venire a stare da me, così come hai fatto tu. Penserò
io a voi. A te, a lui, ad Andromeda. Temo solo una cosa: che lui non
abbia la minima intenzione di abbandonare tutto. Temo che sia
convinto di essere dalla parte della ragione. Temo che voglia
continuare, andare avanti, sino a quando non sarà troppo tardi
per tornare indietro.” disse zio Alphard, grave.
Regulus
era sempre stato diverso da Sirius: di aspetto gracile e fragile lo
era anche nella personalità. Non aveva nulla dell'orgoglio,
dell'irrequietezza, della parlantina e del coraggio di Sirius.
Se
possibile, aveva anche ben poco in comune con i Black:
certo, rispecchiava perfettamente le idee che sua madre gli aveva
messo in testa, le idee di famiglia, per così dire, tuttavia,
era molto più Black il modo di fare di Sirius che non quello
del docile Regulus.
Regulus era stato un bambino timido e silenzioso, contrariamente a
Sirius, che faticava a sottostare ai rigidi standard di comportamento
imposti dal rango sociale dei Black.
Era diventato un adolescente schivo ed introverso, plasmato dalle
vetuste idee sulla purezza del sangue tanto care alla sua famiglia.
Tanto care a sua nipote Bellatrix.
“Ognuno è responsabile delle sue scelte.”
sussurrò Sirius
“Sì,ognuno è responsabile delle sue scelte,
Sirius. Purtroppo temo che Regulus abbia già scelto la sua
strada.”osservò Alphard.
“Non l'ha scelta!- gracchiò Sirius- Non l'ha scelta,
gliel'hanno imposta! Convive con quelle idee da quando è nato.
L'hanno rovinato! Si è bevuto tutte quelle storie che gli
raccontano la mamma e Bellatrix!”
“Sirius!” lo ammonì suo zio, intimandogli di
tacere.
“Ma è vero, zio! L'hanno plasmato!”
“Ti ricordi com'eri tu prima di andare ad Hogwarts?”
chiese Alphard, senza distogliere lo sguardo dal nipote.
“Che c'entra questo?” ribattè Sirius,
aggrottando le sopracciglia, confuso.
“Ti ho chiesto- ripetè Alphard- se ti ricordi com'eri
tu prima di andare ad Hogwarts.”
Lui sì, se lo ricordava.
Ricordava un bambino desideroso di parlare, di giocare, di
raccontare, un bambino a cui appena era concesso di sfuggire
all'occhio vigile di sua madre, correva e saltava ed urlava così
come avrebbe dovuto fare un bambino della sua età.
Ricordava un bambino che faticava a presenziare alle lunghe cene
di famiglia, ma che si era imparato a memoria le regole del galateo e
che consigliava Regulus, perchè afferrasse la forchetta giusta
e non quella da dolce, perchè non confondesse il bicchiere
dell'acqua con quello del vino.
Ricordava un bambino introverso e all'apparenza scontroso, che si
era trasformato nel ragazzo che aveva di fronte, non ancora privo di
quei due tratti di carattere.
Ricordava soprattutto un bambino che desiderava più d'ogni
altra cosa attirare su di sé l'attenzione dei suoi genitori
perchè, per una volta, suo padre alzasse gli occhi dai suoi
documenti e sua madre smettesse di rimproverarlo per una scarpa
allacciata, ma dicesse “Bravo, Sirius.”
Un bambino che voleva solo sentirsi amato ed apprezzato, come
tutti bambini, del resto.
“Ci credevo.- disse Sirius, in un soffio- Ero come loro.
Pensavo avessero ragione.”
“Non esattamente.” lo contraddisse lo zio.
“Ci credevi, Sirius, è vero. Ma non lo facevi perchè
conoscessi perfettamente la differenza tra Purosangue e Babbani, non
perchè il mantenere puro il tuo sangue fosse il tuo primo
pensiero. Ci credevi semplicemente perchè eri vissuto in quel
mondo, perchè quelle idee avevano fatto parte di te per undici
anni e non pensavi che la si potesse pensare diversamente. Per te era
normale ascoltare quei discorsi. Per te era ovvio che tutte le
famiglie di Maghi temessero il contagio.”
“Ho preso James per matto, quando mi ha detto che a casa sua
non erano mai stati fatti discorsi di questo tipo e che, anzi, suo
padre era fissato con i manufatti Babbani. E speravo di finire
anch'io a Serpeverde. Quanto ho maledetto quel cappellaccio
rattrappito!” sorrise Sirius.
Stava cercando di metterla sul ridere, ma i primi tempi ad
Hogwarts non erano stati semplici.
Quando aveva sentito il Cappello Parlante dirgli che lui era
diverso, che avrebbe potuto fare tanto, che, avrebbe trovato una
famiglia, che era un Grifondoro, il mondo gli era crollato
letteralmente addosso.
Nessuno gli avrebbe mai detto “Siamo fieri di te, Sirius. Ci
hai reso così orgogliosi!”
Quando tutti il giorno dopo avevano ricevuto lettere da genitori
entusiasti per l'esito dello smistamento, lui aveva ricevuto un
freddo biglietto.
Se le ricordava ancora, quelle parole.
“Cosa ti è saltato in testa, Sirius?
Cercheremo di farti spostare. Non puoi stare lì.”
Il tutto accompagnato dagli urletti isterici di un James Potter
undicenne e particolarmente rompiscatole ed eccitato da qualsiasi
cosa vedesse.
“Lo vedi Sirius? Sei andato ad Hogwarts, ti sei confrontato
con un altra realtà, con la vera realtà. Hai conosciuto
altre persone, ti sei fatto idee tue. Hai scelto. E così ha
fatto anche tuo fratello. Ha scelto, Sirius. Non sta seguendo
nessuno. Ha scelto. Temo proprio che non sia possibile fargli
cambiare idea, ha scelto e ciascuno di noi è responsabile
delle sue scelte.” concluse Alphard.
Lo zio aveva ragione. Sirius sapeva che era così. Aveva
ragione, eppure, osservare Regulus camminare per i corridoi, mangiare
al tavolo di Serpeverde senza fare niente, non era semplice.
Sirius scaraventò le posate sul piatto con tanta violenza da
far traballare anche il bicchiere e poi si alzò.
“Sirius, ma che ti prende?” chiese Remus, osservando
corrucciato la goccia d'olio schizzata dal piatto di Sirius che stava
dando origine ad un'enorme macchia circolare sui suoi pantaloni.
“Scusa, Lunastorta. Non ho più fame. Vado a farmi un
giro. Ci vediamo dopo.” rispose Sirius, vago.
“A dopo.” risposero Peter e Remus, guardandosi, prima di
tornare a mangiare, in silenzio.
Remus era stanco.
Stanco non solo perchè la luna piena si avvicinava, mancavano
ancora cinque giorni. Era stanco di dover rimettere insieme i pezzi.
Stanco di vedere che tutto sembrava sul punto di sfasciarsi.
James, che ormai trovava ogni scusa possibile pur di stare da solo.
Sirius, che provava a stare vicino a James, ma che soffriva quanto e
forse più di lui per aver perso non solo la persona più
simile ad un padre che avesse conosciuto, ma anche un fratello.
C'era in tutto quello una sorta di curiosa ironia: James era il primo
a volersi accollare anche i problemi degli altri, ma per risolvere i
suoi voleva essere lasciato solo.
Sospirò pesantemente e scosse la testa.
Nel frattempo, senza che lui se ne accorgesse, Lily Evans gli si era
seduta a fianco, nel posto lasciato libero da Sirius.
“Buonasera a tutti e due.” li salutò.
“Ciao Lily.” rispose, mesto, Peter.
“Oh, Lily, scusa. Non ti ho sentita arrivare.” Remus si
riscosse, volgendosi verso l'amica. Non credeva che lei sarebbe
venuta davvero. Era ancora piuttosto restia all'idea di cenare o
pranzare con loro quattro. Anche se era qualche settimana che non
erano più in quattro.
“Va tutto bene, Remus?” chiese, insospettendosi. Remus
aveva una faccia stravolta.
“Va.” rispose lui e Peter annuì, per confermare
che sì, la vita andava avanti, ma non andava bene.
“Ho incontrato James prima.” disse Lily
“Come l'hai visto?” cinguettò Peter, pur
conoscendo già la risposta.
“Credo che lo sappiate meglio di me, come sta.” rispose
Lily.
Stentava a riconoscere James Potter nel ragazzo che aveva visto da
quando erano riprese le lezioni.
Solitario, silenzioso, studioso e non più circondato da gente,
accompagnato dall'inseparabile Sirius Black, chiacchierone ed
impertinente.
Era più che comprensibile che non fosse il solito James, però,
tutto quello la portava, seppur con un po' di vergogna, a porsi
ulteriori domande su James Potter.
Era la classica persona che non riusciva proprio a catalogare: un
momento era in un modo e il momento dopo l'opposto. Non bastavano
pochi giorni a cancellare degli anni, non era possibile, eppure Lily
ebbe la spiacevole sensazione che la vita sua e quella di James
Potter avrebbero continuato ad entrare prepotentemente in contatto,
senza che entrambi facessero qualcosa perchè accadesse.
“Ehi.” disse Sirius, aprendo la porta, rivolgendosi a
James, steso sul suo letto.
“Ehi.” rispose James, senza muoversi.
Sirius si buttò sul letto, provocando un sonoro tonfo che, in
altre occasioni, avrebbe probabilmente fatto scoppiare fragorosamente
a ridere James ed indignare Remus.
Quella volta però non successe.
Capitolo
terminato e poco convincente, almeno per me.
Vi
ringrazio tutti quanti e vorrei dirvi che ho provato a realizzare una
sorta di trailer per questa storia lo trovate qui:
http://www.youtube.com/watch?v=J31nU1eVzMA
La
canzone è “Say it's Possible” di Terra Naomi.
Cercatene il testo, se potete, trovo che sia perfetta per l'atmosfera
che sto descrivendo.
Alohomora:
Lily e Sirius diventeranno ottimi amici, hanno solo bisogno di
rodaggio. In fondo, Lily sarà la mascotte dei Malandrini, il
membro onorario del gruppo!
Purepura:
forse la morte di suo padre aiuterà James a tirare fuori il
meglio di sé e a diventare quello che sappiamo è stato.
Spero che l'incontro tra Lily e James ti sia piaciuto, si troveranno
ad incontrarsi molto spesso, d'ora in poi, pur senza cercarsi troppo.
Ps:
guarda lo stesso il trailer, che ho aggiunto qualcosa e grazie mille
anche per il commento su youtube.
PrincessMarauders:Petunia
è insopportabile per partito preso, direi, tuttavia io credo
che lei cercasse davvero di fare il meglio per Lily: voglio dire,
sono convinta della buona fede con cui ha chiesto a Lily di tornare a
casa, di abbandonare quel mondo che l'ha allontanata così
tanto da lei e che la sta facendo soffrire. Inizialmente penso che la
volesse proteggere. Poi, il rapporto è degenerato, anche se
credo che Petunia abbia sempre avuto la convinzione che, se Lily
l'avesse ascoltata, sarebbe stata ancora viva.
Infine, grazie a Bellis per il betaggio e consigli continui.
|
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Capitolo 15 *** Quattordicesimo capitolo ***
CAPITOLO QUATTORDICESIMO
Maggio 1977
Cimitero di Godric's Hollow
Dorea Potter, inginocchiata sulla tomba del marito, trattenendo a
stento le lacrime, che già erano scese copiose a bagnarle la
veste scura, ripassava col dito i contorni delle lettere scolpite sul
marmo.
CHARLUS EMMANUEL POTTER
1918 - 1977
“Che cosa devo fare, Charlus? Che cosa? Da sola non so se ce la
faccio... James... James ha così tanto bisogno di te.”
singhiozzò la donna, con un tono così basso da essere
quasi impercettibile, inudibile a tutti i pochi visitatori che
popolavano il cimitero in quella fredda mattinata di primavera.
Inascoltabile per tutti, tranne che per l'uomo che si stava
nascondendo dietro una alta quercia.
Alphard Black fece qualche passo in avanti: erano giorni che spiava
le mosse di Dorea. Da quando Charlus era mancato, non passava
giornata senza che lui non facesse un salto a Godric' s Hollow:
inizialmente aveva motivato le sue visite con delle commissioni da
sbrigare, poi aveva semplicemente smesso di giustificarsi di fronte
a Dorea.
Si presentava a casa sua, cercando di riempire quel vuoto che era
comparso nella vita della perennemente affaccendata Dorea con la sua
presenza amica e famigliare.
Sebbene non fosse particolarmente credente, anzi, si dichiarasse
sostanzialmente agnostico, e provasse ancora più scetticismo
nei confronti di un discorso rivolto ad una lapide o nell'utilità
di una visita al cimitero, ogni mattina accompagnava Dorea Potter al
cimitero.
I primi giorni Dorea lo domandava, come se dovesse quasi ottenere il
suo permesso per potersi recare alla tomba del marito, in seguito era
diventata una silenziosa abitudine.
Pertanto, non appena Alphard metteva piede in casa, rapida, Dorea
afferrava il mantello che ancora serviva a ripararsi dal vento
mattutino e, senza parlare, si mettevano in marcia per il cimitero.
Alphard aveva provato a ripetersi più e più volte i
versi “Dei Sepolcri” di Foscolo, secondo il quale ( e a
ragione, sosteneva Alphard) la tomba fosse l'unica forma di
immortalità possibile.
Attraverso di essa ed attraverso il perpetuo e continuo ricordo dei
vivi si aveva garanzia d'immortalità. Ad ogni modo, a trarre
giovamento da questo, secondo il Foscolo, erano solo e soltanto i
vivi che si illudevano così di avere ancora con sé il
caro ormai estinto.
Fino ad un mese prima, Alphard Black avrebbe concordato con Foscolo
anche su quest'ultimo punto, ora però non era affatto
convinto.
Sinceramente, trovava pericoloso e dannoso il morboso attaccamento
che Dorea mostrava per la tomba di Charlus, quasi che essa potesse
ridarle l'amato marito.
Era pericoloso per lei, che si sarebbe poco a poco annullata; era
pericoloso per James e per Sirius che contavano su di lei.
“Forse dovresti cominciare a smetterla di venire qui, Dorea.”
disse Alpahrd, grave.
Dorea si voltò verso di lui.
“Cosa vuoi saperne tu, Alphard?” ribattè,
sprezzante, alzandosi.
“Era il mio migliore amico, Dorea. So cosa vuol dire perderlo.”
Alphard fissò intensamente le lettere scolpite nel marmo.
Negli ultimi anni non si erano visti molto spesso, in verità.
Lui passava gran parte del suo tempo lontano dalla Gran Bretagna, in
giro per il mondo, con la scusa di occuparsi degli affari di
famiglia, insaziabile e famelico com'era di conoscenza e di colori e
sapori del mondo.
Ma, a prescindere da questo, ad allontanarli l'uno dall'altro oltre
all'implacabile tempo che muta tutti i rapporti, erano stata la
diametralmente opposta scelta di vita che avevano intrapreso.
Alphard non si era mai sposato, per scelta, nonostante i continui
richiami della famiglia a mettere la testa a posto, a comportarsi da
Black.
Era andato avanti a vivere la sua vita da scapolo impenitente sino a
quando non si era fermato un attimo a pensare: tralasciando i suoi
famigliari, sposati più per tradizione che non per vero amore,
tutti i suoi vecchi conoscenti arrancavano sempre di più,
nell'unirsi a lui in viaggi o divertimenti.
Tutti quanti avevano ormai una famiglia, qualcuno da cui tornare,
qualcuno per cui valesse la pena essere a casa ogni sera.
Lui no. Lui aveva se stesso e la sua cultura, nient'altro. Forse solo
i suoi nipoti erano note colorate nel grigio della sua vita.
Probabilmente, era stata proprio questa consapevolezza del vuoto e
della vacuità della sua vita a farlo impegnare ancora di più
nei suoi viaggi e ad allontanarlo da Charlus.
Sentirlo parlare di suo figlio, osservare Dorea che correva da una
parte all'altra della casa, ridere delle ginocchia sbucciate di James
gli faceva pensare a quello che avrebbe potuto avere e che, per
scelta, non aveva voluto avere.
Forse, all'epoca, non era stato abbastanza forte da mollare tutto: in
fin dei conti, lui, nonostante tutte le belle ed avventurose storie
che raccontava ai suoi nipoti, non aveva mai trovato il coraggio di
rinnegare la sua famiglia, anzi, ci era rimasto vigliaccamente
attaccato, sino a quando gli era stato possibile sino a quando, la
fuga di Andromeda prima e di Sirius poi non l'avevano posto di fronte
ad una scelta.
Non aveva costruito ancora nulla che potesse essere definito
importante, forse quella era l'occasione giusta per ricominciare da
capo, per dare un senso a tutto, per aiutare due ragazzi che stavano
solo crescendo troppo in fretta, da soli, lasciati privi di punti di
riferimento.
A voler ben vedere, però, il suo amato Sirius non aveva
bisogno di lui. Aveva bisogno di qualcuno che potesse fargli da
padre. Qualcuno che sapesse essere padre e, quel qualcuno, non era
certo lui. Quel qualcuno era Charlus.
Ed ora, ora che Charlus se n'era andato, era giunto il momento che
Alpahrd Black raccogliesse ciò che il suo migliore amico gli
aveva lasciato, la sua famiglia, e la traghettasse su sponde più
sicure.
Lo doveva a Charlus, lo doveva a se stesso.
“Era mio marito. Forse è un po' diverso.”
sentenziò Dorea, sempre più contrariata.
“E' il mio migliore amico, Dorea. So cosa ho perso. E tu, tu,
dannazione, sei mia cugina. E non voglio che ti riduca così.”
A Dorea non sfuggì l'utilizzo del presente. Si tirò
indietro i riccioli neri che le stavano scendendo sulla fronte.
Alpahrd l'aveva definita “cugina”. Quanto tempo era che
non parlava di lei in quei termini?
In realtà, benchè fosse più giovane di lui di
due anni, Dorea Black in Potter era zia di Alphard Black.
Sorella di Pollux, padre di Alphard e di Walburga, Dorea Potter
poteva vantarsi di essere l'ennesimo esperimento malato nato dallo
squilibrato sangue dei Black.
“Mi manca così tanto, Alph. Non so come potrei andare
avanti, senza di lui.”
Alphard le si avvicinò e guardandola negli occhi, rivide la
stessa espressione impaurita del suo primo giorno ad Hogwarts,
quando, ad undici anni e senza conoscere nessuno, l'aveva assediato
di lamentele pur di fare il viaggio con lui.
King's
Cross, binario 9 34 , 1 Settembre 1931
“Alph,
ti prego! Prometto che non ti disturbo, me ne starò zitta
zitta! Dai...” una ragazzina di appena undici anni, esaltata
per il suo primo giorno ad Hogwarts, scuoteva la chioma di ricci
scuri su e già, alternando questo gesto alla storpiatura della
manica del ragazzo che la teneva per mano.
Erano
appena saliti sul treno, sfuggendo così alle infinite
raccomandazioni dei genitori, preoccupati che tenessero alto l'onore
di famiglia comportandosi così come ci si aspettava da due
giovani Black.
Alphard,
giovane Serpeverde che stava per iniziare il suo terzo anno, non ne
poteva più: non vedeva l'ora di salire sul treno e di
incontrare i suoi compagni, pertanto, quando sua zia Violetta si era
finalmente decisa a dare un ultimo bacio alla bambina, Alphard non si
fece salutare due volte.
Afferrò
il polso della cugina e la trascinò sul treno con sé.
“Trovati
uno scompartimento come fanno tutti, Dors, potresti fare amicizia con
quelli del tuo anno già prima dello Smistamento.” sbuffò
Alphard, spalancando con la mano libera la porta di un vagone ancora
semivuoto.
“Hai
sentito cosa ti hanno detto la mamma e la zia! Ti hanno detto di
badare a me, quindi, io da qui non mi muovo!”protestò
Dorea, imbronciata, incrociando le braccia sopra al nastro di raso
bianco che le segnava la vita ed andava a ravvivare il vestito di
velluto nero.
Alphard fece per ribattere, esasperato.
L'ultima
cosa che voleva era ritrovarsi a far da balia ad una ragazzina
ficcanaso e petulante come sua cugina, anzi, sua zia. Maledì
mentalmente la sua posizione di primogenito e si stravaccò su
un sedile, ignorando di proposito gli strilletti isterici che
provenivano da oltre il vetro.
Dorea,
incurante di tutto, aprì la porta e si posizionò di
fianco al cugino, appoggiando la testa sulla sua spalla.
“Ho
paura, Alph. Non sono mai stata lontano da casa così tanto.
Nemmeno quando sono venuta a casa tua a vedere Walburga e Cygnus
sono stata via così tanto.” confessò Dorea, in un
sospirò.
Alphard
voltò la testa e poggiò il mento sulla folta
capigliatura di Dorea.
“Non
è così male, una volta che ti ci abitui. E poi, ad
Hogwarts puoi fare tutto quello che vuoi, senza che nessuno ti
controlli. E poi ci sono io, non ti sei forse lamentata per anni del
fatto che io ci sarei andato prima di te?”
“Sì,
ma...”
“Poche
storie, ti divertirai. E vedi il lato positivo, ti salterai un sacco
di quelle noiose feste a cui ti costringono a partecipare. E non
metterai nessuno di quegli stupidi vestiti che ti fanno sembrare una
bambola di porcellana.” le ricordò Alphard.
“Non
dovremmo parlare così di quelle cene, Alph. Siamo Black, è
normale tutto ciò. Abbiamo delle tradizioni da rispettare.”
puntualizzò Dorea.
“Come
non finire gli studi come tua sorella Cassiopea che è stata
costretta a sposarsi quest' estate? Non mi piace la cosa, Dors. Non
è giusto.”
“Siamo
Black. Anche se a volte non ci piace.” precisò Dorea,
lisciandosi le pieghe del vestito come le era stato insegnato.
Era
una Black, lei. Non era sempre semplice, ma bisognava essere
orgogliosi del cognome che portava.
Black,
una delle più antiche famiglie del Mondo Magico.
Alphard
non rispose e prese a fissare il paesaggio fuori dal finestrino che
scorreva, rapido. Si era impelagato in quella conversazione con Dorea
e non era ancora riuscito a trovare i suoi compagni.
“E
se non finisco a Serpeverde? Mamma e papà si
arrabbieranno!Finirò anch'io come la prozia Isla o lo zio
Phineas!” esclamò Dorea, immaginando il suo nome
cancellato dall' imponente Arazzo che le ricordava ogni giorno cosa
significava essere una Black.
Sua
madre le aveva detto di stare tranquilla: era una Black, sarebbe
stata a Serpeverde per forza, era una cosa di famiglia e lei era non
doveva avere nulla da temere.
Peccato
che quella squinternata della prozia Elladora l'avesse terrorizzata
sino all'estate prima con tutto quello che si narrava fosse successo
a quei Black che avevano osato disubbidire alla tradizione.
Dorea
era arrivata al punto di sognare così spesso la sua testa
appesa ad una parete come quella di un qualsiasi elfo domestico che
suo padre Cygnus era stato costretto dall'evidenza dei fatti ad
impedire a sua zia di raccontare ancora una sola delle sue storie a
Dorea.
“Siamo
Black, Dorea, e siamo Serpeverde. Anche se a volte non ci piace.”
le rispose Alphard, che stava piano piano elaborando una sua
concezione di quello che gli era stato insegnato a casa e , col
quale, sentiva di avere sempre meno da spartire.
Ma
non era il caso di dire di più a Dorea. Era solo una bambina.
“Sì,
sono una Black e porterò alto l'onore di famiglia, così
come ci si aspetta da me. Sono una Black e non posso fallire.”
ripetè Dorea, nella mente, appoggiando la testa sulla spalla
di Alpahrd e socchiudendo gli occhi, facendosi cullare dallo
sferragliare del treno sulle rotaie.
“Andrà tutto bene, Dors. Bisogna andare avanti, adesso.
Hai James che conta su di te, non dimenticartelo.” le sussurrò
Alphard, abbracciandola forte.
Dorea annuì, fra le lacrime.
“Lo so, Alphard, lo so. Ho caricato James di responsabilità
non sue, in questi giorni. Non gli ho permesso di essere ragazzo e di
affrontare il dolore come un ragazzo. E non è giusto. Non sono
stata una buona madre.”
“Dorea, non dire sciocchezze! Sei sconvolta! Questo...
questa... cosa- tartagliò Alphard, indicando la tomba- ha
sconvolto tutti noi! Puoi permetterti di essere umana, Dorea. Puoi
sbagliare. Sono certo che James non ce l'ha con te.”Alphard
tentò di rassicurarla, del tutto impreparato a quello che
Dorea gli avrebbe obbiettato.
“Ma sono sua madre, Alphard! Sono sua madre! Sono io che devo
essere forte, non lui. E' lui a dover contare su di me, non il
contrario. Sono io a dover dare certezze a lui! Ho fallito, Alph, tu
non puoi capire.” spiegò Dorea, parlando solo da madre.
“James sa che hai cercato di fare tutto il possibile. E' grande
e sa come deve comportarsi.” la contraddì Alphard, senza
riuscire ad afferrare quel qualcosa che separava la sua sensibilità
di uomo da quella di madre di Dorea.
“Lo so, è grande oramai. Ma vedi, quando tu hai un
figlio, cerchi soltanto di proteggerlo. Non volevo che vivesse tutto
questo. Mi sembra ancora così giovane!” Dorea si lasciò
scappare un sospiro.
“Non lo potrai proteggere per sempre, Dors. E' anche così
che si cresce.” precisò Alphard.
“Parli come Charlus. Anche lui la pensava così, a
proposito di tutto quello che sta succedendo, di questa guerra.-
Dorea alzò lo sguardo verso il cielo- Non so, Alph, forse
vorrei solo che James potesse godersi la sua giovinezza, senza altri
pensieri.”
Alphard annuì: Dorea aveva tutti i diritti di pensarlo. A
rigor di logica avrebbe dovuto essere così: James, Sirius e
tutti i loro coetanei non avrebbero mai e poi mai dovuto affrontare
fatti tanto grandi quando erano poco più che ragazzini.
Posò gli occhi scuri ancora sulla lapide ed assottigliò
lo sguardo, per impedire che Dorea scorgesse le sue pupille
inumidite.
“Avete fatto un buon lavoro, Dorea. Si vedranno i risultati.”
Dorea annuì e alzò gli occhi verso il cugino, che stava
ancora fissando il nome di Charlus inciso sul marmo.
“Ti ricordi cosa mi dicesti quando me lo presentasti?”
sussurrò piano Dorea.
Alphard, sorrise di un sorriso vero.
“Come dimenticarlo?”
Hogwarts,
1 Settembre 1931
Dorea
si era appisolata sulla spalla di Alpahrd e lui, per renderla più
comoda, le aveva delicatamente appoggiato la testa sulle sue
ginocchia.
Probabilmente
aveva passato la notte in bianco, agitata da mille pensieri sul primo
giorno di scuola, e il perpetuo movimento del treno le stava
conciliando il sonno.
Nel
frattempo era entrato nello scompartimento dei due Black un altro
ragazzo, che stava sommergendo Alphard di chiacchiere, aneddoti
dell'estate e pensieri sull'anno che stava per iniziare.
Lì
per lì, Dorea, sentì le due voci come lontane, quasi
fossero echi nei suoi sogni, in breve, però, si rese conto,
pur nel dormiveglia, che i discorsi di cui era testimone stavano
avvenendo esattamente di fronte a lei.
“
E come ti dicevo, Alphard, sono sempre più curioso di
iniziare con questa strana Babbanologia: quest'estate sono stato in
Francia con i miei genitori ed ho scoperto usanze Babbane sempre più
bizzare...”
Dorea
aprì gli occhi proprio mentre lo strano ragazzo seduto di
fronte ad Alphard stava raccontando di un anziano signore Babbano che
ogni mattina giungeva in spiaggia in sella alla sua bicicletta.
“Davvero,
sai? Mi chiedo se ci faranno provare anche quegli strani
trabiccoli... voglio dire, sono così curiosi! Spostarsi per
mezzo di quelle loro biciclette! Mi sembrano così instabili!”
proseguiva, eccitato.
Alphard,
alzando appena gli occhi dalle parole crociate che stava completando
sull'angolo dell' enigmista del Profeta, gli rispose, leggermente
annoiato.
“Se
lo dici tu! Non capisco proprio cosa ci trovi di così
interessante.”
Dorea
sbattè le palpebre per un paio di volte e poi focalizzò
gli occhi castani sul nuovo venuto: era un ragazzo dell'età di
Alphard, probabilmente, un po' più magro di suo cugino, aveva
una aggrovigliata zazzera nera in testa e due occhi azzurro cielo,
che saettavano, curiosi, per lo scompartimento, stavano coperti da un
paio di sottili occhiali in corno.
Di
qualsiasi cosa i due stessero parlando, Dorea non poteva che
concordare con Alphard: i Babbani erano solo Babbani. Cosa ci poteva
essere di interessante nello studiarli?
Alphard
si accorse che la cugina si era svegliata, pertanto, chiudendo in
fretta il giornale, si affrettò a fare le presentazioni.
“Oh,
ben svegliata Dors! Lui è il mio amico Charlus Potter.”
spiegò, indicando il ragazzo seduto di fronte a lui.
Charlus
allungò il braccio, per stringere la mano a Dorea.
“Charlus,
lei è mia cugina Dorea. Cioè, in realtà è
mia zia, ma facciamo finta di essere cugini.”
Dorea,
guardò sprezzante verso Alphard per un attimo. Quella cosa
dell'essere zia e nipote la metteva tremendamente a disagio,
facendola arrossire sino alla punta dei capelli.
Charlus
scoppiò a ridere, fragorosamente, mentre i due Black lo
guardavano, allibiti, senza battere ciglio.
“Ok,
gran bello scherzo, Black. Ci stavo quasi credendo.” riuscì
a dire, fra una lacrima e l'altra.
“Non
è uno scherzo.” intervenne seria, Dorea.
“Come
scusa?”
“Ho
detto che non è uno scherzo. - ripetè piano, Dorea-
Sono sua zia, in teoria, sorella di suo padre Pollux. Solo che sono
nata due anni dopo di lui. E' strano, ma è vero.”
Charlus
la fissò aggrottando le sopracciglia e poi voltò lo
sguardo verso Alphard, puntandogli l'indice contro.
“Voi
Black siete completamente matti, lasciatevelo dire, ragazzi.”
Alphard
si mise a ridere, ma non Dorea.
“Non
vedo cosa ci trovi di divertente, sai? Può essere strano o
inconsueto o tutto quello che ti pare, ma è così. E noi
siamo dei Black.” precisò con una punta d'orgoglio,
impedendo al ragazzo di replicare.
Calò
il silenzio, rotto solo qualche istante dopo da Alphard, che propose
di fare una partita a Scacchi, dato che Charlus, imbarazzato, si era
chiuso nel suo mutismo e Dorea si definiva offesa per quella che
riteneva una sorta di mancanza di rispetto.
Qualche
ora dopo, mentre mancava sempre meno all'arrivo ad Hogwarts, il clima
si era fatto meno teso: Dorea aveva ricominciato a parlare, rivelando
una parlantina tale da far concorrenza alla lingua lunga dei due
ragazzi.
“Sei
preoccupata per lo Smistamento?” le domandò Alphard,
vedendola, stranamente muta.
“Un
po'.” confermò lei.
“Io
credo che non dovresti esserlo.- intervenne Charlus.- Voglio dire, lo
Smistamento è solo qualcosa che inizia a dirti a che punto
sei, che tipo di persona potresti diventare, serve solo per farti
capire quali sono gli aspetti del tuo carattere. Perchè
dovresti essere spaventata dal sentirti dire chi sei?”
Alphard
avrebbe voluto obbiettare che, non sempre, quando sei un Black ti
viene chiesto che tipo di persona desideri essere, ma rimase zitto.
“E
se non sono a Serpeverde? I miei genitori ne saranno delusi!”
pigolò Dorea
“Serpeverde?
Anche tu con questa storia? Ma allora è proprio un vizio di
famiglia! Serpeverde! Grifondoro, culla dei coraggiosi di cuore!”
esclamò Charlus, vantando, orgoglioso, lo stemma di Grifondoro
appuntato sulla sua divisa.
“Non
è un “vizio di famiglia” e basta. E' di più,
è una sorta di tradizione. E' una sorta di appartenenza e
comunque, le so tutte le cose che si dicono su quella Casa. Ma ha
ragione mia madre: essere a Serpeverde non fa di nessuno una cattiva
persona. E io sono una Black. Quello è il mio posto. E
comunque, giusto per informarti, l'essere un Grifondoro non ti rende
un eroe.”replicò Dorea.
“Non avrei mai detto che avreste potuto sposarvi, quel giorno.”
commentò Alphard, abbozzando una sorta di sorriso.
“E invece l'abbiamo fatto.” gli rispose Dorea, guardando
ancora la tomba del marito.
“Devi andare avanti anche per lui, Dors. Devi continuare quello
che avete iniziato.” le sussurrò, posandole un braccio
sulla spalla.
“Lo so. E non sarà semplice.”annuì Dorea.
“Non sarà semplice, ma i ragazzi contano su di te.”
le ricordò Alphard.
“Spero di essere all'altezza.”
“Lo sei. E per qualsiasi necessità, io sono qui.
Ricordatelo.” le assicurò Alphard.
“Grazie. E' bello sapere che sei di nuovo a casa.” gli
disse Dorea.
Alphard annuì, ma non potè fare a meno di pensare a
quanto fosse egoista e sbagliato il fatto che lui fosse tornato
quando Charlus era mancato.
“Non fartene una colpa, Alph. Farai un buon lavoro.”
disse Dorea, quasi avesse interpretato i suoi pensieri.
“Lo spero. Avanti, andiamo a casa, adesso.”
Si soffermarono ancora per un attimo sulla tomba di Charlus,
dopodichè, più leggeri, imboccarono il vialetto
d'uscita, scortati dal fresco vento mattutino che stava spazzando via
le fitte nubi degli ultimi tempi.
Sono
lieta di annunciarvi che non sono sparita, scusatemi per questo
ritardo ma ho avuto davvero molto da fare.
Spero
che questo capitolo, seppure non compaiano James, Lily, Sirius, Remus
e Peter vi sia piaciuto.
Credo
che sapere qualcosa di più della famiglia di James possa
essere interessante ed io sto provando a raccontare una versione.
Preciso
che, ammettendo che il Charlus e la Dorea che compaiono sull'albero
genealogico dei Black
(http://www.hp-lexicon.org/wizards/blackfamilytree.html)
siano effettivamente i genitori di James mi sono presa qualche
licenza poetica:
Alphard Black, cugino di Orion Black e fratello di Walburga Black
è nato nel 1929, ma per quanto riguarda ciò che
concerne “Pieces of Us”, lo considero nato nel 1918
di conseguenza anche l'età di suo padre Pollux sarà
superiore di almeno una decina d'anni, direi.
Dorea Black è nata nel 1920 e, pur essendo più
giovane di due anni, si ritrova ad essere zia di Alphard, che
tuttavia la considera una sorella minore.
Detto
questo, vi lascio, ringraziando una per una le persone che hanno
inserito questa storia tra i Preferiti o tra i seguiti.
Ovviamente
vi ringrazio anche per aver visto il video trailer su youtube, se non
l'avete visto, il link è questo:
http://www.youtube.com/watch?v=J31nU1eVzMA
Purepura:
James si riprenderà, ci vuole solo tempo. In ogni caso, nel
prossimo capitolo vedrai che sta già un po' meglio. I
Malandrini lo aiuteranno.
PrincessMarauders:
l'infanzia di Sirius è un argomento che mi interessa molto
anche perchè, di solito, viene trattata in un modo un po'
superficiale, mentre invece credo che sia stato un periodo
importantissimo per lo sviluppo del carattere di Sirius, per la sua
presa di posizione.
Vedrai,
nel prossimo capitolo Lily avrà una magnifica conversazione
con Sirius: i presupposti perchè diventino amici ci sono
tutti.
Alohomora:
avevi già avuto qualche assaggio, ma qui eccoti l'intera
scena. Spero che i giovani Alphard, Charlus e Dorea ti piacciano, di
certo il loro passato è importante per capire le loro scelte.
Tanto per cominciare: come ha potuto Dorea Black sposare Charlus
Potter? Proverò a dare una risposta quantomeno plausibile.
MEISSA_S:
non sai quanto mi faccia piacere che il “mio” Sirius e il
“tuo” Sirius si somiglino... forse stiamo solo
raccontando chi era Sirius, nel bene e nel male. Sono sicura che il
prossimo capitolo ti piacerà parecchio, dato il ruolo che avrà
Sirius. Quanto a James, logicamente non può cambiare da un
giorno all'altro, ma quello che è successo gli servirà
per diventare il James che sappiamo è stato.
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Capitolo 16 *** Capitolo Quindicesimo ***
CAPITOLO
QUINDICESIMO
And
the hopes and dreams you had for me You thought went down the
drain. And the room feels so empty where my pictures used to
be. And I can't say that I blame you, But you can't blame me.
-Bowling
for Soup, When We Die-
*E
le speranze e i sogni che avevi per me
tu
pensasti che fossero andate alla malora.
E
la stanza, dove erano solite esserci le mie fotografie, si
sente così vuota.
E
io non posso biasimare te,
ma
tu non puoi biasimare me
HOGWARTS
James Potter si era svegliato presto quella domenica mattina. Si
svegliava sempre presto la mattina delle partite di Quidditich.
Non che fosse nervoso o poco sicuro delle sue abilità, James
Potter era pur sempre James Potter. A farlo svegliare presto era
piuttosto l'adrenalina, la voglia di entrare in campo, di dimostrare
qualcosa, di giocarla e vincerla, quella partita.
Per cui, solitamente, si alzava ed iniziava a far baccano aprendo e
chiudendo le finestre, le porte, facendo cadere appositamente
qualsiasi oggetto gli capitasse sottomano solo per il gusto di
svegliare i suoi amici e prepararli all'entusiasmante giornata che li
aspettava.
Si sarebbe sentito i borbottii di Remus su tutto fracasso che era in
grado di fare da solo, le lamentele di Sirius sul fatto che, se lui
doveva andare a rincorrere una stupida pallina alata, a rimetterci
non doveva essere per forza il suo sonno, le proteste di Peter che
capiva la sua voglia di giocare, ma che proprio non riusciva a
spiegarsi come potesse essere così attivo di prima mattina e
pretendere di coinvolgere anche loro nelle sue rumorose attività,
perchè, in fondo, quello che doveva giocare era lui e non loro
tre.
Tuttavia, quella mattina, James si era alzato e, in silenzio, senza
nemmeno tirare una ciabatta in testa a Lunastorta o far scendere
dalla bacchetta dell'acqua che sarebbe finita sulla faccia di Felpato
e imbavagliare Codaliscia con le sue stesse lenzuola.
James non fece niente di tutto ciò. Si alzò, camminò
fino alla finestra e, stando bene attento a non far filtrare luce dai
pesanti tendoni, ma infilandovisi sotto, spalancò la finestra,
lasciando che la brezza mattutina gli rinfrescasse le idee, oltre
alla faccia.
Dal letto più vicino, Remus si rigirò tra le coperte.
Aveva il sonno leggero, come non mancava mai di far notare con una
finta pesante stizza.
In altre circostanze, si sarebbe alzato, blaterando minacce contro
James che, nei giorni delle partite, si alzava all'alba costringendo
anche i suoi compagni di stanza a fare altrettanto.
Quella mattina, però, Remus, mentre si stropicciava gli occhi,
pensò solo che, forse, a James andava di fare due chiacchiere.
Era tanto che non parlavano. Che non parlavano davvero e Remus
sentiva di dover fare qualcosa. Sino a quel momento aveva aspettato,
aspettato che le cose si rimettessero a posto da sé, sebbene
nella sua testa rimbombasse la voce di Sirius che gli suggeriva che
le cose da sé non si sistemano mai.
Aveva aspettato semplicemente perchè voleva che fosse James a
prendere l'iniziativa, a chiamarli quando avesse sentito che era il
momento giusto.
Dal momento però che James non aveva mostrato alcun segnale,
Remus non osò introdurre per primo l'argomento.
Giusto o sbagliato che fosse, sentiva che non sarebbe stato corretto
nei confronti di James. Non voleva invadere il silenzio del suo
amico, seppure dovesse per forza di cosa tenere presente che James
non stava affatto bene e che, continuando a comportarsi così,
sarebbe stato anche peggio.
Sbuffò: era tutto troppo difficile. Prendere una decisione gli
sembrava troppo difficile.
Si era sempre considerato una persona abbastanza pragmatica, certo,
non votata all'azione come James, solito ad agire d'impulso e nemmeno
satollo di tutte le paranoie mentali proprie di Sirius, che, alla
fine, dopo essersi consumato in mille riflessioni, riusciva sempre a
fare la cosa più irragionevole che gli venisse in mente. Non
come loro, certo, ma pragmatico, riflessivo e pratico.
Si ributtò sul materasso, chiedendosi cosa fosse giusto fare.
James, nascosto dalle spesse cortine, aveva sentito il tonfo del
corpo di Remus sul letto.
Inspirò un'ultima boccata d'aria e ritornò dentro.
“Buongiorno Lunastorta.” disse, sforzandosi di sorridere.
“'Giorno James. Sei pronto per giocare?” chiese Remus,
provando a fare conversazione.
James alzò le spalle.
“Credo. E' una partita. Una partita come un'altra.”
rispose, passandosi una mano tra i capelli, come se non fossero
abbastanza disordinati.
“Corvonero quest'anno ha messo su una buona squadra.”proseguì
Remus.
“Già, ma non commetteremo gli errori del girone
d'andata. Ho studiato il loro gioco, basterà pressare
continuamente su Hawkes, è lui il regista dell'intero attacco.
Se lo perdono, sono finiti.” spiegò James, assorbito dal
discorso sul Quidditch che, se non altro, gli impediva di pensare ad
altro. Ad un'altra partita che aveva perso senza possibilità
di rivincita.
“E il loro Cercatore non è senz'altro bravo quanto te.
Conserveremo senza dubbio il primo posto!” sorrise Remus.
“Poi manca solo Serpeverde.” aggiunse James.
“Dettagli, la Coppa è nostra! Ieri con Tassorosso non
hanno giocato bene, sono spacciati, ormai. Dovrebbero sperare che
Corvonero oggi vinca per avere ancora qualche speranza.”
osservò Remus, che fin da settembre teneva il conteggio di
tutte le squadre per ricordare puntualmente a James con quale scarto
potessero permettersi vincere o, eventualmente, perdere.
“Ma Corvonero non vincerà... quindi.” James mimò
il gesto della vittoria e Remus si mise a ridere.
“Scendiamo a fare colazione?” propose.
“E gli altri?” domandò James che sì, non
aveva voglia di stare in mezzo alla gente, ma non aveva mai passato
una mattina prima della partita senza tutti e tre i suoi amici.
“Peter dovrebbe svegliarsi...- Remus guardò l'orologio-
tra più o meno dieci minuti.”
Peter era famoso per essere un maniaco degli orari, faceva una
concorrenza spietata a Remus, in questo, come diceva Sirius e, se
possibile, Remus si mostrava quasi più flessibile, notava
James.
A Peter piaceva fare le cose con calma e senza fretta, non come
Sirius e James che erano sempre affannati ed in ritardo così
da seminare devastazione per la stanza e, dal momento che non aveva
la precisione ed il rigore di Remus, cercava di colmare queste lacune
sviluppando delle utili tabelle di marcia, tabelle che, purtroppo,
avevano vita breve, considerando che era costretto a convivere con
due individui come James e Sirius.
Nella sua tabella di marcia compariva anche la voce “Sveglia
ore 08.00 alla domenica”, così da portarsi avanti con le
lettere da scrivere a casa, qualche prestito in biblioteca, la
pulizia settimanale del suo baule, tutte cose che non potevano essere
fatte se si fosse alzato alle dieci passate come James e Sirius.
“Direi che per dieci minuti non gli verrà un infarto.-
osservò James.- Sirius invece mi sa proprio che resterà
a poltrire ancora per molto.”
“Non se lo svegliamo.” un ghigno malefico illuminò
il volto di Remus, già segnato da pesanti occhiaie per i
malesseri che non lo facevano riposare bene in quei giorni.
“Ancora
due giorni.- si ripeteva-
Due giorni e per un mese sei posto, Remus. Due giorni. Puoi farcela,
Lunastorta.”
“Sei la persona più malefica che conosca, Remus Jhon
Lupin!” esordì Peter, a mo' di buongiorno, sbucando
fuori dalle sue coperte.
Remus gli fece un sorrisetto accondiscendente, come a dire che, in
fondo, lui non poteva farci proprio nulla e si avviò al letto
di Sirius.
Non appena Remus puntò la sua bacchetta sul cumulo di lenzuola
che conteneva il corpo di Sirius Black, quello garrì da sotto.
“Sono sveglio, Lunastorta, sono sveglio. Abbassa quell'aggeggio
infernale!” strillò riferito al potente getto di luce
che stava uscendo dalla bacchetta di Remus.
“Buondì anche te, Felpato.” lo salutò con
noncuranza Remus.
“Buondì un paio di Bolidi! Tra quello là che si
alza a passeggiare all'alba- imprecò, riferendosi a James-
Codaliscia che vi strilla un saltellante buongiorno e te con 'sto
maledetto raggio di luce non è per niente un buon –
giorno, infami che non siete altro!”
Detto questo, Sirius, ben capendo che il tempo da dedicare al suo
riposo mattutino poteva considerarsi archiviato, si alzò in
piedi e prese a fissare uno per uno i suoi amici, con particolare
attenzione a James.
“Bè, che stiamo aspettando? Andiamo a far colazione?”
esclamò.
Gli altri tre annuirono e, dopo essersi rapidamente vestiti, scesero
in Sala Grande.
James apprezzò davvero quello che stavano facendo per lui: non
erano giornate semplici per nessuno di loro, ma quella mattina era la
sua giornata. C'era la partita di Quidditch e sapeva che Remus,
Sirius e Peter si stavano impegnando perchè lui rendesse al
meglio, perchè lui stesse bene, nonostante tutto, nonostante
anche loro avessero i loro problemi da risolvere.
Entrarono in Sala Grande con i Malandrini che facevano da scudo a
James: Sirius alla sua destra, Peter alla sinistra e Remus davanti.
Come a volerlo proteggere da qualche immaginario nemico, in quella
giornata così importante.
C'era la partita di Quidditch e c'erano troppi curiosi che si
sarebbero accalcati attorno a James.
E James doveva essere lasciato in pace.
“Tutto ok, James?” gli chiese Sirius, mentre stavano
prendendo posto al tavolo di Grifondoro.
James alzò le spalle.
“Va. Non so se bene o male ma va.”
Sirius annuì: anche lui non sapeva se stava andando bene o
male, ma andava. Come, non era ancora riuscita a capirlo.
“Già. Va.” sospirò.
“Cereali, ragazzi?” domandò Peter porgendo loro la
scodella.
“Grazie Pete.” sorrise James.
“Arriva la posta!” gracchiò Remus, inghiottendo in
fretta il pezzo di pane che aveva in bocca.
Gufi reali, civette ed allocchi fecero il loro ingresso, mentre i
rispettivi proprietari alzavano gli occhi, pronti a scorgerli.
Santippe, la civetta di Sirius e il gufo reale di James recapitarono
due missive, mentre anche Remus e Peter sfilavano dalle zampe dei
loro animali le lettere giunte da casa, l'una contenente le solite
raccomandazioni e l'altra carica di buone notizie per il
miglioramento delle condizioni di salute della signora Lupin.
Sirius appoggiò la tazza col caffè per poter leggere
subito la lettera che gli era arrivata da parte della signora Potter.
Dorea era sempre così gentile, così piena di attenzioni
anche per lui che, in fondo, non era nessuno.
Si stava scusando per essere stata distante nell'ultimo mese. Dorea
Potter che si scusava con lui? Avrebbe dovuto essere lui a scusarsi,
con tutto il disturbo che stava dando.
Invece
Lei stava chiedendo scusa per non essersi comportata da madre, per
non essere stata abbastanza presente, ma cosa avrebbe dovuto fare?
Era distrutta anche lei.
Io
e Charlus ti abbiamo considerato un figlio sin da quella mattina
d'agosto e niente cambierà.
Vorrei
solo che sapessi che siamo entrambi fieri di te. Charlus era
orgoglioso dei progressi che hai fatto, di quello che stai diventando
e ti voleva bene, Sirius.
“Ehi, Sirius, tutto ok?” fece Peter, notando il suo
sguardo imbambolato.
“Cosa? Ah, sì, tutto ok.” si infilò la
lettera in tasca, l'avrebbe riguardata più tardi.
“Dov'è James?” chiese, subito dopo.
“Ha detto che doveva fare una cosa. Forse voleva leggere la
lettera da solo.” spiegò Remus.
“Già. Forse.” replicò Sirius, che avrebbe
voluto fare altrettanto.
James si era alzato non appena aveva sganciato dalla zampa di Gaspard
la pergamena. Non sapeva perchè, ma non voleva leggerla
davanti ai suoi amici. Era sciocco, come ragionamento.
Erano con lui il giorno che successe, erano con lui quella mattina.
Erano con lui da sempre, l'avevano osservato per tutto quel mese, era
stupido che non volesse farsi vedere mentre leggeva una lettera,
considerando che prima adorava farlo ad alta voce, per commentare
ogni frase.
Salì una rampa di scale e si sedette su un gradino, sperando
che nessuno avesse intenzione di passare proprio di lì e
srotolò la pergamena.
“James,
riesco
a immaginare come ti possa sentire in questo momento. Anche se a
volte non ti dico nulla, so cosa ti passa per la testa. Sono tua
madre e certe cose le sento.
Immagino
che tu ti sia chiuso nel tuo silenzio, immagino che tu non voglia
parlare con nessuno. James, so che è difficile, so che non
riuscirai a rialzarti in fretta, ma provaci. Aggrappati alla tua vita
con le unghie e coi denti e vai avanti.
Non
sei solo. Non rifiutare l'aiuto che i tuoi amici ti danno. Non
mandarli via, non sai quanto preziosi possano essere i loro sforzi.
Voglio
che ti sia ben chiaro che io e tuo padre siamo contenti di te, di
quello che sei, di quello che diventerai, non dimenticartelo mai.
So
di non essere stata molto presente, ultimamente, di averti caricato
di responsabilità che non ti spettano, per questo chiedo
scusa. Avrei dovuto fare di più, sono tua madre, dopotutto.
Ma
sappi che ci sono, James, ci sono per qualsiasi cosa tu abbia
bisogno.
Anche
se sono perfettamente conscia del fatto che non mi darai retta e che
farai di testa tua, ricorda che non sei solo, che non devi affrontare
tutto da solo.
Sirius,
Remus e Peter sono pronti ad aiutarti e io ed Alphard anche.
Vuoi
uscirne da solo, capisco, ma ricordati che c'è qualcuno
disposto a darti una mano.
Mamma”
Sembrava tutto così semplice, a leggerlo. Nella realtà
però era diverso. James non voleva caricare i suoi amici di
responsabilità che non gli spettavano: ne sarebbe uscito,
prima o poi.
Ce l'avrebbe fatta da solo... Forse era solo questione di tempo.
Sospirò James, ripiegando la lettera e ficcandosela in tasca.
Se era solo questione di tempo, pregò che scorresse il fretta:
non ne poteva più.
Lily era uscita presto per prendere posto sulle tribune dello stadio.
Se fosse arrivata più tardi, avrebbe dovuto per forza sedersi
accanto a qualcuno, magari alle sue compagne, giusto per non sembrare
ancora più strana e maleducata di quanto non la considerassero
già.
Mentre scendeva le scale si ritrovò a pensare a Severus: a lui
il Quidditch non era mai piaciuto. Spesso seguiva le partite solo
perchè interessavano a lei, con un grosso senso di colpa che
assumeva le dimensioni di un enorme nodo che attanagliava lo stomaco
di Lily. Non le faceva piacere che lui si sentisse costretto a
seguire una partita, anche se non gli interessava.
Più volte gli aveva spiegato che poteva andarci da sola, che
non era obbligato, ma Severus l'aveva sempre accompagnata. Solo
l'anno prima era capitato che le desse buca, un paio di volte, e Lily
si era sentita quasi sollevata, a poterci andare da sola.
Nella sua ingenuità, ancora si stupiva di come Severus non
trovasse interessante uno sport tanto avvincente: le scope, i Bolidi,
lo stesso Boccino d'Oro, la quasi totale mancanza di regole, il fatto
che una partita potesse andare avanti all'infinito... Per chi come
lei era cresciuta in una famiglia di Babbani, ogni singolo dettaglio
del Mondo Magico aveva un sapore particolare.
Probabilmente Severus era convinto che lei desiderasse vedere il
Quidditch per i suoi giocatori, per Potter in particolare.
Ricordava ancora, tutte le loro discussioni:
“Tu
piaci a James Potter, Lily, come fai a non capirlo?”
“Non
dire sciocchezze, Severus! Lo sai anche tu chi è Potter!”
“Proprio
perchè lo so te lo sto dicendo!”
Lei Potter lo conosceva appena, come poteva Severus pensare che
seguisse il Quidditch solo per lui?
Quel pomeriggio non sarebbe senz'altro andato allo stadio:
partecipare a Grifondoro- Corvonero non poteva nemmeno essere
considerato un obbligo morale dettato dal senso di appartenenza alla
Casa.
Forse sarebbe rimasto a studiare, forse non sarebbero andati neanche
i suoi amici a seguire la partita e sarebbero rimasti insieme, forse
qualcosa d' altro ancora.
Guardando malinconica la Sala Grande ancora affollata vista l'ora,
Lily pensò che, in fondo, non erano più affari suoi.
Si era fermata un attimo, nascosta dal muro per controllare il tavolo
di Serpeverde: era un'abitudine di cui non riusciva a fare a meno.
Voltarsi verso il banco di Severus durante le lezioni che avevano in
comune, cercarlo nei corridoi, capire cosa stesse facendo... Era
malsano, ma non riusciva a smettere. Si stava convincendo che non ci
sarebbe riuscita sino a quando fosse rimasta ad Hogwarts.
Tra la massa di studenti che si alzava e si sedeva, entrava ed
usciva, Lily non vide Severus e ne fu felice.
Appena due giorni prima l'aveva incrociato dopo Incantesimi, i
Serpeverde avevano avuto Storia della Magia, nel frattempo, e vederlo
le aveva fatto male.
Era passato quasi un anno e Lily ne stava uscendo, piano piano, ma
faceva male. Faceva ancora tanto e troppo male e ogni volta un
pezzettino di lei spariva nei corridoi bui con Severus.
Si era seduta sulla tribuna centrale, più o meno a metà
ed erano pochi gli studenti erano già allo stadio.
Riconobbe la sagoma di un paio di persone che conosceva e qualche
ragazzino dei primi anni, per il quale le partite di Quidditch
rappresentavano ancora il massimo dell'eccitazione.
Più in là, sulla tribuna alla sua destra, storicamente
attribuita alla tifoseria dei Corvonero alcuni ragazzi stavano già
sistemando i primi striscioni animati dalla magia, così come,
a qualche fila da lei, stavano facendo due Grifondoro del quinto
anno.
Aveva visto Remus, un paio di giorni prima, si erano detti che
avrebbero potuto seguire la partita insieme, ma poi non l'aveva più
incontrato. Si era accorta di quanto lui, Sirius e Peter si
impegnassero nel far da scudo a James e non voleva creare disturbo a
nessuno.
Certo, le avevano sempre detto, lui e Peter, che lei non era affatto
di disturbo, anzi, però ecco, Lily considerava quei momenti
solo dei Malandrini. Non suoi.
E James Potter aveva bisogno della loro compagnia molto più di
quanto non ne avesse bisogno lei, quello era sicuro.
James Potter... che non sapesse ancora bene cosa pensare di lui era
ovvio, però... però era stato bello parlare con lui,
in Biblioteca, come era stato bello, qualche mese prima, mentre le
notizie di quella guerra che infuriava fuori giungevano ad Hogwarts,
ascoltare le sue parole sicure, vedere le sue espressioni risolute.
E il James Potter degli ultimi tempi non sembrava nemmeno più
lui e Lily doveva ammettere che la cosa non le piaceva affatto.
Basta, era stanca di ritrovarsi a pensare sempre le stesse cose. Le
dispiaceva per Potter, ma non doveva immischiarsi. Non era giusto.
“Ehi Lily!” Peter stava trotterellando verso di lei,
mentre le teste spettinate di Remus e Sirius sbucavano dalla torretta
delle scale.
“Ciao Peter! Siete già qui?” salutò Lily,
alzandosi in piedi.
“Sai com'è, il comitato del tifo non si ferma mai! Remus
era così angosciato che ci ha intimato di darci una mossa e di
arrivare allo stadio in fretta.” raccontò Peter,
prendendo posto accanto a Lily e facendo cenno ai due amici di
raggiungerli.
Lily salutò Sirius e Remus e vide Sirius sedersi accanto a
Peter e Remus scavalcarla, per posizionarsi alla sua sinistra.
“Scusa Lily, non ti ho più fatto sapere niente, ma sono
stati due giorni movimentati.” spiegò Remus, accaldato,
passandosi un fazzoletto sulla fronte.
Lily scosse la testa: di cosa si doveva scusare, Remus? Piuttosto era
lei che, forse, avrebbe dovuto farsi da parte. Non era certa che
Sirius Black la volesse lì.
“Non è un problema, davvero. So che avevi cose più
importanti a cui pensare.” gli rispose gentilmente Lily e Remus
ricambiò con un sorriso molto espressivo.
“Non sapevo che ti piacesse il Quidditch, Evans.”
intervenne Sirius Black, guardano pensieroso il prato.
Lily prese ad accarezzarsi nervosamente i capelli.
“Oh, bè... in verità credo che mi piaccia perchè
sia l'equivalente magico del calcio Babbano.” spiegò
arrossendo furiosamente.
Si aspettava che Sirius Black scoppiasse a ridere ed esclamasse che
il Quidditch non ha niente a che fare con quello che i Babbani
reputano un sport divertente. Di solito nel mondo magico reagivano
tutti così.
Invece Sirius Black la fissò interessato.
“Segui il calcio?”
Lily, spinta dall'interesse che Black sembrava mostrare, incominciò
a parlare.
“E' un po' difficile non interessarsene, anche marginalmente,
se cresci con un padre tifoso del Manchester United. Nel '67 mi portò
allo stadio il giorno in cui il Manchester vinse il campionato. E' da
allora che seguo.”
“Il Manchester United non è dove giocava George Best?”
chiese Sirius, sempre più interessato.
“Conosci George Best?” Lily sgranò gli occhi: era
la prima volta che trovava qualcuno che sapesse chi fosse George Best
e mai, mai avrebbe pensato che quel qualcuno sarebbe stato Sirius
Black.
Sirius scosse per aria una mano.
“Non bene, ho solo letto qualcosa... so solo che era un genio.”
Aveva letto qualcosa, di Best, quando girovagava per Londra e
sbirciava i notiziari o i quotidiani Babbani.
Aveva l'abitudine di camminare per Londra, nei pomeriggi d'estate,
sfuggendo così per qualche ora a quella casa che considerava
una prigione.
Una domenica di agosto era arrivato sino ad Highbury, nord di Londra,
e, colpito dalla folla festante, dal chiasso e dai cori si era
fermato a chiedere cosa stesse succedendo.
“Gioca l'Arsenal, ragazzo. Ma dove vivi?” gli
aveva risposto una signora di mezz'età, bardata di rosso e
bianco, uscendo di casa per attraversare la strada e recarsi allo
stadio.
L'aveva seguita con lo sguardo e l'aveva visto: l'Arsenal Stadium,
meglio noto semplicemente come Highbury, che sorgeva in mezzo
all'isolato, circondato da tante villette a schiera.
“Wow!” aveva esclamato, colto di sorpresa, mentre tanti
tifosi lo scavalcavano, per accalcarsi agli ingressi.
Ricordava di aver pensato a quanto sarebbe stato bello se anche gli
stadi di Quidditch, come quello del suo Puddlemere, potessero sorgere
in mezzo alla città, senza problemi di sicurezza ed
Incantesimi Respingi- Babbano.
Una volta ci era anche tornato, ad Highbury, per veder giocare
l'Arsenal. Uno dei migliori pomeriggi della sua vita. Il calcio non
era poi così male, certo, non poteva paragonarsi al Quidditch,
ma c'era un contatto fisico diretto, un agonismo così puro che
i giocatori di Quidditch non avrebbero mai sperimentato.
Inoltre, i Babbani urlavano, si agitavano, imprecavano contro
l'arbitro, esultavano, esattamente come i maghi negli incontri di
Quidditch. Non erano per nulla diversi.
“Già.- confermò Lily.- Qualche anno fa mi ero
presa una bella cotta per George Best!” ammise candidamente
Lily, rendendosi conto di quello che aveva detto solo dopo ed
arrossendo sino alla punta delle orecchie.
“Cioè, non è che ne ero innamorata... avete
capito, insomma!”si giustificava, gesticolando tutta, vedendo i
tre ragazzi ridere.
“E' tutto a posto, Evans, davvero! Ed è... bello che ti
piaccia il calcio, che tu segua il Quidditch. Voglio dire, Wow!”
la rassicurò Sirius.
“Davvero è “Wow”?”
“Sì, è davvero “Wow”!”le
confermò Sirius.
“Sai Lily, mi sorprendi sempre!” esclamò Remus,
ridendo.
“Avresti anche potuto provare a giocare a Quiddicth, Lily, se
ti interessa!” aggiunse Peter.
“Oh no. No, decisamente. Non fa per me.” si scansò
Lily.
“E perchè, se posso saperlo.” si informò,
attento, Sirius.
“Non vi ricordate al primo anno? Quando sono finalmente
riuscita a far alzare da terra la mia scopa e a salirci sopra poi non
riuscivo più a governarla! Mr. Quaffleborn non sapeva come
aiutarmi a scendere!” raccontò Lily, meravigliata dal
fatto che non se ne ricordassero e mortificata da quella tremenda e
vergognosa esperienza.
Restare lì sospesa a dieci metri da terra senza sapere cosa
fare era stata la cosa più terribile che le fosse mai
successa. Era terrorizzata. Quando il professore era finalmente
riuscito a farla scendere, Lily tremava come una foglia.
“Eri tu, allora? Sai che non me lo ricordavo proprio?”
fece Remus, nella cui memoria si fece strada l'immagine di una
ragazzina dai capelli rosso fuoco intrappolata su una scopa, sopra ad
una ventina di coetanei a metà tra lo spaventato e il
divertito.
“Sì, ero proprio io.” ammise Lily, sconfortata. Si
vergognava ancora di quella orribile esperienza.
Non era mai più salita su una scopa e, se fosse dipeso da lei,
non ci sarebbe mai più salita.
“Nemmeno io sono mai stato bravo a volare.” le disse
Peter, con tono consolante.
“Grazie, Peter.” gli sorrise Lily, mesta.
“Coraggio, Evans. Scommetto che non se ne ricorda nessuno.”
le disse Sirius.
“Non credo proprio. E' stata una scena così
imbarazzante! Credo che solo voi non ne conserviate memoria!”
esclamò Lily, scuotendo vigorosamente la testa.
“Può essere. Ma non credo.” replicò Sirius.
“Tu dici?”ammiccò Lily.
“Dico. Credo che noi umani siamo così tremendamente
egocentrici da essere convinti che chi ci sta attorno non faccia
altro che pensare a noi facendo caso a qualsiasi cosa facciamo. Siamo
così egocentrici da essere affetti da una sorta di “Illusione
di Trasparenza”, come se tutti gli altri avessero il sacrosanto
dovere di riconoscere ogni nostro stato d'animo. Quasi che fosse il
minimo che riuscissero a capire quando dentro stiamo da schifo e
fingiamo che vada tutto bene. Vedi, Evans, siamo tutti così
dannatamente egocentrici da prestare un'attenzione sin troppo
maniacale ad ogni nostra azione, quando, in fondo, agli altri, di
quello che facciamo, importa poco o niente.”
Sirius espose la sua teoria con convinzione, sotto gli occhi sorpresi
di Peter, attenti di Remus e curiosi di Lily.
“Vorrei tanto che fosse così, Sirius Black. Fino ad ora
la mia esperienza è stata contraria.” asserì
Lily, convinta.
“Fidati, Lily Evans. E' così, solo che siamo troppo
egocentrici per accorgercene.” ribadì Sirius, portando i
gomiti sulle ginocchia ed assottigliando lo sguardo per scorgere i
giocatori che entravano in campo.
Lily gli sorrise, piacevolmente sorpresa dall' esito della loro
conversazione e poi, rivolse lo sguardo al campo da Quidditch.
“Bella partita, James.” Remus era entrato in camera per
posare un libro, senza aspettarsi di trovare James steso sul letto.
James si alzò sui gomiti.
“Grazie. E' stato più semplice del previsto. Il Boccino
era lì che aspettava solo di essere preso.” rispose
James.
Remus fissò l'amico e poi si sedette sul letto.
“Ti disturbo se sto qui?” chiese
“No, figurati.”
Remus non disse più nulla per alcuni minuti, poi riprese a
parlare.
“James, ascolta, lo so che in un mese non te l'ho mai detto
perchè pensavo fosse implicito, però.. bè, se
hai bisogno di parlare io ci sono, ok?” riuscì a dire,
infine, impacciato.
James annuì, ma non rispose. Remus, di contro, si rialzò
dal letto e si avviò verso la porta.
“Remus!” lo chiamò James e lui immediatamente si
voltò.
“Ti manca mai?” domandò James, a bassa voce.
“Tuo padre, voglio dire.” aggiunse, immediatamente.
Remus sospirò e tornò e andò a sedersi sul letto
di Sirius, quello più vicino a James.
“Ogni giorno.” rispose.
Jhon Lupin era improvvisamente morto d'infarto quattro anni prima.
“Allora è normale.”disse James, con una smorfia.
“Credo di sì.” gli confermò Remus.
“Avrei voluto che vedesse chi sono ora.” proseguì
Remus.
James rimase zitto.
“Io penso che sarebbe contento di quello che sei.”
ipotizzò, dopo un po'.
“Forse.”
“Avrei voluto potergli dire addio, Remus.” confessò
James, tacendo però sul fatto che avrebbe voluto che suo padre
sapesse che non lo considerava affatto un fallito, così come
gli aveva invece fatto capire.
“Anch'io, James. Ma è andata diversamente: purtroppo,
una cosa che ho imparato è che non si può tornare
indietro, quel che è fatto è fatto e ci tocca andare
avanti ed affrontare le conseguenze. Il mondo non aspetta.”
sospirò Remus.
“Come hai fatto? Voglio dire, avevi solo tredici anni e noi...
noi eravamo troppo piccoli e troppo stupidi per capire davvero cosa
significasse una cosa simile. Forse Sirius era il meno piccolo e
stupido, lui una famiglia non ce l'ha mai avuta, di certo ti capiva
meglio di quanto non potessi fare io.”spiegò James,
tirando fuori dalla tasca un Boccino d'Oro e iniziando a farlo volare
per la stanza.
Remus si mise a fissare il movimento della pallina, imbambolato.
“Non lo so, esattamente. So solo che ogni giorno che passava
faceva meno male. E non so quanto questo sia un bene, mi inquieta
alquanto questa cosa, in verità. Eppure è così:
ogni giorno faceva sempre meno male e poi avevo voi, avevo la
scuola... la vita di tutti i giorni. Forse questo mi ha aiutato.”
raccontò Remus, ritornando con la memoria a quei giorni di
novembre del 1973: sembrava tutto studiato apposta, novembre, la
nebbia, la pioggia, l'inverno, suo padre... I suoi tre amici che
erano come lui, senza parole di fronte ad un fatto tanto grande, che
non sapevano cosa dirgli, come parlargli, come gestire la situazione.
Le smorfie impacciate di James, i borbottii di Peter, le occhiate di
Sirius, il solo che forse potesse capire qualcosa in più, ma
non era comunque in grado di dire alcunchè.
“Non hai... paura di dimenticarlo? Voglio dire, con la vita che
va avanti e tutto... Più che dimenticarlo, come se riuscissi a
farne a meno, ecco.” chiese James.
Anche lui si stava accorgendo che ogni giorno faceva meno male e non
riusciva a capire se fosse un bene o meno.
Remus rispose subito con sicurezza.
“Ti abitui a farne a meno, però, sebbene ogni giorno
faccia meno male, dentro ti resta sempre un vuoto.”
“Un
vuoto che potrebbe essere riempito solo da tutte quelle cose che non
gli ho mai detto e che mai gli potrò dire.”
pensò Remus.
“Già.”
“Credo che non sarà semplice, riprendere tutto quanto.”
osservò James.
“Penso che lui vorrebbe che lo facessi.” precisò
Remus.
“Grazie ad un gruppo di pazzi non lo saprò mai, quello
che vorrebbe.” gli fece notare James, con rabbia.
“E allora cosa pensi di fare?” lo interrogò Remus,
ben cosciente del fatto che, per quanto ti ostini, non puoi impedire
al tempo di scorrere. Se James non si fosse ripreso, il mondo sarebbe
andato avanti senza di lui.
“Non lo so. Ma da qualche parte dovrò pur cominciare.”
rispose James.
“Il
punto è che non so da dove.”aggiunse
nella mente.
“Comincia dalla parte che ti sembra più fattibile.”
gli consigliò Remus, alzandosi.
“Grazie.” gli sorrise James mentre già stava per
uscire.
Remus alzò le spalle.
“E' il minimo.”
Già, era il minimo, peccato che niente potesse mai concedergli
un solo istante per chiedere scusa.
Per dimostrare di non essere un ragazzino convinto di sapere tutto
della vita.
James si voltò dall'altra parte del materasso e riprese in
mano la lettera che gli aveva spedito sua madre.
“Immagino
che tu ti sia chiuso nel tuo silenzio, immagino che tu non voglia
parlare con nessuno. James, so che è difficile, so che non
riuscirai a rialzarti in fretta, ma provaci. Aggrappati alla tua vita
con le unghie e coi denti e vai avanti.
Non
sei solo. Non rifiutare l'aiuto che i tuoi amici ti danno. Non
mandarli via, non sai quanto preziosi possano essere i loro sforzi.”
Aggrapparsi alla vita... che cosa significava, esattamente?
Sirius non era tornato al castello insieme a Peter, Remus e Lily: si
era intrattenuto a bordo campo a salutare compagni che non vedeva da
un po'.
Mentre chiacchierava si diede più volte dell'idiota: troppe
persone gli stavano chiedendo di James, di come stesse, della sua
reazione. Si era trincerato dietro ad un:
“Non bene, ma si riprenderà.”, liquidando con
un'occhiata eloquente altre domande.
Non voleva parlarne, non voleva raccontare niente a nessuno, anche
perchè non aveva niente da dire a nessuno.
Lui e gli altri si erano compattati immediatamente attorno a James,
costruendo un vero e proprio muro, impenetrabile agli esterni.
Si era impegnato così tanto affinchè nessuno si
impicciasse degli affari di James, da aver tagliato i suoi amici
fuori dalla sua vita.
Si era concentrato sul dolore di James, conficcando il proprio in un
angolo.
Perchè, anche se non aveva parlato con nessuno, anche lui
stava male. Anche Sirius Black soffriva. Anche lui aveva perso un
padre. Perchè per lui Charlus Potter era stato quello: Sirius
cercava di convincersi con tutte le sue forze che Charlus Potter
potesse, riuscisse, in qualche modo a scacciare la figura di Orion
Black, che ancora lo accompagnava quotidianamente.
Anche lui aveva perso un padre, solo che non poteva dirlo.
Per colpa di quegli stessi che gli avevano portato via un fratello,
Regulus. Ma non poteva dire nemmeno quello, perchè ora il
problema principale era James.
E che razza di amico sarebbe stato se, in un momento come quello, si
fosse messo a reclamare attenzione per se stesso?
Avrebbe voluto tornare indietro di qualche mese: i problemi con
Regulus c'erano. C'erano sempre. C'erano da che avesse memoria,
quando ancora erano fratelli anche su un Arazzo e non solo nel
sangue.
Eppure... eppure gli sembravano meno pesanti, meno complicati....
folkloristici, quasi. Aveva i suoi amici, aveva lo zio Alphard con le
sue lettere, aveva i genitori di James.
Forse era sempre stato tutto così grave. Forse era solo lui a
non essersene mai davvero reso conto. Forse la situazione era
precipitata all'improvviso.
Forse era solo che aveva la sensazione di potersi aggrappare a
qualcosa e, in quel momento, invece, sentiva di non avere niente a
cui aggrapparsi.
Sirius si sentiva sull'orlo di un baratro: era lì lì
per cadere. Se chiudeva gli occhi quasi vedeva il burrone e sentiva
il terreno roccioso sfrigolare sotto alle suole delle scarpe.
Non riusciva a capire come potessero uscirne.
Se provava a guardare avanti, vedeva solo altre giornate identiche a
quelle: James, perso nei suoi pensieri, Peter spaventato per quello
che stava succedendo, Remus che si affannava a trovare un modo per
gestire la situazione e lui... lui perennemente tormentato, senza
sapere come agire.
Sbruffò. Odiava quelle situazioni. Non sapeva come trattarle.
Non era in grado nemmeno di gestire se stesso, spesso, figurarsi una
situazione come quella.
Non sapeva da che parte cominciare, non sapeva come superarla lui,
per primo. Forse, se fosse riuscito ad uscirne lui, avrebbe potuto
aiutare anche James.
Di solito era James, quello che aiutava gli altri. Non lui.
James era capace di farti credere che saresti riuscito ad andare
avanti, che ce l'avresti fatta. Lui non era poi così bravo, ad
iniettare ottimismo alla gente, era fin troppo pessimista di suo.
Anche se non sembrava, per le cose importanti, il pensiero di Remus
era molto, molto più positivo del suo.
Camminando, dallo stadio si era spostato al parco.
La prima aria della sera stava iniziando a salire, ma Sirius non
sentiva freddo.
L'unica cosa che riuscisse a sentire era la confusione dei suoi
pensieri.
“Ok, Potter: credo che possiamo essere amici. Non sei così
male, in fondo.” così aveva detto, quando si era
finalmente arreso alle insistenze di James, al primo anno.
Quando James, senza che nessuno lo costringesse, l'aveva per la prima
volta tirato fuori dai guai.
Si chiedeva ancora per quale strano motivo James l'avesse fatto: in
un mese di scuola, Sirius, non aveva fatto altro che trattarlo male,
che dirgli di farsi gli affari suoi, che lanciargli frecciatine,
quando si degnava di rivolgergli la parola.
In sei anni non era mai riuscito a chiedergli per quale motivo avesse
scelto proprio lui, perchè una cosa Sirius l'aveva capita: sin
da quella loro conversazione sull'Espresso, troncata appena dopo che
Lily e Mocciosus erano usciti, James Potter aveva deciso.
Aveva deciso che lui e Sirius Black sarebbero diventati amici. Punto
e basta e non importava come, sapeva solo che sarebbero stati amici.
Qualcosa gli suggeriva di aver trovato uno spirito affine al suo, per
nulla timoroso di infrangere regole, spiritoso, pronto a divertirsi.
Avrebbe tanto voluto tornarci, al primo anno. Quando avevano solo
undici anni, quando erano solo due ragazzini, quando era tutto più
semplice.
Ma indietro non ci si poteva tornare. Non era concesso. Si poteva
solo andare avanti: loro erano cambiati, il mondo stava cambiando e,
che lo volessero o meno, quello che sarebbe stato non avrebbe mai
potuto essere identico a quello che era.
Era il caso di capirlo.
Distrutto, Sirius sedette sotto al faggio dove erano soliti studiare
nei pomeriggi di giugno.
Appoggiò i gomiti alle ginocchia e sopra di essi la testa,
come se fosse in attesa di qualcosa o di qualcuno.
Lo
so che molte volte Charlus ti ha sussurrato un “Bada a James,
Sirius.”. Conoscendo la capacità di mio figlio di
ficcarsi nei guai non me ne stupisco, vorrei aggiungere però
anche un “Lascia che anche James badi a te.”
Dorea gli aveva scritto e in quel momento, ripensando alle sue
parole, tutto sembrava quasi avere un senso logico. In una certa
strana contorta ratio che Sirius non riusciva a cogliere ancora del
tutto.
“Lascia
che anche James badi a te.”
11
Gennaio 1975
“Sirius,
lo sai che credo che tu sia fondamentalmente un idiota?” la
risatina divertita di James, suonava ovattata a causa della sciarpa
di Grifondoro che lo copriva sino alla punta del naso, lasciandogli
scoperti solo gli occhi. Saltellò sulla neve fresca, le mani
insaccate in pesanti guanti di di lana, mentre aspettava la replica
del suo migliore amico.
“Oh,
e maledizione James, pensa, anziché darmi dell'idiota! Ci
arrivo anche da solo a capirlo e, se non ci arrivassi, ci penserebbe
Remus domattina a ricordarmelo!” esclamò Sirius, meno
coperto di James, infilandosi i guanti in pelle di drago, fino a
quel momento confinati in una delle tasche del cappotto.
“Hai
forse deciso di metterti i guanti perchè hai eletto la neve a
tuo provvisorio giaciglio per questa notte, Felpato?” proseguì
James, irriverente.
“Ah
ah ah. Non è divertente. Siamo chiusi fuori e fa un freddo
boia. Tra poco verrà su pure una tormenta. Manca solo quella.”
rispose Sirius.
“E
quindi?” chiese James.
Sirius
lo guardò e strabuzzò gli occhi. Ma era impazzito?
Erano chiusi fuori da Hogwarts, nevicava, era gennaio e James si
limitava a dire” E quindi?” con un sorrisetto beota
stampato in faccia? Perchè, anche se non lo vedeva, Sirius era
sicuro che avesse un sorrisetto beota, nascosto dietro la sciarpa.
“James
ma sei scemo? Siamo chiusi fuori! Fuori! Non ci fanno entrare! E fa
freddissimo!”
“Se
non sbaglio sei tu che hai voluto restare alla Testa di Porco tutto
questo tempo!”gli fece notare James, con un sorriso obliquo.
“Parla
il genio che voleva organizzare un giro di scommesse su chi avrebbe
vinto le uova di drago!” puntualizzò piccato Sirius.
“Mi
stavo solo preoccupando per il nostro futuro perchè, ahinoi,
Felpato, se qualcuno dovesse scoprire che non siamo nel nostro
dormitorio...” incominciò James
“Cosa
che potrebbe succedere benissimo, considerando che Remus e Peter
avranno gia allertato la Squadra Magica Speciale.”si inserì
Sirius.
“Appunto.
Quindi che cosa proponi? Io da Gazza non busso, non ho intenzione di
passare il resto della mia vita appeso al soffitto del suo ufficio
con quelle sue catene là con cui ci minaccia sempre.”
precisò James, divertito.
“Mi
sembra di notare che sei divertito dalla situazione, James.”
osservò Sirius, guardano l'amico che si era appena accomodato
su uno dei freddi gradini di pietra sotto al portone.
“Eccome!
Trovo la situazione fantastica, nella sua surrealità! Io che
ti do retta, abbandoniamo I Manici per andare dal vecchio Abe che
gestisce una bischera clandestina, diventiamo fratelli spirituali del
Wisky Incendiario pur essendo minorenni, restiamo chiusi fuori da
scuola perchè è oggettivamente troppo tardi, Remus avrà
chiamato i soccorsi, una tormenta di neve è prossima....-
elencò James, tenendo il conto sulle dita della mano- Sì,
direi che è troppo surreale per non essere divertente!”
Sirius
era rimasto in piedi, a passeggiare nervosamente.
“Bè,
io la situazione non la trovo per niente divertente! Quindi, James,
alzati in piedi che ce ne torniamo ad Hogsmeade: Madama Rosmerta ci
terrà lì per la notte!” propose Sirius.
“Concordo.
Se sto fermo ancora un po' potrei stramazzare all'istante dal
freddo.”
“Per
carità, no! Altrimenti mi tocca anche sbarazzarmi del tuo
corpo!” lo spintonò Sirius.
Sirius si mise a ridere, tanto che un paio di ragazze che passavano
di lì lo fissarono inebetite.
Non riuscì a capire perchè, con tutti i momenti che gli
potevano venire in mente, ricordò di quella volta che rimasero
chiusi fuori, dopo una gita ad Hogsmeade.
Non andarono da Madama Rosmerta, risalirono la collina che li
separava dal villaggio e lui propose di entrare da Mielandia
sfondando un vetro, così da rientrare a scuola attraverso il
passaggio segreto delle cantine, ma James, nonostante il freddo, gli
bocciò l'idea: avrebbero potuto scambiarli per dei ladri.
Poi, senza sapere né come né perchè, si erano
ritrovati di nuovo alla Testa di Porco, avevano fatto così
tanto rumore che Aberforth gli aveva urlato contro dalla finestra.
“Eddai,
Abe! Facci entrare! Domattina leviamo subito il disturbo!”
“Si
congela qua fuori! Abe, siamo tra i tuoi migliori clienti, dai!”gli
avevano urlato dalla strada, fino a quando lui non si era deciso a
farli entrare e, con modi molto poco ortodossi, aveva mostrato loro
quel passaggio segreto che partiva da dentro il suo locale, proprio
dal ritratto di una ragazzina che Aberforth teneva appeso vicino al
bancone, arrivava alla Stanza delle Necessità.
Più ci pensava, più gli veniva da ridere: una delle
migliori serate della sua vita.
Si alzò in piedi, sfregando via dai pantaloni l'erba e il
terriccio ed inspirò, con un mezzo sorriso sulle labbra.
Rivoleva indietro la sua vita, almeno per quanto fosse possibile.
Almeno per quanto riuscissero.
Si mise a correre, sotto la pioggia che scendeva e corse, sino alla
torre di Grifondoro, travolgendo tutti quelli che incontrava sulla
sua strada perchè aveva una cosa troppo importante da fare.
Uscirne insieme era possibile. Forse.
Spalancò la porta della loro stanza, senza sapere che Remus ne
era uscito da poco.
James era disteso sul letto e stava giocando col Boccino che si era
portato via dalla partita, il suo trofeo personale.
“Lily Evans non è così male, Ramoso.” disse
senza sapere bene da dove gli fosse venuta.
Dopotutto, era Remus, quello dei discorsi intelligenti, lui poteva
aiutare James solo a modo suo.
James scoppiò a ridere e Sirius, guardandolo in faccia, fece
altrettanto.
Una risata nervosa, forse, ma pur sempre una risata.
Bene,
che ne pensate? Non c'è stata nessuna scena tra Lily e James,
ma vediamo lo sbocciare di una nuova amicizia, quella tra Lily e
Sirius che vi preannuncio sarà una gran bella e dolce
amicizia.
Ancora
una volta vi ringrazio tutti quanti, chi legge, chi recensisce, chi
ha inserito la storia tra i preferiti e chi tra i seguiti.
Un
grazie speciale va ad Alohomora che mi ha sedato qualche dubbio.
Purepura:
in realtà non ci avevo pensato nemmeno io! Cioè,
inizialmente era prevista solo la conoscenza tra Alphard e Charlus,
poi, studiando l'albero genealogico dei Black, mi sono accorta della
relazione di parentela tra Alphard e Dorea. Racconterò anche
la loro storia e spero che possa interessarti. Nemmeno qui Lily e
James compaiono insieme, passa lo stesso il capitolo?
Alohomora:
Dorea è una donna molto forte, anche se dallo scorso capitolo
non sembra (ma del resto, nelle sue circostanze, chi lo sarebbe?). E'
una Black e l'appartenere a quella famiglia ti tempra, in un modo o
nell'altro. E' una donna che ha saputo portare avanti con coraggio le
sue scelte, come vedrai, ha scelto Charlus e l'ha seguito sin dove è
stato loro concesso. E non dimentichiamoci che ha dovuto convivere
con lo stralunato Charlus Potter e con la confusione di James, anche
questo tempra! La conoscerai meglio strada facendo e spero che la
troverai interessante come l'ho trovata io.
Meissa_S:
sì, capitolo molto Black. Inizialmente il legame tra Potter e
Black non era preventivato, poi è uscito, si è scritta
questa storia nella mia mente, si sono delineate sempre meglio le
personalità di Charlus, Alphard e Dorea e non ho potuto fare a
meno di raccontare la loro storia. Spero che troverà spazio
all'interno di Pieces of Us. Per il resto, esperta di Sirius Black,
cosa ne dici di questo capitolo e dei suoi dubbi?
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Capitolo 17 *** Sedicesimo Capitolo ***
CAPITOLO
SEDICESIMO
You
say we've got nothing in common
No common ground to start from
And
we're falling apart
You say the world has come between us
Our
lives have come between us
But I know you just don't care
-Deep
Blue Something, Breakfast at Tiffany's-
*
Tu
dici che non abbiamo niente in comune
Nessuna base in
comune da cui partire
E stiamo cadendo a pezzi
Tu dici che il
mondo si è messo fra di noi
Le nostre vite si sono messe fra
noi
Ma io so che a te semplicemente non importa
Per quella domenica era stata programmata una visita ad Hogsmeade, ma
Lily non aveva voluto andarci, nonostante sia le sue compagne che
Remus l'avessero invitata ad unirsi a loro.
Non era dell'umore adatto per attraversare il paese, avanti ed
indietro per la via principale e poi rinchiudersi ai Tre Manici di
Scopa. Non sapeva perchè, ma non ne aveva voglia.
Forse si era solo svegliata male quella mattina.
Così, dopo pranzo, in una Hogwarts occupata solo dagli studenti dei
primi due anni e da qualcuno del settimo, rimasto per portarsi avanti
con lo studio, Lily aveva deciso di starsene un po' nel parco a
leggere. Almeno, quello era il suo proposito, in realtà stava
distesa all'ombra di una quercia, con la testa che passava da un
pensiero all'altro.
Quella mattina aveva scritto a casa, come al solito aveva chiesto
anche notizie di Petunia, ben sapendo che tanto sarebbe stato
inutile: sua madre le avrebbe scritto che Petunia stava bene, le
avrebbe parlato del suo lavoro, ma niente di più.
Petunia non avrebbe aggiunto alcuna riga di mano sua.
Si sentiva sciocca a continuare a cercarla, ma era pur sempre sua
sorella e, che lo volesse o no, lo sarebbe sempre stata. Prima o poi
avrebbe dovuto ascoltarla. Prima o poi avrebbe dovuto accettare le
sue ragioni: Lily non pretendeva che le comprendesse o che fosse
felice che lei vivesse in un mondo completamente diverso dal suo, ma
quanto meno che lo accettasse, che se ne facesse una ragione e che
tornasse a vedere in lei una sorella.
“Fai
la tua vita, Lily, resta in quel tuo mondo, ma ti prego, non
trascinarmici più dentro. Siamo intesi?”
Così Petunia aveva troncato l'ultima loro conversazione: sembrava
dirle nuovamente di non cercarla, di lasciarla in pace.
Severus, quando ancora erano amici, era solito dirle di lasciarla
perdere, di non badare più a lei e alla sua ignoranza. Era solo una
Babbana, diceva con disprezzo.
Sì, Severus disprezzava profondamente Petunia, sin dalla prima volta
che le aveva rivolto la parola.
Lily aveva anche smesso di parlarne con lui: non le piaceva il fatto
che il suo migliore amico insultasse gratuitamente sua sorella. Non
andavano d'accordo, Petunia sembrava fare di tutto per cancellare
Lily dalla sua vita, ma era pur sempre sua sorella. E Severus non
aveva il diritto di insultarla.
Pensò che, se qualcuno potesse mai avere il diritto di tagliare
Petunia fuori dalla sua vita, quella avrebbe dovuto essere solo lei e
mai nessun altro.
“Ehi, Lily!” James Potter si stava camminando nella sua direzione
con un libro sotto braccio, senza cravatta e con la camicia tirata su
fino oltre gli avambracci.
“James, cosa ci fai qui?” domandò, stupita, convinta che avrebbe
dovuto essere ad Hogsmeade con gli altri.
James si fece più vicino e si sedette accanto a lei.
“Ho dei compiti da finire.” tagliò corto, come se fosse più che
sufficiente.
Lily incarcò il sopracciglio e lo guardò scettica: non si era mai
sentito di James Potter che rinunciava ad un'uscita per i compiti.
“Ehi, non guardarmi così, è vero! E' che con questi allenamenti
di Quidditch in vista dell'ultima partita non ho quasi più tempo di
fare niente e quindi- alzò le spalle- oggi mi tocca restare qui e
finire questo tema sui Bezoar.”
Probabilmente, in un'altra occasione, prima di quello che era
successo (James faceva ancora fatica a dirlo ad alta voce), si
sarebbe presentato il lunedì mattina senza compiti, pur di non
rinunciare al divertimento. Ora però sentiva che sua madre contava
su di lui, sentiva di dover cercare di darle meno delusioni e
grattacapi possibili.
“Capito.” annuì Lily. La metteva ancora a disagio, stare con
Potter, senza contare che non era ancora riuscita a comprenderlo.
Da dopo Pasqua non se ne andava più in giro a fare stupidi scherzi
ai danni della gente, parlava poco, a lezione scherzava con Sirius,
ma si faceva più attento alle spiegazioni. Si era come spento.
“Tu, invece, perchè non sei andata ad Hogsmeade?”
“Oh... avevo delle cose da finire, sai. E poi, tanto, Hogsmeade
rimane sempre lì. Sono convinta che dopo un po' perda tutto il suo
fascino, sai, quando sei abituato ad andarci.” gli spiegò Lily,
giocando con i capelli.
James annuì e poi aprì il suo libro di Pozioni, in cui aveva
inserito una pergamena e dalle tasche tirò fuori la piuma ed una
boccetta d'inchiostro.
“Ti do fastidio se sto qui?” chiese, stappando con la bocca
l'inchiostro.
“No, no. Fai pure.” Lily scosse la testa e si decise ad aprire il
libro che teneva sulle ginocchia a da mezz'ora.
Ogni tanto Lily si ritrovava ad alzare gli occhi e fissare James e la
sua pergamena, piena di frasi scritte a metà e di cancellature.
Lo vedeva scrivere e tirare righe su righe, sbruffare, scompigliarsi
i capelli, sistemarsi gli occhiali e tornare a leggere cosa diceva
Pozioni Avanzate sui Bezoar.
“Ti serve una mano?” chiese dopo un po', impietosita dallo stato
della pergamena e dall'espressione scoraggiata di James.
“Se non ti scoccia, volentieri.” rispose James, cauto.
“No, tranquillo. Dai, fammi vedere cosa hai scritto.” Lily si
sporse e prese la pergamena dalle mani di James.
“Detesto Pozioni. E' inutile, noioso e non sono capace. Credo che
l'incapacità nel miscelare intrugli mi sopravviverà, trasmettendosi
ai miei figli e ai miei nipoti!” esclamò, con tono melodrammatico
e con una mano impegnata a scompigliarsi i capelli, facendo scoppiare
Lily a ridere.
“Non essere così tragico! Non è poi così complicato, è lineare.
Basta studiare.” lo contraddisse Lily, intenta a decifrare la sua
scrittura.
Lavorarono scambiandosi opinioni per un po', con James che proponeva
cosa scrivere e Lily che lo correggeva, sino a quando, mentre lei
stava cercando delle precisazioni consultando il libro, James le
chiese:
“Perchè lo fai?”
“Cosa?”
“Perchè lo fai? Perchè mi aiuti, Lily? Voglio dire, tu mi
detesti!”esclamò, basito del fatto che Lily non lo considerasse
ovvio quanto lui.
“Non è vero che ti detesto. E se lo faccio è solo perchè mi va
di farlo, va bene?” gli rispose, gelida, Lily.
“Ti faccio pena, non è così?” chiese a bruciapelo James.
“James, ma che cosa stai dicendo?” Lily sgranò gli occhi,
arrossendo.
James non era uno stupido.
“Non giriamoci attorno, Lily, per favore. Non mi hai mai
sopportato. Non sei costretta a fare tutto questo.” ribadì, secco.
Lily non sapeva cosa rispondere, consapevole che James avesse dalla
sua una parte di ragione. Quello che gli era successo, la morte di
suo padre, l'aveva toccata. L'aveva osservato sotto una luce diversa,
l'aveva scoperto vulnerabile e allora si era sforzata di essere
gentile con lui, almeno inizialmente. Ma in quel momento, se lo stava
aiutando con quel tema, era solo perchè le andava di farlo.
“Se mi andasse semplicemente di farlo?” domandò, retorica.
James sospirò, intenzionato a mantenere la calma, nonostante tutto.
“Ascoltami, Lily, tu mi piacevi, va bene? Ti ho chiesto per anni di
uscire, ho cercato per anni di poterti parlare ma non ho mai ottenuto
niente. Me le sarò anche cercate, d'accordo, ma anche recentemente,
non è che io e te abbiamo mai avuto un idilliaco rapporto, giusto?”
si fermò un attimo giusto per aspettare che lei gli facesse capire
che stava seguendo il discorso.
“Bene, quindi, voglio dire, non mi piace che tu sia qui, con me, a
farmi un tema o a parlare del tempo solo perchè mio padre è morto,
ok? Voglio che tu mi faccia un tema o mi chieda del Quidditch perchè
ti va di farlo, perchè credi che valga la pena farlo, perchè sei
convinta che passare del tempo con me ti faccia stare bene. Non
perchè ti senti in colpa per qualcosa o perchè ti faccio pena,
chiaro?” precisò James, cercando di essere il più chiaro
possibile e di nascondere l'irritazione.
Lily non aveva smesso di fissarlo negli occhi.
“Se è così, allora neanche tu avresti dovuto continuare a
tormentarmi solo perchè ti facevo pena: la povera Lily Evans senza
amici, in attesa solo che tu la salvassi.” rimbeccò dura, Lily.
“Non è la stessa cosa!” la contraddisse James
“Forse no, ma vedi, James, io mi sentivo così, ogni volta che mi
rivolgevi la parola. Questo è quello che pensavo: ero convinta di
farti pena e credimi, non è bello.” gli spiegò Lily, a testa
bassa, infilando le dita nei capelli.
“Mi facevi tenerezza. Non pena. E volevo davvero che tu uscissi con
me.” disse James, a voce bassa.
“Tenerezza, pena... sottile il confine, non trovi? Ascolta James,
siamo chiari, ci sono cose di te che non mi piacciono e lo sai. Per
te sarà lo stesso con me, credo, ma stanno cambiando tante cose,
sono cambiate tante cose e non so perchè mi ritrovo sempre più
spesso a parlare con i tuoi amici o con te. Non lo so, va bene? Forse
perchè siete gli unici con cui mi va di parlare, non lo so. Però se
sono qui con te adesso è perchè mi va di farlo, altrimenti,
credimi, me ne sarei già andata.” Lily gesticolava, presa dalle
troppe cose che voleva che lui capisse.
“Morgana, vorrei tanto che ci fosse qualcosa di normale, nella mia
vita!” imprecò a bassa voce.
“Lo vorremmo tutti, Lily.- le rispose James- Prima della morte di
mio padre vivevo in una gabbia dorata. Avevi ragione a pensare che
fossi solo un ragazzino viziato, egocentrico, vanesio ed abituato ad
avere tutto dalla vita. Lo ero e forse lo sono ancora. Ma in questi
due mesi mi sono accorto di cose che prima non vedevo. Avevi ragione
a dire che il mondo non è diviso in Buoni e Cattivi, in Grifondoro e
Serpeverde. Anche se penso ancora che i Serpeverde siano più cattivi
dei Grifondoro.” aggiunse, strappandole un sorriso.
“E non pensavo davvero nemmeno che tu non ti meritassi degli amici
per via del tuo carattere. Tutti si meritano degli amici. Questo sono
io, Lily Evans, non so quanto tu mi conosca fino in fondo, ma sono
fatto così. Ho dei pregi,credo, anche se non so ancora bene quali
siano, forse che riesco a mettere la gente a proprio agio; ma ho
anche una caterva di difetti, una quantità immane: sono troppo
sicuro di me, sono impulsivo e pretendo di avere sempre ragione. Ma
sono fatto così, non dico di non poter cambiare, ma ci sono lati del
mio carattere che al limite potranno solo essere smussati e non
voglio la pietà di nessuno. Mio padre è morto, d'accordo, ma è
morto da eroe e se c'è qualcuno a cui vorrei somigliare è lui, per
cui non ho bisogno di un codazzo di gente che continua a mormorarmi
che è costernata da quanto è accaduto. Chiaro?” James strappò
dei fili d'erba e se li rovesciò sui pantaloni, carico di
nervosismo.
“James, tutti noi abbiamo mille e mille difetti. – Lily accennò
un sorriso- Io sono cocciuta e voglio fare sempre di testa mia.
Voglio i consigli ma non li seguo. Sono facile a scoraggiarmi e se mi
ci metto parlo davvero troppo, ma vedi, io credo che crescere
significhi anche cercare di capire cosa non va in noi stessi e
provare a cambiare. Non è detto che ci si riesca, ma ci si prova. E'
un segno di maturità, penso. Tu dici di esserti accorto di cose che
non andavano nel tuo modo di essere e stai agendo di conseguenza e io
credo che sia positivo. E mi dispiace di di averti fatto
un'impressione sbagliata, forse hai ragione, ho cercato di essere
gentile con te per via di quello che è successo. Non è stato molto
corretto da parte mia, ma volevo solo farti capire che non ti odiavo
e che, anche se tra noi non c'è mai stata amicizia, non ti meritavi
quello che ti è successo. Non se lo merita nessuno. E se la mia vita
è un casino, se ho un carattere particolare, se sono “strana”,
come dicono le mie compagne, non è colpa tua, perciò non scusarti.”
terminò Lily, in un sospiro.
Era arrossita e non credeva possibile che sarebbe riuscita a dire
tutte quelle cose a James Potter.
“Non sei “strana”.- James mimò con le dita il segno delle
virgolette- Sei tu. Così come io sono io, e Sirius è Sirius. Siamo
tutti un po' strani.”
“Forse.”sospirò Lily.
Rimasero in silenzio: Lily giocava con i capelli e con le pagine del
libro, mentre James spostava lo sguardo da lei alle nuvole.
“Vuoi provare a fidarti di me, Lily Evans?” chiese James,
dolcemente, dosando la voce e le parole.
Lily si voltò verso di lui. Doveva provare? E se fosse finita male?
E se gliela avesse concessa, quella fiducia, e lui l'avesse tradita,
lasciandola squarciata ed in balia di se stessa, come già era
successo con Severus? Non era in grado di dire se sarebbe riuscita a
riprendersi. Non in quel momento, in cui stava riuscendo a rialzarsi.
“Cosa succederà, James?” domandò, in un soffio.
“Non lo so. Ti offro solo quello che sono io.” le tese la mano,
incerto.
Lily agì d'impulso e la strinse. Si chiese la ragione che la
spingesse a farlo, ma riuscì solo a fidarsi degli occhi castani di
James.
“Proviamo.” sussurrò.
“Cercherò di non deluderti, Lily.” promise James, sicuro. Non
l'avrebbe delusa. Mai.
Un piccolo sorriso le increspò un angolo della bocca.
“Lo so, James Potter.”disse in un soffio.
Capitolo
corto ma denso, direi e che segna un nuovo inizio.
Al
solito vi ringrazio tutti quanti. Alla prossima
Alohomora:
non credo che questi Malandrini siano poi così lontani dai “soliti
Malandrini”, sono rappresentati in modo diverso, certo, ma sono
ragazzi di diciassette anni, ancora pieni di voglia di ridere,
giocare, cambiare il mondo. E qui c'è un inizio di quello che
saranno James e Lily,
Dafny:
sì, sì, Mr Quaffleborn era voluto! Mi è venuto in mente e l'ho
inserito... spero di risentirti.
MEISSA_S:
guarda, ti confesso che secondo me l'intera vita dei Malandrini è
surreale. Penso che fossero tre elementi che potrebbero essere usati
come arma di distruzione di massa, se consideri che anche il
tranquillo Remus si trasforma facilmente in una folle mente
criminale! Sono contenta che Sirius ti sia piaciuto, spero di saperlo
descrivere sempre meglio nel corso della storia perchè, se c'è
qualcuno con una personalità complessa, quello è proprio lui! Ah,
ultima cosa, io credo che lui e Lily avessero davvero un buon
rapporto: per prima cosa sono le due persone più vicine a James ( e
se Lily non fosse stata sinceramente affezionata a Sirius, dubito che
l'avrebbero scelto come padrino e tutore di Harry) e in secondo luogo
credo che abbiano avuto entrambi delle vicissitudini famigliari che
li hanno formati e che li hanno resi quello che sono.
Purepura:
l'arroganza di James Potter è insita nel suo DNA (altrimenti come
spieghi che si sia trasmessa anche ad Harry, che, sinceramente, mi
pare abbia le sue belle manie di protagonismo), semplicemente
imparerà un po' a direzionarla. Il Sirius che immagino io è
particolarmente interessato ai Babbani, ma non in modo folkloristico
come il signor Weasley, a Sirius piace la musica Babbana (ingaggerà
con Lily l'eterna lotta Beatles- Rolling Stones), la cultura, l'arte,
il modo di vestire (tra un po' te lo vedrai girare con l'eskimo,
promesso! In fondo, siamo negli anni '70) e penso che spesso, in
estate, appena poteva si facesse un giro per Londra, a piedi,
camminando e girando a caso. Credo che gli siano servite molto,
quelle giornate, o, almeno, lui ne è convinto. Spero che questo
Sirius ti piacerà.
PrincessMarauders:
Dorea era a Serpeverde, ovviamente. E' stato Sirius il primo Black a
rompere la tradizione. Comunque, torneremo sulla storia di Charlus,
Dorea ed Alphard, promesso.
Sirius
e James sono così potenzialmente distruttivi che non so se qualcuno
sia in grado di batterli, persino i gemelli Weasley credo avrebbero
qualche problema.
Oh,
vedrai come diventeranno amici Sirius e Lily, saranno come fratello e
sorella, forse accomunati anche dalle loro vicende famigliari. Alla
prossima!
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Capitolo 18 *** Diciassettesimo Capitolo ***
Molta
follia è saggezza divina per chi è in grado di
capire. Molta saggezza, pura follia. Ma è la
maggioranza in questo, in tutto, che prevale. Conformati: sarai
sano di mente Obietta: sarai pazzo da legare immediatamente
pericoloso e presto incatenato.
Emily
Dickinson, Molta Follia
CAPITOLO DICIASSETTESIMO
LONDRA, DIAGON ALLEY, Maggio 1977
Studio
Notarile del Dott.
Alsvidher
Lyartangen
Lyartangen
stava in piedi davanti alla finestra, fissando con apparente
interesse il via vai di maghi e streghe che, dopo lo scorso Aprile,
era tornato ad affollare le vie di Diagon Alley.
“Sei
sicura, Dorea?” chiese, voltandosi verso la strega che sedeva
di fronte alla sua scrivania.
Portava
i capelli neri, striati da un velo grigio, stretti in uno chignon e,
nonostante il lutto, non vestiva di nero. Indossava una ampia veste
da strega color prugna, ma la fede nuziale brillava ancora
all'anulare destro.
“Sì.
Con Charlus ci abbiamo pensato a lungo. E' la cosa migliore da farsi,
Alsvidher. Non sappiamo per quanto tempo mi sarà concesso
vivere, di questi tempi.” annuì Dorea.
“C'è
forse qualcosa che devo sapere, Dorea?” domandò
Lyartangen, sistemandosi gli occhiali che scivolavano spesso sul
lungo naso aquilino.
L'accompagnava
da tempo la strana e sciocca idea che la pendenza del suo naso fosse
aumentata con la vecchiaia e con la calvizie che, ormai, lo rendeva
completamente privo di capelli.
“No,
niente Alsvivhder, davvero. Era solo un inutile intercalare.”
mentì Dorea, con sicurezza. Non era il caso di parlare con
Alsvidher delle minacce ricevute da lei e Charlus qualche mese prima.
Minacce
di morte nemmeno troppo velate per i protettori della popolazione non
Magica, per i Purosangue fedeli al Ministero.
Charlus aveva rifiutato i
ripetuti inviti giunti da importanti membri della famiglie di
Purosangue più in vista, convinti che Lord Voldemort fosse la
scusa che attendevano per la loro scalata al potere.
Da quando avevano
rifiutato, la loro posizione si era aggravata. James, ovviamente,
non sapeva niente e, fosse stato per Dorea, non avrebbe mai dovuto
saperlo.
“Come vuoi, Dorea, come vuoi. Allora posso procedere?”
Alsvidher accondiscese alle richieste di Dorea, senza porgere
ulteriori domande. Aveva capito che stava mentendo, ma la conosceva
da una vita, erano stati compagni di scuola, ad Hogwarts, tra le file
dei Serpeverde, e sapeva che stava mentendo, ma non volle
investigare. Non erano affari suoi, dopotutto, e non gli era mai
piaciuto farsi gli affari degli altri.
“Sì. Procedi. E' l'unico modo per tutelare James ed
evitare beghe intestine con il resto della mia famiglia.”
ordinò Dorea, stringendo più forte la borsa di seta che
portava sulle ginocchia.
Lyartangen aprì un cassetto della scrivania e ne tirò
fuori un foglio di pergamena, intinse il pennino nell'inchiostro,un
vizio Babbano che amava concedersi, ed iniziò a scrivere.
Conosceva Dorea Potter da quando si chiamava ancora Black e portava i
capelli raccolti in due spesse trecce. Ne aveva osservato i
cambiamenti in sette lunghi anni di scuola. L'aveva ascoltata
lamentarsi per la lontananza dall'amata sorella Cassiopeia e da sua
madre, l'aveva consolata dopo i litigi con Alphard e l'aveva vista
innamorarsi di Charlus Potter, quell' apparentemente assurdo
Grifondoro che era un paio d'anni avanti a loro.
In seguito, quando Charlus aveva sposato Dorea, Alsvidher non aveva
affatto accolto la notizia con dispiacere, aveva imparato a conoscere
Potter e a trovarlo simpatico sino a diventarne amico, nel corso
degli anni.
C'erano argomenti su cui non erano perfettamente d'accordo, un
esempio su tutti il maniacale interesse di Charlus su tutto ciò
che fosse Babbano, ma, nel complesso, ciascuno rispettava le
posizioni dell'altro, senza per questo cambiare di una virgola le
proprie opinioni.
Alsvidher era cresciuto in una antica famiglia di Purosangue, suo
padre, olandese, aveva sposato Melissa Derwent, pronipote della
famosa Preside di Hogwarts nonché unica figlia di una nobile
famiglia della Gran Bretagna del Sud. Quando suo marito era mancato,
Melissa era tornata in patria con il figlio, cresciuto nella liberale
Olanda per quasi dieci anni.
L'aver assaporato, seppure per poco, un'aria diversa da quella
inglese, aveva plasmato il carattere sia suo sia quello di sua madre,
donna che aveva quindi educato il figlio con mentalità libera,
aperta e priva di preconcetti.
Alsvidher Lyartangen non vedeva di buon occhio quello che stava
accadendo in Gran Bretagna: aveva con Charlus condiviso le sue idee
sull' ascesa di quel Lord Voldemort, che troppi Purosangue si
ostinavano a considerare del tutto innocuo, presi com'erano
dall'appoggiare la sua causa per programmare oscuri complotti di
potere, convinti che, presto o tardi, avrebbero potuto sbarazzarsi di
lui, salvando i loro profitti.
“Ecco, Dorea, firma qui. Tramite questa donazione, James
diventa sin da ora proprietario di tutti i tuoi beni, del Manor, dei
vostri terreni e, naturalmente, di quanto conservi alla Gringott.”
-indicò a Dorea una riga sul margine destro in basso e poi
riprese-” Ovviamente non appena James tornerà da scuola,
dovrai accompagnarlo ad apporre la sua firma, altrimenti questa non è
valida.” precisò, levandosi gli occhiali e sfregandosi
gli occhi.
“Appena torna da scuola, verremo. Tranquillo. Ora devo andare,
Alsvidher, grazie di tutto.” sorrise Dorea, alzandosi.
Lyartangen la accompagnò alla porta.
“Figurati, se posso fare qualcosa, sai che sono qua. Puoi
chiamarmi in ogni momento, non dimenticartelo.” le confermò.
“Lo so e credimi, il tuo aiuto mi è sempre prezioso.”
Dorea gli posò una mano sulla spalla e lo salutò,
incamminandosi per le scale.
Lyartangen tornò alla finestra e vide l'amica camminare rapida
assieme agli altri passanti.
Dorea Potter era una donna forte e determinata, ce l'avrebbe fatta
anche quella volta.
Dorea lasciò che il pesante portone di legno, intarsiato con i
simboli della famiglia di Alsvidher, si chiudesse alle sue spalle,
immettendola in una traversa di Diagon Alley.
La primavera più che inoltrata permetteva al sole di
illuminare anche quegli angoli di Diagon Alley solitamente bui ed
angusti.
Osservava i passanti che si muovevano rapidi per il corso, chi preso
da mille commissioni e chi, ancora spaventato, sperava solo di
concludere quel giro di compere il più in fretta possibile.
Da Marzo non succedeva più niente. Due mesi, quasi due mesi
senza che si sapesse niente, senza che fosse accaduto più
nulla di plateale.
Se non fosse stato per l'ultima visita di Octavius Bones,
probabilmente, avrebbe anche creduto a quanto raccontava il Profeta e
ai proclami del Ministero che invocava calma e minimizzava la cosa.
Octavius era stato un grande amico di Charlus, sin da Hogwarts: mai
erano mancate le sue visite a Potter Manor negli anni, per una
partita a biliardo con Charlus, mentre sua moglie Lucretia e Dorea
sorseggiavano tè e pasticcini ed anche ora, Octavius non aveva
scordato di passare a trovare Dorea.
Octavius lavorava al Ministero, all' Ufficio Applicazione della Legge
sulla Magia e sapeva perfettamente che, in quei mesi, le misteriose
sparizioni e gli accadimenti inconsueti non erano cessati, anzi. Il
Ministero, tuttavia, continuava ad insabbiare i fatti, certo che la
cosa migliore fosse infondere calma alla popolazione.
Dorea sospirò, non si poteva fare nulla di concreto, per il
momento. Lei, almeno, non poteva fare nulla di concreto, se non
sperare che, in fondo, nonostante tutto, il Dipartimento Auror
lavorasse sottobanco e sapesse esattamente cosa fare, anche se, le
notizie che le giungevano dai vecchi colleghi di suo marito non erano
incoraggianti.
A preoccuparla era soprattutto il mondo in cui sarebbe vissuto James
una volta abbandonata Hogwarts con le sue mura protettive: quella
scuola era un mondo a parte, un mondo a sé, in cui le leggi e
le regole della vita vera raramente entravano.
Probabilmente, anche le notizie che angustiavano quotidianamente le
famiglie giungevano ad Hogwarts smorzate e rese ovattate
dall'atmosfera: pochi ragazzi erano realmente a conoscenza di quello
che stava succedendo e, se da un lato, questo era senza dubbio un
bene, dall'altro non poteva che essere considerato un male:
nascondere la verità non la rendeva certo meno aspra, serviva
solo a renderli impreparati al mondo.
Ma Hogwarts era così: Hogwarts era una sorta di idilliaca
società in miniatura, che, almeno ai suoi tempi, voleva
provare a descrivere un mondo che non esisteva.
Forse ora che era suo figlio James a frequentarla, ora che Silente
era Preside, qualcosa era cambiato, ma quarant'anni prima si viveva
nell'illusione che l'appartenere alla stessa Casa potesse annullare
le differenze di Sangue.
Quando lei e Charlus frequentavano Hogwarts, negli anni Trenta, molte
erano le coppie che si sarebbero separate subito dopo il diploma,
molti erano gli amici che non si sarebbero più visti, una
volta usciti da scuola.
Se ancora in quegli anni presenti il Sangue era importante per
parecchie famiglie del Mondo Magico, negli anni Trenta era molto
peggio.
Erano ancora gli anni dei matrimoni combinati e delle rigide
differenze di classe e lei non avrebbe mai smesso di ringraziare i
suoi genitori per averle concesso di sposare Charlus Potter, ottima
famiglia Purosangue, ma certamente di convinzioni abbastanza lontane
da quelle della Nobile e Antichissima Casata dei Black. Probabilmente
avevano voluto concedere a lei quello che non erano riusciti a dare a
suo fratello Pollux e a sua sorella Cassiopeia, quello che non erano
riusciti ad ottenere nemmeno per se stessi e, soprattutto, quello che
non erano riusciti a fare per suo fratello Marius, nato senza poteri
magici e per questo sottratto alla famiglia sin dalla più
tenera età.
Dorea non aveva mai dubitato della stima e del rispetto reciproco che
legasse i suoi genitori, Cygnus e Violetta e nemmeno dell'affetto che
provassero l'uno per l'altra, affetto che però è ben
lontano dall'amore.
Si volevano bene e non avevano mancato al compito prescritto dalle
loro famiglie, sposarsi e mettere al mondo dei nuovi rampolli
Purosangue, ma non erano innamorati, semplicemente, negli anni erano
diventati amici, complici, amanti, ma mai marito e moglie nel senso
più canonico del termine.
Nonostante
questo, erano stati degli ottimi genitori, suo padre Cygnus,
Purosangue con tendenze da bohemienne, immerso nella
Filosofia da mattino a sera e sua madre Violetta, pittrice, che
girava per casa con addosso sempre un grembiule grigio, imbrattato di
colori ad olio, che riempiva i figli di baci al sapor di pittura.
Il resto della famiglia
era a dir poco scandalizzato dall'educazione che Cygnus e Violetta
impartivano ai figli, che stavano crescendo, a sentir loro, come tre
piccoli selvaggi.
A pensarci bene, Dorea,
riusciva a ricordare ancora la voce arcigna e gli occhi sbarrati di
sua nonna Ursula, quando vedeva lei e Cassiopeia correre per le scale
di casa con i vestiti macchiati di terra o di vernice e con i capelli
lasciati sciolti, anziché costretti da mille forcine.
Probabilmente, era stato
proprio per quei motivi che suo nonno Phineas Nigellus aveva scelto
di occuparsi personalmente dell'istruzione e dell'educazione di
Pollux, perchè almeno l'erede maschio si salvasse da quello
scempio.
Era stato un duro colpo
per i suoi genitori e forse, per quel motivo, da allora in avanti,
avevano scelto di seguire maggiormente i dettami della famiglia, per
evitare che almeno le loro preziose figlie non fossero loro sottratte
e costrette al matrimonio quando non erano nemmeno adolescenti.
Da quando era passato
sotto la tutela di Phineas Nigellus, Pollux era cambiato totalmente,
era diventato il ritratto in miniatura del nonno, aspro Purosangue
convinto, non aveva più niente del fratello maggiore che Dorea
aveva conosciuto nei suoi primi anni di vita.
Dorea era rimasta
immobile, ancora sotto al portone dello studio di Lyargarten. I
pensieri, le preoccupazioni ed i ricordi l'avevano trascinata via. Le
avevano fatto presente quanta voglia avesse di riavere con sé
Charlus, per poter affrontare meglio il resto dei Black, per poter
affrontare meglio quegli obbligati incontri settimanali al San Mungo.
Inspirò ed espirò,
strinse forte la borsa ed impugnò la bacchetta e si
Smaterializzò di fronte al
grande magazzino abbandonato Purge & Dowse Ltd..
Ritirando la bacchetta, fissò insistentemente il manichino
vestito di verde e, ad un suo cenno, attraversò il vetro
ritrovandosi nell' atrio del San Mungo.
Senza nemmeno guardare il prospetto dei reparti e salutando con un
cenno le infermiere presenti, salì immediatamente al quarto
piano: Lesioni da Incantesimo, dove c'era anche il Reparto per
Lungodegenti.
Percorse l'intero corridoio, arrivando subito alla stanza 144, da lì
stava uscendo proprio in quel momento una Guaritrice.
“Buongiorno, signora Potter. Tutto bene? Ho appena portato la
solita pozione a sua sorella.” la informò, cortesemente.
“Grazie per il lavoro che fate, dottoressa Davis. Vediamo un
po' come andrà oggi.” sorrise Dorea.
“Vi lascio sole, arrivederci signora Potter.” la salutò,
iniziando a spostarsi.
Dorea entrò nella stanza e scorse subito dei disegni appesi al
muro, disegni che fino a qualche giorno prima non c'erano.
“Dottoressa Davis!” chiamò, uscendo e facendo
voltare la Guaritrice.
“Cosa sono quei disegni appesi al muro?”
La Davis si avvicinò per rispondere.
“Oh, quelli! Ieri è venuta sua nipote, la signora Tonks
con sua figlia, un piccolo uragano ambulante, per poco non rovesciava
le ampolle con dentro le pozioni medicinali, si figuri! Comunque, la
bambina ha portato quelli ed ha chiesto se si potevano appendere.
Tutto qui, spero che non le dispiaccia.” spiegò,
sorridendo.
“No, no, tranquilla. Non è un problema, volevo solo
sapere. Arrivederci, allora.” la salutò Dorea,
rientrando nella stanza.
Andromeda era venuta a trovare Cassiopeia portando con sé la
piccola Ninfadora. Le faceva piacere, ad essere sincera.
Aveva conosciuto Andromeda solo pochi anni prima, presentatale da
Alphard ed erano state entrambe ben felici di poter recuperare un
legame con la propria famiglia d'origine. Dorea non faceva più
parte della famiglia Black da anni e, quindi, era impensabile che
Andromeda la potesse conoscere.
Da quando nel 1943 suo padre Cygnus era mancato, la famiglia Black
aveva escluso Dorea, sua madre Violetta e sua sorella Cassiopeia da
ogni rapporto e, ad essere sincere, la cosa non aveva creato grossi
problemi a nessuno.
Per i Black Dorea aveva smesso di esistere quando suo padre aveva
annunciato il fidanzamento con Charlus Potter; per sbarazzarsi di sua
madre Violetta, invece, avevano dovuto attendere la morte di Cygnus.
Anche se forse era con Cassiopeia che la vita era stata davvero poco
generosa.
“Sissi, sono io, Dorea.” Dorea si era avvicinata alla
sorella, seduta sul letto a gambe incrociate.
“Oh Dorea, buongiorno! Vuoi un cioccolatino? Andrew è
stato in Francia per lavoro e ne ha portata a casa una scatola!”
Cassiopeia prese la scatola di cioccolatini appoggiata sul comodino e
ne porse uno a Dorea che, accennò un sorriso, ed accettò
il regalo.
“Come mai Charlus non c'è?” chiese innocentemente
Cassiopeia
“E' via per lavoro.” rispose in fretta Dorea. Ci aveva
già provato a dirle che era morto, ma niente entrava nella
testa di Cassiopeia, già ebbra di pensieri e desiderosa, se
mai, di liberarsene e non di acquistarne di nuovi.
A volte, Dorea aveva ancora voglia di fare come aveva fatto
trent'anni prima, di mettere Cassiopeia con le spalle al muro ed
urlarle che Andrew era morto, che i bombardamenti su Londra del 1940
l'avevano ucciso, che il loro papà era morto, così come
la loro mamma e che lei doveva smetterla. Doveva smetterla di
comportarsi come se fossero ancora tutti vivi. Doveva smetterla di
rovinarle la vita solo perchè era pazza, pazza, pazza. Perchè
lei non ne poteva più, non riusciva più a sopportare
tutto quello, a sopportare la sua pazzia e i suoi deliri. Era stanca.
Stanca di tutto, stanca di aver visto la sua splendida famiglia
disgregarsi in un attimo, sparire, come se non ci fosse mai stata.
Tutto era iniziato il dieci Settembre del 1940, quando i tedeschi, in
quella guerra che stava mettendo in ginocchio la Gran Bretagna
Babbana, bombardarono Londra.
L'elegante residenza di Andrew e Cassiopeia McFarland in Oxford
Street, protetta dai più avanzati incantesimi, era stata rasa
completamente al suolo da un ordigno Babbano.
Andrew era stato trovato morto tra le macerie, così come
quattro dei cinque Elfi Domestici, la governante ed anche Theodore,
il figlio di Andrew e Cassiopeia. Aveva appena tre anni. Soltanto
Cassiopeia era sopravvissuta, trovata in fin di vita sotto a blocchi
di cemento armato.
La notizia della morte di Andrew e, soprattutto, quella della morte
di Theodore l'avevano portata alla pazzia.
Cassiopeia non si era più ripresa e l'unica cosa da fare era
stata rinchiuderla al San Mungo.
Sua madre non si era mai più data pace, per quanto successo,
così come suo padre, stroncato da una malattia appena tre anni
dopo.
L'unica consolazione per Cygnus e Violetta Black era stato poter
vedere Dorea felice con Charlus Potter, con la certezza che almeno la
loro ultima figlia potesse essere felice.
Si sentivano responsabili, responsabili per Pollux ed anche per
Cassiopeia. Se avessero educato i loro figli diversamente, l'uno non
sarebbe stato portato via e l'altra non avrebbe terminato i suoi
giorni rinchiusa al San Mungo.
Continuavano a credere che, se non avessero permesso che non
terminasse gli studi, sposandosi con Andrew McFarland, conosciuto
sì ad Hogwarts, ma maggiore di lei di sei anni, allora
avrebbero avuto ancora la loro Cassiopeia.
Andrew e Cassiopeia si erano conosciuti a scuola, per caso e nessuno
dei due pensava a dividere la sua intera vita con l'altro. Ma Wiston
McFarland e Phineas Nigellus avevano mosso le loro carte,
organizzando uno dei matrimoni più redditizi che si fossero
mai visti.
A Cassiopeia Andrew non era indifferente, non lo era mai stato e ad
Hogwarts era orgogliosa di potersi considerare la sua fidanzata. Dal
canto suo, Andrew, per i primi due anni provò ad opporsi al
matrimonio: sentiva di non avere nulla da spartire con una che
considerava poco più di una bambina.
Poi si era rassegnato e, infine, vedendo sbocciare Cassiopeia in una
bellissima donna, se ne era anche innamorato.
Quando Phineas Nigellus e Wiston McFarland organizzarono il
matrimonio, Cygnus e Violetta Black parlarono chiaramente con la
figlia: se accettava di sposarsi non avrebbe proseguito i suoi studi,
avrebbe dovuto abbandonare Hogwarts, avrebbe dovuto smettere di
essere ragazza prima ancora di esserlo del tutto e, dal canto loro,
promettevano di fare qualsiasi cosa per proteggerla e impedirle di
sposarsi, se lo voleva.
Cassiopeia però aveva scelto di sposarsi e, a quel punto, i
genitori non poterono che accettare la sua decisione, senza smettere
di credere di non aver fatto abbastanza ed anzi, di averla condannata
alla pazzia.
Se c'era una cosa che Dorea sentiva di dover rimproverare ai suoi
genitori era proprio la mancanza di polso: avevano permesso che
Pollux venisse affidato ai nonni, che Cassiopeia si sposasse a sedici
anni, che Marius fosse portato via ancora bambino. Non riusciva a
perdonarli per non aver lottato abbastanza per i loro figli e, forse,
non se lo perdonavano nemmeno loro stessi: forse era proprio quello
il motivo per cui avevano acconsentito immediatamente al suo
matrimonio con Charlus.
“Anche lui è sempre via, Dors. E' già un bel po'
che non lo vedo!” esclamò Cassiopeia, sorridendo alla
sorella.
Dorea accennò un sorriso di scuse e fissò il volto di
Sissi: esteticamente non aveva perso nulla.
Le guance erano rosee e piene, gli occhi verdi ancora brillanti, i
capelli ancora setosi, ma Dorea non poteva fare a meno di pensare a
quando quel viso era privo di rughe, a quando quegli occhi brillavano
di felicità e non di un seme di follia, a quando quei capelli,
oltre che setosi e fini erano anche biondo miele. A quando sua
sorella era ancora sua sorella e non un involucro contenente solo i
ricordi dei tempi che furono.
“Hai visto che belli quei disegni, Dors? Li ha fatti Teddy! Hai
visto come è bravo il mio bambino?” squittì
Cassiopeia, orgogliosa, indicando i disegni portati da Ninfadora.
“Sì, Sissi. Sono davvero belli. E' proprio bravo.”
la assecondò stancamente Dorea. Affrontare tutto quanto da
sola era sempre più pesante. Si stava piano piano accorgendo
quanto la presenza di Charlus fosse stata importante in quegli anni.
Adesso era sola. C'era James, certo, ma era giusto che lui avesse la
sua vita.
“Che libro vuoi che ti legga oggi, Sissi?” chiese,
infine, preparandosi alle ore che la aspettavano.
Al
solito, scusate il ritardo. Da settimana prossima, conto di poter
aggiornare con più regolarità, in ogni caso.
Credo
che questo capitolo vi abbia un po' sorpresi, ma mi vi avevo
anticipato che saremmo tornati ad occuparci di Dorea. Spero che,
nonostante tutto, vi sia sembrato interessante e che mi concediate la
licenza poetica sugli avvenimenti alla famiglia di Andrew e
Cassiopeia McFarland: sull'albero genealogico dei Black, Cassiopeia
non risulta sposata a nessuno.
Piccolo sondaggio tecnico da proporre: come volete regolarvi per
il mese di Agosto? Io sarò via circa quindici giorni, ma nei
restanti, potrei continuare ad aggiornare: preferite sospendere la
pubblicazione sino a settembre o che la continui?
Detto
questo, alla prossima e grazie a tutti.
Alohomora:
James Potter si svelerà piano piano in tutta la sua essenza di
Malandrino, di leader dei Malandrini e futuro marito di Lily: sino ad
ora si è parlato più che altro di Lily, ma in questa
storia non è solo lei la protagonista, sebbene la sua vicenda
sia centrale.
Spero
di poterti regalare altri bei momenti tra Lily e James.
Elawen
Aeglos: benvenuta! Sono contenta che la storia ti piaccia, che i
personaggi ti sembrino ben descritti e che, soprattutto, ti paiano
veri. Lily acquisterà fiducia, soprattutto perchè potrà
contare su quattro Malandrini, dei quali diventerà
inizialmente la mascotte e poi, parte integrante. Alla prossima!
MEISSA_S:
ci tenevo tanto che Lily e James si parlassero senza gridarsi
addosso, senza preconcetti e pregiudizi e alla fine ce l'hanno fatta,
forse dovevano solo aspettare il momento giusto, dettato, fra le
altre cose, da una serie di spiacevoli eventi. Io James lo vedo così,
come uno che riesce a farti sentire a tuo agio, che non esita a
criticare se stesso, sempre pronto a cercare del buono, nelle persone
che reputa giuste. Aveva voglia di parlare con Lily, di cercare di
farle capire chi fosse, se non altro per potersi, eventualmente,
allontanare da lei senza rancore. Lily, messa alle strette dalle
affermazioni di James, capisce di non potersi più sottrarre,
di dover prendere una posizione con lui e su di lui. Si parlano, si
chiariscono, decidono di fidarsi l'uno dell'altro e Lily, pur non
conoscendolo, sa che James Potter non tradirà quella fiducia.
Lo sa e basta.
Dei
Marauders non mi preoccuperei: io credo che accetteranno senza
problemi Lily nel gruppo, scopriranno di lei anche lati inaspettati
e, perchè no, Malandrini. Alla prossima!
Purepura:
hai descritto bene quello che potrebbe provare Lily: è già
stata distrutta una volta, se, a questo punto, anche James, anche
Remus scegliessero di lasciarla, non riuscirebbe più a
rialzarsi, a credere nelle persone e ad avere speranze per il futuro.
Si sente costantemente giudicata, inadeguata, ma allo stesso tempo
riesce a fare una analisi razionale della sua situazione, cosa non da
poco, e quando sceglie di stringere la mano di James sa semplicemente
che lui non la tradirà. Lo sa e basta. Sono quelle cose che si
capiscono. A presto!
PrincessMarauders:
oh bè, in verità mi piace molto pensare che Harry abbia
ereditato l'odio per Pozioni da James, che poi, in verità non
è che Harry sia proprio negato ( se Piton lo facesse lavorare
in pace, qualche risultato in più si vedrebbe), solo che non
gli piace e di conseguenza non si applica. Un po' come James,
insomma, che, se volesse, qualcosina in più potrebbe fare,
sebbene i suoi risultati continuerebbero ad essere scarsi. Se a ciò
ci aggiungi che Lumacorno non può vedere quello squinternato
di Potter...
Dici
che Lily riuscirà ad aiutarlo? Io credo che proverà, ma
sarà sconfitta dall'evidenza. A presto!
|
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Capitolo 19 *** capitolo diciottesimo ***
CAPITOLO DICIOTTESIMO
It's
the first day of spring
And
my life is starting over again
Well
the trees grown, the river flows
And
it's water will wash again my sin
-The
First Days Of Spring, Noah And The Whale-
* E' il primo giorno di
primavera
E
la mia vita sta iniziando da capo un'altra volta
Gli
alberi crescono e il fiume scorre
Ed
è l'acqua che laverà ancora il mio peccato
Hogwarts, Maggio 1977
Quella domenica pomeriggio, Lily Evans e James Potter erano andati
avanti a parlare sino all'ora di cena. Erano rientrati al castello
insieme, con i loro libri sottobraccio da riportare nel dormitorio,
prima di scendere in Sala Grande.
Tanti erano gli sguardi stupiti degli studenti che fissavano la
coppia e altrettanti quelli invidiosi: si era visto che da qualche
tempo Lily Evans girava spesso con Remus Lupin o Peter Minus, la si
era vista parlottare fitto fitto con Sirius Black sugli spalti dello
stadio di Quidditch, ma mai sola in compagnia di James Potter.
Che James Potter fosse interessato a Lily Evans non era una novità
per nessuno, anche se in molti si chiedevano in che senso fosse
interessato. Pochi credevano che Potter nutrisse un sincero interesse
per quella ragazza così strana e solitaria, famosa solo per
essere stata amica di Severus Piton, noto più per le sue
discutibili amicizie con i Serpeverde che non per la sua simpatia.
Era comune pensare malamente che James Potter avesse scommesso con i
suoi amici che sarebbe riuscito ad avere Lily Evans, ragazza che, in
fondo, in molti non consideravano all'altezza di Potter, essendo lei
quanto più lontana si potesse immaginare dallo stile di vita
di James Potter.
James, dal canto suo, non era minimamente interessato a quello che
potevano pensare gli altri. Sinceramente, non gliene era mai
importato. Sin dal primo anno, non faceva caso a chi si chiedeva cosa
ci facesse Peter Minus tra i suoi amici; non faceva caso alle persone
con cui si ritrovava a parlare, per il semplice fatto che era stato
abituato a parlare con tutte le persone che gli capitavano davanti,
senza pregiudizi o preconcetti.
E, in fondo, dell'opinione di persone che non lo conoscevano, che non
sapevano nulla di lui, non gliene importava niente. Soprattutto negli
ultimi tempi non gliene importava niente. Che si chiedessero pure
cosa ci facesse con Lily Evans, la verità, d'altronde, la
potevano conoscere solo loro.
Era contento che Lily gli avesse dato una possibilità, che
fossero riusciti a spiegarsi, a dirsi le cose in faccia. Era
piacevole anche sentirsi squadrato da cima a fondo dagli occhi verdi
di Lily, che ogni volta che lo guardavano, sembravano leggergli
l'anima.
“Lo
so, James Potter.” così
gli aveva detto, quando lui aveva promesso che avrebbe fatto di
tutto, per non deluderla.
Quelle parole avevano mosso qualcosa nel suo stomaco: Lily sapeva,
sapeva davvero. Era strano da descrivere, ma lui era sicuro che Lily
sapesse davvero.
Non aveva raccontato ai suoi amici della conversazione tra lui e Lily
e presto ebbe la certezza che anche lei aveva fatto lo stesso,
scegliendo di non parlarne con Remus: era una cosa loro e basta.
E inoltre, da spiegare non c'era niente. Non dovevano giustificarsi.
Lily, invece, aveva deciso di non parlarne con Remus perchè
sentiva che non ce n'era alcun bisogno: cosa avrebbe dovuto
raccontargli? Avrebbe forse dovuto dirgli che aveva avuto ragione sin
dall'inizio?
Senza contare che una parte di lei le suggeriva di andarci piano con
Potter, di starsene sulle sue, di osservare la piega che prendeva la
situazione, ma, dannazione, lei sentiva, lei sapeva di potersi
fidare di James. Lo sapeva e basta, non era in grado di dire da dove
le provenisse quella certezza, ma era di intensità sufficiente
a suggerirle di avere ragione.
C'era qualcosa di buono in James Potter. Più passavano i
giorni più se rendeva inesorabilmente conto. Qualcosa di buono
in James Potter. Non credeva che fosse possibile, sino a poco tempo
prima, però una cosa andava ammessa: dall'inizio dell'anno
scolastico, gli unici che le fossero stati in qualche modo vicini
erano proprio James Potter e i suoi amici. Nessun altro si era
avvicinato a lei o forse era lei che non aveva permesso a nessun
altro di farlo.
Negli ultimi giorni, aveva trascorso parecchio tempo con i Malandrini
ed a stupirla era stata l'accoglienza di tutti e quattro: mai una
parola sul fatto che lei fosse lì con loro, mai una battuta.
Solo accoglienza, sorrisi, inviti a parlare da parte di tutti. Remus
che le teneva il posto a lezione, Peter che si premurava di occupare
cinque posti nelle ore dei pasti, Sirius che al mattino scendeva
sempre in Sala Grande con lei, accampando come scusa che loro due
erano i più lenti a prepararsi al mattino, l'una perchè
ragazza e l'altro perchè dormiva sino a quando Remus non lo
tirava giù dal letto a furia di tiri mancini. Poi James. James
che osservava tutto, spesso in silenzio, riuscendo con un cenno a
riportare l'ordine, a mettere tutti d'accordo, a farli sentire tutti
parte di qualcosa.
Vivere con i Malandrini le fece capire in fretta una cosa: quei
quattro erano più che amici, erano fratelli, erano una
famiglia e a tenerli insieme c'era proprio James Potter.
Non poteva dire di conoscerli o di essere grande amica di tutti e
quattro, semplicemente risultava chiaro che, se non ci fosse stato
Potter, probabilmente gli interi rapporti tra Remus, Sirius e Peter
sarebbero stati diversi. Era palese e, forse, essere giunta a quella
conclusione, la aveva aiutata anche a capire meglio per quale motivo
James fosse così popolare ed amato ad Hogwarts.
Se Sirius Black godeva di una certa fama per via del suo bell'aspetto
e della collezione di fidanzate vere o presunte che gli erano
attribuite, la popolarità di James aveva altre fondamenta,
dovute più che all'aspetto al carisma, al sorriso, alla
disponibilità ad ascoltare tutti e, perchè no, anche al
fascino del combinaguai, che mai guastava.
Dopo l'ennesima, lunga, estenuante e tremendamente noiosa lezione di
Antiche Rune, finalmente, la campanella suonò e Sirius Black
emise un sonoro sbadiglio.
Non credeva che cercare di imparare a leggere la metrica runica fosse
così spinoso, ma soprattutto ridicolo.
L'insegnante, il professor Greekholder, uno strambo mago che
trasudava naftalina da qualunque cosa gli appartenesse, fosse lui
stesso, i suoi vestiti o i suoi libri, li aveva costretti ad alzarsi
in piedi uno ad uno per leggere tre versi ciascuno della poesia di
quel giorno.
Inutile dire che Sirius Black non aveva capito nulla di accenti,
sillabe, parole tronche, sdrucciole, anafore, anastrofi e quant'altro
concernesse la poesia.
“Signor Black- aveva commentato il professore, che si ostinava
a dare del Lei ai suoi studenti- mi auguro per lei che si decida a
trovare il tempo di studiarla, la metrica, altrimenti il prossimo
anno agli esami la vedo in grande difficoltà. Prego, signor
Lupin, tocca a lei. Le spiacerebbe rileggere quegli amabili versi
così barbaramente storpiati dal suo compagno?”
Remus si era alzato in piedi e, preciso e perfetto come sempre, aveva
recitato la sua parte, sedendosi con uno sguardo soddisfatto e
maligno all'indirizzo di Sirius e guadagnando cinque punti per
Grifondoro.
“Ricordami per quale strano motivo al terzo anno ho scelto di
studiare Antiche Rune, Lunastorta, per favore.” si lagnò,
melodrammatico, Sirius, raccattando alla svelta le sue cose per
uscire dall'aula il più in fretta possibile.
“Perchè l'ho scelta io e tu e James eravate convinti che
vi avrei passato le versioni.” rispose, perfettamente calmo e
rilassato, Remus, seduto una fila davanti a lui.
“Povero me! Ero ancora così ingenuo da pensare che tu
fossi buono e pieno di compassione per i più bisognosi, Remus.
Dammi retta, Evans, questo qui è un mascalzone della peggior
specie.” commentò Sirius, rivolto a Lily Evans che,
ormai, sedeva abitualmente accanto a Remus.
Lily si limitò a sorridere, senza sapere bene cosa rispondere:
Sirius Black la metteva sempre a disagio, nonostante lui si mostrasse
sempre amichevole.
“Sì, Lily, Remus sembra tanto buono, ma quando ci si
mette è davvero infido.” concordò Peter,
infilandosi la tracolla.
“Pensa che qualche volta ci ha anche passato i compiti
sbagliati perchè non continuassimo a pressarlo.”
aggiunse.
“Davvero hai fatto una cosa simile, Remus? Non credevo fossi il
tipo!” esclamò Lily, sempre più meravigliata
dalle novità che ogni giorno scopriva.
Remus non si scompose e, mentre uscivano dall'aula, proclamò
che l'aveva fatto solo per forgiare il loro carattere in modo tale
che imparassero a studiare, oltre che a combinare scherzi ai danni di
Gazza e che, comunque, l'aveva fatto al terzo anno.
“La verità, Lily, è che Remus è un po'
come quei distributori di merendine che avete voi Babbani... sai
quelli che ci sono nelle stazioni, ad esempio.”intervenne
James.
“Ma è come uno di quelli guasti, solo che non c'è
fuori il biglietto. Per cui tu inserisci i soldi e lui in cambio non
ti da niente.” aggiunse Peter.
“Insomma, è uno di quei distributori di merendine che ti
fregano i soldi. Per inciso, Lunastorta, non è una cosa di cui
andare fieri, sai?” precisò Sirius, mentre tutti
ridevano. Remus si era fatto tutto rosso ed aveva iniziato a tirare i
libri in testa agli amici, che non si fecero cogliere impreparati, ma
anzi, ingaggiarono una lotta in mezzo al corridoio, iniziando a
tirarsi addosso libri, palle di pergamena, inchiostro.
Attorno a loro si era formato un crocchio di gente, interessata a
capire fino a che punto si sarebbero spinti i Malandrini quella
volta.
Lily osservava la scena, in disparte, sorridendo. Qualche mese prima
sarebbe forse corsa lì in mezzo, minacciando punizioni
esemplari e togliendo punti con la sua carica di Prefetto o, più
probabilmente, se ne sarebbe andata, etichettandoli come quattro
depravati.
Ora, invece, li osservava giocare e ridere come dovrebbero fare tutti
i ragazzi di diciassette anni. Stavano solo giocando. Non c'era alcun
bisogno di intervenire, sebbene gli occhiali di James fossero sporchi
dell'inchiostro lanciato dalla boccetta di Remus, Peter fosse steso
per terra dal solletico che gli stava facendo Sirius, mentre James e
Remus si accordavano per affatturarlo.
“La McGranitt, la McGranitt!” iniziò a sussurrare
qualcuno, facendo sì che ben presto la folla si disperdesse.
La professoressa di Trasfigurazione marciava per il corridoio con
sguardo severo.
“Signor Potter, signor Black, signor Minus e signor Lupin,
smettetela subito!”intimò, separandoli con un
incantesimo.
“Non è come pensa, professoressa!” esclamò
subito Sirius, alzando le mani per fare un ultimo gestaccio a Remus.
“Le assicuro che Black ha ragione. Non è assolutamente
come pensa!” lo appoggiò prontamente James.
“Sì, sì. Noi stavamo solo aiutando Remus.”
convenne Peter, balbettando.
La McGranitt si voltò verso Remus, pronta a sentire l'ennesima
scusa.
“Esattamente, professoressa. Hanno ragione: mi è esplosa
la boccetta dell'inchiostro, ecco perchè le lenti di Potter
sono sporche. Mi è esplosa la boccetta e... e loro mi hanno
aiutato a rimettere dentro l'inchiostro che aveva macchiato i libri
perchè Sirius da qualche parte ha letto che... che... che se
si strizzano bene le pagine si riesce a far uscire l'inchiostro e a
rimetterlo nella boccetta. E se Potter e Minus brandivano una piuma
non era per usarla a mo' di spada, assolutamente, era solo perchè...
perchè poteva aiutare a rimettere dentro l'inchiostro. Già.
Sì, aiutava davvero.” raccontò Remus, serio ed
impettito, mostrando a tutti la sua faccia di tolla.
“Una storia davvero interessante, signor Lupin, veramente. Sono
costernata di non poterti credere, questa volta, ma avete l'evidenza
dei fatti che vi smentisce. Quindici punti in meno a Grifondoro e
tutti e quattro nel mio ufficio dopo cena.” li avvertì
la McGranitt.
“Ma prof! Siamo della sua Casa! Non è giusto che tolga
sempre i punti a Grifondoro!” si lamentò Sirius.
“Ti sono mai parsa parziale, Black?” lo interrogò.
“No! Appunto per questo! Toglie sempre i punti a noi! E'
parziale solo in questo!” proseguì, imperterrito.
“Chiedetevi perchè, Black.”
“Non potremmo raggiungere un compromesso, tipo... un giorno di
punizione in più e niente punti in meno?” propose
furbamente James.
La McGranitt sembrò pensarci un po' su, ma poi scosse decisa
la testa.
“No, signor Potter. Voi quattro in punizione insieme sembra che
vi divertiate. E' più saggio da parte mia togliervi i punti. E
ora, muoversi che è ora di pranzo.” la professoressa li
degnò di un'ultima occhiata, prima di voltarsi verso Lily, che
aveva assistito ai goffi tentativi dei Malandrini di limitare i
danni.
“Oh, signorina Evans, ci sei anche tu? Mi meraviglio di te!
Avresti dovuto intervenire, sei pur sempre un Prefetto!” la
professoressa non risparmiò la predica neppure ad una delle
sue allieve più brillanti.
“Mi scusi, non mi ero accorta di cosa stessero
facendo.”borbottò Lily.
“Me ne sono accorta, Evans. Adesso basta, però, via di
qui tutti e cinque, subito.” li spronò, vedendoli
allontanarsi insieme.
“Mica male, Lily: inizi a passare del tempo con noi e
cominciano le sgridate. Che sia tutto direttamente proporzionale?”
rise Sirius.
“Bè, quella di oggi è stata una nuova
esperienza!” esclamò Lily, sorridente.
“Hai uno strano concetto di nuova esperienza, Lily.”
commentò Peter, che era abituato da sei anni a nuove
esperienze.
“Stavo pensando... la McGranitt non ha detto niente sul fatto
che anche tu fossi un Prefetto, Remus.” osservò Lily.
“Sarà abituata a considerarmi un Prefetto
particolare...” disse Remus, allegro e per niente preoccupato
al pensiero di una nuova punizione.
“Probabilmente sa che, se succede qualcosa a scuola e io Sirius
siamo in mezzo, anche Remus ha fatto la sua parte. Si sarà
rassegnata. Ma è così che ti vogliamo, Remus, ricorda:
infimo, maligno, ingannatore.” rise James. Rideva sempre,
James, si ritrovò a pensare Lily.
Raggiunsero la Sala Grande per il pranzo e si sedettero al tavolo di
Grifondoro. Lily vide Sirius distogliere in fretta lo sguardo dal
tavole dei Serpeverde: sapeva che non andava d'accordo con suo
fratello, lo sapevano tutti ad Hogwarts e lei sapeva bene quanto
potesse fare male.
Anche James se n'era accorto, per questo riportò
immediatamente la conversazione sul Quidditch, argomento che non
rischiava di procurare alcun danno a nessuno.
“Oggi pomeriggio pensavo di passare da Hagrid, dopo le
lezioni.” disse Lily, al termine del pranzo.
“Noi siamo andati ieri, te l'avevo detto, ricordi? Per farci
aiutare con quel compito di Cura delle Creature Magiche che ci ha
dato Kettleburn: nessuno ne sa più di Hagrid, in quanto a
mostri.” le rispose Remus.
“Sì, mi ricordo che me l'avevi detto. Vi ha aiutato?”
“Per poco non ci faceva sbranare dal suo amico Aragog, in
compenso il nostro tema sulle Acromantule è meraviglioso.”
spiegò Sirius, la cui mano portava i segni del recente
incontro ravvicinato con un essere a dir poco disgustoso.
“Chi è Aragog?” chiese Lily, senza capire perchè
Sirius associasse un tema sulle Acromantule ad un certo Aragog che, a
quanto pareva era amico di Hagrid.
“Vuoi dire che non ti ha mai parlato di Aragog?” si
intromise Peter, che ancora tremava al pensiero di quello che aveva
visto il giorno prima.
“Peter, a noi ne ha parlato per caso e solo perchè aveva
l'influenza e lui era preoccupato.- precisò Remus- Non è
strano che Lily non lo sappia.”
“Allora, mi volete dire chi è Aragog?” chiese di
nuovo Lily.
“E' l'animaletto da compagnia di Hagrid. Un ragno un po' troppo
cresciuto.” disse James, a bassa voce, all'orecchio di Lily.
“Oh Santa Morgana! Non mi starete dicendo che...” Lily
non fece in tempo a finire di parlare che le giunsero quattro cenni
d'assenso.
“Qui a scuola!” esclamò
Altri quattro cenni d'assenso.
“E Silente?”
I Malandrini annuirono di nuovo.
“Sono sempre più contenta di aver scelto Aritmanzia
anziché Cura delle Creature Magiche.” convenne pratica,
in un sospiro, lasciando che gli altri ridessero di lei.
“Ti accompagno io da Hagrid, se ti va.” si offrì
subito James.
“Ieri avevo gli allenamenti, non sono andato con loro, il mio
tema è ancora da iniziare.” aggiunse, a mo' di scusa.
Lily annuì. Non aveva pensato che James volesse venire, ma
andava bene così.
“Stai tranquilla. Non permetterò che ti porti nella
Foresta. Non avremo alcun incontro ravvicinato con la bestia.
Promesso.” giurò James.
Attesero la fine delle lezioni per raggiungere la capanna di Hagrid,
che si ergeva ai confini della Foresta Proibita.
“Ero serio, prima.” disse James
“Quando dicevo che non avrei permesso che ti portasse nella
Foresta Proibita.” precisò.
“Lo so.” gli sorrise Lily, incoraggiante, mentre la
capanna del guardiacaccia si faceva sempre più vicina.
“Quante volte ci siete stati tu e gli altri?” domandò,
con la netta sensazione che la gita del giorno prima non fosse una
novità per i Malandrini.
“A dire la verità ogni tanto ci passiamo. Vieni, siamo
arrivati” rispose James.
Hagrid li accolse a braccia aperte e, tra una tazza di tè ed
un biscotto stantio che Lily non osò rifiutare, disse loro
quanto fosse felice di vederli insieme.
Sfortunatamente Hagrid non mancò di sottolineare la sua
antipatia per Severus Piton con qualche commento poco piacevole, che
portò Lily a dare delle frettolose ed imbarazzate risposte.
James, intuendo che la situazione stava prendendo pieghe spiacevoli,
si mise a parlare del suo tema, richiedendo la consulenza di Hagrid.
Hagrid spiegò che non poteva portarli nella Foresta, perchè
i figli di Aragog non avevano preso bene la recente visita di Remus,
Sirius e Peter pertanto spiegò che, se ci tenevano a
conoscerlo, avrebbero dovuto aspettare la fine della scuola o, ancora
meglio, la ripresa in autunno.
Così James prese malamente appunti sull'infanzia di Aragog per
non deludere Hagrid, che trascorse la successiva mezz'ora a
raccontare di come aveva cresciuto l'Acromantula.
“Credo che dovremmo andare, Hagrid, è quasi ora di
cena.” disse James, fissando il cielo oltre il vetro della
finestra.
Hagrid annuì e li accompagnò alla porta.
“Tornate in fretta! Non è bene stare fuori di questi
tempi!” si raccomandò, chiudendo la porta solo quando
non riusciva più a scorgere le loro sagome.
“Penso che il mio tema sarà un riassunto dell'Opera
Omnia di Remus.” osservò James.
“Magari potresti passare in Biblioteca.” gli suggerì
Lily.
“Non ho tutto questo tempo, questa notte. Userò il tema
di Remus, di certo a Kettleburn non interessa sapere come Aragog si
divertiva nei pomeriggi di infanzia.” rispose James, ripensando
a tutte le assurdità che aveva appena narrato Hagrid.
Lily era rimasta scandalizzata, sul momento, sapendo cosa aveva fatto
Hagrid: la sua passione per i mostri non le era sconosciuta, però
tra l'amare i Kelpie e l'allevare Acromantule c'era una significativa
differenza.
Ad ogni modo, bastava pensare a quanto Hagrid fosse buono, per
scacciare ogni dubbio.
Camminavano verso il castello e Lily sentiva sempre di più
l'esigenza di porre una domanda a James.
Non riusciva più a tenersela dentro, nonostante fossero giorni
che ci provasse.
Strizzò gli occhi e si fece coraggio.
“Cosa hai pensato di me al primo anno, James?” chiese.
“Cosa ho pensato di te? Perchè me lo chiedi?” rise
James, alzando la testa e rimettendosi gli occhiali che aveva appena
finito di pulire.
“Sì. Cosa hai pensato di me. Voglio saperlo. Voglio
capire che impressione ho fatto alla gente.” ribadì
Lily, seria. Voleva sapere se l'etichetta di strana le era stata data
immediatamente o, se, invece, come credeva, lei avesse contribuito a
crearsela.
James, per tutta risposta, si sedette in riva al lago.
“Serve la giusta concentrazione, per risponderti.” si
scusò James, per giustificare se stesso seduto tra l'erba.
Lily prese posto accanto a lui, senza demordere.
“Ho pensato- iniziò, rispondendo agli occhi verdi che lo
fissavano ansiosi- che fossi strana. E anche un po' bisbetica e
petulante. Però eri una bambina molto carina.” precisò,
ridendo.
Non ricordava molto di quello che vide quel giorno, solo tanti
lunghi, lisci e fini capelli rossi. Rossi, non carota. Rossi. Si
ricordava i capelli rossi di Lily, non aveva fatto caso a quanto i
suoi occhi fossero grandi e verdi. Se n'era accorto solo dopo.
“Oh. Non credo di aver fatto una buona impressione.”
sospirò Lily.
Strana. Anche James la reputava strana.
Strana. Un 'etichetta che mai si sarebbe levata di dosso. Strana.
“Fammi finire di parlare, almeno! Considera che la prima volta
che ti ho visto, era quando, sull'Espresso, discussi con Piton per
quella storia delle Case. E tu eri con lui, è ovvio che mi
sembrassi antipatica allo stesso modo. Poi sono passati gli anni e ti
ho visto studiare con impegno, ho visto la tua intelligenza e la tua
gentilezza nei confronti di tutti. Non avevi amici, ma eri gentile e
disponibile con chiunque ti chiedesse una mano, con chiunque ti
dicesse qualcosa. Lo eri persino con me, all'inizio. Solo due cose
non mi erano chiare: il perchè fossi sempre con Piton e il
perchè ti chiudessi al mondo. Non mi sei mai sembrata felice,
Lily, sbaglio?” chiese James, sagacemente.
Sperava di non toccare tasti dolenti, di non rovinare tutto, di non
farla arrabbiare. Ci teneva a meritarsi la fiducia che lei gli aveva
concesso e che, sapeva, poteva essere ritirata in qualsiasi istante.
Sapeva che ci occorreva molto per costruire un rapporto e che bastava
pochissimo per distruggerlo e, l'ultima cosa che voleva, era troncare
tutto sul nascere.
“Non è vero che non sono mai stata felice. Lo sono
stata. Anche se è stato un po' di tempo fa. Ora sono, come
dire... diversamente felice.” obbiettò Lily.
I complimenti che James le aveva rivolto le avevano fatto spuntare il
sorriso sulle labbra, ma non appena aveva nominato Severus, Lily si
era irrigidita. Sapeva di dover affrontare il discorso, ma non si
sentiva ancora pronta. Non con James, almeno.
“Diversamente felice.... un modo nuovo per dire triste, non
credi?” ribattè James.
Lily non rispose.
James voleva chiederle per quale motivo lei avesse sprecato anni
dietro a Piton, anni ad essere amica di uno che non nascondeva di
volersi unire ai Mangiamorte, anni a giustificare lui e i suoi amici.
Gli stessi anni che aveva trascorso a dare del borioso, arrogante
attaccabrighe a lui che, santo non era né pretendeva di
esserlo, ma se non altro non si divertiva a torturare o insultare la
gente per passatempo.
Non lo fece. Capì che Lily non avrebbe parlato e si disse che
c'era tempo. Avevano tanto tempo davanti.
“E tu? Cosa pensasti di me?” la incalzò, provando
a cambiare argomento e a mantenersi sul faceto.
Lily lo ringraziò con gli occhi, per aver capito.
“Lì per lì- rispose- mi desti parecchio fastidio.
Avevi l'aria del prepotente, dello sbruffone, di un bambino di
undici anni che vuole fare il grande. Poi... poi sono passati gli
anni e ti ho visto diventare quello che si capiva immediatamente che
saresti diventato: un popolare giocatore di Quidditch, accompagnato
da amici altrettanto popolari. Mi hai sempre messo in soggezione, mi
sono convinta che non potessimo mai ritrovarci ad avere una
conversazione civile o che, comunque, non avessimo nulla da
spartire. Questo è quanto.”
“E?” James si aspettava che proseguisse.
“E cosa?” chiese Lily, fissandolo negli occhi.
“E adesso sono ancora così orribile?” domandò
James, con precisione, un mezzo sorriso gli increspava le labbra.
“Non lo so. Ma non credo. E comunque non ho detto che eri
orribile. Solo lontano. Lontano da me.”
disse Lily, in un soffio. Lontani. Su due pianeti opposti, questo era
quello che Lily Evans e James Potter erano per tutti e che erano
anche per lei. Forse, l'unico a credere con testardaggine che non lo
fossero era proprio James.
“Adesso stiamo parlando. Forse non siamo più così
lontani.” puntualizzò James. Testardo, ostinato,
caparbio, non aveva mai aderito agli schemi.
“Magari ci accorgeremo di esserlo. O magari no.” sospirò
Lily, strappando violentemente dell'erba.
“Sei sempre così ottimista, Lily?” scherzò
James, prendendo sul palmo della mano l'erba che lei aveva distrutto.
Lily lo guardò, inclinando il volto.
“Posso fare anche di peggio, se è per questo.”
“Che Merlino me ne scampi, allora! Sembra che me li vada
proprio a cercare! Anche Remus e Sirius sono pessimisti, sai?”
rispose, ironico e pungente.
“Non è che sono pessimista. Sono semplicemente realista,
James. A volte le cose succedono, succedono e basta e non è
detto che succedano nel modo giusto. Sono più le volte che
vanno nel modo sbagliato e quindi è il caso di essere pronti,
no? Almeno si evitano potenziali delusioni.”spiegò Lily
calma e malinconica.
Dopo tante delusioni, dopo tante porte in faccia si diventa per forza
pessimisti, a volte mascherandosi di fronte ad un più consono
realismo. In realtà, Lily era del parere di poter vincere
qualsiasi tipo di competizione, in fatto di castelli in aria. Le sue
fantasie erano piene e radiose, semplicemente, aveva imparato che,
spesso, è meglio tenerseli per sé quei castelli, senza
concedere troppa fiducia alla gente che, di solito, non la merita.
“E' vero, ma per quanto uno si prepari, non è mai pronto
al fallimento e, in ogni caso, è sperare nel futuro che ci
manda avanti. Che cosa saremmo senza sogni e senza speranze, Lily?
Se, dopo una O in Pozioni non pensassi di poter far meglio e di
arrivare ad E la volta dopo, che ne sarebbe di te? Che cosa ti
manderebbe avanti? Se non pensassi che un giorno le tue fatiche
scolastiche ed i tuoi bei voti ti ripagheranno, permettendoti di fare
il lavoro che speri per quale motivo studieresti? E' l'aspirazione
per un futuro migliore che ci manda avanti, nient'altro. Senza questo
non si potrebbe vivere.” obbiettò James.
Lily lo aveva ascoltato affascinata: parlava con passione e
trasporto. Per quanto poco lo conoscesse, era rimasta immediatamente
colpita dalla passione che metteva in ogni cosa che facesse.
“Hai ragione. Niente di quel che facciamo ha senso se non ci
proiettiamo al futuro, ai nostri sogni e alle nostre aspirazioni. Io
stessa sono la prima che si perde in mille fantasie: Morgana sola sa
quanti sono i castelli in aria e i progetti che mi faccio
quotidianamente. Sono solo speranze o intenzioni, forse, ma sono
quello che mi permette di andare avanti. Quello che voglio dire,
James, è che piano piano impari a tenerteli per te, questi
castelli, per paura che qualcuno te li distrugga o per paura di
scontrarti con la realtà, sempre troppo aspra. Ti culli
nell'illusione, restando però ben piantato per terra,
consapevole che, difficilmente, le cose andranno come sogni. Ma non
per questo smetti di sperare o di impegnarti. Solo inizi a vedere più
nero che bianco.” concluse Lily alzando le spalle.
“Sarai mai felice, Lily Evans?” James moriva dalla voglia
di chiederglielo. Per tanti aspetti Lily aveva ragione e, più
le parlava, più si accorgeva di quanto fosse matura per la sua
età. Diciassette anni appena, lui, al suo confronto, si
sentiva molto più piccolo. Dov'era l'incoscienza di Lily?
Dov'erano i discorsi frivoli che facevano le ragazze? C'era qualche
traccia di tutto questo in Lily oppure no? Si comportava così
perchè era davvero fatta in quel modo o solo perchè la
vita l'aveva resa in quel modo? James optò per la seconda.
Sentiva che in Lily c'era di più, molto di più.
“L'importante è andare avanti per la propria strada,
cercando di raggiungere i propri obbiettivi. Una buona dose di
realismo non fa mai male, ma una ancora più grande di
ottimismo è quella che manda avanti. Non dicono sempre che il
mondo è di chi sa rischiare?” chiosò James,
retorico.
“Sì. Il mondo è di chi sa rischiare e credere nei
propri sogni. Solo che a volte si è troppo vigliacchi per
farlo. Non sto parlando di me, preciso, ma in generale.”sospirò
Lily.
“Ti ammiro James. Tu sei uno che raggiungerà tutto
quello che vuole. Forse è per questo che mi infastidivi. Hai
stampato in fronte che potresti raggiungere qualsiasi obbiettivo.”
aggiunse.
James chinò il capo, deferente.
“Grazie. Ma anche tu, Lily, so che sei in grado di raggiungere
qualsiasi obbiettivo. Sei destinata a grandi cose, Lily Evans!”
concluse, imitando Lumacorno e facendola ridere.
“Grazie, James.” riuscì a dire, Lily.
“E di cosa?” fece lui, convinto che si riferisse
all'averla accompagnata da Hagrid.
“Sono stata bene, oggi. E mi ha fatto piacere parlare con te.”
spiegò, imbarazzata, con gli occhi bassi,coperti dai capelli,
e le guance imporporate.
“Anch'io, sono stato bene. Ci stupiremo l'un l'altro, Lily,
credo. Ad ogni modo, mi viene in mente che ho infranto una promessa.”
cominciò James.
“Quale?” chiese Lily, rialzando lo sguardo e sgranando
gli occhi verdi.
“Ti avevo promesso che ti avrei lasciato in pace, Lily Evans.”
le ricordò James.
“Ti ho permesso io di infrangerla, non credi?” gli fece
notare Lily.
“O forse me lo sono preso da solo, il permesso. Ti dispiace che
l'abbia fatto?” domandò James, incontrando i suoi occhi.
“No. Non mi dispiace e non me ne pento. Per adesso, va bene
così.”concluse Lily.
“Non ti dispiacerà neanche in futuro. Te lo prometto.
Dai, ora vieni. E' quasi tempo di cenare.” James si alzò
in piedi e le offrì la mano perchè facesse altrettanto.
Lily sorrise ed accettò, incamminandosi con lui verso il
castello.
“Sai James, mi sono accorta di una cosa, in questi giorni...”
incominciò Lily, ridendo da sola, al pensiero di quello che
stava per dire.
“Cioè?” chiese incuriosito James, aggiustandosi
gli occhiali sul naso.
“Che il tuo accento scozzese è qualcosa di tremendo,
l'avevo già notato, ma adesso devo ammettere che talvolta è
inudibile. Senza offesa, eh!” esclamò Lily,
scoppiandogli a ridere in faccia, di fronte alla sua espressione
stupita.
James aveva aggrottato le sopracciglia ed aveva espresso il suo
disappunto in una smorfia contrita.
“Sono Scozzese e fiero di esserlo! E comunque, per la cronaca,
tu parli esattamente come Sirius: voi e vostro accento Cockney... Vi
rende così dannatamente Inglesi!” la voce allegra di
James calcò sull'avverbio enfatizzando la frase.
“Mash-terr
Pah-tah!”la voce di Lily si fece più nasale per imitare
il professor Greekholder, il loro insegnante di Antiche Rune,
Londinese fino al midollo.
James scoppiò a
ridere. Greekholder lo chiamava proprio in quel modo.
Aveva visto giusto. In
Lily Evans c'era di più, molto di più. Doveva solo
uscire.
“Merlino, Lily, sei
uguale, fai quasi paura! E comunque, uno con quell'accento non
dovrebbe insegnare Antiche Rune, storpia tutto!” esclamò
James, ridendo per l'imitazione.
“Però è
un buon professore, accento a parte... che poi... parlo anch'io così?
Ogni tanto mi chiedo se gli altri sentono il mio accento così
come io sento il loro.” disse Lily.
“Io lo sento. Lo
sento perchè sono Scozzese. Sento le tue parole bofonchiate
con una patata in bocca così come tu senti le mie R marcate.
Ma ripeto, io lo sento perchè sono Scozzese. Probabilmente,
nel resto d'Europa, non farebbero caso al tuo accento, che è
considerato il vero accento Britannico, più o meno. Invece, se
parlassi io, tutti mi punterebbero il dito contro gridando
scandalizzati “Ah! Quello è Scozzese!” James
camuffò la voce e fece di tutto per esprimere il suo
sconcerto, lasciando Lily libera di ridere.
James la vide ridere e
non potè fare a meno di fermarsi a guardarla: non riusciva a
stare ferma, mentre rideva, anzi, sembrava quasi che saltellasse,
mentre muoveva la testa in su e in giù.
Lily si accorse che James
la stava fissando e cercò di darsi un contegno.
“Scusami. Lo so che
non sono capace di stare dritta o di ridere in modo normale. Non
volevo imbarazzarti.” si scusò timidamente, colpita da
un enorme senso di inadeguatezza.
James la guardò e
sorrise teneramente.
“Non dovresti
scusarti. E' stato... bello. Davvero.” ribadì alle sue
occhiate perplesse.
Lily lo guardò
negli occhi e sorrise. Era sincero.
Sai James, credo di farmi
troppo spesso problemi altamente inutili. Il guaio è che
talvolta mi arrovello parecchio, per conclusioni inutili di questo
genere.”osservò Lily, che aveva appena riacquistato la
posizione eretta, tornando a camminare al fianco di James.
“Me ne parlerai, un
giorno, di questi tuoi problemi inutili?” domandò cauto
James, misurando il tono della voce.
Lily lo guardò e
poi abbassò gli occhi.
“Forse.”
rispose.
James le cercò gli
occhi. Per il momento gli bastava quello.
Camminavano svelti, senza
parlare. Il castello era vicino, stavano attraversando il parco.
Cercavano di fare i
fretta, convinti che Remus stesse costringendo Peter e Sirius ad
aspettarli per cena.
Erano poco lontani da una
quercia alle cui radici sedevano Avery, Mulciber e i due Nott.
Severus Piton era con loro, ma se ne stava per gli affari suoi, senza
parlare.
Rachel Nott aveva appena
finito di malignare qualcosa all'indirizzo di Lily ed ora rideva
sguaiata.
James accelerò il
passo, nella vana speranza che Lily non si fosse accorta di niente.
Lily fece altrettanto.
“Ehi Potter, dopo
ibridi e traditori del sangue te la fai con le Sanguesporco ora?”
gridò Mulciber, mentre Lily e James stavano passando davanti,
facendo ridere i suoi amici.
James strinse le nocche
così forte da farsi male, Lily gli fece cenno di ignorare.
“Evans, credi forse
di poter mettere quelle tue sudicie mani sui soldi di Potter?”
la incitò, sprezzante, Rachel Nott.
Lily impallidì,
quelle parole la colpivano di più dell'insulto di
Sanguesporco.
James afferrò la
sua mano e la strinse forte.
“Andiamo, Potter,
che aspetti? Non provi nemmeno a difendere la l'onore della tua
Sanguesporco?” le parole di Avery, dette con disprezzo, fecero
sì che la mascella di James si irrigidisse.
James si fermò e
fece per voltarsi, ma la mano di Lily, intrecciata alla sua, lo
strattonò via.
“Aspetti forse che
ti aiuti papà, Potter? Ah già, non può. E'
morto.” le parole di Severus Piton, che aveva abbandonato il
suo libro per unirsi agli amici, erano pesanti come massi.
James lasciò la
mano di Lily, la quale guardò con disprezzo colui che era
stato il suo migliore amico.
“James!”
gridò, mentre lui, senza bacchetta, correva addosso a Piton
pronto a lottare.
Severus Piton aveva
varcato una soglia che mai andava oltrepassata.
Salve a tutti, spero
che anche questo capitolo sia di vostro gradimento: spero di essere
riuscita a delineare al meglio l'inizio di un 'amicizia tra Lily e
James, spero che riconosciate in essi Lily e James. Vi lascio così,
in sospeso ma non troppo, augurandomi di ritrovarvi tutti al prossimo
capitolo, che prevedo ricco di rivelazioni perchè i nodi,
prima o poi, vengono tutti al pettine.
A presto e grazie a
tutti quanti.
Alohomora:
avevo anticipato che saremmo tornati sulla vicenda di Dorea e, in
particolare, sui suoi rapporti con la famiglia Black, perchè
se quella Dorea che ha sposato Charlus Potter è davvero la
madre di James, un interrogativo sorge spontaneo: come è
possibile che lei abbia tagliato tutti i ponti con i Blak, tanto da
crescere suo figlio in modo completamente diverso e da accogliere
Sirius, Black rinnegato? E' solo un'ipotesi la mia, ma mi rendo conto
che mi ci sto affezionando parecchio, a questa Dorea.
PrincessMarauders:
ricordati il nome di Alshvider Lyartangen! Tornerà in futuro,
magari non in un futuro prossimo, ma tornerà. Sono contenta
che la storia di Dorea ti sia piaciuta, di certo la presenza di
Cassiopeia ha avuto influenze sulla famiglia Potter e, come detto più
sopra, come mai Dorea Black, sposata a Charlus Potter, non ha avuto
più rapporti con la sua famiglia? E' solo una spiegazione, la
mia, ma per il momento, mi piace credere che sia andata così.
purepura:in
realtà è stato complesso anche per me riuscire a
tracciare una sorta di mini- albero genealogico delle parentele dei
Black, però, come ho spiegato sopra, oltre ad essermi
emozionata nello scrivere la storia di Dorea e delle sua famiglia, ho
cercato di riflettere su quei due nomi che compaiono sull'arazzo dei
Black: Dorea Black sposata a Charlus Potter. Se sono i genitori di
James, come mai James è cresciuto in un ambiente molto lontano
da quello dei Black?
MEISSA_S:
immaginavo che un capitolo simile ti interessasse e ti stimolasse, in
realtà non era programmato, ma è uscito così e,
in fondo, mi ci sto affezionando a Cassiopeia, ad Alshvider, a Cygnus
il filosofo e a Violetta la pittrice...
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Capitolo 20 *** Diciannovesimo Capitolo ***
Capitolo Diciannovesimo
If you hate the taste of
wine Why do you drink it till you're blind? And if you swear
that there's no truth and who cares How come you say it like
you're right? Why are you scared to dream of God When it's
salvation that you want? You see stars that clear have been dead
for years But the idea just lives on... *
-Bright Eyes, We Are
Nowhere and it 's now-
* Se odi il gusto del vino
perchè bevi fino ad
essere cieco?
E se giuri che non c'è
nessuna verità e che a nessuno importa
come arrivi a dire di
avere ragione?
Perchè hai paura a
sognare di Dio
quando la salvezza è
quello che vuoi?
Vedi le stelle che
chiaramente sono morte da anni,
ma l'idea semplicemente
sopravvive...
“James!”
ripetè Lily, questa volta più forte.
“James!”
urlò ancora, con quanta voce aveva in gola, mentre le ginocchia
crollavano, portandola a terra, coi capelli vermigli ad impedirle di
vedere.
James
sembrava non ascoltare, o meglio, non sentire o, se anche aveva
sentito, l'ultimo suo pensiero era tornarsene indietro.
Con
furia cieca si era diretto contro i Serpeverde, incurante del fatto
di essere senza bacchetta.
Severus
Piton era di fronte a lui e James non ci mise molto a mettergli le
mani sotto al collo, mentre gli altri, Avery, Mulciber e i fratelli
Nott si preparavano a gustarsi una divertente scenetta.
“Che
cosa hai detto, pitocchio? Che cosa hai detto?” ringhiò contro a
Piton, afferrandolo violentemente per la collottola e scuotendolo.
Piton
gli sputò in un occhio.
L'espressione
di James divenne, se possibile, ancora più feroce e non ci mise
molto a sbattere Piton contro al tronco della quercia vicina.
“Fottuto
bastardo che non sei altro. Mi fanno schifo quelli come te. Schifo,
lo sai?” gli soffiò nell'orecchio.
Piton
non aveva tradito ancora una minima smorfia di dolore, nonostante la
forza con cui James l'aveva colpito fosse indubitabile.
Inclinando
il labbro, come a deridere Potter una nuova volta, Piton riuscì a
tirare fuori dalla tasca la bacchetta, puntandola alla gola di James.
“Chi
è che comanda adesso, Potter?” sogghignò.
James
arretrò istintivamente.
“Cos'è,
senza i tuoi amichetti non sei in grado di difenderti?”Mulciber si
avvicinò a lui con la bacchetta sguainata, seguito da Avery e Nott.
Soltanto la sorella di Nott era rimasta in disparte, a godersi la
scena con un sorriso malvagio stampato in fronte.
Lily,
lontana da loro, riusciva soltanto a sussurrare il nome di James come
una nenia, fissando Severus Piton avanzare nella sua direzione.
Come
aveva potuto? Come aveva potuto, lui che per primo sapeva cosa
significava crescere senza un padre, senza una famiglia che potesse
essere definita tale?
“Non
mi fai paura, Mulciber.”lo sfidò James, scampando ad un primo
raggio luminoso.
“Tu
dici, Potter? Avanti, tira fuori quella bacchetta o non sai che cose
possono capitare alla tua Sanguesporco...”
Senza
farselo ripetere due volte, James si scagliò contro Mulciber.
“Devi
volere proprio bene a tuo padre, eh Potter? Sembra che il tuo unico
desiderio sia di finire i tuoi giorni in un modo miserabile come
lui...” commentò Nott lanciando una fattura contro a James che
cadde a terra, senza potersi muovere né difendere.
“Non
credo che tu conosca l'intensità di un sentimento simile, sai? O
forse sì, semplicemente mi fa pena il fatto che lo provi per un
pazzo che si fa chiamare Oscuro Signore!” lo schernì James,
disgustato.
Raggi
luminosi partirono dalle bacchette, colpendo James sul petto, sulla
testa, sulle gambe.
Il
giovane si divincolava, urlando, gridando maledizioni, senza potersi
muovere da lì.
Lily
osservava la scena, impietrita, mentre la sagoma di Severus Piton
lasciava il gruppo.
Gli
occhi verdi di Lily, carichi di lacrime represse, indugiarono a lungo
sul viso magro e lungo di colui che era stato il suo migliore amico.
Severus
Piton tirò dritto, sottraendosi a quegli occhi che continuavano a
tormentarlo peggio di un incubo che solo la vista di James Potter
agonizzante era riuscito ad alleviare.
Doveva
fare qualcosa, doveva fare qualcosa. Doveva portarlo via, l'avrebbero
ucciso, ne era sicura.
Era
da solo, disarmato. L'avrebbero ucciso.
Lily
se lo ripeteva, cercando di afferrare la sua bacchetta, senza
trovarla, senza che la sua presa potesse avere effetto sul legno.
Ma se
anche ci fosse riuscita, se anche si fosse decisa a prendere in mano
la bacchetta e a lanciarsi nella mischia, cosa sarebbe cambiato?
D'un
tratto scorse il tetto della capanna di Hagrid, alla sua sinistra.
Forse avrebbe potuto andare a chiamarlo, forse ce l'avrebbe fatta.
Forse era ancora in tempo.
“James.
James. James.”mormorava, come un delirio.
Di
scatto alzò una gamba, rimettendosi presto in piedi.
Prese
a correre, guadagnando terreno su Rachel Nott che la seguiva.
“Hagrid,
Hagrid!” strillò, in direzione del Mezzogigante che veniva nella
sua direzione. Doveva aver visto o sentito qualcosa.
“Lily,
Lily! Dov'è James?” chiese preoccupato Hagrid.
Lily
gli indicò la quercia sotto cui si era riunito il gruppo ed Hagrid
di corsa giunse in aiuto di James.
Lily
non riuscì mai a ricordare i momenti che seguirono con lucidità.
Vedeva
Hagrid, che riuscì a tirarli via, a separarli da James che, sebbene
ferito e disarmato , stava continuando a lottare come un leone.
Vedeva
i Malandrini, materializzatisi da non si sa bene dove, accorrere
spaventati. Vedeva Sirius aiutare James a rialzarsi lanciando
improperi ai Serpeverde, Peter usare le sue braccia per sostenere
James, Remus dotato del suo immancabile sangue freddo ordinare agli
altri di portarlo il più velocemente possibile in dormitorio, senza
farsi vedere da nessuno per non incorrere in una punizione.
Niente
Madama Chips, avrebbero fatto tutto loro, come al solito.
Vedeva
James, rialzarsi tossendo sangue e i Serpeverde ridere della sua
condizione, mentre rientravano al castello, scortati da Hagrid.
Ricordava
il calore dell'abbraccio di Remus, impensierito dalla sua condizione.
L'aveva
stretta forte, chiedendole probabilmente come stava o cosa era
successo.
Lily
non seppe mai se gli aveva risposto oppure no e, qualora gli avesse
risposto, cosa gli avesse detto.
“Vigliacca,
vigliacca, vigliacca.” questo rimbombava nella sua testa, assieme
alla certezza che, se fosse dipeso interamente da lei, probabilmente
James sarebbe morto.
DORMITORIO MASCHILE DI
GRIFONDORO
“Sirius, sai dov'è Lily?” chiese James, liberandosi in fretta
dalle premure di Remus che lo stava costringendo sul letto con un
batuffolo di cotone premuto sulle labbra.
Sirius scosse la testa: aveva perso di vista Lily quando erano
riusciti a tirare via James.
“Ho visto che c'era anche Piton, quindi, forse, aveva bisogno di
stare sola per pensare un po'.” ipotizzò Peter, che fissava James
con occhi ansiosi. Era preoccupato, molto preoccupato.
“Voglio andare da lei.” disse James. Voleva spiegarsi, farle
capire che lui non aveva cercato lo scontro a tutti i costi, ma gli
era stato impossibile agire diversamente.
Non poteva restare fermo di fronte ad una cosa simile
“Non so se sia una buona idea.” obbiettò Remus, ritirando in un
cassetto del comodino la lozione medicante e le garze: quasi sei anni
di vita malandrina l'avevano reso un esperto nello svaligiare le
dispense dell' Infermeria.
“Perchè?” domandò James, nervoso, guardando il cotone bagnato
di sangue.
“Magari ha voglia di stare da sola. Di stare da sola e
pensare.”spiegò Remus.
“Ma se continui a stare da solo a pensare, non risolvi molto.”
intervenne contrariato Sirius, passandosi, nervoso, una mano sulla
faccia.
Remus lo investì con un'occhiata da
“senti-da-pulpito-viene-la-predica”.
“E' vero!” esclamò nervoso Sirius, afferrando la sua giacca di
pelle che aveva disordinatamente appoggiato sul letto.
“Dove stai andando?” Peter lo guardò severamente: l'ultima cosa
che ci voleva in una giornata come quella era la tipica mattana alla
Sirius Black, tutto fumo e niente arrosto.
“A cercare Lily, perchè se non lo faccio io non lo fa nessuno.”
grugnì Sirius, aprendo la porta.
Remus alzò gli occhi al cielo, James fece per alzarsi ma fu bloccato
dalla pesante stretta di Lunastorta mentre Peter volgendo lo sguardo
da loro alla porta, scuotendo la testa si lanciò all'inseguimento di
Sirius.
“Perchè mi hai fermato, Remus?” si lamentò James, costretto
alla sedia da un Impedimenta lanciatogli contro dall'amico.
“Perchè la tua testa ha bisogno di medicazioni tanto quanto Lily
ha bisogno di te.” gli rispose, passandogli la garza bagnata per
un'ultima volta.
“Andrai da lei, James. Solo fammi finire qui.” aggiunse.
“Sono l'idiota più emerito che ci sia, Remus.” sbuffò James.
“No.”- lo contraddisse Lunastorta afferrando la boccetta di
Dittamo contenuta nel suo comodino- “Sei solo impulsivo. E comunque
non credo che Lily sia arrabbiata con te. Sarà arrabbiata con se
stessa ora.” gli spiegò, coprendogli ogni graffio di Dittamo.
“Per via di Piton e di tutta quella storia dici?” James scostò
istintivamente il braccio: le ferite bruciavano al contatto con
l'unguento.
Remus annuì.
“E' già difficile uscirne e lei ci sta riuscendo solo adesso ed
ora, ora sente quello che sente da Piton, da quello che era il suo
migliore amico. Voglio dire, sapeva perfettamente già da prima come
lui si comportasse o cosa pensasse di te, però un conto è pensarlo,
un conto è sentirlo con le proprie orecchie. Se poi aggiungi che non
mi risulta che si siano mia parlati dall'anno scorso, insomma, le
prime parole che sente dire dal caro Mocciosus sono queste, quindi
può farle tutto fuorchè piacere.” convenne pratico, Remus.
James annuì, pur
sentendo dentro di sé la spiacevole sensazione di aver fatto
qualcosa di sbagliato. Che poi, a pensarci bene, non aveva fatto
niente di così sbagliato: aveva risposto ad una provocazione, anzi,
a quello che andava ben oltre una provocazione. Chiunque l'avrebbe
fatto al suo posto, aveva ragione, era così davvero e allora perchè
si sentiva così dannatamente sporco?
C'entrava Lily? Era
quello il motivo o sotto c'era molto di più? Centrava l'ombra di suo
padre che James sentiva sempre seguirlo?
Remus sembrò
intercettare i pensieri dell'amico perchè, sorridendogli, gli disse:
“Identifica pure la tua
coscienza con Lily, James. Se ti fa stare meglio, vai da lei;
comunque, sappi che, secondo me, non hai fatto niente di sbagliato.
E' inutile che facciamo finta di niente: ci sarà una guerra James e
allora dovremo combattere.” concluse grave, sedendosi sul letto di
fronte all'amico.
James annuì.
“Ci sarai, Remus...
voglio dire, sarai con me quando... quando sarà il momento?” James
ingoiò un groppone di saliva. Un anno e sarebbero stati catapultati
nel mondo, nel mondo vero e, che lo volessero o no, i segnali
puntavano tutti verso una stessa direzione. Silente lo ripeteva
sempre.
Diventare un buon Auror
era la sua aspirazione. Diplomarsi, entrare in Accademia ed andare a
combattere.
“Se si combatterà non
mi tirerò indietro, Ramoso. Lo sai, ho una bestia con me.” ghignò
Remus, per stemperare un po' la tensione.
James lo ringraziò con
gli occhi.
“Vado a farmi un giro.
Grazie per le tue amorevoli cure, lupacchiotto del mio cuore.”
James spedì un melenso bacio a Remus che, scuotendo la testa, lo
guardò lasciare la stanza.
James avrebbe prima di
tutto dovuto perdonare se stesso, smettendola di trascinarsi dentro
un peso che albergava in lui da mesi.
TORRE DI ASTRONOMIA
“Ehi...” Sirius aveva
salito le ripide scale della Torre di Astronomia in fretta, dopo
essersi ricordato improvvisamente di quella volta in cui Lily aveva
accennato alla Torre come ad un ottimo posto per stare soli a
pensare. L'avevano cercata in Sala Grande, in Sala Comune, nel Parco,
in Biblioteca, avevano persino mandato Peter a chiedere a Mary
McDonald di controllare se Lily era nella loro stanza.
Lily lo vide avanzare
piano, con passo incerto, impacciato ed imbarazzato. I capelli gli
uscivano dalla morbida coda in cui li aveva stretti senza successo, i
pantaloni erano sporchi di erba, ma Lily non si chiese il perchè.
Non si chiese neppure per quale motivo indossasse un giubbotto di
pelle, in verità. Lei sentiva l'aria scuoterle la pelle, ma non le
importava. Non si stava accorgendo nemmeno se fosse calda o fredda.
Sirius si fermò davanti
a lei, accucciata per terra, con le braccia ad abbracciarle le
ginocchia.
Insicuro sul da farsi, le
si sedette a fianco.
Lily non disse nulla,
lasciò solo che lui prendesse posto.
Sirius sbirciava di
nascosto il suo viso arrossato, gli occhi rossi, le guance bagnate
dalle lacrime.
“Come sta James?” fu
Lily a parlare per prima, un lieve tremito nella voce.
“Una pozione di Madama
Chips e un po' di cure da Lunastorta e passa tutto. James non si
lascia mettere sotto così facilmente.” rispose Sirius.
“Ho avuto paura,
Sirius. Ho avuto davvero paura. Avrebbero potuto fargli male sul
serio, se non fosse arrivato Hagrid. E io non riuscivo a fare
niente, Sirius, niente. Ero lì, paralizzata. Non ero in grado
nemmeno di afferrare la bacchetta.” spiegò Lily.
“Non è colpa tua,
Evans. Tu non c'entri niente.” replicò Sirius.
“E' stato lui Sirius.
E' stato lui.”disse Lily a voce rotta.
Non ce la faceva più a
trattenersi, poco importava che lì ci fosse Sirius Black: poteva
esserci anche qualcun altro che avrebbe fatto poca differenza, doveva
parlare con qualcuno.
Sirius si rizzò, sapeva
a cosa e a chi si riferiva Lily.
“E' un fottuto
bastardo, Lily. Solo un fottuto ed irrispettoso bastardo. Ci sono
cose che non vanno mai dette a nessuno e, se lo fai, significa non
conosci cosa sia il rispetto. Ma del resto, in quella Casa nessuno sa
cosa sia il rispetto.” commentò Sirius, carico di rabbia.
“Era il mio migliore
amico, Sirius. In un certo senso lo è ancora: capisci? Capisci cosa
ho dentro? Ti rendi conto che da giugno dell'anno scorso il mondo mi
è crollato addosso?” a Lily tremava la voce, nonostante i
singhiozzi fossero acuti.
“Ti capisco, Lily.
Capisco molto più di quanto tu non creda, ma non permettere mai che
persone di questo tipo ti rovinino la vita. Non ci sono solo loro a
questo mondo. Ascoltami, io non ti conosco, però quel poco che so di
te mi fa venire voglia di conoscerti di più: sei divertente, sei
disponibile, sorridi come non ho mai visto fare a nessuno, se ti ci
metti fai concorrenza a Lunastorta in quanto ad acidità, stai con
noi, sei riuscita a farti ben volere da tutti noi. Non sei sola,
Lily. Ci siamo noi. Non devi affrontare tutto da sola, non puoi
neanche farlo, non reggeresti.” disse Sirius, sperando di non fare
danni con quella mezza confessione.
“E' stato difficile,
sino... sino a quando non è arrivato Remus, sino a quando... a
quando non ci siete stati voi. Non so cosa siamo, però ti ringrazio
per essere qui, Sirius, voglio dire, nessuno ti costringe ad essere
qui...” confessò Lily, imbarazzata. Non avrebbe mai pensato che,
dopo quello che era successo, i Malandrini, anziché chiudersi in se
stessi e nella loro preoccupazione per James, avrebbero cercato lei.
Sirius inclinò il volto
e pretese che Lily lo fissasse negli occhi:
“Siamo amici, Lils,
siamo amici noi cinque. E' normale che io mi preoccupi per te.” le
sorrise Sirius, imbarazzato quanto lei. Tra ragazzi non erano
necessarie quelle frasi sdolcinate, ma, da quanto aveva capito, per
le ragazze era importante sentirselo dire e poi, Lily non era proprio
una ragazza qualsiasi, quindi.
Lily non gli rispose,
ancora metà compiaciuta e metà interdetta dalla rivelazione.
Amica: i Malandrini la
consideravano un'amica. Amica: da quanto tempo era che non si sentiva
dire una cosa del genere?
Era poi amicizia quella
che la legava a Severus o era un morboso rapporto possessivo? In
quegli ultimi tempi con i Malandrini lei non si era mai sentita in
dovere di giustificare i suoi comportamenti, di spiegare il motivo di
una qualsiasi azione, di trascorrere ogni suo minuto libero con loro.
Era un scambio reciproco: ciascuno diceva quello che voleva dire,
ciascuno stava con gli altri quando se la sentiva. Era quella allora
l'amicizia?
“Grazie, Sirius. Sei...
sei diverso da come pensavo che fossi.” riuscì a dire Lily,
mugugnando a bassa voce.
“Anche tu. Lils, sei
diversa da come pensavo. Senti, lo so che dopo questo mi odierai,
perchè riesco a passare da serio al faceto con una rapidità
esorbitante, ti risparmio i commenti di Remus su questo che è
meglio....” Sirius farfugliava parole, biascicandole una attaccata
all'altra.
“Cosa stai cercando di
dirmi, Sirius?” lo interrogò Lily, con le sopracciglia alzate a
formare un'espressione dubbiosa e curiosa.
“Ecco, James è il mio
migliore amico, è una persona stupenda, è... è fatto a modo suo, a
volte discutiamo, a volte non capisco cosa abbia per la testa, ma è
il mio migliore amico, nonostante tutto. Quindi... bè, io ti
consiglio di dargliela, una possibilità. Non dovresti pentirti.”
concluse Sirius, l'espressione finalmente un po' più rilassata e un
ghigno ad illuminargli il bel volto.
Lily scoppiò in una
risata imbarazzata, il suo modo per rispondere.
Sirius la guardò, senza
capire: era consapevole che la sua perorazione fosse quanto di più
ridicolo potesse esistere, però, ecco, lui l'aveva fatto a fin di
bene.
“Ero serio, sai?”
precisò, accigliato.
“Come siete diventati
amici tu e James?” fu la domanda con cui Lily rispose. Non lo
chiese per essere indiscreta o per farsi gli affari loro. Le venne
spontaneo chiederlo. Sentiva di poterlo fare e sperava che Sirius le
rispondesse. Remus le aveva detto una volta che inizialmente James e
Sirius non si sopportavano o meglio, che Sirius non sopportava James.
Sembrava il destino di James Potter l'essere profondamente detestato
alla prima impressione.
“Come siamo diventati
amici io e James?” Sirius ripetè la domanda, inspirando
profondamente.
Lily annuì e lui fece lo
stesso.
“Te lo voglio
raccontare, Lils. Mi fido abbastanza di te per sapere che non lo
racconterai in giro. Premetto che James mi ha salvato la vita. Sono
serio, Lils, serio come non sono mai stato: James Potter mi ha
salvato la vita. Non sarei qui, se non fosse intervenuto lui.”
cominciò Sirius, serio.
Cercava di mettere da
parte tutta la sua ritrosia: non gli piaceva ricordare quei tempi,
quegli anni, quei momenti orribili ma, in fondo, lo doveva a James.
Rispose allo sguardo
interrogativo di Lily proseguendo la storia.
“Credo che saprai
abbastanza della mia famiglia da evitarmi di raccontarti da che razza
di gente sono nato, vero? La Nobile ed Antichissima Casata dei Black,
il posto più ipocrita che conosca!” rise Sirius nervosamente.
“Ad ogni modo, i primi
tempi qui ad Hogwarts sono stati un vero e proprio inferno. Tutti
ricevevano lettere di congratulazioni dai genitori soddisfatti per lo
smistamento, il due Settembre Orion e Walburga Black chiesero udienza
a Silente per farmi spostare a Serpeverde. Silente, ovviamente, disse
che era impossibile e, da lì, incominciarono a sgridarmi, a
prendermi a male parola, a chiamarmi disonore e tutti questi
nomignoli affettuosi e sdolcinati.
Non sono mai stato un
bambino tranquillo o sottomesso, ma undici anni in Casa Black mi
avevano insegnato a farmi gli affari miei, per evitare rimproveri o
punizioni o, peggio, qualche simpatica maledizione lanciatami contro
dalla mia carissima madre. Purtroppo per me avevo anche il vizio di
prendermi anche quelle che spettavano a mio fratello.”
Lily stava per dire
qualcosa, ma Sirius riprese il racconto.
“Comunque sia, quella
era la mia famiglia, che lo volessi oppure no e, so che è stupido
dirlo, ogni giorno, per tredici anni mi sono ripetuto che tutto
quello che volevo era che fossero fieri di me che, forse, ce l'avrei
fatta a renderli orgogliosi, a compiacerli, nonostante tutto. Quando
il Cappello Parlante mi smistò a Grifondoro adducendo come scusa il
fatto che avessi le naturali caratteristiche di un Grifondoro,
dicendomi che Serpeverde non fosse Casa per me, nonostante avessi
singhiozzato quel nome per tutto lo Smistamento, il mondo mi è
crollato addosso. Sentivo che, ormai, non c'erano più speranze di
poter compiacere i miei genitori, di sentirli, finalmente, dire che
erano fieri di me.
Ero il primo Black a non
essere smistato a Serpeverde: capisci cosa può significare questo
per una famiglia come la mia?
Come se non bastasse,
Grifondoro era la Casa peggiore in cui potessi finire: covo di
Babbanofili, Mezzosangue e Nati Babbani, la feccia, insomma.
Non avevo ben chiara la
differenza tra “loro” e noi Purosangue, ma mi era stato insegnato
che erano diversi e mi pareva più che normale che lo fossero.
Capisci? Poi ho capito che quelle sul sangue sono tutte fesserie, ma
ad undici anni ti pare normale pensare che i tuoi genitori abbiano
ragione, specialmente se sei vissuto solo in un ambiente del genere.
Non mi era chiaro come la famiglia di James, Purosangue anche lui,
avesse convinzioni così diverse.
Comunque, tu mi hai
chiesto come siamo diventati amici io e James, non ti importa la
storia della mia vita.” tagliò corto Sirius che di tutto aveva
voglia, fuorchè di parlare della sua famiglia. Lily necessitava di
quelle informazioni aggiuntive, ma, per comprendere il resto della
storia, altro non era necessario.
“Ti basti sapere che
detestavo James con tutto me stesso: vedi, anche se a vedermi non
sembra, io sono cresciuto in un ambiente silenzioso e tranquillo, ero
abituato a bastare a me stesso e l'avere un petulante e logorroico
ragazzino occhialuto che ti ronza attorno senza tacere un momento,
convinto di essere il tuo migliore amico dal viaggio sull'Espresso,
era proprio quanto di meno potessi tollerare.
James, fin dal viaggio in
treno, ti ricordi, c'eravate anche tu e Piton non mi lasciava in
pace, ma anzi aveva deciso che saremmo stati amici. Non perdeva mai
l'occasione di rivolgermi la parola ed io lo trattavo male, non gli
rispondevo o, se lo facevo, erano risposte brusche e maleducate.
Volevo essere lasciato in pace, lasciato solo nella mia disperazione.
Sai, ero ancora convinto di poter far qualcosa con cui, a prescindere
dalla Casa, conquistare i miei... E James, dannazione, aveva tutto
quello che io desideravo: è sempre stato schifosamente viziato,
James, qualora non lo sapessi. Sua madre è una mia lontana parente,
prozia o qualcosa di simile, ma non l'avevo mai conosciuta. A casa
mia non si parla mai di Dorea Potter e di sua sorella Cassiopeia,
sono delle rinnegate... Comunque, James Potter aveva tutto quello che
desideravo ed io ero geloso marcio di lui. E' cambiato tutto a
dicembre.”
Dicembre 1971
Torre di Grifondoro
Sirius Black stava
sdraiato nel suo letto: sotto alle coperte era infagottato nel suo
mantello nero e nella sua sciarpa di Grifondoro. Le mani strette a
pugno, coperte dagli spessi guanti di pelle di drago che gli aveva
regalato zio Alphard il Natale precedente.
Un grugno rabbioso gli
era dipinto sul volto ed in testa aveva un solo pensiero: odiava
Hogwarts.
Fortunatamente la
tortura stava per finire: aveva deciso che finisse.
Odiava Hogwarts con
tutto se stesso. Quasi quasi era meglio stare a Grimmauld Place, lì,
se non altro, strilli di sua madre e occhiate deluse di suo padre a
parte, poteva farsi gli affari suoi o, al limite, tormentare un po'
Regulus.
Gli costava
ammetterlo, considerando che talvolta col fratello si era comportato
davvero male, come è la norma, tra fratelli, ma Regulus era il suo
migliore amico. Non aveva mai stretto rapporti con i rampolli della
cerchia di amici dei suoi famigliari, alcuni, come i Malfoy, erano
troppo grandi, altri, come i Rosier, erano troppo piccoli ed altri
ancora, come i McNair avevano figlie femmine.
La sua unica compagnia
era sempre stato Regulus, sebbene, spesso, tirarlo fuori dai pasticci
gli era costato qualche settimana di reclusione in camera con la sola
compagnia di quel malefico Elfo Domestico.
Odiava Hogwarts,
odiava sua cugina Narcissa e quel suo fidanzato biondo platino di
Lucius Malfoy, che non mancavano mai di fargli notare quanto fosse
disonorante la sua posizione.
Dopo lo Smistamento
aveva creduto che Cissy potesse aiutarlo, potesse consolarlo, così
come, di tanto in tanto, l'aveva vista fare a casa. Non era mai stata
una persona che dava plateali manifestazioni d'affetto, Cissy, ma
era sempre stata tutto sommato buona, con lui. Niente a che vedere
con Meda, certo, ma non poteva nemmeno essere paragonata a quella
pazza di Bellatrix, abituata a guardare chiunque dall'alto in basso.
Contrariamente alle
sue aspettative, Cissy, sussurrandogli un “Mi dispiace” a fior di
labbra aveva seguito il resto della famiglia nell' ignorare la sua
esistenza.
Soltanto Andromeda e
lo zio Alphard avevano mostrato solidarietà, dicendogli che, in
fondo, se il Cappello aveva scelto per lui Grifondoro significava che
nel suo destino era scritto qualcosa di diverso da quanto era stato
scritto per gli altri Black. Meda gli aveva ripetuto che già nel suo
nome c'era quel presagio: Sirius, Alfa Canis Maioris, la stella più
brillante della Costellazione del Cane. Era destinato a grandi cose
diceva. Era sempre malinconica Meda negli ultimi tempi, nelle sue
lettere spedite di nascosto dai genitori, e Sirius si chiedeva cosa
nascondesse.
Odiava anche i suoi
compagni di stanza, a pensarci bene: quella piattola di Peter Minus
che passava le giornate incollato alle sottane del secchione, quel
Remus Lupin che anziché un ragazzino di undici anni sembrava avere
la capacità di divertirsi di suo nonno Arcturus, ma soprattutto
detestava James Potter, che non faceva altro che tentare
continuamente di rivolgergli la parola. Lui e quella sua vocetta
stridula.
Starnutì e tossì in
una volta sola. Doveva essersi preso una bella influenza,
considerando che, ignorando bellamente il tempo, proseguiva
imperterrito nelle sue passeggiate solitarie in mezzo al parco.
Dal letto di fianco al
suo, Potter emise un lamento e Sirius si affrettò a controllare che
i suoi occhi fossero ancora ben chiusi.
Si decise a mandare
all'aria le lenzuola e scese piano dal baldacchino. La sua sacca era
pronta ai piedi del letto, qualche galeone infilato in tasca.
Non sapeva cosa
avrebbe fatto, ma qualsiasi cosa sarebbe stata meglio di quella
scuola.
Forse zio Alphard
avrebbe potuto portarlo con sé in qualcuno dei suoi viaggi...
Si abbassò per
afferrare la borsa, teso, nervoso. In fretta raggiunse la porta e la
sentì aprirsi e chiudersi. Era fuori dalla stanza prima che se ne
rendesse conto.
Scese le scale a
chiocciola ed era in Sala Comune, di già.
Il buco del ritratto,
quella noiosa Signora Grassa, era lì pronto per essere attraversato,
le fiamme del camino si stavano poco a poco consumando. Non aveva
idea di che ora fosse, in realtà non se lo ricordava più,
nonostante l'avesse appena letto sulla sveglia di Minus.
“Black! Si può
sapere che diamine stai facendo?” James Potter, voce impastata dal
sonno, capelli arruffati e pigiama a righe bianche e azzurre sostava
in piedi sul primo scalino.
“Anche qui!” fu il
primo, esasperato, pensiero dotato di senso che Sirius riuscì a
formulare.
“Che vuoi, Potter?”
ringhiò, senza nemmeno voltarsi.
“Sapere cosa stai
facendo con indosso il mantello e con uno zaino sulle spalle all'una
del mattino.” rispose Potter, come se fosse la cosa più ovvia del
mondo.
“Fatti gli affari
tuoi e torna a dormire, Potter.”
James, per tutta
risposta, scese dalle scale e gli si avvicinò:
“Te ne stai andando,
non è vero?” chiese sagacemente, fissandolo negli occhi.
Sirius distolse in
fretta lo sguardo.
“Se anche fosse non
sono affari tuoi.” replicò, stringendo più forte la sua sacca
alla spalla.
“Forse.- asserì
Potter- Ma se credi che, uscendo da qui, la tua vita possa cambiare,
ti sbagli, Black. Se non cambi tu, la vita non cambia da sola.”
James aveva imparato da suo nonno quella frase, la ripeteva sempre,
inizialmente non aveva la minima idea di cosa significasse, ora lo
stava piano piano imparando. Serve a poco arrabbiarsi col mondo, se
non si tenta di fare qualcosa per cambiarlo, diceva suo padre.
“La piega della mia
vita non è un problema tuo, Potter. Ed ora, per favore, lasciami in
pace.” Sirius lo scansò, lasciandolo in mezzo alla stanza ad
imprecare.
Attraversò il buco
del ritratto e si ritrovò solo per i bui e freddi corridoi di
Hogwarts.
Aveva studiato la
strada a memoria. Sapeva che scale doveva percorrere, che quadri
avrebbe incontrato. Anche al buio sapeva cosa fare.
Inspirò: lo stava
facendo, si sarebbe liberato da quell'inferno.
Camminò cercando di
fare meno rumore possibile quando, sulle scale del terzo piano, la
sua scarpa pestò qualcosa di morbido, che scappò via con un
miagolio infastidito.
“Maledizione!”
imprecò: Mrs Purr, l'orrenda gatta di Gazza aveva scelto quelle
scale per riposare e, conoscendola, ora sarebbe andata di corsa dal
suo padrone.
Sirius perse la testa
ed iniziò a correre a perdifiato per le scale: urtò un'armatura e
il fracasso risvegliò i personaggi addormentati dei quadri delle
vicinanze.
“Tesoro mio adorato,
dov'è, dov'è che uno di quei buzzurri arroganti ti ha fatto male?”
la vocetta stridula ed irritante di Gazza si sentiva vicina.
Sirius non sapeva cosa
fare: se l'avesse visto, sarebbe stato portato immediatamente dalla
McGranitt e la Vicepreside avrebbe contattato subito i suoi genitori.
Un brivido freddo gli
attraversò la schiena, al pensiero che i suoi sapessero della sua
tentata fuga.
Si rimise in piedi,
dopo essere nuovamente caduto e provò ad appiattirsi contro una
parete. Gazza si faceva sempre più vicino, riusciva ormai a vedere
la luce della lanterna che il custode reggeva nella mano sinistra.
“E' qui, Mrs Purr?
Senti il suo odore? Lo senti? Dov'è? Dove sei, piccolo sudicio
ragazzino!” ruggì Gazza, raddolcendo la voce solo per rivolgersi
nuovamente al gatto.
Sirius non sapeva cosa
fare: se fosse andato avanti, sarebbe finito esattamente in braccio a
Gazza, se fosse tornato indietro l'avrebbero sentito, non sarebbe
riuscito a non inciampare di nuovo in un'armatura.
“Di qua, vieni,
presto!” una mano lo trascinò via.
“Che cosa?” riuscì
a chiedere Sirius, prima che James Potter gli intimasse di tacere e
gli versasse addosso uno strano mantello.
“Ehi!” protestò
Sirius, ma James gli fece ancora segno di stare zitto e non far
rumore.
Il cuore di Sirius
batteva forte, forte, troppo forte e le gambe non volevano spostarsi
da lì.
Gazza stava salendo le
scale e lui era bloccato nell'angolo con James Potter: addosso a loro
un mantello. Bello scherzo, che gli aveva giocato Potter: come se
gazza non si potesse accorgere di un massa umana coperta da un
mantello scuro sulle scale.
“Perchè miagoli,
cara? Non c'è nessuno qui!” Gazza era a pochi centimetri da loro,
la gatta miagolava, ma lui spingeva via.
Era come se Gazza non
li vedesse, come se non ci fossero.
“Ma... ma...”
balbettò Sirius, incredulo, vedendo il custode proseguire di due
rampe.
“Mantello
dell'Invisibilità!” esclamò James, con un pericoloso ghigno in
viso.
“Cosa?” chiese
Sirius, incredulo.
“E' un mantello che
rende invisibili.- spiegò Potter con naturalezza, sistemandolo
meglio addosso a sé e al compagno.- Me l'ha dato mio padre.”
Sirius lo guardò,
come interdetto.
“Bè, che fai lì
impalato? Se ti muovi ti accompagno al portone o se, ti va, torniamo
su in camera.” aggiunse Potter, in fretta.
“Perchè l'hai
fatto?” domandò Sirius.
James alzò le spalle.
“Perchè mi importa
di te, suppongo.”
“Grazie,
Sirius. Non deve essere stato semplice raccontarmi questa storia.”
Lily lo guardò, seria.
Sirius
annuì, mentre la voce del James undicenne che gli diceva “Perchè
mi importa di te, suppongo”, gli rimbombava nelle orecchie.
“Non
lo è stato, infatti.”
“Perchè
hai scelto di raccontarmelo?” domandò Lily, guardandolo negli
occhi.
“Perchè
me l'hai chiesto.” rispose lui, scrollando le spalle.
“Avresti
potuto non farlo, inventarti una scusa, qualcos'altro.” obbiettò
Lily.
“Mi
fido di te, Lils.” Sirius sorrise e si alzò in piedi, lasciandola
incredula.
“Che
fai, vieni?” le porse la mano, dopo essersi sistemato i jeans.
Lily
afferrò la mano tesa, con la mente ancora rivolta alla confessione
di Sirius Black.
Lily
lo vide accampato su un pianerottolo, una sigaretta in bocca e lo
sguardo fisso al muro di fronte.
James
sentì arrivare qualcuno alle sue spalle ed istintivamente si voltò.
“Posso?”
domandò Lily, cauta.
“Vieni.”
con una mano James le indicò di sedersi accanto a lui, spegnendo la
sigaretta con un piede.
“Non
devi smettere per me.” disse Lily, notando il gesto.
“So
che ti da fastidio.” spiegò lui, in un'alzata di spalle.
“Per
questa volta si può fare un' eccezione.” lo scusò Lily.
Restarono
in silenzio, senza guardarsi.
Fu
James a parlare: forse, se le avesse chiesto scusa, se le avesse
detto di essere stato un idiota a comportarsi a quel modo, allora,
magari, il senso di colpa sarebbe diminuito.
Più
passava il tempo, più si rendeva conto di ritrovarsi perfettamente
nella descrizione che suo padre e sua madre davano spesso di lui: un
ragazzo senza dubbio carismatico e dal buon cuore, ma irruento,
facile all'irritazione, impulsivo e sì, anche arrogante.
Stava
iniziando a pensare che non sarebbe mai riuscito a cambiare, ma come,
come avrebbe potuto, poche ore prima stare tirare dritto e fare finta
di niente? Non ci sarebbe mai riuscito.
“Non ce l'ho fatta a non fare niente.” si giustificò ad alta
voce.
“Non devi scusarti, James. Hai fatto quello che avrebbe fatto
chiunque.” gli rispose Lily.
“Pensavo fossi arrabbiata con me.” disse James
“No. Non potrei essere arrabbiata con te.- Lily scosse decisamente
la testa.- Ero solo preoccupata. Temevo che potessero farti del male.
Tu eri senza bacchetta, avevi solo le mani per difenderti e loro...
loro erano in tre ed erano pronti a scagliarti contro qualche
fattura.” si voltò verso di lui, sul cui volto facevano bella
mostra di sé un occhio nero dietro alle lenti degli occhiali, un
livido sulla guancia sinistra e un taglio sul labbro.
“Capita.” James alzò le spalle, in risposta agli sguardi
eloquenti di lei.
“Chiedi
scusa a me o a te stesso, James Potter?” sussurrò Lily, con voce
quasi mistica, disegnandosi ghirigori con l'indice sinistro sulla
mano destra.
James
le scrutò il viso.
“E
tu, Lily Evans?”
“Perdonare
se stessi è sempre più difficile, James. Dovresti saperlo.”gli
spiegò, paziente.
“Tu
non hai niente da perdonarti.” le disse.
Lily
abbozzò una sorta di sorriso.
“Tu
dici? Oh, io non credo. Era il mio migliore amico, lo sai James? Era
il mio migliore amico. E' stato lui a dirmi che sono una strega, lui
a parlarmi di Hogwarts. Non avrei niente da perdonarmi? Non dico che
sia colpa mia, se ha preso la strada che ha preso. Dico solo che
forse avrei dovuto essere più accorta.”
“Non
puoi colpevolizzarti per esserti fidata di una persona, Lily.” la
contraddisse James.
“Nemmeno
tu per aver difeso la tua famiglia.”gli fece notare Lily.
James
non rispose e Lily riprese dopo qualche istante.
“So
che l'hai salvato da morte certa, poco più di un anno fa. Nonostante
tutto quello che ci fosse tra voi gli hai salvato la vita, James. Non
avrebbe mai dovuto permettersi di dirti una cosa simile.” la voce
di Lily era carica di rabbia.
“Cosa
sai?” chiese James troppo bruscamente.
Quella
volta Sirius l'aveva fatta grossa, troppo, troppo grossa. Se Piton
fosse morto, Remus sarebbe stato giustiziato. Tutto per una bravata
di Sirius che, nonostante tutto, Remus era anche riuscito a
perdonare.
Ammirava
profondamente l'amico per quel gesto: nonostante tutto, col passare
dei mesi, Remus era riuscito a perdonarlo, a capire che Sirius non
poteva essere lasciato solo.
Nonostante
gli avesse detto, dopo averlo preso a pugni che era tutto a posto,
James ci aveva messo un po' a fidarsi ancora completamente di Sirius.
Non voleva, d'accordo, ma quella volta era troppo.
“So
che tu gli hai salvato la vita in una notte di luna piena dentro al
tunnel del Platano Picchiatore.” rispose Lily, tacendo sulla
astrusa teoria che Severus le aveva confidato più volte.
Severus
era ossessionato da James e dai suoi amici; sembrava che il suo unico
scopo fosse sapere cosa facevano, come occupavano le notti.
Soprattutto era convinto che Remus fosse un Lupo Mannaro: Remus,
Remus Lupin il Prefetto un Lupo Mannaro! Come poteva anche solo
lontanamente immaginare che lui fosse un Lupo Mannaro? Aveva solo
problemi a casa ed era cagionevole di salute, ecco il perchè della
sua aria perennemente smunta. Come poteva pensare che, se fosse stato
un Lupo Mannaro avrebbe frequentato la scuola?
“E'
quello che ho fatto. Non avrei mai potuto lasciarlo lì, sebbene sia
la persona peggiore che abbia mai conosciuto.” confermò James.
“Cosa
accadde di preciso?” domandò curiosa Lily, che aveva notato la
fretta con cui James aveva risposto.
James
scosse la testa.
“Mi
dispiace ma non posso dirtelo. Non riguarda solo me: riguarda anche
gli altri: Sirius, Peter e Remus. Non ti dirò mai niente senza il
loro consenso. E' una cosa che ci riguarda tutti. Non posso dirtelo.”
disse categorico. Silente aveva impedito a Piton di raccontare
alcunchè sulla licantropia di Remus e dal canto loro i Malandrini
erano più che disposti a sotterrare quella brutta storia.
Lily
intuì dal tono che sotto doveva esserci una storia molto brutta ma
non fece altre domande: James non avrebbe né risposto né
soprattutto gradito.
“Lily,
posso farti una domanda?” chiese James, occupando il silenzio.
“Dimmi.”
“Credi...
Credi che sia colpa mia se tu e Piton non siete più amici?” James
si riferiva al suo gesto dell'anno prima quando, perchè si
annoiava, aveva deciso di giocare a Mocciosus un ennesimo
tiro mancino.
Era
vero che in quell'afoso pomeriggio di giugno, nella pausa tra una
prova dei G.U.F.O. e l'altra, si stava annoiando. Era altrettanto
vero che la possibilità di lanciare qualche scherzo era un ottimo
antidoto contro la noia. Era vero anche che Severus Piton lo irritava
e che con la sua stramaledetta curiosità il caro Mocciosus stava
quasi riuscendo nella titanica impresa di distruggere i Malandrini.
Certo, Sirius era stato il solito imbecille che non sa dove stia di
casa la ragione, nell'organizzare quel brutto scherzo, ma Piton era
sempre in mezzo, come un pipistrello unticcio e ombroso che, quando
non si dilettava in allegre torture ai danni dei compagni assieme ai
suoi amichetti, passava il suo tempo studiando in modo maniacale ogni
sua mossa.
E se
in quel pomeriggio di giugno James Potter aveva attaccato Severus
Piton era perchè lo riteneva più che responsabile di quello che
loro quattro stavano passando da tre mesi a quella parte.
James
non andava particolarmente fiero del suo gesto, ma da quella notte di
marzo la necessità di trovare un colpevole che non fosse Sirius lo
ossessionava e Mocciosus era il candidato ideale, lui che con la sua
maligna curiosità stava per distruggere i Malandrini.
“Ti
riferisci a quel pomeriggio sul lago, vero? No, James. Non è colpa
tua.- Lily sospirò- Era solo questione di tempo prima che
succedesse.” prese a giocare con l'orlo della sua gonna, come se in
quelle cuciture ci fosse qualcosa di interessante.
“Mi
dispiace. Perdere un amico, perderlo a quel modo deve essere la cosa
più brutta che possa capitare.”disse James, un po' più sollevato
dal fatto che Lily non lo ritenesse responsabile.
“Ti
devasta, James. Ti devasta dentro. Non senti più niente. Hai solo il
vuoto dentro e ti sembra che tutto intorno a te non abbia più molto
senso. Ti trascini tra un giorno e l'altro, senza capire bene il
perchè.” spiegò Lily, malinconica.
“Mi
dispiace. Io... io non ho mai provato qualcosa di simile.” commentò
James, senza sapere esattamente cosa dire. Dopo la morte di suo padre
aveva sentito il vuoto, ma era una sensazione completamente diversa.
Lui non aveva mai perso un'amicizia, soprattutto a quel modo.
“Era
il mio unico amico, capisci? L'unico in questo posto a cui fosse mai
importato qualcosa di me. Ti auguro di non vivere mai un'esperienza
come questa. Essere traditi da una persona nella quale riponiamo
fiducia è la cosa peggiore che possa mai capitare.” spiegò Lily
calma e, oramai, lievemente più razionale.
Se
non fosse successo l'anno prima, quanto tempo ancora avrebbero retto
lei e Severus insieme? Un mese? Due? Una settimana? Chiamava
SangueSporco tutti quelli come lei, perchè con lei avrebbe dovuto
essere diverso?
Si
stava rialzando, ci stava riuscendo. Aveva trovato delle persone che
la stavano aiutando senza pretendere nulla in cambio e, a pensarci
bene, quel pomeriggio non aveva fatto altro che darle la conferma di
quello che già sospettava da tempo.
Era
il caso di accettare che Severus Piton non fosse più il bambino che
la spiava di nascosto mentre giocava con Petunia.
James
non rispose, limitandosi a pensare che i suoi amici sarebbero morti,
piuttosto che tradirlo.
“Cerca
di pensare a quello che hai ora, Lily. A me.... voglio dire, a noi,
importa di te. Ricordatelo.”
Lily
gli rivolse un sorriso dolce. Era bello sentirselo dire. Era bello
sentire di appartenere a qualcosa.
“Grazie.”-
sussurrò- “ Se non ci foste stati voi, a quest'ora non so dove
sarei.”
James
le circondò le spalle con il braccio sinistro, controllandole
minuziosamente gli occhi, nella speranza di non fare qualcosa che la
infastidisse.
Lily
non si ritrasse a quel contatto e James prese coraggio, facendola
accomodare sul suo petto.
Lily
appoggiò la testa sul petto di James. Chiuse gli occhi e sentì il
suo cuore battere e pompare ritmicamente sangue. Caldo era il primo
aggettivo che le veniva in mente. Caldo, James era caldo.
Si
sentiva bene, tra quelle braccia. Era protetta.
James
stava riuscendo in poco tempo a far crollare tutte le sue ritrosie,
tutte le barriere che aveva per anni eretto tra lei e il mondo.
“Ce
l'hai fatta, James Potter. Mi sto aprendo tanto con te, te ne rendi
conto? Tu lascerai che qualcuno penetri nei tuoi pensieri tormentati,
prima o poi?” pensò Lily, guardandolo intensamente negli occhi
castani, vivi e brillanti dietro alle lenti degli occhiali ma velati
da un po' di malinconica preoccupazione sin da quando lo conosceva.
James
incontrò gli occhi verdi, tristi e velati di malinconia di Lily che
lo guardavano con curiosità ed, istintivamente, provò l'impulso di
staccarsi da quelle calamite che, se lo ripeteva sempre, gli
leggevano dentro.
Buon ventitré Agosto
a tutti quanti, spero che l'estate o quel che rimane sia stata
trascorsa da tutti al meglio.
Come potete vedere mi
sono lanciata in questi esperimenti di grafica, per ora c'è solo il
banner di questo capitolo ed una locandina al primo ma, prima o poi,
riempirò i vuoti degli altri capitoli.
“Stand by me”
significa “Sostienimi” e mi piaceva l'idea di legarlo a questo
capitolo in cui non è solo Lily ad aver bisogno di aiuto, ma anche
James, così come è un bisogno che hanno avuto Sirius e anche Piton,
in un certo senso, la cui ombra aleggia sempre su Lily e sui
Malandrini.
Spero che sia di
vostro gradimento, così come il finale del capitolo: non ve lo
aspettavate, forse, ma non ho potuto fare a meno di vederla così, ma
non temete, passerà parecchio tempo prima di poterli considerare a
tutti gli effetti una coppia.
Vi chiedo di leggere
l'abbraccio finale nell'ottica dello “Stand by me” perchè è
questo che significa: una muta risposta a questa richiesta reciproca.
Vi lascio
ringraziandovi tutti per la pazienza. A presto.
Alohomora:
in realtà credo che Piton abbia reagito a quel modo soprattutto alla
vista di Lily con l'odiato Potter, ad ogni modo va detto che il suo
scopo principale negli anni di Hogwarts era tentare di far espellere
i Malandrini. Prima o poi avrai anche una spiegazione dell' efferato
gesto di James in riva al lago dopo i G.U.F.O. E una versione di come
e perchè James ha salvato Piton. Qui c'è già qualche indizio, ma
saranno i Malandrini a raccontare l'intera versione. Non sarà un
tentativo di giustificare la loro crudeltà, semplicemente io credo
che sia un motivo nel fatto che, quando James mette Piton a gambe
all'aria nessuno interviene ed anzi, i compagni lo incitano: se James
fosse un bullo, nessuno lo stimerebbe e invece lui è adorato in
tutta Hogwarts: un motivo ci sarà, no?
A volte credo di
allungare troppo, questi dialoghi, però non posso farci niente, li
vedo così, pieni di tutto e pieni di niente...
purepura:
di sangue qui mi sa che c'è solo quello di James, purtroppo! Spero
che anche questa scena tra Lily e James ti sia piaciuta: non è
niente, forse, ma è già un inizio.
PrincessMarauders:
Remus è infido e maligno nell'animo, ma è un buon amico, presente e
leale e, credo, che tra i suoi hobby principali ci sia la messa in
ridicolo di Sirius Black... perfido il nostro lupacchiotto!
La storia tra Lily e
James è andata nascendo piano piano, non sarà mai nulla di troppo
veloce ma sarà un continuo avanti e indietro, sebbene entrambi
diventeranno dipendenti dall'altro.
MEISSA_S:
Remus deve essere stato un Malandrino coi fiocchi, altrimenti, che ci
faceva lì? Vedrai, nel corso della storia mostrerà tutta la sua
malvagità, rivelandosi sempre un buon amico, però.
Sì, James è davvero
colui che tutte vorrebbero al loro fianco: positivo, carismatico,
coraggioso, divertente, protettivo... ma anche lui ha i suoi segreti,
la sua complicata personalità e il rapporto con Lily lo aiuterà a
tirare fuori il meglio di sé.
Quanto a Severus
Piton, io non lo apprezzo. Non è un personaggio che mi piace e non
lo reputo nemmeno una povera vittima incompresa da tutti come si
legge spesso: Piton aveva fatto le sue scelte, ad Hogwarts. Aveva
come amici Avery e Mulciber, chiamava gli studenti Mezzosangue e
Sanguesporco, si è unito a Voldemort ed è stato lui a rivelare la
Profezia. Non credo che sia stato poi così tanto succube di idee
altrui...Inoltre aveva come scopo la dissoluzione dei Malandrini,
certo, probabilmente era invidioso di James, invidioso della loro
amicizia, invidioso del loro rapporto con Lily, ma questo non lo
giustifica.
Senza considerare che
apprendiamo da quel famoso capitolo dei G.U.F.O. Che quando James lo
alza per aria nessuno a parte Lily si getta in sua difesa, anzi,
tutti incitano James: qualcosa vorrà pur dire, no?
Spero che questa mia
visione dell'amicizia tra James e Sirius ti sia piaciuta: purtroppo
non riesco ad immaginarli immediatamente amici.
Ayumi Yoshida:
sono contentissima di risentirti. Avevo iniziato a pensare che non
seguissi più la storia e, invece, questa tua recensione mi ha
davvero piacevolmente sorpreso.
Sono accadute tante
cose, in questi capitoli, la storia di Dorea Potter e l'avvicinamento
tra Lily e James, tra Lily e i Malandrini.
Se ho inserito la
storia di Dorea e Charlus è per dare una motivazione del fatto che,
se i due Potter sull'albero genealogico dei Black sono davvero i
genitori di James, c'è un motivo per cui James, seppur imparentato
con i Black, è cresciuto in un modo completamente diverso.
Ancora più felice mi
rende il fatto che tu possa immaginarti James e Lily così come li
sto descrivendo: per me non è semplice, considerando che sono
consapevole di rompere parecchi schemi consolidati nella scrittura di
fanfic, ma avere l'appoggio di altri rende le cose più semplici.
Vedo un progressivo
disvelarsi dell'uno all'altro, un donarsi di Lily a James, da cui
diverrà totalmente dipendente e un James che si scopre innamorato di
Lily Evans per quello che lei è, e non per l'idea che si era fatto
di lei negli anni. Io spero che la personalità di Lily vi piaccia:
sino ad ora l'abbiamo vista parlare poco e dire cose misurate, ma se
James l'ha sposata e i Malandrini accolta era perchè era capace di
convivere con quattro ragazzi, integrandosi perfettamente con loro,
cosa non da poco, direi. Quindi in futuro riserverà tantissime
sorprese, compresa una bella amicizia con Sirius.
Qui ne hai un altro
assaggio ma vedi, io credo che Sirius fosse sì un po' geloso di
Lily, la quale gli ha portato via James, ma che, nonostante questo,
fossero grandi amici. Un'amicizia diversa rispetto a quella che Lily
intrattiene con Remus: Remus è e sarà sempre l'Amico, Sirius una
sorta di fratello maggiore, capisci cosa intendo?
A presto.
|
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Capitolo 21 *** Ventesimo Capitolo ***
Can we climb this
mountain I don’t know Higher now than ever before I know
we can make it if we take it slow Let's take it easy Easy now
- The Killers, When you
were young-
*Possiamo scalare
questa montagna non so
ora è più alta di
quanto non lo sia mai stata prima so che possiamo farcela se la
prendiamo con calma Prendila con scioltezza. Con scioltezza
ora
Fine Giugno 1977
Nessuno
di loro aveva più parlato di quanto era successo quel pomeriggio;
era come se, apparentemente, tutti e cinque non conservassero alcun
ricordo.
In
realtà, quei momenti erano ben scolpiti nelle loro memorie, ma
nessuno voleva parlarne. Nessuno voleva ripercorrere quegli istanti
di paura. Remus sospettava che sotto all'accaduto ci fosse, per la
prima volta, qualcosa che andava al di là della rivalità tra Case.
Era stato un attacco personale, quasi.
Non
sapeva spiegarlo a parole, non sapeva nemmeno da dove gli venisse
quella sensazione, sapeva solo di aver sbagliato a giudicare tutto
quello che era stato sino a quel momento.
Forse
errando, ora lo riconosceva, si era cullato nell'illusione che, in
fondo, alla loro età e, soprattutto ad Hogwarts, le differenze
ideologiche, i toni accesi delle discussioni avessero un che di
fiabesco, fossero più che altro portatori di una tradizione che non
avrebbe mai capito sino in fondo, quella della rigida differenza tra
Case che etichettava i Grifondoro come i Buoni per eccellenza,
coraggiosi ed impulsivi, i Tassorosso come Sfigati, i Corvonero come
Cervelloni e i Serpeverde, inevitabilmente, come i Cattivi per
antonomasia, subdoli, maligni ed infimi.
In
tutto questo si inserivano gli studenti che, ciascuno a modo suo,
erano costretti a recitare la parte assegnata dal Cappello Parlante.
Pertanto,
nell'ottica di Remus, anche quei discorsi che venivano fatti su
Voldemort, sui Mangiamorte e sulla purezza del sangue avevano un che
di retorico, come se tutti quanti non facessero altro che ripetere le
idee che circolavano nelle loro famiglie o nel loro Dormitorio.
Quello
che era successo a Lily e James, però, era diverso.
Lì
non si trattava di attaccare James Potter in quanto Grifondoro
Babbanofilo. Si trattava di attaccare James Potter come persona. Si
trattava di attaccare James Potter per le idee di cui si faceva
portatore.
Non
stavano attaccando Lily solo perchè era di origini Babbane o meglio
sì, ma in un ottica diversa: loro volevano eliminare Lily e quelli
come lei.
Differenza
sottile, forse, ma una differenza che Remus stava imparando a
cogliere.
Anni
dopo, ripensando a quei momenti, Remus Lupin si sarebbe reso conto
che la sua adolescenza terminava con l'arrivo di quella
consapevolezza.
In
quei giorni però, riusciva solo a far caso agli occhi di Silente che
si spostavano continuamente dall'uno all'altro del loro gruppo,
fissandoli uno ad uno con particolare intensità e lasciandosi
scappare un sorriso triste ogni volta che incontrava l'occhio nero di
James.
Quasi
sicuramente Hagrid doveva aver detto qualcosa, del resto, se loro
quattro riuscivano senza troppo impegno e con la promessa di una
buona bottiglia di Odgen a farsi rivelare da Hagrid cose che degli
studenti non avrebbero mai dovuto sapere, senza dubbio il Preside era
in grado di usare metodi più ortodossi ed altrettanto persuasivi.
“Ci
sei Remus? E' ora di andare.” gli ricordò Lily, appoggiandosi allo
schienale della poltrona su cui si era seduto Remus subito dopo
pranzo.
“Che
ore sono?” bofonchiò con la voce impastata.
“Sono
le tre, la partita è tra poco. Sirius e Peter sono già andati.”
gli spiegò Lily.
“Accidenti!
Devo essermi addormentato! Sirius è già andato a parlare con la Mc?
Era una scena che non volevo perdermi!” esclamò Remus, scattando
in piedi.
Sirius,
infatti, aveva promesso a William Goldstein, un ragazzo di Corvonero
del loro stesso anno ed ufficiale speaker delle partite di Quidditch,
un rifornimento annuale di cibo, bevande e quant'altro volesse
(compresa la promessa di una futura rivelazione di almeno uno dei
passaggi segreti che portavano fuori Hogwarts) per poter commentare
l'ultima partita di campionato, Grifondoro- Serpeverde.
Remus,
appellandosi a tutta la sua autorità di Prefetto, gli aveva impedito
di somministrare al povero Goldstein un qualche intruglio o una
fattura che l'avrebbe reso infermo per il resto della settimana.
“E'
uscito da circa un 'ora, ma non temere: Peter è il testimone che ci
documenterà l'intero colloquio!” rise Lily.
“Questa
notizia mi fa sentire meglio.- sorrise Remus, che maledì se stesso
mille volte per essersi perso un così commovente dialogo- Avanti,
andiamo, quel poveraccio avrà bisogno di una spalla su cui
piangere.” disse, convinto che mai la McGranitt avrebbe accettato
un cambio.
Raggiungendo
il campo da Quidditch, furono travolti da Peter che saltò
letteralmente in braccio a Remus.
“Finalmente
siete arrivati! Lunastorta, fai qualcosa, esorcizzalo, affatturalo,
torturalo, imponigli un incantesimo tacitante, ma ti prego, fallo
stare zitto!” li implorò il povero Peter che stava ascoltando i
borbottii sconnessi di Sirius da una mezz'ora abbondante.
Remus
alzò gli occhi al cielo ed inspirò profondamente. Prepararsi ad
ascoltare le lamentele di Sirius per la seguente ora e mezza
richiedeva molta concentrazione e molta pazienza.
Non
che gli mancassero queste doti, sia chiaro, semplicemente Sirius
aveva la capacità (più unica che rara) di far perdere la pazienza a
chiunque gli capitasse attorno, quando era in preda a crisi
esistenziali di così basso livello.
Remus
aveva accumulato esperienza sufficiente ad essere in grado di annuire
e dire “Sì, Sirius, hai ragione. E' una vera ingiustizia.” ogni
volta che fosse necessario e, contemporaneamente, a pensare
bellamente agli affari suoi.
Era
una tecnica che gli aveva portato via anni ed anni di allenamento ma
per la quale era valsa la pena.
Sfortunatamente
per loro, James e Peter non erano ancora così ferrati in materia.
“Coraggio,
Lily. Ci aspetta un lungo pomeriggio.” sospirò mesto, indicando a
Lily le scale, senza accorgersi delle urla che provenivano dalla
ringhiera.
“Ehi!
Lunastorta, Lils! Sono qui, sono qui! Mi ha preso! Mi ha preso!”
l'ululato di Sirius li raggiunse, costringendoli a precipitarsi da
lui.
“Che
bello Sirius! Sono così contenta!” esclamò Lily, ridendo della
buffa espressione di Remus. Aveva capito da dove provenivano le
esclamazioni di Peter: era semplicemente esasperato dal continuo
parlare di Sirius che, angosciato dalla sua prima performance,
proseguiva nello stressare chiunque gli capitasse a tiro.
“Evviva,
Sirius sono così contento!” esclamò Remus, con un tono
tristemente neutro. Doveva ancora capire se era meglio ascoltare le
lamentele di Sirius o il resoconto dettagliato ed ogni minuto diverso
di come fosse riuscito a convincere la McGranitt a dargli il posto
che spettava a Goldstein.
“Credo
che sia meglio questo delle lamentele, Remus.” gli venne in aiuto
Peter, sospirando.
“Spero
che tu abbia ragione, Codaliscia.” sussurrò Remus, in un mesto
commento.
“Remus,
potresti mostrarti anche un po' entusiasta, sai?” lo guardò
accigliato Sirius.
Remus
roteò gli occhi e gli mise una mano sulla spalla.
“Avanti,
Sirius, ti prego, raccontaci come hai convinto la Mc a sostituire
Goldstein dopo che ti sei indebitato con lui sino all'eternità.”
disse Remus, sorridendo. Nonostante tutto era contento per il suo
amico.
“Dai,
Sirius, racconta!” lo incoraggiò anche Lily, mentre Peter si
esprimeva in un rantolo. Lui, quella storia, l'aveva già sentita
cinque volte e poteva testimoniare che ogni racconto era diverso
dalla scena originaria a cui aveva assistito.
“Sono
andato nell'ufficio delle Mc e, educato come solo io so essere, l'ho
gentilmente informata che William Goldstein oggi pomeriggio non
avrebbe potuto fare la radiocronaca perchè infermo.” recitò, con
fare teatrale, mentre le sopracciglia di Remus si alzavano
pericolosamente.
“Lei,
ovviamente, non mi ha creduto e allora le ho detto che, se voleva,
poteva averne la prova, così siamo andati in Infermeria dove ha
trovato Goldstein steso a letto con Madama Chips come unica
compagna.” spiegò Sirius.
“Sirius,
scusa, ma non avevi detto che tutto questo non prevedeva nessun
peggioramento delle condizioni di salute di Goldstein?” chiese
calmo Remus.
Sirius
alzò le spalle.
“Avrei
dovuto indebitarmi per tutto l'anno, Lunastorta. Io e James abbiamo
convenuto sul fatto che non fosse per niente conveniente, quindi
abbiamo sistemato la faccenda con una mezza concessione a Goldstein e
una piccola pozione che lo facesse star male oggi pomeriggio per
qualche ora.
E'
stata un'idea anche di James, Rem, quindi aspetta ad arrabbiarti solo
con me.” precisò, come se il fatto che fosse un'idea di James
sistemasse ogni cosa.
Remus
scosse la testa.
“Io
dico che voi due avete dei problemi, di quelli grossi. Cosa ho fatto
di male per meritarmi questo!”
Peter
gli diede due amichevoli pacche sulle spalle.
“Coraggio,
Rem, non è colpa tua se le loro teste sono vuote come due zucche ad
Halloween.”
Lily,
invece, guardò seriamente Sirius, contrariata.
“Non
è stata una bella cosa, Sirius, lo sai, vero? Hai ingannato quel
poveretto.”
“Anche
nel nostro accordo avrebbe perso il posto, Lils. Ho solo accelerato
le cose. E poi, in questo modo, evito di fregargli il posto per tutto
l'anno prossimo. A settembre ripartiremo alla pari.” spiegò
Sirius, grattandosi la nuca.
“Non
sono comunque convinta che sia stato un bel gesto.” ammise Lily,
perplessa.
“Lils,
andiamo, Goldstein non starà male per sempre. E' solo un piccolo
aiuto, questo che gli abbiamo dato.” Sirius cercava di appiattire
la faccenda e, a pensarci bene, non è che stesse raccontando
fandonie. Era vero che gli accordi iniziali con Goldtein erano
diversi, però, a pensarci bene, forse era meglio così: William si
sarebbe saltato l'ultima partita, lui dava prova di quello che sapeva
fare e poi, a settembre, avrebbero scelto il nuovo commentatore.
Non
era forse meglio così?
“Black!
Vieni su immediatamente, parlerai dopo con i tuoi amici!” La
professoressa McGranitt si era sporta dagli spalti per chiamare
Sirius reo, a suo parere, di perdere tempo a far salotto con gli
amici.
“Arrivo
prof!” gridò lui, precipitandosi a raggiungere la sua postazione.
“Lils!”
gridò, raggiunta la McGranitt.
“Di'
a Priscilla che ci vediamo stasera!” strillò a qualche metro di
distanza da lei.
“Da
quando esci con Priscilla?” rispose Lily, urlando altrettanto
forte.
“Da
stasera dopo la partita direi!” ammise candidamente Sirius,
guadagnandosi un'occhiata severa dalla McGranitt.
“Felpato
non cambierà mai.” commentò Peter, scuotendo la testa.
“Io
credo che prima o poi lo farà, invece. Cambiamo tutti.” rispose
Remus, mestamente.
Lily
lo guardò, stupita ancora una volta dalla saggezza che Remus
mostrava.
“Io
spero che non cambi mai, sai Remus? Sarebbe così bello se tutti
potessero mantenere la freschezza e il candore di quest'età, non
credi?” ammise Lily, con ingenua franchezza.
“Credi
che sia possibile, Lily?” le domandò Remus.
“Lo
spero. O almeno, spero che alcune persone ci riescano.” rispose
Lily, storcendo le labbra e guardando Sirius salutare il suo
pubblico.
“Come
stai, Lily?” domandò Remus, dopo qualche minuto di silenzio.
Lily
esitò a rispondere. Sapeva a cosa si stava riferendo Remus.
Come
stava non lo sapeva nemmeno lei, con esattezza. Stava cercando di
scacciare i brutti pensieri dalla sua testa, provava a godersi il
presente, ma quello che era successo a lei e a James continuava a
tormentarla. Ogni tanto sognava ancora quegli istanti di paura , quei
visi cattivi, il coraggio di James e il suo panico, in grado solo di
farle sillabare il nome dell'amico.
Continuava
a pensare a Severus. Proprio quando stava smettendo, proprio quando
stava riuscendo a confinarlo lontano, lui era tornato. Tornato a
sconvolgerle l'equilibrio. Fragile. Lily si sentiva fragile. Forse
più fragile ancora di prima. Prima non si rendeva conto di cosa
stava per perdere, ora sì. Ora che si era rialzata, l'idea di
ripiombare in quell'inferno la terrorizzava.
Quelle
parole, quelle parole maligne rivolte a James... era davvero Severus
ad averle pronunciate? Lui, lui che per primo non sapeva cosa
significava avere un padre! Poteva davvero arrivare a tanto il suo
Sev?
“James,
James, James.” eccole, ancora, quelle parole.
Rivide
se stessa, carponi tra l'erba sussurrare il nome di James, che
lottava come un animale, senza bacchetta, disarmato, solo.
Sì,
Severus era capace di pronunciare quelle parole.
Dov'era
la ragione? Dove il torto? Perchè non si era accorta prima di ogni
cosa? Perchè aveva dovuto legarsi così tanto a Severus, così tanto
da escludere chiunque altro, e poi scoprire che razza di persona era?
Perchè
sì, diamine, Severus aveva insultato James nel peggiore dei modi
possibili! L'aveva attaccato più volte, continuava a metterla in
guardia su Remus e a disprezzare Sirius, così pieno di bontà. Aveva
scacciato lei l'anno prima!
Dov'era,
dov'era, dov'era tutto?
“Non puoi
colpevolizzarti per esserti fidata di una persona, Lily.”
la voce di James, le sue parole.
Posò
gli occhi sulla tribuna di Serpeverde e lo vide, attorniato dai suoi
amici, venuto a fare il tifo per Regulus Black. Quella rivalità si
stava sfogando anche sul campo.
Lo
cercò, lo fissò. Le sembrò che lui stesse facendo altrettanto.
Si
voltò verso Remus.
“Meglio.”
gli rispose.
“Ogni
cosa si metterà a posto, Lily, vedrai.” le disse Remus, misurando
la voce e parlando al suo orecchio.
Lily
lo guardò ed annui. Non era sola. Non più.
“Stanno
entrando!” esclamò Peter, eccitato. Si era bardato tutto di rosso
ed oro, facendo concorrenza ai suoi compagni più esaltati.
Sia
Lily che Remus si alzarono in piedi salutando con grida ed applausi
la squadra di Grifondoro che entrava in campo, accompagnata dalle
parole di Sirius.
Ciascun
giocatore, sentendo il proprio nome, accompagnava le ovazioni della
folla con un giro di campo.
“Un
ultimo applauso per la squadra di Grifondoro! Potter, Capitano e
Cercatore, schiera Anderton in porta, Lloyd e Yates come Battitori,
Vaughn, Cooper e Priscilla Foster in attacco! Che squadra gente!
Riuscirà Grifondoro a riprendersi la Coppa meritatamente rubata da
Corvonero lo scorso anno?”
Fischi
selvaggi da parte dei Corvonero riempirono lo stadio, mentre Remus
scuoteva la testa, la squadra di Grifondoro faceva un ultimo giro di
campo e Sirius riceveva minacce dalla McGranitt.
“Non
mi dica così,Prof! Ricordo bene come la pensava l'anno scorso!
Dicevo, un ultimo applauso alla squadra di Grifondoro, perchè,
gente, oggi siamo tutti quanti rossi ed oro! Ripeto, Grifondoro
gioca con Potter, Anderton, Lloyd, Vaughn, Cooper e Foster! Sì,
prof ora dico anche di Serpeverde.” ammise Sirius, a malincuore. Si
stava divertendo un mondo.
Il
pubblico verde argento iniziava a borbottare e a fischiare in
direzione di Sirius, mentre la squadra era già scesa in campo,
pronta e vogliosa di iniziare. Poco ci mancava che Collins, un
corpulento ragazzo del settimo anno, Capitano e Battitore, non
scaraventasse la sua mazza in testa a Sirius.
“Dunque,
entrano anche i Serpeverde, capitanati da Collins. Serpeverde gioca
con Collins, Nott, Crabble, Midgen, Pucey, Baddock e...- Sirius
inspirò prima di parlare- e Regulus Black come Cercatore.”
Prese
fiato per un attimo, aspettando che Mr. Quaffleborn, quell'assurdo
mago da strapazzo che si occupava di Quidditch e delle lezioni di
volo di quelli del primo anno, imponesse ai due Capitani un a stretta
di mano che nessuno voleva concedere all'altro e desse il fischio
d'inizio.
La
pluffa fu lanciata in aria per la contesa e Sirius riprese la sua
cronaca.
“Dicevo,
Potter Cercatore di Grifondoro e Black di Serpeverde, che sfida!
Anche se, devo ammettere, che James Potter, il mio migliore amico, ha
qualcosa in più! Qualcosa che lo rende davvero uno dei migliori
Cercatori che Hogwarts abbia mai avuto! Punti alla Nazionale, Jamie?”
chiese retoricamente, mentre Regulus gli svolazzava davanti.
Passò
i seguenti cinque minuti ad esaltare le doti di Grifondoro, sino a
quando il professor Lumacorno non arrivò per redarguirlo.
“Vuole
che parli di più di Serpeverde, prof? Va bene, ma che c'è da dire
se non che la difesa messa in campo da Potter è di gran lunga
superiore? Yates e Lloyd non permettono a nessun Bolide di tagliare
la strada all'attacco. E poi, siamo sinceri? C'è qualcuno qui a cui
importa qualcosa di Serpeverde? Non vorrebbero tutti che vincesse
Grifondoro?” Sirius ammiccò al pubblico che rispose con un boato e
cori a favore di Grifondoro.
Gli
spalti erano un tripudio rosso ed oro, anche i Tassorosso e i
Corvonero, in maggioranza, avevano scelto di tifare Grifondoro.
Nel
frattempo la partita proseguiva: i primi minuti erano trascorsi senza
azioni rilevanti e senza punti. Sembrava che le due squadre si
stessero studiando a vicenda, pressandosi e tornando ciascuno nella
propria metà campo.
James
e Regulus volavano in cerca del Boccino, ma era ancora troppo presto
per prenderlo, sebbene entrambi sapessero che l'esito della partita
dipendeva da loro.
“Ehi,
fallo! Fallo! Quello è un fallo bello e buono! Mr. Quaffleborn,
Baddock merita di essere mandato fuori!” Baddock aveva attaccato
Priscilla Foster mentre lei era portatrice di palla e, per poco, la
ragazza non cadeva dalla scopa.
Quaffleborn
fece gesti in direzione di Sirius e bloccò sul nascere un litigio
che stava già degenerando in rissa.
Chi
si aspettava da Sirius Black una cronaca fatta di battute e risate in
perfetto stile Malandrino rimase deluso perchè le parole che
seguirono il resto della partita era commenti duri, sprezzanti,
cinici e dotati di una sorta di umorismo freddo e perverso che più
che far ridere serviva ad allentare la tensione.
Sirius
stesso era partito con l'intenzione di fare una cronaca diversa,
ironica, divertente, leggera; forse aveva sbagliato partita per
iniziare la sua carriera di commentatore.
“Venti
a trenta per Serpeverde e pluffa al centro! Dopo il brutto fallo la
Foster non si è ancora ripresa del tutto! Presumo sia per questo che
Serpeverde ha infilato due pluffe in poco tempo! La squadra di
Grifondoro pare incapace di gestire una manovra d'attacco, perdendosi
nel suo stesso calderone quando si tratta di difendere. Pucey va, va
salta Vaugh, salta Yates e si trova davanti ad Anderton! Dai Doug,
difendi quegli anelli! E va, Doug Anderton respinge la pluffa con la
coda della scopa! La pluffa ora è in mano a Cooper che la passa a
Vaughn, accerchiato dal grosso Collins, passa a Foster, ma Priscilla
perde la pluffa, Baddock manda un bolide contro di lei, di nuovo e
ancora, Priscilla questa volta lo schiva, ma la pluffa è persa.
Anderton fa quello che può, esce dai pali, ma Serpeverde segna
ancora! Semplice vincere così, vero? Questo è terrorismo
psicologico! Black va a complimentarsi con i suoi, mentre Potter
raduna la squadra e chiede un time-out!”
James
era sceso dalla scopa e faceva crocchio con la sua squadra. Si vedeva
che era teso e Sirius avrebbe voluto andare lì e dirgli che ce
l'avrebbe fatta. Ce la faceva sempre, lui.
Era
più bravo di Regulus, lo sapevano tutti.
Sirius
era convinto che il commentare quella partita, le azioni del suo
fratello di sangue contrapposte a quelle del suo fratello d'adozione,
di quel fratello che si era scelto, gli avrebbe fatto male, gli
avrebbe dato fastidio.
In
realtà non sentiva niente. Si vergognava quasi ad ammetterlo, ma il
commentare le azioni di suo fratello non gli faceva né caldo né
freddo. Niente, non sentiva niente. Gli era del tutto indifferente.
Forse
era un mostro, a non provare niente; o forse era normale.
Sirius
non lo sapeva, se lo domandò per parecchio tempo, senza riuscire mai
ad arrivare ad una conclusione che lo soddisfacesse.
Nel
frattempo la partita era ripresa: James aveva apportato qualche
cambio alle posizioni dei suoi Cacciatori, ma sapeva perfettamente
che le sorti della partita dipendevano dalla velocità con cui lui
riusciva ad acchiappare il Boccino d'Oro.
L'aveva
visto, l'aveva sfiorato, ma Regulus gli era sempre troppo vicino. Era
bravo Regulus, il miglior avversario che avesse mai incontrato, ma
nei suoi occhi c'era sempre troppo disprezzo. James sapeva che quel
disprezzo era rivolto a lui, reo di avergli portato via suo fratello.
“Siamo
in parità, gente! Theodore Vaughn è davvero un ottimo Cacciatore!
Ad inizio stagione nessuno avrebbe scommesso uno zellino su di lui,
senza offesa eh, Teddy! Ma Potter ha avuto ragione a credere in lui!
Consiglierei invece al simpatico Crabble di lavarsi la bocca per
scacciare la sporcizia delle sue parole. Siamo su un campo da
Quidditch, qui la politica non entra Crabble!” lo ammonì Sirius,
concentrandosi poi sulla scopa di James che sfrecciava sulle
torrette.
“Potter
deve aver visto qualcosa! Vai James, te la meriti tutta!” gridò al
microfono.
Tutto
lo stadio si era alzato in piedi per seguire le evoluzioni dei due
Cercatori che si inseguivano.
Remus,
Lily e Peter seguivano la scena con il batticuore, Sirius non
riusciva a dire altro al microfono se non “Vai, James, vai!”,
senza che nessuno dei professori intervenisse.
La
McGranitt si era alzata come tutti, Lumacorno pestava i piedi e il
minuscolo Vitiuous si sporgeva più che poteva. Solo Silente
osservava immobile ed imperturbabile l'azione.
James
era avanti e sembrava più vicino a l Boccino di quanto non fosse
Regulus che però, abilmente, gli tagliò la strada. James virò,
tornò indietro e, per pura fortuna, riuscì a non perdere il
Boccino, che aveva cambiato strada.
Ora
lui e Regulus erano ancora affiancati; un bolide passò sopra le loro
teste,a ricordare che lontano da quell'inseguimento si stava ancora
giocando una partita, il suo movimento distrasse leggermente Regulus,
che rimase indietro, allungandosi invano sulla scopa ed assistendo al
trionfo di James.
James
strinse il Boccino nella mano destra e non lo lasciò più per i
successivi venti minuti.
Planò,
per fare un giro dello stadio e mostrare a tutti la sua conquista, il
segno, inequivocabile, che Grifondoro aveva vinto ancora, che era
andato a riprendersi la Coppa dopo due anni, che la squadra migliore
era la sua, allenata con tanta dedizione e sacrificio.
“Ce
l'ha fatta” urlarono all'unisono Lily, Remus e Peter.
“Ce
l'ha fatta! Abbiamo vinto, abbiamo vinto!”
“Ce
l'hai fatta, fratellino ce l'hai fatta!” Sirius si gettò addosso a
James, stringendolo di un abbraccio saldo e rude.
“Abbiamo
vinto, Sirius! Abbiamo vinto!”continua a dire James, euforico,
mentre tanti mani gli tiravano affettuose pacche sulle spalle, mentre
tanti reclamavano la sua presenza, mentre la sua squadra inneggiava
al suo Capitano.
Qualche
professore cercava di ridestare l'attenzione, di richiamare il
silenzio per poter premiare la squadra vincitrice, ma Silente,
saggiamente, concesse ai ragazzi qualche altro minuto per sfogare la
propria gioia, prima di chiamare personalmente James Potter e tutta
la squadra di Grifondoro a ritirare la Coppa.
Dopo
la partita, per celebrare il trionfo di Grifondoro, ci fu una grande
festa sulla Torre.
I
Malandrini erano riusciti ad imbucare degli alcolici e le cibarie
dalle cucine, qualcuno riuscì a portare una radio.
Era
tutto come alla festa di compleanno di James, tre mesi prima, pensava
Lily.
Con
una differenza: quella volta c'era anche lei e niente e nessuno le
avrebbe impedito di godersi la serata. Avrebbe riso, avrebbe
cantato, avrebbe scattato fotografie come tutti gli altri, quella
sera.
Voleva
farlo. Doveva farlo.
“Tutto
ok, Lily?” Peter si era avvicinato a lei, che stava in piedi, da
sola, vicino alla finestra.
Lily
annuì, senza distogliere lo sguardo da James e Sirius che stavano
intrattenendo tutti i Grifondoro con qualche aneddoto sulle loro
vicissitudini.
Rise
e scosse la testa, osservando il loro pubblico divertirsi e far
battute sulla loro avventura: avevano un futuro da comici, quei due.
“Stavo
pensando, Peter.” disse.
“Mette
sempre un po' di tristezza l'arrivo delle vacanze, vero? Le aspetti
per un intero anno e poi, quando arrivano, vorresti che ti sia dato
ancora un po' di tempo da trascorrere qui con i tuoi amici, non è
così?” osservò Peter, assaggiando la sua bibita.
“In
parte.” rispose Lily che, dal canto suo, non aveva mai avvertito
una particolare repulsione per l'idea di tornare a casa, soltanto uno
strano e spiacevole nodo allo stomaco quando preparava i bagagli.
“Sono...
sono cambiate tante cose, quest'anno.” aggiunse.
Peter
abbozzò un sorriso.
“Cambiano
sempre tante cose. Mi suona quasi strano che inizieremo l'ultimo
anno.” rispose.
“Sì...
l'ultimo anno, solo poco tempo fa mi sembrava lontano e invece!”
concordò Lily, senza perdere di vista per un attimo James e Sirius.
Peter
se ne accorse e ,volgendo lo sguardo nella stessa direzione di Lily,
disse:
“Hanno
aiutato tanto anche me, sai?” in realtà più che aiutato avrebbe
voluto dire salvato, ma gli suonava troppo melodrammatico e preferì
optare per un termine più neutro.
Lily
gli sorrise, senza rispondere. Non credeva che Peter cogliesse
qualcosa dei suoi pensieri solo per il fatto che stava fissando James
e Sirius da un abbondante quarto d'ora, però le fece piacere
ricevere una conferma.
Si
chiese quale fosse la storia di Peter. Dai loro discorsi aveva
intuito che, tutti e quattro, avevano la loro e che essa fosse una
delle ragioni più importanti che li avesse portati a diventare
amici.
Era
strano da spiegare, ma Lily aveva la sensazione che James, Sirius,
Remus e Peter si fossero trovati per il semplice motivo che non
poteva andare diversamente, quasi che ci fosse un qualche strano Fato
a decidere per loro.
Peter,
invece, stava pensando a quando, undicenne, seguiva ed assecondava i
gesti di James, Sirius e Remus senza quasi ragionarci sopra e a come,
inaspettatamente, loro avessero trovato naturale considerarlo un
amico.
I
primi tempi aveva la sensazione che Sirius non lo sopportasse e, a
pensarci bene, Peter poteva anche dargli ragione: non potevano essere
più diversi, caratterialmente.
Poi,
Peter si chiedeva ancora come avesse potuto succedere, l'avevano
preso sotto la loro ala protettrice e non si erano mai allontanati.
Non
sapeva come era cominciata, non sempre le storie hanno un inizio ben
preciso, però, forse, il giorno della svolta, era stato quel viaggio
sull'Espresso, il ritorno ad Hogwarts dopo le vacanze di Natale.
James, Sirius e Remus avevano iniziato a fare comunella da poco più
di un mese e lui li seguiva, di tanto in tanto, così come di tanto
in tanto stava con le loro compagne.
In
quei mesi soprattutto Priscilla era piuttosto amichevole.
Poi,
quel viaggio di ritorno aveva smosso qualcosa, non sapeva spiegare
cosa.
Non
c'erano stati eclatanti gesti o sceneggiate teatrali che li avessero
portati ad essere amici: era successo, successo e basta. Si parlavano
da mesi, ma quel viaggio aveva sbloccato qualcosa e Peter, dopo sei
anni, ricordava ancora la gioia che gli aveva dato l'essere in
compagnia di James, Sirius e Remus.
Quando
la scuola era iniziata era più che certo che non sarebbe riuscito a
farsi degli amici, o almeno, non in fretta.
Era
figlio unico e, come diceva suo padre, aveva l'abitudine di vivere in
un mondo tutto suo. Sapeva anche di essere piuttosto goffo ed
imbranato e già si figurava preda dei più atroci scherzi da parte
dei più grandi.
In
realtà non si era mai verificato niente di tutto ciò, cioè, sapeva
che lo prendevano tutti un po' in giro, sapeva anche di suscitare
cori di risate non appena apriva la bocca, sapeva di essere sempre
lasciato da solo ma di vere e proprie cattiverie nei suoi confronti
non ce n'erano mai state.
Salvo
forse quella volta che due studenti del quinto anno si erano
rifiutati di aiutarlo con la parola d'ordine che aveva dimenticato o
quell'altra volta in cui un gruppo di Serpeverde del settimo anno
l'aveva chiuso nei bagni del terzo piano e, ancora non sapeva
spiegarsi perchè, ma James Potter aveva deciso di usare proprio quel
bagno e, senza saperlo, l'aveva per la prima volta tirato fuori dai
guai.
Poi
c'era quella volta che a Pozioni gli si era fuso il calderone e Remus
Lupin si era offerto, nonostante avesse le maniche della divisa
completamente impiastricciate di una poltiglia verdastra, ovvero
quanto bolliva nel calderone di Peter, di proseguire la lavorazione
della sua pozione con lui.
A
pensarci bene, c'era anche quella volta, ma erano già al secondo
anno, che era stato nella Foresta Proibita con Sirius: non ricordava
il motivo per cui erano stati puniti solo loro due, sapeva solo che
quella era stata la prima “vera” conversazione che aveva avuto
con Sirius Black.
“Lily,
Peter venite! Cosa fate qui da soli?” la voce allegra di Remus era
arrivata a distoglierli entrambi dai loro pensieri.
“Vogliamo
fare una foto tutti insieme!” aggiunse, come spiegazione.
Remus
li trascinò al centro delle Sala Comune, vicino a James e Sirius.
Theodore Vaughn, il Cacciatore di Grifondoro, era in piedi davanti a
loro con una macchina fotografica.
“Dopo
però c'è la foto di tutta la squadra con la Coppa, Capitano!”
esclamò, a mo' di promemoria.
“Teddy,
dopo farai questa tua foto con James, ora però vedi di tenere dritto
quell'affare e di non farlo cadere perchè altrimenti quello che
potrebbe farti la Piovra Gigante è niente in confronto a quello che
potrei farti io se me la rompi. Ora, se hai finito, visto che ci
siamo tutti scatta quella fotografia!” lo rimbrottò
affettuosamente Sirius, mentre anche Peter e Remus si erano uniti a
lui e James.
“Lily,
cosa fai lì, vieni!” James chiamò Lily che era rimasta in piedi
di fianco a Theodore. Sentendo il suo nome, sembrò sorpresa ed
esitando, si accomodò al centro del gruppo, tra Remus e Sirius.
James
le sorrise caldamente, avrebbe voluto averla vicino a sé, ma
Theodore aveva premuto in fretta il pulsante e non gli fu possibile
chiedere nulla.
“Credevi
forse di non meritare una foto con noi?” le chiese, prendendola da
parte mentre gli altri stavano sciogliendo i ranghi.
“Mi
sembrava solo... strano.” confessò Lily, ancora intimidita.
James
la prese per il polso, senza badare troppo alla gente accalcata per
tutta la Sala Comune.
Lily,
sorpresa e curiosa, si limitò a seguirlo.
La
portò verso le scale, dove c'era un po' meno confusione. Si appoggiò
alla parete e la guardò fisso negli occhi.
“Non
devi mai, mai pensare di essere di troppo o di non poter stare con
noi? Chiaro? Se così fosse... se così fosse...” James tartagliò,
voleva forse dirle che altrimenti non sarebbe corso da solo contro ai
Serpeverde o qualche altra cosa di questo tipo, ma Lily gli prese la
mano e gliela strinse forte.
“Grazie.”
gli disse semplicemente, mettendoci in quella semplice parola tutte
le lacrime e tutti i sorrisi di quei mesi bui.
Da
quando Remus le aveva teso la sua mano gentile aveva iniziato a
rialzarsi. Ma era stato due mesi prima, quando la stretta energica di
James l'aveva tirata fuori da quell'inferno che aveva iniziato di
nuovo a sperare e a credere in qualcosa.
“Sempre.”
sussurrò James, in un soffio. Non sapeva se lei avesse sentito o
meno, ma il sorriso che gli rivolse gli fece pensare che fosse così.
“Ehi,
eccovi qui, non vi trovavamo più!” Sirius, Peter e Remus vennero a
rompere quel contatto suggestivo. Sia Lily che James abbassarono gli
occhi in fretta, imbarazzati.
“Vi
spedirò la foto, quando l'avrò fatta sviluppare.” promise Sirius.
“Felpato,
quanto durerà questa moda della fotografia?” ridacchiò Remus.
“Dura
da abbastanza, direi.” replicò Sirius offeso.
Lily
scoppiò a ridere e James esclamò:
“Ma
guardatevi! Sembrate una vecchia coppia di sposi!” Remus e Sirius
si squadrarono,indispettiti, e poi risero insieme agli altri.
“Mi
mancherete, ragazzi!” riuscì a dire Peter, con le lacrime agli
occhi per il troppo ridere.
“Anche
a me.” disse Lily, accampata sui gradini.
“Ti
scriveremo ogni giorno, Lily. Una lettera a testa.” giurò Remus,
che poteva immaginare che quell'anno, per Lily tornare a casa poteva
significare l'apertura di vecchie ferite.
Lily
lo guardò, sospettosa ed incredula.
“Non
è necessario, davvero!” si schernì.
“No,
no, Lily, ti scriveremo!” proclamò convinto anche Peter.
“Ogni
giorno, Lils.” aggiunse Sirius.
Lily
non seppe cosa rispondere. Doveva avere un'espressione proprio buffa,
a pensarci bene.
Probabilmente
aveva anche gli occhi appannati da un po' di commozione e forse il
cuore stava per scoppiarle nel petto. Guardò verso James che le
sorrise, lei ricambiò.
Si
erano già detti tutto a quel modo.
Buon pomeriggio a
tutti quanti; che ve ne pare? A me personalmente non piace molto,in
particolare per il Quidditch, risulta anche troppo “frammentario”,
rispetto al capitolo precedente, ma forse era questa l'idea che
volevo dare.
A presto, e questa
volta davvero, il prossimo capitolo è quasi pronto.
Alohomora:
grazie ancora per le belle parole! Ovviamente quella frase non era
messa lì a caso, ma conteneva un chiaro riferimento e una
testimonianza di come James credesse davvero in tutti i suoi amici.
Spero di riuscire a dipingere sempre con dolcezza questa loro storia.
A presto.
Purepura:
grazie, speravo davvero di essere riuscita a trasmettere ogni
emozione, soprattutto ci tenevo alla parte finale tra Lily e James
(con l'ovvio richiamo a Minus, per sottolineare, ancora, come James
tenesse a tutti suoi amici.). Questo capitolo non è eccezionale, ma
a modo suo parla ancora di Lily e James: Lily diventerà dipendente
da James nel senso che lui è quello che l'ha tirata fuori, lui è
quello che in ogni momento sarà presente per farla ridere, per
distrarla, per ascoltarla, per proteggerla, per amarla, per diventare
casa e famiglia. Per Lily James diverrà tutto e non potrà mai
ringraziarlo per averla salvata da se stessa (anche se un enorme
passo l'ha fatto lei per prima).
In questo senso
diventerà dipendente da lui. Comunque, nel corso della storia ti
sarà più chiaro.
James era disarmato
perchè non aveva pensato a portare la bacchetta: stava andando da
Hagrid, era convinto di non averne bisogno. Ecco perchè non l'aveva.
PrincessMarauders:
sì, Liy ha aperto il capitolo James Potter, anche se per il momento
sta “sfogliando piano le pagine”. Sono contenta che ti sia
piaciuta la mia visione della nascita dell'amicizia tra James e
Sirius.
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Capitolo 22 *** Ventunesimo Capitolo ***
CAPITOLO VENTUNESIMO
And truth is such a funny
thing With all these people Keep on telling me They know
what's best And what to be frightened of And all the rest are
wrong They know nothing about us They know nothing about us
-Terra Naomi, Say it's
possible-
*
E la verità è così bizzarra con tutte queste persone che
continuano a dirmi che sanno qual'è la cosa migliore e di cosa
aver paura e tutto il resto è sbagliato Non sanno niente di
noi Non sanno niente di noi
Luglio 1977
Le
giornate si erano allungate. Era il periodo dell'anno in cui il Sole
beneficiava la terra della sua più lunga compagnia.
Dopo
cena Remus era andato, come sempre,in Infermeria dove avrebbe
incontrato Madama Chips che l'avrebbe accompagnato alla Stamberga
Strillante per la trasformazione.
James,
Sirius e Peter lo raggiunsero poco dopo che l'infermiera l'aveva
lasciato per passeggiare nella Foresta Proibita prima che facesse
buio.
Si
accamparono su quattro tronchi, iniziando a chiacchierare, la cronaca
di Sirius sulla partita poteva vantare, una settimana dopo, di essere
ancora uno degli argomenti di conversazione più gettonati.
Probabilmente
fecero un po' più rumore di quanto previsto perchè, in breve, venne
loro incontro un centauro, Fiorenzo, come già avevano avuto modo di
apprendere nel corso di un altro incontro.
“Vi
conviene andare. Si sta facendo buio e il mio branco non gradisce
umani nelle sue terre, lo sapete.” i ragazzi annuirono, ben sapendo
cosa comportava la loro presenza per i centauri, e si affrettarono ad
alzarsi.
“Marte
è molto luminoso e non è del tutto buio.” sentirono dire dal
centauro.
“Che
cosa intendi dire?” domandò immediatamente Sirius, voltandosi di
colpo. James, Remus e Peter stavano in silenzio, attenti, ritti in
piedi.
“Marte
è luminoso, giovane Black.”ripeté Fiorenzo
“Dovresti
sapere cosa significa. I tempi si fanno oscuri e vi riguardano.”
spiegò il centauro, con quella che pareva calma ma che, in realtà,
era tutt'altro.
Improvvisamente
sentirono freddo, tutti e quattro, come se il vento avesse iniziato a
spirare all'improvviso. In realtà, non c'era più aria del solito.
Il freddo che sentivano era dentro di loro.
“In
che cosa, perchè? Come?” chiese di nuovo Sirius. Aveva intuito
quello a cui si riferiva Fiorenzo. Da bambino gli erano state
impartite delle lezioni sul moto delle stelle, sui pianeti, sulla
loro luce.
Era
considerato importante nella sua famiglia conoscere il significato
delle stelle di cui ciascun membro portava il nome. Aveva solo cinque
anni quando gli fu insegnato che Sirius era la stella più brillante
della costellazione del Cane e ne aveva solo otto quando suo nonno
iniziò a ripetergli che, con un nome del genere, non poteva essere
destinato ad altro che a rendere lustro alla Casata.
Per
una strana ironia del destino, si era reso famoso per aver macchiato
la reputazione di quella stessa Casata.
Fiorenzo
indugiò a lungo, prima di parlare ancora, dando così il tempo a
James di intervenire.
“Sirius,
che cos'è questa storia? Perchè reagisci così?” che lui sapesse,
l'amico non aveva mai mostrato interesse per la Divinazione, anzi.
Peter
tremava, nervoso. E non era per il freddo. Remus osservava serio, con
gli occhi attenti.
“Marte
è luminoso stanotte, James, vedi? E' luminoso da tanto, significa
che succederà qualcosa, qualcosa di non semplice, qualcosa di
brutto.” Sirius indicò un puntino luminoso nel cielo e gli amici
alzarono istintivamente lo sguardo.
“Ma
cosa c'entriamo noi?” gridò agitato James.
“Calma,
giovane Potter- lo ammonì Fiorenzo.- A tempo debito capirai,
capirete tutto tutti quanti. Purtroppo non mi è concesso dirvi
nient'altro.” Fiorenzo sospirò, voltandosi.
“Ehi!
Che cosa succederà e perchè ci riguarda?” gridò James.
“Hai
lanciato il sasso, ora non puoi ritrarti!” aggiunse, rincorrendolo.
Sirius,
con una strana espressione in volto, più seria e consapevole di
quanto James l'avesse mai visto, lo rincorse, tirandolo indietro.
“Lasciami,
Sirius, voglio sapere cosa che ruolo avrò io!” ruggì James.
Fiorenzo
cavalcò all'indietro e torno dai ragazzi, guardandoli uno ad uno
negli occhi.
“Non
posso dire niente a voi umani. Non mi è concesso e ciascuno di voi
dovrebbe prendere le sue scelte indipendentemente dagli aùguri degli
aruspici. Tu hai scelto, giovane Potter, e questa scelta ti
condizionerà per il resto della vita. Condizionerà tutti quanti.”
sentenziò il centauro, correndo via prima che gli fossero poste
altre domande.
“Aspetta!
Che cosa ho scelto? Che cosa?” urlò ancora James, mentre Sirius lo
tratteneva e Remus accorreva a riportarlo indietro.
James
si divincolò in fretta dalla presa degli amici.
“Lasciatemi!”rantolò,
prima di avventarsi su Sirius.
“Cosa
sai, Sirius? Sembrava che tu capissi cosa diceva.”
Sirius
guardò il cielo e poi gli occhi del suo migliore amico.
“Non
so niente, James. Niente di più di quanto non sappia tu. Da bambino
ho studiato un po' i moti dei pianeti, la loro luce e il significato,
ma ne so ben poco. I centauri sono dei grandi interpreti di segnali,
tutto qui, colgono sfumature che noi non sappiamo cogliere. Marte è
luminoso, significa che ci saranno degli sconvolgimenti, una guerra,
forse.” disse, scandendo le parole.
“E
cosa significa che io sarò coinvolto? Che farò delle scelte?” lo
incalzò James.
“Tutti
noi faremo delle scelte, James- intervenne Remus, calmo e sicuro- E'
così per forza. Faremo delle scelte nel corso dei prossimi anni,
faremo delle scelte anche domani, se è per questo. Faremo delle
scelte che, volenti o nolenti, ci condizioneranno e avranno riflessi
sulla vita delle persone che ci stanno accanto. E' inevitabile.” la
voce di Remus venne per consolare, ma James sembrava non voler
ascoltare.
“Jamie,
ascolta, non dar retta a quanto è stato detto. Potrebbe non
significare niente!” esclamò Sirius, ridendo di una risata
nervosa.
“Hai
appena detto che i centauri sanno leggere quello che noi non
vediamo.” replicò James.
Sirius
sospirò, voltandosi verso Remus, in cerca di aiuto.
“James,
pensa a quello che dice sempre la McGranitt sulla Divinazione: è
impossibile sapere quello che accadrà, la vita è tutto un
intrecciarsi di conseguenze dovute a scelte. Viviamo insieme, siamo
amici. E' inevitabile che le mie scelte ricadano anche su di voi. Non
trovi?”
“Remus
ha ragione- convenne Peter, spaventato.- è tutta una questione di
scelte, James. Prima dimentichiamo questa storia, meglio è.”
“Peter
ha ragione, James. Non roderti il fegato per questo. Lo sapevamo
tutti quanti che questi non sono tempi facili.” asserì Sirius.
James
avrebbe voluto urlare ancora che era stato fatto il suo nome, che
sembrava che lui fosse la causa di qualche cosa, che si trattava di
più che di coincidenze dovute a scelte, ma si limitò ad annuire,
svogliato, e a rialzarsi in piedi.
“Andiamo.
E' quasi buio. Dobbiamo accompagnare Remus nella Stamberga.” scandì
bene ogni parola e poi, ad occhi bassi ed in silenzio, fu il primo ad
avviarsi, in testa ad una strana processione per la prima volta
silenziosa.
All'alba,
quando tornarono in Dormitorio, James seguì Sirius e Peter in camera
ma, in breve tempo, abbandonò il letto per la poltrona della Sala
Comune.
Era
sfinito, ma non riusciva a prendere sonno, nonostante ogni muscolo
del suo corpo lo richiedesse. Il graffio sul suo braccio pulsava, ma
più che tamponarlo con del cotone non aveva fatto. Si sarebbe
formata la crosta e sarebbe guarito da solo. In quel momento, James,
aveva altro per la testa.
La
sua mente tornava a quei minuti nella Foresta: scelte, Remus parlava
di scelte. Aveva ragione, le loro vite erano tutte un intrecciarsi di
conseguenze dovute a scelte non sempre prese in prima persona. Ma
cosa c'entrava lui con le scelte che avrebbero preso i suoi amici?
Cioè, era ovvio che c'entrasse, come diceva Sirius loro erano
legati, qualsiasi scelta dell'uno ricadeva sull'altro, ma perchè era
stato fatto il suo nome?
Perchè
non si era limitato a parlare di Marte? Perchè aveva fatto il suo
nome? Se davvero i centauri potevano sapere, perchè non poteva
essere messo al corrente di quello che lo riguardava?
I
suoi amici avevano ragione.
Avevano
ragione Peter e Remus a dirgli che, tutto sommato, Fiorenzo li aveva
riempiti di banalità.
Aveva
ragione Sirius, a dirgli che era necessario buttarsi tutto alle
spalle.
Non
potevano sapere come sarebbero andate le cose prima di viverle,
quello lo sapeva anche lui. Solo che, maledizione, sembrava che fosse
lui il responsabile.
Tirò
fuori dalla tasca il Boccino d'Oro e lo guardò svolazzare per la
stanza.
Le
orecchie di Lily, che stava scendendo le scale proprio in quel
momento, colsero il ronzio e la portarono a voltarsi verso quella
poltrona.
“James?”
mormorò riconoscendo la famigliare capigliatura spettinata.
“Lily!”
James si rizzò in piedi, passandosi una mano tra i capelli.
“Che
ci fai qui?”le chiese.
“Stavo
andando a fare colazione, tu?” rispose, sedendosi sul divanetto.
“E'
già così tardi?- non aveva idea di che ora fosse, erano le sei e
mezza quando aveva abbandonato la sua stanza.- Non riuscivo a
dormire.” si scusò, ricacciandosi in tasca il Boccino.
“Non
hai l'aria di aver dormito molto, va tutto bene?” ispezionò con
gli occhi il volto stanco e sciupato di James.
“Sì,
sì, tranquilla.” si affrettò ad annuire.
Lily
finse di credergli. James aveva l'aria di uno rimasto sveglio a
pensare. Non disse nessuna di quelle frasi che invitano a parlare, si
limitò a guardarlo. James non le avrebbe confessato niente. Era
fatto così.
Non
poteva dire di conoscerlo bene, ma aveva imparato a capire che
raramente James confessava di essere preoccupato. Era come se il
ruolo che si era imposto non prevedesse preoccupazioni o, almeno, non
per lui.
Lily
lo esplorò con gli occhi, soffermandosi sul viso, sui vestiti
sgualciti. I suoi occhi si fermarono sul suo avambraccio, un grosso
graffio insanguinato lo stava deturpando.
“Che
cosa ti sei fatto lì?” si inginocchiò per terra, prendendogli
l'avambraccio fra le mani.
Le
sue dita erano fredde, ghiacciate quasi, al contrario della pelle di
James, rovente.
“Cosa?
Niente, davvero, sarò caduto.” rispose James, agitandosi. Era un
ricordo della notte prima, a Remus era sfuggito il controllo o forse
era a loro che era sfuggito il controllo di Remus...
“James,
questo è un graffio... come se te l'avesse fatto un artiglio.”
disse Lily, guardandolo con apprensione. James si divincolò dalla
presa, ritraendo il braccio e sottraendolo alla vista di Lily.
“Allora
deve essere stato il gatto di Thedore Vaughn, mi è saltato addosso
ieri sera. Dai, adesso vieni, andiamo a fare colazione così
sistemiamo le ultime cose prima di partire.” James la trascinò in
fretta fuori dalla Torre, coprendosi a ferita con la camicia.
“James,
se ci fosse qualcosa che non va me lo diresti? Lo so che non ci
conosciamo da tanto,ma, insomma, se qualcosa non va mi piacerebbe
aiutarti.” Lily avvampò.
Quella
sera si era rifugiata nelle braccia di James, trovando un saldo
riparo ed un solido conforto. James aveva quella rara capacità di
farti stare bene. Si era aggrappata a lui, quella sera e si stava
rendendo conto che, piano piano, James stava diventando
indispensabile. Era importante averlo vicino, vederlo sorridere,
sapere della sua presenza.
James
Potter le stava cambiando la vita, seppure ci fosse entrato da troppo
poco tempo per stravolgerla.
“Va
tutto bene, davvero.” rispose, sforzandosi in un sorriso. Fino a
pochi mesi prima la sua vita era perfetta. Una famiglia, degli amici,
che cosa poteva volere di più un ragazzo della sua età? A poco a
poco il velo di perfezione che lo attorniava si stava bucando,
rivelando davvero quello che c'era sotto di esso.
Dolore
e sofferenza in famiglia, il rimorso di essere un figlio ingrato,
l'impossibilità di chiedere scusa a suo padre. Per quanto riguardava
gli amici, si stava rendendo conto che, anche lì, di perfetto, ad
esclusione del rapporto che lo legava ai Malandrini, c'era ben poco.
C ' era Sirius con gli infiniti problemi che lo tormentavano, suo
fratello, la sua famiglia, c'era Remus con la sua maledizione.
La
notte prima, per la prima volta, avevano sperimentato davvero cosa
volesse dire avere a che fare con un lupo mannaro, anche sotto forma
di animali. Avrebbero dovuto prendere le cose più seriamente d'ora
in poi.
Ora
c'erano anche quelle strane parole di Fiorenzo, che sembravano
confermagli una volta di più che la strada che aveva scelto di
intraprendere sarebbe stata pericolosa.
Poi
però c'era Lily e con lei Peter, Remus, Sirius. Avevano troppe cose
a cui pensare. Non poteva mettercisi anche lui.
“James...”
“Davvero.-
annuì- E ricordati di scrivermi quest'estate. Non voglio tornare a
settembre e scoprire che ti sei dimenticata di me.” James ridacchiò
e le fece l'occhiolino, conducendola verso la Sala Grande, mentre lo
sguardo di Lily continuava a posarsi su di lui, preoccupato.
Dimenticarlo?
Troppo difficile ora che era arrivato a scuoterle l'esistenza.
Era
arrivata l'ultima sera da trascorrere ad Hogwarts. Durante il
banchetto di fine anno, organizzato con parecchio lavoro da parte di
Prefetti, Caposcuola e Professori con alcuni screzi, si sarebbe
svolta la premiazione della Casa che avesse mostrato di essere la più
meritevole.
Quell'anno
la Coppa andava a Tasssorosso, qualcosa nelle teste di James, Sirius,
Remus e Peter suggeriva loro di aver una grande responsabilità
nell'assegnazione di questa ad una Casa che non fosse Grifondoro:
proprio la sera della partita, quando la festa sulla Torre volgeva
alla conclusione i quattro, nascosti sotto al Mantello
dell'Invisibilità di James o addirittura senza, avevano pensato bene
di dipingere con i colori di Grifondoro parecchie pareti del
Castello, comprese le scale che portavano al cupo sotterraneo di
Serpeverde, riempiendo le mura di slogan.
“Grifondoro
Rulez”, “Non vincete mai”, “Meglio un giorno da Grifoni che
una vita verde-argento”,
“Coppa
di Quidditch A.S. 1976-1977 a Grifondoro.” erano solo i più
gettonati.
Non
si era ancora scoperto chi fosse stato, anche se, ovviamente, i
sospetti del corpo docente andavano ai Malandrini. Tuttavia, senza
prove, a pulire erano stati gli Elfi Domestici e Grifondoro, a
tavolino, aveva perso circa duecento punti, piazzandosi in fondo alla
classifica.
Nonostante
questo, nessuno era arrabbiato, anzi, vincere la Coppa del Quidditch
e vedere la porta del dormitorio degli antichi rivali dipinta di
rosso ed oro dava soddisfazioni che nessuna Coppa delle Case avrebbe
mai potuto eguagliare.
Per
questo motivo, nel vedere la Sala Grande decorata con i colori di
Tassorosso nessuno si era lamentato, anzi, sentire il Preside
omaggiare gli studenti di Tassorosso per la vittoria aveva portato a
convinti applausi da parte di tutti gli studenti. Certo, i Corvonero
erano quelli rimasti peggio, ma appuravano saggiamente che era molto
meglio Tassorosso di Serpeverde e, soprattutto, era molto bello che,
per una volta, Grifondoro e Serpeverde fossero rimasti esclusi dalla
Coppa.
Dopo
il solito discorso introduttivo, il Preside passò alla premiazione
della Casa vincitrice, rinnovando nuovamente i complimenti a
Tassorosso per aver vinto la Coppa delle Case e non mancando di
ricordare la recente vittoria di Grifondoro nel Quidditch.
Gli
studenti si preparavano già al banchetto, quando Silente riprese la
parola.
“Prima
di lasciarvi alle delizie del banchetto, vorrei ricordarvi alcune
cose che, nonostante la vostra giovane età, è il caso conosciate.
Come sapete negli ultimi mesi si sono succeduti uno all'altro gravi
fatti, omicidi, sparizioni, il tragico attentato a Diagon Alley.
Fatti che, mi duole dirlo, continuano a ripetersi continuamente ogni
giorno.
Lord
Voldemort e i suoi seguaci acquistano ogni giorno un potere sempre
maggiore.
Qualcuno
non vorrebbe che ve lo dicessi, ma ritengo corretto informarvi che
stiamo combattendo una guerra che non stiamo vincendo.
Hanno
combattuto, seppure senza impugnare la bacchetta in uno scontro
diretto, alcuni vostri conoscenti, alcuni vostri amici, alcuni dei
vostri genitori. Alcuni tra loro si sono opposti, altri hanno perso
la vita combattendo valorosamente, altri ancora si sono semplicemente
trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato, ma tutti quanti
sono certo che vi abbiano lasciato qualcosa.
Quindi
vi chiedo, a conclusione di questo anno scolastico, di osservare un
minuto di silenzio per i vostri compagni che sedevano accanto a voi
sino a qualche mese fa e che, assieme alle loro famiglie, non sono
mai tornati; per coloro che hanno pagato con la vita lo svolgimento
del loro lavoro.
Un
minuto di silenzio per:
Horace
e Diana Chase
Malcom,
Jane e Benjamin Deaborn
Robert,
Augusta e Vince Deeval
Cornelius,
Annabeth, Claire e Lois Doge
George
e Tabitha Flanagan
Emily
e Martinus Glow
Rita
Jones
Simon
Longbottom
Clarissa Lux
Andrew
McFarland
Hanna
O' Neal
Charlus
Potter
Sheila
Raven
Molly
e Roseanna Smith
Brian
Sthepenson
Quentin
Talmond
Caradoc
Vance
Humprey Weasley”
Le
quattro tavolate guardavano al Preside con attenzione, sebbene
qualche sguardo annoiato o qualche occhiata ironica provenisse dal
tavolo di Serpeverde o, in minore percentuale, anche dagli altri
tavoli.
Nel
silenzio James Potter si alzò in piedi, omaggiando quei caduti con
la sua espressione di dolorosa consapevolezza.
Sirius
Black guardò timidamente verso l'amico fraterno e poi,dopo una
rapida occhiata alla Sala Grande, si scostò dalla panca, prendendo
posto accanto a lui.
Remus
Lupin e Peter Minus fecero rispettosamente lo stesso.
Non
rimasero gli unici quattro in piedi in tutta la Sala Grande ancora
per molto: Teddy Vaughn e tutta la squadra di Grifondoro portò
rispetto al suo Capitano accompagnandolo in quel silenzio doloroso e
poi anche Lily Evans e Mary McDonald e le loro compagne.
Dal
tavolo di Corvonero si levò Gabriel Vance il Caposcuola e la sua
collega Susan Jacob fece lo stesso dalle file dei Tassorosso.
Thomas
e Margaret Glow pensarono intensamente ai loro genitori, mentre si
alzavano in piedi e lo stesso fecero gli altri studenti che
ricordavano un amico, un parente, un conoscente o che intendevano
semplicemente mostrare rispetto e partecipazione.
Piano
piano da tutti e quattro i tavoli si alzarono altri studenti. La
quasi totalità dei Grifondoro era in piedi, così come i Tassorosso
e Corvonero. Qualche grida silenziosa si era levata anche dal tavolo
di Serpeverde, con parecchi dei suoi componenti ritti in piedi.
Dal
tavolo dei professori, Albus Silente osservava orgoglioso quella
gioventù, pensando che, in fondo, niente era ancora perduto.
Buonasera a tutti,
come promesso ecco un aggiornamento rapido.
Questo capitolo mi
piace particolarmente, non so perchè, forse per le reazioni dei
personaggi o per le relazioni che si tessono fra loro.
Volevo precisare che
questa scena con Fiorenzo non toglie né aggiunge niente, a mio
parere. E' solo molto simile a quanto il centauro dice ad Harry nella
“Pietra Filosofale”, quando ripete “Marte è molto luminoso
stanotte.”
Non credo che negli
astri fosse già scritto il loro futuro, semplicemente, forse, la
sapienza dei centauri è riuscita a cogliere qualcosa in quei moti
millenari e, comunque, come Fiorenzo sottolinea, è una questione di
scelte, scelte che, ciascuno di loro, prenderà autonomamente.
Vi aspetto domenica
27 settembre per l'Epilogo che conclude questa prima parte di
Pieces of Us dedicata al sesto anno.
A presto.
Purepura: sono
contenta che ti abbia convinto anche un capitolo che a me non piaceva
per niente; poi è vero, servono anche capitoli di transizione, senza
contare che questa storia è cupa già di suo, ogni tanto bisogna
rischiararla!
Credi che davvero
andandosene da Hogwarts Lily non avrà contatti col suo mondo? Ora ha
quattro Malandrini che si occupano di lei, non credo che la
lasceranno sola per due mesi...
Alohomora:
Forse ai Malandrini è successo quello che capita spesso, passa il
tempo e ci si allontana. Non dimenticare che Sirius sospettava che la
spia fosse Remus, forse con gli anni sono cambiati i loro legami e
Peter è stato quello che, più degli altri, si è allontanato dal
gruppo. Ora, con questo non vuol dire che lui fosse giustificato nel
fare quello che ha fatto, però è innegabile che dopo la scuola
cambino tante cose, cambiano per tutti e così è stato anche per
loro. Sta solo nel cercare di investigare la sua psiche e capire cosa
può averlo spinto a condannare Lily e James a morte e ad incastrare
Sirius, però è innegabile che negli anni di Hogwarts Peter provasse
una sincera riconoscenza per i suoi amici.
Per il resto, io credo
che Sirius si sia sempre sentito un po' colpevole per la strada presa
da Regulus, pensando che, forse, avrebbe dovuto fare di più per
portarlo via.
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Capitolo 23 *** Primo Epilogo ***
PRIMO
EPILOGO
Oh, there
are rocks They will always role in the sea And the ocean can't
stop they're being All in all currents can't defeat them
And
I will think for, for it all These rocks will always given
And
all those, These birds instead it now A wave can pull them
under And all this turn down the sea
And I will pray to
those rocks Will be there for me
-Noah and
the Whale, Rocks and Daggers-
*Oh,
ci sono rocce
hanno
sempre una parte nel mare
e
l'oceano non le può fermare
Niente
in tutte le correnti le può battere
Ed
io penserò a tutto
Queste
rocce sono date per sempre
E tutte
quelle
al loro
poso questi uccelli ora
E un onda
li può mandare sotto
E tutto
questo va in fondo al mare
E io
pregherò che quelle rocce
siano lì per me
Luglio 1977
Lily
guardò la stanza ormai spoglia.
Tutte
quante, lei, Priscilla, Rose, Penolope, Mary, avevano tolto ogni
traccia di sé dai comodini, dai davanzali, dalle pareti.
Non
c'era più il poster di Marvin Gaye di Priscilla sulla parete sopra
al suo letto o le fotografie di Mary sul comodino, non c'erano le
scarpe di Rose sparse per la camera o i ninnoli che Penelope lasciava
ovunque.
Lily
aveva staccato a malincuore il suo poster dei Fab Four e le poesie di
Baudelaire che aveva copiato ed attaccato al muro.
Non
le era mai piaciuto fare quel lavoro: era sempre stata piuttosto
contenta di ritornare a casa per le vacanze, eppure, sin dal primo
anno, le era sempre venuto uno strano nodo allo stomaco, quando si
trattava di abbandonare la camera, di spogliarla di tutti quegli
oggetti che avevano rappresentato una parte di sé per quell'anno.
A
settembre, come ogni anno, avrebbero cambiato stanza, alternandosi
con le altre ragazze, andando ad occupare quella che, ancora in
quella mattinata, era la camera delle ragazze del settimo anno. Un
piano più su, come a dire, un anno avanti.
Quell'anno
poi, era stato strano sotto tanti e troppi punti di vista. Quell'anno
erano cambiate tante cose e Lily si era ritrovata ad essere sempre se
stessa, ma con qualcosa di diverso. Non soltanto per via di Severus o
di James, Sirius, Remus e Peter. No, sentiva che in lei c'era
qualcosa di diverso, sebbene non riuscisse a spiegare cosa.
Si
passò, distratta, una mano tra i capelli e poi si diresse al suo
comodino, per controllare ogni cassetto, come faceva sempre.
Il
terrore di dimenticare qualcosa la accompagnava ogni volta.
Nell'armadio non aveva trovato niente, ma, magari, lì avrebbe
scoperto qualcosa.
Controllò
ogni cassetto e non trovò niente neppure là, quindi si mise la
tracolla in spalla e, fece per incantare il baule.
Sbirciò
appena la fessura rimasta aperta nella tracolla, come al solito era
troppo piena, la aprì del tutto, per vedere di incastrare ancora
qualcosa nel baule.
Fu in
quel momento che lo vide e le venne un idea.
Si
ritrovò in mano “Il Giovane Holden”, quel volume che tanto
l'aveva accompagnata in quegli anni, con le confusioni, le
arrabbiature, le proteste e la voglia d'evasione di Holden, che, in
fondo, sentiva un po' sue.
Sedette
sul letto e prese a sfogliare quelle pagine.
Realizzò,
all'improvviso, che non le serviva più. Che sì, era legata ad
Holden, lo sarebbe sempre stata, che sì, in futuro sarebbe tornata a
sfogliare quelle pagine, a rivivere la confusione di Holden,
sopratutto quando si sarebbe sentita lei stessa così, ma realizzò
anche che, in un certo senso, era guarita. Guarita o cresciuta. O
forse tutte e due.
Per
il momento Holden non le serviva.
Le
venne in mente, però che, forse, serviva a qualcun altro. Le scappò
un sorriso, al pensiero di come il suo nuovo amico avrebbe accolto
quel buffo prestito.
Così,
ridendo da sola, strinse forte il libro, si alzò in piedi, si
aggiustò la tracolla ed incantò il baule per raggiungere
l'Espresso.
“Sirius,
ehi, Sirius!”gridò Lily, vedendo il ragazzo caricare il suo baule
sul treno con non poca fatica.
Sirius
si voltò, con la conseguenza di far perdere al suo bagaglio quel
poco di precario equilibrio che aveva raggiunto in bilico sul gradino
di uno dei vagone dell' Espresso.
“Lils!
Che ci fai qui? Non eri già nel vagone dei Prefetti con Remus?”
l'espressione meravigliata si trasformò immediatamente in un
sorriso, vedendo l'amica correre verso di lui.
Lily
era scesa dall'altra porta dello stesso vagone su cui lui stava
tentando di caricare il suo baule.
“Ti
cercavo, ho aspettato sino a quando non ti ho visto arrivare. James è
già sul treno, mancavi solo tu e io volevo darti una cosa.” spiegò
Lily, con un lieve imbarazzo ad accompagnare le ultime parole.
Sirius
le rivolse uno sguardo interrogativo e perplesso: non capiva, come
mai voleva dare proprio a lui qualcosa? Soprattutto, che cosa? Notò
poi che Lily aveva in mano qualcosa, un libro forse.
Lily
rise della sua occhiata curiosa e gli mostrò la copertina del libro
che teneva in mano.
“Il
Giovane Holden, vedi?” gli indicò, fermandosi un attimo con
l'indice a sottolineare il titolo sulla copertina.
Le
sopracciglia di Sirius si incurvarono sempre di più.
“Mi
ricorda un po' te, Holden, sai Sirius? E' per questo che ci tenevo a
dartelo. Lo conosco a memoria, ormai. Se ti va, dacci un'occhiata
questa estate.” gli disse Lily, sistemandosi, nervosa, una ciocca
di capelli dietro l'orecchio.
Sirius
prese a sfogliare il libro, confuso. Cosa doveva rispondere? Non
aveva mai letto molto, anzi, non aveva mai letto per niente. Non gli
piaceva passare il tempo sui libri, convinto com'era che c'era un
mondo di fuori che non si poteva perdere sprecando così il proprio
tempo.
Tuttavia,
anche lui aveva i suoi libri, quelli che andavano letti per forza.
Lily
sostava davanti a lui, inquieta.
Le
dita di Sirius si fermarono sulla pagina in cui era scritta una
filastrocca:
Gin a body meet a
body
Coming trought the rye
Gin a body kiss a body,
Need a body cry?*
“Un
coglitore nella segale; è così che mi vedi, Lils?” chiese Sirius,
enigmatico, con una lieve ironia, facendo riferimento al titolo del
libro.1
Lily sorrise e scosse la testa.
“Anche. Ma a volte mi sembri un po' un terzino nella grappa.2”
Sirius
la guardò e scoppiò a ridere.
Un
coglitore nella segale, un terzino nella grappa. Sì, a volte si
sentiva davvero un po' così... in equilibrio, su un filo davvero
sottile.
Scorse
ancora una volta le pagine consumate del libro datogli in prestito.
Forse
avrebbe potuto fare un'eccezione alla regola.
Forse
lui ed Holden sarebbero andati d'accordo.
Forse.
***
Remus
era appena tornato dal suo giro di pattugliamento dei corridoi del
treno, stanco per le due ore in piedi che si era fatto, si buttò a
peso morto sul sedile che i suoi amici avevano tenuto libero per lui
e tolse dalla sua tracolla il Profeta di quella mattina.
Altri
articoli sui gravi fatti di due giorni prima, altre tristi
testimonianze, quasi che i giornalisti provassero un perverso gusto
nel raccontare dolore e sofferenza.
Si
disse che avrebbe dovuto informarsi, che era importante leggere cosa
era successo.
Ma
poi guardò James giocare con Peter a Scacchi e perdere miseramente
come ogni volta, Lily riposare ad occhi chiusi sul sedile di fronte
al suo e Sirius, seduto alla sua destra, armeggiare con la sua
macchina fotografica, pronto a documentare, come ogni anno, il
viaggio di ritorno.
Li
guardò uno ad uno e pensò che, in fondo, il mondo poteva aspettare.
Lui
aveva qualcosa di più importante da fare.
***
L'Espresso
per Hogwarts si era fermato da poco, ma era già tutto un viavai di
carrelli, bauli, gufi, grida e genitori apprensivi.
Peter
Minus raggiunse i suoi genitori facendosi stritolare da un abbraccio
di sua madre, mentre suo padre lo invitava a dire ai suoi amici di
usare la loro tenda da campeggio per le vacanze che avevano
programmato.
Peter,
alzando gli occhi al cielo per cotanta apprensione, richiamò
indietro il gruppo.
***
Remus
Lupin strinse forte sua madre, facendosi cullare da quell'abbraccio.
Non erano stati mesi semplici per nessuno quelli e non si vergognava
affatto a farsi vedere salutare la madre a quel modo.
Le
sorrise tristemente, mentre lei osservava con apprensione i nuovi
graffi che il ragazzo si era procurato.
Afferrò
di nuovo il baule che aveva posato per terra, salutò Lily e i suoi
amici e poi si avviò a casa con sua madre al suo fianco.
***
Edward
e Rose Evans si scambiarono un sereno cenno d'assenso quando videro
la loro Lily correre loro incontro.
Aveva
uno sguardo molto più sereno rispetto all'ultima volta che l'avevano
vista, per le vacanze di Pasqua.
Sospettarono
che il merito fosse dei quattro ragazzi che si fermarono per darle un
ultimo caloroso abbraccio.
James
Potter corse da sua madre Dorea, che lo stava aspettando in fondo al
binario come sempre.
Charlus
diceva che era inutile andare proprio sotto al treno, c'era
confusione e poi, James non li avrebbe mai perdonati per
quell'eccesso di apprensione.
La
abbracciò, per la prima volta senza imbarazzi. Voleva solo dirle che
lui era a casa.
Sirius
Black sostava in piedi accanto a lui, in imbarazzo.
Aveva
sentito su di sé gli occhi di suo padre Orion Black accompagnarlo
per tutta la camminata sulla banchina.
Orion e Walburga Black erano venuti ad aspettare Regulus, il loro
unico e prezioso figlio.
Sirius li aveva sentiti. Aveva sentito gli occhi di Orion su di sé
mentre camminava.
Dorea
Potter alzò lo sguardo e sorrise a Sirius, stringendolo forte in un
altro affettuoso abbraccio materno.
*Se
una persona incontra una persona che viene attraverso la segale, se
una persona bacia una persona, deve una persona piangere?”
1:
si fa riferimento al titolo originale: The Catcher in the Rye,
intraducibile per noi. Uscirebbe qualcosa come “Il Coglitore nella
Segale”.
2:
Catcher è anche nel baseball il “prenditore”, colui che sta
dietro al battitore, cercando di prendere la palla mancata dalla
mazza del battitore.
Con
il nome di rye si designa anche un tipo di wisky, quindi, il titolo
può essere letto anche in questo modo.
Tutto
fa riferimento alla particolare situazione di Sirius, al suo
carattere riservato, ai suoi problemi in famiglia, al suo
distreggiarsi nella vita con confusione, nonostante tutto.
Considerando
che la filastrocca sopracitata narra le vicende di un gruppo di
bambini che giocano in un campo di segale e, in particolare, di un
bambino che sta per cadere da un dirupo, salvato provvidenzialmente
dal “Catcher in the Rye”, forse l' “adattamento” a Sirius
potrebbe essere molteplice: forse anche lui sta cercando il suo
“Catcher in the Rye”
Credit:
The Catcher in the Rye (trad: Il Giovane Holden) è un 'opera di J.D.
Salinger.
Le
citazioni da me fatte non hanno alcuno scopo di lucro ed ogni
informazione sul titolo è stata presa da una nota dell'edizione
pubblicata da Einaudi.
Spero che il paragone
di Sirius con Holden Caufield non vi risulti azzardato, ma anzi, vi
faccia sorridere: forse Sirius cerca il suo Catcher in the Rye, o
forse è lui stesso il suo Coglitore. O forse è come un terzino
nella grappa, si adopera per sistemare le cose, corre avanti e
indietro come un terzino, ma a volte la realtà è proprio confusa e
mutevole come l'effetto della grappa.
O forse è entrambe le
cose, a voi la scelta.
Preciso anche che la
scena finale, con Remus, Sirius e Lily sul treno, non vuole
cancellare in un colpo tutto quello che è stato detto prima,
semplicemente è la consapevolezza che loro hanno ancora qualcosa per
cui lottare, qualcosa da proteggere, qualcosa che in quegli anni bui
gli serviva da stimolo per andare avanti.
Mi dispiace che mi
abbiate frainteso! Pieces of Us non finisce qui, questo è solo un
primo epilogo che riguarda, appunto, la fine delle prima parte della
storia ambientata al sesto anno, cioè il racconto di come Lily si
sia avvicinata a James, di come Sirius affronta i problemi con la sua
famiglia
Al prossimo capitolo e
grazie a tutti quanti.
Ps: scusate, avevo
promesso che avrei postato ieri ma non ce l'ho fatta.
Elawen Aeglos:
grazie, ci tenevo ad una “scena ad effetto” ed ho pensato che, a
fine anno, da Silente ci si poteva aspettare una scena del genere e,
vista la situazione, James non avrebbe potuto fare altrimenti.
Purepura: certo
che ci sarà la seconda parte, questa storia non finisce. Sappiamo
che Lily e James ora sono amici, ma come si sono innamorati? E la
confusione nella testa di Sirius smetterà di essere così contorta?
La loro storia andrà avanti, temprati e mutati anche dagli
avvenimenti di quest'anno scolastico.
Alohomora: non
so bene in che ottica vada letta la “profezia” di Fiorenzo. Non
ha detto che cosa succederà, semplicemente, forse, li fa riflettere
sul fatto che le scelte che prenderanno avranno pesanti conseguenze
sulla loro vita, forse va letto solo in quest'ottica..
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Capitolo 24 *** Ventiduesimo Capitolo ***
CAPITOLO VENTIDUESIMO
And as the summer's
ending, The cold air will rush your hard heart away You were
so condescending: And this is all that's left. Scraping paper
to document I've packed a change of clothes and it's time to move
on. -Photobooth, Death Cab For Cutie-
E come l'estate sta finendo così l'aria fredda spazza
lontano il tuo cuore ostinato
sei stato così
accondiscendente:
e questo è tutto quello
che ti è lasciato
Fogli stracciati per
documenti
Ho impacchettato un
cambio di vestiti ed è tempo di andare avanti
Luglio 1977
BIRMINGHAM,
INGHILTERRA
Le
vacanze erano iniziate da appena due settimane e Sirius Black si
stava già irritando. Irritando parecchio, a dire il vero, e nemmeno
la prospettiva che tre giorni e sarebbe partito per un lungo fine
settimana di bagordi con i suoi amici sulle scogliere di Dover lo
metteva di buon umore.
Anzi,
la sua insofferenza cresceva di minuto in minuto.
In
due settimane aveva già cambiato tre case, senza riuscire a stare
per più di quattro giorni fermo nello stesso posto.
Dopo
essere tornato da Hogwarts era stato da James per tre giorni, giusto
il tempo necessario perchè zio Alphard tornasse dal suo viaggio
d'affari in Russia per portarselo ad Orchard House, la sua dimora
vittoriana immersa nelle nebbie della Brughiera.
Quattro
giorni ad Orchard House con la altalenante compagnia dei Malandrini
erano stati sufficienti affinchè Andromeda si affrettasse ad
invitarlo da lei per qualche giorno.
Così,
Sirius, impacchettati di nuovo armi e bagagli si era trasferito nelle
Midlands, appena fuori quel tristissimo posto chiamato Birmingham,
per fare da baby - sitter a quella peste di sua cugina Ninfadora.
Ancora
un paio di giorni e sarebbe tornato nuovamente a casa di James,
giusto in tempo per la partenza.
Tutta
questa mobilità non giovava certo al suo spirito inquieto. Certo,
Sirius era affamato di visitare posti, di girovagare, di perdersi e
di tornare indietro, ma cambiare casa ogni tre giorni non era
esattamente quello che gli serviva.
Stava
iniziando a non poterne veramente più di impacchettare e
spacchettare la sua roba. Desiderava solo un posto in cui entrare,
svuotare le tasche e potersi buttare a peso morto sul divano, senza
sentirsi in obbligo di dover offrire il suo aiuto per la cena, senza
sentirsi costretto a vestire i perenni abiti dell' ospite.
Urgeva
una soluzione e in fretta.
Si
ritrovava a pensarlo sempre più spesso negli ultimi giorni, quando
vagabondava per i boschi attorno a Birmimgham. Aveva trovato una zona
particolarmente interessante, piena di vecchi canali abbandonati e
rifugiarsi lì a pensare, leggere quell'incasinato libro che gli
aveva prestato Lily o scattare fotografie lo rendeva ancora più
indeciso e confuso di quanto già non fosse.
Il
giorno prima Remus era passato da lui per il pomeriggio e, come al
solito, aveva intuito che qualcosa non andasse.
“Parla. Esprimiti.
Illumina il mondo dipingendolo col nero di tutta la tua
frustrazione.” Remus se n'era uscito così, con quella frase, non
appena Sirius si era seduto su una roccia, posandosi la sua macchina
fotografica sulle ginocchia.
Aveva voluto mostrare
quel posto anche a Remus, permettere anche a lui di posare gli occhi
sulla scarna luce che quei boschi avevano anche in piena estate.
Avrebbe voluto che ci
fossero anche James e Peter, ma James aveva da fare con sua madre e
Peter, bè, Peter era Peter. Riusciva sempre ad essere coinvolto in
strani impegni famigliari che nessuno riusciva mai a capire.
Aveva alzato gli occhi
e l'aveva guardato interrogativamente.
“Su, avanti, dimmi
quanto ti fa schifo tutto quanto.”aveva proseguito Remus,
imperturbabile.
Sirius se n'era
restato zitto.
“Ok, come vuoi.”
Remus non aveva intenzione di costringerlo.
“Ok, senti... è
che... cioè, nel senso...” la testa di Remus si era inclinata a
guardare attentamente Sirius, come a voler estrapolare un significato
da quelle parole sconnesse.
“Cristallino come
sempre, caro Felpato.” Remus non era riuscito a trattenersi e
Sirius si esibì in una smorfia offesa. Remus era parecchio irritante
quando ci si metteva.
“Dai, vai avanti.
Sono qui apposta.”
Sirius lo esaminò
un'altra volta e poi si voltò a guardare verso l'orizzonte. Il sole
era ancora alto in cielo.
“Dicevo che... che
bho, Rem... è tutto un casino. Cioè, la mia vita è sempre un
casino e fin qui siamo tutti d'accordo. E' che... che non lo so
Remus... sento di dover fare qualcosa per non continuare ad affogare
nel pantano, capisci? Sento... sento di dover fare qualcosa per me.
Per me e basta. E siete tutti tremendamente gentili con me e io... io
sarò sempre grato a James per avermi dato una casa quando non ne
avevo una. Sarò sempre grato allo zio per esserci senza chiedere
nulla in cambio e a Meda, per cercare di ricostruire una parvenza di
famiglia. Però, Remus, sento di dovermi dare una mossa. Altrimenti
sarà un casino per sempre. Capisci?” Sirius gesticolava, si
perdeva in ragionamenti contorti, con gli occhi che vagavano,
vagavano lontano, lontano da lì, da quel bosco e da quei canali,
mentre la sua macchina fotografica restava sempre ben salda sulle sue
ginocchia.
“E cosa pensi di
fare, Sirius? Cosa credi che possa aiutarti?” intervenne Remus.
“Forse... forse
cercare una casa mia. Per provare a ricostruirmi, in un certo senso.
E' che non lo so... non lo so se è davvero la soluzione corretta
oppure no. O forse, forse è sola la mia ennesima mattana... non lo
so, Remus. Non so che cosa fare... ma sono due settimane che ci penso
continuamente, che mi chiedo se sia normale preparare valigie ogni
tre giorni. Sono stato a casa di James, su in Brughiera da zio
Alphard e ora qui da Meda. E' normale, Rem?” si chiedeva Sirius,
usando l'amico come un interlocutore immaginario.
Remus non disse
niente. Rimase zitto, pensando che, forse, quello che Sirius stava
dicendo era che aveva tre case, ma nessuna che sentisse davvero sua.
Aveva bisogno di
normalità. Sirius chiedeva normalità. Ma come fare a trovarla?
Credeva davvero di trovarla se fosse andato a vivere da solo? Non si
rendeva conto che lui una famiglia ce l'aveva, per quanto buffa,
strana o complicata fosse, lui una famiglia l'aveva. Erano loro, i
Malandrini.
Era suo zio, era Meda,
era la mamma di James.
Forse però gli
serviva davvero riassettarsi da solo la sua vita. O almeno provarci.
“Se è quello che ti
senti di fare, Sirius, fallo. Se credi che ti possa aiutare, fallo.
Devi farlo per te stesso.”
Sirius si esibì in un
mezzo sorriso e Remus comprese che era il suo modo di dire grazie e
di sospendere la conversazione, almeno per il momento.
Rimasero in silenzio,
fino a quando non fu Sirius a riprendere a parlare.
“Remus?”
“Hm?”
“Posso farti una
domanda?” chiese Sirius, con un sorriso pericoloso.
“L'hai appena
fatto.” era stata la ovvia risposta di Remus
“Ok. Dunque... Com'è
che ti è uscita quella cosa del “Dipingi il mondo con tutto il
nero della tua frustrazione”?”
Remus
capiva sempre tutto. James diceva che era sempre avanti agli altri,
Remus.
Remus
gli consigliava di farlo, se per lui era importante.
Forse
doveva farlo per davvero.
Ci
doveva pensare. Doveva pensarci ancora.
Si
alzò in piedi e spolverò i jeans per togliere la terra. Era ora di
andare.
Aveva
promesso a Ninfadora che l'avrebbe aiutata con le sue costruzioni
magiche.
Prevedeva
danni, ad essere sincero.
“Perchè
non c'è il tuo amico con la barba, Sir?” la piccola Ninfadora si
riferiva a Remus, l'amico con la barba che suo cugino aveva portato
il giorno prima.
Remus
aveva mostrato pazienza nell'assecondarla in tutte le sue richieste e
in tutte le sue stramberie e la piccola si chiedeva perchè non
potesse tornare più spesso.
“Perchè
aveva da fare. Ma tornerà presto.” rispose Sirius, ritirando nella
scatola i blocchi inutilizzati.
“Ma
tornerà ancora?” si informò Ninfadora, angustiata.
“Sì,
te lo porto qui la prossima volta.”
“Me
lo prometti, Sir?” Ninfadora chiedeva certezze. Porse al cugino il
suo mignolo, perchè lo stringesse e giurasse solennemente.
“Te
lo prometto, bimba.” Sirius tornò in ginocchio e incastrò il suo
mignolo con quello della cuginetta, impegnandosi in un solenne
giuramento.
Ninfadora
sorrise. Sirius manteneva sempre le sue promesse.
“Andiamo
adesso. La mamma ha detto che è quasi pronta la cena e papà torna
tra poco.” la bambina si rialzò in fretta, pronta per catapultarsi
giù dalle scale non appena sentì la porta di ingresso aprirsi e i
pesanti passi di suo padre nell'ingresso.
Sirius
la seguì al piano di sotto e sorrise dell'accoglienza che Ninfadora
tributò a suo padre.
Erano
completamente nascosti in un abbraccio e, al solletico che il padre
le stava facendo, la bambina reagiva cambiando di continuo colore di
capelli.
“Buona
sera, Sirius!- lo salutò Ted- Ti ha fatto ammattire oggi?”
“Tranquillo
Ted, oggi è anche stata tranquilla, per i suoi standard!” Sirius
dovette interrompere la conversazione perchè Ninfadora pareva
infastidita dalle attenzioni che suo padre stava riservando a Sirius.
Sirius
li guardò per un attimo e poi si diresse in cucina, dove Andromeda
stava preparando la cena.
“Sirius!
Eccoti qui, dammi una mano, dai!” Andromeda gli indicò la
tovaglia, i piatti, le posate ed i bicchieri che aspettavano solo di
essere ordinati sul tavolo.
Sirius
rimase imbambolato a fissare sua cugina per qualche istante. Si era
tagliata i capelli, da qualche anno, e continuava a portarli in un
ordinato caschetto. Ed era felice, felice come non era mai stata.
Felice con Ted e Ninfadora, come se quello solo fosse l'unico scopo
della sua vita.
“Tutto
bene, Sirius?” si informò Andromeda, a cui non era sfuggito il suo
strano sguardo, sebbene fosse impegnata a cucinare.
Sirius
ebbe per un istante l'idea di parlarle di tutto quello che non
andava, dei suoi progetti futuri.
Poi
però ci ripensò.
“A
meraviglia, Meda. Va tutto a meraviglia.”disse, sorridendo.
Andromeda
non ci credette e si appuntò di investigare.
TILFORD, SURREY,
INGHILTERRA CASA EVANS
Rose
Evans chiuse con un piede la porta del ripostiglio: portava in mano
parecchia biancheria da stirare e, in quella casa, nessuno sembrava
mai avere un attimo di tempo per aiutarla.
Non
che lei lo chiedesse. Non era da lei chiedere aiuto per i lavori
domestici: suo marito Edward non sarebbe stato comunque in grado di
aiutarla, Petunia e Lily, invece, erano cresciute con la
consapevolezza che, qualsiasi cosa ci fosse stata da fare, Rose
l'avrebbe fatta per loro.
Non
poteva quindi pretendere che, di colpo, si offrissero di lavare o
stirare o spolverare al posto suo se lei per prima le aveva cresciute
con l'idea che ci avrebbe pensato la mamma.
Però,
alle volte, quando li vedeva tutti e tre seduti sul divano a far
niente, Rose provava l'impulso di trasformarsi ed ordinare a tutti
quanti di pensare un po' di più a tenere in ordine le loro cose,
anziché delegare tutto a lei.
Per
quel motivo, quel pomeriggio, quando vide Lily appoggiata sul
davanzale a fissare il cielo oltre il vetro della finestra combattè
con la voglia di urlare, sopprimendola e sublimandola con il suo
miglior tono materno.
“Tutto
a posto, Lily?” non era stupita dal vederla in casa durante un
pomeriggio d'estate. Era sempre uscita poco, Lily, molto poco
rispetto a Petunia o rispetto a quanto sentiva dire facessero le
adolescenti.
Prima
di quel misterioso diverbio con Severus (Rose non aveva mai voluto
approfondire più di tanto: Lily non sembrava intenzionata a volerne
parlare), passava i pomeriggi al parco, su quella vecchia altalena
sgangherata ed arrugginita a parlare con lui. Ma ora, ora Lily era
sempre a casa e sembrava attendere con morboso entusiasmo il gufo o
la civetta che, ogni giorno, mattino o sera che fosse, bussavano al
vetro carichi di una pergamena.
Lily
si voltò di colpo e fissò la madre, sgranando gli occhi.
“Ti
capita mai di volere qualcosa di più, mamma?”
Rose
appoggiò la biancheria sul divano e roteò gli occhi. La discussione
avrebbe preso una piega lunga.
“In
che senso, Lily?”
Lily
si passò distratta una mano tra i capelli rossi, raffazzonati in una
coda improvvisata.
“Non
so... è che... non lo so, a volte mi chiedo se non sia tutto qui. O
se, invece, ci sia di più. Di più davvero. Se c'è un senso in
quello che faccio o se, invece, accade tutto per caso. Sono qui, ora
e adesso, ma se penso al mio futuro... bè, non lo so cosa vedo. E da
una parte questa cosa mi affascina, dall'altra ho paura che non
combinerò mai niente.”
“Lily...”
incominciò sua madre, presa in contropiede come sempre dalle
riflessioni della figlia.
“Mamma,
alla mia età tu pensavi davvero che saresti... finita così?” Lily
si morse la lingua. Non intendeva offendere sua madre, criticare la
sua scelta di dedicare tutto alla famiglia, anche a discapito dei
suoi desideri ma sentiva che dentro di sé le stava succedendo
qualcosa.
Qualcosa
che le suggeriva di non perdere tempo, di concentrarsi sui suoi
interessi, di lottare per raggiungere i suoi scopi. Qualcosa che la
avvisava anche che non sarebbe stato semplice, che tante erano le
possibilità di fallire.
Qualcosa
che le faceva salire l'ansia, pensando che forse non c'era abbastanza
tempo. Che Voldemort e il suo esercito erano lì fuori da qualche
parte, pronti a distruggere tutto quanto senza che lei potesse fare
qualcosa per impedirlo. E l'ansia cresceva, sapendo che tutto avrebbe
potuto scivolare via come un granello di sabbia.
Che
senso poteva avere tornare ad Hogwarts, diplomarsi, cercare un lavoro
e sognare se ogni giorno si sentivano notizie di morte? Se ogni
giorno sembrava che l'equilibrio del mondo fosse sempre più
precario?
Aveva
senso sperare? Sì, aveva senso. Era quello che faceva andare avanti.
Ma il tempo scorreva e delle infinite possibilità che si aprivano
fino a poco prima, ora ne erano rimaste molte meno. E Lily aveva
paura. Paura di non farcela.
“Sai
che quello che ho fatto l'ho fatto per voi, Lily.” rispose
duramente sua madre. Non accettava essere rimproverata su quello.
Aveva scelto di smettere di lavorare per potersi occupare meglio
della famiglia. Lo stipendio di Edward era più che sufficiente a
mantenerli e lei non voleva perdersi niente delle sue figlie.
Ora
come ora, se avesse potuto tornare indietro, forse avrebbe scelto
diversamente: gli anni dell'infanzia erano volati e, con Petunia
oramai indipendente e Lily lontana per nove mesi all'anno, le
giornate casalinghe erano davvero difficili da far passare.
Ma il
passato era passato e, ventitré anni prima aveva scelto con il
cuore.
“Lo
so, mamma. Non intendevo criticare questo... è solo che, alle volte,
mi chiedo se riuscirò a fare anche solo una delle mille cose che ho
in mente.” Lily cercò di tamponare con quelle parole la sua
affermazione di prima anche se, alle volte, arrivava davvero a
chiedersi se sua madre fosse davvero felice.
Rose
sedette di fianco alla figlia e le sorrise materna.
“Lily,
hai così tanto tempo davanti a te! E ci sono così tante cose che
potrai fare, disfare e riprovare.
Anche
se adesso ti sembra tutto così confuso, al momento giusto, al
momento di scegliere, prenderai la decisione più istintiva e forse
sarà proprio quella più corretta. Vedi Lily, molto spesso ti
capiterà di chiederti cosa sarebbe stato se avessi scelto
diversamente, ma, a pensarci bene, ti accorgerai che, se hai preso
proprio quella decisione, evidentemente, in quel particolare momento
della tua vita era giusto così. Poi, senza dubbio sbaglierai e
prenderai fischi per fiaschi, ma non essere troppo angustiata dal
futuro, Lily, hai diciassette anni e, al momento giusto, ogni cosa si
chiarirà.”
Lily
non distolse un attimo lo sguardo dagli occhi della madre, di un
verde molto simile al suo benchè più chiari e brillanti dei suoi,
mentre tanti pensieri si accavallavano: Voldemort, i Malandrini, lei,
il suo futuro....
“Ho
paura lo stesso, mamma.” sussurrò, lasciandosi consolare da un
abbraccio e da un puntuale bacio sulla fronte, rimedio materno a
qualsiasi dolore, piccolo o grande che fosse.
LONDRA, DIAGON ALLEY
Il
tempo ci aveva messo del suo, quella mattina per accompagnare James
in quella triste obbligazione.
Niente
sole, ma una nuvolosa e densa giornata d'estate con possibili sprazzi
di pioggia. Nulla a cui uno Scozzese come lui non fosse abituato, ma,
giù al Sud, in Inghilterra, era più infrequente una giornata estiva
da quelle caratteristiche.
Quella
mattina si era svegliato prima del solito, senza poltrire a letto o
bivaccare in pigiama fino all'ora di pranzo. Sirius era da sua cugina
nelle Midlands, quindi non c'era nessuno da disturbare, ciò
nonostante la mattinata non si era trascinata stancamente.
Sua
madre l'aveva fatto vestire prima ancora che potesse terminare la
lettera che aveva intenzione di spedire a Lily, l'ultima prima che i
Malandrini partissero per il loro campeggio.
Così
erano arrivati a Diagon Alley, senza scambiarsi più di mezza parola,
infilandosi in una traversa del caratteristico corso e ritrovandosi a
breve nel lussuoso ed imponente ufficio di Alshvider Lyartangen.
L'avvocato
rivolse a James un sorriso mellifluo che il ragazzo si sforzò di
ricambiare.
Non
gli era mai piaciuto, Lyartangen, sebbene fosse un buon amico di suo
padre e rappresentasse l'infanzia e gli anni di Hogwarts per sua
madre.
Aveva
qualcosa, qualcosa nei modi di fare, qualcosa nello sguardo, qualcosa
nelle parole che portava James a non fidarsi completamente di lui.
Ciò nonostante, aveva seguito Dorea senza brontolare, pronto a
mettere la sua firma dove doveva.
“E'
sicuro che, se tutto entra legalmente in mio possesso, i Black non
potranno mai reclamare alcun diritto di proprietà?” chiese James,
sollevando dalla pergamena il pennino.
“Assolutamente,
James. I possedimenti di tuo padre, della famiglia Potter e quel che
resta di quanto tua madre ereditò dai tuoi nonni apparterranno
esclusivamente a te. Tua madre non avrà più alcun diritto legale su
di essi, pertanto, qualora dovesse succederle qualcosa, nessun Black
potrà mai azzardare una richiesta.” rispose Lyartangen, indicando
nuovamente la riga in cui avrebbe dovuto essere apposta la firma di
James.
Come
avevano concordato qualche mese prima, Dorea Potter avrebbe ceduto
interamente a James, ormai maggiorenne, qualsiasi sua proprietà e
qualsiasi risorsa ereditata dal marito. Diventando James il titolare
legale di quanto apparteneva ai Potter e di quanto era stato del ramo
Black della famiglia di sua madre, Dorea stessa e James in futuro
erano al riparo da sanguinose guerre ereditarie.
“Basterà
a tutelare mia madre?” questo voleva chiedere James, senza
riuscirci.
La
sua posizione era subordinata. Era subordinata a sua madre, che già
l'aveva rimproverato con gli occhi. Era subordinata a Lyartangen, che
godeva della massima fiducia di Dorea.
In
fondo, pensò James tracciando la prima lettera del suo cognome,
aveva solo diciassette anni e di quelle cose non ne sapeva nulla. Era
sempre stato estraneo alle faccende finanziare della sua famiglia per
volere di suo padre che mai l'aveva voluto coinvolgere.
Non
ne sapeva nulla, aveva diciassette ed era solo un figlio. Tanto
bastava perchè dovesse fidarsi quanto tutti consigliavano.
Terminò
di scrivere, porgendo a Lyartangen la piuma ed augurandosi di non
aver commesso uno sbaglio.
Ma,
in fondo, come poteva essere sbagliato escludere quei matti dei Black
dalla sua eredità?
Dorea
sorrise, visibilmente più rilassata.
Rendere
James proprietario di tutto lo proteggeva dal futuro. Nessuno avrebbe
mai potuto reclamare alcunchè, nessuno avrebbe mai potuto affermare
che quanto era suo non gli spettasse.
Tutelare
gli interessi di James e proteggerlo era l'unica cosa che le era
rimasta da fare. Pareva che questo suo compito fosse iniziato al
meglio.
“Porterai
tu tutto quanto al Ministero Alsh?” chiese all'amico che ripiegava
la pergamena e la inseriva in una busta.
“Certamente,
Dorea. Ho una vertenza nel primo pomeriggio.” le sorrise affabile
Alshvider, sembrando, per la prima volte, decisamente più bonario
anche a James.
Era
strano, Lyartangen, distaccato con tutti salvo che con Dorea.
Non
era mai piaciuto, a James, mai, sin da quando, bambino, si era
trovato a contatto con lui.
Era
abituato agli amici ed ai colleghi di suo padre che lo trattavano
come se fosse speciale, Lyartangen, invece, a differenza loro, se
interrompeva una discussione tra lui e Charlus, lo invitava a tornare
ai suoi giochi per lasciare che gli adulti discutessero in pace di
affari importanti.
Forse
era per quel motivo, riflettè James, che Lyartangen non gli era mai
andato a genio: perchè non lo metteva al centro dell'attenzione.
Ma
era tempo di crescere, si disse James, e di mettere da parte vecchi
pregiudizi infantili: Lyartangen era sempre stato presente nella vita
di sua madre e, da quando era mancato suo padre, si era fatto in
quattro per aiutare Dorea. Quello era l'importante, non le sue
personali antipatie o simpatie.
“Grazie.
Andiamo, James? Si è fatto tardi e abbiamo un sacco di cose da
preparare, se domani parti.” gli ricordò Dorea, indossando lo
scialle di seta sulle spalle.
Alshvider
sorrise dell'elegante mise di Dorea e poi si rivolse a James.
“Dove
vai?” domandò Lyartangen, rivolto a James.
“Alle
Scogliere di Dover per il fine settimana con amici.” fu la cortese
ed esauriente risposta che gli tributò James. Educato con gli
estranei. James era abile in questo. Era stato cresciuto per essere
cortese con tutti, quindi, sebbene il suo tono volesse essere
lievemente più ben disposto nei confronti del mai sopportato
Alshvider Lyartangen, quello che gli uscì fu l'educata risposta che
il rampollo di una illustre famiglia era solito dare agli estranei.
“Spero
che vi divertiate. E' un bel posto davvero. C'ero stato anch'io, da
ragazzo. Una delle settimane più divertenti della mia vita.”sorrise
Lyartangen.
Scambiò
uno sguardo complice con James che lo vide, per la prima volta, come
davvero umano.
ABINGDON,
OXFORDSHIRE, INGHILTERRA
Peter
sedeva imbronciato sul letto.
Sembrava
che niente andasse mai per il verso giusto, in quei tempi.
Avevano
programmato ogni dettaglio di quel fine settimana. Ogni singolo
dettaglio.
Conservava
ancora gelosamente, in attesa di utilizzarla, la lista dei possibili
scherzi ai danni di Lunastorta che aveva organizzato assieme a James
e Sirius.
Ok,
non era colpa di nessuno se i suoi genitori di colpo avevano deciso
che era il caso di prendersi altro tempo per pensare se fosse o meno
il caso di mandarli davvero via da soli dopo quello che era successo.
A
pensarci bene, i ripensamenti potevano anche essere condivisibili.
Il
fatto che, dopo qualche mese di silenzio, i Mangiamorte si fossero
fatti vivi proprio ad Abingdon non poteva certo rendere la gente
tranquilla.
Se
poi ci si aggiungeva anche il fatto che a sparire fossero stati
proprio i vicini dei Minus, Peter poteva ben capire la preoccupazione
dei suoi genitori.
A
volte ci pensava anche lui, a cosa sarebbe potuto succedere se fosse
accaduto qualcosa mentre loro erano via o, peggio ancora, proprio nel
posto in cui stavano loro, quattro ragazzini eccitati per la prima
vacanza da soli.
Era
forse infantile da parte sua preoccuparsi per la possibile
cancellazione della vacanza o dare la colpa ai suoi genitori che
prima si offrivano di prestare la tenda da campeggio e poi si
tiravano indietro.
Questo
lo riconosceva, ma pensava, nonostante tutto, che quelle giornate se
le meritavano. Se le meritavano tutti quanti, dopo la miriade di
fatti di quei tempi.
Avevano
tutti bisogno di staccare, tutti quanti.
E,
come ripeteva sempre Remus, l'essere solo loro per qualche giorno
avrebbe sanato qualche ferita altrimenti insanabile.
Non
diceva proprio così, Remus, ma il succo era quello, pensò Peter,
senza voler essere troppo melodrammatico.
Basta,
era il caso di fare qualcosa. Di agire. Di permettere che si
godessero davvero quei giorni, a prescindere da quello che era
successo, per far sì di essere in grado di andare avanti e, come
diceva sempre James, di essere pronti ad affrontare quello che li
aspettava.
Scese
dal letto, infilò le ciabatte e scese le scale, per raggiungere suo
padre impegnato a leggere la Gazzetta del Profeta in salotto.
“Papà,
credo che dovremmo parlare.”annunciò, tirandosi sui gomiti la
camicia a quadri bianchi e blu.
Sembrava
un boscaiolo, a pensarci bene. Appuntò a mente di non portarla mai
più con sé in un luogo che prevedeva la presenza di altra gente
oltre alla sua famiglia.
David
Minus appoggiò stancamente gli occhiali e il giornale sul tavolino,
pronto ad ascoltare le lamentele del figlio sui dubbi sorti a lui e
alla moglie.
“Peter,
lo sai che non abbiamo ancora deciso e che, comunque, siamo solo
preoccupati per quello che è appena successo. Temiamo che possa
accadervi qualcosa mentre siete via soli.” spiegò nuovamente.
Non
era mai stato un genitore troppo severo, a suo dire. Anzi, si
ritrovava a pensare di essere piuttosto accondiscendente e bonario.
Non amava discutere, questo no, però, sostanzialmente, permetteva a
Peter di fare quello che voleva. Sua moglie Claire, lei sì che era
decisamente più invasiva nelle decisioni del figlio.
Quella
volta, però, c'erano motivazioni oggettive che lo portavano a dire
no.
“Papà,
ti prego! Ormai ho detto a tutti che avremmo usato la nostra tenda!
Che figura ci faccio? Cosa credi, che se anche io non vado loro se ne
stiano a casa? Non se ne staranno di certo a casa, loro tre!”
esclamò Peter, alzando per primo la voce e risparmiandosi degli
impietosi confronti sul modo di fare i genitori di David e Claire
Minus rispetto a Dorea Potter, Eveline Lupin e Alphard o Andromeda
Black.
“Quindi,
fammi ben capire, io dovrei lasciarti andare solo per non farti fare
brutta figura con i tuoi amici?” lo provocò il padre.
Peter
si sentì messo al muro, per un attimo. Sì, aveva pensato anche a
quello. Però c'era qualcosa di più, adesso.
“Cosa
credi, papà? Credi che se non mi mandassi potremmo starcene qui,
tranquilli, senza che là fuori succeda qualcosa? Non so, papà, non
so... Vorrei solo, per una volta, decidere da me. E io ho deciso. Ho
deciso che ci voglio andare. Ho deciso che questo non ci ferma. Ho
deciso che è vero che dobbiamo fare qualcosa, ma è meglio
cominciare dalle piccole cose. Quindi, se anche non volete, io ci
vado lo stesso alle Scogliere.” Peter si stupì del suo stesso
coraggio, mentre fissava il padre, che, era certo, stava per
scoppiare a ridere, ma ebbe il buon gusto di trattenersi.
BURRY
PORT, GALLES, CASA LUPIN
Remus
osservava pensieroso i vestiti piegati sul letto.
Fare
le valigie era sempre un problema.
Peter,
James e Sirius erano soliti dirgli che era peggio di una ragazza,
quando si trattava di scegliere i vestiti. In realtà, controbatteva
Remus, se uno faceva che ammucchiare vestiti a caso senza pensare ai
possibili abbinamenti o senza cercare di avere un capo per ogni
probabile variazione climatica, preparare i bagagli non era mai un
problema. Infatti loro facevano in quattro e quattr'otto.
Diversa
era la questione qualora si cercasse di usare un minimo di criterio.
Quindi
non c'era da meravigliarsi se Remus Jhon Lupin sostava da cinque
minuti buoni tra il letto e il guardaroba aperto, cercando di
ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo: ovvero avere un
cambio per giorno, un cambio di scorta e la possibilità di
affrontare le intemperie più feroci e il caldo più torrido (poco
probabile, in verità considerando che i giornali non facevano che
annunciare pioggia nel fine settimana).
“Hai
finito, Remus?” sua madre sbirciò dallo stipite.
“Sono
indeciso, mamma.” confessò il ragazzo.
“Però
i libri da portare via li ha scelti.” osservò sogghignando
Eveline Lupin. Si era ripresa, dall'incidente, anche se molti dei
loro risparmi erano stati usati per ristrutturare la libreria di
famiglia, distrutta dall'attentato.
Questo
aveva provato tremendamente Eveline sul piano psicologico, sia
perchè davanti a sé vedeva un futuro sempre meno roseo sia perchè
sapeva che Remus si sarebbe sentito doppiamente responsabile, cosa
non giusta per un ragazzo della sua età.
Remus
sorrise, imbarazzato, guardando i libri che aveva poggiato sul
comodino.
Sapeva
che probabilmente non ne avrebbe letta più di mezza pagina, ma il
sentimento del libro da portare con sé in vacanza faceva parte di
lui e senza i suoi amati volumi non si sarebbe mai mosso.
“Avanti,
cerchiamo di mettere insieme questa valigia!” esclamò sua madre,
aiutandolo con i corretti abbinamenti.
“La
tenda la porta Peter, allora?” si informò Eveline.
Remus
annuì.
“Sì,
ha detto che la porta lui. Spero che non abbia troppi problemi con
suo padre. Dopo quello che è successo l'altro giorno, mi ha detto
che i suoi non sono troppo propensi a mandarlo via... ma ormai è
tutto organizzato. E Peter quando vuole sa farsi valere.” spiegò
Remus, riferendosi alle discussioni che la comparsa dei Mangiamorte
al Sud aveva suscitato a casa Minus.
La
scomparsa di gente così conosciuta nel piccolo paesino in cui Peter
abitava aveva segnato profondamente tutti quanti ed un sentimento di
spavento era più che comprensibile.
“Spero
che riusciate a godervi questi giorni. Faranno bene a tutti quanti.”
osservò sua madre.
“Fortuna
che la Luna Piena è stata settimana scorsa. Ti sei tolto un bel
peso, Remus.”
Remus
le rivolse uno sguardo infastidito. Non gli piaceva parlare della
Luna Piena, della licantropia e quant'altro. Certo, a volte era il
primo a scherzarci sopra, soprattutto se era in compagnia dei
Malandrini ma una cosa che l'aveva sempre infastidito del
comportamento di sua madre era l'eccesso di ansietà, la
rassegnazione, la pena con cui vedeva e viveva ogni Luna piena.
Remus
era spesso il primo ad autocompatirsi e di questo era più che
consapevole.
Così
come era consapevole del fatto che spesso si chiedesse come era
possibile che uno come lui frequentasse la scuola, avesse degli
amici, vivesse normalmente, per quanto possibile.
Non
finiva mai di ringraziare Dio o chi per lui per avergli concesso di
incontrare persone meravigliose, persone come James, Sirius e Peter
che mai, mai l'avevano fatto sentire diverso.
Quello
che lo indisponeva era il comportamento di sua madre e dei suoi nonni
nei confronti della sua licantropia.
Lui,
lui sì che aveva il diritto di considerarla una maledizione, ma
dalle persone attorno a lui si aspettava altro. Si aspettava che lo
facessero sentire normale, si aspettava che fossero le prime a
minimizzare la cosa, le prime a fargli capire che non sarebbe stato
quello a bloccargli l'accesso alle possibilità della vita.
Remus
amava la sua famiglia, ma quell'atteggiamento pietoso non l'aveva mai
tollerato.
Suo
padre, a differenza degli altri, era stato il primo a crescerlo ed
educarlo nella convinzione che nulla gli sarebbe stato impossibile,
nulla avrebbe placato la sua sete di fare e sapere. La licantropia
non avrebbe impedito che Remus vivesse normalmente. Perchè lui era
normale.
Normale.
Non diverso.
Remus
si era sempre chiesto se questo modo di pensare fosse una conseguenza
del senso di colpa che suo padre provava per essere la causa
involontaria della licantropia di suo figlio, avendo suscitato l'ira
di Greybeck. Forse sì, forse no. Non avrebbe mai potuto saperlo con
certezza. Poteva solo dire che mai Jhon Lupin aveva fatto sentire suo
figlio Remus diverso.
“Sì,
mamma.” si limitò a rispondere freddamente, senza nemmeno
guardarla negli occhi.
Eveline
Lupin lanciò un'occhiata triste, preoccupata e delusa all'indirizzo
del figlio, lasciando immediatamente la stanza.
TILFORD,
SURREY, INGHILTERRA CASA EVANS
Era
sabato mattina e la casa era ancora immersa nella placida quiete
delle mattinate festive.
Non
sapeva di preciso che ora fosse, Lily, sapeva solo che probabilmente
il sole era già sorto e che un gufo picchiettava alle persiane.
Intontita,
si alzò da letto, raggiunse l'abbaino e lasciò che Gustav entrasse,
scaricando la pergamena sulla scrivania e ripartendo immediatamente.
Lily
la aprì, senza far troppo caso al fronte della pergamena, solcato
dalla sua calligrafia ordinata.
“James,
scusami se ti
disturbo, ancora. Scusami se scrivo sempre a te, toccherebbe a
Sirius, credo, ma l'ho sentito distante... come se avesse altro per
la testa.
E' che ultimamente va
un po' così e... e non lo so, James, non lo so davvero. Che diamine
ti sto scrivendo, James? Non ne ho idea ad essere sincera, sai?
Scusami di nuovo, ma
la verità è che essere bloccata qui, senza sapere niente di quello
che succede mi sta facendo impazzire...
Spero di vedervi
presto, buon fine settimana a Dover: ci ero stata da bambina e mi era
piaciuto parecchio.
Lily”
Aveva scritto
quella lettera d'impulso, un paio di giorni prima.
Era stata la
peggior giornata che le fosse capitata da quando erano iniziate le
vacanze.
Era uscita per
delle commissioni e aveva incontrato Severus: per quanto si fosse
sforzata di non guardare nella sua direzione, per quanto avesse
provato ad evitare la sua strada, era stato inevitabile condividere
un pezzo di percorso con lui.
Camminava qualche
metro avanti a lei, mentre Lily faceva di tutto per aumentare la
distanza, camminando sempre più piano.
Se n'era senza
dubbio accorto di averla dietro, perchè aveva accelerato il passo
per distanziarla.
Lily, nervosa,
irritata e delusa già di suo si era poi chiusa in camera, attaccando
il 45 giri di Help! Dei Beatles, un originale del '65 ricevuto in
regalo da suo padre.
Probabilmente il
volume era troppo alto, perchè le parve di sentire un urlo da parte
di sua madre, senza però farvi caso sino a quando Petunia non era
entrata come un uragano nella sua stanza sbraitando su quanto fosse
irrispettosa ed interrompendo il voluto silenzio che le
contraddistingueva da quando erano iniziate le vacanze.
“Ti preferivo
quando stavi zitta, sai? Se ti faccio così schifo ignorami, Petunia.
E' meglio così.”aveva ribadito a sua volta Lily, sforzandosi
di non piangere lacrime di rabbia e crollando non appena la sorella
era uscita sbattendo la porta.
In realtà le
importava, le importava ancora troppo.
Ci aveva pensato
spesso, in quei giorni.
Nonostante qualcuno
dicesse che il rapporto con i propri fratelli di sangue non fosse
così scontato, perchè, di fatto, potevano anche essere imparentate
persone del tutto diverse e, quindi, era meglio considerare fratelli
degli amici, in quanto scelti personalmente, Lily sentiva la mancanza
di quel legame, consapevole che, in un modo o nell'altro, lei e
Petunia sarebbero comunque state legate per sempre.
Avrebbe dovuto
andare avanti senza Petunia, così come stava imparando a fare senza
Severus, ma era ancora troppo presto per far sì che non le
importasse.
Forse, un giorno ci
sarebbe riuscita, forse, un giorno, sarebbe riuscita a farne a meno.
Si augurava che fosse così, sia augurava che arrivasse in fretta il
momento in cui non le sarebbe più importato niente di Petunia.
Perchè sarebbe arrivato. Avrebbe dovuto arrivare. Per forza.
Nel frattempo,
però, i pezzi si mischiavano e si confondevano e lei aveva scritto
quella lettera a James, la cui risposta non si era fatta attendere.
“Lily,
che succede? Cosa c'è
che non va?
Vorrei tanto poter
fare qualcosa, venire lì, se necessario. Ma mia madre sta
ammattendo, con questa storia delle vacanze: mi farà portare cose
per sei mesi, anziché per due giorni e, come se non bastasse non si
fida della mia (in)capacità organizzativa.
Fortuna che lo zio di
Sirius è intervenuto a calmarla un po'...
Scherzi a parte, spero
di strapparti un sorriso con questi discorsi confusi...
Peter, dopo quello che
è successo ad Abingdon, sta bene. Avrebbe potuto accadergli
qualcosa, ma fortunatamente va tutto per il meglio: è stato solo un
grande spavento per tutti, ma ora è tutto risolto.
Cambierà qualcosa,
Lily. Deve cambiare qualcosa.
Appena torni dalla
Bretagna ci vediamo, ok? Non mi va di saperti in balia del nulla fino
a settembre...
Te lo prometto: i
Malandrini al gran completo si materializzeranno davanti alla tua
porta.
Non permettere a
nessuno di distruggerti, Lily.
A presto,
James”
Lily
guardò la pila disordinata di lettere che teneva sulla scrivania.
Remus,
Sirius, Peter, James.
Si
accorse di piangere.
I
problemi con Petunia, i problemi con la vita ci sarebbero sempre
stati. Sempre.
Ma
non era sola. Non era obbligata ad affrontarli da sola, li avrebbero
affrontati insieme.
Buonasera a tutti
quanti, scusatemi per il ritardo di più di un mese, ma l'università
mi ha impegnata parecchio e l'ispirazione non arrivava...
Che dire? Cosa
frullerà nella testa di Sirius? E come si configurerà questa
vacanza Malandrina?
E Lily e James che si
scrivono?
Spero di potervi dare
risposte esaurienti (non tanto) presto.
Vi ringrazio tutti
quanti, come al solito, perchè se Pieces of Us sta andando avanti è
solo merito vostro.
Alohomora: non
si tratta di secondo epilogo, ma di un nuovo capitolo. Semplicemente,
dato che segna l'inizio di un nuovo anno scolastico, mi sembrava
giusto definire una svolta.
Lo scorso capitolo
voleva essere volutamente sereno, questo lo è meno, perchè sono
tutti quanti inquieti, ma forse, è giusto che sia così...
MEISSA_S: sono
lieta di sapere che il Sirius di Pieces of Us ti piaccia: forse è
più malinconico di quanto non si veda di solito, ma io lo vedo così,
come parecchio tormentato. Ecco, sulla scena dello scorso capitolo,
mi piace pensare che qualcosa nel cuore di Orion si sia mosso, che
qualcosa abbia provato, vedendo suo figlio abbracciare un'altra
donna. Non so cosa e nemmeno a cosa porterà, ma io credo che
qualcosa si sia mosso.
Approfondire i legami
genitori- figli dei miei personaggi mi piacerebbe, e spero di aver
fatto qualcosa di buono in questo capitolo delineando modi diversi di
essere genitori.
purepura: gli
epiloghi, le fini mettono sempre tristezza, però, quella dello
scorso capitolo era una tristezza tutto sommato serena, almeno, io
l'ho vista così. Questo capitolo, invece, mi inquieta un po', ad
essere sincera.
PrincessMarauders:
no, qui Sirius non incontra Hellen. Ho voluto che sia così perchè
vorrei seguire il filo originale della storia. Non escludo possibili
storie d'amore di Sirius, ma non me la sento di legarlo ad Hellen....
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Capitolo 25 *** Capitolo Ventitreesimo ***
CAPITOLO
VENTITREESIMO
There's a spanner in the
works you know, you gotta step up your game to make to the top.
So go! Gotta little competition now, you're going to find
it hard to cope with living on your own now. Uh oh! Uh oh!
* C'è una chiave per risolvere ogni lavoro, lo sai
migliorerai il tuo modo
di fare per farlo al meglio
Avrai qualche problema
ora,
troverai difficile
sopravvivere con il convivere con te stesso,
Uh oh!
CAPITOLO VENTITRESIMO
Agosto 1977
GODRIC'S HOLLOW,
SCOZIA, CASA POTTER
“Che
razza di imbecilli!” esclamò James, masticando rumorosamente i
cereali della colazione.
“James!”
lo rimproverò sua madre, irritata più dalla mancanza di educazione
nel masticare che per l'esclamazione cui, suo malgrado, era abituata.
“Massì
mamma, sono tre emeriti imbecilli! Lo sapevo io che stavano tramando
qualcosa! Ma questo è uno scherzo davvero stupido, anche se, devo
ammettere, che è stato preparato con cura. Guarda qui, la spilla e
la lettera sembrano quasi originali!” James, lasciando da parte per
un attimo la sua colazione, passò a sua madre la pergamena e la
spilla che aveva trovato in quella busta marrone scuro intarsiata
dello stemma di Hogwarts.
“James...”
stava iniziando a dire Dorea, scorrendo rapida le parole scritte in
verde smeraldo.
“Vedi?
Vedi come sono abili e infigardi? Questa sembra proprio la firma
della McGranitt! Sono tre anni che Sirius si esercita a farla!”
James indicava la pergamena dove, in calce, la McGranitt aveva
firmato, confermando quanto detto sopra.
“Ma
adesso mi sentiranno! Cioè, non pretendo chissà che scherzo
demenziale, ma questo è davvero triste e privo di senso
dell'umorismo.”
“James...”
aveva ripetuto Dorea, stringendo in mano la spilla e tentando di
fermare il figlio che a grandi falcate si stava dirigendo verso il
camino del salotto.
Era
già arrivato di fronte al camino, pronto ad urlare a pieni polmoni
“Orchard House”, pur di mettersi in comunicazione con quel
rognoso del suo migliore amico, quando gli venne un'idea.
Un'idea
di quelle ottime, a dir la verità. Un'idea degna di Lunastorta.
Perchè
mai arrabbiarsi e protestare quando avrebbe potuto servire una
vendetta lenta, fredda e dolorosa?
Oh
sì, sarebbe stata una vendetta che sarebbe stata servita a freddo.
Già
li vedeva. In punizione prima ancora che iniziasse la scuola.
Era
proprio di fronte al camino quando, di colpo, fece marcia indietro e,
incurante delle grida di sua madre, James si fiondò in camera sua.
La
vendetta aveva inizio.
TILFORD,
SURREY, INGHILTERRA. CASA EVANS
Come
ogni mattina, Lily si svegliò relativamente presto.
Non
aveva particolari programmi per la giornata e si aspettava di
ciondolare un po' per casa e poi, magari, qualora avesse provato lo
spasmodico impulso di uscire di casa, avrebbe potuto fare un salto in
Biblioteca o al parco anche se, per il momento, la sola idea di
mettere piede nel mondo le faceva venire ancora più voglia di
proseguire la sua permanenza nel letto.
Avrebbe
voluto fare un salto a Diagon Alley, in realtà. Aveva ancora i libri
da prendere e poi chissà mai che sarebbe riuscita a convincere sua
madre a farle prendere una nuova divisa ed un nuovo mantello per
l'inverno, considerando che la sua attuale divisa aveva almeno un
paio d'anni e che il suo mantello era decisamente passato di moda.
Non
era una fanatica della moda o delle compere ma era del parere che
quando ci voleva ci voleva e, in quel caso, ci voleva disperatamente.
Comunque,
quando aveva proposto a Remus di fare un salto a Diagon Alley quel
pomeriggio il ragazzo aveva risposto che avrebbero potuto andarci
tutti insieme, con anche gli altri e Lily aveva capito da sé che per
mettere d'accordo tutti, a Diagon Alley ci sarebbero andati il
trentuno Agosto.
Quindi,
se proprio ci voleva andare, era il caso che iniziasse a farlo da
sola.
Ma,
considerata la situazione e considerato il caldo, la prospettiva di
vegetare in casa la allettava molto più dell'affollata ed afosa
Diagon Alley.
Pertanto
quando si alzò dal letto, dirigendosi in cucina per la colazione e
per la necessaria dose di caffeina, Lily era pronta ad un'ennesima
giornata piuttosto inutile.
Forse
solo il tema di Trasfigurazione l'avrebbe fatta sentire meno
inutile...
Masticava
ritmicamente i suoi cereali, quando un allocco posò la sua missiva
sul tavolo della cucina ripartendo immediatamente.
Lily
aggrottò le sopracciglia, non riconoscendo l'animale. Poi vide che
la busta recava il timbro di Hogwarts.
Lasciò
immediatamente da parte la sua colazione per leggere quali notizie
giungevano da scuola.
Che
fosse successo qualcosa di grave? Impossibile.
Tirò
fuori la pergamena, vergata dal solito inchiostro verde smeraldo. Le
dita le tremavano, mano a mano che proseguiva nella lettura.
“Gentile Sig.na
Evans,
sono lieta di
informarla che il Consiglio Scolastico ha scelto di nominarla
Caposcuola per l'A.S. 1977-1978.
E' chiamata a
presentarsi il prossimo Primo Settembre per organizzare il lavoro dei
Prefetti fin sull'Espresso.
Augurandole di
svolgere il suo compito nel miglior modo possibile, le auguro una
buona prosecuzione delle vacanze.
Ossequi
Minerva McGranitt,
Vicepreside
Ps:il suo distintivo
si trova all'interno della busta.”
Caposcuola.
Lei Caposcuola!
Per
Morgana, quella sì che era una notizia!
“Mamma!
Papà! Sono Caposcuola! Caposcuola! Mi hanno nominato Caposcuola!”
Lily uscì in giardino, dove i suoi genitori stavano lavorando alle
piante, saltellando.
“Caposcuola,
mamma! Ti rendi conto?”
Da lì
fu un continuo abbracciarsi e continue congratulazioni.
“Devi
onorare questo titolo, Lily!”le ricordò suo padre, ammirando la
spilla lucida in cui la “C” era intarsiata con lo stemma della
scuola.
“Ci
proverò, anche se non credo che sarà semplice...”ammise Lily,
pensando, per la prima volta, alle ovvie responsabilità che quel
titolo comprendeva.
“Sono
certa che farai del tuo meglio, Caposcuola!”le disse sua madre,
accarezzandole i capelli.
“Del
resto, sei già stata un Prefetto, no?” le ricordò suo padre.
In
quel momento Petunia mise la testa fuori dalla finestra, per capire
cosa stesse suscitando tutta quell'euforia. Fece in tempo a scorgere
la spilla che suo padre teneva orgogliosamente in mano, mentre sua
moglie continuava a congratularsi con Lily, che spiccava per
felicità.
Lily
alzò gli occhi per un attimo e riuscì a scorgere l'occhiata di
disprezzo che sua sorella stava gettando sulla scena, prima di
rientrarsene in casa.
Istintivamente
portò lo sguardo alla spilla e la strinse forte.
ORCHARD
HOUSE, CONTEA DI YORK, INGHILTERRA
Sirius
sedeva davanti al pianoforte, un antico e prezioso Steinway a coda
risalente ad almeno trent'anni prima.
Aveva
appena finito di suonare l'ottava di Beethoven, la cosiddetta “
Patetica” e stava voltando la pagina dello spartito che stava sul
leggio per andare avanti.
Gli
piaceva Beethoven, gli piaceva la quieta malinconia di quei suoni,
gli piaceva il tormento interno che sembrava sempre accompagnarli. O
forse a piacergli era la storia personale di Beethoven, che rendeva,
di conseguenza, gradita anche la musica.
Quando
era piccolo, ricordava di avere una particolare preferenza per
Rachmaninov e per le sue note energiche.
Era
curioso che proprio la donna che più detestava al mondo, sua madre,
l'avesse iniziato alla musica. A quello strumento Babbano che, per
definizione, avrebbe dovuto essere rozzo e volgare.
Sirius
si chiedeva ancora come fosse possibile che colei che, almeno con
lui, si era sempre mostrata arida di sentimenti e di affetti potesse
capire ed apprezzare la musica, al punto tale da voler trasmettere
quella sua passione ai suoi figli.
O
forse, riflettè, forse non era passione, forse era solo il modo per
perpetrare una tradizione di famiglia. Forse era solo un ennesimo
modo di fare di lui il figlio perfetto, il futuro erede della Nobile
ed Antichissima Casata dei Black.
No,
pensò Sirius, no. Non poteva arrivare a pensare a tanto: se c'erano
due cose che sua madre amava per davvero o per le quali, comunque,
aveva sempre mostrato genuino interesse erano la famiglia Black e la
musica anche se forse, a parere suo, non sarebbe mai arrivata a
capirla per davvero, considerando che il suo cuore era insensibile e
privo di umana misericordia.
Tuttavia,
Sirius, riusciva ancora a ricordare quando a quattro o cinque anni si
sedeva di nascosto dietro alla porta dello studio, lasciata
socchiusa, per sentire sua madre pigiare quei tasti bianchi e neri
con eleganza e con gli occhi socchiusi.
“Vuoi
che ti insegni?” aveva detto un giorno, Walburga, cogliendolo
di sorpresa.
Sirius
aveva annuito e lei l'aveva fatto accomodare accanto a sé, sullo
sgabello, per mostrargli i primi rudimenti.
Non
sapeva se sarebbe stata una cosa che gli sarebbe stata comunque
imposta o se, invece, Walburga l'avesse fatto perchè lo aveva visto
interessato.
Sirius
sapeva soltanto che quell'occasione era stata la prima ed unica volta
in cui si fosse sentito realmente apprezzato, l'unica occasione in
cui sua madre si era comportata realmente da madre.
“Padroncino,
il padrone è rientrato.” deferente Ruth, l'Elfa Domestica a
servizio di zio Alphard da che Sirius avesse memoria, avvisò il
giovane dell'arrivo dello zio, distogliendolo dai suoi pensieri.
“Grazie
Ruth. Allora andrò da lui.” rispose educatamente Sirius.
Era
solo l'Elfo Domestico della sua famiglia, Kreacher, ad indisporlo e a
fargli detestare quella sottomessa Razza. Non erano gli Elfi di
Hogwarts e neppure Ruth. Era solo Kreacher ad avere in sé tutte le
peggiori caratteristiche che potesse avere in sé un Elfo Domestico,
prima fra tutti, la somma deferenza alla famiglia che, caso vuole,
Kreacher mostrasse a tutti i membri della famiglia Black fuorchè a
lui.
Prese
un profondo respiro e attraversando ad ampie falcate raggiunse la
porta e da lì scese le scale per andare da suo zio che,
presumibilmente, lo attendeva nel suo studio personale.
Bussò
alla porta di legno intarsiato.
“Entra,
Sirius.” lo chiamò gioviale lo zio.
“Allora,
ragazzo mio, che hai fatto oggi? Mi dispiace di non essere potuto
tornare prima, come ti avevo promesso, ma alla Gringott mi hanno
trattenuto.” si scusò Alphard, venendo incontro al nipote.
Indossava ancora il suo completo da viaggio in tweed verde acqua,
notò Sirius.
“Nessun
problema, zio.” annuì Sirius.
“Hai
visto la lettera di Hogwarts che ti è arrivata stamattina? Te l'ho
lasciata in cucina per assicurarmi che la vedessi.”
“Sì,
sì. E' la solita lista dei libri, zio. Sento gli altri e poi andrò
a Diagon Alley con loro. Magari già domani... prima ho scritto a
Remus... se lui sente gli altri in tempo utile magari andiamo già
domani. Devo anche andare a far sviluppare delle foto, ora che ci
penso...” spiegò Sirius, pensando al cassetto pieno di rullini che
gli faceva compagnia nella sua stanza.
“Perchè
non impari a sviluppartele da te, Sirius? Potremmo attrezzare quel
ripostiglio al piano di sopra... Dici che funzionerebbe come camera
oscura?” propose Alphard, figurandosi già in mente cosa sarebbe
diventato.
Sirius
scoppiò a ridere, pur ringraziando lo zio di tanto interesse.
“Svilupparle
io? Si vedrà... per il momento non credo di avere molto tempo per
imparare, sai, tre settimane e torno a scuola.”
“Bè,
mai dire mai, Sirius! Scommetto che sarebbe ancora più bello
scattare fotografie sapendo di poterle sviluppare! Ti ci vedo immerso
in quei liquidi strani, mentre appeni fotografie sul
filo...”ridacchiò lo zio, tormentandosi la barba.
Sirius
ebbe per un istante la medesima fugace visione che stava avendo suo
zio e poi, scuotendo la testa e sbruffando, cercò di riscuotersi.
“Torno
alle mie robe, zio. Ci vediamo a cena.”
Sirius
stava già uscendo, quando lo zio lo prese per un gomito.
“Aspetta,
Sirius. C'è qualcosa che non va? Ti vedo insofferente da quando sei
tornato.”
Sirius si ritrasse dagli occhi grigi di suo zio che lo fissavano,
ansiosi.
“No
zio, non è che sono insofferente... è che... che non lo so. Mi
sento in trappola, in realtà.”
“In
trappola?” chiese lo zio con espressione scettica.
“Sì,
nel senso...è che è difficile dirlo, zio. Perchè tu sei così
gentile con me, perchè tutti siete gentili con me. Perchè tutti
avete fatto tanto... ma...”
“Ma...”
Alphard invitò il nipote a parlare, allungando appena la bacchetta
quel tanto che bastava per aprire l'armadietto dei liquori e versarsi
un wisky.
“Ma
è difficile. E io non sono abituato.” mugugnò Sirius, toccandosi
nervosamente i capelli che, come suggerivano Remus e Lily, si stavano
facendo decisamente troppo lunghi.
“Abituato
a cosa?” lo incalzò Alphard, sorseggiando dal suo bicchiere in
cristallo, proveniente da un servizio donatogli da un collega
svizzero.
“A
questo! A queste attenzioni! Al dover rendere conto a qualcuno di
dove sono o cosa faccio! Vorrei... vorrei tornare da scuola e non
dovermi sentire un ospite ovunque vado! Vorrei un posto da chiamare
casa, in cui sdraiarmi sul divano e chiudere fuori il mondo!”
confessò Sirius, alzandosi dalla poltrona e vagando nervoso per la
stanza.
Lo
sguardo di Alphard si assottigliò, diventando di colpo freddo.
“Un
posto da chiamare casa? Che vai farneticando? Sirius tu hai una casa!
Hai questa casa!”
“Sì,
ma è casa tua, zio! Casa tua! Non mia! E' casa tua! Così come casa
di James è di James! E casa di Meda è di Meda! Sono le vostre vite,
zio! Non la mia! Io non ce la faccio più a stare così!” sbottò
Sirius.
“Cosa
ti manca, Sirius?” commentò freddamente Alphard, osservando il
nipote dar di matto sui suoi preziosi tappeti persiani.
“Cosa
mi manca? Come cosa mi manca?” ripetè Sirius. Cosa gli mancava non
lo sapeva neanche lui, di preciso. Forse si era solo immaginato che
vivere in famiglia fosse diverso ed ora anelava la sua solitudine
confusa.
“Cosa
ti manca, Sirius. Cosa vuoi che io faccia? Vuoi andare a vivere da
solo? E' questo che vuoi? Ammettilo! Abbi il coraggio di ammetterlo!”
il tono di voce non era di molto superiore al solito e, Sirius, non
riuscì a capire cosa realmente intendesse suo zio con quelle parole.
“Non
lo so... Forse... Zio... E' un casino.” sbruffò, confuso.
Alphard
inspirò e sedette di fronte al nipote.
“Se
è un casino, Sirius, devi solo fare mea culpa. Non iniziare a dire
che non sei fatto per la vita di famiglia o sciocchezze del genere.
Hai diciassette anni e voglia di essere confuso. Mi sta bene. L'ho
avuta anch'io la tua età. Perciò- qui lo zio posò una mano sulla
spalla di Sirius, fissandolo negli occhi spaventati.- Perciò,
ragazzo mio, va'. Va' e corri incontro alla libertà, se è questo
che vuoi.” ridacchiò, tornando al suo wisky mentre fissava la
brughiera oltre il vetro.
Sirius
rimase lì, attonito, immobile, con le ginocchia che gli tremavano.
Gli
stava dando il permesso di andare? Suo zio stava dicendo ad un
adolescente di diciassette anni che poteva andare a vivere da solo?
Aveva
senso?
Aveva
senso quello che stava per fare?
In
realtà, Sirius non ne era certo. Non era mai stato più insicuro di
così. Ma forse, come diceva sempre Remus, valeva la pena di provare.
Forse.
TILFORD,
SURREY
Quando
James, Sirius, Remus e Peter si ritrovarono, come da accordo, nella
piazzetta di Tilford per aspettare Lily, scoppiarono istintivamente a
ridere tutti insieme.
Quel
pomeriggio, a poca distanza l'una dall'altra, erano arrivate due
lettere: una di Sirius che proclamava solenne l'annuncio di una
grande novità ed una di James, che si diceva fremere dall'emozione
per un 'incredibile notizia.
“A
Lily avete detto di raggiungerci qui?” chiese Peter, riunito a
crocchio con gli amici in quella serata estiva.
“Sì,
ha detto che ci avrebbe raggiunto qui verso le nove.” annuì Remus.
“Bene!
Allora ho ancora un quarto d'ora per annunciarvi la grande notizia!”
esclamò James che non voleva mettere in mezzo Lily in quella sua
ennesima idiozia.
“Non
potresti aspettare Lily come faccio io?” propose Sirius, tirando un
calcio alla pallina di carta che aveva appena trovato per terra.
“No,
no, mi dispiace ragazzi, ma non ce la faccio più a trattenermi! Devo
assolutamente dirvelo! Poi lo ripeterò davanti a Lily, ma vi prego!
Fatemelo dire!” James usava parole e gesti esagerati che non
ingannarono Remus che, anzi, proseguiva nel guardarlo scettico.
“Mi
è successa una sciagura pazzesca! Una delle cose che ci eravamo
giurati a dodici anni non potesse fare mai parte del curriculum di un
Malandrino! Anch'io, come Remus, ho infranto l'articolo 4 del Codice
del Malandrino!” strillò James, mimando il gesto di strapparsi i
capelli.
Sirius
per poco non si strozzò con la sua stessa saliva, gli occhi di Remus
balzarono fuori dalle orbite e solo Peter parlò.
“Hai...
hai violato l'Articolo 4? Sei... sei... sei un Prefetto?” riuscì a
chiedere.
“Peggio!”
esclamò James.
Sirius
proseguì a non parlare.
Remus
fiatò.
“Caposcuola.”
“Oh
accidenti.”disse Peter.
“James.
Se questo è uno scherzo, ti prego di dircelo subito.” riuscì a
dire Sirius.
James
scrutò gli amici: se le erano proprio preparate bene quelle
reazioni! Sembravano frutto di vera e propria incredulità. Scelse di
calcare la mano.
“Non
è uno scherzo. E' questo il bello. O brutto che sia.” commentò.
Sirius
e Remus fecero l'ultima cosa che James si sarebbe mai aspettato. Uno
scoppiò a ridere mentre l'altro si tormentava la faccia con la sua
miglior espressione da “Dobbiamo fare qualcosa.”
James
li guardò in silenzio e poi una piccola luce dotata della voce di
sua madre iniziò a farsi largo nella sua coscienza.
“Ok.
Mi state forse dicendo che non l'avete scritta voi quella lettera?
Che non mi avete spedito voi un falso distintivo?”
“James
ma sei scemo?” fu tutto quello che Peter riuscì a dire, parlando
anche per gli altri due.
“No,
dai, seriamente. Mi volete dire che voi non mi avete scritto quella
lettera spedendomi quella spilla con la “C”?” proseguì James,
che stava iniziando a farsi prendere dal panico.
“James,
ma ti pare che ti faremmo uno scherzo così imbecille?” chiese
Sirius, retorico.
“Questo
vuol dire...” sillabò James
“Che
sei Caposcuola. Per davvero.” concluse per lui Remus, con una lieve
stizza. Se c'era tra loro quattro qualcuno che se lo meritava, quel
titolo, era lui. Non James. Nessuno di loro quattro lo meritava, a
dire il vero. Ma lui più di James. Quello era poco ma sicuro. Forse,
se non fosse stato per quella maledetta licantropia...
“Oh
Santo Boccino!” fu l'unica cosa che James riuscì a dire.
Caposcuola.
Lui Caposcuola. Non poteva essere vero.
Lui
non era la persona adatta. Lui era quello che faceva i compiti
all'ultimo, che organizzava scherzi, che passava le giornate con la
ridicola compagnia di Gazza per passatempo, quello che aveva sempre
gli allenamenti di Quidditch. Insomma, era l'ultima persona adatta
per un ruolo del genere che, per sua stessa natura, prevedeva il
ripudio di tutto ciò che lui era solito fare.
Se
c'era qualcuno che se lo meritava, che se lo meritava davvero, era
Remus. Remus era la persona ideale.
Remus
era bravo a scuola, era disponibile, sapeva sempre cosa andava fatto,
era affidabile, non si irritava facilmente, aveva idea di cosa
volesse dire organizzare un lavoro e portarlo a termine.
Remus
era il Caposcuola ideale. Non lui.
“Domani
scrivo a Silente. Devono aver sbagliato. Per forza.”disse James con
una serietà tale per cui Sirius non potè fare a meno di proseguire
nella grassa risata che aveva interrotto poco prima.
“No,
ma Sirius davvero! Non posso essere io uno dei due Caposcuola!”
Peter
ridacchiava, nervoso. Solo Remus restava serio.
“Non
hanno sbagliato, James. Non spediscono a casa nomine
sbagliate.”precisò Remus, toccandosi, preoccupato, la barba.
“No
dai, ma seriamente! Non possono pensare di averlo fatto Caposcuola!
James, per Merlino, questa volta sì che mi hai stupito! Ti prenderò
in giro sino ad oltre la tua pensione per questo, lo sai vero?”
riuscì a dire Sirius tra un ghigno e l'altro.
“Non
ho intenzione di essere Caposcuola! Domani scrivo a Silente e
sistemiamo questa pagliacciata. Chiunque può esserlo ma non io. Io
non sono capace!” ribadì James, che stava piano piano realizzando
quello che lo aspettava.
“Temo
che dovrai imparare, James. Se ti hanno nominato Caposcuola si vede
che hanno notato in te qualcosa.” disse Remus, facendo appello al
suo buon senso e cacciando indietro la gelosia.
“Qualcosa
che non vede nessun altro, però Lunastorta!” esclamò Sirius.
“Sirius,
per favore, lo so che questa notizia ti ha decisamente rallegrato la
giornata, ma ti prego di non farne parola davanti a Lily, va bene?
Crede finalmente che io sia in grado di combinare qualcosa di buono.
Se le dico di questa storia del Caposcuola...”
“Sarà
ancora più fiera di te.” osservò Peter, nella sua semplicità.
“Non
credo, Coda. Anzi, penserà anche lei che io non sia adatto ad una
cosa del genere. E poi, Lily o non Lily, non sono io quello che deve
essere Caposcuola! Remus, tu avresti dovuto essere Caposcuola. Non
io! Io sono un buono a nulla...in queste cose.” si sfogò James.
Remus fissò l'amico negli occhi. James era sincero quando affermava
che, a parer suo, sarebbe stato Remus a dover vestire quella carica.
“James,
non è questo il momento di parlarne. D'accordo? Lily sta arrivando.”
gli disse.
Lily
stava arrivando dalla strada principale, sola. Uno smagliante sorriso
era l'ornamento che portava con sé per quella serata.
Quando
li vide, iniziò a correre.
“Come
sono contenta di vedervi!” esclamò, abbracciandoli uno ad uno.
“Hai
fatto tutta la strada da sola al buio, Lily?” si preoccupò James.
“Sì,
ma sono solo dieci minuti. Niente di grave. Sono sopravvissuta! Non
guardatemi così! Sono una donna indipendente, io!” affermò
orgogliosamente Lily.
“Sarà,
ma vedi, Lily, se ce l'avessi detto ti avremmo aspettato sotto casa!”
le disse James.
Lily
gli concesse uno sguardo di compatimento e poi li invitò ad entrare
nel piccolo pub del paese, informandoli che, generalmente, con i
ragazzi del posto non facevano troppe storie sugli alcolici ma,
essendo loro stranieri, era meglio che non provassero ad avvicinarsi
al bancone.
Presero
posto ad un tavolo, dopo essere passati dal bancone ordinando bevande
rigorosamente non alcoliche.
Alcuni
ragazzi, che Lily riconobbe poi essere suoi compagni alle elementari,
ridacchiarono all'indirizzo dei loro bicchieri, ma nessuno se ne
preoccupò.
Dopo
tanto tempo loro cinque erano tutti insieme e quello era ciò che
contava.
“Bene,sono
lieta di annunciarvi che oggi mi è giunta una lettera da scuola:
sono Caposcuola!” proclamò Lily con orgoglio.
Era
meraviglioso avere di nuovo qualcuno a cui comunicare quelle notizie.
Qualcuno che gioisse di gioia sincera, qualcuno a cui importasse
veramente.
Quando
quel pomeriggio le era giunta la lettera di Sirius, che le annunciava
che i Malandrini si sarebbero trasferiti a Tilford per poter stare
tutti insieme, aveva incominciato ad agitarsi per la gioia.
Dopo
aver festeggiato la nomina con i suoi genitori, le era venuto
spontaneo pensare immediatamente ai suoi amici e, guardando i loro
sorrisi carichi di felicità per quello che era capitato a lei, Lily
pensò che non c'era niente di più bello delle labbra umide di tè
che mostrava Peter, della piega affettuosa di quelle di Remus, degli
occhi brillanti di Sirius e di quelli orgogliosi di James.
“Risparmiaci
dalle punizioni, Lily! Siamo amici!” le ricordò Sirius.
“Giusto-
annuì James- chiudi un occhio o anche due quando si tratta di noi!”
“Sapete
qual è il fatto...- iniziò Lily, quando l'entusiasmo più forte
stava andando via via scemando- E' che quest'anno ho idea che sia
dura essere Caposcuola. Non credo che si tratterà semplicemente di
punti da togliere, punizioni e addobbi per la festa di Halloween.
Quest'anno ci vuole autorità. Ci vuole sicurezza, ci vuole qualcosa
che gli altri anni non era poi così necessario... qualcosa che
faccia capire da che parte è giusto stare. E io... io non lo so se
sono la persona adatta.” a Lily costava confessare le sue
preoccupazioni. Si stava stupendo anche del suo stesso coraggio nel
parlare.
“Non
dire sciocchezze, Lils. Non c'è persona più adatta di te.” disse
Sirius, dopo qualche minuto di silenzio in cui tutti avevano cercato
James con lo sguardo.
“Sirius
ha ragione, Lily. Non c'è niente che non possa fare. A volte... è
solo questione di organizzazione.” sorrise James.
“Lily...
io credo che tu lo possa fare. Voglio dire, c'è stata gente peggiore
di te, no?” osservò il timido Peter.
“Se
ti hanno scelto, è perchè credono in te. Silente non è uno
sciocco.” disse Remus, riferendosi anche a James.
“Lo
so, ma vedi, Remus, è che è forse una responsabilità troppo grande
per me.”
“Non
è forse come essere Prefetto, più o meno?” la incalzò Remus.
“Forse.”
“Forse
niente, Lily. E' come essere Prefetto. Solo che lo coordini il lavoro
dei Prefetti. E, fidati, tu sei stata un ottimo Prefetto.” commentò
Remus, sincero.
Lily
si schernì e preferì cambiare argomento.
“Bene
ed ora, senza offesa Lily, ma è venuto il momento del vero grande
annuncio della serata!” Sirius picchiettò il boccale con la
bacchetta, così da attirare l'attenzione.
Gli
amici tacquero all'istante, chiedendosi cosa facesse brillare così
tanto gli occhi di Sirius.
“Vado
a vivere da solo!” esclamò Sirius, senza troppe parole.
“Cosa?”
chiese Peter, accompagnato dallo sguardo di eterno stupore di Lily.
“Vado
a vivere da solo, Codaliscia! Oggi ho parlato con lo zio: da domani
cercheremo un posticino tutto mio, magari a Londra! Sarò
indipendente, Pete, capisci? Nessuno in mezzo a far danni, solo io!”
spiegò Sirius, con fare teatrale.
“Non
so quanto sia bene, che tu e il cervello stiate da soli.” James
tentò di scherzare, ma si notava che stava parlando tanto per dire
qualcosa. Giocava con il suo bicchiere, nervoso.
“Io
e il mio cervello ci faremo un'ottima compagnia, vedrai,
miscredente!” rispose Sirius, troppo eccitato per fare caso al tono
di voce dell'amico, che rispose con un sorriso sforzato al brindisi
proposto da Remus.
Lily
rispose facendo trillare il suo bicchiere contro quello degli altri,
chiedendosi tuttavia, quanto potesse essere difficile la situazione
famigliare di Sirius, se già a diciassette anni aveva meditato di
andare via da casa.
Sapeva
che non viveva più con i suoi, sapeva quale fosse l'orientamento
politico dei Black ma quella notizia le stava aprendo un intero mondo
sulla personalità di Sirius, ancora più complesso di quanto già
non le fosse sembrato.
Guardò
verso Remus, che ricambiò l'occhiata facendole capire che lui già
sapeva e, soprattutto, che non si preoccupava affatto di quelle che
potevano essere le conseguenze.
Alla
fine della serata, Remus, Sirius e Peter trovarono un angolo per
Smaterializzarsi. James volle a tutti i costi accompagnare Lily a
casa.
“Bè...
Allora, grazie di avermi accompagnata, James.” balbettò Lily,
tirando fuori dalla borsa le chiavi di casa.
“Ho
fatto semplicemente il mio dovere di cavaliere, non le pare,
signorina?” rispose James, coronando l'espressione del suo miglior
sorriso da cascamorto.
“Oh
certo! Non sia mai lasciare una strega da sola di notte!” rise
Lily, facendo trillare al contempo le chiavi.
“Già
prima mi hai fatto prendere un colpo quando ti ho vista voler fare da
sola, al buio tutta la strada... Ci mancava solo che te la facessi
fare davvero! Il mio cuore debole non avrebbe retto!” esclamò
James.
“E
comunque, congratulazioni per la tua nomina a Caposcuola!” aggiunse
James, più per non vederla sparire subito che per altro. Lo
terrorizzava l'idea di essere Caposcuola. Quello di esserlo con Lily
poi ancora di più.
“Oh
bè... in realtà non so ne sono all'altezza.” bofochiò Lily, a
voce bassa.
“Sei
all'altezza di qualsiasi cosa tu voglia fare, Lily Evans.
Ricordatelo.”le disse James, sicuro, guardandola negli occhi. Lily
fece altrettanto e vide che, per una volta, gli occhi di James
avevano perso la loro vena ironica per mostrarsi orgogliosi. Sì,
Lily leggeva orgoglio in quegli occhi castani. Orgoglio rivolto a
lei.
Arrossì.
“Forse.”
rispose Lily.
“E
poi, se hanno scelto proprio te c'è un motivo, non credi?”
Lily
sorrise e si portò una ciocca dietro l'orecchio, imbarazzata.
“Dai,
ora è tardi, vado.”
“Sì,
è tardi, devi andare.”annuì James a sua volta.
Lily
distolse lo sguardo dagli occhi castani di James, in fretta. Posò
istintivamente gli occhi sulla finestra della stanza di sua sorella,
dalla quale proveniva una tenue luce, oltre le tendine verdi.
James
se ne accorse.
“Lily...
io... se vuoi parlare, ci sono.”
Lily
gli sorrise teneramente, piegando gli angoli della bocca in due
fossette.
“Lo
so.”
Buonasera a tutti
quanti. Che dire? Scusate per questo immenso ritardo. Non ho scusanti
e non ne voglio trovare. Basta solo dire che è stato un periodo un
po' così. Spero di riuscire a riprendere a scrivere con regolarità.
Spero che nonostante
il tempo siate ancora incuriositi da questa adolescenza malandrina.
Vi aspetto al prossimo
capitolo, senza smettere di ringraziarvi e chiedendo di scusarmi per
questo capitolo un po' troppo ingessato per i miei gusti.
Alohomora:
Sirius sta compiendo un grandissimo passo. Andare via di casa non è
una passeggiata. Figurarsi a diciassette anni e con la confusione che
ha in testa lui! Ma forse questo trovarsi con se stesso lo può
aiutare, proprio come dice Remus...
purepura:
spero che tu sia ancora qui e che questo capitolo abbia placato un
po' le inquietudini di questi protagonisti che, quando sono insieme,
vedono proprio una luce nel buio!
Hellen è un
personaggio di mia invenzione che ho scelto per essere la moglie di
Sirius in un'altra mia storia, un universo parallelo che tratta di
una ipotetica vita delle famiglie Potter-Black se Voldemort fosse
stato sconfitto nell'81. La trovi sul mio profilo, se ti interessa.
Ultimamente, però,
l'ho un po' abbandonata, sebbene sia più che affezionata ai suoi
personaggi.
Devijina:
che piacere trovarti anche qui! L'hai letto il Giovane Holden in
questi mesi?
Ci tengo a scrivere
questa storia così diversa, che forse è un po' più reale.
Diventare grandi è difficile per tutti. Credo che fosse ancora più
difficile in quegli anni, in cui bisognava crescere in fretta e, a
volte, quello che ti serve è solo un punto di riferimento. Spero che
questi miei problematicamente complicati Malandrini continuino a
piacerti!
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Capitolo 26 *** Ventiquattresimo Capitolo ***
Coz' I'll be laughing at
all your silly little jokes, And we'll be laughing about how we
used to smoke. All those stupid little ciggarettes and drink
stupid wine, Cuz' it was what we needed to have a good time.
- Five Years Time, Noah
and the Whale-
Perchè io starò ridendo dei tuoi piccoli stupidi scherzi
E noi staremo ridendo di
quello che eravamo abituati a fumare
Quelle piccole stupide
sigarette e di bere quello stupido vino,
perchè quello era ciò
di cui avevamo bisogno per divertirci.
CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO
Metà Agosto 1977
Sirius
aveva trovato il posto che faceva per lui. Con i soldi che zio
Alphard gli aveva donato a Natale, Sirius si era comprato un
appartamento al sesto piano di un palazzo nel London
Borough,
nord di Londra. Le finestre del suo salotto si affacciavano proprio
sul mercato di Camden Town.
Aveva passato settimane a setacciare Londra, in lungo e in largo con
zio Alphard alle calcagna che, quando non bocciava una sua proposta,
tentava di convincere Sirius a prendere casa nel ricco Kensington.
Passeggiando attorno alle vecchie Docklands, Sirius, aveva poi notato
che l'area era piena di cantieri, si mormorava che ne avrebbero fatto
una zona residenziale all'avanguardia: i palazzi sarebbero sorti
attorno ai vecchi moli.
Sirius avrebbe volentieri sopportato di vivere in un tugurio, pur di
potersi svegliare, un giorno, quando fossero terminati i lavori, con
una vista sull'acqua. Zio Alphard, però, non era molto d'accordo:
avrebbe preferito che Sirius andasse a vivere in un posto più sicuro
di quanto non fossero le vecchie e abbandonate Docklands.
Così Sirius gli era praticamente scoppiato a ridere in faccia quando
l'idea di abitare a Camden Town non era stata bocciata in tronco. In
realtà suo zio aveva riconosciuto un suo vecchio socio in affari tra
i mercanti di Camden e, appurato che lui sarebbe stato lì ogni
giorno, Alphard aveva dato il suo assenso perchè Sirius abitasse
quella che il ragazzo considerava a tutti gli effetti casa sua.
Il progetto di Sirius era, inizialmente, limitato: non chiedeva
molto, semplicemente un posto tutto suo, dove ricominciare a fare
ordine. Zio Alphard, però, aveva voluto il meglio per lui e la madre
di James aveva dato libero sfogo alle sue doti di chioccia. Remus e
Peter dal canto loro cercavano di disporre in ordine razionale gli
arredi che erano stati acquistati per far sì che, almeno
inizialmente, Sirius non vivesse in una sorta di discarica.
“James,
ti dispiacerebbe almeno fingere di essere contento?” se ne uscì
Sirius, guardando l'amico che scaricava l'ennesima cassa di
Burrobirra.
“Che
intendi dire?” rispose James, facendo finta di niente, ma
nascondendo il viso con gli occhi fissi sulle travi del parquet.
Sirius
si passò una mano sui capelli, nervoso.
“Finiscila.”
grugnì.
“Di
fare cosa?” chiese a sua volta James, spostatosi davanti alla
finestra.
“Di
comportarti così.”
“Così
come?” domandò James, apparentemente attratto dall'insegna del
caffè dall'altra parte della strada.
“Come
un moccioso viziato.”soffiò Sirius.
“Non
sono io il moccioso viziato, Sirius Black.”ridacchiò James.
“Nemmeno
io, se è per questo. Va' al diavolo, James Potter. Quando la finisci
di fare il bambino chiamami. E tornatene pure a casa, non sei di
nessun aiuto qui.” disse Sirius, faticando a trattenere la rabbia.
Aveva contato almeno fino a trenta. Era dura desistere dal tirare un
pugno al proprio migliore amico.
“Al
diavolo vacci tu, Sirius Black.” sussurrò James, che non aveva per
niente gradito l'invito a levare le tende.
“Vedi
Sirius, lo sai qual è il tuo problema?” James si fece più vicino
a Sirius.
“Il
fatto che tu sia tremendamente egocentrico e spesso attento solo a te
stesso. Hai deciso di mollare quella pazza di tua madre. Hai fatto
bene. Sei venuto da me. Quella mattina sei diventato mio fratello. Ti
ho dato casa mia. Ti ho dato la mia famiglia. E adesso, come se
niente fosse, hai deciso che non ti va bene! Che vuoi di più! Che
nessuno può placare la tua inquietudine mentale e che, quindi,
andartene a stare da solo sia la cosa migliore...” rise amaramente
James.
“Non
me ne sono andato per egoismo, James. Sarò eternamente grato a te e
ai tuoi per quello che avete fatto, che state facendo per me... ma
rimettere ordine è una cosa che devo fare da solo.” spiegò
Sirius, colpito nell'orgoglio. Aveva voglia di urlare contro James.
Di fargli presente che lui una famiglia non ce l'aveva mai avuta e
che James avrebbe dovuto smetterla di comportarsi come se tutto gli
fosse dovuto.
“Sirius
tu ce l'hai una casa. Tu ce l'hai una famiglia, maledizione! Non
serve che te ne vieni a stare qui, che ti paghi l'affitto con i soldi
che ti ha lasciato tuo zio, che fai finta di fare l'indipendente! Tu
hai una casa! Era necessario tutto questo?”sbraitò James, deciso a
tirare fuori tutto quello che aveva dentro.
A
vederla da fuori, la scena doveva parere piuttosto confusa o,
quantomeno, era come se i due fossero due attori che stessero
provando una scena: vagavano in una stanza spoglia, giusto un divano
ed una credenza, al sesto piano di un condominio alla periferia nord
di Londra, poco lontano dal pittoresco mercato di Camden Town che,
giusto un paio di giorni prima, Sirius e James avevano eletto a meta
privilegiata dei loro vagabondaggi estivi.
“Il
fatto che, per una volta, qualcosa che riguarda me non comprenda te
ti dà così fastidio, James?” mugugnò Sirius, convinto di aver
centrato il punto.
James
non rispose e Sirius si sedette a gambe incrociate, con la schiena
appoggiata ad una parete.
“Sai
James, io mi fido davvero di te. So che se mai avrò bisogno ci
sarai. Solo ti chiedo, per favore, di accettare la mia scelta, se non
la vuoi proprio non riesci ad capirla. Sarà ridicolo, ma mi ricordo
ancora cosa mi dicesti quella notte in cui mi salvasti da
Gazza.”Sirius fece dondolare le mani avanti e indietro nell'aria,
nel dire quelle parole e James alzò la testa.
“Quando
ti chiesi per quale motivo avessi deciso di risparmiare da una
punizione eterna me, proprio il più antipatico tra i tuoi compagni,
quello che rispondeva con un “Taci, Potter!” ogni volta mi
rivolgessi la parola, tu risposi che ti importava. Ecco perchè
l'avevi fatto. Se ti importa ancora, James, lasciami in pace.”
James
sospirò. Non intendeva davvero che la discussione arrivasse a quel
punto, come Sirius, del resto.
Non
sapeva nemmeno lui dove volava andare a parare.
Era
solo difficile da accettare, per non dire da comprendere, l'idea che
Sirius andasse a vivere da solo. Non per una sorta di gelosia per
l'aver tradito il patto di quattro quindicenni che avevano giurato
che sarebbero andati a vivere insieme dopo il diploma.
Nemmeno
per via di una gelosia personale.
Il
vero punto della questione era, forse, la concezione che James aveva
di sé, la sua autostima, incrinatasi come un vetro.
Era
come se si ritenesse parzialmente responsabile del fatto che Sirius
non stesse bene come dovrebbe. Il vero problema era però che, questa
considerazione, rendeva James inquieto e non completamente a posto
con la sua coscienza. Quindi, in un certo senso, era come se la
preoccupazione per Sirius si riflettesse in una preoccupazione per
sé.
“Tu
stai bene?” chiese semplicemente, con un soffio di voce.
“Spero
di stare meglio di quanto non sia stato fin ora. E poi, se non era
adesso era tra un anno.” rispose Sirius.
James
sospirò, chiuse gli occhi per un istante. Soppresse la voglia di
urlare contro il mondo, contro Sirius e contro se stesso.
“Si
potranno fare delle gran feste, qui.”disse, alzandosi in piedi e
sorridendo all'indirizzo di Sirius, che afferrò la mano che James
gli stava porgendo.
“Potremmo
iniziare già da domani.”rispose Sirius.
James
si rizzò in piedi e perlustrò con gli occhi la stanza.
“Sì,
però qui bisogna darsi una mossa con gli arredi stupidi! Questa
stanza è ancora troppo seriosa per una festa di quelle giuste!”
“Cosa
proponi?”fece Sirius aguzzando la vista.
“Mercatini!”
esclamò James, correndo verso la porta.
Sirius
seguì James, pensando che, in fondo, James restava pur sempre James.
Non
era d'accordo, glielo aveva detto. Provava ad accettare. Ma era lì.
Il
giorno dopo i gufi con gli inviti erano stati spediti ai compagni di
scuola e Sirius e i suoi amici si affaccendavano per predisporre al
meglio l'appartamento per la festa.
Lily
aveva offerto il suo aiuto solo per il tardo pomeriggio: quello era
il giorno del tanto atteso shopping da Madama McClan.
“James,
l'hai detto a Lily?” chiese Remus, appoggiandosi allo stipite della
porta della cucina.
James
non rispose, scosse soltanto la testa.
Peter,
che stava portando dentro la cassetta di viveri che la signora Potter
aveva prontamente donato a Sirius, lanciò uno sguardo di
disapprovazione, pur senza voler intervenire: Remus con le paternali
era molto meglio di lui.
A
parer suo, nessuno più di James meritava la carica di Caposcuola.
Forse giusto Remus, ma Remus stava sempre un gradino sopra agli
altri. Senza contare che quella spilla a Remus era cosa quasi
scontata. Darla a James non lo era per niente ovvio, anzi. Però
James aveva qualcosa, qualcosa che permetteva che la gente gli si
avvicinasse senza problemi, qualcosa che attirava a lui le persone,
qualcosa che lo rendeva in grado di poter parlare a tutti.
Per
quello, Peter pensava, James era la miglior scelta che i professori
potessero prendere.
L'unico
inconveniente ora era persuadere James che fosse la verità. Ma per
quello, si diceva Peter, c'erano i Malandrini.
Ma
per dirlo a Lily no. Lì doveva pensarci lui e basta.
Remus
roteò le palpebre e sospirò. Sapeva che James aveva rimproverato
Sirius di essere un egoista, ma, in quel momento lui stesso si stava
dimostrando altrettanto egoista.
“Non
guardarmi così, Lunastorta! E' che è difficile. Già non mi pare
una buona idea accettare. Già non mi sembra una cosa ragionevole che
io occupi quel ruolo...” sbruffò James, che era già fin troppo
confuso.
Sua
madre gli aveva impedito di scrivere a Silente per rassegnare
dimissioni anticipate e, nel corso di una colorita discussione, gli
aveva fatto notare che si mostrava di essere persone adulte e
responsabili anche quando si accettavano incarichi che si ritenevano
troppo difficili, cercando, ogni giorno, di svolgerli al meglio.
Così
James, d'impulso, aveva detto che sì, l'avrebbe fatto. Aveva,
sostanzialmente, assunto come di sfida le parole della madre.
Grandissima
prova di maturità, doveva ammettere.
“Tu
non sei tipo che si tira indietro.” osservò Remus, senza staccarsi
dallo stipite che ormai stava sostituendo la sua colonna vertebrale.
“Infatti
sono il solito idiota che, pur di non darla vinta alla madre, l'ha
presa come una sfida.” ribatté
James.
“Perchè
diamine devi sempre prendere tutto così, James?” sbruffò Remus,
infastidito.
“Così
come?” replicò James
“Così!-
esclamò Remus allargando le braccia- Così! Così di petto, così a
tuo modo! Vorrei solo che ti rendessi conto che è ora di mostrare
anche agli altri il James che noi conosciamo. Se hanno scelto te,
James, c'è un motivo. Scommetto che sai anche quale sia, questo
motivo.”
“Vedi
Remus- iniziò James, col tono che si faceva sempre più pacato- ho
giurato a me stesso che non avrei più dato grane. Che avrei fatto
del mio meglio per evitare di dare pensieri a mia madre, che già ne
ha troppi. E adesso non è tempo di fare gli idioti per via di tutto
quello che sta succedendo. Diventare Caposcuola però, credo che sia
al di sopra delle mie capacità.” ammise candidamente.
“Non
esiste un modello a cui appellarsi, per essere un buon Caposcuola,
James. Se Silente ha fatto il tuo nome, perchè lo so che è stato
lui a volerti, significa che ha visto qualcosa. Devi solo convincerti
e vederlo anche tu, questo qualcosa. Capisci?”
“Non
lo so, Remus, non lo so. Davvero. Adesso... adesso pensiamo a Sirius,
a sistemare Sirius. Alla scuola manca ancora un po'. Forse vedrò.
Forse capirò che non fa per me.”disse James, tornando agli
scatoloni.
“Forse
lo capirete tutti, che non fa per me.”aggiunse nella mente.
Sorrise
di se stesso, James: qualche tempo prima avrebbe preso l'intera
faccenda con semplicità, si sarebbe goduto il momento e avrebbe
pensato alla libertà che quella carica gli avrebbe concesso.
Ora,
invece, in quella carica vedeva solo un mare di guai.
Sorrise
di se stesso, perchè una parte di lui voleva davvero tornare ad
essere quel vecchio James.
Quel
vecchio James così semplicista però, sapeva che non sarebbe più
tornato.
Lily,
un po' titubante, si Smaterializzò direttamente dal suo salotto alla
casa di Sirius.
Non
era molto entusiasta all'idea della gente: le feste continuavano a
non fare per lei, perchè non era in grado di essere disinibita come
gli altri, anche se, a volte, le sarebbe piaciuto essere un po' meno
se stessa e un po' più qualcun altro.
Quella
però era la gran serata di Sirius e non si poteva mancare, per
nessuna ragione al mondo. E poi, poi, a volerla dire tutta, l'ultima
conversazione che aveva avuto con James le aveva fatto venire voglia
di proseguire a parlare con lui.
Andando
a letto, quella sera, si era chiesta cosa avrebbero potuto dirsi, se
fossero andati avanti a parlare. Forse tanto, forse nulla; eppure
Lily sentiva che sarebbe stata una delle conversazioni migliori che
avrebbe mai potuto avere.
“Lils!”
strillò Sirius, così forte da riuscire a far voltare diverse
persone, non appena vide la chioma rossa di Lily spuntare dietro
all'improvvisato attaccapanni. Le corse incontro, mentre Peter, Remus
e James le lanciavano cenni di saluto.
“Lils!
Grazie per l'aiuto, per la torta, per il fatto che sei venuta e...
per il libro!” Sirius tolse le mani da dietro la schiena e ne tirò
fuori il libro che Lily gli aveva prestato.
Lily
lo prese dalle sue mani.
“Pensavo
che ci avresti messo più a leggerlo....”
“Lo
pensavo anch'io. Grazie Lils, mi è piaciuto un sacco. Quasi quasi un
giorno vado a trovarlo, questo Salinger: lo dice lui che bisognerebbe
avere la possibilità di contattare gli scrittori per poterli
riempire di domande. Anzi, andiamoci insieme!”esclamò Sirius,
concitato.
Lily
scoppiò a ridere, prima di rispondere.
“Dubito
che ci riceverà: è chiuso in un auto esilio misantropico da più di
dieci anni...però si potrebbe fare!”
“Grazie
davvero, Lils! Mi piace qui, quando dice: “Eppure certe volte
mi comporto ancora come se avessi sì e no dodici anni. Lo dicono
tutti, specie mio padre. E in parte è vero, ma non è del tutto
vero. La gente pensa sempre che le cose siano del tutto vere. Io me
ne infischio, però certe volte mi secco quando la gente mi dice di
comportarmi da ragazzo della mia età. Certe volte mi comporto come
se fossi molto più vecchio di quanto non sono-sul serio-ma la gente
non c'è caso che se ne accorga. La gente non si accorge mai di
niente.”lesse Sirius.
“Spesso
la gente non si accorge di niente. E' vero. Ma mi piace pensare che a
volte se ne accorga, invece.”lo corresse Lily, alzando lo sguardo e
spostandolo da lui a James, Remus e Peter che sostavano nell'angolo
delle cibarie.
“E
poi, forse non è importante quello che pensa la gente...”aggiunse
Sirius.
“Vorremmo
convincerci che sia così.”precisò Lily mordendosi le labbra e
lasciandoli entrambi in un silenzio imbarazzato e privo di
consolazione per entrambi.
“Sete
ragazzi?”bonariamente Peter arrivò con due bicchieri pieni,
invitandoli prontamente a partecipare al gioco che Ted Vaughan stava
organizzando.
Remus
sorrise a Lily e se la prese sottobraccio per aggiornarla sugli
ultimi pettegolezzi.
“Accidenti,
Remus! Tu sei più pettegolo di una vecchia strega di palude!”esclamò
Lily, ridendo degli ultimi aneddoti che Remus le aveva raccontato. Il
ragazzo aguzzò lo sguardo, fissò l'amica e le disse che non era
pettegolo, bensì si teneva semplicemente informato.
“E
comunque- aggiunse- se non c'è malizia non è spettegolare. Ti pare,
Lily?”
Lily
scoppiò a ridere.
“Mi
arrendo! Remus Lupin tu sei la persona più maligna che io conosca!”
“Tzè.
Informarsi non è reato.” osservò lui, portandola dove gli altri
stavano giocando a Twister.
James
con Connor McFinn e Penelope era rimasto in precario equilibrio sulle
macchie colorate del tappeto, mentre gli altri li incitavano a
resistere lungo pose sempre più scomode o imbarazzanti.
“Sei
caduto, Potter! Hai appoggiato il gomito!”urlò qualcuno,
all'indirizzo di James.
“Ma
non è vero!” protestò James
“Sì,
invece! Fuori James!”
“Ma
dai! Maledetti giochi Babbani!”imprecò James, rialzandosi.
“Non
sei su una scopa, amico! Qui va diversamente!”osservò Sirius,
spostando materialmente James dal tappeto e prendendo il suo posto,
ignorando le rimostranze di chi gli faceva notare che non era
corretto inserirsi in una partita già iniziata.
James,
ridendo ancora, si spostò accanto a Lily e le sorrise, come a dirle
che lui ci aveva provato a restare in equilibrio il più possibile.
“Sirius...
sembra sereno.” osservò Lily, appoggiando alla mensola la sua
bottiglia di Burrobirra e stringendo forte la copertina del suo
libro, quel Giovane Holden che Sirius le aveva restituito.
“Sì.
Sembra sereno. Finalmente.”osservò James, con un sorriso.
“Non
colpevolizzarti, James. Volevi proteggerlo.”disse Lily e
l'espressione di James mutò in sorpresa: come poteva sapere? La
guardò fisso nei suoi occhi verdi e Lily abbozzò un sorriso ed alzò
le spalle, come a dire “Era evidente”.
“Non
sempre le persone vogliono essere protette, Lily. E, soprattutto, non
sempre dobbiamo proteggerle.” le fece notare James.
“Tu
vuoi proteggere chi sta accanto, James, lo so.” disse Lily.
“Chi
non vorrebbe, Lily?” le chiese retoricamente.
“Tutti
lo vogliono. Ma a volte si vuole anche essere protetti, pur
necessitando libertà. E' consolante sapere che c'è qualcuno che
veglia su di noi.” puntualizzò Lily, giocando con i capelli.
James,
imbarazzato, fissò il pavimento. Poi, vide le gambe di Lily,
dondolare accanto a lui, le braccia mollemente abbandonate lungo i
fianchi.
Le
prese la mano. Sentì le dita di Lily intrecciarsi nelle sue.
La
vide sorridere alle travi del parquet. E sorrise anche lui.
Ecco qui un altro
capitolo!Spero sia stato di vostro gradimento! Vi ringrazio per aver
continuato a seguire la storia nonostante avessi avuto un blocco
piuttosto lungo.
Melody Potter:
ciao e grazie! Spero che tu possa continuare a seguire!
Purepura:oh bè
i Malandrini ci sono andati per Lily. Adesso Lily fa parte del gruppo
e, essendo l'unica ragazza, da un lato dovrà tirar fuori le unghie e
dall'altro sarà vezzeggiata e coccolata.
Noi sappiamo da
Hagrid, lo dice ad Harry nella Pietra Filosofale, che Lily e James
sono stati Caposcuola: posto che non vengono scelti a caso, credo che
Silente sapesse esattamente cosa stesse facendo e, nell'immaginare il
mio James sono partita dalla sua scelta di entrare nell'Ordine sin da
giovanissimo e da qui, dalla nomina a Caposcuola. Tutto il resto è
venuto da sé.
Deviljina:grazie
mille! Mi piace che riusciate a cogliere sentimenti, parole in mezzo
a gesti non detti. Mi piace ancora di più che riusciate a rivedere
un pezzo di voi in questi personaggi, è importante rileggersi in
essi.
Alohomora: la
strada di Lily e di James insieme è appena iniziata, anche se si
vedono diversi segnali di avvicinamento. Cosa succederà quando
saranno Caposcuola?
Anche la strada
solitaria di Sirius è appena cominciata... vediamo cosa accadrà
anche a lui!
Bellis:vorrei
che prima di tutto questa fosse una storia di relazioni. Di relazioni
non sempre semplici, perchè ciascuno di loro è preso, a volte
troppo, da se stesso e dai suoi problemi. Ma sono gli altri, chi ci
sta intorno, che fa molto per aiutarci ad essere così come siamo.
Vorrei quindi che
Pieces of Us raccontasse la loro storia, di come sono diventati
grandi (troppo in fretta) stando gli uni a contatto con gli altri,
discutendo, imparando a fidarsi ed affidarsi (perchè Lily ha tanto
da imparare da loro) e sostenuti da qualche adulto che sa qualcosa in
più.
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Capitolo 27 *** Venticinquesimo Capitolo ***
CAPITOLO
VENTICINQUESIMO
What
can I say Any simpler That now is all there is That
you're free to be any person And you're all that you give
-Do
What I Do, Noah and the Whale-
*Quello che posso dire
è
semplicemente
che
ora è tutto qui
e
che tu sei libero di essere qualunque tipo di persona
e che tu sei tutto quello che dai
LONDRA,
STAZIONE DI KING'S CROSS, BINARIO 9 3\4
Settembre
1977
Le
vacanze estive avevano ormai conosciuto il loro termine, la frizzante
aria autunnale stava sostituendo il sole e tantissimi studenti di
Hogwarts affollavano la stazione londinese di King's Cross
amalgamandosi chi bene e chi meno bene con la folla di Babbani che
popolava abitualmente la stazione.
Il
Ministero, temendo l'incursione di qualche Mangiamorte, aveva
predisposto che una pattuglia di Auror perlustrasse la stazione: il
rientro a scuola di tanti giovani maghi presupponeva la presenza di
gran parte della popolazione magica concentrata integralmente nello
stesso luogo che, in aggiunta, pullulava di Babbani. Non era
difficile presupporre che, per le truppe di Voldemort, ben poche
occasioni sarebbero state più ghiotte.
Le
famiglie, seppur con un po' d'angoscia, guardavano i figli salire
sull'Espresso per Hogwarts, sperando da un lato che l'essere lontani
li avrebbe protetti dagli orrori del mondo e, dall'altro, che la
forzata clausura al castello per i prossimi mesi fosse garanzia di
sicurezza.
“C'è
meno gente dell'anno scorso.”osservò Alphard Black, stretto a
crocchio con Dorea Potter, Sirius e James.
Dorea
annuì gravemente e Sirius, come sempre quando era imbarazzato o non
sapeva che dire, alzò lo sguardo.
“Settimana
scorsa ho incontrato Gladis Finnigan a Diagon Alley... mi diceva che
i suoi non volevano farla tornare. Suo padre lavorava con Sheila
Raven alla Squadra Magica Speciale e l'ha vista sparire così, da un
giorno all'altro...”disse James, più per parlare che per altro.
Alphard
Black aveva ragione: rispetto agli altri anni il binario era molto
meno affollato. Non erano solo i Finnigan a temere per l'incolumità
dei figli: molti altri avevano scelto di far proseguire gli studi a
casa. Altri ancora poi, Black ne era certo, potevano essere spariti
senza lasciare traccia, del resto, ogni giorno si sentivano notizie
di sparizioni.
Dorea
Potter, scorgendo le sue conoscenze qua e là per il binario, non
poteva che concordare con l'analisi di Alphard aggiungendo alle sue
osservazioni anche le informazioni passatele da Charlus su quelle che
avrebbero potuto essere famiglie certamente molto vicine al Lato
Oscuro e che ora, imperturbabili, stavano a pochi passi da lei.
“Su,
avanti!-esclamò più per riscuotersi dai suoi pensieri che non per
spronare i ragazzi- E' ora che saliate! Scrivete, mi raccomando! E
cercate di non combinare troppi guai, soprattutto tu James! Sei
Caposcuola, per Morgana! Abbiate cura di voi e salutate Peter e Remus
che non li vedo!” si raccomandò accompagnandoli fin sotto allo
sportello.
“Tranquilla,
mamma, andrà tutto bene.”disse James, sicuro e deciso. Non aveva
idea di come si facesse a fare il Caposcuola, ma a quello ci avrebbe
pensato a tempo debito.
Adesso
contava solo che sua madre fosse tranquilla. Mai più grane, l'aveva
giurato a se stesso.
“Baderò
io a lui!”esclamò Sirius, a metà tra il serio e il faceto,
incontrando gli occhi materni di Dorea in uno sguardo d'intesa che
conoscevano entrambi.
“Scrivete!”
fu il saluto riservato loro da Alphard, ben cosciente dell'inutilità
della cosa.
“Ciao
zio e grazie!”fu l'unica risposta che ottenne da un impaziente
nipote.
Alphard
e Dorea li videro allontanarsi per i corridoi, ancora prima che il
treno partisse.
Sirius
e James oltrepassarono diversi vagoni, trascinandosi dietro i loro
bauli.
“Jamie
caro, non dovresti forse già essere lassù in testa al vagone dei
Caposcuola, laddove la nostra Lily è di sicuro da almeno mezz'ora?”
cinguettò Sirius, in una pessima imitazione di Remus, mentre questo
gli stava aprendo la porta dello scompartimento che lui e Peter
avevano occupato.
“Impiccati,
Felpato!” gli rispose James, puntando la bacchetta contro il baule
e facendolo levitare sulla retina portabagagli.
“Sirius
ha ragione, James. Siamo saliti sul treno assieme a Lily: vi
aspettato un po' perchè ci teneva a salutarvi ma poi, non vedendovi
arrivare, alle 10.57 in punto si è recata al primo vagone.” spiegò
Peter, indicando i bagagli di Lily mentre Sirius posava il suo baule.
“Non
gliel'hai ancora detto, vero?” fece Remus, esausto delle scuse che
James gli propinava prima ancora che questo iniziasse.
“E'
una sorpresa, Lunastorta! Non essere pedante, Remmie carissimo!” lo
scansò James.
“James...”lo
redarguì ancora Remus, senza far caso alle risatine cagnesche di
Sirius.
“Vado,
vado!” si arrese James, tirando fuori dalla tasca la spilla ed
appuntandosela sopra alla divisa appena infilata in fretta e furia.
Uscì
dallo scompartimento, abbandonando per la prima volta i suoi amici
quando Sirius gli stava ancora urlando “Primo vagone!”.
Man
mano che attraversava i tre vagoni mancanti, James sentiva il passo
sempre più corto.
Temeva
quello che Lily avrebbe potuto pensare: si sarebbe arrabbiata?
Sarebbe stata felice della sorpresa o offesa perchè lui non le aveva
detto nulla? Soprattutto, sarebbe stato in grado?
Erano
stati così bene insieme durante l'ultima settimana di vacanza! Si
erano visti ancora ed avevano camminato per ore lungo il Tamigi,
avanti e indietro, parlando tanto, parlando di tutto.
Stava
conoscendo Lily. Stava conoscendo Lily Evans per davvero e neanche
nei suoi pensieri più segreti avrebbe mai potuto immaginare che lei
fosse così come si stava mostrando. Chiacchierona, divertente,
sempre piena di argomenti e di riflessioni e di entusiasmo per
qualsiasi cosa dicesse. Entusiasmo, entusiasmo nel raccontare, nel
fare, nel progettare. E bisogno di protezione. Non l'avrebbe mai
ammesso, ma Lily aveva bisogno di qualcuno che vegliasse su di lei. E
lui aveva intenzione di farlo, se gli fosse stata data la
possibilità... ora che la stava conoscendo...
Lily
era già seduta con una cartelletta piena di fogli appoggiata sulle
ginocchia. Scartabellava quei moduli e quei fogli con gli orari delle
ronde come se potesse trovare da lì qualche risposta.
Era
nervosa. Nervosissima. Come si teneva una riunione? Cosa si
aspettavano gli altri da lei?
Era
davvero solo un lavoro organizzativo quello del Caposcuola? Anche
quell'anno?
E
dov'era il suo collega? O meglio, chi era? Jacobus Abbott di
Tassorosso? O forse Charles Steeval di Corvonero, dopotutto lui era
molto bravo a scuola e responsabile e stimato dai professori. Troppo
saccente, per i suoi gusti, però. Jacobus era molto meglio, a suo
parere: avevano seguito Aritmanzia insieme e Lily ne conservava un
ottimo ricordo... Un brivido le gelò il sangue pensando che forse
avrebbe potuto essere Severus il suo collega: non era stato Prefetto
e magari i professori avevano pensato ad un Serpeverde per tentare di
appianare la tensione.
“No,
no, no. Severus no. Tutti ma non Severus. Non potrei farcela!”
pensò Lily. Come poteva fare il suo lavoro con Severus? Non
sarebbero andati d'accordo ma, soprattutto, lui sarebbe riuscito a
ferirla nuovamente e lei sarebbe ripiombata nel buio. Non voleva
ripiombare nel buio ora che stava scoprendo la bellezza della luce.
“Permesso?
Posso?” la nuvola di capelli neri di James fece capolino dalla
porta.
“James!”
Lily saltò in piedi e gli corse incontro. Buio e Luce. Proprio
quando stava temendo di ricadere nel buio era arrivata la luce di
James.
“Come
stai?” le domandò James cercandole gli occhi.
“Bene,
sono tesissima ma sto bene. O almeno credo. Vi ho cercati prima!
Volevo salutarvi ma non arrivavate e così sono venuta qui, convinta
di dover aspettare fino all'arrivo, prima di vedervi.” gli spiegò
Lily.
“E
invece, eccomi qui! Ti saluta Sirius.” le sorrise James.
“Oh,
salutamelo tanto, quando torni di là! E inizia a scusarmi per la
mancata risposta alla sua lettera, ma in questi giorni ho avuto così
tanto da fare!” si scusò Lily che, negli ultimi giorni non aveva
proprio avuto modo di rispondere alla missiva di Sirius.
“Ma
io non torno di là.” sentenziò criptico James.
“Dai,
non fare lo sciocco! Me la cavo benissimo anche da sola qui, eh!
Anzi, sto aspettando che arrivi il mio collega...”
“Lily...”
James indicò la sua spilla ed annuì.
Lily fissava James, spiazzata. L'ultima persona con cui poteva
immaginarsi di dover collaborare era lui. Certo, aveva avuto in quei
mesi l'opportunità di conoscerlo meglio e aveva scoperto un'ottima
persona, sotto la fragile scorza del Malandrino ma, se proprio doveva
essere sincera, non era del tutto sicura che lui potesse essere in
grado di fare il Caposcuola.
James era James. Era così dannatamente capace di metterti a tuo
agio, di farti da spalla, di capirti ma James era James. James era il
Malandrino per eccellenza. Poteva mai essere un buon Caposcuola?
“Potevi dirmelo.”replicò freddamente al sorriso sguaiato che lui
le stava rivolgendo. L'espressione di James si ghiacciò all'istante.
“Pensavo sarebbe stato carino farti una sorpresa.” disse,
omettendo la verità. Sicuramente aveva intenzione di fare in modo
che Lily lo scoprisse il più tardi possibile, ma la motivazione non
risiedeva interamente nella voglia di sorprenderla.
“E io pensavo che fossimo amici.”Lily lo zittì nuovamente.
“Ma... c'è un motivo, se non te l'ho detto, Lily.” tentò di
spiegarle James.
“Adesso non mi interessa saperlo. I Prefetti stanno arrivando e noi
abbiamo un sacco di cose da fare.” Lily, incoraggiata dal vociare
proveniente dal corridoio, impedì a James di replicare.
L'ampio gruppo di Prefetti si fece avanti scorrendo la porta.
Arrivavano a gruppetti di due, qualche faccia nota già presente gli
anni precedenti, qualche novità, qualche carica non confermata e
qualche occhio titubante.
Lily salutava ciascuno con un sorriso, anche i Prefetti di Serpeverde
dagli sguardi altezzosi, l'occhiata dei quali provocò un enorme
ondata di irritazione in James.
Lily ci rimase ovviamente male, ma non diede segni di cedimento,
nemmeno quando estraendo dalla sua tracolla dei fogli da distribuire,
andò incontro al rifiuto.
“Bene!-esclamò- ora che ci siamo tutti, direi che possiamo
iniziare! Il mio nome è Lily Evans e frequento il settimo anno a
Grifondoro, per quelli che non mi conoscono.” esordì Lily
“Falla finita, Evans, sappiamo tutti chi sei!”gracchio la voce
roca di Avery, mentre un altro Serpeverde, forse del quinto anno,
sillabava un “cosa sei”.
“Ma non manca l'altro Caposcuola?” domandò, innocentemente,
Laura Brighton, Prefetto di Tassorosso al sesto anno.
“L'altro Caposcuola è lui, Laura, James Potter.” annunciò Lily,
dopo qualche attimo di silenzio in cui si aspettava fosse James a
presentarsi.
James,
invece, se n'era rimasto lì fermo, senza dire niente.
Avrebbe
voluto dire qualcosa, in realtà, qualcosa di sensato, anche.
Tuttavia le uniche parole che riuscirono ad uscire dalla sua bocca e
che, a suo parere, resero la sua stupidità ancora più palese,
furono:
“Ehm
bè... io.. credo che mi conosciate tutti, no?”
Come
se non bastasse, Lily, gli rivolse una pessima occhiata di
compatimento.
“Andiamo
Potter, non è il momento dei tuoi stupidi scherzi!”brontolò
Charles Steeval, a cui la mancata nomina aveva bruciato tutta estate
e per il quale vedere quel distintivo appuntato sul petto di James
Potter era un grande affronto.
“Io
e James saremo i vostri Caposcuola per quest' anno, Charles. E io,
pensavo, che dovremmo cercare di collaborare al meglio tra tutti
noi...”incominciò Lily, cercando negli di James quell'approvazione
che non venne.
“Quindi,
credo che per prima cosa- proseguì- dovremmo iniziare col
presentarci tra noi, col darci qualche indicazione pratica su come
rintracciarci al meglio...”
“Evans,
per favore, finiscila con queste indicazioni inutili. Dicci cosa
dobbiamo fare e lasciaci in pace.” disse, seccato, un prefetto di
Serpeverde del quinto anno che Lily non conosceva.
Lily
si sentì gelare il sangue nelle vene. Cosa stava facendo? Cosa stava
dicendo?
James
prese i moduli che Lily aveva in mano e cominciò a distribuirli,
Lily allora riprese la parola.
“I
moduli che vi sta consegnando James recano gli orari dei primi turni
di ronda, quelli per questa settimana. Per i prossimi ci aggiorneremo
durante la seconda riunione. La professoressa McGranitt mi ha fornito
anche delle nuove copie delle autorizzazioni per le uscite ad
Hogsmeade da consegnare agli studenti che le avessero perse.
Avvisateli che, in caso di bisogno, possono venire da voi.”
“Lily,
le parole d'ordine?” domandò Kate O' Flanagan
“Giusto,
le parole d'ordine sono... aspetta che le cerco, avevo i fogli.”Lily
si sedette nuovamente e prese a scartabellare nella sua cartelletta.
“Evans,
Evans... marca male qui. Lo sapevo che certi incarichi non erano
adatti ad un certo tipo di persone...”sogghignò Avery ai suoi
colleghi di Serpeverde, ignorando l'occhiata malevola di James.
“Bene!
Ecco qui. Ci sono le pergamene sigillate contenenti le parole
d'ordine. Vi ricordo di comunicarle ai vostri studenti appena
possibile.”Lily fece levitare le pergamene direttamente nelle mani
dei rispettivi proprietari.
“Se
hai finito con questa inutile manfrina, credo che potremmo andare.”
Avery si alzò, e, seguito dagli altri Serpeverde, abbandonò lo
scompartimento.
Lily
se li vide sfilare davanti agli occhi, uno ad uno, guidati dai
Serpeverbe. Le pareva di captare i loro mormorii di disappunto, il
loro malumore.
Si
chiese cosa avesse detto di sbagliato, cosa avesse fatto che non
andava bene. Sarebbe stata in grado di reggere tutto l'anno quel
clima ostile? Avrebbe voluto cercare conferme negli occhi di James,
lui però stava già per defilarsi.
Era
rimasto lì un po' di più, in piedi, incerto sul da farsi.
“Pensavo
di tornare dagli altri. Vieni, Lily?” fu l'unica cosa che riuscì a
dire.
HOGWARTS,
TORRE DI GRIFONDORO
“Lily...”
Remus si avvicinò alla poltrona su cui si era rannicchiata l'amica,
mentre lei, infastidita, fissava i ragazzi rumorosi che allietavano
con i racconti delle vacanze quella prima sera nella Sala Comune.
“Non
voglio parlarne, Remus.”Lily fece per alzarsi.
“Non
voleva.”disse Remus.
“Non
voleva? Oh io credo che volesse eccome! Un mese Remus, un mese! E
ogni volta che ci siamo visti, mai che ne facesse cenno!”esclamò
Lily, spostandosi, nervosa, una ciocca di capelli.
“Non
lo giustifico, Lily, ma sappi che è confuso! E' una cosa così nuova
per lui!”
“Siamo
in due ad essere confusi! Ascolta, Remus, non voglio litigare con te
per una sciocchezza simile. Solo... ci sono rimasta male. Tanto.
Credevo... mi fidavo di lui e pensavo che lui si fidasse di me.”Lily
finì la frase in un sussurro, accentando lievemente sulle voci del
verbo fidarsi.
“Non
so che cosa ha in testa.” mentì Remus, venendo zittito da
un'occhiata significativa di Lily.
“Non
so... forse deve ancora abituarsi.” proseguì.
“Spero
che lo faccia in fretta, allora.”si augurò Lily, ancora piuttosto
irritata dal comportamento che James aveva avuto quel pomeriggio sul
treno.
Non
gli chiedeva di sapere a menadito cosa esattamente dovesse fare un
Caposcuola, non pretendeva neppure che da un giorno all'altro si
improvvisasse tale, semplicemente sperava che evitasse perlomeno di
starsene lì in piedi di fianco a lei con una faccia da ebete, come
fosse capitato lì per caso.
Neanche
lei sapeva esattamente cosa comportasse la responsabilità
dell'essere Caposcuola, nemmeno lei l'aveva scelto, anzi, avendo ben
chiaro in mente che non sarebbe stato semplice, si augurava, almeno,
che il suo collega fosse in grado di trasmettere quella sicurezza che
a lei mancava. E, sotto le spoglie dell'offesa, quando aveva visto
James con la spilla da Caposcuola appuntata sulla divisa, era quasi
grata a quel destino che le aveva messo a fianco proprio lui.
James
era quello che per antonomasia sapeva sempre cosa andava fatto e poi,
poi la conosceva, la stava imparando a conoscere. Non c'era nessuno
di potenzialmente migliore di lui.
Invece,
a seduta iniziata, tutto quello che aveva fatto era starsene lì
fermo, in piedi, immobile a guardarla scivolare sulle parole.
“Lily...”
sussurrò Remus
“Non
è colpa tua. Non parliamone più, Remus.” rispose Lily,
spostandosi una ciocca di capelli. Remus annuì, capendo
implicitamente, che mai Lily gli avrebbe parlato male di James.
DORMITORIO
MASCHILE DI GRIFONDORO
“Una
giornata da Caposcuola e sono già esaurito!” esclamò James,
buttandosi sul letto a peso morto.
“Ahahah...
non essere così tragico!”ridacchiò Sirius, mentre ribaltava il
contenuto del suo baule per recuperare Godric solo sapeva cosa.
“Già.-
intervenne Peter-Non essere così tragico. Pensa ai privilegi
dell'essere Caposcuola.”aggiunse, saggiamente, prendendo due
camicie dall'ordinata pila che aveva fatto sul letto prima di riporle
nella cassettiera.
James
li guardò alternativamente, uno ad uno. Non aveva proprio idea di
quali potessero essere i lati positivi: tolto il fatto che non era
così masochista da autopunirsi (ma per quello c'era sempre Lily),
non riusciva a trovare una sola condizione che rendesse piacevole lo
svolgimento di quel compito.
“Trovato!”l'urlo
di giubilio che lanciò Sirius, uscendosene dal baule con uno strano
oggetto metallico in mano, riscosse James dai suoi pensieri e fece
trasalire il povero Peter e le sue camicie che caddero rovinosamente
a terra.
“Ma
che diamine! Sirius Black, prima o poi mi farai venire un
infarto!”esclamò Peter imitando, senza saperlo, il tono di voce di
quel suo nonno paterno particolarmente arcigno.
James
scoppiò a ridere e Sirius con lui. Quando rideva uno, rideva sempre
anche l'altro.
“Che
diavolo hai lì?” James era avvicinato all'amico che, dal palmo
della mano, gli mostrava, orgoglioso, quello che sarebbe diventato la
novità dell'anno.
“Un
kazoo.”sillabò gaudente Sirius, con gli occhi brillanti
dall'eccitazione.
“Un
che cosa?”domandò Peter, che aveva mollato le sue camicie per
riunirsi agli altri due.
“Un
kazoo, Codaliscia.” ripetè Sirius.
“E
sarebbe?”chiese curioso Peter, mentre James si limitava ad
osservare.
“E'
uno strumento inventato dalle tribù Africane per richiamare gli
animali o per eseguire qualche canto rituale. Un secolo fa circa un
industriale americano ne ha migliorata la versione originale creando
questo. Adesso è usato da molti esponenti del blues o del jazz.”
spiegò, didascalico Sirius.
“Dove
l'hai trovato?” chiese nuovamente Peter, osservandolo con gli occhi
sgranati.
“Al
mercato sotto casa mia. A Camden Town si trova di tutto. Era una
bancarella dell'antiquariato. Che poi, questa roba non è
antiquariato. Poi l'ho portato da un liutaio perchè controllasse che
era a posto.” spiegò ancora Sirius, in un'alzata di spalle.
“E
che cosa hai intenzione di fartene?” intervenne James
“Non
lo so. Però è bello. E suona.” rise Sirius, incominciando a
soffiare dentro al tubetto metallico.
Era
bello e suonava. A Sirius bastava quello. James lo invidiò. Voleva
che anche a lui bastasse la sua scopa e il campionato di Quidditch
alle porte. Il problema non era tanto che ora avrebbe dovuto pensare
anche ad altro.
Il
problema era che ora lui sentiva di dover pensare ad altro perchè il
Quidditch non bastava più.
E se
a non bastare era il Quidditch, allora sì che c'erano dei problemi.
Problemi molto grossi anche.
Non sono sparita!
Anche se gli aggiornamenti sono sempre più sporadici per via di una
lunga lista di motivazioni, non ho intenzione di abbandonare la
storia: Piece of Us è troppo importante.
Spero che possiate
essere pazienti, anche se non biasimo chi di voi, in questi mesi,
avesse deciso di smettere di seguire. Anzi, vi ringrazio comunque e
ringrazio, soprattutto, chi sta avendo la pazienza di seguire.
A presto.
Ps: per chi voi se lo
chiedesse, un kazoo è questo:
http://www.youtube.com/watch?v=9VvSelqulO4&feature=related
|
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Capitolo 28 *** Ventiseiesimo capitolo ***
VENTISEIESIMO
CAPITOLO
HOGWARTS,
inizio ottobre 1977
BIBLIOTECA
L'umore
di Lily in quei giorni era peggio che altalenante.
Le
lezioni si facevano sempre più interessanti, i compiti erano sempre
di più e quella faccenda del Caposcuola riduceva drasticamente il
suo tempo per farli.
Detestava
essere Caposcuola. Alle riunioni andava sempre peggio, il clima
continuava a peggiorare e lei, anziché acquisire sicurezza, appariva
sempre più insicura.
James
partecipava fisicamente, ma con la mente era da tutt'altra parte. Non
aveva la minima intenzione di essere mentalmente presente. Non gliene
importava niente, di essere presente.
E
questo la indisponeva, la indisponeva più di qualsiasi altra cosa.
Più delle riunioni e del pessimo clima. Più degli incarichi, più
delle discussioni. La indisponeva il fatto che se solo James avesse
fatto qualcosa, se solo si fosse comportato da James, allora, forse,
tutto sarebbe andato alla perfezione.
Sapeva
che nessuno più di James, se solo ci avesse messo volontà, era
adatto per un incarico simile: carismatico, volenteroso, leader nato,
in grado di mettere tutti a proprio agio, capace di ascoltare ed
apprendere da tutti, buono. Avrebbe potuto essere un esempio per
tutti, se solo avesse voluto.
Se
solo avesse voluto. Peccato che non era sua intenzione e questo,
questo deludeva Lily più di ogni altra cosa.
Qualche
mese prima le sembrava di aver visto qualcosa di buono in James
Potter, qualcosa che lo rendeva così popolare e beneamato ad
Hogwarts. Lo aveva conosciuto, ne stava imparando i modi ed i tempi e
la sua sensazione era diventata certezza: c'era davvero qualcosa di
buono in James Potter. Allora, si chiedeva, per quale assurdo motivo
ogni dannata volta in cui riusciva a riconoscere questo, James ci
metteva del suo per squalificarsi?
Ultimamente,
poi, si ritrovava ad essere spesso sola. Non le piaceva stare troppo
attorno a James. La irritava il suo comportarsi come se nulla fosse
successo, la sua spasmodica ricerca di una banale scusa per passare
del tempo con lei. Non capiva che, stando così le cose, le loro
lunghe chiacchierate erano solo ricordi di un tempo lontano?
“Oh
ma davvero preferisci gli Stones? Seriamente? Ma no, James! I
Beatles! I Beatles!”
“Le
prime canzoni dei Fab Four sono solo canzonette, Lily.”
“E'
vero, ma lo facevano solo per avere abbastanza soldi da poter poi
fare quello che più gli interessava.”
“E
ti sembra un buon motivo? Ridursi a scrittori di canzonette per fare
soldi? Gli Stones questo non l'hanno mai fatto!”
“Ma
poi loro sono stati gli iniziatori del rock psichedelico! Senza di
loro nemmeno i Pink Floyd che tu e Sirius siete andati a sentire
Stafford in marzo non avrebbero fatto quello che fanno! Pensa a
“Strawberry Field”, il primo pezzo di rock psichedelico della
storia!”
"Ok,
è vero, hai ragione su tutto: Sirius mi ha parlato del Mellotron, il
campionatore di Strawberry Field. Ha cercato di spiegarmi tutto e
forse ci ho anche capito qualcosa... Quello che intendo dire, Lily, è
che non mi piace che per soldi si siano messi a scrivere canzonette.
Tutto qui... Lily, ma mi stai ascoltando, almeno?"
“In
Penny Lane there's a barber showing photographs of every head he's
had the pleasure to know and all the people that come and go stop and
say hello... Scusa James, ma Diagon Alley mi fa venire in mente la
Penny Lane in cui è cresciuto McCartney. La prima volta che ci sono
venuta, ad undici anni, ricordo che mio padre la canticchiava...”
“James,
grazie.”
“E
di cosa?”
“Di
esserci. Esserci non è una cosa da poco...”
“Oh
Lily, smettila! Se ci sono è perchè mi va di esserci. Nessuno mi
obbliga, ti pare?”
“E'
vero, però ci sei.”
James
aveva detto che ci sarebbe stato. Lui forse era ancora disponibile ad
esserci. Forse era lei a non volerlo, a non riuscire a tollerare la
sua presenza.
Era
sola, ancora; era sola, di nuovo.
Non
che Sirius, Remus o Peter la evitassero, anzi, era lei ad evitare
loro.
Perchè,
poi? Faceva forse male pensare a qualcosa che avrebbe potuto essere,
che era stato per un breve periodo e che si era dissolto? O forse era
perchè, nonostante tutto, loro erano dalla parte di James e sempre
lo sarebbero stati?
Lily
pensò che avrebbe voluto anche lei avere qualcuno che fosse dalla
sua parte, sempre e comunque. Mentre tirava fuori il libro di Antiche
Rune, Lily, non si rendeva conto che, qualcuno che era dalla sua
parte sempre e comunque ce l'aveva già. Era solo necessario
incontrarsi; incontrarsi forse a metà strada.
“Facci sapere, Ramoso!” disse Peter, mentre lo vedeva alzarsi
dalla panca.
“Facci sapere davvero, James.”puntualizzò Remus, dopo essersi
pulito la bocca col tovagliolo.
“Ehi, rilassati! Quante volte siamo stati dal Preside?” ammiccò
Sirius, facendogli l'occhiolino.
“A dopo, ragazzi.” li salutò James, senza una vena di
spavalderia.
Uscì dalla Sala Grande, ripensando, per l'ennesima volta in quella
giornata, a quanto avesse deciso.
Dare le dimissioni era la cosa migliore, mai avuto idee migliori.
Non era portato, non ne aveva la stoffa. Non era un compito per lui.
Non ci sapeva fare, in quel modo, con la gente. Come poteva portare
rispetto e civiltà, quando in quelle riunioni non riusciva ad
intervenire perchè stare a discutere sui festoni per Halloween gli
pareva stupido e, quando interveniva, era solo per zittire in malo
modo i Serpeverde?
Astio, disprezzo. Questo era quello che lui metteva nelle sue parole,
le poche volte che apriva bocca. Lo infastidiva che che
intralciassero e boicottassero il lavoro di Lily e degli altri. Lo
infastidiva che insultassero Lily, eppure, non era in grado di
intervenire, di far nulla.
Perchè avevano scelto lui? C'erano persone più adatte, c'era chi
avrebbe potuto supportare il lavoro di Lily molto meglio di lui.
Dimissioni. Era la cosa migliore.
Arrivò davanti al gargoyle di pietra. Non sapeva quale fosse la
parola d'ordine, aveva cercato di lavorare su Pix, ma quel malefico
poltergeist gli aveva solo procurato una punizione con Lumacorno.
Fissò inebetito il gargoyle, dandosi dello sciocco, avrebbe potuto
chiedere un colloquio, se solo ci avesse riflettuto a dovere.
Improvvisamente, il gargoyle si mosse, lasciando spazio alla
scalinata.
James sorrise tra sé. Silente. Silente sapeva sempre tutto.
A grandi falcate salì le scale, ritrovandosi ben presto nello studio
ovale del Preside, pieno di curiosi ammenicoli.
“Professore...”
“Oh
James, buongiorno! Vuoi forse una Apefrizzola? Si dà il caso che me
ne abbia portato un sacchetto fresco da Mielandia il mio caro amico
Dedalus Lux.” il Preside allungò le caramelle a James che rifiutò
scuotendo la testa.
“Cosa
ti porta qui, ragazzo mio?” domandò allora Silente, facendogli
cenno di sedersi.
“Vorrei
rassegnare le mie dimissioni come Caposcuola.” James esordì senza
giri di parole.
Silente
annuì e si accarezzò la barba per qualche interminabile secondo.
James avrebbe voluto sparire lontano. Avrebbe voluto alzarsi, ma
sapeva di non poterlo fare.
“Per
quale motivo hai preso una decisione simile?” lo interrogò
Silente, scrutandolo dalla profondità dei suoi occhi azzurri. James
si sentì a disagio. Un nodo gli attorcigliò lo stomaco e, la voce
che gli uscì dalle labbra, era tremante.
“Perchè
credo che questo incarico non spetti a me. C'è chi se lo merita e
chi no. Io non me lo merito.” spiegò semplicemente.
Silente
annuì ancora e nuovamente si carezzò la barba.
“Capisco-
rispose, aggiustandosi gli occhiali a mezzaluna- E chi sarebbe questo
qualcuno che lo merita più di te?”
“Remus,
forse.” affermò James.
"Remus?
Remus Lupin? Sinceramente, James, credo che il tuo amico Remus abbia
ben altri fardelli, decisamente più pesanti da dover già
sopportare. La professoressa McGranitt lo aveva scelto come Prefetto
nella vana speranza che potesse tenere a freno l'esuberanza tua e del
signor Black. Sono lieto di sapere, tuttavia, che non è per merito
suo, se vi siete calmati. Avete fatto tutto da soli e, se non altro,
la vostra presenza consente a Remus Lupin di conservare parte della
sua ingenuità di ragazzo" sospirò il Preside.
James
annuì, imbarazzato. Era vero, Remus aveva ben altri problemi, per la
testa. Era la prima volta che Silente ne parlava con lui. Due anni
prima, al termine di quella nottata, quella in cui per poco Piton non
venne sbranato da Remus, il Preside aveva liquidato la questione con
fare secco e duro, facendosi giurare che quella storia non avrebbe
mai varcato le mura della stanza dei Malandrini.
“Magari
ci sarebbe anche qualche altro nome.”suggerì allora.
Silente
lo guardò, senza parlare.
“Sei
proprio deciso ad abbandonare?”
“Sì,
signore”annuì James.
Silente
sospirò.
“Vedi
James, se devo essere sincero la tu candidatura è stata osteggiata
da gran parte della commissione, la stessa professoressa McGranitt
non era poi così entusiasta dell'idea. Tuttavia, sebbene là fuori
ci sia più di qualcuno che mi considera un vecchietto pieno di
balzane trovate, voglio dirti che c'è un motivo per cui io stesso ti
ho proposto. Lo stesso motivo che poi spinto il resto degli
insegnanti ad approvare la mia intuizione.” confessò Silente,
senza smettere di sorridere, mefistofelico.
James
si irrigidì e il cuore iniziò a battere più forte.
“Un
motivo? Quale? Perchè dovrei essere scelto proprio io?” riuscì
infine a dire.
Il
Preside ridacchiò.
“Devi
trovarlo tu, questo motivo, James. Non sarò certo io a dirtelo. Non
sei mai stato uno che si
tira
indietro davanti alle difficoltà. Vuoi iniziare ora? Te ne
pentiresti e poi sono più che sicuro che tu sappia di poter fare
bene. Ho scelto te: sono fermamente convinto della mia decisione. Non
mi rimangio assolutamente nulla. Adesso scusami, ma il ministro mi
aspetta... Pertanto, che la Foruna ti assista, James Potter."
Silente si alzò in piedi e tese la mano a James per congedarlo.
James la strinse incontrando, per la prima volta durante quel
colloquio, gli occhi del Preside, cui si era volontariamente
sottratto.
DORMITORIO
MASCHILE DI GRIFONDORO
Peter
continuava ad alzarsi dal letto, a correre alla finestra e a
ritornare a sedersi sul materasso.
Sirius
aveva rinunciato ad apostrofare l'amico da almeno mezz'ora. Giaceva
anche lui sul letto, apparentemente intento a ripassare la lezione di
Incantesimi.
“Non
arrivano, Sirius, non arrivano!”esclamò Peter, dopo parecchi
minuti di silenzio, fregandosi le mani, agitato.
Sirius
fece finta di non sentire.
“Non
è che Remus ha fatto qualche sciocchezza, eh Sirius? Eh?”proseguì
Peter, con vocetta stridula.
“Oh,
insomma, Sirius! Va bene che forse io esagero a preoccuparmi! Ma tu,
tu che te ne stai lì, sembra che non te ne importi niente!” sbottò
ancora, indisposto.
“Peter, dannazione! Certo che sono
preoccupato, certo! Cosa credi? Credi che non me importi niente?
Semplicemente non credo che stando alla finestra Remus comparirà! Ho
fiducia nel buon senso di Remus, dopo quello che gli abbiamo detto
questa mattina...”
“Sirius... non lo so, non lo so. Ho strane
sensazioni addosso.” proseguì Peter, scuotendo la testa.
Sirius scattò in piedi e si posizionò davanti
all'amico.
“Non dire più una cosa del genere! Non
succederà niente, sarà tutto a posto. Remus...Remus sarà andato a
schiarirsi le idee.” disse Sirius, volendo a tutti i costi darsi
una spiegazione.
Peter annuì a fatica.
“Come sta la gamba?” sussurrò, a mezza
voce.
“Si tira a campare, Codaliscia. Passerà.
L'importante è altro.” rispose Sirius.
Due notti prima c'era stata la Luna Piena. Quel
mese la stavano aspettando quasi con ansia. Persino Remus non
sembrava essere troppo sofferente al pensiero dell'imminente
trasformazione, anzi, tutti e quattro insieme continuavano a
rievocare i momenti più belli, più esilaranti o più pericolosi dei
mesi precedenti. Quell'estate erano riusciti a vedersi durante le
notti di Luna Piena. Remus non era mai stato solo e anzi, tutti
insieme avevano vissuto altre grandi avventure.
Per questo e per il fatto che erano ad Hogwarts
per l'ultimo anno e per l'ultima volta, non vedevano l'ora di quella
nuova Luna Piena.
Convinti com'erano ormai di avere la situazione
perfettamente sotto controllo, avevano abbassato la guardia. Dopo la
trasformazione, la creatura che prendeva il posto di Remus era stata
attrata dal profumo della carne umana di una coppia di Corvonero,
incurante del coprifuoco quanto i Malandrini.
Stavano passeggiando nel parco e, in un attimo,
il lupo li avrebbe raggiunti e squarciati per placare la sua sete di
sangue. Avrebbe potuto succedere di tutto, se Felpato non si fosse
lanciato sul lupo, offrendogli il suo corpo in una lotta, vinta anche
con l'aiuto del cervo, che spinse il mannaro lontano.
Tornato umano, Sirius portava sul polpaccio
sinistro il segno del contatto. Sarebbe rimasta una grossa cicatrice,
probabilmente. Nonostante le medicazioni immediatamente impartite in
modo clandestino, i segni dei graffi sarebbero difficilmente andati
via.
Il clima in cui i Malandrini si erano svegliati
era tutt'altro che caldo e lieto. James, Sirius e Peter potevano
appena immaginare cosa si affollasse nella testa di Remus.
La mente di tutti era corsa all'incidente con
Piton.
Non erano pronti a che accadesse un'altra
volta. Temevano che Remus impedisse loro di seguirlo per timore di
far loro del male. Tuttavia erano ben consapevoli che, senza il loro
intervento, avrebbe potuto accadere qualcosa di molto grave.
“Nessuna
notizia di James?” domandò Remus entrando all'improvviso nella
stanza e rompendo il denso silenzio che si era creato.
“Remus!”esclamò
Peter
“Va
tutto bene, ragazzi. Davvero.” sorrise Remus, incontrando gli occhi
degli amici.
“Ho
pensato-proseguì- che se non ci foste stati voi sarebbe successo. E
allora, siateci. E' forse davvero meglio così. Se fosse una notte
particolarmente brutta potrei sfondare le porte della Stamberga e
fare Godric solo sa cosa. In questi anni la forza è aumentata, la
sento, la sento maggiore e non si sa mai.” confessò Remus, a testa
alta e senza vergogna, per la prima volta.
Stava
chiedendo aiuto senza vergogna; per la prima volta.
Aveva
preso in considerazione l'idea di vietare ai suoi amici di seguirlo.
Era la cosa più sicura per loro. Però non poteva ignorare la forza
del lupo che di mese in mese si accresceva. Avrebbe potuto succedere
qualcosa. La presenza dei suoi amici riusciva a distoglierlo,
riusciva ad allontanarlo da luoghi in cui avrebbe potuto accadere ciò
che non poteva succedere.
Avrebbe
potuto ferire loro, però, di contro. Cosa era meglio?
“Remus,
non sarà un problema. Ce la siamo sempre cavata.” disse Sirius,
quasi intercettando i suoi pensieri.
“Remus,
tranquillo. Il mese prossimo possiamo provare a restare nella
Stamberga o, al limite, non usciremo dai confini della foresta.
L'importante è che tu non sia solo.” aggiunse coraggiosamente
Peter, mentre Sirius annuiva, fiero e sorpreso del coraggio che il
timido Codaliscia stava mostrando in quella situazione: Sirius non
poteva essere tranquillo, era agitatissimo. Remus attraversava le
fasi della colpa e James non sapeva dove voltare la testa.
Codaliscia, invece, era quello che era riuscito a farsi prendere meno
dal panico. Sirius incontrò lo sguardo di Remus e si sorrisero,
pensando forse alla stessa cosa.
“James
non è ancora tornato?” chiese allora Remus.
“No.
Non ancora. Mi auguro che non faccia sciocchezze.” disse Sirius,
ripensando alle ultime parole di Dorea. Gli aveva raccomandato di
tener d'occhio il suo ragazzo e, forse, si disse, in quei mesi non
aveva fatto altro che canzonarlo per quell'incarico, anziché
sostenerlo e spronarlo come facevano Remus, Peter e come, a modo suo,
faceva Lily. Forse, riflettè, con quel suo modo di fare aveva anche
allontanato Lily.
“Non
le farà.”annunciò Codaliscia.
“Lo
so, non le farà.”proseguì.
“Silente
gli farà capire cosa deve fare.” concordò Remus.
“Ma
voi siete contenti della nomina? Voglio dire... bho... non lo
so...Avete capito che intendo?” chiese Sirius, gesticolando
furiosamente.
“E'
stato strano.” ammise Peter che però, in cuor suo, pensando a
quanto James facesse per lui, non poteva che concordare.
“Sì,
è stato strano. Molto anche. Chissà, forse era solo un modo per
tenerci d'occhio. O per farci guardare dove ancora abbiamo
visto.”spiegò Remus.
“Non
sono bei tempi, Remus. In questi giorni.. in questi giorni pensavo a
quanto ci aveva detto Fiorenzo, ricordate ragazzi?” sussurrò
Sirius, con un tono di voce serio e grave, che raramente gli avevano
sentito usare.
Peter
annuì a testa bassa.
“Tu
hai scelto, giovane Potter, e questa scelta ti condizionerà per il
resto della vita. Condizionerà tutti quanti.”
Remus ripeté le parole del centauro, lasciando calare un silenzio
tombale. Non riusciva a scordarle, quelle parole.
“Dite
che questo, che questo c'entra anche ora?”pigolò Peter.
“Forse.”
Remus scosse le spalle nel dirlo, temeva una risposta affermativa.
Sirius
conosceva l'arte divinatoria dei centauri. Loro leggevano i segni.
Coglievano segnali che all'uomo non si decifravano.
“Comincia
da ora.” sussurrò a sua volta.
Lily si stava divincolandosi a metà tra il
sonno e la veglia da troppo tempo, ormai.
Era buio, buio. Ancora buio.
Aprì
gli occhi, iniziando quasi a tremare. Gli occhi le si riempirono di
lacrime, che presto iniziarono a scorrerle sulle gote. Non voleva
singhiozzare, non voleva svegliare le sue compagne.
Voleva
starsene da sola, voleva piangere, se doveva, ma in solitudine. Senza
suscitare la pietà e la commozione di nessuno.
Scese
dal letto e a piedi scalzi raggiunse la porta. Cercò di aprirla
senza fare rumore, mentre già Mary si rigirava nel letto.
Richiuse
di scatto la porta di legno, poggiando subito il piede sullo scalino
di pietra. Ogni gradino le sembrava via via più freddo dell'altro.
Lily pensò che le stesse facendo bene, le pareva di acquistare un
contatto maggiore con la realtà, lontana dai suoi incubi. Non più
Severus, non più. Stava svanendo, piano piano.
Adesso,
adesso aveva così paura di essere sbagliata. Insicurezza, tensione,
solitudine. Tutto insieme.
Non
riusciva a definire...insomma, credeva che la sua vita stesse,
finalmente, per prendere una piega normale. Perchè allora stava
così? Perchè?
Aveva
paura che tornasse il buio. Temeva che tornasse, temeva di
ricascarci.
Non
esisteva un fondo da toccare per poter risalire. Si poteva solo
sprofondare sempre di più, a meno che non ci fosse una mano a cui
aggrapparsi saldamente.
La
Sala Comune era lì, con le ceneri del camino acceso per le prime
volte. E, di colpo, la razionalità che l'aveva accompagnata per i
primi secondi della sua discesa, venne meno.
Lily,
quasi carponi, raggiunse quello stesso camino spento, come se
cercasse lì una luce.
I
singhiozzi iniziarono a venire, misti ai ricordi e alle voci che
popolavano la sua testa.
James
era stato fuori tutta la sera. Non erano tornato dai suoi amici, non
si era nemmeno premurato di pensare che forse potessero essere
preoccupati per lui, non avendolo visto rientrare.
Non
gli era passato per la mente che essi potessero essere ancora svegli,
a mezzanotte passata, ad aspettarlo sul letto. Non aveva nemmeno
considerato che, avendo con sé la Mappa del Malandrino, nessuno di
loro potesse sapere dove lui fosse.
O
forse, semplicemente, non gliene importava più di tanto.
James
non aveva rimosso i fatti di due notti prima, come magari, malamente,
avrebbe potuto pensare qualcuno dei Malandrini. Semplicemente, voleva
starsene da solo.
Silente
gli aveva detto di trovare la ragione. Lui in quelle ore aveva
trovato solo ragioni per lasciar perdere tutto.
Rientrare
al dormitorio era per lui una sconfitta: significava dover, in un
certo senso, rifare i conti con quel mondo che aveva cercato di
rimuovere.
Come
se non bastasse, James, era consapevole che i suoi amici non gliela
avrebbero fatta passare liscia. Non avrebbe potuto ficcarsi sotto le
coperte a cercare il sonno. Avrebbe dovuto passare prima da una serie
infinita di domande a raffica.
“Maledizione!”
imprecò. Una cosa via l'altra, senza dargli tregua. E la promessa
niente grane da mantenere a tutti i costi.
Entrò in Sala Comune a passi lenti, come per
trovare un motivo che gli facesse ritardare la salita.
Fu questione di un attimo l'intravedere nel
chiaroscuro la sagoma di Lily, raggomitolata su se stessa.
La raggiunse immediatamente, accucciandosi
accanto a lei, posandole una mano sul ginocchio.
“Lily...
cosa fai qui?”
Lily
alzò la testa, guardandolo coi suoi grandi occhi verdi.
“Ho
freddo.” sussurrò
“E
nel tuo letto non fa forse più caldo?” le disse James, aprendosi
in un sorriso. Non gli sfuggirono gli occhi rossi.
“No,
lì è solo buio.”Lily scosse la testa
“Hai
avuto un incubo?”
Lei
annuì.
“Vuoi
parlarne?”
“No,
James. Non voglio ripensarci.” negò, decisa.
“Com'era,
Lily?” chiese ugualmente James
“Buio.”
disse lei, semplicemente
“Ma adesso c'è la luce, vedi?C'è la luce
del camino...Adesso va tutto bene.” James puntò la bacchetta
contro le ceneri del camino, accendendo un fuoco scoppiettante, poi
la strinse in un abbraccio.
“Davvero?”
“Sì, tesoro mio. Adesso va tutto bene.
Adesso ci sono io.”
“Davvero va tutto bene?” domandò ancora
Lily.
“Sì, Lily, te lo prometto.” fu la risposta
decisa di James.
Lily, allora, si tranquillizzò. Appoggiò la
testa sulla spalla di James e lo strinse forte.
Un piccolo sorriso e un bacio sulla fronte.
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Capitolo 29 *** Capitolo Ventisettesimo ***
Let
him know that you know best Cause after all you do know best Try
to slip past his defense Without granting innocence Lay down a
list of what is wrong The things you've told him all along And
pray to God he hears you And pray to God he hears you*
-The
Fray, How to Save a Life-
Fagli
sapere che tu lo conosci meglio di chiunque altro perché,
in fin dei conti, lo conosci davvero meglio cerca di infiltrarti
tra le sue difese senza concedergli l'innocenza stendi una
lista di cosa è sbagliato le cose che gli hai sempre
detto e prega Dio che lui ti stia a sentire e prega Dio che lui
ti stia a sentire
Quella
notte, alla fine, Lily non aveva chiuso occhio. Ma non per gli
incubi.
Dopo
le lacrime, erano arrivati i sorrisi e le chiacchiere, che avevano lo
sguardo sereno di James Potter.
E
si era fatto mattino.
Nessuno
dei due si lamentò del mancato sonno e delle lezioni
incombenti, no, sorridendo erano corsi in camera a prendere le borse,
mormorandosi a vicenda “Ho bisogno di tanti caffè.”
Dopo
quella notte buia, era tornata la luce.
Lily
non aveva più pianto. Non aveva più pensato al buio.
C'era James, adesso.
“Ehi,
Lils, me lo lasci James almeno oggi pomeriggio o tra te e il
Quidditch mi conviene prendere appuntamento?” scherzò
Sirius, all'uscita dalla lezione di Incantesimi.
“Oggi
sono tutto tuo, mio caro Felpato...almeno fino alla riunione coi
Prefetti.” rispose James.
Non
aveva mai rivelato a nessuno cosa fosse emerso dal suo incontro con
Silente. Non avrebbe sopportato le parole dei suoi amici e nemmeno
l'espressione di Lily: proprio ora che lei stava riacquistando
fiducia in lui, non aveva il coraggio di confessarle che aveva
pensato di mollare.
Era
per lei che aveva scelto di andare avanti, di provare ad essere un
Caposcuola migliore.
Era
consapevole che ci fossero candidati migliori per quel ruolo, ma
aveva deciso di provarci. Se, in capo a qualche mese si fosse reso
conto che proprio non faceva per lui, allora sarebbe tornato da
Silente ma, per il momento, avrebbe tenuto duro.
In
fondo, essere Caposcuola poteva avere i suoi lati positivi, si
ripeteva.
“Oh
no! E io che pensavo che potessimo fare qualcosa insieme!”
esclamò Sirius, ridacchiando.
“Da
quando in qua voi due fate qualcosa insieme?” domandò
Lily mentre Peter ridacchiava sommessamente e Remus scuoteva la
testa, pronto però ad intervenire piccatamente.
“Lils
carissima, io e Jamie facciamo sempre tante cose insieme!” le
rispose Sirius.
“E
sapessi che cose!” aggiunse James, ridendo.
“E'
un problema se ci aggiungessimo anche io e Remus alle vostre cose?”
intervenne Peter
“Perchè
no, Codaliscia, in fondo faremmo un po' quel che si usa tra i Babbani
da un po' di tempo a questa parte con quella loro Beat
Generation...”spiegò Sirius, confondendosi un po'.
“Uhm...
interessante, direi. Tuttavia preferirei fare cose di altro genere:
credo che i Babbani non si limitino a studiare come dovremo fare noi
oggi pomeriggio, ragazzi. E inoltre, preferisco compagni d'altro
genere.” precisò Remus.
“Comunque”-
Lily cambiò discorso, incerta sul risultato che avrebbe preso
quella conversazione, che lei aveva immediatamente etichettato come
“da maschi”.- “Vi regalo James per tutto il giorno,
almeno fino a questa sera alle otto e mezza. Fatene quel che
volete...io penso che ne approfitterò per scrivere a casa e
magari andare a trovare Hagrid. E comunque, Sirius, sarebbe il caso
che andassi a farti vedere da Madama Chips: stai continuando a
zoppicare da due settimane. Magari è una cosa seria, cadere da
una scopa è pericoloso.” Lily osservò la gamba di
Sirius increspando le labbra.
“Lils,
vedrai che non è niente di grave.” si schernì
Sirius.
“Davvero,
Lily, sapessi quante volte Sirius è caduto dalla scopa!”
esclamò Peter.
“Io
sono spesso caduto, ma ho sempre avuto traumi più gravi
rispetto ad una semplice gamba rotta. Sirius non ha niente.”
aggiunse James.
“Remus,
per favore, almeno tu. Convincilo a farsi vedere. Sono preoccupata.”
Lily si rivolse a Remus, l'unico rimasto in silenzio.
Remus
le sorrise: “Stai tranquilla.”
Lily
li fissò uno ad uno prima di andarsene con addosso la strana
sensazione che ci fosse qualcosa che non volessero dirle.
I
Malandrini avevano abbandonando ogni progetto per la giornata per
chiudersi in camera. Ciascuno stava seduto sul suo letto, con
l'unica eccezione di Sirius, appollaiato sul davanzale.
“Io
penso che lo potremmo dire a Lily. Di lei ci possiamo fidare.”
disse James.
Sirius
lo guardò in tralice.
“Ma
deve decidere Remus.” si affrettò a precisare James.
“Qui
non si tratta di mettere in discussione Lily. So che lei è a
posto. Però non spetta a noi decidere, ma a Remus.”
disse Sirius.
“Remus?”
Peter, seduto a gambe incrociate, si sporse verso l'amico, sdraiato
sul letto di fronte.
“Non
so, ragazzi... sinceramente non so. So che di Lily ci si può
fidare. Lei è dalla nostra parte. E so anche che non si
spaventerà... però... non lo so. So anche che non è
una stupida. Arriverà a fare due più due. Se non l'ha
capito in tutti questi anni è stato perchè non ha
vissuto a stretto contatto con me...Altrimenti sarebbe successo come
con voi.”
“Devi
decidere tu, Remus. Non sei obbligato a dirglielo.”
“Lo
so, lo so...ma vedete... non possiamo tenerglielo nascosto per
sempre, vi pare? Voglio dire, la gamba di Sirius ora, il braccio di
James qualche mese fa, i continui richiami a farci vedere da Madama
Chips...Penso che dovremmo dirglielo. Lo potrebbe capire da sola e,
se così fosse, ci odierebbe per non averla informata.”
“Remus,
non devi dirglielo solo perchè temi la sua reazione!”
esclamò Sirius.
“Lily
non ci perdonerebbe mai. E' come se avessimo tradito la sua fiducia.
La destabilizzerebbe troppo.” aggiunse James.
“Qui
non si tratta di Lily, James. Si tratta di Remus. Solo di lui. Ti
spiacerebbe escludere Lily da una conversazione per una volta?”
Sirius lo interruppe, irritato.
“Basta.
Volete smetterla, tra tutti e due? Volete piantarla di essere sempre
protagonisti? Per una dannata volta si tratta di qualcosa che
riguarda solo me. Solo me. Quindi, dopo aver ascoltato i vostri
rispettivi pareri, vorrei poter decidere da solo… Senza
ritrovarmi qui a guardarvi scegliere al posto mio.” Remus,
seccato, si alzò dal letto e andò a controllare che la
porta fosse ben chiusa.
“Remus,
loro non volevano…” bisbigliò Peter, beccandosi
un’occhiataccia in risposta.
James
fissava il copriletto del suo letto, quasi trovasse tremendamente
interessante la trama del ricamo con lo stemma di Grifondoro e Sirius
osservava il Parco fuori dalla finestra, fino a quando, nervosamente,
si alzò e andò verso la porta e, senza dire niente, la
richiuse dietro di sé.
Remus
guardava la scena quasi fosse uno spettatore estraneo, seccato
dall’ennesima uscita ad effetto che Sirius pareva sempre voler
fare.
James
si alzò in piedi e bofonchiò qualcosa a proposito di
una riunione coi Prefetti prima di uscire dalla stanza.
Peter
rimase a fissar Remus per qualche altro minuto
“Remus…
loro, loro sono così, lo sai. Non l’hanno detto con
cattiveria.”
“Peter,
loro non dicono mai le cose con cattiveria… semplicemente
spesso sembra che ogni cosa li riguardi. Anche quando sono affari
loro solo parzialmente.” Sentenziò Remus
“Rem…
non è così. Noi vogliamo aiutarti.” Sussurrò
Peter
“Bè,
questa volta non voglio il vostro aiuto. Voglio pensarci da me.”
Peter
si sentì cacciato via, quindi, discretamente e con la maggior
dignità possibile tirò fuori dal comodino i suoi
Scacchi Magici ed uscì, abbandonando Remus a se stesso.
“Maledizione!”
imprecò Remus, non appena sentì la porta richiudersi
dietro alle spalle di Peter.
Non
era arrabbiato coi suoi amici, non davvero perlomeno.
Era
semplicemente innervosito dal fatto che tutti, da Silente, a sua
madre ai suoi amici sembrassero, o volessero mostrarsi in grado, di
gestire la sua licantropia meglio di lui.
Quasi
che a sentirsi squarciare il corpo e lacerare la mente ogni mese
fossero loro e non lui.
Sembravano
sempre più padroni della situazione di lui.
Non
era così sciocco da credere che James avesse torto: sapeva
perfettamente che Lily doveva essere informata e sapeva anche che con
lei il loro segreto sarebbe stato al sicuro.
Lily
era sua amica e doveva sapere. Doveva sapere perchè era giusto
così. Se l'era ripromesso, Remus, di non commettere più
lo stesso errore.
Si
era ripromesso che sarebbe stato sincero con tutte le persone che in
futuro fossero entrate in stretta confidenza con lui.
L'aveva
promesso e così sarebbe stato, semplicemente erano affari
suoi. Affari suoi e basta.
Doveva
decidere lui.
E
aveva promesso che sarebbe stato sincero.
L'aveva
promesso tanti anni prima, quando era stato costretto a raccontare ai
suoi amici la verità.
Maggio
1971
La
luna piena quella volta l'aveva spossato più del solito. I
dolori e i disturbi che la precedevano l'avevano costretto a letto
già un paio di giorni prima ed un paio di volte aveva rimesso
l'anima.
Madama
Chips aveva insistito per tenerlo in osservazione anche un paio di
giorni dopo la Luna Piena, sebbene il recupero fosse stato immediato
e Remus non vedeva l'ora di tornare alla sua vita, alle sue lezioni,
alla sua stanza, alle sue cose, ai suoi amici.
Quando,
finalmente, potè lasciare l'Infermeria il suo unico desiderio
era fare quattro chiacchiere coi suoi amici e tornare alla normalità.
Era corso in Sala Comune alla ricerca dei suoi amici che avrebbero
dovuto trovarsi lì a studiare o a fare altro e fu sorpreso di
non trovarli: pensò che magari erano in Biblioteca a studiare
e pensò di passare in camera a prendere i suoi libri per
raggiungerli e farsi spiegare cosa avevano fatto in quei giorni a
lezione. Non li vedeva da prima di andare in Infermeria, da quasi
cinque giorni ormai. Era stato così male da dover andare in
Infermeria senza inventare scuse a proposito della malattia della
madre o qualche altra fandonia: era più che evidente che
stesse male ed avesse bisogno di cure. Non aveva più avuto
occasione di vederli, Madama Chips li aveva cacciati via, ritenendolo
troppo indisposto per ricevere visite.
Remus
aprì la porta della stanza che condivideva con James, Sirius e
Peter convinto di non trovarci nessuno, invece Sirius stava
appollaiato sul davanzale della finestra, Peter sedeva a gambe
incrociate sul letto e James era sdraiato sul suo letto, quello
vicino alla finestra di Sirius.
Nessuno
di loro parlò quando Remus entrò nella stanza.
“Ragazzi!”esclamò
Remus “Sono proprio contento di essere tornato, non ne potevo
più di stare in Infermeria!”
“Come
stai ora Remus?” domandò Peter offrendogli del
cioccolato che Remus riconobbe come il proprio. Nel prenderlo, Remus
non fece caso alle occhiate che James e Sirius avevano appena
lanciato a Peter, il quale si era limitato ad alzare le spalle.
“Adesso
va meglio, davvero. Voi come state? Cosa avete fatto questi giorni a
scuola? Pensavo foste in biblioteca...” disse Remus, incredulo
di fronte a quel silenzio che lui stava cercando di riempire.
“Remus,
cosa hai fatto sulla guancia?” chiese Sirius, indicando il
taglio che Remus si era procurato durante la trasformazione.
“Qui?-
Remus si toccò la guancia- Oh mi sarò graffiato.
Adesso... adesso cosa ne dite di spiegarmi cosa è stato fatto?
Gli esami sono vicini, ho fatto molte assenze e non voglio restare
indietro...”disse, nel tentativo di distrarli.
“Remus
falla finita.”intervenne James, rimasto zitto fino a quel
momento.
Remus
impallidì: che avessero capito qualcosa? Non era possibile,
non potevano aver capito! Ogni volta c'era una motivazione più
che valida a giustificare il suo allontanamento: la malattia di sua
madre, i suoi frequenti malanni, l'allergia... Non potevano aver
capito qualcosa!
E
poi, per Godric, erano amici da pochi mesi: è vero,
condividevano la stanza da settembre ma era solo dal mese di Dicembre
che avevano fatto amicizia; per la precisione da quella volta in cui
avevano messo un pacco di Caccabombe nell'ufficio di Gazza e,
inseguiti dal custode, certo di aver individuato i responsabili,
avevano trovato in Remus colui che giurò di essere stato in
Biblioteca con loro a svolgere la ricerca di Pozioni.
“C'è
qualcosa che non va, James?” si sfozò di dire Remus,
dopo qualche istante di silenzio.
“Remus,
perchè non ce l'hai detto?” gli chiese James, gli chiese
James, serio come non l'aveva mai visto.
“Detto
cosa?” Remus proseguì nel fare lo gnorri, incredulo. Non
potevano aver capito. Certo, non erano stupidi e, da quanto aveva
capito a Sirius erano state impartite a casa severe le lezioni
Astronomia, ma non potevano aver capito. Non era possibile.
“Che
sei un Lupo Mannaro.” completò Sirius, al posto suo,
mentre Peter sobbalzava sul letto solo al sentire la parola “Lupo
Mannaro.”
Remus sentì il
sangue ghiacciarsi nelle vene: non era preparato all'eventualità
che qualcuno lo potesse scoprire. Non era contemplato nel piano
ideato da Silente per permettergli di subire la sua trasformazione
senza creare pericolo ai compagni.
Sua madre era
terrorizzata al pensiero che qualcuno lo potesse scoprire, per
pagargli tutti gli accertamenti medici del caso avevano speso una
fortuna, contattato tutti gli specialisti... Se si fosse venuto a
sapere, era probabile che i suoi genitori avrebbero perso il
lavoro...
Non potevano aver
capito... c'erano troppi dettagli da cogliere, bisognava mettere in
relazione i suoi malesseri con la fine del ciclo lunare e poi graffi
e capire che le sue erano solo scuse... Troppi dettagli da mettere in
fila... Non era possibile che capissero, non potevano.
“Ragazzi...”provò
a dire, sorridendo nervosamente- “Cos'è questo
scherzo...Non è divertente. Perchè siete così
seri?”
“Remus, noi non
stiamo affatto scherzando.” precisò James, scendendo dal
letto ed avvicinandosi a lui con un fare che Remus giudicò
minaccioso.
Remus rise ancora una
volta, nervosamente.
“James...”
“Remus, la
verità... ormai la conosciamo.” disse Sirius.
“Remus, a noi
puoi dirlo.”James lasciò che i suoi occhi nocciola
incontrassero quelli ambrati dell'amico. Lì per lì la
cosa inquietò un poco Remus che, negli anni, avrebbe imparato
che quegli occhi quando fissavano qualcuno a quel modo stavano
semplicemente dicendo “Di me puoi fidarti. Io ci sono”.
Peter annuì con
la testa: sì, a loro avrebbe potuto rivelare la verità,
per quanto spaventosa fosse. Lui, che neanche voleva crederci di
fronte ai sospetti di James e Sirius prima e alle prove empiriche che
avevano trovato poi. Lui che continuava a vedersi davanti solo e
soltanto Remus ancora stentava a crederci. Non trovava la cosa
neanche lontanamente affascinante come James o Sirius che, pur nella
tragicità della faccenda, riuscivano a cogliere il lato
interessante. No, lui lo trovava solo spaventoso.
Ma lì davanti
c'era Remus, solo e soltanto il suo amico Remus e, sebbene Peter
fosse conscio che non avrebbe mai rivelato a nessuno (soprattutto ai
suoi genitori) la vera natura del suo compagno di scuola, non
riusciva proprio a trovare il tutto affascinante. Era spaventoso. Era
spaventoso che Remus fosse un Lupo Mannaro anche se, in fondo, come
aveva detto James non cambiava nulla. Remus restava sempre Remus.
Anche se forse era un pizzico più spaventoso di prima.
“Ragazzi...”
“Remus, sappiamo
che sei un Lupo Mannaro!” esclamò Sirius
A quel punto Remus non
capì più niente. Nulla. Non seppe mai spiegare cosa lo
portò a voltarsi indietro e a scappare via.
Corse, corse giù
dalle scale, travolse un paio di studenti che rientravano in Sala
Comune, corse giù dalla Torre di Grifondoro, giù dalle
scale principali, fuori nel Parco.
Corse sino al Platano
Picchiatore. Lì si fermò e lasciò che le
ginocchia gli cedettero ed iniziò a piangere.
Pianse di paura e
pianse di rabbia. Nessuno venne a consolarlo, nessuno venne a
consigliarlo.
La portà cigolò,
distogliendo Remus dai suoi ricordi. Ne entrò Sirius, con in
viso un'espressione scura.
“Remus, l'ho visto...
Stavano parlando di una riunione e Avery si toccava il braccio. Ha il
marchio, ne sono certo.” Sirius camminava per la stanza,
nervoso.
Remus non ebbe bisogno di
chiedere di chi stesse parlando, l'implicito soggetto era Regulus
Black.
Avery il Marchio Nero? Era
realmente possibile? Se davvero ad Hogwarts qualcuno si stava facendo
tatuare il Marchio Nero, la situazione era più grave del
previsto.
“Dirò tutto a
Lily.” disse. Se il mondo stava andando a scatafascio, almeno
il loro mondo avrebbe dovuto restare integro.
Sirius sorrise appena, poi
si buttò sul letto.
Buonasera a tutti,
è passato molto
tempo e non so se vi ricordate ancora di questa storia... nel caso in
cui l'abbiate tenuta a mente, ecco qui un nuovo capitolo.
Vorrei scusarmi per il
ritardo, ma anche ringraziarvi perchè di tanto in tanto,
quando l'ispirazione non veniva e quando gli impegni erano troppo
gravosi rileggevo le vostre recensioni che mi hanno dato la voglia di
andare avanti.
E' per voi.
Grazie di tutto.
jomarch
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Capitolo 30 *** Ventottesimo Capitolo ***
CAPITOLO
VENTOTTESIMO
Love
that will not betray you, dismay or enslave you, It will set
you free Be more like the man you were made to be. There is
a design, An alignment to cry, At my heart you see, The
beauty of love as it was made to be *
-Sigh
no more, Mumford & Son-
* L'amore
che non ti tradirà,
che non ti scoraggerà
o schiavizzerà,
Ti renderà libero
Sii più simile
all'uomo che sei
destinato ad essere.
C'è un progetto,
un tracciato da urlare,
E nel mio cuore tu vedi
la bellezza dell'amore,
così come è
stato creato per essere”
Fine Ottobre 1977
“James! Già
qui?” Lily era nell'aula che usavano per le riunioni coi
Prefetti già da mezz'ora: voleva controllare che fossero
giunti tutti i moduli con le richieste di corsi di recupero e quelli
degli studenti che si offrivano come tutor. Che lavoraccio! Si
ricordava che Gabriel, il Caposcuola dell'anno prima, si era più
volte lamentato di quanto fosse lungo e noioso cercare di organizzare
quei corsi di recupero. A causa del maggior impegno richiesto agli
insegnanti nel sorvegliare la scuola era il secondo anno che quel
compito era stato delegato ai Prefetti, che dovevano raccogliere i
moduli nelle loro Case e rispettive annate, ed ai Caposcuola che
avrebbero dovuto organizzare il tutto.
Scartabellando tra le
cartelle che aveva ordinato, notò che da Tassorosso mancavano
le richieste per il quarto anno: che fossero tutte giovani menti
brillanti? Si appuntò sulla pergamena di chiedere a Tiffany
Hossas.
Sbuffò. Detestava
i lavori da burocrati annoiati. Senza contare di avere sempre il
terrore di dimenticare qualcosa... sorrise pensando che la McGranitt
però era parsa sollevata sapendo che se ne sarebbe occupata
lei soltanto, senza l'aiuto di James. Povero James, dopo quel
faticoso ed irritante inizio in salita si stava impegnando molto.
Aveva iniziato a prendere il compito con serietà, si era
offerto di pensare interamente alla festa di Halloween, lasciando
Lily libera di occuparsi dei suoi moduli per i corsi di recupero.
Lily si chiedeva come
riuscisse a stare dietro a tutto: la scuola, il Quidditch, le
riunioni... lei faticava a conciliare studio e riunioni, figurarsi
James con anche il Quidditch! Ma probabilmente era solo questione di
organizzazione e lei, del tutto incapace di rispettare gli orari che
si dava, faticava per quel motivo. Forse non era semplicemente
abituata, James invece negli anni aveva imparato ad incastrare la
scuola col Quidditch...
Era felice di aver
ritrovato James. Era bello sapere che in qualsiasi momento della
giornata lui sarebbe stato lì per ascoltarla, per farla
ridere, per farle alzare gli occhi al cielo e dire “Oh James!”
E adesso James Potter il
Malandrino era lì in piedi davanti a lei, arrivato con
anticipo alla riunione coi Prefetti.
“Non sapevo cosa
fare, quindi eccomi qui!” le sorrise, distrattamente.
“Oh... ma da come
parlava stamattina Sirius pareva piuttosto impaziente di trascorrere
un po' di tempo con te. Su quali vie della perdizione avete viaggiato
oggi pomeriggio?” lo stuzzicò Lily, abbandonando ben
volentieri quelle scartoffie.
“Sapessi!”le
rispose James. Non aveva voglia di parlare a Lily della discussione
coi suoi amici. Sarebbe stato costretto a rivelarle anche il motivo e
non poteva permetterselo.
“James... va tutto
bene?” gli chiese, notando lo sguardo assente.
“Certo! Tutto a
posto! Allora, come va l'organizzazione dei corsi di recupero?”
James sviò il discorso e prese a leggere gli appunti di Lily
come se sapere quale percentuale chiedesse un recupero in Aritmanzia
fosse la cosa più interessante che ci fosse.
“Ho appena notato
che mi mancano i moduli del quarto anno di Tassorosso, considerando
che dubito che siano tutti delle giovani menti brillanti dovrò
chiedere a Tiffany Hossas che fine hanno fatto... per il resto penso
di poter portare tutto ben ordinato alla McGranitt mercoledì.”gli
spiegò Lily, mostrandogli i suoi appunti.
“Capito. Fortuna
che te ne stai occupando tu, Lily, io penso che avrei cercato tutti i
passatempi più inutili, pur di procrastinare... Tutto bene
oggi pomeriggio?”
“Oh bè,
anch'io mi sono un po' persa in attività d'altro genere pur di
non continuare...”Lily prese il pacco di fogli di pergamena e
se li infilò nella borsa, ne cadde un foglio di carta da
lettera.
Lily impallidì
vedendolo toccare il pavimento e si affannò a raccoglierlo,
prima che James lo facesse al posto suo.
James notò la
fretta e la premura che Lily mise nel tirare su dal pavimento e
riporre nella sua borsa quella lettera e non riuscì a
trattenersi dal chiederle se andava tutto bene.
“Sì, James.
Stai tranquillo... è solo una lettera da casa.” Lily
sorrise a mezza bocca.
“Va tutto bene a
casa?” James si morse la lingua subito dopo aver parlato:
sapeva che Lily aveva dei problemi con sua sorella, lei gli aveva
accennato qualcosa, senza però mai entrare nel dettaglio. Non
aveva mai fatto ulteriori domande perchè gli sembrava che Lily
volesse evitare l'argomento.
“Oh il solito,
sai... Il lavoro di papà sta avendo qualche problema per via
degli scioperi delle Trade Unions, mamma è un po'
preoccupata...qualche notizia su mia sorella...sai, mamma mi ha
scritto che le cose col suo fidanzato, Vernon, si stanno facendo
serie...In fondo Petunia ha sei anni in più di me...Scusami,
non so perchè ti sto dicendo tutte queste cose. Non ti
interessano di certo!” Lily abbozzò un sorriso, ben
sapendo in realtà il motivo per cui volesse raccontare tutto a
James. Aveva voglia di parlare con qualcuno, con qualcuno che le
dicesse che non era pazza, che non era un mostro e che sua sorella
sbagliava ad averla tirata fuori dalla sua vita in quel modo.
Lily ci sperava ancora,
in realtà. Sperava ancora che Petunia tornasse la sua cara
sorella maggiore, la sua migliore compagna di giochi...adesso che
anche lei stava crescendo, poi, avrebbero potuto avere più
cose in comune e quei sei anni non sarebbero stati troppi. Avrebbero
potuto fare compere insieme, andare al cinema o a teatro, a loro
piaceva tanto il teatro quando erano piccole, o scambiarsi
pettegolezzi...
“A me interessano
queste cose, se ti andasse di raccontarmele.”le disse
James,seriamente.
Lily si riscosse dal suo
sogno ad occhi aperti e lo guardò negli occhi.
“Grazie. Ma magari
un 'altra volta...magari una volta in cui non abbiamo i Prefetti da
aspettare. Dai, aiutami a spostare quei tavoli...così possiamo
stare più vicini e la riunione sarà meno formale.”
James obbedì,
continuando a guardare Lily di sottecchi.
“La professoressa McGranitt mi ha
consegnato questa mattina il calendario con le visite ad Hogsmeade
previste per il mese prossimo” disse Lily, indicando la
pergamena che aveva appoggiato alla scrivania.
“Tanto sicuramente Greekholder
penserà bene di sorprenderci con uno dei suoi “Ferroignique”
il lunedì dopo!” ridacchiò Steve Hopkins,
prefetto di Corvonero, riferendosi alle tremende verifiche a sorpresa
con cui il professore di Antiche Rune amava terrorizzare i suoi
studenti marchiando il loro livello di autostima “col ferro e
col fuoco”.
“Oh bè,
quello è sicuro...però insomma, visto che siamo sempre
chiusi qui dentro, Greekholder potrebbe anche a andare a farsi
mordere dagli Avvincini!” esclamò il Prefetto di
Grifondoro del quarto anno.
“Intanto io
ve lo lascio qui...appuntatevi le date ed appendetele in bacheca
nella Sala Comune della vostra Casa: la prima dovrebbe essere sabato
5 Novembre e la seconda domenica 20...se non erro.” disse Lily,
sbirciando dalla pergamena che aveva appoggiato in fondo alla
cattedra.
“Volevo
dirvi poi che sto per consegnare alla McGranitt le richieste di chi
avrebbe bisogno di corsi di recupero e quelle di chi vorrebbe
offrirsi come tutor. Le vorrebbe avere entro settimana prossima e
ancora mi mancano i moduli del quarto anno di Tassorosso. E' tutto a
posto, Tiffany?”domandò poi a Tiffany Hossas.
“Scusatemi,
scusatemi, davvero.. E' che l'altra volta dopo la riunione sono stata
un paio di giorni in Infermeria e non ho detto a Paul dove li avevo
messi, così li ho consegnati solo l'altro ieri e ho pensato di
lasciare comunque i sei giorni prima della consegna. Mi dispiace,
davvero, scusatemi...” Tiffany Hossas era diventata paonazza e
faticava a trovare ancora nuove parole di scusa.
“E' tutto a
posto, Tiffany. Va bene così, non fa niente. Ce la facciamo a
consegnare tutto per mercoledì. Non ti preoccupare.”
James le sorrise.
“Mi
dispiace così tanto!” esclamò ancora lei.
“E' tutto a
posto, Tiffany, davvero.” la rassicurò Lily.
“Te li
faccio avere appena possibile, Lily, promesso!”giurò
Tiffany, ancora rossa di vergogna.
Dall'ultima fila,
notò James, Avery e Ursula McNair ridacchiare sillabando la
parola “Sanguesporco”. Strinse i pugni, imponendosi di
evitare sceneggiate.
Intanto la voce
di Lily stava ricordando ai Prefetti di rivolgersi a lui per
l'organizzazione della festa di Halloween.
“Sì,
dunque...-intervenne, senza aver capito bene da dove partiva il
discorso- come ogni anno i Professori richiedono il nostro aiuto per
l'addobbo della Sala Grande... mi occuperò io di dirigere il
tutto...insomma, lo faremo tutti insieme, ma dato che Lily sta
mettendo a posto i moduli dei corsi di recupero, alla festa di
Halloween penserò io.”
“Quindi chi
volesse occuparsi delle decorazioni Halloween o di organizzare gli
intrattenimenti per la serata parli direttamente con James.”aggiunse
Lily.
“Non
sentitevi obbligati a partecipare...abbiamo già così
tanto da fare con la scuola!Però chiaramente più siamo
meglio è...finiremo prima e la McGranitt ci ha lasciato carta
bianca nell'organizzazione della festa...nei limiti della decenza,
ovviamente.” puntualizzò ancora Lily.
“Sentite...io
sto perdendo così il mio tempo per dar retta ad una
Sanguesporco che mi parla di quella stupida festa di Halloween e di
quanto è importante dar ripetizioni ai Mezzosangue del primo
anno?Evans, facci un favore...la prossima volta pensaci da
sola...”puntualizzò Ursula McNair con voce seccata,
guadagnando segnali d'assenso dai suoi compagni.
“Smettetela.
Io credo che Lily ci stia offrendo una possibilità. Una
possibilità di costruire qualcosa mentre là fuori si
sta distruggendo tutto. Penso, penso che sia anche da qui che ci
possiamo rendere utili. Quella è la porta. Se c'è
qualcuno che si ritiene troppo grande o troppo impegnato o troppo
qualcos'altro per appendere festoni ed incantare zucche, può
benissimo uscire.” James non urlò nel parlare. Non
mostrò di essere seccato. Si limitò a dire quello che
pensava, provocando il silenzio attorno a lui.
“Potter,
non eri tu quello che fino a un paio di settimane fa riteneva
ridicolo tutto questo? La tua SangueSporco ti ha fatto cambiare
idea?”ridacchiò Avery, alzandosi in piedi.
“Avery,
fuori.”replicò James.
“Non puoi
cacciarmi, Potter.”
“Posso
eccome. Fuori. Ho detto fuori, Avery. Fuori tu e chiunque la pensi
come te. Siamo qui per lavorare. E lavorare, oggi come oggi,
significa anche opporre rispetto, collaborazione e tolleranza al
disprezzo. Se avete voglia di lavorare, restate. Se pensate che
organizzare la festa di Halloween sia inutile, potete anche uscire.”
ribadì deciso James, fissando con sguardo gelido Avery, la sua
compagna e Theodore Bulstrode, il Prefetto del quinto anno seduto
dietro di loro.
“Potter,
sappi che questa me la pagherai.” sibilò Avery,
toccandosi il braccio sinistro, passando davanti a James prima di
uscire dalla porta.
Roseanna Travers,
Prefetto di Corvonero del settimo anno, e William Selwyn, Purosangue
di Tassorosso, si unirono ad Avery, alla Bullstrode, alla McNair ed
a Robert Kirke nell'abbandonare l'aula.
James lì
guardò andarsene, mentre Lily fissava il pavimento.
“C'è
qualcun altro che vuole unirsi a loro? E' libero di farlo.”
sentenziò James, fissando uno ad uno i presenti. Era certo che
ci fossero almeno un altro paio di persone che ritenevano inutile
quanto loro erano lì a fare: c'era Charles Coote, suo madre
applicava così rigidamente il regolamento sulla Segretezza
delle Arti Magiche, e Jane Rockwood, suo padre andava in giro
vantandosi di essere l'ultimo discendente maschio di una delle più
antiche famiglie di Purosangue. Forse, pensò James, a soli
quattordici anni erano ancora troppo piccoli per prendere una
posizione.
La stanza fu attraversata
da qualche interminabile minuto di silenzio. Nessuno si azzardava a
parlare. Qualcuno, timidamente, guardava verso Lily e James in attesa
che loro riprendessero in mano la situazione.
Lily non riusciva a
parlare. Avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma non le
veniva in mente niente da dire.
“Bene.”
James ruppe il silenzio che si era creato. “Questo è
quanto. Chi di voi, ovviamente siete piuttosto costretti tutti
quanti, altrimenti per Halloween non ci sarà nessuna festa, è
intenzionato ad aiutarmi... credo che potremo vederci venerdì
alle sei per capire come organizzarci e mettere giù qualche
idea e da sabato mattina incominciare a preparare..Halloween è
martedì e domenica mattina c'è il Quidditch, quindi non
faremo nulla e lunedì le lezioni...pertanto è il caso
che ci diamo una mossa. Tutto chiaro? Se è così credo
che possiamo finire qui... A venerdì.”
Uno
ad uno e sempre in silenzio i Prefetti abbandonarono l'aula, qualcuno
lanciando sguardi significativi all'indirizzo di James.
Lily
era rimasta zitta, in piedi in un angolo.
“James...grazie.
Io non sono capace di gestire quei momenti. Non sono in grado di
parlare o di dire quello che penso come riesci tu. Non ci riesco, per
questo credo di non essere esattamente la persona giusta per questo
ruolo.”
“No
Lily, no. Tu sei la persona giusta.”
“Non
credo, James, non credo. Io non sono come te. Non sono forte come te,
non sono carismatica come te...Non so gestire le situazioni come le
sai gestire tu.”
“Lily,
non è vero. Non è vero. Tu sei la persona giusta. Lo
sei. Sei riflessiva, sei buona e, soprattutto, riesci sempre a vedere
del buono in tutti. Dai a tutti una possibilità.”
“Non
sono io ad essere così, James.” Lily scosse la testa.
“Non stai parlando di me. Stai parlando di te. Tu sei così,
James.”
James
la guardò, stupito.
“Sì,
James. Tu sei così.”
“No,
Lily, no.”
“Sì
James. Tu sai come mettere a
proprio agio le persone, sai come parlare con tutti, vedi del buono
in tutti.”
“Io?
Io Lily sono solo molto egoista, alle volte.”
“Tutti
lo siamo, James. Anch'io. Spesso agiamo per il nostro tornaconto...tu
però riesci spesso a far in modo che il tornaconto tuo combaci
con quello degli altri, perchè per te è più
importante il loro. Sai qual è stata la cosa che più mi
ha colpito di all'inizio? Il fatto che tu ascoltassi con attenzione
chiunque ti stesse parlando. Anche se non sei interessato a quello
che ti stanno dicendo, mai dal tuo sguardo traspare noia: no, tu fai
sempre sentire tutti come se ti stessero dicendo la cosa più
importante del mondo. Tu credi negli altri, James. E sai ascoltarli.”
“Lily...
non sono così. Non sono quello che racconti. Sono anche
irascibile e irruento ed assai cocciuto. E raramente prendo in
considerazione l'ipotesi che le cose non stiano come io le vedo. Ma
tu”, sorrise James, “tu sai come parlare con gli altri.
Sai come tirar fuori il meglio di loro. E sei buona Lily. Sei buona.”
“Non
basta essere buoni per essere dei buoni Caposcuola. Ci vuole anche
altro.”
“Tu
hai tutto, Lily. Hai tutto...lo so. Io ci credo. Credici anche tu.”
“Allora,
crediamoci insieme, James.” Lily gli sorrise e gli strinse la
mano.
“Io vorrei solo
che mio figlio fosse d'esempio ai compagni in un momento come questo.
Vorrei che sapesse distinguere ciò che è giusto da ciò
che è facile.”
“Sai
Lily, non l'ho mai detto a nessuno. Né a Sirius, né a
mia madre... a nessuno. L'ultima volta che ho visto mio padre abbiamo
litigato. Non aveva approvato quel duello nei corridoi, ti ricordi?
Mi aveva detto “Vorrei che mio
figlio fosse d'esempio ai compagni. Vorrei che sapesse distinguere
ciò che è giusto da ciò che è facile.”
Non avevo capito cosa intendesse dire, anzi...l'ho simpaticamente
mandato al diavolo...”James rise amaramente.
“Oh
James, mi dispiace...”James incontrò gli occhi verdi di
Lily e seppe che quella non era una frase di circostanza. Era
sincera.
“No
Lily... non importa. Sto imparando a convivere col fatto che quelle
siano state le ultime parole che io gli abbia rivolto...Il punto è
che credo di aver finalmente iniziato a capire cosa significassero le
sue parole: non sono un Auror, per il momento non posso combattere i
cattivi. Posso però fare qualcosa qui...”
“Io
credo che sia per questo che Silente ti abbia scelto come Caposcuola.
Sapeva che tu eri la persona giusta. Ti confesso che anch'io, quando
ti ho visto entrare dal corridoio, sul treno...sono stata sollevata
dal sapere che c'eri tu.”gli spiegò Lily, senza
abbassare lo sguardo.
“Grazie.”
si limitò a rispondere James.
“Grazie
davvero, Lily.”aggiunse, dopo qualche istante di silenzio. Lily
gli sorrise e fece per alzarsi dal pavimento su cui erano seduti da
una mezz'ora abbondante.
La mano di James le
strattonò la divisa, costringendola a voltarsi.
“E capirai quanto
vali, Lily, lo capirai. Mostrerai al mondo intero quanto vali. E lo
scoprirai anche tu.”bisbigliò James.
Lily non rispose. Sorrise
ed annuì,
“Ogni tanto fa
ancora male.”Lily sussurrò quelle parole, quasi
vergognandosi di quanto avesse detto.
James capì
immediatamente a cosa lei si riferisse. Senza dire una parole, la
abbracciò forte.
Lily affondò la
testa nel petto di James che la strinse forte, come a volerla
proteggere da tutto quello che potesse farle male, ma, soprattutto,
tenendola al riparo da quei fantasmi interni, decisamente più
insidiosi.
Buongiorno!
Avrei preferito
aggiornare prima...ma l'università mi è stata un po'
col fiato sul collo...
Vorrei ringraziarvi
uno ad uno per non aver smesso di seguire questa storia: vorrei
ringraziare Sciops e Princess Marauders e Shine e MoMozzia che mi
hanno lasciato deliziose e troppo gentili recensioni...Grazie,
davvero! E Grazie a chi ha letto, inserito nei preferiti...grazie,
solo questo.
Personalmente credo
che sia a partire da questo capitolo che riusciamo a vedere come
James cresce: James si assume la responsabilità di aver cura
di altre persone, dei suoi amici e di Lily. Personalmente credo che
sia questo che ci fa crescere, la promessa di aver cura di un'altra
persona.
Era questo che aveva
visto Silente, la capacità di James di farsi carico degli
altri, è per questo che l'ha scelto come Caposcuola...almeno,
io la vedo così.
Grazie a tutti.
jomarch
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Capitolo 31 *** Ventinovesimo Capitolo ***
CAPITOLO VENTINOVESIMO
Maybe I will never be
All the things that I want to be
But now is not the time to cry
Now's the time to find out why
I think you're the same as me
We see things they'll never see *
-Oasis, Live Forever-
* Forse non sarò mai
Tutto ciò che vorrei essere
Ma ora non è tempo di piangere
Ora è tempo di cercare il perchè
Io penso che tu sia uguale a me
Noi vediamo cose che loro non vedranno mai
HOGWARTS, inizio di Novembre 1977
“Sei sicuro, Remus? Non sei obbligato a farlo, se non ti va. Mi dispiace per aver reagito in quel modo, l'altra volta. Forse ci sono cose che devono rimanere tra noi.”disse James, fissando l'amico.
Sirius e Peter erano già in Sala Comune con Lily, quel pomeriggio era in programma la gita ad Hogsmeade e loro tre stavano stilando la lista di alcuni ingredienti per le lezioni di Pozioni di cui avevano urgentemente bisogno e che speravano di trovare nella piccola,ma fornita, drogheria del villaggio.
“Avevi ragione, James. Lily deve saperlo. Fa parte di noi adesso... e credimi, se si trattasse di un'altra persona, stai certo che non vorrei dire nulla. Ma è Lily...e già per il solo fatto che riesce a convivere con quattro ragazzi senza impazzire,ma tenendoci testa merita di saperlo. E poi, James, sono tempi bui..Sirius ti ha detto che sospetta che Avery abbia il Marchio Nero?”
“Avery? Avery il Marchio Nero? Ma cosa... Ad Hogwarts?”
“L'ha visto toccarsi il braccio. Era con suo fratello.”
“Regulus ha il Marchio? Ma non è nemmeno maggiorenne!” sbottò James, incredulo.
Il fratello di Sirius era davvero il degno figlio di sua madre, pensò James.
“Non so se Regulus ha il Marchio Nero...Penso che Sirius lo creda possibile. Non dirgli che te l'ho detto. Non so se in realtà volesse parlarne davvero. Mi ha semplicemente trovato in camera quando è successo. Era sconvolto. James, per favore, non accennare nulla. Non è giusto.” proseguì Remus, quasi scusandosi per non aver mantenuto il silenzio.
James annuì a fatica. Voleva aiutare Sirius. Doveva essere dura per lui.
“James...” lo apostrofò Remus
“D'accordo. Andiamo adesso. Ci staranno aspettando.” disse James
Si allacciarono i mantelli e si avviarono verso la porta del dormitorio.
“Remus, non sei obbligato a fare nulla.” aggiunse James, serio e dispiaciuto per la discussione di qualche giorno prima.
“Lo so. Ma è giusto così. Andiamo adesso.” Remus aprì la porta e si tuffò giù per le scale.
“Eccovi! Quanto tempo ci avete messo questa mattina!” li salutò Lily, con un gran sorriso.
James le posò un bacio tra i capelli. Non sapeva di preciso cosa ci fosse tra loro, semplicemente
prenderle la mano era la cosa più naturale che ci fosse.
“Gli altri sono già andati quasi tutti!”esclamò Peter, indicando la Sala Comune piena solo di ragazzini dei primi anni a cui era impedito di uscire dalla scuola.
“Ringrazia che possiamo ancora andare ad Hogsmeade, Peter. Prima o poi ce lo impediranno.” commentò lugubre Sirius.
Sirius fu il primo a raggiungere lo stretto corridoio che conduceva al di là della Signora Grassa, seguito da Peter e poi da Remus. Chiudevano la fila Lily e James,mano nella mano.
Da quella sera alla riunione il loro rapporto si era fatto più stretto e più complice. James stava riuscendo a penetrare nella mente sofferente di Lily e a portarci la sua allegria e la sua fermezza. Lily,d'altro canto, stava curando, senza saperlo, le ferite nascoste di James entrando così profondamente dentro di lui da riuscire a sollevarlo dalle sue preoccupazioni, rendendogliele più lievi.
La passeggiata verso Hogsmeade fu piacevole. L'autunno stava diventando inverno e le piogge degli ultimi giorni avevano reso fangoso il sentiero, appiccicando al suolo le foglie gialle e croccanti che erano cadute dagli alberi.
Lungo la strada incontrarono qualche compagno con cui scambiare due chiacchiere, Mary e Priscilla invitarono Lily a fare acquisti con loro presso la boutique di Gladrags, che aveva recentemente aperto ad Hogsmeade portando stoffe e capi d'abbigliamento direttamente dal negozio di Londra.
Lily declinò gentilmente l'invito. Aveva voglia di fare compere, era pur sempre una ragazza, ma l'idea di lasciare la compagnia di James la metteva a disagio.
Non sapeva spiegarne il motivo, ma voleva stare con lui.
Recentemente i rapporti con le sue compagne di stanza erano migliorati. Non faceva del tutto parte del loro gruppo, però le risultava più piacevole stare in loro compagnia. Avere James e i ragazzi le aveva fatto capire che negli anni precedenti si era chiusa troppo in se stessa, convincendosi di essere sbagliata, di essere troppo diversa per poter stare con gli altri.
Adesso si era resa conto di poter avere degli amici. Di poter essere più serena. Di volersi aprire agli altri, perchè non di tutti c'era da avere paura. Perchè c'era qualcuno a cui importava davvero chi era.
Sorrise a James che era in piedi alla sua destra. Lui ricambiò il sorriso, trovandola perfetta, imbacuccata nel suo mantello nero, coi capelli rossi scompigliati dal vento.
Adesso la vedeva sorridere. La vedeva serena. Non sapeva se era felice, ma il solo sentire che Lily era finalmente più serena lo faceva stare bene.
Si stava innamorando di lei. Innamorando per davvero. Di Lily, non dell'idea che si era fatto di lei, ma di Lily.
Camminarono in silenzio,sino a quando non parlò Sirius.
“James, hai portato il Mantello?” chiese d'un tratto Sirius
“No, perchè avrei dovuto?” rispose James, sinceramente stupito dalla domanda.
“Niente, così...” rispose vago Sirius
Peter guardò l'amico, senza capire bene cosa intendesse, mentre Remus e James si scambiavano occhiate significative.
“Questa sera ne parliamo bene.” promise James, infrangendo la promessa fatta poco prima a Remus che, tuttavia, non se la sentì di rimproverarlo.
Sirius annuì, mostrando un'espressione rabbiosa.
“Silente dovrebbe saperlo.” disse
“Credo che lo sappia già.” commentò mestamente Remus
Lily non si intromise nella conversazione. Intuì che riguardasse il fratello di Sirius; Sirius si induriva e si intristiva sempre quando si toccava quell'argomento.
“E non fa niente? Sta forse dalla loro parte?” si innervosì Sirius.
“Sirius, non dire sciocchezze!” esclamò duro James per poi riprendere con più calma “Silente non li può cacciare. Si unirebbero a lui, a Voldemort.”
Peter e Lily trasalirono sentendone il nome. Nessuno lo pronunciava mai.
“Se stanno qui, fanno meno danni. E Silente lo sa. Con questo, la questione è chiusa. Ne parliamo questa sera.” James rimase irremovibile, ma lui e Sirius si scambiarono uno sguardo carico di parole.
Remus voltò la faccia da uno all'altro, sperando che non si cacciassero nei guai e poi, Peter, cercò di riportare la conversazione su binari normali mormorando del nuovo torrone di Mielandia.
“Lils, andiamo a prendere quelle erbe che ci servono? Voi che fate, venite con noi o ci troviamo tra mezz'ora da qualche parte?” chiese Sirius, quando furono arrivati nella strada principale di Hogsmeade.
“No, veniamo con voi... poi potremo andare a prendere una Burrobirra.” rispose Remus.
Arrivarono davanti alla bottega di Dervish & Banges e, mentre Lily, Peter e Sirius facevano i loro acquisti, James e Remus attesero fuori.
“Devo parlare con Lily.” disse Remus, giocando con l'alamaro del suo montgomery verdone.
“Devi sentirtela tu, Remus.” disse James, mostrandosi empatico.
“Devo farlo, James. Basta segreti.” ribadì Remus.
“Sono dalla tua parte.” annuì James, convinto.
La risata di Sirius in lontananza fece capire loro che gli amici avevano terminato gli acquisti.
“Eccoci!” disse Lily, stringendo nelle mani un pacchetto.
“Cosa ne dite se prima di andare ai Tre Manici di Scopa facciamo una passeggiata?” propose Remus, con un lieve imbarazzo nella voce.
Condusse il gruppo vicino alla Stamberga Strillante, alla periferia del villaggio.
La passeggiata era stata tranquilla e piena di chiacchiere. Remus si appoggiò alla staccionata e per qualche istante guardò in aria, assente.
“Lily...” riuscì a dire, “C'è qualcosa che dovresti sapere.”
Il tono grave che accompagnò le sue parole turbò Lily, che fece fatica a rispondere.
“E' tutto a posto, Remus?”
Remus sbuffò e scosse la testa.
Sirius, James e Peter si sentirono impotenti in quel momento. James avrebbe voluto togliere ogni sofferenza all'amico, Peter sperava solo che andasse tutto bene e Sirius avrebbe voluto parlare al posto suo, se solo fosse stato possibile. Tutti e tre però sapevano che spettava a Remus raccontare e solo a lui, loro potevano soro essere al suo fianco.
A Lily non sfuggirono le espressioni degli altri.
“Remus....”
“No, Lily...non è tutto a posto. Non è mai stato tutto a posto.” rantolò Remus, nervoso.
“Remus...” bisbigliò Lily senza capire. Cosa poteva essere successo? Pochi minuti prima sembrava essere il solito Remus.
“Lily... sono un lupo mannaro.” riuscì a confessare, in un sibilo di sofferenza.
“Avrei dovuto dirtelo prima, Lily. Mi dispiace averti mentito per così tanto tempo.” aggiunse, sperando che l'amica non fosse troppo turbata o terrorizzata dalla rivelazione.
“Oh Remus...” sospirò Lily con affetto.
Non sapeva che cosa dire, fare o pensare. Severus aveva ragione. Ma lei non sapeva cosa pensare. Non aveva paura. Era Remus. Si vergognò, ma provò pena per il suo caro amico costretto a sopportare un peso così grande.
“Venni morso da un lupo mannaro una notte, ero un bambino... E da allora sono questo. Non provare pena per me, Lily. Sono questo, sono un lupo mannaro e devo imparare a conviverci. I miei genitori le provarono tutte... ma nessuna cura può qualcosa contro il morso di un mannaro. Desideravo tanto venire ad Hogwarts, ma pensavo che non avrei mai potuto studiare come voi, come gli altri... poi Silente diventò Preside e mi permise di frequentare la scuola. Escogitò uno stratagemma che mi permettesse di trasformarmi senza far del male a nessuno... Il Platano Picchiatore fu piantato l'anno che iniziammo la scuola, da esso si diparte un tunnel che arriva sin qui, sotto la Stamberga Strillante. Avrei potuto passare le notti di luna piena nella Stamberga e nessuno avrebbe mai saputo niente di me... I lamenti che gli abitanti di Hogsmeade sentono provenire dalla Stamberga... sono io.” Remus parlò senza prendere fiato, desiderando terminare il racconto il più presto possibile. Non guardò il viso di Lily e nemmeno quello dei suoi amici. Non voleva scorgere i loro sguardi di pietà.
“E adesso, adesso che sai tutto, Lily?”
“Va tutto bene, Remus.” Lily parlò con estrema dolcezza, accennando un sorriso.
Era quasi stupita dalla sua serenità. Remus le aveva raccontato qualcosa di spaventoso, qualcosa che avrebbe portato chiunque a scappare e invece lei si sentiva serena. Davanti a lei, Lily, vedeva solo il suo amico Remus.
James, Sirius e Peter sorrisero sentendo le parole di Lily.
“Lily...sei sicura? Sei autorizzata a dire che sono un mostro spaventoso...” il tono di Remus era inspiegabilmente calmo, anche se dentro di lui ardeva un fuoco.
Lily avrebbe capito. Era Lily, Lily per Godric!
“Sei tu, Remus. Sempre tu. Cosa può cambiare?” chiese semplicemente Lily.
Davanti a lei c'era solo Remus, il suo caro, amico Remus.
Remus. Solo lui.
“Lily...”
“Non guardatemi così, non sono pazza. Ho avuto la possibilità di conoscervi, mi siete stati vicino quest'anno... siete miei amici. Io sto bene con voi. Perchè tutto questo dovrebbe cambiare qualcosa?” continuò lei, cercando di parlare con razionalità.
Si trattava solo di Remus, per quanto potesse sembrare spaventosa quella storia. Solo di Remus.
“Lily...”
“Severus lo sa.” disse Lily. Dovevano sapere che qualcun altro oltre a loro cinque conosceva la verità. Le vennero alla mente tutti i discorsi avuti con lui.
“E' un lupo mannaro! Lupin è un lupo mannaro! E Potter e Black lo sanno! Lo sanno e lo coprono!”
“Sev... non dire sciocchezze! E' malato! Dicono che è malato!”
“E' malato ad ogni luna piena, Lily? Ad ogni luna piena il povero,cagionevole Remus Lupin si sente così male da dover sparire per un paio di giorni...Povero Remus Lupin! Un'allergia alla luna piena...”
“Smettila, Sev, non parlare di lui con questa cattiveria!”
“Ma Lily... è un mannaro! Un mannaro! Ma d'altronde, ai grandi Black e Potter non si può fare niente! A loro è concesso tutto! Anche di trastullarsi con un lupo mannaro!”
“Era ossessionato da voi. Letteralmente. Il suo unico scopo dopo il diletto con le Arti Oscure era scoprire cosa facevate voi, cosa pensavate, come potervi ostacolare.... Lui! Lui che inventava incantesimi contro i ragazzini Nati Babbani come me!” Lily scosse con rabbia la testa, mentre James le mise una mano sulla spalla.
“Lils...” disse dolcemente Sirius.
“E' tutto a posto, ragazzi... Tutto a posto. Volevo solo dirvi che lui sa.” Lily si riprese in fretta.
“Lo sappiamo.” disse Remus. “Ma non dirà niente. Silente glielo ha fatto giurare.” le spiegò Remus con il tono di chi vorrebbe chiudere la conversazione.
Lily annuì, seppur desiderosa di capire. Non era il momento, forse. Le tornò in mente quando James salvò la vita a Piton nel tunnel del Platano. Sicuramente quell'episodio era collegato. Provò un moto di rabbia per Severus che stava per distruggere Remus. Voleva fare tante domande, ma capì che non era il momento.
“Remus...tu resti sempre tu. Davvero.” Lily e Remus si guardarono negli occhi. Remus capì subito che Lily era sincera.
Lily, invece, si chiese quanta Remus soffriva della sua condizione. Nel mondo magico i lupi mannari erano considerati pericolosi, malvagi, vivevano in colonie da reietti.
Remus, invece, era lì di fronte a lei col suo sorriso dolce, la sua sottile ironia. Quanto dolore doveva provare quotidianamente per la sua condizione?
Lily si promise che gli sarebbe stata vicina, così come lui era stato vicino a lei nel momento di maggior bisogno.
Remus si sentì rinfrancato dai sorrisi che Lily gli stava rivolgendo. Non era spaventata. Lei sarebbe rimasta.
“Adesso arriva la seconda parte della storia, Lily, se sei pronta. Naturalmente James, Sirius e Peter hanno notato le mie assenze, i miei malesseri... e l'hanno scoperto e poi...” Remus accennò un sorriso “poi hanno trovato il modo di aiutarmi.”
Giugno 1973
Dormitorio di Grifondoro
“Remus, in questi giorni ne abbiamo parlato. Forse sappiamo come aiutarti!” esclamò James con un sorriso caldo ed al contempo irriverente.
Remus lo guardò mesto: aiutarlo? Come potevano aiutarlo? Nessuno poteva liberarlo da quella maledizione.
I suoi amici lo sostenevano e Remus era lo grato in una maniera che loro non riuscivano nemmeno ad immaginare. C'erano. Non erano scappati. Gli dimostravano concretamente la loro amicizia con i fatti, ogni giorno.
Esserci, si diceva, era la cosa migliore che potessero fare. Cosa poteva desiderare di più, Remus? Aveva ottenuto il permesso di frequentare Hogwarts, era uno studente discreto, aveva degli amici.
Cosa poteva desiderare di più? A cosa altro potevano aver pensato i suoi amici?
“Remus, è un'idea geniale! Geniale! Sono in fibrillazione!” esclamò Sirius, con gli occhi che gli brillavano dalla felicità. A James era venuta un'ottima idea e non vedeva l'ora di tornare a casa e sgraffignare qualche prezioso volume dalla biblioteca di Grimmauld Place, lì c'era senz'altro qualcosa che avrebbe potuto aiutarli.
“Ragazzi..ma cosa..” sussurrò Remus, sedendosi sul letto. Era stanco, probabilmente aveva corso avanti e indietro centinaia di volte nella Stamberga quella notte. Le gambe gli facevano male.
“Il fatto è, Remus, che abbiamo letto che i lupi mannari sono pericolosi per le persone. Non sono pericolosi per gli animali.” iniziò a spiegare Peter, titubante. L'idea di James era davvero stupenda: avrebbero aiutato tanto Remus in quel modo! Però lo spaventava anche, sarebbe stato pericoloso, molto, e la possibilità di ritrovarsi con qualche parte del corpo non del tutto al suo posto era reale. Doveva ancora decidere il da farsi, nel frattempo però, quella di James era un'ottima idea.
Avevano passato gli ultimi mesi lambiccandosi il cervello per capire come poter aiutare Remus. Lo vedevano sempre più provato, luna piena dopo luna piena ed erano alla disperata ricerca di un modo per aiutarlo.
Avevano passato le ultime lune piena chiusi in biblioteca, anche di notte a sfogliare qualsiasi testo, persino quelli del Reparto Proibito, che potesse dare loro utili suggerimenti.
Sino a quando, James, soffermandosi su una delle più banali affermazioni sui lupi mannari non aveva trovato la chiave di svolta. Se i lupi mannari erano pericolosi solo per gli esseri umani, allora, se degli animali avessero accompagnato Remus durante le sue trasformazioni, non sarebbe accaduto nulla.
Se loro fossero diventati Animagi, avrebbero potuto stare con Remus mentre si trasformava, fargli compagnia. Essere al suo fianco.
“Peter...non riesco a capire cosa tu voglia dire.” commentò Remus, perplesso, volgendo lo sguardo verso i suoi amici e tentando di ignorare la luce che traspariva dai loro occhi.
“Remus, noi vogliamo diventare Animagi. Così ti potremo accompagnare nelle trasformazioni.” disse semplicemente James, mischiando un tono serio alla faceta irruenza giovanile.
“Li presi per pazzi.” sorrise Remus. “Come potevano aver pensato una cosa del genere?”
“E ce l'avete fatta?” domandò Lily meravigliata. Il racconto di Remus l'aveva colpita, l'aveva segnata, ma non impaurita. E quella seconda parte del racconto, le sembrava solo la più bella storia che le avessero mai raccontato.
“Oh sì, ce l'hanno fatta. Ce l'hanno fatta al quinto anno. Lily, qui davanti a te ci sono tre Animagi non registrati.”
“Sono lieto di presentarti Messer Codaliscia.” Remus indicò Peter che, puntandosi la bacchetta alla testa, si tramutò in un topolino grigio e squittì a piedi di Lily, prima di tornare umano e, paonazzo, di guardare l'amica.
“Messer Felpato!” esclamò Remus, indicando questa volta Sirius che si tramutò in un grosso cane nero festante, che corse da Lily per farsi fare due carezze.
Lily rideva, divertita e piena di meraviglia.
“Infine, ecco a te Messer Ramoso!” Remus questa volta tese il braccio indicando un maestoso cervo con un grosso palco di corna che aveva preso il posto di James.
Lily era sorpresa, emozionata e stupita dalle capacità di James, Sirius e Peter. Si trattava di magia molto avanzata che loro erano riusciti ad eseguire senza l'aiuto di nessuno.
“Per Morgana! Siete tre Animagi!” esclamò
“Non urlare, Lils, non deve saperlo nessuno!” la ammonì Sirius
“Avete fatto qualcosa di veramente grande. Sono impressionata.” Lily si chiedeva come fosse possibile che loro fossero riusciti a diventare Animagi e, soprattutto, pensava alla grandezza di quel gesto, al significato che potesse avere per Remus essere accompagnato dai suoi amici durante le sue trasformazioni.
Adesso capiva le reticenze e le sparizioni nelle notti di luna piena, capiva le ferite nascoste e graffi coperti da maglioni anche nei mesi più caldi.
Li ammirava, li ammirava profondamente.
“E' la cosa più bella che abbiate potuto fare.” Lily sorrise, con gli occhi lucidi.
Remus la guardò e capì di aver fatto la scelta più giusta. Si trattava di Lily.
“Su, su, Lils! Le sorprese non sono ancora finite!” esclamò Sirius, per togliere tutto il gruppo da quel momento di commosso imbarazzo.
“Sirius ha ragione, visto che ora sai di Lunastorta, Codaliscia, Felpato e Ramoso è giusto che tu conosca anche lei!” James le mostrò un foglio di pergamena e poi pronunciò qualcosa che suonò come “Fatto il Misfatto!”
“Ma cosa...?” chiese Lily, senza capire.
“E' la Mappa del Malandrino! L'abbiamo costruita l'anno scorso, è una mappa di Hogwarts e dei suoi dintorni.” spiegò Peter.
“Ti permette di conoscere cosa fa ogni singola persona presente ad Hogwarts.” James spiegò la Mappa e mostrò a Lily un puntino che si muoveva nell'ufficio di Silente, al di sotto del quale compariva la scritta “Albus Silente”.
Lily osservava con curiosità la Mappa del Malandrino. Era qualcosa di realmente incredibile.
“Ecco come fate a sgattaiolare fuori la notte senza essere visti da nessuno!” esclamò
“Prima di costruirla abbiamo dovuto esplorare in lungo e in largo la scuola...” aggiunse James con un gran sorriso.
Era felice che Lily capisse, era felice di non avere più segreti con lei. Era felice che lei fosse parte del tutto. Non potè fare a meno di scoccarle un bacio sulla guancia, che la fece arrossire e sorridere. Lily si sentiva parte di qualcosa adesso. Parte di loro.
Remus osservava James, Sirius e Peter descrivere la Mappa in ogni suo dettaglio a Lily e non potè che essere soddisfatto della sua scelta. Niente più segreti. Era giusto così.
Lily ascoltava divertita i discorsi dei ragazzi, sino a quando, sulla Mappa non vide il nome di Severus aggirarsi per i sotterranei del castello, nel dormitorio di Serpeverde. Non era venuto ad Hogsmeade.
“Lily... è tutto a posto?” chiese James, apprensivo, quando la vide distratta, non più interessata ai segreti della Mappa del Malandrino.
“Sì, James.” annuì lei, senza però convincerlo. Stava ancora pensando a Severus.
“Lily...” James la implorò di non mentirgli.
Lily allora allora alzò lo sguardo dal suolo ed inspirò profondamente. Doveva sapere cosa era successo quella notte.
“Mi raccontate, per favore, se ve la sentite, cosa esattamente è accaduto quando James gli ha salvato la vita? E' collegato a questo, vero? Quando James gli ha salvato la vita nel tunnel...”Lily li guardò uno ad uno negli occhi.
Peter guardò uno ad uno gli amici.
“Remus” sussurrò e subito James alzò gli occhi verso l'amico.
“Lils...sei... sei sicura di volerlo sapere?” domandò Sirius, con voce tremante. Odiava ricordare quell'episodio. Odiava dover parlare della sua sventatezza. Odiava ritornare con la mente a quando stava per distruggere i Malandrini.
“Remus...” disse lieve James.
“Penso che sia giusto che Lily sappia.” disse Remus, in risposta, fissando gli amici con sguardo enigmatico.
Non era in grado di definire cosa stesse provando, se un senso di tranquillità perchè tutti i nodi stavano venendo al pettine o se, invece, paura di quel che avrebbe potuto esserci dopo.
Lily era spaventata. Quella cappa di silenzio soffocante e di angoscia che era scesa su di loro la spaventava. Cosa ci poteva essere di così terrificante da spaventare James, Sirius, Remus e Peter come fossero un sol uomo?
“Credo di dover parlare io.” Sirius tirò fuori con coraggio la voce. Era lui ad aver dato inizio a tutto. Era lui a doversi spiegare davanti a Lily.
“Lils, sarai libera di pensare di me qualunque cosa al termine del racconto. Se sceglierai di odiarmi... bè posso solo comprenderti. Per farla breve, stanco di trovarmi Piton sempre appiccicato addosso all'orlo del mantello, sempre lì a pedinarci, sempre lì a cercare di infiltrarsi tra noi, convinto che nascondessimo chissà quale segreto, ho deciso di chiudere la questione una volta per tutte. L'ho incontrato in biblioteca, stava leggendo un libro sui morsi di lupo mannaro... Gli ho puntato la bacchetta alla schiena e gli ho detto che se voleva vedere un vero lupo mannaro avrebbe dovuto entrare nella Stamberga Strillante quella notte. Gli spiegai come affrontare il Platano Picchiatore e come entrare nel tunnel, poi lo lasciai alla sua lettura con una strana luce negli occhi. Non so perchè l'ho fatto...credevo forse che vedendo Remus da lupo mannaro ci lasciasse in pace, che non capisse che si trattava di lui... non lo so...volevo solo che la piantasse. Credevo anche che non avrebbe mai avuto il coraggio di andare...e se anche l'avesse avuto...bè... era semplice immaginare cosa gli sarebbe potuto accadere...” Sirius si interruppe e, con gli occhi lucidi, guardò Lily. Sperava che lei lo perdonasse. Sperava che lei gli dicesse che, nonostante tutto, erano ancora amici.
Non aveva mai pensato seriamente, sino a quel momento, a quanto Lily si fosse amalgamata con loro. L'idea che lei non si fidasse più di lui, lo distruggeva.
Lils... gli piaceva parlare con lei. Gli piaceva averla attorno, farle scherzi che lei non avrebbe capito, scoprire il mondo che si portava dentro.
Se Lily non l'avesse perdonato, Sirius avrebbe avuto la riprova di essere un buono a nulla. Non perchè l'opinione di Lily contasse più di quella di altri, semplicemente perchè sarebbe stata l'oggettiva dimostrazione che erano James e Remus ad essere una spanna sopra gli altri per averlo perdonato, nonostante tutto.
“Sono un cretino, Lils. Un emerito cretino. Stavo per distruggere tutto. Avrei potuto portare all'arresto di Remus, l'avrebbero soppresso così come si sopprime un cane. Sono un cretino, un cretino!” urlò Sirius calciando una pietra.
“Sirius...” lo ammonì Peter
James e Remus ascoltavano ed osservavano la scena in silenzio. Spettava a Sirius parlare.
Lily era sconvolta, incredula...non credeva possibile che Sirius fosse così stupido da condannare Severus a morte certa. Per un istante provò un impeto d'odio per lui.
Sirius, intanto, si era inginocchiato a terra. Faceva male raccontare. Faceva male incontrare gli sguardi di Peter e di James, faceva ancora più male incontrare quello di Remus, che l'aveva perdonato, nonostante tutto, e gli occhi di Lily delusi da lui.
Sirius, a voce più bassa, riprese a raccontare.
“Sono tornato in camera con James e Peter dopo cena. Remus ci aveva lasciato quel pomeriggio...lui non sapeva niente. Così come loro, sino a quando non commentai sulla fantastica sorpresa che avrebbe atteso Mocciusus quella sera. James mi strattonò e corse via, corse a salvare Piton e Remus dalla mia stupidità.” finalmente alzò gli occhi ed incontrò quelli verdi di Lily.
“Lils, mi dispiace.” sembrava dire il suo sguardo.
Lily non resse il contatto. Non sapeva cosa pensare. Era consapevole del disprezzo che Sirius provava per Severus, le aveva fatto capire un sacco di volte quanto fortunata fosse ad averlo perso.... ma tra il disprezzare una persona ed il volerla uccidere c'era una gran differenza.
Nel frattempo Remus chiuse gli occhi. Non ricordava nulla di quella notte. Non ricordava mai nulla delle sue trasformazioni. Avrebbe potuto uccidere Piton. Avrebbe potuto farlo e non rendersene nemmeno conto se non fosse stato per James.
Detestava perdere il controllo sino al punto di non avere più coscienza delle sue azioni. Esisteva forse maledizione più grande della perdita di coscienza?
Peter, di fianco a lui, era rimasto zitto come Remus, sino a quel momento. Del resto, non avrebbe saputo proprio cosa dire. Non era coraggioso come James o tormentato dal senso di colpa come Sirius e nemmeno coinvolto come Remus. Lui era solo Peter e, tutto quello che desiderava fare, era fare in modo che loro quattro restassero insieme, restassero amici, che Lily non si spaventasse e rimanesse insieme a loro. A lui bastava questo.
“Coraggio, Remus.” sussurrò con un filo di voce ed un accenno di sorriso.
James, intanto, riviveva quegli istanti nel tunnel della Stamberga Strillante. Aveva corso, corso, corso più che poteva, con quanto più fiato aveva per arrivare in tempo.
Aveva trovato i rami del Platano Picchiatore già immobili e l'ingresso al tunnel aperto.
“Piton! Piton!” aveva urlato con tutta la voce che aveva, correndo come un forsennato lungo il tunnel, alla fioca luce della bacchetta che non gli impediva di inciampare e rialzarsi ferito, con le ginocchia graffiate e le mani sanguinanti.
Poi l'aveva trovato davanti alla botola che portava alla Stamberga. Una lieve asse di legno li separava da un lupo mannaro
James sentiva ancora la sua voce gridare e quella di Piton, rispondere sprezzante.
Marzo 1976
Stamberga Strillante
“Vieni via, Piton. Vieni via! E' pericoloso!”
“Potter, vattene! Sto per scoprire il vostro segreto...”
“Vieni via, ti ho detto! Vieni via! Non c'è niente da guardare!” Piton, con gli occhi colmi d'eccitazione, stava per aprire la botola. Remus era dall'altra parte, trasformato.
James si gettò su di lui, provando ad immobilizzarlo col suo stesso corpo, visto che ogni incantesimo lanciato con la sua bacchetta veniva respinto da Piton.
Lottarono, sbattendo i loro corpi contro alle pareti del tunnel; abilmente Piton riuscì a togliergli gli occhiali, ben sapendo che James non avrebbe visto nulla nell'oscurità.
Approfittando del suo svantaggio, Piton corse verso la botola. L'avrebbe aperta, avrebbe finalmente scoperto il segreto di Potter e dei suoi amici, avrebbe detto a tutta la scuola di essere stato attaccato da un lupo mannaro e poi, uno ad uno, li avrebbe fatti espellere.. per primo Lupin, il lupo mannaro.
Era eccitato, in fibrillazione.
Aprì la botola e poi lo vide.
Il lupo era proprio lì dietro e si accorse della sua presenza, gli ringhiò addosso, si avvicinò, ma Piton restava fermo, immobile, come volesse assaporare ogni istante di quel momento.
“Piton! Spostati! E' pericoloso!” ancora la voce di Potter. Piton si girò per Schiantarlo, ma il lupo fu più veloce di lui e lo immobilizzò con un artiglio.
“Remus, per favore, spostati da lì!”supplicò James nella sua mente, ben sapendo che quel lupo non era il suo amico e che se non fosse intervenuto, Piton sarebbe morto.
“Perdonami, Remus!” esclamò James, alzando la bacchetta e mormorando incantesimi che stordissero il lupo, ferendolo e allontanandolo da Piton.
“Alzati e muoviti a venire via, Mocciosus.” sibilò James con rabbia all'indirizzo di Piton che, ancora spaventato, ansimava a terra.
Mentre James ricordava, Sirius concluse il racconto.
“Silente fece promettere a tutti quanti di non rivelare nulla sull'accaduto. Sei parte del segreto adesso, Lils. Giudicami come vuoi, ma non rivelare a nessuno quel che ti ho appena raccontato.”
Questa volta, Lily, riuscì a sostenere lo sguardo di Sirius.
Lesse dolore in quegli occhi, lesse paura. La stessa paura che aveva provato lei tante volte.
Istintivamente corse ad abbracciare Sirius, ferito nell'anima da un dolore che difficilmente si sarebbe rimarginato.
“Mi dispiace.” mormorò Sirius
“Lo so.” si limitò a dire Lily, con gli occhi gonfi di lacrime.
Intervenne James, desideroso di spiegare la sua parte, di rendere Lily a conoscenza di alcune precisazioni.
“Quel pomeriggio dopo i G.U.F.O... aggredì Piton perchè avevo bisogno di un responsabile. Avevo bisogno che lui si addossasse la colpa di averci portato sull'orlo di un burrone. Era colpa sua se stavamo male, se continuavamo a litigare, colpa sua e della sua curiosità. Era colpa sua se noi ci stavamo rovinando. Avevo bisogno di credere che fosse colpa sua, Lily. Ecco perchè l'ho aggredito. Mi dispiace, Lily. Non avrei dovuto. Non ha risolto niente, ti ha solo fatto del male.” scosse le spalle, deluso da se stesso, desideroso che Lily, tuttavia, capisse nonostante tutto.
“James...” sì limitò a rispondergli Lily, prendendogli la mano. “Tu gli hai salvato la vita.” aggiunse.
“Tu gli hai salvato la vita, nonostante tutto, nonostante tutti i trascorsi tra voi. Stai certo che lui non l'avrebbe mai fatto per te. Mai. Lui ha sempre voluto vederti morto.” scosse la testa nel dirlo.
Si voltò verso James. Lui non la stava guardando. Sembrava avere la mente distante. Era lì, di fianco a lei, con il mantello e la sciarpa, con gli occhiali sul naso e i capelli scompigliati ma la sua attenzione era altrove.
“L'avrei fatto per chiunque, Lily.” rispose James, minimizzando. Non sarebbe stato in grado di uccidere nessuno.
“Gli hai salvato la vita, James.” disse Lily, nuovamente. James aveva salvato la vita a Severus. James e Remus e Peter avevano perdonato Sirius, nonostante tutto. Sirius era sinceramente dispiaciuto per l'accaduto, Lily sentiva che ne soffriva ogni giorno.
Lì, si disse, stava la differenza tra loro e Severus.
Ci sarebbe voluto tempo per elaborare il racconto, Lily lo sapeva. Sentiva, tuttavia, di essere sul punto di liberarsi dello scomodo e sinistro fantasma di Severus.
James Potter, Sirius Black, Remus Lupin e Peter Minus, le persone che Severus detestava di più sapevano amare, sapevano perdonare.
Severus era solo in grado di disprezzare chi era diverso, chi non la pensasse come lui.
Lì stava la differenza.
James Potter, Sirius Black, Remus Lupin e Peter Minus erano diversi.
“Odiaci pure, se vuoi.” disse James.
Non c'era molto da vantarsi, sebbene avesse salvato la vita a Piton, tante volte l'aveva umiliato, sfregiato.
James non sapeva realmente se nel frattempo fosse diverso rispetto a quando aveva colpito Piton per bisogno, sapeva però di voler essere una persona diversa. Una persona diversa dal ragazzino che era stato, una persona diversa da Severus Piton e dai suoi amici Mangiamorte.
Per il momento gli bastava quello. E poi, poi c'era Lily.
“Oh, no. Non riesco a farlo. Voglio essere vostra amica. Per me siete solo voi. Remus, Sirius, Peter e James.” mormorò Lily, ben sapendo, tuttavia, che metabolizzare quel racconto non sarebbe stato semplice.
Le sue parole tuttavia erano sincere.
Adesso riusciva a comprendere il rifiuto di James, la primavera precedente, quando lei accennò alla notte in cui salvò la vita a Piton.
Quell'evento li aveva legati uno all'altro in una maniera invisibile.
Non potè non osservare meravigliata la forza di quell'amicizia che li teneva insieme, nonostante tutto. Quell'amicizia che stavano offrendo anche a lei, rendendola parte di quel segreto.
Accennò un sorriso, cercando gli occhi sofferenti di Sirius per primi e poi strinse forte la mano di James.
Lei era lì. Con loro.
So è che è passato troppo tempo dall'ultimo capitolo, ma chi di voi ha scelto di rimanere... spero che vi sia piaciuto.
Jomarch
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Capitolo 32 *** Trentesimo Capitolo ***
CAPITOLO TRENTESIMO
Me used to be a angry young man
Me hiding me head in the sand
You gave me the word, I finally heard
I'm doing the best that I can
-Getting Better, The Beatles-
Inizio di Novembre, 1977
James Potter, quel tardo pomeriggio di inizio novembre, tornò a maledire la sua spilla di Caposcuola.
Questa volta, però, la motivazione era molto meno nobile rispetto a quando non era intenzionato a lasciare la carica a qualcuno che, a suo dire, avrebbe svolto meglio di lui quell'incarico.
Quella mattina lui e Sirius erano stati messi in punizione da Lumacorno e, questa volta, per torturarli il professore aveva deciso che si occupassero di riordinare la dispensa degli ingredienti e James si chiedeva continuamente per quale motivo i Caposcuola non fossero esonerati dalle punizioni.
“Santo Boccino, Sirius, non ne posso più! Odio Pozioni e, ancora di più, odio riordinare la dispensa della scuola: guarda qui, questi Pungiglioni di Celestino Essiccati sono andati a male... senti che odore!” sbottò James, gettando nel sacco della spazzatura l'ennesima boccetta dal contenuto dubbio.
“Bè, se ti può consolare, ho la sensazione che il muco di Vermicoli puzzi molto ma molto di più di un qualsiasi altro ingrediente andato a male che ci sia!” rispose Sirius Black, riempiendo il ripiano di bottiglie contenenti una soluzione melmosa e verdastra, muco di Vermicoli, utile per addensare pozioni.
“Bè, puzzerà anche, ma, per quanto mi riguarda, è l'ingrediente più utile che ci sia...” commentò James, scettico, alla vista di una boccetta di fegato di drago. Per quanto lo riguardava, ringraziava chi avesse pensato di ricavare del muco dai Vermicoli: le sue pozioni risultavano sempre troppo liquide ed aveva presto imparate che un mestolo di muco e la consistenza del suo calderone raggiungeva l'Accettabile.
“Anzichè lamentarti, Ramoso, ti consiglio di prendere un po' di succo di Horklump: Remus ce l'ha ripetuto mille volte e Lily dice che con un po' di quello può preparare un infuso per la cicatrice che si è procurato Peter.” disse Sirius, accatastando in qualche modo i rametti di lavanda secca.
“Ti consiglio di prendere un po' di succo di Horklump!”,gli fece il verso James, “Smettila, Sirius, che è solo colpa tua se siamo finiti qui e non al Club del Lumacone con Lily, Remus e Peter! Esclamò James, seriamente tentato dall'eventualità di impataccare l'amico con il muco di Vermicoli.
“Colpa mia? Ma senti un po'! Chi ha fatto esplodere il nostro calderone? Chi ha osato dire a Lumacorno che era tutto sotto controllo e che l'esperimento era pienamente riuscito? Non io, caro il mio pedante quadrupede cornuto!” brontolò Sirius
“Professore, noi abbiamo preparato l'essenza di uovo marcio.” James imitò perfettamente la voce di Sirius, accludendo anche il sorriso scintillante che Sirius allegava ad ogni sua menzogna.
“Oh SantoBoccino! Come facciamo Sirius? Come facciamo? Magari Lily ci può dare una mano! Cosa ne dici, la vado a chiamare?” James si agitava attorno al calderone, senza riuscire a star fermo, mentre Sirius, scettico, rimestava il contenuto grigio topo che nulla aveva a che fare con il Distillato della Morte Vivente che avevano intenzione di preparare.
“Stai zitto, James, per Godric! Qui non c'è più niente da fare... abbiamo sbagliato qualcosa, forse non abbiamo tritato bene l'artemisia o forse i fagioli sopoforosi non erano abbastanza freschi...”spiegò Sirius.
“Ma se noi alziamo la fiamma e lo facciamo addensare? Dici che somiglia di più al Distillato? Oh ma perchè abbiamo scelto proprio questo? Perchè? Non potevamo preparare un Erbicida?” James puntò la bacchetta contro la fiamma, propagandone l'intensità.
“James, abbassa, abbassa per Morgana! Abbassa o esplode tutto!” lo ammonì Sirius, abbassando la fiamma del calderone con un sospiro profondo: avrebbe dovuto andare tutto bene, avrebbero dovuto consegnare il loro Distillato della Morte Vivente e ricevere magari qualche encomio; James non era bravissimo in Pozioni, ma solo perchè non si applicava, e lui aveva dei risultati discreti. Avrebbe dovuto andare tutto bene. Se solo avessero scelto di presentare una pozione più semplice... Quasi quasi invidiò Lily, Remus e Peter che con l'Amortentia andavano sul sicuro.
“Sirius... puzza. Puzza tanto. Puzza troppo.” fu la conclusione di James, quando riemerse dal calderone che aveva usmato con interesse.
“Dici di aggiungerci un po' di lavanda? Magari le da' un odore più gradevole...” suggerì James.
Sirius acconsentì, sospettando, tuttavia, che non sarebbe bastata la lavanda.
“Credo che, prescindendo dall'odore, dovrebbe avere un effetto simile al Distillato della Morte Vivente: gli ingredienti erano giusti, forse abbiamo sbagliato qualcosa, ma, a pensarci bene, gli effetti dovrebbero essere simili...”osservò Sirius mentre James sminuzzava la lavanda.
Improvvisamente il calderone iniziò a sobbollire, le bolle erano sempre più grosse, nonostante si fossero affannati ad abbassare la fiamma.
Con un sonoro “POP” la pozione si consolidò in una melma gelatinosa che nessun incanto né aggiunta di ingredienti riuscì a scalfire.
Sirius, pensieroso, fissava il calderone alla ricerca di qualche idea; ma era mezzanotte passata e c'era ben poco che potessero fare per sistemare quel Distillato. Avrebbero dovuto prepararne un altro, ma era tardi e Lumacorno aveva appena deciso di sigillare la dispensa della scuola con una parola d'ordine che loro ancora non conoscevano e tra i loro ingredienti non c'era abbastanza artemisia per mettere sul fuoco un altro calderone.
“Mi dispiace, Felpato. E' colpa mia. Sono negato per questi intrugli.” disse James, a voce bassa, seriamente dispiaciuto per l'accaduto. Si sentiva responsabile, forse Sirius avrebbe fatto meglio senza di lui ad intralciare.
“No, James, non è colpa tua.” ammise lealmente Sirius “Ci siamo distratti, tutti e due. Ed è un attimo che tutto si sballi...”
“Senti un po', Sirius... facciamo così: come abbiamo già ripetuto, gli ingredienti sono giusti e l'effetto, più o meno, dovrebbe essere lo stesso. Il furetto che il Lumacone userà domani per testare la pozione si addormenterà comunque...magari non sarà proprio un sonno che lo farà sembrare più di là che di qua, ma dovrebbe funzionare, non credi? E' solo la consistenza a non andare... Io direi di consegnarglielo così.” propose James, pensando di sistemare il sistemabile in questa maniera.
Sirius annuì e, sfoderando un sorriso, propose di andare a letto: una pozione non riuscita non era una tragedia, in fondo. James aveva ragione. Più o meno poteva andare bene.
Il mattino dopo, tuttavia, nulla andò come avevano sperato. Dopo gli encomi ricevuti dalla pozione di Lily, Remus e Peter e dopo la D ricevuta da due Corvonero coi quali i Grifondoro del settimo anno condividevano le ore di Pozioni, Lumacorno chiamò Potter e Black a presentarsi alla cattedra con la loro fialetta.
“Potter e Black... Distillato Della Morte Vivente, giusto?” chiese, osservando i suoi appunti e rispondendosi da sé. Annusò il contenuto della fialetta e, disgustato, guardò i due ragazzi.
“Questo non è Distillato, Potter.” commentò, serafico. Aveva perso le speranze con lui, fortunatamente quell'anno si era fatto meno insolente del precedente.
“Ehm.. no, signore, però è andato tutto come previsto. Noi volevamo portare...”
“L'essenza di uovo marcio!” esclamò Sirius, togliendolo dall'impiccio.
“L'essenza di uovo marcio? Black, cosa vai farneticando?” sbraitò Lumacorno, aggiustandosi le basette.
“Signore... noi abbiamo cambiato idea questa settimana e l'essenza di uovo marcio è esattamente ciò che volevamo presentare. Quindi l'esperimento è perfettamente riuscito, non crede?” proseguì Sirius, mostrando un luminoso sorriso che, spesso, riusciva a fargli ottenere i risultati sperati.
“Sì, signore, l'essenza di uovo marcio.” aggiunse James, come a voler confermare la cosa.
Lumacorno, tuttavia, non era dello stesso parare.
Annusò il contenuto della fialetta portatagli dai due ragazzi e, sebbene con disappunto, dovette confermare che l'odore era davvero quello dell'uovo marcio. Ciò nonostante, sentì di dover punire i due impertinenti Grifondoro. Non avrebbe mai potuto darla vinta così alle insolenze di Potter e del suo compare.
“In punizione, questa sera! La dispensa della scuola ha un disperato bisogno d'ordine!” esclamò, seccato, evitando di togliere punti a Grifondoro soltanto per non far gravare su tutta la Casa la maleducata impertinenza di Potter e Black.
“James...” lo chiamò Sirius, mentre intascava un po' di dittamo, “ Questa sera?” domandò, riferendosi a quello che da giorni li teneva svegli la notte, entrambi.
Sirius sospettava che suo fratello avesse il Marchio Nero: da quando aveva saputo dell'entrata di Avery tra le file dei Mangiamorte il pensiero che anche Regulus l'avesse seguito lo angustiava parecchio. Erano almeno sei mesi che non parlava con suo fratello ed ogni volta che l'aveva fatto, finivano per discutere. Regulus gli rinfacciava di essersene andato, di averlo lasciato da solo per seguire James Potter il fratello che, a suo dire, Sirius aveva scelto, rinnegando lui, il sangue, la famiglia e tutto ciò che essere un Black comportava.
Sirius in quei mesi aveva alternato diversi stati d'animo: alla rabbia seguiva la rassegnazione ed ad essa il menefreghismo. Era arrabbiato con Regulus, che senza pensare seguiva le direttive della famiglia e di quelli che lui riteneva amici. Era arrabbiato con suo padre, che non faceva nulla per fermarlo. Era arrabbiato con suo padre, che non era venuto a riprenderselo, preferendo i suoi affari e le sue carte ai suoi figli. Era arrabbiato con sua madre, che aveva riempito di strane idee la testa di Regulus.
Altre volte, però, riusciva serenamente a mettere da parte la rabbia e il risentimento. Altre volte di Regulus e della sua famiglia non gliene importava niente. Aveva i suoi amici, la sua vera famiglia, la madre di James e zio Alphard e Meda. Poteva bastare. A volte si convinceva davvero di non desiderare altro, di aver imparato a vivere senza i suoi spiacevoli ricordi. A volte Sirius sapeva che era meglio non svegliare il cane che dormiva.
“Questa sera.” annuì James.
Attesero che Remus, Lily e Peter lasciassero la torre per andare alla festa organizzata da Lumacorno, senza fare parola con loro di quanto avevano in mente.
James ebbe la strana sensazione che, in cuor suo, Lily avesse intuito quello che avevano intenzione di fare, dal momento che, mentre usciva dal buco del ritratto, continuava a voltarsi indietro e, al momento di salutarlo, il suo sguardo si soffermò troppo sugli occhi di James, fissandolo con apprensione.
James scacciò quella sensazione e fece un cenno a Sirius. Tornarono in camera e Sirius tolse dal suo comodino la Mappa del Malandrino, raggiungendo James che aveva già il Mantello dell'Invisibilità in mano.
Senza parlarsi, uscirono nel corridoio di fronte al ritratto della Signora Grassa.
“E' meglio che prenda tu il Mantello, Felpato.” disse James: oramai erano troppo grandi per stare sotto insieme.
“Ma James...” borbottò Sirius, sapendo però che l'amico aveva ragione.
“E' giusto così. Io ti copro le spalle.”rispose James, aggiungendo subito dopo. “Però sto zitto da qui al dormitorio di Serpeverde. Sai com'è, ho una certa reputazione e non vorrei che vedendomi parlare con il nulla pensassero che sono pazzo.”
Sirius ghignò “Non temere, Ramoso. Sanno già che sei pazzo.”
Deviarono lungo il percorso più breve, conoscevano la scuola come le loro tasche.
Il loro piano prevedeva che James, Caposcuola, attendesse che un Serpeverde uscisse o entrasse dalla sua sala Comune, usandolo come messaggero per Tracy Rosier, Prefetto del Quinto Anno con la quale lui era in buoni rapporti. In quel frangente Sirius sarebbe sgattaiolato dentro ed avrebbe cercato Regulus.
Fortunatamente, una volta arrivati nei sotterranei non ebbero da attendere molto. Un ragazzino del primo anno con la divisa di Serpeverde stava, tutto trafelato, rientrando dalla biblioteca, quasi fosse dimentico del fatto che al coprifuoco mancava ancora un'ora.
Guardò James stranito, ma non oppose parola alla strana richiesta del Caposcuola e corse in Sala Comune a cercare Tracy Rosier.
Sirius lo seguì, mentre James rimase fermo immobile fuori dall'ingresso, implorando che andasse tutto bene. Se solo avessero scoperto Sirius, l'avrebbero sicuramente accerchiato e ferito. Senza contare i guai, inevitabili, che avrebbero avuto con i professori e con Silente.
James sentiva i muscoli tesi, pronti ad agire. Era in pensiero per Sirius. La sua mente era all'interno del dormitorio di Serpeverde con Sirius. Pertanto, nemmeno notò l'arrivo di Tracy e faticò a trovare una qualsiasi domanda da farle o un motivo per proseguire la conversazione.
Passarono almeno dieci minuti, che a James sembravano secoli. Tracy lo fissava perplessa: le aveva già fatto due volte la stessa domanda, peraltro, su argomenti di cui avevano già ampiamente discusso nel corso dell'ultima riunione.
“Ah...sì, scusa, Tracy.. E' che Lily è alla festa di Lumacorno e quindi non ho potuto chiedere a lei. Non sapevo come foste rimaste d'accordo....”borbottò, cercando di guadagnare tempo. Sirius non era ancora uscito, non c'era stato il segnale concordato.
Se gli era accaduto qualcosa? Se Regulus non era ancora nel dormitorio?
James faticò a contenersi. Voleva entrare, accertarsi delle condizioni di Sirius. Tuttavia era consapevole che, se fosse entrato, era maggiore il pericolo di mettere a rischio la copertura di Sirius.
“James... tutto a posto?” Tracy Rosier, sinceramente preoccupata, riscosse James dai suoi pensieri.
“Sì, sì tutto a posto... mi chiedevo... ecco, hai tu il turno di pattugliamento domani sera?” chiese James, ormai a corto di argomenti.
Tracy non doveva rientrare. Non doveva rientrare almeno sino a quando Sirius non fosse tornato.
I muscoli erano tesi, il cuore gli batteva forte. Doveva sapere.
Con la mano strinse forte la bacchetta che teneva sotto al mantello, dov'era Sirius?
E poi, all'improvviso, lo vide sbucare dall'angolo del corridoio. Come aveva fatto? Gli era forse passato accanto senza che lui, troppo teso, se ne accorgesse?
“James, anche tu qui?” Sirius, fingendosi sorpreso, si avvicinò all'amico. James cercava di cogliere qualche segnale dai suoi occhi nascosti.
Mostrando ancora un comportamento per lui inusuale, riuscì ad accomiatarsi da Tracy, che, sempre più perplessa, fece rientro nel suo dormitorio.
James accelerò il passo, raggiungendo la sagoma di Sirius, pronto a sparire dietro l'angolo buoio.
“Allora?”
“Non sono riuscito a trovarlo, non c'era...” riuscì a biascicare due parole, Sirius, parole che non trasmettevano nulla del groviglio di pensieri che gli appesantivano la mente.
“Sirius... mi dispiace. Forse non è stata una grande idea.” mormorò James, toccando il braccio dell'amico.
Sirius scosse la testa ed accennò un sorriso, fingendo una risata per nascondere lo sguardo triste.
“Non fa niente, James. Non so cosa succederà... io ho solo capito che Regulus non è dalla nostra parte.” Sirius abbassò la testa ed accelerò il passo.
“Sirius... mi dispiace.” la voce di James suonò realmente delusa e ferita.
Sirius sì voltò e guardò l'amico.
“E' tutto a posto. Andiamo adesso.”
Remus, quando il mattino dopo vide James e Sirius scendere per la colazione, sospettò immediatamente che ci fosse qualcosa di strano. Sirius appariva più malmostoso di quanto non fosse solitamente al mattino e James si sforzava di conversare, calibrando con attenzione le parole.
“Arriva la posta!” esclamò Peter, rompendo uno strano ed insolito silenzio.
“Remus, poi mi passi Il Profeta?” chiese Lily, interessata all'inserto del giovedì.
Remus fece in tempo appena ad annuire che il giornale gli cadde sulle ginocchia. Incuriosito dalla strana foto in copertina, lo aprì immediatamente.
L'intera prima pagina era occupata da una fotografia magica che ritraeva una fenice volare intorno al Marchio Nero.
“Il Marchio Nero...” sussurrò con un filo di voce Peter. Immediatamente James, Sirius e Lily si accalcarono intorno a Remus per sapere quale altra strage avesse compiuto Lord Voldemort.
“I Mangiamorte hanno attaccato un villaggio Babbano del Kent, sono arrivati due maghi...nessuno sa chi siano. Hanno dato battaglia, sono riusciti a limitare il danno... e poi una fenice. Una fenice è comparsa dal nulla ed ha cominciato a volare intorno al Marchio Nero.” Remus lesse le prime righe dell'articolo agli amici.
“Una fenice, ma che significa?” domandò Lily
“Significa che c'è una possibilità.”rispose Remus.
DORMITORIO DI GRIFONDORO
“Una fenice... una fenice...” James continuava a lambiccarsi il cervello.
Che cosa poteva mai significare quella fenice che si ergeva cantando nel luogo dove due maghi sconosciuti, dei quali nessuno conosceva l'identità, avevano osato sfidare i Mangiamorte?
Perchè proprio una fenice? E che significato aveva? Non era un caso se, alla Smaterializzazione dei due, era seguita la sua comparsa, illuminata da un canto melodioso.
“Significa che c'è una possibilità.” aveva sussurrato piano Remus, mostrando agli amici l'edizione della Gazzetta del Profeta di quella mattina, con la fenice in prima pagina.
Li aveva fissati tutti e quattro, Remus, guardandoli bene negli occhi, Peter, Lily, Sirius e James.
Gli occhi di Sirius, per un attimo, si erano distratti, seguendo il frusciare dei pensieri: c'era qualcuno che combatteva, c'era qualcuno che si opponeva e lui desiderava disperatamente unirsi a loro.
Giustizia. Ecco quello che reclamava e pretendeva. Quello per cui voleva combattere.
James aveva incominciato a pensare al significato di quella fenice, non era un caso che fosse comparsa ed avesse iniziato a cantare. Voleva dare un messaggio. Un messaggio per chiunque riuscisse a capire, un messaggio di speranza per chi era schiacciato dal terrore, perchè la fenice muore e rinasce dalle proprie ceneri. Un messaggio di sfida a Voldemort ed ai suoi Mangiamorte, perchè per quanto schiacciati, non tutti si sarebbero piegati al loro volere, ma come la fenice, avrebbero continuato a combattere, nascendo dalle proprie ceneri. Un messaggio per chiunque fosse riuscito a cogliere l'indizio e volesse combattere.
James ne era sicuro, la fenice non era lì per caso.
“Una fenice... una fenice...” mormorava di continuo.
“Fanny!” esclamò, ricordando la gabbia dorata nell'ufficio di Silente: Fanny, la sua fedele fenice che moriva e rinasceva dalle proprie ceneri con un canto melodioso.
“Silente sa. Silente guida la resistenza.” pensò James, senza dover precisare a se stesso che anche lui avrebbe fatto parte di quella valorosa avanguardia.
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Capitolo 33 *** Trentunesimo Capitolo ***
TRENTUNESIMO CAPITOLO
Long as I remember
The rain been comin' down.
Clouds of myst'ry pourin'
Confusion on the ground.
Good men through the ages,
Tryin' to find the sun;
And I wonder, Still I wonder,
Who'll stop the rain? *
-Who will stop the rain, Creedence Clearwater Revival-
*Da che io ricordo,
La pioggia cade giù.
Nuvole da temporale,
Confusione sulla terra.
Uomini coraggiosi nei tempi,
Hanno tentato di trovare il sole.
E io mi chiedo, ancora mi chiedo,
Chi fermerà la pioggia?
FINE NOVEMBRE 1977
A quella prima apparizione della fenice, ne erano seguite altre. Da allora, ogni volta che la Gazzetta del Profeta dava notizia di qualche attacco dei Mangiamorte, sempre gli uomini della fenice (così erano stati ribattezzati dai giornalisti) erano apparsi dando battaglia ai Mangiamorte ed aiutando gli Auror nella ricostruzione: c'erano nell'Essex, c'erano a Manchester, c'erano persino all' Isola di Wright. Via via il loro numero era aumentato e spesso arrivavano prima degli Auror, guadagnando così tempo.
Erano arrivati persino a Salisbury, troppo tardi.
“RAPITI I FIGLI DEL MINISTRO. LA FENICE NON CANTA PIU'”
Il titolo in prima pagina sul Profeta di quella mattina, raggelò tutta la Sala Grande.
Non fu necessario che Silente invocasse il silenzio, un' atmosfera cupa era calata, inghiottendosi tutte le parole.
Due bambini, due bambini di sei ed otto anni erano stati ripetutamente torturati con la Maledizione Cruciatus davanti ai loro genitori e poi portati via, in un attimo, senza che nessuno potesse intervenire. Gli Auror della scorta del Ministro Lufkin erano stati uccisi e Voldermort in persona aveva potuto entrare senza che nessuno se accorgesse.
Davanti a due genitori straziati e pronti a promettere di tutto, Lord Voldemort aveva torturato due bambini e poi, in un lampo, li aveva portati con sé.
Voleva dimostrare di avere in pugno il Paese e quale modo migliore della violazione della casa, della famiglia, degli affetti privati del Ministro della Magia? Quale gesto simbolico avrebbe dato un effetto altrettanto grandioso?
Colpire la famiglia del Ministro, a prescindere dalle posizioni politiche, a prescindere dai malumori e dalle polemiche che avrebbero attraversato l'intera classe dirigente, significava, prima di tutto, colpire al cuore una Nazione.
Ci sarebbe stato tempo per le polemiche, le perplessità, le critiche all'amministrazione di Lufkin.
Ci sarebbe stato tempo perchè le varie correnti agissero in sordina, sfiduciando il governo.
Ci sarebbe stato tempo per tutto. In quel momento, la Gran Bretagna intera si sentiva presa in scacco, sconfitta in una partita contro un nemico con cui non si riusciva nemmeno a provare a giocare, quasi che egli riuscisse sempre ad anticipare le mosse.
Hogwarts non faceva eccezione al resto del Paese, sebbene lì l'indignazione e la paura regnassero più forti che mai: i ragazzini più piccoli avevano solo paura, un terrore cieco, un tremore senza rimedio. I più grandi, invece, univano al timore una sete di giustizia, resa ancora più acuta dall'età che stavano attraversando, in cui gli ideali di Giustizia e Libertà splendevano come mai avrebbero fatto nel corso della vita.
Davanti ad una scolaresca annichilita dalle emozioni, Albus Silente parlò. Intimò ai suoi studenti di non smettere di sperare, di non smettere di pretendere giustizia, ma senza addolcire la pillola. I suoi ragazzi meritavano di essere messi al corrente della verità e così si sarebbe fatto fintanto che lui fosse Preside. Annunciò anche che il Consiglio Scolastico aveva deciso di sospendere le uscite ad Hogsmeade previste per i giorni successivi: motivò questa decisione con la sicurezza degli studenti e con la necessità di concordare con Ministero nuove misure di protezione anche per la scuola. Tuttavia, tutti capirono che il motivo principale era la necessità di proteggere Archie Lufkin, figlio primogenito del Ministro, un Tassorosso del quarto anno.
“Non capisco dove vogliano arrivare.” disse James, quella sera quando, con gli amici, era seduto di fronte al camino della Sala Comune.
“Non vogliono arrivare da nessuna parte, James. Sono solo pazzi.” rantolò Sirius, rauco.
Remus lo guardò in tralice.
“Vogliono arrivare da qualche parte, Sirius. Non stanno attaccando i Babbani per passatempo. Vogliono arrivare da qualche parte.” lo contraddisse Remus, in un sospiro grave.
“Si divertono così, Remus. Pensa che i miei antenati per rendere migliori le riunioni di famiglia organizzavano delle simpatiche cacce al babbano!” replicò Sirius, in un ghigno caustico e superficiale.
La faccia di Lily, seduta accanto a lui, tradì tutto il ribrezzo per quella pratica barbara.
“Ehi Lils, non ho detto che ci sono andato! Sai come la penso! Sto solo dicendo che quelli si divertono così...” alzò le spalle, Sirius.
“E' qualcosa di veramente riprovevole, Sirius!” esclamò Peter, rimasto in disparte sino a quel momento. “Ma se avesse ragione lui... e semplicemente volessero “divertirsi”? Prima o poi il Ministero riuscirà a prenderli... voglio dire... dalle loro ultime azioni non sembra che abbiano uno scopo, una qualche finalità, un qualche piano per arrivare da qualche parte. Sembrano solo un gruppo di criminali assassini...” spiegò Peter che, come gli altri, non riusciva a capire la connessione tra le varie notizie che giungevano ogni giorno, tra i massacri e gli attentati e le sparizioni.
“Da qualche parte vogliono arrivare... penso.” Lily si espresse per la prima volta. “Voglio dire... o hanno ragione Peter e Sirius e sono solo un gruppo di pazzi assassini senza scopo o, altrimenti, vogliono arrivare da qualche parte. E tutto quello che succede non è che un modo per seminare panico e terrore, in maniera tale da poter ottenere quel che cercano... ma cosa cercano? Questa strategia semina solo panico... e terrore...Se volessero il potere... voglio dire...se volessero la Nazione...”
Confusione. Non si capiva dove mirassero tutti gli avvenimenti degli ultimi anni.
“Vogliono il potere.” intervenne Remus.
“E' palese.” continuò in una ruga di preoccupazione. “Vogliono arrivare a governare il Paese, è ovvio... cioè, se faccio sparire persone scomode, persone che magari hanno un 'idea della convivenza con i Babbani diversa dalla mia, se rapisco i figli del Ministro è per mandare un messaggio. Tutto il resto, sono chiacchiere. Tutto il resto, tutti gli attentati, tutto quello che fanno contro i Babbani sono chiacchiere. Dietro c'è la volontà di arrivare al potere.”
Remus sospirò, come colpito dal contenuto delle sue stesse parole. Era convinto di quel che aveva detto. Sirius e Peter avevano ragione a dire che le torture e le uccisioni di Babbani erano solo un passatempo. L'importante era altro. L'importante era arrivare al possedimento del Ministero, alla conquista del Paese.
“Remus ha ragione. Rapire i figli del Ministro è un atto che vile, sono solo dei bambini... ma ha un grande significato dimostrativo. Voglio dire... significa che il Paese è vulnerabile, che arrivati lì possono arrivare ovunque. Adesso penso che nessuno li sottovaluti più. Penso che nessuno farà più finta di non vedere... è impossibile non vedere! Il fatto è che tanti, tanti la pensano come loro... quanti, qui dentro, vengono da famiglie come quella di Sirius? Senza offesa, Felpato...” James gli fece l'occhiolino e lo toccò su una spalla, Sirius, consapevole della verità delle parole dell'amico, alzò le spalle. James aveva ragione. Lui non era l'unico tra i loro compagni di scuola ad essere stato educato a quel modo.
“Quante famiglie pensano che i Babbani o i Mezzosangue siano inferiori? Tanti... e alcuni forse non si sono ancora esposti... ma lo faranno. Lo faranno, se qualcuno non ferma questo Voldemort. Lo faranno e la Gran Bretagna, con buona pace della sua Regina, sarà in mano loro.”
“E cosa ne sarà di noi? Noi cosa possiamo fare?” le parole di Peter suonarono come un singulto in quel silenzio.
“Combattere.” rispose Sirius, per primo, negli occhi un'espressione molto più consapevole di quello che aveva animato le sue parole in precedenza, alzando la testa con fierezza.
Non sapeva perchè aveva parlato così prima: per nervosismo, per rabbia, per ridere di qualcosa di cui non c'era da ridere, forse. Certo era che, dal suo punto di vista, combattere contro quei pazzi che la pensavano esattamente come la sua famiglia aveva un significato diverso. Non significava soltanto combattere la sua famiglia, significava lottare contro quel ridicolo pensiero. Aveva senso.
Agli occhi di Sirius aveva molto senso.
“Fare la nostra parte.” ripetè James, con uno sguardo deciso e adulto negli occhi.
Lily annuì, insieme a Remus. Fare la propria parte. Non necessariamente combattere, ma cercare di fare la propria parte per aiutare.
La testa nera ed aggrovigliata di James sbucò dalla tromba delle scale a chiocciola che portavano ai dormitori. Stava scendendo a rotta di collo, per raggiungere i suoi amici, sembrava. Lily e Peter stavano terminando insieme il tema di Erbologia, mentre seduti sul tappeto Sirius e Remus stavano giocando a scacchi e, in quel preciso momento, un pedone di Sirius colpì James sulla fronte, mentre, con profonda frustrazione lasciava il campo alle pedine di Remus che avevano in mano la partita.
“Ho capito! Ho capito!” continuava a ripetere, sventolando l'edizione del Profeta che aveva sottratto dal comodino di Remus.
“So di chi si tratta.” aveva sussurrato piano James, con un tono di voce che non gli era abituale.
Si era avvicinato agli amici e li aveva fatti chiudere a crocchio tutti e cinque.
“C'è Silente dietro alla fenice. E' Fanny, capite? Lui ha mandato Fanny a cantare!” esclamò.
Peter, Sirius e Remus spalancarono gli occhi, sorpresi: come avevano fatto a non pensarci prima?
Quante fenici c'erano? Era un animale molto raro e Silente ne possedeva una. Remus ricordava ancora la prima volta che l'aveva vista, l'estate prima di iniziare Hogwarts. Era stato ricevuto insieme ai suoi genitori dal Preside, il quale era intenzionato a spiegargli tutte le precauzioni che sarebbero state prese per consentirgli di affrontare al meglio le notti di luna piena.
Fanny aveva preso fuoco proprio sotto ai suoi occhi, spaventandolo molto. Era a conoscenza dell'esistenza delle Fenici, ma, essendo un animale considerato dai più quasi estinto (come del resto aveva letto sugli scritti di Scamandrio), Remus aveva strabuzzato gli occhi davanti ad un uccello che si era, letteralmente, suicidato non appena lui aveva posato lo sguardo sulla gabbia.
Pertanto, gli sorse spontaneo un sorrisetto compiaciuto, non appena udite le parole di James.
“Fanny?”domandò Lily, incuriosita. A quanto pareva era l'unica a non sapere nulla di questa Fanny. Remus, Sirius e Peter, invece, avevano l'aria di chi si sta chiedendo come aveva fatto a non pensarci prima.
“Sì, Silente ha una fenice. La tiene nel suo studio. E' stato lui a mandare quegli uomini, è stato lui a mandare Fanny. Silente sta lavorando per fermarli.”spiegò concitato James, desideroso di aggiungere altre parole.
“Wow!” esclamò Sirius
Remus sorrise di nuovo, più apertamente. C'era una speranza. Aveva ragione. C'era una speranza.
“Quindi, in sostanza, Silente è a capo di un gruppo di persone, che non sono Auror, e che hanno scelto liberamente e volontariamente di combattere contro Colui Che Non Deve Essere Nominato?” chiese Peter, utilizzando per parlare di Lord Voldemort la perifrasi che la stampa aveva scelto da un po' di tempo a quella parte.
“Sì, Codaliscia! Non è meraviglioso?” chiosò James, retoricamente.
Era eccitato. La scoperta di quell'avanguardia, la scoperta di quel gruppo che Silente aveva riunito in segreto lo aveva eccitato e, allo stesso tempo, riempito di profondo rispetto per quelle persone. James era certo che, se suo padre fosse stato ancora vivo, Silente gli avrebbe chiesto di unirsi a lui e Charlus Potter non avrebbe rifiutato.
“Dobbiamo unirci a lui!” esclamò Sirius, euforico. Era solo quello che aspettava. Potevano fare qualcosa anche loro. Avrebbero potuto dire a Silente che anche loro erano disposti a combattere.
“Non essere sciocco, Sirius! Silente non permetterebbe mai a degli studenti di entrare!” lo ammonì Remus, a ragione. Nonostante fosse attratto dall'idea, sapeva che non era praticabile, almeno nell'immediato. Ciò che lo attirava di più era la volontà gratuita di chi si mette al servizio degli altri, di chi cerca di fare la propria parte.
“Sirius, siamo solo dei ragazzini!” gli fece notare Peter. Tutta quella faccenda lo terrorizzava. Era ben contento che ci fosse altra gente, oltre agli Auror, a dare filo da torcere ai Mangiamorte ma, se doveva essere sincero, tutta quella faccenda lo spaventava. Sentiva che era qualcosa di molto più grande di loro e non riusciva a capire quanto i suoi amici riuscissero a rendersene conto.
“Ma siamo maggiorenni! Possiamo decidere!” precisò Sirius, allettato e pronto a varcare la soglia dell'ufficio del Preside per affermare di essere della brigata.
“Sirius... se James ha ragione, come credo che abbia, sai anche tu che Silente non permetterebbe mai a degli studenti di entrare. E poi, serve preparazione. Una preparazione che noi ancora non abbiamo.” disse Lily, anch'ella, come gli altri, affascinata dall'idea che Silente avesse creato un gruppo di combattenti, alternativi agli Auror, pronti a combattere contro Lord Voldemort.
“Remus e Lily hanno ragione, Felpato.” convenne James. “Adesso non possiamo fare niente. Possiamo solo aspettare.”
“Bè, manca poco. Tra un anno saremo dei loro!” esclamò Sirius con impeto, forse non pienamente consapevole di tutto, ma solo molto irruente e desideroso di impegnarsi.
“Jamie, Rem, Peter... so che voi ci state. E tu, Lils?”
“James... Lily, posso parlarvi un attimo?” al termine della riunione, Kingsley Shackebolt, Prefetto del quinto anno di Tassorosso si avvicinò alla cattedra, dove Lily e James stavano riordinando alcune carte.
“Certo, dimmi pure, Kingsley.” sorrise Lily
“Archie Lufkin, come sapete, è nella mia Casa... e siamo buoni amici. Vorrebbe chiedere a Silente se può tornare a casa. I suoi genitori, dice, potrebbero aver bisogno di lui. Vorrebbe che io che sono un Prefetto “intercedessi” in qualche modo. Ma a me non sembra una cosa molto sensata, voglio dire, Hogwarts è sicura. Il castello è protetto e gli insegnanti, in caso di estrema necessità saprebbero come difendere la scuola e, se necessario, evacuarla. Non penso che dovrebbe andare via... per lui è più sicuro stare qui. Non può fare niente per collaborare alle ricerche.” Kingsley finì di parlare. Parlò in fretta, come era sua consuetudine, e con saggezza. James lo riteneva molto maturo per i suoi quindici anni e, tra il resto dei Prefetti, era uno di quelli con si trovava meglio. Si poteva scherzare con lui, ma allo stesso tempo era un valido collaboratore. Non parlava molto, ma quando lo faceva era sempre per schiarire le idee.
“Hai ragione, Kingsley.” annuì James. “E' più sicuro che resti qui. Hogwarts è sicura e lui non può certo aiutare gli Auror! Senza contare che, rimanendo qui, anche i suoi genitori possono essere più tranquilli. Parleremo a Silente, se vuoi, iniziando ad accennargli questa volontà di Archie perchè lo convinca a desistere.” spiegò James
“So che il Ministro e sua moglie sono stati qui, ieri. Penso che Silente concederà loro il permesso di venire qui più spesso per stare con Archie.” intervenne Lily, anche ella colpita da quanto aveva appena detto Kingsley Shackebolt.
“Grazie, sapevo che mi avreste aiutato! Archie deve restare qui. E' più sicuro, per tutti!” esclamò Kingsley, in un sorriso, accomiatandosi così dai due.
James e Lily rimasero in silenzio per qualche minuto, occupati dalle carte da ritirare, dai verbali da firmare e dai loro pensieri.
“Lily... tu hai paura?” James ruppe il silenzio. Alzò la testa e fissò Lily, alla sua sinistra.
Lily abbassò lo sguardo: qualcosa era diverso negli occhi di James. Erano maturi.
“Non sarebbe saggio non averne, non credi?” gli rispose, a testa bassa. Non voleva incontrare i suoi occhi perchè, in realtà, Lily avrebbe tremato di paura.
“Hai ragione. Non sarebbe saggio non averne.” convenne James, fattosi più vicino, tallonando con la sua anca il fianco di Lily.
“Sai qual è la cosa che mi fa più paura, James? Il fatto che non si può avere paura di vivere, ma ce ne stanno mettendo. Vorrei avvertire i miei genitori, perchè Voldemort può colpire dovunque. E loro potrebbero trovarsi lì in mezzo, con l'unica colpa di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. Con l'unica colpa di vivere. Ma non posso dire a mia madre di non andare a fare la spesa e a mio padre, che ogni giorno litiga con le Trade Unions di andare in pensione prima del tempo e a mia sorella, che pure mi disprezza perchè io sono una strega, che pure so essere invidiosa di me, che pure mi chiama mostro, di non andare a fare spese in Oxford Street perchè un pazzo potrebbe ucciderli. Non posso impedire loro di vivere. Quello che mi terrorizza, James, è questo. Non si può avere paura di vivere. Ma quello che sta succedendo ci fa ghiacciare il sangue nelle vene. E ho paura, perchè non so cosa succederà. Perchè non so come fare per proteggere la mia famiglia, che è ignara di tutto, che non può capire tutto. Perchè non so come fare a difendere nemmeno me stessa, perchè so che dovrò fare la mia parte. Per me stessa, per tutti. Devo fare la mia parte.” Le parole le erano uscite in fretta dalla bocca, come se fossero rimaste chiuse, confinate nella sua mente per troppo tempo e potessero, finalmente, liberarsi nell'essere dette a qualcuno. Lily aveva tirato fuori tutti i suoi timori. Aveva paura per se stessa, perchè non aveva idea di cosa sarebbe stato di lei una volta finita Hogwarts; aveva paura per la sua famiglia, che non poteva capire e che, allo stesso tempo, non poteva proteggersi.
James le aveva circondato le spalle con un braccio, in silenzio. Non c'era poi molto che lui potesse dire o fare. Era spaventato quanto lei. Era consapevole quanto lei delle difficoltà cui stavano andando in colpo. Era disorientato quanto lei.
Dopotutto, si chiese, era possibile non essere disorientati in quella situazione. Forse soltanto con l'avventatezza sarebbe stato possibile.
“Io ho paura, Lily. Ho paura perchè ho già perso mio padre. Ho paura di perdere mia madre. Ho paura...perchè so che Sirius prima o poi farà una sciocchezza che gli costerà caro. Ho paura per Remus, perchè questi lo vogliono morto. Ho paura per Peter, perchè è fragile ed ha bisogno del nostro sostegno. Ho paura per te, perchè vorrei che tu fossi felice. Ma so che voglio combattere. Voglio fare la mia parte. E' giusto.” spiegò James, senza vergognarsi di ammettere le sue debolezze.
I suoi punti deboli, la sua vulnerabilità stava proprio nell'affetto che lo legava alle persone per lui più importanti e mai si era sentito altrettanto determinato nel voler proteggere quegli affetti.
“Silente ha lanciato la sua sfida col canto di Fanny: c'è chi combatterà e non si arrenderà. Morirà se è necessario! Voglio combattere anch'io, Lily, lo voglio!” esclamò James, con impeto.
Nonostante la serietà del momento,Lily non riuscì a trattenere un sorriso orgoglioso: era a conoscenza dei progetti di James.
James quell'anno stava mettendo molto impegno nello studio: i suoi voti avrebbero dovuto essere eccellenti in Difesa contro le Arti Oscure per poter essere ammesso all'Accademia per Auror. Sarebbe diventato un Auror, come suo padre, ed avrebbe presto fatto la sua parte, dato il suo contributo a quel Paese straziato.
“Sarai un'Auror eccellente, James.” gli sorrise.
Lui la ringraziò e continuò a parlare:
“Vorrei dirti che non abbiamo il tempo di aspettare e che non ho sufficiente pazienza: mi tocca purtroppo ammettere soltanto che quella che mi manca è la pazienza. Non sono così avventato da sostenere di essere pronto a combattere, ho ancora tanto da imparare. So che questi mesi di scuola che ci restano, ci serviranno. La McGranitt, Vitious e Lyons- Rutt stanno seguendo sempre meno il programma e sempre più ci stanno insegnando qualcosa che là fuori ci potrà servire. Ho bisogno di apprendere il più possibile e l'Accademia mi servirà. Voglio diventare un Auror. Se le cose fossero diverse, forse, proverei seriamente a giocare a Quidditch... lo vorrei tanto, sai, Lily? Magari potrei riuscirci per davvero... però non è il tempo. Adesso devo fare la mia parte. E non ho intenzione di catapultarmi da Silente e dirgli che so tutto e che voglio entrare nell'Ordine della Fenice. Voglio aspettare di essere pronto. Pronto per davvero. Solo allora potrò davvero fare la mia parte.”
Lily gli sorrise, orgogliosa. James, James stava diventando ogni giorno sempre più maturo. Stava diventando un uomo. Stava tirando fuori, ogni giorno, qualcosa di più per essere sempre più simile a quanto Lily immaginava avrebbe potuto diventare.
Si era fatto più paziente e più riflessivo. Stava imparando a dosare l'intemperanza e a sostituirla con un po' di ragionamento in più. E poi, quella che per Lily era la sua qualità migliore, era buono. James era buono e soltanto quello, a parer di Lily, gli faceva meritare di essere apprezzato e stimato.
“Sono fiera di te, James.”gli sorrise Lily, non sapendo trovare altre parole, ma stringendogli così forte la mano che lui non potè in alcun modo fraintendere, ma anzi, James la sentì ancora più vicina.
“E tu, Lily? Tu cosa vorresti fare una volta uscita da Hogwarts?”le domandò James, dopo averle baciato una guancia. “E che cosa vorresti fare se... se potessi?”
“Oh... io?” rise Lily, alzando la testa e muovendo la mano per aria.
“Oh...ci sarebbero un sacco di cose che vorrei fare, sai?” cominciò con un entusiasmo che fece sorridere anche James.
“Vorrei tanto lavorare al Profeta, mi piacerebbe fare la giornalista, sai?” James le guardò gli occhi che brillavano. Non lo sapeva. Nonostante conoscesse Lily da un po', non aveva mai saputo di questo suo interesse. Si chiese se dipendesse dal fatto che avesse prestato poca attenzione a lei o a quello che diceva o se, invece, Lily custodisse per sé quel desiderio.
“Oppure... oppure mi piacerebbe approfondire lo studio dell'arte delle Pozioni. C'è una buona scuola di Alchimia a Wickford, sai? Se potessi permettermelo, vorrei frequentare l'Académie Francaise des Etudes des Alchimie a Orléans... ma non ho né le possibilità economiche né il tempo.” ammise subito Lily, contraendo la sua espressione. James si morse la lingua. Sapeva che a Lily avrebbe fatto piacere potersi specializzare in Pozioni. Avrebbe significato poter coltivare il suo talento. Era portata per lavorare sulle pozioni e avrebbe potuto imparare tanto e, perchè no, dare il suo contributo alla ricerca che studiava sempre nuove combinazioni che potessero non solo migliorare la vita, ma anche salvarla, come era il caso dell'alchimia applicata alla medicina.
“Devo fare la parte. E così cercherò di fare. Mi piacerebbe lavorare sulle pozioni curative. Su qualcosa che possa aiutare qualcuno. Vedi, James, adesso conto di diplomarmi al meglio che posso e poi penso che mi iscriverò alla scuola di Wickford. Lavorano anche per il San Mungo, molti docenti sono dei curatori. Penso che in questa maniera potrei fare la mia parte anche per quanto riguarda questa guerra invisibile. Non come te, che cerchi i cattivi e li combatti, ma nelle retrovie. Posso lavorare su qualche lozione curativa, posso studiare come migliorare quelle esistenti; posso studiare qualche arma in più di cui dotare gli Auror. Penso che questa sarà la mia parte.” concluse Lily. Se la situazione fosse stata diversa, forse avrebbe studiato Alchimia solo per interesse, per soddisfare una sua curiosità.
In quel momento, tuttavia, Lily era certa che ciascuno dovesse fare la sua parte.
James la guardava, ammirato. Lily aveva parlato con sicurezza. Era risoluta. Sapeva cosa voleva e come ottenerlo. Si stava facendo donna davanti a lui, senza quasi che lui se ne rendesse conto, tanto il processo si stava compiendo con naturalezza. Per un attimo a James sovvenne alla mente la ragazza che aveva conosciuto, con cui si era ritrovato a parlare esattamente un anno prima. Era Lily, era sempre lei. Ma prima non sorrideva in maniera così aperta, prima non mostrava quella sicurezza nel parlare, prima spesso abbassava lo sguardo.
Adesso la vedeva serena, felice e, se non fosse per peccare di presunzione, James era consapevole che in parte fosse merito suo. E dei Malandrini, naturalmente.
“Sono orgoglioso di te, Lily Evans. Farai grandi cose.” le sussurrò James, in un orecchio.
“Sono orgogliosa di te, James Potter. Farai grandi cose.” Lily usò le stesse parole di James, perchè altre non le sarebbero parse altrettanto appropriate.
Lo strinse forte, aggrappandosi a lui. James ricambiò la stretta con un delicato bacio sulla guancia.
Prima di tutto, grazie a Xela, Shine, Piovra e Lucy per aver recensito con parole così belle; in seguito, vorrei precisare che nel richiamo di James alla Regina non so esattamente cosa ci sia dietro: è qualcosa che è uscito così e che così doveva restare. Penso che la Comunità Magica sapesse che la Gran Bretagna era parte del Commonwealth e che era uno stato monarchico. Inoltre, se il Primo Ministro Babbano sapeva della Comunità Magica (cfr HP6) penso proprio che ne fosse a conoscenza anche la famiglia reale, o almeno così mi piace pensare. E poi, perchè non potrebbe essere che la Regina regni sia sulla Comunità Babbana che su quella Magica? In un millennio monarchia, dite che è impossibile che un membro della famiglia reale abbia frequentato Hogwarts? ;-)
Non so chi fosse il Ministro della Magia in quegli anni, il Lexicon non lo dice, parla solo di una tale Bagnold dal 1980 al 1990, pertanto ne ho inventato uno prendendo a prestito il cognome di un Ministro della Magia ottocentesco. Anche in questo caso, comunque, ci sarà qualche sconvolgimento dato che sappiamo che Barty Crouch ha avuto molta influenza in quegli anni...
Quanto a Kingsley Shackebolt, sappiamo che lui conosceva Lily e James ma che non era parte dell'Ordine durante la prima guerra o che, quantomeno, non ne era parte al tempo in cui fu scattata la fotografia che viene mostrata ad Harry. Pertanto, penso che lui avesse conosciuto Lily e James a scuola, magari proprio perchè era un Prefetto e loro Caposcuola e che poi, eventualmente, li abbia incontrati nuovamente durante il 1981 o il 1980, magari si può essere unito all'Ordine soltanto in un secondo momento, terminata Hogwarts, appunto...comunque sia,mi piace pensarlo a Tassorosso, grande e grosso com'è!
Spero di aver fatto un buon lavoro con questo capitolo,soprattutto nelle espressioni e nei pensieri dei protagonisti. Spero che tutto vi paia plausibile date le loro personalità. Non sono molto convinta di alcune cose, ma so che non riuscirei a fare diversamente.
Non abituatevi a quest'aggiornamento rapido che, ahimè, l'università mi stressa assai...
A presto!
Jomarch
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Capitolo 34 *** Capitolo Trentaduesimo ***
CAPITOLO TRENTADUESIMO
All your dreams are made
Of Strawberry lemonade
And you make sure
I eat today
You take me walking
To where you played
When you were young *
-Talk Tonight, Oasis-
*Tutti i tuoi sogni sono fatti
Di limonata di fragole
E tu ti sei accertato
Che io oggi abbia mangiato
Tu mi hai portato a camminare
Dove tu eri solito giocare
quando eri piccolo
DICEMBRE 1977
“Remus...” Lily lo chiamò, distogliendo lo sguardo dal nulla che stava fissando da un po'. Remus alzò la testa dal libro di Letteratura Runica e si rivolse a lei.
Lily non riusciva a studiare in biblioteca, si metteva a fissare la gente e si distraeva. Inoltre, e Remus lo aveva imparato a proprie spese, lei, proprio come Sirius, era incapace di rimanere concentrata e studiare seriamente se era in compagnia di qualcuno. Lily era la prima a perdersi in fantasie, non appena loro cinque si riunivano per ripetere insieme le lezioni o riprendere alcuni concetti. Sirius poi la seguiva a ruota e cominciavano coi loro discorsi fantasiosi su musica Babbana o angoli del mondo che avrebbero voluto visitare o associazioni casuali tra i contenuti dei loro libri di testo e l'accozzaglia di idee delle loro menti. Una volta erano riusciti persino, con somma vergogna di Lily che al petto portava appuntata la spilla di Caposcuola, a farsi cacciar via da Madama Pince, mentre Sirius riempiva la Biblioteca con la sua risata simile ad un latrato.
Pertanto, quando si sentì chiamare, Remus capì immediatamente che il tempo dello studio era ormai finito. Non che la cosa gli dispiacesse, sia chiaro.
La fissò per un attimo, in attesa che lei parlasse. Era sempre sul punto di dire qualcosa, Lily, quando lo chiamava con quel tono.
“Era tanto che te lo volevo dire... Avevi ragione su James.” gli disse, a voce bassa, con un'espressione gioiosa negli occhi.
Anche Remus si aprì in un sorriso. Stava intuendo quel che stava accadendo tra Lily e James e, a suo parere, nessuno era indicato per l'uno più dell'altra e viceversa. Si stavano facendo del bene a vicenda.
Gli sovvenne alla mente la conversazione che avevano avuto quasi un anno prima, in Infermeria. Aveva raccontato a Lily come lui e James erano diventati amici e le aveva suggerito di dare una possibilità a James, difendendolo a spada tratta.
Avrebbe voluto dirle che era felice, che tutto sarebbe andato a posto, invece inclinò le labbra in un sorriso e disse:
“Lo so.”
Lily ricambiò il sorriso ed aggiunse:
“Che vecchia strega di palude, che sei, Remus Lupin... anzi, Lunastorta! Sempre lì, con quel sorrisetto da SoTuttoIo-SonoLaPerfezione!” esclamò, per sdrammatizzare.
“Penso che ultimamente, Lily carissima, tu stia passando fin troppo tempo con James. E col suo pulcioso amico a quattro zampe dal pelo nero. Comunque, erri. Io non credo di essere la perfezione. Io sono, la perfezione.” Remus ricambiò la leggera stoccata facendola ridere e, pensando, che, in fondo, alla malinconica Lily dell'anno prima preferiva questa che aveva davanti. E di molto.
“Torni a casa per Natale, Rem?” gli chiese poi, quando le frecciate si erano concluse con una risata da parte di entrambi.
“Sì, certo. Il castello non mi è mai sembrato così accogliente come di questi tempi. Tuttavia ho voglia di vedere mia madre ed i miei nonni, inoltre sono sicuro che qualche volta con gli altri potremo organizzare qualcosa... Perchè? Hai forse intenzione di non tornare?” le domandò sorpreso. Che lui sapesse, Lily non aveva mai fatto menzione di non voler rientrare a casa per le vacanze.
“Oh no, no... Certo che no! Torno, non potrei non farlo! Te l'ho chiesto per curiosità...Scusa.” Lily si zittì all'improvviso e Remus non sapeva con precisione come gestire quel silenzio. Intuì che sotto le parole di Lily ci fosse dell'altro, tuttavia non osò indagare.
Lily gli aveva confidato più volte le paure per la propria famiglia e anche, sebbene non in maniera approfondita, delle difficoltà nel rapporto con la sorella. Remus pensò che, forse, era accaduto qualcos'altro, ma non voleva essere indiscreto.
“Se ti va di fare un giro a Diagon Alley proprio la Vigilia, potresti aiutarmi a cercare un regalo per mia madre.” le disse infine, dopo un minuto di silenzio.
Le visite ad Hogsmeade erano state interrotte il mese prima e ancora non era concesso rimettervi piede. Dal momento che era facile riconoscerli come studenti, non era possibile recarsi ad Hogsmeade attraverso il passaggio segreto che conduceva a Mielandia. James e Sirius avevano pensato di preparare la Pozione Polisucco ma erano stati fermati non tanto dal senno, quanto dal fatto che ci volesse circa un mese prima che fosse pronta e così la pigrizia l'aveva avuta vinta dal momento che, parte di loro, pur conscia della gravità della situazione, sperava che prima della ripresa delle lezioni nell'anno nuovo Silente revocasse il divieto.
“Oh sì, con piacere! A mia madre piacerebbe tanto un libro di cura dei fiori preso dal Ghirigoro! Devi sapere che, da quando ho raggiunto la maggiore età mi fa preparare qualche intruglio per le sue piante... e funzionano!” Lily sperava di far felice sua madre con quel pensiero. Ai suoi genitori faceva sempre piacere ricevere doni provenienti dallo strano mondo di Lily.
Lily si morse la lingua. Era qualche giorno che si chiedeva se avesse dovuto pensare a qualcosa per Petunia, ben certa che la sorella non avrebbe ricambiato.
Stava per dire qualcos'altro a Remus, ma, improvvisamente sbucò da dietro l'angolo la sagoma grassoccia di Peter che, tuttavia non li vide. Era impegnato ad esplorare la biblioteca in lungo e in largo cercandoli, con le braccia cariche di libri e pergamene.
“Pete, che ci fai qui?” Remus alzò troppo la voce e la bibliotecaria gli scoccò un'occhiata antipatica. Lui la ignorò e corse dall'amico.
“Eccovi qui!Vi cercavo! James è andato agli allenamenti di Quidditch e Sirius sta facendo la mappa astrale, solo che mi sta facendo venire il nervoso a furia di sbattermi addosso i filetti di gomma che perde cancellando e così ho pensato di venire qui a studiare con voi. E' veramente irritante quando ci si mette!” spiegò Peter, lasciando cadere con un sonoro tonfo i libri di Astronomia e la pergamena sul tavolo: il Solstizio d' Inverno sarebbe stato l'ultimo giorno di lezione prima delle vacanze natalizie ed il professor Hudos desiderava che preparassero una mappa astrale del sistema solare settimana per settimana.
Remus ridacchiò e fece accomodare Peter accanto a sé.
Lily continuò a studiare un po' con loro ma il tarlo che si era insinuato in lei prima dell'arrivo di Peter continuava a tenerle la mente occupata.
Improvvisamente chiuse il libro e si alzò, davanti agli sguardi perplessi dei suoi amici.
Bofonchiò qualche parole di scusa, lasciandoli in Biblioteca e, nell'uscire, inciampò parecchie volte sui suoi stessi piedi.
La strada per la Torre di Grifondoro le parve infinita, seppure cercò di camminare il più velocemente che le concedesse la tracolla piena di libri.
Entrò correndo e facendo voltare qualcuno, con gli occhi che vagavano per la stanza, verso la poltrona dove lui sedeva di solito.
Lo vide accucciato, con la schiena bassa e la pergamena sulle ginocchia, matita in bocca, che si grattava la testa.
Si avvicinò e lo sentì sbuffare dal nervoso.
“Sirius... posso farti una domanda?” Lily lo guardò, cauta, come se l'agitazione e la fretta che l'avevano condotta lì fossero svanite non appena si trovò di fronte a lui.
Sirius la osservò e chiuse la mappa astrale che stava preparando.
Si ricompose, assumendo una posizione decisamente più comoda e fissò lo sguardo su Lily.
“Certo Lils, perchè no?” Il tono che Lily aveva usato l'aveva incuriosito. Quando usava quel tono e quando chiedeva se poteva fare una domanda, Lily implicitamente, domandava attenzioni. In punta di piedi, Lily chiedeva se si poteva parlare, perchè la matassa dei pensieri era troppo ingarbugliata da sbrogliare da sola.
Sirius, osservandola quando faceva così, aveva l'impressione di vedersi allo specchio. Anche lui usava quelle parole quando aveva bisogno di rassicurazioni e conferme. Conoscendola stava scoprendo non solo di essere stato troppo affrettato nel giudicarla duranti gli anni precedenti ma, soprattutto, che, per un certo verso, lui e Lily si assomigliavano.
“Ti va di fare due passi?” le chiese subito dopo.
Lily annuì: non era particolarmente ansiosa di passeggiare per i corridoi del castello o nel parco con quel freddo ma aveva bisogno di parlare con Sirius. Pertanto fece una corsa a prendere il suo mantello e, in un attimo, lo raggiunse all'imboccatura del tunnel per uscire dalla Sala Comune.
Camminarono in silenzio fino al grande portone d'ingresso. Sirius volle uscire nel parco. L'erba era ghiacciata. Non c'era stata ancora nessuna delle grandi nevicate scozzesi del tardo autunno. Solo un po' di lieve nevischio, scioltosi non appena un timido raggio di sole era comparso dalle nuvole la mattina seguente.
Lily ricordò che una volta Sirius le aveva detto che i centauri ritenevano che grossi cambiamenti climatici si registravano prima di una catastrofe. Le era venuto spontaneamente da sorridere, quella mattina quando, alla sua esclamazione di sconforto perchè la neve non era rimasta, Sirius aveva risposto a quel modo.
“Forse non ci saranno grandi nevicate quest'anno. I centauri dicono che il clima cambia, prima di grandi sconvolgimenti, prima della catastrofi.”
Lily stava per scoppiare a ridere e per dire qualcosa che avrebbe potuto suonare come: “Oh, andiamo! Ma chi crede alla Divinazione?”. Aveva ragione la McGranitt: era solo tempo sprecato.
Tuttavia Lily rimase zitta, con le parole rimaste in fondo alla gola e con il sorriso ghiacciato sulle labbra.
Peter, James e Remus avevano risposto con un grave silenzio alle parole di Sirius. Con lo sguardo basso, cercavano di fingere di non aver sentito.
Lily avvertì la sensazione di non essere al corrente di qualcosa che i ragazzi, invece, avevano vissuto e non dimenticato.
Non fece domande. Rimase a suo posto per qualche istante, sino a quando James si rialzò dicendo:
“Andiamo o faremo tardi. Come dice sempre Remus, la Divinazione è imperfetta.”
Nel ricordare la scena, Lily fu colta da un tremito. C'era qualcosa che non le avevano detto, così come era chiaro che per James, Remus e Peter le parole di Sirius avevano un significato particolare.
“Tutto a posto, Lils?” Sirius si era accorto che Lily si era stretta nel mantello, aggrottando le spalle.
Osservò il suo alito colorarsi di bianco. Forse stava arrivando il freddo, quello vero. Forse quella cosa che aveva detto un paio di settimane prima quando Lily mostrava il suo disappunto per la mancanza della neve non era vero. Forse sarebbe andato tutto a posto.
Il Marchio Nero. Forse suo fratello aveva il Marchio Nero.
Lily gli toccò improvvisamente il braccio e lui si riscosse. Lily, Lily aveva bisogno di parlargli.
“Lils... scusa. Stavo pensando. Siamo venuti fin qui perchè volevi dirmi qualcosa... giusto?”
Lily annuì. Prima di parlare abbassò la testa, fissò l'erba ai suoi piedi e poi si rialzò il capo e guardò Sirius.
“Sirius, come si fa a passare sopra al fatto che tua sorella ti odia? Al fatto che tu non l'hai più, una sorella?”
Sirius poteva capire, ne era certa.
Aveva provato a farlo con James. James capiva sempre tutto... James la capiva. Tuttavia, quella volta non c'era riuscito. O meglio, James sapeva come lenire la ferita guardando avanti e provando a farla guardare indietro il meno possibile. Ma Lily, per poter andare avanti, doveva guardare indietro, ancora un po'.
META' NOVEMBRE, 1977
“James...” lo chiamò, proprio quando lui stava aprendo la porta dell'aula che aveva ospitato la riunione coi Prefetti.
Lui si voltò, aggiustandosi gli occhiali sul naso e scompigliandosi i capelli.
“Ti ricordi quando ti avevo detto che un giorno ti avrei raccontato tutto?” Lily si morse la lingua. Sperava che James comprendesse l'allusione. Ripetere avrebbe reso tutto più difficile.
“Sì, certo.” confermò James avvicinandosi.
“Lo voglio fare ora. Se hai voglia di ascoltarmi.”Lily allungò le mani, come a volerlo avvicinare a sé.
“Lily non devi... Non devi farlo solo per me. Devi farlo solo se te la senti. Tra noi non cambia nulla.”James provò a rassicurarla: non doveva parlare per forza. Cercò di pensare alla possibilità di aver detto qualcosa che potesse aver portato Lily a sentirsi costretta a raccontare.
“Voglio farlo, James. Devo farlo. Non voglio che ci sia del non detto tra noi.” precisò Lily, stringendo i pugni.
“Allora sono qui per ascoltare.”le sorrise.
Lily lo guidò sui banchi e si sedette su uno di essi, incrociando le gambe, incurante della sconvenienza della posa. James le si sedette accanto
“Ho scoperto di essere una strega quando me l'ha detto Severus... sai? Certo che lo sai... Te l'ho già raccontato! Sono una persona ripetitiva! Petunia ha iniziato a definirmi un mostro non appena mi è arrivata la lettera... e io non capivo. Non capivo come mai, non le avevo fatto nulla. Eravamo sempre insieme fino al giorno prima! Poi, un giorno io e Severus trovammo una lettera nella sua stanza: scrisse a Silente per chiedergli se poteva venire anche lei ad Hogwarts, se non ci fosse stato un errore e fosse anche lei una strega. Ovviamente il Preside, pur nella sua cortese risposta, le disse che non c'era stato alcun errore: lei non era una strega ed avrebbe, in ogni caso, dovuto essere felice per me. Davanti a me Petunia negò di aver scritto quella lettera. Ma io sapevo... l'avevo letta, me l'aveva fatta leggere Severus dopo averla rubata dalla sua stanza. “Mostro! Mostro!” mi diceva. E' stato il saluto che mi ha rivolto prima che salissi sull' Espresso... Non so se ti ricordi, ma avevo gli occhi arrossati quel giorno.” Lily si fermò un attimo, come persa del ricordo.
Non era facile parlare, raccontare tutto a James. Sapeva però di doverglielo. Molte volte era stata reticente o aveva abbozzato qualche parola, qualche mezza verità. James sapeva che non andava d'accordo con sua sorella ma lei non aveva mai rivelato nulla di più.
Sapeva di doverlo fare. Il rapporto fra loro era molto stretto e lei era arrivata a fidarsi di James più di chiunque altro. Sapeva che quella fiducia non era mal riposta e sapeva di doverglielo dire. Era qualche tempo che era consapevole di doverlo fare: non voleva che il loro rapporto avesse alla base un qualcosa di non detto. Non se lo meritavano. E non voleva che quel non detto potesse guastare le cose tra loro.
James si era limitato ad ascoltare. Le aveva detto che non doveva farlo per forza. Non era costretta a parlare, se non se la sentiva.
Immaginava che fosse doloroso per lei e non voleva esporla ad altra sofferenza.
Lily aveva insistito, convinta e lui le aveva preso la mano.
“Vorrei non credere che Petunia mi odi davvero. Però è difficile. Non mi scrive mai... prima le mandavo sempre delle lettere. Al primo e al secondo anno allegavo sempre una lettera apposta per lei a quella che mandavo ai miei genitori. Le raccontavo tutto quello che succedeva, tutto quello che facevo, tutto quello che mi sorprendeva: l'arrivo dei gufi la mattina a colazione, i primi esperimenti con le pozioni, i primi incantesimi riusciti e quelli falliti... I graffi ad Erbologia e le cadute delle lezioni di volo. Oh e poi i quadri... i personaggi dei quadri che se andavano, quando erano stufi di star dentro la loro cornice. E le cioccorane... le cioccorane che saltavano! Le scrivevo tutto...Tutto!Lei non ha mai risposto.” Lily alzò le spalle e si fermò un attimo prima di riprendere.
“E quando tornavo a casa...quando tornavo a casa non mi parlava. Lo faceva solo se costretta. E' così da quando mi è arrivata la lettera, ormai sei anni fa. Vorrei credere che non mi odi, ma è difficile.”
“Lily... mi dispiace.” James si vergognò di se stesso perchè le uniche parole che riusciva a dire erano quelle e, forse, non erano di molto aiuto a Lily.
“Qualche volta ho creduto davvero di essere il mostro che lei descriveva. O meglio, non un mostro perchè sono una strega... ma un mostro perchè non riuscivo a comprendere il suo senso di esclusione, perchè non riuscivo, qualunque cosa facessi, a farla sentire mia sorella ugualmente.”
“Lily... tu hai fatto tutto il possibile. E anche di più. Non è colpa tua. Non è colpa tua.” sussurrava James, accarezzandole una spalla.
“Lo so. Adesso lo so che non è colpa mia. Anche Sev me lo diceva... dopo averla insultata, ovviamente. Non ho mai tollerato che lui la insultasse. Io potevo farlo, è mia sorella. Lui no.” disse, dura e con un velo di rabbia nella voce.
James non credette di riuscire a dirlo o anche solo a pensare a qualcosa del genere ma, dopo tutto quello che Lily gli aveva raccontato, non potè, per una volta, che essere d'accordo con Severus Piton, la persona che più disprezzava al mondo.
Anche lui in quel momento avrebbe insultato volentieri Petunia Evans per tutto il male che aveva fatto e che stava facendo a Lily.
“Piton aveva ragione... a dirti che non è colpa tua.” aggiunse.
Lily annuì, cacciando via una lacrima.
“Sì, lo so. Non è colpa mia. Ho fatto tutto il possibile. E' solo che non vorrei che fosse tutto così difficile. A volte credo che, nonostante tutto, passerò la vita a cercare di ritrovare Petunia. Eravamo così legate...”Lily sospirò.
“C'è stato un momento, la scorsa primavera in cui ho creduto che fosse tornata, sai?” Lily si morse la lingua. Forse avrebbe dovuto tacere. Quel pomeriggio, quando Petunia l'aveva trovata a singhiozzare sulle scale e le aveva offerto aiuto era il giorno in cui Lily aveva saputo della morte del padre di James.
Ormai aveva parlato. Si morse nuovamente la lingua. Vide gli occhi di James, ansiosi di sapere come sarebbe andata avanti la storia.
Non poteva rimangiarsi tutto, pertanto scelse di omettere la parte in cui ricevette la lettera di Remus che annunciava la morte di Charlus Potter. Non voleva far tornare James a quei giorni, a quell'angoscia.
“Le dissi che ero spaventata per tutto quello che stava succedendo, per Voldemort... che avevo paura per loro. Per un attimo sembrò che capisse. Mi stava consolando, sai James?” Lily inghiottì un po' di saliva.
“Peccato che poi mi ha suggerito di lasciare Hogwarts per tornare a vivere con lei, tra i Babbani. Non ha capito... mi ha posto davanti ad una scelta: se volevo mia sorella, avrei dovuto lasciare il mio mondo e, secondo lei, la presenza di Voldemort è direttamente collegata al fatto che siamo solo dei mostri, degli anormali. Avevo sperato che capisse. Invece per lei resto sempre un mostro.
“Fa' la tua vita, Lily. Fa' come vuoi, ma non trascinarmici più dentro.” Qualcosa del genere, mi ha detto...” Lily sospirò, portandosi una ciocca di capelli rossi dietro le orecchie.
James, senza dire una parola, le prese la mano. Lily lo ringraziò per non aver detto nulla e si appoggiò a lui.
“Forse” cominciò James dopo qualche istante “Forse è solo invidia, non credi? Se come dici scrisse quella lettera a Silente per chiedere di essere ammessa ad Hogwarts, è solo invidiosa di te. Non crede realmente che tu sia un mostro, un'anormale... è il suo modo per non ammettere di essere invidiosa marcia di te.” disse James, faticando a contenere la rabbia.
Ci stava che Petunia fosse invidiosa. Era comprensibile. Ma come si faceva a rivolgere quelle parole alla propria sorella?
Mostro, anormale... Feccia, Traditore del Sangue. Cambiava molto tra quello che Lily si sentiva dire e quanto veniva apostrofato a Sirius?
James conosceva già la risposta e, ancora una volta, si stupì di quanto la gente sapeva essere crudele. Di quanto una madre, un padre, una sorella, un fratello potevano essere crudeli.
Per lui, il viziato, coccolato ed amato primogenito ed unico erede dei Potter era incomprensibile e si stava pian piano rendendo conto di come la vita fosse stata giusta con lui ma tremendamente ingiusta con le persone che amava.
In un attimo si sentì più adulto.
“Sì,hai ragione, James. Probabilmente è solo invidia. Però fa male.” Lily si strinse nelle ginocchia.
James seppe solo continuare ad accarezzarle i capelli.
“Lily... mi dispiace. Mi dispiace. Però forse devi provare a voltare pagina.”
“Sì ma...” provò a intervenire Lily.
“Voglio dire... ti ho visto cambiare tanto quest'anno. E so cosa puoi diventare. Conosco le cose belle che hai e le cose belle che sei. E hai noi, me ed il resto dei Malandrini. Ci siamo noi adesso. E tu sei una persona splendida, Lily... hai così tante buone qualità. Prova a guardarti con gli occhi degli altri... con i miei occhi, che vedono una splendida giovane donna buona e gentile e sempre con un sorriso per tutti. O con gli occhi di qualcuno dei ragazzini dei primi anni che aiuti sempre o, per quanto odioso sia, con gli occhi di Lumacorno, che in te vede una perfetta strega. Sei una persona meravigliosa, Lily... accorgiti di stessa.” nel dirlo James le aveva preso il mento tra le dita e l'aveva guardata fisso negli occhi. Lily doveva pensare al bello che aveva e lui le avrebbe mostrato ogni giorno tutto il bello ed il buono che c'erano.
“Sì ma per mia sorella resto sempre un mostro.” Tutto quello che James diceva era vero e Lily lo riconosceva, tuttavia non le bastava a togliersi da dosso quella spiacevole sensazione.
“Lily... devi provare ad andare avanti. Renditi conto di quanto vali! Io sono qui per aiutarti a capirlo, se vorrai. Io ti tengo la mano. Te la tengo forte.” James le strinse la mano e Lily ricambiò la stretta.
“Grazie, James. So che tu hai ragione. Grazie di tutto, grazie per quello che fai per me. Grazie davvero. So che tu hai ragione, devo andare avanti. Devo farlo per me stessa. E adesso sono più consapevole di me stessa e di cosa voglio, di dove posso arrivare.” convenne Lily, senza smettere di stringergli la mano.
“Quello che mi chiedo è se mi porterò il peso di questo rifiuto per tutta la vita.” lasciò per i suoi pensieri questa riflessione, senza comunicarla ad alta voce.
Sirius proseguì a camminare. Non rispose subito alla domanda di Lily.
“Penso che non sia possibile passarci sopra, mai del tutto. Ti resta sempre dentro qualcosa. Una traccia.” pronunciò piano quelle parole e Lily suppose che gli ci volle molto coraggio per tirarle fuori. Era come se fossero incastonate dentro di lui da molto tempo.
“Sì, lo credo anch'io.” gli rispose, affondando sgraziatamente un piede nel terreno. Voleva dire qualcos'altro, ma le parole le morirono in gola e fu Sirius a prendere nuovamente la parola.
“Ti resta sempre dentro una traccia, un po' di dolore. E rabbia. Tanta rabbia. Tanta rabbia nei confronti di chi non ti ha capito, voluto, accettato.” Sirius si morse la lingua. Per tutta la sua infanzia aveva agognato l'affetto dei suoi genitori, di sua madre in particolare. Adesso si era resto conto di essere stanco di nascondere la sua rabbia: rimpianto ne avrebbe sempre avuto, ma non poteva nascondere a se stesso la rabbia.
“Quindi non è sbagliato essere arrabbiati? A volte sono stata così infuriata così Petunia da farmi paura, tanto sentivo la rabbia crescere dentro di me! Altre volte ho provato rimpianto, altre ancora mi sono chiesta cosa avessi di sbagliato... ma sempre la rabbia faceva capolino.”gli confessò Lily, stringendosi nelle spalle.
“Lils... è normale. Davvero. Penso che dovremo farci sempre i conti con quel pezzettino vuoto e con un po' di rabbia.”
Sirius ripensò a quando si era infiltrato nel Dormitorio di Serpeverde per scoprire se suo fratello avesse il Marchio Nero: nonostante non l'avesse trovato, il dubbio continuava ad assalirlo. Aveva il Marchio? Regulus era tra coloro che servivano Voldemort?
Ma se anche l'avesse trovato, se anche avesse avuto la prova che suo fratello si era unito ai Mangiamorte, cosa poteva fare? Ci aveva già provato, a fare qualcosa. E non era servito a niente.
Forse avevano ragione i suoi amici: tutto quanto avesse a che fare coi Black andava lasciato perdere. Forse aveva ragione suo zio Alphard. Forse doveva solo guardare Meda, che era felice della vita che aveva scelto.
“Un pezzettino di vuoto e un po' di rabbia che ti accompagnano per tutta la vita. Si può fare.” affermò Lily. “A patto che ci sia qualcuno che ti aiuta a riempire la vita di alto, non credi?” Sapeva che Sirius aveva ragione. Anche lei aveva pensato le stesse cose. Sempre dentro di lei ci sarebbe stato un pezzettino di vuoto causato da Petunia, sempre quel vuoto sarebbe stato circondato da un po' di rabbia. Ma attorno sarebbe cresciuto qualcos'altro, qualcosa di felice, qualcosa di bello.
“Sì, Lils. E' proprio così.” L'espressione corrucciata di Sirius si aprì in un sorriso. Avevano qualcos'altro.
A chi si ricorda ancora di questa storia: GRAZIE
A chi invece l'ha appena trovata, GRAZIE.
Jomarch
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Capitolo 35 *** Trentatreesimo Capitolo ***
CAPITOLO TRENTAREESIMO
And it really doesn't matter
If I'm wrong I'm right
Where I belong I'm right
Where I belong
Silly people run around
They worry me and never ask me *
-Fixing a Hole, The Beatles-
*E davvero non importa
Se ho torto, ho ragione
A casa mia
Ho ragione, a casa mia
Vedo là quelle persone
Che litigano e non vincono mai
DICEMBRE 1977, prima delle vacanze di Natale
Natale stava arrivando e, proprio come Sirius aveva suggerito, non si era vista ancora una nevicata degna di quel nome in Scozia.
In compenso il freddo stava arrivando per altra via. Una via, se possibile, ancora più gelida del solito.
Era un freddo secco, che penetrava nelle ossa. Che congelava i prati e le foglie sugli alberi. Che ghiacciava i vetri alle finestre.
Che congelava chi si avventurava fuori dalle accoglienti mura di Hogwarts.
Sirius pensava che ci fosse qualcosa di sinistro in quel freddo. Che celasse qualcosa di inquietante, che sibilasse qualche parola ancora incomprensibile.
Non ebbe il coraggio di confessare a nessun altro se non a Remus quella fastidiosa impressione.
Remus sapeva cogliere le sfumature: le sfumature nelle parole, le sfumature in quel gelo. E sapeva interpretarle con razionalità.
Se avesse osato farne parola con James, sapeva che l'avrebbe riempito di angoscia: Sirius sentiva che spesso l'amico ripensava con ossessione a quanto Fiorenzo aveva detto loro l'estate precedente.
Peter invece, forse, si sarebbe spaventato o forse l'avrebbe preso per visionario. Raramente credeva alle sue sensazioni, preferiva rimuginare continuamente, per essere sicuro di non prendere cantonate.
“Forse il tempo non è realmente cambiato, quest'anno. Forse siamo noi a voler leggere qualcosa di diverso in questo gelido inverno.”
Le parole di Remus avevano letto nella sua mente: Sirius era stato educato alla lettura della volta celeste. Non si trattava di Divinazione. Nessuno nella famiglia Black credeva alla possibilità di conoscere il futuro. Tuttavia per i Black le stelle erano importanti. Ed ogni famigliare aveva la sua a cui votarsi. Per questo i segni andavano letti: bisognava essere in grado di ravvisare la propria stella nel firmamento, bisognava sapere dove stava andando, affinchè essa non avesse segreti.
Sirius.
Così sua madre l'aveva chiamato. Come la stella più luminosa, più brillante, più ardente.
“Mio figlio darà gloria e lustro alla Nobile ed Antichissima Casa Black. Per questo sarà Sirius.”
Splendente, luminoso, brillante. Quello voleva significare Sirius.
Lugubre, scuro, nero. Quello significava Black.
E Sirius, in quel momento, si sentiva addosso l'ossimoro insito nel suo nome, mentre il freddo gli pervadeva le ossa. C'era qualcosa nell'aria. Lo sentiva. Riusciva a sentirlo come Felpato percepiva e distingueva gli odori nella terra.
Qualche strano movimento c'era da qualche giorno al tavolo di Serpeverde, se n'erano accorti i suoi occhi.
Niente guai. L'aveva promesso allo zio ed alla mamma di James. Niente guai.
Sospirò e si mise le mani in tasca stringendosi nelle spalle prima di affrontare la prima rampa di scale per il dormitorio, dove sapeva di trovare Peter che senza dubbio era riuscito a sgraffignare dalle cucine cinque tazze di cioccolata calda per quando gli amici fossero rientrati: Sirius era in punizione con Lyons- Ruth mentre Lily, James e Remus erano ad una riunione.
“Cinque piani a piedi. Non male per scaldarsi in una sera di dicembre!” pensò
Ne aveva appena percorsi due, quando, proprio all'altezza del quadro del Visconte Ignotus, nome che gli studenti avevano dato al ritratto di un giovane mago che nessuno era in grado di identificare né tanto meno la cui presenza ad Hogwarts era qualcuno stato mai in grado di giustificare, gli sembrò di vedere un'ombra.
Un'ombra e un mantello.
Istintivamente Sirius affrettò il passo per inseguire quell'ombra. Sentì il suo olfatto acuirsi, quasi che Felpato fosse solo un'altra faccia di sé.
Inizialmente l'idea che, di tanto in tanto, in situazioni di bisogno, i sensi di Felpato acuissero i suoi o ne prendessero il posto l'aveva turbato.
Ora non più, anzi, era particolarmente lieto del fatto che talvolta Felpato venisse in suo soccorso. Come, ad esempio, quando lui e James stavano facendo qualche sciocchezza ed i sensi di Felpato gli consentivano di cogliere i passi della McGranitt prima che le sue orecchie li sentissero.
L'ombra era corsa via, ma Sirius riuscì a percepirne la traccia.
Non seppe per quale motivo scelse di seguirla, a posteriori si disse che, forse, aveva agito qualche meccanismo inconscio, forse Felpato aveva capito prima di lui. Dopotutto, razionalmente, non c'era nessun motivo che giustificasse il suo desiderio di seguire un'ombra che aveva notato davanti ad uno dei quadri di Hogwarts: poteva essere uno studente qualsiasi uscito a fare una delle cose qualsiasi che fanno solitamente gli studenti.
Come ad esempio cercare passaggi segreti che portano fuori Hogwarts: premendo sul naso del Visconte Ignotus si sarebbe aperto un passaggio che sbucava sul retro dell'ufficio postale di Hogsmeade. Sirius però sapeva bene che quel passaggio era rischioso: Gazza ne conosceva l'esistenza e non era il caso di rischiare di farsi scoprire da uno di quei suoi gattacci che pattugliavano per lui i corridoi.
L'ombra poteva appartenere ad uno studente che non sapeva di Gazza.
Razionalmente era tutto giustificato, ma Sirius si affrettò a seguire la traccia fiutata da Felpato.
Il corridoio proseguiva nel buio, forse qualche torcia si era rotta.
La persona cui apparteneva l'ombra non c'era più, forse sparita in qualche anfratto o in uno dei passaggi segreti che portavano dall'altra parte del castello.
Sirius riusciva tuttavia a percepirne l'odore: gli sembrava famigliare, gli richiamava una sensazione conosciuta, senza riuscire tuttavia a capire dove lo avesse già sentito.
Sirius rimase fermo nel corridoio un attimo. Poi scosse la testa.
Era stato sciocco mettersi a seguire quell'odore. Non aveva alcun senso. Probabilmente si trattava solo di un altro studente alla ricerca di un modo per uscire dal castello e fare una gitarella ad Hogsmeade. Idea sciocca, in quei tempi in cui non era permesso. Se anche solo uno dei negozianti del villaggio avesse incrociato uno studente fuori dal castello, il rapporto al Preside sarebbe stato immediato, così come i guai.
Persino loro avevano rinunciato ad andarci.
Scosse nuovamente la testa, dicendosi di non pensarci più, perchè non era il caso.
Molto meglio tornare in Sala Comune, dove sperava che Peter avesse portato cinque tazza di cioccolata calda.
RIUNIONE COI PREFETTI
L'ultima riunione prima Natale con i Prefetti si era conclusa e Lily allineò i fogli e li rimise nella sua cartelletta, mentre James appuntava la sua firma sul verbale da consegnare alla McGranitt: avrebbe dovuto farglielo avere quanto prima
“James, Lily... posso parlarvi?” mentre gli altri Prefetti, ad eccezione di Remus, avevano già lasciato l'aula, Tracy Rosier e la sua amica Tiffany Hossas erano rimaste sedute al loro posto, borbottandosi qualcosa all'orecchio.
Lily, incuriosita, si avvicinò a loro mentre James tornò indietro, richiudendo la porta alle spalle di Remus che in un'occhiata gli aveva fatto capire che li avrebbe aspettati fuori.
James guardò Tracy aveva gli occhi arrossati ed i bei capelli biondi che acconciava sempre in maniera originale, erano quella volta tenuti fermi in malo modo da un elastico sulla nuca.
Tiffany, invece, aveva l'espressione di chi deve confessare qualcosa di importante. Lily ne notò gli occhi titubanti.
“Tiffany vuoi sederti?” propose James.
“No, no. Non voglio sedermi.” rifiutò con decisione.
“Tiffany, cosa succede? Stai bene?” domandò Lily, con apprensione.
“Scusatemi, ho detto che non volevo sedermi perchè se lo facessi, tutto sarebbe ancora più difficile.” Tiffany accennò un sorriso, mentre la sua amica restava in piedi in silenzio accanto a lei.
Lily e James si erano fatti più vicini. James era rimasto in piedi, gli occhi carichi di apprensione fissavano Tracy.
Lily, invece, aveva preso una sedia e si era seduta accanto a Tracy e a Tiffany, istintivamente strinse la mano di Tiffany tra le sue.
La ragazza ricacciò indietro qualche lacrima, imbarazzata ed a disagio sentendo gli sguardi di Lily, James e della sua amica puntati su di lei.
Si asciugò con un gomito le gote bagnate, ricacciò i pugni nei lembi della manica della divisa.
“Probabilmente e gennaio non ci sarò più. I miei genitori hanno paura e non vogliono farmi tornare.”
SALA COMUNE DI GRIFONDORO
Un silenzio grave, rotto solo da qualche parola di Lily alla ricerca di una motivazione, li accompagnò tutti e tre in Sala Comune.
Remus disse la parola d'ordine ed in un baleno furono invasi dal calore che arrivava dal caminetto.
Sirius e Peter li stavano aspettando seduti sul tappeto con in mano due tazze fumanti.
“Cioccolata! Grazie Coda!” esclamò James, aprendosi in un sorriso mentre l'amico gli porgeva la sua tazza rossa.
“Tutto bene oggi?” domandò Peter, quando tutti ebbero in mano la loro tazza.
Lily era seduta a gambe incrociate, in una posa che sua madre avrebbe giudicato disdicevole per una signorina; aveva la tazza in mano e due baffetti marroni sopra le labbra che si pulì prima di parlare.
“Mi ha messo addosso un po' di inquietudine quello che ci ha detto Tiffany. Temo che molti dopo Natale non torneranno: ho sentito che anche Rose diceva che suo padre non era molto tranquillo nel lasciarla a scuola...”
“E' possibile.” annuì Remus. “Alcuni genitori pensano che portandosi i figli a casa, non possa succedere loro niente. Cosa non del tutto vera, come dimostrano gli ultimi eventi. I figli del Ministro rapiti, l'attentato a Belfast, le sparizioni...”
“Diagon Alley.” aggiunse James lasciando calare un silenzio ancora più grave.
Lily ebbe voglia di prendergli la mano, ma si trattenne. Non era quello che lui desiderava in quel momento.
“Però posso comprendere che le famiglie li vogliano a casa... ti concede di stare più tranquillo. L'idea che tuo figlio dorme nella stanza accanto...”provò ad intervenire Peter, nervoso. A volte anche lui aveva pensato che i suoi lo rivolessero a casa, soprattutto dopo i fatti dell'ultima estate, prima che partisse per il campeggio coi suoi amici. Sua madre era molto apprensiva ed aveva dovuto insistere parecchio per farsi dare il permesso di andare.
Lui però non voleva tornare a casa. Era sicuro del fatto che nessun posto fosse più sicuro di Hogwarts, edificio fortificato e ben difeso.
Fuori invece poteva accadere qualsiasi cosa.
“A volte ringrazio di essere una Nata Babbana.” disse Lily. “Così posso riuscire a non far preoccupare troppo i miei genitori. Scelgo io cosa dire e come dirlo.” si morse un labbro, pensando che talvolta aveva mentito ai suoi genitori, rassicurandoli quando invece di notizie rassicuranti ce n'erano ben poche.
Questa volta fu James a prenderle la mano e ad accarezzargliela dolcemente.
“Il Profeta ormai credo non dica tutta la verità... per non allarmare la gente.” disse Sirius. Pensò a Margaret Glover. L'anno prima i Mangiamorte avevano ucciso i suoi genitori. Il padre dirigeva l'ufficio del Ministero che si occupava di gestire i rapporti col Primo Ministro Babbano.
Quella ragazzina era tornata a scuola dopo qualche settimana ed una volta Sirius l'aveva trovata in Biblioteca che distruggeva diverse copie della Gazzetta del Profeta. Si chiese cosa ci fosse scritto in quelle pagine da renderle insopportabile la sola vista. Dopo aver capito chi fosse quella ragazzina sconvolta, non ebbe bisogno di altre spiegazioni.
“Forza! Tra poco è Natale! Non roviniamoci del tutto l'umore!” esclamò James, dandosi una scompigliata ai capelli.
Bisognava trovare qualcosa per sorridere, altrimenti si sarebbero persi a poco a poco.
Era Natale. Forse era solo quello l'importante.
Il Natale. Suonava bene.
“Sì! E' Natale! Non vedo l'ora di tornare a casa a preparare i biscotti! Siete tutti invitati a casa mia per la Vigilia, così ve li farò assaggiare!” Lily amava il Natale e ringraziò James di averla distratta da quei pensieri tristi per lasciarla tornare a concentrarsi su qualcosa di gioioso.
Amava il Natale e i biscotti alla cannella e l'albero illuminato e le calze sul caminetto.
“Oh Lils....” Sirius scosse la testa, bonariamente. Il Natale sarebbe stato l'ambiente di vita ideale di Lily.
“Fa' un po' come ti pare, Felpato, io a mangiare i biscotti di Lily ci vado!” Peter sorrise, pregustandoli.
“Però per me senza mandorle e nocciole. Sai che sono allergico. Grazie. Mi raccomando, ricordatelo. Ti manderò un gufo il 23. Così da essere sicuro.” precisò Remus, che, per precauzione, si fece spuntare qualche macchia rossa in fronte, così da dimostrare cosa gli poteva accadere al solo udire la parole mandorla e nocciola.
“Ahah, Lunastorta! Sei sempre il solito! Io mangio tutto, Lily.” la rassicurò James, vista l'espressione sorpresa che aveva assunto dopo aver saputo della nuova allergia di Remus.
“Uff... che complicati che siete tra tutti! Vorrà dire che vi incanterò gli Omini Pan di Zenzero!” sorrise Lily, sorniona.
“Gli Omini Pandiche?” domandò Sirius, sbarrando gli occhi da quello strano nome Babbano.
“Lo vedrai, Sirius, lo vedrai...” fu l'unica cosa che riuscirono ad estrapolare a Lily quella sera.
So che è passato molto tempo e che forse alle mie scuse non crederete più. In ogni caso ve le porgo ugualmente ed aggiungo anche che ero seriamente convinta che sarei riuscita a fare prima.
Pertanto, basta promesse!
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto: preciso che, se vi pare slegato dal precedente, forse è vero. Tuttavia come avevo già spiegato, la storia non sempre segue un assetto lineare, a volte i capitoli sono collegati, a volte non lo sono. Dopotutto il titolo è proprio “Pezzi di noi”.
Grazie ancora a tutti voi. Per aver letto, recensito, continuato a seguire la storia.
Grazie.
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Capitolo 36 *** Trentaquattresimo Capitolo ***
CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO
This is the first day of my life
I swear I was born right in the doorway
I went out in the rain suddenly everything changed
Their spreading blankets on the beach
- First Day Of My Life, Bright Eyes- *
* Questo è il primo giorno della mia vita
Giuro di essere nato proprio fuori dalla porta
Sono uscito sotto la pioggia ed improvvisamente tutto è cambiato
Loro stavano stendendo coperte sulla spiaggia
Vigilia di Natale 1977
TILFORD, SURREY, CASA EVANS
“Oh mamma, dici che gli piaceranno lo stesso anche se ad alcuni gli occhi si sono fusi coi capelli ed ad altri il braccio è incollato con la glassa?” Lily, mordendosi il labbro inferiore si appostò di fianco al lavello, dove la madre stava sciacquando le ciotole usate per impastare.
Aveva le mani sporche di glassa ed il pavimento sotto al punto del tavolo sul quale aveva appoggiato la sac à poche si era macchiato con una grossa chiazza di liquido bianco ed appiccicoso.
Lily, sgranando gli occhi, appellò silenziosamente la sua bacchetta (ringraziando mentalmente il Professor Vitious di averli fatti esercitare sugli incantesimi non verbali) che, in un batter d'occhio, volando per la casa, raggiunse Lily in cucina, la quale, mormorò un veloce “Gratta e Netta”, facendo così sparire la macchia prima che Rose Evans potesse rendersene conto.
“Lily... saranno buoni lo stesso! Vedrai che faranno più caso al sapore che non al resto!” esclamò la signora Evans, chiudendo il rubinetto.
Lily sospirò. Forse più per il sollievo che sua madre non si fosse accorta del pasticcio che aveva combinato sul pavimento che non per il dispiacere di non essere stata in grado di decorare gli omini pan di zenzero come desiderava.
“Lo so mamma... è che non tutti sono carini. Alcuni sì. E quelli sicuramente andranno a loro. Ma altri sono bruttini. E sicuramente li teniamo noi.”
“Stai certa che non finirà nulla di buttato! Sono talmente buoni! E poi è solo il secondo anno che proviamo a decorarli... un po' di pratica e li faremo benissimo, non credi? E poi... forse l'importante è che non ci fossero mandorle e nocciole: mi sembra di ricordare che l'unica avvertenza fosse questa, non una pessima decorazione, ti pare?” sua madre ridacchiò, ripensando al gufo arrivato da Remus la mattina precedente con la raccomandazione di ricordare di evitare la frutta secca cui lui era allergico.
Rose Evans era forse più eccitata della figlia all'idea di ospitare quella sera i quattro nuovi amici di Lily: da quando il rapporto con Severus si era guastato senza che lei ne avesse capito i motivi, aveva visto Lily chiudersi sempre più in se stessa e nessun compagno era mai stato nominato nelle lettere che scriveva a casa o nei racconti della scuola durante le vacanze. Pertanto, quando il Natale precedente un gufo era arrivato con un pacchetto mandato da un certo Remus, Rose Evans aveva tirato un sospiro di sollievo.
Era stato molto difficile per lei e per suo marito accettare che la loro Lily appartenesse ad un mondo in cui non avrebbero mai potuto seguirla per davvero, un mondo a loro precluso e che potevano solo osservare da lontano con curiosità, carichi di domande e di apprensione.
Lily aveva solo undici anni quando era salita su quel treno, da sola, se non fosse stato per la compagnia di quel ragazzino che abitava poco lontano da loro. In città non correvano buone voci sulla famiglia Piton, tuttavia, come Rose stessa aveva potuto constatare, Severus era un bambino educato e posato e sua madre Eileen una donna certamente di buone maniere. Inoltre la signor Piton aveva fornito loro qualche spiegazione aggiuntiva sul Mondo Magico, chiarendo loro alcuni dubbi e per loro era stato di gran conforto sapere che Lily non si era incamminata sola quel Primo Settembre.
Negli anni seguenti, Rose si era accorta, come ogni buona mamma, che c'era qualcosa di strano nell'amicizia tra Lily e quel ragazzo: le sembrava un rapporto morboso e una strana espressione riempiva lo sguardo di Severus. Tuttavia, Lily era a casa talmente poco durante l'anno che Rose cercava di convincersi che forse non c'era niente di cui preoccuparsi: lei non era ad Hogwarts con Lily, pertanto non poteva sapere esattamente come stavano le cose.Forse c'erano degli amici, le sue compagne di stanza. Forse Lily e Severus passavano molto tempo insieme durante le vacanze per il semplice fatto che l'uno fosse per l'altra il compagno più vicino durante il periodo di sospensione delle lezioni.
Tuttavia quando l'anno precedente lei ed Edward videro Lily sul binario di ritorno per l'estate, Rose capì immediatamente che qualcosa si era rotto e tanta era l'apprensione nel riaccompagnarla a scuola in autunno.
Poi era arrivata quella sciarpa a Natale. E nelle lettere c'erano dei nomi: Remus, dapprima, poi James. Remus e James. Poi si erano aggiunti Peter e Sirius.
Finalmente, dopo averne letto per settimane, poté vederli scendere tutti e cinque dall'Hogwarts Express: Lily al centro, come scortata da quei quattro ragazzi. Lily stava sorridendo.
“Mamma.... forse avremmo dovuto preparare anche le stelline alla cannella...”Lily la guardava mordendosi il labbro.
“E' tutto il giorno che siamo in cucina! Penso che per quest'anno potrà bastare, non credi? Prima hai detto di aver contato una sessantina di omini pan di zenzero...” fece notare Rose Evans.
“Sì... hai ragione. E poi è già tardi...Adesso che la glassa è asciutta li sposto sul piatto.” Lily andò verso la credenza e prese un altro piatto da portata per trasferirvi i biscotti. Poi si toccò la tasca del grembiule in cui aveva infilato un sacchettino di cotone e sospirò sorridendo.
“Io esco. Vado a cena dai genitori di Vernon. Ci vediamo domani mattina.” Petunia passò dalla cucina a salutare la madre. Lily rimase immobile tra le due ante aperte. Desiderava urlare tutta la sua rabbia. Eppure restò zitta e si concentrò sul sacchettino di cotone che custodiva in tasca.
“Sono così contenta che siate venuti qui questa sera!” esclamò Lily, senza riuscire a trattenere l'entusiasmo.
“E' stata la Vigilia di Natale più bella!”aggiunse in fretta.
Lily adorava il Natale. Amava il mese di dicembre con la sua attesa del 25 Dicembre: le luci colorate che iniziavano ad illuminare le città fin dai primi del mese, le decorazioni, i biscotti, il pensiero dei regali, l'albero da decorare coi suoi genitori...
Per uno strano contrappeso, a Lily la Vigilia di Natale non piaceva: le sembrava una giornata inutile e le metteva addosso molta tristezza. L'attesa stava per finire e tutta la magia di quel mese se ne sarebbe andata entro poche ore.
“Odio la Vigilia di Natale. E' un giorno triste. E mi rende di pessimo umore normalmente. Questa no però! E' stata una delle Vigilie migliori della mia vita!” sorrideva, Lily, guardando ora James, offertosi di rimanere per aiutarla a mettere a posto, ora il camino dentro al quale erano spariti da poco Remus, Sirius e Peter, ora l'albero di Natale, ora le luci sul corrimano.
Era stata una serata meravigliosa, che le aveva scaldato il cuore. I suoi amici erano venuti a casa sua, avevano conosciuto i suoi genitori, aveva offerto loro i biscotti che soleva preparare insieme a sua madre.
Lily si sentiva piena, finalmente. Piena. Piena di se stessa.
“E' così bella la Vigilia!E' il coronamento del periodo! E finalmente si scartano i regali!” obbiettò James, tornando dalla cucina senza più il piatto che vi aveva portato.
Si sedette sul divano, allungando le gambe ed invitò Lily a fare altrettanto.
“Sai, quando ero piccolo i miei genitori mi permettevano sempre di aprire un regalo ed uno solo la Vigilia dopo mezzanotte; tutti gli altri al mattino... ma uno, uno quella sera! E potevo sceglierlo io!” rise James, di quella sua risata rumorosa e cristallina che faceva brillare non solo i suoi occhi, ma anche quelli delle persone che lo guardavano.
“Davvero? Ma non è bello così! Ti perdi tutta l'attesa.... tutta l'insonnia della notte, ti perdi lo svegliare i tuoi genitori al mattino prestissimo!Ti confesso che ancora adesso mi alzo all'alba la mattina di Natale!” esclamò Lily, gesticolando vigorosamente. Sentiva già che quella notte non avrebbe dormito. Le sembrava strano che qualcuno aprisse i regali la notte della Vigilia. Non le piaceva affatto, in realtà.
“Bè, ma dopo che aspetti per mesi, vuoi solo scartare qualcosa! E te li trovi tutti lì, sotto l'albero i pacchi... io sceglievo sempre quello più grosso: sapevo cosa conteneva. Era quello delle costruzioni. Mi ricordo che io e mio padre restavamo alzati ancora dopo, ad ordinare ai pezzi come disporsi per costruire il castello di Hogwarts o lo stadio del Puddlemere United.” rise ancora James, questa volta di una risata un po' più amara.
Lily non disse niente. Nessuna parola avrebbe potuto placare quell'inquietudine.
Così rimase zitta. Gli strinse la mano ed appoggiò la testa sulla sua spalla.
Rimasero così sino a quando James non si alzò.
“James... devi andare anche tu?” Lily lo disse piano, con gli occhi rivolti verso l'albero di Natale illuminato.
“Posso restare ancora un attimo se vuoi...” le rispose James. Voleva lasciarsi alle spalle la sensazione che gli aveva lasciato la conversazione di prima.
Guardò Lily negli occhi e all'improvviso si sentì percorso da una strana adrenalina.
“No, no... E' tardi, se devi andare. Solo.. volevo darti una cosa.” bisbigliò Lily in fretta, gesticolando ed alzandosi di scatto dal divano.
James si mise le mani tra i capelli, imbarazzato.
Lily voleva dargli qualcosa.
“Oh..ecco, ma non dovevi...” lui non aveva pensato ad un regalo regalo.
“E' un regalo per te. Ma non è un regalo regalo. E' solo un regalo. Ma non regalo regalo. Un pensiero. Capisci cosa intendo dire?” Lily era nervosa, faceva confusione con le parole ed i suoi occhi non riuscivano a soffermarsi su quelli di James. Si allontanò improvvisamente da lui, spostandosi in cucina, dove aprì uno dei dei cassetti del tavolo.
Tornò in salotto e gli porse in mano il sacchettino di cotone. James sentendolo sul palmo riuscì ad intuirne il contenuto. Omini pan di zenzero.
I più belli che Lily era riuscita a decorare.
“Grazie, Lily. Sono bellissimi.” non sapeva esattamente come rispondere, James. Era un ringraziamento semplice, ma che lui sentiva pienamente.
Immediatamente sfiorò quello che aveva capito subito essere il suo preferito tra i tre: non aveva dei pantaloni disegnati col cioccolato fuso, era pelato, senza cravattino.
Aveva solo due occhi di glassa bianca ed un gran sorriso disegnato.
E tre bottoni in fila indiana sulla pancia.
Guardò Lily, in piedi trepidante di fronte a lui.
Le sorrise incrociando i suoi grandi occhi verdi.
Quel biscotto aveva in sé qualcosa di lei. Quel biscotto sapeva di Lily.
“Oh sai che gli omini pan di zenzero vogliono conquistare il mondo... Run run run as fast as you can, you can't catch me! I'm the gingerbread man!” bofonchiò Lily in qualche modo.
James rise, più forte ora. Lily intanto continuava a guardarlo.
“Allora facciamo in modo che non nuoccia a nessuno!” propose James, staccandogli il piede sinistro ed ingoiandolo in un sol boccone.
“Buono.”sussurrò. “Grazie!” aggiunse.
“Oh bè... non è un regalo regalo...” si giustificò ancora Lily, questa volta avvampando d'imbarazzo.
Abbassò ed alzò la testa.
Adesso i suoi occhi incontravano perfettamente quelli di James, senza essere in grado di spostarsi.
Erano vicini. Sempre più vicini. Lily si avvicinò ancora di più, senza saperne il motivo.
James la guardava fisso.
Ci aveva pensato spesso, negli ultimi tempi. E adesso che l'aveva lì davanti non sapeva cosa fare. Le cinse la vita con un braccio e Lily fece altrettanto.
Si appoggò per un attimo al suo petto, percependone il respiro.
Non era mai stata così vicina a qualcuno.
James si chinò verso di lei, ma fu Lily a compiere il passo più grande lasciandosi finalmente andare, senza opporre più resistenza alcuna.
Sono tornata. Spero per restare, ma ormai non mi lancio più in proclami.
Spero che questo capitolo interamente dedicato a Lily e James vi piaccia. Questi sono la mia Lily ed il mio James e diversamente da così non avrebbe potuto andare.
Grazie a chi è rimasto ed a chi si è aggiunto
Jomarch
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Capitolo 37 *** Trentacinquesimo Capitolo ***
CAPITOLO TRENTACINQUESIMO
I held the stars to light where you are
When your unfeigned heart called to me through the dark
Soaked in the sound that rose from the ground
There I could feel
I felt, I felt you near *
- To Be With You, The Honey Trees-
Mi sono aggrappato alle stelle per fare luce su dove sei tu
Quando il tuo cuore sincero mi ha chiamato attraverso le tenebre
Imbevuto da un suono che si è alzato dalla terra
Allora ho potuto sentire
Ho sentito, ti ho sentito vicino
Gennaio 1978
HOGWARTS
Il nuovo anno era arrivato, così come la fine delle vacanze ed il rientro a scuola.
In quell'inverno appena iniziato, i corridoi del castello erano vuoti. Alcuni studenti non erano tornati ad Hogwarts dopo le feste. Qualcuno per paura aveva tenuto i figli a casa, qualcun altro, i più facoltosi, era fuggito all'estero con tutta la famiglia.
Qualcun altro ancora, come Nigel Hinchinghooke o Olive Gordon si era trovato semplicemente nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Ancora non si sapeva niente dei figli del Ministro Lufikin: parevano svaniti nel nulla ed il nucleo operativo di Auror altamente specializzati creato appositamente dal Ministero non era ancora riuscito a riportarli a casa.
Il Ministro Lufkin aveva lasciato la carica e si era ritirato nella sua residenza privata, incapace di reggere la pressione di quel ruolo davanti ad una tragedia privata così grande.
Attualmente, a presidiare il Governo, rimaneva il Vice- Ministro di Lufikin, ma sembrava profilarsi una crisi governativa. Il principale partito d'opposizione, guidato da Bartemius Crouch, premeva perchè il Governo si dimettesse e vi fossero nuove elezioni, che portassero ad un esecutivo in grado di prendere le misure necessarie contro Lord Voldemort ed i suoi seguaci.
In quei giorni, però, Lily e James venivano solo sfiorati da quelle notizie.
Pareva loro di camminare sulle nuvole, di essere altrove, di vivere quasi la vita di qualcun altro. Solo per un attimo, però, perché il sorriso di prima mattina, le mani intrecciate ed un bacio rubato nei corridoi erano quanto di più naturale ci fosse per entrambi.
Era naturale per Lily aspettarlo in fondo alle scale ogni mattina, quasi dimentica di essere scesa a fare colazione con il solo Sirius per mesi.
Ogni mattina Lily si alzava presto e , sorridendo, aspettava il suo James in Sala Comune. Lui scendeva le scale sempre dieci minuti dopo. Si passava una mano tra i capelli, mentre col piede sinistro toccava l’ultimo gradino e poi scoccava un bacio delicato sulla guancia di Lily.
Era naturale per James portarla via da tutti gli altri per un'oretta la sera, per poter stare soli, farla nascondere sotto a quel Mantello che per anni aveva ospitato Remus o Peter o Sirius.
James camminava con Lily per mano per i corridoi della scuola e lei, ogni due passi, si voltava verso di lui per sorridergli, radiosa.
Incontrare la mano, il braccio, il corpo, gli occhi, il naso, la bocca di James era quanto di più naturale ci fosse e Lily si ritrovò a chiedersi più volte come avesse potuto sopravvivere fino a quel momento.
James non riusciva a stare fermo: la guardava con gli occhi, la sfiorava con la mano, la cercava se era lontana. Era così bello farlo davanti a tutti, senza aspettare il momento giusto, senza che il mondo smettesse di esistere.
Era naturale e basta.
“Eccoti! Buongiorno!” esclamava Lily, vedendolo scendere con i capelli in piedi e cieco come una talpa per aver scordato gli occhiali sul comodino.
“Muah!” James le scoccava un bacio volutamente rumoroso sulla guancia, la prendeva sottobraccio e si faceva condurre in Sala Grande, aspettando Remus con gli occhiali.
Vissero per un mese in un mondo solo loro, dimentichi di tutto il resto, felici di aver trovato un posto in cui essere pienamente se stessi.
Quella sera James, ben oltre l'ora del coprifuoco, l'aveva portata nelle cucine, per farla strafogare con i muffin al mirtillo che gli Elfi di Hogwarts preparavano ogni due settimane per la colazione del sabato.
Lily ne aveva mangiati due e altrettanti ne aveva voluti portare via, incurante delle rassicurazioni degli Elfi che gliene avevano garantita la presenza l'indomani mattina a colazione.
James, invece, ne aveva ottenuti alcuni al cioccolato realizzati appositamente per lui: i mirtilli erano inutili vitamine e, secondo lui, quando si mangiava un dolce, bisognava farlo bene.
“Grazie, grazie di tutto! Siete stati così gentili con noi!” Lily abbracciò forte Wiston, l'Elfo cui, in virtù della sua anzianità, era stato dato il compito di dirigere la cucina.
“Torna a trovarci, signorina Lily. Gli amici del signorino James sono amici di Wiston e di tutti noi!”proclamò serio l'Elfo, vestito della giacca di una sottospecie di frac cosa che, ai suoi occhi, lo rendeva degno di una gran considerazione. L'anziano Preside Dippet gliela aveva donata più di quindici anni prima, pochi giorni dopo aver rassegnato le dimissioni per dedicarsi alla pensione dopo molti anni dedicati all'istruzione di giovani maghi e streghe.
Ciò nonostante, proprio in segno di rispetto verso il vecchio Preside, Wiston non aveva abbandonato le cucine di Hogwarts, anzi aveva cominciato a dirigerle impegnandosi con tutto se stesso per dimostrare di essere degno dell'indumento avuto in dono.
Lily annuì, dedicando un ultimo sguardo alla piccola folla di Elfi Domestici che li circondava mentre loro stavano cercando di accomiatarsi.
“Signorino James, non dimenticare di portare qualcosa ai tuoi amici! Mi raccomando, venite presto a trovarci!” Nonna Fee, la cuoca più brava che avesse mai messo piede ad Hogwarts, si aggrappò alla caviglia di James, riempiendolo di raccomandazioni.
Lui annuì sempre gentilmente, le sorrise, scherzò con lei e, finalmente, riuscì a rimettere il Mantello dell'Invisibilità addosso a sé ed a Lily.
“Ti adorano.” bisbigliò Lily, quando, uscendo dal quadro, si ritrovarono nuovamente nel corridoio dei sotterranei.
“Sono anni che vengo qui.” James scrollò le spalle.
“Se sei gentile con loro, loro ti danno l'anima.” sorrise, cingendole la vita.
“Voi avete Elfi a casa?” domandò Lily. Sapeva che nelle famiglie di Purosangue, soprattutto se molto benestanti come nel caso dei Potter, era una consuetudine averne.
“Quando ero piccolo avevamo Greta, era dei miei nonni paterni. Quando anche mia nonna è morta, è venuta a stare da noi. Dopo di lei non abbiamo più avuto nessuno. A mia madre non piace l'idea di avere una creatura, nel senso... un essere vivente che ti obbedisce nella maniera in cui ti obbediscono gli Elfi Domestici.” spiegò James, conducendola verso destra, una volta arrivati al bivio.
Lily annuì. Ancora non aveva le idee molto chiare sulla dipendenza degli Elfi Domestici da una famiglia: sapeva che si occupavano della gestione della casa, che giuravano di essere fedeli alla famiglia fino alla loro morte, che l'obbedienza mostrata aveva a che fare col sangue ma non aveva mai avuto modo di approfondire l'argomento con qualcuno che ne avesse avuto uno.
Quella sera James le aveva fatto conoscere gli Elfi Domestici della scuola e, nonostante la loro grande gentilezza e l'estrema disponibilità, Lily non aveva potuto non notare come queste risultassero soffocanti, a momenti.
“Nel senso... Un Elfo ti è fedele fino alla morte. E' fedele a te ed ai membri della famiglia: gli basta che nel tuo sangue scorra parte del sangue del suo padrone ed è costretto ad obbedirti. E' una cosa sinistra, se ci pensi. Quasi perversa. Non credi?” proseguì James.
“Gli Elfi prima sono stati davvero gentili con noi. Con te poi... ti adorano!” disse Lily, cogliendo solo in parte quanto James le stava spiegando.
“Sì, ma è diverso. Voglio dire, noi siamo andati lì e con gentilezza abbiamo chiesto se avevano qualcosa da darci. Ma avremmo anche potuto ordinarglielo. O picchiarli e intanto chiederglielo. E loro avrebbero dovuto per forza obbedirci. Non trovi che sia terribile?” la voce di James si era incrinata mentre parlava. Quasi che fosse spaventato da quella legge magica.
“Sì. E' veramente tremendo. E' crudele. Voglio dire... avere questo potere sulla vita di qualcun altro...” annuì Lily, con ancora in testa i visi degli Elfi Domestici che avevano lasciato in cucina.
“Prova a dirlo a Sirius. Kreacher non lo sopportava, non faceva che insultarlo per aver sporcato il nome dei Black e tuttavia era costretto ad obbedirgli.” James rise amaramente.
“E' grottesco. Non ho altri termini.” sussurrò Lily, orripilata. Sirius le aveva parlato dell' Elfo domestico dei suoi genitori e tutto ciò le dava letteralmente il voltastomaco.
“Dai, Lily... Adesso non pensiamoci. Non è una cosa che possiamo cambiare, purtroppo. Facciamo un salto nella Stanza delle Necessità. Non ho voglia di andare a letto ora. Ti va?” James cambiò argomento. Sollevò la testa dal mantello per accertarsi che non vi fosse nessuno nei paraggi e sparì dietro l'angolo con Lily.
Dai sotterranei, risalirono sino al settimo piano ed arrivarono all'arazzo di Barnaba il Babbeo.
Lily seguiva James che, agile e svelto come quando voleva in sella alla sua scopa, si muoveva per i corridoi del castello illuminati soltanto dalle torce.
Non era mai uscita di notte prima di allora. Non aveva mai visto la scuola così buia, non aveva mai pensato a come potesse apparire. Sentiva l'adrenalina scorrerle dentro, le veniva da ridere e stava quasi per comunicarlo a James, quando oltrepassarono il muro che li condusse al loro rifugio.
James tolse il Mantello dell' Invisibilità dalle loro spalle, ripiegò la Mappa del Malandrino e se la mise in tasca.
“Non pensavo che l'avrei mai fatto, sai James?” Lily fece un passo in avanti e poi si voltò di nuovo verso di lui.
La faceva sentire eccitata essere lì, con lui, in quel momento.
La Stanza si era arredata da sé, riproponendo la medesima forma ogni volta che qualcuno di loro cinque ci metteva piede. C'era il pianoforte a coda di Sirius in fondo a sinistra, la poltrona di Remus ed i suoi libri lì di fianco, la pila di fumetti che leggeva Peter, una pluffa ed un boccino erano chiusi in un baule per James, un divano di velluto rosso era comparso per Lily.
James sorrise.
“Andare in giro di notte, dici? Allora dovremo recuperare!” ammiccò James, con quel suo sorriso sghembo. Lily rise a sua volta, di quella sua risata un po' sguaiata che la faceva camminare storta.
“Come quel pomeriggio al Lago Nero la primavera scorsa” pensò James, trovandola, tuttavia, bellissima così.
La guardava mentre prendeva posto sul divano, fissandolo come a dirgli “Ehi, ma non mi raggiungi?”. La mente di James vagava verso dei ricordi.
Pensava a quando Lily gli chiedeva di lasciarlo in pace, dicendo che non c'erano motivi per cui si interessasse a lei. Pensava a quando la vedeva arrancare con una tracolla troppo pesante.
Pensava a quando il buon Remus era l'unico ad avere la delicatezza necessaria per tamponare quelle ferite che sanguinavano troppo.
Pensava alla prima volta che l'aveva vista ridere.
Si avvicinò al divano, dove lei era seduta con i suoi capelli rossi che ancora le coprivano il viso.
“Dovresti raccoglierli, Lily. Devono vedere tutti come sei bella quando sorridi.” le disse, senza quasi rendersi conto di aver parlato. Senza riuscire ad avere un controllo sulle sue parole. Aveva detto quello che stava pensando, senza nemmeno provare a contare fino a dieci.
Lily alzò la testa e lo guardò fisso. Sgranò i suoi grandi occhi verdi. Ebbe l'impulso di togliergli gli occhiali, per poter incontrare meglio gli occhi di James.
Gli occhi di James erano così trasparenti. James era trasparente: non sapeva mentire, non sapeva fingere. Guardandolo Lily rivisse tutto l'ultimo anno. Ricordi ed immagini le passarono davanti.
“E' come se ti avessi aspettato per tutta la vita, James.” la voce di Lily era poco più di un sussurro.
Sarebbe stata impercepibile se solo, in quel momento, James avesse mosso un piede.
James scosse la testa. “Non dire così: non è vero.”
“Mi sembra che tu ci sia sempre stato. In un certo senso.” proseguì Lily. Da quella Vigilia di Natale, Lily era accompagnata dalla sensazione di averlo sempre avuto vicino, anche prima. Anche quando lui non c'era, quasi che fosse troppo terribile immaginare una vita in cui James non fosse presente.
“Voglio avere cura di te, James. Così come tu ne hai di me, così come ne hai avuta di me nel corso di quest'anno, senza chiedere nulla in cambio.”
“Anche tu hai avuto cura di me, Lily. Hai curato ferite che nemmeno sapevo di avere.” ammise James, vagando con la mente a tutte le volte in cui una parola di Lily riusciva a mettere le cose a posto. A dare un senso a quanto era successo quella primavera. A non farlo sentire colpevole.
“Responsabilità. Re- spondeo.” la voce bassa di Lily pronunciò quelle parole, senza quasi averci pensato. Si chiese se lui ne conosceva il significato.
“Io prometto.” completò James per lei, sfiorandole delicatamente la guancia chiara, così diafana da fare quasi a pugni col rosso sanguigno dei suoi capelli. Rosso Tiziano, l'aveva definito Lily una volta portandolo a conoscenza dell'esistenza di un nome anche per il colore dei capelli.
“Sono così felice, Lily. Così felice...” poco più di un bisbiglio, uscito da un sorriso luminoso che faceva brillare tutto il volto di James: gli occhi, le guance, gli zigomi contratti, la bocca, che non riusciva più a tenere chiusa.
Lo adorava quando rideva, Lily. Perchè lui rideva tutto, non soltanto con le labbra.
Anche lei era felice. Così felice. Come non lo era mai stata prima. Dentro le si era annidata una sensazione di pace e serenità. Come se fosse tutto a posto. Tutto a posto per la prima volta.
“Si può essere più felici di così, James?” gli chiese, stringendo le spalle e incastrandosi nel suo abbraccio.
“Penso di sì, sai Lily?” e nel dirlo le sfiorò la fronte con un bacio. “Non dovrebbe mai esserci limite alla felicità.” proseguì.
“Però, in realtà, potrei morire adesso, tanto sono felice. Potrei morire adesso e avrei avuto tutto quello per cui vale la pena di vivere.” James la strinse. Pensava davvero quello che aveva appena detto, anche se forse non ne aveva ben chiara la portata.
Lily si aggrappò alle sue spalle e baciò James con trasporto, senza sapere che il ragazzo aveva lasciato il posto all'uomo.
Eccoci qui, di nuovo. Spero che questo capito un po' sdolcinato vi sia piaciuto. Ho pensato che era il caso di dedicare un po' di tempo in più a James ed a Lily, per capire un po' come stanno. I prossimi capitoli saranno più avvincenti e con un po' più di azione, pertanto non penso che ci sarà tempo per loro due. Spero che, in ogni caso, vi abbia fatto piacere leggere di loro.
Sul significato di Re- Spondeo, vedasi il significato latino del verbo: Io prometto. Quindi, la responsabilità è la promessa di aver cura, nessuna frase, a mio parere, poteva essere migliore di questa messa in bocca a Lily e James.
Come al solito, vi ringrazio tutti, uno ad uno.
A presto.
Jomarch
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