Dark Side of the Mind.

di Cornfield
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First phase of the moon. ***
Capitolo 2: *** Second phase of the moon. ***
Capitolo 3: *** Third phase of the moon. ***



Capitolo 1
*** First phase of the moon. ***


Questa cosa. Che cos’è questa cosa? Ci credete che non lo so neanche io? E’ come se i Pink Floyd stessero raccontando Dark Side of The Moon a parole, ma ovviamente i pensieri sono miei. Ho cercato in qualche modo di andare oltre alla musica e ai testi, di comunicare altro, ma non so se la mia missione è stata compiuta. Non riesco bene a spiegarlo. Ecco, per capirlo basta darci un’occhiata. I capitoli saranno tre (Speak to me/Breathe, On The Run, Time per il primo; The Great gig in the sky, Money, Us and Them per il secondo;  Any Colour you like, Brain Damage, Eclipse per l’ultimo). Per un maggiore coinvolgimento vi consiglio di ascoltare le canzoni mentre leggete. Ah, dimenticavo, le frasi (leggermente modificate) qui sotto sono dei miei amici e conoscenti che hanno risposto alle mie domande. Ho cercato di fare ciò che ha fatto Nick per l’album. Bene, ho finito, spero vi piaccia e spero in una recensione c:









“Il lato oscuro della mente? La rabbia. Oggi avrò bestemmiato non so quante volte a causa del mio computer. E’ la rabbia, la maledetta rabbia.”


“Hai presente quella cosa che controlla fottutamente la tua vita? Si, la timidezza. Odio la timidezza mio Dio.”


“Forse il lato oscuro non esiste, forse è così scuro da non riuscire a vederlo. Fin troppo oscuro e misterioso.”



Speak to me.


Silenzio.
Silenzio penetrante.
Sei ancora immerso nella solitudine e nel grembo di tua madre. Lontano da tutto e da tutti, per fortuna lontano da tutto e da tutti. Viaggi in quella sottile striscia della finzione e della realtà, della prigione e della libertà, della sicurezza e della preoccupazione ossessiva, della vita e della morte. Non sai quale distinzione ci sia tra queste parole, forse tutte si mischiano per omologarsi e formare un unico interrogativo. Quale? Io non posso scriverlo perché ognuno di noi omologa un interrogativo diverso.
Ma ecco un rimbombo.
Un rimbombo pesante quanto la tua anima ancora in costruzione, l’anima che trascina con sé milioni di lacrime, che verrà frantumata, dissolta e nuovamente ricostruita.
Un cuore che pulsa pian piano rompe il silenzio che fino a quel momento ti ha illuso. Ricorda di non illuderti, ricorda di non sperare in niente e di vivere nel dubbio perché ferisce meno.
E’ il tuo cuore che piano piano comincia a divincolarsi e a scalpitare nel tuo petto gracile.
Una luce ti acceca i piccoli occhietti. Un foro, una voragine?
Un ticchettio di un orologio comincia a scandire il tempo, soppiantando così il tuo battito cardiaco. E non sarà l’unica volta che quel ticchettio soppianterà qualcosa. Perché in futuro soppianterà qualcosa.
Senti parole, frasi confuse. Rumori che non hai mai sentito fino a quel momento. Cosa succede? Cosa ne avete fatto del silenzio?
E poi la risata. Vorresti ridere ma non ci riesci. Vorresti piangere ma non ci riesci. Non sai cosa stia per accadere, forse lo sai ma non vuoi ammetterlo. Io so però che non c’è niente da ridere, perché sta arrivando l’inizio della fine. E non c’è niente da piangere perché ti inumidiresti gli occhi e perché non ne avresti più di lacrime, ti serviranno in seguito.
Ancora un altro rumore, come se già non ce ne fossero abbastanza di rumori. Il rumore che probabilmente sentirai più volte nella tua vita e che ti renderà schiavo, perbenista, avaro. Ti strapperà gli organi e ci infilerà dentro sorrisi e divertimenti falsi. Il male. Ma non ci dilunghiamo troppo su questo rumore ossessivo che sembra essere un registratore di cassa, perché tanto tu stesso lo proverai sulla tua pelle.
Tutto comincia ad essere confuso. Sarai confuso per sempre, fidati. I rumori cominciano ad accavallarsi l’un l’altro penetrandoti nella mente. E come se non bastasse anche un elicottero si aggiunge alla sfilza di costoro.
Ma un particolare grido straziante si staglia, un grido che anche tu incarnerai col tempo, un grido lacerante, simbolo di tutto ciò che dovrà avvenire. Quel grido scoppierà e i vermi mangeranno il tuo cervello.
E così l'orologio scandisce ogni cosa, le parole si fanno sempre più precise, la risata sempre più ossessiva, il registratore di cassa sempre più nitido e la gola dalla quale proviene il grido sempre più rossa e stanca.
Sta succedendo. Stai camminando sulla sottile striscia che fino a quel momento hai solo attraversato superficialmente e questa volta è tutto vero. Non sarai mai più protetto dal silenzio del grembo.
La luce è accecante.
Troppo accecante.
Ti sei ormai spogliato dell'illusione.
Perché sei nato.
Benvenuto.
Benvenuto nella macchina, per rimanere in tema.
Forse è solo realtà, regole rigide, preoccupazione e morte. Forse non imparerai mai a volare. Forse non scoprirai mai il lato oscuro della luna.
Ma prima prendi un respiro...



Breathe.
…Respira. Respira aria. Respira e nutri i tuoi polmoni di ossigeno, fai penetrare dalle tue indecorose narici aria. Perché non c’è niente di meglio di un respiro profondo, come se dovessi inspirare tutto l’oro del mondo e infine aspirarlo, ma non lasciarlo scappare. Respirare e inspirare ancora, per rendere pieno il tuo corpo vuoto.  Sei stanco. Le palpebre sono di cemento, le gambe molli ti tengono a malapena in posizione eretta. Annuisci vagamente a tua moglie che si lamenta della bolletta del gas troppo alta, saluti con un sorriso accennato tuo figlio e il suo amico. E poi? E poi ti lasci abbandonare sul divano. E respiri.
Oggi hai fatto tutto. Hai fatto tutto quello che un uomo può fare. Hai ubbidito al tuo capo senza lamentarti, hai fatto la spesa e sei ritornato in negozio perché avevi dimenticato la maionese, hai dato un passaggio a quell’ubriacone, hai portato il cane dal veterinario. Si ammala sempre quel bastardo.
Pensi che forse siamo nati per uno scopo preciso, rilassarsi dopo quel dannato lavoro. Dannatissimo lavoro. Ecco, siamo nati per respirare. E i conigli che non sanno respirare, che hanno i polmoni chiusi continueranno a scavare e scavare inutilmente, incessantemente, senza uno scopo preciso… rovinandosi gli artigli, scavando la propria tomba.
Il crepitio del fuoco appena acceso, il calore, il tessuto morbido del divano non fanno altro che farti scivolare nelle braccia tranquille del sonno. Le tue palpebre si chiudono in un secondo, il tuo battito rallenta, la tua anima si rilassa, il respiro si fa sempre più intenso e conciso. Dormi profondamente, scandendo gli attimi del sonno semplicemente col tuo respiro.



On The Run.
Ti svegli improvvisamente.
Sei in un aeroporto. No, sei vicino a un treno, o forse in macchina, in una gabbia di pazzi o forse sei nell’inferno. Dove sei? Sei lì e non sei da nessuna parte. Il respiro calmo, dov’è il respiro calmo? Dove siete finiti tutti? Il respiro non esiste. L’ossigeno non c’è, perché stai respirando a fatica? L’angoscia diventa la tua unica cosa che puoi respirare. Frammenti di ossigeno riesci a malapena a catturare ma che si dissolvono subito. Vuoi prendere un altro respiro ma non ci riesci, non c’è più tempo, non c’è mai stato tempo.
Sei in ritardo.
Sei in apnea.
Forse sei morto.
Devi andare. Ti alzi velocemente dal divano e afferri la giacca frettolosamente.
Corri. Devi correre. I tuoi passi riecheggiano nella mente altrettanto vuota. Scappi perché potrebbe prenderti. Scappi e non sai perché ma devi sempre scappare. Scapperai finché i tuoi piedi non si consumeranno, ti affannerai finché vivrai. Non puoi fermarti, non puoi più prendere un solo respiro dilaniato ormai dal ritmo frenetico che ti circonda. Cos’è un abbraccio? Uno stipendio ben speso. Cos’è il calore? Il calore non esiste, è solo una lama ghiacciata e arrugginita. Cos’è la soddisfazione? Un bel mucchietto.
 Ma non puoi più porti queste domande perché devi correre e puoi fare solo questo.
Per poco non finisci sotto una macchina, ma non importa e non ti può importare, non importa a nessuno. Perché sono facce vuote che devono solo correre, perché saranno sempre in ritardo anche quando non saranno in ritardo. Facce vuote. Non hanno occhi, bocca, naso, orecchie, anima. Hanno solo un mare di maschere nel loro capiente armadio. Quale maschera mi metto oggi? Cosa faccio credere alla gente oggi? Farò finta di essere felice, cucendomi quella bella maschera? Siamo solo zombie in realtà e ci comportiamo come gli altri zombie ci manipolano. E nessuno potrà mai notare il tuo velo di finzione perché troppo indaffarato. E allora si convinceranno loro stessi della maschera altrui e della maschera che loro stesso indossano.
Ma tu non sei quella maschera. La maschera nasconde ed illude. Nessuno noterà il senso di vuoto più grande dell’egocentrismo umano. Forse neanche tu la noti, perché lo specchio rifletterà ciò che vorresti essere e non ciò che sei realmente.
Sono le 8 e mezza.
Sei troppo in ritardo.
La tua testa è esplosa in mille pezzetti non più ricongiungibili.
Il tempo. E’ passato via troppo velocemente.
Oppure qualcuno probabilmente avrà spostato le lancette dell’orologio per farti un dispetto.



Time.
Provi a ricongiungere i pezzi della tua testa, ma invano. Eppure ci riprovi ancora, perché il tuo essere testardo prevale sempre. E ci riprovi, tanto il tuo lavoro è andato a farsi fottere ormai. Alla fine, ci rinunci, ma soltanto perché la noia è diventata opprimente.
Ti annoi. Gironzoli per la città seguendo la tua ombra e ti mischi tra la gente, quasi come se volessi mandargli un messaggio per informarli che la tua pazienza ha un limite.
Rientri a casa e cominci a fissare le gocce di pioggia che si rincorrono fra di loro e scivolano via verso un posto remoto. Tu invece rimani semplicemente lì. Perché tanto tu sei giovane, potrai esplorare grotte e castelli nascosti un’altra volta, potrai cercarti un hobby un’altra volta, potrai vivere la tua vita un’altra dannatissima volta. Rimandi sempre tutto. E rimanderai sempre tutto finché le promesse fatto a te stesso non si accumuleranno.
Oggi è un giorno perfetto per buttare via il tempo, ma mai riciclarlo visto che tanto il tempo è infinito, giusto? Che fretta c’è? Ed ecco che un cumulo di promesse diventa sempre più grande con l’avanzare dell’età. Ogni promessa, ovviamente sempre infranta, per ogni compleanno festeggiato. Cerchi la tua giovinezza nel cumulo ma non trovi niente di niente. La tua faccia è solcata dalle rughe, le tue gambe così come le braccia sono molli, viscide, prive di vitalità. Provi ad avverare tutte le promesse ma non ci riesci perché la schiena ti duole e semplicemente è troppo tardi. Perché il sole è sempre lo stesso? Perché anche lui non mostra i segni dell’età?
 C’è stato troppo poco tempo pensi, non è colpa tua. Perché dovrebbe essere colpa tua? Non hai fatto niente. Esatto, non hai fatto niente durante gli anni fiorenti.
Il respiro si sta facendo sempre più corto. Non potrai mai più respirare come una volta, con l’oro che trasudava dalle tue narici. Le punte delle lancette dell’orologio sono ferme, immobili, inermi verso un’unica tua destinazione: la morte. Provi a spostarle, con la tua solita testardaggine, ma capisci che hai già sprecato troppo tempo e non puoi far altro se non incamminarti nel viale dell’eternità.
 Da giovane ti è piaciuto buttare via il tempo, ora il tempo butterà te.
Ed  il tempo se ne è andato, il capitolo è finito… pensavo di dover dire qualcosa di più, ma non c’è stato… tempo.

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Capitolo 2
*** Second phase of the moon. ***


The Great Gig in the sky.
 
“Si, ho paura di morire. Tutti gli esseri umani hanno paura di morire. Chi non ce l’avrebbe?”
 
“In realtà no, non sono spaventato. Mi spavento semplicemente del fatto di non poter più ricongiungermi con i miei cari. Ho paura della morte dei miei amici, parenti…”
 
“Sinceramente non ci penso. E non ci dovremmo pensare. Pensare fa male.”
 
Sei solo.
La luce proveniente dalla tv è l’unica che illumina il tuo corpo e la tua anima. Ognuno di noi ha in realtà un’altra luce dentro se stesso, o almeno dovrebbe averla, perché tu non ce l’hai. Come una candela, ha resistito a tutto: vento impetuoso, bambini dispettosi, soffi improvvisi… ma poi pian piano la luce ha cominciato a muoversi a muoversi e a muoversi fino a spegnersi in un lamento silenzioso. E’ la candela della speranza. Non hai più di speranza. E la cera della candela comincia a diradarsi nelle tue ossa.
La speranza è stata sormontata da un unico, grande, gigantesco interrogativo. L’interrogativo che tutti vogliono evitare, a cui non vogliono pensare, a cui si illudono di avere una risposta in realtà barcollante. A cui tutti prima o poi si inchineranno.
Cosa c’è oltre la morte?
Cosa c’è? Cos’è la morte? Morte soltanto materiale, o anche spirituale?
O è l’inizio di una nuova vita? O è semplicemente la fine di una vita? Forse bisogna semplicemente capacitarsi. Forse è semplicemente la fine. Ma si sa che c’è sempre un’altra fine. E tu, anche con la speranza smorzata, non riesci a capacitarti della fine di tutto. Di una vita combattuta, pianta, gioita… ridotta in pochi minuti in cenere. Puff. Tutto sparito. E’ finito tutto. Non esisterai mai più.
Non vuoi affidarti a Dio, Dio per te non esiste.
Non puoi affidarti alla speranza poiché non hai più.
Non puoi affidarti alla fantasia, perché è impossibile immaginare la morte.
E a chi puoi affidarti? A niente. E niente sarà probabilmente l’unica cosa presente dopo il decesso di ognuno.
E’ frustrante. E’ come camminare senza gambe verso una meta ignota, con la benda sugli occhi, le orecchie troppo sporche di cerume per sentire anche solo un sussurro urlato, il naso tappato. L’ignoto. L’oscurità. La paura.
Cominciano a tremarti le mani. La gola si secca. Cambi canale distrattamente, come se cercassi qualcosa che ti distragga da questo pensiero impellente. Ma non trovi nessun programma soddisfacente. O forse semplicemente non riesci a non pensare alla morte.
Ma non devi pensarci.
Non puoi continuare a pensare inutilmente all’aldilà, sprecando le poche lancette di orologio che ti rimangono.
Ma è inevitabile.
Continui a cambiare canale, ripassando anche a quelli già visti, premendo con forza sui tasti.
Dopo tutto non c’è niente.
Ti alzi dalla poltrona che oramai aveva fatto la forma del tuo sedere.
Niente di niente.
Ti versi un bicchiere d’acqua, ma inevitabilmente ti scivola dalle mani tremanti e sudate.
Sarà tutto finito.
Provi ad asciugare la macchia che si è riversata per terra, ma ci rinunci subito.
E non potrai mai più sorridere.
Basta.
Gioire.
Finiscila.
Camminare.
Ho detto basta.
Salutare.
No!
Guardare corpi estranei.
Devi smetterla!
Mangiare, bere, cucire, cucinare, scrivere, leggere, portare, sudare, lavare, innaffiare, spostare.
La tua gola si contrae in modo disumano.
Stai gridando.
Gridi.
Gridi ancora.
Gridi perché va bene così. Non ce la fai più. Non ce l’hai mai fatta e mai ce la farai.
Gridi per far uscire fuori la tua anima, per evitare di fartela  strappare dalla morte.
Gridi per far sapere a tutti che sei vivo e che vorresti esserlo per sempre.
Ed il grido si spegne lentamente, come per la candela.
Ti accasci per terra. Perché lo sai, lo sai che niente in realtà è per sempre.
 
Money.
 
Soldi.
Il benessere il quale sfocia in altri benesseri. 
La felicità vera e propria. Com’è che si chiama quella cosa lì… un abbraccio? Non ricordi più cosa sia un abbraccio e non ti curi di volerlo riscoprire. Chi ha bisogno di un abbraccio? Sono semplicemente due corpi che in una morsa di ferro si intrappolano da soli. Gli umani sono stupidi, pensi. Tessono la loro propria trappola. E ridi. Intanto vai a comprarti una bella macchina di lusso, perché quella è la vera felicità. 
Girare in città con gli occhi delle persone verso di te, bramosi di voler fare un giro su quella costosa e fiammante auto… è una soddisfazione senza confronti. Tanto non gli farai mai salire con te, ti piace sfottere la gente.
Hai fame.
Entri nel ristorante più lussuoso della città, giusto per farti una certa immagine. Ordini di tutto, dal caviale all’aragosta fresca di mattina. Tanto hai soldi da spendere. Così diventerai più felice, giusto?
Decidi di dare una mancia al cameriere non per improvvisi atti di carità ovvio, ma soltanto perché il tuo portafoglio è troppo grosso come la tua testa (sei un pallone gonfiato dicono tutti, ma a te non importa) e devi pur sbarazzarti di qualche banconota inutile.
Ma non sei completamente soddisfatto. Dopotutto quella macchina che hai comprato poche ore fa, l’hai già vista in giro e sembra leggermente ammaccata. Hai un’idea geniale. Perché non comprarti un Jet? Uno di quei Jet che solcano il cielo e che fanno inevitabilmente alzare il naso alle persone curiose. Sei geniale. Eccoti il tuo Jet, proveniente dalla migliore fabbrica di questo secolo, costruito con qualche pregiato materiale americano. Eppure sembri ancora che ti manchi qualcosa.
Ecco la risposta. Quasi tutti i grandi imprenditori come te hanno una squadra di calcio, tu ancora non ne sei possessore. E allora corri subito al primo stadio. Non conosci neanche che squadra sia, come si giochi, dove ti trovi, ma va bene lo stesso, ami spendere soldi, ami essere felice.
Torni nella tua casa lussuosissima, sfinito. Buttare via contanti è un bel lavoraccio. Ma perché non sei ancora completamente in pace con te stesso? Senti che c’è ancora qualcosa che ti manca.
Ma certo. Devi guadagnare più soldi, in qualche modo, ma devi farlo.
Così riuscirai a riempire la capienza del tuo portafoglio…
ma non della tua anima.
 
Us and Them.
 
“Oggi sono violento. Domani sarò violento. Anche con te, chi può saperlo.”
 
“Non mi ricordo granché, ma credo proprio di essere stato violento, di avergli dato un bel calcio in quei cosi che lui chiama gioielli di famiglia. Una brutta serata però, devo ammetterlo.”
 
“In verità non ho mai preso a botte qualcuno, ma dovrei farlo, all’istante.”
 
Le tue mani si contraggono in un  pugno senza che l’azione prima possa essere valutata dal tuo cervello. Sei furioso. Non riesci a pensare, non vuoi pensare e non puoi pensare.
Ti ha succhiato via tutta la pazienza che (non) possiedi,  l’essere ragionevole, l’essere paziente.
Spacchi la bottiglia di vetro che ora brami pericolosamente e con tanta fierezza. Vorresti infilargli i pezzi di vetro su per la gola, in modo che ogni singolo pezzetto possa perforargli la pelle. Vorresti vedere il suo sangue rosso e limpido prosciugarsi fino allo sfinimento, la sua testa infilzata in un’asta della bandiera britannica e il suo corpo dimenarsi sull’orlo della morte.
Lo colpisci ripetutamente con la gamba sinistra, con l’alcool che ti scorre nelle vene e con  occhi vuoti e assassini. 
Il proprietario del bar cerca di fermare il gancio che stai per premere sulla pancia del tuo rivale, ma invano.
Continui a picchiarlo, finché non senti che le forze piano piano ti abbandonano. Lo sguardo si fa sempre più offuscato, la testa comincia a girarti.
Cadi per terra.
 
Un eco così lontano da poterlo sentire incredibilmente vicino ti arriva fino all’orecchie. L’eco, il canto malinconico della disperazione e dei cuori sanguinanti a forma di granate. L’eco di spari.
Apri gli occhi e ti siedi in ginocchio sulla terra fangosa. La quiete si distende apparentemente sulla landa desertica. Il silenzio è l’unica cosa che grida.
Passi improvvisi diventano sempre più ostinanti e si avvicinano. Dalla polvere alzata dal vento emerge una figura mingherlina. E’ un ragazzo di circa 25 anni che corre senza tregua, con il fiato corto e le gambe ridotte all’osso. 
“Stanno arrivando, stanno arrivando!” Mormora continuamente con le mani alzate. 
“Stanno arrivando!” Detto questo sparisce nuovamente nella coltre polverosa.
 Poco dopo altre tre figure  uscite da una catapecchia lì vicino si presentano davanti ai tuoi occhi: una donna sulla cinquantina che non sembra avere nessuna espressione in volto tiene stretta con la mano un bambino (probabilmente sarà suo figlio) anch’esso stremato e poco entusiasta, affianco ad un uomo ben più anziano rispetto agli altri due, con tante rughe riversate sul volto. Ogni ruga per ogni dispiacere.
Si incamminano insieme verso nord, o almeno così sembra, insieme ad altre anime perdute. Qualcuno ci va insieme al proprio asino poiché sono troppe le cose da portare via, altri non hanno assolutamente niente e non porteranno con loro neanche la speranza. Tutti comunque passeggiano in modo lento e  rassegnato. Sembra una marcia dei morti viventi, pensi. La parata nera. Un bebè piange tra le braccia ormai non più sicure e tiepide di sua madre. Ormai neanche un abbraccio potrà rassicurarlo.
Ma la quiete viene rotta nuovamente da un rumore sordo. Non sono passi. Sono echi.
Echi sempre più vicini.
Vicinissimi.
Le persone cominciano ad entrare nel panico. Spronano di più i loro destrieri, lasciano più oggetti possibili per evitare di essere affaticati, prendono in braccio i loro bambini, mormorano frasi indecifrabili, preghiere, rosari, imprecazioni. Cominciano a correre.
Il vento accarezza i capelli di ognuno di loro, quasi a volerli abituare alla brezza della morte. Il vento sussurra, sussurra anche lui ciò che non vorrebbe sussurrare. Ma deve farlo, perché gli è stato detto di farlo. Gli è stato detto di portare gli echi fin da loro e di fargli sussultare.
Sono qui.
Ormai non c’è più ordine. Ognuno si trascina da una parte all’altra senza meta. Sempre più bambini cominciano a piangere, sempre più bambini riversano le loro lacrime in una terra ormai morta. 
Rumori assordanti di elicotteri e aerei cominciano a penetrare nell’anima, pallottole taglienti si scagliano nel cielo ormai non più blu.
Addio cielo azzurro.
Addio, per sempre.
Bombe cadenti.
Anime perdute.
Sogni di gloria.
Distruzione.
A quel punto non riesci a vedere più niente perché la polvere alzata dal vento e dai piedi in corsa è troppo fitta, ma riesci comunque a sentire le grida e il sangue di ogni fottutissima persona sulla tua pelle. Di ogni fottutissima persona speciale, che poteva vivere, doveva vivere, doveva sfruttare il dono più bello che gli abbiano mai dato. Doveva diventare un medico, presidente, psicologo, scrittore, farmacista. E invece è diventato un mucchio di cenere che si confonde con tutti gli altri mucchi di cenere. Un dimenticato.
Dilaniato dalla guerra. Cos’è la guerra? La guerra non esiste. La guerra è solo un pretesto per combattere, gli uomini amano distruggere senza un motivo preciso. Il vero conflitto è interiore. Ma non vogliono dargli ascolto. Perché tanto una vita in più o una vita in meno non fa niente.
Riesci anche a sentire le risate del grosso generale, che ordina alle sue truppe di sparare: “Sparate a loro!”
A loro.
Loro.
Noi e loro.
Noi, i grassi generali, loro, persone qualunque. 
In verità siamo tutti noi, o forse siamo tutti loro. In verità non esiste nessuna distinzione, l’hanno deciso solo i generali. Perché devono morire solo “loro” e non “noi”? 
E la verità è che nessuno è qualcuno, e qualcuno è nessuno. 
Prima di chiudere nuovamente gli occhi, scorgi il bambino che hai avvistato poco prima, seduto per terra dinnanzi all’uomo anziano in un rivolo di sangue, ormai deceduto. 
La madre lo chiama, lo chiama inutilmente.
“Svegliati, nonno. Non dormire. Non dormire!” Urla. 
“Non dormire!”
Le sue lacrime si mischiano con le gocce di sangue. Sa che si si sta illudendo, ma fa finta di non saperlo.
Prova a spostare le lancette del suo orologio da polso alle 4 di pomeriggio, quando ancora una finta quiete perseverava nella landa e “loro” non erano ancor arrivati, ma non potrà mai più tornare indietro.
Invita ancora una volta l’anziano a rialzarsi. E alla fine ci rinuncia.
Decide così anche lui di addormentarsi e di non risvegliarsi, mai più.
 
 
Ti ritrovi nuovamente nel bar. 
L’uomo che hai picchiato sembra essere privo di sensi, come il proprietario del locale, finito scaraventato sul bancone chissà da quale forza sovrumana.
Ti rialzi. E’ lo stesso spettacolo sognato poco fa, con la differenza che tu sei stato a provocare il disastro. Tu sei “noi”. 
E rimani immobile. Per udire ancora una volta gli echi degli spari.
 

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Capitolo 3
*** Third phase of the moon. ***



Any Colour you like.

Da un piccolo, accennato e sommesso battito cardiaco ad un impavido cuore che ha tremato, gioito, corso  per miglia e miglia come un cavallo imbizzarrito e fermatosi momentaneamente per pochi istanti.
Hai da tempo ormai sorpassato la sottile striscia del grembo materno. Eppure ti sembra ancora di scorgere quei momenti in cui l’illusione aleggiava tranquillamente nei tuoi passi. La tua vita era una semplice tela bianca, candida e pura come la neve resa brillante dal battito del sole. Finché non hai incontrato per strada l’avarizia, l’essere mondano e futile, il tempo, la morte, la corsa incessante e i piedi consumati, il pretesto probabilmente più inutile che l’uomo abbia mai inventato. Hai incontrato semplicemente la reale vita.
Ed ad un certo punto la tua tanto orgogliosa tela immacolata viene travolta da orde di colori di ogni tipo. Verde, blu, azzurro, nero, giallo, rosso. Non riesci più a scorgere il bianco che fino a poco fa splendeva incontrastato. Tutti i colori si mischiano insieme, macchiando la tela, come onde del mare che si infrangono contro uno scoglio, foglie che spinte dalla forza del vento danzano insieme nel viale del parco, pioggia che batte incessantemente sulla città e che si mischia con le lacrime delle persone.
I colori hanno disegnato figure informi, prive di senso. Non c’è più ordine. Non c’è mai stato il bianco, non c’è mai stata la purezza, non c’è mai stato niente che tu non abbia mai visto fin lì.
Sembra che sia finito tutto, ma poi anche un altro colore, probabilmente ritardatario, si scaglia efficacemente sulla tela. All’inizio non capisci di quale colore si tratti. Poi lo noti.
Lo noti eccome.
E’ il bianco, lo stesso bianco originario della tela. Il bianco, che ha inevitabilmente sommerso gli altri colori di cui non è rimasta traccia. Fai conti. Tutti i precedenti colori corrispondevano ad un tuo vizio o ad una paura, ma questo bianco che ha sconvolto improvvisamente la delicata armonia da dove proviene?
Non stai capendo più niente, non vuoi capire più niente.
Sembri essere…
Impazzito.


Brain Damage.
“Io non sono folle, no non sono folle. Anche se questa è una risposta da folle.”

“Il primo passo per essere pazzo è negare di essere pazzo.”

“Si, sono pazzo. E non rispondo con nessun’altra motivazione perché non esiste. Siamo tutti, fottutamente, pazzi.”

Non riesci a leggere il titolo del paragrafo? Allora prova a marcare con il mouse la parte di spazio apparentemente bianca posta poco sopra le citazioni. Ora è chiaro?
Il titolo oscuro a tutti, ma in realtà così evidente. La pazzia nascosta sotto un telo grigio e tetro che scalpita di voler fuoriuscire dai meandri della nostra mente. La pazzia che non vogliamo far notare a nessuno, ma che in realtà è l’essenza di tutti noi!
Perché ci vergogniamo di nascondere la nostra innata follia? Follia è volerla anche nasconderla.  Follia è solo fantasia, la capacità di voler vivere, saper vivere. La follia cancella qualsiasi nostro vizio e paura, perché nel mondo della follia tutto ciò non esiste.
Non esistiamo neanche noi. Follia è spiccare il volo.
Eppure noi, uccellini orgogliosi, preferiamo rimanere nel nostro nido, a contemplare soltanto con gli occhi quei cieli limpidi e blu che potrebbero essere benissimo nostri. Ci lasciamo cullare dalla ninna nanna della nostra Mother, che ci tiene sotto la sua ala senza lasciarci spiccare il volo, sopprimendo la nostra follia.
E allora dovremmo non ubbidire alla nostra assillante Mother. Dovremmo ubbidire alla nostra essenza principale.
Ti divincoli facilmente dalla sua presa e ti sporgi più in là.
Apri le tue ali che con una folata di vento ti solleticano leggermente il becco.
Assumi una posizione di fierezza. Non ne hai di paura.
Fai un salto.
E il vento ti accoglie dolcemente.
Sei pazzo. Stai volando.
Tutti gli altri timidi uccellini ti guardano con tono apparentemente cinico e accusatorio, quando in realtà anche loro vorrebbero fare la tua stessa identica cosa.
 

Eclipse.

Un fatto strano succede quello stesso giorno, ad una indeterminata ora, in una indeterminata città.
Un fatto “pazzo”, come tutti direbbero.
All’improvviso migliaia di uccellini ancora in fasce si alzano in volo e occupano completamente lo spazio capiente dal cielo. Le persone sbalordite alzano lo sguardo, mormorando parole di ammirazione. Alcuni entrano subito nelle loro case, convinti di un imminente dominazione di uccelli. Altri semplicemente rimangono lì, imbambolati.
E quella orda di uccelli “folli” è così grande da oscurare momentaneamente il sole splendente alzato in cielo, una specie di eclissi.
Oscurando la luce, oscurando la finta maschera da esseri perfetti che noi stessi ci fabbrichiamo. Perché in realtà la vera luce, è l’oscurità tenuta nascosta. Tutto ciò che tocchiamo, tutto ciò che facciamo, tutto ciò che mangiamo e beviamo. Tutto può essere apparentemente illuminato dal sole. Ma il sole è oscurato dalla luna. E la luna è oscurata dal sole… perché tutto deve essere immerso nel buio.
In sintesi non esiste un lato oscuro. Tutto è oscuro. Tutto è pazzo. Basta solo far fuoriuscire la nostra vera luce.
Quindi tu, che stai leggendo questa dannata storia. Risplendi. Liberati. Buttati dalla finestra, togliti i vestiti, vaga percorrendo le autostrade con gli occhi cuciti, desidera ciò che avresti voluto sempre desiderare, dichiara il tuo amore nei confronti di una pianta, fai un bagno freddo in una nottata di febbraio, risplendi.
Tu, sconosciuto, studente, perditempo, scrittore momentaneo, rompi palle, accanito lettore… risplendi di pazzia.
Siamo pazzi, amico mio. Dannatamente pazzi.
E non dobbiamo vergognarci di esserlo.

Grazie per aver letto questa dannatissima storia. E risplendi.
 

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