New York, New York

di Robigna88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


NDA: i commenti sono sempre apprezzati. Mi fa piacere sapere cosa ne pensate :)
Grazie a StillAnotherBrokenDream per il continuo supporto <3


PROLOGO




Lisa Sullivan sospirò raggiungendo la piccola finestra che dava sulla cucina. Non avrebbe saputo dire quante volte il campanellino sul marmo pregiato avesse suonato per avvertirla che un'altra ordinazione era pronta, ma dal suo mal di testa avrebbe detto tranquillamente un milione.

L' Elite era il lounge bar più in voga della città da quanto Jacob Mayer lo aveva preso in gestione dopo che il padre era morto.

Il bar era salito di livello ma la paga decisamente no.

Lisa sospirò prendendo il vassoio. Un aperitivo alcolico, uno analcolico e stuzzichini extra per alcuni clienti che evidentemente erano decisamente importanti. Si guardò intorno prendendosi un attimo per alleviare il dolore che sentiva ai piedi e si lisciò il grembiule.

Avvocati, medici, architetti e la creme de la creme di New York; tutti in quell'unico locale a parlottare tra loro di casi impossibili, pazienti difficili e progetti ambiziosi. Nel portadocumenti una serie di carte di credito gold, addosso completi cuciti su misura e sul viso l'aria furba tipica degli uomini di potere.

Cose parecchio lontane dalla sua vita.

«Lisa!» la richiamò il capo «Ma che diavolo stai facendo inchiodata lì come una statua di sale?»

Lei scosse il capo ridestandosi dai suoi pensieri e abbozzò un sorriso «Scusi Jacob,» disse «mi stavo solo riposando un attimo. Serata piena.»

«Beh visto che vuoi venire qui a riposare forse è meglio che detragga dalla tua paga i tuoi attimi di riposo. Che ne dici?»

«No signore.» replicò lei passando dall'altra parte del bancone «Non sarà necessario. Torno subito al lavoro.»

«Bene!»

La donna si incamminò. Si inumidì le labbra stampandosi un sorriso sul viso e raggiunse il tavolo. Servì i clienti con gentilezza e poi si avvicinò ad un altro tavolo appena occupato.

Conosceva la donna che vi si era appena seduta, si chiamava Jessica Pearson ed era a capo dello studio legale più grande della città. L'aveva vista diverse volte, con alcuni clienti, con qualche uomo; sempre con persone molto distinte ed eleganti. Ordinava sempre la stessa cosa; un Martini con doppia oliva e delle tartine al salmone. Lasciava delle ottime mance, ed aveva un bel sorriso anche se Lisa era certa che non fosse sempre del tutto sincero. Aveva l'espressione di una cacciatrice sempre pronta a trovare nuove prede e a non lasciarsi sfuggire quelle già catturate. Dopotutto, considerato che era una donna in una vasca piena di uomini squalo e che era arrivata comunque in alto, non avrebbe potuto essere altrimenti.

Quella sera era lì con un uomo che Lisa non aveva mai visto. Prese il blocchetto delle ordinazioni e sorrise ad entrambi «Buonasera,» disse «sono Lisa e mi occuperò di voi stasera. Cosa posso portarvi?»

L'uomo, di cui Lisa non sapeva il nome, le sorrise «Hai l'aria stanca, Lisa.»

Lei abbozzò un sorriso «Servire tutto il giorno ai tavoli può essere molto stancante signore.»

«Chiamami Harvey,» rispose lui «signore mi fa sentire vecchio.»

Lisa abbassò per un attimo lo sguardo, poi lo rialzò su di lui «Se non le dispiace preferirei di no. Questo è il mio posto di lavoro e»

«Bene allora dimmi a che ora stacchi. Faremo una passeggiata e fuori da qui potremmo essere amici.»

La donna al tavolo con lui si schiarì la voce accennando un sorriso e Lisa rimandò indietro un ciuffo di capelli sfuggito all'elastico.

«Signore,» iniziò «so che è facile cadere vittima dei soliti cliché sulle cameriere ma a dispetto di quel che crede, io non lavoro qui perché amo l'idea di uomini ricchi e ambigui che provano a portarmi a letto. Quindi, la prego, mi dica cosa vuole bere così che io possa tornare al lavoro. Il mio capo non ama che si perda tempo.»

Harvey sorrise volgendo lo sguardo a Jessica Pearson, e proprio lei prese la parola «Prenderemo due Martini con doppia oliva e delle tartine.»

Lisa annuì «Arrivano subito.»

«Lisa,» le disse Harvey «ho molto apprezzato la tua sincerità. Credo davvero che io e te potremmo essere amici se tu volessi.»

«Signore,» replicò lei sorridendo «non so molte cose della vita, ma di una cosa sono certa; gli uomini come lei non diventano amici delle donne come me. Con permesso.» si allontanò bloccando il vassoio sotto il braccio e li lasciò soli.

Jessica Pearson rise poggiando le mani intrecciate sul tavolo «A quanto pare esistono delle donne capaci di resistere al tuo fascino.»

Harvey piegò poco il capo guardandola con aria beffarda «Cederà.»

«Non ci conterei ma... buona fortuna, signore.» lo canzonò.

Harvey Specter rise lanciando un'occhiata a Lisa dietro il bancone. Sarebbe stata dura, Jessica aveva ragione. Ma Lisa era bellissima e lui era Harvey Specter, il miglior mediatore di New York. Aveva sempre ciò che voleva e riusciva ad ottenerlo con classe.



*****



«A domani Lisa.»

Lisa sorrise a Stacy, la sua collega e la salutò con un gesto della mano. Non riusciva a credere che quella giornata infernale fosse finalmente finita. Non vedeva l'ora di tornare a casa e anche se pagare un taxi per portarla fino a lì le sarebbe costato almeno metà delle sue mance, si sentiva troppo stanca per prendere l'autobus quella sera. In fondo, pensò, aveva lavorato duro e presto sarebbe stato il suo compleanno; si sarebbe fatta un regalo in anticipo.

Sospirò riflettendo sul fatto che, probabilmente il giorno dopo se ne sarebbe pentita, ma non cambiò idea. Non quella sera. Ripiegò la divisa ordinatamente dentro il borsone e sobbalzò quando rialzando gli occhi si ritrovò Jacob davanti.

«Jacob!» esclamò «Non l'avevo sentita arrivare. Mi ha spaventata a morte.»

L'uomo non si mosse di un millimetro «Mi hanno detto che oggi hai rifiutato le avances di un cliente. E' vero?»

«Si.»

«E perché,» disse lui facendo un inchino «di grazia?»

«Non sono qui per assecondare le avances dei clienti, sono qui per fare la cameriera. Se avessi voluto essere preda di uomini ricchi e potenti avrei fatto la spogliarellista, o la escort. O magari entrambe.» disse con tono ironico.

Jacob alzò un sopracciglio «Ti va di fare la spiritosa forse?»

«Rispondevo semplicemente alla sua domanda.»

«Beh la tua risposta ti è appena costata le mance della serata.»

Lisa strinse forte il borsone e gli si avvicinò «Lei non può togliermi le mance della serata per questo motivo. Non è corretto.»

L'uomo alzò le mani abbozzando un sorriso «Uuh...» mormorò «cosa vuoi fare? Dirlo al capo? Oh aspetta. Sono io il capo.»

«Signor Mayer, ho bisogno di quelle mance.»

«Non è un mio problema. E ora fuori prima che decida di licenziarti.»

Lisa Sullivan avrebbe voluto rispondergli, o magari tirargli contro qualcosa. Ma se era vero che aveva bisogno di quelle mance, era ancora più vero, e triste, che aveva bisogno di quel lavoro e l'unico modo per tenerselo era assecondare quello squallido capo. Si mordicchiò il labbro sperando di riuscire a trattenere le lacrime ma qualcuna sfuggì al suo controllo mentre usciva dalla grande porta di vetro. «Addio taxi.» mormorò con la voce incrinata.

Mise le mani nelle tasche del cappotto e corrugò la fronte camminava verso la fermata dell'autobus. Non poteva credere che lo avesse fatto davvero. «Come faceva a sapere quando avrei staccato?»

L'uomo rise fermandosi di fronte a lei «Non lo sapevo.»

«Quindi vuole farmi credere che ha aspettato qui fuori per ore in attesa che il mio turno finisse.»

«Mi crederesti se ti dicessi che è così?»

Lisa scosse il capo e si asciugò il viso «No. Ma non fa alcuna differenza. Mi dispiace, ma devo andare a casa ora.»

Harvey Specter corrugò la fronte mentre lei lo superava passandogli accanto. Di solito quello era il momento in cui le donne iniziavano a cedere, ma non lei. «Ho un'auto. Posso accompagnarti se vuoi.»

Lisa si voltò a guardarlo «Sono sicura che ha anche un autista e i sedili riscaldabili e probabilmente lo stereo pieno di canzoni blues, ma non sono interessata. E inizio a trovare la sua insistenza piuttosto fastidiosa. Stasera mi è già costata le mie mance.»

«Le tue mance? Che significa?»

La donna continuò a guardarlo mentre faceva qualche passo all'indietro «Significa che questa conversazione finisce qui. Buonanotte signore.» si voltò camminando a passo più svelto ed Harvey, confuso, pensò che era il caso di fare due chiacchiere con Jacob Mayer per capirne di più.


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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


So che è passato tanto tempo dall'ultima volta che ho aggiornato questa storia ma l'ispirazione mi aveva abbandonata :( ora è tornata :) Buona lettura, Roby.

New York New York


CAPITOLO 1





Lisa si rigirò un’altra volta nel letto. Guardò la sveglia sul comodino e sospirò; segnava le 4.45 e per quanto volesse riuscire a dormire almeno un’altra ora, decise che era giunto il momento di alzarsi.

Non avrebbe comunque chiuso occhio, i pensieri che le frullavano in testa erano troppi, quindi tanto valeva iniziare la sua giornata. Si alzò lentamente, e aprì poco gli infissi, più per abitudine che per altro. Si infilò velocemente sotto la doccia e indossò la sua tuta da ginnastica. Era vecchiotta, pensò ma in fondo lei la indossava raramente. Fermò i capelli in una disordinata coda di cavallo e si accertò di non aver svegliato Bruno.

Prese il guinzaglio di Rufus, che scodinzolava felice guardandola come in attesa, e lo agganciò al collare insieme alle chiavi di casa. Uscì richiudendosi lentamente la porta alle spalle e fece un grosso respiro inalando l’aria gelida di New York. Il sole stava lentamente sorgendo e lei si sentiva come in trappola.

«Andiamo Rufus» disse al suo amico a quattro zampe. Il cane la seguì giù per i tre gradini che li separavano dalla strada e tenne il ritmo come meglio poteva quando lei iniziò a correre.



*****



Harvey Specter si fermò per bere un sorso d’acqua dalla fontana al parco. Roteò il collo per due volte, come per sciogliere la tensione e si fermò ad ammirare la città. Quell’ora del mattino era l’ideale per fare una corsetta; poca gente in giro, un relativo silenzio e soprattutto nessuna fila al suo chiosco di caffè preferito.

Sorrise arricciando poco la bocca, come era solito fare. Viveva una bella vita; successo, donne, soldi e un lavoro che amava e che dopo tanti anni era ancora capace di dargli quelle scariche di adrenalina che lui riteneva fondamentali per sentirsi vivo.

Senza che se ne rendesse conto il suo pensiero volò a quella donna bella e con gli occhi tristi che la sera prima gli aveva servito da bere e gli aveva dato il ben servito. Non era mai successo e il fatto che quella Lisa lo avesse respinto lo intrigava incredibilmente. Aveva fatto quattro chiacchiere con quel Jacob Mayer alla fine, e, con i suoi modi, la storia delle mance era stata risolta completamente. In più Lisa avrebbe ricevuto una piccola sorpresa al suo rientro al lavoro. Una sorpresa che, Harvey sperava, le avrebbe fatto piacere.

Sospirò guardando in basso e il sorriso si allargò sul suo volto. «Ciao amico» disse piegandosi sulle ginocchia e facendo scorrere la sua mano sul pelo dorato del cane. «Ti sei perso?»

«No, è solo molto disubbidiente.» sentì dire.

L’uomo alzò gli occhi e corrugò per un attimo la fronte prima di rimettersi in piedi. Lisa se ne stava di fronte a lui, il viso arrossato, le labbra rosate dischiuse. Sembrava avesse corso per ore, ma era comunque bella come la ricordava. «La vita è proprio strana…» sussurrò.

«Mi dispiace per Rufus,» rispose lei prendendolo delicatamente per il collare «tecnicamente dovrebbe essere addestrato ad ascoltarmi quando gli dico di non fare una cosa. Ma temo che abbia passato troppo tempo con Bruno. Dopotutto sta a casa con lui più di quanto ci stia con me, è normale che obbedisca più a lui che a me oramai.»

Harvey deglutì mettendo le mani nelle tasche dei suoi pantaloni sportivi. Bruno… ecco perchè aveva rifiutato le sue avance, c’era già qualcuno nella sua vita. «Bruno?» chiese. E non si rese neppure conto di aver parlato.

Lei annuì distratta passandosi una mano sui capelli legati «Si. Bruno è mio zio. Vive con me e Rufus.»

Lui annuì poco. «Lisa, Bruno… qualcosa mi dice che tu non sei propriamente americana.»

«Wow!» esclamò Lisa riagganciando il guinzaglio al collare del cane «Sei davvero sveglio.» Il suo tono era sarcastico e Harvey non poté fare a meno di sorridere. «Devo andare ora.» aggiunse lei «Ehm… mi dispiace per ieri sera. Hai provato ad essere gentile con me ed io sono stata scortese. Ma avevo avuto una brutta serata. Non che questo giustifichi il mio comportamento, tu non c’entravi nulla anche se ti ho accusato del contrario. È solo che… Mi dispiace. Ecco tutto.» abbozzò un sorriso e sulle sue guance spuntarono due deliziose fossette. Harvey piegò poco il capo, trattenendo la voglia di alzare la mano e accarezzarle il viso.

Che diavolo gli stava succedendo? «Non importa» le disse «lo capisco»

Lisa annuì e si schiarì la voce «Beh, ci vediamo in giro allora. Anche se dubito fortemente che, a parte questo parco forse, io e te frequentiamo gli stessi posti.»

L’uomo fece spallucce indietreggiando di qualche passo «Io invece credo che ci rivedremo molto presto.» le disse prima di voltarsi e riprendere la sua corsetta, stavolta verso casa.



*****



Lisa entrò dentro il locale sicura che quello sarebbe stato un giorno infernale. I piedi le facevano male dentro quelle scomode scarpe che Jacob costringeva tutte ad indossare e si sentiva talmente stanca da riuscire a malapena a tenere gli occhi aperti. Sbadigliò troppo esausta per coprirsi la bocca con la mano, ma tanto non c’era ancora nessuno, e raggiunse gli armadietti dalla parte opposta della sala. Posò le sue cose ordinatamente e spense il cellulare prima di indossare il grembiule.

Si voltò per tornare in sala e sobbalzò ritrovandosi Jacob davanti. «Cazzo!» esclamò. Si coprì la bocca con la mano e scosse il capo cercando di riprendere il controllo «Mi scusi, mi ha spaventata.»

L’uomo sospirò e allungò la mano verso di lei. Le porse cinquecento dollari e rimise il resto delle banconote in tasca prima di parlare «Ecco le tue mance di ieri.» Le disse «E congratulazioni, ho appena deciso di darti un aumento. Avrai seicento dollari in più a partire dal prossimo stipendio.»

«Non capisco» mormorò lei sorpresa «ieri non voleva neppure darmi le mance e ora mi sta persino dando un aumento. Si sente bene?»

«Sto benissimo.» rispose l’uomo rude «E ora inizia a lavorare.»

Lisa lo guardò allontanarsi e sospirò guardando i soldi stretti nella sua mano. Non si sarebbe di certo lamentata, ma tutto sembrava fin troppo strano. Decisamente sospetto. Mise le banconote in tasca decidendo che ci avrebbe pensato dopo, in quel momento non ne aveva il tempo. Raggiunse la sala, che come per magia si era riempita di gente, e si avvicinò ad un tavolo per prendere la prima ordinazione della serata.

«Salve, sono Lisa e mi occuperò di lei stasera. Cosa posso portarle?»

La donna, una mora con due occhi azzurri da gatta, guardò il suo riflesso nello specchietto da borsa e scosse il capo «Sto aspettando qualcuno. Non sono ancora pronta ad ordinare.»

«Okay allora. Tornerò quando la persona che aspetta sarà arrivata.»

«È arrivata!» esclamò una voce dietro di lei.

Lisa sobbalzò appena, guardò l’uomo prendere posto e sorridere alla donna di fronte e annuì impercettibilmente cercando di ignorare l’incontrollabile senso di disappunto che provava. «Bene!» esclamò «Cosa posso portarvi?»

Harvey sorrise «Ci affidiamo a te, Lisa.» le disse. «Ti avevo detto che ci saremmo rivisti presto o no?»

«Si.» mormorò lei «Vado a prendervi dei drink, signore. Torno subito.»

L’uomo la guardò allontanarsi, concentrandosi solo su di lei, su quell’incedere sicuro ma stanco. Solo quando la sua compagnia gli toccò la mano si ricordò di non essere solo. Sfoderò il suo miglior sorriso e le disse quello che diceva quasi ad ogni donna. «Sei molto bella stasera.»



*****



Lisa si coprì un orecchio con la mano e poggiò la cornetta sull’altro. Non riuscì a capire benissimo quello che le stavano dicendo ma una cosa l’aveva capita chiaramente: NYC Central Hospital.

Lasciò cadere la cornetta che penzolò fino a sfiorare il pavimento e corse fuori dal locale togliendosi il grembiule e lasciandolo cadere per terra.

Harvey stava ancora sorseggiando il suo drink quando la vide uscire fuori dal bar con tanta fretta. Si guardò intorno cercando di capire cosa fosse successo ma tutto quello che vide furono una serie di occhi perplessi che ben presto tornarono a concentrarsi sui bicchieri. Si alzò, chiedendo scusa alla sua “amica” e si avvicinò ad un’altra cameriera che aveva appena rimesso a posto il telefono «Cos’è successo a Lisa?»

Lei fece spallucce «Non lo so con precisione, ma pare che qualcuno sia finito in ospedale. Credo si tratti di suo zio.»

«Quale ospedale?»

«Non lo so davvero, mi dispiace.»

Harvey sospirò e tirò fuori dalla tasca una banconota da cento dollari. La diede alla cameriera e sorrise «Ti dispiace recuperare la roba di Lisa per me? Il suo cellulare, la sua borsa, qualunque cosa abbia dimenticato nella fretta.»

«Si, certamente» rispose lei infilandosi la banconota in tasca. «Torno subito.»

Harvey mise le mani in tasca e raggiunse il tavolo al quale la “sua donna” lo stava aspettando «Mi dispiace dolcezza. Ma dobbiamo rimandare la nostra serata. Ho una cosa molto importante di cui occuparmi.» le disse. Prese il cellulare dalla tasca e compose rapidamente un numero. «Donna!» esclamò «Ho bisogno che chiami tutti gli ospedali della città. Voglio sapere dove si trova un uomo di nome Bruno.» riattaccò senza aspettare risposta e sorrise al suo “appuntamento” mentre usciva dal bar con le cose di Lisa strette tra le mani.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


New York New York

CAPITOLO 2



Lisa scosse il capo passandosi le mani tra i capelli. Tirò via l'elastico e li lasciò muoversi leggeri lungo le spalle stringendone qualche ciocca tra le dita. Chiuse gli occhi lasciando che i pensieri le scivolassero via dalla mente e ripercorse silenziosamente l'ultima ora trascorsa in quell'ospedale.

Fece un grosso respiro ignorando il mal di testa martellante. Ricapitolando, suo zio aveva avuto un principio di infarto, il suo capo aveva chiamato per urlarle che era licenziata e, ciliegina sulla torta, il medico l'aveva avvertita che i documenti di suo zio non risultavano in regola e che per questo l'ospedale si trovava costretto a chiamare l'ufficio immigrazione.

«Mi scusi,» disse avvicinandosi all'infermiera alla reception «ehm io avrei bisogno di fare una telefonata ma nella fretta di venire qui ho dimenticato la mia borsa con tutto dentro al lavoro.»

«Mi spiace,» le rispose l'infermiera sorridendo «ma il telefono dell'ospedale è solo per il personale. Ce n'è uno a gettoni proprio qui fuori però.»

Lisa annuì abbozzando un sorriso, mentre tutto quello che voleva fare era urlare.

Quando si era trasferita a New York, sei anni prima, era una ventiseienne speranzosa, piena di vita e desiderosa di vivere il grande sogno americano. Suo zio stava benissimo, Rufus era un cucciolo e tutto sembrava roseo.

Ma niente era andato secondo i piani e ora il mondo sembrava crollarle addosso mentre indossava il grembiule di un elegante bar dove non lavorava più e che di elegante aveva solo l'aspetto.

Scoppiò a piangere, inaspettatamente, senza che riuscisse a controllarsi e si passò la mano sul viso mentre riprendeva il suo posto sul divanetto della sala d'attesa. Velocemente i singhiozzi presero possesso del suo corpo. Tremava senza riuscire a fermarsi e il mal di testa sembrava peggiorare di minuto in minuto.

Era sola, si accorse. Completamente sola.



*****



Harvey scese dall'auto e richiuse la portiera dietro di sé. Corrucciò la fronte quando si ritrovò davanti Mike e Donna e scosse impercettibilmente il capo avviandosi verso l'entrata dell'ospedale.

«Che ci fate qui?» chiese «Anzi no, non voglio saperlo.»

Donna incrociò le braccia sul petto mentre lo seguiva a passo svelto. «Mi hai chiamata nel cuore della notte per chiedermi di trovare un tizio di nome Bruno. Ho parlato con tutti gli ospedali della città e finalmente, quando alla fine l'ho trovato, ero così stanca che la mia voce faticava ad uscire. Non mi avresti chiamata se non fosse qualcosa di importante e qualcosa di importante nel magico mondo di Harvey significa solo due cose: un cliente importante o una donna. E considerato che io conosco tutti i nostri clienti e la loro storia familiare e nessuno di loro è collegato ad un uomo di nome Bruno, direi che ci troviamo di fronte alla seconda opzione. Ed io voglio sapere se ne vale la pena.» disse tutto d'un fiato. «Voglio sapere se la donna per cui ho perso il mio sonno di bellezza ne vale la pena.»

Harvey scosse il capo abbozzando un sorriso, ma la sua espressione rimase preoccupata mentre stringeva tra le mani la borsa di Lisa. «E tu perchè sei qui?» chiese a Mike.

«Onestamente?» rispose lui assonnato «Non ne ho idea. Donna mi ha chiamato dicendo che era urgente.»

«Potrebbe esserlo!» precisò lei. «Reparto di cardiologia, terzo piano.» aggiunse mentre le porte dell'ascensore si chiudevano davanti ai loro occhi.

Quando si riaprirono sul terzo piano, Harvey avanzò lento e si guardò intorno. Eccola lì Lisa Sullivan. Piccola e fragile seduta su un divanetto mentre i singhiozzi la scuotevano. Piegò poco il capo sospirando piano e diede una rapida occhiata a Donna e Mike «Prendete qualcosa di caldo da bere per favore.»

Donna ridusse gli occhi ad una fessura, negli occhi del suo capo e amico c'era una luce diversa e non riusciva bene a capire cosa fosse. Fece cenno a Mike e si allontanò con lui mente Harvey avanzava verso Lisa.

Lei alzò gli occhi quando vide una figura affiancarla e li spalancò perplessa quando lo riconobbe. Si asciugò velocemente il viso e sospirò «Che ci fa lei qui?»

«Lei?» chiese Harvey sedendosi accanto a lei. «Credevo che fossimo andati oltre questa fase formale. Che fossimo amici oramai.»

Lisa abbozzò un sorriso triste «Dubito che tu voglia essere mio amico. Io sono una semplice cameriera, fra qualche settimana non ti ricorderai neppure il mio nome. Quindi risparmiamoci la fatica e teniamo le distanze sin da subito.»

«Tu credi di aver capito tutto di me non è vero? Va bene, sarà più divertente quando cambierai idea.»

La donna scosse il capo e allungò le mani per prendere la sua borsa «Grazie.» mormorò tirando fuori il suo cellulare «Ora scusami, ma devo fare una telefonata importante.» disse alzandosi.

Lui intrecciò le dita «Aspetta. Come sta tuo zio? C'è qualcosa che posso fare per aiutarti.»

«A meno che tu non faccia miracoli no.»

«Sta così male?»

Lei si schiarì la voce mentre cercava un numero «Starà bene. Ha avuto un principio di infarto, ma per fortuna si riprenderà. È tutto il resto che non va.» fece cadere la borsa per terra con fare nervoso e strinse i pugni «Dio!» esclamò. «Perchè non me ne va una giusta?»

Donna le passò affianco, seguita da Mike e le si fermò davanti. La osservò per alcuni minuti, le labbra rosate, la pelle di porcellana, gli occhi nocciola e brillanti. Sembrava furiosa e stanca ma era comunque bella. Guardò Harvey per un attimo e sospirò poggiando di nuovo lo sguardo su di lei «Eh si!» esclamò. «Ne valeva la pena.» mormorò porgendole un tè caldo «Io sono Donna, sono l'assistente di Harvey. È tè, bevilo, ti farà bene.»

Lisa corrugò la fronte e guardò la donna. Il suo sguardo si posò poi sull'altro uomo e infine su Harvey. «Non so che razza di gioco tu stia giocando o quale sia il tuo scopo finale o se tu sia fuori di testa o meno.» gli disse avvicinandosi. «Ma comincio davvero a stufarmi di averti intorno. E non provare a dire che lo fai perchè vuoi essere mio amico. Lo fai semplicemente perchè vuoi infilarti nelle mie mutandine, perchè probabilmente mai nessuna donna è stata capace di resisterti ed io sono un'eccezione che ti manda fuori di testa. Il grande avvocato, chi potrebbe dirgli di no?» disse alzando poco la voce. «Lascia che ti dica chiaramente come stanno le cose e lascia che lo faccia una volta per tutte; noi non siamo amici. E non lo saremo mai. Apparteniamo a due mondi completamente diversi e questo non cambierà. Quindi ti ringrazio di avermi portato le mie cose, ma» si fermò di colpo. Le gambe le tremarono, la stanza iniziò a girare sotto i suoi occhi e l'ultima cosa che vide prima che il buio la avvolgesse completamente, furono le braccia dell'uomo in giacca e cravatta che la afferravano.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


NA: Spero che questa storia abbia ancora qualche fan e che magari ne guadagni di nuovi. Lasciatemi un commento se vi va. Roby.

NYNY

3.

 

 

Il bip delle macchine collegate al suo braccio la fece svegliare. Lisa aprì gli occhi lentamente e si guardò intorno per un momento. Si sentiva disorientata e stanca e la giornata appena trascorsa le ripassò velocemente davanti alle palpebre socchiuse. Il lavoro, l'aumento, lo strano comportamento del suo capo e poi la telefonata che la avvisava che Bruno era stato male. Una rapida successione di immagini che le fecero venire voglia di chiudere di nuovo gli occhi ed abbandonarsi ad un sonno profondo.

"Sei sveglia finalmente."

Lisa si voltò in direzione della voce e piegò poco il capo fissando il viso davanti a sé. Harvey Specter se ne stava poggiato alla porta, le mani chiuse nel suo completo elegante, i capelli in ordine, sul volto un'espressione che a lei sembrò preoccupata ma che, pensò, non aveva motivo di essere; non erano così amici in fondo. Anzi, non erano affatto amici.

"Che ci fai qui?" chiese sollevandosi poco fino ad essere seduta.

Lui avanzò di qualche passo e trascinò una sedia fino al lato del letto. Poi si mise a sedere. "Mi sei praticamente svenuta tra le braccia. Il che mi capita molto spesso a dire il vero, quasi con tutte le donne che incontro," scherzò. "ma mi sentivo in dovere di assicurarmi che stessi bene."

"Rufus!" esclamò lei cercando con gli occhi il suo cellulare. "Devo chiamare Stacie, la mia vicina di casa e dirle di dar da mangiare a Rufus."

"Il mio associato ha già provveduto" le disse Harvey. "Tuo zio si è svegliato, abbiamo fatto amicizia e gli ho raccontato cosa è successo. Mi ha dato le chiavi del vostro appartamento e Mike è andato a dar da mangiare a Rufus."

Lisa annuì distrattamente lasciando che qualche lacrima le scendesse leggera sul viso. Doveva ammetterlo, forse si era sbagliata su quell'uomo che, nonostante tutto, la stava trattando bene come mai nessuno prima.

"Grazie," mormorò asciugandosi il viso. "mi dispiace di essere stata scortese. È solo che"

"È stata una brutta giornata," finì Harvey per lei. "lo capisco, davvero. Ora riposati, verrai dimessa tra qualche ora. Starò qui fuori fin quando non sei pronta e poi ti accompagnerò a casa."

"Perchè?" chiese lei costringendolo a voltarsi prima di lasciare la stanza. "Perchè stai facendo tutto questo per noi. Mi conosci appena."

"Te l'ho detto," replicò Harvey sorridendo. "io e te siamo amici."

Lisa sorrise, con quel sorriso che già una volta aveva ammaliato Harvey Specter. Quelle fossette sulle guance, gli occhi lucidi.

"In questo caso," gli disse lei indicando la sedia con una mano. "rimani seduto qui. Se ti va."

L'uomo annuì appena, si tolse la giacca e si mise a sedere.

 

 

 

****

 

 

 

Lisa entrò in casa seguita da Harvey. L’accoglienza che le riservò Rufus le fece dimenticare per un attimo quanto brutti fossero stati gli ultimi due giorni. Per un attimo.

Mike, e questo era tutto quello che lei sapeva dell’uomo in giacca e cravatta che si era preso cura del suo cane, si alzò dalla sedia e li raggiunse a metà strada tra il piccolo salotto e la porta di ingresso.

“Gli ho dato da mangiare e siamo anche usciti a fare una passeggiata” raccontò infilandosi il cappotto. “È un cane molto educato.” aggiunse dando a Rufus una lunga carezza.

La padrona di casa abbozzò un sorriso e guardò per un attimo il cane prima di poggiare gli occhi sul ragazzo. “Grazie per esserti preso cura di lui,” gli disse. “E credo che nessuno ci abbia ancora presentati come si deve. Sono Lisa.”

Mike strinse la sua mano delicatamente. “Io sono Mike Ross,” si presentò. Poi volse lo sguardo ad Harvey che lo fissava con un’espressione che lui conosceva fin troppo bene. “e sono in ritardo per il lavoro. Quindi ora me ne andrò. È stato un piacere.”

L’uomo si avvicinò all’uscita e sospirò prima di voltarsi a guardare Harvey ancora una volta. “Dirò a Donna di disdire i tuoi appuntamenti per oggi.”

“Oh no,” si intromise Lisa. “voglio dire, non è necessario. Sto bene, posso cavarmela da sola adesso.”

Harvey sorrise. “Non lo faccio per te, ho davvero bisogno di un giorno di riposo.”

Lei annuì appena salutando Mike e sospirò. “Capisco,” mormorò appendendo il suo cappotto all’appendiabiti laterale alla porta. “In questo caso sarà meglio che prepari qualcosa per colazione, che ne dici di pancake? O una omelette magari.”

“L’omelette mi sembra perfetta,” annunciò Harvey mettendosi comodo, privandosi del soprabito e anche della giacca. Tutto nell’intento di avere un aspetto meno formale e più rilassato. “il tuo appartamento è molto carino.”

Lisa si guardò intorno. “Sono certa che sei abituato a posti migliori, ma grazie. È un po’ piccolo ma ci si sta abbastanza comodi in tre. Anche se probabilmente mi converrebbe iniziare subito a cercarmi un altro lavoro se voglio continuare abitare qui. La padrona di casa ha un debole per Bruno ma pretende comunque che l’affitto venga pagato puntualmente alle undici di mattina di  ogni ventisette del mese.”

“Non vuoi tornare all’Elite?” Harvey si mise a sedere osservandola attentamente. Si muoveva con grazia, sicura di quello che faceva mentre armeggiava con barattolini pieni di spezie e padelle bollenti.”

“Onestamente?” la donna si voltò a guardarlo per un attimo, porgendogli due tovagliette che lui sistemò ai lati della piccola isola in cucina. “No. Odio quel posto. E anche se volessi tornare dubito che il signor Mayer mi permetterebbe di riprendere il mio posto. Non dopo che sono fuggita via nel bel mezzo di un turno lasciando il bar pieno zeppo di gente.”

“Ma si trattava di un’emergenza familiare.”

“Ma a lui non importa,” replicò Lisa. Si fermò un attimo come per rielaborare i pensieri, poi si passò una mano sul viso. “Non fa niente. Troverò qualcos’altro, almeno spero.” Ho dei risparmi da parte, abbastanza per coprire l’affitto e le spese per un altro mese. Me la caverò.”

“Ne sono certo.” sussurrò Harvey prendendo posto per la colazione.

 

 

 

****

 

 

 

"Dimmi qualcosa di te." Harvey mangiò l'ultimo boccone della sua omelette e sorrise passandosi il bicchiere di succo d'arancia alla bocca.

"Solo se tu mi dici qualcosa di te."

"Stai negoziando con me per caso?" l'uomo rise incrociando le mani sul rivestimento giallo chiaro dell'isola nella piccola cucina.

"Forse" replicò lei abbozzando un sorriso. "Forse c'è un pizzico di avvocato dentro di me."

L'uomo scosse lievemente il capo. "Okay, va bene. Tu mi dici qualcosa di te ed io ti dico qualcosa di me. Facciamo che tu fai due domande a me ed io ne faccio due a te."

"Affare fatto. Ma inizio io, prima le signore giusto?"

"Corretto."

"Okay. Vediamo... dimmi qualcosa della tua famiglia."

"Mio padre è morto parecchi anni fa. Eravamo molto legati. Ho un fratello minore, Marcus ma non ci vediamo spesso. E questo è tutto ciò che c'è da sapere sulla mia famiglia."

"E tua madre?" Lisa piegò poco il capo guardandolo con un'espressione che lasciava trapelare una curiosità che però non avrebbe comunque superato certi limiti. 

Harvey abbassò lo sguardo per un attimo. Si perse nei suoi pensieri per qualche secondo, poi fece spallucce. "Mia madre è morta."

"Morta morta o morta per te?"

"Non fa alcuna differenza," rispose tranquillamente lui. "Comunque," aggiunse cercando di ridarsi un tono "queste sono tre domande. Credo che ora sia il mio turno."

Lisa accarezzò con le dita il bordo del suo bicchiere. "Sì, è vero. Tocca a te."

"Parlami un po' della tua di famiglia."

"Sono figlia unica. I miei genitori sono morti quando ero molto piccola. Bruno mi ha fatto da padre e madre oltre che da zio. Mi sono trasferita qui sei anni fa e da allora niente è andato come speravo." raccontò lei.

"Hai un ragazzo?"

Lei rise muovendosi poco sulla sedia. "Sei diretto," gli disse "ma non mi sorprende. No, non ho nessuno."

"È difficile crederlo. Una donna come te, senza un amore. È strano."

"Una donna come me? E come sarei?"

"Intelligente, dolce, forte. Capace di cucinare un'ottima omelette," replicò lui indicando il piatto con un dito. "e bella da togliere il fiato."

Lisa sentì il viso avvampare. Sorrise imbarazzata e si schiarì la voce. "Dillo a tutti i miei ex..." sussurrò.

"Dammi i loro nomi e lo farò."

La donna sospirò e si mise in piedi. Controllò velocemente l'ora e gli rivolse un sorriso gentile. "Devo farmi una doccia ora e poi tornare in ospedale e trovarmi un avvocato visto che, a quanto pare, i documenti per la cittadinanza di Bruno non sono in regola. "

Harvey ne imitò i movimenti alzandosi a sua volta. "Io sono un avvocato."

Lisa rise. "Io non posso permettermi un avvocato del tuo livello. Dovrò accontentarmi di un pelato difensore d'ufficio."

"Esistono le cause pro bono."

"No, hai già fatto molto per me ed io non..."

"Pensaci un po' okay? Promettimi solo che ci penserai. Andiamo, non posso lasciarti nelle mani di un pelato difensore d'ufficio, non dopo tutto quello che abbiamo passato insieme."

Il suo viso smaliziato ma malizioso la fece quasi ridere. "Va bene, ci penserò. Ti farò sapere."

"Bene, passo a prenderti domani alle otto." le disse incamminandosi verso l'entrata.

"Domani alle otto per cosa?" domandò Lisa seguendolo.

"Per la cena, e dopo il dessert mi dirai cosa hai deciso. Non si possono prendere grosse decisioni a stomaco vuoto, non è saggio."

Lisa scosse il capo energicamente. "Non posso venire a cena con te."

"Perchè no?"

"Non sarei una buona compagnia, fidati."

L'uomo sorrise mettendo le mani nelle tasche del cappotto. "Questo lascialo decidere a me. Ci vediamo domani." le disse. E Lisa non aggiunse altro, semplicemente lo guardò uscire mentre pensava che non aveva idea di cosa indossare per una cena con un affascinante avvocato milionario.

   

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


NYNY

4.

 

 

 

Lisa sistemò un’ultima volta la camicetta lilla e strinse la coda di cavallo come faceva la sua mamma quando era bambina. Indossò le scarpe, scomode con quei tacchi alti, ma necessarie al primo appuntamento. Gli orecchini, l’unica cosa di valore che aveva, brillavano ben visibili sui lobi lasciati scoperti dai capelli raccolti.

Prese la borsa e si guardò allo specchio sorridendo timidamente al suo riflesso; chi voleva prendere in giro? Anche se era riuscita a mettere insieme un outfit decente rimaneva sempre la cameriera che, per chissà quale motivo, aveva attirato le attenzioni del brillante avvocato milionario.

In realtà credeva di sapere quali fossero le motivazioni dietro quell’interesse. Per quanto Harvey fosse affascinante e per quanto si fosse rivelato gentile, Lisa era certa che una volta finiti a letto la magia sarebbe svanita e lei sarebbe stata solo un altro nome da aggiungere alla lista di donne che non avevano saputo resistere al fascino di Harvey Specter.

Lui invece sarebbe stato un altro dei tristi ricordi che Lisa teneva relegati nell’angolo più profondo e scuro della sua mente. Le sarebbe passata prima o poi e guardando i vestiti che stava indossando in quella occasione si sarebbe ricordata di una serata in cui si era sentita speciale, almeno per la durata della cena.

Sobbalzò quando sentì il campanello e si impose di calmarsi. Rufus la fissava come in attesa, la lingua penzolante, la coda che scodinzolava lenta. Lisa si sentì una pazza, ma per un attimo credette che lo sguardo del suo amico a quattro zampe volesse dirle di stare tranquilla, di uscire e divertirsi, se lo meritava.

Raggiunse la porta di ingresso accarezzandogli la testa mentre gli passava accanto e si perse un attimo nella vista del suo appuntamento; un maglioncino blu sopra una camicia bianca accompagnato da un paio di pantaloni beige ed un cappotto scuro. Elegante ma allo stesso tempo casual e Lisa ebbe l’impressione di essere fuori posto con i suoi tacchi altissimi, la sua gonna corta e la camicetta velata.

Harvey, che fino ad allora aveva guardato dall’altra parte della strada, si voltò e sul suo viso si formò un’espressione che era il perfetto misto di sorpresa e piacere. Lisa non lo conosceva ancora benissimo ma ebbe l’impressione che non sapesse cosa dire.

“Non sapevo cosa indossare perché non so dove stiamo andando. Volevo indossare un vestito ma poi ho pensato che tutti indossano un vestito al primo appuntamento e mi è sembrato banale” Lisa parlò con l’intenzione di rompere il ghiaccio, ma lo sguardo dell’uomo rimase fermo su di lei, gli occhi la accarezzavano lentamente mentre stringeva in mano un mazzo di fiori.

“Vuoi dire qualcosa o rimarrai muto per tutta la sera?” chiese ancora lei.

L’uomo prese un grosso respiro. “Non so cosa dire.”

“Wow!” esclamò lei ridendo appena. “Un avvocato di successo che rimane senza parole. Direi che è… promettente. Se così possiamo dire.”

Harvey abbozzò un sorriso porgendole i fiori. “Sei bellissima.”

“Anche tu non sei niente male.”

Harvey si spostò poco di lato per liberarle il passaggio e la seguì quando lei si avviò verso l’auto scura che li aspettava.

 

 

 

 

****

 

 

 

Il ristorante che Harvey aveva scelto non era affatto come Lisa lo aveva immaginato. Era elegante sì, ma non lo era in modo talmente ostentato da mettere soggezione. Si era sentita subito a suo agio quando era entrata e quando un cameriere con dei baffi scurissimi rispetto ai capelli grigi si era avvicinato per prendere le loro ordinazioni, ogni tensione si era sciolta nel sorriso cordiale dell’uomo.

Harvey non le aveva tolto gli occhi di dosso per l’intero viaggio in aiuto, sorridendo divertito quando lei si era schiarita la voce imbarazzata voltandosi a guardare la città luminosa fuori dal finestrino. Anche in quel momento la stava fissando, con uno sguardo malizioso che un po’ le faceva avvampare le guance.

“Eri mai stata qui?” le chiese di improvviso versandole del vino nel bicchiere.

Lei scosse il capo. “No, mai. Non ho avuto molti veri appuntamenti da quando mi sono trasferita qui. Ho frequentato qualcuno ma il massimo dell’eleganza e della sofisticatezza per lui consisteva in una pizza mangiata seduti sul cofano della sua berlina.”

“Non sembra molto romantico” l’uomo rise bevendo un sorso dal suo bicchiere.

“Lo sarebbe stato se fossi stata un’adolescente alla sua prima cotta. Ma non lo ero. Anche se mi piace la pizza.”

“Piace anche a me,” rispose lui. “Ma non seduto sul cofano di una berlina.”

“Esattamente!”

Lisa sorrise al cameriere appena arrivato con la sua ordinazione e si poggiò il tovagliolo di stoffa sulle gambe come aveva visto fare in moltissimi film. Poi alzò lo sguardo su Harvey prima di prendere forchetta e coltello.

Si chiese se le donne che frequentava di solito mangiassero bistecche ai primi appuntamenti e per un attimo pensò che forse sarebbe stato meglio ordinare un’insalata. Poco male, pensò mentre ingoiava il primo boccone, quella storia sarebbe comunque finita una volta raggiunte le lenzuola e vista la tensione sessuale e la scarica di adrenalina che entrambi sembravano percepire ogni volta che si sfioravano, non ci sarebbe voluto molto tempo prima di arrivare a quel punto.

Fissò lo sguardo dentro il suo bevendo un sorso di vino mentre un piccolo quartetto posizionato in fondo alla sala iniziava a suonare una melodia che Lisa riconobbe come quella che sua nonna le suonava ogni tanto quando era bambina. Intenerita dal ricordo sospirò e si sporse poco per essere certa che lui potesse sentirla.

“Grazie per questa serata,” gli disse. “Ne avevo bisogno.”

“Mai quanto me” replicò lui piegando la bocca in un sorriso.

Le strizzò l’occhio prima di tornare dritto sulla sedia e Lisa sentì lo stomaco contrarsi in una morsa mai sentita prima ma di cui aveva sentito parlare tante volte. Provò a scacciare il pensiero, ma la verità, e lo sapeva, era che si stava innamorando di quell’uomo.

 

 

 

****

 

 

 

La serata passò in fretta, troppo in fretta per i gusti di Harvey. La cena, le risate, la bellezza disarmante della sua accompagnatrice gli fecero venire voglia di ritardare il momento in cui avrebbe dovuto riaccompagnarla alla porta di casa.

Chiese a Ray, il suo autista, di prendersi il tempo necessario a guidare e l’uomo annuì con un mezzo sorriso capendo perfettamente quello che il suo capo gli stava dicendo. Così, una volta che furono saliti in auto dopo una spettacolare torta al cioccolato come dessert, Ray prese tutte le strade secondarie possibili per ritardare l’arrivo a casa della giovane donna che sembrava aver stregato il mitico Harvey Specter.

Questo piccolo trucco sommato al fatto che New York era sempre caotica, soprattutto a quell’ora di sera, fecero guadagnare all’avvocato altri trenta minuti abbondanti in compagnia della prima donna che gli piaceva davvero dopo che con Scottie non era andata come aveva sperato. Quei trenta minuti extra servirono ad Harvey per capire due cose del suo appuntamento; il caffè le piaceva solo se accompagnato da almeno tre zollette di zucchero e quegli occhi naturalmente lucidi e pervasi di malinconia erano i più belli che avesse mai visto.

Era stato tentato almeno due volte, durante la cena, di alzarsi e baciarla. Ma aveva resistito facendo appello a quel briciolo di auto controllo che gli era rimasto da quando l’aveva vista elegante e sensuale sulla soglia della porta di casa mentre lui le stava in piedi davanti, come una statua di sale senza proferire parola.

Non aveva mentito quando aveva detto che non sapeva cosa dire e lei aveva ragione quando aveva detto che averlo lasciato senza parole era promettente… per quanto provasse a razionalizzare le sensazioni che sentiva, Harvey era piuttosto sicuro che avrebbe potuto tranquillamente innamorarsi di quella donna e che forse un po’ lo era già.

Quando Ray parcheggiò davanti la casa dove erano andati a prenderla poche ore prima, Harvey la vide irrigidirsi e gli balenò in testa il pensiero che nemmeno a lei facesse piacere l’idea che quella serata fosse finita.

Aprì la bocca per dire qualcosa ma lei lo precedette recuperando la sua borsa.

“Direi che questa serata è stata un vero successo” gli disse. “Se posso essere sincera meglio di quanto mi aspettassi.”

“Decisamente un successo,” confermò lui sorridendo. “Esattamente come mi aspettavo che sarebbe stata.”

Lisa rise portandosi una mano davanti alla bocca. “Non so perché ma mi aspettavo una risposta del genere da parte tua.”

Harvey annuì sorridendo. “Forse sono più prevedibile di quanto credo” le disse aprendo lo sportello. “Aspetta, ti accompagno alla porta.”

L’uomo scese dall’auto e camminò a passo lento fino a raggiungere lo sportello dall’altra parte. Mentre lo apriva poté sentire Lisa salutare e ringraziare Ray e per un motivo che non riusciva a capire sentì un moto di grande tenerezza attraversarlo da capo a piedi.

A pochi passi da lei, con una mano poggiata sulle sue spalle, Harvey la seguì su per i pochi gradini che conducevano alla porta e sospirò quando lei si voltò a guardarlo; il viso stanco… ma quelle dannate fossette sulle guance.

“So che non mi inviterai ad entrare, ma anche se lo facessi non accetterei. Questa serata è stata perfetta, qualunque altra cosa la rovinerebbe” le disse mettendo le mani nelle tasche del cappotto.

“Qualunque?” chiese lei scendendo di un gradino per essere faccia a faccia con lui.

Lui sorrise perdendosi negli occhi nocciola della donna, in uno sguardo che non lasciava alcun dubbio.

“No, non tutto” rispose mentre le loro labbra si incontravano.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


nyny

5.

 

 

 

 

 

“Grazie, è stato molto gentile a dedicarmi un po’ del suo tempo,” Lisa sorrise gentile all’anziano uomo dietro il bancone. “Ha il mio numero, se dovesse cambiare qualcosa mi chiami.”

Uscì dal negozio lasciando l’uomo sorridente e sospirò mentre si ritrovava di nuovo nel gelo di New York. Aveva perso il conto di quanti negozi aveva visitato quel giorno, alla disperata ricerca di un lavoro che le permettesse di pagare un avvocato per suo zio Bruno. Un avvocato che mettesse in ordine i documenti dell’uomo in modo da permettergli di rimanere a New York.

Riprese il collare di Rufus, che se ne stava seduto tranquillo sulla soglia della porta, e si piegò sulle ginocchia per dargli una carezza.

“Andiamo a casa adesso,” gli disse. “Sono stanca e probabilmente anche tu.”

Il cane guaì senza staccare gli occhi da lei e di nuovo Lisa ebbe la sensazione che stesse cercando di dirle qualcosa.

Corrugò la fronte perplessa quando il suo cellulare squillò e lo prese dalla tasca del giubbotto.

“Pronto,” rispose ricominciando a camminare.

“Salve, sono Donna Paulsen, la segretaria di Harvey Specter.”

“Ehm… salve Donna. Cosa posso fare per lei?”

“Per me assolutamente nulla tesoro,” rispose l’altra. “Ma Harvey vorrebbe vederti nel suo ufficio.”

“Adesso?”

“Adesso. Se mi dici dove sei manderò un’auto a prenderti.”

“Non è necessario,” Lisa si guardò intorno. “Stavo sbrigando delle commissioni vicino allo studio, quindi posso venire a piedi.”

“Bene, a tra poco allora.”

La donna riattaccò e Lisa non potè fare a meno di sorridere; per il caratterino di Donna e anche perché non le era mai capitato, dopo un appuntamento, di essere contattata dalla segretaria del suo accompagnatore.

Ripensò alla cena con l’avvocato e fece un grosso respiro cercando di mettere in ordine i pensieri. Non era il caso di affezionarsi troppo, ne era certa nonostante quell’uscita fosse andata magnificamente. Non aveva idea del perché volesse vederla ma il fatto che non fosse stato lui stesso a chiamarla le faceva presupporre che questa volta non si trattava di un appuntamento di piacere. Senza rendersene conto, quindici minuti dopo, si ritrovò di fronte al grande palazzo che ospitava lo studio legale di Harvey.

Solo mentre varcava la soglia accolta da un vociare e da una marea di gente realizzò che probabilmente Rufus non sarebbe esattamente stato il benvenuto.

“Signora, mi dispiace,” le disse infatti una guardia raggiungendola. “Ma gli animali non sono ammessi.”

Lisa annuì facendo cenno a Rufus che si mise a sedere immediatamente.

“Mi dispiace molto,” rispose. “Eravamo in centro e sono stata chiamata qui per un appuntamento con Harvey Specter. Non potevo andare fino a casa e tornare qui, non avrei mai fatto in tempo.”

La guardia le sorrise cordiale, poi si avvicinò ad un bancone e compose due numeri. Parlò per alcuni secondi e poi si voltò a guardarla.

“Mi assicura che il cane non farà alcun danno?”

“È buonissimo ed è troppo pigro per creare problemi,” Lisa rise accarezzando la testa di Rufus. “Mi creda, si sdraierà sul pavimento e rimarrà immobile per tutto il tempo.”

“In questo caso,” l’uomo le fece cenno di seguirlo fino agli ascensori e una volta che lei vi entrò premette il tasto del piano giusto prima di salutala con un sorriso. “Buona giornata.”

Lisa lo salutò con un gesto della mano mentre la pigrizia di Rufus iniziava a farsi vedere e il cane si sdraiava poggiando il muso sulla sua scarpa.

 

 

 

 

****

 

 

 

 

Harvey la aspettava seduta sul divano del suo ufficio, piegato in avanti per guardare alcuni documenti poggiati sul bel tavolino. Un bicchiere di whisky stretto nella mano. Dietro di lui un’immensa libreria piena zeppa di dischi in vinile e tutto intorno palline da baseball tenute come trofei.

Lisa si prese un attimo per perdersi nella grandezza di quell’ufficio, nella mobilia bella e moderna, nell’odore virile che regnava nella stanza. Gli si addiceva, pensò guardando l’uomo seduto, concentrato come non lo aveva ancora visto. Le vetrate offrivano una vista mozzafiato della città e lei fissò lo sguardo fuori per un lungo minuto.

Quando lo distolse, per poggiarlo su Harvey, lui la stava guardando con un sorriso stampato sul viso.

“La tua segretaria mi ha detto che potevo entrare,” gli disse sorridendo. “E mi sono persa nella vista della città.”

“Succede spesso anche a me.”

“Questo ufficio è bellissimo, molto… molto da te.”

Lui la raggiunse e diede una lunga carezza a Rufus prima di parlare di nuovo. “È il posto dove passo la maggior parte del tempo. Volevo che fosse accogliente quando ho deciso come arredarlo.”

“L’hai deciso tu? Non sono tutti uguali?”

“Assolutamente no!” replicò lui guardandola. “Ma non ne troverai uno migliore del mio” scherzò.

Lisa rise, con quella risata bella e contagiosa addolcita da quelle fossette sulle guance. “Ne sono certa” disse. “Ma sono sicura che non mi hai chiamata per parlare del tuo ufficio.”

Harvey scosse il capo invitandola a sedersi e le si sedette accanto. “Ti ho convocata per delle questioni che riguardano tuo zio Bruno. Ho fatto qualche telefonata, in quanto suo avvocato e…”

“Aspetta, aspetta” lo interruppe Lisa. “Tu non sei il suo avvocato.”

“Sì lo sono.”

“Da quando?”

“Da quando mi hai conferito l’incarico a cena l’altra sera.”

Lisa scosse il capo abbozzando un sorriso. “Ricordo tutto di quella sera, ma non questo.”

“Ricordo tutto anche io,” le disse lui malizioso.

“Harvey,” sussurrò lei. “Non voglio che tu ti occupi del caso di Bruno.”

“Perché no?” chiese lui. “Lisa, andiamo… sono un ottimo avvocato te lo assicuro.”

“Ne sono certa. Ma non posso permettermi un avvocato del tuo livello, e non voglio che tu lo faccia pro bono.”

“Perché no?”

“Perché hai già fatto molto per noi e non voglio chiederti altro.”

“In realtà, se ci pensi bene, non ho fatto assolutamente nulla” disse lui. “E comunque non me lo stai chiedendo. Sono io che mi sto offrendo.”

Lei scosse il capo. “Non fa alcuna differenza.”

“Fa una differenza enorme,” le disse lui. “ma riparliamone dopo, ora voglio parlarti delle novità che ho.”

“Va bene,” accettò lei. “Dimmi tutto.”

Harvey diventò di colpo serio e Lisa capì che nonostante l’atmosfera scherzosa non si trattava di buone notizie. “Ho fatto alcune telefonate all’ufficio immigrazione.”

“Il tono della tua voce non promette nulla di buono…” sussurrò Lisa.

“Non sono buone notizie,” Harvey le prese delicatamente la mano. “Bruno dovrà tornare in Italia, almeno fin quando non metteremo in ordine i suoi documenti per permettergli di ritornare, seguendo la legge stavolta.”

“Cavolo” mormorò Lisa. “Questa è… non me la aspettavo.”

Si accorse che le lacrime le pizzicavano gli occhi e liberò la mano dalla presa di Harvey per coprirsi il viso. L’uomo le diede un attimo per sfogarsi, poi le accarezzò piano i capelli chiusi in una disordinata coda di cavallo.

“Metteremo le cose a posto, te lo prometto” le disse.

Lei si asciugò gli occhi e si prese un secondo, accarezzando Rufus che le si era avvicinato. “Come?”

“Lo rimandiamo in Italia con un comodissimo biglietto in prima classe. Lui rivede la sua famiglia, si rilassa… come un viaggio. Nel frattempo io sistemo tutti i documenti e poi lo riportiamo qui.”

“Sono io la sua famiglia.” Lisa scoppiò a piangere. Una situazione davanti alla quale Harvey, solitamente, non avrebbe saputo cosa fare.

Con lei però, mentre la stringeva tra le braccia, sembrò quasi naturale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


nyny

6.

 

 

 

“Pronto a tornare a casa?” Lisa si fermò sulla soglia della porta e sospirò guardando con un sorriso Bruno.

L’uomo se ne stava seduto sul letto, indossando i suoi pantaloni color cachi e il suo maglioncino azzurro sopra la camicia chiara; in pieno stile Bruno Rossetti. La guardò regalandole un sorriso e Lisa pensò che somigliava molto a sua madre, o almeno a sua madre da giovane. Ricordò, con un vago senso di tristezza, il giorno in cui si erano seduti a terra, su un grande tappeto verde, e avevano sfogliato un gigantesco album pieno zeppo di foto di ogni tipo.

Di alcuni Bruno non aveva saputo dirle assolutamente nulla, con l’età che avanzava la memoria sembrava dileguarsi lentamente ma gradualmente e purtroppo nessuno poteva fare niente per impedirlo.

Di altri invece le aveva raccontato storie straordinarie, come le avventure di sua cugina Serafina che per anni aveva raccolto le olive nelle campagne dei ricchi agricoltori siciliani e che aveva finito per sposarne uno.

Della Sicilia e di quella sua cugina che lui chiamava amorevolmente Fina, aveva parecchi ricordi e nessuno di loro sembrava volersi cancellare dalla memoria.

“Prima è passato il tuo amico,” le disse alzandosi. “Quello con i capelli gellati e il completo italiano da almeno duemila dollari.”

Lisa gli si avvicinò di qualche passo. “Intendi Harvey Specter?”

“Esatto,” mormorò lui inforcando gli occhiali. Le lenti rotonde gli davano un aspetto sbarazzino, persino un po’ stravagante. “Harvey… ha uno stile niente male, devo dire. Mi ha portato un’ottima bottiglia di vino italiano. Ha detto che fa bene al cuore, e mi ha detto alcune cose, in quanto mio avvocato…”

Bruno lasciò la frase a mezz’aria, ma Lisa sapeva di quali cose stesse parlando. Si prese un attimo per capire se quel bruciore che sentiva pungerle la bocca dello stomaco era rabbia o gratitudine; spettava a lei parlare a Bruno di quelle cose ma forse Harvey sapeva che non avrebbe mai trovato il coraggio necessario a farlo.

Ancora una volta si fermò a riflettere sulla follia di tutta quella situazione, a quanto la sua vita fosse cambiata in così poco tempo, a quanto Harvey Specter si stesse rivelando diverso da come lei lo aveva immaginato.

Forse, si disse mentre si metteva a sedere sul letto di suo zio, non sarebbe finita dopo il sesso… forse lui avrebbe davvero potuto amarla. Il pensiero che presto avrebbe dovuto lasciare New York per tornare in Italia con Bruno la riportò alla realtà con una forza talmente brutale ed inaspettata che quasi le venne da piangere. Ma si trattenne e si sforzò di mantenere il controllo; sarebbe finita ancor prima del sesso, e quel sesso non sarebbe mai diventato amore.

Dubitava che lui sarebbe rimasto ad aspettarla per chissà quanto tempo. E in fondo perché avrebbe dovuto? Lei non sarebbe mai stata adatta ad uno come Harvey. Al massimo sarebbe tornata a servire drink a quelli come lui in qualche bar e tutto sarebbe finito com’era iniziato; con delle tartine al salmone, qualche bicchiere di troppo, un sorriso e l’illusione di essere speciale per qualcuno che di ordinario, nella propria vita, non aveva assolutamente nulla.

“Non so se essere arrabbiata con lui perché te l’ha detto o se essergli grata… non so se avrei saputo trovare il coraggio o le parole giuste” disse stringendo la mano di suo zio che nel frattempo si era rimesso seduto.

“Immagino che non debba essere stato facile per te sapere che… che ho fatto un bel disastro” scherzò l’uomo. Ma nel suo tono c’era solo tanta amarezza.

Lisa si strinse nelle spalle. “Ho sempre saputo che sei un pasticcione. Solo che non avevo capito fino a che punto.”

“Mi dispiace Lisa” sussurrò Bruno. “Non sapevo che ci fosse qualcosa che non andava nei miei documenti… all’inizio. E quando l’ho scoperto, appurato che i tuoi erano tutti in regola… beh ho pensato che se nessuno se ne era accorto fino ad allora…”

“Già…” Lisa annuì abbassando lo sguardo per un attimo, poi rialzandolo per fissare un punto imprecisato della stanza. “Scommetto che non avevi pensato che se mai avessi avuto un infarto sarebbe saltato fuori che qualcosa non andava vero?”

Bruno scosse il capo accennando una risata. “Avrei dovuto pensarci. Beh… che vuoi farci? È la vita. Ma dimmi… cosa c’è tra te e quell’avvocato?”

Lisa si passò una mano tra i capelli. “A dire il vero non lo so. Ma non ha importanza. Qualunque cosa sia finisce oggi. Se dobbiamo tornare in Italia…”

“Dobbiamo?” la interruppe Bruno. “I tuoi documenti sono in ordine, sono solo io quello che se ne deve andare.”

“Io sono tutto quello che hai zio Bruno. Non ne discuteremo neppure, io torno in Italia con te.”

 

 

 

****

 

 

 

Il palazzo in cui viveva Harvey era esattamente come se lo era immaginato. Quando era entrata e aveva visto quella specie di piccolo salottino nell’angolo destro, Lisa si era chiesta quanto diavolo costasse vivere lì. Era stato un pensiero istintivo, forse dettato dal fatto che aveva avuto la sensazione che persino le maniglie delle porte in quel posto costassero quanto metà della sua casa.

Ma d’altronde uno come Harvey dove altro avrebbe potuto vivere? Un avvocato brillante e di grande successo… non poteva certo abitare in una piccola casa di periferia o in un fatiscente palazzo.

Era stato piuttosto facile procurarsi il suo indirizzo. Quando aveva chiamato il suo ufficio e Donna le aveva comunicato che era già andato a casa perché aveva dei documenti da studiare per un caso molto importante, tutto quello che aveva dovuto fare era stato chiedere se per caso l’avesse disturbato se fosse passata a trovarlo. Donna le aveva assicurato che non sarebbe stato un disturbo e le aveva detto di prendere carta e penna per appuntare l’indirizzo.

Le aveva anche dato una piccola “dritta”, consigliandole di portare la cena, perché difficilmente Harvey si sarebbe ricordato di mangiare altrimenti.

Così Lisa aveva preparato una teglia di lasagne, anche se non aveva intenzione di trattenersi a lungo.

Una volta di fronte alla porta giusta, allungò la mano libera e bussò per tre volte. Stava per bussare una quarta quando si aprì.

Harvey la fissò con un’espressione sorpresa. Uno stupore talmente genuino che a Lisa venne da ridere. Era vestito casual, con un paio di pantaloni scuri e una maglietta grigia, i capelli leggermente spettinati e in mano un bicchiere di vino rosato.

“Lisa,” mormorò incredulo. “Cosa ci fai qui?”

Lei fece un grosso respiro. “Avevo bisogno di parlarti, così ho chiamato il tuo ufficio e Donna mi ha detto che ti avrei trovato qui.”

“E quella?” l’uomo indicò la teglia stretta nelle sue mani.

“Donna mi ha anche suggerito di portarti qualcosa per cena. Ha detto che lavori ad un caso molto importante e che se non ci avessi pensato io probabilmente ti saresti persino scordato di cenare. Così ho preparato le lasagne.”

Harvey sorrise, e agli angoli dei suoi occhi si crearono quelle pieghette che gli facevano lo sguardo furbo ma dolce. “Donna ha ragione. Vieni dentro, così possiamo parlare mentre ceniamo.”

Lisa annuì avanzando di qualche passo. Poi aspettò che lui richiudesse la porta e lo seguì fino alla cucina. Mentre lui le prendeva le lasagne di mano e le metteva a riscaldare nel forno a microonde, la donna si guardò intorno e notò che, come il suo ufficio, anche il suo appartamento offriva una vista mozzafiato sulla città. Era una casa bellissima, proprio come la casa che aveva sempre immaginato lei quando si era spinta oltre e aveva sognato un futuro fatto di indipendenza e tranquillità economica e non solo.

“Ti piace la casa?”

La voce di Harvey la riportò alla realtà e mentre lui la aiutava a togliersi il cappotto, lei fece cenno di sì col capo fissando gli occhi sulla porta di una stanza. Dal punto in cui si trovava poteva intravedere un grande letto e si chiese quante donne ci avessero dormito sopra.

“Hai una casa davvero stupenda,” mormorò voltandosi per sorridergli. “Ma prepara la tavola solo per te, io non mi tratterrò a lungo.”

“Perché? Hai da fare per caso?”

“Devo…” farfugliò Lisa. Ma non c’era un modo buono per dirgli che era andata lì per salutarlo. Un addio probabilmente. “Io…”

“Lisa,” le disse Harvey avvicinandosi ancora di più a lei. “Stai bene?”

Lei annuì aprendo e chiudendo i pugni un paio di volte, nella speranza che le mani le smettessero di tremare. Ne alzò una e gliela poggiò sul viso, accarezzandogli le labbra con il pollice.

“Pare che questa volta tocchi a me” gli sussurrò.

Harvey le baciò la punta del pollice prima di parlare. “Tocchi a te cosa?”

“Non sapere cosa dire.”

Lui abbozzò un sorriso ricordando quando al loro primo appuntamento aveva fatto scena muta quando l’aveva vista bellissima sulla soglia di casa. Stava per dirle qualcosa quando lei lo baciò. Un bacio delicato, ma deciso.

L’uomo piegò poco il capo, con la punta della lingua le solleticò le labbra e quando lei le dischiuse, rispondendo a quel tocco, tutto si fece più caldo. Lisa gli circondò il collo con le braccia, poi affondò le mani nei suoi capelli mentre lui se la stringeva al petto avvolgendola con entrambe le braccia. Con un gesto veloce lui la sollevò da terra e la portò dritta in camera da letto senza smettere di baciarla.

Solo quando raggiunsero il letto si staccò da lei, il tempo necessario a farla sdraiare. Lisa lo osservò mentre dolcemente le sbottonava la camicetta, accompagnando la discesa verso l’ultimo bottone con dei baci leggeri sul collo, tra i seni, sull’addome. Poi, dopo averle sorriso, Harvey si sfilò la maglietta e si piegò fino a poggiare di nuovo la bocca sulla sua.

Lei gemette contrò le sue labbra, appagata dal calore delle sue dita che le stringevano prima le mani, poi i fianchi.

Quando interruppero il bacio per respirare, Lisa gli prese il viso tra le mani e lo guardò dritto negli occhi. Si accorse, mentre quello sguardo bello la osservava in attesa, che lo amava e non le era più possibile negarlo. Per quanto assurdo fosse, per quanto affrettato sembrasse… lei si era innamorata di lui. Del suo modo di fare, del suo modo di essere, di quelle labbra che ora arrossate sembravano affamate di lei.

“Vorrei dirti una cosa, prima” gli sussurrò. “Ma ho paura che potrebbe rovinare questo momento ed io voglio che sia perfetto.”

Harvey scosse poco il capo, dandole un rapido bacio prima di guardarla di nuovo. “Non c’è niente che potrebbe rovinare questo momento.”

“Promesso?”

“Promesso.”

“Io ti amo,” confessò lei. “Non so quando sia successo, ma ti amo.”

Harvey sembrò irrigidirsi per un attimo, poi Lisa lo sentì rilassarsi nuovamente. Pensò che era un buon segno anche se non sapeva cosa le avrebbe risposto. Le sarebbe andata bene qualunque parola, perché in fondo quello era un addio, anche se lui non lo sapeva.

L’uomo però non disse nulla, semplicemente poggiò le labbra sulle sue e in quel bacio Lisa trovò la sua risposta.

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


NDA: Questo capitolo lo dedico a Lucyvanplet93 affinchè le faccia compagnia durante le sue notti insonni :) buona lettura a tutti comunque :D Roby.

NYNY

7.

 

 

 

 

 

Quando Lisa si svegliò quella mattina, erano ancora le cinque e dieci minuti. Il braccio di Harvey le stringeva la vita e lei poteva sentirne il respiro regolare solleticarle il centro della schiena.

Pensò che era il momento perfetto per alzarsi e andarsene via piano piano, più silenziosamente che poteva per non svegliare lo splendido uomo che l’aveva amata intensamente nella notte appena passata. Ma stare lì, con quel calore sulla pelle, quel braccio forte che la teneva delicatamente stretta e quell’odore virile era così bello che decise di chiudere di nuovo gli occhi, solo per un altro po’.

Quando li aprì di nuovo erano quasi le sette ed Harvey non la stava più stringendo. Lisa sentì il rumore della doccia e pensò che ora era davvero il caso di alzarsi. Si mise a sedere sul letto e mentre con una mano si strofinava l’occhio destro con quello sinistro si guardava intorno alla ricerca dei suoi vestiti. Quando li individuò poco lontano, vicino ad una sedia, si alzò lasciando il lenzuolo che la copriva e li raggiunse.

Si rivestì con calma, una parte di lei le urlava di accelerare perché presto Harvey avrebbe finito di fare la doccia e sarebbe tornato in camera e salutarlo fingendo che non fosse un addio sarebbe stato impossibile. Ma un’altra parte le suggeriva di dirgli la verità, le suggeriva che avrebbe capito e che tutto sarebbe andato per il meglio.

La donna si mise a sedere sulla piccola sedia imbottita puntando gli occhi sul letto e sospirò passandosi una mano sul viso. Riavviò indietro i capelli e si mise in piedi pronta ad andarsene.

“Hey,” la voce di Harvey arrivò come un sussurro e Lisa si rese conto che persa nei suoi pensieri non si era accorta che il rumore della doccia era sparito. “Stai andando via?”

Lei fece un grosso respiro e si diede coraggio prima di essere faccia a faccia con lui. “Sì,” disse infine sorridendo. “Oggi Bruno torna in Italia e il suo volo è tra qualche ora. Vorrei andare a casa ed aiutarlo a sistemare i bagagli e tutto il resto.”

“Oggi?” chiese lui di rimando guardando qualcosa sul suo cellulare. “No, ti sbagli. Ho messo in agenda di dire a Donna di prenotare un biglietto in prima classe per la settimana prossima.”

“Sì… ed io ne ho comprato uno, non in prima classe, per oggi.”

Harvey piegò poco il capo. “Perché? È un uomo malato ed è un lungo viaggio, deve stare comodo.”

Lisa sorrise indossando le scarpe. “Starà bene,” gli disse. “Non preoccuparti.”

“Sei testarda” le disse lui lanciando il cellulare sul letto. “Ma mi piace. Chiamo Ray e dopo Donna per farle disdire i miei appuntamenti della mattina. Vengo con te all’aeroporto.”

“No,” la donna scosse il capo e si avvicinò a lui. L’odore di shampoo la colpì con forza, inebriandola. “Tu andrai al lavoro e poi potremmo vederci per pranzo magari.”

L’uomo abbozzò un sorriso. “Mi stai dicendo cosa fare?”

Lei gli avvolse il collo con un braccio, chiudendo gli occhi quando lui le poggiò una mano sul fianco e lentamente la fece scendere sui glutei e poi risalire fino alla vita incontrando l’altra in una stretta decisa. “Sì, è esattamente quello che sto facendo.”

“Sei fortunata Lisa Sullivan, perché mi piacciono le donne autoritarie.”

“Bene, allora sta’ zitto e baciami, avvocato.”

Ed Harvey lo fece.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

“Buongiorno, partner.”

Harvey entrò nell’ufficio di Jessica e si mise a sedere sul divanetto bianco senza aspettare neppure un invito. Gli occhi perplessi di Jessica Pearson lo seguirono in tutti i suoi movimenti, poi con calma la donna poggiò la penna sulla scrivania e sospirò.

“Partner?” chiese alzandosi e raggiungendolo. Si mise a sedere accanto a lui e accavallò le gambe senza staccare gli occhi dall’uomo che conosceva da anni e a cui aveva fatto da mentore per tanto tempo. “Sembri di buon umore.”

“Io sono sempre di buon umore,” replicò lui sbottonandosi la giacca. “Ma sì, oggi lo sono di più.”

“E perché? Se posso chiedere…”

“Credo che tu possa arrivarci da sola,” Harvey si mosse sul divano e si girò poco per guardarla meglio. “Sono venuto per dirti che mi prenderò il resto della giornata, e anche domani, libero.”

“Sul serio?” Jessica alzò un sopracciglio guardando l’uomo intensamente. C’era qualcosa di diverso in lui e il fatto che si stesse prendendo un giorno libero la diceva lunga. “Come si chiama?” chiese.

L’uomo accennò un sorriso, poi si alzò e si riabbottonò la giacca. “Si chiama Lisa,” disse. “Mike sarà a tua totale disposizione mentre sarò via.”

“Lo spero, visto che sono il suo capo…” Jessica rise, ma Harvey era già fuori dal suo ufficio e non poté vederla.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

Lisa si asciugò gli occhi prima di aprire la porta di casa; l’ultima cosa che voleva era che Bruno la vedesse piangere, che si sentisse più in colpa di quanto già non facesse. Si ridiede un tono facendo tanti piccoli respiri, poi aprì.

Rufus le andò subito incontro, guaendo insistentemente, guardando verso l’esterno.

“Rufus,” le disse lei dandogli una lunga carezza. “Bruno non ti ha portato fuori vero? Lasciami sistemare una cosa veloce e ti ci porto io. Faremo una lunga passeggiata mentre lui si prepara per il viaggio.”

Il cane si mise a sedere sulla soglia della porta, alzò la testa verso Lisa e davanti a quegli occhioni la donna non poté fare a meno di ridere. Prese il guinzaglio dentro il cassetto all’entrata e si diresse verso la camera di Bruno; la porta era aperta e lui non era a letto. Lisa corrugò la fronte voltandosi verso il piccolo soggiorno.

Suo zio era seduto su una poltrona, davanti al televisore accesso a basso volume. Un comportamento strano, ma in fondo era tutto strano in quel periodo. Ripensò per un attimo ad Harvey, ma scacciò il pensiero per non scoppiare di nuovo in lacrime.

“Bruno,” lo chiamò. “È tardissimo e Rufus non è ancora uscito per la sua passeggiata.”

L’uomo non rispose e quando Lisa si spostò per guardarlo in viso si rese conto che non avrebbe potuto farlo mai più.

“Oh mio Dio” sussurrò indietreggiando. Tirò fuori il suo cellulare e compose il nove uno uno mentre chiamava nuovamente il nome di suo zio. Anche se sapeva che era inutile…

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


NDA: Buona lettura e lasciatemi un commento per favore :) le vostre parole mi ispirano a scrivere più in fretta :D

mh

8.

 

 

 

 

 

Un’ambulanza davanti casa non era mai un buon segno. Era risaputo ed Harvey lo aveva appreso fino in fondo tanti anni prima, quando aveva avuto il suo primo grande cliente dentro lo studio sulla cui porta ora c’era il suo nome.

Un magnate dell’industria del petrolio che si era tolto la vita proprio la mattina dell’udienza che lui non era riuscito ad evitare nonostante ci avesse provato con tutte le sue forze.

Ovviamente, da avvocato quale era, era un uomo razionale che sapeva che non era il caso di fasciarsi la testa prima di rompersela. Come aveva detto tante volte a Mike quando durante i primi anni insieme si lasciava sopraffare dalle emozioni e smetteva di pensare lucidamente.

Eppure, mentre si avvicinava alla piccola folla di fronte alla casa di Lisa, non poteva fare a meno di sentire un senso di sconforto pesargli al centro del petto; qualcosa di inspiegabile e di intenso che gli faceva venire voglia di correre e fiondarsi dentro quel piccolo ma bello appartamento.

Qualcosa in fondo al cuore che gli faceva pizzicare gli occhi.

“Cos’è successo?” chiese ad una anziana donna ferma vicino alle scale, lo sguardo fisso sulla porta di ingresso spalancata.

“Una persona è morta” rispose la donna.

“Chi?”

“Non lo so davvero. Chiunque sia, dicono si tratti di suicidio” replicò lei prima di allontanarsi.

Harvey rimase a guardarsi intorno per un lungo istante, quasi gli mancasse il coraggio di salire su per i gradini e scoprire cosa fosse successo. Pensò che magari era Lisa la persona morta, in fondo quella mattina gli era sembrata strana, quasi malinconica mentre lo baciava prima di andare via.

Ripensò a quelle labbra, alla morbidezza e al sapore di fragola che avevano sempre, anche appena sveglia. Ripensò alla notte passata, al calore di quel corpo stretto al suo, a quelle dita intrecciate alle sue dita, a quei gemiti, alla passione, al senso di completezza che aveva sentito esplodergli dentro quando aveva bloccato lo sguardo dentro il suo mentre il piacere li avvolgeva intensamente.

Ripensò anche al ti amo che gli aveva detto… al suo non rispondere. Alla possibilità che forse non avrebbe potuto farlo mai più.

“Lisa” mormorò di improvviso, quasi avesse ritrovato le forze, la lucidità. “Lisa!” urlò più forte salendo veloce su per le scale, fino alla porta, entrando dentro come se ne andasse della sua vita.

E la vide; Lisa era seduta sul divano, il viso nascosto tra le mani, Rufus sdraiato ai suoi piedi. Singhiozzava la sua bella Lisa… poteva vedere le sue spalle scuotersi energicamente ad un ritmo serrato.

Zio Bruno invece era inerme su una barella, pallido  mentre i paramedici appuntavano alcune cose su una cartelletta prima di coprirlo con un telo.

Pensò che era un’indelicatezza tenerlo lì, sotto gli occhi della nipote sconvolta. Era un’indelicatezza che nessuno fosse seduto accanto a lei a stringerle la mano e a sussurrarle di calmarsi.

“Lisa,” le disse avvicinandosi a lei, inginocchiandosi di fronte.

Lei tolse le mani dal viso e gli rivolse uno sguardo colmo di lacrime. “Harvey” mormorò incredula. “Che ci fai qui?”

“Volevo vederti,” rispose lui dolcemente. “Cos’è successo?”

La donna scosse il capo. “Non lo so. Quando sono ritornata lui era… non c’era più” diede un’altra occhiata alla barella che ospitava il corpo di Bruno e i singhiozzi si fecero più forti.

“Portatelo via” disse Harvey ai paramedici. “È proprio necessario tenerlo qui?”

I due giovani sospirarono annuendo piano e lasciarono la casa portando via il corpo di Bruno.

Lisa li guardò con gli occhi pieni di lacrime, piccoli come non mai, arrossati e tristi, fin quando non li vide più. Poi si lasciò cadere per terra, dritta nella braccia di Harvey.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

Lisa era sdraiata sul divano, coperta da uno scialle a quadrotti quando Harvey le si avvicinò. Non singhiozzava più ma i suoi occhi erano ancora lucidi di lacrime e il suo viso arrossato di pianto.

Sembrava così fragile e delicata che Harvey pensò quasi che toccandola le avrebbe fatto male, eppure non riuscì a fermare la mano che lentamente raggiunse la sua guancia e la accarezzò dolcemente.

Lei chiuse gli occhi per un attimo e lasciò andare un sospiro allietata dal fresco delle dita dell’uomo.

Rabbrividì, senza rendersene conto e con calma si alzò piano fino ad essere seduta.

Lo scialle con cui era coperta scivolò scoprendole le spalle e creando un muro soffice e caldo tra loro.

“Grazie per avermi portata qui” disse all’uomo prendendogli una mano tra le sue. “Non so se sarei riuscita a rimanere lì stanotte. So che dovrò tornarci prima o poi ma…”

Lui le poggiò un dito sulle labbra, le sorrise e si spostò per esserle più vicino. “Non devi ringraziarmi. Puoi rimanere tutto il tempo che vuoi.”

Lisa lo guardò per un attimo, poi gli prese il viso tra le mani e poggiò le labbra sulle sue in un lungo, lento bacio. “Devo confessarti una cosa” gli sussurrò staccandosi da lui. “Stamattina io sarei andata via con Bruno se non… se non fosse successo ciò che è successo.”

Harvey sgranò gli occhi, poi piegò poco il capo per cercare il suo sguardo. “Perché?” le chiese.

“Perché Bruno era la mia unica famiglia e non volevo lasciarlo andare da solo e perché… io credevo che tu…”

“Che una volta fatto l’amore non mi sarebbe importato più nulla di te?” finì Harvey per lei. “Credevi questo?”

Lei annuì e i suoi occhi si riempirono di nuovo di lacrime. “Mi dispiace, è solo che gli uomini come te non si interessano mai davvero alle donne come me. E la mia vita sentimentale è da sempre un disastro. Ho imparato a non credere mai fino in fondo alle cose, perché così farà meno male quando andranno a rotoli.”

L’uomo le poggiò le mani sul viso, poi con una le accarezzò i capelli. “Mi dispiace che tu abbia avuto così tanta sfortuna” le disse. “E anche se vorrei prometterti che tutto andrà bene da oggi in poi non posso farlo, perché non so come andranno le cose. Sarebbe mentire e non mi piace mentire, non alle persone che amo.”

Lisa sorrise mentre una lacrima rotolava giù dal suo occhio, lungo la guancia fino alle labbra. “Lo capisco, ma ho perso quello che rimaneva della mia famiglia, quindi puoi solo promettermi che non sarò sola?”

Il viso di Harvey si aprì in un grande sorriso. Le baciò dolcemente le labbra e poi la strinse forte. “Sì, questo posso farlo” le sussurrò. “Lo prometto.”

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


9.

 

 

 

 

 

Lisa sapeva che doveva aspettarselo, che poteva succedere, eppure quando entrò dentro casa e si ritrovò Donna seduta sul divano, non potè fare a meno di sobbalzare. Successe, più che altro, perchè non la riconobbe subito.

"Donna" le disse sganciando il guinzaglio di Rufus che corse dalla donna e si prese tutte le carezze che gli diede. "Mi hai spaventata. Come hai fatto ad entrare?"

L'altra sorrise. "Come hai fatto tu credo."

"Jacob ti ha accompagnata?"

"Il portiere?" domandò la rossa. "No, ho le chiavi." E non appena lo disse si rese conto del perchè Jacob avesse preso parte a quella conversazione. Non poteva credere che Harvey non avesse dato le chiavi alla donna che viveva con lui oramai da due mesi; era assurdo e l'espressione sul viso di Lisa suggeriva che era anche un tantino imbarazzante.

La donna comunque sorrise e riavviò una ciocca di capelli castani che fermò dietro l'orecchio. "Ho portato Rufus a fare una passeggiata e l'ho riportato qui perchè ho un colloquio di lavoro fra un'ora e mi piacerebbe arrivare un po' in anticipo. È un problema per te?"

"Certo che no" Donna la raggiunse. "Io e Rufus ci divertiremo tantissimo in attesa di Harvey. Dobbiamo lavorare, ma stanno ritinteggiando gli uffici e allo studio legale c'è parecchia confusione, ecco perchè abbiamo pensato di farlo qui. Harvey arriverà tra poco."

"Non devi giustificare la tua presenza" sorrise Lisa. "È casa del tuo amico e capo, hai più diritto di me di essere qui. Solo che non posso aspettare che Harvey arrivi, puoi dirgli tu che tornerò nel pomeriggio?"

"Posso farlo" annuì Donna. "Mi piace molto il tuo outfit, ma" abbassò la zip della giacca e la guardò. "Tieni la giacca aperta. E spettinati un po' i capelli."

"Perchè?"

"La giacca aperta e i capelli spettinati ti daranno un tono sbarazzino, sarà come dire potrei avere qualunque posto ma sono qui, quindi ritenetevi fortunati ad avermi. Il tuo sorriso mozzafiato e le gambe faranno il resto."

Lisa accennò una risata. "Quante responsabilità per una semplice giacca."

"Di che lavoro si tratta?"

"È in un hotel, uno di quelli extralusso, il Luxury. Visto che conosco l'italiano potrei essere una buona candidata per la reception. Ma anche se mi assumessero per fare le pulizie mi andrebbe bene."

"Ah-Ah" Donna scosse il capo. "Sarai una receptionist, me lo sento. Ora vai e stendili tutti."

L'altra diede una carezza a Rufus, fece un cenno di assenso a Donna e uscì di casa. Proprio mentre il suo taxi girava l'angolo, l'auto di Harvey si fermò sotto casa e l'uomo salì fino al suo appartamento. "Hey Rufus" lo salutò con una lunga carezza quando il cane gli andò incontro all'entrata.

"Seriamente?" gli disse Donna senza neppure dirgli ciao. "Non hai ancora dato la chiave di casa a Lisa?"

"Ciao anche a te, Donna" lui corrugò la fronte togliendosi la giacca. "E per rispondere alla tua domanda... non ci ho pensato. Non ha mai detto nulla al riguardo e io non..."

"Seriamente?" chiese di nuovo lei interrompendolo. "Cosa volevi, che te la chiedesse? Avresti dovuto vedere la sua faccia quando le ho detto che io ne ho una copia."

"Se credevi che ci sarebbe rimasta male perchè glielo hai detto?" Harvey allargò le braccia.

"Perchè credevo che anche lei avesse le chiavi, visto che vive con te" precisò Donna. "Ad ogni modo, è andata al Luxury per un colloquio di lavoro. Ha detto che tornerà nel pomeriggio."

L'uomo si versò un bicchiere di acqua. "L'hotel?"

"Sì, si è candidata come possibile receptionist visto che conosce l'italiano. Lo sapevi vero? Che sa parlare italiano intendo."

"Sì lo so" mormorò Harvey con un sorriso. "È molto sexy quando lo fa."

Donna scosse il capo. "Uomini..." sentenziò andandosi a sedere sul divano. Harvey invece fece una telefonata.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

Il pomeriggio passò, e la sera, quando Harvey tornò a casa dopo essere stato a cena con un cliente, Lisa dormiva già. Il mattino dopo invece era già uscita quando lui aveva aperto gli occhi, sul cuscino un bigliettino che lo avvisava che sarebbe passata allo studio per pranzo.

 

Scusa se non ho aspettato che ti svegliassi, ma ho alcune commissioni da sbrigare.

Passerò a trovarti in un ufficio a pranzo.

 

Lui sorrise stringendo il pezzo di carta tra le dita, gli parve di ricordare una sensazione di solletico sul viso e si disse che erano probabilmente stati i capelli di Lisa quando si era piegata per baciargli la guancia, come faceva ogni mattina.

Di buon umore si vestì e raggiunse l'ufficio. Incontrò Kelly Moore, un petulante uomo d'affari paranoico che di solito lo annoiava a morte, e si accorse che quel giorno neppure quell'incontro era riuscito a metterlo di cattivo umore. Si sentiva bene e per qualche strano motivo aveva la sensazione che fosse merito di Lisa e di nessun altro. Anche le feste che Rufus gli faceva ogni mattina per dargli il buongiorno avevano un effetto rilassante su di lui. Chissà perchè non aveva mai preso un cane.

"Perchè non sai neppure prenderti cura di te stesso a volte, figuriamoci di un cane" gli disse Donna quando glielo chiese. "Ad ogni modo, Lisa sta salendo. Vuoi che ti liberi l'agenda per un paio di ore?"

Harvey annuì. "Dopo l'appuntamento delle dodici e trenta però."

"Come vuoi" Donna tornò alla sua scrivania e sorrise a Lisa quando si fermò alla sua postazione e fece cenno ad Harvey di raggiungerla.

"Hey" la salutò lui con un bacio veloce. "È bello incontrarci dopo ventiquattro ore."

Lisa ridacchiò. "Scusa, ieri sera sono crollata prima che tornassi e stamattina sono uscita molto presto. Ho pensato che non fosse il caso di svegliarti."

"Non c'è problema. Dove sei andata così presto, comunque?"

"Immagino che Donna ti abbia detto del mio colloquio di ieri" Harvey annuì, così lei continuò. "Beh stamattina mi hanno richiamata e mi hanno chiesto di andare lì. Lunga storia in breve: sono la nuova receptionist del Luxury."

"Lo sapevo!" esclamò Donna prima di leggere qualcosa sul suo cellulare. "Congratulazioni." si allontanò e Lisa e Harvey rimasero soli.

"Congratulazioni" le disse lui prendendole una mano e baciandone il dorso. "Il Luxury è fortunato ad averti."

La donna fece un sorriso rilassato e respirò a fondo. "È strano devo dire. L'uomo che mi ha fatto il colloquio ieri non sembrava per nulla intenzionato ad assumermi" raccontò. "Ma stamattina ho incontrato il proprietario in persona ed è stato molto gentile. Ha detto che gli ricordo sua figlia."

"Questa è New York, le cose sono sempre un po' strane. Comunque l'importante è che tu abbia avuto il lavoro e stasera dovremmo decisamente festeggiare."

"Ho sentito la parola festeggiare?" domandò Donna tornando a posto. "Lo dico a Mike e Rachel e prenoto un tavolo al Bellini, per le otto e trenta."

Lisa deglutì a vuoto. "Preferirei di no, se per voi va bene."

Harvey la guardò. "Non ti piace il ristorante forse?"

"No... il ristorante va benissimo, ma non ho voglia di festeggiare."

"Non capisco" le disse lui guardandola, volgendo poi lo sguardo a Donna per un istante. "Va tutto bene?"

"Benissimo" lo tranquillizzò Lisa. "Ma devo andare ora. Rufus avrà probabilmente bisogno di uscire. Ci vediamo dopo."

Si voltò per andarsene ed Harvey fece cenno a Donna di seguirla.

La rossa lo fece e salì sull'ascensore giusto in tempo, prima che le porte si chiudessero. Attese che Josh McCallan, l'unico lì a parte lei e Lisa, scendesse al suo piano prima di parlare. "Va tutto bene?" domandò alla donna senza guardarla.

"Sì, l'ho già detto. Va tutto bene."

"Se non ti piace il ristorante posso davvero trovarne un altro."

Lisa scosse il capo e chiuse gli occhi per un istante. "Il ristorante va benissimo, ma non ho un vestito adatto, né delle scarpe adatte a quel posto. Non ho capelli e trucco perfetti come te e Rachel e mi sentirei a mio agio persino a sedermi su una delle loro costosissime sedie."

"Hey, per lo shopping esiste la carta di credito di Harvey. Sono sicura che non gli dispiacerà strisciarla un paio di volte per la donna con cui ha una relazione." Donna le strizzò l'occhio.

L'altra sorrise sarcastica. "Quale relazione? Vivo in casa sua da due mesi e non ho ancora le chiavi, sono un caso umano probabilmente. Una di quei noiosissimi lavori pro bono."

"Lisa" Donna si voltò a guardala, fece cenno al tizio del quinto piano di non salire e quando le porte si richiusero continuò. "Non devi prenderla in questo modo. Harvey è fatto così, non si fida facilmente."

"Se non si fida di me, la mia domanda rimane, Donna: quale relazione?" replicò l’altra.

L'ascensore si fermò al piano terra e mentre molte persone entravano, Lisa uscì e sparì, fuori, tra la folla.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

Lisa era sul terrazzino quando Harvey rientrò a casa quella sera. Si accorse di lui perché Rufus corse dentro e abbaiò due volte prima di tornare ad accomodarsi accanto ai suoi piedi, nella tiepida sera Newyorkese. Non disse niente mentre lui si avvicinava e con dolcezza le baciava la guancia.

“Ho portato la pizza” le sussurrò spostandole i capelli dal viso e tenendoli fermi con una presa delicata della mano. “Per festeggiare il tuo nuovo lavoro, tu ed io.”

Lei sorrise pensando che voleva dire tante cose. Non ne disse neppure una però. Semplicemente lo baciò, quel viso bello stretto tra le sue mani.

 

 

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