why i'm on the land of demons and monsters?

di bjpolar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno. ***
Capitolo 2: *** Capitolo due. ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno. ***


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Rose

Sentii l’aria gelida del mattino attraversare la finestra, per poi penetrarmi nelle ossa. Ero debole, ma, nonostante la stanchezza, non prendevo sonno, così mi trascinai fuori dal letto dirigendomi allo specchio. L’immagine che mi si parò davanti mi lacerò il cuore. Una giovane sedicenne dagli occhi languidi segnati da due fosse scure e ormai a corto di lacrime, si manteneva in piedi chissà grazie a quale miracolo. Distolsi lo sguardo quando un rumore proveniente dall’ingresso attirò la mia attenzione. Sperai con tutto il cuore che non fosse tornato, non avrei sopportato, non di nuovo. Ma sapevo benissimo di star sperando invano, e tutti i miei dubbi furono chiariti quando qualcuno entrò nella mia stanza, facendomi sussultare.
«Ciao principessina, ti sono mancato?» l’ultima cosa che riuscii a vedere fu un ghigno sadico dipinto sul suo volto, dopo di che buio.
 
Mi svegliai sul pavimento freddo, senza vestiti, e con dolori lancinanti sparsi lungo tutto il corpo. Non mi ci volle molto per realizzare che ciò che più temevo era successo, ancora. Cercai di alzare il busto, per mettermi seduta, ma sentivo troppo dolore, così strisciai fino al comodino, estraendo l’unica cosa che mi faceva stare bene. Presi la busta fra le dita, per poi aprirla e prendere un pizzico di quella sostanza bianca, portandola sul dorso della mano libera. La disposi in modo ordinato, così da non doverne sprecare nemmeno un granello, e aspirai avidamente. Sentii subito una carica di forza pervadermi, e ne approfittai, visto che di solito tutto ciò dura solo per qualche ora. Richiusi la busta e la rimisi a posto. Mi alzai senza fatica, sentendo il dolore lasciare piano piano il mio corpo minuto. Presi dall’armadio la prima cosa che mi si parò davanti, raccattai dell’intimo a caso, e mi chiusi nella doccia, che sapevo non avrei lasciato molto presto. L’acqua calda mi scorreva addosso, portandosi via tutti i problemi e il dolore. Mi sentivo a mio agio solo lì, tra quei quattro vetri. Presi lo shampoo alle mandorle e mi massaggia la cute, provando subito un sollievo enorme. Non stavo lavando via solo lo sporco, ma stavo lavando via tutto ciò che quell’individuo aveva lasciato su di me, dopo essersi divertito. Lavavo la sensazione delle sue mani sua pelle, la sensazione delle sue labbra sulle mie. Tentavo perfino di lavar via la sensazione di lui dentro di me, anche se sapevo fosse impossibile. Dopo un’ora abbondante uscii dalla doccia, mi asciugai velocemente e mi vestii, lasciando i capelli bagnati sciolti sulle spalle. Cercai il mio telefono: segnava le due, e pur non avendo fame, qualcosa nello stomaco lo dovevo mettere. Scesi in cucina, sapendo che oramai di quell’uomo non c’era più traccia. Faceva sempre così, entrava, faceva ciò che doveva, e se ne andava. E la parte peggiore era che non potevo ribellarmi, solo subire e andare avanti. Presi due fette di pane, e riempiendole di marmellata di fragole mi feci un panino, per poi sdraiarmi sul divano. Sapevo che avrei dovuto dormire anziché mangiare e guardare la tv, così da arrivare a lavoro un po’ più in forze, ma non riuscivo a prendere sonno, e la dose di qualche ora prima era ancora in circolo, lasciandomi una sensazione di adrenalina e eccitazione addosso. Il turno sarebbe iniziato tra ore, quindi me la presi comoda. Feci un po’ di zapping, quando trovai qualcosa che attirò la mia attenzione.

'Maniaco si aggira per le strade di San Antonio. Incendi appiccati, persone scomparse e rapine. Non siamo più al sicuro. Non si sa’ nulla di lui, tranne il colore dei suoi occhi. Un colore privo di emozioni, freddo. Un verde acqua particolare. L’unico sopravvissuto alle sue grinfie, racconta che una volta che li incontri, non li scordi più. Chiudetevi in casa, serrate finestre e porte, e sperate solo la fortuna sia con voi.'
«I soliti esagerati» pensai ad alta voce, ridendo subito dopo.
Erano oramai le due passate, così decisi di dedicarmi un po’ a me stessa, presi le chiavi, il cellulare, e uscii di casa. Subito l’aria autunnale di settembre mi travolse, lasciandomi un mezzo sorriso sul volto. Amavo l’autunno, così calmo e fresco. Era la stagione più tranquilla, mi faceva sentire rilassata. Feci scattare il blocco della mia amata Range Rover, comprata grazie ai turni extra nel locale, e mi diressi al centro commerciale. Non amavo i posti chiusi, preferivo di gran lunga sentire il fresco sulla pelle, ma mi servivano assolutamente un paio di scarpe nuove per il lavoro. Dopo qualche minuto di ricerca, trovai un parcheggio non troppo lontano dall’entrata dell’edificio, e mi diressi alla ricerca di ciò che mi serviva. Dopo ore di ricerche finalmente trovai ciò che più si avvicinava alle mie aspettative.
«Scusi, mi potrebbe portare un trentotto e mezzo di quelle decolté nere?» mi rivolsi al commesso, avrà avuto si è no diciott’anni.
«Certo dolcezza.» si allontanò e dopo qualche minuto tornò con le scarpe. Come pensavano erano a dir poco perfette, e senza sprecare altro tempo mi rinfilai le mie solito converse color panna, e dopo aver pagato tornai al parcheggio. Estrassi il cellulare dalla tasca, giusto per vedere quanto ci avessi messo, e notai con disgusto fossero già le cinque e mezzo, segno che di lì a poco avrei iniziato il turno. Camminai a passo svelto verso la macchina, quando iniziai a sentire una strana sensazione addosso, mi sentivo osservata. Tentai di ignorare questo presentimento, e continuai per la mia strada, ma più andavo avanti, più la sensazione cresceva. Facendo finta di nulla, mi guardai un po’ attorno, ma non trovai niente fuori posto. Finalmente arrivai alla macchina, riposi le scarpe nel sedile del passeggiero, e misi in moto, sperando di arrivare a casa il prima possibile.  In meno di mezz’ora raggiunsi la destinazione esatta, e corsi in casa. Avevo ancora quell’orribile sensazione addosso, che si estinse solo dopo aver varcato la soglia di casa.
«Finalmente a casa» boccheggiai, stanca. Salii di sopra, presi la divisa-che pi che divisa si può benissimo definire ‘secondo intimo’ visto le sue caratteristiche-e mi cambiai, dopo essermi rinfrescata un attimo. Mi truccai, ripassando il fondotinta sotto gli occhi, e passando una linea spessa di eyeliner, accompagnato da una dose massiccia di mascara e uno strato abbondante di rossetto rosso fuoco. Decisi di lasciare i capelli sciolti, sulle spalle, e andai a dare un’occhiata generale allo specchio. Avevo addosso un top nero, che arrivava poco sotto il seno, una gonna del medesimo colore che non lasciava niente all’immaginazione e, per finire, le mie nuove decolté nere. Le occhiaie erano sparite, e i capelli erano presentabili. Controllai di nuovo l’ora, erano le sette. Avevo mezz’ora per presentarmi a lavoro, perfetto. Presi il cellulare e le chiavi, e mi diressi verso il locale.
 
«Ciao splendore, dammi una Tequila, bella fredda.» mi disse un uomo da dietro il bancone, avrà avuto una trentina d’anni, ma era ben tenuto, e sarebbe sembrato uno apposto, se non fosse per il suo alito all’odore di Vodka che lo tradiva. Aveva più alcool lui in circolazione, che io dietro il bancone.
«Arriva subito.» dissi per poi allontanarmi a prendere lo shaker. Ero a lavoro oramai da ore, e il turno sembrava non finire mai. Mi sentivo senza forze, e soprattutto sentivo la sensazione di quel pomeriggio ancora vivida. Mi sentivo gli occhi di qualcuno bruciare addosso. Il problema era di chi. Smisi di pensare e preparai la Tequila all’uomo, che dopo aver bevuto, sparì tra la folla.
«Prendo cinque minuti di pausa.» riferii al mio aiuto barista, prima di uscire un secondo sul retro del locale. Presi una sigaretta, e dopo averla accesa aspirai avidamente il contenuto, trattenendo il fumo nei polmoni il più a lungo possibile. La sensazione di un paio di occhi puntati addosso aleggiava ancora intorno a me e, anche se spaventata, mi guardai in torno, sperando di essermi immaginata tutto. Quando però alzai lo sguardo, mi si gelò il sangue nelle vene. A un paio di passi da me, due occhi verde acqua, che nonostante il buio risplendevano, mi stavano scrutando inespressivi.

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Ciao a tutte bellissime, eccomi qua
con una nuova storia, diciamo la prima fanfiction 
visto che le altre non penso nemmeno le continuerò,
sono senza ispirazione.
Comunque come vi pare questo capitolo?
Cosa succederà alla nostra Rose, ora?
Chi era l'uomo all'inizio?
E' corto lo so', ma devo lasciarvi con dubbi, 
senno non vi invoglio a leggere, ahahah.
A presto, Aurora.

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Capitolo 2
*** Capitolo due. ***


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Austin

Ero fermo, davanti a lei, che la fissavo. Non mi capacitavo del perchè una creatura così bella dovesse morire. Infondo non mi aveva fatto nulla, però dovevo farlo. Loro me l’avevano ordinato, e ho imparato a mie spese che è meglio obbedire. Era solo un’estranea, pensai, una come gli altri. Mi feci coraggio, e quando alzò il viso ne approfittai per sferrarle un pugno sullo zigomo, facendola accasciare. Sentii un urlo soffocato e prima che avesse la possibilità di rialzarsi le sferrai un numero indefinito di calci nello stomaco. Non volevo guardarla in faccia, sapevo che avrei ceduto. Quando finalmente tirai fuori la pistola, però, sentii una domanda sussurrata farsi largo in quel vicolo fin troppo silenzioso.
«Perchè me? Cosa..Cosa ti ho fatto?» stava piangendo, ma non potevo cedere alle emozioni, non potevo essere umano, nemmeno quella volta.
« Non devo avere un motivo per farlo, so che è giusto così.» risposi freddo, tentando di sfoderare uno dei miei ghigni carichi di odio. Non le stavo mentendo, quello che stavo facendo era realmente giusto. Lei era cattiva, me lo avevano detto loro. Ci avrebbe fatto del male, ci avrebbe annientato. Era la legge del più forte, dicevano, e noi dovevamo vincere.
«Va..va bene, ma fai..fai in fretta.. per favore.» rispose, sempre sussurrando, per poi riaccasciare le testa al suolo, e continuare a piangere silenziosamente.
Era il momento, puntai alla sua tempia sinistra, ma quando fui sul punto di premere il grilletto sentii un urlo propagarsi prepotentemente dall’origine della stradina semibuia in cui mi trovavo.
«Cosa stai..cosa stai facendo? Lasciala..» sentii di nuovo urlare, e questa volta mi girai verso la fonte della minaccia.
Un uomo sulla cinquantina, pallido e con occhi e bocca spalancati, era in piedi a pochi passi da me.
«E perché mai?» chiesi con tono fermo, tenendo la pistola puntata verso la ragazza, ancora distesa a terra, inerme.
«Perché..perché quello che stai facendo è sbagliato.» rispose tremante e incerto, penso stesse pregando mentalmente di non finire come lei.
«Non è sbagliato.» dissi calcando sull’ultima parola. Perché tutti si ostinavano a pensarla così? Era lui che stava sbagliando, voleva a tutti i costi fare l’eroe proteggendo una creatura mostruosa. Decisi che, dopo aver finito con lei, l’avrei fatta pagare anche a lui.
Rigirai il capo verso la ragazza, che non si era mossa di un millimetro durante la mia piccola conversazione con l’uomo, e le sparai. Mi avvicinai al suo capo, le strappai delicatamente-anche se oramai non avrebbe comunque sentito dolore-una ciocca di capelli e la depositai in una piccola bustina di plastica, che a sua volta riposi in tasca.
Posai di scatto lo sguardo verso l’uomo oramai in stato di shock, e constatando di averlo colto di sorpresa, sparai al suo cuore. Sentii un tonfo e vidi il suo corpo steso per terra, a pochi metri da quello della ragazza.
«Questo è per esserti messo contro di me, e contro la giustizia.» misi a posto la pistola e iniziai a correre.

Estrassi le chiavi di casa dalla tasca dei jeans e le infilai nella serratura. Mi catapultai dentro, chiudendo la porta alle mie spalle, e  senza troppe cerimonie mi diressi verso il frigo, da cui presi un piccolo pacchetto di olive. Ogni volta, dopo aver finito un compito, mi rintanavo in cucina e mangiavo un pacchetto di olive. Mi calmava, non so’ spiegare nemmeno io il perché, ma senza mi sarei sentito perso. C’era gente che quando stava male si drogava, io mangiavo olive. Dopo aver finito, posai il pacchetto nella spazzatura e camminai tranquillamente fino a camera mia e, una volta entrato, misi a posto la pistola che si trovava ancora nella tasca del mio giubbotto. Presi il cellulare dal comodino e guardai l’ora: era l’una passata. Provare a dormire non mi avrebbe di certo danneggiato, quindi aprii l’anta secondaria dal mio armadio, ne estrassi un paio di pantaloncini da basket e li indossai in fretta. Dopo di che mi sdraiai e rilassandomi cercai di chiudere occhio, domani sarebbe stata una giornata faticosa. Dopo qualche ora di sonno, però, mi svegliai. Avevo appena fatto un incubo.

‘Sentivo il vento notturno venire a contatto con la mia pelle scoperta. Ero in piedi, e fissavo un punto indefinito alle spalle della figura lì, in piedi davanti a me. Lei li aveva uccisi, li aveva annientati tutti. E ora toccava a me. Cercai di scappare, ma fu tutto inutile, lei era sempre dietro di me. Mi arresi, e dopo essermi accasciato a terra, riuscii a percepire un’ultima frase, carica di disprezzo. «Mi dispiace, ma tu sei come loro.»
Ero sudato, il battito del mio cuore non era più regolare e respiravo a fatica. Non mi era mai successo di fare incubi, questa cosa era strana. Soprattutto tenendo in considerazione che l’individuo del mio incubo oramai era morto da ore. Perché avrei dovuto preoccuparmi? Era solo uno stupido sogno, e lei era morta. Non c’era davvero motivo di stare in ansia, ma una strana sensazione si insinuo comunque nelle mie viscere, qualcosa di mai provato. Decisi di alzarmi e andare a prepararmi qualcosa di caldo, magari avrebbe rilassato i miei muscoli, e mi avrebbe fatto tornare a dormire, anche se qualcosa mi suggeriva che quella notte l’avrei passata in bianco. Presi un piccolo tegamino dal cassetto principale del bancone e, dopo averci versato un po’ d’acqua, lo misi sul fornello, a fiamma bassa. Aspettai qualche minuto, immerso nei miei pensieri. Qualcosa stava cambiando, me lo sentivo. Loro non si erano ancora fatti vivi, e la cosa era strana, visto che ogni volta, dopo aver fatto ciò che dovevo, si manifestavano anche solo per congratularsi. Decisi ancora una volta, però, che non c’era nulla da preoccuparsi, e salvai in tempo il mio tegamino, visto che l’acqua stava per uscire. La rovesciai in una piccola tazza a macchie, e dopo aver lasciato una piccola bustina di infuso alla pesca galleggiare allegramente dentro il liquido, bevetti tranquillamente appoggiato al bancone. Finii il tutto in pochi minuti, in fondo era solo un thè, e tornai a letto. Tuttavia non riuscii a dormire nemmeno per un secondo, dopo quel sogno tanto strano, e sentii la sveglia delle otto irrompere nella stanza silenziosa, riempita solo dai miei respiri. Mi alzai in fretta, sapevo cosa avrei dovuto fare quella mattina. Presi un paio di jeans e una felpa semplice, mi diressi in bagno e, dopo una piccola rinfrescata veloce, mi vestii. Ero pronto. Corsi alla porta di ingresso, presi le chiavi della macchina dalla ciotolina di fianco al portone principale, e mi precipitai davanti al mio gioiellino. Una Range Rover rosso fuoco scattò non appena schiacciai il pulsante di sblocco delle chiavi. Mi posizionai al posto di guida, infilai le chiavi nel nottolino e sfrecciai per le strade di San Antonio.

Dopo circa mezz’ora, arrivai davanti ad un enorme cancello rovinato. Parcheggiai nel primo posto libero e mi insidiai all’intento del posto che più spaventava gli altri, ma che oramai a me non faceva più effetto. Ricordavo la strada a memoria e, dopo aver attraversato varie lapidi, finalmente mi trovai sotto la grande quercia di San Antonio. Nessuno osava avvicinarsi, ma non avevo mai capito il perché, nessuno si era preoccupato di parlarmene. Mi sedetti ed estrassi il motivo per cui mi trovavo lì. La ciocca di capelli della ragazza era ancora dentro la busta di plastica, ma non per molto. Stavo per posizionarla sotto la quercia, quando loro si fecero vivi, dopo quasi un giorno di assenza.
‘Non puoi farlo’
‘Non è ancora il momento’
‘Hai fallito questa volta’
‘Ci hai profondamente deluso’
‘Lei è ancora viva
A quest’ultima affermazione il sangue mi si gelò nelle vene. Io l’avevo uccisa, avevo visto il proiettile conficcarsi nel suo cranio. E allora com’era possibile?
 
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Ciao bellissime, eccomi con un nuovo capitolo.
Secondo voi cosa è andato a fare austin al cimitero?
Con chi stava parlando?
Come è possibile che Rose sia ancora viva?
Lo scopriremo nel prossimo capitolo, a voi
resta solo da seguire e continuare a leggere.
Muahaha, sono spietata.
No ok, a presto, Aurora. 

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