Un giorno, il mare

di metaldolphin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 2: *** Due ***
Capitolo 3: *** Tre ***



Capitolo 1
*** Uno ***


Il mare che si estende davanti a noi è immenso, senza confini e spietato.
Il suo colore è sbagliato: dovrebbe essere quello degli occhi di colui che è seduto al mio fianco… alzo lo sguardo per poterlo vedere meglio (la sua altezza mi costringe a farlo anche in questa posizione, tanto sono più bassa di lui!)
...Ecco, il mare dovrebbe essere chiaro e limpido e profondo come i sui occhi verdeacqua; invece quello che conosciamo noi è giallastro, polveroso e colpito dalla luce impietosa di un sistema stellare binario, che da’ la propria energia a questo pianeta desertico e crudele.
In fondo, la razza umana se la merita, questa palla di roccia e sabbia quasi sterile: dopo aver distrutto il rigoglioso pianeta natio, questo luogo è per lei la giusta ricompensa e rispecchia bene il carattere di coloro che scesero dalle stelle per abitarlo, gente dal cuore arido coperto da uno spesso strato di sabbia secca.
E mi accorgo di rivolgere il mio sguardo di nuovo su colui che ho vicino, ma non così tanto da toccarmi.
Lui sì che porta, ben visibili, i segni della cattiveria umana: ancora mi si stringe il cuore, se torno con la mente alla prima volta che lo vidi a torso nudo ed esso stesso si autodefinì “spettacolo non adatto alla vista delle signore”, vergognandosene.
Avrebbe avuto un corpo magnifico e perfetto, se solo non fosse stato sfregiato, innumerevoli volte, dalla più vasta collezione di rattoppi che io abbia mai visto: pur di non togliere la vita ad un essere umano (qualsiasi essere umano, anche il peggior figlio di cane al mondo), arrivava a farsi colpire per non tradire il proprio ideale, che ricalcava l’ormai dimenticato precetto evangelico che ammoniva di “non uccidere”.
Ma non lo si poteva certo considerare uno sprovveduto, in fatto di armi: era un pistolero di prim’ordine, dalla mira infallibile e che non risparmiava di certo cartucce.
Ma non toglieva la vita.
Mai.
Anzi no… due volte aveva dovuto, contro la propria volontà, e ancora ne portava i segni sul viso e nello sguardo che avevo imparato a conoscere ed amare.

Perché, nonostante sia stato difficile ammetterlo anche con me stessa, io amo questo singolare alieno dall’aspetto di giovane uomo, nonostante fosse già un ragazzo all’epoca dello sbarco umano, centotrenta anni fa…
Lo amo, nonostante lui non lo sappia, e contro il resto del mondo che gli ha affibbiato appellativi poco lusinghieri come “Tifone umanoide”, “Calamità naturale” ed una taglia di ben sessanta milioni di doppi dollari.

Stringo lebraccia attorno alle ginocchia, nella sera che va facendosi più fredda, cercando di non perdere troppo calore; lui se ne accorge e mi fissa con lo sguardo triste, poi allunga il braccio e mi stringe a sé per donarmi il suo calore.
Non miguarda mentre mi chiede se va meglio.
Annuisco rapidamente, nervosa per quel gesto inaspettato.
Forse si è accorto di non essere proprio solo.
Che ci sono io.
Che Milly ci aspetta a casa.
Poi parla e scopro di sbagliarmi.
-Meryl, perché state ancora con me? La vostra missione è terminata, se non sbaglio.
Ha ragione: l’agenzia assicurativa Bernardelli ci ha dato il fine missione ed un paio di mesi di congedo pagato, come premio per aver svolto tenacemente il lavoro dietro a quella minaccia vivente.
Ma Milly ed io sappiamo entrambe che non ha nessuno, a parte noi.
In effetti ci sarebbe anche quello psicopatico di suo fratello, sedato su un letto di casa nostra, in attesa di guarigione dalle ferite derivate dallo scontro con Vash.
A parere mio avrebbe dovuto farlo, ma non l’ha ucciso… certo non sarebbe stato da lui, ma ora ha paura: non sa come gestirlo. Knives è determinato a sterminare la razza umana, costi quel che costi.
Fermare un essere così potente e malvagio è pressoché impossibile… mentre mi arrovello in questi tetri pensieri, mi porge una nuova domanda.
-Meryl, perché non mi hai risposto?- chiede, riferendosi alla precedente domanda, da me volutamente ignorata.
Alzo le spalle e gli rispondo in un soffio. –Non l’hai ancora capito, Vash?
Si volta nuovamente a guardarmi e incrocio di nuovo quegli occhi limpidi che mi tolgono il respiro.
Non ho mai visto un altro uomo con occhi così.
Mentre la sera continua a scendere, due delle cinque lune sorgono ad illuminarci. Sorrido un poco imbarazzata, poi sento una grande mano posarsi piano sulla mia guancia e sento il viso andare in fiamme.
-Posso chiederti un grosso favore, piccola Meryl?
Annuisco senza nemmeno chiedermi in che guaio mi sto cacciando: cosa non farei per lui…
-Ho capito cosa fare con Knives. Domani verresti con me?
L’ho seguito per mesi, lo farò ancora, specialmente che ora è lui a chiedermelo; deve essere una decisione dura, se cerca il mio appoggio. Sorrido e confermo il mio assenso. Non gli chiedo nulla, anche se la curiosità mi sta divorando: se e quando vorrà sarà lui a spiegarsi.
Posso aspettare.
Come quando è andato via a cercarlo e mi si lacerò l’anima al pensiero di perderlo definitivamente. Ma fermarlo non sarebbe stato giusto, quindi attesi il suo ritorno pregando e sperando di poterlo rivedere. E dieci giorni dopo la sua figura imponente si stagliò all’orizzonte, anche se stentai a riconoscerlo: aveva il fratello svenuto sulla spalla e mancava il suo caratteristico spolverino rosso acceso. Era ferito ed esausto, ma era tornato da me: volli crederlo, anche se solo per un attimo.
Volevo illudermi solo per un poco e crogiolarmi nell’idea che contassi qualcosa per lui.
Ma era passato poco più di un mese e nessun segnale mi aveva fatto sperare per il meglio.
Ora chiedeva il mio appoggio, ma non voglio ricadere nell’errore che mi ha fatto stare così male nelle ultime settimane.
Mi allontano con garbo dalla sua stretta e mi alzo in piedi; spolvero il deserto che è rimasto sugli abiti ed accenno a fare ritorno a casa; anche a quella distanza posso vederne le luci accese, Milly è tornata.
Faceva bene a tenersi occupata durante il giorno, così il pensiero per la grande perdita era attenuato. Ma, ogni tanto, durante la notte, la sentivo piangere, piano, ma con dolore. Ed io mi sentivo impotente, non potendo fare nulla per aiutarla.
Allo stesso modo avevo visto e sentito piangere Vash, sia di giorno che la notte, in una sofferenza che non riuscivo ad alleviare in nessun modo che mi fosse consentito.
Se lo avessi raccontato, nessuno mi avrebbe creduto: il “Tifone umanoide” in lacrime? Non scherziamo!
Sento la sua voce mormorare il mio nome e la sua mano meccanica stringermi il polso. E’ innaturalmente fredda.
-Grazie.- Aggiunge.
Sorrido di nuovo e torniamo a casa insieme: domani sarà una lunga giornata.
 

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Capitolo 2
*** Due ***


Ci alziamo presto, Milly è riuscita a farsi prestare il mezzo del suo capo: trasportare Knives sarebbe stato più semplice.
Osservo la figura della mia amica farsi più piccola tra la polvere sollevata dall’auto e alzo il braccio per salutarla di nuovo.
Un paio d’ore dopo giungiamo ad un avamposto antico, segnato da rottami e rovine di una delle astronavi con cui l’umanità, in fuga da una Terra ormai morente, era giunta su questo pianeta.
Grandi lettere formavano la sigla che dava il nome SEEDS al progetto che aveva dato un’altra (meritata o meno) chance alla razze umana.
Vash sapeva far funzionare quella tecnologia dimenticata e, preso in spalla il fratello, si addentra tra quei resti antichi.
Mi fa cenno di rimanere vicino all’auto ed obbedisco nonostante la curiosità: capisco che vuole affrontare quel momento senza addossare ad altri una responsabilità che sente solo sua.
Vorrei che riuscisse ad appoggiarsi a me per poter alleviare la tristezza che continua a fare da sottofondo al sguardo anche nei momenti apparentemente più spensierati, ma soprattutto oggi.

Non so quanto tempo sia passato, quando un rombo basso si diffonde nell’aria, facendo vibrare le rovine, scuotendole dalla sabbia e facendone tintinnare il metallo. Un forte bagliore mi costringe a chiudere gli occhi e la paura mi assale sempre più pressante.
Combattuta tra il restare al mio posto e correre a vedere come sta Vash, mi rassereno soltanto quando tutto si ferma e lo scorgo avanzare piano verso me.
Gli corro incontro, e soltanto quando arrivo vicina a lui, la mia gioia vira in forte preoccupazione: vedo che si regge in piedi a malapena e barcolla. Per me, che sono tanto più bassa di lui, è difficile riuscire a reggerlo ma lo accompagno fino all’auto, dove si lascia cadere a peso morto.
Lo assicuro al sedile e mi precipito alla guida, allarmata per quel repentino peggioramento di salute; mentre sto per mettere in moto, riesce a chiedermi dell’acqua; ma non ce la fa a bere dalla borraccia e si versa addosso il prezioso liquido che gli porgo.
Allora, sorso dopo sorso, mi ingegno a passargliela dalla mia stessa bocca. È un gesto molto intimo e ringrazio il cielo che sia semicosciente: con un po’ di fortuna non avrebbe ricordato nulla.
Io, invece, lungo il tragitto verso casa, non posso fare a meno di pensare al contatto tra le mie labbra e le sue: si erano rivelate calde e morbide e dolci da assaporare. Cerco di fissare nella mente le sensazioni di quel contatto che ho a lungo bramato e che, molto probabilmente, non si sarebbe più ripetuto.
-MILLY!- esclamo a gran voce, frenando nella polvere sotto casa, nella speranza che sia rientrata. Per fortuna è in casa e riusciamo a portare in casa Vash privo di sensi.
La mia amica vorrebbe conoscere l’accaduto, ma anche io sono all’oscuro. Allora corre a chiamare il vecchio medico che più volte lo ha rammendato e lo conosce bene.
Il brav’uomo è sbalordito da una tale mancanza di energia, così improvvisa ed estrema al punto da far perdere i sensi ad un fisico forte come quello di Vash. Ci raccomanda di vegliarlo e rifocillarlo appena possibile, ma non sa che altro fare. Mentre Milly lo congeda, io resto seduta a fianco del letto dove giace il Tifone umanoide.
Si fa sera e la mia amica mi porta qualcosa da mangiare. Non voglio lasciarlo solo: devo fargli capire che ha me. A notte fonda lo sento agitare e lamentarsi piano; nel buio gli carezzo il viso e lo sento umido di lacrime… mi prende il groppo in gola che mi soffoca, ogni volta, in questa situazione.
-Sono qui, Vash- mormoro -non piangere, ti prego…
Si solleva e si aggrappa a me, mi poggia la testa addosso e mi stringe fino a farmi male; singhiozza qualcosa di inarticolato, ma riesco a distinguere il mio nome, ad un certo punto.
Rimaniamo così a lungo, stretti, lui a cercare conforto, io a darglielo con una stretta al cuore.
Solo in prossimità dell’aurora, lo sento rilassarsi e, anche se allenta la presa, non mi lascia andare del tutto.
Stanca, mi assopisco, poggiando la testa sul suo capo che ancora mi giace in grembo.
 

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Capitolo 3
*** Tre ***


Non ho sognato nulla, o forse non lo ricordo. Ma è chiaro che quando apro gli occhi, sono distesa sul letto e la mia guancia poggia sull’ampio petto di Vash: mentre dormivo mi ha portata accanto a se’. Mi sposto appena per guardarlo in volto e riesco a perdermi ancora una volta in quegli occhi chiari che mi fissano sereni.
Mi sorride e mi sembra di librarmi in volo.
Prende il mio viso tra quelle mani così grandi e mi innalzo ancora di più.
Mi bacia e sono in Paradiso.
È delicato e tenero, forse un po’ esitante. Allora lo incoraggio, aiutandolo ad approfondire il contatto schiudendo le labbra per facilitargli l’accesso alla mia bocca. Non tarda ad accogliere quel suggerimento così poco velato ed i nostri respiri si fanno più ansiosi, affannati, alla ricerca di un’aria che i polmoni cominciano a bramare.
Ma quando porto le mani sui bottoni della camicia che gli avevamo messo la sera prima, mi ferma, serio. Lo guardo interrogativa e lui si gira verso la parete per evitarmi.
-Scusa, Meryl, non avrei dovuto– comincia a dire. Frenando un impulso improvviso e non proprio salutare, tocca a me arpionargli il volto per costringerlo a fissarmi.
-Perché?- chiedo con voce dura, ma resta muto, con gli occhi chiusi, in atteggiamento di totale chiusura.
Allora gli strizzo le guance con una certa violenza, voglio fargli capire quanto sono arrabbiata. Perché forse ho capito cos’ha.
-È ancora per le cicatrici, Vash?- gli soffio senza mezzi termini.
Apre gli occhi, fissandomi in silenzio.
Chi tace acconsente, mio caro Vash. Mi sollevo da lui, rimanendo però seduta sul letto e gli passo una mano tra i capelli. Sospiro. Gli delineo il bordo del viso ispido di barba non rasata.
-Vash, a me piaci. Così come sei. Se non avessi i segni che hai, non saresti tu. Non saresti il Vash che sogna la pace ed un futuro senza uomini che si uccidono tra loro. Se mi vedi tremare davanti alle tue cicatrici, non è per disgusto, ma per la rabbia che provo al pensiero di ciò che ti hanno fatto.
Sottolineo il concetto appena espresso aprendogli la camicia con decisione e lambisco la pelle con le dita e le labbra. Stavolta mi lascia fare e presto soffoca gemiti che non riesce a reprimere; cerca di nuovo la mia bocca, famelico e passionale.
E poi ci perdiamo l’uno nell’altra ed è eccitante sentirlo su di me, imponente eppure attento a non farmi male.

I due Soli sono alti nel cielo, quando scendiamo in cucina alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti. Sul tavolo, un foglietto reca un messaggio di Milly. Ci comunica il suo rientro per cena e che il misterioso involto sulla credenza è per il sig. Vash. Cara ragazza, sempre attenta agli altri… ciambelle fresche, sa che sono la passione di Vash.
Sgranocchiando ciambelle, Vash mi tiene sulle ginocchia, come senon volesse perdere il contatto fisico tra noi. Ad un tratto, sospira ed inizia a raccontare: -Meryl, ti sarai chiesta cosa sia successo ieri…
Naturalmente, annuisco.
-Conosci già la mia natura e quella di mio fratello. Sai quanti anni ho e ciò che ha se gnato la nostra vita. Tra le rovine dell’astronave verso cui ci siamo diretti ieri, ci sono macchinari ancora funzionanti, ma con la fonte d’energia ormai in esaurimento. Ho cercato di dar loro quanto potevo, pur di tenerli in funzione il più a lungo possibile… ho fermato Knives, l’ho messo in un campo di stasi. Non potevo ucciderlo. Non potevo…
Nuove lacrime percorrono il suo viso e lo stringo forte. –Non avevi scelta, Vash.– gli sussurro più dolcemente che posso.
-Però, quando si sveglierà, io non ci sarò, Meryl– mi dice –Con ciò che ho speso per alimentare il campo di stasi, ho accorciato la mia vita e non potrò esserci tra un centinaio di anni, quando l’energia si esaurirà.
Assorbo il colpo cercando di mantenere la calma, ma lui riesce a leggermi dentro e si affretta a rassicurarmi.
-Non preoccuparti, mia dolce Meryl, non sto per morire.– Sorride –Avrò il tempo di invecchiare insieme a te, se lo vorrai. Mi resta il tempo vitale di un normale essere umano, sempre che mi voglia al tuo fianco…
Lo guardo, stupita. Come poteva dubitarne? L’unica cosa che poteva costituire un ostacolo tra noi non c’era più… -Oh, Vash! Certo che ti voglio con me!- Esclamo, abbracciandolo forte.
-Non preoccuparti per tuo fratello, troveremo il modo di assicurare che la stasi continui ancora a lungo; possiamo tramandare alle generazioni future un ammonimento…
Ora è lui ad annuire.
Dopo più di cento anni ha raggiunto una pace a lungo cercata, un po’ come noi umani su questo pianeta, da quando abbiamo iniziato a trovare l’acqua ed a portarla in superficie dalle sue viscere.
E chissà, forse i figli dei nostri figli avranno la possibilità di ammirare un mare vero, un giorno, chiaro e limpido come gli occhi che mi guardano anche adesso, finalmente sereni e pronti ad affrontare la vita che avremmo condiviso d’ora in poi.

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