Ahuizotl

di Son Of a Bitch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Felice di rivederti, Gwen! ***
Capitolo 2: *** Un letto per due ***
Capitolo 3: *** La traccia ***
Capitolo 4: *** Il pericolo è alle porte ***
Capitolo 5: *** Michael Connors ***
Capitolo 6: *** Casa dolce casa ***
Capitolo 7: *** Quell'idiota di Dean Winchester ***
Capitolo 8: *** Imprevisti ***
Capitolo 9: *** Non è un addio ***



Capitolo 1
*** Felice di rivederti, Gwen! ***


capitolo 1

«Pronto?» 
«Dean, sono Bobby. Ho un lavoretto per te.»
«Fantastico! E io che mi ero illuso di poter dormire almeno un'ora.» 
«Me ne sarei occupato personalmente, ma sono un po' impegnato al momento e sembra che gli altri cacciatori siano nella merda fino al collo.» 
«Anche loro hanno Zaccaria alle calcagna?» 
«'Sta zitto. Allora, vuoi questo maledetto caso o no?» 
«Di che si tratta?» 
«Non ne ho idea. Mi ha chiamato Gwen Breakbones, dice di non aver mai visto una cosa del genere, le servono rinforzi.» 
«Gwen? Ci mancava soltanto questa...» 
Gwen Breakbones era un'ottima cacciatrice, una professionista spietata. Una persona arrogante ed egocentrica, di quelle che non ammettevano mai di aver torto anche se sapevano perfettamente di nuotarci nel torto. Una di quelle che preferivano sempre chiarire il proprio ruolo, che era sempre quello del capo in qualunque situazione. 
«Non lamentarti. Gwen è una ragazza in gamba!»
«E' insopportabile, Bobby. Per non parlare delle sue manie di protagonismo!» 
«Senti chi parla.» 
Dean arricciò il naso e storse le labbra in una smorfia. In effetti Bobby non aveva tutti i torti: Gwen era una sorta di sua versione femminile. 
«Hai parlato con Sam?»
Il ragazzo si schiarì la gola, un po' a disagio. «Dove posso trovare Gwen?» 
Si udì un profondo sospiro dall'altro capo del telefono, poi l'uomo gli diede le informazioni che gli servivano. Gwen era a Toledo, in Ohio. Alloggiava al Dark motel, stanza 69.
«Cercherò di ignorare la sottile ironia» commentò quando si ritrovò davanti alla porta, dopo molte ore di viaggio. Allungò una mano e bussò più volte, borsone alla spalla. 
La porta si aprì in uno spiraglio e uno spicchio di Gwen apparì dietro di essa. Dean si disegnò un sorrisetto sulle labbra e la salutò con un cenno della testa. 
«Gwen, quanto tempo!» esclamò, con un un finto entusiasmo. «Hai intenzione di farmi entrare o...?»

Maledetto Toledo, maledetto Ohio e maledetto caso che l'aveva costretta a chiamare Bobby -ovvero il centro di soccorso per cacciatori-. Gwen non chiedeva mai aiuto, odiava dover supplicare qualcuno esattamente come odiava le ciambelle senza lo zucchero sopra.
Se ne stava confinata nella sua stanza di motel che faceva praticamente pendant con la sua intera vita (e se con lei ci fosse stata anche sua sorella, non si sarebbe fatta scappare l'occasione di farglielo notare con una delle sue battutine) e studiava tutto quello che era riuscita a racimolare dalle ricerche in giro per il paese.
Pierre Dumont, la prima vittima, era stata aggredita nella sua residenza per poi essere privato di tutte le unghie e degli occhi. All'appello mancavano anche altri pezzi di carne che parevano essere stati staccati dal corpo a morsi.
Jean Richards invece, il secondo mal capitato, sembrava aver avuto meno fortuna: difatti questo era stato trovato nel giardino della sua residenza senza denti, in aggiunta alle unghie e agli occhi.
Gwen era in quella città da ormai due giorni e questa "cosa" aveva già causato due morti. Un morto al giorno non era certo un bel ritmo. E sapeva che da sola non ce l'avrebbe fatta.
Quando sentì bussare alla porta si alzò dal vecchio divano marroncino ed andò ad aprire, aspettandosi qualche vecchio cacciatore barbuto ed esperto: aveva specificato a Bobby quanto questa cosa fosse strana. 
Protetta dalla catenella, aprì di poco la porta, rimanendo impassibile nel vedere Dean.
Dean Winchester, il cacciatore più stronzo ed in gamba che avesse mai incontrato. Lavorare con lui era come portarsi appresso uno specchio che, sfortunatamente per lei, aveva anche il dono della parola.
«Gwen, quanto tempo! Hai intenzione di farmi entrare o...?» e richiuse nuovamente la porta, quasi sbattendogliela in faccia.
Dean Winchester? Sul serio?? Bobby doveva essere ubriaco quando Gwen gli aveva chiesto di mandarle qualcuno di qualificato ed affidabile.
Ruotò gli occhi al cielo e spostò il catenaccio, così da poter aprire la porta liberamente. 
Si allontanò dall'entrata e raggiunse il centro della stanza, lanciandogli strane occhiate.
«Non controlli che non sia un mostro o chissà cosa?» Domandò sorpreso di quell'accoglienza così... frivola.
Quando lei si voltò per rispondergli, alzò lo sguardo sul soffitto, invitando Dean a fare lo stesso. 
«Anti-demone» annuì Dean vedendo il cerchio dipinto di nero, colpito. «E se fossi qualcos'altro?» E richiuse la porta alle proprie spalle.
«Ho montato una maniglia d'argento e lo specchio dice che non sei un mutaforma. Adesso vuoi fare il tuo lavoro o vuoi continuare ad umiliarti?» Gli sorrise vittoriosa lei, passandogli i fogli con gli articoli di giornale. 
Un caso con Dean Winchester. Un'accoppiata da pazzi.

Se c'era una versione umana, femminile e sexy del Diavolo... be', quella era Gwen. Chiunque sano di mente avrebbe preferito stare alla larga da quella donna. Avida, macchinatrice e a volte anche egoista. Aveva il potere di confondere la gente con poche parole, di rigirare la frittata a proprio vantaggio. Spesso riusciva a salvarsi la vita grazie alla sua parlantina. Sì, Dean la conosceva perfettamente e da tanto tempo. Avevano lavorato insieme parecchie volte, da prima che Sam lasciasse Stanford per andare alla ricerca di John insieme a lui. 
Dean restò lì, immobile, impassibile, non appena la porta gli fu sbattuta in faccia. Continuava a sorridere, adesso divertito dal suo pessimo carattere. Come già detto la conosceva bene, abbastanza da riuscire a prevedere ogni sua mossa: Gwen riaprì la porta e lo lasciò entrare, in silenzio. 
Si rese conto che la sua ingegnosità era parecchio evoluta. Una maniglia d'argento per tutti gli esseri che erano allergici al materiale, lo specchio per smascherare gli spettri e la trappola del diavolo sul soffitto per imprigionare un eventuale demone. 
«Mh, io l'avrei messa sotto il tappeto» confessò, storcendo le labbra in una smorfia. 
Si schiarì la gola e gettò un'occhiata tutto intorno. Una stanza piccola, ordinata e pulita. Si soffermò sull'unico letto al centro della stanza e alzò lo sguardo sulla ragazza che se ne stava a fissarlo, indagatrice. Lasciò il borsone sul materasso e cominciò a tirare fuori l'essenziale, ossia alcune armi che avrebbe poi dovuto pulire. 
«Che intenzioni avevi con Bobby?» ironizzò dopo aver constatato di aver affittato una stanza per una sola persona. Non poté non trattenere una risata non appena la sua faccia si deformò in un'espressione di stanchezza. «Oh, non dirmi che ne hai già abbastanza, tesoro.» 
«Sono abituata alle tue battute fuori luogo, Dean» ribatté, disegnandosi quel maledetto e fastidioso sorrisetto, molto simile a quello che usava Dean quando canzonava qualcuno. 
«E io alle tue» controbatté prontamente. «Diamoci da fare.»

«Di già? Pensavo volessi risolvere il caso, prima.»
Lei e le allusioni: cosa avrebbe fatto senza di loro?
Nascose la sua smorfia compiaciuta voltandosi di spalle e si appoggiò al tavolo, posandoci le mani ai due lati opposti. Sul ripiano foto e schedemediche continuavano a danzarle sotto gli occhi, come se le stessero rinfacciando la sua incompetenza.
«Darò fuoco a tutto una volta trovato quel figlio di puttana» borbottò seccata Gwen iniziando a spostare -per l'ennesima volta- i fogli, in modo che potesse comparare le vittime. 
Origini, luoghi frequentati, età, lavoro, tratti fisici: tutto sembrava non coincidere. Questo faceva intendere una mancanza di schema.
«Quale tra le diavolerie che conosciamo preferisce mangiarsi il contorno piuttosto che il piatto principale?» Domandò a Dean in quel contorto modo che avrebbe certamente inteso: a volte avere il sarcasmo che viaggiava sulla stessa lunghezza d'onda di qualcun altro era un vantaggio.
«Rugaru?» Azzardò seduto sul letto lui, passandosi la lista mentalmente.
«Un Rugaru schizzinoso? Ne dubito» dissentì lei continuando a fissare quei fogli che ormai conosceva a memoria. «E poi su entrambe le scene del delitto vi erano delle impronte animali.»
«Allor-»
«Licantropi? Sei serio?» Lo anticipò voltando la testa nella sua direzione solo per potergli lanciare una delle sue occhiate da "e io dovrei collaborare con te? Ma per favore!". «E poi ho detto impronte animali. Di più animali.»
Si mosse verso quella che sarebbe dovuta essere la cucina e prese un libro che aveva dimenticato sul ripiano mentre si concedeva una pausa spuntino durante le ricerche. Glie lo lanciò senza nemmeno avvertirlo, almeno per quanto riguardava i riflessi era ancora utile. 
«Lontre» lo anticipò nuovamente quando lo vide aprire il libro, aiutato dal post-it che segnava la pagina incriminata. «E cani» aggiunse aprendo il mini bar per prendere una birra. 
Poco senso dell'accoglienza, decisamente.
«E tracce di una mano le quali impronte non risultano essere di nessun pregiudicato.»
Le sembrava di star giocando ad "Indovina Chi", quello stupido gioco da tavolo che continuava a fare furore nonostante i videogiochi avessero conquistato la fiducia dei bambini già da un paio di generazioni.
«Avanti, Dexter. Fammi vedere chi sei» lo prese in giro aprendosi la birra e facendone un lungo sorso.

Spazio dell'autrice. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Okay, sappiate che non l'ho scritto da sola. E' stata tratta da una Role che io e la mia ''collega'', Nicolessa, abbiamo scritto. u.u Spero vi piaccia. Se è così, vi prego di farcelo sapere con una piiiiiiiiccolissima recensione. Grazie!

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Capitolo 2
*** Un letto per due ***


skc

Dean afferrò prontamente il libro lanciatogli da Gwen. Le rivolse un'occhiataccia e scosse la testa, accomodandosi nell'angolo del letto. Sempre così scontrosa, pensò prima di sfogliarlo e leggere qualcosa in modo distratto. 
«Da quando le lontre hanno a che fare con i cani?» borbottò, retorico. 
Lo abbandonò dopo qualche minuto insieme al mucchio di roba che aveva portato con sé, le armi, sacchi di sale ecc. 
Si alzò in piedi e sorpasso Gwen da un lato, raggiungendo il tavolo dall'altra parte della stanza. Vi si appoggiò con entrambe le mani ed osservò i reperti medici di entrambe le vittime. In tutti e due i casi gli uomini erano stati privati di occhi e unghie, sia dei piedi che delle mani. 
Quale creatura preferisce i bulbi oculari alla carne umana?, rifletté, cercando di ricordare se nel diario di John avesse mai letto qualcosa di simile. Ovviamente conosceva quelle pagine a memoria, ogni appunto che John aveva scritto era stato assimilato in poco tempo durante l'assenza del padre. Per questo era piuttosto sicuro che il diario di John Winchester non l'avrebbe aiutato. Per accertarsene però decise di dare un'occhiata veloce all'oggetto. La prudenza non era mai troppa. 
Torno a sedersi sul letto, e tirò fuori dal borsone la fonte di informazioni per eccellenza, la cosa che aveva aiutato ad andare avanti Sam e Dean per tutti quegli anni. Lo sfogliò velocemente ma attentamente finché non arrivò all'ultima pagina. Chiuse il diario, rassegnato e sospirò. 
«Be', questo sì che è un caso strano» commentò. «I due signori qui non avevano proprio niente in comune?» 
«Da quel che ne so io, no» rispose Gwen dopo aver dato un sorso alla sua birra, scrollando le spalle. «Uno di loro viveva perfino fuori Toledo.» 
«Ma il suo cadavere è stato trovato morto qui, giusto?» domandò ancora il ragazzo. Gwen annuì e Dean la imitò subito dopo, mordicchiandosi il labbro, pensieroso. «Nah! Deve esserci qualcosa. C'è sempre qualcosa.»
Ripose il diario nel borsone e tornò concentrato sui documenti delle vittime. Si voltò a guardare Gwen, gli occhi ridotti in due fessure. 
«Hai controllato se i due simpaticoni si conoscevano?» domandò, ricevendo soltanto un silenzio sospettoso come risposta. 
Dalla sua espressione colpevole capì perfettamente che quell'idea non le era nemmeno passata per la mente. Dean ridacchiò divertito e anche molto compiaciuto. 
«Lo prendo come un no» disse, dandole una pacca consolatoria sulla spalla. «Non preoccuparti, succede anche ai migliori.» 
Le diede le spalle e andò a sistemare le sue cose sul divano nell'angolo della stanza. 
«Domattina andremo a parlare con i famigliari di questi poveri tizi. Adesso sono troppo stanco e ho bisogno di dormire almeno per qualche ora.»

Se avesse potuto, gli avrebbe staccato quella mano a morsi. Quando la incluse nel gruppo dei "migliori" però riuscì a salvarsi in calcio d'angolo.
Come aveva potuto non pensare ad una cosa del genere? Era il punto in comune più stupido di tutti! Si era così tanto concentrata sulle questioni amorose per capire se potesse trattarsi di vendetta passionale che si era totalmente dimenticata di chiedere conferme ai parenti. Sapeva vita, morte e miracoli di quei fottuti tizi e non se si conoscessero tra loro.
E ti serviva un Winchester per arrivarci?, si ammonì interiormente, scuotendo la testa. Non poteva crederci.
«Domattina andremo a parlare con i famigliari di questi poveri tizi. Adesso sono troppo stanco e ho bisogno di dormire almeno per qualche ora.»
Ah, già. Lui aveva guidato fino a Toledo partendo chissà da quale angolo dell'America, si meritava un po' di riposo. E forse lo meritava anche lei ma avrebbe retto, anche solo per mostrarsi più forte di lui. La sua mente era davvero un labirinto pieno di trappole e pensieri contorti.
«E così sia» acconsentì indicando con un cenno della testa il letto che occupava il centro della stanza. «Cadi pure nel tuo sonno profondo, Aurora, io metto in ordine i distintivi per domani e butto giù un programma» gesticolò mentre parlava, indicando tutto quello che aveva attorno di attinente al caso.
«Aurora? La principessa delle favole?» Sembrò volerle fare il verso lui, fissandola con uno sguardo che per Gwen era fin troppo facile da decifrare.
«Sì, proprio quella» inarcò il sopracciglio, pronta a spiattellargli la sua spigolosa risposta. «Solo che nel film in cui l'ho vista io era tutto tranne che addormentata.»
«Come la Matrigna cattiva! Uh, quant'era cattiva.»
Sì, si erano capiti. Ancora.
«Quello era un altro film ma sì, il genere è quello» sorrise divertita afferrando il borsone di Dean e sbattendolo per terra, liberando il letto. «E adesso dormi. O vuoi che ti canti una ninnananna?» Gli spinse la fronte con l'indice, ridacchiando tra sé e sé, prima di voltargli le spalle e raggiungere l'armadio. Era lì che teneva il bauletto con dentro i distintivi e le carte d'identità false, così come lo erano le loro carte di credito. Era risaputo che i cacciatori fossero anche degli imbroglioni.

Dean era molte cose: pazzo, egocentrico, insopportabile, cinico, arrogante, ecc. Ma di certo era pur sempre un uomo e non avrebbe mai lasciato che una ragazza gli cedesse il letto per passare l'intera notte a lavoro. Era successo un paio di volte con Jo, con la differenza che la piccola Harvelle aveva astutamente finto di andare a dormire prima che Dean si addormentasse. 
«Ho detto che voglio dormire. Con la tua ninnananna comincerei a soffrire di insonnia» la canzonò con un sorrisetto, mentre cominciava a spogliarsi di ogni indumento, cominciando con la giacca. 
Per lui la privacy non sarebbe stata un problema. Di certo, come si può benissimo immaginare, non era la prima volta che i due rimanevano da soli nella stessa stanza. Già, Dean e Gwen erano stati a letto insieme un paio di volte. Una caccia estenuante, due o tre cicchetti di più e si ritrovavano sempre sotto le lenzuola. La verità era che Dean -nonostante tutto- era attratto da Gwen e la cosa era reciproca.
«Senti, possiamo pensare a tutto domani mattina» disse, lasciando maglietta e canottiera sullo schienale della poltrona davanti al divano. «Perché adesso non pensi a rilassarti anche tu, mh? Scommetto che non dormi da almeno cinquanta ore.» 
Lui invece non dormiva da ben tre giorni. Aveva avuto un caso assai particolare che gli aveva dato del filo da torcere. Senza Sam poi la situazione era difficile e pesante da sopportare. Era privo dell'aiuto del piccolo dei Winchester, perciò ci aveva messo più del solito ad arrivare ad una conclusione. Non aveva nemmeno avuto il tempo di chiudere gli occhi che poi ricevette la telefonata di Bobby, il motivo per cui adesso era lì. 
«Non serve che ti preoccupi per me, Dean» ribatté Gwen senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, impegnata ad armeggiare con distintivi falsi e altra roba da cacciatori.
«Senza offesa, dolcezza, ma non hai un bell'aspetto» insistette Dean, spogliandosi anche dei jeans per rimanere liberamente mezzo nudo. «Dovresti dormire.»

Bla bla bla, qualche tentativo di farle cambiare idea, un paio di osservazioni sulle sue evidenti occhiaie che le marcavano gli occhi e un sincero consiglio che avrebbe dovuto seguire. 
Mentre ne se stava di fronte all'armadio, Gwen sentiva Dean parlarle e spogliarsi, mandando in fumo quel suo ordine che di rado aveva.
«Mai quanto te, tesoro. Nelle condizioni in cui sono i tuoi occhi, anche il mostro con cui abbiamo a che fare ti schiferebbe» ribattè senza difficoltà scegliendo il distintivo più consono a quel caso e lanciandolo sul tavolo, ovviamente centrandolo in pieno, non occorreva nemmeno farci caso visto che era una cosa piuttosto scontata per un cacciatore avere un'ottima mira.
«Credi che a te riserverebbe un destino meno generoso?»
«Dormi» disse ferma chiudendo le ante dell'armadio e avvicinandosi ancora una volta al tavolo, come se non avesse percorso quel tratto di stanza già un centinaio di volte nell'arco di quei due giorni.
Ma Dean non sembrava volerle dare ascolto. Certo, avrebbe voluto dormire e mandarla a quel paese ma quel suo essere dannatamente virile non gli avrebbe mai concesso una cosa del genere.
E così lei avrebbe avuto un morto di sonno sulla coscienza. E Dean aveva davvero bisogno di dormire. Era già un miracolo il fatto che fosse arrivato a Toledo sano e salvo senza schiantarsi contro qualche albero a causa di un colpo di sonno.
«Sei un vero rompiscatole, lo sai questo?» Si lamentò sospirando e rilassando le spalle, indolenzite dalla mancanza di tregua da più o meno cinquanta ore.
E iniziandosi a sfilare le scarpe, seguite poi dai calzini e dai jeans, firmò la sua resa.
«Io prendo il divano» si offrì cavallerescamente Dean sorridendo vittorioso, non alzandosi però dal letto forse perchè sapeva la reazione di Gwen.
«Non hai detto di voler dormire? Beh, ti assicuro che su quel divano dormire è impossibile» scosse la testa avvicinandosi al letto ed alzandone le lenzuola. «Non mordo, Dean» lo invitò a seguirla, sedendosi sul letto prima di togliersi anche la maglia, impassibile. «Cioè sì, mordo, ma non adesso» si corresse con un sorrisetto colpevole, appoggiandosi allo schienale del letto a braccia conserte. «Ti muovi o no?»

Erano proprio come cane e gatto, con la differenza che un cane avrebbe fatto del gatto la sua merenda. Loro, invece, bisticciavano come una vecchia coppia sposata, ma continuavano a preoccuparsi l'uno per l'altra. Carini, avrebbe pensato chiunque li avesse guardati. In realtà erano esattamente il contrario. 
Dean inarcò le sopracciglia, ragionando interiormente sulla sua proposta. Stare nello stesso letto insieme a Gwen non era mai una buona cosa, soprattutto quando entrambi erano svestiti in quel modo. La guardò a lungo, valutando le due opzioni. Spostò lo sguardo sul divano che, a dirla tutta, aveva un'aria davvero discutibile. In pelle, un po' rovinato sulle cuciture e dai cuscini non esattamente accomodanti. Guardò il letto e poi ancora una volta Gwen, che batteva una mano nel posto vuoto accanto al suo. 
Dean sospirò e si decise a muoversi. Le si stese affianco e appoggiò la testa sul cuscino. Chissà cosa direbbe Jo, pensò improvvisamente mentre Gwen si sistemava sotto le coperte e spegneva la luce della bajour sul comodino. Improvvisamente si sentì in colpa, come se ciò che stava facendo avrebbe potuto ferire i sentimenti di Jo. 
Andiamo! Sto soltanto cercando di dormire, pensò accigliato. Scosse la testa e si disse di non fare l'idiota. Dormire in compagnia di una ragazza non aveva di certo mai fatto male a nessuno. Concentrati sul caso piuttosto!, lo rimproverò una vocina interiore che doveva essere la sua coscienza. Dean in versione coscienziosa... uno spettacolo che nessuno delle persone che lo conoscevano avrebbero mai voluto perdersi. 
«Come mai Sam non è con te?» 
La voce di Gwen riuscì a distoglierlo dai tutti quegli inutili pensieri. Dean sospirò e la guardò per qualche secondo. 
Cavolo. Aveva quasi dimenticato che Sam non era più insieme a lui. A volte, pensare che lui era fuori a prendere una boccata d'aria gli dava conforto. 
«Io e Sam abbiamo deciso di andare ognuno per la sua strada» rispose in tono distaccato e freddo. 
Dean non si preoccupò di constatare la sua reazione, ma era piuttosto sicuro che ne fosse rimasta sorpresa.

Inizialmente non ci aveva fatto nemmeno caso: vederlo varcare quella porta le era bastata come novità da dover accettare. Ma realizzare che fosse da solo senza la sua voluminosa ombra dietro, ora che ci pensava, era davvero strano. Per questo le venne spontaneo chiederlo. Non temeva di toccare tasti pericolosi come "morte" o cose gravi come quella, Dean non sarebbe stato di certo lì con lei a pensare a quel caso se suo fratello Sam fosse morto. Ne era più che certa. Perchè? Perchè se fosse successo a lei con Millicent non avrebbe pensato ad altro che a come riportarla in vita. 
L'ennesima dimostrazione di come le loro menti viaggiassero alla stessa frequenza.
Solo che non si sarebbe mai aspettata una risposta come quella che le diede qualche secondo dopo, il tono glaciale e fermo.
Esisteva segno più chiaro? Ogni volta che tirava fuori quella voce profonda, Dean tentava di sopprimere qualcosa nelle profondità del suo stomaco.
Annui silenziosa, cosa molto rara per una che non riusciva a frenare la propria lingua neanche quando rischiava di rimanerci secca. Non per niente provocare i suoi rapitori o aggressori era una cosa più che normale per lei. 
Solo che quella volta non seppe cosa dire. Anche solo l'immaginare sua sorella mentre le diceva di aver scelto una vita da cacciatrice solitaria le fece accapponare la pelle. No, lei non l'avrebbe lasciata andare, neanche sotto tortura. Ma le sorelle Breakbones non erano i Winchester, anche se delle strane somiglianze accomunavano le due famiglie.
Sospirò e si morse il labbro, ancora sovrappensiero. Più che rimanere sorpresa, quello per lei era stato uno shock. 
«E a te sta bene?» Chiese poi liberando le braccia dalle lenzuola, poggiandosele sulla pancia coperta.
Quello non era fare i sentimentali, non esattamente. Né tanto meno Gwen voleva che il cacciatore si sfogasse per liberarsi di quell'enorme macigno familiare: non l'avrebbe fatto comunque. Lo faceva a stento con il diretto interessato, come avrebbe potuto farlo con qualcun altro? Anche se, quello che si dicevano Gwen e Dean, rimaneva sempre e comunque tra loro. E a maggior ragione sarebbe stato così con le questioni serie e personali.

Sam era stato chiaro: non era nelle condizioni di cacciare. L'unica cosa a cui riusciva a pensare era il sangue di demone, al potere che ne ricavava da esso. Voleva sentirsi forte, invulnerabile, potente più di tutti, più di qualsiasi demone. Aveva fatto un bel po' di danni lungo la strada che aveva percorso insieme a Ruby e non aveva intenzione di provocarne altri, soprattutto se poi era il fratello maggiore quello a doverli riparare. 
Dean, dal suo canto, passava tutto il tempo a preoccuparsi per lui invece di svolgere bene il lavoro. Non poteva permettersi distrazioni così grandi, non quando in ballo c'era la vita di sei miliardi di persone. Stava cercando di salvare il mondo, ma la presenza di Sam, ora come ora, non lo aiutava affatto. Anzi, peggiorava la situazione. 
L'ultima volta che l'aveva visto risaliva più o meno a tre settimane prima, quando il primo cavaliere dell'apocalisse, Guerra, aveva deciso di sguinzagliare i suoi dannati trucchetti sull'intera River Press, nel Colorado. Da allora non l'aveva più sentito, nemmeno una telefonata, neanche un messaggio in segreteria da parte di uno o dell'altro. Niente di niente. 
Questo non doveva voler dire che i Winchester se la passassero bene senza la rispettiva presenza reciproca. Dean provava tutti i giorni a telefonargli, ma non appena la segreteria scattava riattaccava, sapendo che qualsiasi cosa avesse detto non avrebbe giovato a nessuno dei due. Anche Sam faceva lo stesso, a volte restava seduto sul letto a fissare lo schermo del suo cellulare, sperando che Dean lo chiamasse. O almeno tentando di trovare il coraggio per farlo personalmente. 
Questo Dean non lo sapeva e probabilmente non l'avrebbe mai saputo. 
«Sì» rispose, rivolgendole uno sguardo breve. «Sì, mi sta bene.» 
Spostò lo sguardo aldilà della finestra, da dove filtrava un leggero bagliore che rendeva la stanza appena illuminata, e si chiese che cosa stesse facendo Sam in quel momento. 
«Dovremmo riposare» disse poi, sistemandosi su di un fianco, proprio rivolto verso di lei. «Cerca di non fissarmi troppo mentre dormo, okay?»

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Capitolo 3
*** La traccia ***


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Cazzate!, avrebbe voluto dirgli con quella sua intonazione menefreghista ed insopportabile. Forse era proprio perchè le importava che rimase in silenzio a far finta di bersi quell'enorme balla che Dean le aveva rifilato senza nemmeno preoccuparsi di sembrare credibile.
Ma non voleva parlarne, quindi rispettava questa sua decisione.
«Cerca di non fissarmi troppo mentre dormo, okay?»
Erano tornati in loro, due idioti le quali spalle avevano il compito di sopportare peso su peso. Bella merda. Se non si tiravano su con della salutare ironia come sarebbero potuti andare avanti? 
«Oh, ma ti prego!» Ruotò gli occhi al cielo, escogitando un'altra delle sue diavolerie per farlo rimanere di merda. Si divertiva così con Dean. Cioè, un altro modo per divertirsi con lui lo aveva, ma quello di coglionarlo era quello che occupava la seconda posizione della classifica.
Il tempo di lanciargli un'ultima occhiata snob e gli voltò le spalle, sbattendogli i capelli biondi ed ondulati in faccia. 
Avrebbe tanto voluto vedere la smorfia di Dean ma la sua immaginazione le regalò un'anteprima che bastò per farla sorridere.
Si erano dati la buonanotte, a modo loro ma l'avevano fatto.
Prendere sonno per Gwen era sempre un'ardua impresa. Specialmente quando non era sola in stanza. In più il coltello di Dean aveva rubato il posto sotto al cuscino al suo amato teser, il che le metteva addosso una certa ansia. Non che si sarebbe fatta dei problemi ad usare l'arma di Dean se fosse stato necessario, ma trovava la sua scelta difensiva un po' più -ed era il caso di dirlo- elettrizzante. 
Chiuse gli occhi ma li riaprì all'istante, incapace di ignorare quel dannato buio nella sua testa trasformarsi in una interminabile lista di morti causati dalla sua precedente inesperienza. 
Restò in silenzio mentre ascoltava i canti notturni dei grilli mutarsi in sussurri di persone casuali ma alle quali sapeva di aver tolto la vita. Più che incubi o sensi di colpa amava definire quelle allucinazioni come "ulteriore fardello". Che poi questo coincidesse con l'instabilità mentale che ogni cacciatore aveva era un qualcosa che non avrebbe mai ammesso, specialmente a sé stessa.
Non appena il sonno decise di sopprimere quella sua segreta pazzia, le luci del mattino colpirono i suoi occhi chiari, costringendoli a riaprirsi. 
Buongiorno, Gwen!, la maledì in quel modo il suo cervello, sveglio da troppo tempo, inconsapevolmente. Era proprio vero che a volte il tempo volava.

Gli ci volle un bel po' per addormentarsi sul serio. Il pensiero di Sam aveva cominciato a torturarlo non appena Gwen lo nominò. Adesso non faceva altro che immaginarsi suo fratello che cercava di vivere una vita normale. Ma quanto sarebbe durata quella storia? Per quanto tempo i due sarebbero andati avanti in quelle condizioni? 
Voci nella sua testa lo assalirono:
La famiglia deve farti stare male! Per questo si chiama famiglia!
Io non sono un mostro! 
Noi siamo fratelli e, nonostante tutto, questo non cambierà mai. 
Se non ti conoscessi, ti darei la caccia. 
Sei un mostro!

«Dean?» 
Dean aprì gli occhi, e poté constatare con sollievo di aver fatto soltanto un maledetto incubo. La faccia stranita di Gwen lo osservava come se fosse una specie di alieno venuto dallo spazio, come se Dean fosse l'essere più insolito di tutto l'universo. 
Il ragazzo si stropicciò la faccia, trattenendo un enorme sbadiglio. Notò con sorpresa che era già mattina, eppure gli era sembrato così poco il tempo che aveva usato per riposarsi. 
«Che ore sono?» chiese roco, la fronte aggrottata e gli occhi ridotti a due fessure, confusi dal sonno. 
«Sono le sette» rispose Gwen, scuotendo la testa e tornando a fare ciò che stava facendo, ossia prepararsi per uscire. Aveva indossato uno dei quei tajer da segretaria sexy, con tanto di occhiali da vista. Dean non poté non trattenersi dal farci un pensierino, nonostante si fosse appena svegliato.
«Be', questo non aiuta di certo» borbottò tra sé e sé, alludendo a qualcosa che di solito succedeva a tutti gli uomini al mattino presto. 
«Come?» 
«Niente, niente» mormorò, agitando una mano in un gesto noncurante. «Lascia perdere.» 
Si rizzò a sedere e sospirò. Gwen gli ripeté più volte di darsi una mossa, che qualsiasi cosa loro stessero cacciando avrebbe attaccato ancora. Dean, dopo essersi preparato come lei, vestito in giacca e cravatta, le ricordò che senza aver fatto colazione non sarebbe andato da nessuna parte. 
«L'Impala... quanti bei ricordi.» 
Dean e Gwen si scambiarono un'occhiata complice da sopra il tettuccio. Entrambi sapevano cos'era successo all'interno di quell'abitacolo, ed entrambi sorrisero con una nota di divertimento misto a compiacenza. 
Il cacciatore si mise alla guida, Gwen si sedette nel sedile del passeggero. 
«Ricapitolando: io sono l'agente Colfax, FBI. Tu sei la mia adorabile collega. Siamo qui perché troviamo che ci siano delle similitudini con dei nostri vecchi casi irrisolti. Tutto chiaro?»

«Non è la prima volta che mi fingo un'agente dell'FBI, Dean» gli fece notare con quell'accento del Texas plasmato per trasmettere quanta più professionalità possibile. «Pensa, so anche scegliere dei falsi nomi migliori dei tuoi! Colfax? Sul serio? Sembra il nome di qualche detersivo di sottomarca» ridacchiò allungando la mano verso di lui per sfilargli il distintivo dalla giacca e controllare con i propri occhi che quello fosse il nome giusto. Dean la lasciò fare, non dandole corda come lei avrebbe voluto. Scelta saggia visto altrimenti avrebbe dovuto sopportarla per tutto il viaggio mentre lo prendeva in giro imitando la sua prossima presentazione ai familiari delle vittime. 

«Stringiti quella cravatta» mormorò lei mentre si sistemava gli occhiali sul naso da brava perfezionista qual'era, aspettando che qualcuno andasse ad aprire la porta.
«Va bene, mamma» borbottò Dean in modo infantile ma seguendo quel suo consiglio che sembrava esser stato detto più come una minaccia.
Quando davanti agli occhi gli si presentò una donna tutta in tiro -forse anche più di loro- e con un fazzoletto di stoffa nella mano, capirono di avere di fronte la vedova Dumont, moglie della prima vittima.
Prima che Dean potesse cacciare dalla tasca il suo distintivo -recuperato dalle mani di Gwen solo alla fine del tragitto in macchina-, la ragazza lo anticipò, sventolando sotto il naso della donna il proprio, a suo parere più decoroso e credibile.
Gwen non amava essere presentata come "la collega" o più genericamente come "l'altra": prima lei e dopo il resto. Egocentrico ma da vera donna indipendente, impossibile da calpestare. 
«Salve Signora Dumont, sono l'agente Bush e lui è il mio collega» lo indicò con una fugace occhiatina seria e professionale. In quel momento voleva solo ridere. «L'agente Colfax.» No, ecco. Adesso voleva ridere. «Dovremmo farle alcune domande su suo marito.»
La donna, dapprima spaesata, sembrò riluttante nel farli entrare ma, convintasi della loro affidabilità, li fece accomodare all'interno della sua immensa residenza.
Pierre Dumont era un finanziatore, cos'altro avrebbero potuto aspettarsi?
«In campo finanziario è impossibile non avere dei nemici» disse tra un singhiozzo e l'altro Fleur, anche lei di origini francesi come il marito e il suo inconfondibile quanto insopportabile accento. «La polizia ha detto che è stato un animale selvatico.»
Un animale selvatico? In casa?? Certo che ce n'è di fumo buono in Francia!, le avrebbe voluto dire Gwen mentre si imponeva di prendere appunti sul suo taccuino.
«Dobbiamo prendere in considerazione tutte le possibilità» la informò Dean cordiale. Frase di routine di un cacciatore e alla quale credevano tutti. 
«Sa se suo marito conosceva quest'uomo?» Arrivò al dunque la versione elegante di Gwen, mostrandogli la foto della seconda vittima morta nelle stesse circostanze.
«Certamente, chéri. Era il socio in affari del mio amato Pierre. Il capo cantiere.»
Bingo!, pensò immediatamente scambiandosi un'occhiata d'intesa con Dean, seduto al suo fianco.

A parte lo scherzetto di Gwen molto divertente, Dean dovette sopportare il fatto di essere sovrastato dal suo ego mastodontico. Avrebbdovuto immaginare che avrebbe avuto u altro dei suoi attacchi di superiorità. Lei non avrebbe mai permesso che Dean lapresentasse come semplice collega, adorava stare al centro dell'attenzione più di lui. Si limitò a lanciarle un'occhiataccia comunque e sforzò un sorrisetto verso la signora Dumont quando quest'ultima gli rivolse uno sguardo veloce. 
La casa non era niente male, molto grande e non sembrava essere privo di alcuni confort tipici della gente benestante. Dean diede un'occhiata breve per tutto il salotto, abbastanza largo e accogliente. La padrona di casa, offrì loro qualcosa da bere, ma entrambi decisero di non approfittare della sua gentilezza. Decisero di passare subito al dunque, ossia concentrarsi sul caso.
Quindi come immaginava -e come Gwen si era lasciata sfuggire- le due vittime si conoscevano e anche da un bel po' di tempo. 
«Lavoravano al progetto del lago Eire» spiegò la donna, il naso rosso e gli occhi piccoli e stanchi. 
Dean e Gwen inarcarono le sopracciglia nella stessa identica espressione confusa. Avevano l'aria di chi non aveva assolutamente idea di che cosa si stesse parlando.
«Stanno costruendo una diga» aggiunse, quando si accorse delle loro facci interrogative.
«Oh» fecero loro all'unisono. 
Ci fu una pausa si silenzio durante la quale Gwen e Dean si guardarono, complici. Entrambi stavano pensando alla stessa cosa: si trattava di una vendetta, e siccome le vittime erano soci in affari e quindi si conoscevano, c'era un sicuro collegamento con quel lago. 
«Suo marito è stato trovato qui, giusto?» domandò Dean, accigliato, spezzando così quel contatto visivo con la collega e il silenzio creatosi poco prima. 
«Sì» la donna annuì e cominciò a singhiozzare, affondando il naso in un fazzolettino colorato. Dean e Gwen provarono un improvviso disagio, tutti e due spostarono lo sguardo in direzioni opposte, non sapendo cosa dire. «Era nella nostra camera da letto... come p-potrò continuare a vivere senza di lui?!» 
Dean sentì un enorme senso di vuoto infondo allo stomaco, perché quella situazione gli sembrava tanto famigliare. Si schiarì la gola e chiese la direzione per il bagno alla signora Dumont, la quale gliela indicò con garbo. Dean seguì la scalinata, come suggeritogli, ma invece di raggiungere l'ultima porta a sinistra, si intrufolò nella camera da letto della donna, dove era stata trovata la vittima. Tirò fuori il rilevatore di frequenze elettro magnetiche, speranzoso. Ma l'aggeggio non si illuminò, nè emise quello strano suono. 
Così mise da parte la teoria dello spettro vendicativo. 
Sospirò profondamente e scosse appena la testa. Distrattamente notò qualcosa sul pavimento. Sembrava una foglia, o una cosa del genere. Dean aggrottò la fronte e la raccolse. Era un'alga... che ci faceva un'alga nella danza di Pierre Dumont?

Quindi i bersagli rientravano nell'edilizia e in quel progetto. Gwen sperava sul serio che quella fosse la traccia giusta perchè, francamente, non ne vedeva altre per risolvere quel dannato caso.
Appena vide Dean alzarsi dal sofà, capì le sue intenzioni. Avrebbe controllato di sopra mentre lei avrebbe continuato a fare domande alla donna, anche se sembrava non saperne molto di affari, non quanto suo marito almeno.
«Che lei sappia questo progetto va avanti da molto tempo?» Riuscì a chiederle a stento: la vedova continuava a singhiozzare e a soffiarsi il naso e Gwen non era certo la persona più sensibile del mondo anzi, perdeva la pazienza molto facilmente. 
Tentò di contare fino a dieci -come spesso le aveva suggerito sua sorella- ma si fermò a stento al cinque: non era nel suo DNA saper aspettare.
Subito dopo lo scadere del fatidico "cinque" la donna scosse la testa ma non per riferirle la sua ignoranza a riguardo: era un no.
«Siamo tornati da Parigi appositamente per questo lavoro. Siamo qui da una settimana... e adesso il mio amato Pierre è morto!» E di nuovo giù con le lacrime. L'insensibilità di Gwen la costrinse ad alzare gli occhi sul soffitto, leggermente a disagio di trovarsi in presenza di qualcuno così fragile. 
«Mi scusi ma questi giorni non sono stati facili...»
«Posso immaginarlo» annuì per poi sistemare gli occhiali al loro posto.
«L'ho visto così di rado. Da quando sono iniziati i lavori era sempre in cantiere: ne controllava l'andamento per calcolarne una scadenza approssimativa.»
Non seppe spiegarsi il perchè, ma quel dato le era sembrato piuttosto importante.
«Quindi la diga è già in fase di costruzione?»
«Agente Bush, sarà meglio tornare in centrale» riconquistò la scena la voce di Dean: aveva trovato qualcosa.

«Da' un'occhiata!» La invitò Dean porgendole un sacchetto di plastica, nuovamente a bordo dell'Impala.
«Che diavolo è?» Lo guardò meglio, scuotendolo di tanto in tanto.
«A te che sembra?» Simpaticone.
«D'accordo, te lo chiedo in un altro modo più semplice: che ci faceva un'alga nella stanza da letto di quel tizio secondo te?»
Ma lui scrollò le spalle, come a dire "me lo domandavo anch'io."
«Dobbiamo controllare quella diga» battè la penna sul suo taccuino Gwen prima di iniziare a mordicchiarne il tappo.

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Capitolo 4
*** Il pericolo è alle porte ***


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Era abbastanza ovvio, adesso, che le risposte alle loro domande erano racchiuse in quel progetto. Qualunque cosa stesse colpendo le vittime si trovava in quel lago e aveva lasciato loro un ricordino prima di andare via. 
«Scommetto che quella schifezza si trovava anche nella stanza della seconda vittima» disse Dean, con convinzione. 
Non aveva idea del perché, ma era abbastanza sicuro che Gwen -per la prima volta dopo anni che non si vedevano- era d'accordo con lui. 
Perciò, come suggerito dalla ragazza, Dean guidò fino a raggiungere il lago Eiere, dove appunto la diga sembrava essere già in fase di costruzione. Vi erano un paio di operai qua e là, muniti di cappello arancione, che stavano installando un sistema di sorveglianza. Un uomo vestito in nero, in giacca e cravatta, osservava la zona con uno sguardo spento. Un altro, un po' più alto, gli batteva la mano sulla spalla in pacche consolatorie. 
Dean e Gwen si lanciarono un'occhiata e, come se si fossero letti nel pensiero, decisero che quei due erano erano la pista giusta per venirne a capo.
«Salve» disse Dean, mostrando loro il distintivo dell'FBI. «Agente Colfax, e lei è la mia collega, l'agente Bush.» 
Dean le rivolse un'occhiata e abbozzò un sorrisino quando vide la sua faccia sorpresa: sì, le aveva rubato il distintivo sotto i suoi stessi occhi. 
«Stiamo indagando sulla morte di Pierre Dumont e Jean Richards» aggiunse con un tono estremamente professionale. 
«Non sono stati attaccati da un...?» balbettò confuso uno di loro, il più basso. 
«No» rispose Dean, secco. «Sono stati uccisi.» 
I due si guardarono spaventati, quasi come se fossero consapevoli del pericolo che correvano tutti. Già, perché loro erano gli altri due soci in affari. 
«Voi siete?» si intromise Gwen, inarcando un sopracciglio. 
«Michael Connors e Peter Johnson» rispose l'uomo più alto, decisamente meno traumatizzato del suo collega. «Pierre e Jean lavoravano con noi in questo progetto.» 
Dean e Gwen si scambiarono un'occhiata veloce, consapevoli del fatto che quei due sarebbero state le prossime vittime.

 Non gli chiesero quali fossero i loro programmi per la serata o per l'intero arco di tempo utile a costruire la diga né li invitarono a rifugiarsi alla centrale di polizia: li lasciarono semplicemente andare dopo le solite domande di routine. 
Niente di nuovo: nessun nemico in particolare (non da volerli morti, insomma), niente comportamenti sospetti da parte di costruttori, ingeneri o chiunque lavorasse a quel progetto, niente di niente.
«Non ci resta che seguirli» alzò la testa al cielo Gwen, costatando che il Sole stesse già calando sul cantiere. E da quanto avevano capito quella cosa che stava attaccando i soci in affari amava particolarmente il buio. «Sarà meglio tenerli d'occhio, dopotutto quella cosa, trovandosi nelle vicinanze del lago, potrebbe attaccarli anche ora.» Riflettè a voce alta per poter coinvolgere in quel ragionamento anche Dean, affianco a lei una volta salita nell'Impala.
Fecero il giro dell'isolato per far credere ai due di essere andati via ma, nascosti nel piccolo bosco nelle vicinanze del lago, riuscirono a scovare una posizione ideale per l'appostamento. Ottima fino a quando non avrebbero deciso di andarsene a casa.
«Dobbiamo pedinarli, passare probabilmente una notte in bianco e aspettare che li attacchi un mostro che non sappiamo cosa sia e né come si uccide?» Sentì lamentarsi Dean. Il suo umore non era dei migliori. «È stupido!»
«Ma è l'unica cosa che possiamo fare. Non abbiamo tempo per tornare al motel e fare altre ricerche, rischieremmo di perdere un altro stramaledettissimo socio!» E nemmeno quello di Gwen sembrava essere migliore.
«Non abbiamo nemmeno qualcosa da mangiare!» Quello suonò ancora più grave del primo quadro tragico che si era impegnato ad esporre con tanto di sbuffi e lagne.
Gwen lo fulminò con lo sguardo, truce, zittendolo come solo lei sapeva fare. Anche se, pensandoci bene, non era per niente un buon piano.
«E poi, chi dei due seguiremo?»Osservò giustamente, indicando Michael e Peter con un cenno della testa. «Con la fortuna che abbiamo, finiremo per pedinare l'uomo scartato dal menù di quel bastardo.»
E non sbagliava neanche quella volta.
«Non credo che sarà un problema» mormorò con la fronte aggrottata lei, seguendo le ombre dei due uomini muoversi verso la stessa auto. «Auto aziendale?» 
«Non lo so, ma sarà meglio stargli dietro.»

 I due soci si misero a bordo di un'auto scintillante e poco modesta, poi partirono e Dean fece lo stesso, seguendoli senza dare nell'occhio. I viaggio fu molto silenzioso, stranamente. Nessuno dei due parlò, forse perché troppo stanchi anche per battibeccare, che quand'erano insieme quello era il loro passatempo preferito. 
Dean mandò un messaggio a Bobby, chiedendogli di fare una ricerca sulle probabili prossime vittime di quell'essere, e pochi minuti dopo, il vecchio e burbero Bobby, gli telefonò con una lunga serie di indizi: bravi uomini, sostenitori della campagna contro le malattie del sangue, i loro indirizzi, i nomi dei loro figli e delle loro mogli e le loro imprese durante i tempi del liceo. 
«Fantastico!» esclamò sarcastico, il telefono all'orecchio e gli occhi puntati sull'auto dei due tizi. «Questa cosa ci sta prendendo per il culo.» 
«Be', va' a lamentarti con qualcun'altro, signorina. Io ho altro da fare!» ribatté la voce di Bobby, prima che la chiamata si interrompesse d'un tratto. 
Dean aggrottò la fronte, confuso, e lanciò un'occhiata al display del telefono. Da quando Bobby era seduto su quella sedia a rotelle era diventato intrattabile, più irritabile e stronzo di prima. 
Gwen inarcò le sopracciglia e soffocò una risata, visibilmente divertita. 
«Incredibile!» borbottò tra sé e sé, Dean, scuotendo la testa. 
«Guarda là» disse Gwen, indicandogli l'auto davanti a loro con un cenno della testa. 
Aveva appena svoltato sulla destra, entrata in un vicolo che portava al garage di una piccola villetta. Dean osservò la scena accigliato, poi si scambiò uno sguardo con la sua collega. Accostò dalla parte opposta della strada ed entrambi si soffermarono a guardare i due tizi. Avevano l'aria di chi nascondeva qualcosa, e si muovevano di soppiatto, come se avessero paura di essere scoperti. Ma scoperti per che cosa? 
«Wow» fece Gwen, ironica. «Chi dei due vive in quella casa? Piuttosto piccola per un uomo d'affari, non trovi?» 
Dean la guardò, poi lanciò un'occhiata tutt'intorno. Quell'indirizzo non coincideva con quelli che Bobby gli aveva lasciato. 
«Nessuno dei due vive qui» ribatté Dean, accigliato, dopo aver controllato la via in cui si trovavano. «E' strano.» 
Ma tutto fu più chiaro quando una delle finestre del piano terra si illuminò e videro i due tizi proprio lì, guardarsi negli occhi. L'uomo più alto accarezzò una guancia di quello più basso. Poi gli si avvicinò e lo baciò sulle labbra. 
Dean sgranò gli occhi, e il disgusto si disegnò sulla sua faccia in men che non si dica. 
«Ew» riuscì soltanto a dire, distogliendo lo sguardo quando la situazione sembrò precipitare. «Be', di sicuro quella non è un auto aziendale.»

Prima ancora che potesse dire qualcosa, Dean sembrò parlare per lei. Era alquanto sorpresa e... sì, presa alla sprovvista. Non che ci vedesse qualcosa di male ma, ecco, era un po' spaesata dopo aver visto le sue ombre degli uomini abbracciarsi in quelmodo così... passionale? Dio, pensare che ci fossero dei sentimenti di mezzo le faceva venire la pelle d'oca. Come succedeva quando le capitava di guardare delle coppiette innamorate scambiarsi batteri su batteri o sussurrarsi paroline dolci e false promesse all'orecchio.
«Avremmo dovuto immaginare una scena del genere.» Se ne uscì lei, mandando giù un'innaturale quantità di saliva. «Dopotutto si sa che i capocantiere ci sanno fare con i trapa-»
«Non azzardarti a finire quella frase» la minacciò Dean guardando ovunque ma non quello spettacolino alla finestra.
«Come siamo sensibili!» Lo prese prontamente in giro lei, alzando la mani a mezz'aria, divertita come non mai.
«Sono sposati e con dei figli!»
«E credi che questo sia un problema? Ho visto di peggio.» Anzi, poteva dire di averle viste tutte. Conosceva gli uomini, tutti, anche quelli che fingevano di divertirsi a sbavare sulle ragazze nei locali a luci rosse e che poi si mascheravano da maiale (o un animale a casa, era indifferente) per farsi coccolare dal macellaio sexy. 
«Ok, adesso non farmici pensare» scosse la testa Gwen prima di tornare con lo sguardo sulla finestra. Quella era una vera e propria violazione della privacy ma, se volevano salvarli, avrebbero dovuto continuare a fare i guardoni maniaci. 
«C-credi che... dovremmo entrare lì dentro?»
Quel tono spaventato fu la causa della sua ennesima presa in giro: prendeva la palla al balzo, lei.
«Tranquillo, Dean. Andrò avanti io. Non vorrei che questa caccia si trasformasse in uno spunto per manga Yaoi.» Scherzò scoppiando inevitabilmente a ridere. Non sapeva se Dean ne capisse qualcosa di quella roba che lei aveva appena nominato ma, o in un caso o in un altro, la cosa rimaneva per lei divertente.
La sera continuava a calare, oscura, rendendo quella scena più intima per i due nella villetta e più complicata per i cacciatori in macchina che, al contrario dei primi, non se la stavano di certo spassando.
«Come lo uccidiamo?» 
«Mi piace improvvisare» disse spostandosi i biondi capelli con un gesto pigro della mano: un modo come un altro per dire che non ne aveva la più pallida idea.

«Davvero illuminante, grazie» disse sarcastico, Dean, scuotendo la testa. 
Notò con sollievo i due erano spariti da davanti quella finestra. Probabilmente si erano spostati al piano superiore, nella stanza da letto. La cosa non lo rallegrò granché, soprattutto perché la sua fervida immaginazione non poté far a meno di prendere il sopravvento. Scrollò la testa più volte, scacciando via quelle orribili immagini che gli erano state impresse nelle retine. Poi sospirò e lanciò uno sguardo all'orario: mezzanotte. 
«Be', almeno moriranno felici e appagati» ironizzò, con un sorrisetto che si spense non appena Gwen lo fulminò con un solo sguardo. «Cerco solo di guardare il lato positivo.» 
«Meglio quello che altro, dico bene?» 
«Chiudi il becco» la zittì Dean, un po' a disagio. 
Gwen trattenne una risata, poi tornò a guardare la villetta insieme a al cacciatore. Il suo stomaco cominciò a brontolare, desideroso di riempirsi con una delle tante schifezze che Dean ogni giorno ingurgitava. Se lo massaggiò con una smorfia, lamentandosi di quanto quella situazione facesse schifo. Gwen ogni tanto sospirava, scocciata. Roteava gli occhi al cielo e lo invitava ad essere professionale. 
Passarono parecchie ore che quando Dean controllò l'orologio, questo segnava le due del mattino. Cercava disperatamente di tenere gli occhi bene aperti, ma le palpebre si chiudevano da sole per la stanchezza. Gwen invece sembrava ben attenta, fissava la casa in agguato, come se si aspettasse di vedere qualcosa da un momento all'altro. 
«Dean?» 
Si era appisolato nonostante i suoi sforzi, ma riaprì gli occhi e si stropicciò il viso, soffocando uno sbadiglio.
«Che c'è?» 
«E' qui.» 

Dean e Gwen attraversarono il vicolo che portava al cancello della piccola villetta, in punta di piedi, attenti a non attirare l'attenzione dei due amanti o della misteriosa creatura. Impugnavano entrambi la loro pistola caricata con pallottole d'argento: non sapevano se avrebbe funzionato, ma era l'unica cosa che per la maggior parte delle creature era letale. 
Entrarono in casa scassinando la serratura con una semplice spilla che Dean si portava sempre dietro. Proprio quando varcarono la soglia, un urlo straziante spezzò il silenzio. Dean e Gwen si lanciarono uno sguardo fugace, poi si precipitarono al piano di sopra, da dove proveniva quell'urlo. 
«OH MIO DIO!» gridò Michael Connors, indicando il cadavere di Peter Johnson, che giaceva sul pavimento privo di occhi, denti e unghie. 
Dean guardò la sagoma inerme dell'uomo. Poi dirignò i denti e diede un pugno alla porta, colto da un attacco di rabbia improvvisa. 
Quella cosa era stata lì e loro non erano arrivati in tempo per fermarla.

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Capitolo 5
*** Michael Connors ***


capitolo4 «Porca puttana!» Urlò poco finemente Gwen, incazzata con quella sfortuna che, come da previsto, glie l'avrebbe fatta ancora una volta. «Dov'è andato?» Si guardò nervosamente attorno, frenetica. Non poteva essere lontano!
L'uomo al quale rivolse quella domanda però non sembrò darle molto ascolto: se ne stava lì a piangere per il suo amante defunto, con le ginocchia per terra e le mani che continuavano a scuoterlo nella speranza che fosse ancora vivo.
Scena che non riuscì ad evitarle un vecchio ricordo con il quale era in continua lotta. 
Non era forse la morte di qualcuno a far diventare un cacciatore tale?
Solo che Gwen aveva reagito, aveva provato a salvare sua zia Jacqueline e, sebbene non avesse fatto in tempo, aveva almeno tentato. "Non c'è cosa più avvilente che morire senza lottare" le diceva sempre quella scorbutica donna. Lo ripeteva così tante volte che riuscì a farla diventare la filosofia di vita di sua nipote.
Sbattè le palpebre e si riprese, costretta a darsi una mossa dall'imminente situazione di merda nella quale si trovava.
«Michael, dov'è andato?» Domandò più sicura allontanandolo dal cadavere ancora caldo del suo compagno.
Lui continuava a disperarsi ma, captata la determinazione di Gwen, anche lui fu costretto a darsi un contegno. 
«Peter è morto! È MORTO!»
Non avrebbe mai dovuto risponderle in quel modo. 
Avrebbe tanto voluto avere il tempo di farlo calmare e di fargli assimilare tutte le idee ma non poteva permetterselo: l'unico modo che aveva per ottenere una risposta a quella domanda era prenderlo a schiaffi. Cosa che fece senza problemi.
«Lo sarai anche tu, presto, se non mi dici dove cazzo è andato quell'affare che l'ha ucciso!» La presa sulle sue spalle divenne più forte, per poco non rischiava di lasciargli dieci fori come souvenir.
«Non so cosa... era un cane.. la sua co-»
«Dicci dove!» Accelerò saltando quella descrizione che già avevano avuto modo di ricostruire con le testimonianze dei medici.
Quando vide le pupille dell'uomo dilatarsi per focalizzare qualcosa appena dietro di lei, non riuscì a girarsi in tempo per colpirlo. Ma uno sparo ci fu comunque.
Era sempre bello avere un compagno di squadra che ti guardasse le spalle.
«Lo stronzo è veloce.» E da quella frase capì che Dean aveva mancato il suo bersaglio, sì, ma per lo meno era riuscito a dare il tempo a Gwen per mettere nell'angolo Michael. Era lui che voleva, no?
«Vieni a prendertelo!» Lo invitò a farsi avanti lei, guardando la porta che collegava la camera da letto al salotto. 
Doveva essere per forza lì dentro.

Non aveva mai visto quella creatura prima d'ora: sembrava un cane, un rottweiler dai denti un po' più affilati, con il corpo di una lontra e una coda con, alla fine, una mano con tanto di artigli. Si muoveva in fretta, molto in fretta. Era così veloce che Dean non si accorse nemmeno di averlo perso, per un momento. Si guardò attorno, la pistola puntata ancora nel vuoto, pronto a premere il grilletto una seconda volta. 
«Ssssh» fece a voce bassa, portandosi l'indice di una mano davanti alle labbra. Lanciò un'occhiata di intesa a Gwen, che lei interpretò subito come un ''tieni gli occhi aperti''. Poi avanzò cautamente verso il salotto, scivolando nella penombra. Dean tastò a tentoni la parete, in cerca di un interruttore, e quando lo trovò poté constatare che erano a corto di luce. 
E' furbo, pensò, il bastardo ha staccato la corrente. Dean sospirò e procedette con qualche passo in avanti. La stanza era vuota e le tende svolazzavano leggiadre davanti alla finestra spalancata. Senza mai abbassare la guardia, si avvicinò al davanzale e guardò giù. 
Qualunque cosa fosse quell'affare, era riuscito a darsela a gambe. Ne ebbe la conferma quando notò una piccola macchia di sangue che macchiava la superficie in marmo. Ripose la pistola nei jeans e tornò da Gwen e il poveraccio sopravvissuto. 
«E' scappato» annunciò con un tono irritato. «Ma è ferito. Credo di averlo preso di striscio.»
«Che cos'era quella cosa?» balbettò Michael Connors, terrorizzato. 
«Credimi, non vorresti saperlo» ribatté Dean in tono grave. Poi spostò lo sguardo sul cadavere. 
Una bella gatta da pelare, pensò sconfitto. Prese il telefono e chiamò il 911. 
«Vorrei denunciare un cadavere» disse, quando una voce femminile rispose dall'altro capo. Dean le comunicò l'indirizzo. «Il mio nome? Sì, il mio nome è...» ma riattaccò con nonchalance prima di terminare la frase.
«Forza, impacchetta il nostro premio e filiamocela prima che arrivi la polizia» disse a Gwen, prima di tornare davanti alla finestra. Tirò fuori un fazzoletto e pulì la macchia di sangue sul davanzale. A loro serviva il DNA di quella cosa, ma soprattutto non dovevano destare sospetti con le forze dell'ordine.

«Chi diavolo siete voi?»
Ottima domanda, Connors.
«Dovrei "impacchettarlo" io?» Indicò il poveretto come se fosse un oggetto, qualcosa che non aveva il diritto nemmeno di essere ascoltato. E infatti Gwen non l'aveva minimamente calcolato.
«Ci stavate seguendo?» Proseguì imperterrito, rimanendo nell'angolo come un piccolo vermetto indifeso.
«E chi sennò?» Disse molto altruisticamente Dean. In realtà quella era solo una frase che significava "io non ho la minima intenzione di preoccuparmene, quindi tocca a te".
«Oh, certo! Lasciamo il lavoro sporco alla donna, davvero molto elegante, complimenti!»
«Voi non siete dell'FBI?» Dio, quando odiava essere interrotta mentre parlava, specialmente se sul posto di lavoro. Per carità divina però lo lasciò perdere: ora era coinvolta in una specie di discussione con il suo amato collega. Se.
«Sei tu quella che ha familiarità con gli uomini nudi, Gwen, non io!» Allargò le braccia Dean motivando la sua proposta. Dannato sorrisetto soddisfatto, glie lo avrebbe staccato via a suon di pugni.
«Ehi, dico a voi!» 
Ecco che contemporaneamente entrambe le teste dei cacciatori si voltarono verso di lui, fulminandolo con lo sguardo. 
«Se continui ad interrompermi, giuro che ti sparo in testa. Chiaro?» Lo avvertì con la sua poca pazienza Gwen, tornando poi a snobbarlo come fatto fino ad allora. «Sai cosa? Lo vedo abbastanza vigile e lucido da potersi impacchettare da solo! Tu raggiungi la macchina e metti in moto. Io vedrò di aspettarlo qui, visto che sei un uomo davvero esemplare!»
Non era un brutto piano dopotutto. Michael era l'unico socio rimasto, non potevano rischiare di lasciarlo da solo: era la loro ultima speranza.
Un uomo nudo e tremolante era la loro unica speranza... accidenti che quadro triste.
«Vedo che inizi ad avere qualche buona idea.»
«Se non sparisci immediatamente da qui farò conoscere il cosetto del nostro amico Elton John alla tua macchina.» 
Non aveva niente contro Elton John anzi, trovava "Sorry seems to be the hardest word" una delle canzoni più poetiche che avesse mai ascoltato. Cosa che non avrebbe mai saputo nessuno ovviamente. Era solo convinta che per Dean, sapere di avere un uomo nudo nella sua Impala che non fosse lui, sarebbe stato uno dei suoi peggiori incubi.
«Cosa volete farmi?? Dove mi portate??» Urlò l'uomo passando lo sguardo da Gwen a Dean e da Dean a Gwen, ossessivo e -giustamente- spaventato.
«Mettiti qualcosa addosso e datti anche una mossa. Se sali nudo in macchina quello a spararti in testa sarà lui.» Suggerì lei indicando con un cenno della testa la porta che il suo compagno di caccia aveva appena varcato per raggiungere il piano inferiore.

Quando finalmente furono pronti a partire, Dean schizzò via da quel posto con i due passeggeri a bordo, prima dell'arrivo della polizia. Come da copione, quel pover'uomo cominciò ad elencare una lunga lista di domande, domande che Dean -come anche Gwen- conosceva a memoria per le troppe volte che se l'era sentite rivolgere: chi siete? Che cosa volete da me? Voi non siete agenti dell'FBI? Volete uccidermi?
«No, non vogliamo ucciderti, Michael» rispose pazientemente. «Ascolta, quella cosa ti sta dando la caccia e presto verrà ad ucciderti. Noi vogliamo soltanto impedirglielo.» 
«Perché?! Io non ho fatto niente!» ribatté l'uomo, spaventato e confuso insieme. 
Come se questo importasse qualcosa. Probabilmente quella creatura viveva nel lago e non accettava che la sua casa andasse sostituita con una diga. Non voleva essere sfrattata e da lì che nasceva il suo desiderio di vendetta. 
Dean e Gwen lo ignorarono, scambiandosi ogni tanto un'occhiata fugace, mentre Michael Connors ripeteva le domande come se si aspettasse davvero una risposta almeno da uno dei due. Alla fine si arrese, lo sguardo basso e pensieroso. Questo era il momento peggiore, quando cominciavano a realizzare ciò che avevano appena vissuto. 
«Quella cosa ha ucciso Peter...» 
«Ha ucciso anche gli altri due tuoi soci» aggiunse Dean, guardando il volto in lacrime dell'uomo attraverso lo specchietto retrovisore. 
«Io non voglio morire.» 
«E non succederà» tagliò corto, tornando a guardare la strada. «Devi fidarti di noi. So che ti abbiamo mentito, ma siamo gli unici che possono aiutarti, okay? Se scappi sei morto, se resti nascosto vivi. E' chiaro?» 
Michael annuì, asciugandosi le guance con i polsi. Dean sospirò e Gwen lo guardò. 
«Dobbiamo scoprire cos'è quell'affare» disse ragionevole. 
«Prima portiamo Michael in un posto sicuro. Poi torneremo ad uccidere quel canontra.» 
«Canontra?» domandò Gwen, confusa. 
Dean abbozzò un sorrisetto divertito, «sì, l'ho chiamato così. E' metà cane e metà lontra, sai...» 
La ragazza inarcò le sopracciglia, stranita. Poi scosse la testa e nascose un sorriso dietro una mano.

 «Ma cosa sei, una donna? Muoviti!» Bussò ripetutamente alla porta Gwen per sollecitare Michael -probabilmente nel ben mezzo dell'ennesima crisi di pianto- ad uscire dal bagno della loro stanza di motel. 
Erano tornati lì per dare la possibilità a Michael di chiamare la sua famiglia ed avvertirla che sarebbe mancato per un po'. E in più avrebbero dovuto fare rifornimento prima di incamminarsi per dodici, lunghe ore alla volta di Sioux Falls, diretti dal caro vecchio Bobby.
«Sei sicuro di non voler riposare un po'? Non mi pare tu abbia dormito granché ultimamente» si rivolse a Dean, indaffarato a preparare i suoi borsoni. Ricevere una risposta negativa non deluse le sue aspettative. «Se ci dividessimo faremmo molto prima» disse poi, organizzando nella sua bella testolina un modo per velocizzare le cose e non rischiare di perdere la vita in uno stupidissimo incidente stradale causato da un colpo di sonno.
No, Dean era un ragazzo previdente, non si sarebbe mai messo alla guida della sua macchina se non fosse stato sicuro di poter guidare senza pericoli.
Forse infondo, ma davvero infondo, Gwen voleva evitare di spremere le energie di Dean fino all'estremo. 
«Io accompagno "Mr. Pisciata-più-lunga-del-mondo" da Bobby e appena scopriamo qualcosa te lo facciamo sapere.» Urlò quel nomignolo d proposito, sperando che gli insulti potessero arrivare al destinatario.
«È altruismo quello che sento nella tua voce?» Le prestò attenzione lui, più shockato di avere a che fare con una Breakbones umana che con un mostro mai affrontato prima.
«Abbrevieremmo i tempi, Dean. Sono dodici ore di andata e dodici di ritorno. Per quanto ne sappiamo quel... quella canlontr-»
«Canontra» la corresse col sorrisetto, facendo filare la zip del borsone.
«D'accordo, quella cosa potrebbe anche attaccare gli operai. Ci serve qualcuno qui.»
Incrociò le braccia al petto, seria in volto e determinata a fargli prendere almeno in considerazione quel suo corretto punto di vista.
«Mi stai cedendo il caso perchè hai paura che io possa farci schiantare lungo la strada?»
«No, non ti sto cedendo nessun caso e no, non voglio dire questo. Non guideresti mai l'Impala sapendo di correre il rischio di "schiantarti lungo la strada", non sei stupido.» Era strano sentire la sua bocca aggiungere una negazione davanti ad un insulto.
«Questo posto è un incubo! Tutto è un incubo!» Si lamentò Michael uscendo dal bagno. Ma, come da copiane, nessuno lo stese a sentire, specialmente Gwen che ora era occupata a fissare Dean.

Dean spostò lo sguardo su Michael quando questi entrò in scena. Poi tornò a prepararsi per il viaggio, ignorando le lamentele dell'uomo e le occhiate scrutanti di Gwen. 
«'Sta tranquilla» disse Dean, intento a riempire il secondo borsone con tutte le armi che aveva precedentemente tirato fuori dall'Impala, una volta arrivato a Toledo. «Gli operai sono al sicuro.» 
«Cosa te lo fa pensare?» domandò Gwen, accigliata. 
«Il canontra ha staccato la corrente quando eravamo nel nido d'amore di Michael e Peter. Il che vuol dire solo una cosa: non gli piace la luce» rispose Dean, tranquillo, con l'aria di chi aveva capito tutto. 
Chiuse la zip del borsone e se lo carico su una spalla, afferrando l'altro con la mano libera. Guardò Gwen e notò una strana espressione sul suo viso, sembrava quasi sorpresa. 
Che cosa credeva, che Dean non fosse in grado di fare certi ragionamenti? 
Abbozzò un sorriso, tra il compiaciuto e il divertito. Poi indicò la porta a Michael con un cenno della testa, invitandolo a chiudere il becco e a darsi una mossa. 
«Sta dormendo?» domandò Gwen, voltandosi indietro a guardare Miachel, disteso nei sedili posteriori dell'Impala. 
«Come un angioletto» rispose Dean, ironico. 
Erano in viaggio da circa sette ore e il sole era sorto da un bel po'. Per fortuna le strade erano abbastanza sgombre da permettere a Dean di proseguire con un'andatura veloce. 
Aveva come la strana sensazione che Gwen lo stesse osservando, ma decise di non cercare di averne conferma. Continuò a tenere gli occhi puntati sulla strada, ignorando gli occhi chiari della giovane cacciatrice. 
«Avevo dimenticato quanto sei bravo in quello che fai» confessò all'improvviso Gwen. 
«Ci stai provando, per caso?» ribatté ironico, Dean, disegnandosi un sorrisetto sghembo tra le labbra. 
Gwen sorrise, divertita. «Come se la cosa ti desse fastidio!» 
«Niente affatto» ammise Dean con sincerità, rivolgendole uno sguardo fugace. 
Entrambi sorrisero e il silenzio calò nuovamente nell'abitacolo.

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Capitolo 6
*** Casa dolce casa ***


fvgrd Trovare Bobby a mangiare un panino fu l'accoglienza che ricevettero una volta aperta la porta davanti a loro. Ora di pranzo: era più che comprensibile.
Durante il viaggio Gwen aveva ben pensato di chiamare il vecchio barbuto per avvertirlo e, dopo svariate lamentele e proteste da parte dell'uomo, chiuse la chiamata con la convinzione di averlo corrotto con qualche battutina delle sue ed il suo tono seducente che usava quando voleva ottenere qualcosa.
Seduti in cucina attorno il tavolo, Dean e Gwen fecero un breve riassunto del tutto, togliendosi la parola l'un l'altro come dei bambini di dieci anni.
E Bobby che credeva non ci potesse essere nessuno più insopportabile dell'accoppiata Dean-Sam!
«Sa magari gli dessi il fazzoletto con il sangue invece di vantarti tanto di avermi salvato il culo, saresti molto più professionale, idiota!» Lo ricordò in quel modo così dolce, accompagnato da uno sguardo severo ma compiaciuto. Anche a lui sfuggivano delle cose ogni tanto e lei nel bacchettarlo era una maestra.
«L'avrei fatto quando ti saresti decisa a chiudere la bocca!»
Avevano passato decisamente troppo tempo insieme. E averlo passato senza finire contro qualche mobile a fare sesso, be', quello era un grande traguardo quanto una grande novità per loro.
«Piantatela e ditemi qualcosa di più su quella creatura!» Li riprese Bobby facendo cessare qui battibecchi causati anche dalle loro ore di sonno perse.
«L'abbiamo portato apposta. Ti dirà tutto ciò che vuoi sapere. O tutto ciò che sa.»
«Sono una persona, ho un nome!» Sbottò Michael, scocciato di essere considerato un pacco o un oggetto in generale.
Ma Bobby con un gesto della testa gli fece capire che sarebbe stato meglio per lui tacere: andare contro Gwen era molto pericoloso.
«Noi invece ci riposeremo qualche oretta prima di rimetterci in viaggio per Toledo.» E quella non era una proposta.
«E mi lasciate solo con Clooney?» 
«Lui è Elton John. E comunque sì.» Concluse schietta alzandosi in piedi e lanciando una brutta occhiataccia d'intesa a Dean, ancora seduto al suo posto.

Dean guardò Gwen e capì subito che la sua occhiataccia insisteva visibilmente nel seguirla al piano di sopra. Per fare sesso?, si domandò ironico, accennando un sorrisetto in risposta. Ovviamente no. Voleva soltanto che Dean riposasse per qualche ora prima di rimettersi in viaggio: Gwen non aveva di certo voglia di morire schiantata contro un albero o qualcosa del genere. In effetti era troppo poco per un cacciatore morire in quel modo quando rischiavano ogni giorno la vita. 
«Che c'è?» 
«Dean, hai bisogno di dormire!» lo rimproverò, cercando un appoggio negli occhi di Bobby. «Non dorme da due giorni!» 
Bobby spostò lo sguardo su Dean e senza aprire bocca riuscì a convincerlo. Le sue occhiate minacciose valevano più di mille parole. 
Si alzò dalla sedia e si voltò verso Michael, puntandogli un dito contro. «Se scappi sei morto, ricordatelo» gli disse, gettando poi uno sguardo d'intesa verso l'uomo barbuto che tanto conosceva. 
Bobby poteva anche essere un cacciatore furbo e abile, ma se Michael se la fosse data a gambe sarebbe stato difficile per lui inseguirlo. 
Dean e Gwen salirono al piano di sopra. Il cacciatore si guardò attorno in corridoio, come se si aspettasse di vedere spuntare qualcuno da un momento all'altro. In effetti non aveva fatto caso se fuori dalla dimora Singer vi erano le auto delle Harvelle. Immaginava però che se Ellen fosse stata in casa l'avrebbe vista in cucina. 
Non sapeva se essere sollevato o deluso: non vedeva quelle due donne da un bel po' di tempo... soprattutto Jo. 
Ad ogni modo si fece strada, sospirando. Entrò nella stanza che Dean occupava di solito ogni volta che pernottava lì e si gettò sul letto come un sacco di patate, rimbalzando all'impatto con le molle. Gli occhi chiusi e quella sensazione di pace che provava soltanto quando varcava la soglia di casa Singer. Lo considerava il miglior posto dal quale tornare dopo una caccia. 
«E non volevi riposare!» lo canzonò Gwen, entrata nella stanza dopo di lui. 
«Chiudi il becco» ribatté pigramente, con la faccia schiacciata contro il cuscino

Quella era sì e no la terza volta che metteva piede a casa di Bobby. Solitamente Gwen faceva di tutto pur di non avere un posto fisso e non perchè temesse di affezionarcisi o di farsene un'abitudine. 
Magari è perchè ogni casa nella quale mi sistemo finisce per andare distrutta o ancora meglio bruciata, venne a capo di quel suo complesso percorso psicologico mentre guardava Dean rimanere immobile sul letto.
«Riesci a respirare o caccerai le branchie pur di non spostare la faccia da quel cuscino?» Sì, lo trovava un po' scorretto insultarlo quando non aveva le forze per difendersi ma non poteva proprio farne a meno. Anche se, quando Dean non le replicava qualche insulto, non era poi così divertente.
«Non sei stanca, Gwen?» E non c'era niente di altruistico in quella frase.
«Stai cercando di liberarti di me? Questo mi ferisce.» 
Alle solite. 
Uno sbuffo da parte di Dean che segnava il colpo incassato o magari solo la sua resa: forse non ne poteva proprio più.
«Non sono mai stata qui» mormorò passando le dita sul piano dei mobili. Quando si guardò il polpastrello e non vide nemmeno un granello di polvere rimase alquanto sorpresa. Se Bobby non era di certo un uomo che stava dietro alle faccende domestiche, chi diavolo se ne occupava allora? Cenerentola? «Sono salita per la prima volta al piano di sopra appena due anni fa.» Quando piombai nel suo vialetto, schiantandomi con la macchina contro la cassetta delle lettere, aggiunse nella sua testa decidendo che quello fosse solo un inutile dettaglio da scartare per il bene del riassunto. E poi ebbe un buon motivo per non schiacciare il freno, visto che il suo piede grondava sangue per colpa di una caccia non andata al meglio.
«Come diavolo hai fatto a guidare?» le chiese Bobby mentre si occupava della sua caviglia slogata. 
Ricordava quelle sue parole con estrema precisione.
«Sono piena di sorprese» gli rispose lei, inizialmente distaccata.
Una volta finito quel momento di "ricomponimento" la accompagnò al piano di sopra, aiutandola per le scale nonostante le proteste della giovane.
«Ho solo visto la stanza più vicina alle scale ed il bagno ma non ero mai stata qui dentro. Adesso so com'è fatta la casa del vecchio Bobby» disse con una nota di compiacenza e con un sorrisetto riconoscente sulle labbra. Per fortuna Dean aveva la faccia sul cuscino o l'avrebbe coglionata a vita per quella smorfia. «E visto che tu non sei per niente di compagnia, me ne vado a dormire. Verrò a chiamarti tra qualche ora, quindi vedi di addormentarti in fretta.»

 Si rese conto soltanto in quel momento quanto Gwen avesse ragione: Dean era stanco, davvero tanto stanco per continuare a tenere gli occhi aperti. Gli era bastato appoggiare la testa sul cuscino, e d'improvviso il torpore si fece sentire. 
In un altro momento -o forse anche in un'altra epoca- Dean l'avrebbe invitata a restare, magari usando le sue tattiche seduttive. Ma adesso... non lo sapeva. Con tutto quello che gli stava succedendo, il Diavolo che era risorto, Michele che voleva appropriarsi del suo corpo, Zaccaria alle calcagna, l'astinenza dal sesso era l'ultima sua preoccupazione nella sua lunga lista. E poi c'era Sam. Non lo vedeva da un bel po', né lo sentiva. Senza di lui le cose andavano male, davvero male. 
Per quanto cercasse di auto convincersi del fatto di stare bene senza di lui, di stare perfino meglio, in cuor suo sapeva che non era affatto vero. Sam era l'unica ragione per cui era ancora in piedi, nonostante tutto. 
«Puoi dormire qui, se vuoi» disse. Nella sua voce nessun accenno di malizia. Eppure a Gwen non mancò l'occasione di scherzarci su. 
«Ci stai provando con me?» domandò, con un sorriso. 
«Come se ti dispiacesse!» borbottò Dean. 
«Niente affatto» ribatté la ragazza, continuando a sorridere. 
Dean le lanciò uno sguardo sbieco e accennò un flebile sorriso, ricordando che poche ore prima avevano già vissuto una scena del genere. 
«Buonanotte, Dean.» 
«Buonanotte.» 
Gwen spense la luce e uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle. 
«Dean? Dean! Andiamo! Svegliati, pigrone.» 
Dovevano essere passate parecchie ore da quando si era addormentato. Eppure al cacciatore parvero soltanto pochi minuti quando riaprì gli occhi. Si guardò attorno, spaesato, e ricordò di essere a casa di Bobby quando riconobbe la vecchia mobilia, straordinariamente senza un filo di polvere. Si avvertiva la presenza di una donna prima ancora di varcare la soglia. 
Dean aggrottò la fronte e sollevò appena la testa dal cuscino. Il viso angelico di Gwen lo osservava. 
«Che ore sono?» 
«Hai dormito abbastanza» rispose con un tono vago, la ragazza. «Forza, alzati. Bobby ha trovato qualcosa.» 
Non solo Bobby aveva trovato qualcosa. Il vecchio con la collaborazione di una giovanissima cacciatrice era riuscito a scoprire che cosa fosse la creatura che avevano cacciato fino a quel momento. E, sorpresa delle sorprese, Dean conosceva quella cacciatrice molto bene. 
«Jo» pronunciò il suo nome con una nota di sorpresa, una volta raggiunto il piano inferiore, accompagnato dalla sua temporanea compagna di sventure. 
Ellen, affianco alla figlia, gli rivolse un sorriso. Sembrava molto contenta che Dean fosse in compagnia di una ragazza che non fosse la sua Jo.

«Jo.»
«Dean» rispose la diretta interessata con un cenno della testa ed una smorfia a specchio che rifletteva la stessa sorpresa che Dean aveva riservato a lei.
«Ellen» salutò anche la donna accanto alla biondina, stranamente raggiante. 
«Gwen!» Si intromise lei senza fare troppi complimenti, approfittandosene di quel momento per concludere quelle che sapeva non fossero nate come presentazioni. Lo capiva del modo in cui si guardavano e dal tono con cui avevano pronunciato l'uno il nome dell'altro. «E quello seduto lì è Elt-» si interruppe appena in tempo, scollando la testa. «Michael, il sopravvissuto di turno. Immagino che conosciate già Bobby, visto che probabilmente siete voi il motivo di tanto ordine qui dentro.» 
Niente probabilmente, ne era certa. Quel polpastrello immacolato come tutti i mobili della casa sembravano esserne la conferma.
«Come mai siete qui?» la ignorò Jo, rivolgendo a Dean per avere una spiegazione. Avendo aiutato Bobby nella ricerca del mostro al quale Dean e Gwen stavano dando la caccia, sapeva già quale fosse la situazione ma voleva soltanto sentirselo dire da lui.
«Michael aveva bisogno di un posto sicuro e-»
«E noi di riposare. Non dormiamo da giorni.» 
Quanto suonava male quella frase: era quasi fastidioso il modo in cui Gwen riuscisse a sembrare odiosa anche senza volerlo. Non era nel suo programma voler far intendere qualcosa (che comunque non c'era stato) solo per far ricadere l'attenzione su di lei. Certo, odiava essere snobbata ma mentire non era il suo modo più caratteristico per farsi notare. 
«È quasi ora di cena, se volete fermarvi-»
«Ora di cena?» Solo allora Dean si rese conto di aver dormito più di quelle due o tre misere orette che si concedeva di solito. Quando capitava quel miracolo.
«Quindi è arrabbiato per via della diga?»
«Sei davvero un tipo perspicace!» Borbottò Bobby contro l'unico socio sopravvissuto.
La loro voce riportò i piedi di Gwen per terra, facendola voltare verso i due uomini con le teste chine su di un vecchio libro. 
«Quindi cos'è che mi ha costretta a chiedere aiuto?» Si avvicinò alla combriccola, questa volta prendendo lei il ruolo dell'indifferente che ignorava gli altri. 
Non le piaceva per niente quel clima, era come se si sentisse in soggezione e quell'occhio di bue puntato addosso era tutt'altro che piacevole.
«Si chiama Ahuizotl» introdusse Bobby.
«Credo che a questo punto continuerò a chiamarlo Canontra» e lanciò un'occhiata d'intesa a Dean che, esattamente come Jo, aveva iniziato ad ignorarla. 
Stese a guardarli per qualche istante ma distolse lo sguardo appena prima che Bobby potesse riprendere a leggere e che i due piccioncini smettessero di fissarsi.
«È una creatura leggendaria azte-»
«Come si uccide?» Tagliò corto Gwen, non le erano mai piaciuti i fronzoli di contorno.
«La luce li stordisce e li rallenta, questo vi farà guadagnare tempo.»
«Tempo per?» Impazienza, il suo secondo nome.
«Tagliargli la testa e la coda» capovolse il libro per far vedere meglio l'immagine alla ragazza. 
«E dopo che ne facciamo?»
«Io fossi in voi ne farei una bella grigliata, per sicurezza.»
Parlare di cibo mentre Ellen iniziava a cucinare era stato davvero un colpo basso per l'appetito di Gwen. Ma gli avrebbe perdonato qualsiasi cosa a quel vecchio scorbutico.

Dean si ritrovò ad affrontare una scomoda posizione. Stare sotto lo stesso tetto insieme a Jo e Gwen... be', non era esattamente una delle sue tante fantasie erotiche. Non aveva nessuna intenzione di dare una brutta impressione alla prima; era forse per questo che aveva cominciato ad ignorare la seconda? Molto maturo, si disse. 
Infondo non c'era alcun motivo di sentirsi a disagio, tra lui e Gwen non c'era nulla e non c'era mai stato nulla oltre all'attrazione fisica. Sì, erano stati a letto insieme un paio di volte, probabilmente più di quanto Dean riuscisse a ricordare, ma si era trattato soltanto di una spassosa avventura, sia per lui che per la ragazza ribelle dagli occhi chiari.
Tuttavia continuava a sentirsi come se avesse due piedi in una scarpa, sensazione alquanto indescrivibilmente fastidiosa. 
«Seguiremo alla lettera le istruzioni per l'uso» tagliò corto, Dean, ignorando i consigli accurati del vecchio e brontolone Bobby. «Adesso dobbiamo soltanto tornare lì e... be', dargli quello che si merita.» 
«Sul serio?» fece scettica, Jo, attirando l'attenzione di tutti i presenti, anche quella di Michael. 
«Certo» rispose Dea, noncurante, scrollando le spalle. «Hai un'idea migliore?» 
«Credi davvero che quel coso uscirà allo scoperto e si farà uccidere allegramente?» 
«D'accordo, dove vuoi arrivare?» domandò Bobby, accigliato e confuso come Dean e Gwen. 
«Quella creatura vive nel lago e sa che gli state dando la caccia, come sa che avete messo al sicuro il suo pasto» spiegò Jo, paziente. «Perciò andare lì ad aspettare che venga da voi è una mossa stupida, a meno che...» 
Silenzio. Dean, Gwen, Bobby, Ellen e Jo spostarono lo sguardo su Michael, il quale, in un primo momento, li guardò disorientato. Sgranò gli occhi subito dopo quando intuì la natura delle loro occhiate. 
«No» disse, categorico. «Scordatevelo, non ho intenzione di fare da esca a quel dannato coso!» 
«E' l'unico modo per riuscire ad ucciderlo, Mike» cominciò Dean, annuendo con convinzione alle sue stesse parole. «Jo ha ragione. Non si farà vedere finché non avrà ciò che vuole.» 
«E questo dovrebbe farmi sentire meglio?!» sbottò l'uomo, preso da un attacco di panico improvviso. 
«'Sta calmo» lo zittì subito, il cacciatore. «Andrà tutto bene, okay? Noi saremo lì, pronti ad attaccare. Fidati di noi.» 
«Fidarvi di voi?!» ripeté Michael, le sopracciglia inarcate in un'espressione incredula. Scoppiò in una risatina isterica e tornò subito serio. «Fidarmi di voi?! Stai scherzando, spero! Tu parli con la tua auto!» aggiunse, gridandogli contro quel piccolo particolare come se fosse il punto saliente per il quale era bene non dargli fiducia. «Voi siete pazzi.»

Era in gamba quella tipa. Certo, Gwen non avrebbe scommesso nemmeno un centesimo su di lei (forse per via del suo visetto innocente) ma con quella uscita da grande intenditrice fece capire che di schifezze ne aveva viste anche lei.
L'apparenza inganna, si disse mentre Dean iniziava il suo dibattito con Michael, in trappola come un topo nel covo dei peggiori gatti del quartiere. Ma ingannava sul serio? No, non lei. Forse aveva sbagliato riguardo a Jo ma non riguardo a quello che questa avrebbe voluto farle se solo avesse avuto un vero motivo per sporcarsi le mani e prenderla a pugni. Non sapeva il perchè ma, per un momento, le sembrò che quegli occhi scuri la stessero studiando come un leone studiava la propria preda dopo averla già catturata, come se stesse scegliendo quale parte divorare per prima.
Peccato che Gwen non si facesse considerare come la preda di nessuno e mai, di qualsiasi campo d'argomento si stesse parlando.
«D'accordo, allora puoi iniziare a salutare la tua famiglia» tentò di corrompere l'uomo Jo. Lei amava passare prima dalle buone maniere. Gwen un po' meno.
«La mia.. la mia famiglia? Perchè?»
«Be', mi sembra ovvio. Se tu non farai da esca, il mostro non verrà ucciso e quindi non potrai più mettere piede nella tua città perchè appena deciderai di farlo quella roba ti mangerà vivo.»
Non faceva una piega, brava la leonessa con il senso dell'accoglienza pari a zero! Mh, le ricordava vagamente qualcuno. Un altro tratto in comune da segnare accanto al colore dei capelli e alla professione.
«Figuriamoci se glie ne importa qualcosa!» Lo derise Gwen, in riferimento agli incontri segreti di Michael con il suo defunto compagno Peter. 
Quando ricevette un'altra occhiataccia da parte di Jo, Gwen sorresse il suo sguardo, incuriosita. "Mi stai rallentando il lavoro" sembrarono dirle quegli occhi. Avrebbe tanto voluto dirglielo a voce lei, mo di sfottò, ma non sarebbe stato vero, visto che era stata proprio lei, Jo, insieme a Bobby ad arrivare ad una conclusione alla quale lei stessa non sarebbe mai arrivata da sola. 
Quindi la ragazzina voleva vedere il suo stile? Voleva vedere come se la cavava una professionista che non temeva di essere mal vista dagli altri? Nessun problema. 
Come se avesse realmente raccolto il guanto di sfida mai stato lanciatole da Jo, si avvicinò a Michael, ancora seduto accanto a Bobby con la paura impressa negli occhi.
«Vuoi sapere cosa ti succederà se non farai quello che ti è stato appena detto?» Lo disse con un tono inquietantemente retorico, il sorrisetto sadico a fargli da spalla. «Ti getterò di peso nel lago. Aspetterò che il mostro venga a galla per prenderti e allora lo trascinerò fuori per farlo a pezzi. E, credimi, tu non sarai ancora vivo per poterti godere la scena, quando lo arrostirò.» La sua serietà era quasi agghiacciante mentre gli prendeva il mento tra le dita. «Ti lascerò affogare, Michael. Tanto non sei la prima persona umana che uccido» concluse prima di mollare la presa, stizzita. «Vado a darmi una sistemata di sopra prima di partire. È tardi» e abbandonò la scena sculettando, salendo le scale.

Dean alzò gli occhi al cielo davanti a quella scena, scuotendo appena la testa. Sempre ad attirare l'attenzione, pensò, sospirando. Bobby inarcò le sopracciglia e Ellen fece una smorfia, stizzita. Probabilmente non le piaceva granché, ma se serviva a tenere Dean lontano da Jo andava più che bene. 
«Ignorala» gli consigliò Dean quando Gwen uscì di scena, forzando un sorrisetto più simile ad una smorfia. «Ha il ciclo.» 
Michael annuì, non del tutto convinto. Aveva ancora il terrore stampato sulla faccia, e quell'espressione divertiva un po' tutti. Probabilmente in un altro momento ci avrebbero riso su. 
«Forza, prendi la tua roba, amico, dobbiamo andare» lo avvertì subito dopo, dandogli una pacca consolatoria sulla spalla. 
Michael alzò gli occhi lucidi verso di lui e si aprì in un sorriso pieno di gratitudine.
«Grazie» mormorò, prima di alzarsi dal suo posto per andare a recuperare i suoi effetti personali al piano di sopra. 
A Dean non piacque molto il tono che aveva usato, con quella nota di amorevolezza nella voce. Senza contare il suo sguardo durato un po' troppo più del dovuto. 
Lo guardò sparire in cima alla scala, poi si voltò a guardare Bobby, stranito. Il vecchio se la rideva con gusto, e lo prese in giro per un bel po' nell'attesa. Ellen lo richiamò dalla cucina e l'uomo la raggiunse, seduto sulla sua sedia a rotelle, lasciando Dean e Jo da soli per la prima volta dopo settimane. 
L'ultima volta che l'aveva vista combattevano una battaglia contro dei demoni inesistenti, opera di uno dei cavalieri dell'apocalisse. Non avevano avuto il tempo di scambiare quattro chiacchiere come al solito, dato che fu una giornata ricca di azione. 
Dean la guardò a lungo, aspettando che anche lei si decidesse a fare lo stesso. Quando i loro occhi si incontrarono, le rivolse un ampio sorriso. "Sono felice di rivederti, Jo", era quello che stava ad indicare. Lei lo ricambiò, ma non fu travolta da un entusiasmo incontrollabile nel farlo, anzi. Sembrava quasi un sorriso forzato. 
«Okay, sono pronta» annunciò Gwen, interrompendo quel loro contatto visivo e spezzando il silenzio. 
«Bene» borbottò, a disagio. «Dì a George Michael di darsi una mossa, dobbiamo andare» aggiunse, alzandosi in piedi. 
Si caricò uno dei borsoni sulla spalla e salutò Bobby ed Ellen con un cenno della testa, i quali gli raccomandarono di tenere gli occhi aperti. Sembravano due veri e propri genitori apprensivi. 
«Ciao Jo» disse poi, rivolgendole uno sguardo prima di lasciare casa Singer seguito da Gwen.


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Capitolo 7
*** Quell'idiota di Dean Winchester ***


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Se fosse dispiaciuta per aver interrotto quel momento sentimentale tra Dean e Jo? Ma assolutamente no anzi, non glie ne importava proprio niente. Era l'ora di andare? Erano già in ritardo? Perfetto, poche lagne e subito in viaggio allora, si giustificò non appena ricevette l'ennesima occhiataccia da entrambi i piccioncini.
Quindi salutò tutti con un neutrale cenno della testa e fece una piccola promessa a Bobby nella quale assicurava una chiamata a fine lavoro, anche solo per fargli sapere se fossero ancora vivi. Poteva farcela.
«E comunque è Elton John» non perse l'occasione di contraddirlo mentre grazie ad una sola occhiata il povero uomo preso in causa alzava il suo di dietro dalla sedia per seguire i due cacciatori.
«Michael» la corresse l'uomo ancora convinto di poter vincere quella guerra contro Gwen.
«Ma tu non avevi paura di me?» E lo ammutolì ancora una volta, forse avendogli ricordato la fine che poco prima aveva organizzato per lui, cruda e spietata. E non aveva sentito ancora niente.
Salirono in auto -ancora una volta- con l'intenzione di buttare giù un bel programma per la caccia e di seguirlo quanto più meticolosamente possibile: dovevano stringere i tempi.
«Dovremmo arrivare di mattino presto. A meno che non facciamo una sosta durante il viaggio per r-» ma quando vide Dean scuotere la testa, scartò quell'opzione. «Ok, niente fermate extra. Nemmeno per la colazione?» Tentò di corromperlo sapendo su quali argomenti poter fare leva. E poi lei non riusciva ad essere sveglia ed attiva senza il suo caffè nero esattamente come il suo umore ogni volta che abbandonava il letto del motel di turno. Quindi quella era d'obbligo. 
«Coma potete fare questa vita?» Se ne uscì dal nulla l'uomo seduto sui sedili posteriori dell'auto con una faccia distrutta in volto.
Bella domanda.
«Ognuno fa le sue scelte, no?» Lo liquidò così Gwen un po' perchè non sapeva come rispondere in altro modo e un po' per azzittirlo una volta per tutte con strane allusioni alla sua vita privata. Cosa che funzionò a perfezione come da sperato.
Peccato che in quel modo il viaggio fosse fin troppo silenzioso. E Gwen non sapeva starsene zitta per più di dieci minuti, figurarsi per dodici ore filate!
«Davvero carina la tipa. Molto solare» spezzò il silenzio lei usando quella sua ironia come un martello.

Dean lanciò uno sguardo a Michael, attraverso lo specchietto retrovisore. Per un momento provò una strana sensazione simile all'odio. Sì, lo detestava per aver rivolto loro quella domanda. Forse perché non era mai riuscito a darle una risposta: erano gli affari di famiglia. Cacciare quegli esseri, combattere il male e salvare delle vite era una tradizione che non poteva essere ignorata. Come una lunga ed infinita catena di ferro che difficilmente poteva essere spezzata. Nessuno ne sarebbe mai uscito da quel circolo vizioso, l'unico modo per farlo era la morte. In alcuni casi, come in quello di Dean, neanche quella.
Quel fiume di pensieri venne bruscamente interrotto dalla voce di Gwen che, fino a quel momento, era rimasta in silenzio per tutto il tempo, proprio come Dean e Michael. 
Lo sapeva che non si sarebbe mai lasciata sfuggire l'occasione di commentare quel piccolo ed intenso incontro con la giovane Harvelle. Si aspettava, infatti, una delle sue battute ironiche, e Dean fece finta di nulla, cercando di nascondere la sua improvvisa rigidità. 
«Ho visto come vi guardavate» aggiunse con un tono leggermente allusivo. 
L'argomento ''Jo'' era difficile da affrontare, soprattutto se a parlarne con lui era Gwen. Preferiva di gran lunga fare il finto tono, cascare dalle nuvole come se non avesse la minima idea di che cosa si stesse parlando.
«Non ho la minima idea di che cosa tu stia parlando.» 
Ecco, appunto. 
«Non ci provare, Dean», Gwen scosse la testa con un sorriso divertito. Sì, adorava vederlo in difficoltà. «Ricorda che è con me che stai parlando.» 
«Non fa una piega» ribatté, indifferente, gli occhi puntati ostinatamente sulla strada. 
Lo sguardo di Michael rimbalzava da Gwen a Dean e da Dean a Gwen, come in una partita di tennis, ogni volta che i due prendevano possesso della parola. 
La ragazza sghignazzò, convinta di aver fatto centro e di aver toccato un tasto dolente. Purtroppo era così. Dean le lanciò un'occhiata fugace. 
«Ti diverti?» chiese retorico, alternando gli occhi tra lei e la strada. «Abbiamo una maledetta cosa da uccidere, pensiamo ad uno schema» suggerì poi, non tanto per la preoccupazione di arrivare a Toledo impreparati, tanto per cambiare argomento.

«Vuoi uno schema? Bene, avrai il tuo schema.» Si sistemò meglio sul sedile e guardò avanti, senza nemmeno impegnarsi tanto. Semplice, lei ne aveva già uno. Sì, amava improvvisare ma quando aveva il tempo di organizzarsi, perchè non farlo? «Arriviamo a Toledo, prepariamo le armi, aspettiamo che cali il Sole, sguinzagliamo il cibo per pesci vicino al lago -magari lo assicuriamo con una corda da qualche parte, tanto per stare sicuri che non se lo porti via-, aspettiamo che il canontra si faccia vedere, lo accechiamo con una luce che posizioneremo esattamente su Michael e lo rallentiamo. Lo affettiamo, ne facciamo cenere e ognuno torna a guidare la propria macchina e a dormire nel proprio letto.» Sembrava molto semplice da come l'aveva descritto ma entrambi sapevano che non lo sarebbe stato affatto, specialmente Michael, colui che rivestiva il ruolo più pericoloso. «E adesso dimmi, Casanova, a proposito di letti...» si disegnò l'ennesimo sorrisetto compiaciuto sulle labbra, soddisfatta dal suo "smerciare" in men che non si dica quel vano tentativo di Dean di distogliere la sua attenzione dall'argomento principale. 
«Scordatelo» disse secco Dean, per niente interessato a fare dono a Gwen di un documentario sulla sua attività sessuale con Jo.
«Guarda che mi basta anche una smorfia! Sono abbastanza brava nel decifrarti» alzò le spalle, consapevole di avere quel "dono naturale". Chissà, magari anche a Sam avrebbe fatto comodo averlo. Ma era questo che rendeva "speciale" Gwen: conoscere bene Dean senza doversi impegnare era un potere che nessuno pareva avere. E c'era da dire che i due non si vedessero nemmeno così tanto spesso. 
«Vuoi sapere se è più brava di te?» Alzò gli angoli delle labbra Dean, contento di aver scoccato quella frecciatina.
Una risata da parte della ragazza riempì l'auto, sovrastando addirittura il volume della radio sintonizzata su una rete rock.
Michael la guardava con un'espressione quasi perplessa, come se si stesse domandando se fosse pazza o se stesse soltanto fingendo di esserlo.
«Cosa vuoi che ti dica? Spero per te che non abbia fatto tanta pratica quanta ne ho fatta io!» E quella era solo la risposta parziale. E non perchè si vergognasse a parlare di sesso davanti ad altri uomini che magari non avevano avuto ancora il piacere di provare in prima persona quell'esperienza (e Michael in quel caso non era nemmeno incluso) ma piuttosto perchè non le sembrava il caso di giustificare quella sua affermazione con determinati dettagli, dettagli che anche l'Impala conosceva bene.

Più tempo passava insieme a quella donna e più si convinceva di averne passato troppo. Gwen era una persona con molte qualità, in gamba, attraente e determinata. E se non fosse stato per la miriade di difetti che però sovrastavano quelle poche buone proprietà che possedeva, probabilmente Dean sarebbe riuscito a sopportarla più di una settimana. Peccato che la situazione fosse un tantino diversa... 
«Oh, ti prego!» fece Dean, sperando di chiudere quella conversazione con una supplica. Ovvio che però non successe. 
«Avanti» insistette la ragazza, disegnandosi quel dannatissimo sorriso che sfoggiava quando voleva in tutti i modi tentare di corrompere il suo interlocutore. «Ho visto la tua faccia quando l'hai vista. E ho visto la sua quando ti ha visto in mia compagnia...», e lasciò la frase in sospeso, di nuovo allusiva. 
Dean voltò la testa nella sua direzione, soltanto per poterla guadare in modo minaccioso. Ma Gwen continuava a sorridere, per niente impressionata o intimorita. 
«C'è qualcosa in ballo con quell'angelo biondo, mh?» riprese dopo una breve pausa di silenzio passata a fissare uno gli occhi dell'altro, quando Dean tornò a guardare la strada. 
«Non sono affari che potrebbero riguardarti. Anzi, non ti riguardano affatto. Perciò ora 'sta zitta o giuro che ti stendo!» ribatté Dean, in tono grave. 
«Non aspettavo altro, dolcezza» rispose lei, ancora con un nuova battuta a doppio senso. 
Dean scosse la testa con un sorriso sghembo, un po' divertito e un po' stizzito. Ma fortunatamente quel discorso venne a mancare non appena accese la radio e alzò il volume, rapido, prima che Gwen potesse di nuovo riprendere a parlare. Se lo conosceva davvero almeno un po', sapeva che quello era un modo come un altro per mettere il punto ad una faccenda. 
Arrivarono a Toledo dodici ore dopo, nel tardo pomeriggio. Gwen ebbe la possibilità di bere la sua dose di caffè giornaliera, mentre Dean di trangugiare un hamburger con doppio bacon. 
«E' buoniffiimo» commentò a bocca piena, dopo aver imboccato l'ultimo boccone. 
Dean, Gwen e Michael erano ancora a bordo dell'Impala. I due cacciatori erano piuttosto tranquilli nonostante tutto, mentre l'esca viva sembrava un tantino fuori di sé. 
«Non... i-io non posso farlo. Non posso!»
«Ehi! 'Fta calmo!» borbottò Dean mentre masticava. «Ambrà tutto beme.» 
«COME FAI A DIRLO, MH?!» 
«Perché abbiamo già affrontato situazioni del genere, e sappiamo come comportarci» rispose Gwen, calma.

«Certo, non siete voi quelli che rischiano di essere mangiati da uno sbaglio della natura!» Difese la sua teoria Michael, guardandosi attorno come se avvertisse un improvviso senso di claustrofobia. O di comune panico.
«Gli manca solo l'asma!» Brontolò tra sé e sé Gwen sforzandosi di non ruotare gli occhi o di non gettargli il suo caffè bollente addosso. E dal sorrisetto divertito di Dean capì che anche lui aveva sentito quella sua considerazione poco professionale.
«Afcolta, non poffia-»
«Ingoia, Dean» lo ammonì come una mamma per la seconda volta. Anche se lei era la prima a blaterare quando mangiava, non poteva farsi scappare l'occasione di dargli degli ordini, spalleggiata da una cosa che la gente chiamava "Galateo". 
Il rumore che fece la gola del ragazzo quando deglutì sarebbe sembrato preoccupante a chiunque ma Gwen non se ne preoccupò: sapeva quanto fossero grandi i morsi di Dean e sapeva quanto fossero difficili da mandare giù tutti interi. Chiamiamolo pure un punto in comune.
«Non possiamo farlo senza di te, Michael. Sei l'unico socio rimasto e tutti quelli che lavorano a questo progetto -o che ci lavoreranno- sono in pericolo» osservò coscienzioso, gettando la carta del panino sui sedili posteriori, come se Michael non ci fosse nemmeno. «Anche se tu ne uscirai fuori, altri imprenditori e finanzieri metteranno gli occhi sulla diga e la storia si ripeterà.»
E c'era la reale probabilità che le parole di Dean divenissero dei fatti. Fatti dei quali avrebbero dovuto occuparsi i due cacciatori più tardi, in ogni caso.
Fare leva sulla coscienza della gente era uno dei tanti modi -tra i più efficaci- che i cacciatori avevano per sperare in una collaborazione da parte dei comuni mortali, totalmente all'oscuro degli eventi paranormali.
«Spera solo che non sia andato dalla tua famiglia, piuttosto» parlò l'inesistente sensibilità di Gwen. «Anche se quella cosa sa che non sei in casa, che sei con noi, potrebbe sempre essere andato dai tuoi familiari per... per non rimanere con lo stomaco vuoto.» Sapeva che quello che stava dicendo lo avrebbe spaventato ancora di più ma lei utilizzava dei metodi con una pressione psicologica più elevata, non si basava sulla coscienza delle persone. Mai. «Ora come ora è il tuo punto debole. È l'unico modo che ha per attirarti da lui.»
«Abbiamo a che fare con la versione marina di Patrick Jane» fece del sarcasmo Dean, alleggerendo l'atmosfera.
«Tu guardi "The Mentalist"?» Chiese shockata Gwen, guardandolo col sorrisetto sulle labbra.
«Pff, figuriamoci!»
«Giusto, tu il venerdì sera sei in giro a rimorchiare, come potresti vederlo?» Gli resse il gioco seminando però qualche trappola lungo la sua frase.
«Martedì» lo disse senza pensarci, lo sguardo sulla strada, convinto di aver vinto una battaglia con lei solo per il semplice fatto di averla corretta.
Ma si accorse troppo tardi dello sbaglio commesso.
Quando si voltò per guardarla, lei esibiva il sorriso più smagliante che avesse mai potuto avere in repertorio. 
Ok, non lo sopportava più ma era divertente avere a che fare con quell'idiota di Dean Winchester.

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Capitolo 8
*** Imprevisti ***


djsif

«Volete piantarla, per favore? Io qui rischio di lasciarci la pelle!» riprese Michael, lamentandosi e interrompendo quel momento così divertente per Gwen. Non appena l'uomo aprì di nuovo bocca, i due cacciatori alzarono gli occhi al cielo. 
«Amico, noi rischiamo di lasciarci la pelle ogni giorno» ribatté Dean con noncuranza, come se stesse parlando dei pasti che mangiava giornalmente a pranzo. 
«Sul serio?» chiese Michael, incredulo. Gwen annuì e Dean sollevò lo sguardo sullo specchietto retrovisore, che rifletteva il viso di quel poveraccio spaventato, seduto nei sedili posteriori. 
«E' il nostro lavoro» rispose, serio. Ci fu una pausa durante la quale Michael distolse lo sguardo da quello insistente di Dean, pensieroso. «Puoi fidarti» riprese il ragazzo, attirando di nuovo la sua attenzione. 
Michael sospirò e socchiuse gli occhi. Infine annuì in risposta, anche se sembrava più volersi farsi forza da solo. 
«Facciamolo!» 
«Questo è lo spirito giusto!» esclamò Dean con entusiasmo, abbozzando un sorrisetto rivolto a Gwen, che ricambiò con una certa soddisfazione. 
Attesero l'imbrunire del cielo prima di raggiungere il lago: avevano bisogno della penombra perché la creatura uscisse allo scoperto. Dean ripeté più volte a Michael che loro sarebbero stati lì, vicini a lui, pronti ad aiutarlo. Gwen si limitò a dargli una pacca sulla spalla. 
Se Sam fosse stato lì con loro lo avrebbe rassicurato con qualche frase dolce e ragionevole, e forse Michael, guardando gli occhioni da cucciolo del piccolo Winchester, si sarebbe lasciato abbindolare molto più facilmente. 
Quando scese dall'Impala, Dean e Gwen si guardarono, sperando che il piano sarebbe proceduto come premeditato. Poi si armarono fino ai denti: pistole con pallottole d'argento, per Dean un'ascia e per Gwen una lama abbastanza affilata. 
«Con questa accecheremo quel figlio di puttana» disse Dean, prendendo la torcia dal portabagagli prima di chiuderlo e avviarsi verso gli alberi del boschetto lì vicino.

La postazione che scelsero non era delle migliori ma era quella più adeguata: bisognava adattarsi in qualche modo. 
Non molto lontani dal lago, mimetizzati con l'ambiente grazie a quell'oscurità appena accennata, Gwen e Dean se ne stavano ad aspettare con gli occhi socchiusi in due fessure per poter vedere attraverso le foglie e le varie forme di boscaglia del posto.
«Credi che quella torcia basterà a stordirlo?» Domandò dubbiosa abbassando lo sguardo sull'oggetto nelle mani di Dean.
«Vive nelle profondità, giusto? Lì la luce non arriva quasi per niente, quindi credo di sì.»
«Credi?»
«Funzionerà.» E questo bastò per condividere con lei quel po' di sicurezza in più che stava tanto cercando ponendogli quelle domande "tecniche" sul caso. Ecco perchè odiava avere a che fare con esseri sconosciuti.
«D'accordo, allora appena vediamo qualcosa muoversi nell'acqua partiamo con la torcia» ripassò il programma la biondina, distraendosi solo un attimo per poter recuperare un binocolo a infrarossi dalla tasca della giacca. Era utile per gli avvistamenti.
«Scapperebbe. In acqua è avvantaggiato. Se è così veloce sulla terra ferma, possiamo considerarci senza speranze in uno scontro subacqueo, ci porterebbe sotto e ci affogherebbe in meno di due secondi.»
«Ti prego, non essere così ottimista!» Lo istigò con sarcasmo mentre portava l'oggetto agli occhi, scrutando la superficie del lago. Più zoomava, più benediva l'inventore di quello strumento. La chiarezza delle immagini era rassicurante. «Quindi cosa facciamo? Aspettiamo che si allontani dall'acqua? Così rischiamo di perdere anche Michael. L'hai detto tu che sulla terra ferma è velo-»
«Ci sto lavorando.» A quelle parole rimase per un attimo interdetta. Abbassò il binocolo e lo scrutò, immobile. Che diavolo significata che "ci stava lavorando"? Michael era lì ad aspettare di essere attaccato e lui non aveva neanche avuto la brillante idea di pianificare qualcosa di specifico?
«Scusami tanto Flash, ma abbiamo un uomo dall'ansia facile sul posto dell'aggressione e poco tempo a disposizione. Potresti essere un po' più rapido con le sinapsi?»
A quel nomignolo, come colpiti entrambi da un fulmine, spalancarono gli occhi sincronicamente. Si guardarono con il tipico sguardo da "pensi quello che penso io?" e quando si voltarono entrambi verso Michael, capirono di avere in mente la stessa idea.
Mimarono il gesto del cellulare, come ad invitarlo ad usarlo in caso di emergenza. Almeno adesso erano sicuri che, se solo per qualche motivo sarebbe scappato a loro, non sarebbe scappato all'apposita applicazione del cellulare tecnologico di Michael.

 Michael tirò fuori il telefono e sospirò profondamente, gli occhi chiusi. Per un momento Dean pensò che stesse per avere un altro attacco d'ansia, ma fortunatamente sembrò calmarsi -per quanto la situazione lo permettesse- subito dopo. 
«D'accordo, siamo a cavallo» mormorò sottovoce, Dean, senza mai togliere gli occhi di dosso a Michael. «Ora dobbiamo so-» 
Un fruscio alle loro spalle. Dean e Gwen si voltarono indietro, in uno scatto. È solo il vento, pensò. Ma quando ci fu un altro movimento tra i cespugli, non appena fecero per voltarsi, cambiò ovviamente idea. 
«Vado a controllare» disse Gwen, osando qualche passo in avanti. Dean le afferrò il polso quasi subito. 
«Tu non vai da nessuna parte», le indicò Michael con un cenno eloquente della testa. «È una trappola. Sa che siamo qui e sta cercando di allontanarci dalla sua cena.» 
Entrambi si guardarono attorno, furtivi. Michael se ne stava immobile, con le mani strette in due pugni, davanti al lago. 
«Tienilo d'occhio.» 
«No, aspetta!», Gwen afferrò il braccio di Dean, proprio come lui aveva fatto con lei pochi secondi prima. «Non puoi andare, l'hai detto tu che è una trappola.» 
«Se non facciamo il suo gioco non uscirà mai allo scoperto» ribatté Dean, ragionevole. «Uno di noi deve andare a controllare e non sarai tu.» 
Gwen restò in silenzio, sembrava quasi sorpresa dalle sue parole. 
Be', poteva anche essere egocentrica, piena di sé, antipatica e insopportabile. Ma nonostante questo era importante per Dean, era un'amica e non aveva intenzione di perderla o avere la sua morte sulla coscienza. Ne aveva fin troppe ormai. 
Dean avanzò verso l'oscurità, addentrandosi nel boschetto, ora, davanti a lui. Il manico della pistola ben stretto in una mano e la torcia nascosta dentro la giacca. Sembrava apparentemente tutto tranquillo, ma sapeva perfettamente che l'Ahuizotl era lì, nascosto da qualche parte. 
Dean si schiarì la gola, si disegnò un sorrisetto arrogante sulle labbra e, come se niente fosse, cominciò a fischiare come si faceva per attirare l'attenzione di un cane. 
«Qui, bestiaccia, qui!» disse a voce alta, spostando lo sguardo da un cespuglio all'altro. «Avanti! Vieni fuori, figlio di puttana!» 
Un movimento alla sua destra. Dean si irrigidì e mandò giù un bel po' di saliva. 
«So che ci sei» proseguì con calma, girando cautamente su se stesso, cercando di individuarlo nel buio. 
Colse due piccole luci bianche appena dopo il tronco di una quercia. Dean aggrottò la fronte e si immobilizzò, le mascelle rigide. Gli occhi dell'Ahuizotl erano come due fari nella notte. La creatura ringhiò e si fece avanti lentamente. Dean arretrò e non appena capì che quella cosa stava per attaccarlo, accese la torcia e lo accecò. 
«HA! Non fai più lo spiritoso, non è vero?!» 
In pochi secondi l'Ahuzotl sparì di nuovo.

Non era per niente entusiasta della decisione di Dean: vederlo sparire nel bosco, prendere il suo posto con tanta nonchalance: era stato un colpo basso. Se non fossero stati nel bel mezzo dell'azione conclusiva avrebbe volentieri aperto una lunga discussione riguardo ai loro ruoli.
«Dean?» Sussurrò a bassa voce dopo una manciata di minuti passati in silenzio ad alternare lo sguardo dalla fitta vegetazione al loro amico-esca ancora immobile al suo posto come raccomandatogli.
Non avrebbe lasciato la sua postazione, sapeva che non avrebbe potuto farlo, neanche nel caso Dean fosse stato attaccato o chissà cosa: non glie lo avrebbe mai perdonato.
Nonostante la voglia di andare a controllare crescesse in lei ogni minuto che passava, rimase a fissare Michael, fiduciosa.
Quest'ultimo si voltò nuovamente verso il bosco ma, quando vide solo Gwen a fargli da "spalla" iniziò nuovamente a respirare frenetico e a muovere le sue pupille da destra e sinistra. Aveva tutto il diritto di essere terrorizzato: dalla sua parte vedeva solo una ragazza arrogante che gli aveva rivelato la sua estrema facilità nell'uccidere gente comune. Come avrebbe potuto rimanere calmo?
«Non ce la faccio» disse l'uomo, parole che la ragazza riuscì a cogliere anche da quella distanza attraverso la lettura del labiale.
«Non entrare nel panico proprio adesso, andiamo!» Si lamentò tra sé e sé non potendo nemmeno raggiungere Michael per dargli quel po' di coraggio che l'avrebbe nuovamente convinto a lottare per la causa giusta. Che poi lei non fosse brava in quelle manifestazioni di altruismo era un altro paio di maniche.
Quando vide l'uomo allontanarsi dalla riva per poi mettersi a correre verso la parte opposta, senza una meta precisa, fu costretta a smascherare definitivamente quella loro copertura e a raggiungerlo, correndogli inevitabilmente dietro.
«Sto correndo dietro ad un uomo al quale non interessano le ragazze. Non pensavo che l'avrei mai detto» Pensò ad alta voce ironica mentre lo rincorreva, iniziando solo dopo a chiamarlo per nome. Per il suo vero nome: ennesimo evento dell'anno. «Michael! Michael torna qui!» E la sua voce tuonò più violenta del dovuto, una sorta di minaccia incombente sull'uomo. «Giuro che non ti butto nel lago, ma fermati!»
E questo si arrestò ma non per fare un favore a Gwen, piuttosto per riprendere fiato. L'avrebbe volentieri ammazzato lei stessa.
«Non posso farlo, io non sono come voi!» Si sfogò l'uomo raccogliendo le forze parola dopo parola.
«Lo so.» Tagliò corto lei guardandosi indietro con la coda dell'occhio ma non lasciandosi scappare da sotto il suo radar Michael. 
«Moriremo tutti, non è vero?»
«Di certo la tua improvvisata non ha giocato a nostro favore, visto che siamo nel bel mezzo del nulla» asserì sincera decidendo di ricorrere al suo machete come arma di difesa nel caso di attacco.
E dopotutto se li aspettava, quei rumori di foglie secche sbriciolarsi ad ogni passo che sembrava essere proprio del loro amico canontra.
«E neanche questo ci è d'aiuto» sussurrò riferendosi a quel fruscio che non prometteva nulla di buono.

Silenzio. A circondarlo c'era soltanto un silenzio inquietante, spezzato di tanto in tanto dal fruscio delle foglie a contatto con la brezza della notte. Dean si guardava attorno, furtivo, aspettandosi di vedere quell'affare sbucare fuori all'improvviso, pronto a cibarsi con le parti più disgustose di un corpo umano. Ma non successe nulla. Aggrottò la fronte, sospettoso. 
L'Ahuizotl era andato via, probabilmente a finire ciò che aveva cominciato, uccidendo Michael e magari anche Gwen se avesse cercato di impedirglielo. Eppure Dean sentiva qualcosa, una presenza che non aveva nulla a che fare con la sensazione che si prova dopo aver guardato un film horror.
Un movimento. Dean si voltò, mentre il cuore batteva forte e sonoro dentro il suo petto. Ma non vide nulla.
«Questa storia non mi piace» mormorò tra sé e sé. 
Poi sentì ringhiare, proprio lì, alle sue spalle. Deglutì e si immobilizzò per qualche secondo, prima di girarsi con cautela. L'Ahuizotl lo guardava, con la bava che gli colava ai lati dei denti affilati. Non era lo stesso con cui aveva avuto a che fare qualche minuto prima, era molto più piccolo, ma probabilmente assetato di sangue quanto la madre. 
Sospirò e strinse il manico dell'ascia ancora più forte. Quando la creatura gli si avventò contro, Dean la decapitò in un colpo secco. La testa rotolò via come una palla da bowling e il corpo cedette sul terreno. La coda, stranamente, continuò a muoversi e la mano tentò vanamente di afferrarlo. Dean fece una smorfia, disgustato dalla scena. Poi un altro colpo secco, proprio come Bobby gli aveva detto di fare. Cosparse il corpo con un po' di benzina -presa in precedenza dal portabagagli dell'Impala- e gli dette fuoco senza pensarci due volte. 
Uno sparo. Dean alzò gli occhi, guardò aldilà degli alberi. 
Gwen... 
Abbandonò il falò e corse via, il cuore che aumentò in una velocità quasi preoccupante. Sperava soltanto che la ragazza stesse bene e che quel Michael non avesse combinato casini. 
Arrivò giusto in tempo per vedere l'Ahuizotl rialzarsi come se la pallottola non l'avesse nemmeno sfiorato. 
«Ehi!» urlò per attirare l'attenzione, ma il mostro non sembrò granché interessato, dato che aveva un Michael impaurito servito su un piatto d'argento e una Gwen ferita e fuori gioco. Probabilmente era stata morsa. 
Prese una pietra e gliela lanciò addosso, colpendolo proprio sulla testa. 
«Ho appena ucciso il tuo figlioletto!» aggiunse a voce più alta, in modo che quell'essere sentisse bene quelle parole. Quando si voltò nella direzione di Dean, capì che la cosa aveva funzionato. 
«Gli ho appena mozzato la testa mentre la sua manina faceva ciao ciao» lo canzonò con un sorrisetto. 
L'Ahuizotl saltò addosso al cacciatore in men che non si dica, assetato di vendetta. Era stato così veloce che Dean non se ne accorse nemmeno. In più l'ascia gli era scivolata via dalle dita. 
Si ritrovò schiacciato contro il terreno, la zampa di una lontra sul petto e una lunga scia di bava che gli colava addosso. Non aveva notato quanto i denti di quel mostro fossero appuntiti prima di allora. L'alito pesante che ricordava tanto l'odore ferroso del sangue. Dean strinse gli occhi e cercò a tentoni la sua ascia. Tentò di recuperare la pistola dai jeans o la torcia da dentro la giacca, ma nella posizione in cui era e con il peso dell'Ahuizotl che gravava su di lui, era praticamente impossibilitato. 
D'un tratto la creatura gemette e si scostò velocemente. Una mano con lunghi artigli giaceva accanto a Dean. Ben presto la raggiunse anche un grossa testa di un Rottweiler.
«Hai sempre avuto un ottimo tempismo» disse il cacciatore quando vide Gwen impugnare una lunga lama tagliente e sporca di sangue.

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Capitolo 9
*** Non è un addio ***


Non è un addio

«Me lo farò incidere sulla lapide» ironizzò lei porgendogli la mano ancora integra affinché ci si aggrappasse per tirarsi in piedi. 
Avere la sua mano preferita fuori uso la faceva sentire debole ed impedita: avrebbe tanto voluto essere ambidestra come sua sorella ma purtroppo adesso doveva muovere il meno possibile la destra e se ne sarebbe dovuta fare una ragione.
«Ti ha morsa?» Sembrò piuttosto un'affermazione o uno "stai bene" che una vera e propria domanda retorica.
«Quell'affare mi ha aggredita e voleva fare delle mie unghie uno spuntino. Il machete mi è scivolato dalle mani quando mi ha atterrata e così, mentre tentavo di recuperare la pistola dalla fondina, mi ha morsa al polso.» Riassunse mentre lo vide alzarsi in piedi e scrollarsi di dosso la bava della bestia con disgusto. «Ma non è del polso che mi preoccupo» ringhiò tentando di domare quella sua incazzatura che iniziava a salirle fino al cervello. «Guarda qua!» E si passò la mano sinistra sulla guancia del medesimo lato del volto. «Io con questa ci lavoro!» Si lamentò alludendo ai suoi metodi poco corretti di ottenere qualcosa dagli altri, specialmente dal genere maschile. «E se rimarranno le cicatrici, considerati morto!» Questo ultimo messaggio era dedicato a Michael, seduto con la schiena contro il tronco di un albero probabilmente secolare. Certo che il tipo era davvero scosso.
«Sarà meglio riportarlo a casa» suggerì Dean giocherellando con la testa dalle sembianze canine per terra, facendola rotolare sotto la suola della scarpa, proprio come se fosse stato un pallone. Tutto questo prima di dare fuoco anche a quella bestia. E di fatto fu quello che fecero.
Lungo il sentiero che li riportava all'Impala, Gwen si strappò una manica della maglia per farne delle bende improvvisate da avvolgere attorno al polso, mentre per la sua amata faccia rivolgeva solo lamenti e preghiere. Michael li seguì senza dire una parola, lottando con molta probabilità contro la sua coscienza. O forse era ancora una volta spaventato dalle minacce della bionda. Qualsiasi fosse stato il motivo del suo silenzio, ai cacciatori andava più che bene.
Gli spiegarono l'importanza di un altro genere di silenzio, quello che avrebbe dovuto mantenere con tutti riguardo la faccenda dei mostri reali e dei cacciatori che se ne sbarazzavano e l'uomo annuì, trattenendo a fatica le lacrime prima di scendere dall'auto una volta arrivati davanti alla sua villetta. Mormorò un grazie al di là del finestrino, colpevole, ma entrambi i ragazzi alzarono le spalle e gli sorrisero. Sì, anche Gwen lo salutò in quel modo nonostante tutto: la fuga, le lagne, la faccia sfregiata.
Dalla finestra una forte luce fece contrasto con le ombre dei corpi al suo interno, mostrando a Dean e a Gwen il lieto fine di Michael. Sempre che quello potesse essere considerato tale. Era vivo, se lo sarebbe fatto bastare come finale.
«Torniamo al motel» mormorò la ragazza, distrutta, appoggiando le testa sul sedile e chiudendo gli occhi.

Dean e Gwen tornarono ben presto al motel, stanchi morti e doloranti ovunque. L'unica cosa che i loro occhi riuscivano a vedere in quel momento, era l'unico letto al centro della stanza, quello sul quale avevano dormito per un'intera settimana. 
«Ecco perché il canontra ha ammazzato quei poveri idioti» rifletté ad alta voce, mentre si sfilava il giaccone e lo abbandonava su una sedia. «Voleva proteggere suo figlio.» 
«Molto nobile» ironizzò Gwen, sedendosi al tavolo nell'angolo della camera, tirando fuori il suo personale kit d'emergenza dal borsone. 
«Già, peccato che fossero entrambi degli orribili mostri», le si avvicinò, le prese la mano ferita e si inumidì le labbra. «Lascia, faccio io.» 
Si sedette accanto a lei e si servì di un po' d'acqua ossigenata, dell'ovatta e una benda elastica. Disinfettò il morso al polso che adesso aveva smesso di sanguinare. 
«Grazie» mormorò Gwen. 
«Non c'è di ché» rispose Dean, senza guardarla, concentrato su ciò che stava facendo. 
Aveva come l'impressione che lo sguardo della ragazza fosse come un riflettore puntato su di lui. Sì, sapeva perfettamente che Gwen lo stava osservando e anche un po' ostinatamente. Tuttavia preferì non ricambiare quel contatto visivo, continuando a tamponare la ferita con l'ovatta. 
«Allora...» fece all'improvviso lei, dopo una lunga pausa di silenzio. «A quest'ora in altre circostante staremmo già facendo sesso.» 
Dean le lanciò un'occhiata breve, ma restò in silenzio. Era piuttosto sicuro che Gwen non avesse ancora finito. E infatti... 
«Suppongo che per stavolta vorrai passare» continuò, sorridendo beffarda. 
«Ah sì?» 
«Mhmh», Gwen annuì. 
«E cosa te lo fa pensare?» domandò Dean, fasciandole il polso. «Ecco fatto.» 
«Mh, vediamo... il tuo comportamento, l'evitare costantemente il mio sguardo e l'immagine di un bel visino d'angelo impressa nelle tue retine.» 
Dean scosse la testa, sorridendo divertito. Anche Gwen sorrise. Probabilmente perché sapeva di aver ragione. 
Loro due non avevano mai seguito un caso insieme senza poi finire nudi e appiccicati l'un l'altro sotto le lenzuola. 
«Non è per te. E non è nemmeno per Jo. Solo...» sospirò, alzando appena le spalle. «Non lo so.» 
Gwen lo guardò a lungo, come a volerlo studiare per bene. Poi annuì e sussurrò un ''capisco''. Dean dubitava che lei potesse capirne qualcosa, francamente. Era una strana sensazione quella che provava, una sensazione alla quale non riusciva a dare un senso o un nome. Nonostante questo però non disse nulla riguardo quell'argomento, anzi, scelse di cambiarlo. 
«Sarà meglio riposare qualche ora prima di partire.»

Fino ad allora non aveva mai studiato Dean nè aveva mai provato a farlo e questo semplicemente perchè non le era mai capitato di volersi interessare di qualcun altro se non di sé stessa. E poi quel ragazzaccio che le stava attualmente fasciando il polso di solito non aveva bisogno di interpretazioni, non per lei. Più che un libro aperto per Gwen Dean era come una scritta su un muro pubblico, un graffito che tutti avrebbero potuto vedere ma che nessuno riusciva a leggere. Ecco perchè si chiedeva così spesso come fosse possibile una cosa del genere, com'è che lei riuscisse a capirlo senza il minimo sforzo mentre per altri era più che un'estenuante impresa che poi finivano inevitabilmente per abbondare a mezza strada, ritenendo scarabocchio ciò che in realtà era solo una diversa forma d'arte. Poi con il passare del tempo, apprendendone le abitudini, arrivò alla conclusione che vigeva ancora nella sua testa, salda. Erano uguali. Certo, non nel senso più stretto del termine ma, per quanto riguardava quel loro modo di fare diretto ed insopportabile, lo erano. 
Per questo troncò il discorso e decise di volarci sopra con noncuranza, perchè era questo il trattamento che avrebbe voluto ricevere lei se fosse stato nei suoi panni.
«Sarà meglio riposare qualche ora prima di partire.»
Ed era vero, questa volta anche lei si sarebbe dovuta includere in quel bel quadretto fatto di potenziali incubi e mal di schiena post-dormita su un materasso senza più una molla ad ammortizzare. Anche perchè non se la sentiva più di rimanere in piedi, per nessun motivo: i casi come quelli la stancavano più del dovuto.
«Sarà meglio darsi una mossa, allora» lo spronò assicurandosi che la fascia fosse ben stretta attorno al suo polso. Era certamente meglio di qualsiasi altro scempio che avrebbe potuto fare lei con il solo ausilio della mano sinistra, in ogni caso. «Per quanto ne so, Bobby potrebbe chiamarti da un momento all'altro per chiederti di andare dall'altra parte del Paese e dare una mano a qualche cacciatore ritieni insopportabile quanto me» disse sarcastica alzandosi e riponendo il kit nel suo borsone, prontamente abbandonato ai piedi del letto. 
Atmosfera recuperata. L'ironia riusciva a salvarla da un sacco di situazioni scomode, tanto da diventare una delle sue armi preferite.
«Se vuoi fare una doccia, sai dov'è il bagno.» Ma comunque ne indicò la porta con un cenno della testa, sedendosi poi sul letto per potersi togliere le scarpe ancora sporche di terriccio umido e sangue di canontra. Meglio quel nome di un ammasso di lettere prese a caso. «Prometto di non spiarti dal buco della serratura.»
«Non c'è nessun buco della serratura su quella porta, Gwen» fece intelligentemente la sua osservazione il ragazzo, adesso con un leggero sorrisetto sulla labbra.
«Infatti è per questo non lo farò» sorrise ancora più ampiamente lei senza peli sulla lingua come da copione, appoggiandosi alla spalliera del letto.

La notte passò velocemente, o almeno questa fu l'impressione di Dean. Era così stanco che dormire fino al sorgere del sole gli era sembrato chiudere gli occhi per qualche minuto. Prepararono i bagagli, controllarono di non aver dimenticato nulla all'interno di quella stanza, poi chiusero la porta alle loro spalle e restituirono la chiave alla proprietaria del motel. 
Dean si trascinò fino all'Impala, un borsone sulla spalle e l'altro tenuto ben stretto dalla mano sinistra. Aprì il portabagagli e si guardò attorno: era meglio accertarsi che non ci fosse gente in giro prima di aprire lo scompartimento segreto. Sistemò le armi insieme alle altre, chiuse il sottofondo, abbandonò il secondo borsone nel portabagagli e poi chiuse anche quello. 
Di solito Dean e Gwen non si salutavano mai senza prima aver fatto sesso. Era una situazione un po' strana e imbarazzante, in un certo senso. Già, imbarazzante. Due persone normali avrebbero provato imbarazzo dopo essere state a letto insieme, magari. Per loro invece era il contrario. 
Si voltò verso di lei, la schiena contro il parabrezza. Le rivolse un sorriso e si schiarì la gola. 
«Allora...» fece la ragazza, facendo un passo in avanti, le mani affondate nelle tasche dei jeans stretti. 
Dean arricciò le labbra e spostò lo sguardo altrove per un momento. 
«Questo dovrebbe essere un addio.» 
«Dovrebbe» ricalcò quella parola con ironia, il cacciatore. «Ma non lo è. Ci rivedremo ancora.» 
«Mh», Gwen sorrise. 
A Dean sembrò di intravedere una strana luce nei suoi occhi, sembrava quasi speranza. Magari non le dava poi così tanto fastidio la sua presenza. 
«Mi mancherai» aggiunse, il ragazzo, abbozzando un sorriso. 
Gwen lo guardò a lungo. Poi sorrise anche lei, abbassando lo sguardo. 
«Cos'è? Ti è così difficile ammettere che sarà così anche per te?» domandò retorico Dean, con un tono divertito. 
«No» rispose Gwen, scrollando le spalle. «Mi mancherai anche tu. Non sei poi così male, dopotutto.» 
Dean si inumidì le labbra e annuì alle sue parole, pienamente d'accordo con lei. 
«Esattamente» affermò con convinzione, ricevendo in risposta una spinta affettuosa da parte di lei. 
Ridacchiarono. Il silenzio calò all'improvviso quando un camion andò a parcheggiarsi proprio accanto all'Impala, interrompendoli. 
«'Sta lontana dai guai, okay?» fece dopo una breve pausa. «Ciao Gwen.» 
Si allontanò verso la portiera sinistra dell'auto, ma proprio quando fece per aprirla Gwen attirò di nuovo la sua attenzione con un ''aspetta''. Gli si avvicinò e, senza preavviso, gli afferrò la faccia con le mani e lo baciò, e non esattamente nel modo più casto e puro che si possa immaginare. Dean ricambiò senza pensarci due volte, ovviamente. Ma quando si allontanarono la guardò stupito e sorpreso. 
«Perché?» chiese, accigliato. 
«Non me ne vado mai a mani vuote, Dean. Dovresti saperlo» rispose Gwen, facendo un enorme sorriso. «Ci vediamo in giro, stronzetto!» 
Gli voltò le spalle e si avviò verso l'altra parte della strada, pronta a mettersi a bordo della sua auto, come Dean del resto. 
«Ci vediamo in giro» mormorò Dean, sorridendo tra sé e sé.

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