Ahuizotl di Son Of a Bitch (/viewuser.php?uid=203436)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Felice di rivederti, Gwen! ***
Capitolo 2: *** Un letto per due ***
Capitolo 3: *** La traccia ***
Capitolo 4: *** Il pericolo è alle porte ***
Capitolo 5: *** Michael Connors ***
Capitolo 6: *** Casa dolce casa ***
Capitolo 7: *** Quell'idiota di Dean Winchester ***
Capitolo 8: *** Imprevisti ***
Capitolo 9: *** Non è un addio ***
Capitolo 1 *** Felice di rivederti, Gwen! ***
capitolo 1
«Pronto?»
«Dean, sono Bobby. Ho un lavoretto per te.»
«Fantastico! E io che mi ero illuso di poter
dormire almeno un'ora.»
«Me ne sarei occupato personalmente, ma sono un
po' impegnato al momento e sembra che gli altri cacciatori siano nella merda
fino al collo.»
«Anche loro hanno Zaccaria alle calcagna?»
«'Sta zitto. Allora, vuoi questo maledetto caso o
no?»
«Di che si tratta?»
«Non ne ho idea. Mi ha chiamato Gwen Breakbones,
dice di non aver mai visto una cosa del genere, le servono rinforzi.»
«Gwen? Ci mancava soltanto questa...»
Gwen Breakbones era un'ottima cacciatrice, una
professionista spietata. Una persona arrogante ed egocentrica, di quelle che
non ammettevano mai di aver torto anche se sapevano perfettamente di nuotarci nel
torto. Una di quelle che preferivano sempre chiarire il proprio ruolo, che era sempre
quello del capo in qualunque situazione.
«Non lamentarti. Gwen è una ragazza in gamba!»
«E' insopportabile, Bobby. Per non parlare delle
sue manie di protagonismo!»
«Senti chi parla.»
Dean arricciò il naso e storse le labbra in una
smorfia. In effetti Bobby non aveva tutti i torti: Gwen era una sorta di sua
versione femminile.
«Hai parlato con Sam?»
Il ragazzo si schiarì la gola, un po' a disagio.
«Dove posso trovare Gwen?»
Si udì un profondo sospiro dall'altro capo del telefono, poi
l'uomo gli diede le informazioni che gli servivano. Gwen era a Toledo, in Ohio.
Alloggiava al Dark motel, stanza 69.
«Cercherò di ignorare la sottile ironia» commentò
quando si ritrovò davanti alla porta, dopo molte ore di viaggio. Allungò una mano e bussò più volte,
borsone alla spalla.
La porta si aprì in uno spiraglio e uno spicchio di
Gwen apparì dietro di essa. Dean si disegnò un sorrisetto sulle labbra e la
salutò con un cenno della testa.
«Gwen, quanto tempo!» esclamò, con un un finto entusiasmo.
«Hai intenzione di farmi entrare o...?»
Maledetto Toledo, maledetto Ohio
e maledetto caso che l'aveva costretta a chiamare Bobby -ovvero il centro di
soccorso per cacciatori-. Gwen non chiedeva mai aiuto, odiava dover supplicare
qualcuno esattamente come odiava le ciambelle senza lo zucchero sopra.
Se ne stava confinata nella sua stanza di motel che faceva praticamente pendant
con la sua intera vita (e se con lei ci fosse stata anche sua sorella, non si
sarebbe fatta scappare l'occasione di farglielo notare con una delle sue
battutine) e studiava tutto quello che era riuscita a racimolare dalle ricerche
in giro per il paese.
Pierre Dumont, la prima vittima, era stata aggredita nella sua residenza per
poi essere privato di tutte le unghie e degli occhi. All'appello mancavano
anche altri pezzi di carne che parevano essere stati staccati dal corpo a
morsi.
Jean Richards invece, il secondo mal capitato, sembrava aver avuto meno
fortuna: difatti questo era stato trovato nel giardino della sua residenza
senza denti, in aggiunta alle unghie e agli occhi.
Gwen era in quella città da ormai due giorni e questa "cosa" aveva
già causato due morti. Un morto al giorno non era certo un bel ritmo. E sapeva
che da sola non ce l'avrebbe fatta.
Quando sentì bussare alla porta si alzò dal vecchio divano marroncino ed andò
ad aprire, aspettandosi qualche vecchio cacciatore barbuto ed esperto: aveva
specificato a Bobby quanto questa cosa fosse strana.
Protetta dalla catenella, aprì di poco la porta, rimanendo impassibile nel
vedere Dean.
Dean Winchester, il cacciatore più stronzo ed in gamba che avesse mai
incontrato. Lavorare con lui era come portarsi appresso uno specchio che,
sfortunatamente per lei, aveva anche il dono della parola.
«Gwen, quanto tempo! Hai intenzione di farmi entrare o...?» e richiuse
nuovamente la porta, quasi sbattendogliela in faccia.
Dean Winchester? Sul serio?? Bobby doveva essere ubriaco quando Gwen gli aveva
chiesto di mandarle qualcuno di qualificato ed affidabile.
Ruotò gli occhi al cielo e spostò il catenaccio, così da poter aprire la porta
liberamente.
Si allontanò dall'entrata e raggiunse il centro della stanza, lanciandogli
strane occhiate.
«Non controlli che non sia un mostro o chissà cosa?» Domandò sorpreso di
quell'accoglienza così... frivola.
Quando lei si voltò per rispondergli, alzò lo sguardo sul soffitto, invitando
Dean a fare lo stesso.
«Anti-demone» annuì Dean vedendo il cerchio dipinto di nero, colpito. «E se
fossi qualcos'altro?» E richiuse la porta alle proprie spalle.
«Ho montato una maniglia d'argento e lo specchio dice che non sei un mutaforma.
Adesso vuoi fare il tuo lavoro o vuoi continuare ad umiliarti?» Gli sorrise
vittoriosa lei, passandogli i fogli con gli articoli di giornale.
Un caso con Dean Winchester. Un'accoppiata da pazzi.
Se c'era una versione umana, femminile e sexy del Diavolo... be', quella era
Gwen. Chiunque sano di mente avrebbe preferito stare alla larga da quella
donna. Avida, macchinatrice e a volte anche egoista. Aveva il potere di
confondere la gente con poche parole,
di rigirare la frittata a proprio vantaggio. Spesso riusciva a salvarsi la vita
grazie alla sua parlantina. Sì, Dean la conosceva perfettamente e da tanto
tempo. Avevano lavorato insieme parecchie volte, da prima che Sam lasciasse Stanford
per andare alla ricerca di John insieme a lui.
Dean restò lì, immobile, impassibile, non appena la porta gli fu sbattuta in
faccia. Continuava a sorridere, adesso divertito dal suo pessimo carattere.
Come già detto la conosceva bene, abbastanza da riuscire a prevedere ogni sua
mossa: Gwen riaprì la porta e lo lasciò entrare, in silenzio.
Si rese conto che la sua ingegnosità era parecchio evoluta. Una maniglia
d'argento per tutti gli esseri che erano allergici al materiale, lo specchio
per smascherare gli spettri e la trappola del diavolo sul soffitto per
imprigionare un eventuale demone.
«Mh, io l'avrei messa sotto il tappeto» confessò, storcendo le labbra in una
smorfia.
Si schiarì la gola e gettò un'occhiata tutto intorno. Una stanza piccola, ordinata
e pulita. Si soffermò sull'unico letto al centro della stanza e alzò lo sguardo
sulla ragazza che se ne stava a fissarlo, indagatrice. Lasciò il borsone sul
materasso e cominciò a tirare fuori l'essenziale, ossia alcune armi che avrebbe
poi dovuto pulire.
«Che intenzioni avevi con Bobby?» ironizzò dopo aver constatato di aver
affittato una stanza per una sola persona. Non poté non trattenere una risata
non appena la sua faccia si deformò in un'espressione di stanchezza. «Oh, non
dirmi che ne hai già abbastanza, tesoro.»
«Sono abituata alle tue battute fuori luogo, Dean» ribatté, disegnandosi quel
maledetto e fastidioso sorrisetto, molto simile a quello che usava Dean quando
canzonava qualcuno.
«E io alle tue» controbatté prontamente. «Diamoci da fare.»
«Di già? Pensavo volessi risolvere il caso, prima.»
Lei e le allusioni: cosa avrebbe fatto senza di loro?
Nascose la sua smorfia compiaciuta voltandosi di spalle e si appoggiò al
tavolo, posandoci le mani ai due lati opposti. Sul ripiano foto e schedemediche
continuavano a danzarle sotto gli occhi, come se le stessero rinfacciando la
sua incompetenza.
«Darò fuoco a tutto una volta trovato quel figlio di puttana» borbottò seccata
Gwen iniziando a spostare -per l'ennesima volta- i fogli, in modo che potesse
comparare le vittime.
Origini, luoghi frequentati, età, lavoro, tratti fisici: tutto sembrava non
coincidere. Questo faceva intendere una mancanza di schema.
«Quale tra le diavolerie che conosciamo preferisce mangiarsi il contorno
piuttosto che il piatto principale?» Domandò a Dean in quel contorto modo che
avrebbe certamente inteso: a volte avere il sarcasmo che viaggiava sulla stessa
lunghezza d'onda di qualcun altro era un vantaggio.
«Rugaru?» Azzardò seduto sul letto lui, passandosi la lista mentalmente.
«Un Rugaru schizzinoso? Ne dubito» dissentì lei continuando a fissare quei
fogli che ormai conosceva a memoria. «E poi su entrambe le scene del delitto vi
erano delle impronte animali.»
«Allor-»
«Licantropi? Sei serio?» Lo anticipò voltando la testa nella sua direzione solo
per potergli lanciare una delle sue occhiate da "e io dovrei collaborare
con te? Ma per favore!". «E poi ho detto impronte animali. Di più
animali.»
Si mosse verso quella che sarebbe dovuta essere la cucina e prese un libro che
aveva dimenticato sul ripiano mentre si concedeva una pausa spuntino durante le
ricerche. Glie lo lanciò senza nemmeno avvertirlo, almeno per quanto riguardava
i riflessi era ancora utile.
«Lontre» lo anticipò nuovamente quando lo vide aprire il libro, aiutato dal
post-it che segnava la pagina incriminata. «E cani» aggiunse aprendo il mini
bar per prendere una birra.
Poco senso dell'accoglienza, decisamente.
«E tracce di una mano le quali impronte non risultano essere di nessun
pregiudicato.»
Le sembrava di star giocando ad "Indovina Chi", quello stupido gioco
da tavolo che continuava a fare furore nonostante i videogiochi avessero
conquistato la fiducia dei bambini già da un paio di generazioni.
«Avanti, Dexter. Fammi vedere chi sei» lo prese in giro aprendosi la birra e
facendone un lungo sorso.
Spazio dell'autrice.
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Okay, sappiate che non l'ho scritto da sola. E' stata tratta da una Role che io e la mia ''collega'', Nicolessa, abbiamo scritto. u.u
Spero vi piaccia. Se è così, vi prego di farcelo sapere con una piiiiiiiiccolissima recensione. Grazie! |
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Un letto per due ***
skc
Dean afferrò prontamente il libro lanciatogli da Gwen. Le rivolse
un'occhiataccia e scosse la testa, accomodandosi nell'angolo del letto. Sempre
così scontrosa, pensò prima di sfogliarlo e leggere qualcosa in modo distratto.
«Da quando le lontre hanno a che fare
con i cani?» borbottò, retorico.
Lo abbandonò dopo qualche minuto insieme al mucchio
di roba che aveva portato con sé, le armi, sacchi di sale ecc.
Si alzò in piedi e sorpasso Gwen da un lato,
raggiungendo il tavolo dall'altra parte della stanza. Vi si appoggiò con
entrambe le mani ed osservò i reperti medici di entrambe le vittime. In tutti e
due i casi gli uomini erano stati privati di occhi e unghie, sia dei piedi che
delle mani.
Quale creatura preferisce i bulbi oculari alla carne
umana?, rifletté, cercando di ricordare se nel diario di John avesse mai letto
qualcosa di simile. Ovviamente conosceva quelle pagine a memoria, ogni appunto
che John aveva scritto era stato assimilato in poco tempo durante l'assenza del
padre. Per questo era piuttosto sicuro che il diario di John Winchester non
l'avrebbe aiutato. Per accertarsene però decise di dare un'occhiata veloce
all'oggetto. La prudenza non era mai troppa.
Torno a sedersi sul letto, e tirò fuori dal borsone
la fonte di informazioni per eccellenza, la cosa che aveva aiutato ad andare
avanti Sam e Dean per tutti quegli anni. Lo sfogliò velocemente ma attentamente
finché non arrivò all'ultima pagina. Chiuse il diario, rassegnato e sospirò.
«Be', questo sì che è un caso strano» commentò. «I
due signori qui non avevano proprio niente in comune?»
«Da quel che ne so io, no» rispose Gwen dopo aver
dato un sorso alla sua birra, scrollando le spalle. «Uno di loro viveva perfino
fuori Toledo.»
«Ma il suo cadavere è stato trovato morto qui,
giusto?» domandò ancora il ragazzo. Gwen annuì e Dean la imitò subito dopo,
mordicchiandosi il labbro, pensieroso. «Nah! Deve esserci qualcosa. C'è sempre
qualcosa.»
Ripose il diario nel borsone e tornò concentrato sui
documenti delle vittime. Si voltò a guardare Gwen, gli occhi ridotti in due
fessure.
«Hai controllato se i due simpaticoni si
conoscevano?» domandò, ricevendo soltanto un silenzio sospettoso come risposta.
Dalla sua espressione colpevole capì perfettamente
che quell'idea non le era nemmeno passata per la mente. Dean ridacchiò
divertito e anche molto compiaciuto.
«Lo prendo come un no» disse, dandole una pacca
consolatoria sulla spalla. «Non preoccuparti, succede anche ai migliori.»
Le diede le spalle e andò a sistemare le sue cose
sul divano nell'angolo della stanza.
«Domattina andremo a parlare con i famigliari di
questi poveri tizi. Adesso sono troppo stanco e ho bisogno di dormire almeno
per qualche ora.»
Se avesse potuto, gli avrebbe staccato quella mano a morsi. Quando la
incluse nel gruppo dei "migliori" però riuscì a salvarsi in calcio
d'angolo.
Come aveva potuto non pensare ad una cosa del genere? Era il punto in comune
più stupido di tutti! Si era così
tanto concentrata sulle questioni amorose per capire se potesse trattarsi di
vendetta passionale che si era totalmente dimenticata di chiedere conferme ai
parenti. Sapeva vita, morte e miracoli di quei fottuti tizi e non se si
conoscessero tra loro.
E ti serviva un Winchester per arrivarci?, si ammonì interiormente, scuotendo
la testa. Non poteva crederci.
«Domattina andremo a parlare con i famigliari di questi poveri tizi. Adesso
sono troppo stanco e ho bisogno di dormire almeno per qualche ora.»
Ah, già. Lui aveva guidato fino a Toledo partendo chissà da quale angolo
dell'America, si meritava un po' di riposo. E forse lo meritava anche lei ma
avrebbe retto, anche solo per mostrarsi più forte di lui. La sua mente era
davvero un labirinto pieno di trappole e pensieri contorti.
«E così sia» acconsentì indicando con un cenno della testa il letto che
occupava il centro della stanza. «Cadi pure nel tuo sonno profondo, Aurora, io
metto in ordine i distintivi per domani e butto giù un programma» gesticolò
mentre parlava, indicando tutto quello che aveva attorno di attinente al caso.
«Aurora? La principessa delle favole?» Sembrò volerle fare il verso lui,
fissandola con uno sguardo che per Gwen era fin troppo facile da decifrare.
«Sì, proprio quella» inarcò il sopracciglio, pronta a spiattellargli la sua
spigolosa risposta. «Solo che nel film in cui l'ho vista io era tutto tranne
che addormentata.»
«Come la Matrigna cattiva! Uh, quant'era cattiva.»
Sì, si erano capiti. Ancora.
«Quello era un altro film ma sì, il genere è quello» sorrise divertita
afferrando il borsone di Dean e sbattendolo per terra, liberando il letto. «E
adesso dormi. O vuoi che ti canti una ninnananna?» Gli spinse la fronte con
l'indice, ridacchiando tra sé e sé, prima di voltargli le spalle e raggiungere
l'armadio. Era lì che teneva il bauletto con dentro i distintivi e le carte
d'identità false, così come lo erano le loro carte di credito. Era risaputo che
i cacciatori fossero anche degli imbroglioni.
Dean era molte cose: pazzo, egocentrico, insopportabile, cinico, arrogante,
ecc. Ma di certo era pur sempre un uomo e non avrebbe mai lasciato che una
ragazza gli cedesse il letto per passare l'intera notte a lavoro. Era successo
un paio di volte con Jo, con la differenza che la piccola Harvelle aveva
astutamente finto di andare a dormire prima che Dean si addormentasse.
«Ho detto che voglio dormire. Con la tua ninnananna comincerei a soffrire di
insonnia» la canzonò con un sorrisetto, mentre cominciava a spogliarsi di ogni
indumento, cominciando con la giacca.
Per lui la privacy non sarebbe stata un problema. Di certo, come si può benissimo
immaginare, non era la prima volta che i due rimanevano da soli nella stessa
stanza. Già, Dean e Gwen erano stati a letto insieme un paio di volte. Una
caccia estenuante, due o tre cicchetti di più e si ritrovavano sempre sotto le
lenzuola. La verità era che Dean -nonostante tutto- era attratto da Gwen e la
cosa era reciproca.
«Senti, possiamo pensare a tutto domani mattina» disse, lasciando maglietta e
canottiera sullo schienale della poltrona davanti al divano. «Perché adesso non
pensi a rilassarti anche tu, mh? Scommetto che non dormi da almeno cinquanta
ore.»
Lui invece non dormiva da ben tre giorni. Aveva avuto un caso assai particolare
che gli aveva dato del filo da torcere. Senza Sam poi la situazione era
difficile e pesante da sopportare. Era privo dell'aiuto del piccolo dei
Winchester, perciò ci aveva messo più del solito ad arrivare ad una
conclusione. Non aveva nemmeno avuto il tempo di chiudere gli occhi che poi
ricevette la telefonata di Bobby, il motivo per cui adesso era lì.
«Non serve che ti preoccupi per me, Dean» ribatté Gwen senza nemmeno degnarlo
di uno sguardo, impegnata ad armeggiare con distintivi falsi e altra roba da
cacciatori.
«Senza offesa, dolcezza, ma non hai un bell'aspetto» insistette Dean,
spogliandosi anche dei jeans per rimanere liberamente mezzo nudo. «Dovresti
dormire.»
Bla bla bla, qualche tentativo di farle cambiare idea, un paio di osservazioni
sulle sue evidenti occhiaie che le marcavano gli occhi e un sincero consiglio
che avrebbe dovuto seguire.
Mentre ne se stava di fronte all'armadio, Gwen sentiva Dean parlarle e
spogliarsi, mandando in fumo quel suo ordine che di rado aveva.
«Mai quanto te, tesoro. Nelle condizioni in cui sono i tuoi occhi, anche il
mostro con cui abbiamo a che fare ti schiferebbe» ribattè senza difficoltà
scegliendo il distintivo più consono a quel caso e lanciandolo sul tavolo,
ovviamente centrandolo in pieno, non occorreva nemmeno farci caso visto che era
una cosa piuttosto scontata per un cacciatore avere un'ottima mira.
«Credi che a te riserverebbe un destino meno generoso?»
«Dormi» disse ferma chiudendo le ante dell'armadio e avvicinandosi ancora una
volta al tavolo, come se non avesse percorso quel tratto di stanza già un
centinaio di volte nell'arco di quei due giorni.
Ma Dean non sembrava volerle dare ascolto. Certo, avrebbe voluto dormire e
mandarla a quel paese ma quel suo essere dannatamente virile non gli avrebbe
mai concesso una cosa del genere.
E così lei avrebbe avuto un morto di sonno sulla coscienza. E Dean aveva
davvero bisogno di dormire. Era già un miracolo il fatto che fosse arrivato a
Toledo sano e salvo senza schiantarsi contro qualche albero a causa di un colpo
di sonno.
«Sei un vero rompiscatole, lo sai questo?» Si lamentò sospirando e rilassando
le spalle, indolenzite dalla mancanza di tregua da più o meno cinquanta ore.
E iniziandosi a sfilare le scarpe, seguite poi dai calzini e dai jeans, firmò
la sua resa.
«Io prendo il divano» si offrì cavallerescamente Dean sorridendo vittorioso,
non alzandosi però dal letto forse perchè sapeva la reazione di Gwen.
«Non hai detto di voler dormire? Beh, ti assicuro che su quel divano dormire è
impossibile» scosse la testa avvicinandosi al letto ed alzandone le lenzuola.
«Non mordo, Dean» lo invitò a seguirla, sedendosi sul letto prima di togliersi
anche la maglia, impassibile. «Cioè sì, mordo, ma non adesso» si corresse con
un sorrisetto colpevole, appoggiandosi allo schienale del letto a braccia
conserte. «Ti muovi o no?»
Erano proprio come cane e gatto, con la differenza che un cane avrebbe fatto
del gatto la sua merenda. Loro, invece, bisticciavano come una vecchia coppia
sposata, ma continuavano a preoccuparsi l'uno per l'altra. Carini, avrebbe
pensato chiunque li avesse guardati. In realtà erano esattamente il contrario.
Dean inarcò le sopracciglia, ragionando interiormente sulla sua proposta. Stare
nello stesso letto insieme a Gwen non era mai una buona cosa, soprattutto
quando entrambi erano svestiti in quel modo. La guardò a lungo, valutando le
due opzioni. Spostò lo sguardo sul divano che, a dirla tutta, aveva un'aria
davvero discutibile. In pelle, un po' rovinato sulle cuciture e dai cuscini non
esattamente accomodanti. Guardò il letto e poi ancora una volta Gwen, che
batteva una mano nel posto vuoto accanto al suo.
Dean sospirò e si decise a muoversi. Le si stese affianco e appoggiò la testa
sul cuscino. Chissà cosa direbbe Jo, pensò improvvisamente mentre Gwen si
sistemava sotto le coperte e spegneva la luce della bajour sul comodino.
Improvvisamente si sentì in colpa, come se ciò che stava facendo avrebbe potuto
ferire i sentimenti di Jo.
Andiamo! Sto soltanto cercando di dormire, pensò accigliato. Scosse la testa e
si disse di non fare l'idiota. Dormire in compagnia di una ragazza non aveva di
certo mai fatto male a nessuno. Concentrati sul caso piuttosto!, lo rimproverò
una vocina interiore che doveva essere la sua coscienza. Dean in versione
coscienziosa... uno spettacolo che nessuno delle persone che lo conoscevano
avrebbero mai voluto perdersi.
«Come mai Sam non è con te?»
La voce di Gwen riuscì a distoglierlo dai tutti quegli inutili pensieri. Dean
sospirò e la guardò per qualche secondo.
Cavolo. Aveva quasi dimenticato che Sam non era più insieme a lui. A volte,
pensare che lui era fuori a prendere una boccata d'aria gli dava conforto.
«Io e Sam abbiamo deciso di andare ognuno per la sua strada» rispose in tono
distaccato e freddo.
Dean non si preoccupò di constatare la sua reazione, ma era piuttosto sicuro
che ne fosse rimasta sorpresa.
Inizialmente non ci aveva fatto nemmeno caso: vederlo varcare quella porta le
era bastata come novità da dover accettare. Ma realizzare che fosse da solo
senza la sua voluminosa ombra dietro, ora che ci pensava, era davvero strano.
Per questo le venne spontaneo
chiederlo. Non temeva di toccare tasti pericolosi come "morte" o cose
gravi come quella, Dean non sarebbe stato di certo lì con lei a pensare a quel
caso se suo fratello Sam fosse morto. Ne era più che certa. Perchè? Perchè se
fosse successo a lei con Millicent non avrebbe pensato ad altro che a come
riportarla in vita.
L'ennesima dimostrazione di come le loro menti viaggiassero alla stessa
frequenza.
Solo che non si sarebbe mai aspettata una risposta come quella che le diede
qualche secondo dopo, il tono glaciale e fermo.
Esisteva segno più chiaro? Ogni volta che tirava fuori quella voce profonda,
Dean tentava di sopprimere qualcosa nelle profondità del suo stomaco.
Annui silenziosa, cosa molto rara per una che non riusciva a frenare la propria
lingua neanche quando rischiava di rimanerci secca. Non per niente provocare i
suoi rapitori o aggressori era una cosa più che normale per lei.
Solo che quella volta non seppe cosa dire. Anche solo l'immaginare sua sorella
mentre le diceva di aver scelto una vita da cacciatrice solitaria le fece
accapponare la pelle. No, lei non l'avrebbe lasciata andare, neanche sotto
tortura. Ma le sorelle Breakbones non erano i Winchester, anche se delle strane
somiglianze accomunavano le due famiglie.
Sospirò e si morse il labbro, ancora sovrappensiero. Più che rimanere sorpresa,
quello per lei era stato uno shock.
«E a te sta bene?» Chiese poi liberando le braccia dalle lenzuola,
poggiandosele sulla pancia coperta.
Quello non era fare i sentimentali, non esattamente. Né tanto meno Gwen voleva
che il cacciatore si sfogasse per liberarsi di quell'enorme macigno familiare:
non l'avrebbe fatto comunque. Lo faceva a stento con il diretto interessato,
come avrebbe potuto farlo con qualcun altro? Anche se, quello che si dicevano
Gwen e Dean, rimaneva sempre e comunque tra loro. E a maggior ragione sarebbe
stato così con le questioni serie e personali.
Sam era stato chiaro: non era nelle condizioni di cacciare. L'unica cosa a cui
riusciva a pensare era il sangue di demone, al potere che ne ricavava da esso.
Voleva sentirsi forte, invulnerabile, potente più di tutti, più di qualsiasi
demone. Aveva fatto un bel po' di danni lungo la strada che aveva percorso
insieme a Ruby e non aveva intenzione di provocarne altri, soprattutto se poi
era il fratello maggiore quello a doverli riparare.
Dean, dal suo canto, passava tutto il tempo a preoccuparsi per lui invece di
svolgere bene il lavoro. Non poteva permettersi distrazioni così grandi, non
quando in ballo c'era la vita di sei miliardi di persone. Stava cercando di
salvare il mondo, ma la presenza di Sam, ora come ora, non lo aiutava affatto.
Anzi, peggiorava la situazione.
L'ultima volta che l'aveva visto risaliva più o meno a tre settimane prima,
quando il primo cavaliere dell'apocalisse, Guerra, aveva deciso di
sguinzagliare i suoi dannati trucchetti sull'intera River Press, nel Colorado.
Da allora non l'aveva più sentito, nemmeno una telefonata, neanche un messaggio
in segreteria da parte di uno o dell'altro. Niente di niente.
Questo non doveva voler dire che i Winchester se la passassero bene senza la
rispettiva presenza reciproca. Dean provava tutti i giorni a telefonargli, ma
non appena la segreteria scattava riattaccava, sapendo che qualsiasi cosa
avesse detto non avrebbe giovato a nessuno dei due. Anche Sam faceva lo stesso,
a volte restava seduto sul letto a fissare lo schermo del suo cellulare,
sperando che Dean lo chiamasse. O almeno tentando di trovare il coraggio per
farlo personalmente.
Questo Dean non lo sapeva e probabilmente non l'avrebbe mai saputo.
«Sì» rispose, rivolgendole uno sguardo breve. «Sì, mi sta bene.»
Spostò lo sguardo aldilà della finestra, da dove filtrava un leggero bagliore
che rendeva la stanza appena illuminata, e si chiese che cosa stesse facendo
Sam in quel momento.
«Dovremmo riposare» disse poi, sistemandosi su di un fianco, proprio rivolto
verso di lei. «Cerca di non fissarmi troppo mentre dormo, okay?»
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** La traccia ***
xdsjcpol
Cazzate!, avrebbe
voluto dirgli con quella sua intonazione menefreghista ed insopportabile. Forse
era proprio perchè le importava che rimase in silenzio a far finta di bersi
quell'enorme balla che Dean le aveva rifilato senza nemmeno preoccuparsi di sembrare
credibile.
Ma non voleva parlarne, quindi rispettava questa sua decisione.
«Cerca di non fissarmi troppo mentre dormo, okay?»
Erano tornati in loro, due idioti le quali spalle avevano il compito di
sopportare peso su peso. Bella merda. Se non si tiravano su con della salutare
ironia come sarebbero potuti andare avanti?
«Oh, ma ti prego!» Ruotò gli occhi al cielo, escogitando un'altra delle sue
diavolerie per farlo rimanere di merda. Si divertiva così con Dean. Cioè, un
altro modo per divertirsi con lui lo aveva, ma quello di coglionarlo era quello
che occupava la seconda posizione della classifica.
Il tempo di lanciargli un'ultima occhiata snob e gli voltò le spalle,
sbattendogli i capelli biondi ed ondulati in faccia.
Avrebbe tanto voluto vedere la smorfia di Dean ma la sua immaginazione le
regalò un'anteprima che bastò per farla sorridere.
Si erano dati la buonanotte, a modo loro ma l'avevano fatto.
Prendere sonno per Gwen era sempre un'ardua impresa. Specialmente quando non
era sola in stanza. In più il coltello di Dean aveva rubato il posto sotto al
cuscino al suo amato teser, il che le metteva addosso una certa ansia. Non che
si sarebbe fatta dei problemi ad usare l'arma di Dean se fosse stato
necessario, ma trovava la sua scelta difensiva un po' più -ed era il caso di
dirlo- elettrizzante.
Chiuse gli occhi ma li riaprì all'istante, incapace di ignorare quel dannato
buio nella sua testa trasformarsi in una interminabile lista di morti causati
dalla sua precedente inesperienza.
Restò in silenzio mentre ascoltava i canti notturni dei grilli mutarsi in
sussurri di persone casuali ma alle quali sapeva di aver tolto la vita. Più che
incubi o sensi di colpa amava definire quelle allucinazioni come
"ulteriore fardello". Che poi questo coincidesse con l'instabilità
mentale che ogni cacciatore aveva era un qualcosa che non avrebbe mai ammesso,
specialmente a sé stessa.
Non appena il sonno decise di sopprimere quella sua segreta pazzia, le luci del
mattino colpirono i suoi occhi chiari, costringendoli a riaprirsi.
Buongiorno, Gwen!, la maledì in quel modo il suo cervello, sveglio da troppo
tempo, inconsapevolmente. Era proprio vero che a volte il tempo volava.
Gli ci volle un bel po' per addormentarsi sul serio. Il pensiero di Sam aveva
cominciato a torturarlo non appena Gwen lo nominò. Adesso non faceva altro che
immaginarsi suo fratello che cercava di vivere una vita normale. Ma quanto
sarebbe durata quella storia? Per quanto tempo i due sarebbero andati avanti in
quelle condizioni?
Voci nella sua testa lo assalirono:
La famiglia deve farti stare male! Per
questo si chiama famiglia!
Io non sono un mostro!
Noi siamo fratelli e, nonostante tutto, questo non cambierà mai.
Se non ti conoscessi, ti darei la caccia.
Sei un mostro!
«Dean?»
Dean aprì gli occhi, e poté constatare con sollievo di aver fatto soltanto un
maledetto incubo. La faccia stranita di Gwen lo osservava come se fosse una
specie di alieno venuto dallo spazio, come se Dean fosse l'essere più insolito
di tutto l'universo.
Il ragazzo si stropicciò la faccia, trattenendo un enorme sbadiglio. Notò con
sorpresa che era già mattina, eppure gli era sembrato così poco il tempo che
aveva usato per riposarsi.
«Che ore sono?» chiese roco, la fronte aggrottata e gli occhi ridotti a due
fessure, confusi dal sonno.
«Sono le sette» rispose Gwen, scuotendo la testa e tornando a fare ciò che
stava facendo, ossia prepararsi per uscire. Aveva indossato uno dei quei tajer
da segretaria sexy, con tanto di occhiali da vista. Dean non poté non
trattenersi dal farci un pensierino, nonostante si fosse appena svegliato.
«Be', questo non aiuta di certo» borbottò tra sé e sé, alludendo a qualcosa che
di solito succedeva a tutti gli uomini al mattino presto.
«Come?»
«Niente, niente» mormorò, agitando una mano in un gesto noncurante. «Lascia
perdere.»
Si rizzò a sedere e sospirò. Gwen gli ripeté più volte di darsi una mossa, che
qualsiasi cosa loro stessero cacciando avrebbe attaccato ancora. Dean, dopo
essersi preparato come lei, vestito in giacca e cravatta, le ricordò che senza
aver fatto colazione non sarebbe andato da nessuna parte.
«L'Impala... quanti bei ricordi.»
Dean e Gwen si scambiarono un'occhiata complice da sopra il tettuccio. Entrambi
sapevano cos'era successo all'interno di quell'abitacolo, ed entrambi sorrisero
con una nota di divertimento misto a compiacenza.
Il cacciatore si mise alla guida, Gwen si sedette nel sedile del passeggero.
«Ricapitolando: io sono l'agente Colfax, FBI. Tu sei la mia adorabile collega.
Siamo qui perché troviamo che ci siano delle similitudini con dei nostri vecchi
casi irrisolti. Tutto chiaro?»
«Non è la prima volta che mi fingo un'agente dell'FBI, Dean» gli fece notare
con quell'accento del Texas plasmato per trasmettere quanta più professionalità
possibile. «Pensa, so anche scegliere dei falsi nomi migliori dei tuoi! Colfax?
Sul serio? Sembra il nome di qualche detersivo di sottomarca» ridacchiò
allungando la mano verso di lui per sfilargli il distintivo dalla giacca e
controllare con i propri occhi che quello fosse il nome giusto. Dean la lasciò
fare, non dandole corda come lei avrebbe voluto. Scelta saggia visto altrimenti
avrebbe dovuto sopportarla per tutto il viaggio mentre lo prendeva in giro
imitando la sua prossima presentazione ai familiari delle vittime.
«Stringiti quella cravatta» mormorò lei mentre si sistemava gli occhiali sul
naso da brava perfezionista qual'era, aspettando che qualcuno andasse ad aprire
la porta.
«Va bene, mamma» borbottò Dean in modo infantile ma seguendo quel suo consiglio
che sembrava esser stato detto più come una minaccia.
Quando davanti agli occhi gli si presentò una donna tutta in tiro -forse anche
più di loro- e con un fazzoletto di stoffa nella mano, capirono di avere di
fronte la vedova Dumont, moglie della prima vittima.
Prima che Dean potesse cacciare dalla tasca il suo distintivo -recuperato dalle
mani di Gwen solo alla fine del tragitto in macchina-, la ragazza lo anticipò,
sventolando sotto il naso della donna il proprio, a suo parere più decoroso e
credibile.
Gwen non amava essere presentata come "la collega" o più
genericamente come "l'altra": prima lei e dopo il resto. Egocentrico
ma da vera donna indipendente, impossibile da calpestare.
«Salve Signora Dumont, sono l'agente Bush e lui è il mio collega» lo indicò con
una fugace occhiatina seria e professionale. In quel momento voleva solo
ridere. «L'agente Colfax.» No, ecco. Adesso voleva ridere. «Dovremmo farle
alcune domande su suo marito.»
La donna, dapprima spaesata, sembrò riluttante nel farli entrare ma, convintasi
della loro affidabilità, li fece accomodare all'interno della sua immensa
residenza.
Pierre Dumont era un finanziatore, cos'altro avrebbero potuto aspettarsi?
«In campo finanziario è impossibile non avere dei nemici» disse tra un
singhiozzo e l'altro Fleur, anche lei di origini francesi come il marito e il
suo inconfondibile quanto insopportabile accento. «La polizia ha detto che è
stato un animale selvatico.»
Un animale selvatico? In casa?? Certo che ce n'è di fumo buono in Francia!, le
avrebbe voluto dire Gwen mentre si imponeva di prendere appunti sul suo
taccuino.
«Dobbiamo prendere in considerazione tutte le possibilità» la informò Dean
cordiale. Frase di routine di un cacciatore e alla quale credevano tutti.
«Sa se suo marito conosceva quest'uomo?» Arrivò al dunque la versione elegante
di Gwen, mostrandogli la foto della seconda vittima morta nelle stesse
circostanze.
«Certamente, chéri. Era il socio in affari del mio amato Pierre. Il capo
cantiere.»
Bingo!, pensò immediatamente scambiandosi un'occhiata d'intesa con Dean, seduto
al suo fianco.
A parte lo scherzetto di Gwen molto divertente, Dean dovette sopportare il
fatto di essere sovrastato dal suo ego mastodontico. Avrebbdovuto immaginare
che avrebbe avuto u altro dei suoi attacchi di superiorità. Lei non avrebbe mai
permesso che Dean lapresentasse come semplice collega, adorava stare al centro
dell'attenzione più di lui. Si limitò a lanciarle un'occhiataccia comunque e
sforzò un sorrisetto verso la signora Dumont quando quest'ultima gli rivolse
uno sguardo veloce.
La casa non era niente male, molto grande e non sembrava essere privo di alcuni
confort tipici della gente benestante. Dean diede un'occhiata breve per tutto
il salotto, abbastanza largo e accogliente. La padrona di casa, offrì loro
qualcosa da bere, ma entrambi decisero di non approfittare della sua
gentilezza. Decisero di passare subito al dunque, ossia concentrarsi sul caso.
Quindi come immaginava -e come Gwen si era lasciata sfuggire- le due vittime si
conoscevano e anche da un bel po' di tempo.
«Lavoravano al progetto del lago Eire» spiegò la donna, il naso rosso e gli
occhi piccoli e stanchi.
Dean e Gwen inarcarono le sopracciglia nella stessa identica espressione
confusa. Avevano l'aria di chi non aveva assolutamente idea di che cosa si
stesse parlando.
«Stanno costruendo una diga» aggiunse, quando si accorse delle loro facci
interrogative.
«Oh» fecero loro all'unisono.
Ci fu una pausa si silenzio durante la quale Gwen e Dean si guardarono,
complici. Entrambi stavano pensando alla stessa cosa: si trattava di una
vendetta, e siccome le vittime erano soci in affari e quindi si conoscevano,
c'era un sicuro collegamento con quel lago.
«Suo marito è stato trovato qui, giusto?» domandò Dean, accigliato, spezzando
così quel contatto visivo con la collega e il silenzio creatosi poco prima.
«Sì» la donna annuì e cominciò a singhiozzare, affondando il naso in un
fazzolettino colorato. Dean e Gwen provarono un improvviso disagio, tutti e due
spostarono lo sguardo in direzioni opposte, non sapendo cosa dire. «Era nella
nostra camera da letto... come p-potrò continuare a vivere senza di lui?!»
Dean sentì un enorme senso di vuoto infondo allo stomaco, perché quella
situazione gli sembrava tanto famigliare. Si schiarì la gola e chiese la
direzione per il bagno alla signora Dumont, la quale gliela indicò con garbo.
Dean seguì la scalinata, come suggeritogli, ma invece di raggiungere l'ultima
porta a sinistra, si intrufolò nella camera da letto della donna, dove era
stata trovata la vittima. Tirò fuori il rilevatore di frequenze elettro
magnetiche, speranzoso. Ma l'aggeggio non si illuminò, nè emise quello strano
suono.
Così mise da parte la teoria dello spettro vendicativo.
Sospirò profondamente e scosse appena la testa. Distrattamente notò qualcosa
sul pavimento. Sembrava una foglia, o una cosa del genere. Dean aggrottò la
fronte e la raccolse. Era un'alga... che ci faceva un'alga nella danza di
Pierre Dumont?
Quindi i bersagli rientravano nell'edilizia e in quel progetto. Gwen sperava
sul serio che quella fosse la traccia giusta perchè, francamente, non ne vedeva
altre per risolvere quel dannato caso.
Appena vide Dean alzarsi dal sofà, capì le sue intenzioni. Avrebbe controllato
di sopra mentre lei avrebbe continuato a fare domande alla donna, anche se
sembrava non saperne molto di affari, non quanto suo marito almeno.
«Che lei sappia questo progetto va avanti da molto tempo?» Riuscì a chiederle a
stento: la vedova continuava a singhiozzare e a soffiarsi il naso e Gwen non
era certo la persona più sensibile del mondo anzi, perdeva la pazienza molto
facilmente.
Tentò di contare fino a dieci -come spesso le aveva suggerito sua sorella- ma
si fermò a stento al cinque: non era nel suo DNA saper aspettare.
Subito dopo lo scadere del fatidico "cinque" la donna scosse la testa
ma non per riferirle la sua ignoranza a riguardo: era un no.
«Siamo tornati da Parigi appositamente per questo lavoro. Siamo qui da una
settimana... e adesso il mio amato Pierre è morto!» E di nuovo giù con le
lacrime. L'insensibilità di Gwen la costrinse ad alzare gli occhi sul soffitto,
leggermente a disagio di trovarsi in presenza di qualcuno così fragile.
«Mi scusi ma questi giorni non sono stati facili...»
«Posso immaginarlo» annuì per poi sistemare gli occhiali al loro posto.
«L'ho visto così di rado. Da quando sono iniziati i lavori era sempre in
cantiere: ne controllava l'andamento per calcolarne una scadenza
approssimativa.»
Non seppe spiegarsi il perchè, ma quel dato le era sembrato piuttosto
importante.
«Quindi la diga è già in fase di costruzione?»
«Agente Bush, sarà meglio tornare in centrale» riconquistò la scena la voce di
Dean: aveva trovato qualcosa.
«Da' un'occhiata!» La invitò Dean porgendole un sacchetto di plastica,
nuovamente a bordo dell'Impala.
«Che diavolo è?» Lo guardò meglio, scuotendolo di tanto in tanto.
«A te che sembra?» Simpaticone.
«D'accordo, te lo chiedo in un altro modo più semplice: che ci faceva un'alga
nella stanza da letto di quel tizio secondo te?»
Ma lui scrollò le spalle, come a dire "me lo domandavo anch'io."
«Dobbiamo controllare quella diga» battè la penna sul suo taccuino Gwen prima
di iniziare a mordicchiarne il tappo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Il pericolo è alle porte ***
vxc zx
Era abbastanza ovvio,
adesso, che le risposte alle loro domande erano racchiuse in quel progetto.
Qualunque cosa stesse colpendo le vittime si trovava in quel lago e aveva
lasciato loro un ricordino prima di andare via.
«Scommetto che quella schifezza si
trovava anche nella stanza della seconda vittima» disse Dean, con convinzione.
Non aveva idea del perché, ma era abbastanza sicuro che Gwen -per la prima
volta dopo anni che non si vedevano- era d'accordo con lui.
Perciò, come suggerito dalla ragazza, Dean guidò fino a raggiungere il lago
Eiere, dove appunto la diga sembrava essere già in fase di costruzione. Vi
erano un paio di operai qua e là, muniti di cappello arancione, che stavano
installando un sistema di sorveglianza. Un uomo vestito in nero, in giacca e
cravatta, osservava la zona con uno sguardo spento. Un altro, un po' più alto,
gli batteva la mano sulla spalla in pacche consolatorie.
Dean e Gwen si lanciarono un'occhiata e, come se si fossero letti nel pensiero,
decisero che quei due erano erano la pista giusta per venirne a capo.
«Salve» disse Dean, mostrando loro il distintivo dell'FBI. «Agente Colfax, e
lei è la mia collega, l'agente Bush.»
Dean le rivolse un'occhiata e abbozzò un sorrisino quando vide la sua faccia
sorpresa: sì, le aveva rubato il distintivo sotto i suoi stessi occhi.
«Stiamo indagando sulla morte di Pierre Dumont e Jean Richards» aggiunse con un
tono estremamente professionale.
«Non sono stati attaccati da un...?» balbettò confuso uno di loro, il più
basso.
«No» rispose Dean, secco. «Sono stati uccisi.»
I due si guardarono spaventati, quasi come se fossero consapevoli del pericolo
che correvano tutti. Già, perché loro erano gli altri due soci in affari.
«Voi siete?» si intromise Gwen, inarcando un sopracciglio.
«Michael Connors e Peter Johnson» rispose l'uomo più alto, decisamente meno
traumatizzato del suo collega. «Pierre e Jean lavoravano con noi in questo
progetto.»
Dean e Gwen si scambiarono un'occhiata veloce, consapevoli del fatto che quei
due sarebbero state le prossime vittime.
Non
gli chiesero quali fossero i loro programmi per la serata o per l'intero arco
di tempo utile a costruire la diga né li invitarono a rifugiarsi alla centrale
di polizia: li lasciarono semplicemente andare dopo le solite domande di
routine.
Niente di nuovo: nessun nemico in particolare (non
da volerli morti, insomma), niente comportamenti sospetti da parte di
costruttori, ingeneri o chiunque lavorasse a quel progetto, niente di niente.
«Non ci resta che seguirli» alzò la testa al cielo
Gwen, costatando che il Sole stesse già calando sul cantiere. E da quanto
avevano capito quella cosa che stava attaccando i soci in affari amava
particolarmente il buio. «Sarà meglio tenerli d'occhio, dopotutto quella cosa,
trovandosi nelle vicinanze del lago, potrebbe attaccarli anche ora.» Riflettè a
voce alta per poter coinvolgere in quel ragionamento anche Dean, affianco a lei
una volta salita nell'Impala.
Fecero il giro dell'isolato per far credere ai due
di essere andati via ma, nascosti nel piccolo bosco nelle vicinanze del lago,
riuscirono a scovare una posizione ideale per l'appostamento. Ottima fino a
quando non avrebbero deciso di andarsene a casa.
«Dobbiamo pedinarli, passare probabilmente una notte
in bianco e aspettare che li attacchi un mostro che non sappiamo cosa sia e né
come si uccide?» Sentì lamentarsi Dean. Il suo umore non era dei migliori. «È
stupido!»
«Ma è l'unica cosa che possiamo fare. Non abbiamo
tempo per tornare al motel e fare altre ricerche, rischieremmo di perdere un
altro stramaledettissimo socio!» E nemmeno quello di Gwen sembrava essere
migliore.
«Non abbiamo nemmeno qualcosa da mangiare!» Quello
suonò ancora più grave del primo quadro tragico che si era impegnato ad esporre
con tanto di sbuffi e lagne.
Gwen lo fulminò con lo sguardo, truce, zittendolo
come solo lei sapeva fare. Anche se, pensandoci bene, non era per niente un
buon piano.
«E poi, chi dei due seguiremo?»Osservò giustamente,
indicando Michael e Peter con un cenno della testa. «Con la fortuna che
abbiamo, finiremo per pedinare l'uomo scartato dal menù di quel bastardo.»
E non sbagliava neanche quella volta.
«Non credo che sarà un problema» mormorò con la
fronte aggrottata lei, seguendo le ombre dei due uomini muoversi verso la
stessa auto. «Auto aziendale?»
«Non lo so, ma sarà meglio stargli dietro.»
I due soci si misero a bordo di un'auto scintillante e
poco modesta, poi partirono e Dean fece lo stesso, seguendoli senza dare
nell'occhio. I viaggio fu molto silenzioso, stranamente. Nessuno dei due parlò,
forse perché troppo stanchi anche per battibeccare, che quand'erano insieme
quello era il loro passatempo preferito.
Dean mandò un messaggio a Bobby, chiedendogli di
fare una ricerca sulle probabili prossime vittime di quell'essere, e pochi
minuti dopo, il vecchio e burbero Bobby, gli telefonò con una lunga serie di
indizi: bravi uomini, sostenitori della campagna contro le malattie del sangue,
i loro indirizzi, i nomi dei loro figli e delle loro mogli e le loro imprese
durante i tempi del liceo.
«Fantastico!» esclamò sarcastico, il telefono
all'orecchio e gli occhi puntati sull'auto dei due tizi. «Questa cosa ci sta
prendendo per il culo.»
«Be', va' a lamentarti con qualcun'altro, signorina.
Io ho altro da fare!» ribatté la voce di Bobby, prima che la chiamata si
interrompesse d'un tratto.
Dean aggrottò la fronte, confuso, e lanciò
un'occhiata al display del telefono. Da quando Bobby era seduto su quella sedia
a rotelle era diventato intrattabile, più irritabile e stronzo di prima.
Gwen inarcò le sopracciglia e soffocò una risata,
visibilmente divertita.
«Incredibile!» borbottò tra sé e sé, Dean, scuotendo
la testa.
«Guarda là» disse Gwen, indicandogli l'auto davanti
a loro con un cenno della testa.
Aveva appena svoltato sulla destra, entrata in un
vicolo che portava al garage di una piccola villetta. Dean osservò la scena
accigliato, poi si scambiò uno sguardo con la sua collega. Accostò dalla parte
opposta della strada ed entrambi si soffermarono a guardare i due tizi. Avevano
l'aria di chi nascondeva qualcosa, e si muovevano di soppiatto, come se
avessero paura di essere scoperti. Ma scoperti per che cosa?
«Wow» fece Gwen, ironica. «Chi dei due vive in
quella casa? Piuttosto piccola per un uomo d'affari, non trovi?»
Dean la guardò, poi lanciò un'occhiata tutt'intorno.
Quell'indirizzo non coincideva con quelli che Bobby gli aveva lasciato.
«Nessuno dei due vive qui» ribatté Dean, accigliato,
dopo aver controllato la via in cui si trovavano. «E' strano.»
Ma tutto fu più chiaro quando una delle finestre del
piano terra si illuminò e videro i due tizi proprio lì, guardarsi negli occhi.
L'uomo più alto accarezzò una guancia di quello più basso. Poi gli si avvicinò
e lo baciò sulle labbra.
Dean sgranò gli occhi, e il disgusto si disegnò
sulla sua faccia in men che non si dica.
«Ew» riuscì soltanto a dire, distogliendo lo sguardo
quando la situazione sembrò precipitare. «Be', di sicuro quella non è un auto
aziendale.»
Prima ancora che potesse dire qualcosa, Dean sembrò parlare per lei. Era
alquanto sorpresa e... sì, presa alla sprovvista. Non che ci vedesse qualcosa
di male ma, ecco, era un po' spaesata dopo aver visto le sue ombre degli uomini
abbracciarsi in quelmodo così... passionale? Dio, pensare che ci fossero dei
sentimenti di mezzo le faceva venire la pelle d'oca. Come succedeva quando le
capitava di guardare delle coppiette innamorate scambiarsi batteri su batteri o
sussurrarsi paroline dolci e false promesse all'orecchio.
«Avremmo dovuto immaginare una scena del genere.» Se ne uscì lei, mandando giù
un'innaturale quantità di saliva. «Dopotutto si sa che i capocantiere ci sanno
fare con i trapa-»
«Non azzardarti a finire quella frase» la minacciò Dean guardando ovunque ma
non quello spettacolino alla finestra.
«Come siamo sensibili!» Lo prese prontamente in giro lei, alzando la mani a
mezz'aria, divertita come non mai.
«Sono sposati e con dei figli!»
«E credi che questo sia un problema? Ho visto di peggio.» Anzi, poteva dire di
averle viste tutte. Conosceva gli uomini, tutti, anche quelli che fingevano di
divertirsi a sbavare sulle ragazze nei locali a luci rosse e che poi si
mascheravano da maiale (o un animale a casa, era indifferente) per farsi
coccolare dal macellaio sexy.
«Ok, adesso non farmici pensare» scosse la testa Gwen prima di tornare con lo
sguardo sulla finestra. Quella era una vera e propria violazione della privacy
ma, se volevano salvarli, avrebbero dovuto continuare a fare i guardoni
maniaci.
«C-credi che... dovremmo entrare lì dentro?»
Quel tono spaventato fu la causa della sua ennesima presa in giro: prendeva la
palla al balzo, lei.
«Tranquillo, Dean. Andrò avanti io. Non vorrei che questa caccia si
trasformasse in uno spunto per manga Yaoi.» Scherzò scoppiando inevitabilmente
a ridere. Non sapeva se Dean ne capisse qualcosa di quella roba che lei aveva
appena nominato ma, o in un caso o in un altro, la cosa rimaneva per lei
divertente.
La sera continuava a calare, oscura, rendendo quella scena più intima per i due
nella villetta e più complicata per i cacciatori in macchina che, al contrario
dei primi, non se la stavano di certo spassando.
«Come lo uccidiamo?»
«Mi piace improvvisare» disse spostandosi i biondi capelli con un gesto pigro
della mano: un modo come un altro per dire che non ne aveva la più pallida
idea.
«Davvero illuminante, grazie» disse sarcastico, Dean, scuotendo la testa.
Notò con sollievo i due erano spariti da davanti quella finestra. Probabilmente
si erano spostati al piano superiore, nella stanza da letto. La cosa non lo
rallegrò granché, soprattutto perché la sua fervida immaginazione non poté far
a meno di prendere il sopravvento. Scrollò la testa più volte, scacciando via
quelle orribili immagini che gli erano state impresse nelle retine. Poi sospirò
e lanciò uno sguardo all'orario: mezzanotte.
«Be', almeno moriranno felici e appagati» ironizzò, con un sorrisetto che si
spense non appena Gwen lo fulminò con un solo sguardo. «Cerco solo di guardare
il lato positivo.»
«Meglio quello che altro, dico bene?»
«Chiudi il becco» la zittì Dean, un po' a disagio.
Gwen trattenne una risata, poi tornò a guardare la villetta insieme a al
cacciatore. Il suo stomaco cominciò a brontolare, desideroso di riempirsi con
una delle tante schifezze che Dean ogni giorno ingurgitava. Se lo massaggiò con
una smorfia, lamentandosi di quanto quella situazione facesse schifo. Gwen ogni
tanto sospirava, scocciata. Roteava gli occhi al cielo e lo invitava ad essere
professionale.
Passarono parecchie ore che quando Dean controllò l'orologio, questo segnava le
due del mattino. Cercava disperatamente di tenere gli occhi bene aperti, ma le
palpebre si chiudevano da sole per la stanchezza. Gwen invece sembrava ben
attenta, fissava la casa in agguato, come se si aspettasse di vedere qualcosa
da un momento all'altro.
«Dean?»
Si era appisolato nonostante i suoi sforzi, ma riaprì gli occhi e si stropicciò
il viso, soffocando uno sbadiglio.
«Che c'è?»
«E' qui.»
Dean e Gwen attraversarono il vicolo che portava al cancello della piccola
villetta, in punta di piedi, attenti a non attirare l'attenzione dei due amanti
o della misteriosa creatura. Impugnavano entrambi la loro pistola caricata con
pallottole d'argento: non sapevano se avrebbe funzionato, ma era l'unica cosa
che per la maggior parte delle creature era letale.
Entrarono in casa scassinando la serratura con una semplice spilla che Dean si
portava sempre dietro. Proprio quando varcarono la soglia, un urlo straziante
spezzò il silenzio. Dean e Gwen si lanciarono uno sguardo fugace, poi si
precipitarono al piano di sopra, da dove proveniva quell'urlo.
«OH MIO DIO!» gridò Michael Connors, indicando il cadavere di Peter Johnson,
che giaceva sul pavimento privo di occhi, denti e unghie.
Dean guardò la sagoma inerme dell'uomo. Poi dirignò i denti e diede un pugno
alla porta, colto da un attacco di rabbia improvvisa.
Quella cosa era stata lì e loro non erano arrivati in tempo per fermarla.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Michael Connors ***
capitolo4
«Porca puttana!» Urlò poco finemente Gwen,
incazzata con quella sfortuna che, come da previsto, glie l'avrebbe fatta
ancora una volta. «Dov'è andato?» Si guardò nervosamente attorno, frenetica.
Non poteva essere lontano!
L'uomo al quale rivolse quella domanda
però non sembrò darle molto ascolto: se ne stava lì a piangere per il suo
amante defunto, con le ginocchia per terra e le mani che continuavano a
scuoterlo nella speranza che fosse ancora vivo.
Scena che non riuscì ad evitarle un vecchio ricordo con il quale era in
continua lotta.
Non era forse la morte di qualcuno a far diventare un cacciatore tale?
Solo che Gwen aveva reagito, aveva provato a salvare sua zia Jacqueline e,
sebbene non avesse fatto in tempo, aveva almeno tentato. "Non c'è cosa più
avvilente che morire senza lottare" le diceva sempre quella scorbutica
donna. Lo ripeteva così tante volte che riuscì a farla diventare la filosofia
di vita di sua nipote.
Sbattè le palpebre e si riprese, costretta a darsi una mossa dall'imminente
situazione di merda nella quale si trovava.
«Michael, dov'è andato?» Domandò più sicura allontanandolo dal cadavere ancora
caldo del suo compagno.
Lui continuava a disperarsi ma, captata la determinazione di Gwen, anche lui fu
costretto a darsi un contegno.
«Peter è morto! È MORTO!»
Non avrebbe mai dovuto risponderle in quel modo.
Avrebbe tanto voluto avere il tempo di farlo calmare e di fargli assimilare
tutte le idee ma non poteva permetterselo: l'unico modo che aveva per ottenere
una risposta a quella domanda era prenderlo a schiaffi. Cosa che fece senza
problemi.
«Lo sarai anche tu, presto, se non mi dici dove cazzo è andato quell'affare che
l'ha ucciso!» La presa sulle sue spalle divenne più forte, per poco non
rischiava di lasciargli dieci fori come souvenir.
«Non so cosa... era un cane.. la sua co-»
«Dicci dove!» Accelerò saltando quella descrizione che già avevano avuto modo
di ricostruire con le testimonianze dei medici.
Quando vide le pupille dell'uomo dilatarsi per focalizzare qualcosa appena
dietro di lei, non riuscì a girarsi in tempo per colpirlo. Ma uno sparo ci fu
comunque.
Era sempre bello avere un compagno di squadra che ti guardasse le spalle.
«Lo stronzo è veloce.» E da quella frase capì che Dean aveva mancato il suo
bersaglio, sì, ma per lo meno era riuscito a dare il tempo a Gwen per mettere
nell'angolo Michael. Era lui che voleva, no?
«Vieni a prendertelo!» Lo invitò a farsi avanti lei, guardando la porta che
collegava la camera da letto al salotto.
Doveva essere per forza lì dentro.
Non aveva mai visto quella creatura prima d'ora: sembrava un cane, un
rottweiler dai denti un po' più affilati, con il corpo di una lontra e una coda
con, alla fine, una mano con tanto di artigli. Si muoveva in fretta, molto in
fretta. Era così veloce che Dean
non si accorse nemmeno di averlo perso, per un momento. Si guardò attorno, la
pistola puntata ancora nel vuoto, pronto a premere il grilletto una seconda
volta.
«Ssssh» fece a voce bassa, portandosi l'indice di una mano davanti alle labbra.
Lanciò un'occhiata di intesa a Gwen, che lei interpretò subito come un ''tieni
gli occhi aperti''. Poi avanzò cautamente verso il salotto, scivolando nella
penombra. Dean tastò a tentoni la parete, in cerca di un interruttore, e quando
lo trovò poté constatare che erano a corto di luce.
E' furbo, pensò, il bastardo ha staccato la corrente. Dean sospirò e procedette
con qualche passo in avanti. La stanza era vuota e le tende svolazzavano
leggiadre davanti alla finestra spalancata. Senza mai abbassare la guardia, si
avvicinò al davanzale e guardò giù.
Qualunque cosa fosse quell'affare, era riuscito a darsela a gambe. Ne ebbe la
conferma quando notò una piccola macchia di sangue che macchiava la superficie
in marmo. Ripose la pistola nei jeans e tornò da Gwen e il poveraccio sopravvissuto.
«E' scappato» annunciò con un tono irritato. «Ma è ferito. Credo di averlo
preso di striscio.»
«Che cos'era quella cosa?» balbettò Michael Connors, terrorizzato.
«Credimi, non vorresti saperlo» ribatté Dean in tono grave. Poi spostò lo sguardo
sul cadavere.
Una bella gatta da pelare, pensò sconfitto. Prese il telefono e chiamò il 911.
«Vorrei denunciare un cadavere» disse, quando una voce femminile rispose
dall'altro capo. Dean le comunicò l'indirizzo. «Il mio nome? Sì, il mio nome
è...» ma riattaccò con nonchalance prima di terminare la frase.
«Forza, impacchetta il nostro premio e filiamocela prima che arrivi la polizia»
disse a Gwen, prima di tornare davanti alla finestra. Tirò fuori un fazzoletto
e pulì la macchia di sangue sul davanzale. A loro serviva il DNA di quella
cosa, ma soprattutto non dovevano destare sospetti con le forze dell'ordine.
«Chi diavolo siete voi?»
Ottima domanda, Connors.
«Dovrei "impacchettarlo" io?» Indicò il poveretto come se fosse un
oggetto, qualcosa che non aveva il diritto nemmeno di essere ascoltato. E
infatti Gwen non l'aveva minimamente calcolato.
«Ci stavate seguendo?» Proseguì imperterrito, rimanendo nell'angolo come un
piccolo vermetto indifeso.
«E chi sennò?» Disse molto altruisticamente Dean. In realtà quella era solo una
frase che significava "io non ho la minima intenzione di preoccuparmene,
quindi tocca a te".
«Oh, certo! Lasciamo il lavoro sporco alla donna, davvero molto elegante,
complimenti!»
«Voi non siete dell'FBI?» Dio, quando odiava essere interrotta mentre parlava,
specialmente se sul posto di lavoro. Per carità divina però lo lasciò perdere:
ora era coinvolta in una specie di discussione con il suo amato collega. Se.
«Sei tu quella che ha familiarità con gli uomini nudi, Gwen, non io!» Allargò
le braccia Dean motivando la sua proposta. Dannato sorrisetto soddisfatto, glie
lo avrebbe staccato via a suon di pugni.
«Ehi, dico a voi!»
Ecco che contemporaneamente entrambe le teste dei cacciatori si voltarono verso
di lui, fulminandolo con lo sguardo.
«Se continui ad interrompermi, giuro che ti sparo in testa. Chiaro?» Lo avvertì
con la sua poca pazienza Gwen, tornando poi a snobbarlo come fatto fino ad
allora. «Sai cosa? Lo vedo abbastanza vigile e lucido da potersi impacchettare
da solo! Tu raggiungi la macchina e metti in moto. Io vedrò di aspettarlo qui,
visto che sei un uomo davvero esemplare!»
Non era un brutto piano dopotutto. Michael era l'unico socio rimasto, non
potevano rischiare di lasciarlo da solo: era la loro ultima speranza.
Un uomo nudo e tremolante era la loro unica speranza... accidenti che quadro
triste.
«Vedo che inizi ad avere qualche buona idea.»
«Se non sparisci immediatamente da qui farò conoscere il cosetto del nostro
amico Elton John alla tua macchina.»
Non aveva niente contro Elton John anzi, trovava "Sorry seems to be the
hardest word" una delle canzoni più poetiche che avesse mai ascoltato.
Cosa che non avrebbe mai saputo nessuno ovviamente. Era solo convinta che per
Dean, sapere di avere un uomo nudo nella sua Impala che non fosse lui, sarebbe
stato uno dei suoi peggiori incubi.
«Cosa volete farmi?? Dove mi portate??» Urlò l'uomo passando lo sguardo da Gwen
a Dean e da Dean a Gwen, ossessivo e -giustamente- spaventato.
«Mettiti qualcosa addosso e datti anche una mossa. Se sali nudo in macchina
quello a spararti in testa sarà lui.» Suggerì lei indicando con un cenno della
testa la porta che il suo compagno di caccia aveva appena varcato per
raggiungere il piano inferiore.
Quando finalmente furono pronti a partire, Dean schizzò via da quel posto con i
due passeggeri a bordo, prima dell'arrivo della polizia. Come da copione, quel
pover'uomo cominciò ad elencare una lunga lista di domande, domande che Dean
-come anche Gwen- conosceva a memoria per le troppe volte che se l'era sentite
rivolgere: chi siete? Che cosa volete da me? Voi non siete agenti dell'FBI?
Volete uccidermi?
«No, non vogliamo ucciderti, Michael» rispose pazientemente. «Ascolta, quella
cosa ti sta dando la caccia e presto verrà ad ucciderti. Noi vogliamo soltanto
impedirglielo.»
«Perché?! Io non ho fatto niente!» ribatté l'uomo, spaventato e confuso
insieme.
Come se questo importasse qualcosa. Probabilmente quella creatura viveva nel
lago e non accettava che la sua casa andasse sostituita con una diga. Non
voleva essere sfrattata e da lì che nasceva il suo desiderio di vendetta.
Dean e Gwen lo ignorarono, scambiandosi ogni tanto un'occhiata fugace, mentre
Michael Connors ripeteva le domande come se si aspettasse davvero una risposta
almeno da uno dei due. Alla fine si arrese, lo sguardo basso e pensieroso.
Questo era il momento peggiore, quando cominciavano a realizzare ciò che
avevano appena vissuto.
«Quella cosa ha ucciso Peter...»
«Ha ucciso anche gli altri due tuoi soci» aggiunse Dean, guardando il volto in
lacrime dell'uomo attraverso lo specchietto retrovisore.
«Io non voglio morire.»
«E non succederà» tagliò corto, tornando a guardare la strada. «Devi fidarti di
noi. So che ti abbiamo mentito, ma siamo gli unici che possono aiutarti, okay?
Se scappi sei morto, se resti nascosto vivi. E' chiaro?»
Michael annuì, asciugandosi le guance con i polsi. Dean sospirò e Gwen lo
guardò.
«Dobbiamo scoprire cos'è quell'affare» disse ragionevole.
«Prima portiamo Michael in un posto sicuro. Poi torneremo ad uccidere quel
canontra.»
«Canontra?» domandò Gwen, confusa.
Dean abbozzò un sorrisetto divertito, «sì, l'ho chiamato così. E' metà cane e
metà lontra, sai...»
La ragazza inarcò le sopracciglia, stranita. Poi scosse la testa e nascose un
sorriso dietro una mano.
«Ma
cosa sei, una donna? Muoviti!» Bussò ripetutamente alla porta Gwen per
sollecitare Michael -probabilmente nel ben mezzo dell'ennesima crisi di pianto-
ad uscire dal bagno della loro stanza di motel.
Erano tornati lì per dare la possibilità a Michael
di chiamare la sua famiglia ed avvertirla che sarebbe mancato per un po'. E in
più avrebbero dovuto fare rifornimento prima di incamminarsi per dodici, lunghe
ore alla volta di Sioux Falls, diretti dal caro vecchio Bobby.
«Sei sicuro di non voler riposare un po'? Non mi
pare tu abbia dormito granché ultimamente» si rivolse a Dean, indaffarato a
preparare i suoi borsoni. Ricevere una risposta negativa non deluse le sue
aspettative. «Se ci dividessimo faremmo molto prima» disse poi, organizzando nella
sua bella testolina un modo per velocizzare le cose e non rischiare di perdere
la vita in uno stupidissimo incidente stradale causato da un colpo di sonno.
No, Dean era un ragazzo previdente, non si sarebbe
mai messo alla guida della sua macchina se non fosse stato sicuro di poter
guidare senza pericoli.
Forse infondo, ma davvero infondo, Gwen voleva
evitare di spremere le energie di Dean fino all'estremo.
«Io accompagno "Mr.
Pisciata-più-lunga-del-mondo" da Bobby e appena scopriamo qualcosa te lo facciamo
sapere.» Urlò quel nomignolo d proposito, sperando che gli insulti potessero
arrivare al destinatario.
«È altruismo quello che sento nella tua voce?» Le
prestò attenzione lui, più shockato di avere a che fare con una Breakbones
umana che con un mostro mai affrontato prima.
«Abbrevieremmo i tempi, Dean. Sono dodici ore di
andata e dodici di ritorno. Per quanto ne sappiamo quel... quella canlontr-»
«Canontra» la corresse col sorrisetto, facendo
filare la zip del borsone.
«D'accordo, quella cosa potrebbe anche attaccare gli
operai. Ci serve qualcuno qui.»
Incrociò le braccia al petto, seria in volto e
determinata a fargli prendere almeno in considerazione quel suo corretto punto
di vista.
«Mi stai cedendo il caso perchè hai paura che io
possa farci schiantare lungo la strada?»
«No, non ti sto cedendo nessun caso e no, non voglio
dire questo. Non guideresti mai l'Impala sapendo di correre il rischio di
"schiantarti lungo la strada", non sei stupido.» Era strano sentire
la sua bocca aggiungere una negazione davanti ad un insulto.
«Questo posto è un incubo! Tutto è un incubo!» Si
lamentò Michael uscendo dal bagno. Ma, come da copiane, nessuno lo stese a
sentire, specialmente Gwen che ora era occupata a fissare Dean.
Dean spostò lo sguardo su Michael quando questi entrò in scena. Poi
tornò a prepararsi per il viaggio, ignorando le lamentele dell'uomo e le
occhiate scrutanti di Gwen.
«'Sta tranquilla» disse Dean, intento a riempire il secondo borsone con tutte
le armi che aveva precedentemente tirato fuori dall'Impala, una volta arrivato
a Toledo. «Gli operai sono al sicuro.»
«Cosa te lo fa pensare?» domandò Gwen, accigliata.
«Il canontra ha staccato la corrente quando eravamo nel nido d'amore di Michael
e Peter. Il che vuol dire solo una cosa: non gli piace la luce» rispose Dean,
tranquillo, con l'aria di chi aveva capito tutto.
Chiuse la zip del borsone e se lo carico su una spalla, afferrando l'altro con
la mano libera. Guardò Gwen e notò una strana espressione sul suo viso,
sembrava quasi sorpresa.
Che cosa credeva, che Dean non fosse in grado di fare certi ragionamenti?
Abbozzò un sorriso, tra il compiaciuto e il divertito. Poi indicò la porta a
Michael con un cenno della testa, invitandolo a chiudere il becco e a darsi una
mossa.
«Sta dormendo?» domandò Gwen, voltandosi indietro a guardare Miachel, disteso
nei sedili posteriori dell'Impala.
«Come un angioletto» rispose Dean, ironico.
Erano in viaggio da circa sette ore e il sole era sorto da un bel po'. Per
fortuna le strade erano abbastanza sgombre da permettere a Dean di proseguire
con un'andatura veloce.
Aveva come la strana sensazione che Gwen lo stesse osservando, ma decise di non
cercare di averne conferma. Continuò a tenere gli occhi puntati sulla strada,
ignorando gli occhi chiari della giovane cacciatrice.
«Avevo dimenticato quanto sei bravo in quello che fai» confessò all'improvviso
Gwen.
«Ci stai provando, per caso?» ribatté ironico, Dean, disegnandosi un sorrisetto
sghembo tra le labbra.
Gwen sorrise, divertita. «Come se la cosa ti desse fastidio!»
«Niente affatto» ammise Dean con sincerità, rivolgendole uno sguardo fugace.
Entrambi sorrisero e il silenzio calò nuovamente nell'abitacolo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Casa dolce casa ***
fvgrd
Trovare
Bobby a mangiare un panino fu l'accoglienza che ricevettero una volta aperta la
porta davanti a loro. Ora di pranzo: era più che comprensibile.
Durante il viaggio Gwen aveva ben pensato di
chiamare il vecchio barbuto per avvertirlo e, dopo svariate lamentele e
proteste da parte dell'uomo, chiuse la chiamata con la convinzione di averlo
corrotto con qualche battutina delle sue ed il suo tono seducente che usava
quando voleva ottenere qualcosa.
Seduti in cucina attorno il tavolo, Dean e Gwen fecero
un breve riassunto del tutto, togliendosi la parola l'un l'altro come dei
bambini di dieci anni.
E Bobby che credeva non ci potesse essere nessuno
più insopportabile dell'accoppiata Dean-Sam!
«Sa magari gli dessi il fazzoletto con il sangue
invece di vantarti tanto di avermi salvato il culo, saresti molto più
professionale, idiota!» Lo ricordò in quel modo così dolce, accompagnato da uno
sguardo severo ma compiaciuto. Anche a lui sfuggivano delle cose ogni tanto e
lei nel bacchettarlo era una maestra.
«L'avrei fatto quando ti saresti decisa a chiudere
la bocca!»
Avevano passato decisamente troppo tempo insieme. E
averlo passato senza finire contro qualche mobile a fare sesso, be', quello era
un grande traguardo quanto una grande novità per loro.
«Piantatela e ditemi qualcosa di più su quella
creatura!» Li riprese Bobby facendo cessare qui battibecchi causati anche dalle
loro ore di sonno perse.
«L'abbiamo portato apposta. Ti dirà tutto ciò che
vuoi sapere. O tutto ciò che sa.»
«Sono una persona, ho un nome!» Sbottò Michael,
scocciato di essere considerato un pacco o un oggetto in generale.
Ma Bobby con un gesto della testa gli fece capire
che sarebbe stato meglio per lui tacere: andare contro Gwen era molto
pericoloso.
«Noi invece ci riposeremo qualche oretta prima di
rimetterci in viaggio per Toledo.» E quella non era una proposta.
«E mi lasciate solo con Clooney?»
«Lui è Elton John. E comunque sì.» Concluse schietta
alzandosi in piedi e lanciando una brutta occhiataccia d'intesa a Dean, ancora
seduto al suo posto.
Dean guardò Gwen e capì subito che la sua occhiataccia insisteva
visibilmente nel seguirla al piano di sopra. Per fare sesso?, si domandò
ironico, accennando un sorrisetto in risposta. Ovviamente no. Voleva soltanto
che Dean riposasse per qualche ora prima di rimettersi in viaggio: Gwen non
aveva di certo voglia di morire schiantata contro un albero o qualcosa del
genere. In effetti era troppo poco per un cacciatore morire in quel modo quando
rischiavano ogni giorno la vita.
«Che c'è?»
«Dean, hai bisogno di dormire!» lo rimproverò, cercando un appoggio negli occhi
di Bobby. «Non dorme da due giorni!»
Bobby spostò lo sguardo su Dean e senza aprire bocca riuscì a convincerlo. Le
sue occhiate minacciose valevano più di mille parole.
Si alzò dalla sedia e si voltò verso Michael, puntandogli un dito contro. «Se
scappi sei morto, ricordatelo» gli disse, gettando poi uno sguardo d'intesa
verso l'uomo barbuto che tanto conosceva.
Bobby poteva anche essere un cacciatore furbo e abile, ma se Michael se la
fosse data a gambe sarebbe stato difficile per lui inseguirlo.
Dean e Gwen salirono al piano di sopra. Il cacciatore si guardò attorno in
corridoio, come se si aspettasse di vedere spuntare qualcuno da un momento
all'altro. In effetti non aveva fatto caso se fuori dalla dimora Singer vi
erano le auto delle Harvelle. Immaginava però che se Ellen fosse stata in casa
l'avrebbe vista in cucina.
Non sapeva se essere sollevato o deluso: non vedeva quelle due donne da un bel
po' di tempo... soprattutto Jo.
Ad ogni modo si fece strada, sospirando. Entrò nella stanza che Dean occupava
di solito ogni volta che pernottava lì e si gettò sul letto come un sacco di
patate, rimbalzando all'impatto con le molle. Gli occhi chiusi e quella
sensazione di pace che provava soltanto quando varcava la soglia di casa
Singer. Lo considerava il miglior posto dal quale tornare dopo una caccia.
«E non volevi riposare!» lo canzonò Gwen, entrata nella stanza dopo di lui.
«Chiudi il becco» ribatté pigramente, con la faccia schiacciata contro il
cuscino
Quella era sì e no la terza volta che metteva piede a casa di Bobby.
Solitamente Gwen faceva di tutto pur di non avere un posto fisso e non perchè
temesse di affezionarcisi o di farsene un'abitudine.
Magari è perchè ogni casa nella quale mi sistemo finisce per andare distrutta o
ancora meglio bruciata, venne a capo di quel suo complesso percorso psicologico
mentre guardava Dean rimanere immobile sul letto.
«Riesci a respirare o caccerai le branchie pur di non spostare la faccia da
quel cuscino?» Sì, lo trovava un po' scorretto insultarlo quando non aveva le
forze per difendersi ma non poteva proprio farne a meno. Anche se, quando Dean
non le replicava qualche insulto, non era poi così divertente.
«Non sei stanca, Gwen?» E non c'era niente di altruistico in quella frase.
«Stai cercando di liberarti di me? Questo mi ferisce.»
Alle solite.
Uno sbuffo da parte di Dean che segnava il colpo incassato o magari solo la sua
resa: forse non ne poteva proprio più.
«Non sono mai stata qui» mormorò passando le dita sul piano dei mobili. Quando
si guardò il polpastrello e non vide nemmeno un granello di polvere rimase
alquanto sorpresa. Se Bobby non era di certo un uomo che stava dietro alle
faccende domestiche, chi diavolo se ne occupava allora? Cenerentola? «Sono
salita per la prima volta al piano di sopra appena due anni fa.» Quando piombai
nel suo vialetto, schiantandomi con la macchina contro la cassetta delle
lettere, aggiunse nella sua testa decidendo che quello fosse solo un inutile
dettaglio da scartare per il bene del riassunto. E poi ebbe un buon motivo per
non schiacciare il freno, visto che il suo piede grondava sangue per colpa di
una caccia non andata al meglio.
«Come diavolo hai fatto a guidare?»
le chiese Bobby mentre si occupava della sua caviglia slogata.
Ricordava quelle sue parole con estrema precisione.
«Sono piena di sorprese» gli rispose
lei, inizialmente distaccata.
Una volta finito quel momento di "ricomponimento" la accompagnò al
piano di sopra, aiutandola per le scale nonostante le proteste della giovane.
«Ho solo visto la stanza più vicina alle scale ed il bagno ma non ero mai stata
qui dentro. Adesso so com'è fatta la casa del vecchio Bobby» disse con una nota
di compiacenza e con un sorrisetto riconoscente sulle labbra. Per fortuna Dean
aveva la faccia sul cuscino o l'avrebbe coglionata a vita per quella smorfia.
«E visto che tu non sei per niente di compagnia, me ne vado a dormire. Verrò a
chiamarti tra qualche ora, quindi vedi di addormentarti in fretta.»
Si
rese conto soltanto in quel momento quanto Gwen avesse ragione: Dean era
stanco, davvero tanto stanco per continuare a tenere gli occhi aperti. Gli era
bastato appoggiare la testa sul cuscino, e d'improvviso il torpore si fece
sentire.
In un altro momento -o forse anche in un'altra epoca- Dean l'avrebbe
invitata a restare, magari usando le sue tattiche seduttive. Ma adesso... non
lo sapeva. Con tutto quello che gli stava succedendo, il Diavolo che era
risorto, Michele che voleva appropriarsi del suo corpo, Zaccaria alle calcagna,
l'astinenza dal sesso era l'ultima sua preoccupazione nella sua lunga lista. E
poi c'era Sam. Non lo vedeva da un bel po', né lo sentiva. Senza di lui le cose
andavano male, davvero male.
Per quanto cercasse di auto convincersi del fatto di
stare bene senza di lui, di stare perfino meglio, in cuor suo sapeva che non
era affatto vero. Sam era l'unica ragione per cui era ancora in piedi,
nonostante tutto.
«Puoi dormire qui, se vuoi» disse. Nella sua voce
nessun accenno di malizia. Eppure a Gwen non mancò l'occasione di scherzarci
su.
«Ci stai provando con me?» domandò, con un sorriso.
«Come se ti dispiacesse!» borbottò Dean.
«Niente affatto» ribatté la ragazza, continuando a
sorridere.
Dean le lanciò uno sguardo sbieco e accennò un
flebile sorriso, ricordando che poche ore prima avevano già vissuto una scena
del genere.
«Buonanotte, Dean.»
«Buonanotte.»
Gwen spense la luce e uscì dalla stanza, chiudendosi
la porta alle spalle.
«Dean? Dean! Andiamo! Svegliati, pigrone.»
Dovevano essere passate parecchie ore da quando si
era addormentato. Eppure al cacciatore parvero soltanto pochi minuti quando
riaprì gli occhi. Si guardò attorno, spaesato, e ricordò di essere a casa di
Bobby quando riconobbe la vecchia mobilia, straordinariamente senza un filo di
polvere. Si avvertiva la presenza di una donna prima ancora di varcare la
soglia.
Dean aggrottò la fronte e sollevò appena la testa
dal cuscino. Il viso angelico di Gwen lo osservava.
«Che ore sono?»
«Hai dormito abbastanza» rispose con un tono vago,
la ragazza. «Forza, alzati. Bobby ha trovato qualcosa.»
Non solo Bobby aveva trovato qualcosa. Il vecchio
con la collaborazione di una giovanissima cacciatrice era riuscito a scoprire
che cosa fosse la creatura che avevano cacciato fino a quel momento. E,
sorpresa delle sorprese, Dean conosceva quella cacciatrice molto bene.
«Jo» pronunciò il suo nome con una nota di sorpresa,
una volta raggiunto il piano inferiore, accompagnato dalla sua temporanea compagna
di sventure.
Ellen, affianco alla figlia, gli rivolse un sorriso.
Sembrava molto contenta che Dean fosse in compagnia di una ragazza che non
fosse la sua Jo.
«Jo.»
«Dean» rispose la diretta interessata con un cenno della testa ed una smorfia a
specchio che rifletteva la stessa sorpresa che Dean aveva riservato a lei.
«Ellen» salutò anche la donna accanto alla biondina, stranamente raggiante.
«Gwen!» Si intromise lei senza fare troppi complimenti, approfittandosene di
quel momento per concludere quelle che sapeva non fossero nate come
presentazioni. Lo capiva del modo in cui si guardavano e dal tono con cui
avevano pronunciato l'uno il nome dell'altro. «E quello seduto lì è Elt-» si
interruppe appena in tempo, scollando la testa. «Michael, il sopravvissuto di
turno. Immagino che conosciate già Bobby, visto che probabilmente siete voi il
motivo di tanto ordine qui dentro.»
Niente probabilmente, ne era certa. Quel polpastrello immacolato come tutti i
mobili della casa sembravano esserne la conferma.
«Come mai siete qui?» la ignorò Jo, rivolgendo a Dean per avere una
spiegazione. Avendo aiutato Bobby nella ricerca del mostro al quale Dean e Gwen
stavano dando la caccia, sapeva già quale fosse la situazione ma voleva
soltanto sentirselo dire da lui.
«Michael aveva bisogno di un posto sicuro e-»
«E noi di riposare. Non dormiamo da giorni.»
Quanto suonava male quella frase: era quasi fastidioso il modo in cui Gwen
riuscisse a sembrare odiosa anche senza volerlo. Non era nel suo programma
voler far intendere qualcosa (che comunque non c'era stato) solo per far
ricadere l'attenzione su di lei. Certo, odiava essere snobbata ma mentire non
era il suo modo più caratteristico per farsi notare.
«È quasi ora di cena, se volete fermarvi-»
«Ora di cena?» Solo allora Dean si rese conto di aver dormito più di quelle due
o tre misere orette che si concedeva di solito. Quando capitava quel miracolo.
«Quindi è arrabbiato per via della diga?»
«Sei davvero un tipo perspicace!» Borbottò Bobby contro l'unico socio sopravvissuto.
La loro voce riportò i piedi di Gwen per terra, facendola voltare verso i due
uomini con le teste chine su di un vecchio libro.
«Quindi cos'è che mi ha costretta a chiedere aiuto?» Si avvicinò alla
combriccola, questa volta prendendo lei il ruolo dell'indifferente che ignorava
gli altri.
Non le piaceva per niente quel clima, era come se si sentisse in soggezione e
quell'occhio di bue puntato addosso era tutt'altro che piacevole.
«Si chiama Ahuizotl» introdusse Bobby.
«Credo che a questo punto continuerò a chiamarlo Canontra» e lanciò un'occhiata
d'intesa a Dean che, esattamente come Jo, aveva iniziato ad ignorarla.
Stese a guardarli per qualche istante ma distolse lo sguardo appena prima che
Bobby potesse riprendere a leggere e che i due piccioncini smettessero di
fissarsi.
«È una creatura leggendaria azte-»
«Come si uccide?» Tagliò corto Gwen, non le erano mai piaciuti i fronzoli di
contorno.
«La luce li stordisce e li rallenta, questo vi farà guadagnare tempo.»
«Tempo per?» Impazienza, il suo secondo nome.
«Tagliargli la testa e la coda» capovolse il libro per far vedere meglio
l'immagine alla ragazza.
«E dopo che ne facciamo?»
«Io fossi in voi ne farei una bella grigliata, per sicurezza.»
Parlare di cibo mentre Ellen iniziava a cucinare era stato davvero un colpo
basso per l'appetito di Gwen. Ma gli avrebbe perdonato qualsiasi cosa a quel
vecchio scorbutico.
Dean si ritrovò ad affrontare una scomoda posizione. Stare sotto lo stesso
tetto insieme a Jo e Gwen... be', non era esattamente una delle sue tante
fantasie erotiche. Non aveva nessuna intenzione di dare una brutta impressione
alla prima; era forse per questo che aveva cominciato ad ignorare la seconda?
Molto maturo, si disse.
Infondo non c'era alcun motivo di sentirsi a disagio, tra lui e Gwen non c'era
nulla e non c'era mai stato nulla oltre all'attrazione fisica. Sì, erano stati
a letto insieme un paio di volte, probabilmente più di quanto Dean riuscisse a
ricordare, ma si era trattato soltanto di una spassosa avventura, sia per lui
che per la ragazza ribelle dagli occhi chiari.
Tuttavia continuava a sentirsi come se avesse due piedi in una scarpa,
sensazione alquanto indescrivibilmente fastidiosa.
«Seguiremo alla lettera le istruzioni per l'uso» tagliò corto, Dean, ignorando
i consigli accurati del vecchio e brontolone Bobby. «Adesso dobbiamo soltanto
tornare lì e... be', dargli quello che si merita.»
«Sul serio?» fece scettica, Jo, attirando l'attenzione di tutti i presenti,
anche quella di Michael.
«Certo» rispose Dea, noncurante, scrollando le spalle. «Hai un'idea migliore?»
«Credi davvero che quel coso uscirà allo scoperto e si farà uccidere
allegramente?»
«D'accordo, dove vuoi arrivare?» domandò Bobby, accigliato e confuso come Dean
e Gwen.
«Quella creatura vive nel lago e sa che gli state dando la caccia, come sa che
avete messo al sicuro il suo pasto» spiegò Jo, paziente. «Perciò andare lì ad
aspettare che venga da voi è una mossa stupida, a meno che...»
Silenzio. Dean, Gwen, Bobby, Ellen e Jo spostarono lo sguardo su Michael, il
quale, in un primo momento, li guardò disorientato. Sgranò gli occhi subito
dopo quando intuì la natura delle loro occhiate.
«No» disse, categorico. «Scordatevelo, non ho intenzione di fare da esca a quel
dannato coso!»
«E' l'unico modo per riuscire ad ucciderlo, Mike» cominciò Dean, annuendo con
convinzione alle sue stesse parole. «Jo ha ragione. Non si farà vedere finché
non avrà ciò che vuole.»
«E questo dovrebbe farmi sentire meglio?!» sbottò l'uomo, preso da un attacco
di panico improvviso.
«'Sta calmo» lo zittì subito, il cacciatore. «Andrà tutto bene, okay? Noi
saremo lì, pronti ad attaccare. Fidati di noi.»
«Fidarvi di voi?!» ripeté Michael, le sopracciglia inarcate in un'espressione
incredula. Scoppiò in una risatina isterica e tornò subito serio. «Fidarmi di
voi?! Stai scherzando, spero! Tu parli con la tua auto!» aggiunse, gridandogli
contro quel piccolo particolare come se fosse il punto saliente per il quale
era bene non dargli fiducia. «Voi siete pazzi.»
Era in gamba quella tipa. Certo, Gwen non avrebbe scommesso nemmeno un
centesimo su di lei (forse per via del suo visetto innocente) ma con quella
uscita da grande intenditrice fece capire che di schifezze ne aveva viste anche
lei.
L'apparenza inganna, si disse
mentre Dean iniziava il suo dibattito con Michael, in trappola come un topo nel
covo dei peggiori gatti del quartiere. Ma ingannava sul serio? No, non lei.
Forse aveva sbagliato riguardo a Jo ma non riguardo a quello che questa avrebbe
voluto farle se solo avesse avuto un vero motivo per sporcarsi le mani e
prenderla a pugni. Non sapeva il perchè ma, per un momento, le sembrò che
quegli occhi scuri la stessero studiando come un leone studiava la propria
preda dopo averla già catturata, come se stesse scegliendo quale parte divorare
per prima.
Peccato che Gwen non si facesse considerare come la preda di nessuno e mai, di
qualsiasi campo d'argomento si stesse parlando.
«D'accordo, allora puoi iniziare a salutare la tua famiglia» tentò di
corrompere l'uomo Jo. Lei amava passare prima dalle buone maniere. Gwen un po'
meno.
«La mia.. la mia famiglia? Perchè?»
«Be', mi sembra ovvio. Se tu non farai da esca, il mostro non verrà ucciso e
quindi non potrai più mettere piede nella tua città perchè appena deciderai di
farlo quella roba ti mangerà vivo.»
Non faceva una piega, brava la leonessa con il senso dell'accoglienza pari a
zero! Mh, le ricordava vagamente qualcuno. Un altro tratto in comune da segnare
accanto al colore dei capelli e alla professione.
«Figuriamoci se glie ne importa qualcosa!» Lo derise Gwen, in riferimento agli
incontri segreti di Michael con il suo defunto compagno Peter.
Quando ricevette un'altra occhiataccia da parte di Jo, Gwen sorresse il suo
sguardo, incuriosita. "Mi stai rallentando il lavoro" sembrarono
dirle quegli occhi. Avrebbe tanto voluto dirglielo a voce lei, mo di sfottò, ma
non sarebbe stato vero, visto che era stata proprio lei, Jo, insieme a Bobby ad
arrivare ad una conclusione alla quale lei stessa non sarebbe mai arrivata da
sola.
Quindi la ragazzina voleva vedere il suo stile? Voleva vedere come se la cavava
una professionista che non temeva di essere mal vista dagli altri? Nessun
problema.
Come se avesse realmente raccolto il guanto di sfida mai stato lanciatole da
Jo, si avvicinò a Michael, ancora seduto accanto a Bobby con la paura impressa
negli occhi.
«Vuoi sapere cosa ti succederà se non farai quello che ti è stato appena
detto?» Lo disse con un tono inquietantemente retorico, il sorrisetto sadico a
fargli da spalla. «Ti getterò di peso nel lago. Aspetterò che il mostro venga a
galla per prenderti e allora lo trascinerò fuori per farlo a pezzi. E, credimi,
tu non sarai ancora vivo per poterti godere la scena, quando lo arrostirò.» La
sua serietà era quasi agghiacciante mentre gli prendeva il mento tra le dita.
«Ti lascerò affogare, Michael. Tanto non sei la prima persona umana che uccido»
concluse prima di mollare la presa, stizzita. «Vado a darmi una sistemata di
sopra prima di partire. È tardi» e abbandonò la scena sculettando, salendo le
scale.
Dean alzò gli occhi al cielo davanti a quella scena, scuotendo appena la testa.
Sempre ad attirare l'attenzione, pensò, sospirando. Bobby inarcò le
sopracciglia e Ellen fece una smorfia, stizzita. Probabilmente non le piaceva
granché, ma se serviva a tenere Dean lontano da Jo andava più che bene.
«Ignorala» gli consigliò Dean quando Gwen uscì di scena, forzando un sorrisetto
più simile ad una smorfia. «Ha il ciclo.»
Michael annuì, non del tutto convinto. Aveva ancora il terrore stampato sulla
faccia, e quell'espressione divertiva un po' tutti. Probabilmente in un altro
momento ci avrebbero riso su.
«Forza, prendi la tua roba, amico, dobbiamo andare» lo avvertì subito dopo,
dandogli una pacca consolatoria sulla spalla.
Michael alzò gli occhi lucidi verso di lui e si aprì in un sorriso pieno di
gratitudine.
«Grazie» mormorò, prima di alzarsi dal suo posto per andare a recuperare i suoi
effetti personali al piano di sopra.
A Dean non piacque molto il tono che aveva usato, con quella nota di
amorevolezza nella voce. Senza contare il suo sguardo durato un po' troppo più
del dovuto.
Lo guardò sparire in cima alla scala, poi si voltò a guardare Bobby, stranito.
Il vecchio se la rideva con gusto, e lo prese in giro per un bel po'
nell'attesa. Ellen lo richiamò dalla cucina e l'uomo la raggiunse, seduto sulla
sua sedia a rotelle, lasciando Dean e Jo da soli per la prima volta dopo
settimane.
L'ultima volta che l'aveva vista combattevano una battaglia contro dei demoni
inesistenti, opera di uno dei cavalieri dell'apocalisse. Non avevano avuto il
tempo di scambiare quattro chiacchiere come al solito, dato che fu una giornata
ricca di azione.
Dean la guardò a lungo, aspettando che anche lei si decidesse a fare lo stesso.
Quando i loro occhi si incontrarono, le rivolse un ampio sorriso. "Sono
felice di rivederti, Jo", era quello che stava ad indicare. Lei lo
ricambiò, ma non fu travolta da un entusiasmo incontrollabile nel farlo, anzi.
Sembrava quasi un sorriso forzato.
«Okay, sono pronta» annunciò Gwen, interrompendo quel loro contatto visivo e
spezzando il silenzio.
«Bene» borbottò, a disagio. «Dì a George Michael di darsi una mossa, dobbiamo
andare» aggiunse, alzandosi in piedi.
Si caricò uno dei borsoni sulla spalla e salutò Bobby ed Ellen con un cenno
della testa, i quali gli raccomandarono di tenere gli occhi aperti. Sembravano
due veri e propri genitori apprensivi.
«Ciao Jo» disse poi, rivolgendole uno sguardo prima di lasciare casa Singer
seguito da Gwen.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Quell'idiota di Dean Winchester ***
wrew3
Se fosse dispiaciuta
per aver interrotto quel momento sentimentale tra Dean e Jo? Ma assolutamente
no anzi, non glie ne importava proprio niente. Era l'ora di andare? Erano già
in ritardo? Perfetto, poche lagne e subito in viaggio allora, si giustificò non appena ricevette l'ennesima
occhiataccia da entrambi i piccioncini.
Quindi salutò tutti con un neutrale cenno della testa e fece una piccola
promessa a Bobby nella quale assicurava una chiamata a fine lavoro, anche solo
per fargli sapere se fossero ancora vivi. Poteva farcela.
«E comunque è Elton John» non perse l'occasione di contraddirlo mentre grazie
ad una sola occhiata il povero uomo preso in causa alzava il suo di dietro
dalla sedia per seguire i due cacciatori.
«Michael» la corresse l'uomo ancora convinto di poter vincere quella guerra
contro Gwen.
«Ma tu non avevi paura di me?» E lo ammutolì ancora una volta, forse avendogli
ricordato la fine che poco prima aveva organizzato per lui, cruda e spietata. E
non aveva sentito ancora niente.
Salirono in auto -ancora una volta- con l'intenzione di buttare giù un bel
programma per la caccia e di seguirlo quanto più meticolosamente possibile:
dovevano stringere i tempi.
«Dovremmo arrivare di mattino presto. A meno che non facciamo una sosta durante
il viaggio per r-» ma quando vide Dean scuotere la testa, scartò quell'opzione.
«Ok, niente fermate extra. Nemmeno per la colazione?» Tentò di corromperlo
sapendo su quali argomenti poter fare leva. E poi lei non riusciva ad essere
sveglia ed attiva senza il suo caffè nero esattamente come il suo umore ogni
volta che abbandonava il letto del motel di turno. Quindi quella era d'obbligo.
«Coma potete fare questa vita?» Se ne uscì dal nulla l'uomo seduto sui sedili
posteriori dell'auto con una faccia distrutta in volto.
Bella domanda.
«Ognuno fa le sue scelte, no?» Lo liquidò così Gwen un po' perchè non sapeva
come rispondere in altro modo e un po' per azzittirlo una volta per tutte con
strane allusioni alla sua vita privata. Cosa che funzionò a perfezione come da
sperato.
Peccato che in quel modo il viaggio fosse fin troppo silenzioso. E Gwen non
sapeva starsene zitta per più di dieci minuti, figurarsi per dodici ore filate!
«Davvero carina la tipa. Molto solare» spezzò il silenzio lei usando quella sua
ironia come un martello.
Dean lanciò uno sguardo a Michael, attraverso lo specchietto retrovisore. Per
un momento provò una strana sensazione simile all'odio. Sì, lo detestava per
aver rivolto loro quella domanda. Forse perché non era mai riuscito a darle una
risposta: erano gli affari di famiglia. Cacciare quegli esseri, combattere il
male e salvare delle vite era una tradizione che non poteva essere ignorata.
Come una lunga ed infinita catena di ferro che difficilmente poteva essere
spezzata. Nessuno ne sarebbe mai uscito da quel circolo vizioso, l'unico modo
per farlo era la morte. In alcuni casi, come in quello di Dean, neanche quella.
Quel fiume di pensieri venne bruscamente interrotto dalla voce di Gwen che,
fino a quel momento, era rimasta in silenzio per tutto il tempo, proprio come
Dean e Michael.
Lo sapeva che non si sarebbe mai lasciata sfuggire l'occasione di commentare
quel piccolo ed intenso incontro con la giovane Harvelle. Si aspettava,
infatti, una delle sue battute ironiche, e Dean fece finta di nulla, cercando
di nascondere la sua improvvisa rigidità.
«Ho visto come vi guardavate» aggiunse con un tono leggermente allusivo.
L'argomento ''Jo'' era difficile da affrontare, soprattutto se a parlarne con
lui era Gwen. Preferiva di gran lunga fare il finto tono, cascare dalle nuvole
come se non avesse la minima idea di che cosa si stesse parlando.
«Non ho la minima idea di che cosa tu stia parlando.»
Ecco, appunto.
«Non ci provare, Dean», Gwen scosse la testa con un sorriso divertito. Sì,
adorava vederlo in difficoltà. «Ricorda che è con me che stai parlando.»
«Non fa una piega» ribatté, indifferente, gli occhi puntati ostinatamente sulla
strada.
Lo sguardo di Michael rimbalzava da Gwen a Dean e da Dean a Gwen, come in una
partita di tennis, ogni volta che i due prendevano possesso della parola.
La ragazza sghignazzò, convinta di aver fatto centro e di aver toccato un tasto
dolente. Purtroppo era così. Dean le lanciò un'occhiata fugace.
«Ti diverti?» chiese retorico, alternando gli occhi tra lei e la strada.
«Abbiamo una maledetta cosa da uccidere, pensiamo ad uno schema» suggerì poi,
non tanto per la preoccupazione di arrivare a Toledo impreparati, tanto per
cambiare argomento.
«Vuoi uno schema? Bene, avrai il tuo schema.» Si sistemò meglio sul sedile e
guardò avanti, senza nemmeno impegnarsi tanto. Semplice, lei ne aveva già uno.
Sì, amava improvvisare ma quando aveva il tempo di organizzarsi, perchè non
farlo? «Arriviamo a Toledo,
prepariamo le armi, aspettiamo che cali il Sole, sguinzagliamo il cibo per
pesci vicino al lago -magari lo assicuriamo con una corda da qualche parte,
tanto per stare sicuri che non se lo porti via-, aspettiamo che il canontra si
faccia vedere, lo accechiamo con una luce che posizioneremo esattamente su
Michael e lo rallentiamo. Lo affettiamo, ne facciamo cenere e ognuno torna a
guidare la propria macchina e a dormire nel proprio letto.» Sembrava molto
semplice da come l'aveva descritto ma entrambi sapevano che non lo sarebbe
stato affatto, specialmente Michael, colui che rivestiva il ruolo più
pericoloso. «E adesso dimmi, Casanova, a proposito di letti...» si disegnò
l'ennesimo sorrisetto compiaciuto sulle labbra, soddisfatta dal suo
"smerciare" in men che non si dica quel vano tentativo di Dean di
distogliere la sua attenzione dall'argomento principale.
«Scordatelo» disse secco Dean, per niente interessato a fare dono a Gwen di un
documentario sulla sua attività sessuale con Jo.
«Guarda che mi basta anche una smorfia! Sono abbastanza brava nel decifrarti»
alzò le spalle, consapevole di avere quel "dono naturale". Chissà,
magari anche a Sam avrebbe fatto comodo averlo. Ma era questo che rendeva
"speciale" Gwen: conoscere bene Dean senza doversi impegnare era un
potere che nessuno pareva avere. E c'era da dire che i due non si vedessero
nemmeno così tanto spesso.
«Vuoi sapere se è più brava di te?» Alzò gli angoli delle labbra Dean, contento
di aver scoccato quella frecciatina.
Una risata da parte della ragazza riempì l'auto, sovrastando addirittura il
volume della radio sintonizzata su una rete rock.
Michael la guardava con un'espressione quasi perplessa, come se si stesse
domandando se fosse pazza o se stesse soltanto fingendo di esserlo.
«Cosa vuoi che ti dica? Spero per te che non abbia fatto tanta pratica quanta
ne ho fatta io!» E quella era solo la risposta parziale. E non perchè si
vergognasse a parlare di sesso davanti ad altri uomini che magari non avevano
avuto ancora il piacere di provare in prima persona quell'esperienza (e Michael
in quel caso non era nemmeno incluso) ma piuttosto perchè non le sembrava il
caso di giustificare quella sua affermazione con determinati dettagli, dettagli
che anche l'Impala conosceva bene.
Più tempo passava insieme a quella donna e più si convinceva di averne passato
troppo. Gwen era una persona con molte qualità, in gamba, attraente e
determinata. E se non fosse stato per la miriade di difetti che però
sovrastavano quelle poche buone proprietà che possedeva, probabilmente Dean
sarebbe riuscito a sopportarla più di una settimana. Peccato che la situazione
fosse un tantino diversa...
«Oh, ti prego!» fece Dean, sperando di chiudere quella conversazione con una
supplica. Ovvio che però non successe.
«Avanti» insistette la ragazza, disegnandosi quel dannatissimo sorriso che
sfoggiava quando voleva in tutti i modi tentare di corrompere il suo
interlocutore. «Ho visto la tua faccia quando l'hai vista. E ho visto la sua
quando ti ha visto in mia compagnia...», e lasciò la frase in sospeso, di nuovo
allusiva.
Dean voltò la testa nella sua direzione, soltanto per poterla guadare in modo
minaccioso. Ma Gwen continuava a sorridere, per niente impressionata o
intimorita.
«C'è qualcosa in ballo con quell'angelo biondo, mh?» riprese dopo una breve
pausa di silenzio passata a fissare uno gli occhi dell'altro, quando Dean tornò
a guardare la strada.
«Non sono affari che potrebbero riguardarti. Anzi, non ti riguardano affatto.
Perciò ora 'sta zitta o giuro che ti stendo!» ribatté Dean, in tono grave.
«Non aspettavo altro, dolcezza» rispose lei, ancora con un nuova battuta a
doppio senso.
Dean scosse la testa con un sorriso sghembo, un po' divertito e un po'
stizzito. Ma fortunatamente quel discorso venne a mancare non appena accese la
radio e alzò il volume, rapido, prima che Gwen potesse di nuovo riprendere a
parlare. Se lo conosceva davvero almeno un po', sapeva che quello era un modo
come un altro per mettere il punto ad una faccenda.
Arrivarono a Toledo dodici ore dopo, nel tardo pomeriggio. Gwen ebbe la
possibilità di bere la sua dose di caffè giornaliera, mentre Dean di
trangugiare un hamburger con doppio bacon.
«E' buoniffiimo» commentò a bocca piena, dopo aver imboccato l'ultimo boccone.
Dean, Gwen e Michael erano ancora a bordo dell'Impala. I due cacciatori erano
piuttosto tranquilli nonostante tutto, mentre l'esca viva sembrava un tantino
fuori di sé.
«Non... i-io non posso farlo. Non posso!»
«Ehi! 'Fta calmo!» borbottò Dean mentre masticava. «Ambrà tutto beme.»
«COME FAI A DIRLO, MH?!»
«Perché abbiamo già affrontato situazioni del genere, e sappiamo come
comportarci» rispose Gwen, calma.
«Certo, non siete voi quelli che rischiano di essere mangiati da uno sbaglio
della natura!» Difese la sua teoria Michael, guardandosi attorno come se
avvertisse un improvviso senso di claustrofobia. O di comune panico.
«Gli manca solo l'asma!» Brontolò tra
sé e sé Gwen sforzandosi di non ruotare gli occhi o di non gettargli il suo
caffè bollente addosso. E dal sorrisetto divertito di Dean capì che anche lui
aveva sentito quella sua considerazione poco professionale.
«Afcolta, non poffia-»
«Ingoia, Dean» lo ammonì come una mamma per la seconda volta. Anche se lei era
la prima a blaterare quando mangiava, non poteva farsi scappare l'occasione di
dargli degli ordini, spalleggiata da una cosa che la gente chiamava
"Galateo".
Il rumore che fece la gola del ragazzo quando deglutì sarebbe sembrato
preoccupante a chiunque ma Gwen non se ne preoccupò: sapeva quanto fossero
grandi i morsi di Dean e sapeva quanto fossero difficili da mandare giù tutti
interi. Chiamiamolo pure un punto in comune.
«Non possiamo farlo senza di te, Michael. Sei l'unico socio rimasto e tutti
quelli che lavorano a questo progetto -o che ci lavoreranno- sono in pericolo»
osservò coscienzioso, gettando la carta del panino sui sedili posteriori, come
se Michael non ci fosse nemmeno. «Anche se tu ne uscirai fuori, altri
imprenditori e finanzieri metteranno gli occhi sulla diga e la storia si
ripeterà.»
E c'era la reale probabilità che le parole di Dean divenissero dei fatti. Fatti
dei quali avrebbero dovuto occuparsi i due cacciatori più tardi, in ogni caso.
Fare leva sulla coscienza della gente era uno dei tanti modi -tra i più
efficaci- che i cacciatori avevano per sperare in una collaborazione da parte
dei comuni mortali, totalmente all'oscuro degli eventi paranormali.
«Spera solo che non sia andato dalla tua famiglia, piuttosto» parlò
l'inesistente sensibilità di Gwen. «Anche se quella cosa sa che non sei in
casa, che sei con noi, potrebbe sempre essere andato dai tuoi familiari per...
per non rimanere con lo stomaco vuoto.» Sapeva che quello che stava dicendo lo
avrebbe spaventato ancora di più ma lei utilizzava dei metodi con una pressione
psicologica più elevata, non si basava sulla coscienza delle persone. Mai. «Ora
come ora è il tuo punto debole. È l'unico modo che ha per attirarti da lui.»
«Abbiamo a che fare con la versione marina di Patrick Jane» fece del sarcasmo
Dean, alleggerendo l'atmosfera.
«Tu guardi "The Mentalist"?» Chiese shockata Gwen, guardandolo col
sorrisetto sulle labbra.
«Pff, figuriamoci!»
«Giusto, tu il venerdì sera sei in giro a rimorchiare, come potresti vederlo?»
Gli resse il gioco seminando però qualche trappola lungo la sua frase.
«Martedì» lo disse senza pensarci, lo sguardo sulla strada, convinto di aver
vinto una battaglia con lei solo per il semplice fatto di averla corretta.
Ma si accorse troppo tardi dello sbaglio commesso.
Quando si voltò per guardarla, lei esibiva il sorriso più smagliante che avesse
mai potuto avere in repertorio.
Ok, non lo sopportava più ma era divertente avere a che fare con quell'idiota
di Dean Winchester.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Imprevisti ***
djsif
«Volete piantarla, per
favore? Io qui rischio di lasciarci la pelle!» riprese Michael, lamentandosi e
interrompendo quel momento così divertente per Gwen. Non appena l'uomo aprì di
nuovo bocca, i due cacciatori alzarono gli occhi al cielo.
«Amico, noi rischiamo di
lasciarci la pelle ogni giorno» ribatté Dean con noncuranza, come se stesse
parlando dei pasti che mangiava giornalmente a pranzo.
«Sul serio?» chiese Michael, incredulo. Gwen annuì e Dean sollevò lo sguardo
sullo specchietto retrovisore, che rifletteva il viso di quel poveraccio
spaventato, seduto nei sedili posteriori.
«E' il nostro lavoro» rispose, serio. Ci fu una pausa durante la quale Michael
distolse lo sguardo da quello insistente di Dean, pensieroso. «Puoi fidarti»
riprese il ragazzo, attirando di nuovo la sua attenzione.
Michael sospirò e socchiuse gli occhi. Infine annuì in risposta, anche se
sembrava più volersi farsi forza da solo.
«Facciamolo!»
«Questo è lo spirito giusto!» esclamò Dean con entusiasmo, abbozzando un
sorrisetto rivolto a Gwen, che ricambiò con una certa soddisfazione.
Attesero l'imbrunire del cielo prima di raggiungere il lago: avevano bisogno
della penombra perché la creatura uscisse allo scoperto. Dean ripeté più volte
a Michael che loro sarebbero stati lì, vicini a lui, pronti ad aiutarlo. Gwen
si limitò a dargli una pacca sulla spalla.
Se Sam fosse stato lì con loro lo avrebbe rassicurato con qualche frase dolce e
ragionevole, e forse Michael, guardando gli occhioni da cucciolo del piccolo
Winchester, si sarebbe lasciato abbindolare molto più facilmente.
Quando scese dall'Impala, Dean e Gwen si guardarono, sperando che il piano
sarebbe proceduto come premeditato. Poi si armarono fino ai denti: pistole con
pallottole d'argento, per Dean un'ascia e per Gwen una lama abbastanza
affilata.
«Con questa accecheremo quel figlio di puttana» disse Dean, prendendo la torcia
dal portabagagli prima di chiuderlo e avviarsi verso gli alberi del boschetto
lì vicino.
La postazione che scelsero non era delle migliori ma era quella più adeguata:
bisognava adattarsi in qualche modo.
Non molto lontani dal lago, mimetizzati con l'ambiente grazie a quell'oscurità
appena accennata, Gwen e Dean se ne stavano ad aspettare con gli occhi socchiusi in due fessure
per poter vedere attraverso le foglie e le varie forme di boscaglia del posto.
«Credi che quella torcia basterà a stordirlo?» Domandò dubbiosa abbassando lo
sguardo sull'oggetto nelle mani di Dean.
«Vive nelle profondità, giusto? Lì la luce non arriva quasi per niente, quindi credo
di sì.»
«Credi?»
«Funzionerà.» E questo bastò per condividere con lei quel po' di sicurezza in
più che stava tanto cercando ponendogli quelle domande "tecniche" sul
caso. Ecco perchè odiava avere a che fare con esseri sconosciuti.
«D'accordo, allora appena vediamo qualcosa muoversi nell'acqua partiamo con la
torcia» ripassò il programma la biondina, distraendosi solo un attimo per poter
recuperare un binocolo a infrarossi dalla tasca della giacca. Era utile per gli
avvistamenti.
«Scapperebbe. In acqua è avvantaggiato. Se è così veloce sulla terra ferma,
possiamo considerarci senza speranze in uno scontro subacqueo, ci porterebbe
sotto e ci affogherebbe in meno di due secondi.»
«Ti prego, non essere così ottimista!» Lo istigò con sarcasmo mentre portava
l'oggetto agli occhi, scrutando la superficie del lago. Più zoomava, più
benediva l'inventore di quello strumento. La chiarezza delle immagini era
rassicurante. «Quindi cosa facciamo? Aspettiamo che si allontani dall'acqua?
Così rischiamo di perdere anche Michael. L'hai detto tu che sulla terra ferma è
velo-»
«Ci sto lavorando.» A quelle parole rimase per un attimo interdetta. Abbassò il
binocolo e lo scrutò, immobile. Che diavolo significata che "ci stava
lavorando"? Michael era lì ad aspettare di essere attaccato e lui non
aveva neanche avuto la brillante idea di pianificare qualcosa di specifico?
«Scusami tanto Flash, ma abbiamo un uomo dall'ansia facile sul posto
dell'aggressione e poco tempo a disposizione. Potresti essere un po' più rapido
con le sinapsi?»
A quel nomignolo, come colpiti entrambi da un fulmine, spalancarono gli occhi
sincronicamente. Si guardarono con il tipico sguardo da "pensi quello che
penso io?" e quando si voltarono entrambi verso Michael, capirono di avere
in mente la stessa idea.
Mimarono il gesto del cellulare, come ad invitarlo ad usarlo in caso di
emergenza. Almeno adesso erano sicuri che, se solo per qualche motivo sarebbe
scappato a loro, non sarebbe scappato all'apposita applicazione del cellulare
tecnologico di Michael.
Michael tirò fuori il telefono e
sospirò profondamente, gli occhi chiusi. Per un momento Dean pensò che stesse
per avere un altro attacco d'ansia, ma fortunatamente sembrò calmarsi -per
quanto la situazione lo permettesse- subito dopo.
«D'accordo, siamo a cavallo» mormorò sottovoce, Dean, senza mai togliere gli
occhi di dosso a Michael. «Ora dobbiamo so-»
Un fruscio alle loro spalle. Dean e Gwen si voltarono indietro, in uno scatto.
È solo il vento, pensò. Ma quando ci fu un altro movimento tra i cespugli, non
appena fecero per voltarsi, cambiò ovviamente idea.
«Vado a controllare» disse Gwen, osando qualche passo in avanti. Dean le
afferrò il polso quasi subito.
«Tu non vai da nessuna parte», le indicò Michael con un cenno eloquente della
testa. «È una trappola. Sa che siamo qui e sta cercando di allontanarci dalla
sua cena.»
Entrambi si guardarono attorno, furtivi. Michael se ne stava immobile, con le
mani strette in due pugni, davanti al lago.
«Tienilo d'occhio.»
«No, aspetta!», Gwen afferrò il braccio di Dean, proprio come lui aveva fatto
con lei pochi secondi prima. «Non puoi andare, l'hai detto tu che è una
trappola.»
«Se non facciamo il suo gioco non uscirà mai allo scoperto» ribatté Dean,
ragionevole. «Uno di noi deve andare a controllare e non sarai tu.»
Gwen restò in silenzio, sembrava quasi sorpresa dalle sue parole.
Be', poteva anche essere egocentrica, piena di sé, antipatica e insopportabile.
Ma nonostante questo era importante per Dean, era un'amica e non aveva
intenzione di perderla o avere la sua morte sulla coscienza. Ne aveva fin
troppe ormai.
Dean avanzò verso l'oscurità, addentrandosi nel boschetto, ora, davanti a lui.
Il manico della pistola ben stretto in una mano e la torcia nascosta dentro la
giacca. Sembrava apparentemente tutto tranquillo, ma sapeva perfettamente che
l'Ahuizotl era lì, nascosto da qualche parte.
Dean si schiarì la gola, si disegnò un sorrisetto arrogante sulle labbra e,
come se niente fosse, cominciò a fischiare come si faceva per attirare
l'attenzione di un cane.
«Qui, bestiaccia, qui!» disse a voce alta, spostando lo sguardo da un cespuglio
all'altro. «Avanti! Vieni fuori, figlio di puttana!»
Un movimento alla sua destra. Dean si irrigidì e mandò giù un bel po' di
saliva.
«So che ci sei» proseguì con calma, girando cautamente su se stesso, cercando
di individuarlo nel buio.
Colse due piccole luci bianche appena dopo il tronco di una quercia. Dean
aggrottò la fronte e si immobilizzò, le mascelle rigide. Gli occhi
dell'Ahuizotl erano come due fari nella notte. La creatura ringhiò e si fece
avanti lentamente. Dean arretrò e non appena capì che quella cosa stava per
attaccarlo, accese la torcia e lo accecò.
«HA! Non fai più lo spiritoso, non è vero?!»
In pochi secondi l'Ahuzotl sparì di nuovo.
Non era per niente entusiasta della decisione di Dean: vederlo sparire nel
bosco, prendere il suo posto con tanta nonchalance: era stato un colpo basso.
Se non fossero stati nel bel mezzo dell'azione conclusiva avrebbe volentieri
aperto una lunga discussione riguardo ai loro ruoli.
«Dean?» Sussurrò a bassa voce dopo una manciata di minuti passati in silenzio
ad alternare lo sguardo dalla fitta vegetazione al loro amico-esca ancora
immobile al suo posto come raccomandatogli.
Non avrebbe lasciato la sua postazione, sapeva che non avrebbe potuto farlo,
neanche nel caso Dean fosse stato attaccato o chissà cosa: non glie lo avrebbe
mai perdonato.
Nonostante la voglia di andare a controllare crescesse in lei ogni minuto che
passava, rimase a fissare Michael, fiduciosa.
Quest'ultimo si voltò nuovamente verso il bosco ma, quando vide solo Gwen a
fargli da "spalla" iniziò nuovamente a respirare frenetico e a
muovere le sue pupille da destra e sinistra. Aveva tutto il diritto di essere
terrorizzato: dalla sua parte vedeva solo una ragazza arrogante che gli aveva
rivelato la sua estrema facilità nell'uccidere gente comune. Come avrebbe
potuto rimanere calmo?
«Non ce la faccio» disse l'uomo, parole che la ragazza riuscì a cogliere anche
da quella distanza attraverso la lettura del labiale.
«Non entrare nel panico proprio adesso, andiamo!» Si lamentò tra sé e sé non
potendo nemmeno raggiungere Michael per dargli quel po' di coraggio che
l'avrebbe nuovamente convinto a lottare per la causa giusta. Che poi lei non
fosse brava in quelle manifestazioni di altruismo era un altro paio di maniche.
Quando vide l'uomo allontanarsi dalla riva per poi mettersi a correre verso la
parte opposta, senza una meta precisa, fu costretta a smascherare
definitivamente quella loro copertura e a raggiungerlo, correndogli
inevitabilmente dietro.
«Sto correndo dietro ad un uomo al quale non interessano le ragazze. Non
pensavo che l'avrei mai detto» Pensò ad alta voce ironica mentre lo rincorreva,
iniziando solo dopo a chiamarlo per nome. Per il suo vero nome: ennesimo evento
dell'anno. «Michael! Michael torna qui!» E la sua voce tuonò più violenta del
dovuto, una sorta di minaccia incombente sull'uomo. «Giuro che non ti butto nel
lago, ma fermati!»
E questo si arrestò ma non per fare un favore a Gwen, piuttosto per riprendere
fiato. L'avrebbe volentieri ammazzato lei stessa.
«Non posso farlo, io non sono come voi!» Si sfogò l'uomo raccogliendo le forze
parola dopo parola.
«Lo so.» Tagliò corto lei guardandosi indietro con la coda dell'occhio ma non
lasciandosi scappare da sotto il suo radar Michael.
«Moriremo tutti, non è vero?»
«Di certo la tua improvvisata non ha giocato a nostro favore, visto che siamo
nel bel mezzo del nulla» asserì sincera decidendo di ricorrere al suo machete
come arma di difesa nel caso di attacco.
E dopotutto se li aspettava, quei rumori di foglie secche sbriciolarsi ad ogni
passo che sembrava essere proprio del loro amico canontra.
«E neanche questo ci è d'aiuto» sussurrò riferendosi a quel fruscio che non
prometteva nulla di buono.
Silenzio. A circondarlo c'era soltanto un silenzio inquietante, spezzato di
tanto in tanto dal fruscio delle foglie a contatto con la brezza della notte.
Dean si guardava attorno, furtivo, aspettandosi di vedere quell'affare sbucare
fuori all'improvviso, pronto a cibarsi con le parti più disgustose di un corpo
umano. Ma non successe nulla. Aggrottò la fronte, sospettoso.
L'Ahuizotl era andato via, probabilmente a finire ciò che aveva cominciato,
uccidendo Michael e magari anche Gwen se avesse cercato di impedirglielo.
Eppure Dean sentiva qualcosa, una presenza che non aveva nulla a che fare con
la sensazione che si prova dopo aver guardato un film horror.
Un movimento. Dean si voltò, mentre il cuore batteva forte e sonoro dentro il
suo petto. Ma non vide nulla.
«Questa storia non mi piace» mormorò tra sé e sé.
Poi sentì ringhiare, proprio lì, alle sue spalle. Deglutì e si immobilizzò per
qualche secondo, prima di girarsi con cautela. L'Ahuizotl lo guardava, con la
bava che gli colava ai lati dei denti affilati. Non era lo stesso con cui aveva
avuto a che fare qualche minuto prima, era molto più piccolo, ma probabilmente
assetato di sangue quanto la madre.
Sospirò e strinse il manico dell'ascia ancora più forte. Quando la creatura gli
si avventò contro, Dean la decapitò in un colpo secco. La testa rotolò via come
una palla da bowling e il corpo cedette sul terreno. La coda, stranamente,
continuò a muoversi e la mano tentò vanamente di afferrarlo. Dean fece una
smorfia, disgustato dalla scena. Poi un altro colpo secco, proprio come Bobby
gli aveva detto di fare. Cosparse il corpo con un po' di benzina -presa in
precedenza dal portabagagli dell'Impala- e gli dette fuoco senza pensarci due
volte.
Uno sparo. Dean alzò gli occhi, guardò aldilà degli alberi.
Gwen...
Abbandonò il falò e corse via, il cuore che aumentò in una velocità quasi
preoccupante. Sperava soltanto che la ragazza stesse bene e che quel Michael
non avesse combinato casini.
Arrivò giusto in tempo per vedere l'Ahuizotl rialzarsi come se la pallottola
non l'avesse nemmeno sfiorato.
«Ehi!» urlò per attirare l'attenzione, ma il mostro non sembrò granché
interessato, dato che aveva un Michael impaurito servito su un piatto d'argento
e una Gwen ferita e fuori gioco. Probabilmente era stata morsa.
Prese una pietra e gliela lanciò addosso, colpendolo proprio sulla testa.
«Ho appena ucciso il tuo figlioletto!» aggiunse a voce più alta, in modo che
quell'essere sentisse bene quelle parole. Quando si voltò nella direzione di
Dean, capì che la cosa aveva funzionato.
«Gli ho appena mozzato la testa mentre la sua manina faceva ciao ciao» lo
canzonò con un sorrisetto.
L'Ahuizotl saltò addosso al cacciatore in men che non si dica, assetato di
vendetta. Era stato così veloce che Dean non se ne accorse nemmeno. In più
l'ascia gli era scivolata via dalle dita.
Si ritrovò schiacciato contro il terreno, la zampa di una lontra sul petto e
una lunga scia di bava che gli colava addosso. Non aveva notato quanto i denti
di quel mostro fossero appuntiti prima di allora. L'alito pesante che ricordava
tanto l'odore ferroso del sangue. Dean strinse gli occhi e cercò a tentoni la
sua ascia. Tentò di recuperare la pistola dai jeans o la torcia da dentro la
giacca, ma nella posizione in cui era e con il peso dell'Ahuizotl che gravava
su di lui, era praticamente impossibilitato.
D'un tratto la creatura gemette e si scostò velocemente. Una mano con lunghi
artigli giaceva accanto a Dean. Ben presto la raggiunse anche un grossa testa
di un Rottweiler.
«Hai sempre avuto un ottimo tempismo» disse il cacciatore quando vide Gwen
impugnare una lunga lama tagliente e sporca di sangue.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Non è un addio ***
Non è un addio
«Me lo farò incidere
sulla lapide» ironizzò lei porgendogli la mano ancora integra affinché ci si
aggrappasse per tirarsi in piedi.
Avere la sua mano preferita fuori uso la faceva sentire debole ed impedita:
avrebbe tanto voluto essere ambidestra come sua
sorella ma purtroppo adesso doveva muovere il meno possibile la destra e se ne
sarebbe dovuta fare una ragione.
«Ti ha morsa?» Sembrò piuttosto un'affermazione o uno "stai bene" che
una vera e propria domanda retorica.
«Quell'affare mi ha aggredita e voleva fare delle mie unghie uno spuntino. Il
machete mi è scivolato dalle mani quando mi ha atterrata e così, mentre tentavo
di recuperare la pistola dalla fondina, mi ha morsa al polso.» Riassunse mentre
lo vide alzarsi in piedi e scrollarsi di dosso la bava della bestia con
disgusto. «Ma non è del polso che mi preoccupo» ringhiò tentando di domare
quella sua incazzatura che iniziava a salirle fino al cervello. «Guarda qua!» E
si passò la mano sinistra sulla guancia del medesimo lato del volto. «Io con questa
ci lavoro!» Si lamentò alludendo ai suoi metodi poco corretti di ottenere
qualcosa dagli altri, specialmente dal genere maschile. «E se rimarranno le
cicatrici, considerati morto!» Questo ultimo messaggio era dedicato a Michael,
seduto con la schiena contro il tronco di un albero probabilmente secolare.
Certo che il tipo era davvero scosso.
«Sarà meglio riportarlo a casa» suggerì Dean giocherellando con la testa dalle
sembianze canine per terra, facendola rotolare sotto la suola della scarpa,
proprio come se fosse stato un pallone. Tutto questo prima di dare fuoco anche
a quella bestia. E di fatto fu quello che fecero.
Lungo il sentiero che li riportava all'Impala, Gwen si strappò una manica della
maglia per farne delle bende improvvisate da avvolgere attorno al polso, mentre
per la sua amata faccia rivolgeva solo lamenti e preghiere. Michael li seguì
senza dire una parola, lottando con molta probabilità contro la sua coscienza.
O forse era ancora una volta spaventato dalle minacce della bionda. Qualsiasi
fosse stato il motivo del suo silenzio, ai cacciatori andava più che bene.
Gli spiegarono l'importanza di un altro genere di silenzio, quello che avrebbe
dovuto mantenere con tutti riguardo la faccenda dei mostri reali e dei
cacciatori che se ne sbarazzavano e l'uomo annuì, trattenendo a fatica le
lacrime prima di scendere dall'auto una volta arrivati davanti alla sua
villetta. Mormorò un grazie al di là del finestrino, colpevole, ma entrambi i
ragazzi alzarono le spalle e gli sorrisero. Sì, anche Gwen lo salutò in quel
modo nonostante tutto: la fuga, le lagne, la faccia sfregiata.
Dalla finestra una forte luce fece contrasto con le ombre dei corpi al suo
interno, mostrando a Dean e a Gwen il lieto fine di Michael. Sempre che quello
potesse essere considerato tale. Era vivo, se lo sarebbe fatto bastare come
finale.
«Torniamo al motel» mormorò la ragazza, distrutta, appoggiando le testa sul
sedile e chiudendo gli occhi.
Dean e Gwen tornarono ben presto al motel, stanchi morti e doloranti ovunque.
L'unica cosa che i loro occhi riuscivano a vedere in quel momento, era l'unico
letto al centro della stanza, quello sul quale avevano dormito per un'intera
settimana.
«Ecco perché il canontra ha
ammazzato quei poveri idioti» rifletté ad alta voce, mentre si sfilava il
giaccone e lo abbandonava su una sedia. «Voleva proteggere suo figlio.»
«Molto nobile» ironizzò Gwen, sedendosi al tavolo nell'angolo della camera,
tirando fuori il suo personale kit d'emergenza dal borsone.
«Già, peccato che fossero entrambi degli orribili mostri», le si avvicinò, le
prese la mano ferita e si inumidì le labbra. «Lascia, faccio io.»
Si sedette accanto a lei e si servì di un po' d'acqua ossigenata, dell'ovatta e
una benda elastica. Disinfettò il morso al polso che adesso aveva smesso di
sanguinare.
«Grazie» mormorò Gwen.
«Non c'è di ché» rispose Dean, senza guardarla, concentrato su ciò che stava
facendo.
Aveva come l'impressione che lo sguardo della ragazza fosse come un riflettore
puntato su di lui. Sì, sapeva perfettamente che Gwen lo stava osservando e
anche un po' ostinatamente. Tuttavia preferì non ricambiare quel contatto
visivo, continuando a tamponare la ferita con l'ovatta.
«Allora...» fece all'improvviso lei, dopo una lunga pausa di silenzio. «A
quest'ora in altre circostante staremmo già facendo sesso.»
Dean le lanciò un'occhiata breve, ma restò in silenzio. Era piuttosto sicuro
che Gwen non avesse ancora finito. E infatti...
«Suppongo che per stavolta vorrai passare» continuò, sorridendo beffarda.
«Ah sì?»
«Mhmh», Gwen annuì.
«E cosa te lo fa pensare?» domandò Dean, fasciandole il polso. «Ecco fatto.»
«Mh, vediamo... il tuo comportamento, l'evitare costantemente il mio sguardo e
l'immagine di un bel visino d'angelo impressa nelle tue retine.»
Dean scosse la testa, sorridendo divertito. Anche Gwen sorrise. Probabilmente
perché sapeva di aver ragione.
Loro due non avevano mai seguito un caso insieme senza poi finire nudi e
appiccicati l'un l'altro sotto le lenzuola.
«Non è per te. E non è nemmeno per Jo. Solo...» sospirò, alzando appena le
spalle. «Non lo so.»
Gwen lo guardò a lungo, come a volerlo studiare per bene. Poi annuì e sussurrò
un ''capisco''. Dean dubitava che lei potesse capirne qualcosa, francamente.
Era una strana sensazione quella che provava, una sensazione alla quale non
riusciva a dare un senso o un nome. Nonostante questo però non disse nulla
riguardo quell'argomento, anzi, scelse di cambiarlo.
«Sarà meglio riposare qualche ora prima di partire.»
Fino ad allora non aveva mai studiato Dean nè aveva mai provato a farlo e
questo semplicemente perchè non le era mai capitato di volersi interessare di
qualcun altro se non di sé stessa. E poi quel ragazzaccio che le stava
attualmente fasciando il polso di solito non aveva bisogno di interpretazioni,
non per lei. Più che un libro aperto per Gwen Dean era come una scritta su un
muro pubblico, un graffito che tutti avrebbero potuto vedere ma che nessuno
riusciva a leggere. Ecco perchè si chiedeva così spesso come fosse possibile
una cosa del genere, com'è che lei riuscisse a capirlo senza il minimo sforzo
mentre per altri era più che un'estenuante impresa che poi finivano
inevitabilmente per abbondare a mezza strada, ritenendo scarabocchio ciò che in
realtà era solo una diversa forma d'arte. Poi con il passare del tempo,
apprendendone le abitudini, arrivò alla conclusione che vigeva ancora nella sua
testa, salda. Erano uguali. Certo, non nel senso più stretto del termine ma,
per quanto riguardava quel loro modo di fare diretto ed insopportabile, lo
erano.
Per questo troncò il discorso e decise di volarci sopra con noncuranza, perchè
era questo il trattamento che avrebbe voluto ricevere lei se fosse stato nei
suoi panni.
«Sarà meglio riposare qualche ora prima di partire.»
Ed era vero, questa volta anche lei si sarebbe dovuta includere in quel bel
quadretto fatto di potenziali incubi e mal di schiena post-dormita su un
materasso senza più una molla ad ammortizzare. Anche perchè non se la sentiva
più di rimanere in piedi, per nessun motivo: i casi come quelli la stancavano
più del dovuto.
«Sarà meglio darsi una mossa, allora» lo spronò assicurandosi che la fascia
fosse ben stretta attorno al suo polso. Era certamente meglio di qualsiasi
altro scempio che avrebbe potuto fare lei con il solo ausilio della mano sinistra,
in ogni caso. «Per quanto ne so, Bobby potrebbe chiamarti da un momento
all'altro per chiederti di andare dall'altra parte del Paese e dare una mano a
qualche cacciatore ritieni insopportabile quanto me» disse sarcastica alzandosi
e riponendo il kit nel suo borsone, prontamente abbandonato ai piedi del letto.
Atmosfera recuperata. L'ironia riusciva a salvarla da un sacco di situazioni
scomode, tanto da diventare una delle sue armi preferite.
«Se vuoi fare una doccia, sai dov'è il bagno.» Ma comunque ne indicò la porta
con un cenno della testa, sedendosi poi sul letto per potersi togliere le
scarpe ancora sporche di terriccio umido e sangue di canontra. Meglio quel nome
di un ammasso di lettere prese a caso. «Prometto di non spiarti dal buco della
serratura.»
«Non c'è nessun buco della serratura su quella porta, Gwen» fece
intelligentemente la sua osservazione il ragazzo, adesso con un leggero
sorrisetto sulla labbra.
«Infatti è per questo non lo farò» sorrise ancora più ampiamente lei senza peli
sulla lingua come da copione, appoggiandosi alla spalliera del letto.
La notte passò velocemente, o almeno questa fu l'impressione di Dean. Era così
stanco che dormire fino al sorgere del sole gli era sembrato chiudere gli occhi
per qualche minuto. Prepararono i bagagli, controllarono di non aver
dimenticato nulla all'interno di quella stanza, poi chiusero la porta alle loro
spalle e restituirono la chiave alla proprietaria del motel.
Dean si trascinò fino all'Impala, un borsone sulla spalle e l'altro tenuto ben stretto
dalla mano sinistra. Aprì il portabagagli e si guardò attorno: era meglio
accertarsi che non ci fosse gente in giro prima di aprire lo scompartimento
segreto. Sistemò le armi insieme alle altre, chiuse il sottofondo, abbandonò il
secondo borsone nel portabagagli e poi chiuse anche quello.
Di solito Dean e Gwen non si salutavano mai senza prima aver fatto sesso. Era
una situazione un po' strana e imbarazzante, in un certo senso. Già,
imbarazzante. Due persone normali avrebbero provato imbarazzo dopo essere state
a letto insieme, magari. Per loro invece era il contrario.
Si voltò verso di lei, la schiena contro il parabrezza. Le rivolse un sorriso e
si schiarì la gola.
«Allora...» fece la ragazza, facendo un passo in avanti, le mani affondate
nelle tasche dei jeans stretti.
Dean arricciò le labbra e spostò lo sguardo altrove per un momento.
«Questo dovrebbe essere un addio.»
«Dovrebbe» ricalcò quella parola con ironia, il cacciatore. «Ma non lo è. Ci
rivedremo ancora.»
«Mh», Gwen sorrise.
A Dean sembrò di intravedere una strana luce nei suoi occhi, sembrava quasi
speranza. Magari non le dava poi così tanto fastidio la sua presenza.
«Mi mancherai» aggiunse, il ragazzo, abbozzando un sorriso.
Gwen lo guardò a lungo. Poi sorrise anche lei, abbassando lo sguardo.
«Cos'è? Ti è così difficile ammettere che sarà così anche per te?» domandò
retorico Dean, con un tono divertito.
«No» rispose Gwen, scrollando le spalle. «Mi mancherai anche tu. Non sei poi
così male, dopotutto.»
Dean si inumidì le labbra e annuì alle sue parole, pienamente d'accordo con
lei.
«Esattamente» affermò con convinzione, ricevendo in risposta una spinta
affettuosa da parte di lei.
Ridacchiarono. Il silenzio calò all'improvviso quando un camion andò a
parcheggiarsi proprio accanto all'Impala, interrompendoli.
«'Sta lontana dai guai, okay?» fece dopo una breve pausa. «Ciao Gwen.»
Si allontanò verso la portiera sinistra dell'auto, ma proprio quando fece per
aprirla Gwen attirò di nuovo la sua attenzione con un ''aspetta''. Gli si
avvicinò e, senza preavviso, gli afferrò la faccia con le mani e lo baciò, e
non esattamente nel modo più casto e puro che si possa immaginare. Dean
ricambiò senza pensarci due volte, ovviamente. Ma quando si allontanarono la
guardò stupito e sorpreso.
«Perché?» chiese, accigliato.
«Non me ne vado mai a mani vuote, Dean. Dovresti saperlo» rispose Gwen, facendo
un enorme sorriso. «Ci vediamo in giro, stronzetto!»
Gli voltò le spalle e si avviò verso l'altra parte della strada, pronta a
mettersi a bordo della sua auto, come Dean del resto.
«Ci vediamo in giro» mormorò Dean, sorridendo tra sé e sé.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=2124006
|