across the universe

di RedFrekle Loves Macca
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L' orologio d' oro ***
Capitolo 2: *** Viaggio nel tempo ***
Capitolo 3: *** I'm back in the 60s ***
Capitolo 4: *** Giuliana Maria Carelli ***
Capitolo 5: *** PS I Love You ***



Capitolo 1
*** L' orologio d' oro ***


Tutto ciò che nonna Giulia mi ha lasciato è un orologio da taschino placcato in oro risalente al 1800.
Sopra vi è inciso un disegno simile a un grande rosone, si apre a scatto, le lancette e i numeri sono molto consumati ma  funziona ancora anche se qualche volta il meccanismo si inceppa. Non ho idea del perché me l’ abbia lasciato, ricordo solo che poco prima di morire mi accarezzò la guancia con le sue dita nodose e tremanti per la malattia e, con voce fioca mi sussurrò delle parole che tra loro mi sembravano sconnesse: “ Tesoro, l’ orologio è il viaggio. La rosa è la porta.”
Ho provato a scrostare più volte quel rosone sull’ orologio pensando che sotto potesse esserci nascosta una foto, un biglietto ma nulla, non facevo altro che rovinarlo così lasciai perdere e mi convinsi che la mia povera nonna stava solo delirando prima di andarsene via per sempre.
Ora sono sola. Sola nella mia camera abbracciata al mio cane di pezza, Pongo, che mi guarda coi suoi occhi vacui. Non ho più nessuno che si occupi di me, né un fratello o sorella, né un parente vicino … i miei genitori sono morti, mia nonna è morta e mi chiedo se non sia morta anch’io.  Le pareti della mia stanza sembrano dilatarsi al tal punto da farmi credere di essere un puntino perso sull’ isola verde che si staglia nel mare blu stampato sulla mia coperta e, in questo mondo così vuoto, grigio e triste che si è formato intorno a me, gli unici capaci di salvarmi dallo squallore nel quale è caduta la mia vita, sono i Beatles. E’ stato mio padre che mi ha trasmesso la passione per la loro musica:  da piccola, mi cullava sulle note di “And I love her”, “Little child” e “All my loving”. E’ stato lui a insegnarmi gli accordi della chitarra all’ età di sei anni e così, ho deciso di diventare una chitarrista professionista.
La mia chitarra si chiama Linda  e ora mi guarda nella speranza che io la suoni ma, dal tragico giorno dell’ incidente, non ho più la forza di farlo. Tutto ciò che posso fare è chiudere gli occhi, abbracciare Pongo, mettere su un vinile e isolarmi da questo mondo che sembra non volermi più bene.
Ma facciamo un passo indietro.
In una tranquilla mattinata di sole, decido di scendere in strada a rilassarmi un po’, dopotutto anch’ io merito uno sprazzo di felicità o quantomeno di benessere.
E’ il 20 Dicembre, nonostante il vento freddo che si staglia nel cielo blu intenso, il sole sulla pelle mi scalda il cuore e il tintinnare delle campanelle poste sulle porte dei negozi scosse dai passanti alla disperata ricerca di un regalo, mi fa stare bene.  Decido di prendere un regalo anche per me, me lo merito e all’ angolo della strada, c’è  proprio quello che cerco: un negozio di vinili antichi a basso prezzo, si chiama “L’ angolo dei sogni danzanti” e davanti a un negozio che si chiama così, non puoi non fermarti a dare un’ occhiata. Il proprietario è un uomo anziano, molto simpatico che mi mostra un’ intera collezione di dischi dei Beatles e io mi innamoro di una copertina rovinata di “Across the Universe”, lo faccio incartare e lo porto a casa con me.
Non avrei mai immaginato che quel vecchio vinile avrebbe cambiato la mia vita.
Appena tornata a casa, mi scrollai il freddo da dosso con una bella cioccolata calda e subito dopo, tirai fuori dal mio pacchetto regalo il vinile appena comprato.  Non appena la punta metallica del giradischi toccò la superficie ruvida dell’ LP, accadde qualcosa di strano: la mia borsa cadde bruscamente dalla sedia e Felix, il mio gatto, saltò giù dal divano correndo spaventato nella mia camera. Tolsi subito il disco per vedere cosa fosse successo, arrivata in camera mi accorsi che quello stupido gatto nero aveva fatto a pezzi la mia tazza preferita e tentava di nascondere i cocci sotto al letto: “La pagherai, gattaccio”, urlai. Come al solito, si nasconse sotto al letto ma stavolta, nella penombra delle coperte, sul pavimento freddo notai un biglietto: “ Cara Rebecca, tieni l’ orologio con cura. Potrai viaggiare per l’ universo. Se lo vorrai, negli anni sessanta sarai. Non ho la forza per spiegarti, ma sono certa che un giorno capirai.”
“Un altro biglietto delirante della nonna”, pensai. Però, che coincidenza! Poco fa stavo ascoltando proprio “Across the Universe” e se la nonna volesse realmente dirmi qualcosa? Ma no, è solo una stupida coincidenza, dissi fra me e me, ma mi sbagliavo.
Ed eccomi qui, nella mia stanza vuota con l’ orologio della nonna  in una mano,Pongo nell’ altra e il vinile che aspetta solo di farmi sentire la sua “voce”. Sono le tre del mattino e ho bisogno dei Beatles e del ricordo dei miei cari per sentire un po’ di calore in questa gelida notte invernale.  Non appena la punta del giradischi tocca nuovamente la superficie del vinile, si sprigiona dalla mia mano un’ energia così forte che mi costringe a gettare l’ orologio d’ oro per terra che, per magia apre una specie di porticina posizionata sul disegno del rosone. Non credendo ai miei occhi, me li stropiccio più volte credendo di stare sognando ma invece no! Era tutto vero, una porticina sul rosone si era aperta e una luce rosa- violastra invade la stanza.
Improvvisamente, mi ricordo del biglietto della nonna e senza nemmeno rendermene conto esprimo il desiderio di ritornare negli anni sessanta. La luce si fa più accesa, mi acceca, la musica di “Across the Universe” continua a risuonare nella stanza con intensità sempre maggiore, sembra che le pareti della camere stiano tremando e prima che io riesca a capire cosa mi succede, vengo risucchiata letteralmente in quell’ orologio.
 

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Capitolo 2
*** Viaggio nel tempo ***


Avete presente quella sensazione di vuoto che provate in un sogno quando il vostro corpo sta per schiantarsi al suolo ma poi vi svegliate tutti sudati per la paura? Oppure quella sensazione di vertigine che precede un salto nel buio?  Immaginate questa sensazione e moltiplicatela per cento, mille, un milione di volte. Immaginate il vostro corpo che si schianta al suolo ma all’ ultimo secondo passa attraverso un’ altra dimensione per poi smaterializzarsi e diventare quasi trasparente
Devo essere morta, forse sono scivolata giù per le scale e non me ne sono resa conto. Dove mi trovo? Cos’è questa luce caleidoscopica che mi avvolge stretta? E perché se provo ad abbracciarmi incontro il vuoto?  La mia mente è pervasa da un profondo senso di smarrimento, il mio corpo non risponde ai miei comandi perché ormai non ha più consistenza fisica, è solo un’ ombra chiara che fluttua in questo spazio conico luminoso che non so dove mi porterà. D’ un tratto, mentre continuo a volteggiare in una danza impazzita e forzata, compaiono delle immagini che scorrono veloci nella luce del cono: sono scene del mio passato e del passato degli altri. Stavo veramente viaggiando nel tempo? Come poteva mai la mia mente poter avere memoria di cose che non appartenevano alla mia storia ma alla storia degli altri?
Accanto a me compaiono date storiche che descrivono eventi di varia natura ordinati da quello più recente al più vecchio. Mi viene da piangere, rabbrividisco di fronte agli orrori della guerra che si affollano su questi schermi invisibili di questa strana dimensione,. Oh aspetta?! Rido per la gioia! Sono nel favoloso mondo coloratissimo degli hippies, vorrei fermarmi ma non posso, una forza mi trascina ancora più infondo, ancora più giù, verso la fine del tunnel. Da lontano, si vede il mio orologio d’ oro è enorme, le sue lancette sembrano due obelischi giganteschi che ruotano incessantemente in senso antiorario ma sempre più lentamente. “Ci stiamo fermando”? chiedo stupidamente  ad alta voce, come se qualcuno potesse sentirmi.  Intanto, continuo a farmi trascinare da questa luce luminosa come una medusa fa con la corrente del mare, dopo un po’ diventa davvero piacevole e puoi goderti il viaggio puntellato da immagini di eventi passati.  E’ un po’ come stare al cinema, solo che questo è un film particolare: racchiude le storie di tutti i tempi.  Finalmente sono calma, infondo, non posso mica tornare indietro? Anzi, in questo caso è più corretto dire: “Non posso mica andare avanti”?, tanto vale starsene tranquille.
 
“AIUTO!”
 
Un dolore lancinante mi sta lacerando la schiena, o quello che ne resta. E’ come se un milione di pugnali mi siano stati conficcati con forza nel corpo. Non capisco, perché a me? Perché questo? Nonna perché? Dove sei?  Ha forse senso quello che sto vivendo? Forse sto immaginando tutto, è un sogno e allora perché non mi sveglio?!
Sento che le mie membra stanno riprendendo la loro corporeità, vedo una luce più chiara in fondo al cono luminoso, è bianca. Bianco latte, bianco come il piatto lunare che si vede nel cielo nelle notti d’ estate, bianco come le lenzuola appena stese.
Ecco, è la fine.
Una spinta e un’ energia ancora maggiori di quelle che mi avevano fatto entrare nell’ orologio adesso mi stavano facendo sputando via, ho come l’ impressione che la mia testa si stia conficcando tra le lancette dell’ orologio ma mi sbaglio. E’ l’ orologio che si sta conficcando nella mia mano, diventa di nuovo piccolo e il mio corpo invece riprende le sue dimensioni naturali. Pian piano ho di nuovo delle ossa, delle gambe, delle braccia, sento quasi rispuntarmi i capelli lunghi e rossi sulla testa e il sorriso sulla faccia e poi, di colpo, il buio.
Un passante mi ha raccolto per strada come se fossi un gattino abbandonato, mi ha portata in braccio per qualche metro e poi mi ha adagiato in un auto. “Mi fa male la testa. Dove sono?”  chiesi all’ uomo avvolto in un completo grigio scuro. “A Liverpool, signorina. Alla sua destra può ammirare il porto”.
“E io come ci sono arrivata a Liverpool?”
“Le sbronze spesso fanno fare il giro del mondo”, rise lui.
“Ma io non sono sbronza, ho viaggiato nel tempo”.
“Si, e io sono Paul McCartney”.
“Era più credibile la mia bugia”, sorrisi.
“Ma io sono davvero Paul McCartney, perché dovrei mentire?”
I miei occhi si illuminarono quando riconobbi il suo volto, devo avere un espressione da ebete, pensai.
“Cos’ è quel muso lungo? Come ti chiami?”
“S- sono Re- Rebecca”
“Dai, se vuoi ti porto a ballare col mio amico John”
“John? John Lennon? Quel John Lennon?!  Scusa ma devo riprendermi!”
“Ah! Vedo che siamo già famosi in Italia! Lei parla un ottimo inglese ma si sente che è italiana e poi nello zaino aveva un panino con la mortadella.”
Panino? Zaino? Ma soprattutto, stavo parlando in inglese? In quel momento mi resi conto che stavo realmente parlando in inglese ed ero a Liverpool, in un taxi.  Con Paul McCartney!!!
 
 
 

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Capitolo 3
*** I'm back in the 60s ***


 
 
 
Oggi  è il 21 Dicembre del 1963 ma, poiché sto vivendo un epoca già passata, credo sia giusto usare verbi  al passato per descrivere ciò che sto vivendo.
Ero nel taxi col mio idolo, ma lui ancora non sapeva che lo sarebbe diventato.  Non sapevo nemmeno che avrebbe sposato Linda, la mia chitarra porta il suo nome, non sapeva che i Beatles si sarebbero sciolti e che avrebbe avuto una carriera da solista per cui, paradossalmente io conoscevo Paul meglio di chiunque altro in quell’ epoca, forse anche più di John. Nel tragitto che facemmo in taxi per arrivare al club, mi raccontò del suo rapporto con  George e Ringo, mi raccontò di quanto avesse insistito e combattuto con John per inserire George nel gruppo e di quanto Ringo fosse, nonostante il più grande d’ età, il più infantile dei quattro e di quanto fosse stato facile farlo ambientare nel gruppo, mi parlò del suo amore per gli anelli, dell’ amore di George per il cibo, di quanto alle volte fosse difficile mettere tutti d’ accordo. Mi stupii del fatto che non avesse detto una parola su John, così gli chiesi:” E di John? Cos’ hai da dirmi su John?”
“John Lennon è semplicemente John Lennon. Non ho altro da aggiungere, è il mio miglior amico, lo sarà per sempre”.
E così sarà, pensai.
Dopo quaranta minuti, incontrammo John all’ angolo della strada di fronte al club. Era seduto su un muretto, armonica in bocca e ciuffo scompigliato dal vento. Avevo il cuore in gola, avrei voluto urlare per la felicità e l’ incredulità di tutta quella situazione: John Lennon, di fronte a me! E Paul, Paul era addirittura seduto accanto a me! Non potevo non credere che si trattasse di un sogno ma non lo era perché, ancora scossa da quel viaggio sovrannaturale, appena scesi dal taxi inciampai e caddi ai piedi di John come una mela cotta.
“Ha bisogno di aiuto?”, chiese avvicinandosi a me e guardando Paul con occhi indagatori come se cercasse di chiedergli io chi fossi.
“E’ una mia amica”, disse Paul, rispondendogli prima che John lo chiedesse e rialzandomi tenendomi per un braccio. “E’ un po’ stanca, ha fatto un viaggio lungo e faticoso”, aggiunse.
 Ero tutta rossa di vergogna e con la faccia impolverata per la terra che si era accumulata sul viso per la caduta. Ridemmo per la mia super figuraccia e andammo al club ma, prima di entrare John ci disse che avremmo dovuto aspettare George e Ringo prima di entrare. Il mio cuore era come impazzito, un susseguirsi infinito di battiti dal ritmo non uniforme mi risuonava nel petto, nella gola, nella testa.
Questa era meglio di un sogno, era un sogno diventato realtà nel vero senso della parola!
Grazie nonna, non so come tu abbia fatto ad entrare in possesso di quell’ aggeggio ma ti ringrazio, grazie infinite.
Mentre nella mia testa si affollavano mille domande, vedemmo sfrecciare George e Ringo su una splendida cadillac blu elettrico.
Ringo era più basso di me, era molto buffo e dolce, proprio come immaginavo fosse in quegli anni, mentre George sprigionava allegria ed energia da tutti i pori, era lo spirito della squadra.
Gli dissi che suonavo anch’ io la chitarra e lui mi promise che avremmo provato qualche accordo insieme.
Io e George Harrison che proviamo accordi di chitarra insieme?! Toccavo il cielo con un dito. Ballammo tutta la sera, Paul era davvero divertente e un rubacuori nato;  credo che abbia ballato almeno con una decina di ragazze quella sera e io ero tra quelle ragazze fortunate. Danzammo sulle note di una canzone di Buddy Holly: “Love is strange” . Potevo sentire le sue mani su i miei fianchi esili, il suo viso vicino al mio, i suoi occhi nei miei, il suo respiro.
 Ero in estasi.
Avevo sognato quel momento un milione di volte: io e Paul in una grande sala da ballo, l’ odore del parquet che penetra nelle narici e i nostri piedi nudi graffiati da quelle stesse assi di legno. Lui mi tiene stretta e mi sorride, gli occhi pieni di luce mentre mi fa volteggiare. Ha un’ aria ingenua da bambino, come se gli anni per lui non fossero passati mai nonostante le rughe che gli riempiono il viso. Ma a lui stanno bene quelle rughe: quella che gli si forma sulla fronte quando avvicina le sopracciglia parla delle lotte che ha affrontato, quelle accanto agli occhi, della morte di sua madre, della perdita di John, George e del cancro di Linda, ma quelle che preferisco sono quelle che si formano quando sorride, perché lui, nonostante tutto, il sorriso non l’ ha mai perso e continua a illuminare i miei occhi.
 Quel sogno adesso era di fronte a me,lo stavo vivendo, lo guardavo dritto negli occhi, il suo volto era giovane e non vecchio come quello nel sogno, aveva una pelle così perfetta che ai miei occhi sembrava essere quasi evanescente  per quanto era bella.  Mi accorsi che una lacrima mi stava rigando il viso per l’ emozione e che le gambe tremavano, cercai di andare in bagno ma Paul mi fermò.
“Che ti succede?!”
“Niente”, gli dissi. “E’ solo che ho sempre desiderato essere qui … con te.”
“Ci sono molte donne che desidererebbero essere qui con me adesso ma io desidererei che loro non piangessero per ciò non piangere.” Mi porse un fazzoletto che tirò fuori dalla sua tasca, lo conservo ancora oggi.
Mi asciugai le lacrime con tutta la forza che riuscii a trovare e, insieme agli altri componenti del gruppo, andammo a mangiare qualcosa al pub dall’ altro lato della strada su insistenza di George che moriva di fame. I quattro  bevvero un po’ troppo così, decidemmo di tornare a casa in taxi, George avrebbe ritirato la sua auto il giorno successivo.
“Decidemmo di tornare a casa”, ma io non sapevo dove andare. Con mia sorpresa fui invitata a dormire da loro, ero felice come una bambina la mattina di Natale. Mi sistemarono in un lettuccio accanto a Ringo il quale, rivolgendosi a Paul, disse scherzosamente:” Se stanotte ti avvicini a noi, ricordati che io sono quello a destra, non fare scherzi”.
“Ti riconoscerei dal naso, Ringo. E’ come un faro nel buio”, rise Paul.
Ringo fece una smorfia da finto offeso, indossò il suo pigiama e si mise a dormire. Russava da morire.
“Ci fai l’ abitudine dopo un po’, vero Paul?”, disse George ridendo.
“Se vuoi ho dei tappi per le orecchie”, disse John, mostrando a tutti due tappi di sughero e suscitando una grande risata, così forte che Ringo si rigirò nel letto e imprecò contro di noi.
“Tu non hai un pigiama?”, mi chiese Paul.
“No, non ce l’ ho in realtà. Te l’ ho detto, non so come sono arrivata qui, devi credermi”.
“Metti questo, dovrebbe tenerti calda”.
Mi passò un grosso maglione color arancio, lo ringraziai adorante e andai a dormire o meglio, finsi di dormire perché la mia mente si affollava di domande.
Come avrei fatto a ritornare a casa? Insomma, era fantastico stare li con loro ma la prima regola di chi viaggia nel tempo è lasciare tutto così com’ è per non modificare il futuro, almeno è così che dicono in quei film di fantascienza, e io stavo già interferendo troppo con loro. Tra l’ altro, stando a ciò che sapevo su di loro tra poco sarebbero dovuti partire per una mini tournèe in Scozia e a Febbraio avrebbero visitato gli Stati Uniti, non potevo restare li, non per sempre. E se per tornare nel futuro fosse stato necessario trovare un’ altra canzone per aprire il portale, io sarei stata capace di trovarla?
D’ un tratto mi ricordai del volto della nonna, così sottile, così bianco, sembrava un’ ostia tonda. Aveva i capelli radi e bianchi, un tempo erano biondissimi e lunghi, mentre prima di morire li portava cortissimi, quasi a zero. La sua pelle era piena di piccole rughette che le incorniciavano il naso piccolo e dritto, la sua bocca aveva un colorito che si avvicinava al rosa pallido e, quando parlava, le labbra tremolanti sembravano danzare. Era una donna bellissima. Mi ricordai che tra la fine del 1962 e il 1963 era scappata in Inghilterra per seguire un marinaio, e di colpo, ebbi un lampo di genio: forse non potevo trovare una soluzione per tornare indietro ma di una cosa ero certa, dovevo trovare mia nonna.

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Capitolo 4
*** Giuliana Maria Carelli ***


Giuliana Maria Carelli, conosciuta come Giulia La Strega, aveva in realtà un cuore d’ oro.
Il nomignolo le venne affibbiato perché i suoi occhi color ghiaccio stregavano chiunque li incrociasse e la sua mente astuta attraeva più di una calamita. Bionda, corpo da urlo e viso d’ angelo, Giulia La Strega aveva bisogno di provare emozioni forti per sentirsi viva e così, finiva sempre nei guai. La sua più grande passione era la scrittura, sognava di cambiare il mondo con le idee di una ragazzina di diciotto anni che per troppo tempo è stata tenuta in gabbia dai suoi genitori per tenere alto il buon nome della famiglia e infatti, la ragazza andava in chiesa tutte le Domenica ma nessuno sapeva che quando si tratteneva dopo la messa, se la spassava con Don Maurizio, un aitante venticinquenne che proprio non aveva resistito a quegli occhi ghiaccio e la bocca piccola e carnosa.
Giuliana Maria Carelli aveva molto amore da dare, il suo cuore era grande quanto una casa ed era nelle prime file quando si trattava di scioperare perché gli operai della fabbrica di legname dietro casa sua venivano pagati una miseria e si prendeva cura dei nipotini della vecchia zia Matilde che soffriva di sciatica ed era un asso a scuola, voleva anche andare all’ università di lettere ma il suo studio naufragò per l’ amore di un marinaio inglese.
Arthur Wilson, capelli neri, occhi verdi, era un giovane inglese di buona famiglia ma non di buon cuore. Aveva una donna in ogni porto, Giulia era una di quelle, e stavolta fu La Strega a lasciarsi stregare. Lo seguì fino in Inghilterra, i genitori per poco non morirono per la vergogna: la loro ragazza, scappata via per un marinaio di dieci anni più grande di lei. Appena mise piede in terra straniera, Giulia ebbe una notte di passione con Arthur il quale, il giorno dopo sparì ma la dolce e astuta Giulia, era troppo furba per farsi fregare e così lo andò a cercare.
Scoprì che il bel marinaio era sposato con una donna bellissima, Mia O’ Connor, e aveva due figli dai capelli rossi amaranto. Avrebbe potuto schiaffeggiarlo di fronte alla moglie e finirla li ma La Strega aveva in mente una vendetta più grande, avrebbe spiattellato in faccia a quel luridone cosa si era perso puntando all’ uomo più in vista del momento: John Winston Lennon.
Era il 1963 e Giulia seguiva i Beatles in tutti i club, tutti e quattro non poterono fare a meno di notare quegli occhi ghiaccio che brillavano al buio e le sue curve perfette ma lui puntava al leader, a quello che le sembrava il più pazzo dei quattro, un po’ come lei. Finalmente, una sera John le offrì un drink,e  si perse nei suoi occhi, nelle sue braccia, nelle sue gambe, nel suo corpo per ben tre volte quella sera. Questo a Giulia bastava come vendetta personale, le bastava sapere che John Lennon era andato a letto con lei e quello stronzo di Arthur non aveva capito assolutamente nulla di lei, lei poteva avere chiunque, anche un’ aspirante rock star. Un mese dopo, Giulia scoprì che quella notte Lennon le aveva lasciato un dono, quel dono ora era nel suo grembo e lei, incapace e inesperta, aveva bisogno di risolvere quel “problema” che a breve sarebbe cresciuto dentro di sé diventando un’ equazione irrisolvibile. Ma prima volle parlare con John.
Si incontrarono nel club dove si erano conosciuti quattro settimane prima, John non aveva idea del motivo di quell’ incontro ma la accolse a braccia aperte.
“Sono incinta, il figlio è tuo”, disse con una freddezza che superava il ghiaccio azzurro dei suoi occhi.
“Stai scherzando?!”, disse Lennon rischiando quasi di cadere dalla sedia.
“E’ tutto quello che sai dire?! Io sono venuta fin qui e questo è tutto quello che sai dire?!”
“Perdonami, perdonami Giulia. Ma, ma, io”, fece una pausa, “io non so proprio cosa fare. C’ è il gruppo, la prossima tournèe. Cosa dirò ai ragazzi? A Brian? Lui non vorrebbe mai che si creasse uno scandalo proprio adesso. Io, io ci devo pensare. Dammi qualche giorno. Sono scioccato”.
Queste parole bastarono per farla andare su tutte le furie, le sue guancie bianche diventarono rosse come due mele rotonde, sbatte le mani sul tavolo e gli gridò contro: “ Io non vorrei mai che il padre di mio figlio debba farsi condizionare da uno stupido manager e da tre stupidi capelloni! Me la pagherai!”
“Bada a com…”
“Io non bado a come parlo! Hai capito?! Tu, tu sei peggio di Arthur! Addio! Avrei dovuto ascoltare i miei quando mi dicevano che non bisogna fidarsi di voi inglesi! Mi disferò di questo bambino, non voglio correre il rischio che prenda da te!”
Poco tempo dopo, Giulia tornò in Patria con pancia e cuore vuoti.
 
Scoprii la verità da un giornale trovato in biblioteca, per trovare mia nonna avevo bisogno di sapere dove fosse adesso  e trovai un piccolo articolo di una giornalista che diffamava Lennon e  i Beatles : “ Sono solo dei ragazzini drogati, il loro successo scivolerà via dalle loro mani come una saponetta sotto la doccia. Sono anche brutti: Lennon puzza di sudore, non conosce le basi del vivere civile”. Era firmato Giuliana Maria Carelli.
Questa era mia nonna, una forza della natura che era arrivata perfino ad avere una storia con Lennon, a portare suo figlio in grembo e distruggerlo prima che John potesse aprire bocca.
Era un po’ matta ma io l’ adoravo. E dovevo trovarla, il prima possibile. 

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Capitolo 5
*** PS I Love You ***


 
Sono insieme ai Fab Four da una settimana ormai. Abbiamo passato il Natale insieme, è stato bellissimo.
Mi hanno anche fatto un regalo: un LP di “Please Please Me” autografato. Io ho trovato lavoro in un negozietto di dischi, non potevo continuare a vivere sulle loro spalle e inoltre, Paul mi intimò di nascondermi quando alla porta bussò Brian Epstein: “ Non deve sapere che sei qui, nessuno deve saperlo in realtà. Siamo agli inizi della nostra carriera, non vogliamo scandali e questo potrebbe comparire sulle prime pagine col titolo di: -I Beatles e i loro riti orgiastici- oppure –I Beatles condividono una concubina. Ne abbiamo già scampato uno di scandalo, uno bello grosso. Ce la siamo cavata con qualche offesa”.
Pensai che si riferissero  all’ articolo firmato da mia nonna, in effetti, in quella biblioteca trovai solo quel piccolo brandello di giornale. Devono aver pagato qualcuno per farlo stare zitto, pensai, e in seguito la mia teoria venne confermata.
In questa settimana, mi sono legata molto a Ringo. Non immaginavo che fosse così simpatico, era lui stesso a scherzare sul suo naso ad esempio: “ Se di notte le pareti tremano, non è un terremoto. Sono io che russo. Non so come faccia a non svegliarmi, credo che anche il cane dei vicini ululi a causa mia di notte”, me lo diceva ogni notte prima di andare a dormire.
George e John sono dei mattacchioni, mi fanno sempre restare a bocca aperta con le loro battute argute e hanno una mimica facciale degna di un attore.
E poi c’è Paul. Mi sono perdutamente innamorata di lui. Certo, lo ero anche prima di arrivare qui nel passato ma era un amore a senso unico, “platonico”, io amavo lui che nemmeno sapeva chi  fossi ma non lo amavo come una ragazza ama un ragazzo, ma come una fan che muore d’ amore per il suo idolo perché la sua musica le ha salvato la vita, l’ ha salvata dalla noia, dal grigiore del mondo, dal peso della realtà circostante che la schiacciava come un bambino insolente che si diverte a veder morire una formica nel pugno della sua mano.
Ciò che mi teneva sveglia quelle notti, non era la paura di non essere corrisposta ma la consapevolezza che io non potevo vivere quello che provavo, dovevo svuotare il mio corpo  dall’ amore che provavo per lui e condensarlo tutto nelle lacrime che bagnavano il cuscino. Non c’ era spazio per me in quell’ epoca, non poteva e soprattutto non doveva esserci, non potevo cambiare il passato o il futuro sarebbe stato completamente diverso. In realtà, non avevo la minima idea di come funzionassero queste cose, magari l’ idea che un viaggiatore improbabile come me non potesse intervenire nel passato era solo una costruzione della mia mente, una sorta di alibi che avevo creato io stessa perché avevo troppa paura di diventare totalmente dipendente da Paul e, in realtà, sapevo bene di esserlo già.
L’ essere dipendente da qualcuno mi spaventava a morte perché ogni volta che mi ero affidata nelle mani di qualcuno, la mano di questi era scivolata via dalla mia. La vita mi aveva già strappato i miei genitori, uccidendoli in un incidente d’ auto e poi, si era presa pure la nonna e sapevo bene che presto il futuro avrebbe bussato alla mia porta per reclamarmi e a quel punto, avrei dovuto lasciare Paul per sempre.
Non potevo sopportarlo.
Sapevo che se lui avesse dimostrato per assurdo di tenere a me, non l’ avrei più lasciato andare, l’ avrei tenuto stretto a me durante le notti di pioggia come facevo col mio cane di pezza, avrei affondato il mio viso nel suo collo e avrei pianto fino a che, esausta, sarei sprofondata in un sonno profondo.
 E poi, l’ avrei sognato.
 
Questa mattina ci siamo svegliati tutti molto presto, alle 9.00 del mattino eravamo già in strada diretti all’ Hotel Savoy di Londra per rilasciare un’ intervista.
Io li avrei aspettati fuori, pensai. Ero più che disposta ad ascoltare le richieste di Paul e gli altri e per evitare qualsiasi forma di scandalo non mi sarei fatta vedere con loro e per questo motivo, scesi a circa 200 metri dall’ hotel, li salutai e prosegui a piedi.
Lungo la strada, incontrai la mia immagine riflessa nello specchietto di una Vespa rossa fiammante e solo allora mi accorsi di quanto fosse bella la ruga d’ espressione sul mio volto che si allargava in un grande, grandissimo sorriso. Da quanto tempo non sorridevo più? Da quanto tempo i miei occhi non emanavano quella luce che ora era riflessa in quello specchio? Era davvero da troppo, avevo dimenticato quanto fossi solare prima dell’ incidente, avevo dimenticato che adoravo fischiettare per strada e ora, finalmente, lo stavo facendo di nuovo.
Ero di nuovo felice.
Ma mentre guardavo il mio viso tondo e bianco come la luna, mi prese una nostalgia così profonda che dovetti trattenere le lacrime di fronte a quello specchietto perché  non volevo vedermi piangere. Avevo una consapevole paura che quelle giornate mi sarebbero state strappate via con forza, sapevo che sarei dovuta tornare nel mio mondo perché quello non era il mio posto. Il mio posto era su un letto a piangere e in un bar a lavorare per potermi mantenere a scuola, nessuno si sarebbe occupato di me e preferivo di gran lunga questa grande “bugia” che la realtà nella quale ero costretta a vivere.
Avrei fatto di tutto per non tornare mai più nel futuro.
Mentre la mia mente e mie occhi erano annegati in un mare di tristezza, percepii che di fronte all’ hotel Savoy, stava succedendo qualcosa, qualcosa di grosso perché c’ era una grande folla formata da passanti, giornalisti, fotografi e qualche uomo in uniforme. Corsi a perdi fiato fino all’ entrata del grosso portone completamente sbarrato da mille teste che gridavano e si agitavano come se fossero stati morsi da una tarantola, io mi sollevai sulle punte cercando i quattro protagonisti della giornata con lo sguardo ma riuscii a vedere solo John che, nervosamente si era alzato dalla poltrona della hall sulla quale era seduto e stava procedendo a passo svelto verso l’ uscita. Pensai che qualche giornalista lo avesse in qualche modo offeso ma non era di un giornalista che si trattava. Volgendo la testa a destra, vidi una ragazza bionda in minigonna trascinata fuori dall’ edificio con forza da un agente di polizia. Volse il suo bellissimo viso verso di me e i nostri sguardi si incrociarono per un attimo e bastò quell’ attimo per farmi capire che quella giovane donna era la mia amata nonna! D’ istinto stavo per chiamarla ma mi trattenni chiudendomi la bocca con la mano, avrei voluto seguirla ma la polizia mi sbarrò la strada, Lennon mi passò accanto senza nemmeno accorgersi di me gridando qualcosa che suonava come: “Rinchiudete quella pazza!”. Anche George e Ringo uscirono dall’ hotel di corsa, un autista dall’ altro lato della strada pronto a portarli via da quella giornata traumatica, Paul si attardò ad uscire e mi consegnò un biglietto senza neanche voltarsi verso di me, poi scomparve nell’ auto scura insieme agli altri tre.
Aspettai che la folla fosse andata via prima di leggere il contenuto del biglietto per non insospettire nessuno, mi sedetti sopra un muricciolo e scartai quel biglietto come se fosse un gioiello prezioso:
DOBBIAMO ANDARE VIA, ALLE 6 TORNERO’ A PRENDERTI DI FRONTE AL SAVOY. CERCATI QUAL COSA DA FARE E NON PARLARE CON NESSUNO DELLA STAMPA.
MI DISPIACE.
Il breve messaggio scritto di fretta su quel foglio ( le parole sembravano quasi volare via dalla carta) mi rincuorò molto, quel “alle sei tornerò a prenderti” era la promessa più bella che mi avessero mai fatto e io non vedevo l’ ora che scoccassero le sei del pomeriggio, la luce crepuscolare avrebbe fatto il resto, c’ era già magia in quelle sue parole.
Passai la giornata girovagando per Londra senza una meta precisa felice come una ragazzina che aspetta di andare al lunapark di Domenica  e non mi importava se non avevo un soldo e non potevo comprare nulla da mangiare, Paul sarebbe stato il mio cibo. Ero talmente felice che mi dimenticai perfino dell’ incontro con la nonna quella mattina, me ne infischia altamente perché avevo un appuntamento con Paul! Sul biglietto c’ era scritto “tornerò a prenderti” non torneremo e questo voleva dire che aveva voglia di stare un po’ da solo con me o che gli piacevo almeno un pochino. Il mio cuore era pieno di gioia e alle 5.30 ero già di fronte all’ hotel in attesa di trascorrere la serata più bella della mia vita ma alle 6.00 non arrivò nessuno e iniziai a piangere per quanto fossi stata stupida a credere che sarebbe potuto accadere quello che desideravo. Mentre il mio viso era affondato nelle mie mani che, come una piscina, erano piene di lacrime qualcuno appoggiò una mano leggera sulla mia spalla: “Ho detto che vorrei che tu non piangessi, l’ hai dimenticato?”
Mi voltai di scatto, era lui, era proprio lui ed era li per me. Aveva solo tardato ma alla fine era venuto a prendermi per davvero! “Asciuga queste lacrime”, mi disse “scusa per oggi ma siamo dovuti scappare via, spero tu capisca. Non avrei mai voluto lasciarti qui da sola, era per questo che piangevi?”
“No, avevo paura che non venissi ma eccoti qui”, dissi io sorridendo tra le lacrime che ancora mi rigavano il viso.
“Noi due dobbiamo parlare, innanzitutto voglio dirti perché siamo andati via in modo così brusco stamattina”.
Annuii facendogli capire che l’ avrei ascoltato e non l’ avrei fermato fino a che non avesse finito ma prima di iniziare a raccontare, mi fece salire in auto e insieme salimmo su una collinetta per stare più tranquillo e senza il rischio che qualche fotografo inopportuno potesse vederci.
“Oggi è successa una cosa molto grave”, disse schiarendosi la voce. “Avrai visto anche tu quella donna all’ uscita dell’ hotel vero? Bhe, si chiama Giulia e sta dando del filo da torcere a noi e a John.”
Deglutii per la paura che lui potesse capire dal mio sguardo che conoscevo bene la storia dello scandalo e che conoscevo anche la causa dei loro problemi così rimasi in silenzio e ascoltai.
“Abbiamo passato un brutto momento, John ha passato un brutto momento e tutti ne risentiamo. Quella donna, quella bellissima donna, potrebbe portare in grembo il figlio di John”.
Paul abbassò lo sguardo e poi mi guardò negli occhi che io cercai di aprire il più possibile per apparire sorpresa e non far trapelare nulla. Poi continuo: “Tu adesso penserai che John è uno stronzo, che quella donna è incazzata nera con lui perché non vuole riconoscere il bambino ma le cose non stanno così. Quella donna è tremenda! Ha detto a John che si sarebbe disfatta del bambino, Dio sa solo come, senza dare a Lennon la capacità di controbattere! Non credi sia assurdo?!”
Feci di si con la testa e gli chiesi di continuare.
“Un giorno lei decide di incontrare John e gli dice del bambino e Lennon resta sorpreso per la cosa ma è naturale che sia così. Insomma, è un cazzo di bambino e a inizio carriera non è il massimo ma appena John si è mostrato così è scappata via senza dirgli nulla, senza dirgli cosa avesse deciso ed è da quel giorno che sono iniziati i problemi. Articoli diffamatori, accuse, foto scattate di nascosto e scenate come quelle di stamattina. E’ piombata nella hall, solo lei sa come, e ha iniziato a gridare e offendere Lennon chiamandolo lurido bastardo e Dio solo sa come Ringo abbia trovato la forza di farla stare zitta e consegnarla alla polizia”.
Mia nonna era proprio matta, pensai.
“Per fortuna, fino ad ora non ha mai rivelato pubblicamente alla stampa lo scandalo, non sappiamo perché. Forse perché sa bene che John non ha avuto voce in capitolo, lo sa bene che è stata lei a non dargli nemmeno un giorno per pensare!”.
Alzò lo sguardo verso l’ alto, nella luce del tramonto vidi che una lacrima trasparente gli stava rigando il viso e lui, prontamente, si girò dall’ altro lato per negarmi quella visone che per me era bellissima ma potevo capire che per lui sarebbe stato umiliante. Con voce tremante, disse:” Lennon è mio amico. Io lo so che ci sta male per questa storia. Ha passato un’ infanzia di merda, lontano da madre e padre e solo troppo tardi ha ritrovato Giulia. Si, Giulia è anche il nome di sua madre ma purtroppo l’ ha persa quando l’ aveva ritrovata. E’ una brutta storia, magari te la racconto un’ altra volta”.
Mi intrigava il fatto che lui non sapesse che io sapevo tutto di loro, per filo e per segno ma non lasciai trapelare nulla e ancora una volta, gli chiesi di continuare a raccontare.
“Il punto è che Lennon non avrebbe mai negato a quel bimbo la figura di un padre, gli sarebbe stato vicino io lo so. Lo so perché John è la persona migliore che potessi incontrare, è un fratello per me e vederlo distrutto per una donna mi fa incazzare! Mi fa incazzare come una bestia!”.
A quel punto, vinsi le mie paure, le mie ansie, l’ emozione e gli appoggiai una mano sulla coscia, lo guardai dritto in quei suoi occhi chiari che, colpiti dalla luce fioca del sole che si perdeva dietro le colline, sembravano dorati e gli dissi dolcemente: “Io ti credo. Quella donna non ha capito chi si trova di fronte. Però, voi e John supererete tutto. Queste cose sono briciole in confronto al vostro talento, al vostro successo per ciò sono sicura che se pure la vicenda saltasse fuori, la vostra carriera non subirà alcuna conseguenza. L’ amore per i Beatles, quando nasce, non muore mai”.
Prese la mia mano e la portò sul suo petto, potevo sentire chiaramente i battiti del suo cuore. Pensai che se fossi stata un pupazzo di neve mi sarei sciolta all’ istante a causa del calore che emetteva il suo corpo, era come un’ energia che inevitabilmente mi attirava così, quando cinse le sue braccia intorno ai miei fianchi avvolgendomi in un caldissimo abbraccio, il mio corpo affondò tra le sue braccia privo di forze.
Non avevo intenzione alcuna di liberarmi da quelle braccia, erano la mia casa.
“Non so come fai, ma mi fai stare davvero bene”.
“Paul, sono io che devo ringraziare te anzi, voi! Mi avete accolta nonostante il rischio di un altro scandalo, non sapevo dove stare e mi avete dato una casa! Senza contare che potevo essere una fan impazzita ( e cavolo se lo ero ma loro non lo sapevano!) e farvi del male! Per me è stato bellissimo, sono solo pochi giorni è vero ma io vi ringrazierò per sempre, lo giuro. E poi siete troppo gentili, tutti quanti e e e…”
Mi resi conto che stavo iniziando a parlare a macchinetta e che il mio viso doveva essere rosso peperone perché ne percepii il calore non appena Paul premette il suo  dito freddo contro il mio naso e la bocca per zittirmi.
Poi mi baciò.
Non fu un bacio lungo, di quelli che li assapori piano piano e ti danno il tempo di pensare a ciò che fai, anzi.
Fu un bacio rubato all’ assalto dei fotografi, un bacio desiderato ma frenato, un bacio dolce dal retrogusto di tabacco, un bacio sussurrato alle porte della notte, un bacio intenso ma breve di quelli che ti tolgono il respiro e non ti danno il tempo di capire cosa sta accadendo.
Le sue labbra contro le mie, suggellate da un sentimento appena nascente, i raggi del sole che ci salutavano per lasciare il posto alla bianca luce della luna, le sue dita incastrate tra le mie, i suoi capelli gettati all’ indietro per il vento, i miei che si annodavano, il calore del suo viso contro il mio e i nostri battiti cardiaci perfettamente coordinati: “I love you” gli sussurrai all’ orecchio.
Mi sorrise staccandosi dolcemente da me, appoggiò la testa accanto alla mia sfregandosi un po’ contro la mia fronte e quasi ridendo di felicità rispose: “I love you too”.
Raggiungemmo l’ auto mano nella mano, le luci della notte ci accompagnarono fino a casa.

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