Ombre nell'Oscurità

di ice_shadow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Ragnatela ***
Capitolo 3: *** Fiducia ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Li odio. Li odio tutti. Il sole del primo pomeriggio allucina lo sguardo. Corre via, nel bosco. Si accascia dietro un albero a distanza di sicurezza e infila in testa le cuffie, musica metal e volume al massimo. Chiude gli occhi e una lacrima solitaria scende lenta lungo il profilo della sua guancia.
Quando li riapre deve esser passata circa un’oretta, al massimo due. Il sole estivo rende l’aria calda e umida, soffocante. Ha la strana sensazione che ci sia qualcosa che non va. All’ improvviso una miriade di corvi neri cominciano a volare in cerchio nel cielo, riempendo l’aria dei loro striduli e tetri versi gracchianti. Si prende la testa fra le mani, che ha iniziato a girare vorticosamente, cercando di eludere quei lamenti strazianti che le attanagliano le viscere rimbombandole nella mente.
 
 
° ° °
 
“Thor! Loki!”
È una bellissima giornata estiva su Asgard e tutto sembra normale. Frigga cammina sicura verso l’arena, dove sa di trovare entrambi i suoi figli. E infatti è così. Frigga sorride. Thor sta combattendo contro Hogun e Sif contro Fandral. Volstagg sta facendo uno spuntino di proporzioni spaventose, nonostante il pranzo sia appena finito, e Loki siede appena fuori dall’arena con un pesante tomo antico sulle ginocchia e di tanto in tanto fulmina gli altri con uno sguardo infastidito. Tutto è perfettamente sereno e ordinario.
“Madre ci hai chiamati?” il ragazzo dai capelli corvini si alza e va incontro alla dea. “Temo che Thor non degnerà nessuno della sua attenzione prima della fine dell’incontro…”
Frigga sorride. “Non è un problema, tanto sono certa che non sarebbe stato di suo interesse: volevo solo dirvi che io sto andando a fare una passeggiata, e volevo chiedere se magari uno dei miei figli avesse voglia di accompagnarmi.”
 Gli occhi di Loki si abbassano incerti. “Ehm, Madre, mi dispiace, mi farebbe molto piacere accompagnarvi, ma non posso, sto facendo degli esperimenti importanti e non posso interrompermi ora; quanto a Thor…”
 Frigga sospira. “Capisco. Non importa. Divertitevi, sarò di ritorno fra qualche ora al massimo.”
Si incammina con passo tranquillo verso uno dei tanti frondosi boschi al limitare di Asgard, decisa a godersi quella bella giornata di sole. Prende un sentiero e si inoltra fra i maestosi alberi millenari. È una giornata molto luminosa e il sole squarcia in molti punti il soffitto frondoso, quindi presto decide di lasciare il sentiero e poter così rimaner sola con i suoi pensieri. Ha ormai perso il senso del tempo, quando una nube nera oscura il cielo rendendo tetra la foresta, gli alberi paiono funeree maschere d’orrore, un vento freddo scuote i rami e risuona nell’aria con un lugubre richiamo che gela le ossa. Fra gli alberi le ombre corrono furtive. L’aria crepita. Mai avevano osato avvicinarsi tanto ad Asgard da quando Odino era salito al trono. La nube passa, il vento torna ad essere una calda brezza estiva. Le ombre si dileguano in fretta come sono venute. Frigga si riscuote dai brividi. Continua a camminare circospetta, sente che è accaduto qualcosa. Oppure sta per accadere. Lo sente, ma non riesce a mettere a fuoco la visione. Per la prima volta è del tutto impreparata. Un pensiero le oscura il volto. Seguendo il suo istinto, giunge in una piccola radura. Steso in mezzo ai fiori vi è un corpo di fanciulla. Sembra morta. Frigga si avvicina preoccupata. Un sospiro di sollievo le sfugge quando si accorge che è solo svenuta. Eppure quel pensiero continua ad assillarla, e ora trova conferma in quella strana fanciulla. Di certo non conosce tutte le ragazze di Asgard, ma quella è certa di non averla mai vista. Ci sono anche altri due fattori che la lasciano perplessa. Innanzitutto, dettaglio sicuramente poco importante ma di certo curioso, ha capelli scuri, cosa impossibile per un’Asgardiana. Secondo, Frigga ha il dono della preveggenza, eppure non ha visto l’arrivo di quella fanciulla sulla sua strada. Forse potrebbe essere… ”Heimdall.” sussurra Frigga, certa che il guardiano l’avrebbe sentita “Vieni con le mie ancelle, è importante. Io via attenderò qui. Fate in fretta.”
Poco dopo giungono alla radura il guardiano del Bifröst con le ancelle della regina. “Heimdall, hai idea di chi sia questa giovane? Hai visto in come sia arrivata qui?”
il guardiano è turbato. “No mia regina, ho percepito la sua presenza solo quando era già qui, poco prima che arrivaste voi, ed era già svenuta. Non bisogna fidarsi. Sicuramente è giunta qui tramite vie oscure, eludendo il mio sguardo.”
“Hai idea da dove provenga?”
Heimdall assottiglia lo sguardo. “Non posso esserne sicuro visto che si è materializzata senza che io vedessi, ma la massa di energia sembra provenire da Midgard, o da Asgard stessa. Anche l’abbigliamento sembrerebbe midgardiano, ma potrebbe essere un inganno. Possiamo solo attendere il suo risveglio e chiedere ciò che volete sapere direttamente a lei.”
La regina è assorta. “Tutto ciò è molto strano. Portiamola a palazzo, e preparatele una stanza. Sarà mia ospite.”
Tutti sgranano gli occhi. “Potrebbe essere una minaccia” ribatté Heimdall.
Ma la madre degli dei è irremovibile. “Si, è vero potrebbe. Ma potrebbe anche non esserlo. Ma io penso che sia qualcos’altro ancora. E adesso che la vedo, capisco che è fondamentale per un possibile futuro dei mondi.”

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Capitolo 2
*** Ragnatela ***


Quello sciocco esperimento non doveva andare così! Doveva trasportare solo cose inanimate, non il primo essere dotato di Seiðr! Ha scelto Midgard apposta, e invece ecco che fa esperimenti nell’unico luogo dove ci sono possibili invasori da altri mondi! Ora ad Asgard forse girovaga una pericolosa bestia famelica proveniente da un altro regno, ed è colpa sua. Come al solito. Deve assolutamente imparare a controllarsi di più. Insomma, non è possibile che solo perché il suo Seiðr ne trova un altro potente quanto il suo, allora crea un collegamento dimensionale e perde ogni controllo della propria magia. La cosa non va affatto bene. Finalmente giunge nelle sue stanze, sbatte rabbiosamente la porta, butta il pesante tomo che tiene in mano per terra, si siede allo scrittoio, intinge la penna nel calamaio e comincia a scrivere forsennatamente appunti su appunti; risolvere quel problema è di fondamentale importanza.
 
 
°°°
 

Due occhi neri.  Si sono appena aperti sul volto chiaro della fanciulla che, finalmente, dopo un ora, ha ripreso i sensi. Frigga è rimasta con lei tutto il tempo, ora è in piedi accanto a una portafinestra che da’ su un arioso balcone, a osservare la città eterna. La fanciulla si alza a sedere e si guarda intorno con curiosità, vagamente spaesata. Probabilmente sta solo sognando. Si trova in una spaziosa camera circolare, con i pavimenti di liscia pietra nera decorata con intarsi metallici e le pareti di solida pietra e oro. Qualcuno deve averle tolto i suoi abiti e fatto indossare una camicia da notte di un bianco tessuto sottile, lunga fino ai piedi. Si trova in un grande letto dalla forma ovale, al centro della stanza; dietro alla schiena ha molti piumosi cuscini ed è accoccolata in un morbido lenzuolo leggero,  anch’esso dorato. Davanti al letto ci sono tre porte, mentre dietro c’è una grande vetrata aperta da cui entra un brezza leggera e davanti ad essa una figura in controluce.

“Dove sono?” Voce curiosa ma leggermente intrisa di dubbio.

Frigga si volta sorridendo. “Bensvegliata cara! Come ti senti?”

La fanciulla aggrotta le sopracciglia. “Bene… Credo.”

La donna sconosciuta sembra sinceramente sollevata “Meno male. Hai affrontato un viaggio interdimensionale, al quale il tuo fisico e la tua mente non erano pronti. Temevamo non ce l’avresti fatta. Io sono Frigga, regina di Asaheim, regno la cui capitale è Asgard, in cui ti trovi ora. Tu invece chi sei?”

La fanciulla spalanca gli occhi incredula, disorientata dalle molte informazioni da archiviare, le parole solo un sussurro “Non è possibile. Sto sognando..? Viaggi nello spazio e… il regno degli dèi. Devo aver guardato troppi film. Insomma Asgard… è solo una leggenda. Oddio se lo raccontassi a qualcuno verrei sicuramente rinchiusa in un ospedale psichiatrico per fanatismo… È forse tutto uno scherzo?”

Ora l’espressione di Frigga è fra il perplesso e il divertito, ma gli occhi esprimono una grande dolcezza che tranquillizza la giovane  “No, non lo è. Se ti fa stare meglio, non stai né impazzendo né sognando. Può esser difficile da comprendere ma è così. In realtà neanche noi sappiamo spiegarci ciò che è successo. Pensiamo ci sia stato un collegamento di energie fra Asgard e Midgard che ti ha trasportata qui. Comunque non mi hai ancora detto chi sei. Posso chiederti anche da dove vieni? Ma soprattutto, sai come sei giunta qui, o perché?”

“Mi chiamo Maria. Vengo dalla terra. Se Midgard è la Terra allora, sì, vengo da lì. Mi dispiace molto, ma non so come sono arrivata. Io ricordo solo che ero in un bosco; mi sono addormentata e quando mi sono svegliata era come ci fosse una strana energia che faceva vibrare l’aere, poi ho visto un accecante lampo verde. Dopodiché non ricordo più nulla.”

Frigga ci pensa un attimo. “Va bene. Voglio fidarmi di te. Se vuoi puoi rimanere qui come nostra ospite fino a quando non scopriremo di più. Temo che per ora tu non possa tornare su Midgard, sarebbe meglio aspettare che tu ti riprenda, non resisteresti ad un altro viaggio del genere. Ora se vuoi prenditi pure il tempo che ti serve per ambientarti nelle tue stanze e riposarti. Se vuoi puoi fare un bagno caldo, fra poco ti manderò un’ancella che ti aiuti a prepararti per la cena e ti spieghi un po’ tutte le cose fondamentali da sapere. Naturalmente da domani potrai uscire, oggi però ti consiglio di stare tranquilla e riprenderti un po’, anche perché forse è meglio che qualcuno, almeno all’inizio, ti faccia da guida.” 

La fanciulla sorride riconoscente “Grazie mille, siete molto gentile. Seguirò il vostro consiglio, ho davvero molto bisogno di un bagno e un po’ di riposo. Grazie ancora per tutto!”

La regina esce dalla stanza. Maria si alza dal letto. Subito la testa riprende a girarle leggermente.  Esce sul terrazzo e respira a fondo l’aria del tardo pomeriggio. È tutto così incredibile! Guarda giù. La città si stende ai suoi piedi, molto più in basso, come una distesa di oro liquido, percorsa da canali dalle acque limpide. Più in là splende un mare dalle milioni sfumature iridescenti che cade in centinaia di spruzzi in una meravigliosa cascata gigantesca che si fonde con l’universo, come a definire un confine del mondo, oltre il quale si espande lo spazio colmo di soli opachi dai colori cangianti. Lì il cielo è così strano. Anche se sopra Asgard il sole splende caldo e luminoso, basta guardare oltre il mare per vedere l’universo, freddo, buio e misterioso. Una folata di vento estivo le scompiglia i capelli e fa agitare il morbido tessuto della camicia da notte attorno alle sue gambe. Persa nei suoi pensieri non nota l’ombra addossata alla parete, visibile a malapena, che la osserva. Chiude gli occhi, cercando di digerire gli eventi. Un altro giramento per poco non le fa perdere l’equilibrio, tanto che deve aggrapparsi con entrambe le mani al parapetto dorato per non cadere. Il sangue le pulsa freneticamente alle tempie. Rientra e, dopo qualche istante, l’inquietante figura svanisce nel nulla. Riguardandosi intorno, decide di vedere dove conducono quelle tre porte. Una da’ su un grande bagno dalla luce soffusa, con al centro un’enorme vasca circolare incassata dentro al pavimento di pietra, un grande specchio con davanti un banco dorato e una sedia. La seconda porta da su un’immensa cabina armadio piena di specchi e abiti di ogni tipo. La terza ed ultima porta conduce ad una stanza ancora più grande della camera da letto; c’è un comodo divano a tre lati  e al centro un ampio tavolino basso in pietra nera con una sorta di piatto ovale di metallo, dentro al quale danzano luminose fiamme dorate, ma non c’è legna a farle bruciare. Devono essere animate da una qualche sorta di strana magia. Le pareti sono coperte da librerie ricolme di libri intervallate ad alcune portefinestre che danno sull’ampio terrazzo e addossata a uno dei muri c’è uno scrittoio con alcuni fogli di pergamena nuovi, un calamaio e una penna e infine un’ennesima porta, più grande e maestosa, che probabilmente porta fuori dalle sue stanze. All’ennesimo giramento di testa torna nella stanza da bagno, si toglie la veste da notte e si immerge nell’acqua fresca fino al collo. Sta tranquillamente a mollo nell’acqua con gli occhi chiusi, quando sente il rumore inconfondibile di una porta che si apre, e successivamente, si richiude. Un attimo dopo qualcuno bussa alla porta del bagno. 

“Chi è?” Una testa bionda con i capelli legati da un nastro d’oro si affaccia dalla porta socchiusa.

“Il mio nome è Hlìn; mi manda la Regina, sono una delle sue ancelle, ma sarò anche la vostra fintanto che dimorerete qui; volete che entri così da poter aiutare a prepararvi?”

Maria annuisce leggermente, anche se non è abituata a nulla del genere. “Grazie mille, entra pure.”

Hlìn entra e porge un telo a X, che esce dall’acqua e, avvolta dal panno, segue l’ancella, che la fa sedere davanti allo specchio, prende una spazzola e comincia a pettinarla gentilmente. Ad ogni colpo di spazzola, la chioma si asciuga un po’ di più. Dopo qualche secondo i capelli sono completamente asciutti e lucidi.

“Mia Lady, se non vi dispiace vi vorrei chiedere di venire con me nella stanza qui a fianco, così da poter indossare l’abito per la cena di stasera”.

Hlìn le fa strada fino alla cabina armadio e scompare fra i vestiti, lasciandola sola e nuda davanti a uno specchio. Dopo qualche istante l’ancella riappare con in mano un pacco di carta leggera, attraverso la quale si intravede un tessuto bordeaux. Hlìn apre il pacchetto, spiega un lungo vestito e glielo fa indossare. L’abito è costituito da più strati di sottile tessuto vermiglio, morbido e fresco, quasi inconsistente al tatto; ha un profondo scollo a V con particolari ricami dorati, le maniche sono molto larghe e lunghe, sul busto il vestito sta aderente, stretto in vita da una placca metallica, poi si allarga in una gonna morbida che arriva fino ai piedi, dalle tonalità di rosso cangianti a ogni movimento grazie all’effetto dei vari strati. Maria si guarda allo specchio. Il colore dell’abito e delle labbra fa risalto sulla pelle chiara e sui capelli scuri.

“Siete pronta. Se volete seguirmi nel vostro salotto, potrò spiegarvi tutto ciò che dovete sapere e rispondere alle vostre domande prima che vi chiamino per la cena”.

Siedono sul divano del salottino.

“Mia lady, è mio dovere in quanto temporaneamente vostra ancella prendermi cura di voi, inoltre è mio compito aiutarvi ad ambientarvi nella reggia. Stasera cenerete con la regina e i suoi figli, vi accompagnerò alla sala da pranzo privata della Madre degli dèi nonappena sarete convocata. Il vostro abito oggi è stato scelto dalla regina, nei prossimi giorni potrete decidere voi cosa indossare. A proposito, vorrei conoscere il colore che più gradite in modo da potervi fornire una vasta gamma di abiti di quelle tonalità.”

L’ancella tace. La domanda è implicita. Maria ci pensa su un momento, lo sguardo perso a osservare le fiammelle danzanti nel piatto dorato.

“Forse il nero.”

Hlìn impallidisce leggermente. “Come temevo. L’avevo intuito visto i vostri abiti midgardiani… Forse su Midgard non è così, ma dovete sapere che il nero non è visto di buon occhio qui ad Asgard, rappresenta tutto ciò contro cui il nostro regno lotta da sempre, l’oscurità, la menzogna, il mistero, le tenebre, la morte… Quindi mi vedo costretta a domandarvi altri colori, mia lady. Vi farò comunque avere alcuni abiti e mantelli completamente neri, oltre a abiti parzialmente di questo colore, ma sarebbe meglio che mi diciate altre tonalità che apprezzate ugualmente.”

“D’accordo, allora se il nero non va bene, altri colori che indosso volentieri sono il blu e il verde…”

“E sia. In ogni caso i vostri abiti e gioielli midgardiani che indossavate quando siete stata trovata sono in un cassetto dell’armadio. Se volete, visto che abbiamo ancora tempo posso descrivervi come si svolgono le giornate qui a palazzo.” Maria annuisce. “Allora, la mattina se volete sarò io a svegliarvi, la colazione vi verrà portata nelle vostre stanze. La mattinata potete passarla come più vi aggrada; il pranzo si tiene solitamente sotto il portico dove vengono allestite lunghe tavolate con molti cibi, che uno può prendere e andare a mangiare dove vuole (un posto carino per pranzare è a mio parere il giardino, ma potete andare dove volete). Il pomeriggio, come la mattinata, lo potete passare come preferite. La cena di solito si tiene nella sala dei banchetti con tutta la corte, ma stasera la consumerete nella sala da pranzo privata della regina, come vi avevo accennato prima. Dopo cena di nuovo potete fare quel che volete, ma stasera è meglio se riposate. Nel vostro tempo libero ci sono molte attività che potete fare, per esempio andare in biblioteca, nei cui volumi è rinchiuso il sapere di tutti e nove i regni, oppure all’arena, o a cavalcare, o suonare qualche strumento musicale, potete dipingere, studiare, passeggiare, o fare qualsiasi altra cosa vi venga in mente. Per qualsiasi necessità basta che chiamate il mio nome, e io vi sentirò. Avete delle domande da farmi?”
Maria non fa in tempo ad aprir bocca che si sente bussare alla porta.
 
 
°°°
 
 
“Fratello, proprio non capisco cosa ti turba.”

“Thor, non me ne stupisco, visto che non capisci mai niente!”

“Come faccio a capirti se nemmeno mi vuoi dire qual è il problema!”

Il corvino abbandona l’idea di riuscire a mettere un po’ a posto il caos che regna nella sua camera e butta rabbiosamente i fogli che ha in mano dove capita “Certo che non te lo voglio dire, sei affidabile quanto una comare con la parlantina!”

“È un segreto? Dai dimmelo, ti prometto che non lo dico a nessuno!”

Loki ci pensa su. “Me lo prometti? Nemmeno ai tuoi amici?” chiede infine con voce incerta.

“Certo! Te lo giuro. Puoi fidarti di me, lo sai!”

Il corvino lo guarda scettico, ma alla fine cede. “Ho combinato un disastro, Thor! Ho evocato una bestia famelica che si trovava su Midgard, e ora probabilmente girovaga per Asgard! Padre mi ucciderà di sicuro! Devo rimediare a questo problema, non posso venire a banchettare con te e quei pentapalmi dei tuoi amici!”

“Loki… Ci sarà anche Sif…” ribatte il maggiore con aria complice.

Il più piccolo lo zittisce con un’ occhiataccia. “Non mi importa se c’è anche quell’esaltata, ho problemi ben peggiori! Pensi che voglia ricevere l’ira di nostro padre senza nemmeno provare a sistemare le cose? Non ci tengo a finire ammazzato, grazie!”

Thor gli mette una mano sulla spalla con fare rassicurante. “Non temere fratello, padre ti vuole bene e di certo non ti farebbe niente per una sciocchezza del genere!”

Loki è scioccato. “Thor come fai a definirla una sciocchezza?! Sei impazzito?”

Il biondo elude angelicamente la domanda. “Dai non prenderla così sul serio, magari non l’hai trasportato davvero, Heimdall se ne sarebbe già accorto! Ti sarai sbagliato!”

“Io non mi sbaglio mai. Sono assolutamente sicuro.”

“Loki scusa se te lo chiedo, ma se non ti sbagli mai com’è che questa presunta belva famelica gironzola per Asgard?”

Il moro sta per rispondere a tono, quando bussano alla porta delle sue stanze. Il suo cuore manca un battito e sente il sangue gelargli nelle vene. Una guardia spalanca la porta.  Stupido Thor, mi hai fatto solo perdere tempo, ora vedrai che ho ragione. Padre mi rinchiuderà nelle segrete.

“Siete richiesti al cospetto di vostra madre la regina che desidera cenare con voi nelle sue stanze”

Solo quando la guardia smette di parlare, Loki si rende conto di aver trattenuto il fiato per tutto il messaggio. Allora forse non mi vogliono punire. Non ancora. Ho ancora tempo per inventarmi qualcosa.

“…non potete dire a nostra madre che ceneremo con lei un’altra volta? Stasera volevo cenare con i miei amici.”

“Mi dispiace principe Thor ma vostra madre ha dato disposizioni precise e dice di comunicarvi che vuole che andiate. Entrambi. E cercate di esser presentabili.”

La guardia se ne va prima che Thor possa rispondere.  I due principi si sistemano e si avviano verso le stanze della madre. Giusto prima di arrivare, Thor, che si guarda intorno distratto e annoiato, al contrario del fratello che si dirige pensoso a passo spedito verso la porta, scorge prima di voltare l’ultimo angolo la figura di una delle ancelle della regina con accanto una fanciulla, in fondo al corridoio dietro di loro, e sembrano dirette nella loro medesima direzione. Non fa in tempo a domandarsi chi sia la ragazza che segue Hlìn, che Loki ha già bussato e Gnà ha aperto la porta. Entrano e salutano la madre che li abbraccia contenta; in fondo stanno crescendo e ultimamente è molto raro che Frigga riesca a convincerli entrambi a cenare con lei. Si accorge però immediatamente che il minore dei suoi figli è molto nervoso e rigido, quasi si aspetti di ricevere pessime notizie. Non riesce però a domandargli il motivo di tanta tensione che viene aperta nuovamente la porta. Entra Hlìn, e a seguire una fanciulla. I due principi di Asgard rimangono con gli occhi spalancati. È la ragazza più strana che abbiano mai visto. Ha lunghi capelli scuri come quelli del principe cadetto, grandi occhi neri come la notte più profonda, pelle chiara e liscia e una bocca piccola dalle labbra carnose. Non molto alta, è però magra e slanciata, le gambe molto lunghe in proporzione col busto, i seni piccoli ma dalla forma perfetta. Si guarda intorno con curiosità. Frigga le si avvicina sorridendo e sussurra qualche parole all’ancella che raggiunge le altre in una stanzetta attigua. Poi affianca la fanciulla.

“Cara, loro sono i miei figli. Ragazzi, lei è nostra ospite, da Midgard.” A queste parole, Loki assottiglia lo sguardo. Frigga non sembra farci caso, ma la ragazza se ne accorge. Non capisce il perché di quel moto d’ostilità nei suoi confronti da parte del ragazzo moro. Sorride imbarazzata e le s’imporporano leggermente le guance.

“Sono Maria.”

Il ragazzo biondo si apre in un largo sorriso amichevole. Ha grandi occhi di zaffiro che ispirano immediata amicizia e fiducia. “Io sono Thor.”

L’altro, il moro, continua a osservarla con freddi occhi verdi. Lei si perde in quello sguardo magnetico, come vi fosse un collegamento invisibile che le impedisce di guardare altrove. “Loki” risponde lui mellifluamente, la voce affilata quasi più dello sguardo. Il collegamento si spezza.

Frigga li conduce a una lunga tavola. La regina degli Æsi siede a capotavola, Loki alla sinistra della madre, fanno sedere Maria alla destra della dea, di fronte a un Loki che continua a osservarla diffidente, e accanto a Thor, con il suo solito sorriso stampato sul volto. Dopo qualche momento in cui mangiano principalmente in un silenzio abbastanza imbarazzante, è proprio lui a dare inizio alla conversazione.

“Quando sei arrivata?”

La domanda è rivolta a Maria, ma a rispondere è la regina. “Circa un’ora fa. Ho mandato un convoglio al Bifröst che l’ha portata qui in incognito. Avrebbe attirato troppi curiosi una fanciulla in abiti midgardiani che cammina per le strade di Asgard.”

La ragazza aggrotta le sopracciglia. Perché la regina sta mentendo sul suo arrivo? Non capisce. Anche il moro sembra aver intuito la menzogna, e squadra la madre e la midgardiana di sottecchi. Quel ragazzo sa o intuisce qualcosa che a lei continua a sfuggire. Che fosse proprio quello il motivo della sua ostilità? Riprende a girarle la testa. Troppe novità, troppe stranezze,  troppe domande senza risposta. Si ripromette di trovare tutti i tasselli del puzzle. Vuole sapere. L’indomani cercherà delle risposte.
Mentre lei pensa, la regina e il biondo hanno continuato a chiacchierare. Alza lo sguardo e nota che Loki ha continuato a fissarla tutto il tempo. Si rende conto solo allora che con il suo silenzio deve aver solo accentuato i sospetti del moro. Che stupida, avrebbe dovuto capire che doveva sostenere la farsa della regina. Non ha il coraggio di alzare lo sguardo e incontrare quegli occhi. Ma che sospetti aveva?

“Domani potresti passare la giornata con noi e i nostri amici!”

Tempismo impeccabile del biondo, che ora la guarda con aspettativa, fiero della sua idea. Sorride grata a quell’offerta amichevole.

“Si, perché no!”

Se possibile, il sorriso di Thor si allarga ulteriormente.

“Magari ti puoi allenare con noi nell’arena!”

“Imbecille.”

Tutti gli sguardi sono puntati sul moro, che aveva sussurrato quella singola parola. La madre lo guarda interrogativa, come tutti d’altronde, e anche leggermente scioccata. Loki, sentendosi in dovere di dare spiegazioni, prosegue. “Thor, non essere ridicolo, vuoi portare un’ospite a combattere nell’arena? Ti ricordo che è una ragazza e non tutte le ragazze sono fanatiche della battaglia come Sif.” Osservazione abbastanza coerente.

“Tu cosa proponi, fratello?”

“Tu vai nell’arena con i tuoi amici e ti alleni, io le faccio fare un giro per vedere il palazzo e parlare, così chiariamo alcune cose. Dopodiché vi raggiungiamo e facciamo quello che preferite, e tu le presenti i tuoi amici.”

La regina sembra esser dello stesso parere del figlio minore. “Si, sono d’accordo, in questo modo può anche visitare il palazzo, oltre che conoscere  i vostri amici, Thor.”

Ecco, ora è del tutto confusa. No, non confusa, stupita. Prima le risponde mellifluamente e ora propone di passare la mattinata insieme. O è molto lunatico, o deve avere in mente qualcosa. Lei è quasi sicura che la seconda ipotesi sia quella corretta. Ma come posso scoprirlo se non accettando l’offerta? Vuole ottenere risposte. È sempre stata abile con le parole, se l’indomani giocherà bene le sue carte, può facilmente condurlo dove vuole lei. O almeno così si augura. Inoltre la regina appoggia la proposta.

“Si, forse è un’idea migliore.”

Loki sorride. Il suo piano funzionerà più facilmente del previsto.
 
 
°°°
 

Finalmente chiude la voce tonante del fratello fuori dalla porta. Ha parlato lungo tutto il tragitto che portava alla zona delle loro stanze, ma Loki non ha ascoltato una parola, né si è degnato di rispondere. Anzi, è abbastanza sicuro che Thor fosse nel bel mezzo di una frase quando gli ha sbattuto la porta in faccia. Ridacchia nell’immaginarsi la faccia del fratello. Ma l’ilarità è breve. Siede sul divano. Odino non mi punirà. Per una volta quell’idiota di mio fratello ha ragione. Mi sono fatto prendere dal panico! Stupido! Non deve più succedere. Invece di piangermi addosso avrei dovuto accertarmi. E così non c’è nessuna belva famelica. Solo una ragazza in grado di utilizzare il Seiðr che dice di essere una Midgardiana. Madre ha anche mentito sul suo arrivo. Loro non sentono il suo potere. Può venire da Midgard ma non è ciò che afferma di essere. Il suo cervello continua a rimuginare attorno a questi punti. Deve saperne di più. Per questo ha chiesto di passare la mattina seguente con lei. Di sicuro non sospetta nulla. E lui otterrà le informazioni che vuole. Nessuno può pensare di intuire cosa gli passi per le testa, e ne è consapevole. Tutti lo trovano troppo intricato, contorto. Lei di sicuro non è diversa. Riuscirà a portare il discorso dove vuole lui e farsi dire tutto. Lei non se ne accorgerà neanche. In fondo è entrata spontaneamente nella ragnatela accettando la sua proposta. Deve essere  ingenua come tutti gli altri. Basta solo attendere l’indomani e potrà mettere in atto il suo piano… Attendere l’indomani. Attendere. L’indomani. Attendere… Att… Abbassa lo sguardo. Gli tremano le mani. Possibile che stia fremendo nell’attesa? Una delle sue armi migliori è la pazienza! Però deve ammettere che la vita ad Asgard è piuttosto noiosa. Finalmente qualcosa di misterioso… Si rende conto suo malgrado che non è mai stato tanto curioso. Ha la possibilità di sventare un intrigo contro la corona. Questa volta sarà lui l’eroe, sarà lui a rendere fiero loro padre. Corre in bagno e si sciacqua il volto con l’acqua gelida. Piano piano il tremito alle mani cessa e la mente riprende a ragionare con lucidità. Torna sul divano. Chiude gli occhi. Sente il Seiðr ribollirgli come fuoco nelle vene, muoversi dentro di lui, trasmettergli un brivido lungo la schiena, il potere rendersi concreto, obbedire al controllo della sua mente, avvilupparglisi intorno. Il tempo sembra rallentare. Sente distintamente il battito del proprio cuore pompare il sangue, rimbombandogli nelle orecchie come un tamburo. Percepisce ogni suono e odore della stanza. I suoi sensi sono amplificati. Ora guarda con l’occhio della mente. Vede i contorni sfocati delle pareti dorate, il fuoco verde che arde con baluginii inquietanti nel piatto metallico al centro del tavolo, la moltitudine di libri e fogli in disordine ovunque, lui adagiato sul divano. Attorno al suo corpo il Seiðr si muove come un essere animato, costituito di particelle di luce e ombra dai riflessi verdi. Si concentra. Lo percepisce chiaramente anche da lì. Ne sente il potere, la consistenza, il suono, l’odore, l’energia, il colore. Sa benissimo che nessuno oltre a lui, forse solo Odino e Frigga, può sentirlo. Viene investito da quell’aurea magica, si immerge al suo interno. Ne cerca la fonte. E la trova. Una fonte magica molto potente. Oscura e fredda. Particelle di luce e ombra, nere e azzurre, che la avvolgono. Ne sfiora il Seiðr con il suo. La sente cadere. L’ha sentito. Anche lui l’ha sentita. Richiama il Seiðr. Rientra nel suo corpo. Ha il respiro affannoso e spezzato, la testa gira e il sangue pulsa forsennatamente alle tempie. Si prende la testa fra le mani e la appoggia sulle ginocchia. Ha la nausea. Se fosse stato nel suo corpo e in piedi al momento dell’impatto, non solo sarebbe caduto, ma probabilmente sarebbe svenuto. Nemmeno l’aurea di Odino è tanto potente. Una volta ha provato a fare lo stesso, è uscito dal suo corpo, ha individuato il Seiðr del padre, l’ha raggiunto e sfiorato; il re è caduto nel Sonno di Odino per due giorni, ma lui si sentiva solo vagamente stordito. La magia del Padre degli dèi non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella della fanciulla misteriosa. Qualcuno deve averle imposto dei sigilli che ne bloccano il fluire del Seiðr, non vuole neanche immaginare quanto potrebbe essere potente altrimenti. Le stanze del re sono abbastanza vicine a quelle dei figli, invece le stanze di lei sono decisamente più lontane, eppure l’energia del padre la sente a stento, al contrario percepisce chiaramente la magia della fanciulla. Sente ancora quel Seiðr così particolare vorticargli in testa, inebriandogli i sensi con il suo potere. Decide che troppe ore lo separano dal sorger del sole. E non vuole attendere ancora. Per il bene di Asgard.
 
 
°°°
 

“Hai preso questa decisione senza di me.”

“Lo so, perdonami, ma devi fidarti, ho visto. È lei.”

“Ne sei certa?”

“Assolutamente si. Lo saresti anche tu se non l’avessi persa di vista. È stato un grave errore, sapevi che sarebbe tornata. Solo… forse non così presto…”

“Hai ragione. Non così presto. Nemmeno tu te lo aspettavi, non negarlo. Ho sbagliato a perderla di vista, nonostante si passato così poco tempo. Ora dobbiamo agire. Ma come? I tempi sono ancora giovani perché sappia.”

“Se la costringiamo a un’eternità sulla terra mortale, capirà comunque, perché lei non invecchierà né morirà, al contrario di tutti quelli che conosce. Prima o poi sarebbe dovuta tornare, era inevitabile. Ora che i sigilli sono incrinati non puoi fermarla e lo sai. È più forte di quanto avessimo previsto. Lasciamo che li rompa del tutto e impari a gestire il proprio potere. Non serve dirle cos’è, può credere di essere un’eccezione. Così riprenderà anche la forma Æsir. L’hai costretta molti secoli nel sonno dell’oblio, ora che si è svegliata non possiamo fare nulla. Lo senti anche tu quanto è potente.”

“Esatto! Può diventare un nemico.”

“Se la rinchiudiamo o la blocchiamo di nuovo, si. Lo sapevi che sarebbe successo. È tempo. Se la temevi a tal punto, avresti dovuto ucciderla quando potevi. Ricorda che sei stato tu a disporre perché vivesse. Manca poco alla profezia. Per noi è meglio averla come alleata. Deciderà molti destini quando sarà il momento.”

Odino, rimasto di spalle tutto il tempo, si volta verso la moglie.

“È mio compito preservare la pace dei Nove Regni del Cosmo. Lei costituisce una minaccia per questa pace, una minaccia che prima non costituiva. O almeno non di quest’entità. Per questo è sopravvissuta. L’abbiamo sottovalutata. Tu stessa hai visto che si alleerà con il caos e l’oscurità. Non posso lasciare che accada.”

La regina lo guarda implorante. “Sei un re, ma prima di questo sei un padre. Lei costituisce una minaccia per l’equilibrio, ma sarà anche la salvezza del caduto. E sarà grazie a lei se l’universo non cadrà. Eviterà che avvenga il Ragnarok. Fidati. So quello che faccio.”

Odino sospira. “E sia.”

 
°°°
 

La cena non è stata così male. Dopo la strana proposta, Loki si è nuovamente chiuso in un profondo silenzio. Lei ha continuato a chiacchierare con Thor e la regina per il resto del pasto. O meglio, lei e la regina hanno ascoltato Thor chiacchierare del più e del meno. A fine serata aveva scoperto molte cose interessanti e utili per la sua permanenza ad Asgard. Tanto per cominciare, la maggior parte degli Asgardiani sono guerrieri. Alcuni possono utilizzare la magia, la cui energia viene chiamata Seiðr e scorre solo nelle vene di pochi individui ad Asgard, fra cui il re Odino, la regina e il minore dei loro due figli. In pochi imparano a usarlo, perché viene considerato da vigliacchi, e così, eccetto i guaritori, nessuno lo apprende, nemmeno chi potrebbe. Nessun Midgardiano possiede il Seiðr, mentre è caratteristica peculiare nelle creature di altri mondi. Tutti gli Asgardiani sono rigorosamente biondi, tranne alcune eccezioni tendenti al rosso. L’unico abitante di Asgard con i capelli scuri è il principe cadetto. Bhe, in quel momento, il principe cadetto e lei. Questa caratteristica lampante l’ha incuriosita, facendole aggiungere ulteriori domande alla lista. Alla fine della cena, Frigga li ha congedati, augurando loro un buon riposo. Hlìn le ha mostrato la strada per tornare alle sue stanze, l’ha aiutata a prepararsi per la notte, dopodiché se ne è andata. Prende un respiro profondo. È stato un pomeriggio intenso. Decide che non riuscirà a dormire eccitata com’è, per cui si dirige verso il salotto. Forse è solo una sua impressione dovuta proprio alla sovreccitazione, ma le sembra di esser perennemente osservata, in ogni momento. Di tanto in tanto scorge delle ombre con la coda dell’occhio, ma probabilmente è solo la sua immaginazione. Prende un libro a caso e siede sul divano. Non fa nemmeno in tempo a leggere il titolo. Drizza la testa di scatto. Percepisce qualcosa muoversi. Si sente invadere da una grande energia e le corre un brivido lungo la schiena. Si alza in piedi e comincia a camminare con circospezione. Dopo pochi passi, accanto allo scrittoio, sente come un’onda frangersi contro di lei. I suoi occhi non vedono nulla per una frazione di secondo, tranne un’intensa luce verde. Sente odore di neve. Cade in ginocchio per la forza dell’impatto, la testa gira. Si aggrappa al bordo dello scrittoio e prova ad alzarsi, ma con scarsi risultati. Cerca di camminare fino al bagno. Il suo corpo è come ubriaco ma la sua mente è lucida. Si bagna il viso con l’acqua fredda e ne beve qualche sorso. Va meglio. Rimane qualche rimasuglio del mal di testa, ma è sopportabile. Forse è meglio se va a dormire, leggerà l’indomani.
 
 
°°°
 

Arriva come un’ombra furtiva in uno dei tanti giardini di Asgard. È uno dei più odiati dagli Æsi. Non c’è luce, splendore o fastosità. A lui invece piace. È uno dei più isolati, sorge dove è avvenuta una delle battaglie contro degli Jotun e Svartalfàr invasori, durante l’ultima Grande Guerra, durante la quale sono nati lui e suo fratello. Le tenebre della notte di Asgard rendono il luogo spettrale, una leggera brina copre il suolo. Quel luogo è perennemente immerso nella nebbia. Troppi dèi vi hanno perso la vita. Quel giardino è lì per ricordare a tutti ciò che fu, ma nessuno ci va mai, per cui nessuno ricorda veramente. Anche loro sono vulnerabili, per quanto possa sembrare il contrario. I giorni bui. Il dolore. Il freddo. La morte. La paura. Odino ha provveduto ad avvolgere Asgard nella sua aurea dorata. Troppo tempo è passato dall’ultima guerra. Gli Asgardiani non ricordano, le menti illuse da tanto oro, tanta maestosità. Ma la pace non può durare per sempre, e prima o poi anche Asgard vacillerà. Allora bisognerà essere pronti a reagire. Ma come è possibile se nessuno si rende conto di quanto fragili siano le fondamenta del loro potere, della loro presunta pace? Lui sa, lui sente le tenebre tramare nel buio. Perché la strenua lotta fra luce e oscurità non finisce mai. Anche se uno prevale, l’altro prima o poi lo contrasta. Più chiara è la luce, più profonde saranno le tenebre. È la legge del cosmo. Chiude gli occhi e evoca il Seiðr.

 
°°°
 

Si è appena stesa, ha spento la candela accanto al letto. È immersa nell’oscurità. Prova a dormire. Chiude gli occhi. Li riapre. Li richiude. Si alza a sedere di scatto, gli occhi sbarrati. La testa gira ma lei non ci fa caso. È lì. La cosa che ha sentito nel salotto e il cui contatto l’ha fatta cadere. Non la tocca. Attende. Lei si alza con cautela. La cosa passa accanto alla candela, che si accende. Lei la prende in mano e inizia a seguire sospettosa la strana cosa. Non sa nemmeno perché lo sta facendo. Sente che avrà risposte. Esce furtiva dalle sue stanze. La cosa è sparita ma lei sente dentro la testa quell’energia. Sa dov’è l’origine. Prende a muoversi nel dedalo di corridoi del palazzo. Di notte ha un’aria cupa. Solo pochi lumi alle pareti permettono di vedere qualcosa. La maggior parte del palazzo dorme. Sente che nella zona che circonda la sala dei banchetti, dove gli abitanti del palazzo hanno cenato, è ancora piena di vita, e sono quasi tutti guerrieri ubriachi. Si tiene accuratamente lontana da quella zona. In realtà non si capacita di come sappia che lì c’è la sala dei banchetti e i guerrieri ubriachi, solo… lo sente. Lo sa e basta. Continua a camminare, la candela davanti a sé, la candida veste da notte che fruscia a ogni suo passo. Incontra solo qualche guardia, un’ancella e alcuni Æsi, dei quali la maggior parte del tutto ubriachi. Ogni qualvolta incontra qualcuno, si addossa alla parete e la cosa le spegne la candela. Lei si fonde con le tenebre, attendendo che quel qualcuno passi. Sente che nessuno deve sapere che è uscita. Riesce ad uscire dal palazzo senza esser vista da nessuno, seguendo quella sorta di strano istinto che la guida verso la fonte di quell’energia. Si ritrova così in uno strano luogo. L’aria è umida ma stranamente fresca. Attraverso la nebbia si intravedono grandi alberi dai rami contorti e le foglie di un cupo verde scuro. Il legno degli alberi, l’erba su cui cammina, tutto è grigio, con solo una vaga sfumatura pallida di verde. È come se quel luogo avesse dimenticato cos’è la vita, cos’è il colore. Oppure è lì per ricordare cos’è la morte. È un posto tetro, gli alberi stessi trasmettono una tristezza straziante. Lei lo trova semplicemente bellissimo. Inizia a camminare come un fantasma fra gli alberi, osservandosi intorno. Molte ombre strisciano furtive, sibilando, facendole accapponare la pelle. L’atmosfera è irreale, le sembra di essere in un sogno. Facendo attenzione si riesce a notare che gli alberi hanno forme “umane”, alcuni più grandi, altri meno, in altri è addirittura possibile individuare un volto, volto straziato da dolore, paura, rabbia e tristezza. Si ferma. È giunta all’origine. Sente la presenza di qualcuno, ma non riesce a vederlo, a causa del buio e della fitta coltre di nebbia. Loki dissipa la foschia che lo avvolge e esce a passi misurati dall’albero dietro il quale aveva atteso. Non riesce a trattenere un sorriso trionfante e malevolo nel vedere l’espressione confusa e stupita della ragazza. Si, è proprio come gli altri. Le gira intorno, come un predatore attorno alla sua vittima, osservandola. Si ferma davanti al lei, sorridendo. Lei lo guarda negli occhi e legge una grande furbizia. Sente la collera crescere dentro di sé. Non ha intenzione di essere un burattino dei suoi piani, qualunque essi siano. Rimane impassibile ma indurisce lo sguardo. Deve però stare al gioco se vuole scoprire qualcosa. Loki quasi non lo crede possibile. È la prima persona che sembra aver capito le sue intenzioni guardandolo negli occhi. Di solito le persone trovano il suo sguardo imperscrutabile. Ora invece la ragazza ha indurito il proprio di sguardo, ed è lui a non riuscire ad indovinarne i pensieri. Sa solo che lei è più intelligente di quanto pensasse. E che, in qualche modo, ha capito le sue intenzioni. Deve fare attenzione, si muove su un terreno pericoloso. Il sorriso scompare dal suo volto. Continuano a fissarsi in silenzio. Occhi verdi e occhi neri. Alla fine lui prende la parola.

“Da dove vieni, veramente?” Ha deciso che con lei sono inutili stupidi giri di parole.

“Dalla terra. Midgard, per voi.” Ha risposto con voce ferma e dura. Mostra però sorpresa per la domanda che le è stata posta.

“Vedo che sei confusa, Midgardiana. Cosa ti turba?” la voce di Loki ha subito ripreso il tono derisorio.

“Molte cose, Principe di Asgard. Facciamo così. Non mi piace venir presa in giro, e credo non piaccia nemmeno a te. Io risponderò alle tue domande, e tu alle mie, così saremo contenti entrambi. È l’unico compromesso che accetterò, dunque, se vuoi risposte da me, anche se non vedo come potrei aiutarti, dovrai darmi delle risposte anche tu.”

È ancor più furba di quanto Loki immaginasse. La sua è però una proposta accettabile. Conoscere i dubbi di quella ragazza sarà comunque un punto a suo favore. Annuisce. “Accetto. Una domanda io e una tu. Però voglio risposte sincere, Midgardiana, come hai detto tu stessa non mi piace esser preso in giro. Per cui riformulo la domanda. Da dove vieni, veramente?”

“Da Midgard.” Ora la fanciulla è veramente confusa.

“Ti ho detto di non mentirmi. Nei Midgardiani non scorre il Seiðr. In te invece si. Non sono ingenuo come gli altri, non puoi ingannarmi. Da dove vieni e perché eri su Midgard?” la voce di Loki è tagliente.

“Ma… Io vengo veramente dalla terra…” sussurra e aggrotta le sopracciglia. Come… “Se davvero sei convinto che io non sia Midgardiana, come mai pensi che ero veramente su Midgard? Giuro che non ti ho mentito, ma credi quello che vuoi. Visto che ti ho risposto, ora tocca a me. E la mia domanda è questa. Come sai che vengo da lì e perché non hai creduto alla bugia della regina sul mio arrivo?”

Loki non ne può più di questa messinscena. Usa velocemente il Seiðr per indagare sulla sua risposta. Lei… È veramente convinta di venire da Midgard! Ma allora… ora è lui a spalancare gli occhi. La discussione diventa più interessante ogni minuto che passa. Le dirà la verità. Era troppo curioso per perdere l’occasione di scoprirne di più. E poi… Ha il bisogno di parlare con qualcuno, e lei gli somiglia più di quanto non voglia ammettere. “Non stai mentendo. Tocca a me rispondere. Sono stato io a trasportarti ad Asgard. Non intenzionalmente, in realtà. Stavo facendo degli esperimenti. Io esercito il Seiðr e stavo provando a trasportare degli oggetti da un mondo a un altro in un modo che ho inventato io. Avevo scelto Midgard perché su quel pianeta non c’è essere dotato di Seiðr che potesse interferire, eccetto te, evidentemente. Il tuo Seiðr al contatto con il mio ha creato un ponte dimensionale nelle vie oscure che non ho saputo gestire. Potresti essere un’eccezione alla regola. L’unica Midgardiana dotata di energia magica. E molto potente, anche.” Ora l’espressione del principe cadetto è pensosa. Poi ride per la prima volta da quando l’ha visto. “E io ho creduto di aver portato ad Asgard una creatura di qualche altro mondo che cercava di invadere Midgard!”

Ecco il perché della sua ostilità allora. Pensava che stesse ingannando la regina e volesse invadere Midgard e forse anche Asgard. Che idea assurda! Anche lei ride. Loki rimane affascinato da quella risata così limpida. Per una volta qualcuno non ride per deriderlo. La sua risata è divertita, ma non derisoria, è genuina e amichevole, ed è anche.. Vagamente timida. Come quella di qualcuno che non è molto abituato a ridere per davvero ed è incerto nel farlo. Ora che ci pensa anche la sua di risata deve essere così. Quella vera, non la risata meschina e derisoria, quella che indossa per ostentare sicurezza e nascondere le ferite. Poi la fanciulla smette di ridere. Aveva ripensato alle parole del cadetto.

“Hai detto che potrei essere un’eccezione. Hai detto che il Seiðr non scorre nei Midgardiani, ma in me si, pur essendo Midgardiana. E che è potente. Che vuoi dire? Da quel che ho capito il Seiðr è l’energia magica. Ma io non sono in grado di usare la magia. Anzi, fino a ieri pensavo nemmeno esistesse! Cosa intendevi?”

Dopo quella risata, qualcosa è cambiato, sente per la prima volta di fidarsi di qualcuno, per la prima volta, forse, ha un’amica. Non intende nasconderle nulla. “Esattamente quello che ho detto. Che sento scorrere in te un’energia magica molto potente. Il che è strano, anzi, se non avessi davanti la prova del contrario, direi che è impossibile. Non hai mai usato la magia perché ci sono dei sigilli a bloccarti. Li percepisco chiaramente. Al contatto col mio Seiðr e dopo il viaggio si sono incrinati, infatti ora il tuo Seiðr si sta risvegliando. Prima l’ho individuato e sfiorato. Ero io, ed è per questo che sei caduta, se questa è una delle domande che volevi pormi. Anche io sarei caduto se fossi stato in piedi. Sei molto potente. È grazie al Seiðr che sei riuscita a trovarmi e giungere fin qui. Sento ancora la tua energia nella testa. Io avevo molte domande nel caso volessi invadere Midgard e Asgard, ma visto che sei effettivamente Midgardiana le ho esaurite. Quindi puoi pormi tu delle domande, se hai ancora dei dubbi.” si siede su una roccia, e Maria lo imita. Riflette un attimo, poi formula il suo quesito.

“Tu sai usare la magia. Potresti insegnarmi?”

Questa domanda Loki non se la aspettava. Su Asgard la magia non è vista di buon occhio ed è raro che qualcuno decida di imparare a maneggiarla. Evidentemente però quella Midgardiana vuole imparare. Sapere. Conoscere. Con questa domanda innocente si è meritata l’attenzione e l’ammirazione del principe cadetto, cosa che nessuno prima era mai riuscito a guadagnarsi. “Certamente.”

Il volto della midgardiana si illumina di un sorriso colmo di riconoscenza. “Grazie.”

“Di nulla. È un piacere. Ora forse dovresti andare a dormire. Se hai altre domande me le potrai porre domani, tanto la mattina la passerai in mia compagnia. Mi dispiace di averti disturbata in quest’ora poco consona, ma se eri un nemico dovevo accertarmene il prima possibile.”

Si alza in piedi e offre la mano alla fanciulla per aiutarla ad alzarsi, lei la prende. Si rende conto solo allora di essere in veste da notte, mentre il principe è vestito di tutto punto. Arrossisce imbarazzata. “Scusa.” Loki sorride. “Non c’è problema. Domani raggiungimi qui nonappena sarai pronta.” Detto questo, scompare. Dopo qualche istante, la testa riprende a girarle. Chiude gli occhi. Quando li riapre è nelle sue stanze. Si mette immediatamente a letto e spegne la candela. Tuttavia non riesce a prendere sonno. Ha troppi pensieri in testa e troppe domande ancora da porre. Quella notte per molte ore nessuno dei due riuscì a dormire. Poi, finalmente, l’oblio ne avvolse i pensieri.
 
 
 
NdA
Buongiorno a tutti! Ecco il primo capitolo, so che è un po’ lento e mi scuso fin da subito. Questa è la mia prima fanfiction in assoluto, per cui se avete consigli e/o commenti di ogni genere, sono ben accetti. Spero che questo primo capitolo vi abbia un pochino interessati.
Grazie mille a silvermoon74 che ha recensito il prologo!
A presto,
ice_shadow :)

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Capitolo 3
*** Fiducia ***


“I don’t wanna sleep,
I don’t wanna dream!
‘cause my dreams don’t comfort me.”
-Skillet, Comatose-
 


FIDUCIA
 
 
Alza la testa di scatto. L’aria è fredda e umida e si appiccica ai polmoni. Si guarda intorno. È buio, ma i suoi occhi vedono nella penombra, una singola torcia vicino a una pesante porta sigillata in cima a una scala dai gradini usurati è l’unica fonte di luce. Si trova in un sotterraneo dalla forma quadrangolare, con alcune enormi colonne quadrate. No, non è un sotterraneo. È una prigione. La pietra scura è tuttavia scolpita ad arte, su di essa l’umidità forma milioni di goccioline che scendono lentamente come piccoli fiumiciattoli, vene da cui sgorgano rigagnoli di sangue nero. I bassorilievi nella roccia ricordano disegni che ha già visto da qualche parte… Forse somigliano agli intarsi dorati che decorano i pavimenti di lucida pietra nera del palazzo di Asgard… Ma non ne è sicura, non è sicura di niente di ciò che vede. Quel luogo è strano, ispira tristezza. È come se ci fosse già stata. È come se lì vivessero fantasmi di ricordi dimenticati, che sussurrano dolore e perdita. Cammina guardinga. È turbata, una strana angoscia cova nel suo cuore, le chiude la bocca dello stomaco. Ha la gola secca, sa che se provasse a parlare dalle sue labbra non uscirebbe una parola. Da un angolo sente giungere un gemito, simile al verso acuto di una bestia ferita ma che non si vuole arrendere al proprio destino, anche quando ormai è segnato e non c’è più niente da fare. Si avvicina guardinga. Nell’ombra, vi è una donna. È rannicchiata vicino una colonna, distesa in posizione fetale. È nuda e incinta. Sulla pelle cerea del corpo magro e elegante risaltano pulsanti lividi neri. La schiena è segnata dai tagli di violente frustate che ne hanno squarciato la pelle, la pellicola giovane delle cicatrici è rosea e viva, pulsante. Il volto fiero segnato dal dolore e dalla stanchezza, scavato dalla fame, è incorniciato da quel che rimane di lucenti capelli neri. Doveva essere molto bella, prima di ridursi così. Sulla nuca, seminascosto dai capelli, vi è uno strano simbolo, impresso sulla pelle, come una cicatrice. La donna ha gli occhi chiusi, quelli di chi ha sofferto troppo e sa che dovrà soffrire ancora. Le fa pena, vorrebbe avvicinarsi e consolarla, dirle che andrà tutto bene, ma non riesce a muoversi e probabilmente le mentirebbe. La pesante porta della prigione si apre e entra un vecchio con un’armatura dorata, seguito da due guardie. È privo di un occhio e impugna una lunga lancia d’oro. Si avvicina alla donna, le guardie restano ai lati della porta. Lei alza il volto, lo guarda con grandi e penetranti occhi grigi, derisori, colmi di odio e rancore.
 
“Cosa vuoi ancora, Padre degli dèi? Non ho sofferto abbastanza?” la voce è fredda e tagliente, anche se roca e stanca. Ciocche scure le ricadono sul viso, fra i capelli si vedono chiaramente le orecchie a punta.
 
“Sai cosa voglio, Frelse. Cedimi il bambino e vivrai. Non necessito della tua morte.” Odino è duro, irremovibile, perentorio come un re e un guerriero. Non può farsi intenerire da quella creatura. Sa che ciò che nascerà dal suo ventre sarà una minaccia, e prevenire è sempre meglio che curare. La donna sputa sangue e ride di una risata crudele e disperata, il riso dei folli, di chi non ha più speranza ma non si arrende comunque.

“Non ti è bastato il figlio del gigante, vuoi anche il mio? Tua moglie non è forse in grado di darti altri eredi, che vai a rubare quelli degli altri? O forse hai solo paura? Paura  di una creatura che non è ancora nata. Quanto puoi essere vile? O forse sei stufo di adottare, vuoi solo strapparmelo per darlo a qualcuno che lo educherà come conviene a te? Perché non ucciderlo direttamente allora! Sai che sarebbe solo uno strumento, allora non lasciare che viva! Certo, ti toglie alcune possibilità, ma è molto più veloce e sicuro, no? Sappi solo questo, Padre degli dèi. Tu non avrai mio figlio. Non permetterò di vederlo crescere di mille bugie dorate. Dovrai passare sul mio cadavere.” La donna è sprezzante, i suoi occhi esprimono tutto l’odio che prova, è una madre che lotta disperata per il futuro incerto di un bambino e di un popolo.


Odino la lascia parlare, ascolta in silenzio, questo diritto non vuole toglierglielo. Sa cosa vuol dire essere un genitore e sa che al suo posto direbbe le stesse identiche parole. Ma è un re che ha appena costruito una pace, l’ha costruita col sangue e la spada, e quella pace deve rimanere tale, non può permettere a nulla di sgretolarla, nemmeno a un bambino ancora nel ventre della madre, una creatura innocente ma che presto non sarà più tale.

“Sai che non mi arrenderò, Frelse, e che non puoi fare nulla. Cedimelo, ed entrambi vivrete. O lo prenderò ugualmente, in un modo o nell’altro. Solo che quest’opzione implicherebbe la tua morte e forse anche quella di tuo figlio. Sarebbe un peccato, pensaci.”

“Uccidimi allora. Preferisco la morte a una vita di schiavitù.” Lo sguardo è fiero, come il tono della donna. Non teme la morte, ma le catene. È una creatura libera e non permetterà a nessuno di domarla. È come il suo popolo, per questo sa che Svartàlfheim si risolleverà, sa che la conquista di Asgard non è destinata a durare.
Odino sembra assorto. Infine mormora solo poche parole.

“Non rappresenti la salvezza del tuo popolo, come il tuo nome vorrebbe. Ma come potresti, in fondo non riesci a salvare nemmeno te stessa. È un peccato che tu abbia rifiutato la mia offerta.”


Gli occhi sono ora rossi e lo guardano con disgusto, il volto felino illuminato di un sorriso crudele. “Non immagini come si ripercuoteranno le tue azioni, vecchio pazzo, sarò vendicata, ricordalo sempre!”

Intorno a lei si sta addensando una fitta nebbia nera e argentata, ma Odino è più svelto: non ha intenzione di lasciare che riesca a crearsi una protezione con il Seiðr. La punta della lancia penetra la nebbia, lei grida, un urlo bestiale e selvaggio, scopre  i canini leggermente aguzzi, bianchi come non mai, la pelle livida sembra quasi trasparente, la donna grida, un urlo che racchiude tutta la sua disperazione e il suo dolore, un grido che penetra fin nelle ossa e gela il sangue nelle vene. Maria vorrebbe aiutarla, ma non riesce a muoversi.  La donna è debole e quando la lancia giunge alla carne il Seiðr si dissolve, la punta dorata preme sul ventre rigonfio, lo squarcia, la donna ruggisce dal dolore, ma non piange, il sangue sgorga. Odino si china sull’elfa agonizzante, sullo squarcio nel ventre, vi infila le mani e tira fuori un piccolo feto morente e insanguinato. Lei grida un ultimo ringhio rabbioso, ma l’emorragia è grave, il sangue scorre via da lei. Quel grido che ha gelato Asgard è ormai cessato. È morta, e giace in una pozza di sangue scarlatto, solo una donna dal crudele destino, destino irrevocabile, destino che le appartiene dall’istante in cui ha preso il suo primo respiro, dall’istante in cui ha visto il suo mondo per la prima volta, e l’Oracolo(1) l’ha chiamata Frelse, Salvezza. Da sempre aveva saputo che si sarebbe sacrificata per il futuro del suo popolo, e aveva accettato con onore il fato che le Norne le avevano destinato. Odino lo sa, e ne ammira il coraggio.  Avviluppa la piccola creatura in un bozzolo di Seiðr dorato, che il piccolo assorbe, poi lo avvolge in un panno e esce, seguito dalle guardie. Ora è sola e il buio è completo. Lì vi è solo la morte.


Apre gli occhi, le pupille dilatate, il battito cardiaco accelerato. Trema, trema senza controllo, il sogno ancora vivido nella testa. Hlìn la sta scuotendo, l’espressione preoccupata.

“Avete urlato. State bene?”

Maria ci mette ancora qualche secondo per mettere a fuoco l’ancella e riuscire a trovare la voce per rispondere.
“Si… Cosa è successo?”

“Io stavo venendo a svegliarvi e aiutarvi a prepararvi, come sono entrata avete iniziato ad urlare e dimenarvi nel sonno. Vi sentivate male?”

“No, io.. Non credo. Ho solo avuto un incubo.”

Il volto corrucciato, i tremiti ridotti al minimo. Si alza a sedere, si tiene la testa con le mani, gli occhi serrati. Hlìn la conduce lentamente per mano fino al bagno, la sveste e la fa entrare nella vasca. La ragazza sembra essere stordita, obbedisce docile ai suoi movimenti come non si rendesse conto di ciò che le sta succedendo. L’acqua è fredda e la fa rabbrividire leggermente, il tremito cessa e lei riprende lentamente lucidità. Immerge la testa sott’acqua, finché i polmoni non le bruciano. Riemerge e respira a fondo. Era solo un sogno. Niente di più.  

 
 
°°°
 
 

Diverso.

Bugiardo.

Codardo.

Ingannatore.

Vile.

Freddo.

Lingua d’Argento.

Insensibile.

Debole.

Diverso.
 
Loki siede sul masso della sera prima. Le voci sibilano malevole nella sua testa. Il Bosco dei Caduti è avvolto nella nebbia come sempre, la luce mattutina è trasparente e non riesce a riscaldare quel luogo così intriso di morte, attraverso la nebbia pare che la luce si infranga in mille frammenti d’acciaio. È giunto lì al sorger del sole, la notte non ha portato ristoro per lui, ha preso sonno per poche ore ed è stato un sonno tormentato da strani sogni. E voci sibilanti. Nonappena i primi raggi di luce sono sorti su Asgard, è sgattaiolato fuori dal palazzo. Doveva riflettere. Il primo posto che gli era venuto in mente era quello. Ora è lì seduto, ad attendere. Non è passato molto dall’alba e l’aria è fresca, una leggera brina bianca ricopre il suolo arido. Poi sente un urlo nella sua testa, ed è la voce della fanciulla. Per un attimo la vede, addormentata, tormentata anche lei da terribili incubi. Forse dovrà attendere su quella roccia ancora qualche tempo prima che lei si presenti.


 
°°°
 


Esce lentamente dall’acqua, si avvolge in un panno candido e Hlìn le asciuga i capelli. A stento l’ancella reprime un urlo per la sorpresa: se prima erano scuri, adesso sono neri come la notte. Come quelli del principe cadetto. Tuttavia la giovane è immersa nei suoi pensieri e ci fa a malapena caso. Mormora un “Che c’è?” ma non sembra le importi veramente. L’ancella è turbata, “Avete i capelli neri!”, dice, ma non riconosce la propria voce mentre parla. È spaventata, adesso pensa anch’essa, come gli altri della servitù, che forse non è stata poi una buona idea portare quella ragazza a corte. Anche la pelle è vagamente cambiata: il giorno prima era chiara, sì, ma ora è pallidissima e perfettamente liscia, tutte le piccole imperfezioni umane sparite.

Ricorda Hlìn, è una fanciulla speciale, non è come gli altri Midgardiani, ed è molto probabile che il suo aspetto cambi ad Asgard, che acquisisca la sua forma aesir, come capita alle altre creature dotate di Seiðr.

L’ancella ripensa alle parole della regina, ha accettato di prendersi cura di quella ragazza che sembra essere abbastanza importante per la sua sovrana, ritrova la calma. In fondo non è una cosa poi così strana, ed era pure stata avvertita. È che quella ragazza… le ricorda qualcuno. Ma chi?

“Hlìn, puoi andare, sto meglio adesso”

L’ancella non si era accorta di esser rimasta immobile a fissare la fanciulla, che adesso la sta guardando interrogativa, essendosi è accorta del suo turbamento. Ma ora, con lo sguardo di quei grandi occhi penetranti, profondi come pozzi aperti sulle viscere della terra, che sembrano riuscire a leggere nel profondo della sua anima, riesce a muoversi ancor meno, è come se avesse i muscoli pietrificati. Quasi avesse udito i suoi pensieri, la ragazza si alza e si dirige verso la porta del bagno. Hlìn si riprende, si congeda con un inchino e esce dalle stanze di Maria.   
 
 È sola. Ancora avvolta nel telo candido va  in salotto. Sul tavolo Hlìn le ha lasciato un vassoio dorato, contenente una mela verde e un calice, con all’interno un liquido dal colore cangiante. Ne beve un sorso, incerta. Sul palato si sprigiona un sapore fresco e intenso, ma tuttavia indefinito. Allontana il calice dalle labbra. Fra le sue mani il liquido è cambiato. È nero come inchiostro e sulla superficie si formano delle piccole increspature dai riflessi blu. La cosa non la rassicura particolarmente, ma ha il bisogno di bere ancora quel liquido, già dopo il primo sorso sente un’energia circolare in lei, si sente meno debole. Beve di nuovo, beve fino all’ultima goccia. Si sente benissimo, come non si era mai sentita prima. Riappoggia il calice e addenta la mela. È fresca e gustosa. Finita anch’essa sente un’energia diversa, questa volta fisica, è più forte, meno stanca, mentre l’energia di prima, che ancora persiste, se non è addirittura più intensa, era di un altro tipo, che non riesce a descrivere.  Torna nella sua stanza e apre l’armadio. È completamente mutato: la sera prima era ricolmo di abiti gialli, rossi e dorati, ora invece predominano le tonalità del blu, verde, nero e argento.


 
 
°°°
 
 


Finalmente. Dietro la nebbia intravede finalmente qualcuno. Che sia lei? Non potrebbe essere nessun altro, solo le ombre oltre a lui si aggirano da quelle parti. Lui le conosce bene, le ombre. Odino è stato molto attento nel fare in modo che nessuno si accorga di loro. Ha inondato Asgard d’oro e luce, come se esse non fossero mai esistite. Gli Aesir ci hanno creduto senza troppa difficoltà. Lui no, sa che le ombre sono sopravvissute, lontano da Asgard, relegate dove nessuno possa vederle, ma ci sono, e lui ha imparato a riconoscerle. Non sono ombre comuni, quelle, non sono come la semplice proiezione di una figura, sono creature viventi fatte di oscurità pura, rimaste intrappolate nel Regno Eterno dalla fine della Grande Guerra, oppure giunte volontariamente. Sono ottime spie, le ombre, e gli Asgardiani non le conoscono, non le temono, addirittura le confondono con le ombre normali. Loki è l’unico che sappia come sono, a volte ne riconosce addirittura alcune, e talvolta è tentato, vorrebbe provare a parlarci, è sicuro che sarebbero molto più interessanti di un Aesir eppure non ha mai osato rivolger loro la parola. Loro non disturbano lui e lui non disturba loro. Però quella figura non è un’ombra, è Maria, che finalmente è arrivata. La fanciulla affiora lentamente dalla nebbia. È diversa dalla sera prima. Cammina circospetta, senza provocare rumore. Ha i capelli neri sciolti sulle spalle, indossa un abito dal colore cangiante, varia dal grigio al blu. Come tutti gli abiti asgardiani è ornato da parti metalliche, che ricordano il forte carattere guerriero di questo popolo, solo che non sono d’oro, ma di un metallo nero dai riflessi argentati. Si avvicina, lo scorge e affretta il passo nella sua direzione. Gli sorride, e per la prima volta Loki può affermare che qualcuno gli abbia sorriso davvero. A lui, non a suo fratello. Per salutarlo, non per schernirlo.


 
 
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Nelle tenebre di un mondo morto un re attende. Siede sul trono di ghiaccio, lo sguardo cupo. Privati di ogni forza, di ogni potere, di ogni leggero barlume di speranza di risollevarsi, cosa possono fare? Cosa può fare un re, quando il suo regno è distrutto? Quando il suo popolo ha sofferto secoli di cruda guerra, e una ancor più dura sconfitta? Quando non ha più fiducia in lui? Può attendere, lasciare che i millenni gli scorrano sulle spalle, consumandogli il corpo e la mente, nella vana e illusoria attesa che le Norne intessano nel destino un futuro migliore. Ma Laufey non è un re del genere. Ha tramato nell’oscurità, già da molto tempo ormai, e ora attende, ma attende che il suo piano prenda vita. Aveva cominciato a organizzarsi dalla fine della guerra, e sa che funzionerà. Asgard cadrà. Solo ha bisogno che il figlio della salvezza degli elfi sappia. E saprà, ma al momento giusto. Asgard brulica delle ombre gelate degli Jotun lì rimasti intrappolati al termine dell’ultimo tentativo di invasione. E non solo. Ha in pugno Odino da molto, e il suo occhio “onnisciente” non gli servirà a molto se il suo guardiano non può vedere. Le ombre, invece, vedono tutto. Vedono sempre. Fra le enormi stalagmiti di pietra ghiacciata, rovine di quelle che un tempo erano le colonne del maestoso palazzo di Utgarð, il vento e la neve che turbina incessantemente, si avvicina una sentinella, che si inginocchia ai piedi dell’imponente trono di ghiaccio.

“Sire, le ombre si sono risvegliate. E portano notizie interessanti.”

Laufey si sporge in avanti sullo scranno. Forse, i tempi sono maturi.

“Parla.”

La guardia sorride. “È tornato. Però non è ancora il momento.”

“Bene, ci da’ un vantaggio. Vediamo di essere pronti per quando lo sarà. Iniziate immediatamente l’addestramento di entrambi. Asgard vedrà finalmente la sua fine.”


 
 
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“Chiudi gli occhi. Rilassati. Stamattina hai bevuto l’Åpenbaring(2), vero? Sento il tuo Seiðr ribollire. Tuttavia è ancora bloccato. Chiunque abbia apposto quei sigilli, li ha fatti molto forti. Non doveva aver previsto che si incrinassero.” Loki sorride malizioso. “Evidentemente ti aveva sottovalutata.”

“Chi può esser stato?”

“Zitta, ho detto che devi rilassarti. Non so ancora chi sia stato, ha fatto un lavoro accurato e preciso. Non ha lasciato alcuna traccia del suo Seiðr. Ora, sei rilassata?”

Maria annuisce.

“Perfetto. Ora sbloccherò il tuo Seiðr. Non posso prevedere che reazione potresti avere. Inizialmente potrebbe farti male. Sei sicura di voler imparare a usare la magia?”

Maria sorride con aria di sfida. “Quando cominciamo?”

Loki la guarda. Quella ragazza continua a stupirlo. Non è come le giovani Asgardiane. È un po’ come lui. Diversa. Sono in una radura, all’ombra di una grossa quercia, sulle rive di un lago dalle acque cristalline senza nome, troppo piccolo, puro e insignificante per ricevere l’attenzione degli Asgardiani. Lì non c’è nulla che possa disturbarli, per questo ha scelto quel luogo per insegnarle la magia. Chiude gli occhi anche lui e lascia che il Seiðr scorra. Unisce le mani all’altezza del petto, e fra di esse si raccoglie una vibrante luce verde. Schiude gli occhi e posa le mani sul petto di lei, che sobbalza al contatto improvviso. Lui intensifica il Seiðr, lo dirige ai sigilli. Lei ha la mascella e gli occhi serrati, cerca di non gridare, sente come una miriade si schegge di vetro colpirla dall’interno. I sigilli si incrinano. Si infrangono. Esplodono in mille frammenti. L’onda d’urto li scaglia all’indietro di qualche metro, sbattono la schiena a terra, hanno il respiro spezzato. Si rialzano. Loki le va incontro. Lei è in ginocchio, gli occhi sbarrati. Si inginocchia davanti a lei. E quegli occhi, un tempo neri, sono braci dorate dentro un recinto di tenebra.

“È fatta. Come stai?”

“Bene. Ha fatto male, ma ne è valsa la pena. Non mi sono mai sentita meglio!”

Loki sorride. “Ed è solo l’inizio.” La aiuta ad alzarsi. “Ora mostrami il tuo Seiðr. Ricorda che trova la sua origine nella cassa toracica. Respira a fondo e lascialo fluire. Non frenare la tua energia. Il Seiðr fa parte di te. Imparerai a controllarlo, ma lasciarlo fluire ti risulterà naturale come respirare. Forza.”

Maria chiude gli occhi e prende un respiro profondo. Da sempre si era sentita bloccata, come un bisogno di urlare. Ora finalmente può farlo. Loki attende. Ed ecco che nota delle increspature sulla superficie dell’acqua, che presto diventano piccole onde. Si alza un vento freddo che scompiglia le foglie e i loro capelli. Il vento si piega, danza, li avvolge, forma un turbine attorno a loro. Lei apre gli occhi e le braci sono fiamme d’oro che divampano. Fra le sue mani si forma una sfera di luce blu elettrico, all’interno della quale si muovono particelle di oscurità. L’energia del suo Seiðr è tale che di tanto in tanto all’interno della sfera si forma un lampo, e persino l’aria crepita di elettricità.


 
 
°°°
 
 


Due giovani donne camminano per i frondosi giardini di Asgard. È una giornata molto luminosa e le tonalità del verde e dell’oro sembrano circondarle. Una delle due è una nobile di Asgard, dall’abito dorato e l’ondulata chioma di miele. L’altra è un’elfa di Svartàlfheim, abito d’argento e capelli lisci del colore della notte. Due creature tanto diverse, eppure tanto simili, più di quanto esse stesse possano immaginare. Camminano in silenzio, immerse nei loro pensieri e nell’atmosfera di pace dei giardini. Finché questo silenzio non viene interrotto dall’elfa, che spazientita si gira verso l’asgardiana.

“Frigga cosa ti turba? Siamo venute qui perché tu mi dovevi dire una cosa, ma se non ti decidi a parlare tanto vale tornare indietro! Mi sembra che il principe fosse alquanto smanioso di passare del tempo con te!”

Frigga alza il viso per incontrare gli occhi dell’amica, che a dispetto delle sue parole la guardano con apprensione.

“Frelse il fatto è che… Non lo so.”

“Frigg, per l’Oracolo, cosa non sai? Guarda che mi sono accorta che c’è qualcosa che ti angoscia, come se non bastasse il fatto che ogni notte mi piombi in camera in lacrime. Sono preoccupata per te!”

“Il problema è proprio che non so qual è il problema. Insomma, faccio sogni strani, come se fossero squarci di visioni, solo che quando mi sveglio non riesco a metterli a fuoco. Mi sa che in parte riguardano anche te, visto che ogni volta che si tratta di te non riesco ad avere visioni. È come se il tuo fato mi sia nascosto, e lo stesso vale per questi sogni, solo che alcune cose riesco a vederle, ma non in modo definito. Tutto quello che so è che sono terribili, ecco perché vengo da te. Sei la mia più cara amica, non so a chi altro rivolgermi, sei l’unica di cui io mi possa fidare!”

Frigga è sull’orlo delle lacrime e Frelse l’abbraccia. È giunta ad Asgard tempo prima, come aveva stabilito l’Oracolo, e Frigga è sempre stata la sua unica amica. Tutti gli Aesi la evitavano, la identificavano come una creatura oscura, non osavano guardarla negli occhi, dal colore che cambiava in base alle sue emozioni, cosi profondi da sembrare che potessero leggere nel profondo dell’anima di ognuno di loro, temevano la sua doppia natura: infatti era figlia di uno Svartalfàr e di una Døkkalfàr, le due stirpi elfiche di Svartàlfheim. Gli Svartalfàr avevano la pelle bianchissima, i capelli argentati, occhi azzurro elettrico e vivevano nelle profondità delle montagne del loro mondo con tecnologie all’avanguardia alimentate dall’energia oscura. I Døkkalfàr avevano la pelle e i capelli completamente neri, e gli occhi cangianti. Erano un popolo schivo che viveva nelle oscure foreste sulla superficie del pianeta, a contatto con la natura, esercitando la magia in modo più diretto. I Døkkalfàr, al contrario degli Svartalfàr, non si interessavano degli altri popoli, e non partecipavano mai alle guerre con o contro gli altri Regni. Proprio alla fine dell’ultima guerra contro Asgard gli Svartalfàr erano stati quasi tutti sterminati. Gli Aesi erano stati convinti da re Borr che questa stirpe fosse ormai addirittura estinta, anche se Frelse sa che non è così. Frelse è una mezzosangue, perché nonostante entrambe le stirpi siano elfiche, in realtà si tratta di due razze diverse, anche se simili in quanto entrambe legate all’energia oscura; aveva ereditato la carnagione pallida degli Svartalfàr, i capelli neri e gli occhi cangianti dei Døkkalfàr. Inoltre aveva un carattere molto particolare. A tratti strategica, fredda, calcolatrice ed esigente come il popolo di suo padre, a tratti selvaggia, ribelle ma nonostante questo schiva e silenziosa come il popolo di sua madre. Per questa sua diversità era evitata da tutti, tranne che da Frigga, che riusciva a vedere del buono in ogni persona, e apprezzava Frelse nella sua unicità. Erano cresciute assieme e col tempo erano divenute inseparabili.

“Frigg riesci a ricordare qualcosa di questi sogni?”

Frigga, gli occhi serrati come per cacciare via quelle immagini dalla sue testa, le guance rigate dalle lacrime, annuisce leggermente.

“Forza, allora. Raccontami tutto, sfogati, non posso vederti in questo stato.”

“Sono immagini sfocate, senza apparenti connessioni l’una con l’altra. In una c’è la morte del re Borr e l’ascesa al trono di Odino. In un’altra ci sono due bambini che corrono e giocano, uno biondo e uno moro. Credo che a un certo punto mi chiamassero mamma… Poi ci sono due uomini, credo che siano i due bambini una volta cresciuti, e si combattono… uno dei due muore… Ci sono anche immagini di guerra, ma sembrano guerre diverse, non una sola… E il trono di Asgard crollato… Poi c’è immagine del bambino moro, cresciuto, che esercita una magia potente e oscura, insieme a una fanciulla… Poi l’universo nel caos… Poi c’è un bambino appena nato coperto di sangue… E ogni volta mi sveglio con un suono, qualcosa che mi terrorizza: un urlo disperato. E, Frelse, la voce è la tua.”


 
 
°°°
 
 


Il vento si placa e la sfera fra le mani di Maria si dissolve. Ha il respiro spezzato e gli occhi spalancati dalla sorpresa. Sorride incredula. Si regge in piedi a fatica, e Loki la sorregge.

“Niente male. Per una mortale…”

Lei tralascia la seconda parte del commento senza dar segno di turbamento, ignorando la malizia velata di sarcasmo. È entusiasta e incredula.

“Hai visto? Wow! Non credevo di essere in grado di fare qualcosa del genere! È stato pazzesco!”

Loki anche sorride, in fondo è quasi felice per lei, e di certo non va sottovalutata una certa dose di orgoglio da insegnante.

“Si, è stato notevole, tuttavia hai ancora molto da imparare. Guardati. Sei esausta. Devi imparare a gestire la quantità di energia e incanalarla correttamente, altrimenti hai un dispendio di forze inutile e potenzialmente pericoloso, per te e per gli altri.”

L’umana ascolta attentamente, gli occhi fissi nei suoi. Dopo l’utilizzo del Seiðr non sono più neri. Nella luce chiara del mattino sono del colore di un fuocherello dorato, tuttavia il contorno dell’iride è sempre delineato da una striscia nera. Sembra potergli quasi leggere dentro. Vorrebbe dire altro, ma non ci riesce. È senza protezione sotto lo sguardo di quegli occhi. Come si fa a ostentare sicurezza, a fingere che vada tutto bene, quando è chiaro che non lo è, quando dentro si sta già cominciando a morire?

“Tu stai soffrendo.”

Solo tre parole. Pronuncia solo tre parole. Eppure sono macigni, perché quando delle parole esprimono una verità profonda e dolorosa, a lungo nascosta, possono essere pesanti e cariche di significati. Quando si è soli, quando si soffre, le parole sono qualcosa di grande valore. Nessuno aveva mai letto prima d’ora la sofferenza negli occhi del principe cadetto, abilmente mascherata col sarcasmo. Tutti avevano sempre e solo visto malignità e inganno. Mai ciò che c’era dietro di essi.

“Osi troppo, mortale. Non hai il diritto di parlarmi così. Sono sempre un principe di Asgard. Non puoi permetterti tutta questa confidenza.”

La voce è un sibilo malevolo. È così che è abituato Loki: a venir ferito nonappena lascia intravedere qualcosa di sé. Così ha imparato a difendersi. Non si fida di nessuno. La sua non è solo una maschera. È un’armatura, più resistente e impenetrabile di quelle dei guerrieri di suo padre. Ma ogni armatura, prima o poi, viene squarciata da un’arma nuova e sconosciuta, dalla quale prima non ci si doveva proteggere.

“Mi dispiace.”

“Fai bene. Per questa volta passerò sopra questa tua sfrontatez…”

“…ma non per le mie parole. Mi dispiace perché capisco. So come ci si sente.”

“Cosa? Cosa potresti comprendere tu, che sei solo una misera umana?”

“Non sei l’unico che ha sofferto nella propria vita. Io credo di comprendere, perché ho visto nei tuoi occhi la tua sofferenza, e in qualche modo mi ricorda la mia. Sarò anche un’umana, ma sono una persona, e il mio essere mortale non mi impedisce di comprendere. Tu soffri. Si vede da lontano un miglio. Dai tuoi occhi, dal tuo stare sempre sulla difensiva, dal sarcasmo, dai tuoi comportamenti… da tutto. E mi dispiace per te perché so come stai, e so che è terribile.”

Abbassa leggermente la testa. Ha gli occhi lucidi e non intende mostrarli. È da tempo che si è ripromessa di essere forte; nessuno, eccetto l’oscurità e la solitudine, avrebbe mai più visto le sue lacrime. Sull’ultima frase le si è incrinata la voce. Già ha mostrato troppo. Perché per difendersi da un certo tipo di sofferenza c’è un solo modo. E nessuna scelta.
Loki le alza il viso. Ha gli occhi grandi e illuminati di chi ha compreso. Di chi per la prima volta non si sente completamente solo nell’universo.

“Anche tu soffri. Mi dispiace. Avrei dovuto capirlo.”

Lei sorride ed è un sorriso che farebbe sembrare Asgard cupa e triste al confronto.

“Nessuno ha mai capito, quindi non ti devi preoccupare. Sei bravo a fingere. Ma forse non sei l’unico… Grazie.”

“Il sole è alto, torniamo a palazzo, così potrai iniziare a conoscerlo, come ho promesso a Madre. Anche perché è quasi ora di pranzare, e dobbiamo incontrare mio fratello con quegli imbecilli dei suoi amici.”

“Va bene. Andiamo.”

Loki si avvia, e lei lo segue. È qualche passo più indietro per cui non può udirlo quando sussurra una singola parola. Parola che non rivolge mai a nessuno e che negherebbe di aver pronunciato. Grazie.


 
 
°°°
 



La neve turbina incessante, il cielo del Regno dei Ghiacci è scuro e tetro in una notte senza fine. Come sempre. Vicino alle rovine di Utgarð non vi è nulla. Solo un cielo nero, rocce congelate e tanta neve, bianca, tagliente. E desolazione. Infinita desolazione. Bisogna allontanarsi molto prima di trovare qualcosa. Eppure i figli del Re sono disposti a farlo, ad andarsene quasi ogni giorno, di nascosto, veloci e silenziosi, in mezzo alla tormenta, lontano dalla capitale del regno del padre, che continua a sedere sul trono in attesa di qualcosa che non vuole rivelare, come se ancora ci fosse qualcuno da governare, qualcosa che possa accadere. Loro sono giovani e odiano quella passività. La morte spetta ai vecchi. Laufey non apprezza queste loro gite, ma sono disposti a subire l’ira del padre pur di passare del tempo lontano da lì. Camminano ogni giorno, ore, Helblindi e Býleistr, attraverso piane desolate, finché non giungono alla loro destinazione. La foresta. Gli Aesi credono che il loro mondo sia morto. Ma non sono di certo famosi per la loro lungimiranza. Infatti Jotunheim è ancora viva. E i giovani principi passano il tempo ad esplorare quel poco di vita che resta. Ogni giorni scoprono nuovi luoghi nella foresta. Ogni tanto intravedono addirittura dei lupi. Imparano anche a gestire il loro potere. Da autodidatti, perché Laufey non si preoccupa di insegnargli. Sono due giovani forti. E la tradizione del loro mondo è che i forti sopravvivono perché hanno i mezzi per imparare da soli. Non necessitano di niente e di nessuno. Helblindi e Býleistr sono molto più che fratelli. Sono amici. E si coprono le spalle a vicenda. Quando sono insieme, la loro forza è doppia, perché possono contare l’uno sull’altro. In fondo, non hanno mai avuto nessun altro. 

Camminano furtivi fra i fusti neri. Ogni tanto si scambiano uno sguardo: è tutto ciò di cui hanno bisogno, non necessitano di parole. Si dividono passando intorno a qualcosa. Un segnale, e attaccano. La preda ignara si ritrova morta ai loro piedi prima ancora di essersi resa conto di ciò che stava accadendo. I due, ansimanti, lo stiletto di ghiaccio ancora in mano, un sorriso trionfante sul volto, osservano il bottino. Senza tante cerimonie si siedono nella neve e iniziano a scuoiare l’animale. Quel giorno è andata bene: avranno un pranzo abbastanza consistente da essere degno di questo nome. 

Lavorano in silenzio, non sono abituati a spendere parole inutili. La neve è scarlatta, come le loro mani macchiate di sangue. Come i loro occhi.

Un fruscio. Helblindi alza leggermente lo sguardo ma continua imperterrito il suo lavoro. Býleistr scatta in piedi, fra le mani il ghiaccio sta già diventando la temibile lama di un lungo pugnale. Si guarda intorno nervoso.

“Fratello cosa ti prende?”

“C’è qualcuno. Lo sento, anche se non riesco a vederlo.”

Infatti le tempeste di neve sono tanto forti da rendere la vista difficile anche fra gli alberi della foresta, che offrono una protezione minima. A pochi passi da loro compare la sagoma di uno Jotun. È una guardia di loro padre. Deve essere accaduto qualcosa di importante. Laufey non li aveva mai mandati a cercare prima d’ora.

“Seguitemi. Dovete tornare immediatamente alla capitale. Da questo momento ha inizio il vostro addestramento.”


 
 
°°°
 
 


Sotto le alte colonne del porticato dorato del palazzo di Asgard si trova una lunga fila di tavoli colmi di cibi di ogni genere. È abbastanza presto, e in pochi sono giunti a mangiare. Loki e Maria sono stati fra i primi, anche se qualcuno aveva attaccato il banchetto prima di loro. I due hanno mangiato, e ora attendono Thor e gli altri. Questi ultimi, e in particolare uno di loro, erano proprio quelli che li avevano preceduti, solo che erano andati a mangiare vicino all’arena. Quando decidono di tornare al porticato. Trovano Loki e una strana ragazza a chiacchierare seduti ai piedi di una colonna.
Loki si alza in piedi e indica a Maria quelli che sono gli amici del fratello: si tratta di tre ragazzi, uno piuttosto robusto, dai capelli e un primo accenno di barba rossi, uno biondo e atletico e l’ultimo castano chiaro(3) con occhi dal taglio leggermente a mandorla, e di una ragazza, alta e bionda, bella nonostante i tratti duri e leggermente mascolini. Si alza anche Maria e sorride al gruppo. Thor è raggiante, i suoi amici la guardano in modo un po’ diffidente però le sorridono abbastanza affabili.

“Buongiorno fratello! Buongiorno Maria! Questi sono i nostri amici: Volstagg,”- l’armadio dai capelli rossi accenna un inchino teatrale - “Fandral,” - il biondo si avvicina e le bacia la mano con una galanteria che la fa sorridere - “Hogun,” - il ragazzo dai capelli castani  e gli occhi a mandorla fa un cenno con la testa - “e Sif.” - la ragazza le stringe energicamente la mano sorridendole leggermente; forse l’unico saluto che l’umana avrebbe ritenuto normale. Thor continua sorridendo. “Allora, non perdiamo tempo! Vedrai, l’arena ti piacerà tantissimo, ti divertirai tantissimo con noi e i nostri amici!”

Loki alza gli occhi al cielo scetticamente. “Hai ripetuto due volte la parola ‘tantissimo’… ”

Il biondo ignora deliberatamente la correzione del minore. Ma adesso è Sif ad obiettare, pratica come sempre.
“Thor, così non può combattere, anche se oggi magari essendo il suo primo giorno  probabilmente proverà solo qualche arma. Quell’abito non va bene.”

Il principe d’orato sembra accorgersi solo ora di quel dettaglio. “Hai ragione. Sif, accompagnala alle sue stanze e aiutala a scegliere qualcosa di più adatto. Così intanto iniziate a fare amicizia, e poi ci raggiungete all’arena!”

L’aspirante guerriera annuisce. I figli di Odino e quelli che diverranno i tre guerrieri salutano e si avviano ridendo e scherzando. Tutti tranne uno, che li segue controvoglia.

Sif si volta verso Maria e la squadra in modo critico, mettendola leggermente a disagio, infine però le sorride.

“Sai come arrivare alle tue stanze?”

Maria annuisce. “Penso di si.”

Inizia a camminare del dedalo di corridoi, aiutandosi anche con la magia per individuare la giusta direzione. Sif la segue in silenzio, sente gli occhi della bionda fissi sulla sua schiena. Dopo qualche minuto giungono a destinazione. Maria apre l’imponente porta di accesso alle sue camere e si dirige verso l’armadio. Sif sa immediatamente che tipo di abiti cercare e si dirige sicura verso una zona della stanza. Le mette in mano un paio di aderenti pantaloni neri di un materiale a lei sconosciuto. Poi le indica una fila di corte tuniche. Maria ne prende istintivamente una nera. Poi Sif passa a un altro settore, e le passa delle protezioni di quello stesso metallo scuro che ornava l’abito che lei aveva scelto quella mattina, poi portano il tutto vicino allo specchio.

“Spogliati.”

Sif non sembra avere l’intenzione di andarsene e attende a braccia incrociate. Maria allora obbedisce. Si toglie l’abito che indossava e sta per rivestirsi in fretta, messa in soggezione dalla guerriera, che però la ferma.

“Aspetta. Devo controllare che la tua muscolatura sia idonea. Thor è una persona amichevole ed entusiasta, che cerca sempre di coinvolgere tutti il più possibile. Tuttavia non si può dire che sia molto responsabile, per cui prima di mandarti nell’arena vorrei essere sicura che non rischi di farti male. Anche perché sei ospite della regina, da quanto ho capito.” Spiega Sif.

“Ok, va bene.”

Sif le gira intorno, osservandola con attenzione. La midgardiana ha muscoli sottili e allungati, probabilmente non esattamente adatti alla forza bruta, ma in compenso agili, tonici e ben allenati. Sif termina l’ispezione compiaciuta.

“Vestiti, penso che tu possa farcela.”

Maria sorride sollevata, non era esattamente a proprio agio nuda e osservata, per cui si riveste abbastanza in fretta. Sif la affianca allo specchio e sembra soddisfatta del proprio lavoro: Se non fosse per i colori poco usuali dei capelli e degli abiti, Maria sembrerebbe anch’essa una giovane guerriera asgardiana. La fa sedere su uno sgabello e comincia a raccoglierle i capelli scuri in una treccia. Mentre lavora, le viene in mente una domanda.

“Hai mai combattuto prima d’ora? Sembri abbastanza allenata.”

“Bhe ecco, insomma, ho fatto un paio d’anni di scherma, ma non credo sia comparabile alla vostra idea di combattimento…”

“Di certo lo troverai completamente diverso, tuttavia… penso che tu possa essere abbastanza brava. Magari, se decidi di restare ad Asgard, potresti diventare anche tu una guerriera.”

“Ci sono molte guerriere ad Asgard?”

Sif abbassa lo sguardo e sospira leggermente.

“Nessuna. Un tempo lontano c’erano le Valchirie, ma sono state tutte sterminate nell’ultima Grande Guerra fra i Mondi. Mia madre era una di loro.”

“Mi dispiace…”

“Non devi. È morta combattendo con onore. Io anche diventerò una guerriera, sarò degna di mia madre, e dimostrerò al popolo di Asaheim che anche una fanciulla può stare nell’esercito di Asgard, essere forte e temibile al pari di un uomo.”

Gli occhi di Sif brillano di orgoglio e determinazione, e Maria sorride.

“Cambiamo discorso. Come ti è sembrato il tuo primo giorno ad Asgard?”

“Mi piace molto qui. Il posto è incredibile, e tutti sono così gentili! Thor e Loki si sono mostrati molto amichevoli e accoglienti nei miei confronti.”

La treccia è finita e le due ragazze si avviano verso la porta.

“Mi fa piacere che ti trovi bene. Sai, sento che diverremo amiche. Lo spero veramente. Per cui voglio darti un consiglio.” Sif guarda Maria negli occhi. Sembra preoccupata, porta timore e rancore nello sguardo.

“Non fidarti di Loki.”
 
 
 
 
 
 
NdA

1) Nel mio headcanon, ogni Regno ha una sorta di spirito veggente, un portavoce delle Norne, quale la Völva presso gli Aesi. Svartàlfheim ha questo “oracolo”, di cui parlerò meglio più avanti.
2) Åpenbaring significa “rivelazione” in norvegese. Qui è un liquido che, una volta bevuto, sblocca il Seiðr e diventa del colore del Seiðr della persona che lo ha bevuto.
3) Hogun in questa storia con i capelli castano chiaro e non neri. Spiego immediatamente il perché: ok che appartiene alla stirpe dei Vani e non degli Aesi, per cui non deve necessariamente essere biondo, ma mi sembra un po’ un’estremizzazione il farlo essere cinese. Poi bazzicando su you tube ho trovato una puntata di un cartone animato su Thor, di cui purtroppo non ricordo il nome, dove Hogun aveva i capelli castani e due baffoni da tricheco. Essendo un adolescente non ha i suddetti baffoni, ma gli ho affibbiato i capelli castani, che mi sembrano leggermente più adatti di quelli neri. In compenso gli ho lasciato gli occhi tal taglio leggermente a mandorla, per lasciargli qualcosa della versione marvelliana.
 
Buongiorno a tutti! Ecco il secondo capitolo! Spero che vi piaccia! :))
Grazie mille a sarez29, La_Polly, silvermoon74 e Zigo che hanno recensito lo scorso capitolo!
Un bacione, a presto,
ice_shadow :)

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