A hundred days have made me older, a thousand lies have made me colder

di N_faith
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A hundred days have made me older, a thousand lies have made me colder ***
Capitolo 2: *** It's nothing to cry about, 'cause we'll hold each other soon in the blackest of rooms - Epilogue ***



Capitolo 1
*** A hundred days have made me older, a thousand lies have made me colder ***


A hundred days have made me older, a thousand lies have made me colder









Vedi quelle macchie rosse che adornano il tuo corpo, Konan?
È sangue. Il sangue che imbratta Amegakure; il sangue che ha insozzato la tua vita.
Scorre su invisibili sentieri tracciati sulla tua pelle, traccia un disegno di sangue intricato e inequivocabile. Itachi potrebbe leggere il significato che traspare da esso, se solo lo volesse. Ma non lo fa.
Perché, secondo te? Su, fruga nelle profondità della tua mente, scova la risposta da sola. Coraggio, non è difficile. Questi concetti sono abbarbicati nella tua coscienza, non fingere che si tratti di un’ideologia del tutto nuova per te.
Non sei capace di rivelare l'intrinseca verità della tua anima, Konan, e mai ci riuscirai.
Avverte le labbra di lui sfiorarle impalpabilmente la linea della spina dorsale e arrivare a solleticarle la nuca. La punta della lingua scivola lentamente su quella scia di pelle, un tocco appena avvertito. Piccoli baci vengono stampati con indolente distrazione, con pigra voluttà. Il suo corpo è soddisfatto ma pretende ancora che desideri non del tutto casti siano esauditi nel giro di pochi minuti. Ignora con decisione quella richiesta così differente dal proprio modo di agire e pensare e irrimediabilmente uniti dalla propria rigida moralità e invece chiude gli occhi e si gode quel contatto non voluto.
Quel sottile procedimento attuato per provocarle esigui ma intensi brividi di piacere termina nel giro di pochi istanti. Avverte il materasso piegarsi per un secondo, poi quel corpo nudo e atletico viene pressato contro la propria pelle, ancora caldo e lucido di sudore. Apparentemente sazio di quel vorticoso momento di passione ricevuto poc’anzi.
Ancora non compie un qualsiasi gesto, né schiude le labbra per proferire vaghe parole. Ancora non è giunto il momento per abbandonarsi in chiacchiere del tutto inappropriate e noncuranti, dettate dalla cortesia e dai vaghi preconcetti coltivati a loro modo. Entrambi sono di poche parole, il che è un bene.
Konan non esprime alcuna perplessità quando le braccia asciutte ma forti del suo amante le si avvolgono esattamente sotto il seno. Lascia che lui la stringa a sé; è un gesto inconsueto che la getta in uno stato d’inconsapevole déjà-vu. Quello era un momento che amava condividere con Yahiko; momenti cristallizzati nella pietra miliare della sua memoria… Eppure… Che Itachi abbia usato un’illusione, con il solo scopo di divertirsi a sue spese e condurla poi sull’orlo della pazzia? Oh, l’avrebbe pagata cara, se quel pensiero appena sfrecciatole nella mente avesse trovato reale fondamento. Fa per voltarsi e gettare una tagliente frecciata a tal proposito, ma il ventunenne le imprime una stretta sorprendentemente gentile.
« Tranquilla… » Itachi avvicina le labbra contro il suo orecchio; la voce roca, profonda, risuona ancora più suadente a causa di quell’innocente contatto. « Non sto usando nessun genjutsu. » la rassicura, calmo. E torna ad appoggiare la guancia contro la morbida massa dei capelli blu di lei.
Konan stringe piano le labbra, non del tutto persuasa, ma si rilassa a poco a poco. In quel breve ritaglio di tempo, in quell’inesistente oasi di pace e fuggevole estasi, rinchiusi nel rifugio offerto dalla sua camera, entrambi si crogiolano in un pigro dormiveglia, pronti a scattare sulla difensiva quando una distorsione dell’armonia faticosamente creata si farà più evidente, oppure quando ci sarà una spiacevole interferenza.
Occhieggia senza interesse le candide lenzuola bianche disfatte, gettate alla rinfusa verso il fondo del giaciglio, vittime del loro impetuoso ardore. Striscia il palmo della mano sul materasso, senza una meta precisa. Le fragili dita accennano dei ghirigori sulla stoffa bianca. La mano di Itachi, più grande, dalle dita lunghe e affusolate, si pone sulla sua, lentamente. Intreccia le dita alle sue, piccolo gesto d’inavvertita compatibilità. Guarda quelle dita avviluppate, le sue unghie sono smaltate di un delicato colore arancione, mentre quelle dell’Uchiha sono dipinte di viola chiaro. Due colori dall’aspetto pastoso ed elegante.
La donna chiude gli occhi, finge tranquillità, un vago sentore di amore verso quel giovane. Ma è tutta una finta. Tra poco torneranno a rivestirsi, nascondere i rispettivi corpi nel mantello nero dell’Akatsuki, adorno di nuvole bianche e rosse, e se ne andranno ognuno per la propria strada, senza più pensare a quella piacevole disgressione vissuta nel buio di una camera. Dimentichi del fatto di aver unito i loro corpi per autentico disprezzo.
Disprezzo, quello di Konan, per non essere riuscita a chiudere definitivamente il cuore e i ricordi e girare pagina.
Disprezzo, quello di Itachi, verso sé stesso, per la cruda debolezza della carne che lo ha gettato nella spirale non voluta della lussuria, e questo solo quando si trovava a condividere il proprio solitario letto con lei, o viceversa. Ha dimenticato le fattezze del viso di lei per pura apatia, conscio del fatto che bastava quell'infido peso a pressare contro una parte del suo cuore, oltre alle innumerevole colpe di cui si era macchiato fino a oggi: l'aver sterminato tutto il suo clan, i suoi genitori, la sua amata, solo per il bene di Konoha e del suo fratellino. Colpa per non aver impedito il colpo di stato degli Uchiha, colpa per non essere stato un bravo fratello maggiore nei confronti di Sasuke, colpa per non aver goduto abbastanza quell'acerbo amore giovanile assieme alla sua fidanzata.
Dimmi, Konan... Quanto è slabbrato di ferite il tuo corpo, ora? Quanto è rinsecchito, privo della preziosa linfa vitale? Sei capace di ammetterlo con certezza? O ancora una volta volterai le spalle all'evidenza dei fatti? Lo hai sempre fatto, sempre. Non sei capace di assimilare quanto più dolore non stai sopportando stoicamente da tempo immemore. Un giorno, una ragazza di quindici anni ha amato un suo coetaneo, Yahiko. L'amore giovanile che scosse le tue membra ti ha poi beffato alla grande. Hai perso Yahiko per colpa della guerra. Hai perso il privilegio di amare. O sei ancora capace di provare quel sentimento arcaico ma traditore, sensuale ma beffardo? Hai di fronte un ragazzo più giovane di te di quattordici anni, un ragazzo bellissimo che potrebbe farti rivivere le gioie provate con Yahiko. 
Konan sa che non può pretendere chissà cosa da quel giovane che è anche un suo sottoposto, poiché è la compagna di Pein, nonché il suo personale Angelo Messaggero. Da quando Itachi era entrato nell'Akatsuki, innumerevoli volte gli aveva riferito dei messaggi e degli ordini sotto forma di una farfalla di carta.
Ora deve giungere alla conclusione di volare o no.
Può volare e poi precipitare in un abisso senza ritorno? Può concedersi un'altra ora d’incontro carnale col solo scopo di stordirsi e non pensare a niente? Può costringere Itachi a sottostare ai suoi capricci, ai suoi desideri?
E la consapevolezza le giunge chiara e inarrestabile.
Non può.
Così si gira verso Itachi, che si solleva di poco sulle braccia, giusto per darle la possibilità di compiere quel movimento, per poi tornare ad adagiarsi contro di lei. Il volto non esprime alcunché, impassibile. Solo gli occhi color grigio cenere, privati della luce e non più neri, la scrutano con intima comprensibilità, quasi potessero vedere di nuovo. Konan capisce che lui riesce a vedere, seppur a fatica, il mondo ormai visualizzato attraverso colori offuscati e onnipresenti ombre.
La donna si sente ancora più nuda di quanto non sia già. Quello sguardo assieme penetrante ma imperturbabile la scuote nel profondo, la rende inesplicabilmente nervosa. Itachi sembra capire il suo stato d’animo, e stira appena le labbra in un ghigno beffardo. E prosegue a non spiccicare parola, nonostante la frase rivoltale poco prima.
Le dita giocherellano pigramente con una ciocca dei capelli di lei. Il volto è vicino al suo, e basterà poco per posare le labbra contro le sue e strapparle così un bacio a tradimento, per quanto infuocato potrebbe essere.
Nella sua posizione non c’è nulla di improprio, solo quieta attesa.
Konan aggrotta appena le sopracciglia, senza provare curiosità. Non le importa cosa stia macchinando quel ragazzo, e continua ad annegare in quelle pozze cieche che sono i suoi occhi, dimentica del mondo e della realtà.
Perde contatto con la ragione, e un fiotto d’indicibile lussuria si fa strada nel corpo.
Cos’è quell’incongrua esitazione? L’estrema vicinanza di quel corpo scatena in te fantasie audaci? O, molto probabilmente, stai ripensando a Yahiko? Ma ci sono molte ipotesi e nessuna certezza. Mi meraviglio di te, Konan. Ora tutta la tua distaccata sicurezza si è defilata, che situazione spiacevole, non trovi? Guardi Itachi e ti senti quasi sull’orlo di una crisi di nervi; avverti il suo corpo schiacciarsi contro il tuo, e vorresti unirti nuovamente ad esso. Non starai facendo confusione? Itachi non è Yahiko, ricordatelo. Apri bene gli occhi, non lasciarti stravolgere dalla menzogna cui ti stai sottoponendo. La tua realtà è la sua realtà.
La voce della sua coscienza non la lascia in pace neanche adesso. Quella voce così immota e innaturale la tormentava fin dal fatidico giorno in cui Yahiko aveva abbandonato per sempre quel mondo maledetto in cui lei ancora vegetava, e avrebbe continuato a farlo finché la morte non sarebbe sopraggiunta a donarle la pace.
Quasi senza rendersene conto, porta la mano ad affondare nei lunghi capelli neri del suo amante, raccolti in una coda bassa. Le dita incontrano l’elastico rosso che li tiene legati, e con un movimento fluido li libera, lasciando che quel mare nero si riversi fra le sue dita tese. Da che ha memoria, non aveva mai visto Itachi con i capelli sciolti. Lo guarda, accennando un piccolo sorriso, un angolo della bocca che si piega appena all’insù.
« Sembri una ragazza. » mormora, continuando ad accarezzargli i capelli. Carezze distratte, prive di vita.
Itachi mostra la stessa parodia di sorriso. « Grazie. » replica asciutto, con evidente ironia. La scruta con attenzione, socchiudendo lentamente le palpebre orlate da lunghe ciglia. Occhi da cerbiatto, grandi e grondanti fascino. Da sotto le palpebre socchiuse, i gelidi occhi ciechi proseguono nell’esame, fissi negli occhi dorati della donna. Studiano con lenta accuratezza qualsiasi dettaglio del suo volto, quasi volesse imprimersi nella memoria le sue fattezze, cecità o non cecità.
La trentacinquenne non fa nessuna domanda in merito. C’è un silenzio così compatto che le dispiacerebbe molto infrangerlo con parole inutili. È catturata dal fascino ipnotico degli occhi di lui e non bada alla sua mano che le scivola impalpabilmente sul seno e prosegue lungo lo stomaco piatto… Un solo secondo di sospesa immobilità, e, contemporaneamente all’improvviso bacio ricevuto sulle labbra, la sente insinuarsi bruscamente fra le sue gambe. Il suo corpo viene squassato da un inatteso sussulto di sorpresa, attraversato da una scarica elettrica. Il tocco di quelle dita affusolate è ben diverso da quello provocato dalla sua lingua. È un tocco gentile ma rude, diverso da quello di Yahiko. Tuttavia apprezza con genuino piacere, inarca la schiena e intanto schiaccia ancora di più il proprio seno abbondante contro il suo petto. È un invito più che esplicito. Itachi l’ha capito ma fa finta di niente, ignora il desiderio della bella origamista. Vuole torturarla a suo modo, per puro divertimento, anche se in una situazione diversa avrebbe fatto il galante con lei, così come un tempo era stato cortese con le ragazze del suo villaggio natale. Atteggiamento non più possibile allo stato attuale delle cose. Col passare degli anni è cambiato, divenendo più taciturno, cupo, freddo. Non aveva mai provato a tessere dei rapporti di amicizia con gli altri membri dell’Akatsuki, la cosa di per sé non era pertinente, non era per niente interessato a ciò. Stava bene da solo, in compagnia delle proprie colpe e della sofferenza fisica sempre più crescente. Da un paio di mesi accusava uno stato di malessere che interessava più i polmoni che altre parti del corpo. Spesso veniva scosso da accesi colpi di tosse, cui seguivano fiotti di sangue che sentiva ribollire nei polmoni, caldo e crudele. Si era rassegnato a quella punizione ma ne era contento, significava che non gli restava molto da vivere. Doveva solo accelerare il susseguirsi degli eventi. Altrimenti Sasuke non avrebbe mai avuto la sua vendetta, e lui, Itachi, non avrebbe mai potuto morire per mano sua, aspirando così a quella pace mai provata prima.
Sotto queste abituali elucubrazioni, il ragazzo si solleva di scatto, accovacciandosi sul materasso. Afferra i polsi della sua amante con una sola mano e la solleva di poco, sogguardandola con un’espressione strana, quasi assente.
Konan esita per una frazione di secondo. Quello sguardo sembra nascondere un doppio fine, un movente che non incontrerà di certo la sua totale approvazione.
Entrambi seguitano ad affondare l’uno negli occhi dell’altra. In completo silenzio, con paziente aspettativa. Lei attende che lui faccia la prima mossa, lui attende che lei arrischi un passo falso. Sembra quasi un gioco che si tramuterà in uno svago violento, a giudicare dal silenzio martellante che grava nella stanza.
Poi, quasi avesse valutato i pro e i contro, quasi stesse delineando una strategia da utilizzare in una cruenta battaglia, Itachi allenta la presa sui polsi della donna, che torna a sdraiarsi.
Lei aspetta, l'indifferenza incisa nei lineamenti del volto. Ma poi, quando lui libera un profondo sospiro probabilmente dovuto nell'iniziare una conversazione piuttosto forzata, la sua facciata inumana crolla, si spezza; la maschera finora indossata si sgretola in mille pezzi, raccogliendosi sul pavimento, e la vera Konan viene mostrata. Non importa. Ora niente ha più importanza.
Allunga piano le mani, posandole sulle spalle larghe del ventunenne che non arrischia un movimento, né le chiede cosa stia facendo. Niente. Permeane nel suo abituale mutismo, ma gli occhi sono attenti, il rosso scarlatto dello Sharingan copre la realtà riflessa nelle pozze grigie; Itachi si mantiene pronto a intrappolarla in un genjutsu o nella sua tecnica più potente, lo Tsukuyomi; oppure la incenerirà con Amaterasu. Questo, se fosse come Kakuzu, Hidan, Deidara, o Kisame. Ma Itachi è diverso, è l'unica persona normale come lei, Sasori e Pein. Si limiterà a scostarla senza scomporsi più di tanto.
Tempo scaduto.
Konan si mette a sedere, dapprima sul materasso, poi sulle gambe di lui; sposta le mani dalle spalle alle guance dell’Uchiha e si sporge in avanti, accennando un bacio che però, a sorpresa, viene rifiutato dal suo amante. L’espressione neutra di lei sembra contrarsi in una più perplessa. È un moto del tutto naturale quello che le passa sul volto, perché non avrebbe mai pensato a un rifiuto, per di più un rifiuto ostentato con fermezza.
Questo dovrebbe bastare per comprendere, vero? Itachi è simile a te. Freddo, apparentemente insensibile a ciò che lo circonda, fisso nei suoi ideali e determinato a portare a termine i suoi obiettivi.
E forse questa inaspettata somiglianza può lasciarti basita, Konan. Hai sempre pensato che nessuno poteva comprendere il tuo dolore. Invece lui lo ha fatto, ti ha capita. Ed è per questo che cerca di rassicurarti, a suo modo. Irrigidito dal tirare avanti come un robot per ben otto lunghi anni, in sé è sopita un’aura di tenerezza, perché non può soffocare la propria anima buona con uno schiocco di dita.
Tu, invece, hai capito Itachi? Hai capito quanta sofferenza sta sopportando? Hai capito quanto è vivo e reale il suo desiderio di morte? Certo, è giovane, è troppo giovane per morire. Ha solo ventuno anni; se solo lo volesse, potrebbe provare a cambiare vita.
Ma questo è un pensiero sciocco, formulato da umani che vivono nella bambagia, che hanno dalla loro parte persone che fanno tutto al loro posto, senza che si sporcano le mani. Tu non sei come quelle persone dal temperamento debole, Konan? Sei in grado di fugare questo velenoso dubbio?
In un impeto mosso dall'inquietudine, Itachi serra le braccia attorno alla fragile schiena della sua amante e l’attira vicina, si schiaccia contro quel corpo provocante, morde le sue labbra con fervore. Avverte il moto di sorpresa che l'ha scossa, ma non spiega il perché di questo improvviso cambiamento. Con foga sempre più dirompente, avvicina le labbra alle sue, le regala un bacio infuocato, la lingua che si insinua bruscamente fra le labbra schiuse dell’Angelo Messaggero.
La donna prolunga avidamente quel bacio tanto inatteso, il corpo che piano piano comincia a desiderare di unirsi e fondersi inscindibilmente a quello del moro, che ignora con cinismo e puro diletto quell'inespressa concupiscenza. Non viene scosso da un sussulto quando lei pigia la sua femminilità più ambita contro la propria crescente erezione, come se non lo toccasse minimamente. Ha la situazione sotto controllo. Potrebbe...
E da quel momento tutto cambia.

Da qualche minuto sono perfettamente immobili, i respiri sincronizzati; lei seguita a puntare gli occhi dorati puntati sul soffitto, lui le dava la schiena, quasi non volesse averla costantemente davanti agli occhi.
Konan si mette a sedere sul bordo del letto, senza curarsi di ricoprire il proprio corpo nudo con il lenzuolo. Le dita rastrellano indietro delle ribelle ciocche di capelli blu, meccanicamente.
È sudata ma non le importa molto. Piccole perle di sudore le punteggiano la morbida pelle. Si passa una mano sulle labbra gonfie per i troppi morsi ricevuti.
Si volge verso il ragazzo, gli si stende accanto, il lenzuolo totalmente scostato dal proprio corpo.
« Che cos'è? » chiede di punto in bianco, la punta del dito che sfiora il tatuaggio impresso sul suo deltoide sinistro.
Itachi getta un'occhiata distratta sul punto indicato, torna a osservare la parete. « Niente... » risponde laconico. « Un segno del mio passato. »
La donna non esprime nient'altro della piccola aura di curiosità che scema nel giro di fulminei secondi. Smette di sfiorare quel disegno e invece posa la mano sulla spalla di lui, che si gira sulla schiena, gli occhi interrogativi. Fa per parlare ma frena l'irrompere delle parole semplicemente posandogli il dito contro le labbra. China brevemente il capo, sfiora le sue labbra. Itachi sembra stare al gioco ma la scosta da sé, con ferma gentilezza.
« Non puoi continuare a scambiarmi per Pein. » l’avvisa, piano, le lunghe dita strette attorno al polso di lei, che apre la bocca per liberare una veemente protesta, subito messa a tacere appena incontra i suoi occhi.
« Non è come pensi. » si difende, invece, aggrottando appena la fronte. Una cappa di paura le grava addosso, e si macera nel silenzio, con la flebile speranza che ciò che sta vivendo sia semplicemente un genjutsu. Lui ha tracciato perfettamente un disegno completo della sua anima corrotta. Ha cucito insieme tutti i pezzi della sua vita con infinita perspicacia. Lo sa. Sa che ha passato tutti quegli anni a rimpiangere Yahiko, mossa da intenti puramente egoistici, innocentemente teneri, crudelmente sadici. Così come ha desiderato ridursi in una specie di vegetale, insensibile alle richieste di cuore, precisa per quanto riguarda gli affari dell’Akatsuki, letale quando si trattava di eliminare coloro che ostacolavano l’ascesa e un prossimo dominio della suddetta organizzazione criminale.
Un paradosso intricato, ecco cos’era la sua vita.
Ma è davvero così?
Itachi ha letto nella sua anima, e ora lei, angelica donna di fatto, non può più tornare indietro.
Cerca di prendere tempo, fa per sollevarsi a sedere, ma lui pone la mano contro il suo fianco e la trattiene, sempre con inaudita gentilezza. Lo sbircia, perplessa. Un po’ della sua abituale compostezza torna a infondersi nelle sue vene, e attende con malcelata calma il prossimo attacco.
Itachi inclina di poco la testa di un lato, gli occhi di ghiaccio fissi su di lei. « Quello tra te e Pein non è vero amore. » La sua voce è come una stilettata inflitta nel cuore della giovane dai capelli blu. E, quasi con noncuranza, avvicina le labbra al suo orecchio.
« Yahiko non è più in questo mondo, Konan. È morto. Cerca di fartene una ragione. »













- - - - - - Spazio dell'autrice
Sono passati circa tre anni dall'ultima volta che ho scritto una fanfiction qui. Ora, dopo mesi di indecisione, ansie e paure del tutto infondate, ho deciso di ritornare a scrivere, per sfogo, per ritrovarmi tra voi lettori e/o scrittori. Molto probabilmente, la scelta di un pairing decisamente atipico farà storcere il naso ai più puristi appassionati del manga, ma è bello dare vita a situazioni che mai nascerebbero nel corso del manga o in un filler piuttosto pretenzioso.
Poi, scegliere un filo conduttore è stato difficile. Perché ok, riguardo Konan è facilmente intuibile il suo carattere (?), ma Itachi? Un personaggio dalle molteplici sfaccettature, dai continui risvolti psicologici, complicato da capire e ancora di più da gestire, specie quando lo devi muovere all'interno di una fanfiction. E devi fare attenzione a come lo poni nel contesto: se è l'Itachi della prima serie, ovvero il personaggio psicopatico e crudele, un cattivo affascinante e tenebroso, rischi di cadere nell'OOC più assoluto perché, come suddetto, è forse l'unico vero personaggio con un'introspezione davvero profonda. Se invece muovi l'Itachi buono, la spia doppiogiochista resa tale per il bene del proprio villaggio, si può dire che rischi lo stesso di renderlo pateticamente OOC, nonostante i tuoi sforzi di renderlo umano, una persona come le altre, con le sue paure, i suoi desideri?
Io ho provato ad affidare in quella sperduta pagina bianca che corrisponde a Word ciò che la mia fantasia dettava. E tutto questo solo per voi, lettori mossi da una passione comune.
Qualsiasi critica fine a sé stessa è ben accetta, con il solo scopo di capire dove ho sbagliato in questa fanfiction, ma soprattuto per crescere e riaffilare le basi per un probabile ritorno alla scrittura dopo un breve periodo di esilio, se così lo si può chiamare. 

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Capitolo 2
*** It's nothing to cry about, 'cause we'll hold each other soon in the blackest of rooms - Epilogue ***


It's nothing to cry about, 'cause we'll hold each other soon in the blackest of rooms -
Epilogue]










Yahiko non è più in questo mondo, Konan. È morto. Cerca di fartene una ragione.
Come affilati coltelli, quelle parole le scavano con lucida crudeltà nella tenera pelle. La torturano sia fisicamente che mentalmente, senza darle tregua. E piccoli rivoli di sangue iniziano a sgorgare dalle ferite appena provocate. Fiotti invisibili che tracciano ancora dei disegni indistinguibili. Non riesce a decifrarne il contenuto, paralizzata com’è da quella crudele frecciata che Itachi ha proferito poc’anzi.
Poi, si sente bloccare i polsi dietro la schiena. Sgrana gli occhi, presa in contropiede, e fa per protestare, cacciare fuori un urlo, vibrare in tutto il suo femmineo sdegno e contemporaneamente dissolversi in un mare di carta, ma Itachi la gira a forza sullo stomaco, facendola sdraiare sul materasso. Avverte il respiro sibilante del giovane contro la pelle, le sue labbra che stampano frenetici baci su ogni centimetro disponibile, infuocandole la pelle con quel respiro rovente. Più quella bocca avida proseguiva a baciare con foga, più la kunoichi si sentiva perduta, il corpo teso al massimo. Terrorizzata (e constatare quanto fosse vero e umano quel sentimento la sgomenta più del previsto) al solo pensiero di appurare con mano ciò che l’aspettava tra una manciata di secondi. Lui poteva manipolarla a piene mani, torturarla con annoiato divertimento, violentarla addirittura; e questa neonata convinzione viene formulata senza che lei valuti il fatto di non sapere nulla degli ideali moralistici del ventunenne e che in realtà lui non era affatto interessato a provocare violenza fisica su una donna, il solo pensiero lo disgustava indicibilmente.
In un punto imprecisato del dorso, capta il respiro di Itachi, che si è fermato, la mano sempre saldata attorno ai suoi polsi. Con cautela si prepara a difendersi, comprime i muscoli del corpo in fasci tesi al massimo.
Delicatamente, viene fatta voltare. Di nuovo incrocia i suoi occhi spenti, il suo sguardo impenetrabile. Con una punta di blanda sorpresa, scopre di poter muovere liberamente le braccia. China brevemente lo sguardo, restia a sostenere quegli occhi così pericolosi e infidi.
« Konan. » Alza di scatto gli occhi, l’espressione indagatrice ben impressa nei lineamenti facciali. Itachi la osserva per un istante, apatico. Il giovane pone la mano contro la sua guancia, carezzandogliela impalpabilmente con lievi tocchi delle dita.
« Lo sai che da questo momento tutto questo finirà, vero? »
Lo sa. Non c’è bisogno che glielo rimembra. È scritto in quell’oscurità che ottenebra gli angoli della sua camera, è inciso sulla pelle di lui, quasi come un invisibile marchio; gronda da qualsiasi parola proferita da quelle labbra morbide.
Quel piccolo gioco che li portava a smarrirsi fra quelle fresche lenzuola, sprofondare quasi in quell’enorme letto, era ineluttabilmente giunto alla fine. Le cose belle prima o poi devono finire, riflette la donna, accettando la realtà dei fatti.
E domani, quasi si trattasse di una normale faccenda da sbrigare, Itachi si sarebbe recato al covo degli Uchiha, per ripagare quel debito ormai prossimo a essere estinto. Sarebbe riuscito a mascherare la richiesta di perdono in provocazioni d’odio, atti a stuzzicare le vere capacità di suo fratello? Il ventunenne se lo chiede per l’ennesima volta, quasi fosse un chiodo fisso, un unico chiodo che lo ha accompagnato fino dalla notte dello sterminio. Come in un sogno ovattato, dai colori confusi, che rispecchiano l’immagine speculare dei suoi occhi privi di vita, visualizza la figura del suo adorato fratellino. Con gli occhi del passato, lo vede bambino, i grandi occhi neri che si posano fiduciosi su di lui, colmi di un amore fraterno puro e immenso. Quel sentimento antico e vero che lui stesso provava nei riguardi di Sasuke. Non gli importava se agli occhi del mondo quell’amore significasse erroneamente un desiderio morboso e incestuoso di avere tutto per sé Sasuke, in realtà lui lo amava come un fratello può amare un fratello o una sorella, senza confini, senza paura. Nient'altro.
E allora perché gli sembra tutto sbagliato concepire ancora quel significato di amore? Possibile che provasse paura? Di solito non lasciava spazio ai sentimenti, ormai debellati e rinchiusi in quella fortezza inespugnabile che era il proprio cuore. Così come era decisamente fuori dal comune leggere una qualsiasi sensazione che gli sfrecciasse sul volto. Un robot. Ecco cos’era diventato dopo otto lunghi anni di violenza fine a sé stessa.
Non concentra l’attenzione sulla minuta e provocante figura di Konan che si alza dal letto, limitandosi a sdraiarsi sul materasso, continuando a ignorare quella confusa macchia rosa e blu che girovaga nel perimetro della stanza, alla ricerca di qualcosa. Chiude gli occhi, estraniandosi dal mondo, galleggiando irreale e sconosciuto, un senza nome, un rinnegato qualunque che entro poche ore riceverà la grazia assoluta dalla persona che per lui più di qualsiasi altra cosa contava in quella vita schifosa.
Egoista.
Lo fai per egoismo, ammettilo.
Ti farai uccidere, o meglio, ti lascerai morire di fronte a lui. Lo condannerai a vagare dilaniato dal dolore, a calpestare la nuda terra con occhi che non vedranno nulla, oppresso da un probabile rimorso che capirà.
Ma lo fai per lui, vero? Hai dedicato tutta la tua breve vita per lui. E non ultimo, gli imposterai una protezione contro Madara. Quand’è che ti decidi a rivedere questo presunto piano, rigare le opzioni meno sicure? Oppure, a trovare una via alternativa per assicurare quella tanto bramata voglia di vendetta a Sasuke senza che sfoci nel tuo ormai certo suicidio? Perché non ti curi? Perché?
Quella voce stentorea gli trapana il cervello, impedendogli di affogare nel dolce oblio. In più, la sinuosa figura di Konan gli si adagia contro, le braccia che si avvolgono attorno alla sua vita, la guancia pressata contro il suo petto. Con un lieve sospiro ricolmo di stanchezza, le passa un braccio attorno alla vita, stringendola con delicatezza a sé. Non per amore, ma per disinteresse. Non la ama, non riuscirebbe mai ad amarla, perché era uno sporco traditore impossibilitato a tracciare una nuova vita, un nuovo inizio. E se aggiunge il fatto che anche la giovane donna è della sua stessa risma, il risultato dell’equazione dovrebbe bastargli. Amore? Cosa diavolo era? Lui non riusciva più ad esternare un qualsiasi gesto d’affetto nei confronti di una donna. Non ne era più capace. Se c’era stato un tempo dove era stato mosso da gesti carichi di tenerezza nei riguardi della sua fidanzata, allo stato attuale delle cose era pressoché chimerico, infattibile. Aveva ventun anni, era malato in fase terminale, cieco, un traditore di Konoha, un assassino senza scrupoli, un esperto confezionatore di menzogne.
Tuttavia… C’erano delle sporadiche notti dove, per indolente pigrizia, desiderava più di ogni altra cosa ritornare indietro, trovare una soluzione incontestabile per il colpo di stato degli Uchiha, e vivere assieme ai suoi genitori, Sasuke, Shisui, la sua amata. Magari un giorno avrebbe sposato lei e avrebbero avuto dei figli in un futuro di pace e quieto vivere.
Apre lentamente gli occhi, irritato nel riporre tutte le sue fragili speranze in quell’illusione dal sapore agrodolce e ipocrita.
« A cosa pensi? »
La voce di Konan lo richiama bruscamente alla realtà. Abbassa pigramente lo sguardo su di lei, masticando la risposta tra i denti, indeciso se appagare la sua curiosità. « A quanto faccia schifo la vita. » risponde dopo un istante.
Gli occhi dorati della giovane risplendono di consapevolezza, di sincera partecipazione: ha già constatato sulla propria pelle cosa significhi trascinare faticosamente le proprie membra per una fine che mai arriverà. « È vero quello che avevi detto prima? » domanda invece, cambiando argomento. Con la complicità ormai acquisita dopo qualche notte passata a conoscersi carnalmente, cerca di deviare quell’affermazione che li potrebbe portare ad aggirarsi in un campo minato. Non per dispetto, ma per fastidio. Lo sa già da sé quanto sia patetica la propria vita, e non serve imprimersi nel cervello le parole di un giovane uomo che a quanto pare sta vegetando anch’egli in quel limbo chiamato terra, alla continua ricerca della pace, della felicità, dell’amore, di un qualsivoglia momento di vita da normale essere umano.
« Chi può saperlo? » ribatte cupo l’Uchiha, aggrottando lievemente le sopracciglia. Una solitaria ciocca di capelli gli scivola sul viso. Non la scosta, continuando a tenere avvinti i ciechi occhi nei suoi. Coglie indistintamente lampi di colore, con pazienza costruisce le sue fattezze: i profondi occhi dorati, le sopracciglia sottili, il minuscolo piercing incastonato sotto la morbida curva del labbro inferiore. E quelle braccia morbide lo stringono quasi con amore. Strofina piano il palmo della mano contro la schiena di lei, quasi distrattamente.
« Sai troppe cose su di me. » Konan lascia cadere quell’allusione velata, quella piccola esca che invece è uno specchietto per le allodole.
Itachi inclina la testa di lato, le sopracciglia aggrottate, l’espressione sinceramente indagatrice. Poi, e quel suono si propaga irreale e così improvviso, si lascia sfuggire una risatina roca, di gola. « Non è poi così difficile. » la stuzzica, le labbra che si piegano in un sorrisetto. Konan si avvede di quanto sia bello quando sorride. Ha un bel sorriso, peccato che sia così incupito da una vita passata da macchina senza emozioni da non poterlo sfoggiare neanche una volta.
Il dito di lui le carezza la guancia, con lentezza del tutto voluta. « Le poche volte che ti vedevo, ti studiavo come un oggetto. Sei molto bella, Konan, ma non c’è bisogno che te lo dica, lo sai perfettamente da te. » Il polpastrello si ferma poco sopra l’angolo della bocca, riprende a tracciare quella scia. « Non ho avuto il bisogno di usare un genjutsu; mi è bastato guardarti, anche se di sfuggita. Cosa c’è di bello quando puoi rimirare l’oggetto della tua curiosità con una sola, sfuggente occhiata? Puoi capire tante cose. Anche se… » E qui il sorriso si spegne fulmineo, come una lampadina bruciata. « …ciò implica sovrapporre sé stessi alla persona che desta il tuo interesse. »
La osserva, assicurandosi che abbia compreso. Le picchietta piano la mano contro il fianco. « Hai capito? »
Konan non gli lascia la soddisfazione di una risposta, tornando a posare la guancia contro il suo petto. E quindi, si domanda, è così difficile grattare via quella scorza dura in cui ci si era avvolta per tutti quegli anni e rivelare la sua vera io come se niente fosse? Perché diavolo il suo amante doveva mostrarsi così abile a sondare la sua anima con pochi ma mirati sguardi?
« Com’è che siamo diventati amanti? » osserva invece, quasi se ne fosse ricordata solo in quel momento. Ma il suo vero scopo è prendere in castagna il moro e le sue velate bugie. È consapevole che mente spesso e volentieri, anche se le frottole che lui le rivolgeva erano più che altro riconducibili alla sua vita privata, alla vita condotta prima che voltasse le spalle alla rettitudine. Per quanto riguardava i rapporti delle missioni per conto dell’Akatsuki, Itachi si mostrava serio e integerrimo.
« Oh, a questa domanda potrei rispondere in molteplici modi. » mormora beffardo il ragazzo, il tono della voce grondante sarcasmo finora recondito. « Potremmo essere diventati amanti per passare insieme qualche notte di solitaria passione, per dispetto, o perché ci siamo innamorati l’uno dell’altra. » La sbircia per un istante. « Invece, in un giorno qualunque, quasi per caso, siamo diventati amanti per disprezzo verso noi stessi. Disprezzo per cosa? Per provare, almeno una volta nella vita, quella sensazione sconosciuta che ti fa avvertire le proverbiali farfalle nello stomaco, ti impedisce di dormire e tenere viva l’attenzione? Non credo. Non siamo più capaci di amare. Io perché sono arrivato al punto di detestarmi per come ho gestito tutto dopo quella fatidica notte, spogliandomi della mia dignità e soprattutto dei miei sentimenti, senza arrivare a perdonarmi una volta che fosse una. Tu, invece, perché passi ogni singolo istante a rimpiangere il tuo imperituro amore, nonostante tutto gli stai accanto ogni giorno, che sia solamente un manichino manovrato da Nagato o no. »
Lei aveva ascoltato quasi con indifferenza quella spiegazione, ma le ultime parole le penetrano nella testa, chiare come acqua cristallina. Sbarra gli occhi, colta alla sprovvista. « E tu come fai a saperlo? » sbotta, sollevando gli occhi verso di lui.
Itachi stringe le labbra senza risponderle, lo sguardo severo rannuvolato. Scuote la testa e distoglie lo sguardo, disinteressandosi del turbamento scatenato nella donna. A prima vista sembra seccato, invece è semplicemente irritato per come si sia lasciato trascinare nel baratro dell’apatia, vivendo solo in funzione del fratello e per nient’altro.
Quand’è che comincerai a vivere, vivere veramente?
Mai. Questa è la strada che ho scelto di percorrere.
« Ed è proprio per questo che mi faccio schifo, che mi fa schifo il nostro infrattarci nel mio o nel tuo letto, e dare sfogo alle nostre frustrazioni, sessuali o meno. Ma così facendo, una volta che districhiamo i nostri corpi dall’amplesso avuto, ci sentiamo… Appagati. Appagati dall’aver annegato nel limbo dell’incoscienza per qualche minuto. Perché già la nostra vita è ingrata così com’è, che dobbiamo mostrarci sprovvisti di essa persino quando facciamo sesso. Ci portiamo appresso questo involucro ingrato che corrisponde al nostro corpo, viviamo alla giornata, con la rassegnazione impressa a fuoco negli occhi, nel linguaggio del corpo, nelle parole; siamo stanchi della guerra che affligge i nostri villaggi, il nostro Paese di appartenenza, le nostre vite, i nostri destini, senza mai fare uno sforzo per rendere dignitoso quel breve lasso di tempo che ci separerà al congiungerci con ciò che abbiamo più desiderato, ovvero la pace. È così anche per te, vero? » prosegue, la voce dura, sollevandosi su un gomito, senza aspettarsi una replica. Ora come ora, il desiderio di darsi una sistemata e gettarsi nel suo letto per cadere nel sonno è tentatore come non mai. Dormire potrebbe purificargli la mente ottenebrata dalla rabbia indotta dal destino scritto per lui fin dal momento in cui era venuto al mondo.
Socchiude brevemente gli occhi, con aria assorta, riaprendoli di scatto quando la familiare fitta ai polmoni gli arriva come una sprangata. Meccanicamente porta la mano contro la bocca, parando i colpi di tosse che si susseguono subito dopo; chino in avanti, dimentica la presenza di Konan che lo guarda attonita. Le affusolate mani di lei si posano leggere sulla sua schiena, la sua voce domanda, chiede, ma non chiarisce quei dubbi che gli vengono rivolti quasi con paura, i fiotti di sangue che gli macchiano il palmo della mano, gli colano ai lati della bocca. Finalmente, in quelle che sembravano ore ma che invece si trattavano di brevi minuti, la crisi finisce, e il ventunenne si ritrova a fissare la mano sporca di sangue, gli occhi che in realtà non vedono quanto fosse vicina la sua fine.
Chiude la mano a pugno, il corpo viene scosso da un improvviso brivido di freddo, il volto seminascosto dalle lunghe ciocche corvine. Konan gli porge un fazzoletto inamidato, che accetta con un muto ringraziamento, passandolo sulla bocca, sulla mano, per poi riporlo, appallottolato, sul comodino. Si drappeggia con gesti stanchi il bianco lenzuolo attorno alla propria spossata figura, calando successivamente le lunghe gambe sul pavimento e rialzandosi. Viene colto da un violento capogiro, ma non desiste e si mette a cercare i propri capi di vestiario sparpagliati sul pavimento.
Una volta essersi accuratamente rivestito e raccolto i lunghi capelli neri nella consueta coda bassa, si avvicina a Konan, che in quei frangenti aveva seguito i suoi gesti. Entrambi si fissano in silenzio, quasi fossero incerti sul genere di saluto da darsi l’un l’altra.
La donna piega d’un lato il capo, gli occhi carichi di aspettativa. Ha capito qual è il suo posto, e non osa intromettersi nelle questioni private dell’Uchiha, che seguita a fissarla, il braccio sinistro appoggiato contro l’apertura del mantello.
Dopo qualche secondo Itachi, in un rigurgito di amore fossilizzato, allunga il braccio verso di lei, avvolgendoglielo attorno alla schiena e tirandola a sé. La tiene così per un lungo minuto, provando per la prima volta un senso, seppur alieno, di serenità, di leggerezza. China la testa, premendo le labbra contro la fronte della giovane dai capelli blu.
Poi, quasi si trovasse in un sogno fumoso, dai contorni indistinguibili che potevano corrispondere benissimo alle visoni che gli offrivano i suoi occhi ciechi, si separa da lei, tornando a nascondersi dietro la sua facciata neutra e impenetrabile. Anche gli occhi si velano di questa corazza, colorandosi di quel rosso fuoco provocato dallo Sharingan.
« Ci vediamo domani, Itachi. » Konan si sente scivolare di dosso quelle ore sperdute nei meandri della semioscurità che ora pare farsi meno profonda, pare ritirarsi, scomparire, lasciando il posto alla luce. Quella fastidiosa sensazione di occlusione provata nel sentirsi osservata da occhi avvolti nelle tenebre si fa sempre più ineffabile, fino a scomparire del tutto. Che qualcosa stia per cambiare? Guarda quasi con distacco alla routine che l’aspetta da dietro quella lignea porta chiusa a chiave, la mente incentrata sul lavoro da sbrigare, senza più memoria della passione covata con il moro.
Il ventunenne abbassa brevemente la testa, in gesto di congedo. « Arrivederci, Konan. » replica invece, in tono asciutto, voltandole le spalle e accingendosi ad allontanarsi da lei per l’ultima volta.
Addio.

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