Made in The USA

di lafilledeEris
(/viewuser.php?uid=60732)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Ohio ***
Capitolo 2: *** II. Indiana ***
Capitolo 3: *** III Illinois ***



Capitolo 1
*** I. Ohio ***


Cap.I
Ohio








Quella poteva sembrare una mattina come tante alla Dalton Accademy, ma ci sono delle volte in cui il detto “la quiete prima della tempesta” pare calzare a pennello.
Tutto sembrava perfetto nella scuola: i ragazzi che, nei loro blazer ordinati e lindi di lavanderia, si dirigevano in quasi religioso silenzio nelle aule; i professori che si scambiavano convenevoli di prima mattina; le segretarie che smistavano i vari messaggi.
Insomma, nulla poteva sembrare più ordinario. Ma il vero problema, il cataclisma che aveva dato origine  alla fine del mondo, doveva ancora abbattersi sui nostri protagonisti. Ed era proprio dietro l’angolo.
Un blazer scorrazzava per la scuola, senza fermarsi davanti a niente e a nessuno, travolgendo il povero bidello e rovesciando il secchio piano d’acqua.
“Signor Sterling, il preside lo verrà a sapere” si sentì dire da una voce indistinta.
E a dare l’allarme fu un Usignolo biondo, dal maldestro ciuffo spettinato a causa della corsa e con la cravatta fuori  posto. La cravatta fuori posto non era ben vista alla Dalton. Oh, no. Soprattutto se eri un Usignolo: ne andava del buon nome del Glee Club.
“Abbiamo perso un Usignolo!” gridò Jeff a gran voce, aprendo all’improvviso la pesante porta in mogano della sala prove del Glee Club.
Il viso paonazzo e il fiatone furono ciò che lo fecero stramazzare al suolo, poco dopo.
Blaine scattò in piedi per controllare in che condizioni fosse l’amico, ma venne bloccato da Nick che lo anticipò.
“Ehi” gli sussurrò, accarezzando la guancia ancora un po’ colorita.
“Nick”. Il biondo non riusciva ancora ad alzarsi e venne lasciato steso ancora un po’ per terra, sulla morbida moquette color vinaccia dell’aula.
Tutti i ragazzi del coro presenti in quel momento si accalcarono per vedere come stesse il compagno che non riusciva ancora a spiccare parola.
Kurt, nel frattempo, cercava di farsi spazi fra la calca di maglioni blu e blazer, iniziando a sbracciarsi.
“Ragazzi!” tentò una  prima volta, ma tutti parvero ignorarlo. Si schiarì la voce e riprovò. Nulla anche al secondo tentativo, se non il gran vociare dei suoi compagni che continuavano ad  opprimere il malcapitato Jeff.
“A mali estremi, estremi rimedi” si disse.
“Ragazzi!”  Quando tutti si voltarono a guardarlo, capì che aveva avuto la loro attenzione. Aver alzato la voce, aveva avuto il risultato sperato.  “Dovete lasciargli spazio” mimò con la mano di mettere distanza fra loro e Jeff. “ Nick, reggigli le gambe in aria, Blaine vai a prendere degli asciugamani umidi…”
“Hummel passione crocerossina mi mancava, di’ un po’, hai dimenticato la divisa a casa?”
È la legge di Murphy: quando credi che una cosa stia andando male, con Sebastian Smythe nei paraggi, andrà anche peggio.
Questa era la personalissima versione di Kurt. Nei tre anni di scuola passati insieme al ragazzo, aveva capito che, in qualche modo, qualunque cosa facesse, quel ragazzo portava solo un mucchio di guai.
Smythe faceva ogni cosa in maniera teatrale: le sue entrate e le sue uscite da divo, la sue volgarissime battute piene zeppe di doppi sensi, le discussioni per decidere chi doveva accaparrarsi gli assolo migliori – che caso strano finivano con lui che snocciolava in maniera dettagliata i motivi per cui lui doveva avere la parte solista e, alla fine, l’aveva vinta.
Per Gaga, se ne avesse avuto l’occasione, Kurt  gli avrebbe chiuso quella dannata fogna con Pavarotti . Poco importava se poi avesse potuto ricevere delle lamentele dalla protezione animali. Era per una buona causa.
“Smythe, taci! Non hai nulla da fare che non implichi lo stare appiccicato a me, anche mentre sto salvando la pelle ad uno dei nostri compagni? Non hai trovato Hunter a cui rompere le scatole?”
“ E’ di questo di cui vi volevo parlare” disse una voce alle spalle di Kurt.
Tutti si girarono in direzione di Jeff, ora sorretto da Nick che gli aveva fatto poggiare la schiena contro il suo petto, mentre teneva sul collo un asciugamano.
Sebastian agitò la mano, in un  cenno di eloquente menefreghismo.
Jeff  infilò la mano nella tasca interna della giacca e sembrò cercare a tentoni qualcosa. Quando tirò fuori la mano, questa stringeva un biglietto stropicciato e macchiato di qualcosa che sembrava… brillantini?
“Sterling, dove sei stato?” lo prese in girò Sebastian.
“Smettila!” lo rimbrottò Blaine mentre prendeva il biglietto che rimase a mezz’aria, finché non vi si avvicinò.
L’espressione che fece poco dopo aver letto il biglietto non prometteva nulla di buono.
“Allora, che dice?” domandò Thad, quasi timoroso di voler avere una risposta.
Blaine accartocciò il foglio e  imprecò.
“Uh, e così anche Anderson sa dire le parolacce!”
“Sebastian, davvero smettila”. Kurt si accucciò per recuperare il biglietto e quando lo lesse poco gli importò di essere finito col suo regale fondoschiena dritto sulla coda di un ignaro Mr. Pussy che se la diede a gambe dopo aver lanciato quello che parve un miagolio di guerra.
Kurt aveva addosso quindici paia di occhi e sembrava non curarsene, mentre Blaine aveva iniziato a sbattere la testa per terra.
“Dannazione, volete parlare?” sbottò Sebastian, strappando in malo modo il biglietto dalle mani di Kurt che continuava a sbattere la palpebre.
“Cazzo”.  Fu tutto ciò che riuscì a dire una volta letto il messaggio.
“Ora che facciamo?”
“ Ma che è successo?” piagnucolò Trent “ e dov’è Hunter?”
“Hunter” sputò Sebastian fra i denti come se bestemmiasse “ Ci ha abbandonati”.  Lanciò il biglietto in direzione del compagno che lo prese al volo, con non poche difficoltà”.
“Usignoli, qui è il vostro Capitano che vi parla.” Iniziò a leggere a voce alta.
“Ci lascia e ha pure il coraggio di chiamarsi così?” Sebastian scosse il capo, in maniera vigorosa.
“Fai finire Trent!” lo zittì Kurt.
“Dunque, dicevo” si schiarì la gola e ricominciò “Usignoli, qui è il vostro Capitano che vi parla…”
“Giuro che se lo becco lo strozzo con le mie mani!”
“Sebastian, chiudi quella ciabatta!” sbraitò Kurt, furioso.
Trent riprese.
“Usignoli, qui è il vostro Capitano che vi parla…”
“E questo lo abbiamo capito” sbuffò Smythe, al che Kurt si arrabbiò davvero. Gli puntò il dito contro il petto e lo spinse contro il muro.
“Chiudi quella cazzo di bocca”. Kurt non era tipo da reazioni violente, ma Sebastian metteva davvero a dura prova la sua pazienza.
“Uh, Miss Hummel è arrabbiata”. Come risposta Kurt gli tirò la cravatta, sino a farlo tossire.
“Non sai quanto! Trent, continua” ringhiò Kurt, continuando a guardare Sebastian dritto negli occhi.
“U-“
“Salta quel pezzo!”
Blaine prese il biglietto dalle mani di Trent e riprese a leggere.
“L’Accademia Militare mi ha rivoluto con sé. Devo tornare sotto le armi. So che sarete dispiaciuti quando leggerete questo messaggio…”
“Tantissimo” commentò acido Sebastian, prima di beccarsi una gomitata sullo sterno.
“Ho dovuto farlo. Spero possiate capirmi. Hunter”.
“Che facciamo?” commentò Titus, sconsolato, mentre si lasciava crollare sulla poltrona dietro la scrivania.
“Hunter aveva già scelto le canzoni per le Regionali, e abbiamo solo due settimane. Non possiamo ricominciare da capo”.
“Certo che se parlava nuovamente di pomp-“
Blaine colpì Sebastian sulla nuca, con un quotidiano.
“Davvero, stà zitto”.
Kurt fissava il vuoto, in cerca di qualcosa da fare.
 Non poteva permettersi che tutto ciò per cui aveva lavorato crollasse. Dal Glee dipendeva la sua borsa di studio.
E Kurt non era mai stato uno  che rimaneva con le mani in mano.
Non sarebbe finito tutto in malora per colpa di quella zucca vuota di Hunter  Clarington.
O non si sarebbe più chiamato Kurt Elizabeth Hummel.
“Poiché mi sembra ovvio che non possiamo sperare che Hunter torni di sua spontanea volontà…”
“Perché sospetto che sarà un’idea troppo stupida? Ah sì, è una tua idea.”
“Ti sto ignorando”.
“Se mi ignorassi non mi risponderesti”.
“Ci tenevo a fartelo sapere”. Kurt gli fece un sorriso tanto forzato, che gli fecero male le guance.
Blaine batté la mani per attirare l’attenzione dei due che avevano preso a guardarsi in cagnesco.
“Cosa avevi in mente?” domandò, andandosi a sedere sulla scrivania.
“Dobbiamo andare a recuperare  Hunter”.
Nick si battè la mano contro la fronte, mentre Jeff si strozzò con l’acqua che stava bevendo.
“Io l’avevo detto che era un’idea stupida” Sebastian alzò le mani in segno di resa.
“Tranquillo, non devi andarci tu.  L’ultima cosa che voglio è dividere un qualsiasi spazio ristretto con te. Morirei di asfissia da marchetta. Gli Usignoli anziani non possono muoversi, gli unici liberi siamo io, te e Blaine. Quindi, ci andrò con lui”.
“Non vorrei mai viaggiare con te, con cosa ti muovi, con unicorni che vanno a zucchero filato?”
“Tu e la tua arroganza siete il motivo pere cui andrò con Blaine”.
Kurt si girò verso Blaine con un sorriso a trentadue denti, che ricambiò il gesto porgendo il pugno verso Kurt.
Questo andò a picchiettarlo con l’indice e accompagnò il tutto con un “uh!”
Sebastian alzò gli occhi al cielo.
“Che cosa da veri uomini!”
 
 
“Eetciù!”
Il mercoledì diede il buongiorno a Kurt con una sorpresa. Insomma, se il buongiorno si vede dal mattino, quella per Kurt sarebbe stata una giornata di me.,.ravigliose scoperte.
“Davvero Gurt, bi disbiage!”
No. No. No. No.
Non poteva essere successo veramente. Davvero, l’Universo stava cercando di dirgli qualcosa. O lo odiava a morte.
Esiste un momento, nella nostra vita, in cui il destino decide di tirarci un brutto scherzo. Il suo aveva anche un numero.
Blaine, steso a  letto mezzo moribondo,  aveva trentotto e mezzo di febbre. Sì, insomma era carino con le guance rosse , gli occhi lucidi e i capelli privi di gel. Ma avrebbe voluto vederlo così in altre situazioni.
“Non fa nulla” Kurt fece spallucce, tendendogli la mano. “L’importante è che tu ti riprenda”.
Sorridi, si disse. Sorridi.
In fondo, Kurt ci sperava. Sarebbe potuto stare con Blaine. Da solo con lui. Da quanto aspettava quel momento? Erano precisamente due anni, otto mesi e quattro giorni che cercava di fare breccia nel cuore del giovane Anderson.
Sì, Kurt era un tipo preciso.
Considerando anche il periodo in cui Sebastian ci aveva provato con Blaine, fallendo miseramente.
Ebbene sì,  anche Kurt era finito nel vortice dei triangoli di rosa tinti.
Era un sentimentale, romantico e sognatore. Motivo per cui Sebastian aveva capito che aveva una cotta per Blaine.
A dire il vero, lo avevano capito tutti gli Usignoli. Tranne il diretto interessato. Magari non era poi davvero sveglio come  dava a vedere.
“Gobe varai ber il viaggio ber reguberare Hunter?” soffiò forte nel fazzolettino di carta, che andò poi a fare compagnia agli altri, accatastati affianco al letto.
“Partirò da solo!” spiegò semplicemente Kurt.
“Non buoi!” protestò Blaine “è pericoloso!”
“Blaine, cosa vuoi che mi succeda?” rise Kurt, cercando di tranquillizzarlo.
“C’è  una saggo di gente gattiva in giro, botrebbero provarci con te, o peggio” spalancò i grandi occhi nocciola “ approfittarsi di te” tirò su  col naso.
Ora Kurt si sentiva più tranquillo. Anzi no, per nulla.
Deglutì a vuoto.
“Sei carino a preoccuparti per me” tentò Kurt.
“Ecco perché bi sono breoccubato di cercarti un gompagno di viaggio”.
Kurt si illuminò: niente molestatori o corteggiatori indiscreti, chissà chi lo avrebbe accompagnato degli Usignoli del Consiglio.
“Oh, che cosa carina! Davvero, non dovevi…”
“Ciao, principessa!”
Dannazione.
“Così, saremo compagni di viaggio” lo prese in giro Sebastian “Viva noi!” agitò le mani in aria Sebastian, con una sorriso stampato in faccia.
Perché sorrideva?
A Kurt non piaceva quando Sebastian sorrideva, non era mai un  buon segno. Mai. Quando accadeva potevano succedere tante cose : Crudelia Demon avrebbe salvato dei cuccioli di dalmata dall’abbattimento, Elton John avrebbe trovato la donna della sua vita, Blaine avrebbe donato in beneficenza il ricavato della vendita delle sue scatole di gel.
Il mondo è un posto difficile, soprattutto se ti chiami Kurt Hummel  e nel tuo stesso emisfero abita Sebastian Smythe.
“No, davvero. Ci vado da solo!” esclamò Kurt.
Ma non buoi!” protestò Blaine.
“Già, non puoi!” si aggiunse Sebastian “ non poi privarmi del divertimento di stuzzicarti per vedere quell’antiestetica vena gonfiarsi nel bel mezzo della tua pallida fronte da bambola di porcellana!”
“Io non ho nessuna vena in mezzo alla fronte!”
“Sì, invece!”
“No!”
“Sì”
“Ragazzi!”
I due si voltarono verso Blaine per poi guardarsi.
“E’ colpa sua” si indicarono a vicenda. “Ehi!”
Mentre erano intenti a guardarsi in cagnesco, in camera di Blaine entrò Nick.
“ Hai detto loro che partiranno insieme?” poi scosse il capo “ domanda stupida”.
Poi si avvicinò con circospezione  a Blaine e gli sussurrò all’orecchio “ Ma sei proprio sicuro di ciò che stai facendo? Loro due insieme…”
“Duval! Io sono qui!” si lamentò Sebastian. “ E poi io e Kurt lo facciamo per gli Usignoli. Siamo persone mature. Vero, Kurt?”
Il ragazzo chiamato in causa in quel momento stava giocando con le estremità della cravatta dell’uniforme e a quanto sembrava cercava il modo di metterla attorno al collo di Sebastian e farlo sembrare un incidente.
“Kurt!”
Questi si raddrizzò di colpo.
“Quello che ha detto Sebastian!”
Smythe alzò gli occhi al cielo.
“Prima partiamo, prima tutto questo finirà”.
 
“Io su quella cosa non ci salgo” proferì serio Kurt, squadrando il veicolo davanti a sé.
“Beh, scusa se non è il camper di Barbie”.
“Sebastian!” protestò Kurt “Sono serio. Questa macchina va troppo veloce per i miei gusti e…”
“Da quando ti intendi di macchine?”
Kurt sbuffò sonoramente, arricciando il naso.
“Da una vita?” domandò sarcastico “Mio padre fa il meccanico…”
“Non ci credo, sai come si  pulisce un carburatore?” Sebastian stentava a crederci. L’altro alzò gli occhi al cielo.
“Dico, non so se hai notato le mie mani, ti sembrano quelle di qualcuno che ha avuto a che fare da vicino con carburatori o cose simili” s’indicò i palmi, liberi da imperfezioni.. “E comunque, so quanto corre. È una Aston Martin e ne conosco le potenzialità.”
“Hummel?”
“Sì?”
“Porta le tue chiappe sul sedile del passeggero. Adesso.”
 
 
 
 N.d.a
Credo che tutto questo sia nato quasi per sbaglio. Cioè, in realtà in questo periodo sto scrivendo o drabble o OS, non avevo voglia di impegnarmi in qualcosa di serio. Anche perché mancava L’IDEA. Poi è arrivata, BAAAAMM e lo devo a Vals, perché mi ha spronata a concentrarmi. L’idea iniziale è cambiata tipo tre/quattro volte, poi ho deciso che questa poteva essere quelle giusta.
Mi ero ripromessa di aspettare di aver finito di scrivere tutto prima di pubblicare. Poi di aver scritto almeno quattro capitoli.
Al momento ho finito il primo capitolo ( stai pubblicando Nico, Captain OBV!) e ho iniziato il secondo, ma so già come finirà. Oh, se lo so *risata malefica*
Il titolo del capitolo sarà lo Stato in cui Kurt e Sebastian si trovano in quel momento della storia. Voglio provare l’esperimento di scrivere qualcosa sullo stile on the road, giusto per cambiare e sperimentare varie ambientazioni.
So, ho detto tutto, quindi ora vi lascio, ho un capitolo da finire. YEAH.
N.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II. Indiana ***


Cap. II
Indiana
 
 
 
 
Kurt e Sebastian erano in viaggio da circa otto ore quando al primo venne un dubbio atroce. Per nascondere la sua espressione preoccupata, decise di appiccicare il naso alla cartina.
“Fai finta di nulla” si disse. “Tu non sai nulla”.
“Kurt?”
Ignoralo.
“Kurt?”
Fai finta di nulla.
“Kurt!”
Si sarebbe stancato prima o poi di chiamarlo. Come ci si nasconde avendo a disposizione solo una cartina geografica?
“Dannazione, Hummel!” Sebastian con la mano destra andò ad accartocciare la cartina, lasciando un Kurt senza alcuno scudo, costretto a rannicchiarsi nell’angolo più lontano del sedile. “Dimmi che non è come sembra”.
“E come ti sembra?” squittì l’altro.
“A me pare che ci siamo persi”.
“Magari…”
Ok, via il dente, via il dolore.
“HO SBAGLIATO A DARTI LE INDICAZIONI PER DAYTON E DA LI’ ABBIAMO SBAGLIATO IL RESTO!”
Sebastian inchiodò, fregandosene del traffico, si girò e fulminò – anzi incenerì – Kurt con lo sguardo.
“Cosa vuol dire che abbiamo sbagliato strada?” sibilò Sebastian, fingendo una calma che non aveva.
“Che sulla I-70 dovevamo tenere la direzione per Indianapolis, ma non entrarci” sussurrò Kurt.
Sebastian sgranò gli occhi, stupefatto
“Mi stai dicendo che per colpa tua abbiamo fatto due” calcò sull’orario “ e ripeto due, ore di macchina in più perché tu non sei in grado di leggere una diavolo cartina?”
Kurt incrociò le braccia al petto, mettendo il broncio.
“E tu hai una Aston Martin ma non hai un navigatore. Taccagno”.
“Scusa, ma non mi capita tutti i giorni di farmi Ohio- Colorado in macchina!”
Kurt aveva iniziato a battere la fronte contro il cruscotto, alternando le testate alle parole.
“Cosa- ho – fatto-di- male”.
Sebastian mise la mano fra la fronte di Kurt e il malcapitato cruscotto, gesto che stupì Hummel a tal punto da farlo voltare e rivolgere uno sguardo interrogativo.
“Ci tengo. Al cruscotto” spiegò Sebastian con stampato in faccia uno dei sorrisi più falsi del suo repertorio.
“Stronzo” masticò fra i denti Kurt.
“Capirai, per tutte le volte in cui me lo sono sentito dire. Solitamente capita quando mando via qualcuno dal mio letto, ma tant’è .”
Kurt fece una faccia abbastanza schifata.
“Hummel, non fare il santarellino. So che correvi dietro al blazer di Anderson e addirittura a quello di Hunter. Abbiamo la stessa materia prima nei pantaloni”.
“Il problema non è la materia prima” mimò le virgolette, Kurt “ è l’uso che se ne fa”.
“E la tua ha le ragnatele”
Al che Kurt trovò un buon motivo per recuperare la cartina e sistemarla.
“Ahia!”
Dritta in faccia a Smythe. Niente era più piacevole che sentire il rumore di qualcosa che si spiaccica sulla faccia di Sebastian e gli fa pure male. Insomma, nella vita ci si deve accontentare di piccole cose.
“Non sono affari tuoi di cosa io faccia, o non faccia in camera da letto” sentenziò prima di guardare dritto davanti  a sé “ e ora parti, stiamo bloccando il traffico”.
 
Due ore, due cd dei Motley Crue e tante caramelle gommose dopo, Kurt e Sebastian si ritrovarono a dividere gli ultimi animaletti gommosi rimasti.
“Sebastian, non farlo!”
“Cosa?” lo schernì l’altro.
“Non avrai quel coraggio!”
E invece lo fece. Sebastian Smythe si mangiò l’ultimo delfino gommoso. Kurt si era premurato di lasciarlo per ultimo. Sì, insomma, Kurt aveva le sue fissazioni e una di queste era lasciare le caramelle gommose che gli piacevano di più alla fine.
Ora, invece, aveva dovuto dare l’ultimo saluto al suo adorato delfino, povero disgraziato finito nella pancia di una balena piena di sé. Ave, Delfino.
“Tu sei una persona orribile!”
Sebastian gli sorrise, prendendendolo in giro.
“Hai la mano troppo lenta!”
“Tu invece troppo allenata!” lo schiaffeggiò quando tentò di prendere le fragoline. “Questa è mia” scandì le parole.
“Stai diventando violento!” lo rimproverò Sebastian.
“Indovina di chi è la colpa!”
Sebastian alzò gli occhi al cielo, esasperato.
“Non ci provare!” Kurt gli puntò l’indice contro “ Sono io che devo sopportare te, io volevo partire con Blaine”.
“Blaine di qui, Blaine di la” Sebastian agitò le mani al cielo “ Sembra che tutti a scuola pendiate dalle sue labbra!”
“Forse perché lui si rende sempre utile, è disponibile, e prima che tu lo dica” Kurt gli mise la mano davanti al viso “ il tuo non è essere disponibile, è essere facile” sillabò Kurt.
“Aiuto il mondo a modo mio”
“No, tu aiuti te stesso”.
“Come dici tu!” taglio corto Sebastian “ Allora, cerchiamo un hotel?”
Kurt capì che doveva alzare bandiera bianca.
“Lo sai vero che siamo nel bel mezzo dell’Indiana, con un tempo da cani fuori, e senza sapere dove andare?”
“Vorresti dirmi che il fatto di non aver trovato nessun albergo libero è colpa mia?”
Kurt squadrò Sebastian. Ok, aveva due opzioni: poteva scappare dalla macchina sotto la pioggia e correre senza una meta, oppure cercare di ragionare insieme a Sebastian. Per quanto la prima opzione lo attraesse più del dovuto, si ricordò quanto contasse per lui essere una persona civile e che in quel casino ci erano finiti anche  - ma solo un po’, perché si base era tutta colpa di Hunter! – per colpa sua.
Sospirò pesantemente.
“Dico che sarà dura trovare un posto dove stare, senza aver prenotato, senza sapere dove andare , senza avere una minima idea di come muoversi”.
Sebastian non  lo stava ascoltando. No , questo era il colmo. Iniziava ponderare l’idea di affrontare la pioggia torrenziale.
“Davvero, Sebastian?” fece per aprire lo sportello, quando venne bloccato per un polso.
Eccolo lì, come un’allucinazione in mezzo al deserto. Kurt si stropicciò gli occhi, sbattendo le palpebre più volte.
Si guardarono in faccia, cercando un segno da parte dell’altro.
Scesero dalla macchina, cercando di coprirsi dalla pioggia con le giacche - cosa che si rivelò quasi inutile -, e raggiunsero il porticato della piccola villetta dalla struttura in legno. Era carina, curata e soprattutto più grande dell’abitacolo dell’Aston Martin di Sebastian.
“Siamo sicuri che non sia fatta di marzapane?” domandò Kurt, picchiettando con l’unghia contro lo stipite della porta.
“Secondo me c’è un forno che ci aspetta” commentò macabro Sebastian.
“Non dirlo nemmeno scherzando”  Un brivido gli attraversò la schiena.
Suonarono il campanello in color madre perla che diceva “ Millicent’s B&B”, riprendendo il nome dall’insegna sulla porta.
“Possiamo ancora andarcene” sussurrò a denti stretti Sebastian.
La porta cigolò con fare sinistro.
Rivelò loro l’interno della casa, rimasero abbastanza stupiti. Ad accoglierli c’era una vecchina non alta più di un metro e cinquanta, avvolta in un grande scialle color pesca che li scrutava da sopra degli occhiali dalle lenti tonde e spesse.
“Sì?”
Kurt si schiarì la voce.
“Salve,  stiamo cercando una camera per questa notte…”
“Oh” arricciò le labbra, la donna “entrate!” si spostò, facendoli entrare.
Li  condusse al bancone della reception per farli registrare, prendendo in mano un quaderno rilegato in pelle.
Kurt si guardò attorno e rimase colpito nel vedere con quanta cura tutto era stato sistemato. Gli piacque la tenda in stile vittoriano sulla grande finestra che dava sulla strada, le poltrone in pelle sistemate davanti al camino…
“Non credo sistemino un forno qui, sai?” gli sussurrò Sebastian all’orecchio, il che gli fece guadagnare una gomitata in pieno stomaco.
“Mi servono i vostri documenti” spiegò l’anziana, non dando a Kurt il tempo di replicare. I due ragazzi le diedero le loro carte d’identità e aspettarono che venisse passato loro il modulo per firmarlo.
“Io sono Penelope” disse la donna, sorridendo loro “ ma potete chiamarmi Penny!”
“Chi è Millicent?” si lasciò sfuggire Kurt, troppo curioso. “Mi scusi” sussurrò poco dopo, abbassando lo sguardo.
La donna fece un gesto di noncuranza con la mano.
“Millicent era mia madre” spiegò Penelope, semplicemente. Riprese i moduli che Sebastian le porgeva, dopo averlo firmato. “Ora se volete seguirmi, vi mostro la vostra stanza”.
Percorsero una piccola scala a chiocciola per poi trovarsi davanti un lungo corridoio in penombra, per arrivare ad una porta color ciliegia.
Sebastian guardava con circospezione la camera, bloccandosi sull’entrata e non dando a Kurt la possibilità di vedere come fosse dentro.
Al quel punto fu costretto a incastrare la testa fra il braccio e il fianco del’altro.  Lo stupore fu tanto che lasciò cadere la borsa da viaggio che teneva fra le mani sui piedi di Sebastian, anche lui talmente scioccato che non si mosse di una virgola.
“Mi spiace” si scusò la donna “ Ma in questo periodo ho quasi tutte le stanze occupate, spero non vi crei problemi dividere il letto”.
Il braccio di Sebastian andò a stringere il collo di Kurt, chiuse il pugno che andò sfregare contro la testa di quest’ultimo.
“ Io e il mio amico Kurt non abbiamo di questi problemi!”
Hummel iniziò a sbracciarsi, cercando di sottrarsi a quella tortura.
“Giusto!”  Assestò una ginocchiata alla coscia dell’altro, facendolo cedere e riuscendo a liberarsi.
Ora poteva tornare a respirare, e Dio solo sa quanto Sebastian avesse rischiato attentando al suo ciuffo.
“Non c’è nessun problema!” sentenziò Kurt, cercando di dissimulare il forte disagio che in realtà sentiva. Avrebbe dovuto dividere il letto con Sebastian Smythe.  In tutto questo di positivo poteva trovarci solo una cosa: magari poteva provare a soffocarlo nel sonno.
“Vi lascio sistemare le vostre cose” disse Penelope, chiudendosi la porta della camera alle spalle.
Quando furono soli si ritrovarono in un imbarazzante silenzio.
Sì, insomma Kurt non aveva ancora somatizzato l’idea di dover dividere il letto con Sebastian che iniziava a pensare che avrebbe preferito dormire in macchina. Era una situazione alquanto strana – se non addirittura stramba – il doversi ritrovare a dividere lo stesso letto, quando non riuscivano a convivere stando nello stesso universo.
Sebastian si tolse il giubbotto e lo sistemò con fin troppa cura sulla poltrona davanti alla scrivania, sistemata contro la parete.
“E così…” tentò Kurt.
“No,non ti lascerò fare la doccia per primo!”
“Non volevo chiederti quello!”
“Ma lo stavi pensando!”
Kurt sbuffò teatralmente, alzando le mani in segno di resa.
“Ti lascio solo, così puoi fare quello che vuoi. Ricordati una cosa, però: non  lamentarti del dolore al polso”.  Era ormai sull’uscio, quando schivò una scarpa e riuscì a chiudere la porta per un pelo.
Quel ragazzo era strano: aveva una sorta di meccanismo di autodifesa che consisteva nell’offendere il resto del mondo. Ormai Kurt lo aveva capito. Forse perché anche lui era un po’ così, arrabbiato col mondo.   Non che non si divertisse a litigare con Sebastian, ma delle volte era davvero sfiancante e si capiva che in certi momenti l’altro era davvero arrabbiato.
Riflettendo su questo, scese al piano inferiore e si andò a sedere su una delle poltrone che aveva notato quando si stavano registrando.
Prese a guardarsi intorno finché un particolare non colpì la sua curiosità: era una foto sistemata sul caminetto. Ritraeva un giovane, che al tempo doveva aver avuto al massimo ventuno anni, indossava una divisa. Aveva grandi occhi scuri e un bel sorriso.
Mentre era intento a studiarne altri dettagli una tazza di ceramica comparve davanti al suo campo visivo.
“Era mio marito, Avery” sentì dire. Penelope era comparsa al suo fianco. Stavolta era diversa, meno formale.
Portava i lunghi capelli bianchi –quasi argentati – raccolti in una treccia che cadeva su un fianco; indossava una vestaglia verde menta e incastrata fra il braccio e l’ascella custodiva un libricino dall’aria consunta.
“Deve amarlo molto” commentò Kurt, prendendo la tazza e soffiando piano per non bruciarsi.
Le i sorrise. Aveva un bel sorriso, di quelli che partono dalle labbra e arrivano agli occhi.
“Eh già, lo amavo. E credo lo amerò per sempre”.
“Magari potrò conoscerlo”.
La donna scosse la testa.
“Non credo sia possibile” iniziò “ è venuto a mancare tanti anni fa”.
“Oh”. Kurt incassò il collo fra le spalle, come a volersi nascondere.
“Non fa nulla, caro. Non potevi sapere”.
Lo scrutava con quei suoi grandi occhi, ma Kurt non si sentiva a disagio. Non riusciva a non fidarsi di lei.
“Ci siamo conosciuti nel 1969 a Woodstock, fra migliaia di persone ci siamo riconosciuti, più che altro” iniziò la donna,  prendendo un sorso di cioccolata “ io al tempo portavo sempre un fiore fra i capelli. Quel giorno, fra il caos e la stanchezza lo persi. Lui mi si avvicinò con la scusa di aver notato che in quei giorni ne indossavo sempre uno e gli faceva strano vedermi senza”.
“Quindi lui l’aveva già vista da qualche parte?”
La donna scosse il capo in segno di diniego.
“ Il festival durò una settimana, lui mi si avvicinò solo l’ultimo giorno. Da lì non ci siamo più lasciati. Avevamo entrambi sedici anni, grandi speranze e ci nutrivano di amore e musica” sorrise bonariamente al ricordo la donna.
“Poi che accadde?” domandò curioso Kurt.
“Era il periodo della guerra in Vietnam, lui venne chiamato sotto le armi. Aveva diciotto anni. Ricordo ancora quando quella mattina di settembre bussarono alla mia porta.  Erano due uomini in alta uniforme, sai quanto il corpo delle forze armate del nostro Paese” quasi sputò su l’ultima parola “ ci tiene alle sue cerimonie”.
“Deve essere stato doloroso per lei”.
“Non sai quanto. Comunque, tre settimane dopo bussarono di nuovo alla porta. Io avevo avvisato chiunque che non avrei voluto visite, insomma ero vedova e non potevo ancora consumare alcolici, il dolore mi stava dilaniando. Quando aprì e vidi di nuovo una divisa, diedi di matto.  Quando decisi che quel giovane dai grandi occhi chiari poteva entrare in casa mia, non avrei mai potuto immaginare quanto già fosse potuto entrare nella vita, senza neanche conoscerlo”.
“Vi siete innamorati? Era un caro amico di Avery?”
“Kurt, non hai sentito ciò che ho detto?  Lui era già nella mia vita, perché era entrato nella vita di Avery. Nel suo cuore, quel posto che credevo fosse mio di diritto”.
Il  ragazzo corrucciò le sopracciglia.
“Thomas, così si chiamava l’uomo, era stato l’amante di mio marito. Scoprì che si conoscevano già ai tempi di Woodstock, ma che quando Avery si era messo con me avevano preso le distanze, l’uno dall’altro”.
“Avery la tradiva con Thomas, quando era in Vietnam?” Kurt spalancò gli occhi.
Penelope fece cenno di no col capo.
“In realtà, è come se avesse tradito Thomas con me. Quando si trovarono nello stesso reggimento credo che per loro fu come se avessero trovato un’ancora di salvezza. Thomas mi diede l’ultima lettera che Avery mi aveva scritto, credo che sentisse che prima o poi sarebbe venuto meno. C’era scritto che mi voleva bene…”
“Ma allora ci teneva a lei!”
“Non mi amava. Erano gli anni sessanta, la liberazione sessuale era appena iniziata, ma l’omosessualità era ancora una grossa novità. Così, mio marito, aveva optato per la via più semplice. Ma non gliene faccio una colpa, sai?”
“Ah, no?” domandò curioso Kurt.
“E’ morto avendo accanto la persona che davvero amava, se fosse successo qui avrebbe chiuso gli occhi accanto alla persona sbagliata. Certo, io lo amavo, ma le cose si fanno in due. Il mio amore per entrambi non sarebbe bastato”.
“E’ una storia tristissima” commentò Kurt, piegando la testa si lato e studiando la donna davanti a lui. Ora sembrava diversa, non  triste, non serena. Solo diversa. Con ricordi che pesavano come macigni, con un amore ancora da smaltire. Eppure non viveva tutto quello come felicità negata, perché effettivamente lei era stata chiara: il caso aveva negato la felicità solo ad Avery, costringendolo ad una vita che non voleva, a rinnegare il suo essere e il suo cuore.
“Kurt, ora ti dico una cosa e devi promettermi di tenerla a mente: non negarti mai al tuo cuore. Lui sa cosa devi fare. Spegni il cervello, fidati dell’istinto e se ti dice di uscire fuori a ballare a piedi nudi anche se diluvia, tu fallo”.
Kurt sorrise sereno.
Quella sera poco gli importò quando tornò in camera e trovò Sebastian quasi mezzo nudo sul letto che aveva lasciato le lenzuola umide dalla doccia. Non gli importò di spogliarsi e si stese vestito sul copriletto. Era solo leggero.
 
 
N.d.a Sono di nuovo qui. Per me e per voi. Dunque, ne approfitto per fare alcune precisazioni che nello scorso capitolo non ho fatto: Kurt e Sebastian qui hanno la stessa età; Kurt non è mai andato alla scuola pubblica, Kurt e Sebastian si detestano. Olè.
Eh, niente. Qui le citazioni si sprecano, il riferimento ad Hansel e Gretel è palese.
Alla prossima,
N.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** III Illinois ***


N.d.a L'ultimo aggiornamento di questa storia risale al 6 settembre 2013. Sono passati quattro mesi dall'ultimo aggiornamento. So che nel frattempo ho messo l'annuncio sul mio profilo avvisando che mi sarei presa una pausa, ho ripreso a pubblicare dopo un po', ma sapete, è stata proprio questa storia a farmi dannare. Ogni volta che provavo a scrivere il nuovo capitolo c'era sempre qualcosa che non mi convinceva. Che fosse la forma o l'idea generale, continuavo a cestinare tutto. Però mi mancava scrivere questa long, perché l'idea in sé mi piace moltissimo. Mi sta aiutando a capire cosa mi piace e cosa non mi piace quando devo scrivere. Ora, spero di aver detto tutto e mi auguro di non far passare nuovamente così tanto tempo per la pubblicazione del capitolo successivo.

Bacini rock'n roll.

 

N.

 

 

 

 

III

Illinois

 

 

“E comunque, a Thompsonville non ci fermiamo” aveva sentenziato Sebastian mentre percorrevano la I-70 W.

Kurt, in quel momento intento a leggere Vogue, non aveva dato peso a quelle parole. Insomma, da quando avevano lasciato l'Indiana non avevano fatto alcuna sosta, era umanamente impossibile che l'altro non volesse riposarsi.

Kurt continuava a pensare che in tutta quella situazione – il viaggio, loro due che dividevano la stessa macchina, lo stesso letto, la stessa aria - ci fosse qualcosa di sbagliato.

Sebastian era un tipo strano. Era taciturno e a Kurt piaceva parlare, le uniche volte in cui apriva bocca, lo faceva per insultarlo. Aveva una propensione a rubargli le coperte, lo aveva scoperto a sue spese, nella notte passata in Indiana.

Sebastian era tutto ciò che Kurt non cercava in un ragazzo. Ok, Kurt non stava cercando un ragazzo. Lui stava bene nel suo mondo fatto di maratone di soap opera e reality show, marshmallow e patatine. Aveva lasciato alla Dalton il suo cuscino-fidanzato, non poteva certo permettersi che Sebastian lo scoprisse, lo avrebbe preso in giro a vita, come minimo.

Aveva incasinato completamente la sua vita per quello stupido viaggio. Dio, avrebbe strozzato Hunter appena se lo fosse trovato davanti.

“Sebastian, davvero. Io devo andare in bagno!” protestò Kurt.

“Puoi farla benissimo in aperta campagna”.

“Non lo farò mai”.

“Per Dio, Kurt sei un uomo, hai qualcosa che molte donne invidierebbero in casi come questi e tu vuoi un bagno?”

Un attimo, gli stava davvero proponendo di farla così, col sedere all'aria, col rischio che qualcuno potesse vederlo... No.

Quel ragazzo lo stava portando all'esasperazione.

“Al prossimo autogrill ci fermiamo” sentenziò Kurt.

“No”.

Hummel strabuzzò gli occhi, incredulo. Continuava a battere freneticamente il piede contro il tappetino dell'auto, facendo tremare le cosce e stringendo in maniera convulsa le mani fra queste.

Sebastian non sembrava per nulla indispettito, da quei gesti nervosi. Invece, Kurt voleva che lo fosse, voleva esasperarlo e costringerlo a fermarsi nel primo posto dotato di un bagno, fosse anche uno di quelli chimici. Ok, non esageriamo. Magari un bagno alla turca, ecco. Quello sarebbe stato il suo limite. Di tanto in tanto, Kurt buttava un occhio, sperando che Sebastian non si accorgesse che lo stava studiando per capire quanto mancasse a fargli perdere la pazienza.

Ottenendo l'effetto contrario, Kurt continuava a sentire il bisogno impellente di dover andare in bagno, ormai era arrivato al limite della sopportazione. Sospirò esasperato, finché ad un tratto non sentì una mano sulla coscia, che stringeva, anche se non troppo forte. Beh, se lui teneva le sue in mezzo alle gambe...

“Sebastian!” abbaiò Kurt.

Il ragazzo, chiamato in causa, alzò gli occhi al cielo.

“Sei snervante, sappilo!”.

“Leva subito la mano dalla mia coscia. E per la cronaca, è colpa tua: io devo andare in bagno, ma tu non ti vuoi fermare”.

“Io non ho detto che non mi voglio fermare” precisò Smythe, “ti ho detto che potresti farla ovunque vorresti, ma tu sei troppo femmina da non capire come si usa l'idrante che hai fra le gambe. Ferma questo cavolo di tremolio”.

Sebastian era insopportabile, voleva sempre avere l'ultima parola. Kurt non riusciva a capacitarsi di come, al momento, fosse riuscito ad imporsi di non mettergli le mani al collo. E stringere più forte che avrebbe potuto. Era snervante discutere con lui, soprattutto perché si mettevano a litigare per le cose più futili. Questo, aveva supposto Kurt, dipendeva dal fatto che fosse abituato ad avere sempre la meglio col suo interlocutore. Ma con lui era tutta un'altra storia: non avrebbe mai dato ragione a Sebastian, nemmeno fra un trilione di anni.

“Io so benissimo cosa c'è fra le mie gambe” sentenziò serio Kurt, alzando il mento e evitando accuratamente lo sguardo di Sebastian. Se avesse fatto diversamente sarebbe arrossito, anzi no, sarebbe diventato di tutti i colori dell'arcobaleno e Sebastian lo avrebbe preso in giro a vita. Forse anche di più, magari stava escogitando già il modo di prenderlo in giro anche oltre. Era di Sebastian Smythe che stava parlando: lui faceva le pentole ( e forse anche i coperchi ) insieme al diavolo.

“Ci fermiamo” disse Sebastian, frenando il flusso dei pensieri di Kurt “ ma solo perché ho bisogno di un caffè”.

“Come vuoi” soffiò Kurt, mentre slacciava la cintura di sicurezza ( che si era rivelata parecchio utile visto come guidava Sebastian) e si defilava alla disperata ricerca di un bagno.

 

 

Quando Kurt tornò dal bagno, trovò Sebastian seduto ad un tavolo che teneva la guancia premuta contro il palmo della mano sinistra, mentre con l'altra girava pigramente la tazza di caffè lungo. Teneva gli occhi leggermente socchiusi, con le ciglia lunghe , un po' più chiare sule punte, che facevano una piccola ombra appena sotto gli occhi. Anche i capelli sembravano più chiari, con il sole, anche se un po' ingrigito dalle nuvole cariche di pioggia, che arrivava perpendicolare e illuminava tutto intorno. Era strano vederlo così tranquillo, per lui che era abituato a vederlo sempre con una scintilla di malizia in quegli inquieti occhi verdi. Aveva un'aria meno severa senza il blazer degli Usignoli, sostituito da un maglione grigio antracite che lo avvolgeva dolcemente.

Kurt abbassò gli occhi sul piano del tavolo e vide che davanti alla sedia che avrebbe dovuto occupare vi era già una tazza di caffè nero fumante.

Strano, Sebastian non sapeva come lui prendesse il caffè. A dire il vero, non sapevano molto l'uno dell'altro. Quando prese la tazza in mano, lasciò che il calore del liquido gli riscaldasse le mani gelate. Sebastian davanti a lui continuava a far girare a vuoto il cucchiaino dentro la tazza.

Kurt si portò la tazza alle labbra, soffiando piano per raffreddarlo, il tanto di non bruciarsi la lingua.

Assaggiò il caffè...

“Che schifo!” Iniziò a sputacchiare il caffè, in maniera molto poco aggraziata, cosa che portò l'attenzione di Sebastian su di lui.

“Che diamine stai facendo?” Alzò il sopracciglio, squadrandolo – quasi schifandolo - , mentre Kurt rischiava di soffocare. Si alzò in direzione del bancone e quando tornò aveva con sé una zuccheriera, di quella tonde e panciute sui fianchi, ma col fondo squadrato.

“Tu non sai affatto come io prenda il caffè”.

Sebastian storse le labbra.

“Perché dovrebbe interessarmi?Io lo prendo amaro, quindi alla fine stava a te vedere quando zucchero metterci”.

Kurt indicò la tazza, spalancando gli occhi.

“Mi hai ordinato la colazione alla cieca, tirando a indovinare e nemmeno a me interessa sapere come prendi il caffè. Avresti almeno potuto chiedere!”

“Avrei dovuto seguirti in bagno”.

Colpito. Kurt ammutolì e riprese il suo posto, mentre apriva la zuccheriera e infilava il cucchiaino di plastica verde fino in fondo, portandolo poi strapieno di zucchero sul bordo della tazza.

Uno.

Il cucchiaino venne tuffato nuovamente dentro la zuccheriera.

Due.

Niente di strano, a molti piaceva dolce.

Tre.

Tanto dolce.

Quattro.

Da diabete.

Cinque.

Sebastian sentiva il colesterolo di Kurt gridare vendetta.

Quando quest'ultimo stava per infilare di nuovo il cucchiaino, Sebastian ebbe la prontezza di riflessi di togliergli da sotto il naso il mal capitato contenitore.

“Ehi!” protestò Kurt “Non avevo ancora finito”.

“Io dico di sì”.

Kurt allungò la mano per recuperare il mal tolto, guardando in cagnesco Sebastian. Era guerra aperta.

“E' zucchero di canna” ringhiò Kurt.

“Ti fa male troppo zucchero, ad ogni modo” disse atono Sebastian.

Kurt mise un piccolo broncio, mollando la presa. Non poteva fare una scenata in un luogo pubblico, non era da lui. Lui non era come Hunter con lo Splenda.

“A titolo di cronaca, lo zucchero di canna è dietetico”. Dopo di che nascose metà viso dietro la tazza. Magari se si concentrava su quello avrebbe evitato di fare qualcosa di sconsiderato. Come strozzare Sebastian ( pernsiero che, a quanto pareva, stava diventando ricorrente). Quando riabbassò la tazza, tenne gli occhi bassi, cercando di non pensare alla lingua che ancora pizzicava a causa del caffè bollente.

“Mi prendi in giro?” ringhiò piano Sebastian. Le labbra erano contratte in un linea sottile e aveva una piccola ruga corrucciava le sopracciglia. Sembrava arrabbiato, o infastidito. Kurt non riusciva a capirne il motivo. Spalancò gli occhi, cercando di capire cosa potesse aver fatto stavolta.

“Fai quella cosa con la lingua” Sebastian si indicò il contorno della labbra con l'indice “Senti, per me sei un novellino” Kurt gli fece una linguaccia “ Ma qualcuno ha gradito, lasciati dire che probabilmente ha qualche problema, ma ehi, de gustibus”.

Kurt piegò la testa da una parte.

“Eh?”

“Un tipo deve aver gradito il tuo giochino con la lingua”.

Di sicuro lo stava prendendo per il culo, lui non faceva mai nulla di anche lontanamente sexy, o che potesse attirare l'attenzione di qualcuno. Oltretutto, se si parlava del momento in cui beveva il caffè, gli piaceva solo la sensazione dello zucchero sulle labbra. Oh.

“Non lo faccio apposta” disse, abbassando gli occhi.

“ A me non fa nessun effetto”, Sebastian alzò le braccia, come per tirarsene fuori ( bugiardo, pessimo bugiardo, più avanti lo avrebbe capito) “ ma c'è chi apprezza, a quanto pare”.

Kurt si morsicò piano un angolo del labbro inferiore, sentendo le guance imporporarsi leggermente.

“Chi è?” Tenne gli occhi bassi mentre lo chiedeva. Non era abituato a sentirsi dire che qualcuno potesse in qualche modo essere interessato a lui. Oltre allo stare sul palcoscenico, non aveva mai davvero pensato a come sarebbe stato ricevere attenzioni – quel tipo di attenzioni che richiedevano impegno, che ti facevano sospirare e sentire apprezzato – da qualcuno che si prendeva cura solo di lui. Era qualcosa che comprendeva avere un coinvolgimento di qualunque tipo con l'altra persona, e lui era troppo sognatore, romantico e indaffarato a pensare a come stare su un palcoscenico, piuttosto che cercare qualcuno con cui impegnarsi. E al momento, l'unico con cui aveva intenzione di impegnarsi, si trovava a chilometri di distanza.

“Se te lo dico non devi girarti” disse Sebastian “ abbi almeno un po' di amor proprio”.

Kurt si mise una mano sul cuore – tenendo ben nascosta quella con le dita incrociate, era troppo curioso di vedere chi potesse essere il ragazzo in questione – e guardò Sebastian.

“Giuro”.

“E' vicino al bancone. Non è neanche malaccio come tipo, alto, capelli scuri, ben piazzato. Un po' un Clark Kent dei poveri, con quegli occhialini da nerd”.

Kurt era davvero troppo curioso – e non era nella sua indole non soddisfare certe curiosità – e si voltò di scatto. Quello che vide gli piacque, eccome. Anche Sebsatian poté intuire quanto gli piacesse, forse a causa della bocca che formava un piccola “o” e non accennava a volersi chiudere.

“Dannazione, Kurt! Hai giurato!”

Hummel mosse la mano, senza nemmeno seguire i movimenti che faceva, cercava solo di far zittire Sebastian.

Quel ragazzo era davvero bello, aveva fascino. Aveva i capelli scuri come la pece, la carnagione era olivastra, la fronte non eccessivamente ampia, teneva lo sguardo basso su un libricino, mentre con le mani grandi girava con cura le pagine di un libro che Kurt dovette immaginare fosse di cucina, da quella distanza, anche se ne aveva poggiato un angolo contro uno spigolo della macchina del caffè, non riusciva a vedere bene, distingueva a malapena quello che doveva essere un vassoio con sopra una pietanza; il dubbio venne dissipato quando Kurt notò la casacca da chef con vari piccoli stemmi, sotto il cardigan nero. E doveva avere proprio un bel sorriso, anzi no, aveva un bel sorriso perché in quel momento lo stava guardando.

“Cavolo!” si girò di nuovo verso Sebastian.

“Beccato” lo prese in giro l'altro, ghignando come per dire “Te l'avevo detto”.

Ad un certo punto, però la sua espressione cambiò e fece qualcosa che stupì Kurt. Si alzò e scivolò accanto a lui, mettendo un braccio dietro la sua schiena. Quando il ragazzo che era seduto al bancone, si alzò Kurt capì le intenzioni di Sebastian.

“Mi spieghi che problemi hai?” sussurrò a denti stretti, sorridendo in direzione dello chef, mentre Sebastian lo guarda cupo.

“Guarda che se hai intenzione di farti rivoltare come un calzino, sei ancora in tempo”.

Kurt arricciò le labbra.

“Io non voglio farmi rivoltare come un calzino, sai non tutti gli uomini sono fissati come qualcuno” si premurò di calcare sull'ultima parola “ di mia conoscenza”.

“Stai scherzando?” Sebastian lo guardò stupito “Quello ce lo aveva scritto in fronte che se avesse avuto campo libero ci avrebbe volentieri provato con te”.

Kurt ci pensò un attimo.

“Ehi, ma lui può avere campo libero con me, perché io sono libero!”

“Ma lui non lo sa, crede che tu stia con me”.

“Ma non è vero, dannazione, Sebastian che cosa c'è di sbagliato in te?”

Sebastian si avvicinò all'orecchio di Kurt, stando bene attento che lo chef lo notasse.

“Sappi che non ti permetterò di fare sesso sul sedile posteriore della mia macchina, siamo intesi?”

Kurt scese con la mano sulla coscia di Sebastian, mentre aveva sul viso uno sguardo innocente.

“Non ti azzardare mai più a decidere per me, chiaro?” E accompagnò le parole pizzicando la coscia di Sebastian che sussultò per il dolore.

“Credo che tutto questo stia diventando imbarazzante”. Kurt si fece spazio fra Sebastian e il tavolo, dirigendosi verso il bancone. Lo chef era ancora alla cassa e Kurt riuscì a sorridergli, come a cercare di fargli capire che si stava scusando per la pessima figura di prima. Quando si avvicinò alla cassa per pagare, scoprì che il loro conto era già stato saldato.

Kurt aveva stentato a crederci. Quando aveva voltato lo sguardo, aveva visto allontanarsi l'uomo e lui si sentiva in colpa a lasciarlo andare, senza averlo ringraziato. Era stato carino da parte sua, nonostante lui lo avesse guardato con lo sguardo da pesce lesso e Sebastian gli avesse augurato di farsi male al primo gradino che avrebbe incontrato. Non si curò di avvisare Sebastian e si fiondò fuori dal locale alla sua ricerca.

Quando lo trovò, stava per salire in macchina e cercò di attirare la sua attenzione.

“Scusa” Gli posò la mano sulla spalla. L'uomo si voltò e gli sorrise. Aveva un sorriso bellissimo, con i denti bianchissimi che risaltavano ancora di più grazie alla carnagione scura con due piccole fossette ai lati delle labbra. Era davvero adorabile.

“Volevo ringraziarti” disse Kurt “per la colazione”.

“Solitamente non offro la colazione agli sconosciuti, a meno che non siamo abbastanza carini”.

Quindi Sebastian aveva ragione, lo chef ci stava effettivamente provando con lui.

“Sono Kurt” Gli porse la mano e quando l'altro prese la sua rimase piacevolmente stupito, aveva mani calde e dalla presa salda, avevano un che di rassicurante.

“ Manuel”.

Si vedeva che era molto più grande di Kurt, forse più di venticinque anni, ma poco gli importava, non voleva darla vinta a Sebastian, non stavano facendo nulla di male, ma intrattenevano una conversazione come due persone civili senza saltarsi addosso.

Quando Kurt stava per aprire bocca ( non voleva che Manuel andasse via in fretta), qualcuno che avrebbe voluto sparisse dalla faccia della Terra, comparve al suo fianco.

“Kurt, dobbiamo andare”. Sebastian squadrava Manuel, in cagnesco. Lo odiava a pelle, si capiva.

Per fargli intendere che non era aria, Smythe portò un braccio attorno al fianco di Kurt, avvicinandolo a sé, senza guardarlo negli occhi, ma stando bene attento a non abbassare lo sguardo dallo chef.

“Ehm” tentò Kurt “ Sebastian, questo è Manuel, ci ha offerto la colazione”.

“Bene, grazie, ciao”. Che nel linguaggio di Sebastian avrebbe potuto benissimo poter dire “ Datti fuoco”, “Stai attento a non scivolare sulla cacca di cane”, “Spero che un fulmine ti colpisca in pieno”.

“Oh, scusa” tentò Manuel “non...”

“Io e il mio ragazzo” Kurt sperò con tutto il cuore che Sebastian non stesse davvero inventando la balla colossale che stessero insieme, perché se così fosse stato gliela avrebbe fatta pagare cara “ dobbiamo andare”.

“Mh, buon viaggio, allora”. Manuel sorrise, anche se si percepiva quanto la notizia di Kurt impegnato lo avesse fatto rimanere male.

“Noi...” iniziò Hummel, cercando di trattenere ancora qualche minuto Sebastian, per poter chiarire con Manuel.

“Dobbiamo andare” concluse per lui Sebastian “ l'ho già detto io. Ora, muoviamoci”.

Kurt continuava a tenere lo sguardo su Manuel, mentre veniva trascinato via. Quando furono abbastanza lontani, Kurt strattonò la mano di Sebastian e la scacciò in malo modo lontana dal suo fianco.

“Mi spieghi qual'è il tuo problema?” Kurt era furioso, quando salì in macchina chiuse la portiera sbattendola più forte che poteva. “Cosa te ne frega se un ragazzo ci prova con me?”

Sebastian non lo guardava negli occhi, mentre metteva in moto l'auto e si allontanava dai parcheggi dell'autogrill.

“Potrei farti la stessa domanda. Mi spieghi come ti è venuto in mente di seguire uno sconosciuto in un parcheggio?”

“Disse quello che si porta gli sconosciuti nei bagni dello Scandal”.

Kurt incrociò le braccia al petto, facendo capire che con quella frase non aveva più niente da dire.

In quel momento, per Sebastian fu strano. In teoria, Kurt poteva fare quello che voleva, ma lui mal sopportava l'idea che uno come Kurt potesse avere a che fare con un mondo simile a quello che frequentava lui. Quando aveva notato come Manuel – cazzo, ne ricordava persino il nome – guardava Kurt, si era sentito davvero infastidito da quella situazione. Sino ad arrabbiarsi. Quelli come Manuel – e quindi anche come lui – avevano poco da spartire con quelli come Kurt. C'era un abisso fra loro.

Sebastian ricordava bene come fosse essere come Hummel, perché anche lui un tempo – non troppo lontano, ma si sa che la gente cambia in fretta – era così. Quando ancora esisteva qualcuno per cui valesse credere nel buono delle persone, quando riusciva a vedere il bianco, se doveva scegliere fra bianco e nero, quando anche lui sapeva sorridere e non ghignare.

C'era stato un periodo in cui anche Sebastian era stato innamorato, ma a vederlo adesso, a consumare amplessi nei bagni pubblici, a cercare un quarto d'ora di felicità, sembrava passata non una vita, ma due. Quella del vecchio Sebastian e quella del nuovo. C'era stato un momento in cui Sebastian aveva visto il cambiamento palesarsi allo specchio, quando si guardava e vedeva che il suo viso cambiava e andava a spegnersi. Ma adesso non faceva più male. Doveva essere per forza così.

Buttò uno sguardo di sfuggita verso Kurt e lo trovò addormentato.

Chissà se anche lui riusciva ad essere così sereno, almeno mentre dormiva, oppure se i suoi pensieri lo seguissero sino al mondo dei sogni.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2131594