Un amore per Megan

di Addison88
(/viewuser.php?uid=88306)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** il passato ritorna ***
Capitolo 2: *** non molla ***
Capitolo 3: *** sarà gelosia o rimpianti? ***
Capitolo 4: *** save your kisses for me ***
Capitolo 5: *** un passo avanti e 3000 indietro ***
Capitolo 6: *** Dall'altro lato...Jack dice la sua ***
Capitolo 7: *** il gioco inizia a farsi complicato ***
Capitolo 8: *** uno spiraglio di luce in una notte buia ***
Capitolo 9: *** imprevisti ***
Capitolo 10: *** cose inaspettate ***
Capitolo 11: *** un pranzo quel che ci voleva ***
Capitolo 12: *** il dopo pranzo ***



Capitolo 1
*** il passato ritorna ***


 Erano passati anni dal mio incidente e piano piano iniziavo a rimettermi in piedi, prima il lavoro, dove impiegavo tutte le mie energie poiché  mia figlia non voleva avere a che fare con me e tanto meno mio marito, anzi ex-marito. Avevo perso il mio lavoro da neurochirurgo cosi mi buttai sugli studi e finalmente trovai il lavoro da medico legale. La medicina e i suoi studi erano la cosa che mi faceva distrarre dalla mia vita vuota e monotona.
Mi dedicavo anima e corpo al nuovo lavoro, litigavo molto con i miei colleghi e soprattutto con il mio capo, Kate. Non andavamo per niente d’accordo, io infrangevo quasi tutte le regole e lei cercava di farmele rispettare ma senza buon esito.
 
Un giorno mentre ero a lavoro mi era arrivato un invito per una riunione della classe del liceo, avevo deciso di declinare l’invito. Non avevo voglia di rivedere quelle persone e tanto meno il mio primo amore.  Mia madre mi aveva sempre detto che il primo amore non si dimenticava mai e questo era vero, a volte mi chiedevo come sarebbe andata se non sarei scappata da lui, se gli avessi creduto quando implorava il mio perdono. Guardavo quell’invito e picchiettavo con il piede sotto la scrivania. Rimisi l’invito nella busta e lo misi nel primo cassetto della scrivania. La giornata al lavoro passò velocemente quando cercavo una penna nei cassetti rividi quell’invito della festa, decisi di andare, mi andai a fare una doccia e andai con un leggero ritardo. Mi sentivo fuori luogo in quella sala quindi andai dritta al bancone ad ordinare qualcosa da bere forte. Ero seduta lì al bancone a guardare il bicchiere di tequila prima di berlo in un colpo.
“Oh oh qualcuno affoga i suoi problemi nell’alcool?” domandò una voce dietro di me.
Mi voltai e vidi un uomo, con un pizzetto e capelli non troppo corti e con gli occhi celesti che mi guardavano sorridenti.
“No, non affogo niente.” Risposi sorridendo.
“Posso?” chiese sempre con il suo sorriso indicando lo sgabello vicino a me.
Mi limitai ad annuire, quegli occhi mi ricordavano lui semplicemente perché era lui, Jack, il mio primo amore.
Ordinò anche lui da bere e c’era del silenzio tra di noi, mi pentii di essere andata.
“Se non ricordo male… a te queste cose non piacevano” mi guardò sorridendo, ancora ricordava cosa mi piacesse e cosa no.
“Neanche io sarei voluto venire, ma volevo rivederti e sono felice di essere venuto” aggiunse.
Guardai il bicchiere ormai vuoto e poi guardai lui accennando un sorriso.
“Io invece sono venuta per l’alcool gratis”
Rise guardandomi, come se non mi credesse. Mi limitai a sorridere e non gli dissi nient’altro.
Ordinò un altro giro anche per me e mi guardava ancora sorridendo.
“Sai… non pensavo di trovarti qui e cosi bella! Al liceo eri anche bella ma ora sei mozzafiato” mi sorrise malizioso.
“Jack… grazie per il complimento ma sono impegnata” mentii prendendo il bicchiere pieno.
“io, scusa dovevo saperlo… Dio che idiota che sono stato. Perdonami Megan, io non volevo offenderti.” Mi guardò spegnendo il suo sorriso, bevve e si alzò, lo guardai e si allontanò mortificato.
Ordinai un altro giro e dopo aver bevuto di colpo mi alzai prendendo la borsa e me ne andai, avevo già fatto troppi guai.
 
Camminai verso casa, ero uscita  a piedi, con le mani nelle tasche della giacchetta camminavo a testa bassa. Arrivai a casa e mi riempii un bicchiere di vino, seduta al tavolo giocherellai con il bicchiere.
“Stupida!” mi dissi.
 
Il giorno dopo come ogni giorno andai a lavoro con la mia solita acidità e voglia di infrangere le regole. Kate mi cambiò la squadra di detective mi avvisò che sulla scena del crimine non avrei trovato Bud e Sam, borbottando uscii dal dipartimento e me ne andai alla scena del crimine dove i detective ancora non arrivavano, mi misi ad esaminare il corpo e le cose vicine.
“Salve, sono Jack il detective assegnato a questo caso.” Disse una voce dietro di me, speravo fosse un incubo ma quando mi girai era proprio lui.
“Medico legale” mi limitai a dire, mi sorrise come se fosse contento di rivedermi., ci fissammo per qualche istante.
“Tu sei un medico legale? Pensavo fossi un neurochirurgo” disse stupito.
“Ehm… lo ero ma non mi accontento mai!” esclamai con aria piena di me stessa.
Gli parlai del caso, come se fosse la prima volta che lo vedevo, poi Kate mi aveva parlato di due detective e ne vedevo solo uno, Jack che mi sorrideva guardandomi.
“Jack il caffè per farti passare la sbronza di ieri sera!” esclamò un uomo avvicinandosi a Jack porgendogli un bicchiere con del caffè dentro.
“wow… fai già furore?” domandò guardandomi alzando il sopracciglio.
Lo guardò serio come se volesse difendermi perché io ero un oggetto prezioso.
“Lei è il medico legale Megan Hunt!” pronunciò il mio nome sensualmente “… mi stavo informando sul caso!” aggiunse quasi ringhiando.
“Tra due ore avrete un resoconto!” mi alzai facendo segno alla mia collaboratrice di prendere il corpo, me ne andai verso la macchina togliendo i guanti per poi buttarli al secchio.
 
Ero al dipartimento a fare l’autopsia con l’aiuto di Ethan, patologo forense con i capelli ricci e gli occhiali, lo prendevo sempre in giro dicendo che aveva un nido di uccelli in testa. Dopo un paio d’ore ero nel mio ufficio a scrivere il rapporto che mandai alla centrale con un fax. Seduta alla mia scrivania pensavo a lui, con quegli occhi celesti cosi penetranti come l’oceano, il suo sorriso dolce e i suoi capelli lucenti.
“Preferisci il fax che a venire di persona?” sentii una voce che proveniva dalla porta, alzai lo sguardo ed era lui. Lo guardai e poi guardai il foglio davanti a me.
“Ho da fare, non posso fare avanti e dietro!” risposi scrivendo sul block notes.
Mi sentivo osservata ma non alzai lo sguardo per nessun motivo.
“Possiamo andare a bere un caffè insieme?” Domandò avvicinandosi.
“Jack, sto lavorando!” lo risposi guardando delle foto di un caso.
Se ne andò senza dire niente, guardai quella porta ormai vuota e sbuffai, mi buttai a capofitto nel lavoro. Mi serviva Kate cosi andai nel suo ufficio e Jack era lì e non so chi mangiasse l’altro con gli occhi, tornai la ragazzina del liceo che si innervosiva se qualcuna guardava cosi Jack. Stavo per entrare ma lei si avvicinò a Jack mettendogli una mano sulla spalla, lui le sorrise e indicò la porta cosi corsi nel mio ufficio.
Dopo aver chiuso i casi che avevo lasciato aperto mi andai a cambiare nello spogliatoio e tornai in ufficio a prendere le mie cose per poi andare via.
Era cosi che rincontrai il mio primo amore, dopo tutti questi anni ero ancora invidiosa se qualcuna lo guardava più del dovuto.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** non molla ***


Nuovo giorno nuovo caso, speravo di non incontrare Jack e invece era già lì sulla scena del crimine ad interrogare un ragazzo, lo vidi chiudere il block notes e dal sorriso che sfoggiò notai che mi aveva vista ma dietro gli occhiali da sole potevo far finta di non vederlo e andai dritta dal corpo. “Buongiorno dottoressa, sto andando dalla famiglia vuole venire con me?” domandò avvicinandosi sempre con quel sorriso. “Si!” risposi istintivamente. “Dottoressa Hunt…” disse quelle parole con malizia, “cosa può dirmi del caso?” aggiunse guardandomi con la coda dell’occhio. Lo guardai sempre con la mia aria piena di me e dopo qualche istante esordì: “Beh… nulla di certo ancora ma andiamo a interrogare la famiglia voglio partire da loro” Salii in macchina con lui ma gli rispondevo solo se mi parlasse del caso altre cose niente, tanto le donne non gli mancavano. Tra di noi c’era del silenzio poiché del caso non avevamo tanto da dire, guardavo fuori dal finestrino quando lui ruppe quel silenzio esordendo: “Non sei davvero impegnata, perché lo hai detto?” disse quelle parole serio come se io lo avessi in qualche modo ferito, “sono un detective pensi che non lo sarei venuto a sapere? O che io non avessi indagato sulla ragazza che mi piaceva e che ancora non dimentico?” aggiunse guardandomi con la coda dell’occhio. “Io…lascia stare ok?” gli risposi acida, stava oltrepassando la linea di confine dal salvaguardarmi. Tornò ad esserci silenzio e lui mi lanciava delle occhiate ma io non cambiavo posizione, parlavo solo del caso. Non capivo cosa volesse dire che ancora non mi dimenticava, tra noi non è che ci era mai stato una cosa oltre qualche bacetto, cosa volesse ancora da me? Era la domanda che in quel momento riempiva la mia testa. “Megan… non sono uno che molla, ho sbagliato anche a mollare tanto tempo fa ma non ora, non mollo!” esclamò parcheggiando. “Il caso ha la priorità” dissi scendendo dall’auto. Non avevo più vita facile con lui che non mollasse la presa con me, dovevo essere più credibile, avere un polso più fermo. Andammo a parlare con la famiglia, avevo pochi elementi per intervenire e lasciai fare le domande a Jack, anche se non ero solita a stare zitta durante gli interrogatori. Quando tornammo in macchina lui tornò in carica a chiedermi per un caffè insieme, non lo risposi e passò a chiedere per un pranzo insieme, lui continuava a chiedere e io continuavo a declinare. Era cosi insistente ma perché diavolo non capiva? Continuava con i suoi inviti fin quando io non lo risposi male. “No, non voglio venire a pranzo con te, non voglio uscire con te e basta! Abbiamo solo un rapporto di lavoro e che rimanga tale altrimenti cambio squadra, finiscila non uscirò con te.” Scesi dalla macchina ferma al semaforo e proseguii a piedi, continuai per la mia strada e lui mi raggiunse fermandomi per un braccio. “Perché?” si limitò a domandarmi senza lasciare il mio braccio. “Non voglio uscire con te.” Risposi dando per ovvia la cosa e sperando anche che capisse. Mi lasciò il braccio e mi guardava con quei suoi occhioni profondi che cercavano di leggere cosa pensassi. Mi girai e tornai a camminare per la mia strada. “Sappi che io non mollo!” esclamò ad alta voce in modo che io sentissi quelle sue parole. Maledizione, ma perché andai a quella riunione e specialmente perché ora fa parte della mia squadra? Dovevo inventare qualcosa per farlo smettere. Al dipartimento come ogni volta mi buttai a capofitto nel mio lavoro e il capo mi richiamava spesso dicendo di crearmi una vita anche fuori da lì, non capiva che ero rimasta scottata tante volte e che per me era arrivato il momento di smettere di soffrire, avevo perso già il primo lavoro e la famiglia non volevo perdere anche il secondo lavoro. “Megan va a casa stiamo andando via tutti è tardi.” Disse con voce premurosa e con tono basso come parlavo io a mia figlia quando era piccola. “Finisco e vado” le risposi senza alzare lo sguardo dalla vittima a cui stavo sottoponendo all’autopsia. Ormai erano andati via tutti lo sapevo dato le luci spente in giro tranne nella sala autoptica, dov’ero in quel momento e nel mio ufficio. Ero abituata a stare sola in quel luogo. “Sono tutti a casa e tu… ancora a lavoro?!” domandò una voce all’entrata della sala autoptica. Mi voltai puntando il bisturi come se volessi proteggermi e vidi Jack lì, sempre con il suo sorriso e quegli occhi di un celeste che mi facevano perdere. “Ma tu non ti stanchi mai?!” domandai tornando al mio lavoro. “E tu?” domandò entrando con dei fiori. Lo guardai e lo assalii. “Ma sei stupido? Esci immediatamente dalla mia sala con quei fiori in mano” mi guardò e fece dei passi indietro per uscire dalla sala. “Che dici di venire a cena?” chiese sempre calmo e tranquillo. “Che dici di lasciarmi in pace?” “No, te l’ho detto che non mollo” “Se esco con te a cena…poi mi lasci in santa pace?” “Dipende da come va la cena.” Rispose sorridendo. Lo guardai e quella sua espressione diceva molto, non mi avrebbe lasciato comunque in pace. “E poi va a finire che la cena piace anche a te e sarai tu a non lasciarmi andare” aggiunse con il suo sorriso e con aria presuntuosa. “Ne dubito… ci vediamo ora lasciami lavorare” Lo vidi girarsi e andarsene, sospirai e girai intorno alla vittima mettendomi di spalle all’entrata, all’improvviso sentii dei passi dietro di me e strinsi di più il bisturi che avevo in mano, pensando che fosse il momento meno adatto per la parestesia, speravo che non si presentasse proprio in quel momento. Sentii sfiorare alla vita, strinsi ancora quel bisturi, lo sfiorare diventò una presa salda, deglutii lentamente, la presa diventò dolce e sicura. “No ti fa male se ti lasceresti andare un po’!” disse sussurrandomi all’orecchio. Jack, sempre lui, mi voltai di scatto tirandogli uno schiaffo sonoro. “Sei cretino… mi hai fatto morire di paura! Fingi di andartene per poi venire qui di soppiatto e rompere la mia tranquillità?!” gli urlai contro. Mi guardava sbalordito portandosi una mano sulla guancia mentre l’altra l’aveva ancora sulla mia vita, non credeva che qualche istante prima gli avevo tirato una sberla. "A domani dottoressa Hunt!" esclamò andando via con freddezza.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** sarà gelosia o rimpianti? ***


I giorni passavano e io mi dedicavo sempre più al lavoro, era ora di pranzo ed ero con Kate nel suo ufficio a parlare di alcune cose burocratiche. “Buongiorno, sei pronta per il pranzo Kate?” esordì una voce da vicino alla porta mi girai curiosa per vedere chi fosse la nuova fiamma del mio capo, rimasi stupita quando vidi Jack che sorrideva a Kate, era colui che non mollava che si era tuffato sul mio capo di bella presenza, sexy. Feci una risata con un pizzico di nervoso quando vidi Lacey dietro Jack che mi cercava. “Amore?!” dissi sorridendo piena di gioia con gli occhi che mi luccicavano, senza dir niente a Kate mi fiondai fuori dal suo ufficio. “Dottoressa Hunt!” esclamò Jack con un pizzico di rammarico e freddezza nella sua voce, che si aspettava che chiamassi lui: “amore”. Nei suoi sogni forse. Misi un braccio intorno alle spalle di Lacey e andammo nel mio ufficio e ci rimanemmo un po a chiacchierare prima di andare a pranzo insieme. Andammo in un ristorante molto carino dove si mangiava anche molto bene, mia figlia riusciva a farmi sempre sorridere quindi per tutto il pranzo sorridevo e quando arrivò il momento di salutarci mi rattristai un po. Tornai al lavoro lavorando a delle cose con Curtis ed Ethan. “Ma non eri andata a pranzare con tua figlia?” domandò Kate avvicinandosi e non era sola. Non le risposi, non le davo spiegazioni davanti a Jack, come disse lui era un detective quindi non serviva che io parlassi. “Curtis sta cercando di capire a che giorno sono le mosche per capire da quanto è deceduta la nostra vittima.” Cambiai completamente discorso. “Oh, è andato cosi male?” mi chiese premurosa. La guardai inarcando un sopracciglio per poi scuotere leggermente la testa e tornai a lavoro con Curtis ed Ethan facendo finta che loro non erano la. Dopo il pranzo non ci voleva il dessert? Cosa ci facevano allora lì a distrarmi dal lavoro? “Allora Curtis appena scopri qualcosa avvisami, Ethan tu vai a sollecitare il laboratorio per il tossicologico e…” mi interruppi guardando i due, “… e voi andate a mangiare il dessert!” aggiunsi sorridendo da strafottente e me ne andai nella sala autoptica a finire il mio lavoro. Stavo tornando verso il mio ufficio e i due ancora parlavano nel corridoio, sbuffai facendo finta di leggere delle cose e loro si diedero un bacio, continuai per la mia strada e mi misi l’anima in pace che aveva mollato, e meno male che lui era quello che non mollava e mi dava anche fastidio che avesse scelto Kate, altre donne sulla faccia della terra non c’erano? Per forza dove stavo io doveva trovarsela? E soprattutto ma perché ronzava sempre dove stavo io? Ero nel mio ufficio quando arrivò Kate sorridendo. “com’è andato il tuo pranzo?” chiese sedendosi davanti a me e che io ovviamente feci finta di non ascoltare. “Ok, allora parlo io.” Aggiunse iniziando a raccontare del suo pranzo fantastico, come lo definiva lei, con Jack. “Ohi, sto lavorando… i fatti vostri non voglio saperli!” la interruppi bruscamente alzandomi. Kate mi guardò in silenzio, cercava di capire cosa pensassi e prima che psicoanalizzava andai nella sala autoptica. Era assurda, non avevamo mai chiacchierato cosi e ora voleva iniziarmi a parlarmi parlandomi di Jack, non volevo sapere della loro storia amorosa o dell’avventura di una settimana, io avevo il mio cuore nella cassaforte e non permettevo a nessuno di aprirla per farmi addolcire, serviva per stare bene, anche se bene non ci stavo. Ero sempre sola a casa e a lavoro nonostante a lavoro c’era tanta gente. Jack era il primo amore, era vero non lo avevo dimenticato e ogni tanto lo pensavo ma lo avevo lasciato andare tanto tempo fa e non lo avrei fatto rientrare nella mia vita, almeno non facilmente e poi ora era il partner di Kate. Se avesse continuato a nominarlo o a raccontarmi del loro pranzo o del loro sesso l’avrei trattata come uno straccio vecchio. Era arrivata sera e prima che Kate mi disse qualcos’altro me ne andai, al parcheggio incontrai Jack e in quel momento suonò anche il telefono, presi la palla al balzo tanto era mamma. “Ehi tesoro, sono appena uscita dal lavoro e tu? Hai preparato la cena solo per noi due? Ma sei fantastico cucciolo… si al dolce ci penso io con la mia biancheria sexy che ti piace tanto…si quella di pizzo” mentre dicevo cose del genere lui mi guardava strano e mamma all’altro lato del telefono mi prendeva per pazza. Lo guardai sorridendo divertita, facevo allusioni sul sesso con mia madre era una cosa ridicola ma tanto lui non lo sapeva, lo salutai con la mano e me ne andai in macchina dove salutai mamma attaccando la chiamata dicendo che dovevo andare. A casa ero seduta al tavolo a bere il mio amato rosè, alla fine Kate aveva trovato un bravo ragazzo, non mi aveva mai dato problemi. Era sempre dolce e premuroso nei miei confronti non era tipo da giochetti o da una notte e via.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** save your kisses for me ***


La mattina in ufficio ero a rileggere dei rapporti per poi riordinarlo nel archivio del computer sempre assorta a pensare al mio dovere. “Ehi, come stai? La serata com’è andata?” chiese Kate sedendosi di fronte a me, la guardai inarcando il sopracciglio mentre lei sorrideva in attesa di risposte, lei è Jack parlavano di me, bene sapevo cosa raccontare. “Oh è andata alla grande… ho mangiato tanto dessert e mi ha soddisfatto tante e tante volte e penso che oggi uscirò prima dal lavoro.” Dissi sorridendo e lei spense il sorriso cogliendo tutte le mie allusioni. “E a te?” aggiunsi sempre con il mio sorriso da stronzetta. Guardò l’orologio e con una scusa se ne andò nel suo ufficio, non capivo perché dovevo essere il loro bersaglio. Fiera di me stessa tornai a lavoro e dopo un bel po’ arrivò Jack, volevo proprio sentire cosa volesse. “Hai il rapporto di ieri?” chiese sedendosi. “Dell’autopsia o della serata?” incalzai parlando sensualmente e lentamente. Mi guardò e dopo qualche istante mi rispose che si riferiva all’autopsia. “Oh…eccola! Il rapporto della mia serata te lo fa la tua ragazza?” aggiunsi tornando a guardare quei documenti accavallando le gambe. Si alzò con aria contrariata e se ne andò da Kate. Mi venne a chiamare Ethan c’era un nuovo corpo cosi andai a fare la cosa che più mi riusciva, il mio lavoro mentre Ethan avvertì anche Kate. “Dottoressa cosa puoi dirci?” esordì Jack entrando con aria fredda Mi stavo mordendo il labbro mentre facevo delle foto, abbassai la macchinetta fotografica mordicchiando ancora il labbro. “Che puoi tornare fra due ore” lo risposi prendendo il bisturi e iniziando a incidere sul quel corpo inerme. Si passò una mano sulla bocca come se fosse un gesto disperato per poi andarsene chissà dove e neanche mi interessava a dir la verità, forse era andato a farsi fare il resoconto della mia serata o forse no. Sola nella mia sala autoptica terminai l’autopsia e mentre leggevo i referti del tossicologico andai a sbattere contro qualcosa o qualcuno che persi l’equilibrio cadendo con il sedere a terra, alzai lo sguardo ed era Jack. “Fantastico!” Esclamai adirata alzandomi. “Scusami, non volevo farti male! Tutto ok?” mi domandò premuroso mettendo le mani sulle mie e guardandomi dritta negli occhi che mi persi in quell’azzurro, dopo qualche istante mi ricomposi togliendo le mani. “Guarda dove metti i piedi, dannazione!” dissi acida “La smetti per favore di trattarmi cosi?” disse severo, non si era mai rivolto a me cosi. “Cos’ho che non va? Pensavo fossi cambiata che fossi maturata, invece mi tratti sempre come un giocattolo! Al liceo te ne sei andata da me senza lasciarmi spiegazioni e ora mi stai dando la colpa di tutto a me? Dimmi che cos’ho che non va? Che problema c’è?” aggiunse guardandomi con quegli occhi che avevano cambiato espressione, ora erano tristi e dolci. “Jack non hai niente che non va… voglio essere lasciata in pace” dissi in piena onestà. “E io ti voglio tutta per me, voglio farti innamorare di me… perché io ancora lo sono” continuò. “E allora continua a sognare… non ci riuscirai e poi ti ho detto che sono impegnata” Sembrò che quelle parole non le avevo pronunciate mi alzò il mento mentre avvicinava la faccia a me, cercavo di allontanarmi ma le sue labbra erano sulle mie, con la lingua cercava di aprire le mie labbra in un movimento mi staccai e come si mise dritto gli mollai un’altra sberla. “Non qui” dissi a bassa voce. Mi guardò scrutandomi, era stupito ma non so se lo era per lo schiaffo ovvero il secondo schiaffo o per il “Non qui” “Dove? Stasera a cena?” chiese cauto. “No… ti faccio sapere io” Mi annuii ed io me ne tornai nel mio ufficio, il mio nido, la mia fortezza. Era sera ed uscii tardi dal lavoro come sempre. Tornai a casa cercando di togliermi dalla testa Jack. Come ogni sera mi sedevo a tavola con il bicchiere di rosè, istintivamente chiamai Jack. “Jack senti… volevo solo dirti che tu ora ti stai frequentando con il mio capo e per me questo va bene” a dir la verità mi dava un po’ fastidio ma dovevo rimanere intera… “quindi il bacio che mi hai dato oggi non deve più ripetersi…ciao” non gli diedi modo di rispondere che attaccai la chiamata. Finii di bere il vino e misi tutto al proprio posto e andai a mettermi sul letto, sentii bussare alla porta e piano andai a vedere chi fosse. Guardai dallo spioncino e poi aprii la porta. “Che ci fai qui?” chiesi guardando Jack. Senza neanche rispondermi mi abbracciò baciandomi, ricambiai per qualche istante il suo bacio, misi le mani sul suo dorso e trovai la forza di spingerlo. “Ho detto che non doveva più capitare!” esclamai facendo un passo indietro. “Io invece penso che deve ricapitare ancora” disse entrando chiudendo la porta. Lo guardai era qualche centimetro più alto di me, si avvicina e piano mi ritrovo in trappola con le spalle al muro, non so come ci era riuscito ma anche al liceo mi metteva spesso in trappola cosi. Perché non si arrendeva? mi abbracciò inondandomi con il suo profumo, era un abbraccio affettuoso come se volesse proteggermi chissà da cosa. Alzai lo sguardo incrociandomi con il suo. “Vuoi che ti baci ancora?” sussurrò avvicinando il suo volto al mio. “No!” risposi veloce “Jack perché?” volevo sapere cosa cercasse da me e perché ancora non mollava. “Sono ancora innamorato di te” “Tu stai con Kate!” “Io non sto con nessuna… non mi vuoi per te?” lo guardai, lo volevo per me? Si che lo volevo ma se gli permettessi di entrare ne uscirei distrutta avevo poca energia per lottare, era una vita che lottavo questa volta dovevo proteggere me stessa. “No!” “No?” sciolse l’abbraccio e indietreggiò, “Ok, ci vediamo a lavoro Megan” aggiunse andando via. Guardai la porta che si era chiuso alle spalle “ciao” dissi come se potesse ancora sentirmi. Tornai sul mio letto cercando di prendere sonno.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** un passo avanti e 3000 indietro ***


Quella sera mi ero addormentata pensando a quel bacio, a quelle sue labbra morbide, quando mi svegliai la mattina successiva ancora assonnata mi preparai il caffè e mentre uscisse andai verso la camera per vestirmi quando notai una cosa insolita a terra. Era un cellulare ma non il mio, premetti l’unico tasto in basso al centro e si illuminò mostrandomi la foto di Jack con un cane, mi scappò un sorriso vedendo quella foto. Dovevo riportarlo al legittimo proprietario, lo poggiai al mobiletto accanto alla porta e andai a vestirmi. Ero sempre la solita curiosa e ficcanaso quindi tornai vicino al telefono e mi feci un po’ gli affari di Jack. Alla voce messaggi non sapevo se pigiarla o no alla fine la curiosità vinse e aprii la cartella dei messaggi. “Kate… Kate e ancora Kate” dissi leggendo il mittente di tutti quei messaggi, alla fine volevo vedere cosa si dicessero, l’argomento ero io. Lui la ringraziava per il fatto che si prestasse al gioco per farmi ingelosire. “Dilettanti!” esclamai, a me non serviva nessuno per farlo ingelosire, infatti in alcuni messaggi si chiedevano chi fosse l’uomo misterioso che mi preparava la cena. Risi leggendo di come cercavano di capire chi fosse. Lo avevo fatto ingelosire senza l’aiuto di nessuno a differenza sua. Ero seduta al tavolo sorseggiando il caffè e facendomi ancora gli affari suoi, ero passata a vedere le foto. Aveva molte foto con un cane, doveva essere suo. Ero ancora a impicciarmi delle sue cose quando suonò il mio telefono, era Kate. “Che tempismo!” esclamai aprendo la chiamata. “Dimmi” aggiunsi. Mi informava su una scena del crimine dove dovevo andare. Era esplosa una palazzina e che c’era una vittima che sicuro non era morta per l’esplosione. Misi entrambi i telefoni nella borsa e mi recai al luogo dell’esplosione, stavo camminando quando vidi Jack che aveva una ferita. “Io la medicherei quella!” esclamai guardando la ferita. “Non è importante fa solo scena.” Rispose a sua volta guardando quella ferita. “Si infetterebbe, fatti vedere dai paramedici” dissi indicando due ragazzi che erano poggiati ad un’ambulanza. “Megan, non ha importanza la ferita” disse guardandomi. “Cos’ha importanza più di una ferita che può infettarsi e portare molte conseguenze?” domandai curiosa guardandolo. “Tu!” rispose velocemente. Sbuffando andai all’ambulanza facendomi dare delle cose per pulirgli quel grande graffio e per medicarlo per bene, mi avvicinai di nuovo a lui e ora c’era anche il cane della foto che mi ringhiò. “Ehi bello… a cuccia non voglio far niente a Jack” ridicola, ora parlavo anche con i cani “sta buono piccolo” disse al cane passandogli la mano sulla testa. Misi i guanti e iniziai a lavargli quella ferita, strinse i denti gli bruciava; dopo avergliela pulita la medicai mettendo anche un po’ di antibiotico locale e infine misi un bel cerotto largo. “Fatto!” esclamai togliendo i guanti. “Grazie … stamattina non trovavo il telefonino, per caso era da te?” parlava con cautela e con toni bassi come se avesse paura di farmi quella domanda. “Ah si! Mi ero dimenticata!” lo risposi aprendo la borsa. “Eccolo” glielo porsi. Mi voltai verso l’edificio e avevano portato la vittima fuori cosi mi avvicinai per fare il mio lavoro. Ero al dipartimento a fare il mio dovere, ero assorta nei pensieri e delle mille domande che si riferivano al caso. Il tempo passava e io ero concentrata su quello che stavo facendo. Arrivai alla conclusione del tutto e andai da Kate. “Chiama il tuo uomo e digli che il tizio è morto prima dell’incendio per soffocamento e qualcuno voleva coprire le tracce cosi ha dato fuoco” dissi da vicino la sua porta. “Megan entra” Mi disse indicando la sedia. Entrai titubante e andai a sedermi in attesa di ascoltare il suo discorso. “Lavoriamo da molto tempo insieme non trovi che possiamo essere anche amiche?” domandò dolcemente. “Si certo… cosa vuoi sapere?” lanciai un’altra domanda come una pallina da ping pong. “Niente, è che ti vedo sempre sola e devi crearti gli amici anche fuori dal lavoro” “Io non sono sola!” esclamai alzandomi, erano solo affari miei se ero sola o meno. Andai nel mio ufficio e scrissi il rapporto, volevano indagare sulla mia vita e neanche lo sapevano fare. “Ti ho portato il caffè!” esclamò una voce entrando nel mio ufficio, alzai lo sguardo ed era sempre lui, Jack. “Questo mi manca!” esclamai tornando a scrivere il rapporto, sentii la porta sbattere alzai lo sguardo e lo vidi chiudere anche le tendine. “Jack ma che fai?” domandai alzandomi per andar a riaprire il tutto. “No!” disse bloccandomi. “Adesso io e te parliamo” aggiunse prendendo i miei polsi. “Non ho niente da dire, smettila di starmi addosso” dissi cercando di liberarmi. “Cos’è che ti spaventa?” domandò dolce. Lo guardai, cosa ne sapeva lui se qualcosa mi spaventava o meno. “Senti, io non ho paura. Ti ho detto che sono impegnata perché non mi credi? Cosi mi metti nei guai!” Mi guardò cercando di capire se mentissi o se dicessi la verità, distolsi lo sguardo da lui. “Ieri sera eri sola però” disse calmo e con la sua dolcezza. “Era in camera” dissi in modo che non ci dovevo pensare, per fargli credere quello che io dicessi. “Allora fammelo conoscere, voglio vedere chi è il fortunato” “Oh Jack ma cosa te ne importa a te?” dissi seccata. “Megan sei stato il mio unico amore per tutta la vita, da quando mi hai lasciata io penso sempre a te anche se di relazioni ne ho avute ma secondo te perché sono ancora single? Dammi una possibilità, dammi una change” “Io e te parliamo la stessa lingua e non ci capiamo” Mi sorrise tirandomi a se, mi abbracciò e mise il naso sopra i miei capelli. “Megan tu hai paura di qualcosa, dimmi di cosa” “Di niente, perché insisti?” “I tuoi occhioni verdi dicono il contrario della tua bocca… mmmh quella bocca che mi fa venire la voglia di baciarti, con quelle labbra color ciliegia che mi dicono di assaporarle ma tu con il tuo cervellino mi spingi via… spiegami e capirò ma dimmi la verità!!” Non lo risposi, non volevo espormi con nessun altro lungo la vita che mi restava da vivere, avevo sofferto da quando ero piccola e ora avevo messo la parola “fine” a tutto questo soffrire e doveva arrivare lui, sul suo cavallo bianco a farmi riaprire la cassaforte e a lasciarmi andare. Non sarebbe successo.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Dall'altro lato...Jack dice la sua ***


Era da poco che lavoravo in una nuova centrale, l’ambiente mi piaceva e andavo molto d’accordo con i colleghi, i casi erano molto interessanti e l’equipe era molto qualificata. Era da poco che avevo chiuso una relazione con una donna durata neanche un anno. Le mie relazioni erano difficili poiché io pensavo sempre al mio primo amore. Non mi spiegavo perché ma lei era sempre nel mio cuore a volte pensavo a come sarebbe stato se al liceo quando mi lasciò non l’avessi lasciata scappare, ero davvero innamorata di lei, era un tipo particolare e mi rendeva felice. Era stata la mia relazione più lunga, era durata ben due anni e lei decise di lasciarmi. Non mi faceva mai annoiare c’era sempre qualcosa di nuovo che animava le nostre giornate. Poi un giorno dopo due bellissimi, sensazionali anni mi lasciò credendo che io la tradissi e non mi diede modo di spiegare, non era come credeva lei e da allora sono rimasto con il rimorso che non avevo lottato abbastanza. Un giorno dopo una corsa per la città con il mio cane trovai un invito nella cassetta della posta, una riunione del liceo. “Fantastico!” esclamai sorridendo, l’avrei rivista, avrei rivisto i suoi occhi e le sue labbra. Chissà se si era sposata o se anche lei pensasse a me, cosa che dubitavo e specialmente chissà se sarebbe venuta, a lei questo genere di cose non piacevano. Facevo il conto alla rovescia non vedevo l’ora che arrivasse il giorno della riunione e finalmente arrivò. Mi preparai tutto bellino e profumato, non volevo deluderla se ci sarebbe stata, fischiettando mi recavo alla riunione, entrai nel locale e rincontrai tutti i miei vecchi amici, scambiai qualche chiacchiera quasi con tutti. “Eccola” dissi sorridendo a me stesso, l’avevo notata al bancone del bar a bere. Mi avvicinai facendo finta di niente, ma non riuscii a non rivolgerle la parola e a sorridere. La sua espressione era cosi triste, profonda e malinconica. Povera Megan, chissà cosa stava passando il quel periodo per avere quell’espressione. Era bellissima ancor di più di come la ricordavo. “Stai invecchiando bene mia donzella.” Pensai, notai che non aveva una fede o una fedina al dito, se io fossi stato il marito non gliel0avrei fatta togliere o tanto meno lasciarla sola a bere in una riunione del liceo. Le feci qualche complimento e lei mi zittì dicendo che era impegnata, era onesta ed io da solo mi ero illuso come uno stupido, me ne andai con la convinzione che era l’ultima volta che l’avevo rivista dopo tanto tempo. Andai in un bar e mi misi al bancone a pensare mentre bevevo, perché avesse quell’espressione spenta e triste, lei era piena di vita e quella sera sembrava che non avesse abbastanza voglia di vivere. Mi addormentai a casa immaginando ancora il suo volto, ormai lo avevo impresso nella mia mente poiché era l’ultima volta che l’avrei rivista. La mattina seguente al lavoro ci informarono che avevamo cambiato equipe, il nostro medico legale era cambiato, insieme al mio collega mi recai sulla scena del crimine e notai una donna da lontano vicino alla nostra vittima, quando ero vicino lei si girò, era Megan. Il mio cuore iniziò a battere di gioia, la potevo vedere spesso, ero felicissimo. Mi parlava come se non mi conoscesse e non capivo cosa le avessi fatto. Se ne andò via e l’ammirai mentre di spalle se ne andava, aveva un bel portamento e il suo sculettare mi fece sorridere. Era cambiata molto da come la ricordavo. Ero in centrale e pensavo a quando l’avrei rivista un bip del telefono mi interruppe dai miei sogni ad occhi aperti e vidi un fax da parte sua, io volevo rivederla e andai da lei. I giorni trascorrevano e Megan mi aveva detto che era impegnata, una parte di me si stava rassegnando tanto da spingermi di chiedere a Kate di uscire a cena, l’altra parte era delusa davvero pensavo che potesse esserci un ritorno di fiamma?! Un giorno eravamo insieme a lavorare ad un caso mi sembrava un’occasione perfetta farmi avanti quando eravamo soli in macchina per andare ad interrogare i famigliari della vittima. Io chiedevo cercando di venir a conoscenza della sua vita privata e lei mi rispondeva con acidità e fredezza. Cercai di farle capire che non ero un tipo che mollava cosi facilmente e lei scappò letteralmente via da me. Non sapevo come agire con lei provai con un mazzo di fiori e ricevetti un: “Ma sei stupido? Esci immediatamente dalla mia sala con quei fiori in mano” Provai a essere dolce dopo aver posato i fiori nel suo ufficio e ricevetti una sberla. Mi dava del filo da torcere quella donna e mi intrigava sempre più, mollavo solo se riuscivo ad averla solo ed esclusivamente per me. Ogni mattina mi alzavo dal letto con la convinzione che l’avrei vista. Con Kate avevo parlato di Megan e di cosa provavo con lei e mi avrebbe aiutato a farla ingelosire, era davvero una grande amica per Megan. Mi aveva spiegato che volesse vedere Megan felice con qualcuno e se poteva aiutarla in qualche modo lo avrebbe fatto. Andavo spesso al dipartimento sia per vedere Megan e sia per prendere Kate per pranzo o cena. Quel giorno quando andai da Kate, Megan era nel suo ufficio, sorridendo me la guardavo e ogni volta che la vedevo cercavo di fargli una foto cosi d’ammirarla quando ero solo. Salutai Kate e nominai il pranzo per vedere la reazione di Megan ma ogni volta mi faceva fesso lui a me. “Amore” disse sorridendo, aveva gli occhi che le luccicavano, stavo per dirle qualcosa e lei uscii dall’ufficio abbracciando una ragazzina. Che stupido, come potevo pensare che salutasse me cosi? Avrei pagato oro per quella parola pronunciata da lei tutta per me. Dopo il pranzo tornammo al dipartimento e lei era lì a lavoro che faceva finta che noi non c’eravamo. Volevo entrare nella sua testa per capire cosa le passasse per la testa. Il giorno trascorse velocemente e andai al dipartimento dove nel parcheggio vidi Megan che parlava al telefono facendo allusioni sul sesso, volevo sapere chi era quell’infame che la toccava, baciava e quella sera le preparava la cena per poi portarsela a letto. Me ne tornai a casa scusandomi con Kate per telefono, la notte pensavo a Megan e al suo uomo che in quei momenti la stesse accarezzando o chissà cos’altro. Il giorno seguente lei era sempre fredda con me o acida. Ero assorto nei pensieri quando andai a sbattere contro qualcuno quando misi a fuoco Megan era a terra, mi parlava ma io fissavo la sua bocca. Le chiesi perché mi trattava come se non fossi una persona umana per poi baciarla, con la lingua accarezzavo le sue labbra e lei si staccò. Aveva delle labbra morbidissime che non volevo mai farle staccare da me. Mi disse: “Non qui!” forse mi dava un’occasione ma dopo la sua chiamata di quella stessa sera capii che mi stavo solo illudendo,cosi andai a trovarla. Quando aprii la porta me l’ammirai per bene, entrai e la misi in trappola come facevo sempre per lei riuscii a rubarle un bacio. Ammisi che la volevo per me e le chiesi se lo volesse anche lei ma dopo qualche secondo di silenzio mi disse di no, la lasciai andare via dalle mie braccia e me ne andai a casa. Mi addormentai pensando in quell’istante che ricambiò il bacio. La mattina arrivò presto prima di uscire con il mio amico a 4 zampe per fare una corsa cercai il telefono per mari e per monti e non c’era poi notai la tasca del pantalone bucata sicuro lo avevo perso, ma dove?? Ero con il mio cagnolino a correre quando un edificio esplose e senza pensarci due volte entrai dentro a salvare chi potevo salvare e chiamai Kate, i vigili del fuoco e qualche ambulanza. Ero ferito, quando ero dentro per salvare un bambino avevo strusciato vicino al muro e usciva anche abbastanza sangue. Era arrivata la donna dei miei sogni mi trattenni nel sorridere quando si preoccupava per la mia ferita, mi rifiutai di andare all’ambulanza e lei mi medicò. Aveva un tocco delicato, cercava di non farmi male ed era bravissima a fare le procedure della medicazione era molto attenta. Le chiesi del telefono e tornai alla riscossa doveva capire che non mollavo.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** il gioco inizia a farsi complicato ***


I suoi occhi azzurri mi attiravano a se sensualmente, il suo sorriso era tentatore, sento il calore del suo corpo, le mie mani sfioravano il suo dorso nudo, dai pettorali scolpiti agli addominali, li guardavo per un istante e tra le sue braccia mi sentivo protetta, le sue labbra baciavano il mio collo mandandomi in estasi mentre le sue mani accarezzavano i miei seni, mi sfuggii un gemito leggero dalle labbra "Jack" con un filo di voce godendomi quel momento. Ci spogliavamo a vicenda rimanendo in intimo, le sue mani dai fianchi scendono sulle mie cosce, io mettevo una mano dietro il suo collo tirandolo a me "ti desidero" dissi prima di baciarlo. Le sue mani erano sul mio interno coscia e poi.. Mi sveglio di soprassalto, stavo facendo un sogno erotico con Jack, ed ero ancora eccitata, dai suoi occhi, dalle sue labbra "maledetto lui" dissi sbuffando. Aveva iniziato a rompere il mio stare bene, la mia tranquillità anche nei sogni. Di tutta quella situazione in quel momento tirai un sospiro di sollievo che era il week end e non lo avrei incontrato a lavoro. Mi sedetti nel letto con le spalle poggiate alla testiera, guardai l’ora e aprii il romanzo sul mio comodino iniziando a leggerlo. Era un romanzo rosa e verso la fine del libro i due protagonisti avevano un momento di pura passione, non scritto esplicitamente ma si capiva benissimo, mentre leggevo quelle righe Jack pervase i miei pensieri. Quegli occhioni azzurri che cercavano di leggere i miei pensieri, quella labbra morbide come seta sulle mie, scossi la testa leggermente chiudendo il libro. Non capivo cosa mi stesse succedendo sembravo una teenager innamorata. Cosa impossibile al momento perché non ero una teenager e non mi innamoravo. Mi alzai andandomi a fare una doccia fredda, era meglio se passassi la giornata fuori casa. Decisi cosi di prepararmi e uscire, presi il giornale e passai a prendere del caffè. Camminavo leggendo e sorseggiando il caffè nero bollente. Era una bella mattina soleggiata e mi piaceva camminare per il parco, all’improvviso andai a sbattere contro qualcuno che sicuramente stava facendo joging. Il caffè gli andò tutto addosso. Tolsi il giornale e vidi Jack con il suo cagnolino. Era ovunque. “Jack scusa … io… stavo leggendo e camminando insieme e non ti avevo visto!” mi scusai. Si alzò togliendosi la t-shirt “Brucia!” esclamò gettandola a terra. Guardai il suo dorso nudo, era proprio come lo avevo sognato, i flash del sogno passarono davanti ai miei occhi. Il cane mi abbaiò portandomi alla realtà. “Dicevo: come mai sola?” domandò sorridendo. “Con chi dovevo stare?” risposi con un’altra domanda. “Con il tuo uomo” disse in attesa di una risposta. “Ah, ehm sta lavorando” giustificai il mio camminare da sola. “Jack scusa per il caffè, come posso farmi perdonare?” quando mi resi conto di quello che avevo detto era troppo tardi, che stupida farmi distrarre dal suo dorso. “Venire a cena con me!” rispose sorridendo. Si passò la mano sul dorso distrattamente, e io guardavo prestando molta attenzione. “Hook, lasciala che mi serve questa” disse al suo Husky riprendendosi la maglietta. “Accidenti è anche strappata, dovrò darla a mia sorella per farla riparare” “Dalla a me, è colpa mia, te la riparo io” dissi allungando la mano per prendere la maglietta. “Tranquilla, non vorrei disturbarti” disse tenendo ancora la maglietta tra le sue mani. Iniziava a fare storie per una maglietta? Credeva che disturbava per una maglietta? Rimasi in attesa che mi desse la maglietta. “Ok!” esclamò passandomi la maglietta, le nostre mani si sfiorarono, stavo diventando davvero una teenager, tolsi velocemente la mano per mettere nella borsa la maglietta. “Posso offrirti un caffè?” chiese gentilmente. “Tanto dovevo fermarmi anche io, vero Hook?” aggiunse sorridendo al suo cane “Solo se offro io” risposi. Il cane era vicino a me ad annusarmi, voleva conoscermi, iniziò a scodinzolare ed ad abbaiare. “Hook sta buono è solo un’amica!” si abbassò per accarezzare il suo amico a quattro zampe. Sentii le mie labbra curvarsi per formare un sorriso, non era cambiato per niente, amore per il prossimo (in questo caso il cane) e spensieratezza. Si rialzò guardandomi sorrise a sua volta ma mi ricomposi velocemente. Jack era diventato come quel detto: “La lingua batte sul dente che duole” o qualcosa di simile. “Sai che non è da me far pagare le donne” La mia attenzione fu richiamata da due ragazze che si fermarono a qualche metro distante da me e Jack a squadrarlo e a commentare come fosse sexy, quella cosa mi dava fastidio. “Allora andiamo da me, cosi offro io e … offro io” lo invitai. “E Hook?” mi chiese indicando il cane. “Viene con noi” dissi dando per ovvia la cosa. Andammo a casa mia passeggiando, molte ragazze nel parco guardavano il suo fisico scolpito e lui sembrava non accorgersene. Camminavamo silenziosamente, io non avevo argomenti da trattare e forse lui aveva anche paura a farmi domande. “Mi dai la maglietta? Non fa niente che è sporca e rotta ma mi da fastidio che mi guardano tutte” disse allungando la mano. “Come mai ti da fastidio? Tutti gli uomini farebbero già i galletti… non ti mangiano mica se ti guardano?” anche a me dava fastidio ma non lo davo a vedere. Arrivammo a casa, misi a fare il caffè e in un piattino misi dell’acqua per il cagnolino che feci andare sul balcone mentre Jack era in bagno a lavarsi le mani. “Dov’è Hook?” chiese sedendosi vicino al tavolo. “Fuori a bere dell’acqua” risposi prendendo le tazze. “Quindi vivi con lui?” chiese guardando il suo telefono. “No, vivo sola ma spesso lui è qui” mentii, non c’era nessuno nella mia vita. “Capisco, e non hai foto di voi due insieme?” continuò con le sue domande. Iniziai a non rispondergli più quando mi chiedeva del mio ipotetico uomo. Quando il caffè fu pronto lo versai nelle tazze, misi lo zucchero e glielo porsi. Ormai quando eravamo soli i silenzi cadevano su noi come pioggia. “Megan ti prego dammi una change con te” disse guardandomi. “Vuoi che lasci il mio uomo per te? Jack ma se lo facessi a te?” “Megan allora fammelo conoscere e ti lascio in pace, promesso” “Insisti?” “Si, voglio essere io quello che ti prepara la cena quando torni a casa, che ti sussurra parole dolci sul divano mentre vediamo un film… quello che nei week end ti fa compagnia e quello che ti accarezza nei momenti intimi” Mi sedetti guardando la tazza del caffè. “Jack le cose stanno cosi, io non ho nessuno e non voglio nessuno che mi prepara la cena e che mi coccoli. Voglio stare sola, tranquilla e specialmente voglio stare bene! Ora sto bene non venir a rompere questo mio stato” “Ma io ti faccio stare bene, con me starai più che bene” rispose avvicinandosi a me. “No sto bene sola Jack rispetta la mia volontà se dici di amarmi lasciami stare” “Ti lascio solo se vedo che sei felice” Feci un sorriso a 32 denti “vedi, felicissima” “Non me la dai a bere… come non me la davi a bere sul tuo uomo fantasma” sorrise accarezzandomi la guancia. Il suo tocco era molto dolce, era come se volesse accarezzare la mia anima. I suoi occhi erano fissi su di me come se volesse scattarmi una foto da tenere nella sua testa. “Jack no” tolsi la sua mano, non demordeva. “Perché? Spiegami” disse mettendosi a braccia conserte “Te l’ho detto e non lo ripeto la seconda volta.” “Lasciati andare, io non ti ferirò lasciamelo dimostrare, dammi una possibilità… fidati di me” disse dolce e premuroso. “Oh per favore Jack!” “frequentiamoci come amici allora” Sospirai guardandolo. “Ok va bene ma solo come amici e niente di più!” Mi sorrise senza aggiungere niente, dopo qualche secondo di silenzio esordii: “Jack sarebbe troppo complicato!” “Sarebbe complicato se tu provassi qualcosa per me, ma non la provi vero?” sicuro di se si avvicina ancora a me. Mi volto da’’altra parte, forse dando anche troppo fiato alla bocca, “smettila di confondermi Jack”. “Ah allora ti confondo!” sorrise pieno di se. Ora ero nei guai, non avrebbe mollato sicuro.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** uno spiraglio di luce in una notte buia ***


Era la sera che Jack aspettava più d’altre, la cena, gli avevo concesso di andare a cena insieme. Dopo aver fatto una doccia mi spalmai la crema corpo tutta bella profumata, mi vestii e scelsi l’ambito più bello che avevo, andai in bagno davanti lo specchio e sistemai i capelli, iniziai a truccarmi, l’ora stava arrivando e mi misi le scarpe con il solito tacco e quando suonò alla porta andai ad aprire prendendo la borsa. Aveva un mazzo di rose rosse e una scatola di cioccolatini, i miei preferiti. “Ancora ricordi i miei gusti?” chiesi facendolo entrare, era vestito davvero bene, aveva spuntato i capelli e sfoltito la barba. “Megan i tuoi gusti sono difficili da dimenticare” rispose entrando. Mi guardava dall’alto in basso sorridendo e lentamente come se volesse gustarsi ogni singolo cm quadrato. “Sei bellissima” disse quelle parole sussurrando, con tono quasi ipnotico. I nostri sguardi di incrociarono per qualche istante ci fissammo negli occhi. “Grazie!” esclami prendendo le rose per metterle in un vaso con dell’acqua, presi anche i cioccolatini e li aprii prendendone uno. “Dobbiamo andare a cena non rovinarti l’appetito” disse sorridendo divertito. “mangia anche tu” li misi un cioccolatino in bocca. “Vuoi farlo rovinare anche a me?” disse con il cioccolatino in bocca che mangiò. “Poi non andiamo più a cena” aggiunse ridendo. Lo guardai inarcando un sopracciglio poi presi la palla al balzo. “Ah tutto qua era? Allora è stato bello” dissi retorica. Mi porse il braccio con fare cavalleresco sorridendo, mi misi sottobraccio a lui e uscimmo di casa. Ricordava ogni cosa di me, mi piaceva e mi piace il mare e cosi ha pensato bene di portarmi ad un ristorante che aveva la sala sulla spiaggia come un terrazzo, il cielo quella sera era sereno si vedevano benissimo le tante stelle e la luna che dava luce alla notte. Era un posto molto bello che io neanche conoscessi, lo guardai mentre diceva al cameriere il nome con cui aveva prenotato il tavolo, il ragazzo ci fece strada fino al tavolo era in fondo al terrazzo si sentiva il rumore del mare, davvero bello. “Jack è bellissimo questo posto” dissi guardando il mare nero come il cielo ma c’era la luce della luna e rendeva tutto cosi bello. Lo guardai con la coda dell’occhio, stava sorridendo guardando nella mia stessa direzione, poi lo vidi girarsi verso di me e rivolsi lo sguardo di nuovo al mare. “Sono contento che ti piace, sapevo che ti piaceva il mare e volevo regalarti una cena favolosa” disse ancora con quel tono da predatore. “Jack!” lo guardai “e saresti mio amico cosi?” “Perché? Un amico non può regalare una cena cosi alla sua splendida, meravigliosa amica?” rispose con un’altra domanda sorridendo. Mi guardai le mani che avevo intrecciato tra loro sul tavolo, non sapevo cosa pensare o come agire con Jack. Mise una mano sulle mie mi guardava per capire cosa stessi pensando. “Che succede? C’è qualcosa che non va?” chiese premuroso. “Niente” rialzai lo sguardo incrociando il suo. “Vuoi tornare a casa?” “No, no restiamo” “Non voglio costringerti, insomma se non vuoi per me va bene!” aggiunse. “Restiamo voglio vedere se la cucina regge il confronto con il panorama” accennai un sorriso. “Ho scelto io il menu spero ti piace” mi sorrisi speranzoso. Dopo un po’ arrivò il cameriere con l’antipasto, tutto a base di pesce, e una bottiglia di vino rosè. Risi. “Il vino non l’ho mai bevuto con te!” esclamai. “E allora?” mi guardò corrugando la fronte. “Come facevi a sapere che era il mio preferito?” domandai indicando la bottiglia. Sorrise guardandomi poi guardò la bottiglia. “Beh quando l’altra sera ti ho baciata anzi ci siamo baciati, avevi un sapore di vino in bocca e cosi oggi li ho assaggiati un po’ tra quelli bianchi poiché i rossi sono più forti e poi sono passato al rosa” spiegò sorridendo. “Buon appetito” dissi infilzando con la forchetta un alicetta marinata. “Buon appetito” rispose infilzando un gamberetto bagnandolo in una salsa “Assaggia questa salsa vedi com’è buona” sorrise avvicinandomi la forchetta. Mi lasciai imboccare, era davvero buona quella salsa. “Si, è buona” commentai sorridendo. Iniziammo a mangiare e conversare tranquillamente, le pietanze erano tutte buone, poi tutto a base di pesce accompagnato con del buon rosè. “Dolce?” chiese sorridendo. “No grazie, sto bene cosi… non mangio molti dolci” risposi sorridendo, sorrideva molto anche lui quella sera. “Ti va di stare ancora qui o vuoi andare?” “Ti va una passeggiata sul lungo mare?” “Certo che si” sorrise alzandosi, si avvicinò a me e con i suoi modi di fare molto cavallereschi mi porse la mano che afferrai alzandomi. Andammo vicino alla riva e tolsi le scarpe facendomi bagnare i piedi dall’acqua che piano arrivava dal suo lungo tragitto per poi tornare indietro, la luna si era alzata ancora di più in cielo, era tutto calmo lì si sentiva solo il fruscio delle onde che cullavano la notte che indisturbata cercava di rincorrere il giorno. Jack era accanto a me anche lui silenzioso a guardare le stelle, la mano di Jack lentamente sfiorò la mia per poi intrecciare il suo mignolo con il mio. Lo guardai e lui era ancora ipnotizzato dalle stelle, guardai le nostre mani che si reggevano per il mignolo. “è strano come il cielo lasci cadere le stelle più belle!” esclamò rompendo quel silenzio guardando ancora le stelle e poi me. Alzai il volto verso le stelle e neanche finii di alzare lo sguardo che una stella attraversò la mia traiettoria. “Eccola, la stella cadente!” esclamai indicando con l’altra mano e sorrisi. “Esprimi un desiderio” “Ormai è andata via” lo guardai. “Esprimilo lo stesso va a finire che si avveri” Chiusi gli occhi ed espressi il desiderio, riaprii gli occhi e lui mi guardava sorridendo. “Inizia ad essere freschetto andiamo?” Era proprio un cavaliere, si tolse la giacca e la mise sulle mie spalle sorridendo, i nostri volti erano vicini mentre mi sistemava la giacca, si avvicinò ancora un po’ e poi tornò al suo posto, andando alla macchina. Arrivammo sotto casa mia e accostò, mi tolsi la giacca per restituirgliela. “Grazie è stato tutto bello, il posto, la cena e le stelle!” esclamai aprendo la portiera. “Ci vediamo a lavoro” aggiunsi sorridendo. “Allora a domani” sorrise. L’atmosfera iniziò a riscaldarsi, i nostri volti lentamente si avvicinavano eravamo sempre più vicini stavamo per baciarci quando una macchina da dietro ci suona, doveva parcheggiare e Jack impediva il passaggio. “Buona notte e grazie” uscii dalla macchina e corsi a casa.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** imprevisti ***


Era passato il week end la mia mente era sempre impegnata a pensare ancora a quel basi bacio che c’era stato con Jack. Ero stata chiamata per andare su una scena del crimine, andai direttamente sulla scena senza passare per il dipartimento, arrivai lì e c’era tutta l’equipe, andai verso la vittima e intravidi Jack che mi guardava mentre interrogava i testimoni, sorrideva. Aveva un sorriso meraviglioso anche molto coinvolgente e contagioso ma resistetti a sorridergli. Andai vicino la mia vittima dove feci le dovute indagini. “Scommetto che devo venire da te fra due ore?” chiese Jack avvicinandosi con il suo sorriso, era l’accessorio che gli stava meglio. “O ci vuole di più?” aggiunse ormai vicino a me. “Due ore mi bastano” risposi facendo cenno alla collega. “Se ti va potresti venire anche con me a fare delle domande al coinquilino? Il mio collega mi ha lasciato solo oggi” “Andiamo dopo l’autopsia voglio capirne di più” “Va bene” mi sorrise guardandomi negli occhi, si avvicinò ancora “Allora faccio altre indagini, a dopo” mi diede un bacio sulla guancia per poi allontanarsi. Andai al dipartimento e mi dedicai al mio lavoro con serietà. Con calma mi feci ogni cosa, ogni tipo di analisi e controllo che potevo fare. Mi feci aiutare in qualcosa anche da Ethan. “Ethan hai ritirato il tossicologico?” chiesi andando vicino alla sua scrivania. “Ancora non hai finito?” chiese una voce dietro di me ma riconobbi subito chi fosse, Jack. Mi voltai per guardarlo, era a pochi passi da me. “Sto aspettando solo il tossicologico” “Ti aspetto nel tuo ufficio, posso?” mi sorrise “Certo… accomodati anche” tornai a guardare verso Ethan e Curtis facendo un’espressione come per dire: “Sbrigatevi” andai nel mio ufficio e andai dietro la scrivania, Jack era sul divano a guardare qualcosa sul tablet. “Dobbiamo aspettare un po’” “Va bene, ma quanto ci mettono?” “Non lo so.. ho detto a Ethan di sbrigarsi” continuai. Iniziai a scrivere delle cose riguardanti l’autopsia mordicchiandomi il labbro e muovevo la gamba sotto la scrivania. “Vuoi che… vuoi che…ti” disse balbettando. Alzai lo sguardo per vedere cosa succedesse, mi guardava con uno sguardo diverso pieno di desiderio, come se ero l’acqua per uno disperso nel deserto. “che c’è?” chiesi guardandolo. “Ehm niente… ehm chiedevo se volevi informazioni del caso” disse distogliendo lo sguardo. Non lo capivo, prima mi guardava come un miraggio poi guardava il muro. “Si, dimmi” dissi poggiando i gomiti sulla scrivania mettendoci il mento sopra, con attenzione lo ascoltavo. “E penso che sia stato il coinquilino, si accettano scommesse” scherzò. “Mmh appena ho il tossicologico ti dico su chi o che scommetto” tornai a scrivere, un telefono iniziò a squillare ed era quello di Jack, alzai lo sguardo pensavo fosse qualcosa inerente con il caso invece parlava con una certa Monica e durò anche poco la chiamata, a uno tipo cosi le donne non mancavano. “Era mia sorella, è un caso irrecuperabile… mi chiama minimo tre volte al giorno” sorrise parlando di sua sorella, era più piccola di lui. La conoscevo ai tempi della scuola se l’avessi incontrata in giro non l’avrei neanche riconosciuta, anche lei come Jack aveva gli occhi celesti e capelli scuri del resto non sapevo niente. Ai tempi della scuola portava sempre le codine, anche perché lei frequentava le elementari mentre noi eravamo al liceo. Era una bambina molto graziosa e timida. Mi ero persa nei ricordi di quando conobbi la sorella, che portava con se sempre un coniglietto di peluche e non lo lasciava incustodito e se qualcuno le chiedesse del suo “amichetto” lo nascondeva dietro la schiena e guardava in basso. Ero ancora persa ancora nel viale dei ricordi quando Ethan iniziò a sventolare il foglio davanti gli occhi. “Oh e fermati!” esclamai prendendo il foglio, guardai sul divano e non vidi Jack mi girai ed era fuori a parlare con una ragazza, alta e magrolina, i capelli scuri come quelli di Jack e quando si girò verso di me salutandomi con la mano vidi i suoi occhioni celesti proprio come quelli del fratello. Ricambiai il saluto e il sorriso e tornai al mio lavoro. “Monica ti manda un forte bacione!” esclamò entrando. “Grazie” sorrisi alzandomi. “Mi cambio e andiamo” aggiunsi. “I risultati?” domandò guardandomi. “Ne parliamo in auto” dissi uscendo dall’ufficio. Dopo essermi cambiata andai con lui a interrogare il coinquilino, nel viaggio di ritorno il silenzio cadeva tra noi come pioggia. “Sai, ieri sera sono stato bene” ruppe il silenzio sorridendo. “Solo ieri sera? Io sto bene tutti i giorni” sorrisi. “E dai, lo sai cosa intendo…ti va un caffè?” “no grazie” risposi accendendo lo stereo. Mi guardò veloce e spense lo stereo, lo riaccesi e lui lo rispense, aspettai qualche secondo e lo riaccesi, lui prese e levò la mascherina dello stereo. “Ma che fai?” domandai curiosa. “Dici di essere amici e poi rifiuti il caffè con me?” “Jack non mi va il caffè se mi avessi chiesto: ti va un succo ti avrei detto di si” diedi una spiegazione tutta mia e lui iniziò a ridere. “Allora, ti va di andare a bere qualcosa?” ci riprovò. “Andiamo” risposi allungando la mano “lo stereo” mi passò la mascherina e riaccesi lo stereo. Arrivammo davanti ad un bar, dopo aver parcheggiato scendemmo e prendemmo un tavolo. “Come hai dormito?” chiese leggendo il menu. “Come un ghiro” “io invece… ho pensato a te! Megan tu mi piaci mi fai sorridere, ridere ed anche arrabbiare ma il tempo che passo con te è meraviglioso… proviamoci” “Jack mi alzo e me ne vado se dici un’altra parola a riguardo.” “Io prendo una spremuta e tu?” “Coca cola… grazie” Il suo telefono riprese a suonare, rispose e parlava quasi a monosillabe, non capii tanto della sua telefonata, lo vidi alzarsi e rimettere la sedia al suo posto. “Per la tua gioia dobbiamo andare a una scena del crimine, siamo i più vicini” Mi alzai e lo seguii sulla scena. Eravamo sulla scena ma non c’era nessuno, Jack mise un braccio dietro come se volesse proteggermi. “Che fai?” “Non c’è nessuno, la cosa mi puzza di bruciato” Mi guardai attorno iniziai a camminare avanti, forse era nel palazzo. “Dove vai?” chiesi bloccandola per un braccio. “Jack guarda quanti palazzi…può essere dentro uno di questi.” “Me lo avrebbero detto…fermati non andare” Sbuffando mi girai e vidi uno o una con una felpa nera e un cappuccio enorme, ci puntava la pistola ma Jack non se ne accorse, con la mano gli picchiai sulla spalle e lentamente si girò, ci guardammo e sentimmo due spari. Chiusi gli occhi sentendo un tonfo a terra, quando gli aprii vidi una cosa che non mi sarei mai immaginata.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** cose inaspettate ***


Mio padre mi sorrideva come mi ricordavo ancora, il suo sorriso premuroso che usava quando mamma mi urlava e io scappavo nella mia stanza. Mi passò la mano sulla guancia sempre con quel suo sorriso ma dopo un po’ divenne triste. “Cosa succede?” gli chiesi cauta. “Polpettina, sono triste per te. Sei sempre sola, così non va bene” “Papà, mi manchi tu!” gli dissi abbracciandolo. “Polpettina io sto bene qui dove sono, se tu ti guardassi attorno anche solo per un momento scoprirai che ci sta qualcuno che ti sa far stare bene… apri gli occhi!” mi sorrise “Apri gli occhi, dai” sorrise ancora lasciandomi. “Papà, no non lasciarmi… papà” ormai se n’era andato. Aprii gli occhi, il sole mi accecò istintivamente gli richiusi subito ma lentamente gli riaprii, avevo un forte dolore alla testa, feci per alzarmi e notai il tipo a terra e Jack mi guardava chiedendomi se fosse tutto ok e poi, bam anche lui a terra. Mi alzai di scatto andandogli vicino, aveva una ferita all’addome e stava perdendo sangue. All’improvviso mi venne in mente la scena con Peter, non potevo perdere anche Jack, reagii. Presi la borsa che era un po’ più in là, infilai i guanti monouso e gli alzai la maglietta e con il mio fazzoletto di stoffa tamponai la ferita. Nel frattempo che con una mano tamponavo chiamai anche i soccorsi. Continuai a tamponargli la ferita cosi che non potesse perdere tantissimo sangue. Arrivarono i soccorsi e lo caricarono sull’ambulanza, l’altro era morto ma non era la mia priorità al momento. “Emogel e plasma in infusione” dissi mentre lo caricavano sull’ambulanza. L’ambulanza si allontanò, raccolsi la chiave della sua macchina ed andai anche io in ospedale, al momento era in sala operatoria per l’estrazione del proiettile, aspettavo con ansia sue notizie. Dopo qualche ora portarono Jack nella stanza, mi sedetti accanto a lui in attesa che si svegliasse, non volevo lasciarlo solo. Avevo le gambe accavallate e guardavo un punto fisso sul muro mentre mordicchiavo il labbro con ansia. Cercavo di capire cosa fosse successo in quel momento ma non ci capii molto solo lui poteva dirmi cosa era veramente successo. “mmh” mugugnò qualcosa e mi voltai verso di lui che apriva gli occhi. “Dove sono?” chiese con voce assonnata. “sei in ospedale” risposi con tono basso. “No, no io gli ospedali li odio!” esclamò voltandosi. “Hey… che ci fai qui?” chiese guardandomi. “Io… io volevo vedere come stavi” risposi facendo spallucce. Mi guardò sorridendo mentre il silenzio si fece spazio tra noi e come ogni volta era lui a vincere fin quando qualcuno non lo rompesse, quella volta fui io a farlo esordendo: “Cos’è successo lì oggi?” “è importante saperlo?” mi rispose con un’altra domanda guardandomi. “Si, ho bisogno di sapere… ho sentito uno sparo e poi entrambi per terra” “Lui…stava prendendo la mira su di te quando il colpo è partito io pensavo solo che dovevo proteggerti quindi ti ho spinto a terra e ti ho fatto da scudo…ho avuto la forza di uccidere l’uomo e vedere come stavi!” rispose distogliendo lo sguardo da me per rivolgerlo alla porta. “Grazie!” esclamai. Ci guardammo qualche secondo quando arrivò sua sorella di corsa senza badare se stesse solo o no. “La prossima volta che mi chiamano per dirmi che tu sei ricoverato ti finisco di rompere le ossa. Una volta ti sei rotto le ossa e un’altra volta hai preso una botta e ora ci mancava la pallottola? Ah ma ho chiamato mamma sta venendo da San Francisco cosi ti tiene a bada lei… sembri un teenager con gli ormoni a palla!” lo sgridò e lui la guardava senza dirle niente, lei sbuffando si girò notandomi. “Ciao… Megan, scusa è che…” “… tranquilla” sorrisi interrompendola. “Monica devi dire a mamma che è inutile che viene io sto bene e so badare a me stesso!” disse con tranquillità. Monica era contraria a questa cosa e iniziarono a discutere, erano soliti a farlo anche da piccoli, ed io ora come ad allora mi sentivo di troppo e non sapevo cosa fare. Non mi intromisi anche perché mi sentivo colpevole, e se lui fosse morto? Non me lo sarei mai perdonata. Continuarono a litigare e alla fine la cacciò via e lei borbottando se ne andò. “scusa… è piccola” disse guardandomi. Sorrisi per tranquillizzarlo, allungò la mano verso di me come se volesse prendere la mia mano. “Megan… inizio ad avere fame potresti andarmi a prendere qualcosa? Per favore!” “Certo.. cosa preferisci da mangiare?” “Qualsiasi cosa in questo momento” rispose sorridendo. Andai a prendergli qualcosa da mangiare e glielo portai, mangiò in silenzio ed ero sempre su quella sedia accanto a lui, non mi andava di lasciarlo solo. “Ehy dolcezza, non mi offendo se mi lasci solo!” esclamò guardandomi. “Sola sto io e solo stai tu… ci facciamo compagnia se vuoi” risposi guardandolo. “Solo se riposi a casa però stanotte” “Si non ti preoccupare!” esclamai sorridendo. Mi sorrise anche lui, mi guardò come se volesse stringermi fra le sue braccia ma si limitò nel’assaporarmi con lo sguardo. “Hai chiesto del tipo che mi ha sparato?” chiese guardandomi. “Ehm no scusa… è che ero preoccupata per te e sono stata qui ad aspettare, non ci ho proprio pensato” “Eri preoccupata? Non mi hai lasciato solo un momento?” chiese stupito. Mi limitai ad annuire, sentivo che stavo andando oltre con lui ma ero ancora in un punto reversibile. “Grazie… sei stata carina” sorrise. Continuava a guardarmi cercando di capire il perché di quei miei gesti, incrociammo lo sguardo per qualche istante poi guardai altrove. Mille domande iniziavano a invadere la mia mente, lui che cercava di leggere cosa pensassi e poi papà che mi aveva detto quelle cose, cercai di distrarmi. “Ti va una partita a carte?” chiesi sorridendo. “Si… mettiamo qualcosa in palio?” sorrise. Risi scuotendo la testa ma lui era serio. “Scusa, che vorresti mettere in palio?” “Un bacio!” esclamò sorridendo. “Sei pazzo? No…no e poi no” risposi alzandomi per andare a prendere un mazzo di carte. “Dai, un bacio alla francese! Se vinco io un bel bacio se vinci tu non facciamo niente, hai paura di perdere dolcezza?” disse gongolando e lanciandomi la sfida. “Se vincessi io tu la finisci di provarci…ci stai?” “Affare fatto!” esclamò sorridendo e pieno di se. “E non imbrogliare” dissi lanciandogli il fazzoletto in faccia e scoppiò a ridere. Andai a prendere le carte e tornai da lui mentre le mescolavo, misi il portavivande tra me e lui e ci misi le carte sopra, decidemmo che avremmo fatto tre round. Il primo lo vinsi io lo presi in giro per tutto il secondo round e lui mi sorrideva e mi guardava di sottecchi, vinse lui e si concentrò durante il terzo round, per quel round anche io mi concentrai ma vinse lui. “Credo che ora debba ritirare il premio!” esclamò sorridendo contento. Sembrava un bambino che aspettasse di scartare i regali di babbo natale, mi guardava e aspettava che io azzerassi le distanze per dargli il bacio che tanto aspettava. Avevo perso volevo trovare qualche scusa. “La sconfitta brucia ma vedrai che dopo il bacio andrà meglio!” esclamò sorridendo. Mi avvicinai e pagai il premio, iniziammo a baciarci lui mise la lingua e con le mani mi sfiorava la schiena per poi mettere una mano tra i miei capelli. Iniziai ad accarezzargli le braccia per poi abbracciarlo mentre ci continuavamo a baciare, quel bacio stava diventando qualcosa di più di un semplice premio. Iniziò a essere più caloroso, più coinvolgente forse stavamo recuperando il bacio che non ci eravamo scambiati l’altra sera in macchina. Mi staccai mordendomi il labbro. “Scusa ma ora devo andare!” esclamai, lui teneva ancora la mano trai miei capelli e cercava di farsi spazio dentro me. Non volevo lasciarmi andare avevo paura che alla fine mi avrebbe lasciata sola e io per l’ennesima volta mi ritrovavo a soffrire.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** un pranzo quel che ci voleva ***


Ero a casa per riposare un po’, tutto feci tranne che riposare. La notte passava lentamente e quando fu mattina ero già pronta per andare a lavoro ma prima passai in ospedale. Jack dormiva cosi sul comodino gli lasciai il cornetto e il caffè, sulla carta del cornetto gli scrissi: “Buongiorno! M.” Al dipartimento indagai sul caso che era accaduto il giorno prima. “Allora che hai scoperto?” chiese una voce maschile entrando nella sala autoptica. Mi voltai per vedere a chi avrei risposto, vidi Jack che sorrideva. “Ma che ci fai qui? Dovresti stare in ospedale a riposare e a tener d’occhio la ferita” “Mi tieni informato sul caso?” chiese come un bambino che chiedeva la brioche alla madre. “Si, appena so qualcosa ora vai!” “Comunque buongiorno M” sorrise e se ne andò. Indagai sul caso, feci le giuste indagini e iniziai a seguire la pista esatta. Se ne andarono un paio di ore ma ero vicinissima alla conclusione, ma ero anche vicina all’ospedale cosi andai per informare Jack e lui non c’era, aveva firmato le dimissioni e se ne era andato. Passai per casa sua per vedere se era lì, infatti mi venne ad aprire la porta. Appena mi vide sfoderò in suo bellissimo sorrise e si pulì le mani con uno strofinaccio. “Stavo preparando il pranzo, ti unisci a me?” si spostò da davanti la porta per farmi spazio. “Jack no, perché sei qui e non in ospedale?” “Che fai? Entri o fai credere ai miei vicini che sei la mia ragazza isterica?” domandò ridendo. “Scemo!” esclamai entrando. “Allora mi dici che ci fai qua?” aggiunsi. “Oggi riposo, domani vado al lavoro” rispose chiudendo la porta. Tornò alla sua cucina dove tagliava le verdure, Hook il suo cagnolino si avvicinò a me scodinzolando. “oh piccolo!” esclamai abbassandomi vicino a lui e lo coccolai “Scusa per ieri piccolo… non ho pensato a te!” Il cane avvicinò il muso alla mia faccia iniziando a leccarmi, mi faceva solletico cosi risi. “Allora ti fermi a mangiare con noi due?” chiese buttando le verdure in padella, c’era un ottimo profumino. “Hai informazioni del caso?” aggiunse girandosi verso me ed Hook che giocavamo, non prestai nemmeno attenzione a quello che diceva. “Hook bello lasciala stare… vieni a mangiare!” esclamò mettendogli la ciotola con la pappa sul balcone ed il cane corse da lui. Mi rialzai ricomponendomi. “Allora? Hai informazioni del caso?” domandò tornando a cucinare. “Jack ma tu non dovresti essere qui… tornai in ospedale… sei stato operato solo ieri” cambiai discorso. “No Megan… io non ci torno!” si difese. “Sto bene, sto anche cucinando quindi” aggiunse mentre sfumava con del vino quello che cucinava. “Ma dovresti stare sotto controllo… Jack non essere testardo!” “Ho imparato dalla migliore!” esclamò apparecchiando la tavola. Lo guardai e poi lo salutai andando alla porta, mi sentii afferrare per il braccio, anche con una ferita all’addome era veloce. “Per favore rimani a pranzo con me, mi sento solo!” disse guardandomi negli occhi, aveva uno sguardo dolce. Mi guardava ancora mentre mollava la presa, tornò ai fornelli per evitare che si bruciasse tutto. “Va bene, resto!” dissi andando da lui. “Posso lavarmi le mani?” chiesi poggiando la borsa sulla sedia. Mi diede le indicazioni per arrivare al bagno e le seguii, casa sua era molto ordinata, arredata molto bene e in stile moderno. Il bagno era tutto tra il bianco e il celeste, ogni accessorio era celeste come anche le asciugamani mentre le mattonelle e le piastrelle come i sanitari erano bianchi. Finii di lavarmi le mani e uscii dal bagno, di fronte c’era la sua stanza da letto con la porta aperta non resistetti a non entrare. Entrai e mi guardai attorno, c’erano due foto sul comodino mi avvicinai per vederle meglio, ad una c’era lui con la sorella le voleva tanto bene e invece nell’altra c’era lui con Hook. Tornai da lui che era concentrato ai fornelli. “Posso darti una mano?” chiesi mettendomi accanto a lui. Mi sorrise guardandomi poi leggermente scosse la testa. “Niente niente?” “Una cosa ci sarebbe!” esclamò sorridendo. “Dimmi, cos’è?” sorrisi. “Darmi un bacetto” sorrise divertito. “Non ne ho” sorrisi, mi guardò inarcando un sopracciglio. Finii di preparare e feci i piatti, ci sedemmo a tavola iniziando a dialogare di varie cose. “Perché non mi parli di tua figlia? Lacey giusto? Ti assomiglia ma è più docile di te” rise. “Lacey si, dici che è più dolce?” sorrisi. “No dolce, docile.. almeno non è ribelle come te altrimenti ora eri pazza” sorrise. “Come sei simpatico!” esclamai lanciandogli una mollica di pane sul naso. Scoppiò a ridere per poi mettersi la mano sulla ferita per poi limitarsi a sorridere. “Ti fa male? Dovresti tornare in ospedale” dissi dolce. “No… non mi piace stare lì, vedere le facce dei medici eccitati di vedere cose del genere e specializzandi che ti usano come cavie…” fece spallucce. “Mi stai offendendo!” esclamai seria. “Noi medici non siamo cosi e forse ora gli specializzandi sono cambiati ma all’epoca mia non eravamo cosi ci mettevano sul campo già con molte nozioni!” “Scusa, ma a parte mia sorella sembrano tutti degli idioti” “oh oh e come siamo di parte” risi lanciandogli un’altra mollica. “Dai, smettila… e come medici mi fido solo di te e Monica!” disse serio e si alzò sparecchiando. Lo guardai, pensavo volesse giocare e invece era diventato serio. “Non ti porto in ospedale, ti aiuto!!” mi alzai finendo di sparecchiare. “Come vorresti aiutarmi?” domandò guardandomi, mi avvicinai portando le cose nel lavandino. Con i tacchi ero alta quanto lui, i nostri sguardi si incrociarono per qualche istante. “Per ora sistemo io la cucina e poi ti tengo la ferita sotto controllo!” risposi aprendo l’acqua. “Sotto controllo? Come?” domandò insaponando le cose ed io le sciacquavo. “Medicandoti e vedere come va… un medico deve controllarti se non ti fidi di nessuno te la controllo io” risposi mentre con cura sciacquavo le stoviglie. Mi chiuse l’acqua e prese le mie mani, mi guardava negli occhi e in un gesto mi abbracciò stretta a lui. Mi teneva fra le sue braccia senza dire niente, mi diede un bacio sulla testa. “Grazie!” esclamò sciogliendo l’abbraccio. I nostri occhi si persero gli uni dentro gli altri e man mano le distanze si accorciavano, sempre di più fino a quando le nostre labbra non si unirono in un bacio. Mise le sue mani sui miei fianchi baciandomi dolcemente, misi le mie mani sulle sue braccia mentre ad occhi chiusi continuavamo a baciarci. Il bacio iniziò a surriscaldarsi, eravamo più stretti e in un colpo gli tolsi la maglietta per poi tornarlo a baciare, mi prese in braccio sedendomi sul piano della cucina. Avvolsi le mie gambe intorno alla sua vita lui dolcemente si muoveva, lo sentii stringersi ancora di più a me. In un colpo lo spinsi via scendendo dalla cucina. “Smettila di annebbiarmi la mente Jack!” esclamai ricomponendomi. “Ma…” mi guardava curioso senza aggiungere altro.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** il dopo pranzo ***


“Sei tu che mi hai tolto la maglietta, io non sto facendo niente” disse sorridendo. Mi guardava avvicinandosi sempre di più a me. Aveva ancora quel suo sorriso mentre lentamente si avvicinava come un leone che cercava di catturare la sua gazzella. “Ti odio!” esclamai. Sorrise facendo ancora qualche passo, io non riuscivo a muovermi o a scappare via lontano da lui, era a pochi centimetri da me. “No, tu non mi odi” disse quasi sussurrando. Quei suoi muscoli catturarono la mia attenzione, lui dolcemente iniziò a baciarmi il collo. Misi le mani sul suo dorso sfiorando quei muscoli ben scolpiti. Sembrava che il mio sogno stesse prendendo vita. Il suo tocco era dolce e delicato. “Jack!” esclamai in sussurro. Le sue labbra morbide e vellutate continuavano ad accarezzare il mio collo in un delicato bacio. “Non puoi con la tua ferita!” esclamai chiudendo gli occhi. “Tu credi?” chiese senza staccandosi molto dal mio collo e poco dopo sentii le sue labbra incurvandosi in un sorriso, immaginavo quel suo sorriso spavaldo. Continuava a baciarmi mi abbandonai a quel tocco, all’improvviso sentii sfiorarmi la schiena da sotto la maglietta. “Oh Jack! Ti prego!” esclamai sussurrando. Mi riferivo che doveva smetterla anche se in realtà non volessi. Alzò il viso guardandomi poi sfoggiò il suo sorriso. Aveva ancora le mani sotto la mia maglietta, mi sorrideva ancora e pian pianino fece salire le mani e sciolse il reggiseno. Lo guardai perdendomi nei suoi occhi. “Jack è… tanto che non lo faccio” ammisi. “Ci andremo piano!” esclamò sorridendo. Piano? Non dovevamo proprio farlo, non volevo che lui si sforzasse, non volevo cedere a quei suoi tocchi delicati. Le sue mani si muovevano sotto la mia maglietta accarezzandomi, misi le mani sui suoi polsi e tirai via le sue mani. Mi girai di spalle e mi allontanai allocciandomi di nuovo il reggiseno. “Ti prego… non voglio… non voglio che ti sforzi!” esclamai. Non erano neanche 48 ore che era stato operato e già voleva spaccare il mondo. “Non possiamo… tu… perché complichi sempre tutto?!” ero ancora di spalle verso di lui. “Io? Io non complico niente Megan.” Disse calmo. Mi girai verso di lui, era ancora allo stesso punto che mi fissava. “Megan… se non vuoi va bene non facciamo niente…ma voglio capire. Sei un cubetto di ghiaccio e l’attimo dopo un vulcano, che succede?” chiese premuroso e dolce. “Sono una donna complicata!” risposi. “Beh, lo vedo!” allungò un braccio. “Vieni qui, parliamo non ti bacio, promesso!” Esitai prima di avvicinarmi, poi mi avvolse in un abbraccio pieno di dolcezza. “Allora? Mi dici cos’hai?” chiese dandomi un bacio sulla testa. Rimasi in silenzio e lui non scioglieva l’abbraccio, in silenzio aspettava una qualche spiegazione. “Non ho niente, davvero” dissi poco dopo mentre respiravo il suo profumo. “Devo… devo controllarti la ferita” aggiunsi ancora fra le sue braccia. “Ok… va bene!” sciolse quell’abbraccio. Lo feci sedere sul divano e gli controllai la ferita e poi gliela pulii, misi il disinfettante e gliela coprii con il cerotto pulito. Mi tirò a sé facendomi sedere accanto a lui e in silenzio mi coccolava. “Ti aspetterò Megan!” esclamò dolce quasi in un sussurro. “Avrai tanto d’aspettare” lo risposi rimanendo vicino a lui. “Ho una vita a disposizione… non metterci troppo” “Io resterò qui fermo finché tu non vorrai stare con me “ aggiunse. Lo guardai cercando di capire il perché? “Perché io dovrei stare con te, tu come gli altri mi ferirai!” dissi in piena sincerità. “No, no io non lo farò… fidati di me!” continuò. “Io… io… non ci riesco!” dissi con qualche pausa. “Non ci hai neanche provato!” esclamò sorridendo. “Proviamoci” propose entusiasta. Ci guardammo negli occhi e lui aveva qualche sorta di potere, sembrava che volesse leggere i miei pensieri, volesse tradurre i miei mille pensieri di un secondo per capirci qualcosa, io dovevo fermarlo. Chiusi gli occhi istintivamente e mi staccai leggermente da lui riaprendoli. “Jack non posso, io non voglio” “Oh si che lo vuoi!” sussurrò dolcemente. Non sapevo neanche io cosa volessi e lui si. Aveva ragione però ma questa volta dovevo proteggermi. “Oh Jack smettila!” esclamai. Tornò con le sue labbra all’attacco, iniziò di nuovo a baciarmi il collo e contemporaneamente mi accarezzava la gamba, aveva il solito tocco dolce che usava con me. Iniziò a giocherellare con la sua bocca vicino al mio orecchio. “Sei uno stronzo!” esclamai abbandonandomi al suo tocco. “E ti piace cosi” sussurrò al mio orecchio per poi tornarci a giocare. La sua mano passò sotto l’orlo nel mio vestito continuando con il suo tocco leggero continuandomi a baciare, mi lasciai sopraffare da quel momento di poca lucidità, mi voltai e le nostre labbra diventarono un tutt’uno. Continuavamo a baciarci e lui a sfiorarmi con il suo tocco dolce e leggero, qualche istante dopo fummo travolti da pura passione. In quel momento di passione l'unica cosa che volevo era lui, l'atmosfera era calda, i nostri corpi nudi erano stretti l'uno all'altro, le mie mani accarezzavano la sua schiena nuda e i movimenti era dolci, sensuali e passionali, in grado di mandarmi in paradiso, era tempo che non provavo una passione così, mi abbandonai a lui, ero in balia di un mare in tempesta e la mia sola guida in quel momento era Jack.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2100676