Possiamo iniziare?

di shallwebegin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Un altro giorno ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

La pioggia contro il cemento fresco. Pioggia battente contro il cuoio delle scarpe,contro il cotone. Pioggia contro la pelle nuda. Camminava Lui,uomo libero e occupato allo stesso tempo. Vittorioso e afflitto. Legato ancora alle pesanti catene del passato da cui non riusciva a liberarsi. Dopo tanto tempo era riuscito ad escogitare un solo modo,un solo modo per essere libero veramente. Doveva farlo,il peso si faceva ogni giorno sempre più pesante,ogni giorno sempre più oppressivo,ogni giorno si sentiva sempre meno leggero. Nato sotto una cattiva stella. Era questa la sua vita. Era stato segnato anni prima che lui nascesse. Era segnato dalla nascita di suo padre. Era stato segnato dall’epoca. Era stato segnato da un concetto,una malattia quasi. Qualcosa di inarrestabile una volta ancorata nelle menti di uomini malati come i suoi avi. Ancora pioggia. Pioggia contro un delitto perfetto,contro una liberazione astratta e inarrivabile. Pioggia contro mani sporche di sangue. Il suo stesso sangue. Pioggia liberatoria. La pioggia cresceva,e la mente dell’uomo vagava verso la sua unica meta. D’improvviso,sirene. Sirene che lui stesso,a volte,aveva acceso. Sirene che lui stesso aveva acceso mentre guidava le strade bagnate di quella mattina. Ancora sirene,sempre più forti,sempre più vicine. Una maschera calò nuovamente nel suo volto,un nuovo atto doveva affrontare,e nemmeno in quella pioggia liberatoria poteva essere se stesso.

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Capitolo 2
*** Un altro giorno ***


                                   Un altro giorno
 
“Una realtà non ci fu data e non c'è, ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere: e non sarà mai una per tutti, una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile.


Nathan Jones la abbracciò. La ragazza dei suoi sogni finalmente era lì per lui e lui non se la fece scappare. Aveva tanto,troppo da dirle. Ma decise di dirle in due parole tutto ciò che lui pensava per lei. “Ti amo”. Si sentì più leggero dopo averlo detto,libero e spensierato come se quelle due semplici parole gli avessero impresso uno stampo indelebile nel cuore. Uno stampo pesante tonnellate che magicamente si dissolse in un nano secondo. Libero. Non gli importò cosa lei gli avrebbe risposto,l’importante,dopo tutto,era averlo detto. Essersi confidato e liberato da questo peso. SI staccò dall’abbraccio e le sorrise,lei sembrava quasi interdetta,come se le avessero dato un pugno nello stomaco. Una lieve ansia si fece spazio in lui,e dopo ansia,la disperazione. Si trovavano in uno degli innumerevoli café che circondavano Londra e che lui aveva visitato pochissime volte in vita sua. Lui preferiva la sua,di città. La città della storia della musica. Da lì partì il suo gruppo preferito. Quando ascoltava la raccolta di vinili iniziata da sua madre non poteva fare a meno di immaginarsi davanti la porta degli studio di Abbey Road. Si immaginava attorno tutta la calca di gente che urla,salta,gioisce per quello che è stato uno dei concerti più importanti nella storia della musica. Lui voleva essere lì e spesso rimpiangeva di essere nato in quell’epoca,dove un testo scritto da se e una semplice chitarra acustica sembrava non esserci più,e se c’era,non era poi così importante. Si sentiva fuori posto in quel mondo che andava ogni giorno sempre più veloce mentre lui non andava proprio, era fermo. A leggere,ascoltare e vedere storie di vite alla “moda”,al passo coi tempi. Qualche volta addirittura accompagnò suo padre e suo fratello a vedere i “Reds”, a visitare lo stadio di Anfield. Era affascinato da come la gente poteva essere attratta da 22 persone alla caccia di una palla. Li invidiava,gli spettatori. Invidiava suo padre,che per 90 minuti riusciva ad allontanarsi da tutto e vestire la maglia numero otto di Steven Gerrard,gettarsi in quella mischia di gente arrabbiata e speranzosa. A lui veniva molto difficile estraniarsi da tutto. A lui veniva difficile pensare ad altro,se non a tutto quello che leggeva sul mondo. Lui studiava la vita,ma non la viveva. Viveva la sua stessa vita come uno spettatore,ed era lo sbaglio più grande che potesse mai fare. Due cose lo appassionavano più di tutto: la musica e la cronaca nera. Amava cercare di capire quella gente malata,e molti erano stati i casi in cui non era riuscito a seguire il filo logico dell’assassino perché semplicemente non c’era. E in quei momenti si sentiva spaesato e abbattuto,quando pensava che una o più vite umane erano state stroncate dalla follia, quella malattia che lui temeva più di tutte. Era quel genere di cose che ti colpisce e non puoi farci nulla. Ti prende,ti porta con se e ti condanna all’abiura della tua stessa persona. Pensava a questo tutto il giorno. Passava così tanto tempo a pensare che si dimenticava di fare,di vivere. Ma la vita che lui preferiva era quella dei sogni da cui era stato appena distolto. Detestava quel suono fastidioso che lo svegliava ogni mattina. Pronto per un nuovo giorno non lo era affatto,non lo sarebbe mai stato ma doveva affrontarlo. Si alzò,muovendosi come un automa,percorrendo la strada che percorre ogni giorno a memoria. D’improvviso si fermò e si rese conto che era già arrivato in cucina e qualcosa lo colpì. Pioveva. La pioggia scrosciante contro i vetri lo svegli da quello stato di torpore e sgranò gli occhi. Sua madre e suo padre erano riuniti a tavola con il suo fratellino per la colazione,cosa che accadeva assai raramente dato che il padre usciva prima che lui svegliasse per andare a lavorare. “Ma cosa sta succedendo?”
Il suo fratello sogghignò “Mi prendi in giro? Un giorno l’anno e lo dimentichi?”
“Buon compleanno tesoro” Sua madre lo abbracciò e lo investì con tutto il calore e l’amore che solo una madre sa dare. D’improvviso si sentì un imbecille,chi in quel dannato mondo si sarebbe dimenticato del suo stesso compleanno? Da imbecilli.




Ancora pioggia. Rob Deaven  maledì quel giorno ancora prima che iniziasse. Le condizioni metereologiche, in un modo o nell’altro condizionavano il suo umore e sapeva già che quello non sarebbe stato un buon giorno. Sì alzo a fatica dal letto a due piazze per portarsi subito nell’angolo cottura del suo monolocale. Era tutto ciò che era riuscito a permettersi da quando era arrivato a Liverpool. Non era la casa che sognava, ma era riuscito ad entrare nelle forze di polizia e sperava di poter far carriera in quell’ambito. Sin da piccolo rimase affascinato da come gente comune mette la propria vita al servizio della comunità e della gente. Ammirava le forze dell’ordine e giurò solennemente a se stesso che, un giorno, sarebbe riuscito a farne parte. Ci riuscì e riuscì anche a farlo nella città che preferiva in tutta l’Inghilterra. Non aveva ancora perso la scarica di adrenalina che gli dava alzarsi dal letto sperando che proprio quel giorno avrebbero combattuto un temuto serial killer, uno di quelli che mettono in ginocchio i più intrepidi commissari di polizia, ma Liverpool è una delle città con minore tasso di criminalità in tutta Inghilterra, quindi distoglieva molto presto la sua mente da questi pensieri. Andò in bagno e il getto di acqua calda della doccia lo investì, pensava a come un altro giorno fosse alle porte e lui era lì per affrontarlo. Ultimamente si sentiva piuttosto solo, era riuscito ad ambientarsi bene e aveva molti amici fidati ma gli mancava sempre qualcosa, gli mancava sempre la scintilla che avrebbe potuto finalmente illuminare la sua vita. Il bello della polizia è che ti svegli la mattina e non sai mai cosa ti aspetterà dietro quella porta, ma devi essere sempre,pronto.



Vite. Innumerevoli vite passavano davanti i Suoi occhi, ogni giorno. Tante, troppe vite. Spesso avrebbe preferito poterla scambiare con qualcun altro, essere un uomo diverso, ma quella era la sua realtà: la vendetta.

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