I've Crossed The Oceans Of Time To Find You In This Circle Of Fear

di Diosmira
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Where Are You? ***
Capitolo 2: *** Serpent Ride ***
Capitolo 3: *** The Path ***
Capitolo 4: *** Angels Walk Among Us prt. 1 ***
Capitolo 5: *** Angels Walk Among Us prt. 2 ***
Capitolo 6: *** Täällä Pohjantähden Alla ***
Capitolo 7: *** If You Knew ***
Capitolo 8: *** Gods and Monsters ***
Capitolo 9: *** Are You Watching After Me prt. 1 ***
Capitolo 10: *** Are You Watching After Me prt. 2 ***
Capitolo 11: *** Are You Watching After Me prt. 3 ***
Capitolo 12: *** Dark Light ***
Capitolo 13: *** Secrets ***



Capitolo 1
*** Where Are You? ***









Where Are You?

 

    http://youtu.be/3uBMwI2VwcE 

 Heartache is knocking on her door
                                                                      Shadows dance outside her window
                                                                                        Tears keep falling on the floor
                                                                                         As the world around her crumbles


Chicago, Illinois. 1918


Lungo le vie di una città ancora addormentata risuonava incessante il rumore delle ruote della carrozza che lentamente percorreva quelle strade acciotolate.
La ragazza che si era assopita momentaneamente si svegliò bruscamente quando una buca fece traballare pericolosamente il mezzo, ma il cocchiere continuò imperterrito lungo la strada, affatto preoccupato, intento piuttosto ad evitare il sempre più crescente numero di automobili che ormai stavano lentamente prendendo possesso delle vie dalla città e che irritavano i cavalli con il loro motore scoppiettante.
Presto, si disse, non ci sarebbe più stato rispetto per quelle povere bestie e lui si sarebbe certamente ritrovato senza lavoro.
Ma quell'uomo non era certo l'unico ad avere la mente piena di preoccupazioni.
Erano già le sei del mattino ma il cielo era così oscuro da sembrare notte fonda: non c'era neanche una stella. In lontananza si sentiva il triste lamento di un cane.
Emily si chiese se per caso non fosse un cattivo presagio, ma scosse la testa cercando di non pensarci.

Aveva già abbastanza problemi senza che ci si mettesse di mezzo anche la superstizione.


Una settimana prima le era arrivata una lettera dall'ospedale di Chicago che la informava che "la sua famiglia" era stata ricoverata per aver contratto la spagnola.
Era una malattia difficile da curare e a quanto pare loro non avevano molte speranze di guarire.

Inzialmente Emily aveva voluto continuare a credere che si fossero sbagliati, che quella di cui la lettera parlava non fosse la sua famiglia;

in fondo gli ospedali di quei tempi erano sempre pieni zeppi ed era difficile identificare i malati, specie quando arrivavano privi di conoscenza.
Inoltre nell'Istituto in cui viveva, poco fuori dalla città c'erano un sacco di regazze che si chiamavano come lei, poteva benissimo aver recapitato la lettera di qualcun'altra!!
Ma quando i suoi non risposero alle lettere che aveva mandato per accertarsi che stessero bene cominciò a preoccuparsi.
Decise di partire a controllare di persona, ma essendo donna aveva dovuto aspettare che il direttore le accordasse il permesso di uscire.
Aveva dovuto aspettare per troppo tempo e adesso forse era troppo tardi.

 

                                                             L'Angoscia Sta Bussando
Alla sua porta
Le Ombre danzano
Alla sua Finestra

 

Quando la carrozza si fermò Albert corse ad aprirle la porta e la aiutò a scendere.
Lui era uno dei tanti servitori dell'Istituto in cui lei studiava e il direttore gli aveva ordinato di accompagnarla per ovvie ragioni:
"Sarebbe indecente per una ragazzina di appena sedici anni e ancora nubile girare da sola in una città così grande, ci serve un uomo che salvi le apparenze!" aveva detto.
Non che Albert fosse un uomo vero e proprio, aveva appena vent'anni e nonstante fosse un'età che indicava una certa maturità insisteva nel tenere atteggiamenti infantili che ne mettevano in dubbio la reale responsabilità.
Ma dopotutto era un ragazzo affidabile.

O almeno così Emily credeva.
Non appena ebbe messo piede a terra la ragazza sistemò meglio la gonna, sgualcitasi durante il viaggio, e si affrettò a raggiungere l'abitazione di famiglia.
Una volta dentro si rese conto che non c'era nessuno: la casa pareva disabitata da giorni, e non c'era nemmeno l'ombra dei domestici.
Ma Emily non se ne preoccupò, decise invece di organizzare la visita che avrebbe fatto ai suoi all'ospedale.
Nonostante le circostanze poco liete, era da troppo tempo che non si vedevano e lei non vedeva l'ora di riabbraciarli.
Aveva tante cose da racccontare, tante cose che voleva sapere.
Così si fece portare dei fiori da Albert e si preparò ad incontare la sua famiglia.  



**************************************************************


Non voleva crederci, ma erano loro. Aveva sperato ma si era ancora una volta illusa.
Sua madre era bellissima, così addormentata, i lunghi capelli legati in una treccia ramata, così pallida...
Non le fecero vedere suo padre: non era consigliabile, le dissero
Erano morti, le dissero.


 

                      Le Lacrime Continuano
A Cadere Sul Pavimento
Mentre Il Mondo Attorno A lei

Crolla


 

Dove sei Edward?






A.D.A (02/10/2014)
Avviso tutti i possibili lettori che ad ogni capitolo corrisponderà una particolare canzone che, in line di massima costituirà anche il titolo del capitolo stesso.
Per il prologo ho fatto una significativa eccezzione, anchè perchè ho inserito solamente una strofa della canzone.
La canzone citata in questo capitolo è:
- Circle of Fear, H.I.M.
Nel corso della storia noterete senz'altro che la stragrande maggioranza delle canzoni che citerò avranno a che fare con gli H.I.M, band finlandese che amo molto, e se la loro musica non vi piace potete tranquillamente ignorare ogni riferimento che farò loro.
Spero che non mi giudicherete per la musica che ascolto, ma che aprezziate le emozioni che voglio provare a infondere in questa storia.

Il titolo della storia fa riferimento a:
- Citazione del Dracula di Bram Stoker;
- La canzone "I've crossed oceans of wine to find you", H.I.M
- La canzone "Circle of Fear", H.I.M che è stata appunto utilizzata per questo capitolo.

Tutto ciò è stato detto puramente a titolo informativo.
No Spam.

Godetevi la storia e chiudete un occhio su queste amenità "burocratiche"!
*Diosmy*

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Capitolo 2
*** Serpent Ride ***








Serpent Ride

http://youtu.be/-ik-vPAMYYU

“That is not death which can eternal lie
And with strange aeons death may die”

 
Chicago, Illinois. 1918

Nonostante la confusione presente nell’ospedale, lo studio personale del Primario era piuttosto accogliente.
Lo spazio era ristretto ma rilassante: sembrava quasi impossibile che soltanto una porta proteggesse quel luogo dal dolore e dalla disperazione che regnavano fuori.
Una lunga scrivania color mogano ospitava una quantità infinita di scartoffie varie:
la maggior parte di queste contenevano i nomi delle persone che si erano rifugiate nella clinica con la speranza di guarire ma che non ce l’avevano fatta; altre, pochissime purtroppo, segnalavano le persone che invece avevano incontrato la salvezza.
Su entrambe le liste però mancava un nome : Edward Anthony Masen. 

- Com’è possibile che non sappiate dov’è!? Era sotto le vostre cure, voglio sapere che ne avete fatto! -

Emily prese un respiro profondo cercando di calmarsi. Non che fosse facile, aveva appena scoperto di essere completamente orfana da ben due giorni e l’unica persona sulla quale ora riponeva le sue speranze era scomparsa!

D’altro canto lei era soltanto una ragazzina e non poteva permettersi di perdere il controllo e fare scandali.

- La prego signorina Masen di ascoltarmi bene. – disse serio il Primario.

Era un uomo sulla cinquantina, ma la stanchezza degli ultimi giorni lo avevano provato molto.
Discuteva con quella giovane ragazza ormai da mezz’ora e, nonostante le facesse pena, non poteva permettersi di indugiare ancora; aveva del lavoro da fare e lei gli aveva fatto perdere fin troppo tempo!
 - Mi rincresce doverle recare un ulteriore dolore, ma deve capire che questi sono tempi difficili. Qui i malati arrivano come mosche e altrettanti ne escono morti! Non abbiamo i mezzi per controllarli tutti, è molto probabile che suo fratello sia morto e deve farsene una ragione!
Ora mi scusi ma devo proprio andare - Fece per uscire dallo studio ma la ragazza lo fermò ancora:

- Per carità dottore, se anche fosse  ...morto vorrei almeno sapere dove è stato condotto il c.corpo ..per favore, non c’è un modo per scoprirlo? -

Emily parlava trattenendo le lacrime: era straziante parlare di Edward in quei termini, ma se davvero se n’era andato anche lui, lei doveva vederlo.
Il Primario sospirò e ritornò alla scrivania, prese un foglietto pulito e vi scrisse qualcosa mentre Emily lo fissava. - Tenga, è l’indirizzo del dottor Cullen, è stato lui a denunciare la morte di sua madre. E’ un dottore brillante, sono sicuro che saprà darle delucidazioni riguardo a quanto è successo a suo fratello -

 - La ringrazio di cuore dottore! -

La ragazza, commossa, gli strinse la mano con un sorriso triste ma fiducioso.
 
Un altro sospiro uscì dalle labbra del medico.
“spero soltanto che Carlisle non deluda questa povera bambina” pensò.
Poi, mentre l’accompagnava all’uscita disse: - Mi raccomando, faccia attenzione e si riguardi. Il dottore di cui le ho parlato manca da un paio di giorni, temo si sia ammalato -

- Non si preoccupi, farò attenzione. Arrivederci! -

Così dicendo Emily si affrettò a raggiungere la carrozzina dove Albert la stava aspettando.
Poco lontano, il Primario sperò di non doverla più rivedere tra le mura di quell’ospedale.

"Non c’è morte che possa mentire in eterno
e tra miliardi di anni anche la morte potrebbe morire"

Prima di andare a cercare il dottor Cullen, Emily decise di tornare a casa.

Dovevo sistemare le carte per il funerale dei suoi genitori.
Non aveva nessuno da invitare, nessuno che potesse condividere il suo dolore.. e poi doveva trovare Edward.
Non nutriva molte speranze, infondo erano già passati due giorni dalla sua scomparsa.
Sapeva che se davvero era morto, probabilmente era già stato seppellito… magari in una fossa comune.
Cercò di scacciare quei pensieri dalla mente e andò a farsi un bagno.
Emily Mary Masen, hai passato una pessima giornata!
E mentre l'acqua bollente della vasca si scontrava sulla sua pelle, piangeva.
Mamma.. Papà.. Ed..   non aveva visto nessuno di loro per ben tre anni, da quando era stata mandata in quello stupido Istituto!
Nessun sorriso, nessun abbraccio... Niente! Solo lettere e parole buttate al vento!
La realtà dei fatti le tolse il respiro quando realizzò che davvero, era sola.

But a cold heart is a dead heart
And a deserted soul is gone

 
Forks, Washington. 2006

Era una sera di festa in quella casa, ma ormai nessuno aveva voglia di festeggiare.
Qualcosa era decisamente andato storto, ma del resto è una cosa più che naturale che vi siano catastrofi quando un’umana si unisce a Vampiri.
Creature molto insolite, i vampiri. Sono esseri mostruosi, assetati di un sangue che ormai nelle loro vene non scorre più. 
Senza anima, bramano la vita più di chiunque altro.
Eppure avvolte anche ciò che sembra essere immediato e autentico riesce a sorprendere la Natura, e questi vampiri particolari sono pipistrelli che giocano a fare le colombe.
 
Ma colui che ha permesso che ciò accadesse, lo stesso che ora, in una bella cucina luminosa si sta prendendo cura di una ragazza umana ferita,
Lui che è stato il primo a cambiare, ha commesso un piccolissimo errore.
Un errore destinato a cambiare le vite di molte persone e forse anche la sua.
 
Mentre Carlisle puliva la ferita di Bella, decise di raccontarle come fu la trasformazione di Edward. Pensava potesse esserle utile per capire come mai la trasformazione fosse per loro un argomento così delicato.
Ricordò il clima angosciante dell’ospedale, l’atmosfera opprimente di morte.. e poi la famiglia Masen.
Una preghiera, una supplica delirante lo avevano convinto a compiere un gesto che per secoli aveva evitato e temuto.

- Non mi sono mai pentito di aver salvato Edward - le disse - Le circostanze erano a mio favore: l’ospedale era pieno di morti e di malati, più morti che malati, nessuno poteva accorgersi della sua assenza. Inoltre i suoi genitori erano morti e lui era rimasto solo. Non mi sento in colpa per quello che ho fatto -
Carlisle finì di parlare con un sospiro nostalgico.. e rammaricato.
 
Perché Lui sapeva di aver mentito, perché la sua prima vittima non era sola.

Ma un cuore gelido è un cuore morto
E un'anima abbandonata è perduta

 

Chicago, Illinois. 1918

Erano le quattro del pomeriggio quando Carlisle, con il suo fine udito, sentì qualcuno indugiare davanti alla porta di casa sua.
Si alzò cauto dalla sieda sulla quale era seduto per vegliare meglio sul ragazzo.
Edward.. temeva che qualcuno avesse sentito le sue urla incessanti.
Erano giorni che lo guardava impotente, ma capiva che la trasformazione stava andando avanti grazie al ritmo decelerato del suo cuore.
Aveva smesso di gridare solamente da poche ore, ma ancora non dava cenni di ripresa. Lento, il cuore batteva ancora, a singhiozzi: ormai è questione di minuti pensò.
 
Toc Toc. Chiunque fosse là fuori, si era deciso a bussare.
Il vampiro andò ad aprire la porta, pregando affinché il ragazzo non ricominciasse ad urlare nel momento meno opportuno.
Ciò che vide una volta uscito di casa lo registrò nel suo cuore gelido come una ferita non rimarginabile
Fuori dalla sua abitazione lo aspettava una ragazzina minuta dai lunghi capelli ricci ramati. Aveva gli occhi dannatamente verdi!
Non poteva avere più di diciassette anni, e il sospetto di chi potesse essere gli martellò il petto con fitte dolorosissime che mai avrebbe pensato di poter sentire.
Bum---Bum----BumBum----Bum
Si fissarono per alcuni secondi, entrambi avevano la morte e l’angoscia nel cuore. Poi la ragazza parlò:

- Lei è il Dottor Cullen? -

- Sì e lei? -

La ragazza gli sorrise, e senza sapere quanto dolore gli stava infliggendo rispose:

- Mi chiamo Emily, Emily Mary Masen. Sono la figlia di Elizabeth e di Edward Masen. Non sono sicura che se li ricordi, ma mi hanno detto che li ha seguiti lei..-

Carlisle annuì tristemente
Bum-Bum----Bum--------

- Certo che li ricordo, mi dispiace molto, non avevo idea che avessero anche una figlia -

Non lo sapevo…
La ragazza abbassò il capo qualche secondo, ma si riprese quasi immediatamente.

  • È per questo che sono qui. Mio fratello. È sparito dall’ospedale, mi hanno detto che forse lei può aiutarmi. La prego, voglio solo sapere se è vivo, e se è morto vorrei sapere dove l’hanno.. portato! -
    Le guance della ragazza si colorarono per la forza con cui disse quelle parole.
    Carlisle.. cosa hai fatto?

     

    E mentre il cuore della giovane ragazza correva impazzito in cerca di una vaga speranza, a pochi passi da lei, silenzioso, un altro cuore..
     
    Bum---bum-b—bum-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

.. cessava di battere.


Il vampiro scosse la testa:

- Mi dispiace tanto, Emily - pronunciò il suo nome con calore e dolore

- Non posso fare niente per te -

Poi le chiuse la porta in faccia, lasciandola in lacrime sotto casa sua.
Quando si mise a gridare e a colpire la porta con pugni e calci, fece finta di non sentire.
Non posso fare più niente. Edward ora ha soltanto me. 







A.D.A (02/10/2014)
Le canzoni citate in questo capitolo sono:
- Serpent Ride, H.I.M
- Buried Alive By Love, H.I.M

Spero che il capitolo vi abbia coinvolto come ha fatto con me durante la sua stesura.
Buona lettura
*Diosmy*


 

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Capitolo 3
*** The Path ***








The Path

Quando ripenso a quei giorni, vorrei non illudermi che sono stata abbastanza forte.
So perfettamente che avrei potuto fare di più.. o anche no, dipende dai punti di vista.
Di certo avrei potuto fare di più per me, per salvare ciò che di puro mi rimaneva.
Avrei dovuto lasciare che il tempo dissipasse i dolori e le amarezze, la tristezza e la delusione;
Col tempo avrei riempito tutti i vuoti di esperienze nuove, gioie, amori.
 
Ma sentivo di non poter vivere nel dubbio, atroce sofferenza in cui temevo di annegare.
Ho creduto di essere più forte, capace di riportarlo indietro lottando con gli artigli e con i denti.
Ma ero solo sola  e.. avevo paura di annegare.
Così ho ucciso il tempo e mi sono immersa a fondo in questo vuoto e ne ho fatto la mia casa.
Ho scelto il mio cammino e sono precipitata in un burrone.

 
 

  youtu.be/w7eYH6IRRow
There is no turning back
From this unending path 
…of mine 
Serpentine and black 
It stands before my eyes
To hell and back
It will lad me once more
It's all I have
As I stumble 
In and out of grace

 
Non c’è ritorno 
Da questo mio sentiero 
senza fine
Sinuoso e nero 

Si estende davanti ai miei occhi
All’inferno e ritorno 

Mi guiderà ancora una volta
E’ tutto ciò che ho 

Mentre inciampo 
Dentro e fuori la grazia

  
Chicago, Illinois. 1918
 
(Emily PoV)
 
Non so spiegare cosa si prova quando scopri che ogni speranza è stata vana, che tutto ciò che in pochi giorni era riuscito ad impedirti di crollare a terra non era altro che polvere battuta dalla pioggia in una via semi isolata di Chicago.
So soltanto che anche se il mio mondo era a pezzi, paradossalmente più di prima, e ogni singolo atomo del mio corpo era vicino all’autocombustione non riuscivo a pensare ad altro che non fosse la maleducazione di quel dottore tanto carino quanto insensibile.
 
Nella mia mente vorticavano miriadi di pensieri che si fissavano ciascuno in maniera diversa in quella direzione, in un delirio confuso di lacrime e maledizioni.
Non so esattamente quando fu che presi la decisione di abbattere quella porta, né quale tra le mie sensazioni  fece scattare in quella scintilla rabbiosa.
 
Fatto sta che un attimo prima fissavo quel pezzo di legno sorpresa e inebetita, quasi fosse la prima porta che mi abbiano mai sbattuto in faccia, e l’istante successivo la stavo tempestando di pugni, calci e urla decisamente poco consueta ad una signorina della mia classe.
Se anche quel pensiero mi avesse davvero sfiorata, vogliamo mettere la classe allo stesso livello della mia giornata? Insomma anche nel delirio più completo sono giustificata.
 
Mia madre me lo diceva sempre che ho un portamento invidiabile, sempre, in ogni circostanza.
Quindi so che anche ora, nonostante i capelli disordinati, l’abito indecentemente scomposto e l’atteggiamento sopradescritto, lei sarebbe fiera di me;  giusto mamma?

I walk through the gardens 
of dying light
And cross all the rivers 

deep and dark as the night
Searching for a reason 

why time would've passed us by

 Cammino tra i giardini 
Dalla luce morente
E attraverso fiumi 

Profondi e scuri come la notte
Cercando una ragione 

Al tempo che ci passa oltre

 

 Chicago, Illinois. 1918
 

(Carlisle Pov)
 
Mi sedetti. E aspettai.
Che lui si svegliasse. Che lei se ne andasse.
Che deve fare un uomo per scampare alla legge homo homini lupus?
Possibile che ogni dannata azione buona che io voglia compiere debba rivelarsi un completo disastro?
Se dovessi riassumere gli ultimi giorni con una parola non farei neanche fatica a trovarla: dolore.
Quello dei malati all’ospedale, quello delle famiglie che hanno perso i loro cari, quello che io ho procurato;
a questo ragazzo, che sicuramente avrebbe sofferto meno morendo inconsciamente;
a quella ragazza, che non avrà nemmeno il cadavere su cui piangerlo.
Sembra che qualunque cosa io faccia per combattere la mia natura, questa trovi sempre un modo per riemergere e recare dolori.
Se soltanto Elizabeth non mi avesse fatto quella richiesta… assurda!
No, non avrei dovuto agire comunque, tant’è che non ero neppure certo che avesse davvero scoperto ciò che sono.
Povera ragazza.
Guardai il ragazzo, Edward, disteso immobile davanti a me, e pregai qualunque angelo avesse la pazienza di ascoltare un demone come me, che al suo risvegio non ricordasse niente di sua sorella.
Era meglio così: avevo appena trascinato lui in una lunga esistenza fatta di repressioni e sangue, ma insieme avremmo potuto tenerci quella ragazza lontano.
Il tempo avrebbe cancellato per sempre ogni suo più vivido ricordo, e il dolore di quella giovane ragazza avrebbe presto trovato conforto lungo il breve corso della sua vita.
O almeno questo credevo.

 With every step I take 
the less I know 
myself
And every vow I break 

on my way 
towards your heart
Countless times I've prayed 

for forgiveness
But God's just laughed at my face
And this path remains 

leading me
 into solitude's arms 

Ad ogni passo  
conosco meno me stesso
E ogni voto che rompo 

sul mio cammino 
concerne il tuo cuore.
Innumerevoli volte 

ho chiesto perdono
Ma Dio mi ha solo riso in faccia
E questo cammino resta, 

conducendomi

tra le braccia della solitudine
 

Chicago, Illinois. 1918
 
(Emily PoV)

Mi arresi senza quasi rendermene conto, minuto dopo minuto i miei colpi si fecero meno decisi, le lacrime meno insistenti e la testa troppo pesante per poterla sorregere con le mie sole forze. 
Così, con un singulto mezzo soffocato, mi appoggiai stancamente al muro che affiancava quella maledetta porta e sospirai.

Quando la disperazione vince, ti consuma. Ma è davvero una vittoria quando è la vittima a pregare il mietitore? È dolce lasciarsi cullare dalle maree, trasportare dal vento lontani da ogni forma di dolore.
Qualsiasi uomo vivo che abbia sofferto anche in minima parte un sentimento simile concorderebbe con me quanto sia difficile fuggire agli artigli della depressione per andare a cercare sotto il più insignificante dei sassolini una misera ragione per continuare a soffrire la vita. Perché la vita, ora lo so, è un’agonia insaziabile.
 
Giunti a questo punto ormai, cos’è che mi spinge in questo momento a voltare le spalle a quella casa muta, a quel dottore che ha avuto le vite di tutte le persone a me più care tra le mani e le ha lasciate andare?
L’orgoglio? E per cosa? La mia battaglia l’ho già persa.
Quell’uomo bello come un angelo poteva portarmi in paradiso con un dito, ma aveva scelto di chiudermi le porte della salvezza.
 
Tralasciando tutti questi discorsi drammatici, la verità è che avevo appena abbandonato mio fratello a marcire in una squallida fossa comune lontano dalla nostra famiglia.
A conti fatti a lui era toccata una sorte ben più misera della mia, ed  io che egoisticamente avevo scelto di arrendermi non avevo certo il diritto di lamentarmi. Dovevo portare rispetto alla mia esistenza.
 
Così dopo un’inutile ora passata a disperarmi sulla porta di casa di un povero dottore che con ogni probabilità non voleva essere scortese – ero quasi certa che fosse malato, pallido com’era – mi ricomposi e mi allontanai sotto la luce morente del sole.
Avevo appena svoltato l’angolo, a pochi passi dalla mia carrozza, quando una grossa mano mi ricoprì la bocca impedendomi di gridare.
Quando, incurante delle braccia che mi trascinavano lungo le vie poco luminose della città, mi sentii svenire e le figure difronte ai miei occhi cominciarono a perdere di significato, solo allora mi concessi di pensare:

Che giornata di merda!                                                                                 

 

I see through the darkness 
my way back home
The journey seems endless 

but I'll carry on
The shadows will rise and 

they will fall
And our night drowns in dawn

 

Vedo attraverso l'oscurità 
La via di ritorno verso casa
Il viaggio sembra senza fine 

ma andrò avanti
Le ombre 

sorgeranno e cadranno
E la nostra notte annega nell'alba

Chicago, Illinois. 1918
 
(NP PoV)
 
L’aveva sentita e riconosciuta nel momento esatto in cui aveva messo piede in citta.
Era una ragazza, era bella e aveva 16 anni.
Ma cosa più importante: era sola e aveva un legame particolare con uno dei loro, uno nuovo.
Era coraggiosa e di buon cuore, sapeva che avrebbe accettato qualunque cosa pur di entrare in contatto col fratello.


Dunque così, dopo cent’anni avrebbe potuto ricominciare la sua battaglia, ora sapeva che avrebbe avuto una degna rivale.
O compagna.

Sorrise, quando la vide farsi coraggio, quando la vide piangere, e quando la vide impazzire davanti a quella porta, a pochi passi da colui di cui cercava disperatamente il cadavere!
Era una ragazzina davvero interessante.. in pratica non vedeva l’ora di avere a che fare con lei personalmente.
Ma il sole ormai stava tramontando, e se l’aveva sentita lui, sicuramente l’avevano sentita anche loro. Presto sarebbero venuti a requisirla, e non aveva proprio voglia di litigare con degli stupidi cagnolini quel giorno.. così le lanciò un’ultima occhiata, e mentre lei, ignara del suo destino, cominciava ad allontanarsi da quella triste via, lui sigaretta in mano prese la direzione opposta, fischiettando un motivetto certamente inquietante.

Presto, le loro strade si sarebbero incrociate.

E con un pò di fortuna, non si sarebbero più separate.
 

Amidst all the tears there's a smile
That all angels 

will greet with an envious song
One look into stranger's eyes 

and I know where I belong
 
Tra tutte le lacrime c'è un sorriso
Che gli angeli accoglieranno

 con una canzone d'invidia
Uno sguardo negli occhi di uno sconosciuto

 e so dov
’è che appartengo








A.D.A (02/10/2014)
La canzone citata in questo capitolo è:
- The Path, H.I.M.
L'immagine l'ho presa da Google Immagini.

Buona lettura
*Diosmy*


 

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Capitolo 4
*** Angels Walk Among Us prt. 1 ***








N.d.A I Dialoghi in corsivo sono stati presi parola per parola dal romanzo “Twilight” cap. 14 e 15.

Angels Walk Among Us

Only you can heal inside, 
Only you can heal your life
Forks, Washington. 2005
(Edward Pov)
<< Mettimi alla prova >>
I secondi passavano e Bella continuava a fissarmi in cerca di risposta.
La studiai, cercai nei suoi occhi la certezza che avrebbe potuto affrontare anche questo argomento senza poi fuggire via da me.
Il sole aveva ormai iniziato la sua discesa e colorava lo studio di Carlisle di una lieve sfumatura arancione. Mille splendidi colori che gli occhi di lei non potevano afferrare.
Pensai che aveva comunque il diritto di conoscere almeno in parte la verità, e se poi avesse davvero deciso che era troppo, buon per lei.
<< Sono nato a Chicago ne 1901 >> la guardai, accertandomi che non ne fosse rimasta troppo scandalizzata, poi continuai.
<< Carlisle mi trovò nel 1918. Avevo diciassette anni e stavo morendo di Spagnola >> ebbe un sussulto al pensiero della mia morte, ma io decisi di proseguire, registrando sempre e comunque ogni sua minima reazione. Non volevo esagerare, anche se intimamente mi intenerii difronte alla sua preoccupazione per me.
<< Ho qualche ricordo vago… è stato tantissimo tempo fa, e la memoria umana tende a svanire >>. Persino il viso di mia madre, che un tempo rappresentava una delle mie innumerevoli certezze, era stato sconfitto dal tempo. Mi rimaneva soltanto il ricordo sbiadito della sua voce, limpida e debole, che pregava Carlisle di salvarmi la vita. A dire il vero dubitavo pure che fosse un mio ricordo. Molto probabilmente erano soltanto alcune immagini che avevo colto dai pensieri del mio “salvatore”. Riportai alla mente le mie ultime sensazioni da umano: il volto di Carlisle, sofferente, molto probabilmente in preda al panico, il dolore, tremendo, che mi tenne incosciente per molte ore.
<< Però ricordo bene quello che provai quando Carlisle mi salvò. Non è una cosa facile; è impossibile da dimenticare >>.
<< E i tuoi genitori? >>
<< Erano già stati uccisi dal morbo. Ero rimasto solo. Perciò Carlisle scelse me. Nel caos dell’epidemia, nessuno si sarebbe accorto della mia scomparsa >>.
Al quarto giorno dalla mia trasformazione eravamo già lontani da Chicago. Carlisle voleva assicurarsi che non ci fossero umani nei dintorni al mio risveglio. Sapevo con certezza che voleva tenermi lontano da quella città e da tutto ciò che avrebbe potuto ricollegare il nuovo Edward a quello vecchio.
Nonostante mi avesse ormai spiegato che la Spagnola aveva strappato la vita alla mia famiglia, continuava a dire che potevano ancora esserci persone in grado di riconoscermi. Inoltre non era saggio lasciare che un neonato vivesse in un città piena di “tentazioni” come Chicago.
Non tornai mai più nella mia città natale. Non con Carlisle almeno.
Ci trascorsi un paio di notti durante il mio periodo di “ribellione”.
Non fu molto tempo, di fatto mi ripudiava l’idea di mietere vittime nella mia città, benché niente ormai mi legava ad essa.
<< Dal giorno della mia rinascita >>, mormorai, << ho avuto il vantaggio di poter leggere nel pensiero di chiunque mi si trovasse vicino, umano e non umano. Perciò mi occorsero dieci anni per sfidare Carlisle: vedevo la sua sincerità immacolata e capivo perfettamente cosa lo spingesse a vivere così >>.
Non mi ci volle molto per capire che il mio comportamento era scorretto e, per quanto io potessi credere alle mie buone intenzioni, mostruoso.
Ero divenuto un assassino per pura curiosità, rinnegando la vita molto più pulita che mi era stata offerta, nonostante il dono derivasse dalla stessa persona che per certi versi aveva contribuito a togliermela.
Ma Carlisle mi fece capire che ero ancora in tempo per redimermi, ridimensionare le innumerevoli colpe che avrei sicuramente compiuto nel corso della mia interminabile esistenza.
Così tornai da lui come il figliol prodigo e come lui fui accolto amorevolmente. Mi fidavo di lui e sapevo che ci sarebbe sempre stato per me, proprio come un padre.
Non ho mai sospettato che avesse potuto mentirmi.
Solo tu puoi guarirti dentro,
Solo tu puoi guarire la tua vita
 
Chicago, Illinois. 1918
(Emily Pov)
It must have been an angel
Who counted out the time
Yes it must have been an angel
Who raised a knowing smile
And I just couldn't reach you 
No matter how i tried
No I just couldn't reach you 
So instead i ran to hide
Sentii le voci prima ancora di aprire gli occhi.
C’erano almeno tre persone nella stanza che discutevano animatamente, ma non distinguevo bene le parole.
Una era sicuramente una donna, e dal tono che stava usando immaginai che fosse irritata.
Buffo come in stato di shock le persone riescano ad essere più lucide  del solito e si fissino in particolari apparentemente insoliti che non c’entrano nulla con la loro reale situazione;
insomma ancora oggi se ripenso a quel momento riesco a visualizzare perfettamente l’oscurità che penetrava attraverso le mie palpebre abbassate venire dissipate da  quelle voci sconosciute.
Ricordo l’aroma di lavanda e limone che profumava l’ambiente.
Lavanda e limone: odore confortante e al contempo indizio interessante, considerato il fatto che mia madre ha sempre usato questo tipo di incenso profumato per dissipare gli odori disgustosi che dalla strada si riversavano in casa.
Non appena sentii i passi che uscivano dalla stanza provai ad aprire gli occhi; fu uno shock, non soltanto per il fatto di scoprirmi veramente a casa mia, ma anche per aver potuto aprire gli occhi!
Nel mio vortice di amara negatività mi davo già per morta, o per lo meno mi aspettavo di ritrovarmi bendata, legata e imbavagliata in qualche luogo sconosciuto e imputridito.
Invece scoprii di essere comodamente distesa sul mio vecchio letto, nella mia vecchia camera situata al terzo piano della villa dei miei genitori.
Come posso dirlo senza essere troppo prolissa e ripetitiva?
Ero profondamente shockata.
 
All‘ Istituto avevo imparato come gli antichi greci evitassero di porre i letti in direzione della porta d’entrata, in quanto lo ritenevano un invito per l’anima di lasciare il corpo.
Ricordo che presi la questione così seriamente da spedire una lettera a mia madre affinché cambiasse la disposizione delle camere.
Ma la mia famiglia non è mai stata gente superstiziosa.
Così quando, ripeto, riuscii nel pieno del mio stupore a sollevarmi dal letto e ad aprire gli occhi mi ritrovai a fissare ebete la porta in legno massiccio leggermente socchiusa.
Sentivo chiaramente le voci provenire al di là della porta, non le riconobbi ma non mi parvero pericolose.
Insomma mi avevano riportato a casa mia.
Sicuramente mi ero immaginata tutto il rapimento.
Dovevo essere svenuta per la tensione accumulata durante la giornata.
Probabilmente Albert, che ovviamente mi aveva accompagnata non vedendomi tornare alla carrozza si è preoccupato ed è venuto a cercarmi.
Deve avermi trovata per terra e avrà chiesto aiuto.
Dio che figura!
Non mi sono mai piaciute quelle signorine che non perdono mai occasioni per svenire ovunque capiti!
D’altronde se anche fossi svenuta davvero, io mi ritenevo più che giustificata dopo tutto quello che avevo passato.
Nonostante tutto avevo una gran brutta sensazione che non riuscivo a scrollarmi di dosso:
insomma io urlo, mi strappo i capelli e scoppio a piangere in certe situazioni, ma mai, dico mai ho osato svenire in mezzo alla strada.
Inoltre il ricordo di quella mano, l’odore del tabacco che emanava.. non posso essermelo inventato!
 
Presi un respiro e prima di sollevarmi in piedi mi accertai delle mie condizioni fisiche.
Sembrava tutto a posto, escludendo il fatto che ora indossavo una veste da notte.
Andai verso il piccolo balconcino che dava sul giardino interno, circondato da un portico bianco e dotato di un piccolo orto, da sempre curato dalla mia vecchia balia. Si chiamava Neste, era di colore ed era morta quattro anni prima, poco prima che io partissi per l’Istituto.
Erano dunque quattro anni che vedevo la mia famiglia solo due mesi all’anno, per i festeggiamenti di Natale e quelli estivi.
Erano due anni che sentivo mio fratello unicamente per lettera, dato che passava le feste con i suoi compagni.
Un gruppetto scapestrato che né io né mia madre abbiamo mai sopportato: erano ossessionati dalle armi e dalle “gioie” della guerra. Avevano convinto Edward ad arruolarsi quando avrebbe raggiunto l’età di leva: non vedeva l’ora di “servire il suo Paese!”
Mentre fissavo il cielo stellato mi domandai se fosse il caso di essere così disperata per la perdita di una famiglia che in fondo non avevo mai avuto.
Mi chiesi se nei loro ultimi momenti avessero pensato anche solo per un istante a me.
Mi lasciai stupidamente sfuggire qualche lacrima, ma decisi che forse, per qualche misero istante, valeva la pena restare aggrappata ai miei ricordi di bambina, quando ero tutto per tutti e credevo che nessuno mi avrebbe mai abbandonata, nemmeno con l’illusione di concedermi una vita migliore.
Tra pochi mesi avrei compiuto diciassette anni, per qualche giorno avrei avuto la stessa età di Edward. Sono sempre stati i giorni migliori dell’anno.
Anche quando ero all’Istituto, in quei giorni sentivo mio fratello più vicino che mai.
Per l’affetto che ho sempre nutrito per lui, e che sono certa lui sentisse per me, sentii che era giusto muovere mari e monti pur di ritrovarlo: non lo avrei mai abbandonato, ero disposta a qualunque cosa.
 
Sospirai, mi asciugai le lacrime e mi preparai a scoprire chi c’era dietro alla porta. Le voci si erano affievolite, sicuramente si stavano dirigendo al piano di sotto, probabilmente nelle cucine.
Approfittai del fatto che, chiunque fossero, si stessero allontanando per cambiarmi d’abito.
Non potevo certo presentarmi così!
Indossai un vestitino leggero, uno di quelli confezionati da mia madre, di un verde opaco che in qualche modo metteva in risalto il colore dei miei occhi.
Non era una veste affatto vistosa, “perfetta per stare in casa e fare buona figura con gli ospiti, ma assolutamente inadeguata per uscire a fare compere” così l’aveva definita mia madre quando me l’aveva donata, sempre ligia ai criteri della moda e di ogni altra cosa designasse una donna di “buon gusto”.
Raccolsi i capelli in uno chignon delicato, come piaceva tanto a Edward.
Siamo sempre stati una famiglia semplice, benestante ma di ben poche pretese.
Sapevo che ogni giorno della mia vita qualsiasi azione avrei compiuto sarebbe stata la dimostrazione che nelle mie vane scorre il sangue Masen, che ero figlia di mio padre e di mia madre, che ero sorella di Edward.
Per questo sarei riuscita a trovarlo, vivo o morto che fosse, perché avevamo un legame che niente poteva spezzare.
 
Sorrisi, pensando che, forse, mi stavo spingendo un po’ troppo in là coi pensieri e che sicuramente il mio cervello era ancora sotto shock.
Insomma chiudete gli occhi e provate a visualizzarmi:
immaginate una ragazza seduta sulla larga scrivania alla destra del letto a una piazza e mezzo di camera sua; immaginatevela mentre armeggia con i suoi capelli: prende una ciocca, la arrotola intorno all’orecchio e… la lascia cadere e si ferma a pensare. Poi si riscuote riafferra la ciocca e la ferma alla testa con una spilla. Poi tenta di fare la stessa cosa con un'altra ciocca, ma tutt’a un tratto si ferma… e torna a pensare.
Insomma i miei pensieri cominciavano a sfuggire al mio controllo mentale!
Se non fosse stato così triste immagino che sarebbe stato quasi divertente.
Deve essere stata un angelo
Che ha contato il tempo
Sì, deve essere stato un angelo
Che ha sollevato un sorriso conosciuto
E non riuscivo a raggiungerti
Non importa quanto avessi provato
No non riuscivo a raggiungerti
Così, invece sono corso a nascondermi
 
Ad ogni modo mi riscossi ed uscii di camera mia, andando incontro ai miei ospiti (che non avevo invitato, tra l’altro).
Li trovai, come avevo previsto, in cucina che discutevano ancora animatamente, ma ancora non capivo cosa si dicessero.
Mi resi conto solo allora che non parlavano l’inglese.
Erano tre uomini e una donna, sedevano attorno al tavolo con aria preoccupata.
Dal momento che sembravano così concentrati nella loro conversazione credetti di coglierli di sorpresa, invece non appena misi piede nell’ampia stanza puntarono silenziosamente i loro occhi su di me in simultanea, come se per tutto il tempo non avessero fatto altro che aspettare che fossi io a palesarmi.
Mentre continuavano imperterriti a fissarmi mi diedi qualche secondo per studiarli a mia volta: ero certa di non averli mai visti in vita mia.
I quattro avevano molti tratti in comune, primo fra tutti il colore degli occhi che era di un verde quasi slavato, così chiaro da sembrare acqua.  Erano decisamente inquietanti, abbinati alla loro pelle, troppo pallida per essere sana.
Immaginai fossero fratelli, ma non ne ero tuttavia certa.
O almeno, non avevo dubbi riguardo ai due a sinistra del tavolo, che dovevano essere gemelli per quanto si somigliavano: stessi capelli, biondi tagliati corti, stessa fisionomia, stesso sguardo curioso.
Gli altri due però nonostante i tratti comuni erano completamente diversi.
Il tipo a destra sembrava il più giovane ed era l’unico in piedi, appoggiato alla credenza nella quale si tenevano le stoviglie. Era molto alto e aveva i capelli scuri che gli arrivavano al collo in onde lisce e ordinate. Ancora oggi non so se lo sguardo ostile che mi riservò fosse reale o una mia pura suggestione
La donna, che era seduta a capotavola aveva capelli rossi, ricci e corti che le circondava il viso caratterizzato da uno sguardo sicuro e autorevole. Portava abiti palesemente maschili che però non ne nascondevano le forme. Era sicuramente una forte sostenitrice del movimento femminista; non che io non lo fossi, ma non davo certo l’aria di scendere in piazza a protestare tutte le mattine, come lei invece sembrava dichiarare apertamente.
E nonostante avesse un fisico abbastanza minuto sembrava essere la porta voce del gruppo: i suoi compagni infatti alternavano lo sguardo da me a lei, aspettando forse che una delle due facesse la prima mossa.  
Mi posizionai dunque difronte a loro e sopprimendo un leggero colpo di tosse cercai di ignorare il disagio e sperai di riuscire a dare un tono sicuro alla mia voce:
<< Voi chi siete? >>
<< Amici >> rispose prontamente la rossa, squadrandomi da capo a piedi, come in cerca di qualche segno in particolare.
Sinceramente quel gioco di sguardi cominciava ad irritarmi, ma non volevo essere scortese quindi tentai di mettermi al loro livello e mi sedetti dall’altro lato del tavolo, ignorando l’occhiata diffidente del tipo a destra. Di nuovo mi sembrò di scorgere qualcosa di negativo nel modo in cui mi guardava e, forse per suggestione o altro, per un momento credetti che volesse impedirmi di avvicinarmi.
Ad ogni modo mi sembro il colmo che quei quattro estranei tenessero un atteggiamento del genere in casa mia. Sentivo che mi si prospettava una lunga conversazione, anche perché attimo dopo attimo ero sempre più certa di non essermi immaginata il rapimento e non potevo fare a meno di sospettare di loro.
Volevo sapere come erano entrati in casa mia, chi fossero e cosa volevano da me, perché di sicuro, a giudicare dall’impazienza che intravedevo nei due che avevo catalogato come gemelli, si aspettavano qualcosa.
Io volevo solo risposte.
Prima di parlare mi assicurai di mantenere un tono serio e il più autorevole possibile, in fondo quella era pur sempre casa mia e non avevo intenzione di farmi trattare da dei perfetti sconosciuti come una ragazzina stupida, perché in quel momento era l’ultima cosa di cui avevo bisogno.
Così puntai il mio sguardo dritto su quello della rossa e parlai:
<< Non mi sembra che “amici” sia la risposta più consona alla domanda che vi ho fatto, signora. >>
Lei mi guardò sollevando appena il sopracciglio destro. Le  un sorrisino divertito, sembrava …soddisfatta?
la cosa mi irrito oltre modo quando mi accorsi che anche gli altri avevano pressappoco la stesa identica espressione stampata in viso. I gemelli difatti si fissarono con aria complice, mentre l’altro ragazzo prese improvvisamente a fissare la parete alla sua destra ammirando con evidente falso interesse i ritratti appesi accanto all’unica finestra della stanza, evitando così di puntare i suoi occhi verso noi altri.
La mia attenzione tornò alla rossa quando finalmente si decise a parlare.
<< Non c’è bisogno di tutta questa formalità. Io mi chiamo Giulia, Giulia Esposito >> il suo inglese era buono, ma aveva un forte accento straniero, che io purtroppo non riconobbi. Parlava con un incredibile lentezza, attenta a soppesare ogni minima parola.  << Questi che vedi >> fece un cenno circolare con la mano sinistra per indicare i suoi compagni mentre con quella destra si arrotolava una piccola ciocca di capelli che le spuntava da dietro l’orecchio << sono i miei fratelli, ma come immagino avrai capito non tutti noi condividiamo il patrimonio genetico, difatti solo in questi due, che ovviamente sono gemelli, scorre lo stesso sangue nelle vene. >>
<< Io mi chiamo Christian >> disse il biondino più vicino con un sorriso che forse voleva essere rassicurante. << lui è Peter >> indicò il fratello << siamo dei Von Engel >>.
<< Siete tedeschi? >> mi concentrai su di loro, mentre Giulia scambiava qualche occhiata indecifrabile all’altro tizio, che non sembrava avere intenzione di presentarsi, così come nessuno pareva intenzionato a farlo per lui-
<< Sì >> risposero, e dopo un’occhiata lampo Christian cedette la parola a Peter
<< E’ da molto tempo però che non torniamo in patria. Ma ovviamente non veniamo tutti da lì, Giulia è italiana. Prima ci hai sentito parlare la sua lingua. >>
Spalancai gli occhi dalla sorpresa.
<< Come… >>
<< Sapevamo che eri sveglia da un po’ Emily, e sì conosciamo anche il tuo nome >> mi interruppe Giulia << volevamo lasciarti il tempo di riprenderti, ci dispiace per quanto è successo alla tua famiglia >> fu la prima e ultima volta che vidi un sorriso sincero e privo di derisione nel suo sguardo,  ma certo non per questo fu più gradevole degli altri : annegava nella pietà. Pensai che quella donna non mi sarebbe mai piaciuta, così come il suo amico tenebroso che ancora non aveva pronunciato una sillaba. L’unico suono che finora era uscito dalle sue labbra era stato uno sbuffo indolente al momento delle presentazioni.
Un sospetto mi fulminò in pieno, e data la mia vena melodrammatica latente decisi subito di dargli credito, ma volli verificare:
<< Sapete anche cos’è successo questo pomeriggio al vicolo? Mi avete portato voi qui? Dov’è finito Albert? >>
Nonostante tutta la mia forza di volontà non riuscii a nascondere le accuse che, perfide, trapelarono dal mio sguardo e li inchiodarono sul posto in attesa di una qualsiasi scusa che li scagionasse o attenuasse il sospetto che gelido si faceva strada nella mia mente.
Ma anche se segretamente avevo già deciso che erano colpevoli, e avevo alimentato questa convinzione vedendo la loro reticenza nel parlare, non ero preparata a ciò avrei sentito.
Vedendo che i suoi compagni non accennavano a rispondere ma si limitavano a fissarsi con aria colpevole il ragazzo a destra si staccò finalmente dalla credenza e appoggiò i palmi delle mani ai bordi del grande tavolo, sporgendosi verso di me in cerca di un contatto diretto. Posti di nuovo i suoi occhi gelidi su di me, parlò per la prima volta con un tono insofferente seppure sprezzante che lasciava indovinare tutto il fastidio che sembra provare nel  rivolgermi quelle parole, scandendole bene  come se avesse dovuto spiegare a un bambino perché  non bisogna correre in mezzo alla strada.
Ma quelle parole erano quanto più lontane da ciò che si apprestava a dire:
<< Emily Masen, da questo giorno in avanti il tuo nome sarà scolpito in una lapide accanto a quella dei tuoi genitori e di tuo fratello … e per favore gradirei non essere interrotto >> l’ultima affermazione  era giustificata dalla mia faccia sconvolta piena di domande. Parlava con un tono bassissimo, quasi inudibile, ma ero certa di aver sentito bene quello che stava dicendo. << il tuo accompagnatore è tornato stamattina al tuo istituto per dare la notizia della tua prematura dipartita. Nessuno verrà a cercarti, nessuno farà domande su di te.
I vostri funerali saranno celebrati domani mattina, ma tu per ovvie ragioni non parteciperai >> abbozzò un sorriso sarcastico << Giulia si occuperà di tutto. A te diamo la possibilità di venire con noi >> mi guardò intensamente con quei suoi occhi così particolari, era serio e si aspettava una risposta.
I suoi compagni lo guardavano increduli: evidentemente non si aspettavano che partecipasse alla conversazione, figurarsi che si accollasse l’onere di darmi una notizia del genere con, tra l’altro, ben poco tatto
Dal canto mio ero ancora più shockata di quando mi ero alzata dal letto soltanto una mezz’oretta prima. Era davvero passato così poco tempo? Nonostante la mia mente lottava nell’affermare il contrario, l’orologio incastrato nella parete infondo alla stanza dava una prova inconfutabile.
Ma ci misi poco a riprendermi: mi sollevai rapida dalla sedia e fissandoli uno per uno sbottai, furiosa:
<< Non avete alcun diritto! Come vi siete permessi! È la mia… >> non riuscii a finire la frase che un pugno violento si abbatté sul tavolo facendo sobbalzare me e alzare quelli che se ne stavano ancora seduti, in allerta e pronti a scattare a qualunque movimento del compagno moro.
Lui se ne stava dritto di fronte a me, la mano aperta scossa da leggeri fremiti e mi fissava con un incomprensibile rancore nello sguardo. Ero certa che se solo avesse potuto in quel momento mi avrebbe spedita dritta all’inferno con un’occhiata.
<< Non abbiamo alcun diritto dici? Credimi ti stiamo facendo un grandissimo favore! >> parlo sempre in un sussurro, la mascella contratta, i muscoli tesi sotto gli abiti. Lo guardai senza capire e titubante attesi che finisse di parlare. E fu proprio lui a dire ciò che volevo sentire da che ero tornata in quella maledetta città, a lanciarmi il salvagente che anelavo con tutta me stessa e che mi avrebbe impedito di soffocare nel mio stesso dolore.
Ma una volta che l’ebbi stretto a me, mi resi conto che era un salvagente pieno di aghi avvelenati, e capii che, forse, avrei preferito mille volte non vederla arrivare mai, quella fatale speranza:
<< Sappiamo dov'è tuo fratello, sappiamo che parla e cammina e possiamo portarti da lui. Ma prima tu devi aiutare noi, e per farlo devi venire con noi. Ci sono mille mila cose che non conosci di questo mondo, almeno la metà di queste sono esseri malvagi che vorranno senz'altro usarti per scopi meno nobili dei nostri. Tu ovviamente non sai di cosa sto parlando, ma credimi capirai. Alcuni ti stanno già cercando, uno ti ha già trovata.
In tutta questa storia puoi fare soltanto due mosse: venire con noi o rifiutare.
Se vieni con noi ci sono alte possibilità che tu non riesca a sopravvivere per rivedere tuo fratello, ma almeno ti daremo la certezza che in linea di massima sta bene. >> mentre parlava non aveva staccato un attimo i suoi occhi dai miei. Io lo guardavo completamente senza parole, erano così tanti i pensieri che mi affollavano la mente che non riuscivo ad afferrarne neanche uno. Però lo vidi chiaramente indurire la mascella e allungare una mano verso il mio viso, lo sguardo indecifrabile.
Non mi ero accorta che le lacrime erano fuggi te al mio controllo finché non sentii la sua mano toglierne alcune dalla mia guancia.
Mi sentii trattenere il respiro e spalancare gli occhi dalla sorpresa, reazione che ebbero pure Giulia e i due gemelli.
L’aria era più tesa della corda di un arco in piena flessione.
Quando il ragazzo di fronte a me riprese a parlare la sua mano stava ancora accarezzando la mia guancia nel tentativo di dissiparne le lacrime, e il suo sguardo si era leggermente addolcito:
<< Se resisterai abbastanza a lungo potrai rivedere Edward, e noi faremo miracoli affinché non ti faccia del male. >> poi torno improvvisamente gelido, distante << se però decidi di rimanere, nonostante tutti possano tentare di  impedirmelo, giuro che non avrò pace finché non ti avrò io stesso tolto la vita. >> allontanò la sua mano e fece qualche passo indietro. Sentii una strana morsa alla bocca dello stomaco, ma non me ne curai, affrontavo il suo sguardo a testa alta ormai finalmente priva di lacrime.
<< Non ti reste che scegliere. Dubito che questo sarà complicato per te. >> mi riservò un’occhiata sprezzante prima di superarmi e abbandonare la stanza a grandi falcate.
La verità è che io ormai non lo stavo ascoltando da un pezzo, in testa un unico pensiero.
È vivo, Edward è vivo.
Soltanto quella strana sensazione alla bocca dello stomaco testimoniava come in quel momento avvertissi la forte mancanza di qualcosa di indefinito.
È vivo, Edward è vivo.
Sentivo una strana sensazione di freddo alla guancia destra, dove poco prima una mano aveva bruciato ogni traccia di dolore dal mio viso, lasciando che finalmente la speranza entrasse vittoriosa nel mio cuore.
È vivo, Edward è vivo.
Ma senza che riuscissi ad accorgermene, quella fulgida speranza aveva ben presto lasciato il trono e lo scettro ad un sentimento ben più concreto e distruttivo:
la paura.
 
 
Fear has a name                                                                                                                                            La paura ha un nome, 
written on unhallowed ground                                                                                                        scritto su terra sconsacrata
with dead leaves                                                                                                                                                       con foglie morte









 A.D.A (02/10/2014)
Le canzoni citate in questo capitolo sono:
-Angels Walks Among Us, Anathema
-Dead Lovers Lane, H.I.M.

Buona Lettura
*Diosmy*

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Capitolo 5
*** Angels Walk Among Us prt. 2 ***








Angels Walk Among Us II 
 
Chicago, Illinois. 1918
(Emily Pov)
http://youtu.be/BRMNJNzscwQ
 
Only you can heal inside, 
Only you can heal your life
 
Sentivo gli occhi di Giulia e quelli dei gemelli platinati, Christian e Peter, fissi su di me, intenti a studiare forse ogni minima espressione del mio viso, attendendo una reazione che tardava ad arrivare. 
Nella stanza era  calato il silenzio.
Io continuavo a riflettere a ciò che mi era appena stato detto, cercando di trovare una qualche soluzione che desse un senso a quelle parole assolutamente senza senso.
L’unica cosa che mi importava davvero era sapere che avrei potuto rivedere Edward, ma al tempo stesso temevo di essere caduta nelle mani di psicopatici.
Insomma avevano inscenato la mia morte!
C’erano ancora tanti punti da chiarire, primo fra tutti, come aveva potuto Albert credere ad una assurdità simile? Dubitavo che avesse avuto modo di vedere il mio cadavere, dal momento che ero viva e vegeta!
Una stiletta di delusione mi punse il torace quando mi resi conto che molto probabilmente mi aveva venduta, chissà per quanti soldi.
Ad ogni modo l’idea di farmi passare per morta non mi infastidiva come invece sarebbe stato lecito: morta la mia famiglia, la mia vita finiva con loro.
Il mio destino sarebbe stato sicuramente quello di tentare di finire gli studi all’Istituto, trovare marito o prendere i voti, dimentica di ogni minimo sentimento di felicità che avevo provato nei pochi attimi passati al loro fianco.
No, non avevo alcuna intenzione di appassire in quel modo, non dopo quello che avevo scoperto e speravo essere vero con tutta me stessa.
Ora che sapevo che Edward stava bene, da qualche, sicuramente (ne ero certa) parte in compagnia di quel Dottore, non potevo abbandonarlo.
E certo lui non avrebbe abbandonato me.
Quel pensiero mi colpì al cuore con tutto il calore di un luminoso raggio di sole.
Se Edward stava bene, ero sicura che mi avrebbe cercata pure lui, magari lo stava già facendo! Ci saremmo trovati a vicenda!
Nonostante quest’idea mi avesse alleggerito il cuore, restava ancora il problema di cosa quei pazzi che continuavano a fissarmi ebeti volessero da me.
Il tizio di prima aveva parlato di creature pericolose che mi stavano cercando, e questo proprio non aveva alcun senso, senza contare poi che mi sembrava avesse detto pure che se non li avessi aiutati mi avrebbe ucciso, o che sarei potuta morire nel tentativo di aiutarli.
Aiutarli a fare cosa poi?
Guardai i tre che se ne stavano in piedi davanti a me, cincischiando come degli idioti senza avere la minima idea di cosa dire o cosa fare.
Mi chiesi se in effetti non avessero davvero qualche problema mentale, insomma all’inizio mi erano sembrati gente a posto, i gemelli quasi simpatici, ma visto il loro atteggiamento e quanto detto dal loro compagno, cominciavo ad avere seri dubbi.
Tra l’altro il moro non si era nemmeno presentato!
Sospirai esasperata e portai una mano alla testa: la situazione si stava facendo snervante.
Così presi aria nei polmoni e dissi la prima cosa che mi venne in mente:
<< Il vostro amico, che problemi ha? Quello che ha detto su mio fratello, è vero? Mio fratello è davvero vivo? >>
Alle mie parole sembro che gemelli tentassero di soffocare entrambi una risata. Istintivamente li fulminai con lo sguardo, anche se immaginai che ridessero per il tono leggermente offensivo con cui avevo parlato del moro.
Forse il mio sguardo li mise in imbarazzo o non so, forse reagirono più semplicemente ad un silenzioso comando impartito dalla rossa, fatto sta che in simultanea si  allontanarono e lasciarono la cucina.
Per un po’ sentii le loro voci riprendere a parlare in italiano, mentre si allontanavano e via via si affievolivano.
Giulia in vece si limito a sedersi nuovamente a capotavola e a rispondermi, con un mezzo sorriso, ovviamente falso, stampato in faccia.
Quella donna proprio non la digerivo!

<<  Oh, William di problemi ne ha parecchi, credimi, è quello che tu stai insinuando è forse l’ultimo della sua lunga lista! Tutto quello che ha detto è vero, di questo puoi stare certa. 
Ovviamente ha omesso qualche particolare, ma è naturale: finche non prenderai la tua decisione non potremmo rivelarti nulla di compromettente >> disse. 
“ Dunque il tizio si chiama William ” pensai distrattamente prima di concentrarmi sulla conversazione.
<< Beh, credo che scegliere sarebbe più semplici se sapessi cosa devo scegliere ! >> le lanciai un’occhiataccia << non mi avete ancora detto cosa volete da me, e non posso certo seguirvi ad occhi chiusi! >>
Giulia non batté ciglio, piuttosto si rilassò sulla sedia appoggiandosi meglio sullo schienale e sembro impegnarsi a mantenere statuaria l’espressione del suo volto.
<< Hai sentito quello che ti ha detto William? Se vuoi rivedere tuo fratello e restare viva devi venire con noi. Quello che poi dovrai fare per noi ti verrà spiegato con dovizia di particolari, ma non prima che tu abbia scelto. Devi capire che certe informazioni potrebbero influenzare la tua scelta, e noi questo non lo vogliamo. >>
Sbuffai. Continuava a trattarmi come una bambina.
<< Certo che siete strani! Dite che non volete che io venga influenzata in alcun modo, ma mi sembra che il tuo amico abbia chiaramente chiarito il concetto che, se vengo con voi, morirò sicuramente, se non lo faccio mi uccide lui. Era forse uno scherzo? Non perché a me non mi pare che mi abbia lasciato un ampio margine di scelta! >>
Lei mi guardò scettica. Per un attimo mi parve pure di vederla esitare.
<< William, >> e calcò sul nome << ti ha gentilmente esposto le tue opzioni peggiori. È un modo di assicurarsi che tu sia conscia delle conseguenze alle quali vai incontro seguendo una o l’altra. >> sospirò, stanca << credo che tu abbia capito che la situazione è molto complicata.
In altre parole, piccola mortale, ti è stata data l’opportunità di scegliere di che morte morire!
Non è affatto male, no? >> detto questo si lasciò andare in una risata sguaiata che mi ricordò fortemente il latrato di un vecchio cane randagio. Inquietante.
“Piccola  mortale? Questa è matta sul serio!” 
Capii che non potevo fidarmi di nessuno di loro, ero finita sul serio nelle mani di pazzi che parlavano come se dovessero scongiurare una chissà quale apocalisse!
Fissai meditabonda le mie mani che ormai da un po’ torturavano gli spigoli del tavolo in un maledetto tic nervoso.
Mi vennero in mente le mie educatrici, all’Istituto, che insistevano affinché portassi sempre i guanti nelle situazioni che mi mettevano a disagio, non tanto per la mobilia rovinata, quanto per proteggere le mie unghie che finivano sempre per spezzarsi.
Erano tutti accorgimenti vanitosi che non mi avevano mai toccata particolarmente, ora meno che mai.
Quando sentii Giulia riprendere fiato dopo quella sua uscita decisamente inopportuna, alzai lo sguardo, tentando inutilmente come al solito di dare un po’ di vigore al mio tono e al mio sguardo.
<< Lei sa benissimo che non mi state dando alcuna scelta. È inutile proseguire oltre con questa conversazione. Io mi ritiro nella mia stanza, ho bisogno di stare un po’ da sola per metabolizzare quanto mi sta accadendo.
Ma voi non preoccupatevi, fate pure come fosse casa vostra! >> così dopo averle lanciato un’ultima occhiata, dannatamente simile alla sua, beffarda, mi alzai e comincia ad allontanarmi.
<< Io non ti piaccio vero? >> mi bloccò la sua voce << sappi che il sentimento è ricambiato. 
Ma non è certo un buon motivo per usare un tono così formale, dico sul serio! Insomma non sono mica vecchia, non c’è bisogno di tutto questo rispetto! Puoi darmi del tu, non mi offendo mica, infondo poco fa non eri così reticente nell’usare un tono più intimo! >>
Le sue prime parole mi fecero quasi arrossire dalla vergogna, ma ciò che disse dopo la fece evaporare con un soffio d’acqua gelata.
Mi girai verso di lei, pronta a fronteggiarla forse per l’ultima volta in quella serata che era durata fin troppo a lungo.
<< Nelle ultime quarantotto ore ho saputo che i miei genitori erano morti, che mio fratello era scomparso e che molto probabilmente raggiungerò i miei prima di poterlo rivedere, perché sì è vivo. Capirà se non sono in vena di prendermi certe confidenze con la gente che mi ha dato metà di queste notizie e che di certo non mi cambieranno la vita in meglio! >>
Mentre lasciavo definitivamente la stanza la sentii ridacchiare e parlarmi dietro:
<< Oh, è una cosa più che positiva! I cambiamenti sono sinonimi di vita. Prenderò la tua risposta come un sì, benvenuta fra di noi, angioletto! >>
Ero già troppo lontana per curarmi delle sue parole, e sinceramente non mi interessava più tentare di decifrare tutti i loro enigmi: avevo un piano.
Non avrei permesso che quattro pazzi sconosciuti prendessero il controllo della mia vita!
Se Edward era vivo, lo avrei trovato da sola.
Ma per farlo dovevo tornare da colui che sembrava averlo visto per ultimo, l’uomo che mi aveva mentito.
 
Solo tu puoi guarirti dentro,
Solo tu puoi guarire la tua vita
 
Chicago, Illinois. 1918
 (Carlisle Pov)
 
Mother can you hear me? 
Can you tell me, are you there?
Father can you help me?

Cos I know that you care
 
Nonostante tutto.
Cinque ore dopo che la ragazza aveva finalmente lasciato la soglia di casa, il ragazzo aprì gli occhi.
Non sapevo bene cosa aspettarmi dal suo risveglio, non avevo un ricordo nitido dei miei primi istanti da neonato.
Così scattai in guardia, pronto a bloccare qualsiasi reazione violenta che potesse scaturire da lui.
Sapevo che per istinto avrebbe avuto lo stimolo di attaccarmi: noi vampiri eravamo come animali, anzi, bestie che reagivano violentemente alla presenza di corpi estranei.
Tutte le creature tendono ad allontanarsi aggressivamente da ciò che va oltre la loro identità, anche se si dovesse trattare di un proprio simile.
Dai gatti alle scimmie la diffidenza sembra essere una prerogativa degli esseri viventi, e quest’istinto si autoconservazione si traduce molto facilmente con violenza e odio.
Forse è per questo che atteggiamenti razzisti e xenofobici sono molto difficili da separare dall’uomo: fanno parte di un mondo animale seppellito in maniera radicale dentro ogni individuo.
Quindi se la trasformazione, come avevo intuito, mirava a portare a galla i lati più bestiali dell’uomo,  certi sentimenti venivano portati alle stelle.
Il ragazzo boccheggiò, quando si rese conto di ciò che lo circondava, quando si sollevo dal letto in cui era stato disteso negli ultimi tre giorni.
Cercai di ricordare quella sensazione che pervase anche me dopo la mia rinascita: quella sensazione di poter conoscere finalmente ogni cosa, e di non sapere nulla al tempo stesso.
Mi chiesi quanto tempo ci sarebbe voluto prima che lo stupore lasciasse il posto ad una sete insopportabile.
Mi resi conto in un attimo che avrei fatto meglio a portarlo in un luogo sperduto, in montagna magari, prima che si svegliasse, anche se avevo paura che spostarlo avrebbe potuto creare degli effetti collaterali al processo di “resurrezione”.
“Ma che state dicendo? Chi siete? Che cosa mi sta succedendo?”
Lo fissai, ricambiando il suo sguardo allibito.
Come avevo immaginato non appena si era accorto di me aveva assunto una posizione di difesa, e ora il suo sguardo vagava spaesato per la stanza, concentrandosi su tutti quei particolari che non aveva mai notato prima in tutta la sua vita.
Poi prese a contemplarsi le mani, a toccarsele, come se non le riconoscesse.
Sembrava un bambino che essendo cresciuto troppo in fretta si ritrovava in un corpo estraneo, troppo diverso per essere il suo, troppo perfetto per lui da non esserlo.
Ogni volta che il suo sguardo si posava su di me potevo leggergli infinite perplessità.
A mia volta tentai di espandere il mio udito a distanza di qualche isolato, per capire cosa mai avesse sentito pronunciare, dato che io non avevo aperto bocca.
Niente.
Non c’era anima viva per le strade e sospirai sollevato.
Fortunatamente vivevo in un area molto isolata di Chicago, gli unici ad abitare quelle vie erano i poveri e i vagabondi, e per fortuna quella notte non sembrava esserci nessuno.
Mi ritornò in mente quella ragazza e, con un moto di preoccupazione mi chiesi se stesse bene e se fosse riuscita a tornare a casa sana e salva. Infondo di quei tempi le strade erano pericolose… scacciai in fretta quei pensieri, non potevo permettermi di badare anche a lei, dovevo occuparmi di Edward, adesso aveva lui la priorità.
Forse un giorno…
<< Basta! Smettila! Non ci capisco niente! Di chi parli? Come sai il mio nome? >> mi ringhiò contro, e quando se ne accorse si portò una mano alle labbra stupito, dove presto le sue dita incontrarono qualcosa di appuntito. Canini.
Mi accigliai, la sua reazione non era normale, qualcosa doveva essere andato storto.
Ma quando tentai di avvicinarmi lui arretrò precipitosamente verso il muro, mandando in frantumi la testata del letto e riprese a ringhiarmi.
<< Calmati Edward. Voglio aiutarti. Mi chiamo Carlisle, quando ci siamo conosciuti tu eri incosciente quindi è ovvio che non ti ricordi di me. Sono il tuo medico. Eri malato ricordi? >>
Spalancò gli occhi << I miei genitori? >>
<< Mi dispiace, non ho potuto fare nulla per la tua famiglia. >>
Un forte singhiozzo sembrò lacerargli il petto. Sfinito, appoggiò la testa riccioluta alle ginocchia sollevate sul petto. Poi fissò di nuovo i suoi occhi iniettati di sangue cremisi su di me.
Io non riuscii a sostenere il suo sguardo, colpevole di non aver assecondato la mia natura e colpevole di averlo fatto.
<< Io ti sento >> mi disse, << tu non parli ma io ti sento lo stesso. Che cosa sei? >>
Lo guardai, stupito.
<< Che intendi dire? >>
Mi fissò con uno sguardo straziato. Sembrava esausto sul serio, il che era insolito.
<< Sento quello che stai per dire con un secondo d’anticipo e sento anche quello che non dici. Ho una gran confusione in testa, tante voci, e ho sete, moltissima sete. Non riesco a pensare ad altro! >> Si passò una mano fra i capelli frustrato.
Capii che questo ragazzo era uno dei pochi vampiri dotati. Mi chiesi se fosse una coincidenza, insomma fra tanti moribondi avevo salvato proprio quello che pareva essere il più speciale.
Sperai, anche se sapevo perfettamente che la cosa era improbabile, che sua madre sapesse il destino al quale mi aveva permesso di condannarlo.
Edward mi fisso allibito, evidentemente aveva sentito tutto. Quindi ora sapeva cos’era.
Ora però dovevo occuparmi di nutrirlo, avrei pensato dopo a raccontargli quello che aveva bisogno di sapere.
<< Devi venire con me Edward. Qui vicino, a due isolati a sud stanno piazzando una riserva di caccia, una specie di parco naturale. Oggi dovrai nutrirti lì. Più tardi ti spiegherò le opzioni che hai, ma adesso non abbiamo tempo. Va bene? >>
Lui annuì, confuso. Ero convinto che avesse capito cosa lo aspettava, ma non fece domande e si alzò velocemente, pronto a seguirmi.
<< Prima di partire però devi promettermi che finché non saremo arrivati e non ti avrò dato il via tu non oserai respirare. Dovrai trattenere il fiato. >>
Mi guardò stranito, ma si accorse subito che in effetti, da quando si era svegliato, l’aria che aveva immesso dai polmoni era stata poca o nulla.
Non avevamo bisogno di respirare.

<< Perché >> la domanda uscì spontanea, ma seguendo i miei pensieri sapevo che aveva capito prima ancora che gli rispondessi.
<<  Adesso i tuoi sensi sono molto più sviluppati di prima, se lasci che prendano il controllo rischi di fare del male a qualcuno. Conosci le leggende sui vampiri giusto? Sai di cosa abbiamo bisogno per nutrirci, ma ti dirò che io non sono nella norma. Preferisco adottare un altro tipo di “dieta”.
Ovviamente come vorrai nutrirti da adesso in avanti sarà una scelta tua, ma finché non sarai in grado di ragionare per conto tuo e ponderare ogni decisione, non voglio che tu faccia cose di cui poi potresti pentirti.
Voglio che tu senta di avere la coscienza pulita, riguardo al tuo stile di vita.
Per questo oggi insisto affinché tu segua il mio metodo. Da domani, giuro, la scelta è tua. >>
Lui si limitò ad annuire e a raggiungermi alla porta.
Prese un profondo respiro prima di trattenere il fiato, come se sentisse che presto ne avrebbe sentito la mancanza. Io sapevo che così non sarebbe stato e forse questo lo tranquillizzò a sufficienza da permettergli di sciogliere i muscoli e seguirmi silenzioso e rapido lungo le vie poco illuminate della città.
Durante il percorso (che non durò molto) mantenni tutti i miei sensi vigli, in modo da prevenire qualunque tipo di disgrazia.
Ad ogni voce entrambi ci irrigidivamo, ma lui mantenne sempre un controllo così ferreo sui suoi istinti che mi stupì.
Sapevo che in genere i neonati non erano così.
A un certo punto mi parve di sentire un odore famigliare, e quando capii di che si trattava svoltai in modo da allontanarci il più in fretta possibile.
Edward doveva aver sentito l’odore attraverso i miei pensieri e fu sul punto di digrignare i denti. Aveva sete.
Fortunatamente in pochi istanti ci lasciammo alle spalle quell’aroma ed io, onde evitare ulteriori tentazioni al ragazzo, decisi di trattenere a mia volta il respiro.
Ripensai a quell’odore e riconoscerlo fu un’altra stiletta al cuore.  
Come poteva essere così stupida da uscire a quell’ora di notte! Sentivo un moto di irritazione irrazionale, e sapevo che la vera causa che la scatenava non era quella povera ragazzina, ma il mio tremendo senso di colpa.
Dovevo trovare un modo per metterla al sicuro definitivamente senza coinvolgerla in questa storia!
Mi accorsi che Edward mi fissava incuriosito, così trattenendo un’imprecazione mi concentrai sulla strada e diressi i miei pensieri in un'altra direzione.
Non volevo che lui venisse a conoscenza di tutto ciò attraverso i miei pensieri.
Un giorno forse avrei trovato il coraggio di dirgli tutta la verità.
Lo vidi incupirsi e mi sembrò piuttosto imbarazzato. Evidentemente nemmeno lui gradiva invadere la mente altrui.
Avremmo entrambi dovuto conviverci, così gli sorrisi conciliante. Sentivo che mi sarei affezionato molto a quel ragazzo, nonostante tutto.
Forse col tempo lo avrei pure considerato un qualcosa che meritavo. Infondo ero davvero stanco di stare da solo.
Quando arrivammo alla riserva lo guidai dritto verso due prede che avevo già individuato: due Coyotes. Era stato fortunato.
Gli detti il via per liberare i polmoni e gli spiegai brevemente come arrivare alla giugulare, anche se sapevo che i suoi istinti da neo-cacciatore lo avrebbero guidato meglio di qualsiasi spiegazione medica.
Per un po’ sembrò voler resistere alla sete, scettico riguardo al doversi nutrire di un animale vivo, ma non appena gli stimoli lo attaccarono i suoi muscoli si tesero in uno spasmo eccitato e scattò nella direzione della prima bestiolina.
I suoi denti si aggrapparono con forza alla gola dell’animale e non faticarono a reciderla.
Mentre lui si perse nell’inibizione che l’atto dava ai suoi sensi io mi affrettai ad impedire all’altro coyote di scappare. Ero certo che uno non sarebbe bastato, ed io non sentivo il bisogno di nutrirmi.
Approfittai del momento di profonda estasi in cui era caduto Edward per ripensare a quella ragazza, Emily.
Di sicuro in quel momento il ragazzo non avrebbe prestato molta attenzione ai miei pensieri.
Quella notte la giovane era uscita nuovamente, l’avevo sentita chiaramente.
Immaginai che si fosse diretta a casa mia, pronta ad assalire di nuovo la porta.
Ringraziai qualunque angelo mi avesse permesso di portare vie Edward appena in tempo.
Non volli pensare alla disgrazia che sarebbe potuta accadere se Emily avesse bussato la porta ed lui avesse sentito il suo odore.
Sentii il neo-vampiro ringhiare quando finì il primo coyote, intimandomi di allontanarmi,
così salii su un albero e lo osservai dall’alto.
Mi resi conto in quel momento che non avrei potuto fare davvero niente per quella ragazza.
Non potevo nemmeno pensare a lei senza temere che Edward ne venisse a conoscenza, e questo non potevo permettermelo.
Se lui avesse scoperto che sua sorella era viva, difficilmente avrei potuto tenerlo lontano da lei.
E certo io non potevo allontanarmi da lui un secondo, lui aveva la precedenza assoluta.
Seriamente come aveva potuto sua madre chiedermi di condannarlo a un esistenza simile, sapendo che sua figlia era viva a pochi kilometri di distanza?
Minuto dopo minuto mi convincevo di aver capito male io, o meglio di aver capito quello che volevo capire.
Lei mi aveva chiesto di salvarlo ad ogni costo, voleva che vivesse per lei, per Emily.
Io l’avevo ucciso, io li avevo condannati entrambi.
Decisi dunque che mi sarei preso cura di Edward come fosse stato mio figlio, avrei fatto in modo che, nonostante tutto, vivesse. Avevo i mezzi per farlo.
Quando si fu nutrito a sufficienza (ci vollero altri due cervi) spiegai ad Edward quale fosse il mio stile di vita, le ragioni che mi spingevano a perseguirlo e quale l’alternativa che avrebbe potuto scegliere.
Gli dissi che se avesse scelto di nutrirsi di esseri umani lo avrei seguito per un paio di anni massimo, affinché imparasse come muoversi in quella società, e poi lo avrei lasciato andare per la sua strada, perché non avrei mai potuto condividere un tale pensiero.
Ovviamente mentivo, non lo avrei mai abbandonato, lui lo sapeva.
Scelse di restare.
 
Quella notte non osai tornare a casa.
Convinsi Edward a partire immediatamente per Detroit , nel Michigan, dove avevo una casa perfettamente isolata dal resto della città e poteva a cacciare senza timori.
Non ci fu bisogno di prendere niente, in due ore e mezzo di corsa ininterrotta arrivammo là e mostrai quella che sarebbe stata la sua casa finché non avesse imparato a controllarsi.
Lo avrei tenuto lontano da Chicago. Lontano da lei.
Pregai tutti i santi del Paradiso affinché Emily potesse vivere una piena e felice, nonostante tutto.
In particolar modo pregai che il Paradiso esistesse, e che Elizabeth ed Edward, che mi avevano in qualche modo affidato la vita del loro primogenito, vegliassero sulla figlia.
Io mi sarei occupato di Edward, ma dovevo affibbiare la protezione di Emily a qualche angelo custode, e sperare che il Destino non fosse ulteriormente fatale con lei.
Edward con me sarebbe stato bene, nonostante tutto.
Mamma mi senti?
Puoi dirmi, sei lì?
Padre mi puoi aiutare?
Perché so che ci tieni
 
Chicago, Illinois. 1918
(Emily Pov)
 
Mother can you hear me? 
Can you tell me are you there?
Father can you help me? 

Cos I know that you care
 
Non appena fui dentro camera mia ed ebbi chiuso la porta alle mie spalle mi tuffai letteralmente nel mio armadio e presi a piegare alcuni dei miei abiti per poi riporli nella sacca da viaggio che avevo riordinato con cura giusto la mattina precedente.
Mi diressi di nuovo in terrazza e controllai il cielo.
Era ancora notte fonda e secondo i miei calcoli il tempo non si sarebbe schiarito prima di altre quattro ore.
Mi resi conto di non sapere per quanto tempo ero rimasta incosciente quel pomeriggio, certo dopo quello che mi avevano detto era l’ultimo dei miei problemi!
Però ora non ero nemmeno sicura di non aver dormito tutto il giorno, sbuffai.
In effetti non mi sentivo affatto assonnata.
Tornai a passo spedito verso il letto, indossai un soprabito e presa la borsa me la filai verso il balconcino.
Sapevo che era rischioso uscire a quell’ora indecente, ma non volevo restare un minuto di più in quella casa che sentivo profanata.
Se quei tizi volevano potevano prendersi ogni cosa, ma non mi sarei venduta loro per fare chissà cosa.
Sapere che Edward era vivo mi bastava, non avevo bisogno del loro aiuto per trovarlo.
All’estremità destra della terrazza c’era un albero nodoso e frondoso che poteva essere usato facilmente come scala per salire e scendere e finiva al centro esatto dell’orticello di Neste.
Da lì si poteva accedere all’entrata secondaria riservata ai domestici. Quest’ultima portava praticamente di fronte alla via del mercato, per questo era molto comoda da usare e tuttavia era anche molto sicura, in quanto si poteva entrare solo se in possesso dell’unica chiave o se avevi qualcuno disposto ad aprirti la porta dall’interno.
Mio fratello passava sempre per di lì quando voleva sgattaiolare fuori di notte coi suoi amici a fare ragazzate, non che facessero qualcosa di male, anzi.
Secondo mio fratello il loro compito era quello di ravvivare qualunque evento che senza la loro indispensabile presenza sarebbe stato un fiasco.
Fatto sta che toccava sempre a me aspettarlo fino a tarda notte, seduta in terrazza a leggere o a dipingere a lume di candela, pronta a cogliere qualsiasi segnale testimoniasse il suo arrivo.
Non lo avevo mai fatto aspettare.  
Per questo non mi fu difficile scivolare leggera lungo il tronco dell’albero, attenta a non fare il minimo rumore. Quando atterrai morbida sul terreno, mi accorsi a malincuore che dopo la morte della mia balia nessuno aveva più pensato di prendersi cura del suo orticello.
Mentre mi avviavo all’uscita, sempre in silenzio, mi resi conto di non sapere che fine avevano fatto tutti gli altri domestici.
Ne avevamo avuti sempre tre oltre Neste.
Che sapessero o meno della morte dei miei genitori sarebbe stato doveroso da parte loro accogliermi al mio arrivo, o tantomeno rispondere a quelle lettere che avevo inviata preoccupata alla mia famiglia, ma che non avevano fatto in tempo a leggere perché… beh non ne avevano avuto l’occasione.
Invece sin dal mio arrivo non avevo visto nessuno.
Certo nel momento non ci avevo fatto caso, sconvolta com’ero, e poi avevo Albert.
Scossi la testa in preda allo sconforto, non riuscivo ancora a credere che se ne fosse andato così, dandomi per morta!
Intanto io mi muovevo velocemente per le strade poco illuminate di Chicago, cercando di pensare a un luogo in cui magari poter aspettare che albeggiasse.
Com’era prevedibile non mi sentivo a mio agio.
In ogni vicolo c’erano senzatetto addormentati, malati, magari anche morti. Ad essi si alternavano saltuariamente uomini troppo ubriachi per reggersi in piedi e donne di malaffare pronte a sfruttare ogni minima occasione.
Ma a mettermi a disagio seriamente erano quei vicoli immersi del tutto nell’oscurità, nelle quali si annidavano certi pericoli che io non potevo vedere.
E ciò che non conosciamo ci uccide.
Non possiamo difenderci dal nulla infondo.
Andai avanti camminando abbastanza in fretta per circa un’ora e mezza, finché non mi accorsi di trovarmi vicino al quartiere del Dottor Cullen. Orribile, tra l’altro.
Mi bastò un attimo per decidere che sarei andata da lui.
Prima aveva avuto l’indecenza di lasciarmi come un’idiota a battere per ore alla sua porta, ma era pieno giorno, e dubitavo che si sarebbe azzardato a ripetere la scena a quell’ora tarda col rischio di attirare malintenzionati su di me.
In fondo mi era sembrato una persona onesta, nonostante tutto.
In verità speravo davvero che mi aprisse, anche solo per potermi sedere e riposare un attimo: ero stanca, nel fisico e nell’animo, e come se non bastasse non avevo toccato cibo quel giorno.
Sospirai e proseguii lungo la mia meta, cominciando a canticchiare un vecchio motivetto allegro, nella speranza che quel ritmo desse qualche metro in più alle mie falcate e qualche metro in meno alla via che mi separava dal mio obiettivo.
Mano a mano che mi avvicinavo sentivo come se le ombre si stessero facendo via via più fitte.
Pensai che quel quartiere doveva proprio essere messo male se non riuscivano nemmeno a tenere alta l’illuminazione.
Ogni volta che un lucernario tremolava affianco a me, o un’ombra mi superava, sentivo chiara la sensazione di essere osservata, o addirittura pedinata.
Sperai fosse pura e naturale suggestione.
Ero scappata di casa, da un quartetto di pazzi che sembravano volersi preparare ad uno scontro con creature tenebrose, e convinti pure di farmi partecipare.
Avevo attraversato a piedi mezza Chicago, e forse proprio ora mi trovavo in uno dei quartieri peggiori, pieno di malfamati e decisamente troppo poco illuminati.
E stavo per bussare alla porta di un uomo che una dozzina d’ore prima non aveva voluto avere niente a che fare con me.
Oh, e non dimentichiamoci che ero orfana da tre giorni e l’avevo scoperto giusto tre giorni dopo esserlo diventata.
Ero esausta, affamata e non avevo davvero un posto dove andare.
Eppure facevo questo e di più pur di ritrovare mio fratello.
D’un tratto mi sentii l’eroina disgraziata di un vecchio romanzo di scarso valore letterario.
“Emily Masen, alla ricerca del fratello perduto”
Scoppiai a ridere, incurante delle ombre che minacciose si muovevano attorno a me.
 
Mamma mi senti?
Puoi dirmi se ci sei?
Padre mi puoi aiutare?
Perché so che ci tieni
 
Chicago, Illinois. 1918
 
And I don’t have to fight it anymore
For all those years I was dreaming
And I don't have to worry anymore
Cos I found my belief in...

 
“Ti prego aiutami!”
William si riscosse dai suoi pensieri e tirò un ultima boccata dal tabacco che stava fumando.
Se ne stava immobile, appoggiato ad una finestra di una delle numerose stanze di quella casa e che aveva aperto per far circolare l’aria e immergersi nei rumori che sentiva provenire distintamente dalla città addormentata.
L’unica luce che illuminava a malapena la stanza era il riflesso dei lucernari che dissipavano il buio che a certe ore regnava per quelle strade. Era una luce fastidiosa, artificiale che sottometteva facilmente il più  pallido raggio di luna che quella notte splendeva alta nel cielo, anche se ormai aveva cominciato la sua discesa già da un po’.
Se ne stava lì, gli occhi chiusi, la testa leggermente posata sul braccio sinistro aggrappato ad un inutile finestra in un inutile stanza.
Pensava al passato… e al futuro.
Soprattutto pensava a quella ragazzina.
Stentava a credere che fosse davvero costretto a mettere la sua vita e quella di tutta la sua gente nelle mani di una che era poco più che una bambina.
Stentava a credere che fosse quella giusta.
Ma avevano accumulato tante di quelle prove da non avere quasi dubbi al riguardo: c’era sua madre, il fratello, lui che la seguiva.
Quello era decisamente il problema maggiore: se l’aveva trovata per primo, perché non se l’era presa? Cosa sperava di ottenere?
Mille e più domande simili e differenti gli giravano per la testa, ma nessuna era in grado di mettere in dubbio la prova più importante di tutte: il suo sangue.
Se non fosse stato per quell'unico particolare, l’avrebbe sicuramente lasciata perdere senza troppe cerimonie; che avesse deciso di collaborare o meno non avrebbe avuto importanza perché i risultati sarebbero stati comunque catastrofici.
Invece lei il sangue giusto ce l’aveva eccome, lo aveva capito prima ancora di posare il suo sguardo su di lei, prima di capire che farlo sarebbe stato una disgrazia.
Visti poi i suoi atteggiamenti da povera damigella sofferente era ovvio che anche in questo caso le scelte che avevano andavano tutte all'individuare il male peggiore.
Infondo che senso aveva intraprendere una battaglia del genere se l’unico asso nella manica che avevamo, l’incognita che sarebbe dovuta diventare un nostro punto di forza,  si rivelava essere una ragazzina con evidenti istinti suicida?
Presentarsi a quel modo di fronte a un vampiro e impegnarsi tanto per farsi staccare la testa dal collo era uno dei suoi suddetti istinti.
E poi… Cristo era una ragazzina!
E doveva essere un pericolo? Hmfh!
L’unica cosa certa era che lui non avrebbe permesso che un essere come lei finisse nelle mani sbagliate.
Anche se lui non sapeva cosa farsene, non era detto che proprio i suoi nemici non riuscissero ad escogitare un modo per usarla contro di loro.
Con uno sbuffo si sollevò e si sciolse i muscoli intorpiditi a causa della posizione che aveva tenuto per quasi più di un’ora.
Decise che era ora di tornare di sotto a vedere se Giulia era riuscita a convincerla ad accettare.
Non che avesse dubbi al riguardo, infondo era stato parecchio convincente, prima.
Peter e Christian erano usciti in perlustrazione un’oretta prima.
Il moro aveva chiesto loro di tenere d’occhio Cullen e il suo cucciolo, ovviamente senza farsi beccare.
Era curioso di cosa sarebbe stato capace di fare il fratello di Emily. Insomma era un’ulteriore prova per testare la ragazza.
Anche se lui più di chiunque altro sapeva che non ce n’era bisogno. L’aveva sentita, e non era stato l’unico.
Arrivò in cucina mentre si stava passando una mano fra i lunghi capelli, frustrato.
Non voleva proprio crederci.
Trovò Giulia da sola intenta a rovistare tra le scartoffie della famiglia Masen, probabilmente in cerca di ulteriori informazioni sulla strega.
Non appena fu entrato nella stanza la donna alzo gli occhi su di lui e gli donò un sorriso raggiante.
<< Come va? Hai sbollito la rabbia? Te la sei presa a cuore questa faccenda, eh? >>
William le scoccò un’occhiataccia, ma preferì sorvolare.
<< Dov’è? Cosa sei riuscita ad ottenere che non ti avessi già offerto su un piano d’argento? >>
<< Niente di che. Solo sguardi di fuoco e formalismi che mi hanno elevato ai livelli di nonnina. Quella ragazzina mi detesta! >> a giudicare dal sorriso che le illuminava il viso non sembrava molto dispiaciuta di ciò.
Si avvicino al giovane ancheggiando e quando fu abbastanza vicina gli poggiò una mano sul petto con fare lascivo.
<< Però si è arresa! Senz’altro è merito tuo e delle tue minacce, ma sta sicuro che senza il mio fascino non avresti combinato granché! >> il ragazzo la fissò per un breve attimo, celando a malapena il suo fastidio, poi annuì e si allontanò, guadagnando una distanza minima ma significativa: non aveva voglia di giocare quella sera.
<< Ora dov’è? >> chiese.
La rossa si acciglio lievemente, ma rispettò la volontà del giovane.
<< E’ salita in camera sua. Probabilmente starà tentando di soffocarsi con un cuscino in questo momento! Ma sai, io non me ne preoccuperei, dubito che resisterà al prossimo mese… okay scusa! Stavo scherzando! >>
William aveva deciso di zittirla con un’occhiata delle sue, di quelle capaci di lacerarti il petto con spille avvelenate.
Aveva il potere di far sentire le persone inadeguate con una di quelle occhiate, riusciva a convincere chiunque a non essere degno di camminare sulla terra.
<< Lei. Ci. Serve. >> ringhiò, quasi. << Finché non avremo capito come usarla dovremo portarcela dietro, purtroppo, e fino ad allora occuparti di lei è compito tuo.
Se ti ho permesso di venire è stato proprio nell'eventualità che chi cercavamo fosse una donna, se riesci a scherzare in tal modo sulla possibilità del tuo fallimento allora direi che non stai prendendo la missione abbastanza sul serio! Se è così puoi pure tornare in Italia, non ho bisogno di gente che non vuole collaborare! >>
La rossa era completamente sbalordita, non era da lui comportarsi in quello maniera, meno che mai con lei!
<< Senti un po’ ma che ti prende oggi, eh? >> chiese sarcastica. << E’ da quando l’abbiamo trovata che sei così intrattabile, non rispondi neppure alle mie provocazioni, mi riprendi per una battuta idiota! Ma da quando sei così ligio alla missione? Nemmeno quando tuo fratello…>>
<< Basta! Non voglio più parlarne, sono solo stanco. >> la interruppe il moro, sedendosi scompostamente sulla sedia e prendendo a giocare con alcune cartacce di poco valore.
La maggior parte dei documenti della famiglia Masen sarebbe presto andata distrutta.
Dal canto suo la rossa lo scrutò attentamente, cercando di capire cosa mai fosse preso al compagno.
Quando trovò la risposta, il suo solito ghigno sarcastico lascio spazio ad una smorfia vagamente triste.
<< E’ lei, vero? >>
Il ragazzo si scosse e la guardo stralunato.
Poi continuo a concentrarsi sulle scartoffie mentre distratto le rispondeva.
<< Direi di si, infondo il sangue non mente mai, anche se… >>
<< Non mi riferisco alla missione >> lo guardò seria ma lui parve non averla nemmeno ascoltata, profondamente concentrato su altro.
<< William? >> la rossa allungò una mano a toccare il suo braccio, ma non fece in tempo a raggiungerlo che il moro si sollevò in piedi violentemente, facendo cadere la sedia dietro di lui.
La guardò intensamente, l’ombra di una rabbia latente pronta ad esplodere in fondo agli occhi.
<< Hai detto che la ragazzina è salita in camera sua giusto? >>
Giulia esitò un attimo a rispondere, per la prima volta davvero a disagio. Non capiva il perché della domanda.
<< Sì. È andata su un’ora e mezza fa. Perché? >>
<< Ah si? e per caso, la stai sentendo forse respirare? >>
Non servi che si scambiassero alcuna occhiata, in meno di tre secondi avevano già sfondato la porta della camera interessata.
Non la trovarono.
Unico indizio: la porta del terrazzino spalancata e i residui del suo odore che si perdevano fra le principali vie della citta.
William, tremante di rebbia e un’altra sconosciuta sensazione che gli premeva sul petto, si precipitò alla ringhiera del balcone e la scavalcò, atterrando perfettamente su un terreno non meglio definito.
Lasciò che il corpo venisse pervaso da tutte le più forti emozioni mai provate in una vita e, una volta giunto allo stadio maggiore, cominciò a correre a grandi falcate macinando i kilometri che lo separavano da quella pazza suicida.
Prima che sparisse dalla sua vista, Giulia lo udì pronunciare un’ultima frase:
<< Quella bimba ha deciso di morire! >>
Poco dopo un terribile ululato squarciò il silenzio della città notturna.
Giulia, affranta nonostante tutto, sedette sul letto e aspettò.
Non restava altro che aspettare.
Dopotutto non le avrebbe fatto niente, credeva.
Infondo avevano davvero bisogno di quella ragazza... William non poteva farla a pezzi sul serio.
Da dove le nasceva tutta quella fiducia?
E io non devo più combatterlo
Per tutti quegli anni ho sognato
E non devo più preoccuparmi
Perché vi ho trovato la mia fede ..

 



Salve a tutti!
Finalmente, dopo cinque capitoli pubblicati, ho deciso che era giunto il momento di presentare decentemente me e questa storia.
Io sono Diosmira, vivo in Italia ma sono originaria del Venezuela.
E dato che purtroppo non ho trascorso molto tempo nel "Bel Paese", ve lo dico per prepararvi ai possibili disastri che potrei combinare; non tanto per la grammatica, con quella me la cavo abbastanza, quanto per i significati delle parole che uso.
 
Per questo ho bisogno di un piccolo aiuto da parte vostra: voglio che questa storia esca bene, quindi se notate errori, di qualsiasi genere, che ho tralasciato, per favore avvisatemi.
Vorrei poter scrivere i miei capitoli senza dovermi preoccupare per quelli già postati.
Ve lo dico perché gli ultimi tre capitoli erano pieni di castronerie.
 
Per quanto riguarda la storia, non ho intenzione di rivelare niente di compromettente, ma dato che generalmente io so che molti non mi capiscono quando parlo, anche i miei scritti potrebbero essere ambigui.
Quindi se avete qualche dubbio, se vi sembra di non capirci nulla, piuttosto  che abbandonarmi, chiedete chiarimenti e io sarò lieta di darveli.
Insomma in poche parole: recensitemi, criticatemi, potete anche farmi a pezzi ma fatevi sentire!
 
Vi ringrazio, se avete avuto la buona vena di starmi a sentire.
Un saluto speciale va alle otto persone che hanno inserito la mia storia tra le seguite e ricordate.
Specialmente grazie va alla persona che solo al secondo capitolo l’ha inserita addirittura tra le preferite!
È la mia prima storia, e significa molto per me.
 
Un bacio a tutti, ci sentiamo al prossimo aggiornamento!
*Diosmy* 

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Capitolo 6
*** Täällä Pohjantähden Alla ***








Täällä Pohjantähden Alla


Chicago, Illinois. 1918
http://youtu.be/CVs9MTXnUG0
 
Täällä pohjantähden alla on nyt kotomaamme
Mutta tähden tuolla puolen toisen kodon saamme
 
Quando Emily svoltò l’ultimo angolo che la separava dalla sua meta, pensò che ormai ce l’aveva fatta: non restava che rimettersi a supplicare quel dottore affinché le desse almeno la briciola di un indizio.

Con un sospiro affaticato si caricò meglio il peso del bagaglio che portava con sé sulle spalle.
Quasi non si sentiva più le braccia. Non sapeva come, ma era riuscita ad arrivare fin lì pur trascinando con sé un peso non trascurabile, specie per una ragazzina esile come lei.
Faticava a respirare.
Man mano che usciva dalle tenebre di quei vicoli si cominciava ad intravedere la facciata della casa che tanto aveva cercato, così le sue gambe trovarono la forza per sostenerla ancora un po’, nonostante un peso sul petto la costringesse a tenere la testa bassa, e proseguire ciondoloni come un assetato in pieno deserto.
Ansiosa di porre fine a quel supplizio accelerò il passo, ma non appena alzò lo sguardo il suo cuore sembrò mancare un battito ed un fremito ti paura le percorse il dorso.
Un ombra scura, dalle chiare sembianze umane se ne stava appoggiata a poco meno di quattro metri dalla porta alla quale lei aveva tutte le intenzioni di bussare.
Anche se Emily sapeva bene di essere già passata vicino ad una marea di ubriaconi lungo il suo percorso, non riusciva ad evitare di pensare che mai aveva rischiato di passarci tanto vicino, e la sua era sicuramente stata pura fortuna.
E si sa, la fortuna tende spesso ad abbandonarti sul ciglio di un baratro.
Ma in qualche modo lei doveva comunque arrivare a quella casa.
Così cercò di scaldare il suo cuore con una buona dose di coraggio e raggiunse in fretta la piccola scalinata che la separava dalla porta del medico, sperando ardentemente che chiunque fosse lì vicino, fosse troppo ubriaco per prestarle attenzione.
Se qualcuno ha mai pensato che la fortuna e la speranza andassero abbastanza d’accordo, non ha mai notato che dove comincia la speranza, è lì che finisce la fortuna.
Non fece in tempo a bussare alla porta che una voce maschile la gelò sul posto.
  • Arrivi tardi piccola, se ne sono già andati. –
Si girò in tempo per vedere il ragazzo, lunghi capelli neri, luminosi occhi verdi, uscire dall’ombra e andarle in contro lentamente.
Subito lo riconobbe come il tipo che poco prima l’aveva minacciata di morte e rabbrividì.
Si era cambiato d’abiti, ma era sicura che fosse lui. Dubitava che sarebbe mai riuscita a dimenticare quella voce gelida.
Il ragazzo si fermò a soli tre passi da lei, che nel mentre aveva indietreggiato fino a poggiare le spalle alla porta.
Oramai solo quattro gradini li separavano. Gli occhi, verdi gli uni negli altri, unico ponte tra loro ma carico di un’elettricità tale da immobilizzarli entrambi.
Fugace, il pensiero di non aver mai visto niente di più bello folgorò la mente del giovane, che però si riprese immediatamente.
  • Ero certo che saresti riuscita a tornare qui. Sei forte! Sono lieto di averci visto giusto, anche se ad essere sincero prima di adesso nutrivo ancora qualche dubbio. Dì un po’ cos’hai scelto alla fine? Vai con loro o ti ribelli?-
Le rivolse un sorriso ammiccante e si portò un sigaro alla bocca.
Lo aveva acceso mentre parlava, il tutto con un atteggiamento sorprendentemente amichevole.
Emily quasi credette che la stanchezza le stesse facendo venire le allucinazioni.
Quella conversazione non poteva essere reale.
Di sicuro in quel momento il suo collo stava per essere spezzato dalle mani del suo interlocutore, e la scena a cui aveva appena assistito era il mero tentativo del suo povero cervello di risparmiarle lo shock per la sua morte imminente.
Shock era decisamente la parola chiave di quegli ultimi giorni.
  • Io.. non capisco, William , di che stai parlando? –
Si rivolse a lui con il nome che Giulia le aveva rivelato, nonostante lui non si fosse mai presentato personalmente. Ma non aveva proprio voglia di essere cortese.
Non con il suo potenziale carnefice.
A quanto pare il suo atteggiamento parve risvegliare in lui il suo lato rabbioso: lo vide infatti rabbrividire e sputare per terra il sigaro con aria sprezzante, quasi volesse allontanare dalle sue orecchie il suono delle sue parole.
Ora lo riconosceva. Tutta la cortesia di prima non era normale!
  • William? -  le rispose, ora con un inquietante occhiata divertita, beffarda.
No, non poteva essere lo stesso ragazzo che aveva giurato di bagnarsi le mani nel suo sangue!
  • No sul serio, dico, William? – continuò lui - così mi offendi dolcezza! Io sono decisamente meglio di mio fratello!
  • Fratello? – Emily deglutì nervosa e tentò di indietreggiare ancora, ma la porta ovviamente glielo impediva.
Lui la fissò, un sopracciglio appena sollevato, l’aria scettica.
  • No , dico ma sul serio, sei stata con loro per circa sette ore, e in tutto questo tempo non ti hanno parlato di me? – appoggiò un piede sul primo gradino, accorciando drasticamente la distanza che li separava, e con fare teatrale si portò una mano sulla fronte.
  • Che duro colpo per il mio Ego!
Poi, appoggiando il gomito del braccio che aveva appena sollevato sul ginocchio, in una specie di inchino molto rilassato e molto poco formale, le sorrise e ammiccò nuovamente.
La ragazza, nonostante tutta la tensione accumulata non poté impedirsi di sorridere a quel teatrino.
  • Gemelli? - chiese. Lui si limitò ad annuire, mantenendo la stessa espressione.
Emily era stanca, spaventata, ma l’atteggiamento di quel ragazzo la rassicurava.
E poi, da quel che le aveva detto, si capiva che non andasse troppo d’accordo col gruppo di pazzi che si era installato a forza in casa sua.
Così sospirò e gli tese la mano.
  • Mi chiamo Emily –
Lui la fissò, gli occhi brillanti pieni di spirito. Un sorrisino sempre più acceso dipinto nel suo sguardo.
E’ così bello! Pensò repentinamente Emily, e allo stesso modo le venne alla mente che forse, in altre circostanze avrebbe pensato la stessa cosa di William. Erano identici.
  • Lo so bene il tuo nome principessa! – le disse con una risatina che le instillò un punta di fastidio nell’animo.
Il ragazzo invece aveva ripreso un posizione eretta e, stringendole la mano, si accinse a presentarsi come si deve:
  • Io sono Lucas Blake, al vostro servizio! E, per inciso, i miei servigi corrispondono pressappoco agli stessi che ti avranno di sicuro offerto mio fratello e i suoi cagnolini.
Cambia solo il fine. Dunque decidi in fretta tesoro, vai con loro o ti unisci a me?

Il tono era drasticamente cambiato. Emily ritirò in fretta la sua mano quasi scottata. Era nauseata.
  • Che intendi dire? –
Lucas non fece in tempo a risponderle che un profondo ululato squarciò il silenzio di quella lunga notte.
Entrambi voltarono il capo in direzione del macabro verso, ma mentre la ragazza era quasi paralizzata dall'inquietudine, Lucas sembrava sinceramente divertito.
  • Tempo scaduto piccola. Facciamo che decido io per te okay?
Non le diede il tempo di realizzare la situazione, che le aveva già afferrato il braccio trascinandola lontano da quella via, lungo vicoli che Emily non conosceva.
  • Tanto venendo fin qui hai già scelto – lo sentì mormorare.
Ma non appena la giovane si accorse che le strade lungo le quali si stavano inoltravano diventavano via via più fitte, si impuntò sulle gambe e fece resistenza sulle gambe per tentare di frenare la corsa sfrenata del ragazzo.
Poi, con un violento strattone che le fece molto male, si liberò dalla sua presa e si allontanò velocemente da lui.
  • Non mi toccare! – urlò. - Siete tutti pazzi in questa maledetta città? Che cosa volete da me? Cristo!
Se le suore la avessero sentita così vicina dall'imprecare le sarebbe toccata almeno una settimana di ammenda.
Ma di certo in quel momento poco le importava.
Non quando stava vedendo il viso di una persona che poco prima aveva giudicato amichevole tramutarsi dall'irritazione in maniera incredibile.
Non si trattava certo di semplici mutamenti espressivi, no.
I suoi occhi avevano letteralmente cambiato colore: il delicato verde erba dell’iride aveva lasciato all'improvviso il posto ad un giallo brillante, che avrebbe potuto competere e vincere facilmente contro la luce delle stelle più luminose. La pupilla nera si era dilatata in modo animalesco.
Era di una bellezza terrificante.
Emily, gli occhi spalancati si portò velocemente una mano alla bocca per smorzare un grido quando notò i già lunghi capelli del ragazzo allungarsi di almeno due pollici: ora gli arrivavano quasi alle spalle.
Le spalle gli tremavano e scorrendo lo sguardo sul suo busto si rese improvvisamente che le sue mani, le stesse che un attimo prima avevano sfiorato le sue con delicatezza, erano ora dotate di artigli spaventosi.
Lucas la riprese immediatamente afferrandole un braccio e, avvicinandola a se, la costrinse a fissarlo bene negli occhi, ignorando gli artigli che tentavano di farsi strada nella carne di lei.
  • Non è a me che devi ribellarti sciocca! Ringrazia il Paradiso che sono dotato di maggiore pazienza rispetto al mio caro fratello, o a quest’ora saresti già all'inferno a contare le tue pene! - detto questo  riprese a correre.
La ragazza era scossa. Non era sicura di voler seguire quel demone, anche se sapeva di non avere altra scelta al momento.
Qui sotto la stella del Nord è la nostra casa ora
ma c'è un'altra casa che ci attende oltre le stelle

 
Forse era già morta.
Forse era finita dritta dritta all’Inferno e non le avevano dato la possibilità di chiedere perdono per la sua misera esistenza.
Aveva la sensazione di aver appena smarrito il suo angelo custode.


 
Täällä on kuin kukkasella aina lyhyt meillä
Siellä ilo loppumaton niin kuin enkeleillä


William percorse rapidamente i chilometri che lo separavano dalla ragazza.
Non gli serviva usare il suo olfatto: sapeva dove era diretta.
Sapeva anche che non era sola.
Sentiva l’odore di Lucas in ogni anfratto più buio che stava percorrendo.
L’aveva seguita.
Imprecò quando giunse alla casa del dottore e si accorse che lì l’odore del suo gemello e quello della ragazzina si compenetravano.
Ma di loro non c’era nessuna traccia.
  • Damn! –
Quand’era partito all’inseguimento aveva a malapena resistito alla trasformazione che aveva scatenato, ma aveva preferito mantenere sembianze vagamente umane, in modo da poter riottenere facilmente il controllo del proprio corpo e non spaventare troppo la ragazza una volta trovata.
Ma il richiamo della Luna era dannatamente forte, e se avesse ceduto ai propri istinti animaleschi per individuare la sua posizione, non era certo che sarebbe riuscito a imbrigliare la sua bestia.
Se solo Christian e Peter fossero stati con lui! Sarebbe stata un’utile rassicurazione.
Scosse la testa, frustrato.
Non poteva permettersi di indugiare, avrebbe corso il rischio.
L’importante era impedire che Lucas la portasse via, come lei poi ne sarebbe uscita era irrilevante; nei peggiori dei casi avrebbe avuto quello che si meritava, quell’incosciente di una ragazzina!
Chiuse gli occhi, inspirò a fondo e liberò la mente, lasciando che i suoi sensi si risvegliassero.
Quando sentì il suo corpo mutare, con un doloroso spasmo al ventre si accasciò al suolo, gemendo.
Imbrigliò una parte dei suoi istinti, nel disperato tentativo di mantenere il controllo.
Così facendo tolse energia alla proprio vista, non gli sarebbe stata utile nella caccia.
Quando si sentì pronto si rimise in piedi e, tenendo gli occhi ben sigillati cominciò a muoversi velocemente lungo la scia captata dal suo olfatto, ora più potente che mai.
Corse lungo i tetti delle abitazioni di una strada secondaria completamente priva di alcuna illuminazione, saltandoli con abilità e maestria.
Gli bastarono pochi secondi per raggiungere il fratello e la ragazza, e non appena si sentì abbastanza vicino fece un balzo atterrando esattamente difronte a loro.
Non osò darsi il tempo di calmarsi, saltò semplicemente loro addosso.
Il suo obiettivo: morte.
Spero che il Paradiso sia pronto ad accoglierti, ragazza.

 
 
Qui viviamo brevemente come un fiore
Lì gioiremo per sempre come gli angeli


Emily e Lucas non fecero in tempo a raggiungere la fine del vicolo che qualcosa precipitò di fronte a loro tagliandoli la strada.
No, non qualcosa ma qualcuno, un altro mostro agli occhi della ragazza, un vecchio compagno per il giovane.
Non ebbero il tempo di reagire in alcun modo: Emily si sentì improvvisamente sbalzata lontano con una spinta violenta.
Sentì distintamente il momento in cui il suo braccio sinistro sfuggi alla salda presa di Lucas, perché sentì un dolore allucinante che dall’omero ripartì fitte fortissime in tutta la spalla.
Ma forse il dolore al braccio poteva anche essere trascurato, considerando che la bastia che poco prima era di fronte a loro le era letteralmente saltata addosso, scaraventandola di forza contro la facciata di una casa di certo abbandonata.
La ragazza batté forte la testa contro il muro, e forse lo shock fu tale da impedirle di provare dolore quando una mano artigliata le penetrò violentemente il fianco destro, togliendole il fiato.
Notò però distintamente che la mano che l'aveva ferita non era quella del suo aggressore. 

Täällä sydän huokailee ja itku silmän täyttää
Siellä sydän iloitsen ja silmä riemun nayttää
 
Non appena sentì William strapparle Emily dalle mani Lucas non tardò a reagire: con un balzò gli fu addosso e, prima che il suo gemello potesse rendersi conto delle sue intenzioni, artigliò il fianco della ragazza, abbastanza a fondo da sfiorarle il fegato, ma stando ben attento a non compromettere drasticamente i suoi organi vitali.
L’odore del sangue si diffuse rapido lungo il viale.
William balzò subito all’indietro, rimirandosi le mani, come temendo di essersele sporcate in qualche modo.
A Lucas bastò uno sguardo per rendersi conto che suo fratello in quel momento era praticamente ceco, e che credeva di aver appena massacrato la sua unica speranza.
Scoppiò a ridere sarcastico, mentre ritirava senza fretta la mano incriminata e tentava di asciugarla con la sua stessa camicia, nera come la notte.
Sentì distrattamente la ragazza al suo fianco scivolare pesantemente a terra, il respiro affannoso, il battito del cuore irregolare ma ancora forte e potente.
Se avessero sbrigato la faccenda in fretta forse sarebbe sopravvissuta.
  • No, dico, davvero non riesci a sostenere una trasformazione senza cedere uno dei tuoi sensi? Ma guardati fratello, sei patetico! Oh, giusto, non puoi vederti perché hai rinunciato alla tua vista! – sbeffeggiò Lucas il fratello.
Avevano fretta, certo, ma prima di farla finita voleva divertirsi un po’ col suo caro gemello, infondo era da un po’ che non si beccavano.
William guardò nella sua direzione e una scintilla gli percorse lo sguardo quando recuperò la vista, lasciando ben notare i suoi occhi ora gialli.
Subito il suo corpo venne percosso da ripetute scosse e prese a tremare violento.
Lucas lo guardò sprezzante, era debole come un cucciolo in fasce!
  • Allontanati – gli intimò William, lo sguardo truce. – Lei non è affar tuo! –
  • Tu dici? No perché non mi sembra che fosse così lieta di essere un “affare” –
Gli rispose prontamente Lucas. – Che ne sai, magari io riesco a farle fare ciò che infondo serve a entrambi! Ho dei mezzi molto efficaci, io –
William ringhiò – i tuoi mezzi sono turpi! sei una feccia senza onore! Non c’era bisogno di ferirla a quel modo!-
Lucas sorrise, sarcastico  - Perché, non è quello che volevi fare tu? È meglio che muoia ora, piuttosto che subisca i tuoi mezzi “onorevoli” – mimò le virgolette con le dita – devo forse ricordarti quante volte hai fallito in quest’ultimo secolo? –
William non ci vide più e gli saltò addosso. L’altro però aveva previsto la sua mossa e si era spostato in fretta, schivando il suo, debole, colpo.
  • Controllo fratello - disse – ci vuole controllo! Critichi tanto me e le mie compagnie, ma sei tu qui quello che non merita di essere quello che è. Non sai distinguere l’amico dal nemico da animale, figuriamoci da umano!
  • Zitto! Stai distruggendo il nostro popolo, perché non te ne rendi conto!- Ringhiò William, in un tono che aveva molto dell'animale che si nascondeva in lui. 
​Lucas non si sorprese di vederlo in quelle condizioni. Sapeva che non ci serebbe voluto molto per fargli perdere completamente la testa,
Forse allora avrebbe avuto più possibilità di mandarlo al tappeto e prendersi la ragazza.

Ma quello che William aveva insinuato lo aveva infastidito, e parecchio.
Possibile che davvero non capisse i suoi sforzi?
Così Lucas tentò di darsi un tono, modulando con dell'ironia nella sua voce:
  • Fratello, la vedi sempre dall’angolazione sbagliata! Sei tu che non la sai difendere la nostra gente! Sei troppo legato alla tradizione, all'etica, per fare quello che deve essere fatto! Sei un codardo! Quello che io invece sto dimostrando è che so trattare con la gente che temiamo, che sono forte e che il tuo posto spetta me!
William scosse la testa, sconsolato.
  • Hai perso la testa, Lucas. Non puoi star facendo tutto questo per una questione che è stata decisa dal sangue! Le nostre capacità non c’entrano, non sono stato scelto perché sono migliore di te, ma perché era destino che fosse così!
Lucas sputò la sua risposta con veleno: - certo che non sei migliore di me, sei debole, non riesci fare niente senza la balia! Sarai tu la rovina della nostra gente! -
 
Aveva ragione, William lo sapeva bene, ma non poteva arrendersi così al fato.
Forse era stato deciso che la loro fosse l’ultima generazione, forse la loro Madre si era stancata di proteggerli e aveva rivelato la loro esistenza a quegli esseri senz’anima che ora davano loro la caccia.
Ma finché c’era ancora una speranza per il suo popolo avrebbe combattuto, e se la sua speranza era davvero quella ragazzina, se la sarebbe ripresa, a costo di lottare contro il fratello.
  • Non ti permetterò di portarla da loro! - disse.
  • Nemmeno io ti permetterò di averla stanne certo – replicò il gemello, beffardo. - Sai, non appena l’ho vista ho capito che era perfetta, e non parlo solo del suo sangue, sai. È perfetta per te, non è forse così?- continuò Lucas – ma sai siamo gemelli, il nostro codice è praticamente identico. Sai cosa significa giusto?
Un’ulteriore brivido scosse il corpo di William, solo che stavolta non c’entrava nulla con la trasformazione che cercava di contrastare.
  • La voglio anch’io William, la voglio per me, quindi stai tranquillo, non le farò mai più del male se ora ci lasci in pace. Fai un regalo al tuo fratellino, almeno per una volta! –
Lucas sabattè languido le palpebre, il solito sorrisino che gli deturpava il viso in una posa sprezzante
Il suo atteggiamento non piacque a William.
Non è un gioco Lucas! Il destino della nostra gente viene prima dei nostri desideri, non te la porterai via, non viva! - 
Nel mentre che parlava viide il fratello accendersi un sigaro tranquillamente.
Quando sollevò lo sguardo su di lui, un raggio insolito di tristezza gli riempiva lo sguardo.
  • Allora siamo in una situazione di stallo, fratello. Tu non me vuoi lasciare, io non ho intenzione di lasciartela. È un vero peccato, non ne avevamo mai trovato una così perfetta.                                                                                                                                    Forse dovremo aspettare cent’anni ancora, prima di ritrovarne un’altra così preziosa per entrambi. Forse per allora avremo dissipato le nostre divergenze e sapremo come adeguarci alla situazione! Che spreco! E pensare che l’ho trovata io per primo! – Disse Lucas, ogni traccia d'ironia improvvisamente scomparsa dal suo sguardo.                                             
Diede un ultimo tiro al sigaro e lo gettò per terra, mentre sollevava la ragazza da terra, afferrandola per il colletto dell’abito che portava.

La fisso attentamente negli occhi di giada, che lo ricambiavano con uno sguardo terrorizzato, sull’orlo delle lacrime, mentre William da lontano lo studiava senza fiatare, i muscoli in tensione pronti a scattare.
 
Per un po’ dovette lottare contro il suo istinto, che lo pregava di proteggerla come se fosse la sua stessa anima.
Ma il controllo che lui era capace di padroneggiare era la sua arma più potente, quella che lo rendeva un avversario temibile e spietato.
Tutto il contrario di quell’idiota del suo gemello!
Lui quando riusciva ad innescare una trasformazione decente era senz’altro il più forte lupo mai visto, ma senza una briciolo di controllo era anche ridicolmente pericoloso per sé e i suoi amici.
Più di una volta i suoi compagni erano finti tra le fauci di William, eppure era lui che dovevano chiamare sire.
Che idiozia!
La vera forza di un lupo risiede nella sua capacità di controllarsi, e non nella forza che poteva imprimere nei suoi colpi.
Era lui il più forte di tutti, non William.
Così,in un attimo, Lucas fece tacere ogni istinto animale e umano e con uno scatto sguainò i suoi artigli, pronto a dare alla sua gemma il colpo fatale.
Con un’inclinazione sadica non osò staccare gli occhi da quelli di lei, voleva cogliere l’esatto momento in cui la sua anima avrebbe abbandonato il suo corpo e gelato il suo cuore.
Ma prima che potesse sferrare il suo colpo, venne scaraventato lontano dalla forza bruta del fratello.
Ovviamente lui non era riuscito a sopprimere il suo istinto protettivo.
Debole, pensò Lucas.
 

 
Qui il cuore sta sospirando e gli occhi sono pieni di lacrime
Lì il cuore è felice e gli occhi brillano di gioia

Emily ricadde pesantemente in ginocchio, conscia di aver appena guardato la morte negli occhi.
Occhi magnifici e terrificanti allo stesso tempo.
Il fianco ora le doleva terribilmente e sanguinava copiosamente.
Stanca appoggiò la testa sul muro alle sue spalle.
Non aveva più voglia di lottare, pregava affinché la morte venisse a prenderla in fretta e la portasse tra le braccia di sua madre.
Ormai non le importava più che suo fratello fosse vivo, da qualche parte.
Se anche fosse sopravvissuta a quel giorno non avrebbe mai più avuto il coraggio di andarlo a cercare.
Non voleva certo coinvolgerlo in quella faccenda assurda piena di mostri incredibili vogliosi di ucciderla.
No, se suo fratello era vivo, allora sarebbe vissuto senza di lei, come in fondo aveva fatto negli ultimi quattro anni.
Nessuno aveva mai avuto bisogno di lei infondo, non sul serio.
E ora spuntavano fuori quelle creature diaboliche che sostenevano di non poter fare a meno di lei, ma che erano disposti ad ucciderla per non farla “finire in mani sbagliate”.
Per quanto la riguardava, in quel momento, le uniche mani nelle quali voleva finire davvero erano quelle della morte, chiunque gliel’avesse portata.
 
I due fratelli davanti a lei avevano preso una lotta silenziosa, priva di parole  ma violenta come un uragano.
Calci, pugni, morsi e graffi si susseguivano a velocità disarmanti, eppure nessuno dei due sembrava riuscire a prevalere sull’altro.
 
A Emily non importava. Chiunque ne fosse uscito vincitore la avrebbe comunque uccisa in un modo o nell’altro, da quello che aveva capito.
Così chiuse gli occhi e attese che il sipario calasse sulla sua vita, e scendesse il silenzio.
Sinne toivonsiivillä sydän pieni lennä
Siellä kun on kotomaani sinne tahdon mennä

 
William emise un sospiro di sollievo quando capì che ce l’avrebbe fatta: Christian e Peter stavano arrivando, li aveva avvertiti subito, erano a meno di un isolato di distanza.
Anche Lucas parve accorgersene e si tirò subito indietro, calcolando i metri che lo separavano dalla ragazza svenuta a terra.
Ma era troppo lontana e suo fratello le faceva da scudo; non sarebbe riuscito ad avvicinarsi. Né per ucciderla né per prendersela.
Quando realizzò che Emily almeno per quella notte sarebbe sopravvissuta uno strano calore lo pervase, ma lo eliminò immediatamente.
Sapeva che quando fosse tornato da loro a mani vuote lo avrebbero rispedito indietro a terminare il lavoro, definitivamente.
Osservò il fratello: tremava ancora, ma doveva ammettere che era migliorato molto.
Oltre ad essere diventato ancora più forte in quell’ultimo secolo, era pure riuscito a non trasformarsi completamente. Cosa alquanto lodevole per uno che un tempo non sarebbe riuscito a trattenersi nemmeno difronte ad un pizzicotto.
Si chiese se fosse l’effetto della gemma. Ma poi scosse la testa, riprendendosi.
Era ovvio che non era così, era passato troppo poco tempo.
Di sicuro il controllo che William aveva dimostrato quella notte non era altro che un regalo della loro Madre.
Lucas sapeva che lei non stava dalla sua parte, non lo era mai stata.
Infondo il sangue giusto l’aveva dato a quell’inetto di suo fratello!
Si concesse un ultimo sorriso sarcastico quando notò i due appena arrivati affiancarsi immediatamente al loro sire.
Erano patetici, così in pensiero per il capo da non degnare di uno sguardo la gemma che invece era mille volte più importante e, soprattutto, era messa mille volte peggio.
Per colpa sua e del suo controllo.
 
Non poteva competere contro tutti e tre, non voleva farlo.
Emily aveva bisogno di cure immediate e loro avevano già perso troppo tempo.
Così si voltò e cominciò ad allontanarsi, sicuro che non l’avrebbero attaccato.
Ma prima di sparire si voltò un’ultima volta a guardare la sua gemma:
era ancora distesa a terra, tra la polvere e il suo stesso sangue.
Poi spostò lo sguardo e incrociò gli occhi impassibili del fratello:
  • Tu le farai di peggio – sputò – la distruggerai come hai fatto con tutte le altre!
Sparì nell’oscurità dei vicoli alle sue spalle.
Nella notte ormai morente di quei vicoli abbandonati dalla civiltà risuonò un fischiettio, un motivetto che penetrò nelle ossa di William e si fuse con le sue terminazioni nervose.
Improvvisamente smise di tremare.
Quella triste melodia era la promessa di una maledizione, una promessa di morte.
Sulle ali della speranza vola laggiù il mio cuore
Perché quella è la mia casa e lì voglio stare
 
 
 
 
 
 
Salve a tutti!
 
La canzone citata in questo capitolo è
  • Täällä Pohjantähden Alla, Kari Tapio & Ville Valo.
Anche se io personalmente preferisco la versione di Peetri Laaksonen, che poi sarebbe quella originale, in teoria!
 
Spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento, o che almeno lo abbiate capito!
Sono sicura che in questo momento avrete sicuramente qualche domanda da farmi, quindi forza, non risparmiatevi e inviatemi qualche recensione!
 
Se la mia storia vi piace ve lo consiglio anche a vostro vantaggio, perché non ho intenzione di pubblicare il prossimo capitolo se questo rimarrà con 0 recensioni.
 
Non sono una di quelle persone che pretendono di avere sempre recensioni, ma in questo capitolo ne voglio almeno una, perché ho assolutamente bisogno di pareri.
Insomma non ho molti modi di sapere se la mia storia vi piace o pure no, quindi questa è l’unica carta che posso giocare.
Su cinque capitoli pubblicati solo i primi tre sono stati recensiti e non so se questo è dovuto al fatto che la storia non vi piace o se semplicemente non avete voglia di scrivere due parole.
Rettifico, se c’è qualcosa che trovate sgradevole, banale, insulso ditemelo!
Se ho deciso di pubblicare questa sciocchezza è in primo luogo per testare le mie capacità narrative e ho bisogno di voi per decifrare i risultati.
 
Domande:
  • In questi capitoli ho sperimentato diversi punti di focalizzazione, quali preferite?
  • Il carattere che ho usato vi crea un qualche disturbo? (es. troppo grande, troppo piccolo)
  • Ho sempre variato la lunghezza dei capitoli, quale preferite?
 
Spero di ricevere una risposta a queste domande, che al momento sono quelle che mi preme di più risolvere.
Detto questo, ci sentiamo al prossimo capitolo!
Buona Lettura,
*Diosmy*
 

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Capitolo 7
*** If You Knew ***








N.d.A. Dato che nessuno si è degnato di rispondere alle mie domande ho deciso di fare di testa mia…. Quindi il carattere dei capitoli fino a lamentela contrario resterà quello usato fin ora.
Inoltre ho deciso di eliminare i PoV, aderendo definitivamente ad una narrazione generale.
 
Rettifico che sono aperta in ogni momento a ricevere possibili richieste che possano servire a migliorare la storia, dunque non siate timide/i! Fatevi sentire!
 
Spero che il capitolo vi piaccia, ci vediamo giù per ulteriori chiarimenti!


 
 
If You Knew
 
Chicago, Illinois. 1918
 
http://youtu.be/QoM7nmVfsVY
 
They think you're crazy.
They think you're mad.
They call you stupid, worthless, 
tell you you're not worth it.
 
Lucas imprecò quando si lasciò cadere sul letto della topaia in cui aveva trascorso gli ultimi tre giorni.
Aveva sprecato un occasione unica ed irrepetibile!
E tutto per colpa delle sue smancerie da buon signore!
Avrebbe dovuto rapirla senza fare troppe storie, come aveva fatto quella bestia di suo fratello.
O, più semplicemente avrebbe dovuto ucciderla immediatamente, infondo era davvero quella giusta.
Se solo lo avesse fatto! Avrebbe avuto almeno altri cent’anni di pace, e non di punizione, come quelli appena trascorsi.
Cent’anni… in effetti si chiese se ci fosse un motivo particolare in quella speciale ricorrenza, una sorta di periodizzazione dei geni.
Anche l’ultimo caso umano incredibilmente vicino a quello che loro stavano cercando era stato individuato un secolo prima.
Cent’anni.
Ma Emily, lei era perfetta. Tutte le caratteristiche combaciavano, poteva addirittura dare una successione alla loro specie…
E lui, per lui, aveva rovinato tutto.
Emily era sì perfetta per lui, ma lo era anche per William, ed ora era con lui.
Quanto ci avrebbero messo a farle il lavaggio del cervello e a metterla contro di lui?
Si lasciò scappare una risata, mentre fissava il tetto di quella squallida stanza, brulicante di topi e nella quale aleggiavano ancora i gemiti e gli ansiti di coloro che, in stanze poco lontane erano venuti accompagnati da donne di piacere.
Il lavaggio del cervello sarebbe stato inutile, con quella ragazza, infondo lui l’aveva quasi uccisa!
Riportò alla mente il suo sguardo terrorizzato, quando l’aveva visto mutare sotto i suoi occhi.
Lo sguardo spalancato, confuso, tradito, quando i suoi artigli avevano penetrato la sua carne.
La poveretta forse credeva ancora che lui l’avrebbe salvata dai suoi rapitori, quando invece aveva le loro stesse identiche intenzioni.
Tra la loro gente i sentimenti erano la prima cosa che andava controllato: per la loro stessa salvezza dovevano essere slegati da qualsiasi legame, persino quello di parentela più stretta.
Lui era sempre stato il migliore di tutti, nel controllarsi.
Così aveva tradito tutti.
 
Finlandia, Villaggio di  Anaar. 1621
 
<< Lucas, Lucas! >> un giovane William di appena diciotto anni correva per le vie del piccolo mercato del paese, incurante delle occhiate sprezzanti che la gente gli lanciava addosso.
Il suo obiettivo era una graziosa tenda in pelle di renna sull’altro lato della piazza.
Al suo interno il gemello era compostamente seduto a terra, in meditazione, le gambe incrociate, i lunghissimi capelli neri legati ordinatamente in un codino dietro la testa.
Quando William entrò, fugace il gelo si fece strada assieme a lui e Lucas, distolto dai suoi pensieri, fu costretto a trovare immediatamente riparo in una fibrosa coperta
La sua salute cagionevole purtroppo gli impediva di restare a lungo in contatto con il clima della sua terra.
<< Tira le tende, fratello! >> bastò lo sguardo a rimproverarlo.
<< Perdonami, è che sono così agitato! Tu non hai idea.. >> il gemello non finì la frase e andò subito a prendere un'altra coperta al fratello, coprendolo bene sulle spalle.
Dal canto suo Lucas si fece subito più attento: solo una cosa poteva mettere in quello stato William. Improvvisamente non ebbe più freddò, né gli importò criticare l’aspetto scomposto del fratello, che aveva buona parte dei capelli in disordine davanti agli occhi ed il fiatone dovuto alla lunga corsa che doveva aver fatto per raggiungerlo.
<< Non dovresti essere al confine, di guardia? >> un pizzico di invidia venò le sue parole: lui non avrebbe mai potuto proteggere la sua gente come faceva il suo gemello.
Non poteva nemmeno uscire da quella tenda per tre mesi l’anno! Si sentiva debole.
<< Nostro padre mi ha dato il permesso di allontanarmi. >> disse William, sedendosi davanti al fratello, imitandone la posizione. Poi lo guardò negli occhi entusiasta e gli diede la notizia:
<< Ne abbiamo travata una! A quanto pare appartiene ad un ragazzo, ma padre dice che andrà bene lo stesso! Dice anzi che è meglio così, saremo i più forti vedrai! >>
Lucas lo guardò, dapprima tentando di nascondere tutte le sensazioni che lo pervadevano.
Ma non ci riuscì e scoppiò in una felice risata, attirando il fratello in un abbraccio caloroso.
<< Per quando è previsto il tutto? >> chiese, fremente.
<< Stanotte stessa faremo la cerimonia. Non preoccuparti, la faremo qui, non dovrai nemmeno uscire! >> chiarì immediatamente. << poi per completare il tutto dovremo aspettare la Luna giusta. Padre crede che questa non nascerà prima di sette anni, ma vedrai ce la faremo! >>
Lucas scosse la testa, desolato.
<< Davvero, non credo di resistere altri sette anni. Guardami! Sono all’estremo. >>
<< Non dire sciocchezze, fratello! >> scatto William << dobbiamo arrivarci insieme, lo sai, altrimenti sarà stato tutto inutile e non potremo portare a termine la nostra missione!
E poi vedrai che il rito di oggi ti regalerà altre forze! Ricorda che non si tratta solo di te! >> disse, serio
Lucas sospirò. Poi sorrise nuovamente.
<< Lo so William, scusami. Mi sono lasciato prendere dal panico, non succederà più lo giuro. >>
<< Non preoccuparti, fratello. Io ora vado ad aiutare padre a preparare il rito, tu preparati come sai. >>
William uscì nell’oscurità di quel gelido inverno, e quando il silenzio tornò a regnare in quella tenda, Lucas chiuse gli occhi, si levò le coperte di dosso e torno a meditare.
Un leggero sorriso gli piegava gli angoli delle labbra.
Era un sorriso chiamato speranza.
 
Finlandia, Villaggio di Anaar. 1627
 
La luna piena li colse impreparati. 
Erano in piena caccia, in una notte di tiepida estate.
Lucas aveva portato con sé una quantità innumerevole di pelli, nonostante già da giorni sentiva di non averne veramente bisogno. 
Cominciava finalmente ad apprezzare quella brezza leggera che per i lunghi ventiquattr’anni della sua vita lo avevano tenuto rinchiuso in una tenda sei mesi l’anno.
Stavano inseguendo un branco di renne nuove. Volevano legarle ai loro allevamenti.
William al suo fianco procedeva spedito, seguendo tracce invisibili per Lucas, che non era dedito a quel tipo di spedizione.
Non appena il gemello si era accorto infatti che il fratello sopportava meglio le temperature basse aveva insistito per trascinarlo in una delle sue scorribande notturne, altamente vietate dal loro padre.
Diceva di volergli insegnare ciò che la vita, a causa della sua cattiva salute, gli aveva precluso.
Fu una fortuna che quella notte si fossero allontanati tanto dal villaggio.
Lo capirono entrambi non appena avvertirono un dolore lancinante attraversare loro il petto, per diramarsi poi in tutti i muscoli, tutti i nervi.
Il respiro si fece affannoso e la vista focosa.
Nessuno li aveva preparati a quello che avrebbero dovuto affrontare: in genere la trasformazione era un processo naturale, dunque il corpo si sarebbe dovuto adeguare istintivamente.
Lucas, spaventato da ciò che si sentiva dentro si appoggiò veloce ad un albero, cercando di controllare il respiro e calmare i fremiti. 
Quando un bruciore intenso gli perforò lo sguardo credette che sarebbe diventato ceco, ma una volta passato aprì gli occhi, e ciò che vide gli diede la certezza che il peggio era passato: ce l’aveva fatta!
Il mondo gli si presentò sotto una nuova prospettiva: quella del cacciatore.
Ora distingueva chiaramente quelle forme che suo fratello aveva presuntuosamente affermato di potergli insegnare!
Un sorriso vittorioso e sollevato gli si disegnò sul viso, ma venne subito spento quando si rese conto delle condizioni in cui versava il fratello.
Anche William aveva cercato di reggersi ad un albero, per dare sollievo alle gambe che sembravano incapaci di sostenere il suo peso, incapace di mantenere una posizione eretta.
Continuava a tremare e si aggrappava a quell’albero come fosse il ventre caldo della madre.
Presto prese ad urlare, in preda a dolori inimmaginabili.
La forza che applicò su quel povero pezzo di legno fu tale da spezzarlo, e lui cadde a terra sui residui di neve congelata.
Lucas si buttò subito al suo fianco, afferrandogli con forza le mani che erano andati a stringersi convulsamente sul ventre.
Non capiva cos’era andato storto.
Se non fosse stato certo di essere cambiato avrebbe creduto di essere lui a non aver completato la trasformazione, invece era il fratello a non riuscire a transitare.
<< William, fratello lasciati andare, non devi combattere il dolore! >> provò a consigliarlo su cosa fare.
Ma lui continuava ad urlare cose senza senso, sembrava in preda ad allucinazioni.
Si liberò dalla stretta del fratello e, tirandosi indietro fece per graffirsi lo stomaco. Le unghie simili ad artigli.
Venne però subito bloccato dal gemello, che ora però rischiava di cadere nel panico.
Non sapeva cosa fare.
<< WILLIAM, FERMO! >> urlò.
Al suo grido seguì un lunghissimo ululato, che riempì di sollievo il giovane.
Quando il padre giunse nello spiazzo in cui i due si trovavano, la situazione non era cambiata:
Lucas tentava ancora di tenere fermo il fratello, ora in preda alle convulsioni.
Stava sputando sangue.
Non appena il ragazzo vide il padre avvicinarsi gli lasciò il posto accanto al fratello e si allontanò, le mani tremanti ma non per via della trasformazione appena subita.
<< Padre, non so cosa sia successo, dico davvero! William, non la smette ma io non ho fatto nulla! >>
Era sull’orlo delle lacrime.
L’uomo lasciò il figlio steso nelle mani di due suoi compagni che lo sollevarono e cominciarono a portarlo verso il villaggio.
Si avvicinò mesto a Lucas e gli posò una mano sulla spalla.
<< Non preoccuparti, sapevo che sarebbe successa una cosa simile. Per questo ci tenevo che non vi allontanaste dal villaggio. >> il tono non era affatto di rimprovero, voleva anzi essere rassicurante ma il giovane sentì comunque il bisogno di giustificarsi.
<< Noi non..>> venne però subito bloccato da un occhiata del padre.
<< Non ha importanza. William starà bene.>> lo guardò un ultima volta, di sbieco.
<< Per quanto ti riguarda, figliolo, hai fatto un ottimo lavoro. Sono fiero di te. Ora seguimi, devi completare la tua trasformazione >>
Poi mutò sotto lo sguardo eccitato del figlio e sparì nel folto della vegetazione.
A Lucas non ci volle molto per negare i suoi sensi e lasciarsi inebriare dal suo lato animale.
Subito fu dietro al padre, il suo capo, la sua guida.
Nonostante la preoccupazione per il fratello, che poco distante da lui continuava a lamentarsi in preda a spasmi e fitte allucinanti, nonostante nelle sue orecchie alleggiasse ancore il suono delle sue grida, nonostante tutto, Lucas era felice. 
 
 
Chicago, Illinois. 1918
 
Lucas, immerso nei suoi ricordi, fissava ancora il soffitto di quella stanza imputridita.
Prese a giocare con le macchie di muffa che notava in ogni angolo di parete, dava loro diverse forme e ad ogni forma diverse storie che rielaborava secondo la propria fantasia.
Lui era sempre il protagonista di tutte le sue fantasie.
Si chiese come sarebbe stata la situazione se lui fosse rimasto fedele al fratello, si chiese se William gli avrebbe concesso di provare a legarla a sé, o se avrebbe reagito come in passato lui stesso aveva fatto, uccidendo la donna che forse avrebbe potuto amare davanti ai suoi stessi occhi.
No, William non era cattivo, non era sadico, non era crudele.
Era per questo che finora aveva sempre perso le sue battaglia, in primis quella contro sé stesso.
Ma ormai era inutile divagare su quei pensieri, Emily non sarebbe più riuscita a scappare, se anche avesse voluto farlo, e lui l’avrebbe uccisa. Punto. Non c’erano altre alternative.
E comunque era lui che non aveva alcuna possibilità di scelta.
L’indomani avrebbe organizzato la partenza:
tornava in Italia.
 
Pensano che sei pazzo. 
Pensano che sei matto. 
Ti chiamano stupido, inutile, 
ti dicono che non ne vali la pena.
 
Michigan, Detroit. 1918
 
Now you are walking back, 
to a place you call home,
but you feel so alone.
 
Edward fissò le poche stelle che apparivano dalla finestra di quell’abitazione.
Aveva voluto bruciare i suoi vestiti, sporchi di sangue, ed ora indossava gli abiti di Carlisle.
Il medico lo aveva avvisato che avrebbe dovuto abituarcisi al sangue, ma il neo vampiro preferiva fingere che niente di tutto quello fosse successo sul serio.
Non poteva piangere, non aveva battiti, ma gli sembrava che il cuore sanguinasse per lui tutte quelle lacrime cristallizzate per sempre nel suo corpo… morto.
Cercò di ricordare gli ultimi giorni passati coi suoi genitori, quelli felici.
Ma per quanto lontano o vicino tentasse di andare con la mente, si scoprì incapace di visualizzare nitidamente i suoi pensieri.
Non sapeva nemmeno come la sua famiglia si fosse ritrovata così, di punto in bianco, morente tra le pareti di un ospedale.
Possibile che, avendo vissuto una vita piena di inibizioni, incurante dei suoi affetti più cari, la morte lo avesse colto così repentinamente da impedirgli di pronunciare un singolo addio?
Si era sempre immaginato la morte come la striscia di terra che un marinaio, dopo mesi e mesi di navigazione, vede spuntare piano piano, seminascosta dalle onde marine.
La vede avvicinarsi ma non ci crede finché non la tocca di propria mano.
Insomma Edward era convinto che al momento di morire, avrebbe saputo di vivere i suoi ultimi istanti di vita.
Invece tutto ciò che ricordava era quel bruciante inferno che aveva portato alla sua trasformazione.
Non una parola, non un saluto, nulla che lo accompagnasse lungo la penosa eternità che lo aspettava.
Solo un vago ricordo continuava a passargli per la testa, con una fitta di grande rimorso e profondo senso di colpa.
Era ingiusto che l’ultima immagine che aveva della sua adorata madre fosse quella di una lite.
Era successo appena una settimana prima della fine, quando sua madre era venuta improvvisamente a parlargli nella sua stanza.
Non lo faceva mai, e ciò era molto strano.
Lo aveva pregato di andare da Emily, sua sorella, diceva di aver fatto un brutto sogno su di lei, era disperata.
Elizabeth Mary Williams, sposata Masen, era sempre stata una donna che dava molto poco peso alle superstizioni, ma che credeva fortemente nei sogni premonitori. Era la contraddizione fatta a persona, o almeno questo credevano i suoi famigliari.
Così quando Edward aveva visto la madre in quelle condizioni, non si era nemmeno preso la briga di preoccuparsi troppo.
Aveva promesso di andare all’istituto tre giorni dopo, ma la madre, sentendosi presa in giro gli aveva gridato contro, in preda ad un attacco isterico.
Edward, dando la colpa a quel periodo, si era sforzato di ignorarla e aveva lasciato che si chiudesse in un’altra stanza, lontano da quel “ figlio degenerato ”, come lo aveva chiamato.
Non aveva nemmeno provato a consolarla, a spiegarle che quei sogni su Emily potevano essere solo l’emanazione della sua preoccupazione di madre.
No, aveva ben altre cose certamente più importanti da fare, doveva prepararsi:
aveva una festa cui partecipare.

Tre giorni dopo si era ritrovato incosciente e delirante su un letto d’ospedale, ignaro delle cure amorose che riceveva dalla madre.
Ora, col senno di poi, Edward si disprezzava come la peggior razza di cane appestato vivente sulla faccia della terra. No, non vivente, morto.
Era inoltre convinto che il sogno di Elizabeth, a quel punto non fosse stato solo un sogno.
Infondo se lui ora era una vampiro e leggeva nel pensiero, perché sua madre non poteva aver previsto un futuro disgraziato per sé e la sua famiglia?
Non aveva neanche voluto accertarsene di persona.
Non voleva immaginare anche il volto morente della sua sorellina.
Poi pensò che se anche l’avesse vista, non l’avrebbe nemmeno riconosciuta, non solo perché adesso era un vampiro privo di buona parte dei suoi ricordi umani, quanto per il fatto che erano comunque due anni che non la vedeva di persona.
Se provava a pensare ad Emily, scorgeva un delicato viso di bambina, i lunghi capelli mossi e ramati, gli occhi verdi brillare ai raggi del sole.
Ma quanto poteva essere cambiata in due anni!
Come avevano potuto allontanarsi così? Un tempo erano inseparabili, nonostante la differenza di genere.

Da vivo aveva avuto così tanto, ed altrettanto aveva sprecato.
Ora era un mostro, solo con uno sconosciuto ed estraneo ai propri occhi.
 
Ora stai tornando  indietro, 
in un posto che chiami casa, 
ma ti senti così solo.

 
Chicago, Illinois. 1918
 
 
 
The same hurtful hits, 
it's your darker place.
In your virgin ears, 
the remarks they make.
 
Mentre Christian prendeva in braccio la ragazza e si affrettava a riportarla a casa, dove Giulia la avrebbe certamente medicata, Peter corse da William, esaminando le sue condizioni.
Fisicamente, a parte i numerosi graffi aperti che gli decoravano torso e dorso, stava bene.
Era l’andamento della trasformazione in corso a preoccupare Peter.
<< Come va? Da quanto tempo è cominciata? >>
William, non appena gli fu vicino, gli si aggrappò con tutto il peso, mentre veniva pervaso da alcuni conati di vomito.
<< Venti minuti >> boccheggiò.
Il suo compagno invece ne fu sinceramente stupito.
<< Beh, direi che stasera hai battuto un favoloso record! Guardati, non sputi nemmeno sangue! >>
<< Zitto! >> lo interruppe malamente William, piegandosi sulle ginocchia e vomitando della bile che conteneva fin troppo rosso..
Quando ebbe finito si asciugò il sudore perlaceo dalla fronte e respirò profondamente.
Tramava ancora, ma adesso pareva essere più calmo. La crisi era passata.
<< Riesci a muoverti? >> chiese Peter, ansioso. Ricevette in cambio un’occhiata burbera.
Il moro detestava essere trattato come un debole, anche se infondo lui stesso sapeva di esserlo.
Ad ogni modo non si degnò di rispondere e cominciò a dirigersi verso l’abitazione della strega.
Andava a passo umano, incapace di dare ulteriore forza alle proprie gambe.
Peter per un po’ lo seguì in silenzio, ma dopo dieci minuti da che si erano incamminati non resistette più.
<< Dico davvero William, posso portarti io, così potrai medicarti in fretta quei graffietti. Devono prudere un sacco! >>
<< Preferisco camminare, Peter. Quando arriverò sarò già guarito, lo sai. Ma se hai così tanta fretta puoi anche precedermi! >>
Peter deglutì a vuoto. Si sentiva fastidiosamente fuori luogo, ma era compito suo salvaguardare la sicurezza del compagno, quindi tacque e continuò a camminare.
Non avrebbe mai abbandonato il suo signore, per quanto problematico fosse.
Nessuno di loro l’avrebbe fatto.

Una delle più celebri caratteristiche di William, era che lui non parlava.
O meglio, quando lo faceva, si limitava a sussurrare.
Non era sempre stato così, ma ormai erano molti pochi a sapere il perché di quella sua abitudine.
Probabilmente solo il fratello lo sapeva, ammesso che non ne fosse lui la causa.
<< Cosa avete scoperto? >> chiese il moro.
Si riferiva alla spedizione che Peter e suo fratello avevano fatto quella sera.
<< Il dottore è stato bravo, ha tenuto tutto sotto controllo. Pare gli abbia imposto la sua dieta. >>
William annuì e, con un cenno del capo, gli intimò di continuare.
<< Se ne sono andati subito da Chicago. Li abbiamo seguiti fino al Michigan, tenendo lontani gli umani per evitare possibili incidenti. Non ce ne sono stati. >>
lo sbuffo esasperato del moro lo avvertì che William si era reso conto che stava tergiversando. Non gli aveva ancora detto quello che voleva davvero sapere.
Ma a lui pareva ovvio, non aveva dubitato per un secondo di aver preso la persona giusta.
<< Ha un dono. Legge nel pensiero. È stato difficile non farci notare né da lui né dal medico. >>
Tra tutte le reazioni che William avrebbe potuto avere, scelse la meno compromettente.
Si limitò ad annuire e a sussurrare un leggero << bene >>.
Dentro di sé sapeva che non andava bene per niente.
Quando le circostanze sembrano essere perfette, il fallimento è sempre pronto a bussare alla porta, e lui aveva già fallito tante di quello volte.
Aveva paura di trovarsi di nuovo di fronte a quel suo terribile alleato non desiderato.
Questa volta, aveva paura.
Sperò infinitamente che Emily non lo tradisse, che non tradisse la speranza che tutti loro avevano riposto in lei.
Ne avevano bisogno.
 
Lo stesso doloroso colpo, 
 è il tuo luogo più scuro. 
Nelle tue orecchie vergini, 
le osservazioni che fanno.
 
<< Giulia! Vieni, subito! >> gridò Christian all’ingresso.
Venne raggiunto dalla ragazza mentre stendeva Emily sul tavolo.
Aveva perso moltissimo sangue ed era mortalmente pallida.
Appena la rossa la vide in quello stato si coprì la bocca con una mano, profondamente disgustata.
<< Ma che diamine ha combinato William! >> esclamò, irritata.
<< E’ stato Lucas >> rispose pronto il ragazzo.
Giulia lo guardò confusa un attimo, scosse la testa e si limitò a dire un chiaro e semplice << merda! >>.
Poi si mise subito all’opera per ricucire il fianco destro della ragazza priva di sensi stesa davanti a lei.
Intanto che le puliva la ferita volle ottenere maggiori informazioni.
<< Dove sono William e Peter? >>
<< Stanno bene. Saranno qui a momenti. Io e Peter siamo arrivati in tempo, ma William era in piena crisi, quindi è rimasto con lui per dargli modo di riprendersi. >> rispose Christian, appoggiato su una sedia.
<< mah! >>  fece la rossa << orgoglioso com’è ci metteranno due ore a piedi ad arrivare! E Lucas? Che fine ha fatto? >> chiese infine.
<< se n’è andato come ci ha visti >> rispose laconico. << senti io ho sonno, tu fai la brava infermiera e vedi di non farla morire.
Dubito che Will te lo perdonerebbe! Bye >>
Detto ciò si allontanò, diretto ad una delle stanze superiori, lasciandola sola coi suoi pensieri.
E la moribonda.
Sarebbe stato facile trascurare una qualsiasi delle sue ferite e farla morire sul serio.
Ma trascurando la rabbia che poi si sarebbe scatenata in William, anche lei aveva bisogno di quell’insulsa ragazzina.
In gioco c’era la sua libertà e quella di molte altre streghe che, come lei erano state costrette ad assorbire un'altra forma.
Era stanca, voleva cambiare, voleva tornare come prima, lei che poteva.
E per questo era necessario che quella bimba sopravvivesse e facesse quello che doveva fare.
Anche se questo avrebbe significato per lei perdere Will, che poi era la causa della sua schiavitù.
Con una smorfia inserì bruscamente l’ago sterilizzato nelle carni di Emily.
Un pò di altro dolore non l’avrebbe certo uccisa, pensò.
Era pazza, sadica e lo sapeva.
La testa e tutto ciò che di razionale ne derivava, l’aveva persa molto tempo fa.
E dopo un secolo di sofferenze fisiche e spirituali, la pazzia era la sua unica compagna.
 
And if they, if they really knew 
all of those things.
That you do in your room, 
to hide the pain.
I’ll bet their minds would change.
I'll bet their minds would change.
They'd change, 
If they knew the pain.
Cause I believe in these scars, 
 Cause I believe.
 
Quando arrivarono a casa, William si diresse subito nella stanza della ragazza, dove sapeva di trovarla.
Era distesa sul fianco sinistro, una benda a fasciarle la testa, che presentava diverse contusioni, un'altra sicuramente posta a fasciarle il fianco.
La guardò a lungo, prima di rendersi conto di non essere l’unico in quella stanza, oltre a lei.
Giulia infatti era seduta in una poltroncina posta all’angolo estremo della stanza, nell’oscurità più totale.
Non si sorprese di non essere riuscito a percepirla prima: i suoi sensi erano ancora molto deboli.
<< Sai non volevo ripetere lo stesso errore di prima. La sua fuga è stata una mia imperdonabile mancanza. >> parlò la rossa.
<< Infatti >> rispose William << ma non è facendo la bella statuina che assolverai la tua colpa. Vai a dormire, riposati, e domani troverai una modo per renderti utile. >> ordinò.
Non era arrabbiato, era solo esausto.
<< Vai, qui ci penso io >> ripeté non notando alcun movimento da parte della giovane donna.
Così Giulia, a testa bassa si affiancò alla porta, ma poco prima di uscire si voltò e pose un ultima bruciante domanda:
<< Non che sia importante, ma è lei? È davvero lei? >>
William rimase in silenzio, e proprio quando ormai la rossa aveva perso la speranza di ricevere una risposta, la sorprese:
<< Sì, è lei. In tutti i sensi. >>
Le disse più di quanto volesse sapere.
La gioia di un sogno realizzato si mescolo presto all’amarezza per quello infranto.
Ma un sorriso commosso si dipinse sul suo viso.
<< Allora la proteggeremo >> disse, uscendo.
Il moro rimase dunque solo a fissare la chioma di quella ragazza che, ancora inconsapevole, avrebbe segnato per sempre il suo destino.
<< La proteggerò >>
 
E se, se davvero sapessero
tutte quelle  cose.
Che fai nella tua stanza,
per nascondere il dolore.
Scommetto che la loro opinione cambierebbe.
Scommetto che la loro opinione cambierebbe.
Cambierebbero,
Se conoscessero il dolore.
Perché io credo in queste ferrite,
Perché ci credo.

 
 
Salve a tutti,
lieta di sapere che avete gradito il precedente capitolo!
Un ringraziamento speciale speciale va a: 
Anonimadaicapellibiondi
Ti ringrazio perché sei davvero una persona speciale, con le tue splendide recensioni rendi sempre meno anonima questa storia!
 
La canzone che mi ha ispirata in questo capitolo è:
If You Knew – Joel Faviere.
Vi consiglio vivamente di ascoltare qualche sua canzone, ha una voce che personalmente adoro!
Ora vi lascio, ho un letto che mi aspetta!
Ci vediamo al prossimo aggiornamento!
*Diosmy*
 
p.s. se avete voglia di consigliarmi qualche canzone che magari possa aderire ai temi di questa storia, fatevi avanti!

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Capitolo 8
*** Gods and Monsters ***








Gods And Monsters

 
Chicago, Illinois. 1918
 
 
https://www.youtube.com/watch?v=FkgMbiVi_3E
 
In the land of gods and monsters, 
I was an angel,
Living in the garden of evil,
Screwed up, scared, 
doing anything that I needed,
Shining like a fiery beacon.
 
Quando Emily aprì gli occhi, la prima cosa che sentì fu dolore.
Alla testa, alla spalla, al fianco e alla gambe.
Non provò nemmeno a mettersi seduta per cercare di capire dove si trovasse:
lo sapeva già.
Era la seconda volta in meno di quarantotto ore che Emily si risvegliava in stato confusionale e ad accoglierla era l'odore di casa sua.
Lavanda e limone.
 
Sospirò e torno a chiudere gli occhi, stanca.
Si era ormai arresa al suo destino, ma non era certo entusiasta di scoprire cosa davvero l'aspettasse.
Perché non era ancora morta?
Non voleva saperlo.
Le immagini della lotta a cui aveva assistito le attraversarono la mente lasciandole una sensazione di forte spaesamento.
Rivedeva i due fratelli cercare di azzannarsi la gola a vicenda, colpirsi a sangue e continuare, incuranti del dolore; incuranti di lei che agonizzava sul marciapiede.
Con un brivido ricordò i loro artigli, gli occhi animaleschi.
Erano bestie.
 
Se si era risvegliata a casa sua doveva aver vinto William, pensò.
Non sapeva se esserne sollevata o meno.
Certo, lui l'aveva minacciata, l'aveva spinta bruscamente contro un muro, ma non era stato lui a tentare di strapparle il fegato.
No, quello era Lucas.
Chissà che fine aveva fatto. Non ci teneva a sapere neppure questo.
E pensare che l'aveva così affascinata in un primo momento!
Sembrava essere più cortese del fratello, eppure si era dimostrato molto più pericoloso.
D'altronde William l'aveva avvisata.
Le aveva detto che c'erano creature disposte a farle più male di quanto non ne avesse intenzione lui.
Buffo che si riferisse proprio a suo fratello!
 
Sospirò di nuovo e, tenendo sempre gli occhi chiusi, si portò una mano sulla fronte.
Voleva scostare i capelli che le ricadevano sul viso.
Si accorse così della benda che le fasciava il capo.
 
<< Ti sei svegliata >>
Bastò un sussurro a farle spalancare gli occhi, spaventata.
Il cuore accelerò i battiti.
Con uno scatto molto poco intelligente si tirò a sedere rapida, sentendo subito una tremenda fitta al fianco destro.
William era comodamente seduto su una poltroncina posta di fianco alla porta, dall'altra parte della stanza.
Il piede destro poggiato mollemente sul ginocchio sinistro, il braccio a reggere il capo.
Emily lo fissò a lungo, in attesa che parlasse.
Ma lui si limitò a fissarla di rimando, lo sguardo indecifrabile.
Si era cambiato gli abiti, ora indossava una camicia, blu notte, che gli fasciava il petto e ricadeva morbida sui pantaloni neri.
Non sembrava voler aprire bocca, anzi pareva molto più interessato a giocare con il sigaro spento che teneva nella mano sinistra, rigirandoselo tra  le dita.
Entrambi  si lanciavano occhiate di sottecchi, attendendo che l’una o l’altro facesse la prima mossa.
La ragazza si stancò presto di aspettare, confusa da quel gioco di sguardi.
Gli occhi di lui, ora verdi, la mettevano a disagio.
Il ricordo del bagliore felino che li aveva accesi solo poco tempo prima era ancora vivido.
<< Che cosa volete? >> chiese infine, dandogli del voi.
Tra tutte le domande che poteva fargli era certo la più banale.
Ma era anche quella più urgente: voleva sapere quanto tempo le rimaneva.
Ripensò alla discussione che qualche ora prima aveva avuto con Giulia: era davvero una mera consolazione poter decidere di che morte morire.
Vide William abbassare lo sguardo, serio.
<< Lo sai, voglio che tu venga con noi >> rispose, il tono monocorde e appena udibile.
<< Ma per il momento mi limiterò ad aspettare che tu guarisca >> concluse tornando a fissarla negli occhi.
William era fin troppo diretto, la metteva in soggezione.
Emily deglutì, distolse lo sguardo e poi si ributtò pesantemente sul letto, gli occhi chiusi, ignorando il dolore che si stava procurando.
Aveva deciso di risparmiarla, almeno per il momento, pensò.
Non sapeva se esserne sollevata o atterrita: talvolta l’attesa della morte poteva essere un’agonia peggiore della morte stessa, ma il tempo poteva darle un’infinità di possibilità.
Se avesse fatto buon viso a cattivo gioco, forse un giorno sarebbe riuscita a scappare.
Doveva solo saper cogliere il momento più opportuno.
Ripensò a suo fratello e una domanda le sorse spontanea.
<< I termini dell’accordo sono sempre validi? Mi aiuterete a trovare mio fratello? >> chiese.
Era ora completamente distesa sul letto e non riusciva più a vedere William in faccia, ma lo sentì comunque esitare nel risponderle.
<< Tuo fratello ora è nel Michigan >> disse il ragazzo.
Emily spalancò gli occhi, il respiro spezzato, ma non osò rimettersi a sedere.
Ne aveva avuto abbastanza, di dolore.
<< Come fate a saperlo? >> chiese, confusa.
<< Peter e Christian hanno seguito lui e il dottore sino al confine, stanotte >> rispose William.
Emily scosse la testa. Fece un ulteriore sforzo e si rimise seduta, lentamente.
Sentiva il bisogno di guardarlo in viso.
<< Non è possibile, sono stati via solo poche ore, non possono essere andati fino a lì per poi tornare indietro in così poco tempo, è inumano! >> esclamò fissandolo sbalordita, la mano premuta sul fianco dolorante.
Lui la ricambiò con uno sguardo a metà tra il perplesso e il divertito.
Sembrò volesse suggerirle di aver dimenticato qualcosa, un particolare importante.
Emily ripensò alla notte appena trascorsa, a quello a cui aveva assistito.
No, non se n’era dimenticata.
<< Ma che cosa siete? >> chiese, turbata.
All’improvviso la ripugnava l’idea di essere chiusa nella stessa stanza di quell’essere.
Lui accennò un sorriso mesto. Pareva pensarla esattamente come lei.
<< Mi chiedevo quando avresti fatto emergere il discorso! >> disse, stanco.
Se era rimasto in quella stanza tutto quel tempo era principalmente perché voleva essere lui ad affrontare quel tema con lei.
Avrebbe così evitato possibili malintesi e si sarebbe assicurato che non rimanesse troppo scioccata dalla verità.
Avevano bisogno che fosse lucida, quindi era meglio che sapesse cosa l’aspettava.
Non potevano permettersi che facesse altri errori.
<< È una storia lunga, ma abbiamo tempo a sufficienza >> cominciò.
Nel mentre che parlava la ragazza lo fissava rigida, preoccupata, ma con della curiosità negli occhi.
William invece si chiedeva da dove partire.
C’erano almeno tre secoli di storia che la ragazza doveva conoscere, ma pensò che non era ancora pronta per quelli.

La guardò, indeciso.
<< Secondo te cosa siamo? >> le chiese, testandola.

<< Demoni, Bestie >> rispose prontamente la ragazza.
C’era del disprezzo, nel tono e nello sguardo.
William trattenne a malapena un sorriso. Fosse stato per lui, le avrebbe dato ragione.
Ma la questione era molto più complicata di così.
Decise di andare dritto al punto, senza troppi giri di parole.
<< Siamo Figli della Luna >> disse, osservandola attentamente.
La vide inarcare le sopracciglia delicate, perplessa.
Evidentemente il termine non le diceva nulla. William non si sorprese e si apprestò a proseguire.
<< A seconda delle culture con cui abbiamo avuto a che fare siamo stati chiamati in molti modi, ma quelli per cui siamo divenuti famosi sono certamente licantropi, lupi mannari >>

La vide trasalire, cominciava a capire.
La ragazza si spinse verso la testiera del letto, come a porre maggiore distanza tra loro.

<< Dopo quello che hai visto, non ti sarà difficile credere che questa sia la verità >> disse lui, laconico.
Aspettò che Emily elaborasse meglio la situazione. Non aveva fretta.

Lei dal canto suo cominciò a ripensare a tutti quei miti che conosceva riguardo le creature della notte.
Si trovava in una situazione assurda, ma per assurdo era anche l’unica spiegazione plausibile.
C’era però qualcosa che non andava.
<< Stanotte non c’era la luna piena, e voi, per quanto mostruosi, non sembravate affatto dei lupi! >> attaccò.
<< La luna piena ci vincola, è vero, ma non nel senso tramandato dalle vostre leggende >> rispose subito William << per dirla breve, la sua presenza ci rende molto difficile avere il pieno controllo della nostra mente, una volta trasformati. 
Siamo devoti ad ogni singolo aspetto della luna, e quando essa non c’è non ci è possibile nemmeno ricorrere ai nostri istinti di lupo >> sospirò << ma c’è veramente troppo da sapere al riguardo, scoprirai tutto col tempo, vedrai >> disse, sollevandosi dalla poltrona e avvicinandosi al letto di lei.
La vide ritrarsi e tremare impercettibilmente.
Si fermò a un metro e mezzo da lei, appoggiandosi a una credenza che affiancava la specchiera della giovane.
Non voleva spaventarla.
La ragazza lo squadrò dal basso, diffidente, un dubbio in mente.
<< Se anche fosse tutto vero, cosa c’entro io? >> chiese.
Sapeva bene che era tutto vero, ma voleva ancora illudersi di trovarsi in balia di gente matta, era molto più rassicurante, come pensiero.
William scosse la testa, quasi spazientito, prima di risponderle.
Il controllo che era riuscito a mantenere sino a quel momento stava già scemando.
La sua umanità, la sua pazienza, stavano cedendo il passo a ben altri istinti.

<< Non sai che, in genere, sono le colpe dei nostri genitori a condurci alla tomba? >> disse bruscamente.
Un brivido percorse la schiena della ragazza, pervasa da una strana inquietudine.
<< 
Che intendi dire? >> volle sapere, titubante.
Il mannaro non esitò.
<< Se ti ritrovi in questa situazione devi ringraziare tua madre, Emily >> accarezzò il suo nome nel palato, in un dolce sussurro.
Gli piaceva pronunciare il suo nome, ma non si distrasse: ora arrivava la parte più delicata.
La vide deglutire, confusa.
<< Tua madre >> disse William << era una strega >> 
 
 
You got that medicine I need,
Fame, liquor, love, 
give it to me slowly.
Put your hands on my waist, 
do it softly,
Me and God, we don’t get along, 
so now I see...
 
Il nulla.
Questo aveva Emily in testa.
Dopo l’ultima uscita del giovane non era riuscita ad elaborare un singolo pensiero.
Doveva essere uno scherzo, non poteva essere vero.
Insomma, aveva capito che non era umano, poteva anche provare ad accettare l’idea che fosse un lupo mannaro, ma da lì a credere che sua madre fosse una strega, di quelle vere, beh … ce ne voleva!
Sbuffò e distolse lo sguardo dal moro, sconsolata.
Il mondo la stava prendendo in giro, o meglio, voleva farla impazzire.
Strinse le coperte tra le mani tremanti, cercando di dissipare il nervosismo.
<< Tua madre >> continuò a parlare il giovane, apparentemente incurante dello shock che le stava procurando << sapeva cosa sarebbe successo, lo sapeva da giorni.
Se la tua famiglia ora è distrutta è stato a causa di una sua negligenza. Era stata avvisata ma ha preferito ignorare la gravità dei fatti che si stavano incatenando fra loro >>
Emily non resse più, si tappò forte le orecchie con in palmi delle mani, lo sguardo basso, le lacrime agli occhi, la testa pulsante dal dolore.
<< Basta! >> gridò << Smettila! Come puoi dire questo! Non ne hai il diritto! >>
In una attimo William balzò sul suo letto e prese le sue mani, stringendole in una delle sue.
La mano libera andò a sollevarle il capo, ristabilendo un contatto visivo.
Erano vicinissimi, lui addosso a lei.
La ragazza deglutì per l’ennesima volta, trattenendo un singhiozzo.
Le sembrò di vivere un déjà-vu.
Le tornò alla mente la prima volta che il moro le aveva rivolto la parola, sprezzante, minacciandola.

Ora il suo atteggiamento era drasticamente cambiato, non la fissava più in modo spregevole, anzi si poteva quasi scorgere una nota protettiva nei suoi occhi.
Ma il timore che le incuteva si era triplicato.
Lui la fissò, severo.
Voleva che fosse forte, doveva essere in grado di reggere la verità o non sarebbe riuscita a fare quello che doveva.

Al tempo stesso, dall'intensità del suo sguardo, pareva che si stesse aggrappando agli occhi smeraldini di lei per imprimere maggiore forza ai suoi stessi sussurri.
<< È la verità ragazzina, ti conviene accettarla, e presto. Se ora sei qui è unicamente perché tua madre si è arresa. Avevamo bisogno di una strega, tu ne avevi bisogno, ed ora le cose saranno largamente più difficili. 
Ma sei una gemma, e oltre ad essere l’unica in circolazione, sei anche l’esemplare migliore che possa aiutare la nostra razza.
Ti chiediamo solo questo, di darci una mano, e noi aiuteremo te ad aiutarci. >>
Emily scosse la testa, al limite della disperazione.
<< Ma che diamine state dicendo! >> urlò.
Non cercava più di trattenere le lacrime, che ora scorrevano libere e copiose tra le sue guance, bagnando il palmo con cui il ragazzo cercava di tenerle sollevato il viso.
Lui cominciava a sentirsi fuori posto.
Non sapeva come calmare la giovane, che continuava a tremare, in preda a quella che sembrava una crisi isterica vera e propria.
I singhiozzi che, violenti, le sconquassavano il petto, le ferivano il fianco dolente.
William si rese conto di aver esagerato.
Era partito con la presunzione di poter limitare i danni, ma aveva fatto un disastro.
Le lasciò libere le mani e si allontanò un po’, intenzionato a lasciarla sfogare.
Sapeva che quelle lacrime non erano solo per le parole che le aveva detto, ma per tutto quello che le era successo negli ultimi due giorni.
La sua vita era distrutta e, forse, la colpa era più dell’esistenza di creature come lui che della madre di lei, la quale aveva peccato solo di voler avere una vita normale, piena e felice, dopo tante sofferenze.
William si sentì un verme.
La ragazza si piegò su se stessa, poggiando la testa sulle ginocchia e coprendosi con le proprie braccia, faticava a respirare.
<< Non ci capisco niente! Mamma! >> gemette, tra i denti serrati << mamma, aiuto! Mamma! >>
Piangeva ed invocava la madre, chiamava a sè la vita che le era stata negata, strappata via.
Era un fiore sradicato dalle sue radici che, sotto la luce di un sole maligno, cominciava a seccarsi piano piano, fuggendo alla vita.
Il ragazzo, impotente, si allontanò e si diresse alla porta.
Ma sapeva di non poterla abbandonare così, non quando lui aveva causato tutta quella disperazione.
Si girò nuovamente a guardarla, sofferente.
<< Emily? >> la chiamò, alzando di poco il proprio tono di voce.
La ragazza sollevò appena il volto, la mano premuta sulle labbra nel vano tentativo di soffocare i singhiozzi.
William osservò i suoi capelli che, selvaggi, le ricadevano sul viso in maniera molto disordinata.
Ma non velavano certo i suoi occhi arrossati dal pianto, né nascondevano la sua bellezza.

Non ai suoi occhi.
<< Ritroverai tuo fratello >> promise << a tempo debito farò qualsiasi cosa affinché tu possa rivederlo >>
Emily, tra le lacrime, gli riservò un’occhiata stranita.
Lo vide difronte alla porta, una mano sulla soglia, pronto ad uscire.
Ma tutto il suo corpo era rivolto verso di lei, impacciato, esitante ad abbandonare la stanza.
Il disagio, la pena e la compassione che la giovane sentiva provenire da lui non le dispiacquero, anzi, la rincuorò sapere che un essere come lui potesse provare certe sensazioni tipicamente umane.
Si sforzò di regalargli un piccolo sorriso: voleva che sapesse che lei riconosceva i suoi sforzi e che li apprezzava.
Fu un sorriso timido, stanco, triste.
Non rimase ad aspettare alcuna reazione da parte del mannaro, ma tornò laconica a posare la testa sulle ginocchia sollevate, con un sospiro chiuse gli occhi e tornò a sprofondare nelle sue lacrime.
Voleva annegare nel dolore, immergersi in quel lutto che aveva cercato di rinnegare in tutti quei giorni.
Si vergognava del destino che le era stato assegnato e desiderò uccidere nelle sue lacrime la solitudine al quale l’aveva condannata.
William, in silenzio, lasciò la stanza.
Si chiese come avrebbe trovato la forza di rivelarle che suo fratello era un mostro anche peggiore di lui.
 
 
No one’s gonna take my soul away,
I'm living like Jim Morrison.
Headed towards a fucked up holiday.
Motel sprees, sprees, 
and I'm singing,
"Fuck yeah, give it to me, 
this is Heaven, what I truly want."
It's innocence lost.
Innocence lost.
 
Forks, Washington. 2005 
Bella sospirò chiudendo la porta di casa.
Billy e Jacob se n'erano appena andati via.
Un senso di ansia la pervase. Sperò davvero che il vecchio Quileute non andasse ad impensierire suo padre.
Già era abbastanza preoccupata per dovergli presentare Edward di lì a poche ore, non aveva proprio bisogno che le vecchie leggende facessero diventare Charlie più  sospettoso.
Un sorriso le illuminò il volto ripensando alla giornata appena trascorsa.
La famiglia Cullen non era per niente inquietante come credeva.
Poteva dire che era andato tutto a gonfie vele, se ignorava la distanza che Rosalie e Jasper avevano palesemente tenuto nei suoi confronti.
Ma non poteva certo aspettarsi di piacere a tutti!
Andò in camera sua a scegliere l’abbigliamento migliore per la serata che l’aspettava: partita di Baseball vampiresca.
Intrigante.
Alla fine optò per qualcosa di vecchio e semplice da tenere nascosto sotto l’impermeabile.
Per quanto Edward si fidasse delle previsioni di Alice, lei non voleva certo rischiare.
Edward, vampiri… ancora non riusciva a credere a tutto ciò.
Ma le piaceva da morire, e tanto bastava.
Lo amava, cosa mai potevano essere due canini disumani e la vita eterna in confronto?
Niente.
Per questo non voleva che Billy si mettesse in mezzo.
Per quanto suo padre fosse molto poco superstizioso il suo amico aveva una grande influenza su di lui, e avrebbe sicuramente trovato un modo per mettere la famiglia Cullen in cattiva luce.
Fortunatamente pensava di essere stata abbastanza chiara con lui, erano affari suoi e li avrebbe gestiti lei.
Il telefono squillò al piano di sotto e lei corse fulminea a rispondere, desiderando ardentemente che fosse Edward.
Le mancava già la sua voce.
 
La delusione la pervase quando scopì che in realtà dall'altro capo della linea c'era Jessica, ansiosa di spifferarle tutti i pettegolezzi immaginabili sul ballo a cui lei non aveva partecipato, preferendo una meravigliosa radura alla pista.
Non aveva dubbi, ma ascoltando i discorsi dell’amica si convinse ancora di più che nulla avrebbe potuto sostituire le emozioni provate quel giorno.
Era felice.
Spostò lo sguardo alla finestra, contando segretamente i secondi che la separavano dal suo vampiro.
Jessica continuava a blaterare, pretendeva di conoscere i risvolti della sua relazione con Edward e Bella  faticava a tenerla a bada.
Fissò ardentemente il giardino che s’intravedeva dalla finestra del salotto, sperando di scorgere il ragazzo il prima possibile.
Ma sapeva che non era possibile, le aveva detto che sarebbe arrivato in auto.
Sentì, prima di vederla, la macchina di Charlie parcheggiare nel viale.
Salutò Jessica e si preparò a ricevere il padre quando catturò uno strano movimento in giardino con la coda dell’occhio.
Fu un centesimo di secondo, ma bastò affinchè il suo cuore mancasse un battito.
Era quasi certa di aver visto la i capelli inconfondibili di Edward tra i cespugli; le era pure sembrato di aver visto un viso delicato, femmineo.
Troppo femminile per essere di Edward.
Suo padre entrò in casa, posando i pesci che aveva catturato sul tavolo da cucina.
Bella continuò a fissare un attimo il punto in cui aveva creduto di scorgere quella figura.
Scosse la testa, dandosi della stupida: voleva tanto vederlo da immaginarselo ovunque in infiniti modi!
Sì, era stata senz’altro la sua immaginazione.
Con un sospiro si preparò a parlare del vampiro a suo padre.
Che poi, Edward non aveva gli occhi verdi!
 
 
In the land of gods and monsters, 
I was an angel,
Lookin' to get fucked hard.
Like a groupie, incognito, 
posing as a real singer,
Life imitates art.
 
Quando Emily si riprese, decise che il tempo delle lacrime era finito.
Avrebbe fatto qualunque cosa le avessero chiesto e avrebbe lottato per riprendersi la sua famiglia, anche se oramai le rimaneva solamente Edward.
In qualche modo le parole di William l’avevano rassicurata, voleva provare a fidarsi di lui.
Infondo era l’unico che, sin dall’inizio non aveva avuto peli sulla lingua con lei.
L’aveva minacciata, vero, ma sapeva che non era altro che un avvertimento.
Se invece ripensava a Lucas, o a Giulia, non poteva fare a meno di sentirsi tradita o presa in giro.
Che la rossa l’avesse in effetti trattata come una bimba immatura sin dall’inizio, le era stato chiaro, lei non era certo stata ipocrita.
Lucas invece … l’avrebbe sicuramente uccisa.
C’era quasi riuscito.
 
Si alzò in piedi a fatica, ignorando il capogiro che la colpì, e si posizionò di fronte alla specchiera.
Indossava una lunga veste da notte, simile ma non identica a quella che aveva la prima volta che si era svegliata in quella stanza.
Era azzurra e, a suo avviso, sottolineava il suo pallore.
La sollevò per controllare la fasciatura al fianco.
Era ancora pulita, le arrivava dall’anca fin sotto il seno.
Ma Emily sapeva che la cicatrice era modestamente più piccola.
La sentiva nella sua interezza ogni qual volta respirava, regalandosi piccole fitte dolorose.
Osservò la benda che le fasciava la testa e la tolse subito, ritenendo di non averne davvero bisogno.
Un leggero ematoma si estendeva dalle tempie e arrivava alla fronte.
Emily sapeva che la parte veramente lesa era il retro del capo, in cui sentiva di avere una piccola ferita aperta.
Quella era il regalo della forza bruta di William.

Prese una spazzola e si pettinò con cura i capelli, facendo attenzione a non ferirsi ulteriormente.
Passandola dietro la testa si rese conto di avere urgentemente bisogno di un bagno d’acqua bollente.
Buona parte dei suoi capelli erano infatti aggrovigliati in un bolo di sangue viscido e appiccicoso.
Storse il naso quando se lo ritrovò tra le dita: il sangue la nauseava.
In un moto di pura vanità sperò di non essersi rovinata troppo i capelli, non voleva tagliarli.
Di fatti ad ogni spazzolata se ne ritrovava sempre di più in mano, erano certo in uno stato pietoso.
Si arrese e si preparò il famoso bagno, in uno stanzino adiacente alla sua camera.
Fece in fretta, non voleva incrociare ancora nessuno, non era ancora pronta per le ulteriori risposte, che, era certa, sarebbero arrivate.
Si cambiò nuovamente d’abito, scegliendone uno nero e legò i capelli in una coda morbida.
Si promise che non avrebbe smesso di portare il lutto finché non avesse trovato il fratello, perché la sua anima era morta assieme alla sua famiglia, e solo il dolce sorriso di Edward avrebbe mai potuto resuscitarla.
Voleva rivedere i suoi occhi, verdi, così simili ai suoi ma dal taglio diverso.
Voleva risentire la sua fragorosa risata.
Voleva piangere con lui tutto ciò che avevano perduto.
 
“Basta lacrime” si disse, quando si rese conto che i suoi occhi si stavano inumidendo di nuovo.
Capì che essere forti era molto più dura di quanto avesse creduto.
 
Tre respiri profondi e uscì dalla stanza, diretta di nuovo alle cucine.
Era certa che li avrebbe trovati di nuovo lì, a discutere in quella loro strana lingua, proprio come la sera prima.
L’unica differenza era il sole che ora era alto nel cielo.
E la sua determinazione.
Aveva preso una decisione.
Entrò decisa e, sotto il loro sguardo, si sedette a capotavola.
Li guardò uno per uno, soffermandosi sulle loro espressioni.
William e Giulia se ne stavano in piedi, difronte alla credenza, il primo era oscuro, lo sguardo impenetrabile, la seconda indossava il solito ghigno sarcastico.
Ghigno fin troppo simile a quello che aveva visto in Lucas quando aveva tentato di ucciderla.
Emily rabbrividì.
I gemelli, Peter e Christian erano seduti scompostamente, sul viso un sorriso cordiale, rassicurante.
La ragazza sospirò, si fece forza e parlò.
  • Che cosa volete che faccia? –
Nella stanza calò un velo di sollievo che stemperò il nervosismo generale.
Emily si accorse che William teneva lo sguardo basso, le spalle ingobbite, come caricate da un peso immane.
I gemelli e Giulia, rilassati, si sorrisero.
Forse, erano salvi.
 
You got that medicine I need,
Dope, shoot it up, 
straight to the heart, please.
I don't really wanna know 
what's good for me.
God's dead, I said, 
"Baby that's alright with me."

 
 
 
Finlandia, Villaggio di Anaar. 1627
 
Lucas correva, fendeva gli alberi della foresta a grandi falcate.
Le zampe si fondevano ritmicamente alla terra cui apparteneva.
Il pelo, folto, si estendeva quasi a voler toccare il cielo.
Lucas volava.
Suo padre lo precedeva in forma ibridaDoveva assicurarsi che il figlio mantenesse il controllo, e intervenire in caso contrario. 
Ma Lucas il controllo lo sentiva scorrere nelle vene. Vedeva tutto con gli occhi del lupo, e con il lupo dava forza alla sua umanità.
Attraversarono un ampia radura e la luna piena si fece vedere in tutta la sua magnificenza. 
Brillava alta nel cielo, vegliando sulle sue creature.
Lucas, estasiato dalla sua bellezza, ululò al cielo, in un muto ringraziamento per il destino che gli era stato assegnato.
Era stato un umano patetico per tutta la sua vita, ora la forza era dalla sua parte.
Segretamente, si rallegrò del fatto che la mutazione del fratello paresse fallimentare.
Ora era il suo turno di dimostrare quanto valeva.
Il suo turno di proteggere il suo popolo.
Il suo turno di accudire un fratello debole e malato.
Non voleva essere utile, voleva essere indispensabile per qualcuno, anche se questo avvesse significato la rovina del gemello.
Infondo William aveva avuto i suoi anni di gloria da umano, era giusto che la gloria negli anni della bestialità toccassero a lui.
Lucas aveva patito molto in quei ventisei anni.
Rinchiuso come un appestato, continuamente coperto dall’ombra del fratello, sminuito a causa della sua debolezza.
Non c’era confronto né possibilità di pareggiare.
Lucas aveva convissuto con le sue debolezze per ventisei anni, da umano.
Era più che giusto che William facesse altrettanto con le proprie, per l’eternità, forse, ma come bestia.
Non c’era alcuna vergogna in quei pensieri.
Infondo ciò che la luna dava o toglieva era indiscutibile, e se i gemelli si erano trovati ai poli opposti di una ruta, non restava loro che correre e tentare di mantenere il passo che veniva imposto dal destino.
Per questo Lucas corse.
 
Per quanto riguarda William, stava ormai perdendo sé stesso.
Sentiva forte il bisogno di cedere ai suoi istinti, ma sapeva di non poterlo fare, era vietato.
Certo non era così lucido da pensarla così in quel momento, si limitava a combattere contro il dolore che lo pervadeva ogni volta che cedeva a uno qualunque dei suoi sensi animali.
Il primo a cuoi si era arreso era stato l’udito.
I suoni della foresta, del mondo intero, gli avevano pervaso la mente inondandolo di una macabra sensazione di onniscienza.
Sarebbe stato magnifico, se solo non si fosse sentito capace di vomitare tutti i suoi organi vitali.
Il dolore peggiore partiva infatti dallo stomaco e si irradiava in tutti i nervi, nei vasi sanguigni più insignificanti, disperdendosi in tutto il corpo, bloccandogli la respirazione.
Non era normale.
Di solito un sangue puro ci metteva minuti a mutare codice, dopodiché la trasformazione avveniva in maniera quasi naturale.
Era una rinascita.
Lui invece erano due ore che soffrivaurlavasi dimenava.
E non era ancora mutato.
Se non fosse stato certo di essere gemello di Lucas, avrebbe pensato di essere un mezzosangue.
Sapeva bene che la mutazione di Lucas era riuscita perfettamente, anche nel pieno delirio lo sentiva, sentiva le sue zampe felpate battere il terreno della foresta.
Che cosa era andato storto?
Nemmeno i mezzosangue faticavano tanto alla prima mutazione!
Un urlo gli uscì violento dalla gola, sentiva le corde vocali infuocate.
Il dolore si stava concentrando nelle mani, sentì le proprie unghie crescere, incrinarsi, le dita allungarsi ed allargarsi.
Si ferì sulla pancia, sopra la quale teneva le sue mani racchiuse in pugni. I suoi artigli.
I suoi compagni tribù lo fecero sedere e glieli legarono dietro la schiena.
William si accorse di non riuscire nemmeno a distinguerli, gli occhi offuscati dalle lacrime.
Sapeva che facevano parte della guardi di suo padre.
Alzò lo sguardo nel cielo e rivolse il capo verso la luna, luminosa.
Danzava gioiosa, giocava con le nubi, si faceva beffe di lui.
E mentre, trascorse le ore della notte, ella si apprestava alla sua caduta, William perdeva le speranza.
Se non fosse riuscito a mutare entro l’alba, sarebbe certamente morto.
Il respiro affannato, il cuore impazzito, la testa in fiamme.
Il dolore non accennava a diminuire.
Quando l’ultimo raggio di luna diede l’estremo saluto al giovane ragazzo, in un bacio di tiepida luce, William perse completamente il controllo.
Era mutato.
Era lupo.
Aveva infranto le regole.
Era bestia.
I guardiani furono colti di sorpresa: non si aspettavano che riuscisse a completare la trasformazione.
Non avevano capito che così non era stato.
Perché William non aveva completato la trasformazione.
William aveva perso il controllo.
William aveva perso se stesso.
E William li uccise.
 
No ones gonna take my soul away,
I'm living like Jim Morrison.
Headed towards a fucked up holiday.
Motel, sprees, sprees, 
and Im singing,
"Fuck yeah, give it to me, 
this is Heaven, what I truly want."
It's innocence lost.
Innocence lost.
 
Emily si ritrovò nuovamente in camera sua a preparare i suoi bagagli.
Stavolta decise di portare con sé solo gli abiti scuri che possedeva.
I mannari si erano dimostrati ampiamente contrariati davanti alla sua decisione di portare il lutto.
Non per una concezione anti religiosa, ma perché continuavano ad insistere che lei dovesse vestire solo di bianco o di azzurro, per onorare una tradizione tipicamente mannara.
Giulia le aveva pure detto che il bianco era un colore da lutto molto più puro del nero.
Ma Emily pensava che fosse semplicemente un colore troppo puro, lei che era stata marchiata dal soprannaturale non ne era degna.
Sapeva bene che il bianco voleva essere un accompagnamento per le anime che lasciavano il mondo, ma dopo quanto aveva visto, non sapeva più se era il caso di credere nelle anime.
Per compromesso alla fine promise che avrebbe utilizzato quei colori candidi nelle occasioni “speciali”.

Alla fine non le avevano rivelato molto di quello che avrebbe dovuto fare.
Avrebbe saputo tutto a tempo debito, dicevano.
William non aveva aperto bocca per tutto il tempo, si era limitato a fissare il pavimento con insistenza.
Emily non sapeva bene se fidarsi o meno, ma sinceramente non le importava un granché.
Aveva fretta che tutta quella faccenda finisse, quindi tanto valeva seguire le loro direttive, almeno per ora.
L’unica cosa che sapeva era che la mattina dopo si sarebbero imbarcati verso l’Inghilterra, dove si sarebbero uniti ad altri mannari.
Lì sarebbe iniziata la sua preparazione, fisica e mentale.
A quanto pareva essendo figlia di una strega, lo era pure lei, ed era meglio che imparasse a gestire quella sua natura.
Era una strega che doveva imparare a fare la strega.

A questo proposito ci avrebbe pensato Giulia a prepararla.
Aveva infatti scoperto che una volta, prima di diventare una mannara, era stata una strega pure lei.
Non volle sapere i particolari.
Sospettava che in quella storia c'entrasse molto sangue.
Era egoistico da parte sua, ma Emily non aveva proprio voglia di conoscere le tragedie altrui, le bastavano le sue.
 
Si diresse alla sua scrivania e raccolse la cosa più importante, l’unico ricordo che si sarebbe concessa di portare con sé.
Era un ritratto della sua famiglia, fatto quando lei aveva dodici anni e suo fratello tredici.
Loro due erano compostamente seduti su uno splendido divano. Dietro di loro i genitori avevano una mano posata sulle spalle di ciascun figlio.
Era la loro rete, il loro legame.
Lontano, nell’angolo più sbiadito c’era una sagoma oscura intenta a filare.
Era Neste.
In quell’unico ritratto c’erano tutte le persone che avevano fatto la sua felicità, le uniche persone che le facevano desiderare la vita.
Era un testimone materiale di tutto ciò che aveva perso, e grazie a quel ritratto sapeva che non avrebbe mai avuto la forza di smettere di cercare il fratello.
Si sarebbe ripresa la sua vita.
A costo di mentire.
 
 
When you talk, it's like a movie 
and you're makin' me crazy,
'Cause life imitates art.
If I get a little prettier, 
can I be your baby?
You tell me, 
"Life isn't that hard."

 
 



Salve a tutti!
La canzone utilizzata in questo capitolo è:
- Gods and Monsters, Lana del Rey.
Per chi se lo stesse chiedendo, no, non ho di dimenticato di mettere  la traduzione.
La verità è che questa canzone si adatta al capitolo solo per quanto riguarda la prima strofa, dopo di che si perde completamente.
Per questo ho deciso di tenerla solo in inglese, affinché non pesi troppo sul significato che volevo dare al cap.
Forse avrei fatto meglio a scegliere una canzone più incisiva e coerente con la mia storia, ma adoro troppo questa per non metterla!
 
Come al solito, se avete qualche domanda, se non vi è chiaro qualcosa, fatevi avanti!
 
Una persona molto simpatica (Aly23_stories) mi ha fatto capire che preferisce i PoV individuali, come quelli di cui mi sono servita nei primi capitoli.
Al momento però ho deciso di continuare con una narrazione generale, perché ho bisogno di fare pratica con questo sistema narrativ.
Se la cosa non dovesse riuscire bene e se persisteranno confusioni per quanto riguarda i diversi punti di vista che adotterò, fatemelo sapere.
Se dovessi ricevere più di tre richieste, tornerò ai PoV.
 
Ho notato che qualcuno ha tolto la mia storia dalle seguite.
Per carità, non è certo un crimine, ognuno è libero di fare quello che vuole.
Ma, come ho già detto, mi piacerebbe davvero sapere per quale motivo decidete di abbandonare questa storia, se avete intenzione di farlo.
Magari il prologo non vi è sembrato abbastanza intrigante, non sopportate i tempi d’attesa o non vi interessa l’argomento… qualunque cosa sia non ha importanza, ma dato che se pubblico questa storia lo faccio con l’intenzione di migliorare me stessa, vorrei davvero sapere cosa ho sbagliato.
Mi bastano due parole, giuro.
 
Avviso anche che sono consapevole che questo capitolo potrebbe presentare diversi orrori grammaticali, ma volevo proprio aggiornare entro oggi e non ho avuto modo di rivederlo con calma.
Provvederò il prima possibile a migliorarlo.

Nel mentre spero che la cosa non vi abbia disturbato la lettura!
 
Ciao
*Diosmy* 

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Capitolo 9
*** Are You Watching After Me prt. 1 ***








Dedico questo capitolo a Giulia, cara amica mia.
Perché anche se non ci parliamo, anche se non ci vediamo e tu magari non ti ricordi più di me, io ti penso e ti sono vicina.
Sei una ragazza forte, Giulia.
Supererai anche questa.

Dopotutto, il sole nasce ogni giorno, no?




 
If You're Watching After Me
I 
 
Londra, Inghilterra. 1918
 
I woke up alarmed, the scene of the dark
I ran to your bedroom door
Your innocent eyes stared back at mine
I couldn't believe that sight
 
Giulia distese le gambe sul tavolino, sospirando rumorosamente.
Erano arrivati da poche ore, non avevano nemmeno disfatto i bagagli.
O almeno, lei non lo aveva ancora fatto.
La ragazzina invece, non appena aveva saputo quale sarebbe stata la sua stanza, si era affrettata a chiudersi lì dentro.
Nell'ultima settimana non avevano avuto occasione di parlare seriamente.
Era stato un viaggio molto lungo, stancante per un'umana come lei, specie essendo stata la sua prima esperienza per mare.
La rossa sbuffò ripensando alle continue nausee della sua nuova compagna.
Emily era rimasta per tutto il tempo chiusa in cabina, secchio in mano per prevenire i numerosi conati.
Ovviamente alla mannara non era passato nemmeno per l'anticamera del cervello di provare a darle conforto in qualche modo.
L'aveva lasciata annegare nella sua stessa bile, come a punirla per il fastidio che a breve le avrebbe di certo procurato.
L'idea di doversi occupare di quell'inetta la disgustava quasi, ma doveva ammettere di provare anche un po’ di orgoglio: se tutto fosse andato bene lei sarebbe stata libera e la salvezza dei lupi sarebbe dipesa pure da lei.
Era da troppo tempo che non si sentiva davvero utile a qualcosa.
Questa era la sua occasione.
 
Alzò gli occhi quando notò William entrare deciso nel salotto in cui si trovava.
I gemelli dovevano essere già partiti per il campo di raccolta della loro gente.
Dovevano prepararsi a conoscere la nuova gemma.
E a questo proposito dovevano ancora discutere il da farsi.
<< Cosa può sapere, per ora? >> chiese non appena il compagno si fu seduto.
Lui la fissò di sottecchi prima di risponderle nel suo solito, sgarbato sussurro.
Era chiaro che non era ancora stata perdonata.
<< E' sotto la tua tutela, decidi tu cosa ti serve che sappia >> disse << Puoi dirle tutto quello che vuoi ma non accennarle niente riguardo al fratello. Se ti chiede qualcosa tu non sai niente, di lui mi occuperò io a tempo debito. Chiaro? >>
<< Certo, sire! >> Giulia si trattenne dal rispondergli male.
Non aveva il diritto di trattarla in quel modo!
William storse il naso, infastidito.
Eccola, la piccola vendetta della mannara: sapeva bene quanto il moro detestasse che gli venissero ricordate le sue responsabilità di capo.
La rossa sorrise, soddisfatta.
<< Quanto tempo possiamo concederle? >> chiese poi.
Il tempo era un fattore fondamentale.
A differenza loro la piccola era ancora umana, e dunque molto fragile.
In pochi mesi potevano succedere davvero molte cose, era meglio non rischiare.
Fosse stato per lei, le avrebbe dato una manciata di settimane per imparare quello che serviva e renderla eterna.
William però non sembrava del suo stesso avviso.
<< Due anni, tre se necessario >> disse infatti.
La rossa scattò a sedere diritta, fissandolo sbalordita.
Tutto in lei esprimeva il suo disappunto, persino i ricci, legati in una morbida crocchia, ne sfuggivano, sinuosi come serpenti, irti come lame minacciose.
<< E' una pazzia attendere tanto! >> si oppose << è debole ma molto astuta, potremmo non riuscire a controllarla >> tentò di argomentare.
Ma William era fermo nella sua decisione.
<< Occuparti di lei è compito tuo, se dovesse fuggire nuovamente o perire, sarà comunque considerata una tua negligenza >> la gelò con lo sguardo << evita dunque di ritrovarti in una situazione simile >> concluse.
Giulia si spazientì, incrociando le lunghe gambe.
<< Due anni sono comunque troppi. Sai bene che certe situazioni non dipendono da noi, non possiamo controllarle e basta! >> insisté.
William rispose pronto, laconico, senza degnarsi nemmeno di guardarla negli occhi, ma sfogliando svogliatamente alcuni documenti che aveva posto sulle sue gambe.
<< La questione è irrilevante, sarebbe comunque affar tuo. Due anni sono necessari affinché la gemma raggiunga una maturità accettabile, al momento è solo una bambina, non ci sarebbe di alcun aiuto. Dobbiamo darle il giusto tempo per accettare...>>
Giulia non resistette oltre. Era semplicemente furiosa.
Scattò in piedi come una belva e con un calcio violento mandò all'aria il tavolino che la separava dal moro.
<< Ad Anna hai dato solo due mesi, aveva la sua stessa età! >> urlò, tremando.
Il ragazzo sollevò appena lo sguardo, fissandola impassibile.
Insensibile.
<< Infatti tua sorella non ha retto. Ed è morta >>
Giulia arretrò, quasi si fosse scottata.
Un dolore sordo al petto.
William continuava a fissarla, gelido.
Quella doveva essere l'ennesima punizione per l'ennesimo errore.
La solitudine. Il disprezzo.
In silenzio, la giovane voltò le spalle al suo sire e abbandonò la stanza.
Il moro sospirò, stanco.
Era quello il dovere di un signore dei lupi, un guardiano della Luna.
Mantenere il controllo, garantire la giustizia.
Anche quando giustizia e controllo non gli appartenevano.
Anche quando la colpa abitava nelle sue mani.

 
 
Mi sono svegliato in allarme, scenario tetro
Ho corso alla porta della tua stanza.
I tuoi occhi innocenti mi hanno guardato.
Non potevo credere a quella vista.
 
Giulia entrò come una furia nella stanza di Emily.
Non aveva nemmeno bussato, non le importava.
Indossava abiti maschili, di un grigio pallido.
Era cinerea, simile alla morte.
La ragazza che cercava era distesa a letto, sopra le coperte.
Il suo pallore, dovuto al viaggio appena affrontato, contrastava fortemente con il nero del suo abito.
Non appena la rossa era entrata, era scattata a sedere, sulla difensiva.
<< Alzati! >> le impose la mannara, fremente d’irritazione
Aveva una grande voglia di sfogarsi su quella ragazzina, ma sapeva di avere limiti da mantenere.
Emily la fissò confusa, stanca.
Ma prima che potesse dire una qualsiasi cosa la riccia la precedette.
<< Avrai tutto il tempo di riposare stanne certa >> disse sarcastica << ma ora ti devi preparare a conoscere la gente che dipenderà da te e da quante poche stupidate riuscirai a fare. Sempre che tu riesca a stare al mio passo, ovviamente >> aggiunse sprezzante.
Emily non capì subito cosa intendesse, ma decise comunque di stare al gioco e si sollevò in piedi, pronta a qualunque cosa.
La mannara avanzò lenta verso di lei e le girò intorno, osservandola da capo a piedi, come se le stesse prendendo le misure.
Storse il naso prima di afferrarle neanche tanto delicatamente una ciocca di capelli.
<< Questi non vanno bene, sono troppo lunghi >> biascicò a labbra strette.
<< Cos’hanno che non va? >> volle sapere Emily, per niente contenta di quell’ultima uscita.
La rossa aveva la risposta pronta.
<< Limiteranno i tuoi movimenti durante l’apprendistato.  Se c’è una frivolezza di cui puoi fare a meno sono questi, tesoro >> disse acconciandoglieli in una bassa coda.
Emily ebbe un fremito di fastidio.
<< Non voglio tagliarli. Posso tenerli sempre raccolti, non daranno fastidio! >>
Parlare fu inutile, ma lo capì solo quando sentì l’aria fresca accarezzarle la nuca.
Giulia con una mossa rapida aveva estratto un pugnale da uno stivale e le aveva tranciato la coda di netto, appena sotto la base del collo.
Ad Emily non parve quasi vero.
Si sentì profanata.
Ma prima che potesse protestare la lupa la tirò a sé bruscamente per i corti capelli, facendole tendere il capo all’indietro, la schiene inarcata, la bocca spalancata.
Dolore e stupore attraversarono lo sguardo della ragazza.
<< E’ meglio se non fiati ragazzina >> sputò quasi Giulia << oggi proprio non è giornata, non ci tengo a sentire le tue lamentele! >>
Emily serrò le labbra di scatto, mordendosi le labbra per nascondere rabbia e frustrazione.
Nel mentre la riccia, dietro di lei, pugnale in mano, cominciò ad aggiustarle i capelli, pareggiando le punte ciocca dopo ciocca in un taglio abbastanza lineare.
Non era affatto male, a suo dire.
Ma è anche utile specificare che, ad ogni modo, a lei non importava granché dell’apparire della ragazza.
Stava semplicemente seguendo la prassi e lo stava facendo bene.
 
Quando ebbe finito lasciò la presa sul suo capo, ma non le permise di specchiarsi.
Era ora che cominciasse a dimenticare tali vanità.
Notò con piacere che la ragazzina era abile a velare la sua rabbia: sarebbe stata una caratteristica molto utile.
La afferrò per un bracciò e la condusse in camera sua, una stanza dall’altro capo del corridoio.
Lì non c’era l’ombra di uno specchio, né di alcuna superficie riflettente.
La luce non veniva dalle finestre ma da numerosi candelabri disseminati per tutta la stanza.
Questi venivano accesi ogni otto ore da un personale di fiducia.
Nessun’altro vi aveva mai messo piede.
I lupi ci tenevano moltissimo al proprio spazio personale, dunque, salvo qualche eccezione, tutte le loro stanze erano sempre state immacolate.
I gemelli condividevano le loro camere, e lei era l’unica ad aver mai avuto accesso alle stanze di William.
Ma nessuno mai prima d’ora era entrato nella sua.
Ora però era necessario.
La spinse a sedere su una sedia rigida mentre lei si accomodò sul letto, pronta ad impartirle la sua prima lezione.
Ma prima tornò a squadrarla, ancora delusa dal suo aspetto.
<< Da domani ti sono proibiti gli abiti >> decise, guardandola seria << ti farò recapitare abiti maschili della tua taglia. Saranno molto più consoni al tuo nuovo look >> sarcasmo.
Emily faticava quasi a fissarla negli occhi, tanto era il ribrezzo che provava per quella donna che pareva non avere il minimo senso del rispetto.
La stava umiliando sapendo che non poteva difendersi.
Era spregevole.
Al suo silenzio provocatorio la rossa non batté ciglio, anzi il suo sorriso so allargò ancora di più.
<< Oh, e non preoccuparti di offendere la tua classe, qui non sei nessuno. Lo stesso discorso vale per i capelli, ma se ti è di conforto, quelli ricresceranno! >> cinguettò, falsa.
Emily scosse la testa.
<< Dunque vi servo o non sono nessuno? Noto che ci sono parecchie contraddizioni in tutta questa faccenda! >> disse infine incrociando le braccia al petto.
La rossa sollevò le sopracciglia, il chiaro intento di prenderla in giro nello sguardo.
<< Fintanto  che non saprai come muoverti in questo nuovo mondo, tu non varrai niente.
Il mio compito è quello di farti da guida e di assicurarmi che tu sopravviva fino al momento opportuno.
Pertanto, finché la tua vita sarà nelle mie mani, tu non varrai niente.
E dal momento che prima che tu possa essere totalmente libera qualcuno dovrà giudicarti abbastanza matura, ora tu non vali niente, intesi? >>
Emily pensò che il suo discorso era abbastanza confuso, ma il concetto base lo aveva assorbito:
Era nei casini.
Giulia dovette leggere i suoi pensieri dal suo sguardo, perché scoppio in una risata sguaiata, portando il capo all’indietro e chiudendo gli occhi, come a voler trattenere finte lacrime d’ilarità.
Poi la fissò dritta negli occhi, un sorriso quasi sadico a storpiarle il volto:
<< Dichiaro ufficialmente iniziato il tuo apprendistato, ragazzina. Benvenuta tra i Figli della Luna >>

 
This isn't real
A body so still
A portrait of a good fight
 good fight
Goodnight
 
Le risate più sguaiate testimoniano una vita di sofferenze.
 
Città di Siena, Italia. 1736
 
<<  La principale differenza tra noi streghe e una qualsiasi altra creatura della notte è che a noi viene sempre data una scelta. Siamo noi a controllare la nostra natura, non il contrario.
Possiamo scegliere se essere immortali e quali creature servire.
Possiamo cambiare idea.
Possiamo sempre tornare indietro” >>
 
Queste parole aveva in mente Giulia mentre passeggiava per le vie acciottolate della sua amata città.
Erano le prime parole che una maestra rivolgeva alla propria iniziata prima di cominciare la formazione.
Erano parole importanti.
E Giulia ci meditava profondamente da ormai tre giorni.
 
Ormai l’attesa stava per finire, quella notte sarebbe divenuta una strega a tutti gli effetti.
Nonostante tutto sapeva di non poter più cambiare idea, non su quello per lo meno.
Non poteva e non voleva farlo.
Grazie a lei la sua famiglia sarebbe potuta uscire dallo schifo che impregnava tutti gli esseri umani.
Sporchi, stupidi, bestiali.
Non avevano idea delle forze che li minacciavano giorno dopo giorno, ma continuavano a sentirsi i padroni del mondo.
Suoi padroni.
Lei era nata schiava.
Bastarda.
Ma era anche nata strega e aveva avuto la possibilità di imparare a gestirsi, grazie alla governante, strega pure lei.
Streghe non si diventa, si nasce.
La stessa identica cosa avveniva per tutte le altre creature oscure, esclusi ovviamente i vampiri.
Loro probabilmente erano la più grande maledizione che potesse colpire il mondo. 
D’altronde, come poteva essere altrimenti?
Erano il lato più oscuro degli esseri umani.
 
Giulia aveva da subito escluso la possibilità di servire i vampiri.
Finora a dire il vero non si era ancora visto alcuna strega avvicinarsi a quel mondo.
Tra tutte le creature maledette erano quelli che venivano evitati di più.
Tanto che si stupivano ogni volta nel rendersi conto di non essere gli unici mostri a camminare sulla terra.
Il Popolo fatato era da escludersi. Ne aveva avuto abbastanza di enigmi e tranelli.
No. Lei voleva essere importante.
Voleva poter viaggiare, usare il suo sapere per rendersi davvero utile a qualcosa.
I Figli della Luna erano troppo impegnativi da gestire.
E lei non aveva certo voglia di impazzire.
Infondo a lei sapeva già quale scelta fare.
Nonostante le streghe erano nate per custodire il soprannaturale, avevano bisogno che le custodissero a loro volta.
Negli anni molte di loro andavano perdute.
La maggior parte di loro veniva annientate dai loro stessi famigli.
Altre morivano prima di scoprire di essere magiche.
Giulia voleva servire loro, le sue vere compagne.
Tutte le altre razze erano superbe, egoiste.
Pretendevano il loro aiuto e talvolta lo prendevano con la forza.
Ma chi addestrava poi le nuove venute?
Chi si preoccupava del loro numero in continua diminuzione?
Gli umani fingevano di non sapere.
Il popolo fatato se ne fregava.
I vampiri erano semplici ignoranti.
I Lupi credevano di avere chi sa quali diritti su di loro.
E così le streghe si consumavano.
Lei stessa, se non fosse stata notata da Gabriella, la governante, avrebbe vissuto una vita incompleta, umana.
Le cose dovevano cambiare.
 
Aveva appena attraversato il grande Duomo, il vecchio campanile segnava le undici in punto del mattino.
Accelerò il passo.
Poteva concedersi una pausa sino alle tre del pomeriggio, dopo di che sarebbe dovuta tornare dai suoi signori.
Di solito approfittava di tutti i momenti liberi per imparare da Gabriella il necessario per affrontare la vita che le sarebbe spettata.
Ma quel giorno era diverso.
Poteva essere l’ultimo infondo, quindi aveva deciso di trascorrerlo con sua sorella Anna.
Se il suo spirito non si fosse rivelato abbastanza forte, sarebbe passata oltre.
Anche quella era una possibile scelta.
Unirsi anzi tempo alle anime delle Antenate e guidare le streghe già formate nelle loro future decisioni.
Cose del tipo: come nutrire tale creature e come guarire quest’altra.
Magari fondamentali in casi specifici ma non a livelli generici.  
O almeno questo Giulia pensava.
Di streghe morte ce n’erano fin troppo.
Lei voleva essere una guida .
Un appoggio per le iniziate.
Un conforto come Gabriella era stata con lei.
Gabriella.
Lei aveva scelto di custodire gli umani, ritenendoli troppo deboli per cavarsela davvero da soli.
Era ormai da due secoli che vegliava sulla città di Siena, mascherandosi da umile serva.
Era così che si erano trovate.
 
Ora Giulia era pronta ad abbracciare la sua nuova natura.
Avrebbe potuto regalare una vita migliore alla sua famiglia.
Alla sua piccola, dolce, sorellina.
Che non sapeva ancora nulla del soprannaturale, ma che presto, come lei ne avrebbe fatto parte.
Anna.

 
 
 
Questo non è reale
un corpo così immobile
il ritratto di una giusta battaglia
una giusta battaglia
buonanotte
 
 
Città di Siena, Italia. Tre mesi dopo
 
When I'm falling deep down under
I'm always gonna wonder
If you're watching after me
Watching' after me...
 
Chiunque le avesse viste vicino non avrebbe creduto che fossero sorelle.
Erano completamente diverse.
L’una i capelli castani, lisci. L’altra rossi, ricci.
L’una bassa, mingherlina. L’altra alta e formosa.
L’una timida, insicura. L’altra forte e carismatica.
L’unica cosa in comune erano gli occhi, si un marrone assai simile al caffè tritato.
Tale differenza derivava da un fatto semplice e naturale: non avevano la stessa madre.
Era con una fitta di sordo dolore al petto che Giulia si rese conto di ciò.
Non riusciva a crederci, ma era ovvio.
La stregoneria si trasmetteva per parte di madre.
Anna non era una strega.
La aveva testata in mille modi, ma non c’era alcuna traccia di sangue magico in lei.
Niente.
Sapeva per certo che il conte che l’aveva generata non era suo padre.
Non erano nemmeno sorelle.
Giulia non voleva crederci.
Ma lo accettò.
Giulia aveva scelto le streghe.
Sua sorella era umana.
Giulia poteva tornare indietro.
L’avrebbe protetta.
Da tutte quelle forze oscure che, giorno dopo giorno, in quanto ceca umana, avrebbero minacciato la sua esistenza.
E l’avrebbe fatta divenire padrona del mondo.
Perché era la padrona della sua vita, del suo cuore, della sua anima.
 
Arrivò poi il giorno in cui pregò tutti gli Spiriti delle Antenate affinché le concedessero il più miracoloso di tutti gli incantesimi, pur di riportare la vita in quelle deboli membra.
Ma il nulla le rispose.
Infondo le Antenate donavano solo piccolo consigli, roba di poca importanza.
Così Giulia aveva creduto.
Prima punizione.
Superbia, la colpa.

 
Quando starò cadendo giù nel profondo
mi chiederò sempre
se ti stai prendendo cura di me
occupando di me

 
 
 
 
Salve a tutti!
Allora, il capitolo è breve, ma è solo la prima parte.
Cos’è successo ad Anna e come proseguirà l’addestramento di Emily lo scoprirete Domenica, se tutto va bene.
Immagino che molti di voi si staranno chiedendo: ma quando si arriva ai giorni di Edward e Bella?
Beh, so che la narrazione sta procedendo abbastanza lenta, se per voi è troppo avvisatemi e provvederò ad aggiungere qualche ellissi.
Ma comunque ho già deciso che prima di avanzare così tanto temporalmente voglio farvi conoscere i miei personaggi.
Avviso da subito che dopo l’undicesimo avremo un salto temporale di ben dieci anni di storia.
Forse qualcuno di voi intuirà già il perché, ma non voglio dirvi niente, odio gli spoiler non richiesti!
 
Come al solito dunque, se avete domande chiedete pure, se ci sono richieste particolari sono tutt’occhi e spero sempre che avrete la buona volontà di seguire la mia storia.
 
Al prossimo aggiornamento,
*Diosmy*
 
Ps. La canzone utilizzata nel capitolo è la prima metà di:
Are you Watching After Me – Joel Faviere.

 
In questo periodo ascolto solo questa giuro, è semplicemente bellissima, anche se molto triste. 

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Capitolo 10
*** Are You Watching After Me prt. 2 ***








NdA Chiedo umilmente scusa per il ritardo di pubblicazione.
Ci tenevo ad avvisarvi che questo capitolo sarà lungo lungo (tremendamente lungo).
Quindi, se avete voglia, armatevi di pazienza. Altrimenti Amen.
Le spiegazioni le troverete alla fine.

 
 
Are You Watching After Me

(Prt. II)
 
 
Città di Siena, Italia. 1737
 
https://www.youtube.com/watch?v=CCTimji4ITgI
 
When I'm falling' deep down under
I'm always gonna wonder
If you're watching' after me
Watching  after me
 
Anna si trovava in cortile.
Stava stendendo il bucato, quando Giulia tornò a casa inaspettatamente presto.
Erano appena le dieci, mancavano ancora due ore alla sua pausa.
Ma quando la ragazza sentì la porta aprirsi non si fece troppe domande, smise il suo lavoro e corse incontro alla sorella.
Da quando Giulia aveva dodici anni lavorava instancabilmente per la nobilissima famiglia Tolomei, sostituendo la madre morta per malattia.
Anna allora aveva già otto anni.
Il lavoro come domestica non era troppo duro, le diceva sempre la sorella maggiore, e c’erano un sacco di altre donne ad aiutarla.
Guadagnava molto.
Abbastanza da permetterle di non lavorare a sua volta.
Giulia voleva prendersi cura di lei, voleva regalarle una vita migliore, ma in un clima come quello in cui vivevano era dura.
Anna sapeva bene tutto quello che la sorella subiva ogni giorno.
Gli abusi dei signori, le angherie delle signorine.
Tutto pur d’impedire che anche lei subisse il suo stesso destino.
La fatica era più mentale che fisica.
Ogni sera tornava a casa stremata, sull’orlo delle lacrime, il corpo pieno di lividi.
E lei non riusciva mai a consolarla.
 
Ma le cose erano cambiate negli ultimi due anni.
Prima, Giulia aveva stretto uno speciale legame con la governante.
Quella donna la proteggeva, la mandava a casa prima del tempo e le affidava i compiti meno gravosi.
Questo le diceva la sorella, anche se Anna aveva i suoi dubbi.
Nonostante avesse notato che la sorella si trovasse in migliori condizioni, tornava a casa ogni giorno più stanca.
Poi, appena un anno prima, Giulia era cambiata.
Sorrideva, era felice.
Divenne più propositiva e fiduciosa.
In qualche modo riuscì a guadagnare talmente tanto da potersi permettere di pagare per la sorella un periodo di apprendistato presso la sartoria cittadina.
Anna aveva così potuto trovare, a soli sedici anni, un lavoro benestante.
Ma nonostante tutto aveva notato le occhiate strane che di tanto in tanto Giulia le lanciava.
Sembrava confusa, la studiava come aspettandosi qualcosa da lei.
E ogni volta pareva delusa.
Tornava a casa sempre più tardi, saltava le pause.
Aveva cominciato ad evitarla.
 
Per questo fu felice di vederla a casa così presto.
Ma non appena entrò nella stanza in cui pensava di trovarla, capì che c’era qualcosa di sbagliato.
C’erano tre uomini con sua sorella, e non le sembrava che avessero buone intenzioni.
Erano alti, due mori, identici, e uno castano.
Avevano gli occhi incredibilmente chiari.
Verdi.
 
(Qualche ora prima)
 
Giulia stava grattando via dal suolo una gran brutta macchia, ma pareva che il pavimento non avesse voglia di collaborare e farsi pulire.
Non vedeva l’ora che quella giornata finisse, nonostante fosse appena cominciata.
Voleva parlare con Anna.
Si era stancata di fingere, di starle lontana, doveva dirle la verità.
Doveva dirle che non erano sorelle.
Doveva dirle di essere una strega, non le importava di infrangere il regolamento.
Voleva che sapesse che ciò non cambiava niente.
Lei sarebbe sempre stata sua sorella, si sarebbe presa cura di lei.
Avrebbe amato ogni suo singolo mortale respiro.
<< Giulia >> la voce di Gabriella la fece sussultare e la distolse dai suoi pensieri.
Si sollevò e si diresse verso la sua ex mentore.
Ormai era una strega a tutti gli effetti, l’apprendistato era finito.
Erano quasi amiche.
Ma dovevano mantenere le apparenze.
<< Sì signora, ditemi >> rispose, diligente.
La governante le fece un cenno con la testa, indicandole di seguirla.
La portò nello studio del signore, vuoto a quell’ora.
Era terribilmente seria.
Giulia aveva già intuito che c’era qualcosa che non andava, ma attese che fosse Gabriella a parlare.
Non aveva il diritto di fare domande.
Attese paziente, ascoltando il ritmo calmo del suo cuore, la fronte perlata di sudore.
La vide mentre si metteva comoda, seduta e la fissava, uno strano luccichio negli occhi.
A Giulia sembrò che fosse a disagio, ma non poté soffermarsi a lungo su quel dettaglio perché l’altra cominciò a parlare, la voce ferma.
<< Sapete Giulia, sono molto fiera di come avete portato avanti il vostro percorso. Ho notato con piacere che siete riuscita a mantenere un profilo basso, senza destare sospetti.
La vostra iniziazione è stata decisamente un successo >>
A quelle parole, la rossa si rilassò un poco.
Sapeva che se si doveva parlare di stregoneria non aveva niente da temere.
Non ancora, almeno.
Ma nonostante tutto sentiva che sotto c’era dell’altro, qualcosa di non buono.
Come si spiegava altrimenti lo sguardo funereo della sua superiore?
Cercò di mandare alla mente tutte le volte che aveva utilizzato la sua magia, cercando una pecca, un qualcosa che avesse potuto metterla in cattiva luce.
Non trovò niente di significativo.
<< Vi ringrazio, signora >> disse, inchinando lievemente il capo.
Era una strega completa da ormai un anno, ma aveva utilizzato la magia solamente un paio di volte, nel vano tentativo di riscontrarla in Anna.
Non essendo ancora asservita a nessuna creatura non aveva avuto modo di sfruttare le sue capacità in altro.
Volle essere il più sincera possibile.
<< La verità è che non ho praticato molto, se non per guarire il mio animo a fine giornata, come mi avete consigliata >> disse.
Gabriella annuì, pensierosa.
La ragazza notò che evitava il suo sguardo.
<< Avete una sorella, giusto? >> le chiese.
Giulia si irrigidì di colpo. Sapeva già dove sarebbe andato a parare il discorso.
<< s-sì, signora >> annaspò.
L’ex mentore le lanciò un occhiata curiosa, di sbieco.
<< Sa, Giulia >> cominciò << mi sembra strano che non me l’abbiate ancora fatta conoscere. Oramai anche lei dovrebbe sviluppare i suoi poteri, non è così? >> chiese.
La ragazza rabbrividì.
Non poteva dirle che Anna non era una strega.
L’avrebbero allontanata, non le avrebbero permesso di legarsi a lei.
Era proibito alle streghe stringere legami con i propri famigli, figurarsi rendere tali dei famigliari!
<< A dire il vero, volevo essere io ad introdurla a questa vita, signora >> rispose sicura.
Non poteva permettersi di tentennare, non adesso.
Dal sorriso che Gabriella le regalò, capì che approvava la sua decisione.
<< Ma ditemi, ha già dato i primi segnali? >>
Giulia non esitò a rispondere.
<< Certo! Se n’è accorta pure lei che accadono cose strane, avevo in mente di parlarle stasera >>
Sincerità. Il miglior modo di mentire.
D’un tratto la vecchia governante si fece nuovamente seria.
Giulia temette di essere stata scoperta, si sentì mancare.
Gabriella lo notò e le accordò il permesso di sedersi.
<< Devo dirti una cosa importante, Giulia >> passò al tu così naturalmente che la ragazza quasi non se ne rese conto.
Intimità. Il miglior modo di distruggere le persone.
La giovane annuì ed attese che continuasse.
<< Ricordi  che ti dissi che la mia mentore era legata ai Figli della Luna? >> chiese.
La rossa annuì nuovamente, stavolta era proprio confusa.
<< Beh >> continuò la governante << durante il mio periodo di apprendistato scoprii molto su di loro, e pur avendo alla fine preferito custodire gli esseri umani, ammetto di essermi avvicinata molto alla loro causa. Ogni volta che posso tento di aiutarli, capisci? >>
Giulia era sbigottita. Le aveva praticamente appena confessato di infrangere le regole.
Servire più di una creature era un crimine punibile anche con la morte.
Era considerato alto tradimento.
Una strega può scegliere di tornare indietro, ma non può custodire più creature contemporaneamente.
Era una cosa pericolosa.
Ma c’era anche un’altra cosa che lasciava Giulia piuttosto confusa.
<< Non capisco come tutto questo possa centrare con me e Anna >> disse infatti.
Gabriella sembrò ignorare la domanda e proseguì.
<< Tra tutte le creature che serviamo, le più speciali sono senz’altro i Figli della Luna.
Ma nonostante la loro forza, piano piano stanno perdendo la battaglia contro il mondo.
Sono poche le streghe che possono occuparsi di loro. Come ben sai la maggior parte di noi non raggiunge la maturazione. Se le nostre madri riescono a proteggerci dai Sidhe quando siamo in fasce, e se i Volturi non ci prendono di mira più avanti, è comunque difficile superare l’iniziazione.
Siamo poche, e in ogni caso va a finire che la maggior parte di noi ritiene più importante proteggere gli umani, in quanto deboli, mentre i Lupi vengono spesso ritenuti alla stregua dei Vampiri.
Ma devi sapere che loro ci hanno sempre rispettate.
Molto tempo fa, quando tutte le razze erano numerose e l’estinzione pareva impossibile, i Figli della Luna ci aiutavano a mantenere l’ordine, ci proteggevamo a vicenda, nascondendo la nostra esistenza a umani e vampiri. Hanno salvato così tante di noi dal rogo!
Tutte quante noi dobbiamo loro qualcosa. >>
Giulia ascoltava la storia attentamente.
Sapeva bene le difficoltà che i mannari avevano incontrato lungo il loro cammino, aveva studiato tutto su di loro durante la sua preparazione.
E sapeva bene perché li aveva scartati come possibili famigli.
La spaventosa possibilità che perdessero il controllo.
La loro recente ossessione per quelle che chiamavano gemme.
Giulia rabbrividì al solo pensiero, un piccolo, insidioso dubbio nella mente.
<< Ad ogni modo >> continuò Gabriella << quasi cento anni fa i Vampiri hanno in qualche modo scoperto la loro esistenza. Un giovane Lupo attaccò uno dei signori di Volterra.
Ne nacque una battaglia terribile. I Lupi inizialmente si rifiutarono di combattere contro creature che, infondo, avevano sempre appoggiato. Vennero decimati.
Chiesero aiuto a noi e gli fu data una profezia >>
Giulia annuì e la interruppe, spazientita.
<< trovare la Gemma, certo, ma ancora non capisco dove vuoi arrivare Gabriella. La storia la conosco, lo sai! >>
Si aspettava al minimo che la governante la fulminasse, con lo sguardo, che si offendesse per essere stata trattata in quel modo.
Invece lei non reagì. Si limitò a ricambiare il suo sguardo e a chiedere:
<< Sai che cosa sono le gemme, Giulia? >>
La ragazze rimase interdetta.
A dire il vero non c’era una descrizione precisa di queste gemme, sapeva solo che grazie a loro i Lupi riuscivano sopravvivere.
La terra da sempre ne concedeva una in ogni generazione, e i Lupi ne facevano uso per agevolare la trasformazione dei loro principi, i purosangue.
La Gemma che era stata predetta era particolare, speciale.
Ma non sapeva in che modo potesse esserlo.
Quindi scosse la testa in risposta alla domanda che le era stata posta.
Gabriella se lo aspettava e continuò a spiegare.
<< i figli delle streghe sono particolari, Giulia, ma sembra che nelle nascite seguano uno schema preciso >>
La ragazza le lanciò uno sguardo interrogativo, ancora più confusa, ma la sua ex mentore non lasciò che la interrompesse.
<< I secondogeniti >> disse fissandola forse per la prima volta quel giorno, dritta negli occhi << non sono mai streghe, Giulia. Tua sorella non può aver presentato alcun sintomo, perché non è una strega >>
La ragazza s’irrigidì quando si rese conto di essere stata scoperta davvero.
Anche se non nel modo in cui si aspettava.
Anna non era una strega, non perché secondogenita, ma perché semplicemente non erano sorelle.
Negli ultimi mesi aveva fatto ricerche e aveva scoperto chi erano i veri genitori di Anna: povera gente incapace di mantenere una terza figlia.
L’avevano abbandonata alle porte di una Chiesa dove sua madre l’aveva trovata e aveva deciso di prenderla con sé.
Anna non era sua sorella. Era umana.
E a questo punto che fosse normale o meno, sapeva che gliel’avrebbero portata via.
Non credeva che potesse esserci qualcosa di peggiore, almeno finché Gabriella non parlò di nuovo.
<< Ma non temere Giulia, tua sorella non è umana, non ti sarà portata via. Sarai liberissima di seguirla, ma non potrai impedirle di fare quello che dovrà fare >> disse, convinta, nonostante lo sguardo privo di speranze di Giulia.
<< Che intendi dire? >> chiese, stanca.
L’altra le rispose subito, quasi ansiosa di sferrare il colpo.
<< Tua sorella, è sicuramente una gemma. I figli delle streghe nati per secondi sono sempre stati presi dai Sidhe il giorno del loro primo anno, senza eccezioni. Ma le gemme sono riservate ai Figli della Luna, sono intoccabili.
Per questo sono convinta che tua sorella sia una gemma, Giulia. Non sarebbe qui altrimenti, capisci? >>
 
Sì, Giulia capì.
Capì che quello era l’unico modo per tenersi stretta sua sorella.
Lei era umana, certo, ma nessuno lo avrebbe saputo.
Se avessero creduto che fosse una gemma nessuno avrebbe potuto separarle.
Lei avrebbe potuto decidere di servire sua sorella e nessuno gliel’avrebbe impedito.
Nessuno l’avrebbe separata da lei.
Rimaneva solo da tenerla lontana dai Lupi e non ci sarebbero stati problemi.
Ma le bastò dare un occhiata a Gabriella per capire che aveva intenzione di denunciare l’esistenza di Anna ai Figli della Luna.
Non poteva permettere che ciò accadesse.
Sarebbero fuggite.
Magari a Volterra, lì i Lupi non avrebbero mai messo piede, lo sapeva.
Si alzò e cominciò la sua recita.
<< Lo sapevo che era una gemma >> disse sicura in volto. Notò con sollievo che la voce non le tremava << ma volevo tenerla fuori da questa storia il più a lungo possibile. Anna è molto giovane, ha solo sedici anni, non è pronta per affrontare il mondo del soprannaturale. Ha ancora paura del buio! Per questo voglio attendere almeno altri due anni prima di dichiarare la sua esistenza, mi capisci vero? >> concluse, quasi docile.
Ma Gabriella, mesta, scosse il capo ed abbassò nuovamente lo sguardo.
<< Il mio lavoro di strega mi impone di rivelare immediatamente la presenza di una creatura così particolare a chi la necessita >> rispose.
Giulia allora si portò una mano ai capelli e fece qualche passo nella stanza.
Si stava innervosendo, ma sapeva che doveva restare calma, o avrebbe destato troppi sospetti.
<< Datemi almeno due settimane per spiegarle tutto! Poi contatterò io stessa i Figli della Luna, giuro. Ho solo bisogno di un po’ di tempo! >>
<< Non hai capito, Giulia >> le disse l’altra strega, fissandola stavolta seria << mi dispiace, ho già rivelato la sua esistenza ai Lupi. Ti aspettano fuori di qui, in piazza. Mi aspetto che tu faccia il tuo dovere e li porti da tua sorella >>
Impassibile, Gabriella non era più l’amica, era la mentore, il giudice.
La rossa sentì il suo corpo venire pervaso da un fremito, ma non capì se fosse dovuto più alla rabbia o alla paura.
<< Non ho scelto di servire i Lupi, non è mio dovere preoccuparmi della loro salvezza e consegnargli le gemme. E non è nemmeno compito tuo, è contro le regole! >> si scaldò.
La sua superiore si irrigidì di colpo, le labbra strette, i muscoli tesi.
<< Tu non hai ancora scelto niente, una strega senza famiglio appartiene a tutto, e deve prestare aiuto a chiunque lo richieda. Questa è la regola.
Per quanto mi riguarda ho i miei motivi per voler aiutare i Lupi, ma non sto infrangendo alcuna regola, perché alla fine sarai tu a consegnare loro la gemma, non io.  Questo è un ordine >>
Il discorso era concluso
Giulia osservò la strega sollevarsi dalla sedia e abbandonare la stanza senza degnarla di uno sguardo.
Non le aveva lasciato alcuna scelta.
Con il cuore in gola, le orecchie ovattate, lasciò la villa e si diresse in piazza.
Non notò il movimento del suo corpo, né captò alcuna cosa con la vista.
Era assente.
Giunta in piazza non le servì fermarsi per individuare i Lupi.
Li percepiva a metri di distanza. Sentiva le loro aure sovrapporsi a quelle degli umani presenti.
Erano tre.
Ovviamente anche loro avvertirono la sua presenza.
Non ci fu bisogno né di sguardi né tantomeno di parole.
Giulia proseguì lungo la strada verso casa, e loro la seguirono.
Solo quando aprì la porta di casa, quando permise a quelle creature di entrare, quando incrociò lo sguardo stupito di Anna.
Solo allora si rese conto di aver appena venduto sua sorella.
Umana.
Ma questo i Lupi non avrebbero dovuto saperlo.
Mai.
Codardia. Seconda colpa.
 
 
Quando starò cadendo giù nel profondo
 mi chiederò sempre
se ti stai prendendo cura di me
occupando di me
 
Londra, Inghilterra. 1918
 
Flashes of bright, behind the blinds
A whole world of sound blocked out
Huddled in the cold, with glass intertwined
Hatred I just scream out
 
<< La stregoneria è manipolazione. Non esistono incantesimi, bacchette magiche, non siamo mere illusioniste.
Il nostro potere risiede tutto nella nostra mente.
Ogni cosa, ogni creatura che risiede in questo mondo è dotato di uno spirito, un "soffio" per gli antichi greci, una psiche che noi siamo in grado di controllare, trasformare.
Non ci è permesso creare dal nulla. Né abbiamo il potere di farlo.
Questa è la magia. Se ti aspettavi qualcos'altro, beh non mi dispiace deluderti! >>
 
Emily ascoltava Giulia parlare ormai da mezz'ora.
Sedeva composta su quella seggiola rigida che la rossa le aveva indicato e non aveva mai osato dire una parola fino a quel momento.
E non aveva intenzione di farlo.
Sentiva l'irritazione scorrerle nelle vene, bruciante.
Faticava a mantenere la mente lontana dai pensieri violenti che la tentavano in continuazione.
Aveva un'insana voglia di prendere quella riccia per i capelli e schiantarla contro un muro. Se solo ne avesse avuto la forza!
Fremeva di rabbia.
Ma la cosa che più la infastidiva era la curiosità che le parole della rossa continuavano a procurarle.
Suo malgrado lei voleva sapere, voleva conoscere quanto più possibile di quel mondo soprannaturale che le aveva portato via tutto.
In fondo, a quanto pareva, erano quelle le sue vere origini.
Sua madre da lì proveniva.
Era come se le parole della strega-lupo potessero avvicinarla di più a colei che fu Elizabeth Mary Masen.
A conti fatti non l'aveva mai conosciuta davvero.
Era stata cresciuta molto più dalla sua balia, Neste, che dalla madre; per non contare poi che gli ultimi quattro anni era rimasta chiusa nell'Istituo e aveva potuto vederla rarissime volte.
Ora veniva a sapere che era una strega e che molto probabilmente avrebbe potuto evitare tutto quel dolore.
A lei, a Edward.
Non sapeva nemmeno se suo padre sapesse o no di avere sposato una strega.
Alla fine, l'unico modo che aveva di capire davvero sua madre era entrare nel suo mondo.
Avrebbe preferito farlo in un altro modo.
Avrebbe preferito che molte cose fossero diverse.
 
Dal canto suo Giulia camminava lenta avanti e indietro per la stanza, lo sguardo lontano, la voce atona.
Mentre parlava si era lasciata trasportare dai suoi più intimi ricordi.
Della sua iniziazione, della sua vita prima...
Non aveva degnato Emily di uno sguardo da quando aveva dato inizio alla sua lezione.
Non aveva intenzione di essere premurosa, la prendeva in giro appena poteva.
Con grande sarcasmo disprezzava il suo corpo, la sua fragilità, la sua innocenza.
Quella bimba non era fatta per quel mondo, non avrebbe resistito nemmeno due mesi.
Questo pensava Giulia.
Il triste ricordo di quello che sua sorella aveva dovuto subire le attraversò la mente.
Era stata colpa sua.
Si costrinse a fermarsi di fronte alle finestre della sua stanza e, per prendere tempo, socchiuse leggermente le pesanti tende, lasciando entrare un'insolita fievole luce.
Non aveva mai permesso al sole di violare le sue stanze, ma per qualche strano motivo sentiva di averne bisogno.
Sentì i tiepidi raggi accarezzarle il volto, una mera consolazione.
Anche ora che apparteneva alla Luna sentiva di non essere stata completamente abbandonata dal resto della sua amata natura.
In fondo, si sentiva ancora una strega.
Ma era solo una triste illusione.
Con un sospiro richiuse le tende.
Non era quella la sua vita, non aveva il diritto di bramare la luce.
Non quella del sole. Non ancora.
 
Con la sua solita fermezza, la sua glaciale freddezza, riprese a parlare.
Intimamente apprezzò il fatto di non essere stata interrotta con insulse domande.
Emily sapeva evitare di essere inopportuna.
Era un altro punto a suo favore.
<< Streghe si nasce, non si diventa. Tienilo a mente. Non puoi insegnare la magia, né la puoi apprendere se non ce l'hai. Non puoi ingannare la Natura, puoi solo servirla in tutti i modi possibili e immaginabili.
Dacché c'è memoria ci siamo sempre prese cura della terra e di tutte le creature che la popolano.
Animali, esseri umani, vampiri, licantropi e i Shide, il popolo fatato. Questi sono gli esseri che proteggiamo affinché il mondo viva e respiri.
Tutte queste creature sono indispensabili e noi le aiutiamo a sopravvivere.
Ma il nostro compito è decisamente molto più difficile di quanto si possa credere.
Come ti ho detto la nostra mente è la fonte di tutto il nostro potere, tutta la nostra forza.
E' incredibilmente difficile arrivare a padroneggiare un dono simile, dobbiamo imparare a viaggiare ai confini del creato, del reale e del non reale, visibile e invisibile.
Giochiamo con la morte e spesso capita anche alle streghe più potenti di venirne catturate.
Siamo poche e il nostro numero diminuisce ad una velocità straordinaria.
La nostra mortalità è qualcosa che non siamo in grado di controllare, purtroppo.
Tra i Sidhe che si divertono a rapire i nostri bambini e le varie streghe che, lontane dalla famiglia, non scoprono mai di esserlo, sono poche quelle che riescono a sviluppare a pieno i propri poteri.
E come se ciò non fosse abbastanza il momento più difficile da superare è proprio l'iniziazione.
Chiamiamo così la prima volta che spingiamo la nostra anima oltre, confermando la nostra natura di streghe.
Prima dell'iniziazione dobbiamo superare giorni e giorni di profonda meditazione ed estenuanti allenamenti. Possono volerci settimane, mesi o anni.
La maggior parte di noi non è abbastanza forte o non è pronta.
Quando tentiamo di usare la nostra "magia", ogni volta, basta una piccola distrazione per scivolare troppo in là. E’ un errore che purtroppo anche le streghe più mature ed esperte commettono spesso.
Fatto sta che cadiamo come foglie secche. E' una situazione logorante, e non è che  gli altri  esseri soprannaturali ci aiutino!
Non c'è nessuno che difenda noi, anzi.
Gli esseri umani, stoicamente, fingono di non sapere nulla.
I vampiri, che da sempre hanno ignorato la nostra esistenza, ultimamente hanno cominciato a trasformarci in loro simili.
Credono che siamo umani "speciali" perché, dopo la trasformazione, parte dei nostri poteri psichici permangono o si sviluppano in altro modo.
Poi ci sono i Figli della Luna e  i Shide, creature che invece ci conoscono molto bene; queste si limitano a richiedere i nostri servigi a destra e a manca, pretendendoli con la forza il più delle volte.
Crediamo sempre di avere una scelta, quando creiamo i nostri famigli, ma la verità è che scegliamo sempre le creature che temiamo di più o quelle che ci considerano di meno.
Le streghe più romantiche spesso si affidano al popolo fatato, nonostante la loro bestialità superi di gran lunga quella dei veri animali quali sono i Lupi. Credo abbiano la speranza di ritrovare i bimbi che vengono rapiti, o quanto meno impedire che ne vengano presi altri. Ma ciò che i Shide fanno alle loro streghe, beh, nessuno lo sa.
Alla fine facciamo sempre molte scelte, torniamo indietro, tentiamo di cambiare il mondo.
Prima o poi ci arrenderemo all’idea che la Natura, che tanto serviamo e veneriamo, non sia altro che una gabbia divoratrice di anime.  Una gabbia che dobbiamo preservare e che non riusciamo a migliorare. >>
 
Giulia fece una pausa e andò a sedersi sul letto, le gambe incrociate.
Per la prima volta squadrò per bene la ragazzina che le stava difronte.
<< Ma tu >> disse, laconica << di questo non devi preoccuparti. Dopotutto non sei esattamente una strega. A te spetteranno ben altri problemi.
L'iniziazione la dovrai superare, ma se sei una gemma non dovresti avere troppe difficoltà.
Si dice che siate creature sacre, nessun ente soprannaturale può farvi del male, almeno non prima che acquisiate i vostri pieni poteri, e l'unico modo in cui potete acquisirli è appunto superando l'iniziazione.  Prima di allora nemmeno i mietitori possono distruggervi >>
Di fronte allo sguardo naturalmente confuso di Emily, Giulia alzò gli occhi a un cielo immaginario e si apprestò a spiegarle.
<< Sì, esistono varie morti. Sono loro che si incaricano di trasportare le anime per i vari mondi. Quando noi streghe accediamo ai nostri poteri consegniamo la nostra anima alla nostra morte “personale”. Non sempre però ci viene restituita. Non sappiamo bene perché ciò accada, fatto sta che a volte torniamo, a volte no.
Per quanto ti riguarda invece, a meno che tu non faccia sciocchezze e ti capitino strani incidenti, resterai viva per almeno i prossimi due anni.
Nessuna creatura potrà alzare un dito contro di te, sarebbe un po’ contro natura dal momento che le gemme dovrebbero garantire la sopravvivenza dell’universo.
Ne nasce una sola per generazione, se poi questa muore prima di aver espletato almeno uno dei suoi vari incarichi capitano disgrazie.
Se leggi qualche libro di storia potrai facilmente comprendere quanto spesso ciò accada.
Ad ogni modo fra due anni, dopo che avrai affrontato l'iniziazione saranno affari tuoi.
Noi al momento possiamo garantirti solo questi due anni di vita.
Tutto gira intorno all'iniziazione.
Il mio compito è quello di guidarti affinché tu sappia come raggiungere il confine e contattare il tuo mietitore. Allora sarai una strega a tutti gli effetti, una gemma preziosa; e noi scopriremo se sei così speciale come tutto sembra voler far pensare. La tal Gemma con la G maiuscola.
Se sarà così sta pur certa che i Lupi tenteranno in ogni modo di tenerti al sicuro, ma sappi che avrai tutti gli incubi dell'universo alle calcagna.
In fondo la prima volta che ti ha parlato, William non scherzava.
Ti cercheranno tutti, e non tutti avranno nobili intenzioni >>
 
A quel punto Emily non seppe trattenersi dal fare una domanda.
Dopotutto era di lei e del suo futuro che si stava parlando, aveva il diritto di avere le idee chiare!
<< Se dici che non posso essere uccisa, com'è che Lucas  e William mi sono sembrati tanto decisi a farlo? >> chiese.
Sul viso di Giulia ricomparì il suo solito ghigno sarcastico accompagnato da una risata mal trattenuta.
Era brava a prenderla in giro, Emily si infastidì subito.
<< Forse, col tempo capirai due cose fondamentali. La prima è che William non potrebbe mai farti del male, non consciamente al meno. La seconda è che Lucas è decisamente pazzo. E non puoi davvero fidarti di un pazzo!
Tra l'altro devi tenere a mente che quella notte in cui Lucas ti ha ferita è stata decisa da un tuo atto stupidamente ridicolo. Non dovevi andartene. Punto.
Se fossi morta, sarebbe stata colpa tua. E i mietitori allora avrebbero avuto l'obbligo di raccogliere la tua vita.
Ricorda dunque di tenere a bada i tuoi istinti suicidi, la natura sa come percepirli.
Se provochi la tua morte, non devi stupirti se poi muori sul serio, no? >>
Emily fremette d'indignazione. Aveva capito la posizione della rossa, e sapeva che aveva ragione, ma non sopportava di essere trattata come una bambina.
 
Stava per risponderle brusca quando la porta della stanza si spalancò all'improvviso e Christian fece il suo ingresso, spavaldo.
Subito Giulia si sollevò in piedi, lo sdegno rigidamente dipinto sul suo viso.
<< Che ci fai qui? >> sbottò aspra << nessuno ti ha dato il permesso di entrare! >>
Un ringhio spaventoso sembrò nascere dal suo torace, prova della sua natura animalesca.
Il biondino fece immediatamente due passi indietro, i palmi delle mani sollevati in chiaro segno di resa.
Giulia lo fulminò con lo sguardo, dando segno di non notare il suo segno conciliante.
<< Okay. Okay! >> esclamò in fretta il biondo, facendo un ulteriore passo indietro.
Ora aveva quasi raggiunto lo stipite della porta.
<< Mi manda Will >> si affrettò ad aggiungere, chiaramente innervosito << vuole che tra un'ora ti faccia trovare nel suo studio. Io e Peter abbiamo trovato Thomas, siamo appena tornati. La presentazione della gemma è stata fissata per domani sera, poco fuori città >> concluse, passandosi una mano tra i capelli.
Era ovvio che fosse a disagio, ma Giulia lo fissò impassibile.
<< Avresti dovuto bussare. Non voglio idioti nelle mie stanze! >> lo redarguì, secca.
Emily si accorse che la rossa stava tremando, anche se impercettibilmente.
Con un brivido le tornò alla mante la lotta a cui aveva assistito solo due settimane prima. I ringhi e i tremori che avevano anticipato sangue e violenza.
Sperò che la riccia si calmasse. Non ci teneva proprio a rivivere quella scena inquietante.
Anche Christian sembrò notare in quel momento la condizione isterica della rossa, così fece una risatina, come a voler stemperare il nervosismo.
Per una attimo i suoi occhi incrociarono quelli della giovane ragazza, ancora rigorosamente seduta su quella scomoda seggiola.
<< D’accordo! A dire il vero sapevo che non mi avresti lasciato entrare, per questo ho fatto di testa mia! Volevo vedere lei e soprattutto sapere se era ancora tutta intera! >> Disse indicando Emily mentre si dondolava sul posto.
Subito Giulia emise un ulteriore ringhio, impazientita.
<< Puoi andare! >> parve sputare ogni singola parola.
Il ragazzo però sorrise e, invece di indietreggiare, si avvicinò alla rossa che con uno scatto e l'ennesimo ringhio si ritrasse, quasi scottata dalla sua vicinanza.
Ma il ragazzo la ignorò.
Fissò invece i suoi occhi chiari appena sopra le spalle scoperte di Emily, dove poco prima scendeva la sua lunga chioma.
Un sorriso compiaciuto gli illuminò il volto quando si rivolse di nuovo a Giulia.
<< Vedo con piacere che hai già cominciato alla grande, non mi deludi mai principessa! Ricordati però che puoi andarci piano, con lei.
Hai ben due anni davanti, non c'è bisogno di distruggerla subito, giusto? >> la domanda suonò fin troppo ironica per i gusti di entrambe le ragazze.
Per la prima e forse ultima volta per la loro mente passò lo stesso identico pensiero:
Quel ragazzo era irritante.
Ma le loro reazioni furono molto differenti.
Mentre la piccola Emily strinse i lembi del suo abito in due pugni ferrei e abbassò il capo, la rossa diede una brusca spinta al biondo spedendolo dritto contro il muro adiacente alla porta.
<< Fuori! >> gli intimò.
Il sorriso non aveva abbandonato il viso del ragazzo quando questo, prima di abbandonare la stanza, si voltò di nuovo.
<< Un'ultima cosa. Per domani devi farla vestire di bianco, principessa >> sparì prima che Giulia potesse rispondergli in alcun modo, richiudendosi la porta alle spalle.
 
Bagliori luminosi, dietro le persiane
un intero mondi di suoni bloccato fuori
raggomitolata nel freddo, avvolta nel vetro
d'astio ho solo gridato.
 
Con un sospiro esausto la rossa si risedette sul letto, tentando di calmare i fremiti che ancora sconquassavano il suo corpo.
Lanciò un'occhiata di fuoco ad Emily, come sfidandola ad osare a dire qualcosa.
Ma Emily non poteva stare in silenzio. Non voleva.
In primo luogo perché aveva decisamente troppe domande.
E poi sapeva che l'unico modo che la riccia aveva per riprendere il controllo di sé era distrarsi.
Oh, il suo non era certo un modo di prendersi cura della rossa, no. Era più autodifesa. Ormai aveva visto abbastanza da capire che, se un lupo perdeva il controllo, erano guai.
<< Cosa c'è di così speciale domani sera? >> chiese dunque.
Non era per niente contenta di dover abbandonare il suo lutto così presto, anche se sarebbe stato per una sola notte.
Sperava dunque che fosse per qualcosa di davvero importante.
Giulia all'inizio non parve avere intenzione di risponderle, ma poi si arrese e parlò.
<< Domani sera sarai presentata come nuova gemma alla comunità dei Figli della Luna. Credimi è un avvenimento più che importante. Segnerà le speranze di tutti i Figli dei Lupi, tanto più se verrai riconosciuta come tale >>
<< Riconosciuta? >> domandò Emily.
<< Sì, ma tu non dovrai fare molto. Spetterà a William dimostrare che sei davvero una gemma, ma credimi abbiamo abbastanza prove. E soprattutto ci sono troppi Lupi che hanno bisogno di te per dilungarci troppo sulla questione.
E non farti illusioni. Che sei una gemma è sicuro e lo dimostreremo.
Più difficile sarà forse capire se sei davvero la Gemma, quella della profezia.
Ma anche in questo caso William per la prima volta sembra particolarmente fiducioso. >>
Emily scosse la testa, appesantita da tutte quelle informazioni.
<< Ma alla fine, cos'è che dovrei fare? cosa sono le gemme e perché sono così importanti? E di che profezia parli?! >>
Sapeva di stare alzando la voce, ma era nervosa, confusa e aveva troppe domande per la testa.
Giulia parve non dare troppo peso alle sue parole. Era concentrata sul suo respiro.
Tremava ancora, anche se ormai era chiaro che si era calmata a sufficienza.
Rispose alle sue domande senza quasi rendersene conto.
<< Le gemme! >> sbuffò << sono nate per essere utili in qualche modo. Maledette. Hanno delle capacità che fanno gola a tutte le creature che ne conoscono l’esistenza.
Ma sono assolutamente indispensabili per i Figli della Luna.
Il segreto immagino stia nel sangue. Oh, non fare quella faccia dai! Non dissanguano nessuno, bastano poche gocce! >> aggiunse alla faccia sconvolta di Emily.
Come se il fatto che venissero usate solo "poche gocce" di sangue dovesse essere confortante!
La ragazza scosse la testa, piano. Si fece quasi pena.
In fondo era da un’ora ormai che non faceva che ascoltare discorsi su vampiri, streghe, molteplici morti, fate e quant’altro. Poteva prevederlo un po’ di sangue, no?
Giulia continuava a parlare, incurante dell’effetto che le sue parole scatenavano.
<< Con il tempo i lupi e le streghe, da sempre grandi alleati, hanno stretto un accordo, con il quale noi streghe ci impegnavamo a consegnare loro ogni singola gemma >> continuò a parlare Giulia << così sarebbe certo stato più facile individuarle piuttosto che cercarle per tutto il globo come disperati!
Ma le cose non sono mai così semplici.
La maggior parte delle madri fuggiva, nascondeva i propri figli o addirittura li abbandonavano in mezzo agli umani, pur di impedire che venissero scovati.
Immagino che questo fu quello che fece tua madre, sai? >>
Emily deglutì.
Non aveva mai pensato che forse sua madre l'aveva allontanata, rinchiusa in un Istituto dalle rigide regole, solo per proteggerla.
 
Giulia le regalò un’ulteriore sorriso sprezzante prima di continuare. Tremava ancora visibilmente.
<< Nascondere le gemme è un gesto fortemente egoista e immaturo >> il sarcasmo era tornato a decorare il suono delle sue parole. Ma nei suoi occhi Giulia poté leggere una nota quasi calda, come di … rammarico.
<< E' da senza cuore. >> continuò la riccia << Da loro dipende davvero la vita di decine, se non centinaia di lupi, e se i lupi muoiono, finisce il mondo.
La natura ha un equilibrio che non deve essere spezzato, e noi streghe esistiamo apposta affinché questo non accada.
Molte creature temono i figli della luna, se non li odiano.
Sono creature micidiali, letali, incontrollabili.
Possono essere ottimi alleati e mutarsi all'improvviso in nemici terrificanti, anche senza volerlo.
Fino a pochi secoli fa i loro più grandi oppositori erano i Sidhe.
Sia il popolo fatato che i Figli della Luna infatti sono profondamente legati alla terra e alla natura.
Tendono a governare il loro territorio e a proteggerlo con le unghie e con i denti.
La differenza principale è che i primi ritengono che ogni singolo pezzo del mondo gli appartenga.
La cosa che desiderano di più al mondo è eliminare i Lupi.
E a differenza di molte altre creature, loro conoscono il segreto delle gemme, e anche se non hanno il permesso di prenderle quando sono ancora in fasce per i motivi che ti ho già spiegato, subito dopo l'iniziazione non perdono tempo e tentano di portarle dalla loro parte. E' inutile che ti spieghi la fine che hanno fatto quelle che, nel tempo, hanno ceduto. Ti basti sapere che è stato doloroso. >>
Emily rabbrividì davanti al sorriso strafottente di Giulia, ma si fece forza.
Non aveva intenzione di lasciarsi mettere i piedi in testa.
<< Mi stai raccontando tutte le minacce che mi aspetteranno, e questo mi va bene. Ma mi piacerebbe anche che di tanto in tanto tu rispondessi alle mie domande senza troppi giri di parole! >> disse.
Sapeva di risultare sfacciata, ma si sentì di ripagare la rossa con la sua stessa moneta.
La risposta della riccia fu immediata. Truce.
<< Taci! >> le intimò severa << cosa dirti e come dirtelo spetta a me deciderlo, quindi se vuoi cominciare ad ottenere delle risposte, ti consiglio di fonderti con l'arredamento e prestare attenzione, zitta e immobile! >>
La ragazza si trattenne a stento dallo sbuffare. Ma al momento non poteva fare altro che ubbidire.
Si chiese come avrebbe fatto a resistere due anni sotto le grinfie di quella megera.
Aveva ben capito che l’altra non si aspettava che vi riuscisse.
 
Intanto Giulia aveva ripreso a muoversi per la stanza, girandole attorno mentre parlava.
<< Dunque, la prima minaccia che forse dovrai affrontare verrà sicuramente dai Shide. Sono davvero esseri tremendi, ragazzina. Ti auguro proprio di non incrociarli mai >> strano a dirsi ma pareva proprio seria.
Non diede comunque tempo ad Emily di metabolizzare la sua affermazione che proseguì.
Era evidente che non si aspettava altri interventi da parte della sedicenne.
<< Ma se sei la Gemma, e qui entra in gioco la profezia, la vera battaglia che dovrai affrontare è quella contro i vampiri.
Fino a pochi secoli fa essi ignoravano completamente l'esistenza dei lupi mannari.
Anzi, ad essere sinceri sono sempre stati alla stregua degli esseri umani in fatto di ignoranza. Sono così sfacciatamente superbi da credere di essere gli unici esseri soprannaturali della terra.
Ma a quanto pare nella seconda metà del seicento un lupo incredibilmente forte perse il controllo. Né le streghe né i suoi compagni che assistettero alla scena furono in grado di fermarlo.
In una calda notte d'Estate quel lupo si imbatté in una decina di vampiri e li trucidò quasi tutti. Purtroppo recuperò il controllo nel momento peggiore.
Sarebbe sicuramente stato preferibile se li avesse uccisi tutti a quel punto.
Fatto sta che l'unico superstite di quei dieci vampiri era uno dei Volturi, i vampiri più influenti sulla faccia della terra.
Si scatenò un guerra orribile.
Centinaia di Lupi furono annientati, i sopravvissuti furono costretti a nascondersi, a vivere come cani.
La maggior parte delle streghe voltò loro le spalle, per paura di ciò che quel drastico cambiamento avrebbe potuto comportare.
Lo ammetto, noi streghe non siamo esattamente note per il nostro coraggio.
Siamo così terrorizzate dall'idea di fallire nella nostra missione a causa del nostro numero esiguo che spesso neghiamo i nostri doveri pur di preservare la nostra specie, condannandone così un'altra.
Ma siamo pur sempre mortali, il più delle volte, e il nostro istinto di sopravvivenza è molto forte >> il tono di Giulia suonava tutt'a un tratto malinconico. Aveva smesso di camminare e si era poggiata con noncuranza alla parete adiacente al letto.
Dava le spalle ad Emily che la ascoltava sforzandosi di mantenere il filo del discorso.
Senza grande successo tra l'altro.
La rossa faceva continui riferimenti che lei non capiva o non comprendeva a pieno.
Inoltre cambiava argomento così in fretta che era difficile starle al passo, almeno per lei.
<< Ad ogni modo >> continuò Giulia << la profezia dice che un giorno nascerà una gemma particolare che avrà il potere di porre fine a questa guerra e che porterà la concordia tra tutte le razze conosciute.
Non so dirti come e perché questa gemma sarà in grado di fare ciò.
Solo William e Lucas conoscono i termini esatti della profezia, in quanto sembrano essere loro i diretti protagonisti di quanto dovrà accadere.
Solo loro sono in grado di riconoscere la gemma giusta e finora non hanno mai avuto successo. Mai prima di te.
A quanto pare sono entrambi fortemente convinti che tu sia quella perfetta.
E tutti speriamo che non si sbaglino.
E' ora che questa stramaledetta guerra finisca! >>
 
La rossa si girò ed Emily affrontò il suo sguardo duro.
C'era dolore in quegli occhi.
Dolore e .. sì, tanto rammarico.
Due sentimenti che mal si abbinavano alle smorfie sarcastiche che la riccia continuava a rifilargli.
Mossa da un improvviso moto d'incoscienza, Emily si azzardò a rifare un'altra domanda.
<< Perché sono così speciali le gemme? >> ripeté.
Di nuovo Giulia la fulmino con lo sguardo, risedendosi compostamente sul letto.
Ma di nuovo, rispose.
Emily cominciava a chiedersi se i Lupi fossero creature di parola.
Sino a quel momento ogni minaccia o promessa era stata puntualmente glissata.
Non che le dispiacesse, per quanto riguardava le minacce.
Ma cominciava a dubitare di poter trovare il fratello con il loro aiuto.
Ad ogni modo Giulia così le rispose.
<< Te l'ho detto, il loro sangue è indispensabile per la sopravvivenza dei Lupi.              
Tra tutte le creature del mondo quelle più labili sono senz'altro loro.
Il motivo è che i lupi nascono umani, e restano tali per circa vent’anni.
Superati i venti, se non riescono a sviluppare il gene della licantropia muoiono.
E l'unica cosa che riesca a far scattare questo gene nei lupi è il sangue delle gemme.
La magia contenuta nel tuo organismo è in grado di fare cose incredibile per qualsiasi creatura, ma per i Lupi purosangue è assolutamente indispensabile >>
<< Purosangue? >> chiese Emily.
<< Sì, purosangue, Alfa, primitivi, principi addirittura, chiamali come ti pare. Loro sono gli unici a possedere davvero il gene della licantropia.
Lo possiedono, ma per i primi vent'anni della loro vita è sopito.
Se quando questo gene si risveglia il corpo del lupo non ha già assorbito la magia delle gemme, si consuma.
Puoi capire da ciò quanto sia difficile per loro procreare. Non hanno mai la certezza che troveranno la gemma della loro generazione, non sanno mai se riusciranno a mantenere in vita la propria stirpe.
Molti si rifiutano semplicemente di generare altri lupi puri, e così l'estinzione è ogni anno più vicina.
Questo è un problema che non potremmo risolvere mai, purtroppo, anche se molti fanno affidamento sulla profezia.
Si crede in fatti che quella famosa gemma che porrà fine alla guerra tra le razze sarà in grado di offrire il proprio sangue per infinite generazioni.
Ma io non farei troppo affidamento su questa leggenda. >>
Emily sollevò le sopracciglia.
<< Infinite ... non sarebbe comunque possibile! >>
Giulia ricambiò il suo sguardo noncurante, fissandosi le gambe incrociate, ma con uno sbuffo lievemente spazientito.
<< Ragazzina, è un'ora che ti parlo di lupi, fate, streghe e vampiri. L'idea dell'immortalità ti sembra così assurda? Sappi che non è così. Tutte queste creature sono eterne, o possono scegliere di esserlo.
Il motivo per cui ritengo che rendere una gemma immortale sarebbe inutile è che la magia non è solita piegarsi alle trasformazioni.
Le streghe che diventano immortali per scelta lo fanno alimentando il loro potere all'infinito, così la loro anima resta in mano del loro mietitore all'infinito.
Ma le gemme non possono farlo. Perderebbero la loro capacità “mistica”.
O morirebbero.
Sono stati fatti molti esperimenti in proposito, e sono tutti stati un grande spreco.
Se sei la gemma della profezia, sarà meglio non rischiare, no? >>
Emily annuì, pensierosa.
Quando i discorsi vertevano direttamente sul suo futuro le venivano i brividi.
Preferiva decisamente parlare d'altro.
<< Hai detto che ci sono Lupi purosangue. Vuoi dire che ce ne sono anche di non puri? >> chiese.
Giulia fece una risatina, ma si capiva che ormai era stanca di parlare.
Il suo atteggiamento sarcastico era lo stesso però.
<< Purosangue, mezzosangue e ibridi. Questi sono i Figli della Luna che abitano il nostro mondo.
I primi sono gli unici che possono generare altri Lupi.
I mezzosangue sono il frutto del accoppiamento tra Lupi purosangue ed esseri umani.
Due mezzosangue possono generare solo esseri umani.
Gli ibridi, come me, sono creature infette, malate.
Anche in questo caso, solo i purosangue possono infettare altre creature.
Io ero una strega, ero al servizio dei Lupi.
Ma ci fu un incidente e la trasformazione mi ha privata dei miei poteri.
Ad ogni modo, se io mi accoppiassi con un purosangue, per esempio, nascerebbe un mezzosangue. Se mi accoppiassi con un mezzosangue potrebbe nascere una potenziale strega.
Ora dovrebbe esserti più chiaro il motivo per il quale i lupi dipendono tanto dai purosangue e, di conseguenza dalle gemme >>
La ragazza annuì nuovamente, guardando Giulia di sottecchi.
 
La rossa si era di nuovo alzata in piedi, ma stavolta si era diretta all'armadio, scegliendo tra vari abiti maschili.
Emily si era accorta che per tutta la durata di quella lunga conversazione la riccia si era sempre definita strega.
Noi streghe, diceva.
Ma aveva ben capito che non lo era più.
Non aveva poteri, non aveva magia.
Per un secondo solo, Emily ebbe pietà di lei.
Era una giovane donna che infondo non aveva più una famiglia, non apparteneva più ad un gruppo.
Era sola.
Era come lei.
Infondo, poteva capire il suo atteggiamento così scorbutico.
Era fuori luogo pure lei, in quel mondo assurdo, anche se in maniera diversa.
 
All'improvviso, mentre osservava Giulia ancora intenta ad esaminare i propri abiti le sorse spontanea un’altra domanda.
<< Quanti Lupi ci sono attualmente? Quanti puri intendo. >>
La vera domanda era: a quante persone dovrò dare il mio sangue?
Giulia lo capì e ghignò, al suo solito.
<< Qui in Inghilterra si sono radunati tutti i lupi sopravvissuti all'ira dei Volturi, i vampiri che ci danno la caccia.
Domani sera li vedrai e credo che sarai alquanto stupita dall'esiguità dei numeri.
Cinque secoli fa eravamo in ottocento, circa. Con almeno trecento lupi purosangue.
Oggi arriviamo appena a trecent’ottanta teste.
E abbiamo solo cinquanta lupi puri, dei quali trentasette non hanno ancora subito la prima mutazione. Tre di questi ultimi compiranno vent'anni tra quattro mesi.
Per allora tu non sarai ancora pronta a donare il tuo sangue, e loro moriranno.
Un peccato che dovrà essere pagato dalla tua immaturità >> la fulminò.
Poi parve riscuotersi, scosse la testa e sospirò.
<< Ad ogni modo, domani incontrerai anche Thomas, è il lupo a cui sarà affidata la cura della tua forma fisica. Ci aspettiamo che tu sia in grado di difenderti anche da sola, nel prossimo futuro. Non potrai sempre avere guardie del corpo addosso, e per motivo che presto comprenderai, capiterà che tu debba combattere con le stesse creature incaricate di proteggerti.
Sarà un addestramento lungo e difficile, ma sarà meglio che tu impari tutto il più in fretta possibile. Il pericolo non aspetterà certo che tu sia pronta prima di attaccare. >>
Nonostante il solito tono ironico, Giulia aveva perso gran parte del suo tono duro.
Era stanca.
Scelse due capi dall’armadio. Poggiò uno sull’anta e appese l’altro appena dietro il sipario in cui si sarebbe vestita.
Non degnò Emily di uno sguardo mentre la congedava.
<< Puoi andare >> le intimò, severa.
Emily, scossa, non se lo fece ripetere due volte.
Ma prima che potesse abbandonare la stanza Giulia le parlò ancora.
<< Non uscirai dalle tue stanze prima di domani sera, il cibo e gli indumenti che dovrai indossare ti saranno portati. Ti consiglio di riposare, sarà sicuramente una settimana pesante, la prima di molte altre. >>
Emily annuì appena ed uscì.
Non resisteva più lì dentro.
Le mancava già la luce.

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Capitolo 11
*** Are You Watching After Me prt. 3 ***








N.d.A
Avviso i lettori di questa storia che questo capitolo è molto probabile che lo abbiate già letto.
Non è altro che la seconda metà del precedente.
Dopo quasi tre mesi dalla sua pubblicazione ho deciso che era decisamente troppo lungo, in fondo chi leggerebbe ventotto pagine così come niente?
Le probabilità che fosse ritenuto noioso erano altissime!
Dunque l'ho tagliato.
So  bene che per regolamento non si possono pubblicare capitoli nulli, e questo in un certo senso lo è, ma posso assicurarvi con grande piacere che a giorni potrò pubblicare il prossimo capitolo.
Spero che nessuno se la prenda, e se è la prima volta che leggete la storia, vi lascio alla lettura!! 
*
*
*



Are you Watching After Me

prt. 3


This isn't real
A body so still
Portrait of a good fight
 a good fight
Goodnight
 
Siena, Italia. 1737
 
Questo non è reale
un corpo così immobile
il ritratto di una giusta battaglia 
una giusta battaglia
Buonanotte
 
William, Lucas e Thomas.
Così si chiamavano i tizi che parlavano di fronte a lei.
Questo Anna sapeva.
Ed era l'unica cosa che avrebbe voluto sapere.
Li ascoltava parlare, seduta accanto a sua sorella che le stringeva forte la mano.
Da quando era arrivata aveva detto sì e no due parole.
I tre parlavano, dicevano cose che lei non capiva e non voleva capire.
Giulia annuiva, confermava le loro dannate parole.
Gemme, Licantropi, Vampiri ... Streghe.
Sua sorella era una strega.
Sua sorella era una strega e lei non lo sapeva.
Anzi no, non era sua sorella.
Chi era? Cos’era?
Aveva scoperto tutte queste cose in venti minuti, non riusciva a metabolizzare la cosa.
Guerre, test, sopravvivenza.
Ma dove diamine era finita?
Anna era confusa.
Giulia anche, ma lei capiva.
<< Potremmo concedervi due mesi per ottenere i vostri poteri, mia signora. Non possiamo permetterci troppo tempo, siamo troppo vicini a Volterra e non possiamo rimanere qui a lungo >> stava dicendo Thomas, il ragazzo castano.
Giulia notò uno dei gemelli mori, Lucas, quello di sinistra, sbuffare.
Evidentemente non era d'accordo.
Nemmeno Giulia lo era, ma per ben altri motivi.
Non sarebbero serviti vent'anni per dare ad Anna i suoi poteri, dato che non ne aveva.
Due mesi.
Sarebbero dovuti essere due mesi di addestramento, di test e di lunghe sedute meditative.
Sarebbero stati due mesi in cui avrebbe pianificato una fuga.
Thomas continuava a parlare, ma né Giulia né Anna gli prestavano una giusta attenzione.
<< Ci sarà molto su cui lavorare, ma sono certo che con la giusta disposizione d’animo ci riuscirete senza problemi, sembrate una donna forte, Madonna Anna. >>
Stavolta toccò all’altro gemello, William,  sbuffare.
Fu una leggerissima emissione di aria, quasi impercettibile.
Come la sua voce quando, alzatosi in piedi parlò.
<< Sarà meglio che vi lasciamo un po’ di tempo per rifletterci su. So che è difficile affrontare tutto questo, specie se è la prima volta che ne sentite parlare. Daremo a vostra sorella il resto della giornata per spiegarvi il tutto con più calma. Domani mattina torneremo, e mi spetto di trovarvi molto più consapevole dell’importanza del vostro compito. Abbiamo bisogno di voi, e abbiamo bisogno che siate lucida. >>
Furono parole a malapena sussurrate, ma parvero restituire l’aria in corpo alle due ragazze sedute difronte.
Il congedo fu veloce, insignificante.
Una lieve battuta di Lucas riguardo la “solita” serietà del fratello, due saluti a malapena ascoltati e poi.. silenzio.
 
Giulia, lontana, non osava avvicinarsi alla sorella.
Ora che era sola con lei sentiva ricaderle addosso tutti quei silenzi, i segreti della madre, i suoi.
È troppo facile parlare col senno di poi, chi non ha la capacità di prevedere i giri del destino, i colpi della sfortuna, è destinato a rivangare su ciò che è stato e sarebbe potuto essere.
Da che il mondo è mondo, gli esseri umani hanno sempre capito che le menzogne, portate avanti a lungo andare, i segreti troppo a lungo mantenuti, portano solo disgrazie.
Un segreto grande quanto la  magia era semplicemente distruttivo.
E Giulia sapeva che, con la sua assurda scelta di nascondere, di aspettare, aveva distrutto il dolce mondo della sua sorellina.
Ora Anna era rigida, in piedi di fronte alla porta, una mano appoggiata alla spalliera della sedia più vicina.
Tremava, scossa. Le lacrime cominciavano a premere per uscire dai suoi occhi.
Occhi completamente spaesati, incapaci di aggrapparsi a qualsiasi tipo di realtà.
Una realtà che, in fondo, era sempre stata permeata dalla falsità.
No, si disse Anna.
Aveva avuto affetto. Un profondissimo affetto.
L’amore di sua sorella era forse la bugia più vera che i suoi sensi avevano mai sfiorato.
 
Quello sguardo perso, Giulia non riusciva a sopportarlo.
In pochi passi annullò la distanza che le separava, anima e corpo. L’abbracciò.
Eccolo, il fragile corpo della sua umana sorella, che sorella non era.
Ma la sua anima? La sua mente e la sua essenza erano ancora lontane.
C’erano, Giulia poteva vedere la confusione negli occhi di Anna che lo testimoniava.
Ma si ritraevano come scottate, ferite, al suo contatto.
Giulia non riusciva più a trovare un qualche tipo di legame psichico con Anna, che ormai si era chiusa rispetto a tutte quelle stranezze nuove.
Stranezze alle quali lei, purtroppo apparteneva.
<< Ce la faremo vedrai >> tentò di dire. Ma lei stessa non era molto fiduciosa. Sarebbe stato molto molto difficile.
<< Anna! >> tentò di scuoterla. Ricevette uno sguardo ancora perso, ma consapevole. Anna stava tornando, piano, ma stava tornando. Era una ragazza forte.
<< Anna, ho bisogno di te. Ho bisogno che tu sia forte, molto forte. E pronta a fare tutto quello che ti dirò. Ti prometto che troverò un modo per tirarci fuori da questa storia! Ce la faremo vedrai! >> ripeté le ultime parole con maggiore vigore quando si accorse che la sorella stava finalmente ricambiando l’abbraccio. L’aveva ritrovata. Anna era di nuovo con lei.
Non l’avrebbe persa. Non l’avrebbe permesso.
Finalmente la tensione che le aveva pervase sino ad ora le abbandonò, i loro muscoli si ammorbidirono e non ci fu alcuna barriera che potesse frenare le loro lacrime.
Troppo a lungo le avevano trattenute.
Scivolarono sul pavimento, ancora abbracciate, prive della forza di separarsi, meditando sulle possibilità che avevano.
Fiduciose come mai.
 
Quante volte l’uomo ha ideato piani, strategie, perfetti sotto ogni punto di vista.
Quante volte l’uomo, povero ignorante, aveva escluso i vorticosi giri della fortuna?
Molte, troppe.
Ma, in fondo, ognuno ha il diritto ad abbandonarsi al dolce conforto delle proprie speranze, delle proprie illusioni.
 
Oh, povera Giulia, il senno di poi ti ha chiamata: misera illusa.
 
 
When I'm falling' deep down under
I'm always gonna wonder
If you're watching' after me
Watching' after me
 
Londra, Inghilterra. 1918
 
Quando starò cadendo giù nel profondo
 mi chiederò sempre
se ti stai prendendo cura di me
occupando di me
 
Dopo un'ora esatta da quando Christian aveva fatto irruzione nella sua stanza, Giulia fece il suo ingresso nello studio di William.
Non si sorprese di trovarci anche i gemelli platinati, aveva capito che la faccenda era seria.
William era seduto dietro la sua larga scrivania, i gomiti appoggiati sul duro legno, i pugni serrati sotto il mento a sorreggere il capo.
Peter sedeva su uno dei due divanetti di pelle posti difronte a lui.
Sembrava rilassato, ma il modo in cui teneva la mascella contratta testimoniava il contrario.
Christian invece se ne stava in piedi appoggiato alla libreria che ricopriva il muro sinistro della stanza. Era chiaramente nervoso.
Ma non appena la vide arrivare le venne incontro e poggiò un gomito sulla sua spalla con fare confidenziale.
<< Bella la tua stanza >> le sussurrò ironico.
Forse si aspettava una qualche reazione violenta da parte della rossa, ma lei lo ignorò apertamente e si sedette sulla poltrona rimasta libera, alla destra di Peter e di fronte a William.
<< Che succede? >> volle subito sapere.
Non c'era alcun motivo di perdere tempo.
Il moro fece un cenno a Peter che prese la parola.
<< Stamattina abbiamo trovato Thomas >> ovviamente si riferiva a sé e a Christian; William era restato tutto il giorno chiuso nel suo studio a studiare vari documenti.
<< Gli abbiamo parlato di Emily >> continuò Peter << gli abbiamo brevemente descritto le nostre prove e tutto il resto, ma non ci ha creduto, è convinto che la ragazza non possa essere una gemma >>
Giulia inarcò immediatamente le sopracciglia, scettica.
<< E si è messo a fare storie? Con il bisogno che hanno di trovarne una? >> sbuffò << almeno gli basterà vederla per capire che non mentiamo, che assurdità! come se potessimo permettere di giocare a questo punto! >>
Peter scosse la testa e Christian si portò una mano alle labbra, come a voler soffocare un colpo di tosse o una risata.
<< A dire il vero >> continuò il primo << all'inizio non voleva nemmeno vederla, ha detto che concentrarci su una pista fasulla sarebbe solo una perdita di tempo >>
A quelle parole Giulia fremette.
C'era qualcosa di profondamente sbagliato in tutto ciò.
Conosceva Thomas, non era da lui comportarsi in quel modo senza avere buoni motivi.
<< Che storia è questa? Se non vuole vederla perché portarla al casolare domani sera? >> chiese.
Le rispose Christian.
<< Siamo riusciti a convincerlo a esaminarla. Vuole testare il suo sangue >>
Giulia scattò in piedi.
<< E' assurdo, non è ancora pronta, non servirebbe a niente! Che cosa gli è preso? >> sbottò.
William alzò la mano per intimarle di risedersi e di tacere.
Poi, al suo solito, parlò in un lieve sussurro.
Parole che, per quanto fievoli furono capaci ci creare una reazione indescrivibile.
Non fu stupore, sgomento, sorpresa.
<< Dicono di aver già trovato un'altra gemma, un ragazzino della sua stessa età.
Dicono di aver già testato il suo sangue sui tre ventenni e che sembra funzionare.
Nasce una gemma a generazione.
Se quel ragazzo è una gemma, e tutto sembra indicarlo, la nostra ragazzina non lo è >>.
Fu shock.
 
La rossa rimase talmente spiazzata che non fu capace di proferire una parola.
Davanti al suo mutismo Peter riprese la parola.
<< Dobbiamo assolutamente risolvere la questione. William crede che questa potrebbe essere la prova che Emily è la Gemma della profezia.
Insomma pure Lucas pareva aver scommesso tutto su di lei!
Forse la terra ci ha donato due gemme apposta! >> osò.
Ed era un azzardo bello e buono.
Ma Giulia solo lo capiva.
Con un brivido si rese conto di star rivivendo una vecchia scena.
<< Il ragazzo, come l'hanno trovato? >> chiese titubante.
La risposta arrivò, e fu quella che lei si aspettava.
<< Sembra che sua nonna lo abbia conosciuto da poco, a quanto pare non sapeva di avere due nipoti, aveva da tempo perso i contatti con la figlia.
Quando ha scoperto la verità ha subito contattato Thomas.
La madre del ragazzo è con lui ora >>
Giulia annuì, quasi distante.
Quel ragazzo era un impostore, o meglio sua madre lo aveva reso tale.
Guardò William un secondo.
Pensò a Thomas.
Pensò a Lucas.
Nessuno aveva mai scoperto la verità.
Su Anna.
Anna, che nonostante tutto non ce l'aveva fatta.
Poteva forse denunciare quella madre per qualcosa che lei stessa aveva fatto?
Poteva strapparle così la speranza di poter tenere con se il figlio?
Ma Giulia sapeva che quella era una bugia.
Quel ragazzo non poteva essere sangue del suo sangue.
Era una menzogna.
E lei l'avrebbe denunciata.
Avrebbe strappato quel bimbo dalle braccia della madre.
Forse così sarebbe sopravvissuto, come Anna non aveva potuto fare.
Lo avrebbe salvato.
Per Anna.
In onore di quella verità che lei aveva così tante volte violato.
Perché la menzogna era stata la sua compagna, la sua terza colpa.
Il passato non muore mai, torna sempre per chiudere i conti.
 
Because I'm falling' down
I'm falling' down
Are you watching' after me?
Tell me, please
 
Siena, Italia. 1737
 
Perché sto cadendo
sto cadendo
ti stai prendendo cura di me?
dimmelo, ti prego.
 
I due mesi erano passati in fretta, troppo velocemente.
E le due sorelle avevano difatti ideato un piano.
O meglio, Giulia aveva trovato una soluzione.
Il piano di fuga in realtà era semplice, così semplice da poter essere quasi perfetto.
La destinazione era Volterra.
Chiaro.
Ovvio.
La cosa complicata era non destare sospetti nei Lupi durante l’elaborazione effettiva della fuga.
Non dovevano scoprire che Anna era umana, le conseguenze sarebbero state pessime.
Giulia sarebbe stata accusata di tradimento, sarebbero state allontanate e nel migliore dei casi Anna sarebbe stata presa “in custodia” dai Shide.
No, non era certo l’opzione migliore.
Quindi Giulia aveva dovuto trovare un modo per far sembrare sua sorella la degna figlia di una strega.
Le donava parte del suo potere ogni notte.
Sedici gocce del suo sangue aromatizzavano il tè che ogni sera le dava per rilassarsi, dopo l’estenuante allenamento che occupava le giornate di Anna.
Ogni settimana i Lupi esaminavano il suo sangue per riscontrare un qualche tipo di magia. Ne trovavano sempre una traccia fievolissima, troppo.
Il loro sospetto era palpabile. Gli occhi indagatori di Lucas la innervosivano, la facevano sentire scoperta.
Nel sangue di Anna c’era troppo poca magia.
Ma Anna era troppo giovane, la sua essenza non aveva avuto il tempo materiale di liberare tutto il suo potere. Il tempo e la meditazione avrebbero permesso la sua maturazione. Dovevano solo aspettare.
Questo rispondeva Giulia ai dubbi di Lucas.
 
Il mestruo di Anna fu il secondo problema che la rossa dovette affrontare.
Una simile perdita di sangue, oltre ad estinguere le poche pillole di magia che riusciva a farle assorbire, avrebbe immediatamente rivelato la sua umanità.
Il sangue debole, scialbo.
Morto.
No, Anna non doveva avere il ciclo.
Ad aromatizzare il suo tè, oltre al suo sangue, si aggiunsero molte diverse erbe.
Erbe che non sarebbero dovute essere prese da una ragazza così giovane, non senza future conseguenze spiacevoli.
Ma Anna queste cose non le avrebbe sapute.
Lei avrebbe semplicemente preso un tè.
Ogni notte.
Un tè dal sapore un po’ strano, amaro, ma che le conciliava il sonno e le leniva le ferite fisiche e mentali.
Le giornate della giovane ragazza erano sempre uguali, sempre più faticose.
Otto ore di meditazione con la sorella, dodici ore di allenamento fisico: corsa, resistenza alle pressioni esterne, lotta. Corpo a corpo, scherma, pesi.
Anna doveva acquisire forza, agilità, velocità, arte nel passare inosservata.
Solo quattro ore le rimanevano per dormire.
In poche settimane era irriconoscibile.
Le avevano tagliato i capelli, il suo corpo era pieno di lividi e cicatrici.
Nuovi muscoli poco adatti a una ragazza erano comparsi.
Era pallida, non usciva di casa, mangiava poco e male.
Non usciva mai.
Ecco forse il rammarico più grande, gli unici pensieri “ infantili” che si permetteva.
Non avrebbe mai più potuto passeggiare per i vivi mercati di Siena, la sua amata città.
Non avrebbe mai più potuto parlare con Adam, il figlio del fornaio.
Nessuno, sguardo, nessun sorriso; mai più parole gentili, scherzi, carezze innocenti.
La sua speranza più grande: Giulia ce la farà. Ce la faremo.
 
Dal canto suo la rossa aveva definitivamente “scelto” di servire i Figli della Luna.
Si era legata a Lucas, che pareva essere il più sospettoso dei Lupi.
Il suo sguardo la infastidiva, e le sue richieste assurde anche.
Era un uomo giovanissimo, un ragazzo di appena ventiquattr’anni.
Un tipo ironico, decisamente fuori dal comune. Sapeva molte cose, era intelligente.
Ma era anche tremendamente altezzoso.
Pretendeva e non si stancava mai di pretendere.
Sembrava ansioso di dimostrare qualcosa, ma Giulia non lo capiva e non le interessava capirlo.
Il suo solo pensiero era Anna e cercava in tutti i modi di strappare informazioni che le permettessero di capire quando sarebbe stato il momento e quale il modo migliore di tentare la fuga.
 
Così passarono le settimane, fulminee, e il momento propizio si avvicinava sempre di più.
Giulia aveva deciso, due notti prima di fare il rituale di iniziazione, avrebbero raggiunto Volterra.
Non ci sarebbe stato alcun rito.
Non ci sarebbe stata alcuna gemma.
 
Ma la fortuna fece il suo giro e, bastarda, quel piano le piacque da morire.
 
A mezzo mese dall’iniziazione Giulia fu costretta a seguire Lucas a Firenze, per controllare alcune faccende riguardanti giovani Lupi che vi si erano rifugiati e sembravano aver avuto dei problemi.
Non ebbe il tempo di preparare alcun piano di riserva e dovette partire.
Anna rimase da sola a Siena.  Thomas e William a prendersi cura di lei.
Le provette che contenevano “gli ingredienti” del suo tè serale adeguatamente nascosti sotto il letto.
Le istruzioni erano chiare.
Prendi il tè ogni notte.
Se li tempo scade fuggi.
Se succede qualsiasi cosa strana, fuggi.
Non aspettare Giulia. Lei ti raggiungerà.
Prendi il tè ogni notte. Non dimenticarlo.
A mezzo mese dall’iniziazione il tempo era già scaduto.
 
Successe dopo nemmeno due settimane da che Giulia e Lucas avevano lasciato Siena.
Era appena sorta l’alba ed Anna stava per cominciare la sua seduta di inutile meditazione, da sola, quando William irruppe di fretta nella sua stanza e, afferratole un polso, la condusse fuori velocemente, fino ad una carrozza nella quali salì senza dirle una parola.
Lei lo seguì confusa.
Fu Thomas a spiegarle tutto, le parole soffocate dalla preoccupazione.
<< I Volturi hanno trovato Lucas e tua sorella. Hanno bisogno di aiuto, li raggiungiamo a Firenze >>
Anna annuì, preoccupata. Non aveva potuto prendere gli ingredienti del suo tè. Sapeva che erano importanti, sapeva che il suo tè era speciale e che doveva assolutamente prenderlo.
Prendi il tè ogni notte.
Forse non aveva capito l’implicazione che le parole di Thomas sottintendevano, ma ciò che disse poi la privò di qualsiasi dubbio.
<< Non c’è più tempo Anna, dovrai affrontare l’iniziazione fra tre giorni, dopo che avremo recuperato Lucas e … >> Thomas continuò a parlare, ma ormai non aveva più importanza.
Non per Anna.
Se succede qualcosa ..
Solo un pensiero le affollava la mente.
Prendi il tè.
Fuggi.
Giulia ti raggiungerà.
 
Si fermarono a metà strada tra Siena e Firenze, A tre ore di cavallo da Volterra.
Alloggiarono in una locanda poco affollata.
William partì immediatamente.
Anna attese le tenebre.
E mentre Thomas custodiva inutilmente la sua stanza, lei, forte delle abilità da lui acquisite, saltò giù dalle finestre e, silenziosa come i suoi pensieri, raggiunse le scuderie.
Scelse un cavallo nero, possente.
Non sapeva di chi fosse, ma non le importava.
Voleva solo che fosse forte e veloce.
Veloce fu.
 

Firenze, Italia. 1737
 
A governare il mondo, si sa, sono il caso ed il destino.
Quali di queste forze prevalga sull’altra, non è dato saperlo.
Fatto sta che quando le persone comuni si ritrovano a svoltare un angolo, a cambiare direzione in una notte qualunque di maggio, non sapranno mai chi si troveranno sul proprio cammino finché non ce l’avranno davanti.
E spesso non sapranno mai chi hanno incontrato, lo ignoreranno, non vorranno saperlo e continueranno a portare la propria esistenza insignificante, inconsapevoli di aver forse sfiorato un anima più interessante della loro.
Questo è il destino.
Ma se in quella calda notte di maggio a svoltare quel vicolo sono un Lupo distratto ed una strega completamente assente, persa nei suoi pensieri, beh, forse si può parlare di caso.
È stato un caso che proprio loro si trovassero lì quella notte.
È stato un caso che, proprio quella notte, a pochi passi di distanza, si stesse compiendo una giustizia sconosciuta agl’esseri umani.
Una giustizia che prevedeva sangue.
Ed è stato sicuramente un caso che quel sangue, per Lucas e la sua strega, non dovesse essere assolutamente versato.
In fondo quei due si trovavano a Firenze proprio per proteggere quelle tre anime, quei tre Lupi.
E se per quei Lupi ormai non c’era più nulla da fare, se la giustizia ormai era stata fatta, allora forse non e stato un caso che, svoltato quell’angolo, ad attendere le nostre due ignare creature ci fossero ben otto vampiri, vestiti con mantelli delle varie tonalità di grigio.
Il caso governa dove la supremazia è dell’ignoranza, il destino è l’ignoranza che fingiamo di non possedere.
Non ci aspettiamo mai né l’uno né l’altro.
 
Quando Giulia e Lucas raggiunsero la piazza, ciò che videro fu orrore.
Ma il ragazzo fu pronto.
Non perse tempo a valutare le condizioni dei corpi riversi a terra, né si disperò per quelle vite.
Non c’era tempo.
Nemmeno per sperare di non essere stati avvistati da loro, i Volturi.
A giudicare dal colore tenue dei loro mantelli non parevano membri della guardia principale, ma ciò non escludeva che fossero letali.
E soprattutto erano otto.
Troppi.
Con un balzo Lucas raggiunse la facciata dell’abitazione più vicina, portandosi dietro la rossa e guadagnando spazio. Ma soprattutto, guadagnando tempo.
<< Avvisa William, digli che i Volturi ci hanno trovati. Subito! >>
E si preparò allo scontro imminente.
La tensione era già abbastanza alta da consentirgli di innescare la prima fase della trasformazione quasi immediatamente, senza troppi sforzi.
Subito comparvero gli artigli, e il baglio luminoso nei sui occhi, ora gialli, confermarono la sua letalità.
La strega dal canto suo era stravolta.
Non aveva mai visto ne vampire né Lupi nel pieno della mutazione.
Ed ebbe paura.
 
Lucas le aveva detto di contattare William ma era impossibile.
Una strega ed il suo famiglio talvolta potevano comunicare anche telepaticamente, grazie al loro legame.
Ma finiva lì.
Giulia non riusciva ad ideare un modo che potesse permetterle di scovare la mente del principe, specie ora che erano così lontani.
<< Non ce la faccio! >> dovette ammettere, poco prima che i primi due vampiri si facessero avanti.
Lucas imprecò.
Indietreggiò, afferrò la strega e corse dalla parte opposta.
Non poteva combattere quei vampiri da solo.
Lucas era lento, e Giulia era un peso che lo rallentava ancora di più.
Eppure i vampiri non li raggiunsero.
A quanto pare avevano voglia di giocare.
Ma il Lupo sapeva di non poter abbassare la guardia.
Raggiunse un caseificio poco lontano dai cancelli della città ed entrò, spingendosi fino alle cantini.
L’odore intenso del luogo fece venire ad entrambi il voltastomaco, ma nessuno dei due osò rompere il silenzio.
Lucas era in ascolto, le orecchie tese verso l’esterno, pronte a captare qualsiasi rumore sospetto.
Passarono almeno dieci minuti prima che si convincesse di poter rischiare.
Si inginocchiò di fronte a Giulia, che si era lasciata scivolare stanca sul pavimento.
<< Devi provarci >> le disse solamente.
La rossa scosse la testa, ma il ragazzo non le diede il tempo di ribattere.
<< Io e William siamo gemelli, condividiamo un legame speciale, anche mentale. Quando ci trasformiamo io riesco a toccare la sua essenza. La cosa dovrebbe esserti d’aiuto. Concentrati su di me, io ti proietterò verso di lui >> il suo tono stanco era rassicurante.
Giulia si sentì subito confortata, ma il dubbio non l’abbandonò.
Davanti agli occhi fermi di Lucas si costrinse comunque a concentrarsi e chiuse gli occhi.
Le bastò un attimo per trovare Lucas, ma William non riusciva a percepirlo.
Aprì gli occhi e scosse la testa, sconfitta.
<< Riprova >> ordinò Lucas, impassibile.
Lei obbedì e chiuse nuovamente gli occhi.
Ma stavolta una nuova sensazione la sconvolse.
Aveva raggiunto la mente di Lucas, la percepiva famigliare, proprio come la volta prima.
Ma non era mentale la sensazione che la pervadeva, era fisica.
Lucas, delicato, la stava baciando.
Giulia, appena ventenne, non aveva mai provato niente di più dolce.
Era così persa in se stessa che quasi non si accorse di ciò che stava avvenendo nell’animo del Lupo.
Si stava muovendo, espandendo i propri confini.
Lucas le stava aprendo un varco nella sua mente e lei, ritrovata la lucidità, non esitò a percorrerlo.
Dovette spingersi lontano, le fece male, ma riuscì in qualche modo a raggiungere quell’ altra coscienza che tanto aveva cercato.
Non fece caso alle tenebre che circondavano quel debole bagliore azzurro nella mente del suo famiglio. Non badò alle visibili lacerazioni sanguinanti che governavano quell’anima distrutta.
Fece solo quello che doveva fare.
<< I Volturi ci hanno trovati. Abbiamo bisogno di aiuto. >>
Ebbe il tempo di scorgere una luce di comprensione in quella sfera opaca che rappresentava l’animo di William, prima di venire letteralmente sbalzata fuori dalla mente di Lucas.
<< Ce l’ho fatta! >> disse entusiasta, ma Lucas annuì appena allentandosi di scatto.
Giulia non ebbe il tempo di offendersi.
Il frastuono spezzò il silenzio ed un colpo fece tremare il caseificio.
I Volturi li avevano raggiunti.
 
I momenti che seguirono furono una fuga continua, interrotta di tanto in tanto da piccoli combattimenti.
I vampiri li attaccavano sempre a coppia, ma ignoravano completamente Giulia, convinti che fosse una semplice umana.
Lucas tentava di risparmiare le energie, si limitava a cercare sempre nuove vie di uscita.
Arrivò l’alba e poi la sera, e William non era ancora arrivato.
Ma sarebbe venuto, Lucas ne era certo.
Quando il cielo si fece rosso si fermarono.
Ora avevano sei Volturi addosso.
Gli altri due erano caduti negli scontri precedenti.
Lucas era ferito, aveva diversi squarci nel ventre e un braccio spezzato.
Non aveva voluto cedere alla mutazione, e questo l’aveva indebolito ulteriormente.
Ma aveva preferito non rischiare di perdere il controllo, non in piena città almeno.
Ora però erano abbastanza lontani, la luna stava per sorgere e lui aveva abbastanza fiducia in se stesso da non temere di poter accidentalmente ferire la strega che lo accompagnava.
Quando il primo timido bagliore si fece strada nel cielo, si abbandonò alla sua essenza e mutò.
Solo allora William arrivò.
 
Quando tutto si fu concluso la notte parve infuocarsi.
I corpi dei Volturi sconfitti ardevano in fretta, senza alcuna compassione.
William era ferito, ma non era importante.
Persino Giulia, con la sua magia era riuscita a dare un contributo, infiammando alcuni vampiri che ancora tentavano di resistere.
La fatica compiuta era tanta, ma nulla poteva eguagliare le condizioni in cui versava Lucas
C’era sangue, moltissimo sangue.
Respirava a fatica.
Riverso a terra non riusciva nemmeno a tenere gli occhi aperti.
William era preoccupato, ma mantenne la lucidità.
Trovò due cavalli, ne diede uno a Giulia e, preso con sé il fratello corse verso Siena.
Le parole che sussurrò prima di partire fecero gelare la strega.
<< Ha bisogno del sangue della gemma, o potrebbe morire. >>
 
Giulia pensò.
A Lucas, al calore che sentiva quando sfiorava la sua mente, al morbido bacio che le aveva dato la notte prima.
Sperò ardentemente che Anna fosse fuggita.
 
 
 

 
 
Please, are you watching after me?
Please
Oh, please
Goodnight...
 
1918
 
William Blake, guardiano dei Lupi.
Nome alquanto altisonante per un essere come lui.
Giulia lo odiava. Lo disprezzava.
Era colpa sua se aveva perso tutto.
Sua sorella, la sua magia, Lucas.
Lucas c'era ancora.
Lontano, ma c'era.
E lei non voleva perderlo.
Ma se Emily era la Gemma, quella della profezia, allora doveva fare una scelta.
Ma poteva esserci scelta se le sue uniche opzioni erano ciò che era e ciò che non sarebbe stata mai?
Lucas le aveva dato una speranza, le aveva fatto credere che sarebbe riuscita a superare qualsiasi cosa.
Ma era stato tanto tempo fa, lui l'aveva abbandonata e lei non aveva superato niente.
Stava ancora pagando.
Lei voleva essere libera, voleva essere sana, rivoleva la sua magia.
Non voleva perdere Lucas, ma aveva davanti la possibilità di guarire.
La Gemma poteva essere un veleno e una cura.
Lei l'avrebbe usata.
L'avrebbe mantenuta in vita.
Non poteva permettere che Lucas e William la sciupassero in una guerra assurda.
A modo suo amava entrambi, ma lei voleva scegliere se stessa.
Avrebbe sempre scelto se stessa.
Poteva essere l'egoismo un ulteriore colpa da pagare?
Sì, la quarta.
 
 
per favore, ti stai prendendo cura di me?
ti prego
oh, per favore
 
1737
 
La fuga di Anna scatenò reazioni inimmaginabili; o almeno Giulia le aveva ritenute tali.
Sconcerto, amarezza, rabbia.
Tanta rabbia.
L’unica giustificazione possibile era data dalla giovinezza della ragazza, dalla fretta che avevano avuto nell’educarla.
Non ha retto il peso.
Questo credevano i Lupi.
Ma la fuga non era comunque giustificabile.
William capì subito dove era diretta la ragazza, e partì subito alla sua ricerca portandosi dietro Giulia.
Giulia che aveva voluto accompagnarlo unicamente per ostacolarlo.
Giulia che, nonostante tutto non era così forte come credeva, o voleva credere di essere.
Ripensò ad Anna, a come era preoccupata quando aveva dovuto salutarla per andare a Firenze.
A come l’aveva confortata, rassicurata.
A quando aveva scorto il sorriso triste di Anna, quando le aveva promesso che se qualcosa fosse andato storto l’avrebbe raggiunta.
Non sapeva che quella volta sarebbe stata l’ultima.
Né poteva immaginare che, quando di lì a poche ore avrebbe dovuto difendersi da una bestia priva di controllo, sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe sentito il calore della sua magia scorrerle per le vene.
 
In futuro non avrebbe mia più voluto ricordare la dolorosa sconfitta di quella notte.
Non avrebbe mai più ricordato il caloroso ritrovo con sua sorella, sotto le mura di Volterra.
La paura per non essere potute fuggire realmente, unita al conforto di essere di nuovo unite.
Non avrebbe mai più pensato al terrore che le aveva raggiunte immediatamente.
Vampiri, tanti vampiri scendere su di loro.
Il maestoso Lupo nero, a trasformazione completa, difenderle con vigore, sbaragliare quelle creature mostruose.
Quel loro oscuro salvatore, fermo, tremante, animale.
Il respiro affannoso, gli occhi gialli fiammanti rivolti minacciosi verso di loro.
Il balzo.
William era solo.
Non c’era Lucas a calmarlo.
Non c’era Thomas a fermarlo
Giulia non avrebbe mai più pensato al corpo freddo di Anna, il collo squarciato, il ventre spezzato.
I denti del mostro chiudersi sulla sua spalla.
I fremiti del Lupo cessare all’improvviso.
La risata del suo mietitore che, perfido, non raccoglieva la sua preghiera di riportarle Anna, o almeno di portarla da lei.
Il profilo della sua stessa morte che lenta, sarcastica, l’abbandonava assieme alla magia che le era servita per scorgerlo.
William, umano, inginocchiato. La colpa negli occhi.
Ma Giulia avrebbe letto solo l’accusa, perché sapeva benissimo che la colpa abitava nelle sue mani.
 
L’unico pensiero riguardante quella notte, che avrebbe spesso invaso i sogni e gli incubi della nuova ibrida sarebbe volato ad una mano.
Una mano pallida, delicata, che aveva stretto la sua anche nel più infimo momento.
La mano di Anna, che anche alla sua morte, aveva continuato a tendersi verso di lei, come a pregarla di raggiungerla, di non abbandonarla.
 
 
I due mesi erano passati in fretta, troppo velocemente.
E Giulia non era riuscita a fermare il tempo.
Non era riuscita a sconfiggere la morte.
Aveva perso sua sorella.
E avrebbe scontato i suoi peccati.
 
 
Buonanotte.
 
Siena, Italia. 1737
 
Quando la notizia di quello che era accaduto ad Anna giunse alle orecchie di Gabriella, la mentore di Giulia e colei che aveva svelato l’identità della giovane ai Figli della Luna, colse subito le parole non dette.
Conosceva la sua allieva abbastanza da capire quale fosse stato l’errore commesso.
Perché c’era stato un errore.
“ Oh Giulia, mi credevi davvero così stupida? Come hai potuto pensare che io potessi denunciare l’esistenza di una gemma senza esserne convinta totalmente?
Devi aver scoperto l’esistenza della bimba trovata da tua madre sedici anni fa, ma non hai certo capito che quella stessa bimba è morta pochi giorni dopo. Se ti fossi confidata con me avresti scoperto che allora tua madre era incinta, e che io stessa feci nascere Anna.
Hai rovinato le vostre vite, Giulia “
 
Ma questo, la rossa, non l’avrebbe saputo mai.
 
 
 
 

 
 
 
Salve a tutti!
 
Okay gente, so bene che non c’è modo di giustificare un tale ritardo, quindi non lo farò.
Vi basti sapere che è un ritardo che si ripeterà senz’altro, e purtroppo, stavolta temo che non potrò pubblicare altro prima di marzo.
( A gennaio parto per l’estero, non avrò proprio il tempo materiale per scrivere e, purtroppo questa storia è in fase di stesura, non ho capitoli pronti *errore mio* )
So che è un tempo lunghissimo, e spero ancora di riuscire a fare qualcosa entro Natale.
Vi chiedo solo di non demordere e di continuare a seguirmi.
In fondo sento che questa storia non ha ancora raggiunto una marcia decente, e so che a qualcuno potrà sembrare noiosa, ma a me piace da morire.
Adoro scriverla, pensarla, e non smetterò di farlo.
Se anche non dovesse rimanere più nessuno a leggerla, me ne farò una ragione; nel frattempo continuerò a contare con ansia le misere visualizzazioni!
 
La canzone usata per questo capitolo è:
  • Are You Watching After Me By Joel Faviere.
 
 
Se trovate errori di qualsiasi tipo, segnalatemeli e, se ne avete ancora voglia dopo questo papirone, lasciate un commento.
Sono ancora convinta che, a questo punto della storia qualche domanda, incomprensione dovrebbe esservi sorta.
So bene come scrivo, e so bene che spesso e volentieri faccio molta confusione, quindi non capisco com’è che ricevo così poche richieste di delucidazioni.
Mi preoccupo più che altro che smettiate di leggere perché non capite qualcosa, quindi, come ho già detto, se ci sono dubbi fatevi avanti!
 
Alla prossima! ( e speriamo non sia troppo lontana!)
*Diosmy*

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Capitolo 12
*** Dark Light ***






Dark Light

 

 

https://www.youtube.com/watch?v=R5Mknm7nhX0


Shivers run through the spine
Of hope as she cries
The poisoned tears of a life denied
In the raven-black night
Holding hands with

 

Londra, Inghilterra. 1918

 

Il giorno che seguì quella lunga e intensa prima lezione, fu totalmente insignificante.

O almeno così potrebbe sembrare visto da un occhio esterno.

Emily rimase chiusa in camera sua, nel silenzio più completo.

Nessuno venne a farle visita, né lei si arrischiò ad uscire dalla stanza.

Non aveva proprio alcuna voglia di incontrare quei ... mostri.

Tutto le sembrava ancora così surreale, e nonostante avesse praticamente assistito ad uno scontro quasi diretto tra due Lupi, i gemelli, quel ricordo lo sentiva ormai lontano, inesistente.

Come poteva davvero accettare l'esistenza di lupi mannari, fate e vampiri?

Per non parlare poi di sua madre strega.

Era un concetto assurdo.

Eppure c'era qualcosa in lei che la spingeva inesorabilmente ad aggrapparsi al soprannaturale.

Era l'unica certezza, l'unica spiegazione possibile.

L'unico elemento che poteva concederle una vaga speranza.

 

Alle sei del pomeriggio una domestica venne a portarle la cena e gli abiti, così come Giulia aveva promesso.

Quando Emily la vide arrivare, vecchia ma apparentemente a suo agio, si chiese se fosse a conoscenza della reale entità degli esseri che serviva.

Ma la verità è che la cosa aveva perso importanza.

Che la domestica sapesse o meno, che fosse vittima o complice, Emily sapeva di essere impotente.

Non poteva fare altro che proteggere se stessa.

Resistere, almeno fino a scoprire qualcosa riguardo Edward.
 

 

Scorrono lungo la schiena brividi
Di speranza mentre piange
Le lacrime avvelenate di una vita negata
In una notte nero corvino
Tenendosi per mano

 

Michigan, Detroit. 1918


Dark light
Come shine in her lost heart 
tonight
And blind

 All fears that haunt her with
Your smile
Dark light

 

Carlisle era preoccupato.

Erano passate due settimane dalla trasformazione.

Due settimane da che avevano lasciato Chicago.

Il ragazzo non aveva ancora ucciso, seguiva le sue indicazioni, cacciava con moderazione.

Aveva un notevole controllo sui propri istinti.

Eppure Carlisle era preoccupato.

In quelle due settimane non aveva avuto modo di parlargli davvero.

Gli aveva spiegato in linee generali ciò che l'aspettava, la vita che avrebbe dovuto condurre.

Il ragazzo aveva ascoltato, aveva annuito.

Ma non aveva fatto altre domande.

Sopratutto, non aveva chiesto nulla riguardo i Masen.

Dopo quella prima tremolante domanda subito dopo il risveglio, quel "e la mia famiglia?" che aveva ricevuto un'amara risposta, non aveva voluto saperne niente.

Carlisle non aveva osato aprire l'argomento.

In un certo senso per lui era meglio non pensare a quella famiglia, così non avrebbe dovuto pensare a...lei.

Ma il ragazzo, lui aveva bisogno di sfogare il suo dolore, il suo rancore.

Perché Carlisle era certo che Edward ce l'avesse con lui.

E se ancora non era nata in lui quella rabbia, presto sentiva che sarebbe esplosa.

Il ragazzo l'avrebbe punito per averlo privato di una vita normale, di una famiglia, del calore di una persona amata.

 

Quando fosse arrivato il momento, avrebbe accettato qualsiasi cosa, anche la morte.

Ma sino ad allora, avrebbe tentato di rendere l'esistenza meno difficile a quel neonato.

Insieme forse, avrebbero potuto condurre una vita al limite della normalità.

Dovevano solo resistere.

E provare a vivere.

 

Luce oscura
Splendi stanotte nel suo cuore perduto
E acceca
Tutte le paure che la ossessionano con
Il tuo sorriso
Luce oscura


Londra, Inghilterra. 1918

Alle otto di sera Emily era pronta.

Aveva indossato abiti molto simili a quelli indossati spesso da Giulia, e questo la metteva a disagio.

Non aveva mai portato pantaloni prima, il tessuto bianco che le fasciava le gambe snelle la faceva sentire scoperta in una maniera imbarazzante.

Almeno sopra indossava un camicia ampia, più simile ad una casacca, utile a coprire certe forme che secondo la natura casta della ragazza sarebbero dovute restare nascoste.

Non sembrava affatto un'uniforme importante, Emily si chiese perché mai avesse dovuto indossare proprio quegli abiti, ma non volle pensarci molto.

Voleva solo che quella giornata finisse al più presto.

Il giorno prima non aveva dato ascolto ai consigli di Giulia, e non aveva chiuso occhio.

I segni scuri sotto gli occhi e il pallore del viso lo testimoniavano.

Era rimasta sveglia, incapace di perdere conoscenza anche solo per pochi minuti.

La verità è che aveva paura.

Paura di scivolare in quegl' incubi che di sicuro l'aspettavano nelle tenebre del suo inconscio.

Non appena abbassava le palpebre, le tornava potente l'immagine del corpo di sua madre, pallido, i capelli sciolti, fredda.

Non aveva potuto assistere ai funerali.

Non aveva potuto pregare per la loro anima.

E nemmeno per la propria.

Cosa sarebbe successo quella notte?

Doveva essere presentata ad un branco di lupi mannari.

L'avrebbero annusata per capire se era una gemma?

Avrebbero ululato alla luna?

Che cosa ridicola!

I pensieri di Emily erano molto confusi. Le girava la testa e faticava a tenere gli occhi aperti.

C'era da aspettarselo in ogni caso, anche se fosse riuscita a riposare.

Era frustrata. Era arrabbiata.

Ma sopratutto era triste.

Nonostante fossero passate già più di due settimane dall'inizio di tutta quella storia, non era ancora pronta a dire addio alla sua vita.

Qualunque cosa sarebbe successo da lì a poche ore, era sicura che l'avrebbe cambiata completamente.

Sentiva che non sarebbe più potuta tornare indietro.

Non che prima pensasse di poterlo fare.

Non aveva niente da cui tornare, nessuno per cui lottare.

Alle sue spalle aveva una vita triste e vuota, senza famiglia, senza amicizia, senza nome.

Non aveva nemmeno la possibilità di poter continuare la sua vecchia vita, i lupi le avevano tolto davvero tutto.

Chi la conosceva ormai credeva che fosse morta.

Era un particolare che aveva quasi dimenticato.

Albert, che avrebbe dovuto proteggerla dai pericoli della grande città di Chicago, che avrebbe dovuto starle accanto e consolarla nei momenti di lutto, l'aveva venduta ad esseri diabolici, aveva rinnegato la sua esistenza.

L'aveva abbandonata.

Tutti l'avevano abbandonata.

Anche Edward, di cui non sapeva ancora niente.

Voleva credere che fosse vivo, voleva fidarsi dei lupi, almeno in questo.

Ricordava ancora l'espressione di William quando le aveva promesso che l'avrebbero trovato.

Aveva avuto uno sguardo così caldo, gentile.

Benché non si fidasse della sua natura, Emily si rifiutava di pensare che quell'essere potesse averle mentito.

Perché sapeva che bene o male era stato lui a proteggerla, combattendo contro il proprio fratello.

Fra i lupi le era sembrato subito quello più onorevole.

Era sicura che si sarebbe impegnato a pagare i suoi debiti.

E a lei doveva molto.

Le aveva portato via tutto, l'aveva fatta precipitare in quella situazione infernale.

Doveva restituirle almeno un po di felicità.

Per il momento le aveva dato solo un indizio.

Michigan.

Suo fratello, si trovava nel Michigan.

Se le cose non fossero andate per il verso giusto quella sera, se per un motivo o un altro Emily si fosse sentita tradita, avrebbe cominciato la sua ricerca da lì.

Con o senza il consenso dei lupi.

La famiglia veniva prima di tutto, e lei avrebbe trovato la forza per ritrovarla e proteggerla.

Non avrebbe permesso a nessuno di separarla da Edward, mai più.

 

 

In oblivions garden
Her body's on fire
Writhing to towards the angel defiled
To learn how to die
In peace with her god

 

Raggiunsero il casolare verso le dieci di sera, dopo un ora e mezzo di strada.

Avevano viaggiato in macchina, e la cosa aveva sorpreso Emily.

Nonostante fossero in commercio da vari anni, lei non era mai salita su un'auto.

Era un'esperienza nuova, quasi emozionante, ma l'aria tesa di quella sera non le aveva permesso di godersi quella calda sensazione.

Da quando Giulia era venuta a prenderla, non aveva aperto bocca.

Ma andava bene così, dal momento che la rossa era la sua unica compagna di viaggio, e dopo la lunga lezione del giorno precedente Emily non aveva alcuna voglia di sentirla parlare ancora.

Gli altri le avevano precedute.

Anche questo era un fattore positivo, in fondo.

Anche se sapeva che non sarebbe durato a lungo, Emily voleva ritardare al massimo il momento in cui avrebbe dovuto incrociare di nuovo i suoi occhi con quelli di William.

L'ultima volta che si erano rivolti la parola era stato quando lei era ancora convalescente dopo lo scontro con Lucas.

Quella volta William si era dimostrato gentile, quasi dolce, e Emily aveva visto chiaramente il rimorso nei suoi occhi.

Aveva capito che quell'essere non era così privo di umanità come aveva pensato all'inizio.

Era sinceramente dispiaciuto per averle causato tanta sofferenza.

Ma nonostante ciò Emily non riusciva a perdonare.

Nè lui, né gli altri.

Sentiva un forte disagio all'idea di doverli affrontare di nuovo tutti assieme.

Senza contare gli altri cinquanta che l'aspettavano per “testarla”.

Una sensazione opprimente si espandeva per la sua cassa toracica spezzandole il fiato, al solo pensiero.

Aveva davvero paura.

Era una codarda.

 

Il luogo in cui si sarebbe tenuto l'incontro era praticamente sperduto in mezzo alla campagna londinese.

Nonostante l'oscurità che le circondava, le luci della città in lontananza creavano un lieve bagliore suggestivo, facendo risaltare le pareti del vecchio casolare abbandonato, ma dandogli un'area cupa.

Perlomeno, non era in cattive condizioni.

Mentre vi si dirigevano, la ragazza non poté fare a meno di notare il nervosismo della lupa.

O per meglio dire, ibrida.

Continuava a stringersi le meni convulsamente, a scostarsi i capelli e a sospirare.

Era pallida, il viso teso.

Questo Emily però non riusciva a vederlo chiaramente.

 

C'era troppo buio per notarlo.

Il celo era totalmente oscurato, la luce data dalle stelle, insufficiente a distinguere chiaramente i vari particolari.

Era luna nuova.

Quella notte non era dedicata ai mostri, almeno di questo Emily era sicura.

Aveva scoperto che il corso della luna governava il ritmo delle trasformazioni dei lupi.

Non era esattamente quello che assicuravano le leggende, ma per lo meno aveva la certezza di essere “al sicuro” un giorno al mese.

I lupi potevano trasformarsi solo in presenza della luna, che fosse piena o meno.

Ciò significava niente bestie, né di giorno, né in nottate come quella.

 

“ Forza, entra! “ la spronò la rossa aprendole la porta.

Sembrava quasi più nervosa di lei.

Ma Emily non si diede il tempo di pensarci.

Deglutì, si fece coraggio e varcò la soglia.

Si ritrovò in una stanza semi illuminata da piccoli candelabri sparsi intorno ad un unico grande tavolo affollato.

A capotavola, rivolte verso l'entrata, erano posizionate quattro grandi sedie.

Emily riconobbe William al centro, affiancato da Peter e Christian.

Poi c'era un altro lupo dai capelli castani e tagliati molto corti.

Dallo sguardo che le rivolse, Emily dedusse che fosse lui il fantomatico Thomas che si sarebbe incaricato di insegnarle a combattere.

Non pareva esserne contento.

Al contrario il suo sguardo la raggelò, facendole tornare alla mente lo stesso identico atteggiamento scettico che aveva avuto William con lei all'inizio.

Prima che Giulia entrasse nella stanza Emily poté notare il ragazzo che occupava la quinta sedia.

Ciò che le attirò maggiormente l'attenzione fu che pareva totalmente fuori luogo.

Non solo era appena più grande di lei, ma sembrava pure spaventato.

Alle sue spalle stava la figura immobile di una donna dai capelli neri.

L'occhiata che le regalò la inquietò non poco.

Se più della metà dei presenti pareva odiarla, lei era l'unica che la guardava con gli occhi colmi di speranza.

Solo allora Emily si rese conto della sua mano strettamente aggrappata alla spalla sinistra del ragazzino seduto.

E solo allora si rese conto che il ragazzino aveva gli occhi scuri.

Lui, decisamente, non era un Licantropo.

 

Ma non poté soffermarsi a lungo su quel dettaglio, perché Giulia la raggiunse chiudendosi la porta alle spalle.

La prese per le spalle e la fece avanzare fino a trovarsi a meno di tre metri dalla lunga tavolata.

Fissò i suoi occhi su tutti i Figli della Luna che le circondavano, ignorando di proposito i suoi compagni come se non li avesse visti solo poche ore prima.

La prova della gemma era già cominciata.

Si inginocchiò a terra e parlò.

<< Presento Emily come figlia della Profezia.

Che possa il suo sangue donare vita alla vostra razza, e marcisca il mio nelle tenebre della nuova luna se il suo sacrificio dovesse risultare vano >>

Improvvisamente il cuore della giovane ragazza parve balzargli in gola e l'ansia crebbe a dismisura.

Almeno trenta paia di occhi verdi posarono lo sguardo su di lei.

E non parvero contenti di ciò che videro.

 

Nei giardini dell'oblio
Il suo corpo è in fiamme
E si contorce verso  angeli corrotti
Per imparare a morire
In pace col suo Dio

 

William posò i suoi occhi su Emily non appena mise piede nella stanza.

Sentì la sua paura prima ancora di vederla.

Faceva bene.

Nemmeno lui sapeva come sarebbe andata a finire quella notte.

Quando l'avevano trovata, aveva creduto che le cose sarebbero state più semplici.

Avrebbero semplicemente dovuto proteggerla, ed insegnarle a svolgere il suo compito.

Non si aspettava che comparisse un'altra possibile gemma.

Non era mai successo prima.

E ora dovevano scegliere tra lei e il ragazzetto terrorizzato.

Quando Peter gli aveva rivelato la sua esistenza aveva subito dato per scontato che fosse un impostore.

Era convinto che non ci sarebbe stato nulla da scegliere.

Emily era la vera gemma, punto.

Invece, non appena aveva visto il ragazzino e sua madre, aveva capito che c'era un ampia possibilità che pure lui fosse una gemma.

L'aria in torno a lui era carica di un elettricità incredibile.

Era evidente che il ragazzo aveva un potere straordinario.

E ora che per la prima volta dopo settimane poteva di nuovo osservare Emily da vicino, si rendeva conto che la forza che trasmetteva lei era molto più debole.

William posò lo sguardo preoccupato su Giulia, ancora inginocchiata dopo aver dato inizio alla prova.

Era stato un azzardo da parte sua utilizzare parole simili senza nemmeno aver degnato di uno sguardo lo sfidante di Emily.

Ma d'altronde era lui il primo che avrebbe messo le mani sul fuoco per la ragazza.

La situazione era molto complicata.

Voltò di nuovo lo sguardo verso Emily.

Giovane, visibilmente spaventata.

Riusciva a sentire perfettamente il battito del suo cuore accelerato.

Forse non era fatta per quel mondo, forse non era lei la vera gemma.

Ma a quel punto sperò ardentemente per lei che lo fosse.

Giulia aveva puntato tutto su di lei.

Lui aveva puntato tutto su di lei.

E lei non poteva più tornare indietro.

Aveva notato le reazioni degli altri purosangue.

Pure loro avevano notato la differenza di potere che emanava Emily rispetto ad Adam.

Così si chiamava il secondo candidato.

Se fosse stato per lui, non avrebbe neppure dato inizio a quello stupido test.

Nonostante le evidenze, lui sentiva che era Emily quella giusta.

Non riusciva ad immaginare nessuno di più perfetto.

Ma quella notte non sarebbe stato lui a decidere.

Dovevano avere delle prove certe, e quando si parlava di gemme, la prova più evidente era il sangue.

Così alzando la mano destra, diede inizio al rituale.

Nella sala calò il silenzio più completo.

Tutti i Figli della Luna erano pronti a ricevere le parole del loro Signore.

<< Preparate i candidati. Si facciano avanti i non mutati.

Stanotte sarà il sangue a decidere! >>

 

Giulia e Serena, la madre di Adam, condussero in simultanea i rispettivi candidati ai lati opposti della sala, dove li legarono a delle basse colonne in marmo bianco nascoste dall'ombra.

Ovviamente quelle colonne non facevano parte del casolare, erano state posizionate la sera prima apposta per il rituale.

William notò con velata preoccupazione che Emily non aveva emesso un verso di protesta, nonostante fosse impallidita notevolmente.

Quando i purosangue che ancora non erano stati iniziati si alzarono dai loro posti, aspettando un suo ulteriore comando, William avrebbe dato qualsiasi cosa pur di trovarsi in un altro posto.

Ma costrinse le sue mani ad aprire lo scrigno che per tutto il tempo aveva tenuto davanti a se, ma che non aveva osato guardare prima.

Dentro c'erano quattro coltelli affilati.

Sull'impugnatura di legno vi era incisa la frase :

“Täällä elämä ja kuolema”. Qui, vita e morte.

La lama era fatta d'argento.

Erano per David, Manuel, Paul e Claire.

Loro erano i quattro che presto avrebbero compiuto vent'anni, e che se non avessero ricevuto il sangue della gemma sarebbero morti sotto la luce della Luna Piena.

Il rituale prevedeva che i quattro ottenessero quel sangue.

Due l'avrebbero preso da Emily, due da Adam.

Solo il sangue della vera gemma avrebbe dato loro la speranza di sopravvivere.

Avevano tutti accettato senza proteste quando era stata fatta loro la proposta.

Non avevano niente da perdere nei peggiori dei casi.

Ma William sapeva che era tutto un azzardo.

Né Adam né tanto meno Emily erano pronti ad affrontare il rituale di mutazione.

Nessuno dei due aveva ancora affrontato la propria iniziazione, dunque non avevano ancora ricevuto tutta la magia necessaria.

C'era il sessanta percento di probabilità che il loro sangue grezzo risultasse troppo debole e non avesse l'effetto desiderato.

Ed era anche probabile al quaranta percento che morissero entrambi, dal momento che sarebbe stata richiesta una quantità di sangue maggiore.

 

William chiuse gli occhi, trattenne il fiato.

Avrebbe voluto spegnere ogni suo senso.

Sentiva il proprio cuore battere impazzito.

Batteva come l'eco di un altro cuore terrorizzato.

Emily respirava affannosamente.

William poteva benissimo immaginare i movimenti spasmodici dei suoi occhi correre attraverso la sala tentando di comprendere cosa stava succedendo.

Ma doveva ignorarla, come aveva fatto in tutte quelle settimane.

Con la mano sinistra sollevò la manica destra della propria camicia e prese il primo coltello.

<< David >> disse solo.

Quando il ragazzo si fu inginocchiato davanti a lui, William si praticò una piccola incisione sull'avambraccio destro e poi gli porse il coltello.

<< Le tue mani non verseranno sangue innocente >> Disse, completando i versi della tradizione.

Lo vide dirigersi ai piedi della colonna in cui era legato Adam e attendere.

Era evidente che credeva di avere più probabilità col suo sangue.

Serena non si lasciò sfuggire un singhiozzo.

Emily, le mani legate dietro la schiena, stava per svenire dalla tensione. William lo capì subito, ma non fece niente.

Prima finiva il rituale, prima avrebbe potuto allontanarsi.

Così distolse lo sguardo, afferrò il secondo coltello e chiamò Manuel, ripetendo la stessa operazione di prima, l'angoscia nel cuore.

Stavolta, quando premette la lama d'argento sulla sua carne, si formarono delle striature bluastre lungo tutto l'avambraccio.

L'argento è tossico per i Figli della Luna.

Dovette ripetere l'operazione anche con Paul e Claire, i quali, dal momento che anche Manuel aveva scelto Adam, si posizionarono sotto la colonna in cui era legata Emily.

La ragazza gemette quando li vide avvicinarsi con i coltelli insanguinati tra le mani.

Aveva la fronte imperlata di sudore, e solo il fatto di essere completamente legata le impediva di crollare a terra.

Giulia aveva avuto la buona intuizione di legarle anche il busto, oltre che le mani, affinché le catene stesse la sorreggessero.

Adam era nelle stesse condizioni di Emily, ma nonostante il respiro affannato e l'evidente paura negli occhi, aveva mantenuto il mento sollevato con orgoglio e lo sguardo fisso, accusatorio su David e Manuel.

Su madre Serena non aveva mantenuto lo stesso controllo, al contrario, continuava a singhiozzare e non faceva niente per nascondere le lacrime.

William, la scena pietosa sotto gli occhi, si sollevò dalla sua sedia, e tutti gli altri purosangue lo imitarono.

Un coro di voci si sollevò all'unisono, parole incomprensibili impregnarono l'aria in un crescendo sempre più animalesco, finché il tutto non parve amalgamarsi in un unico, straziante ululato.

Il sangue ora poteva compiere la sua magia.

Lui però non sarebbe rimasto a vedere.

Serrò le mani in pugni e abbandonò la sala.

Il suo compito era concluso.

Ma non si allontanò abbastanza in fretta.

Prima che potesse trovare l'uscita del vecchio casolare l'odore pungente del sangue lo raggiunse.

Era un aroma dolciastro, inebriante.

Ma gli rimase impresso nel cuore come una stilettata violenta, perché sapeva bene di chi era quel sangue, l'aveva già sentito prima.

E si era ripromesso che mai avrebbe provato una sensazione simile.

Il solito tremore che lo pervadeva quando perdeva il controllo s'impossessò di lui.

Raggiunse a stento l'uscita prima di buttarsi a terra, con un tremendo peso nel petto.

Non voleva sentire altro, basta!

Come una supplica disperata rivolse il suo sguardo al cielo, in cerca di una madre che quella notte non era disposta a sentire le sue preghiere.

Ma lui sapeva che era lì, nascosta da qualche parte, perché lo stava punendo ancora.

Perché anche se era Luna Nuova, i suoi tremori non cessavano.

Il dolore non si placava.

Quando sentì le proprie mani artigliare il terreno, e gli occhi cominciare a bruciare, l'odore da cui aveva tentato di sfuggire si fece sentire più forte che mai.

Semplicemente chiuse gli occhi, e corse.

 

 

 

Dark light
Come shine in her lost heart tonight
And blind
All fears that haunt her with
Your smile
Dark Light

 

<< Resisti, ci vorrà poco. >>

Questo le aveva detto Giulia mentre le legava le mani dietro la schiena.

<< Non svenire per nessuna ragione, intesi? >>

Aveva aggiunto mentre serrava le catene sul suo busto.

Emily allora aveva annuito, vagamente confusa.

Era rimasta stordita dalle parole sacrificio e sangue.

Ora però non era più confusa. Né era stordita.

Era terrorizzata.

Non era più sicura di riuscire a resistere.

Non in mezzo a tutte quelle urla animalesche, non quando quel ragazzo, Paul, si stava avvicinando con il coltello insanguinato in mano.

Sporco del sangue di William.

L'aveva mandato lui.

L'aveva tradita.

Era un assassino.

E un codardo, perché aveva notato benissimo il momento in cui era fuggito dalla sala, lanciandole uno sguardo addolorato.

Le gambe le cedettero quando il Purosangue le fu davanti.

Ma le catene la sostennero.

Le girava la testa, sentiva che il cuore le stava per uscire dal petto.

Voleva andarsene da lì, non poteva finire così!

Il ragazzo portò il coltello alla gola della giovane, che non riuscì a trattenere un altro gemito.

Le lacrime scesero da sole quando Paul cominciò ad inciderle la carne.

Le sembrò che mille fulmini le attraversassero la testa, e se non svenne subito fu solo perché Giulia, che era rimasta al suo fianco per tutto il tempo, le pizzicò molto forte il braccio e la costrinse a rimettersi in piedi.

Ma ormai era tutto molto confuso, le pareva che il ragazzo le avesse detto qualcosa, ma non lo comprese.

Lo vide piegarsi sul suo collo e cominciare a bere.

Si concentrò su quello che sentivano le sue orecchie, per non udire le grida del suo corpo.

In sottofondo risuonava ancora quell'orribile preghiera animalesca che stavano facendo gli altri lupi.

Ma il suono più straziante era quello di un pianto disperato, alternato a lievi urla.

Era la donna di prima, quella che stava dietro all'altro ragazzo.

Evidentemente stavano uccidendo anche lui.

Furono pochi secondi ma ad Emily parvero un'eternità.

Quando Paul si staccò dal suo collo, le cedettero nuovamente le gambe.

Ma stavolta Giulia non fece assolutamente nulla per rimetterla in piedi.

Emily si sforzò di respirare normalmente, le doleva terribilmente la gola, ed era sorpresa di essere ancora viva; evidentemente non era ancora finita.

Fu Claire a cercare di farla stare dritta.

Quando Emily se la vide davanti non riuscì a trattenere una risatina isterica, anche se tutto ciò che le uscì fu uno sbuffo.

La lupa che le avrebbe infine tolto la vita era bellissima.

Bionda, alta, occhi chiarissimi. Viso angelico.

Emily sapeva qual'era il destino dei purosangue che non riuscivano a procurarsi il sangue di una gemma, quindi non li biasimava troppo per quello che stavano facendo.

In fondo anche lei, se ne fosse stata in grado, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di sopravvivere.

Eppure aveva creduto di essere importante.

Le avevano fatto credere di esserlo, l'avevano ingannata.

Anzi no, era stata lei.

Lei si era ingannata. Aveva voluto fidarsi di William, di poche parole pronunciate in una stanza poco illuminata.

Per quale strana maledizione del caso ogni speranza finiva sempre per abbandonarla?

Perché non aveva il diritto di sognare un po' di felicità per se stessa?

Non ci sarebbe stato nessuno a piangere per lei.

Ma forse era meglio così.

Perché le uniche persone che magari avrebbero sofferto per lei in una situazione simile, in quel momento la stavano aspettando.

Poteva ritrovarle, riabbracciarle. Finalmente.

 

Anche Claire le disse qualcosa che lei non comprese.

Ma non le importava più.

Quando la lupa incise l'altro lato della gola e cominciò a bere, non sentì più niente.

Si accorse vagamente di quando la bionda si staccò, e di quando le catene che la tenevano in piedi caddero.

Solo allora poté scivolare a terra.

Resisti. Ci vorrà poco.

Sorrise. Aveva resistito.

Chiuse gli occhi.

E non ci fu luce per lei.

Non c'era luna, quella notte.

 

.

Luce oscura
Splendi stanotte nel suo cuore perduto 
E acceca
Tutte le paure che la ossessionano con
Il tuo sorriso
Luce oscura


 

Salve a Tutti!!!
Allora, come va?
State tutti bene?
Effettivamente sono curiosa di sapere se mi è rimasto ancora qualche lettore dopo questa pausa forzata che mi sono presa.
Ma credetemi (se ci siete!!), non è stato tempo completamente sprecato.
Ma è meglio se non comincio con le mie solite promesse, altrimenti è possibile che io aggiorni di nuovo fra tre anni!!

Parliamo piuttosto del capitolo.
Non è esageratamente lungo, ma direi che è abbastanza intenso.
Ormai stanno venendo a galla le caratteristiche dei Figli della Luna, così come li immagino io.
Ovviamente li chiamo in questo modo perché  è così che vengono chiamati i Licantropi in Breaking Down!
Immagino che l'avevate capito.
Vabbeè. Sinceramente non so che dirvi. Sto blaterando.
Meglio se pubblico e basta, si?

La canzone usata per questo capitolo è:
- Dark Light, H.I.M


Se vi interessa, su Facebook mi trovate qui:

https://www.facebook.com/diosmira.aranel

Inoltre ho provato a creare un trailer per questa Fanfiction.
Ma dato che sono un'eterna indecisa, ne ho fatti tre.
Uno lunghissimo, e due più corti.
Le scene sono simili, cambiano le canzoni.
Mi piacerebbe che gli deste un' occhiata e mi diceste qual è il meno peggio, così tengo quello ed elimino gli altri due.
Li potete trovare qui:

https://www.youtube.com/watch?v=uzMR_MHjPts

https://www.youtube.com/watch?v=Ntfg2AMW9e0

http://https://www.youtube.com/watch?v=7Iv3WjjsAWo

Benissimo, con questo per oggi è fatta!
Spero di sentirvi presto.
Alla prossima !
*Diosmy*

 

 

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Capitolo 13
*** Secrets ***


Secrets

 

https://youtu.be/qI4U6v7PS2k

There’s a room inside your gut
Close the door and keep it shut
Let no daylight enter in
And the punishment begin



Londra, Inghilterra. 1918 

 

C'è una stanza nel tuo stomaco
chiudi la porta e tienila sigillata
non permettere alla luce di entrare
e lascia che la punizione abbia inizio





Prima che Claire terminasse il rituale su Emily, Giulia perse la pazienza.
Tutta quella cerimonia sperimentale era una pazzia, sarebbe stata una totale perdita di tempo: la ragazzina era terrorizzata, si reggeva a stento in piedi.
Il ragazzo, Adam, non era messo tanto meglio.
Non si sarebbe sorpresa se alla fine dei conti non avessero ottenuto nulla.
Solo altre morti. Tra cui la sua.
Ovviamente voleva evitare un risvolto simile, ma per farlo la ragazzina doveva sopravvivere, e non era una cosa così semplice.
Aveva visto Emily vacillare ancora prima che Paul potesse cominciare a dissanguarla, ma era naturale.
Era giustamente spaventata.
Sia a lei che ad Adam non erano state impartite le lezioni per convogliare il sangue magico nella giusta direzione e preservare quello vitale.
In un occasione normale sarebbero bastati pochi sorsi di sangue per completare il rituale, ma quella non lo era per niente.
E per la ragazzina poteva mettersi molto male.
Giulia aveva tentato di tenerla vigile il più possibile, ma sapeva che di lì a qualche minuto avrebbe perso completamente i sensi.
Per lo meno Claire aveva quasi finito.
Doveva solo resistere ancora un po'.
Forse quella notte non ci sarebbero state conseguenze drastiche da affrontare.
Per il momento.
Solo il tempo avrebbe deciso chi fra i due candidati era la vera gemma.
Il branco aveva solo deciso, avventatamente, di accelerare il tutto.
Poteva essere una buona idea come poteva rivelarsi un disastro.
Ma non furono le sue previsioni drastiche a farla infuriare, ma quello che realmente stava succedendo in quella sala.
I maggiori rappresentanti di ciò che era rimasto dei Figli della Luna stavano sorteggiando le vite di due giovani inesperti con chi sa quali speranze.
C'erano delle regole rigide da seguire in quel gioco, una delle quali la vedeva strettamente responsabile del risultato che quella cerimonia avrebbe avuto sulle vite dei giovani lupi in transizioni.
Si era gettata alla ceca in una partita sanguinosa tra i candidati che lei e Serena, la madre di Adam, rappresentavano.
Chi perdeva, perdeva tutto. E lei non era certo in vantaggio, per quanto potesse esserne stata certa solo il giorno prima.
Osservò meglio la figura della piccola Masen e scosse la testa, infastidita, prima di allontanarsi sbuffando.
Aveva davvero messo in gioco la sua posizione all'interno del branco per una mocciosa che non riusciva nemmeno a darsi un contegno nel trattenere i singhiozzi?
Vedendola in quel momento e confrontandola con Adam, che pur essendo visibilmente debole manteneva una calma impassibile, non avrebbe avuto dubbi su chi fosse la vera gemma.
Eppure la rossa era certa. Sapeva che persino William lo era.
Diamine, aveva puntato tutto sul fatto che William fosse certo!
Trovare una gemma non era mai facile, specie quando le loro madri preferivano giocare a nascondino, ma un purosangue in genere dovrebbe riuscire a riconoscerle.
Giulia era solo un'ibrida, dunque non sapeva bene come funzionassero certe cose, ma sapeva che in teoria era proprio questa sorta di sesto senso dei purosangue ad identificare una gemma. Tutto il resto, il sangue, la famiglia, i poteri latenti, poteva passare in secondo piano una volta appurata l'identità della possibile gemma..
William non si era mai sbilanciato prima, durante le ricerche valutava sempre ogni singolo indizio.
Da quando Giulia era diventata ibrida lo aveva visto esitare più volte, e probabilmente proprio questa sua mania di perfezione le aveva permesso di ingannarlo quando era toccato ad Anna essere messa alla prova.
Eppure quella prima notte, a Chicago, quando l'avevano trovata, Giulia aveva letto nei suoi occhi la certezza.
Avevano trovato quello che cercavano.
Emily era perfetta, lui stesso l'aveva detto.
E allora perché inscenare quella cerimonia tanto sanguinosa che non avrebbe fatto altro che portare altro sangue?
Perché costringere Serena a tutto quel dolore?
Vederla praticamente urlare in lacrime affianco al figlio insanguinato era straziante.
Giulia non riusciva a capirlo, ma era certa che qualcuno in quella stanza aveva mentito o nascondeva un terribile segreto, e lei avrebbe fatto uscire quel qualcuno dall'ombra.
E non per cattiveria, al contrario.
I segreti e le bugie in campi soprannaturali erano molto pericolosi, lei stessa ne aveva pagato il prezzo in maniera terribile.
Se per risparmiare altrettanta sofferenza a quella stega avrebbe dovuto mettersi in mezzo, l'avrebbe fatto.
Ma prima bisognava trovare William.
Lei probabilmente era stata l'unica a vederlo uscire dalla stanza, a causa della sua posizione frontale alla uscita.
Che William girovagasse da solo, di notte, e con chi sa quali pensieri in testa era molto rischioso
Il fatto che quella notte ci fosse la luna nuova non era certo una consolazione, al contrario, ciò avrebbe impedito a tutti di difendersi se qualcosa fosse andato storto.
Quello era un altro dei motivi che la spingevano ad essere contraria a quel rituale ridicolo celebrato nella notte meno adeguata possibile.
Bisognava ritrovare William e farlo senza allarmare nessuno.
Così, ignorando il suo compito di sorvegliare la ragazzina si allontanò.
Conosceva Claire, era sicura che avrebbe capito quando fermarsi senza il suo aiuto.
E comunque c'era Paul affianco a lei, gli fece un cenno per avvisarlo e lui ricambiò.
Ora che il suo rituale era completato, aveva ben poco interesse alla morte della candidata gemma.
La sua vita ormai era legata a quella di Emily, come presto lo sarebbe stata quella di Claire.

 

Who are you now to decide
Whether or not I can
Be exposed to what you hide
Just be a strong and silent man



Chi sei tu ora per decidere
se sono in grado o no
affrontare ciò che nascondi,
non sei che un uomo forte e silenzioso




Dunque Giulia scese dal piedistallo e cercò i gemelli tedeschi tra la folla che incitava la riuscita del sacrificio.
Li trovò che discutevano animatamente in fondo alla sala.
Non le ci volle molto per indovinare che si erano appena resi conto di aver perso il loro Signore, e probabilmente adesso stavano perdendo tempo ad incolparsi tra di loro.
Fece giusto in tempo ad udire le ultime battute dei loro discorsi prima di intervenire.

- Era vicino a te! - si stava infatti sfogando Christian contro il gemello impassibile, pur mantenendo il tono di voce ai limiti dell'udibile.
Evidentemente avevano capito anche loro che non era saggio informare tutti i presenti della scomparsa del Signore in una notte di luna piena.

- State perdendo tempo – li rimproverò Giulia alle loro spalle, anche lei sussurrando.

- Quando te ne sei accorta? - chiese calmo Peter, capendo immediatamente il motivo per cui la rossa si era allontanata dal pilastro in cui era legata Emily.
Se c'era una sola cosa più importante del rituale di quella notte, era sicuramente l'incolumità di William.
Sollevando lo sguardo sul resto del branco, si rese conto che Thomas li stava fissando proprio dal luogo in cui sarebbe dovuto esserci il loro Signore.

- Subito dopo la consegna dei pugnali si è allontanato – rispose nel frattempo Giulia.
- Non so se sia un bene o un male, ma di certo non doveva uscire da solo, Scheiße! - imprecò Christian nella sua lingua natale
Avevano capito tutti perché se n'era andato. E non era difficile intuire cosa era successo.
Giulia deglutì quando si rese conto pure lei, seguendo lo sguardo di Peter, che Thomas aveva gli occhi puntati su di loro.
Ormai era tardi per far passare inosservata la scomparsa di William, potevano solo tentare di contenere i danni, evitare di scatenare il panico.
La rabbia risuonò nel petto della rossa.
Thomas era un altro dei Guardiani de Signore della Luna, nonché il suo secondo in comando in assenza di Lucas, il traditore.
Il suo compito era quello di affiancare il lupo supremo quella sera.
Sicuramente anche lui aveva notato immediatamente l'improvviso allontanamento del moro dalla sala, perché non aveva fatto niente per fermarlo? O perché più semplicemente non era andato con lui?
Prima che potesse esprimere i suoi ragionamenti la voce di Peter la richiamò.

- Ci occuperemo noi di ritrovarlo. Nel frattempo conviene dire agli altri che siamo già con lui. Non oso immaginare cosa succederebbe se si rendessero conto che William è fuori, da solo, probabilmente privo di controllo in una notte di luna nuova! - - Già – replicò la rossa apprensiva. Christian era già uscito e lei non se ne era nemmeno resa conto, presa com'era dai suoi pensieri.

- Siate cauti, ricordate che siete entrambi vulnerabili – continuò. Fece per elencare un'altra serie di avvertimenti quando l'immenso ululato degli astanti crebbe d'intensità per poi spegnersi definitivamente.
La cerimonia era terminata.
Giulia si girò subito in direzione della giovane Emily, e ciò che vide non le piacque.
Se dall'altra parte della stanza Adam era caduto in ginocchio sotto il peso delle catene da cui la madre in lacrime lo stava liberando, Emily aveva ormai perso del tutto conoscenza.
Pallida, la testa rovesciata all'indietro in una posa piuttosto innaturale. Il respiro debole.

Pareva morta.
Il corpo fiacco che era totalmente abbandonato su se stesso, l'unico sostegno di cui disponeva era la costrizione delle strette catene che lei stessa aveva assicurato, e che solo lei poteva sciogliere.
Ai lati del pilastro a cui era legata la ragazza, Paul e Claire la aspettavano, le braccia conserte. Non avevano il permesso di toccarla.

- Ti conviene pensare a come far uscire viva la ragazza da tutta questa merda, Giulia – sussurrò Peter alle sue spalle – Io e mio fratello penseremo a William, tu occupati di lei. A nessuno di noi farebbe piacere vederla fallire, non ora che ti sei compromessa personalmente. È stato un vero azzardo. A vederla adesso dubito che qualcuno possa credere che sia una gemma! -
- Lascia questo affare a me – ribatté acida la rossa – perché non pensi a raggiungere Christian? Non vorrei che si imbattesse in William da solo-
La preoccupazione si delineò sul viso del giovane licantropo e Giulia lo sentì sospirare nervoso prima che si allontanasse senza dire altre parole.
E mentre entrambi si dirigevano dove c'era bisogno di loro, nella loro mente correva lo stesso pensiero: sarebbe stata una lunga notte.
L'unica differenza era che Giulia cominciava a credere che tenere in vita Emily sarebbe risultato molto più faticoso di tenere sotto controllo il Signore dei Figli della Luna.
Di sicuro sarebbe stata tutta fatica sprecata.
Quella ragazza sembrava avere una propensione naturale per attirare disgrazie, e mostri.
Ma soprattutto sembrava essere completamente inutile.
Sopravvivere sarebbe stata duro.
Un brivido percorse la rossa.
Erano trascorsi secoli dall'ultima volta che era stata tanto vicina alla morte.

 

But every wrong turn that you make 
will also be my mistake
Cause we’re connected through our hearts
And the devastating part

is that I foolishly defended you to myself
But secrets always have a way of coming out.

 

Ma ogni sbaglio che fai
sarà anche un errore mio 
perché siamo collegati attraverso i nostri cuori
e la parte devastante è 
che ti ho stupidamente protetto da me stessa,
ma i segreti trovano sempre un modo per venire fuori





Volterra, Italia. 1918

I’m beginning now to see
What you must have thought of me
In a body cast of glass
Life-changing information 

should just pass.

 

Ora comincio a vedere 
cosa devi aver pensato di me 
in un corpo fuso nel cristallo 
dovrebbero passare solo 
promesse di una vita migliore



Lucas era tornato dall'America da ormai tre giorni, ma non si era ancora presentato dinanzi ai volturi.
Era stato un viaggio lungo, seppur tranquillo, e lui se l'era presa comoda.
Aveva bisogno di riflettere.
In quella sua solitaria spedizione alla ricerca del suo ex branco aveva avuto modo di scoprire parecchie cose interessanti.
Non solo aveva trovato la Gemma, ma aveva anche scovato il loro attuale punto di ritrovo.
Londra.
Aveva colto il nome della loro direzione per puro caso, poco prima di partire dal porto, ma era stato un decisivo colpo di fortuna.
L'ennesimo di una lunga serie.
A chiunque altro il nome dell'imponente città inglese non avrebbe detto nulla di importante, ma non a lui.
No, lui aveva accompagnato quel branco di smidollati per più di tre secoli, li aveva protetti fin quando ne aveva avuto la possibilità, conosceva ogni loro punto di incontro.
Ovviamente dopo che aveva voltato loro le spalle avevano spostato la maggior parte dei loro quartier generali, ma evidentemente quello a Londra aveva resistito.
Lucas non se ne stupì particolarmente, dopo tutto era uno dei luoghi più sicuri che erano mai riusciti a trovare
Ad ogni modo, grazie a questa piccola informazione aveva potuto escogitare un piano che gli avrebbe procurato un immenso vantaggio, e non aveva dubbi che avrebbe funzionato.
Se a Chicago non aveva potuto prendersi la gemma, ora aveva un modo per averla.
E sarebbero stati proprio i suoi ex compagni a consegnargliela.
Un brivido di eccitazione gli pervase il corpo mentre pregustava la sua vittoria.
Il momento del suo riscatto era sempre più vicino.
Un problema però persisteva : quanto di tutto ciò poteva dire ai signori di Volterra?
Aveva già escluso di rivelare l'attuale posizione dei Figli della Luna: sarebbe stato molto facile organizzare una spedizione di una decina di vampiri e sterminare quel che rimaneva dei purosangue, ma ovviamente non era questo che voleva.
Nonostante fosse ormai più di un secolo che si era unito ai succhia sangue, li riteneva comunque delle creature ripugnanti e abominevoli, non avrebbe dato loro l'onore di finire la sua gente.
Se si fosse arrivato al punto di dover porre definitivamente fine ai Figli della Luna, allora avrebbe preferito farlo con le sue stesse mani.
E per quanto riguardava Emily, non poteva nascondere la sua esistenza, per quanto un 'informazione del genere avrebbe potuto rivelarsi altrettanto rischiosa.
Confidava nel fatto che William e i suoi l'avrebbero tenuta al sicuro, al meno finché non fosse passata a lui.
Dopodiché immaginava che nessun altro a parte i vampiri avrebbe corso rischi. A parte William, certo.
Se le cose fossero andate come pianificava, suo fratello non avrebbe visto l'alba del prossimo secolo.
Ricordando le condizioni in cui l'aveva trovato l'ultima volta che l'aveva visto, rabbrividì.
Era peggiorato ancora.
Probabilmente non avrebbe dovuto faticare molto per farlo fuori, ma era meglio non correre il rischio di aspettare.
Se da un lato William pareva perdere sempre di più il controllo sulla propria essenza bestiale, era pur sempre vero che il lupo che era in lui diveniva sempre più forte.
Senza una coscienza a controllarlo, sprigionava una potenza distruttiva per chiunque, nemico o amico che fosse.
E Lucas non voleva vedere altre vittime cadere per mano di suo fratello.
Era straziante.
Gli tornò in mente il ricordo di Anna, e di Giulia.
Strinse i denti.
A causa del suo gemello aveva perso la sua strega, e non era una cosa che si sentiva in grado di perdonargli, per quanto fosse cosciente di aver fatto cose peggiori.
Ma almeno lui aveva sempre avuto un motivo che andasse oltre la semplice furia cieca.
Scosse la testa distogliendosi da quei pensieri inutili.
Non poteva cambiare il passato, ma che esplodesse pure il cielo se lui non rimediava in futuro.
Fissò la grande piazza che si estenda di fronte a lui.
Un ombra nera alla base del palazzo dei priori di Volterra gli fece capire che era atteso.
Con una calma che non gli apparteneva avanzò verso l'imponente edificio, spingendosi fin nei sotterranei, guidato da un succhia sangue di poco valore.
Quando infine giunse dinanzi ai signori volturi, eternamente seduti nei loro scranni intarsiati, non seppe trattenere un sorriso sarcastico.
Era questo che temevano i lupi?
Un gruppetto di sanguisughe troppo codarde per uscire ad affrontare il mondo?
Riuscì a stento a controllare la nausea che lo pervase.
Dal canto suo Aro dovette scambiare quel suo sorrisetto per compiacimento in quanto si avvicinò a lui stringendosi le mani deliziato.

- Che notizie mi porti, mio giovane principe? - Chiese trattenendo una risata.

Cosa che non fecero il resto dei presenti.
Lucas cercò di contenere l'irritazione.
Non si aspettava certo che quegli ignoranti rispettassero il suo titolo, dopotutto era il loro territorio, ma da qui a sopportare le prese in giro correva una netta differenza.
Tuttavia si sforzò di parlare normalmente:

- Li ho trovati a Chicago. A quanto pare hanno trovato quella persona. - una esclamazione di sorpresa generale percorse le file dei vampiri presenti.

Lucas scelse con cautela le parole.
Dopotutto i vampiri erano davvero una razza ignorante.
Fino a pochi secoli prima non avrebbero nemmeno immaginato l'esistenza di una creatura come lui.
Tuttora non credevano all'esistenza delle streghe, tanto meno a quella del Popolo Fatato.
Non sarebbe stato facile spiegare loro l'importanza di una gemma e farla al contempo sembrare una cosa da niente.
L'ultima cosa che voleva infatti era che anche i vampiri cominciassero ad interessarsi a Emily.
C'erano già fin troppe creature a minacciare la sua esistenza.

- E dimmi – soggiunse Aro interrompendo i sui pensieri – cosa puoi dirci di questa persona? -
Alle sue spalle Caius e Marcus erano insolitamente attenti.
Lucas prese il respiro prima di parlare.
- E' una ragazza orfana fortunatamente, non hanno faticato molto a prenderla – Disse.
Era fondamentale che la considerassero una semplice umana, ma non era una cosa facile considerando che non lo era per niente.

Aro annuì concentrato.

- E quale sarebbe il nome di questa ragazza? Sai mi farebbe molto piacere se mi spiegassi perché mai la tua gente ha dato la caccia a lei per tanti secoli – terminò la frase con un sorriso affabile.

Per poco Lucas non imprecò.
Non voleva rivelare loro il nome della gemma, poteva essere troppo compromettente. Ma non aveva altra scelta se non tentare di giungere ad un compromesso.

- Non abbiamo dato la caccia a lei – soffiò prepotente – ma a delle persone che corrispondessero a determinati criteri. In ogni caso devono essere umani sacrificabili.
Aro sollevò le sopracciglia interdetto:

- sacrificabili? E dimmi, questa ragazza lo è? -
- Ha perso tutta la sua famiglia da poco a causa della spagnola, non è stato difficile far passare per morta pure lei - disse Lucas sollevando le spalle incurante.
In realtà dentro di sé era soddisfatto. Forse era riuscito a distogliere l'attenzione dei volturi dalla ragazza.
Proseguì inventandosi i vari motivi per i quali la ragazza era fondamentale per i lupi ma non necessaria per i vampiri.
Durante la sua spiegazione notò distintamente come Aro fremeva dalla voglia di prendergli le mani, ma sapeva che non avrebbe osato farlo, e se lo avesse fatto non lo temeva.

Se i Figli della Luna potevano vantare un qualche vantaggio sui vampiri, quello era sicuramente l'immunità dai loro poteri psichici.
A ben rifletterci se non fosse stato per il loro esiguo numero e la difficoltà che avevano per moltiplicarsi, la loro causa non sarebbe stata tanto disperata.
Ma i vampiri erano dei bastardi, e fin dall'inizio avevano mirato a distruggere i purosangue giovani, non ancora trasformati.
Doveva ammettere che era stata una mossa intelligente, per quanto sleale.
Con l'avanzare del discorso Aro parve perdere l'interesse per quanto accadeva tra i lupi.
Evidentemente aveva sperato di poter ricavare qualcosa utile, ma la sua speranza non era stata ricambiata.
Tuttavia non era la sua attenzione quella che cercava Lucas, bensì quella di Caius che lo guardava sprezzante dall'alto del suo scranno.
La prossima informazione gli sarebbe interessata senz'altro.

- Sono riuscito a infiltrare uno dei miei tra le fila di William – esclamò fissando il vampiro centenario negli occhi.
Come aveva previsto la sua reazione non si fece attendere.
Al nome del Guardiano dei Lupi il suo sguardo parve lanciare fiamme.
Aro e Marcus si girarono entrambi ad osservare il fratello, curiosi di osservarne il comportamento.
Il biondo dal canto suo concentrò il suo sguardo sul principe lupo e con un ringhio lo spinse a continuare a parlare.
- Terrà le cose d'occhio per me finché non avrò ciò che voglio. A questo proposito vi offro un accordo -

- Parla! - sibilò Caius impaziente.
Aro restò sorprendentemente da parte, alquanto divertito dalla situazione.
Si era già convinto che qualsiasi proposta sarebbe stata vantaggiosa. Dopotutto Lucas non lo aveva mai deluso.
E il licantropo lo sapeva.

- Ho ragione di credere che fra un paio di anni la ragazza sarà ritenuta inutile, dunque dovrà essere eliminata. Il mio uomo si assicurerà che riesca a scappare e ad arrivare a me. Voglio che voi la lasciate a me, senza torcerle un capello -
- E noi cosa ne ricaviamo, cane? - ribatté Caius poco incline ad arrivare ad un accordo.
- Suvvia fratello, lascia che parli! - intervenne Aro, evitando che Lucas perdesse la compostezza.
Il  lupo annuì e parlò.

- Porterò la ragazza qui. Sono certo che William la seguirà. Quando sarà arrivato, sarete liberi di eliminarlo. Alla sua morte il re sarò io, vi consegnerò i purosangue che mi rifiuteranno come sovrano e guiderò i restanti in modo da non interferire con i vostri affari, al contrario sarò a vostra disposizione qualora ce ne fosse il bisogno. Farò scomparire ibridi e mezzosangue, e la faida che ha reso nemiche le nostre razze per tanto tempo, causando morti e distruzione potrà avere fine. -
Il silenzio regnò nella sala quando finì di parlare.

Tutti gli occhi erano puntati su di lui, tentando di capire quanto di vero ci fosse nelle sue affermazioni.
Non mentiva.
Alla fine Aro si rivolse a lui.

- Saresti dunque disposto a consegnare la tua gente nelle nostre mani per una ragazza? Ne vale davvero la pena? -
Lucas puntò gli occhi sul vampiro con decisione.

- Sì, ne vale la pena -

Era forse l'unico modo che aveva per salvare la sua gente.

 

But I don’t break that easily
And if you’d dare then you would see
That I’ve been carrying all the weight
Of the burdens on your plate.


Londra, Inghilterra. 1918
 

Ma io non mi rompo cosi facilmente, 
e se tu osassi, vedresti 
che ho portato tutto il peso 
dei fardelli che ti spettavano



Giulia ed Emily erano tornate a casa già da un pezzo quando arrivarono William e i gemelli.
La ragazza non si era ancora ripresa, e giaceva addormentata nel suo letto, il pallore mortale diffuso sul suo viso.
Adam e sua madre risiedevano qualche stanza più in là. 
I consiglieri avevano deciso che per motivi di sicurezza i due ragazzi sarebbero dovuti restare sotto la custodia del loro Signore.
Quando Giulia lo vide entrare dalla porta principale non pensò che fosse così sicuro godere della sua protezione.
Ma non ebbe certo il tempo di farglielo notare.
William infatti la superò di corse senza degnarla di uno sguardo.
Lei lo vide eccome, e lo sentì. 
I suoi abiti erano completamente zuppi di sangue palesemente non suo, e l'odore putrido della morte aveva già invaso la stanza d'ingresso.
Se fosse stata più lucida lo avrebbe sicuramente rincorso, gli avrebbe chiesto spiegazioni e magari si sarebbe anche occupata della sua salute.
Ma in quel determinato momento non era affatto lucida.
Come avrebbe potuto esserlo?
Davanti a lei, appena fuori dal cancello dal quale era appena entrato il suo signore, arrancavano faticosamente due figure.
O per lo meno una, che trasportava faticosamente l'altra.
Giulia udì chiaramente la voce di Peter chiamarla a gran voce chiedendo aiuto.
Udiva in maniera distinta una voce spezzata dai singhiozzi.
Poteva immaginare le lacrime scendere sul viso del biondo.
E questo pensiero la paralizzò.
Sapeva qual'era la figura esanime tra le braccia del tedesco. 
Sapeva di chi era il sangue nei vestiti di William, e l'idea che fosse troppo tardi per fare qualsiasi cosa la terrorizzò.
Rimase dunque immobile, sorda alle grida disperate di Peter.
Solo quando il lupo cadde pesantemente trascinando con sé il fratello si riscosse e corse da loro.
Insieme e a fatica trasportarono il corpo di Christian in salotto.
Giulia non pianse, non aveva lacrime.
Ma dentro sentiva un altro pezzo di sé scivolarle via come il ragazzo che teneva tra le braccia.
E non fece niente per trattenerlo.
Non controllò il suo respiro, né verificò il polso.
Non osservò il suo corpo in cerca della ferita mortale.
Non voleva essere lei ad esprimere l'amara sentenza.
Ma sapeva già cosa succedeva a chi si imbatteva da solo nella bestia che prendeva il sopravvento su William.
Lei stessa era quasi stata una sua vittima.
Ed era stata fortunata.
Si allontanò in fretta dalla lettiga improvvisata in cui avevano deposto Christian e osservo Peter prendersi cura di lui.
Evidentemente era ancora vivo, perché il ragazzo continuava a premere le mani sulla giugulare squarciata del fratello.
Giulia considerò nauseata che era un miracolo che Christian avesse ancora la testa attaccata al collo.
E le viscere nello stomaco se per questo.
Un profondo taglio in fatti gli attraversava completamente il torace e il ventre.
Sapeva che c'erano ben poche speranze di salvarlo, ma chi era lei per dirlo a Peter?
Forse non poteva fare niente per Christian, ma per il suo gemello sì.
Sapeva bene per esperienza che il dopo sarebbe stato molto peggio se avesse pensato di non aver neppure tentato di salvarlo.
Quando aveva perso Anna era svenuta, e quando si era svegliata era già stata seppellita.
Non voleva riservare a Peter lo stesso destino.
Corse dunque a prendere tutti i panni puliti che trovò e cominciò a stringerli sul dorso di Christian, notando a stento l'occhiata grata del fratello.
Non aveva ancora finito di sistemare le garze che William ricomparve in fondo alla stanza.
Ansimava ed era visibilmente sconvolto, ma ancora una volta non parlò.
Si avvicinò a loro con un bicchiere scuro in mano e costrinse Christian a berne il contenuto.
Peter non fece niente per protestare, ma Giulia si notò il ringhio rabbioso che lottava per fuoriuscire dalle sue labbra.

- Che cos'è ? - chiese. William ci mise un po' a rispondere – E' il sangue della gemma mescolato al mio -
Giulia trasalì – Quale gemma? -

- Ho preso il sangue di entrambi per sicurezza -
Peter strinse le nocche.

- Funzionerà? -
- Non lo so – ammise William – ma tempo fa funzionò per Giulia e Lucas, che erano in condizioni simili -

La rossa distolse lo sguardo. Non ci teneva a rivivere quei momenti.
Eppure un campanello di allarme risuonò nella sua mente.

- Che sangue usasti allora? Anna era appena morta! -

- Ricordi che facevamo dei prelievi mensili? Usai una delle provette che erano avanzate, è stato un azzardo ma ha funzionato.
Giulia pensò che se aveva funzionato non era certo stato a causa del sangue di sua sorella.

Probabilmente il sangue del guardiano dei lupi aveva qualche proprietà curativa. 
Se fosse stata ancora una strega avrebbe appuntato quest'informazione con grande interesse, ma al momento non ci fece molto caso, anzi, era riluttante a credere in un miracolo che salvasse Christian.
Se il piano di William non avesse funzionato avrebbe significato che Emily aveva perso ulteriore sangue per niente, sarebbe stata più debole e forse sarebbe morta entro la mattina successiva.
Sapeva di essere una pessimista cronaca, ma era difficile non esserlo quando all'orizzonte si prospettava l'avvicinarsi della propria fine.
Non aveva mai voluto essere immortale, ma la consapevolezza della morte la colse come un pugno nello stomaco, spezzandole il fiato e facendole girare la testa.

- Com'è potuto succedere? - chiese arrabbiata.
Si sentiva tradita dalla sua stessa razza.
C'era luna nuova quella notte, nessuno di loro si sarebbe dovuto trasformare, erano liberi dalla loro maledizione; ma in realtà erano solo deboli, incapaci di difendersi.
Ma era evidente che William ancora una volta si era preso gioco della natura, aveva perso il controllo e si era trasformato.

Non era importante sapere come aveva fatto a tornare in sé prima dell'alba, ormai il danno era fatto e si presentava sotto le spoglio di un amico morente.
Giulia non attese nessuna risposta, sapeva che non ce ne sarebbe stata una.
Vide Peter esausto poggiare delicatamente il viso sul petto del fratello.
William a distanza di sicurezza che tentava inutilmente di frenare i fremiti delle proprie braccia.
Giulia pregò silenziosamente che l'alba li cogliesse tutti vivi, se non sani.
Abbandonò in fretta la sala.
Sebbene infatti sperasse nel meglio, non voleva assistere all'ultimo respiro di quello che forse era il suo più grande amico. 
Le lacrime spingevano violente per uscire, ma lei non volle lasciar loro spazio.
Alla fine dunque Lucas aveva ragione.
William li avrebbe fatti uccidere tutti.
Con o senza la gemma della profezia erano perduti.
Improvvisamente si rese conto che non esisteva più un branco.
I Figli della Luna si erano spezzati dall'interno.
C'erano troppi segreti, troppo cose non dette, e finora l'unica scelta era stata quella di seguire il proprio signore.
Ma le cose stavano cambiando, era evidente.
In tempi normali sarebbe stato impossibile per William sparire senza dare nell'occhio.
Le tornò in mente lo sguardo consapevole di Thomas, che era rimasto impassibile durante la cerimonia.
Thomas, che aveva presentato una candidato come gemma senza nemmeno chiedere il parere di William.
Che aveva addirittura rifiutato la scelta fatta dal moro.
I lupi cominciavano a capire che era necessario compiere una scelta per la propria salvezza.
E l'unica alternativa che non comprendesse affidarsi ad una bestia letale priva di controllo era quella di rivolgersi al principe oltreoceano.
Ma lui era in combutta con i vampiri.
Qual'era il male minore?
Per capirlo i lupi avrebbero dovuto combattere una sanguinosa battaglia tra fazioni, dove solo chi fosse rimasto in piedi ne sarebbe uscito vincitore.
Giulia aveva già scelto da tempo da che parte stare.




 

But every wrong turn that you make 
will also be my mistake
Cause we’re connected through our hearts
And the devastating part is that 

I foolishly defended you to myself
But secrets always have a way of coming out.

 

Ma ogni sbaglio che farai 
sarà anche un mio errore
perché siamo collegati attraverso I nostri cuori 
e la parte devastante è 
che ti ho stupidamente protetto da ma stessa, 
ma I segreti trovano sempre un modo per venire fuori



 

Salve a Tutti!

Come al solito domando scusa per il ritardo, ma considerando il periodo sono sicura che comprenderete.
Se ci sono domande fatevi avanti, e se ci sono orrori da qualche parte per favore non abbiate paura di mostrarmeli!

La canzone da cui prende il titolo il capitolo è

  • Secrets, di Maria Mena

Se volete dare un occhiata al breve trailer che ho ideato per questa fanfiction eccolo qua:
https://www.youtube.com/watch?v=usyi-bENKt4

Spero che il capitolo vi sia piaciuto,
Alla Prossima!

* Diosmy *

 

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