Under my skin

di holdmehaz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - First look ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2- Disappointed ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Meet you ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - In the wood ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Low Class Girl ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Hear 'Harry Styles' anymore ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - Nightmare ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - I had to do it ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 - Memories ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 - Seven day to fall in love ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


*Non ho ancora fatto il banner, lo metto nel prossimo capitolo*
 
Under my skin



Ho buttato tutte le tue cose
Ti ho cancellato dalla mia mente
Ti ho scacciato dal mio cuore
Ed ho ignorato ogni tuo messaggio
Ho detto a tutti che era finita
Perché sto molto meglio senza di te
Ma è solo un’altra bella bugia
Perché sto uno schifo ogni volta che ti rivedo
Quindi, come sei riuscito a infilarti sotto la mia pelle?
Non ti ho permesso io di farlo!
Dovevo cercare di lasciarti meglio
Perché siamo di nuovo qui
Per quanto ci provi, non riesco a darci un taglio
C’è qualcosa in te di sconvolgente!
Ci stiamo innamorando l’uno dell’altro
Tu pensi io sappia cosa accadrà
Perché siamo di nuovo qui...
Non hai mai capito cosa volevi
E non hai mai detto cosa intendevi
Ma io divento pazza, ogni volta che mi guardi
Ascolti solo metà di ciò che dico
Ed arrivi sempre troppo tardi
E so che dovrei dirti addio, ma non ha senso
Non riesco a stare con o senza te

Quindi, come sei riuscito a infilarti sotto la mia pelle?
Non ti ho permesso io di farlo!
Dovevo cercare di lasciarti meglio
Perché siamo di nuovo qui
Per quanto ci provi, non riesco a darci un taglio
C’è qualcosa in te di sconvolgente!
Ci stiamo innamorando l’uno dell’altro
Tu pensi io sappia cosa accadrà
Perché siamo di nuovo qui
Di nuovo, e di nuovo, e di nuovo, e di nuovo...
Ho buttato tutte le tue cose
Ti ho cancellato dalla mia mente
E ti ho scacciato dal mio cuore
Quindi, come sei riuscito a infilarti sotto la mia pelle?
Non ti ho permesso io di farlo!
Dovevo cercare di lasciarti meglio
Perché siamo di nuovo qui
Per quanto ci provi, non riesco a darci un taglio
C’è qualcosa in te di sconvolgente!
Ci stiamo innamorando l’uno dell’altro
Tu pensi io sappia cosa accadrà
Perché siamo di nuovo qui
Siamo ancora qui!
Siamo ancora qui!
Dovevo cercare di lasciarti meglio
Perché siamo di nuovo qui
Di nuovo, e di nuovo, e di nuovo, e di nuovo, e di nuovo, e di nuovo
E di nuovo, e di nuovo, e di nuovo, e di nuovo, e di nuovo, e di nuovo...
[Demi Lovato, Here we go again]
 
Prologo





«Paul vuole vedervi, ragazzi» ci informò Jessica, la segretaria di Paul. Noi cinque ci guardammo in faccia, un po’ impauriti.
Quando Paul voleva vederci, c’era sempre qualcosa di importante dietro. Un cambiamento radicale. E non sempre in positivo.
«Ora» puntualizzò la ragazza lanciandoci uno sguardo scocciato.
«Andiamo, andiamo, Jess» sbuffò Zayn alzandosi dalle sedie, seguito da Liam.
«Afpettate, racaffi» fece Niall masticando il suo panino e seguendoli. Io e Louis ci scambiammo un’occhiata, poi ci alzammo, pronti a chiudere la parata.
La mano di Louis cercò la mia mano come se questo potesse in qualche modo tranquillizzarlo, ed io la strinsi forte di rimando.
Entrammo timidamente nell’ufficio di Paul. Lui fulminò con gli occhi la mia mano e quella di Louis.
Lasciammo la presa contemporaneamente. Odiavo che il nostro amore fosse una specie di tabù.
«Cari ragazzi, devo comunicarvi ordini che vengono dall’alto, e non da me» cominciò Paul appoggiando le braccia nella scrivani e sporgendosi un po’ verso di noi.
«Odio gli ordini dall’alto» affermò Niall. Lo guardai, e sorrisi notando che stava nascondendo il panino dietro la schiena. Paul sospirò.
«Le vostre fans si fanno sempre più numerose, e sempre più accanite. Un errore, e le perderete. Così, siamo costretti a controllare ogni vostra azione, per essere sicuri di non sbagliare. O cercare di nascondere o minimizzare gli errori» continuò Paul. Poi centrò la sua attenzione su me e Louis.
«Voi due, spero siate coscienti del fatto che siete voi l’errore più grande. E purtroppo le fans che credono alla vostra relazione si fanno sempre di più, e molte smettono di seguirvi per questo. Dobbiamo trovare un modo per fermarle» affermò.
Lo sapevo. Lo sentivo. Sono sempre io la causa di tutto. Sono sempre io quello che sbaglia. Sono stufo di tutto ciò. Cazzo, non ho detto io al mio cuore di innamorarsi di Louis.
«Io fingo di stare con Eleonor, che altro dovremmo fare?» sbottò Louis. So che questa storia gli pesa più che a me.
Paul prese quello che sembrava un album fotografico molto grande e me lo porse. Io lo presi, non capendo. Quando lo aprii, trovai centinaia e centinaia di volti femminili.
«Che...?» chiesi io confuso. Non capivo. O forse fingevo di non capire perché l’idea mi opprimeva troppo.
«Abbiamo bisogno che tu finga di avere una ragazza. Quelle sono tutte attrici» spiegò Paul. Mi incazzai. Ero furioso, nero.
«Non so recitare, lo sai! E poi, non credi che è spregevole ingannare le fans in questo modo?» sbraitai.
«So che non sei molto bravo a recitare» disse Paul con calma, come se le mie urla non lo avessero scalfito. «Così ti ho concesso di poter scegliere tu chi sarà la tua ragazza».
«Mi sento ancora più spregevole: scegliere una ragazza come se fosse un oggetto da comprare! Ma stiamo scherzando? Non lo farò mai!» urlai.
«Le tue fans ti abbandonerebbero se scoprissero che sei gay!» mi rispose Paul, cominciando a perdere la pazienza.
«Le vere fans non lo farebbero mai!» sbottai io.
«Le vere fans sono pochissime rispetto alle altre! Scompariresti nel nulla, torneresti ad essere il nulla!» ribatté lui.
«A me non interessa la carriera, non interessa commercializzare la mia voce! Preferisco tornare ad Holmes Chapel ad essere solo Harry e ad avere come fan solo la doccia, che mentire così spudoratamente a milioni di persone!» rivelai, stanco e arrabbiato.
«Tu, tu e ancora tu! Smettila di essere egoista, Harry. Credi che Louis si senta meglio, lui che finge con la Calder? Credi che io mi senta meglio, nel chiederti ciò? Ma non sei solo tu la posta in gioco, Harry, capiscilo. Fallo per Louis, Zayn, Liam e Niall, che hanno finalmente realizzato il loro sogno. Pensa a tutte le persone che lavorano dietro le quinte e portano lo stipendio a casa per mantenere la famiglia!» tuonò Paul.
Sospirai, arrendendomi. Non potevo fare altrimenti. D’altronde aveva ragione. Dovevo smetterla di essere egoista, eravamo un gruppo.
«Scelgo lei» affermai aprendo l’album in una pagina a caso e puntando una foto al caso. Paul prese l’album e guardò la ragazza che avevo scelto.
«Jane Wright. Ottima scelta» commentò.





Sbuffai, stanca dell’ennesima giornata di lavoro. Mi levai violentemente la stupida parrucca bionda che portavo e la scaraventai sul tavolo.
Avevo provato a smettere di fare questa stupida vita da circo, ma nessuno era davvero intenzionato ad assumere l’acrobata di un circo per qualche altro lavoro.
Semplicemente perché mi chiamavano zingara. Cosa assolutamente non vera! Mia madre era di Liverpool, aveva solo preso a lavorare per il circo. E mio padre... non so che fine abbia fatto. Mai conosciuto.
Comunque, io ero troppo poco per qualsiasi cosa. Anche quella stupida agenzia per attrici, era passato un mese e non avevano ancora richiamato. Quel “La richiameremo noi” era sempre stato un no, lo sapevo.
DRIN, DRIN! squillò il mio cellulare. Lo cercai in tutta la mia borsa, finché che non lo trovai in fondo, accanto alla barretta di cioccolata.
Guardai il numero sul display. Una serie di numeri, nessuno salvato in rubrica. Sospirai, pensando che fosse l’ennesimo uomo che tentava di abbordarmi e aveva avuto il mio numero chissà come.
Sapevo che qualcuno del circo si divertiva a dare il mio numero a destra e a manca, ma non avevo ancora individuato chi.
«Pronto?» chiesi scocciata.
«Lei è la signorina Jane Wright?» domandò una voce femminile. Mi rianimai, sperando fosse qualcosa di importante.
«Sì, sono io» risposi.
«Lei ha fatto un provino per la nostra agenzia, vero?» chiese sempre la stessa voce. Agenzia, angenzia... ah sì, l’agenzia per attrici!
«Sì, certo» feci, mentre cominciavo a diventare euforica: se mi avevano contattata, forse avevano un ruoletto secondario in qualche film, ma che mi avrebbe fruttato qualcosina e mi avrebbe aperto le porte per altri ingaggi.
«La volevamo informare che è stata scelta dalla Sony Music per un ingaggio davvero importante. Purtroppo la Sony non ci ha riferito informazioni sul tipo di lavoro, ma ci ha detto di informarla che domani alle 9:00 dovrà presentarsi alla sede londinese della Sony, ma dovrà rendersi irriconoscibile ad occhi indiscreti, ne vale il vostro lavoro» spiegò la ragazza dall’altra parte del telefono.
«Sony Music? Londra? O mio Dio, certo, alle nove in punto sarò là» balbettai eccitata. Cavolo, la Sony Music doveva darmi un incarico importante, se voleva che mi presentassi là irriconoscibile.
La donna mi chiuse la telefonata in faccia, ma non mi importava nulla. Gettai il telefono nella borsa e mi avviai verso l’ufficio del titolare del circo: dovevo strappare un permesso per il giorno seguente.


 

Nila’s Corner

Eccomi qui con un’altra FF, mi è venuta l’altro ieri quest’idea e mi sono messa a scrivere. Diciamo che questa storia l’ho creata per allargare i miei orizzonti, infatti in questa storia gli 1D saranno famosi (a differenza di Lightweight e Irresistible) e per di più mi sono distaccata dall’ambito della scuola (adesso che la scuola sta iniziando, sento il bisogno di scrollarmela di dosso almeno quando immagino, lol) e mi sono aperta alle coppie omosessuali, che non mancheranno in questa storia (da notarsi il chiaro riferimento a Larry). Però, anche se ho inserito questa coppia, ci tengo a precisare che ci saranno anche coppie “miste”, anzi, più coppie “miste” che altro, perché modestamente non riesco ad immaginarmi Niam, Ziam e Ziall come relazione.
Ci tengo a precisare che non sono una Larry Shipper né una Calderic, e che posso decidere di far rompere Larry o di far sparire Eleonor da un momento all’altro, non etichettate questa storia come “prevedibile” perché non lo sarà.
ATTENZIONE: ho intenzione di continuare questa storia solo dopo aver finito la mia prima (Lightweight).
Ah, e scusate per il banner come ho detto all’inizio, ma non riesco a farne uno decente, vedrò di metterne uno carino il prossimo capitolo.
Ora vado,

Bye :)

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - First look ***


*Esatto, non ho ancora fatto il banner. Ed ancora esatto, sto aggiornando dopo secoli di assenza. Sorry*

Capitolo 1 - First look






Scherzare con i miei amici era la cosa che mi piaceva di più del mio lavoro. Insomma, era tutto più facile e meno stancante quando avevi quattro persone con cui scherzare. Eravamo seduti nella sala d’aspetto prima dell’ufficio di Paul.
Liam era mezzo addormentato, seduto su una sedia e la faccia in avanti, che dondolava. Aveva passato la notte a provare il pezzo di una canzone che non gli veniva particolarmente bene, ed era arrivato a lavoro stravolto.
Zayn invece faceva lo strampalato, sorridendo al telefonino. Stava messaggiando con Perrie, era evidente: solo lei gli faceva questo effetto.
E poi c’eravamo Niall, Louis e me, coricato comodamente in una fila di sedie attaccate alla parete con le cosce di Louis a farmi da cuscino, che prendevamo in giro Liam e Zayn, così immersi in ciò che stavano facendo da non accorgersi delle nostre parole.
Ad un tratto, la porta dell’ascensore, che era proprio davanti a noi, si aprì, e automaticamente tutti e cinque smettemmo di far quel che stavamo facendo e fissammo tutti l’ascensore.
Ne uscì una biondina, dai capelli a caschetto e occhiali da sole molto scuri e grandi, che le coprivano almeno metà viso.
Era magra, indossava chiodo e jeans e calzava un paio di stivali alti. Si diresse direttamente verso l’ufficio di Paul, e tutti la guardammo passare.
Io mi misi seduto, e non potei fare a meno di guardare il suo sedere. Se non ci fosse stato Louis, molto probabilmente le sarei corso dietro per riuscirle a strappare un appuntamento.
«Bel sedere» commentò Zayn in un bisbiglio, a voce un po’ troppo alta. Infatti, la bionda lo sentì, e si girò per fulminarlo con lo sguardo.
O almeno, credei  che lo avesse fatto. In realtà gli occhiali erano troppo scuri per riuscire a vederne gli occhi.
«Idiota» sbottò con tono seccato, per poi proseguire il cammino e svanire nel corridoio.
«“Bel sedere”?! Zayn, hai davvero detto “bel sedere” alla biondina? Devo informare Perrie dell’accaduto?» lo minacciò Louis ridendo. Zayn sbiancò.
«Non ci provare nemmeno. E poi, dai, ammettetelo anche  voi che aveva un sedere da Dio!» esclamò Zayn. Io mi ricoricai annuendo.
«Sì, era un bel sedere. Ma anche quello di Perrie non è male, anzi» acconsentii. Louis mi diede uno schiaffo, incrociando le braccia al petto indispettito.
«Non me lo aspettavo da te, Harry. Noi due abbiamo chiuso» dichiarò, fingendosi terribilmente offeso. Io scoppiai a ridere.
«Ma il tuo è il migliore di tutti, Lou» aggiunsi, e lui sfoderò un sorriso.
«Così sì che mi piaci, Styles» gongolò, stritolandomi le guance.






Bussai alla porta, guardandomi le nocche coperte dal guanto di pelle nera. Dietro quel trucco pesante, quella stupida parrucca, quell’abbigliamento dark, io ero semplicemente ansiosa del mio nuovo lavoro.
E anche un po’ infastidita per il commento di quel tipo dai tratti orientali, ma fa niente. Chiunque fosse, non mi riguardava.
«Chi è?» tuonò una voce dall’altra parte della porta.
«Jane Wright» dissi al legno scuro e lucido.
«Prego, entri, la porta è aperta» disse in un tono più gentile la stessa voce.
Cercai di sfoderare il mio miglior sorriso ed entrai, togliendomi gli occhiali. L’ultima cosa che volevo era farmi prendere per maleducata.
Un signore sulla cinquantina stava seduto dietro una scrivania elegante, raffinata, di legno pregiato e piena zeppa di... confusione. Libri. Carte. Documenti. Agende. Fascicoli. Computer. Stampante. Penne. Di tutto, insomma.
«Buongiorno» dissi sorridendo.
«Buongiorno anche a lei. Si accomodi pure» mi invitò con un sorriso gentile.
Mi sedetti sulla poltrona di pelle morbida e comoda. Incrociai le gambe e lo fissai, pronta a studiare ogni suo movimento, a scannerizzare ogni sua parola, a captare ogni minimo messaggio nascosto.
«Lei sa perché è qui?» mi chiese il signore.
Ma certo che no pensai lei mi ha forse fatto dire qualcosa? No, quindi smetta di accampare domande retoriche.
Mi limitai a scuotere la testa.
«Lei è qui perché ho un lavoro molto... proficuo da offrirle. So che potrà sembrarle una cosa... strana, anormale, ma il suo compenso è buono e la cifra non è da sottovalutare. Non conosco le sue capacità di attrice, ma spero che siano... soddisfacenti, ecco, che siano all’altezza del lavoro che sto da offrirle» cominciò a dire, fissandomi attentamente.
Perché doveva sempre fermarsi a metà frase per trovare la parola giusta da usare, perdendo il doppio del tempo? Perché doveva poi sottolineare la parola trovata in modo buffo? Conclusi che non lo sopportavo proprio.
«E il lavoro sarebbe...?» tentai di velocizzare io, perché non avevo davvero voglia di sentire un signore logorroico che gira intorno alla questione senza mai centrare il nocciolo di ciò.
«Con calma, signorina Wright, con calma. Chi va piano, va sano e va lontano» recitò.
«Ha perfettamente ragione, ma chi ha tempo non perdi tempo» ribattei a tono. Non mi faccio mettere i piedi in testa da nessuno, io.
L’uomo sorrise, divertito. Forse perché è davvero molto divertente vedere una ragazza che ribatte alle sue affermazioni. Uh, non ho mai visto niente di più divertente. Voi non avete mai riso di gusto quando una ragazza ribatte? No? E perché mai? È la cosa più divertente del mondo. Bah, che esseri strani che siete.
«Certo, credevo che il mio “rendersi irriconoscibile” significasse qualcosa di più di paio di occhiali da sole» sviò lui il discorso, focalizzandosi su altro.
Sperai che fosse uno scherzo. Insomma, nessuno che sta per offrire un lavoro si mette a guardare gli occhiali da sole.
A meno che il mio lavoro non fosse rendere irriconoscibili i vari artisti della Sony Music. Ma non credo che avrebbero chiamato un’attrice, in quel caso.
Non risposi, non lo contraddissi. Semplicemente mi levai la parrucca bionda liberando i miei numerosi capelli biondo ambra. Le ciocche mosse, vaporose, mi danzarono attorno al volto finalmente libere.
Fui certa di averlo colpito. Bastava studiare anche abbastanza velocemente il suo viso: l’espressione di stupore, benché nascosta da quella che voleva essere uno sguardo annoiato, riusciva a far capolino.
«Ammetto di essermi sbagliato» sussurrò. Wow. L’avevo fatto diventare un tipo di poche parole. Sono grondante, oh sì.
«Io prendo sul serio il mio lavoro» dissi fredda. Non sopportavo del modo più assoluto che qualcuno mi sottovalutasse.
«Beh, credo che lei risponda a tutti i... requisiti che stavo cercando, eccetto l’ultimo» continuò, guardandomi attentamente.
«Ah sì? E quale?». Sollevai un sopracciglio, scazzata. Che cazzo voleva dire? Che fottuto requisito non avevo?
«Lei fa trapelare le sue emozioni in modo... spontaneo. È come se non riuscisse a controllarle. E una brava attrice non può permettere che le proprie emozioni siano così...altamente leggibili» mi informò.
Serrai la mascella, infastidita. Ma che razza di pensiero stupito si era permesso di pensare? Un’attrice può essere espressiva anche quando non recita!
«Le assicuro che posso essere espressiva e allo stesso tempo una brava attrice. E poi, se dubitava della mia professionalità, perché ha scelto proprio me?» ribadii. Lui rise.
«Ma cara, credi davvero che ti abbia scelto io? E secondo che criterio? Ti ha scelto il tuo vero datore di lavoro. Ed è stata fortuna. Semplice fortuna. Poteva prendere un’altra pagina, puntare il dito da un’altra parte. Eppure, il caso ha voluto che quella immagine di due centimetri per due fosse la tua foto» rivelò.
Il brusco passaggio dal ‘lei’ al ‘tu’ mi lascia stordita per qualche attimo, così come il contenuto della sua rivelazione.
Non mi avevano scelto perché mi hanno notata. Non mi avevano scelto perché ero stata brava, perché me lo ero meritato.
Mi avevano scelto perché delle dita avevano preso una qualsiasi pagina e avevano puntato casualmente la mia foto. Io non ero lì perché mi ero saputa creare un varco, ero lì perché la fortuna lo aveva creato per me.
Fui consapevole del fatto che dovevo rallegrarmi. Insomma, era stato tutto una terribile ed enorme botta di culo. Eppure, volevo arrivare da qualche parte con le mie gambe, da sola.
«Capisco» mormorai. Il mio volto era rimasto impassibile, nessuna emozione aveva attraversato il mio viso, stavolta. Né delusione, né rabbia. Sperai che adesso l’uomo sarebbe stato contento.
«Ora può... gentilmente dirmi di che lavoro si tratta?» domandai, fissando un punto qualsiasi della stanza.
Pensavo solo ad una cosa: se mi avevano scelta a caso, che razza di lavoro mi avrebbero offerto? Qualcosa di insignificante, naturalmente. Nessuno sceglie un’attrice per un ruolo importante facendo la conta.
«Naturalmente» disse questa volta l’uomo, serio. Poggiò le braccia al tavolo, stringendo le mani. Sembrava quasi stesse pregando, e forse in un’altra situazione ci avrei riso sopra. Ma non in quel momento.
Si piegò un po’ sopra la scrivania, verso di me, avvicinandosi ulteriormente, come se mi stesse per dire qualcosa di confidenziale, in gran segreto.
«Lei è la nostra ancora di salvezza, signorina Jane Wright. È il punto centrale del nostro piano difensivo, la pedina che può fare la mossa giusta nella nostra partita di scacchi. Lei è stata scelta da Harry Styles degli One Direction per recitare un ruolo molto importante della sua vita: la sua ragazza. Senza di lei, l’idea dell’omosessualità sua e Louis potrebbe propagarsi, le fans diminuire e la carriera della band crollare» disse, guardandomi negli occhi.
Sentii come se tutta la responsabilità stesse ricadendo improvvisamente sulle mie spalle, come qualcosa di fisico.
«Ed Harry Styles non può semplicemente trovarsi una ragazza vera? Non risparmiereste in questo modo tutti quei soldi che avete intensione di darmi?» chiesi. Il silenzio dell’uomo mi fece lentamente mutare espressione.
No, non può pensai, leggendo l’espressione del viso dell’uomo che avevo davanti. Non può perché lui...
«È davvero gay» risposi in un sussurro, stritolando gli occhiali da sole tra le mie mani. «Harry Styles è davvero gay e sta davvero con Louis Tomlinson».
Improvvisamente, mi ritornarono in mente i cinque ragazzi nella sala d’aspetto, il modo in cui Harry Styles era coricato con le gambe di Louis come cuscino.
Lo scherzare che avevo sentito quando, fuori dalla loro vista, mi accingevo ad entrare nell’ufficio di quell’uomo.
Quel ragazzo è gay pensai, e quella frase prese a rimbombarmi in testa, come uno strano gioco di echi e rimbombi.
Gay.
Qualcosa, non so cosa, si ruppe dentro di me.


 

Nila’s Corner

“Hello guys, welcome back to...” questa storia che molto probabilmente avrete abbandonato poiché l’autrice (ovvero io) è stata così impegnata da aggiornare dopo un lustro. Scusate T.T
Il fatto è che non ho avuto un attimo di tempo libero in cui sedermi, aprire una benedetta pagina Word e scrivere! Cristo santo, che giornate piene di compiti! Tra poco mi escono anche dal culo.
Ho capito che ho sbagliato, scrivendomi allo scientifico. Ho improvvisamente scoperto che la ragioneria era la scuola più adatta a me. Va beh, forse no. Ma sono stufa di studiare e studiare, e siamo solo al primo mese di scuola! HELP!!! *Arriva Louis con la maglietta di SUPERMAAAN!*
Spero di riuscirmi a ritagliare uno spazio di tempo ogni settimana circa, per potermi dedicare alla scrittura.
In realtà, scrivere non mi è mancato un granché, perché la mia prof di italiano non fa altro che lasciare storie da inventare, finali da riscrivere, miti di cui cambiare il punto di vista, narrazioni da scrivere ambientando tutto ai giorni nostri... MA MI SIETE MANCATI VOI, e le vostre recensioni dolciose :3
Ho deciso che continuerò questa storia per ora, e non “Irresistible”, perché questa mi ispira di più e... non so bene gli altri motivi. Forse perché è più ‘innovativa’. O perché è così e basta.
Purtroppo, ho trovato il tempo per far il banner. Ma cavolo, ne ho fatti a centinaia e fanno tutti schifo! Ero quasi tentata di sceglierne uno a caso e postarvelo, ma ho deciso che invece prima tenterò di migliorare in grafica, e poi ci farò un pensierino.
RINGRAZIATEMI. Dopo aver trovato finalmente il tempo di scrivere, sto postando nonostante in tv ci sia “Provaci ancora prof 5”. Lodatemi.
No, scherzo, è un piacere pubblicare capitoli :)
Passando al contenuto, so di essere stata un po’ ‘stretta’ rispetto ai capitoli che di solito scrivevo in Lightweight, e magari è anche più noioso. Ma questa storia per partire ha bisogno di una spinta in più, di un tempo maggiore, di più capitoli insomma. E poi, morivo dalla voglia di lasciarvi in sospeso :D
Ve gusta Jane? O ve desgusta? Ed Harry e Lou? O dovrei dire Larry? Scateno la terza guerra mondiale se vi chiedo cosa ne pensate? Suggerimento: per non cominciare litigi, non leggete le recensioni degli altri.
Anche se non mi aspetto molte recensioni. Insomma, la mia prima storia per ‘decollare’ un po’ ha dovuto aspettare una decina e più di capitoli. Pensa adesso che ho abbandonato tutto per quasi un mese.
Va beh, vi lascio. Prometto di continuare presto, e sperate in un banner decente,

Bye xxxxx

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Capitolo 3
*** Capitolo 2- Disappointed ***


*Ho il banner, fuck yeah. Vi piace? A me non tanto, ma è quello che mi è venuto meglio, accontentatevi. Peace&Love*

Capitolo 2 - Disappointed





Fu come se dallo stupore mi fosse sfuggito il cuore dalle mani e si fosse frantumato a terra in mille pezzi, come vetro.
Provai come un’enorme delusione farsi largo nel mio petto. Non sapevo darmi un perché alla mia reazione sconsiderata, alla sensazione martellante che provavo.
Forse perché, anche se avevo sentito le loro canzoni solo alla radio, e visto le loro foto solo sui giornali, avevo sempre etichettato Harry come il mio ‘preferito’, il mio ragazzo ideale.
Cavolo, ricordavo perfettamente tutte le fans urlanti e piangenti che gli correvano dietro e che snobbavo.
Che avrebbero pensato se avessero saputo ciò che sapevo io? Cosa avrebbero pensato al mio posto?
Forse le mie stesse cose. Insomma, so che non è giusto discriminare i gay, che non si deve essere omofobi e tutto il resto, ma sapere che la tua ragione di vita è gay equivale più o meno ad una padellata in faccia!
Improvvisamente, capii perché mi avevano chiamato, perché io ero di fondamentale importanza: ero un modo per spinger questo pensiero via dalla mente delle directioner.
Fui attenta anche stavolta a non mostrarmi delusa, o triste, o provata in alcun modo. Rimasi impassibile, come se stessi ragionando sull’offerta di lavoro e non sul motivo di questa offerta.
«Allora?» chiese l’uomo, strappandomi dai miei pensieri e riportandomi alla realtà. Distolsi lo sguardo da un libro sulla scrivania e lo poggiai sul suo volto.
«Cosa?» domandai confusa, cadendo dalle nuvole.
«Accetta questo lavoro?» mi disse.
Non ebbi bisogno di pensarci. Cazzo, quello che mi stava accadendo era più di una semplice botta di culo: essere la fidanzata (anche finta) di un personaggio famoso come Harry Styles ti apre mille porte!
«Naturalmente» risposi, così velocemente che l’uomo rise.
Sapeva ciò che stavo pensando, e sapeva che se avessi rifiutato quel lavoro difficilmente sarei riuscita a farmi una carriera come attrice. Opportunità del genere non piovono dal cielo tutti i giorni.
Improvvisamente, l’uomo davanti a me, in carne e semi-antipatico (alcune volte è divertente, lo ammetto), sembrò ricordarsi di qualcosa.
«Comunque, io mi chiamo Paul» fece tendendomi la mano. Io sollevai entrambe le sopracciglia e ricambiai la stretta. Ci pensava solo adesso a presentarsi, dopo mezz’ora di colloquio?
«Il mio nome lo sa già» ribattei senza accennare ad un sorriso. Paul annuì, poi corse con lo sguardo tutta la stanza, per poi tornare su di me.
«Ovviamente, devo fare un’ultima...prova su di lei prima di assumerla. Come dicevo prima, non so quali siano le sue capacità di attrice, perciò sono dovuto a farle un piccolo test per... metterla alla prova» continuò lui.
Stavolta fui io ad annuire, perché la sua pensata mi sembrava giusta. Insomma, il miglior modo di sapere come recitavo era vedere come recitavo.
«Ovviamente» ripetei, stile eco al contrario, che invece di ripetere le ultime parole ripete la prima.
«Adesso farò entrare Harry Styles. Si mostri a lui come una fan accanita, cerchi di mangiarlo con gli occhi, di assaltarlo, di sembrare anche un po’ pazza, magari con qualche crollo di nervi: insomma, hai la fortuna di trovarti di fronte al tuo idolo, devi avere qualche comportamento da fan sfegatata» mi spiegò Paul.
Annuì nuovamente. «Okay».
«Pronta?»
«Pronta.»





Jessica venne verso di noi con aria seccata. Era da un po’ che la studiavo, ed avevo capito una cosa su di lei: non sorrideva neanche se la pagavi. Cioè, forse se la pagavi sì, perché era un’immensa taccagna.
«Harry, Paul ti vuole vedere» disse con voce atona.
«A me?» chiesi deglutendo. Cazzo. E adesso che voleva?
«No, dicevo a Daniel» rispose Jessica in modo sarcastico. Daniel? Che cazz...?
«Daniel?» domandai girandomi intorno, non capendo. «Chi è ‘sto Daniel?». Lei si mise una mano in fronte, scuotendo la testa, come per dire che ero un caso perso.
«Radcliffe, Daniel Radcliffe. Sai, Harry Potter?» spiegò.
«Ah» fu l’unica cosa che dissi. Non era per niente divertente. E sicuramente lo pensavano anche Louis, Niall, Liam e Zayn, perché guardavano Jessica con aria interrogativa.
Sospirai,  alzandomi e facendo cenno di addio agli altri, come se stessi per partire per la guerra, e mi avviai con passo funebre verso l’ufficio di Paul. E adesso cosa voleva? Appiopparmi, che ne so, una cugina finta?
«Posso entrare, Paul?» chiesi senza bussare. Un grugnito dall’altra parte mi suggerì la risposta affermativa.
Aprii la porta, e, ancor prima di entrare, mi fermai un attimo a vedere l’intera stanza. Ma, anziché studiare la stanza, mi concentrai sull’‘oggetto estraneo’ del luogo: una ragazza, bellissima, meravigliosa.
I nostri sguardi si incrociarono per qualche secondo. Io la studiai per bene, mentre lei... molto probabilmente mi stava riconoscendo.
Poi si aprì in un sorriso meraviglioso, stupendo e luminoso, mostrando due file di denti bianchi e perfetti. Gli occhi, di un blu intenso, brillarono e si fecero lucidi.
«Oh...mio...Dio» mormorò, spalancando occhi e bocca.
Io feci un passo, entrando nella stanza e sondando bene il terreno. Paul era seduto dietro la sua scrivania, in disordine come al solito. Una borsa e un chiodo erano poggiati sulla poltrona più vicina alla ragazza.
Mi girai per chiudere la porta, e quando mi voltai di nuovo, pronto per presentarmi alla ragazze e andare a sedermi nella poltrona libera, mi ritrovai invece sommerso da un fulmine biondo ambrato. Delle braccia mi circondarono e mi tennero stretto, quasi stritolandomi e mozzandomi il fiato.
Dopo pochi secondi realizzai che la ragazza mi stava abbracciando. Cercai di ricambiare l’abbraccio, ma, incatenato com’ero, potei fare ben poco.
«Oh mio Dio, OH MIO DIO!» continuava a mormorare la ragazza.
Poi si staccò, e mi fissò, mettendo le mani dietro la propria schiena. Questo gesto le conferì un’aria innocente.
In quel modo dimostrava qualcosa come 16, 17 anni al massimo, ma ero certo che ne avesse di più: sicuramente era già maggiorenne.
Studiai il suo viso da vicino, e lo vidi solcato da lacrime silenziose. Stava piangendo. E mi aveva abbracciato. Feci due più due: era sicuramente una fan.
«Ciao» dissi lentamente, sollevando una mano e agitandola. Sembrava che fossi un ritardato mentale, o che credessi che lo fosse lei.
«Ciao, Harry. Come stai?» mi chiese, asciugandosi le lacrime e continuando a sorridermi. Mi sembrò... adorabile.
E captai qualcosa di familiare in lei. Come se l’avessi già vista, una volta. Non bene, sicuramente. Di sfuggita, forse. Molto probabilmente ad un concerto.
«Bene, e tu? Come ti chiami?» domandai, cercando di essere il più gentile possibile.
Allargò il sorriso. La mia domanda, il mio interesse, la stavano rendendo ancora più felice, se possibile.
«Benissimo, adesso. Io sono Jane, e ti amo con tutto il cuore! Ti seguo dai tempi di X-Factor, da quando ho visto i tuoi provini, e ti giuro che ho votato te e i ragazzi settimana dopo settimana! Ed ho tutti i vostri album, e singoli, ed ho la vostra maglietta, il vostro Dvd, la camera tappezzata di poster, ed ho visto il vostro film! Non sai come sono felice di averti incontrato, di averti parlato, anche se per pochissimo tempo! Era il mio sogno da tre anni e vederlo realizzato...» cominciò a parlare a ruota. Io mantenni il mio sorriso, cercando di seguire le sue parole.
Le circondai la vita con un braccio, cosa che la fece sussultare, per poi sedermi sulla poltrona e trascinarmi anche lei, che feci accomodare sopra di me.
I suoi occhi brillavano, emozionati, e sembravano così belli. La sua felicità, i suoi movimenti un po’ nervosi, le pause che faceva di tanto in tanto per guardarmi sottecchi, come per assicurarsi che ascoltavo, tutto la faceva apparire sempre più bella e luminosa. Sembrava splendere come una stella in cielo.
Poi i suoi occhi si rifecero lucidi. Cercai di captare le sue parole e di fare più attenzione, anche se non riuscivo a smettere di pensare a cosa ci facesse una fan nello studio di Paul.
«Devo svelarti che, anche se amo tutti voi, tu hai un posto speciale del mio cuore. E il tuo solo braccio intorno alla mia vita mi fa sentire la persona più felice del mondo!» ed emise un piccolo singhiozzo.
Mi sarebbe venuto voglia di baciarla, solo per farla smettere di piangere e di vedere un altro suo bellissimo sorriso.
Con la coda dell’occhio vidi Paul che ci studiava per bene e che annuiva ripetutamente e lentamente, come ad approvazione di qualcosa. Forse del mio comportamento ideale con la ragazza.
«Va bene, Jane, sei stata fantastica» disse ad un tratto, e Jane si voltò a guardarlo, interrompendosi e diventando d’un tratto seria. «Il ruolo è tuo» aggiunse. Io li guardai confuso. Ruolo? Ma di cosa stavano parlando? Poi si rivolse a me.
«Harry, ti presento Jane Wright, la tua nuova ragazza. Come hai potuto vedere, è un’attrice bravissima» la presentò Paul.
Corrugai la fronte per qualche istante, mentre il mio cervello lavorava per carpire il significato di quella frase. Finché non ci arrivai.
Jane Wright.
Jane Wright.
Jane Wright.

La mia nuova ragazza.
La mia nuova ragazza.
La mia nuova ragazza.

Un’attrice bravissima.
Un’attrice bravissima.
Un’attrice.

E alla fine realizzai. Jane era l’attrice che avrebbe interpretato la mia ragazza, ed aveva solo finto di essere mia fan. Aveva mentito. Aveva recitato.
La ragazza bellissima, adorabile, che mi ha fatto quasi dubitare della mia omosessualità, in realtà stava solo recitando per passare una specie di esame.
Ed ecco perché mi sembrava di averla già vista: ero stato io ad indicarla nell’album fotografica, guardando appena, di sfuggita, la sua fotografia.
Mi sentii disgustato, usato, arrabbiato, furioso. Deluso. Perché, conclusi, la Jane che mi aveva fatto sorridere non era la vera Jane.






Potevo vedere benissimo i vari sentimenti che provava passare attraverso il suo volto. Dalla rabbia al disgusto. Fino al fermarsi in uno stato di delusione. La stessa che avevo provato io. Perché una persona che lui aveva creduto fosse in un modo, in realtà non lo era.
Mi sentii quasi rallegrata da ciò, perché, in qualche modo, avevo avuto la mia vendetta: gli avevo fatto provare ciò che lui aveva fatto provare a me. Era brutto scoprire che una persona era diversa da come te l’eri aspettata.
«Così tu sei Jane Wright» disse, cercando di essere freddo, distaccato, di marcare in qualche modo il confine tra noi due.
Mi alzai dalle sue gambe, annuendo e porgendogli la mano, che strinse ostentando indifferenza.
«E dovevi per forza farci conoscere in questo modo?» chiese, rivolto a Paul, come se io non esistessi.
Mi sedetti nella mia sedia, e per capriccio mi rimisi occhiali da sole, parrucca e chiodo. Quando si girò di nuovo verso di me, per guardarmi, sussultò.
«Quindi eri tu...» mormorò a voce tanto bassa che non giunse neanche alle mie orecchie, ma che lessi nelle sue labbra. Paul, che non lo aveva visto né sentito, rispose alla domanda precedente.
«Dovevo sfruttare questa occasione per vedere le sue capacità. Che lodo, peraltro» disse, mettendosi a cercare tra le scartoffie del tavolo.
«Jane cara, avevo già fatto fare una bozza del contratto, in modo che tu avessi modo di leggerla e studiarla con tutto il tempo che vuoi. Il ‘calendario’, o copione, ti sarà fornito di volta in volta e lì troverai tutto quel che dovrai fare, dove dovrai andare, che dovrai dire, come ti dovrai comportare. Naturalmente, con questo contratto metti a disposizione tutto il tuo tempo, con un compenso costante, e cospicuo, ogni mese» cominciò a spiegare continuando la sua ricerca, finché che non lo trovò e me lo porse.
Mi presi del tempo per dargli una leggera lettura. Avrei avuto tempo di analizzarlo a casa, e magari di portarlo da Andrew, un mio amico avvocato.
«Qui c’è scritto ‘a tempo indeterminato’» osservai, girando pagina.
«Naturalmente. Decideremo in seguito quanto durerà la vostra relazione, a seconda di come va la situazione» fece Paul.
«Bene» dissi, osservando Harry, che fissava il muro davanti a sé. Potevo benissimo immaginare cosa stava pensando: si sentiva, un po’ come me, usato. Ma era questo il mondo dello spettacolo.



Nila’s Corner

Ciao beleeee! :D Come va, tutto bene? Per me sì, a parte i compiti che rompono un po’. Udite udite, mi è tornata l’ispirazione. LOL.
Infatti, posso dire che il capitolo è decente, come il banner. Non è il massimo, ma per secondo capitolo, dove ancora la storia non si è formata, va bene.
Ecco qui che si va via via definendo Jane e il suo carattere. L’ho amata particolarmente nella parte in cui fa la fan, e mi sono amata nel scriverla.
Naturalmente, Harry rimane disappointed nel scoprire che Jane non è la persona adorabile che credeva ma, ai suoi occhi, una cinica calcolatrice che è pronta a mentire all’intera umanità.
Nel prossimo capitolo scriverò del loro ‘primo incontro’, ovvero la prima volta in cui cominciano la ‘recita’.
Come vedete, patatine(?) mie, ho cercato di aggiornare in fretta e sono riuscita a finire in dieci minuti (DIECI MINUTI, non si scherza) la fisica, per poi dedicarmi alla scrittura e revisione del capitolo. Piccola parentesi: odio la fisica, e sapere che dovrò studiarla per cinque anni mi distrugge.
Ho dovuto riscrivere il mito di Narciso raccontato dal punto di vista di Liliope (la madre) per la scuola, e l’ho letto a mia sorella maggiore per avere un parere. Le è piaciuto e ha detto che scrivo molto bene.
Ero tentata di farle leggere le mie fan fiction ma poi ho pensato che avrebbe cambiato idea sulla sua “piccola, innocente ed educata sorellina”, visto che contengono parolacce (a casa non ne dico mai, ovvio) e anche riferimenti a sesso. La shockerebbero, poverina, e io non voglio traumatizzarla, o fare in modo che mi veda in modo diverso.
Comunque, se volete, magari pubblico il mio “Narciso” su efp, così magari ci date un’occhiata :)
Ora devo andare, fragoline, a presto

Bye xoxo

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Meet you ***





Capitolo 3 - Meet you





Battevo nervosamente le dita sul tavolo davanti lo specchio, nel mio camerino, dietro le quinte del circo.
Il rumore da esse provocato infastidiva anche me, ma le mie dita sembravano disporre di una volontà propria, poiché continuavano imperturbate la loro attività disturbante.
Le mie gambe erano incrociate, ma la gamba destra, messa sopra l’altra, si muoveva su e giù facendo traballare in questo modo anche l’altra gamba. Anche in questo caso, non sembravo essere io al controllo del movimento.
Mi sistemai nella sedia, correggendo la schiena e raddrizzando le spalle. Continuando il rumoroso movimento con la mano sinistra, mi portai la destra sotto il mento e poggiai il gomito al tavolo, sostenendomi la testa.
Poiché la mano sinistra si stancò in fretta di battere, scambiai la posizione, appoggiandomi alla mano sinistra e battendo sul tavolo le unghie della mano destra.
La velocità dei miei movimenti aumentò in modo esasperante. La gamba e la mano mi chiesero pietà, esauste da quel movimento continuo.
Sospirai, e cambiai anche le gambe, mettendo la sinistra sopra. Mossi la testa di scatto, controllando che la stanza fosse vuota, e lo era.
Cominciai a sbattere il piede per terra, finché non realizzai di averne abbastanza. Mi accasciai sul tavolo, poggiando il viso alle braccia, distrutta psicologicamente.
Nervosa. Ero semplicemente, terribilmente, mostruosamente nervosa. Non lo ero mai stata in questo modo.
Tra qualche minuto, lo spettacolo sarebbe iniziato e la seconda esibizione ero io. Ma questo non era la causa del mio nervosismo: mi ero allenata costantemente, avevo ripetuto quello spettacolo milioni di volte, lo sapevo fare anche ad occhi chiusi ormai.
Io ero nata nel circo, ero cresciuta nel circo, e ci sarei anche morta se non fosse stato per il lavoro che avevo trovato! La causa del mio nervosismo non poteva quindi essere legata a questo, assolutamente.
Allora, cosa c’era di diverso da tutti gli altri spettacoli? La risposta venne sola, spontanea e veloce, automatica: Harry. Già. In questo, ci sarebbero stati i suoi occhi a fissarmi, tra il pubblico. Mi avrebbero studiata, mi avrebbero giudicata.
Avevamo avuto poco modo di parlare, noi due. Dopo il nostro primo incontro, Harry era sempre rimasto freddo, sulle sue, e sospettavo che ciò avesse a che fare con la mia piccola recita-test.
Quelle due o tre volte in cui mi ero recata ancora una volta a Londra, lui era stato attento a non farsi vedere o a farsi intravedere mentre usciva, o mentre tornava correndo verso la sala prove con un caffè in mano. Il tempo di captare il suo veloce saluto, ed era già sparito dietro l’angolo.
Ma da oggi, si iniziava. Oggi era il gran giorno, dove noi due ci saremmo conosciuti realmente, il giorno che avremmo ricordato quando i giornalisti ci avrebbero chiesto come ci fossimo conosciuti.
Oggi era il giorno segnato con una bella X rossa nel mio calendario. Oggi era il primo giorno in cui io venivo pagata per farmi vedere con Harry, quindi era il mio primo giorno di lavoro.
Per far sembrare tutto normale e regolare alle fans, e per non farle venire alcun sospetto, gli One Direction quella stessa mattina avevano avuto un servizio fotografico a Liverpool, dove adesso si trovava il circo.
Finito il servizio, mentre gli altri quattro ragazzi avevano deciso di andare al cinema o di uscire con le proprie ragazze, Harry aveva quotato per il circo.
Una scelta normale, innocente, insospettabile. Nessuna fan in vena di far previsione avrebbe mai pensato che Harry avrebbe conosciuto uno dei suoi ‘grandi amore’ (sì, ma per le telecamere) ad un circo.
Ad un tratto, qualcuno mi diede due leggeri colpi alla spalla destra. Sussultai, spaventata, ed alzai la testa per guardare allo specchio chi mi aveva riportato alla realtà.
«Su, Jane, tra cinque minuti è il tuo turno» mi informò Ginevra, la figlia del titolare del circo. Io annuii, alzandomi.
Trascorsi gli ultimi minuti ad andare avanti e indietro per lo stretto spazio dietro il sipario, finché non vidi i due giocolieri uscire di scena.
Un segnale acustico nel mio auricolare mi disse che era il mio momento, così dopo un sospiro uscii allo scoperto.
Ringraziai mentalmente il momento di oscurità che lo spettacolo prevedeva: nessuno avrebbe così visto le mie gambe tremanti.
Afferrai il nastro spesso scendere dall’alto, e mi circondai la vita e una gamba. Con una mano lo afferrai, e fui pronta all’inizio dello spettacolo.
Fui pronta ai riflettori puntati su di me, ai mille occhi di un pubblico attento. Fui pronta a librarmi in aria e cominciare le mie capriole, a sentirmi libera, per quei pochi minuti.
Fui pronta a mostrarmi ad Harry, per cominciare il mio nuovo lavoro.





Anche se le luci erano spente, riuscivo a captare dei movimenti nell’arena sotto di me. Avevo guardato i giocolieri fare numeri stupidi e noiosi. Adesso a chi sarebbe toccato? All’equilibrista? Ai leoni e alle tigri?
Quando un singolo riflettore si accese, ci misi qualche attimo a distinguere ciò che illuminava. Sbattei le palpebre parecchie volte, poi la distinsi per bene.
Era Jane, splendida nel suo tutù blu brillante, intenso, come i suoi occhi. Riuscivo a vedere la marea di brillantini che luccicava tutta la sua pelle, rendendola quassi un essere ultraterreno.
I capelli ambrati che io avevo visto esclusivamente sciolti, adesso erano raccolti in una specie di chignon: dico ‘specie’ perché in realtà sembravano raggruppati sì sulla testa, ma non coglievo elastico, o molletta che tenesse in piedi l’acconciatura.
Sembrava che quella fosse la loro posizione naturale. Oppure aveva usato venti bombolette di lacca inquinando l’atmosfera in modo irreparabile.
La vidi aggrapparsi bene al nastro che pendeva dal soffitto, e, mentre una leggera e dolce musica iniziava, il nastro la portava su dolcemente.
Poi cominciò a fare piroette, capriole, acrobazie in aria, tenendomi col fiato sospeso. E se fosse caduta? Ero davvero preoccupato per lei.
Una cosa che non avevo captato subito era le leggere ali blu che sbucavano dalla sua schiena. Non di di fata, ridicole, ma ali d’angelo.
E mentre si contorceva in cielo a ritmo di musica, la mia preoccupazione di trasformò in ammirazione per quella creatura celeste.
Lo spettacolo finì troppo presto. Volevo rimanere ad ammirarla per sempre, ero rimasto affascinato dalle sue acrobazie!
E pensare che quello era uno degli ultimi spettacoli. Già. Secondo il ‘copione’, neanche un mese dopo le sarebbe stato offerto un lavoro nel mondo dello spettacolo.
Non sapeva che tipo di lavoro, ancora non era stato deciso. Ma era certamente qualcosa che l’avrebbe strappata via dal circo.
D’altronde, era questo che lei voleva, ciò che aveva sempre desiderato. Mi chiesi se fosse davvero consapevole di come agli occhi del pubblico sembrava essere nata per fare quel lavoro.
Mentre usciva ed entrava uno stupido clown, mi alzai. Non potevo resistere per un’altra ora a vedere quello scempio, doveva andare da lei in quel preciso istante.
Se ci fossi andato alla fine dello spettacolo, seguendo il copione che Paul mi aveva fornito, avrei avuto appena dieci minuti per stare con lei, per farle i complimenti, poi sarebbe iniziato l’altro spettacolo. E io non volevo solo dieci minuti!
Volevo ore, secoli, solo per rimanere ad ammirarla, ad ascoltarla, a capire come potesse tramutarsi da un essere fastidioso come mi era parsa prima di allora, all’angelo sorridente e terribilmente bello di poco fa.
Corsi attraverso le tribune e poi fuori dal circo, aggirandolo. Dovevo trovarla. Dovevo trovare il punto esatto in cui il telone celava il suo piccolo camerino. E dovevo entrarci.
«Signore, mi scusi!» mi chiamò qualcuno alle mie spalle. Io continuai a camminare, incurante di passare per maleducato.
«Signore, lei non può passare di lì! Se vuole abbandonare lo spettacolo, dall’altra parte c’è un’uscita comoda e consona!» urlò la stessa voce.
Una ragazza, era la voce di una ragazza. Ma non era Jane, quindi non mi importava. Sentii rumori di passi dietro di me: la ragazza mi stava inseguendo.
Rallentai un po’, cercando di captare i rumori che provenivano dall’interno del circo, sperando di sentire la sua voce.
Purtroppo, le urla della ragazza che mi correva dietro (letteralmente) coprivano qualsiasi altro suono. Che fastidio.
Ad un tratto mi sentii tirare dal braccio: avevo rallentato troppo e la ragazza mi aveva raggiunto. Mi girai verso di lei, parecchio infastidito.
«E che cazzo, le ho detto che non può venire qui! Essere una celebrità non l’autorizza a fare ciò che vuole!» sbraitò una biondina vestita da...olandesina?
«No, lei non capisce, io devo...» cominciai, sperando di riuscire a trovare una scusa decente sul perché fossi lì.
«No, tu non devi far niente! Adesso ritorni a vederti lo spettacolo se vuoi, e se non vuoi te ne torni a casa! Ma qui non ci puoi stare» mi interruppe la ragazza.
«Ma io devo vedere un’artista» spiegai, cercando di restare calmo per far calmare lei.
«Per quello c’è tempo, alla fine dello spettacolo potrà farlo tranquillamente» ribatté.
Io la guardai, preoccupato, poi decisi di fare un ultimo atto disperato. Mi ribellai e liberai il braccio dalla sua stretta.
Non avevo neanche iniziato a correre quando lei, furiosa e stufa, mi prese a colpi di... cestino pieno di rose bianche.
Mi riacciuffò mentre cercavo di ripararmi dai suoi colpi, e nei suoi occhi vidi ira sincera. L’avevo fatta arrabbiare sul serio.
«Adesso basta! Ritorna al tuo spettacolo e non fiatare!» ringhiò, prendendomi per i capelli e spingendomi davanti a lei, verso l’entrata del circo.
«Ahi, ahi, PIANO! I capelli sono i miei» cominciai a lamentarmi. Lei sorrise, soddisfatta per avermi in pugno, e continuò a trascinarmi dai capelli.
Arrivati all’entrata, riuscii a vedere con la coda dell’occhio il corridoio che, adiacente a quello per le tribune, portava sicuramente dietro le quinte.
Misi le mani in tasca e presi un paio di stelline, poi le tirai fuori. Mettendole in mano a Ginevra (adesso che la vedevo bene, aveva una collana con quel nome) le rubai una rosa bianca e corsi per quel corridoio, verso Jane.
«Grazie, Ginny!» urlai verso la bionda.
«Idiota» grugnì lei, stringendo le mani a pugno. Risi, divertito e, per un attimo, libero.





«Lei non può entrare qui!».
«Ehi, scusi, ma che ci fa lei qui? Esca!».
«Mascalzone, non si entra in questo modo nei camerini delle signore!».
La confusione fuori dal mio camerino mi mise in allarme. Cosa stava succedendo? Esaminai velocemente i rumori e le grida: qualcuno stava cercando qualcun altro, aprendo le porte di tutti i camerini.
Mi preparai a dirne quattro al ragazzo appena si sarebbe permesso di aprire il mio, quando la porta si aprì e una testa sbucò fuori.
Ricci. Tanti ricci. Due occhioni verdi, espressivi, che mi facevano sciogliere al minimo contatto. E due fossette che sbucarono fuori insieme ad un meraviglioso sorriso. Tutto ciò poteva appartenere ad unica persona: Harry.
«Oh, sei qui» sussurrò, soddisfatto, ed entrò nel camerino chiudendo la porta dietro di sé.
Restai un attimo immobile, perplessa.
Che ci faceva Harry lì, a quel punto dello spettacolo? I nostri accordi non erano quelli: sarebbe dovuto venire alla fine dello spettacolo come un normale spettatore, non stravolgere mezzo circo per trovarmi, mentre lo spettacolo continuava!
Ma mi ripresi in fretta: con quella sua entrata stramba, adesso avevamo certamente tutta l’attenzione addosso.
Immaginai tutte le ragazze con le orecchie puntate verso di noi, e molto probabilmente era ciò che stava davvero accadendo.
«Mi scusi, ma lo spettacolo non è ancora finito. Può venirmi a trovare anche dopo la fine. Così non si perderà la splendida esibizione dei miei colleghi» ribattei, guardandolo negli occhi, con tono piatto e freddo, distaccato.
«Mi dispiace, ma dovevo vederti adesso» mi disse Harry guardandomi negli occhi. Le sue parole suonavano vere. Era un bravo attore.
Mi accorsi in quel momento che nascondeva le mani dietro la schiena. Assunsi un’espressione interrogativa, cercando di comunicargli qualcosa col mio sguardo. D’altronde, le altre potevano anche ascoltare, ma non vedere.
«Oh, è davvero una cosa così urgente?» chiesi, con lo stesso tono di voce di prima.
«Certo» rispose lui.  Poi svelò ciò che nascondeva dietro la schiena: una bellissima rosa bianca, che mi porse.
Sorrisi, sorpresa, e feci anche in modo di colorare le mie guance di rosa. Non tanto per il pubblico (inesistente) ma per lui. Si meritava un mio sorriso. Insomma, la rosa non era sul copione, dovevo ringraziarlo in qualche modo per quel gesto di generosità improvvisa.
«Non ho mai assistito ad uno spettacolo più bello del tuo» mi disse Harry, ristabilendo il contatto visivo coi miei occhi. Cercai di arrossire ancora di più, e presi a balbettare.
«O-oh mio Dio, grazie, non dovevate!» balbettai.
«Suvvia, dammi del tu: insomma, siamo coetanei» fece, arricchendo l’affermazione con un gesto della mano.
«Se lo dici tu» risposi in un soffio.
«Come ti chiami?» mi chiese, interessato. Io abbassai lo sguardo, come se non avessi potuto sostenerlo oltre. In realtà, avrei potuto esser io a far abbassare il suo, ma mi seccava iniziare una stupida gara di sguardi.
«Jane» risposi velocemente. Dopo una pausa, finsi di ricordarmi qualcosa.
«E tu?» gli domandai, azzardando uno sguardo al suo viso.
Lui rise, come se la domanda fosse divertente. E non lo era. Poi, dandomi un’occhiata, capì che non avevo trovato ironia in tutto ciò, così fece un mezzo sorriso, con dolcezza nel suo sguardo. E tenerezza. Ciò che gli provocavo io.
«Davvero non lo sai?» mi chiese, stupito. Mi feci piccola piccola. La mia faccia urlava “Dove ho sbagliato?”.
«No» ammisi, tornando ad ammirare le mie ballerine blu.
«Harry, il mio nome è Harry» fece, porgendomi la mano. La strinsi titubante. Cavolo, stavo per applaudirmi da sola: stavo facendo meravigliosamente il ruolo della timida, come se ci fossero le telecamere a riprendermi!
«Stavo pensando... che ne dici di una passeggiata nel boschetto qui vicino?» propose. Mi illuminai, sorridendo radiosa.
«Dammi solo il tempo di sistemarmi: il tutù è meraviglioso, ma molto scomodo».


 

Nila’s Corner

Eccomi qua, con questo nuovo capitolo jiefhghwj... mi piace troppo! Vi svelo un segreto: l’avevo scritto subito dopo aver pubblicato l’altro, ma mi seccava rileggerlo xD così è rimasto intoccato fino ad’oggi... ma semplicemente perché avevo finito Il canto della rivolta e non sapevo che fare, mettiamolo in chiaro!
No, scherzo, l’ho fatto anche per voi. Dopo quel periodo di silenzio, sto cercando di darvi un capitolo o due a settimana... non sarà il ritmo di uno ogni due giorni come nella mia FF precedente, ma è il massimo che ho da offrirvi e il tempo minimo che mi concede la scuola!
Comunque, mi sono fatta l’account in Pottermore (sono finita in Tassorosso dopo TRE anni che credevo di essere una Corvonero perfetta. Maledetti test fasulli che mi hanno illusa). Così, mi sono prefissa l’obiettivo di andarci un po’ e sbloccare qualche cosina ogni sera, ed ho dovuto sottrarre del tempo ad efp ed alla storia. Sorry
Passando a cose più importanti, vi piace il capitolo? Spero di sì, perché è uno dei miei capitoli preferiti: insomma, dovrebbero essere una coppia di calcolatori, disposti a mentire alle fans per i soldi... e invece non fanno altro che farsi travolgere da sentimenti improvvisi e contrastanti che ognuno fa provare all’altro! Il nervosismo di Jane, l’ammirazione di Harry... tutto lascia intendere che si piacciano, ma il loro primo incontro è stato freddo come il Polo Nord! Cosa succederà nel bosco? I due si avvicineranno, si legheranno sempre di più? O si allontaneranno, con un litigio magari, ridefinendo i propri ruoli? Oppure, peggio delle altre due, si ignoreranno e reciteranno amore, sì, ma con dentro la massima indifferenza? Tutto questo ed altro ancora, dopo la pubblicità, lol
Ora vi lascio... ma che ne dite di scrivere nelle recensioni come vi va la scuola? Tanto per sapere se sono l’unica che già non la sopporta più xD

Bye :)

P.S. Vi scrivo di fretta perchè lo ho appena saputo e sto sclerando... CAZZO MA QUANDO MI PIACCIONO LE TRACCE DI MIDNIGHT MEMORIES????????????????? E a voi???? Che mi dite del nuovo album?

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - In the wood ***





Capitolo 4 - In the wood





La ragazza che si era presentata ai miei occhi, pronta per la passeggiata, era una Jane diversa da quella che conoscevo. Diversa dalla bisbetica di Londra. Diversa dall’angelo sexy del circo. Era un terzo essere, aggraziato, timido, dolce.
Quella ragazza sembrava cambiare ogni istante per trasformarsi in qualcosa di nuovo. La Jane di quel momento era molto simile alla Jane-directioner.
Aveva un vestito lungo, di quelli che non si vedevano più, stile Cenerentola che va al mercato. Anche i capelli, sciolti e raggruppati sulla spalla destra, sapevano molto di ragazza innocente e timida stile Cenerentola.
«Sono pronta» mi disse con un sorriso uscendo dal camerino. Io rimasi qualche istante ad ammirarla, poi ci avviammo verso l’uscita del circo.
Cercai di prenderle la mano per non perderci di vista, ma lei sobbalzò arrossendo e scostò la mano, magari per dare l’impressione di essere timida, o forse perché lo era davvero.
«Eccoci» sussurrai quando uscimmo dal circo e ci avviammo verso i primi alberi. Mi piaceva molto il fatto che il circo fosse stato montato vicino al bosco.
Jane camminava in silenzio accanto a me, con gli occhi fissi sulla strada. Mi accorsi solo allora che aveva ancora la mia rosa tra le mani, e ci giocava nervosamente.
«Sei mai stata qui?» chiesi per rompere il silenzio gelido che era sceso fra di noi.
Dopo la scarica di adrenalina che avevo avuto, quella che mi aveva fatto correre da lei, non sapevo più che fare, o come comportarmi. E lei sembrava non aver voglia di aprir bocca. Risultato: situazione  parecchio imbarazzante.
«Stamattina. Mi serviva un posto silenzioso dove riordinare le idee» mi rispose, senza sollevare lo sguardo da terra.
Va bene il fare la timida, ma questa assenza di contatto visivo mi stava cominciando a seccare. Quando io parlavo, volevo vedere una persona negli occhi!
Eppure, ciò che mi colpì di più fu la sua frase. Un posto silenzioso dove riordinare le idee. Quindi anche lei era un turbinio di pensieri ed emozioni contrastanti, non solo io.
Forse era la situazione, complicata e difficile, a causarci questo. Anche se in realtà la nostra situazione era semplice.
Insomma, tecnicamente avremmo dovuto solo seguire il copione. In pratica, avremmo dovuto anche renderlo vero e arricchirlo di cose nostre e delle nostre idee.
Il silenzio ricadde fra di noi, e stavolta nessuno si prese la briga di scacciarlo via con qualche altra domanda, o affermazione.
Eravamo già dentro il bosco, vicino ad una radura fiorita, quando Jane aprì bocca. Un bisbiglio più simile ad un brontolio, che io riuscii a cogliere ma non a decifrare.
«Cosa?» chiesi, guardandola.
Lei arrossì violentemente, e questa volta mi parve sincera. Forse aveva pensato ad alta voce, o qualcosa del genere.
«Dicevo, che palle» ripeté in un sussurro appena udibile, quasi non muovendo  la bocca. Come se fossimo seguiti da qualcuno. E forse era davvero così.
«Davvero?» domandai, corrucciandomi.
Insomma, anche io mi stavo annoiando, ma non andavo in giro a dire “che palle”. È come se mi avesse detto “sei noioso”. È da maleducati.
«Insomma, dovremmo parlare, ridere, scherzare. Eppure siamo due completi estranei e ci trattiamo con freddezza. Sforzati e recita la parte di quello innamorato appena preso da un colpo di fulmine, è quello che hai fatto credere correndo da me» sbottò, sedendosi nel prato fiorito che riempiva la radura.
«Perché dovrei sforzarmi io? L’attrice sei tu, fai qualcosa che mi possa indurre ad essere spontaneo, invece di far la statua di ghiaccio che sa solo ricordare agli altri quanto si è noiosi» ribattei io, sedendomi accanto a lei e cercando di tenere il tono della mia voce basso.
«Perché io devo svolgere il ruolo della timida. Sei tu che devi sbloccarmi» mi rispose serrando la mascella, contrariata.
Vidi anche un lampo di rabbia passare nei suoi occhi, che però tornarono normali subito dopo. Essendo un’attrice, sapeva controllare i propri sentimenti, o almeno il modo in cui li mostrava all’esterno.
«Beh, non mi viene in mente niente. Quindi cerca di suggerirmi qualcosa» feci irritato. Era tornata la fredda Jane di sempre, era timida solo nella recita. Mi sentii profondamente deluso ed arrabbiato nei suoi confronti.
«No no no no. Così non ci siamo. Smettila di sembrare irritato e fa’ uno di quei sorrisi con cui riesci a far svenire le fans» sibilò.
«Mi viene molto difficile sorridere quando non sono per niente felice» sbottai.
«So che non sei un attore, Harry. E questa recita non ti piacerà nemmeno un po’. Insomma, so che preferiresti passare il tuo tempo con Louis che con me, ma devi passarlo con me, che ti piaccia o no! Quindi fingi che io sia Louis e fammi un dannato sorriso!» mi disse.
Eppure, mentre il suo tono era chiaramente arrabbiato, mi stava regalando un mezzo sorriso timido e degli occhi felici. Aveva ripreso la sua recita.
Sfoderai uno dei miei sorrisi fantastici, e per rendere più ‘intima’ la scena staccai una margherita dal prato e la misi tra i capelli di Jane. Lei ne sembrò soddisfatta.
«Bene, Harry. Adesso ho un altro consiglio da darti: parla di qualcosa che ti rende felice, in modo che sorridere ti venga naturale, e dimentica che io sto recitando, okay? Corteggiami, flirta, o semplicemente raccontami di te. Ma fallo sembrare vero» mi consigliò Jane. Ci pensai qualche istante, cercando nella mia testa qualcosa di divertente.
«Ti ho mai raccontato della volta in cui mi ubriacai così tanto da parlare con un gatto per un’ora?» chiesi ad alta voce, coricandomi sulle sue gambe e guardandola dal basso. Lei rise. Forse era una risata sincera.
«No, ma mi sembra divertente. E dimmi, magari credevi che fossero due gatti invece che uno?».
«Come hai fatto ad indovinare?».
«Sono una fottuta genia».





Alla fine la passeggiata nel bosco non si rivelò un fallimento totale come avevo previsto all’inizio.
Harry prese a parlare di cose divertenti, comportandosi come se fosse stato realmente innamorato, e io finsi di sbloccarmi dallo stato di timidezza iniziale.
Eravamo coricati nello stesso prato da mezz’ora. Io guardavo le nuvole bianche e il cielo sopra di me, Harry invece era coricato di lato a guardarmi, con un braccio che gli sosteneva la testa e l’altro che era impegnato a farmi il solletico nel naso con la rosa bianca.
«Su, smettila, dai» mi lamentai ridendo e dando piccoli schiaffi alla sua mano per allontanare la rosa dalla mia faccia.
«Vedi che stai ridendo, quindi ti piace» ribatté lui con sguardo furbo, continuando.
«Mi fai solo il solletico, scemo» risposi. Visto che i miei schiaffi non servivano a niente, misi la mia mano sulla sua e l’allontanai con una mossa decisa. Sentii una scarica elettrica percorrermi il braccio e poi tutto il corpo.
Spaventata, tolsi la mano dalla sua, mentre lui lasciò cadere la rosa che finì sulla mia pancia. Da quella reazione, ne dedussi che anche lui aveva subito la scossa. Ma... cosa era stato?
Ci guardammo negli occhi, spaventati e titubanti. I nostri occhi chiedevano spiegazioni che nessuno dei due era in grado di dare.
Lentamente, senza un perché preciso, le nostra mani si riavvicinarono. Forse perché volevamo vedere se, toccandoci nuovamente, avremmo riprovato quella scossa.
Le nostra dita si sfiorarono. Pian piano, anche i palmi aderirono e le nostre mani furono del tutto intrecciate. Non venni attraversata dalla corrente elettrica, ma da un leggerissimo brivido. Era così anche per Harry?
«Devo andare, Harry» sussurrai, guardando i suoi meravigliosi occhi verdi, che si fecero confusi alle mie parole.
«Andare?» chiese. Il suo tono era dispiaciuto. Forse anche lui si era divertito, almeno un po’. Sospirai.
«Sì. Io ho un lavoro, ricordi? Ho uno spettacolo da portare a termine» risposi. Lui annuì, senza dire nient’altro, ma lo vidi diventare triste.
«Grazie per la rosa» sussurrai, abbassando lo sguardo alle nostre mani ancora unite. Quando risollevai lo sguardo, trovai il suo viso più vicino di quanto lo ricordassi.
«Era solo per farti sapere che sei stata brava là in aria, sul serio» mormorò in risposta.
Poi accadde: semplicemente, lui si avvicinò troppo al mio viso, prendendomi alla sprovvista.
Non era scritto niente del genere sul copione. Il copione non prevedeva niente di tutto ciò, neanche del bosco! Quel ragazzo doveva smetterla di fare di testa sua.
Ebbi il riflesso di arretrare, allontanarmi da lui, ma ero coricata per terra e non potevo. Così semplicemente chiusi gli occhi, aspettando che le sue labbra aderissero alle mie.
Ma, proprio quando sentivo il suo respiro sul mio viso e il suo profumo invadermi le narici, optò per il mio naso sorprendendomi del tutto.
Posò delicatamente le sue labbra sulla punta del mio naso, per poi ritrarle abbastanza velocemente, lasciandomi scombussolata.
«Ci rivedremo, vero?» chiese speranzoso. Io presi un respiro profondo per allontanare tutte le emozioni del momento.
«Certo. Ma adesso devo proprio andare» risposi sorridendo.
Mi misi seduta mentre lui invece si alzava del tutto, porgendomi una mano d’aiuto con un sorriso smagliante.
Accettai titubante di prendere la mano. Odiavo ciò che mi causava dentro quel semplice contatto.
«Adesso devi ritruccarti e tutto?» mi domandò mentre ci incamminavamo verso il circo a passo veloce. E la nostre mani restrarono unite.
«Certo. Lo spettacolo sarà identico a quello che hai visto» dissi annuendo. Lui accennò una risata.
«Tu sei stata l’unica parte dello spettacolo che ho visto» confessò, e anch’io sorrisi. Raggiungemmo l’entrata del circo, dove le persone dello spettacolo precedente uscivano e quelle che dovevano assistere al successivo entravano. E molti artisti del circo passavano da una parte all’altra per gli ultimi preparativi.
«Beh, mi sa che devo lasciarti qui. Non credo riuscirò ad uscire tutt’intero da quella folla» fece Harry guardandomi negli occhi. Eravamo uno davanti all’altro, con le mani sempre strette.
«Puoi vedere lo spettacolo, se vuoi, visto che non l’hai guardato. O aspettare nel mio camerino. Dopo lo spettacolo ho la serata libera» gli proposi speranzosa. Lui fece un sorriso triste e dispiaciuto.
«Mi dispiace, ma devo tornare a casa prima di cena. Magari... quando venite a Londra, voi del circo?» mi chiese.
«Londra?» domandai, fingendomi confusa. «Tu abiti a Londra?». Lui annuì. «Beh, non ci andremo. Ci limiteremo alle vicinanze, senza centrare la capitale» risposi.
«Oh...» fece deluso. «Ma ci terremo lo stesso in contatto, no? E troveremo il modo di rivederci» aggiunse speranzoso.
Pensai che, infondo, era un ottimo attore. Insomma, davanti l’entrata del circo, proprio in quel momento, era importantissimo recitare bene, con così tanti testimoni.
«Certo» sussurrai con voce spezzata. Poi presi una penna dalla tasca del vestito e gli scrissi velocemente il mio numero sul palmo della mano.
«È il mio numero, okay? Chiamami quando vuoi. Tranne che durante uno spettacolo» gli dissi.
Lui annuì. I suoi occhi erano un po’ lucidi, come se ci stessimo dicendo addio.
Beh, tecnicamente era così, perché ci saremmo rivisti dopo una settimana circa, ma per il pubblico ancora non lo sapevamo, quindi era come se ci stessimo dicendo addio. Così mi sbrigai a far pizzicare anche i miei occhi.
«Ciao» lo salutai con voce spezzata. Lui fece un passo verso di me e mi diede un bacio a stampo.
«Ciao» mi sussurrò a fior di labbra, prima di staccarsi e sparire tra la folla, lasciandomi congelata dallo stupore. Sentivo ancora le sue labbra sulle mie.





«Bravo, Harry, complimenti! Avete fatto scalpore su internet, ed hai saputo dimostrare una capacità d’improvvisazione unica. Perfetto» si congratulò Paul quando, il giorno dopo, fui convocato nel suo ufficio.
«Bene. Sono contento che le sia piaciuto» mormorai con aria un po’ assente. In qualche modo, una parte della mia mente era rimasta a Liverpool.
«Ora vai dai ragazzi, dovete provare per il nuovo album!» mi incitò. Io lo salutai ed uscii dall’ufficio.
«Devi ancora spiegarmi perché hai stravolto i piani in questo modo. E perché l’hai baciata nonostante questo fosse stato previsto per la prossima settimana» mi disse una voce gelida nel buio del corridoio. Louis.
Deglutii, timoroso, perché in realtà una vera risposta non c’era. Avevo seguito l’istinto, e basta. Ma come spiegarlo a Louis?
«Quando ti deciderai a darmi una risposta fammi un fischio» aggiunse, per poi staccarsi dalla parete in cui era appoggiato e dirigendosi verso la sala di registrazione.
Mi avviai lentamente dietro di lui, sospirando. Il mio istinto aveva causato non pochi problemi fra noi due.


 

Nila's Corner

Salve mie care, come va? Da me tutto bene, sono solo sovraccarica di compiti e di verifiche e di interrogazioni ed ho un sonno pazzesco, e dovrei studiare ma mi secca, e poi dovevo aggiornare :)
Vi piace questo capitolo? Jane stupisce Harry ed Harry stupisce Jane, e con una frase ho fatto il riassunto di 5 pagine word xD
By the way, come vi procedono i primi compiti e le interrogazione dell'anno? Io ho praticamente un culo enorme (non letteralmente) perchè praticamente mi sono scampata ben quattro interrogazioni, tipo tutti i miei compagni sono già stati interrogati di almeno una materia tranne me xD
Ringrazio voi che leggete in silenzio, che recensite e mettete la storia nelle preferite/ricordate/seguite :)
Adesso vi lascio, perchè seriamente devo studiare,

Bye xoxoxo

P.S. Forza, cantiamo in coro: "HAPPY BIRTHDAY TO YOU, HAPPY BIRTHDAY TO YOUUUUU" . Buon compleanno stupenda <3
P.P.S. Sottolineo: Non ho messo gli auguri nel post scrittum perchè me li stavo scordando, o perchè sono meno importanti. Li ho messi lì perchè i post scrittum si notano di più :D Ora vado davvero, ancora auguri :)

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 - Low Class Girl ***





Capitolo 5 - Low Class Girl
*non so se il termine esista, voi in ogni modo fingete di sì (ceto medio era troppo poco offensivo, non potevo scrivercelo)*




DRIN! DRIN!
Il telefono squillò proprio quando, voltando la pagina di quella rivista di gossip, notai un articolo di quattro pagine su “Harry Styles e la sua nuova misteriosa fiamma”.
«Pronto?» grugnii, rispondendo al telefono senza neanche controllare il numero.
Harry Styles, membro della famosa band anglo-irlandese One Direction, ultimamente è stata avvistato...
«Ehi Jane, sono Harry» rispose la voce profonda del ragazzo in questione.
...con una ragazza lavorante come acrobata in un circo di serie B.
«Oh, ciao Harry, finalmente ti decidi a chiamarmi. Pensavo avessero modificato il copione e non mi avessero detto nulla» dissi atona.
Pare che Harry, dopo aver fatto un servizio fotografico con la band nella città di Liverpool, abbia deciso di assistere al circo, i cui manifesti erano infissi per tutta la città.
Finse una risata. «No, mi dispiace per te, ma ci vedremo tra due giorni, a Londra, come avevamo già stabilito precedenza» fece.
Colpito dal secondo numero in programma, ovvero quello della misteriosa ragazza, ha subito abbandonato lo spettacolo  per recarsi velocemente dalla ragazza, ignorando i divieti e portandole una rosa bianca.
«Avevano già stabilito in precedenza. Noi due non abbiamo voce in capitolo» lo corressi io, infastidita. Continuai a leggere ignorando i vari dettagli e le varie testimonianze, e arrivai in fondo all’articolo.
Eppure, sembra che la coppia non si sia più vista. Sarà stato qualcosa di temporaneo? Solo un’eccessiva eccitazione per un bel numero?
Sospirò. «Io sono un cantante, tu un’attrice. Nessuno dei due è un regista, quindi non credo di aver diritto di protestare» ribatté Harry con voce stanca.
«Okay, forse hai ragione» mi arresi.
O forse sono stati i management, infastiditi da quella ragazza di ceto basso, a fermare del principio l’inizio di un’eventuale relazione?
Aspetta, cosa? COME HANNO OSATO QUEI COGLIONI A DEFINIRMI “RAGAZZA DI CETO BASSO”?!
«Ma di a Paul che se trovo qualche altra stupida rivista che mi definisce “ragazza di ceto basso” farà meglio a procurarsi un’altra attrice!» ringhiai, imbestialita. Nessuno dava della povera a me, NESSUNO.
«“Ragazza di ceto basso”? Buona, questa» rise Harry di gusto. Grugnii.
«Razza di minorato mentale, ficcati il cazzo di Louis in bocca e smettila di ridere! Uno che dai giornali viene solo elogiato non può capirmi» sbraitai.
«Vacci piano con le parole, dolcezza» sbottò aspro Harry. Okay, magari non ero stata il massimo della finezza e ci ero andata un po’ pesante, ma mi avevano appena dato della morta di fame!
«Almeno hai smesso di ridere, cespuglio» ribattei.
«“CESPUGLIO” A ME? Ma come ti sei permessa di insultare i miei capelli, plebea?» fece Harry indignato, facendomi arrabbiare del tutto.
«Solo perché non guadagno le cifre esorbitanti che guadagnate voi, non siete tenuti a ricordarmelo ogni secondo!» urlai, per poi staccargli la chiamata in faccia. Così imparava.
Chiusi la rivista con un colpo secco e la lanciai dall’altra parte del camerino, facendo canestro nel piccolo cestino.
Dopo aver fatto dei respiri profondi ed essermi calmata, presi l’ultima chiamata e salvai il numero di Harry nel mio cellulare.
Lo posai, e feci per cominciare a struccarmi dal pesante trucco che il mio lavoro richiedeva quando il mio cellulare vibrò. Messaggio.

Da: Harry
Scusami, non volevo. Mi perdoni?


Ma come si permetteva? Non può insultarmi come gli pare e piace e poi chiedere perdono come se niente fosse! Anch’io ho dei sentimenti.

A: Harry
NO!


Così imparava. Non c’è miglior maestro di un bel “no” secco.

Da: Harry
Per favore, facciamo pace :(


Insistente, il ragazzo.

A: Harry
Ancora una volte un gran bel ciccione NO.

Da: Harry
Dai, su, fai questo sforzo. Io ti ho regalato una rosa.


Aveva ragione. Mi aveva dato una rosa anche se non era sul copione. Mi aveva invitato ad una romantica passeggiata nel bosco anche se il copione non lo prevedeva. Mi aveva dato un bacio a stampo anche se così affrettava i tempi previsti dal copione.
Ma dovevo essere ferrea, fare la dura un altro po’. Dopo qualche altro tentativo magari avrei ceduto.

A: Harry
Beh, ammetto che sei parecchio bravo ad improvvisare.

Da: Harry
:( Come faremo a fingerci innamorati sul lavoro, se in realtà siamo così freddi fra di noi?


Ah, quindi la sua unica preoccupazione era il lavoro? Ma certo, dovevo pensarci prima! Se noi recitavamo bene, le sue fans rimanevano, e quindi lui ci guadagnava!
Se invece recitavamo da schifo, lui ci perdeva. Che stupida ero stata a pensare che tenesse davvero ad una nostra possibile amicizia.

A: Harry
Io lo so fare. Se tu no... non sono problemi miei. A dopodomani.


E così conclusi la nostra conversazione, arrabbiata.

Da: Harry
A dopodomani. Magari di presenza riesco a farti ragionare.


Sbuffai, infastidita.

A: Harry
Deve ancora nascere l’uomo che mi farà ragionare, caro mio.





«Ricapitolando, avete litigato».
«Già».
«E lei non vuole ragionare».
«Purtroppo».
«E hai paura di ritrovarti impacciato, domani, quando lei si comporterà freddamente».
Sospirai. «Esatto».
Anche Niall fece un bel sospiro, afflitto. Pure lui comprendeva che la situazione non era delle migliori. Anzi, era delle peggiori.
Così ero corso da Niall appena avevo potuto. Era l’unico disponibile ad ascoltarmi. Non l’unico con cui ero solito confidarmi, ma Zayn stava passando la notte da Perrie, Liam con Sophia, e Louis era troppo arrabbiato per star a sentire dei problemi miei e di Jane.
Era rilassante, passare la notte con Niall, le scale di casa sua e una tazza enorme piena di caffè fumante. Io ero semi-coricato in uno scalino, Niall in quello superiore rivolto verso me. Non era la più comoda delle posizioni, ma era la nostra preferita.
Entrambi, invece di fissarci negli occhi, guardavamo un punto indefinito davanti a noi. Io la ringhiera della scala, lui il muro.
«Com’è stata nel bosco?» mi chiese, prendendo un lungo sorso di caffè. D’altronde, erano le tre di notte e non avevamo chiuso occhio.
Avevamo bisogno di qualcosa che ci tenesse ben svegli e lucidi, per riflettere sulla situazione e cercare di venirne a capo.
«In che senso?» ribattei corrucciandomi. Cosa voleva di sapere di preciso, il biondino?
«È stata fredda, distaccata? O amichevole, simpatica, sciolta?» domandò.
Mi presi alcuni minuti prima di rispondere, e li passai riscaldandomi la gola con la bevanda scura e zuccherata che tenevo in mano.
«Quando sono entrato nel suo camerino, era più sorpresa che altro. Lo ero anch’io di me stesso. Eppure, mi era sembrato che i suoi sorrisi, il suo rossore fossero veri. Certo, mi ha già ingannato una volta, quando ha finto di essere una fan, quindi non credo di essere davvero in grado di distinguere quando recita e quando no» risposi.
«Beh, in questo caso non avresti difficoltà. Ti sembrerà sincera e ti sentirai a tuo agio» fece Niall con ovvietà.
«Sì, ma nel bosco...» sussurrai, più a me che a lui. Niall attese qualche secondo, aspettando che completassi la frase. Ma non lo feci.
«Ma nel bosco...? Completa la frase» mi incitò. Sospirai.
«Non lo so, Niall, non lo so! Un attimo prima era fredda e quello dopo ridevamo insieme come due vecchi amici! All’inizio, quando camminavamo nel bosco, era fredda, pungente. Poi però, vedendomi in difficoltà, ha smesso di litigare e mi ha dato dei consigli... e sembrava vera quando rideva, e persino imbarazzata quando le ho baciato il naso, o a stampo...» spiegai, prendendomi la testa fra le mani. E inaspettatamente, Niall rise.
«Ma certo che era imbarazzata, Harry. Non si aspettava mica un bacio. Non c’era scritto, sul copione. Il vostro primo bacio era previsto per domani» fece scuotendo la testa.
«Già. Forse è se stessa solo quando è presa alla sprovvista» osservai. Niall fermò di colpo la sua risata e fissò la parete, rapito.
«Che c’è?» chiesi, un po’ spaventato, fissando la parete accanto a me.
«Ho trovato. Prendila alla sprovvista. Così sarà se stessa» sussurrò Niall. Il mio migliore amico era un fottuto genio.


 

Nila’s Corner

Rieccomi qui. Inizio scusandomi del mio ritardo enorme, ma la TIM qua a Trabia non ha funzionato per un po’ T.T ed io, con la mia chiavetta da 40 ore, sono dovuta stare DUE settimane senza internet. Uno strazio. Mi sarei persino persa Story Of My Life se un’amica di una mia amica non la stesse ascoltando mentre io e questa mia amica passavamo di là.
Tipo la mia amica si ferma un attimo da lei e poi viene verso di me dicendo “Sai, si stava ascoltando la nuova canzone degli One Direction” ed io da distratta e annoiata mi faccio attenta.
“NUOVA CANZONE?! Story of my life?” ho chiesto tipo urlando.
“E io che ne so” mi fa, ed io “Per favoooore, ci ripassiamo? Ho bisogno di quella canzone!”.
Alla fine sì, l’ho ottenuta :3 Anche se mi sono dovuta trattenere di fare un duplice omicidio quando mi hanno chiesto che altro ero (oltre directioner) e io comincio il mio lungo elenco (lol) fino a dire ‘swiftie’. Hanno fatto la faccia tipo ‘o mio dio che delusione, che schifo’ e io ho ridacchiato per non fare la parte della bulla che le pesta sotto i piedi -.-“
Comunque, questo capitolo diciamo che è un po’ povero di fatti... ma mi piace un sacco! La parte di Niall ed Harry. La loro amicizia. Non il litigio, non sarei mai felice di vedere Harry e Jane litigare.
E... ahhhhh ragazze, ho fatto il trailer della storia  :3 fa leggermente schifo, ma accontentatevi, è il primo che faccio. NB: non voglio associare Jane a nessun personaggio (attrice, modella, cantante), ognuno di voi deve avere la sua Jane in testa, quindi nel trailer vedrete tipo venti ragazze diverse, sono tutte Jane xD Volevo metterne qualcuna di Alexia (non vi dico chi sia, niente anticipazioni) ma non sarebbe stato chiaro la distinzione fra le Jane e lei quindi non l’ho messa.
Ora vado, che il latino ammazza e domani ho interrogazione a tappeto,

Bye :D

P.S. Grazie a chi recensisce (non ho tempo per rispondervi, magari se lo trovo domani) :) e grazie anche a chi segue in silenzio, o chi ha messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate :D
P.P.S. Da qui è tutto, a prestissimo (sono arrivata a scrivere il decimo capitolo, quindi aspettatevi molti e veloci aggiornamenti, eccetto per causa compiti che distruggono il tempo libero) e che ne dite di ascoltare con me Untouchable della grandissima Tay? Tanto per sentirci più vicini xD

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 - Hear 'Harry Styles' anymore ***





Capitolo 6 - Hear ‘Harry Styles’ anymore





Arrivai al bar in cui avremmo dovuto incontrarci. Bello, ma non troppo. Tranquillo, senza essere troppo vicino al centro. Un normale bar in cui si incontrerebbe una normale coppia che non vuole essere notata.
Anche se il nostro scopo era tutto il contrario, ovvero farci notare, sarebbe parso subito chiaro il nostro intento alle fans se ci fossimo incontrati in qualche posto pieno di paparazzi.
Trovai un posteggio lì vicino, così dopo un minuto varcai la soglia del bar. Pochi clienti, massima discrezione.
Nel bancone, a prendere un caffè, si trovava Harry, talmente assorto dai suoi pensieri da non accorgersi del mio ingresso. Spalancai gli occhi e sfoderai un largo sorriso.
«Harry!» dissi, e tutti i clienti del locale si girarono a guardarmi. Corsi in fretta verso Harry, che aprì le braccia all’ultimo secondo. Mi ci fiondai e lo abbracciai stretto.
«Mi sei mancato» sussurrai all’incavo del suo collo.
«Anche tu» bisbigliò vicino al mio orecchio destro, provocandomi una serie di brividi. Naturalmente perché soffrivo il solletico, non per altro.
Mi allontanai un po’ da lui, sciogliendo l’abbraccio, ma lui mi strinse un braccio alla vita, tenendomi stretta. Appoggiai la guancia alla sua spalla.
«Ora che ti ho rivista, non ti lascerò più andare» affermò. Poi mi guidò verso uno dei tavoli. Spostò una sedia invitandomi a sedere come un vero gentiluomo. Mi aiutò a sedermi e poi si sedette di fronte a me. Lo ringraziai con un sorriso.
«Ordina tutto ciò che vuoi» mi raccomandò passandomi un menù. Io annuii, sempre sorridente. Lui ricambiò.
Lo studiai per bene. Era davvero felice, non stava recitando. Forse pensava che io avessi messo una pietra sopra il litigio. Ma non era affatto così.
Lessi velocemente il mio menù, e decisi che avrei preso un frappé alla fragola, il mio preferito.
Poi avvertii che qualcosa non era come doveva essere. Era una sensazione strana, la mia, una specie di sesto senso.
Mi guardai intorno per cercare di capire cosa c’era che non andava... poi vidi la mia mano sul tavolo, e poco distante quella di Harry, e realizzai. Lui doveva prendermi per mano, era scritto in grassetto sul copione.
Finsi un colpo di tosse e mi misi a battere le dita sul tavolo per farlo notare anche a lui, ma niente, continuava a studiare il suo menù. Ripetei il colpo di tosse, ma non attirai la sua attenzione neanche questa volta.
Allora tossii pesantemente e sbattei piano la mano sul tavolo, così finalmente Harry si accorse della mia presenza e mi considerò.
«Stai bene? Sei un po’ raffreddata?» mi chiese un po’ preoccupato. Ma vaffanculo, non sapeva neanche distinguere un colpo di tosse vero da uno finto?  Bah.
«Oh no, sto bene» risposi, fissandomi intensamente la mano. Fa che capisca, fa che capisca  pensai pregando Dio e tutti i santi del paradiso.
Agitavo quest’ultima in tutti i modi in cui potevo agitare la mano facendolo sembrare semplice nervosismo.
Fa che segua il mio sguardo pensai. Fa che capisca perché la sto agitando come se avessi una specie di tic nervoso!
Ma niente, quell’imbecille tornò a fissare il suo fottuto menù come se niente fosse. Ma è tonto o cosa?! urlava il mio cervello.
Serrai la mascella e sigillai le labbra, o avrei dato voce ai miei pensieri. Poi mi venne in mente un piano e l’attuai, togliendomi l’anello che portavo sempre con me e mettendolo in tasca.
«Oh no!» esclamai in modo teatrale, cominciando a cercare qualcosa nel pavimento con lo sguardo.
«Cosa c’è?» chiese Harry allarmato, guardandosi intorno anche lui. Sventolai la mia mano destra a pochi centimetri dal suo viso.
«Ho perso il mio anello» mi lagnai.
«Oh» mi rispose Harry, piatto. Stavo per mandargli una maledizione in mandarino quando si rifece.
«Ti aiuto a cercarlo» aggiunse, inginocchiandosi a terra. Lo seguii, poi mi avvicinai a lui facendo finta di cercare qualcosa.
«La mano» sussurrai. Lui mi guardò, confuso.
«Cosa?» domandò con sguardo interrogativo. Che stupido!
«La. Mano. Adesso risaliremo, ci siederemo e tu mi prenderai la mano. Chiaro?» ringhiai impercettibilmente. Lui annuì, quasi spaventato.
Tornai a sedermi e mi rimisi l’anello, soddisfatta. C’era voluto tanto, ma alla fine anche quella mente ottusa aveva capito. Guardai la sua sedia vuota, chiedendomi cosa ci facesse ancora sotto il tavolo. Mi abbassai a guardarlo.
«Allora? Che ci fai ancora lì?» chiesi, impaziente.
«Non dobbiamo cercare il tuo anello?» domandò, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Perché era capitato proprio a me?





Alla fine il pomeriggio era... passato. Avevamo preso qualcosa al bar, avevamo passeggiato per Londra mano nella mano, avevamo finto che stare insieme fosse in qualche modo piacevole.
Eppure, lo vedevo nei suoi gesti, non era lei. Anche se si sforzava di sembrare il più naturale e il più felice possibile, io riuscivo a sentire i suoi muscoli rigidi sotto gli abbracci che le regalavo di tanto in tanto.
Ce l’aveva ancora con me, e non sapevo proprio come sorprenderla. Anche ciò che avevamo sentito nel toccarci la mano la prima volta era sparito.
E io non potevo sopportare quella situazione, era snervante, cazzo! L’enormità della faccenda, il peso sulle mie spalle, tutto si faceva improvvisamente insopportabile, se lei era troppo fredda per farmi scordare il mondo.
«Ora devo andare, il viaggio è lungo e il circo mi aspetta» annunciò Jane lanciando uno sguardo al suo orologio.
Sul suo viso trapelò un’espressione sollevata. Era anche lei felice di far finire quel calvario. Ma non potevo lasciarla andare via così.
«Dai, rimani per cena!» insistetti, circondandole un fianco col mio braccio.
«Davvero, Harry, lo vorrei, ma il viaggio...» tentò di dire, ma io la fermai.
«Insisto» affermai, facendo poi una faccia da cucciolo. Dovevo farla rimanere. Dopo avermi guardato negli occhi severamente, sospirò e abbassò gli occhi, arrendendosi.
«Mi arrendo. Dove andiamo?» mormorò. Mi fece male sentire tristezza nella sua voce.





Quello stronzo di Harry mi aveva convinto a rimanere a Londra per cena nonostante la strada, nonostante non sopportassi la situazione che si era creata fra noi due, nonostante non vedessi l’ora di chiudere gli occhi e dormire.
E in quel momento mi trascinava per le strade di Londra mormorando periodicamente “Siamo vicini” anche se stavamo camminando già da un bel po’ e ancora non eravamo arrivati a destinazione.
Poi arrivammo in una casa al nord di Londra e citofonò. Subito la porta d’ingresso si aprì senza che nessuno rispondesse, ed entrammo. Dove mi aveva portato?
«Ragazzi, guardate un po’ chi ho portato?» annunciò Harry a gran voce, sorpassando l’ingresso a gran falcate. Mi affrettai a seguirlo.
«Justin Bieber?!» esclamò eccitato un biondino che accorse alla porta del salone per guardare. Al vedermi parve deluso.
«Ah no, è solo ‘Bel Sedere’» mormorò, tornando dentro la stanza. Avvampai dalla rabbia mentre entravamo anche noi nella stanza.
«Dammi la giacca che lo poso nell’altra stanza» si offrì Harry. Gli porsi il chiodo senza neanche guardarlo, intenta com’ero ad uccidere il biondino con lo sguardo.
«Senti, biondino dei miei stivali, non crederti figo solo perché fai parte di una fottuta band, che in realtà sei niente mischiato col nulla» sbraitai. Poi feci un bel sorriso, solare, salutando le altre tre persone della stanza.
«Ciao, ragazzi. Voi dovete essere gli altri tre. Liam, Zayn e Louis, vero?» feci indicandoli.
«No» mi fece gelido il secondo. «Zayn, Louis e Liam».
«Scusa Louis, sono una frana coi nomi» borbottai, anch’io gelida. Poi mi sedetti sul tappeto, dove Zayn e il biondino (Niall, forse?) stavano giocando a dama. Era il turno di Niall, e ci ragionava da quando ero arrivata. Pessimo.
«Idiota» sbottai, facendo la mossa per lui e mangiando due pedine a Zayn. «Tieni» aggiunsi tirandole al biondino.
«Oh. Te la cavi» costatò lui. Io non me la cavavo. Io lo battevo mangiando tutte le sue pedine e conservando tutte le mie.
Mi limitai ad un’occhiata di puro disprezzo, poi tornai a guardare la scacchiera. Zayn era intento a pensare alle mosse possibili.
Muoveva la bocca mormorando qualcosa che non capivo, forse si stava spiegando le mosse da solo. Bah, che razza di ritardato mentale.
«Che ne dici di questa?» sbuffai impazientita, facendo io la sua mossa e rubando una pedina a Niall.
«Non sapevo si potesse fare questa mossa» sussurrò stupito. Lo guardai stranita. Era una delle mosse più elementari, di quelle che io avevo imparato a cinque anni con mia madre.
«Cazzo, questo gioco è noioso» sentenziò Niall grattandosi la testa, guardando la scacchiera come un bambino delle elementari guarda il libro di trigonometria del fratello maggiore.
«È noioso solo perché non ci sapete giocare» ribattei irritata, facendo la sua mossa. «E odio giocare da sola! Accendete quei pochi neuroni che ancora vi funzionano e giocate, minchia!» esplosi, saltando in piedi.
«Calmati, dolcezza» disse Harry, appena venuto dalla cucina con un pacco di popcorn in mano e la bocca piena di quei cosi.
«E no che non mi calmo! Sto battendo tutti i record, respirare l’aria di cinque minorati in una volta sola!» sbraitai.
«Ehi!» esclamarono Harry, Liam e Louis. Okay, forse loro non ci entravano niente, forse erano Zayn e Niall ad avermi fatto arrabbiare, o forse solo Niall, ma in quel momento non pensavo tanto a ciò che dicevo ma a come lo dicevo.
«Ho bisogno di una boccata d’aria» dichiarai, cercando di riacquistare la calma. La mano di Liam si alzò e indicò una porta.
«Di là c’è il balcone» azzardò. Io annuii e mi diressi verso la porta indicata, senza più dire una parola.
Mentre mi chiudevo la porta alle spalle, sentii qualcuno chiamarmi “pazza lunatica”. Cercai di ignorare la mia mente che associava la voce ad Harry, perché in qualche modo sapere che era stato lui a definirmi in quel modo faceva male. Un male che partiva dal cuore ed arrivava agli occhi, pizzicandoli.





Forse era stata una brutta idea, portarla a casa di Liam. Leviamo pure il ‘forse’, era stata una brutta idea e basta.
Si era innervosita in modo eccessivo, aveva dato di matto e ci aveva insultato, ma in qualche modo la colpa era mia.
Suonarono alla porta. Io, coricato nel divano, non mi alzai. Non ero io il padrone di casa, non era mio dovere.
«Zayn, vacci tu» propose Liam.
«Subito dopo di te, fratello» fece con voce piatta Zayn. Lo scontro con Jane sembrava aver svuotato tutti, chi più chi meno.
«Sarà quello della pizza. Hai detto che pagavi tu» sentenziò Niall, schierandosi con Liam.
«Zitto, Niall» lo rimproverò Zayn. Al secondo scampanellio, Zayn si arrese al suo destino e si alzò dirigendosi alla porta, borbottando un “Questo me la pagate”.
Tornò poco dopo con sette pizze. Una ciascuno, eccetto per Niall che ne voleva due. Come faceva a mangiare così tanto era un mistero.
«Vado a chiamare Jane» feci, alzandomi. La trovai accucciata fuori nel balcone, a fissare un punto indefinito davanti a lei, con aria assente.
«Sono arrivate le pizze, ceni?» chiesi, forse in modo troppo brusco. Lei si limitò ad annuire e a seguirmi dentro.
Mangiò la sua pizza in silenzio, senza mai azzardarsi ad incrociare lo sguardo di qualcuno, mentre noi cercavamo di scongelare la situazione.
Alla fine, ci ritrovammo a ridere come se Jane non ci fosse, perché col suo silenzio era più sulle nuvole che lì con noi.
«Si è fatto tardi» annunciai verso mezzanotte. «Io vado. Jane?» chiesi.
«Anch’io» sussurrò. Gli presi il chiodo, glielo porsi e lo indossò in modo quasi automatico. Uscimmo nella fresca aria londinese.
«Mi accompagni alla macchina?» mi domandò Jane. Poi mi prese la mano. Io la guardai stupito, e vidi che sorrideva radiosa. Aveva ripreso a recitare come se nulla fosse.
«A quest’ora non credo sia consigliabile viaggiare fino a Liverpool» sentenziai. Lei alzò le sopracciglia, marcandole.
«Non è stata un’idea mia, rimanere a cena» ribatté.
«Non posso farti partire a quest’ora. Per stanotte rimani a dormire a casa mia, okay?» proposi. Lei mi guardò per qualche istante negli occhi, come se stesse cercando qualcosa, poi sospirò arrendendosi.
«Se lo dici tu» bisbigliò, e mi parve d’un tratto stanca, molto stanca.





«Ma chi ti credi di essere? Non puoi fare sempre di testa tua, NO!» sbottai appena entrammo a casa sua. Lui rimase sorpreso per qualche istante.
«Cosa?» chiese infine.
«NON puoi decidere tutto tu! Se esiste un copione, deve essere rispettato! Non puoi decidere gite extra, non puoi continuare a cogliermi impreparata!» gli sbraitai contro. Ero furiosa, irosa contro di lui.
«Scusa, ma io...» tentò di dire, ma non avevo intenzione di farlo parlare.
«Ma tu niente, Harry. Sono stufa dei tuoi improvvisi lampi di genio, ed è solo la seconda volta che ci vediamo! Voglio essere al corrente di cosa vado incontro, credi che io fossi preparata a conoscere i tuoi amici imbecilli?» lo interruppi, alzando la voce. Si infuriò anche lui.
«Credi che a me invece vada tutto bene? Oggi hai fatto in modo di essere insopportabile, l’intero pomeriggio mi è sembrato una tortura!» urlò.
«Anche per me! Non sei per niente divertente, sei imbranato, non sei bravo a mentire, e prendi decisioni senza il mio consenso. IL TANGO SI BALLA IN DUE, CAZZO!» ribattei.
E cominciammo ad urlarci in faccia ogni nostro difetto, ogni singola cosa che aveva reso quella giornata stressante, alzando la voce per superare una le urla dell’altro.
«Sei solo una pazza lunatica!» urlò in mezzo ai miei e ai suoi insulti. Quella frase mi zittì. “Pazza lunatica”. Quindi era stato lui a dirlo. Bene.
«Vaffanculo, va!» conclusi, correndo verso la prima camera da letto che incontrai. Non volevo più sentire ‘Harry Styles’.
Nel buio che trovai, una lacrima scese lentamente sul mio viso. Stavo piangendo per la seconda volta in poche ore. Grazie ad Harry.


 

Nila’s Corner

- Salut, ça va?
- Ça va, e toi?
- Ça va bien, au revoir!
- Au revoir!

Ecco cosa succede quando voglio salutarvi in un’altra lingua: va a finire che vi recito il mio primo dialogo di francese (che ho fatto tre anni fa) a memoria! Comunque, come va? Io bene, specialmente perché oggi non ho avuto scuola. Vi ho già detto che adoro le assemblee di istituto a prima ora? No? Beh, adesso lo sapete. Peccato che non sapessi che quando sono a prima ora non prendono le presenze, perché mi sono alzata alle 7 solo per non fare un’assenza inutile. Uffa.
By the way, piaciuto il capitolo? Ecco a voi altre liti profonde, e la nostra Jane che piange, poveeeera :’(
Devo ricordarmi, quando scrivo, di essere molto felice e per niente arrabbiata o triste, o mi esce questo genere capitolo. Però, dai, è carino come capitolo.
Ho iniziato a scrivere già l’11 capitolo (già, sono piuttosto avanti) ma continuerò a postare solo quando lo concludo (ho intenzione di rimanere sempre qualche capitolo avanti in modo da continuare a postare anche quando, per un motivo o per l’altro, non riesco a scrivere).
Però, per ringraziarvi particolarmente, voglio postarvi i titoli dei prossimi capitoli, in modo che vi facciate supergiù un’idea di ciò che accadrà.
Capitolo 7 - Nightmare
Capitolo 8 - I had to do it
Capitolo 9 - Memories
Capitolo 10 - Seven day to fall in love
Capitolo 11 - I trust you
:) Questo è per tutti voi che leggete la storia, indipendentemente se l’avete messa tra le preferite/ricordate/seguite, se la recensite o se la seguite in silenzio :D
Ora vado, che ho così tanto latino da farmi dubitare che il mio liceo sia davvero uno scientifico e non il classico .-.

Bye xxx

P.S. Avete visto il trailer della storia? Che ve ne pare?

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 - Nightmare ***



Capitolo 7 - Nightmare





Non riuscivo a prender sonno. Guardai la sveglia sul comodino, che segnava la mezzanotte meno qualche minuto. Sospirai, cambiando posizione. Odiavo non addormentarmi all’istante, era stressante. E purtroppo, con lo stress del lavoro, mi capitava spesso.
In realtà, in quel momento era Jane a tenermi sveglio, non lo stress. La consapevolezza delle cose orrende che ci eravamo urlati, l’averla sicuramente ferite, l’averle viste le lacrime velargli gli occhi.
In quel momento stava dormendo, o pensando, o piangendo, nella stanza accanto alla mia. Si era chiusa là quando era arrivata, e non ne era più uscita. Ed io non avevo fatto niente per favorire una riappacificazione.
D’un tratto, il mio udito percepì qualcosa. Come un senso di pericolo mi percorse le ossa, mentre affilavo l’udito per sentirlo di nuovo.
Stavolta si ripeté più forte. Un mormorio, una supplica. Il rumore di qualcuno che si agitava, di lenzuola smosse. Un pianto sommesso.
Mi ritrovai seduto senza neanche rendermene conto, e subito scivolai silenziosamente fino alla porta. Andai nel corridoio, e distinsi i rumori venire dalla... camera di Jane.
Il cuore cominciò a battermi forte, e le mie orecchie sembrarono non udire altro rumore. Aprii la porta un po’ violentemente per la paura.
Guardai nella stanza e vidi... Jane dibattersi nel letto in preda ad un incubo. Mi rilassai quasi immediatamente.
I miei film mentali in cui ladri si introducevano in casa, assassini torturavano Jane, si erano rivelati solo delle enormi fantasie, fortunatamente.
Mi affrettai allora a svegliare Jane dal brutto sogno. Sicuramente mi avrebbe ringraziato. Cominciai a scuoterle le spalle, prima delicatamente, poi più costantemente.
Le sue urla aumentarono di volume, il suo fiato si fece corto, cominciò ad agitarsi furiosamente e sudò in maniera incredibile.
«Jane...Jane...JANE!» esclamai, scuotendola con più fervore, spaventato. Lacrime scendevano da sole sul suo viso, contratto in una maschera di terrore.
«AAAAH!» urlò, scattando seduta e spalancando gli occhi, terrorizzata. Si guardò per qualche istante intorno, poi cominciò a singhiozzare e il suo pianto si fece disperato, come se svegliarsi non le avesse per niente portato sollievo.
La strinsi a me per consolarla, in pena per lei. La sofferenza sul suo viso era tale da scombussolarmi, da lasciarmi basito.
«Shh, sh, va tutto bene» sussurrai lentamente, cullandola. Lei, rimasta all’inizio fredda, mi abbracciò disperatamente.
Pianse tutte le sue lacrime, bagnandomi il petto nudo (ero solito dormire in boxer, e di certo prima non avevo pensato a vestirmi).
Ora che lo notavo, anche lei era prettamente in intimo, e per qualche istante mi sentii in imbarazzo. Poi però mi distrassi cercando di consolarla.
«Su, calmati, era solo un incubo» dissi, accarezzandole i capelli. Lei annuì e si staccò da me, asciugandosi il viso.
«Scusa, ti ho bagnato tutto» mormorò, prendendo il lenzuolo e usandolo per asciugarmi il petto.
«Vuoi raccontarmelo?» chiesi, riferendomi all’incubo. Lei tremò, percossa da un brivido di paura, poi scosse la testa.
«No, per favore, no. Mi basta già riviverlo ogni notte, non ho la forza di raccontarlo» rispose.
«Ogni notte?» domandai, preoccupato. Lei annuì, guardandomi negli occhi.
«Da tempo non dormo più un sonno tranquillo. È sempre interrotto da incubi...terrificanti» borbottò.
«Mi...mi dispiace» dissi, sincero. Lei mi fece un sorriso triste.
«Ora vai a dormire, ti ho tenuto sveglio abbastanza» affermò, abbassando lo sguardo. Ma io non volevo. Non volevo dormire se lei aveva incubi.
«Spero di non svegliarti di nuovo» aggiunse in un sussurro. E mi venne un’idea. Pazza, senza senso, pericolosa, ma, adesso che era venuta fuori, mi sarei sentito in colpa se non l’avessi comunicata a Jane.
«Che ne dici di dormire con me? Posso svegliarti ogni volta che avrai un incubo» proposi. Lei mi guardò, indecisa. Poi scosse la testa.
«Ti terrò sveglio, non ti farò dormire» si giustificò, rintanandosi sotto le coperte.
«Credi che riuscirò a dormire sapendoti qui, tutta sola, in preda agli incubi?» ribattei, costringendola a guardarmi negli occhi. Sospirò.
«Decidi tutto tu, vero?» sbottò, alzandosi e seguendomi nella mia stanza. Ma mi parve di vederle un sorriso.





Non capivo. Perché doveva essere così dannatamente difficile? Perché non potevamo semplicemente lavorare?
Invece, per un destino molto crudele, ci ritrovavamo lì, incapaci di segnare i nostri confini. Io lo avevo fatto, avevo messo dei muri davanti a me per proteggermi, poi erano arrivati gli incubi ed era venuto Harry. Ed io ero crollata.
Così mi ritrovai nel letto di Styles ancor prima di rendermi conto di ciò che avevo fatto. Lui, nel suo lato, si addormentò quasi subito.
Io, rannicchiata in una lato, dandogli le spalle, non volevo saperne di prendere sonno, andare incontro agli incubi.
Eppure, dopo poco, la stanchezza di anni passati a dormire poco e niente si fece sentire come ogni sera, e crollai.
Sangue dappertutto.
Occhi vitrei, corpo freddo.
Mal di testa, buio assoluto.
Aria che i polmoni non riescono a prendere.
Freddo.
Mani sconosciute, volti di estranei crudeli.
Dolore.
Voglia di morire.
Piacere ingiusto, punito con altro dolore.
Un urlo stridulo e ininterrotto. Il mio.
«Ehi, Jane! Jane? Va tutto bene, era solo un incubo... Jane? Svegliati...!». Qualcuno mi scosse, mi portò via da quel mondo deforme. Aprii gli occhi.
Harry pensai, vedendo il suo volto nel buio. Mi rilassai impercettibilmente. Se c’era lui, allora non dovevo soffrire. Il suo volto non era nei tanti, lui non era nell’incubo.
Venne il tremore, l’incapacità di parlare, il bisogno di calore per andare avanti, per capire che tu non sei morta e non devi desiderare ciò.
Harry mi abbracciò, mi cullò, mi sussurrò parole dolci all’orecchio, mi fece sentire a casa, tra le bracci di mia madre.
«E adesso dormi, Jane» mi sussurrò infine. Allarmata, lo strinsi a me.
«Canta» fu l’unica cosa che riuscii a dire. La sua profonda voce mi cullò mentre mi addormentavo. Quella ninna nanna sapeva di pace.





Un colpo di vento smosse la tenda ed un raggio di sole mi colpì dritto in viso, svegliandomi. Feci una smorfia, infastidito.
Aprii gli occhi sbattendo le palpebre e mi abituai alla luce. Guardai la stanza e poi mi fermai su Jane, appoggiata al mio petto.
Aveva un’espressione serena, quasi felice, angelica e così dissonante a quella di poche ore prima. Solo una cosa era comune ai due momenti: Jane sembrava indifesa in entrambi i casi.
Avevo voglia di proteggerla, anche, e specialmente, dai suoi incubi, di tenerla stretta tra le mie braccia e fare da scudo alle varie minacce.
Chissà quali erano i suoi incubi, che mostri li popolavano, quale esperienza li aveva scaturiti. Ma non potevo chiederglielo, ieri era stata esplicita. Era una cosa tanto grande da provocarle dolore al solo ricordare.
Lo schermo del mio cellulare si illuminò, mentre cominciò a vibrare. Lo presi e vidi la chiamata. Strisciai fuori dal letto attento a non svegliare Jane e andai in cucina.
«Pronto?» risposi sottovoce.
«Appena sveglio?» esclamò Paul euforico, trapanandomi il timpano dell’orecchio destro.
«Indovinato» feci con voce per niente allegra.
«Bene, ho una supernotiziona per voi: il circo ha concesso una settimana di ferie a Jane, che passerà tutto il suo tempo con te!» annunciò Paul, allungando la ‘u’ di ‘tutto’ in maniera esagerata.
Non seppi come prendere la notizia. Il giorno prima era stato... stressante. Avrei passato una settimana del genere? Oppure Jane avrebbe deciso di mostrarsi simpatica? Non lo sapevo.
«B-bene» balbettai, imbarazzato. Sentii Paul sbuffare.
«Cos’è, non ti piace passare intere giornate con quell’amor di ragazza?» chiese irritato. “AMOR DI RAGAZZA”?! Come faceva Paul a dirlo? Non aveva trascorso molto tempo con lei. IO potevo cominciare a parlarne. E mi sembrava solo lunatica.
«Io aspetterei a definirla così» ribattei io.
«Sentiamo, cos’ha che non va?» domandò Paul con voce stanca.
«È lunatica, non so mai se il momento dopo darà felice o triste o arrabbiata! Non so bene quando finge o quando è vera, e quando è arrabbiata con me è rigida e me lo fa notare per complicarmi la vita!» ammisi.
«La conosci da quanto? Una settimana? E quanto siete stati insieme? Due giorni? Aspetta per parlare. E poi, è una donna. Ti assicuro che tutte le donne sono così... imprevedibili» fece Paul.
«Ecco il motivo per cui io sono gay» borbottai fra me e me.
«Va beh, ti lascio riposare Harry. Tra qualche ora al massimo dovrebbero arrivare i nuovi copioni, fatti proprio in questo momento» mi informò, chiudendo direttamente la chiamata senza aspettare la mia risposta.
Sospirai, guardando il telefono. Poi mi avviai verso la mia stanza. Jane era nella stessa posizione di quando l’avevo lasciata, ma aveva un’espressione corrucciata, tra l’arrabbiato, l’infastidito e l’addolorato.
Mi infilai di nuovo sotto le coperte e mi affrettai a svegliarla. Non volevo che avesse un altro incubo.
«Jane?» sussurrai, e lei spalancò gli occhi all’istante.
«Harry...» mormorò, con la voce impastata dal sonno.
«Stavi facendo un altro incubo? Ti ho vista che...» cominciai a dire.
«No, no» mi interruppe. «Non era il solito incubo. Era diverso, e non era proprio un incubo. Ero chiusa in una stanza buia e sentivo una voce... la tua, che parlava di me. Dicevi che ero lunatica e cose del genere, e qualcosa sul perché eri gay...» mi raccontò Jane.
Io mi ghiacciai immediatamente. Jane mi aveva sentito. Aveva avvertito la mia telefonata e il suo subconscio l’aveva trasformata in un sonno. Cercai di non far notare la mia rigidezza.
«Che sogno strano...» e tentai una risata, che risultò stridula e forzata.
«Scusa, devi sentirti in imbarazzo» si scusò, interpretando così la mia improvvisa rigidità.
«No, non ti preoccupare» risposi. Lei annuì, poi si riavvicinò e si accucciò nella stessa posizione che aveva quando mi ero svegliato.
«Stanotte ho dormito bene, tutto sommato. Solo due incubi, è una specie di record. Mi canti di nuovo quella ninna nanna?» mi chiese chiudendo gli occhi.
Io presi fiato e cominciai. Cantare per lei era piacevole.

“Piccola bimba che corri nel prato
Torna qui presto, il buio è calato
Al riparo dall’oscurità, in un letto caldo
Stai per dormire, qui sana e salva
Dormi, piccola, che domani è vicino
Dormi, piccola, un bel pisolino
Così starai bene e sarai contenta
Per un’altra giornata che trascorrerà lenta”






«È bellissima» sussurrai.
«Me la cantava sempre mia madre prima di dormire» mi confessò. Sorrisi, abbracciandolo.
«Voglio stare così, qui per sempre. A riparo dagli incubi con te» ammisi.
«Beh, possiamo farlo finché non arrivano i copioni» disse lui.
«Copioni?» chiesi aprendo un occhio solo.
«Ah vero, non te l’ho detto. Ha telefonato Paul, ha detto che il circo ti ha dato una settimana di pausa e che la devi trascorrere con me» mi informò. Perfetto, una settimana col riccio e i dementi pensai. Sperai di uscirne viva.
Aprii la bocca per fare una battuta delle mie e magari cominciare un bel grande litigio, ma la porta d’ingresso si aprì e il suo scatto mi interruppe. Aprii entrambi gli occhi e guardai Harry preoccupata.
«Chi è, Harry?» domandai, timorosa.
«Sarà Marta, la signora delle pulizie» disse alzando le spalle.
«Devo andarmene? Dovremmo vestirci?» chiesi, ancora più preoccupata. Lui scosse la testa, calmo.
«Se ci vedrà nello stesso letto, stai sicura che lo saprà già mezza Londra prima di sera. Ed è quello che vogliamo, no?» fece. Io annuii, perché aveva ragione: era quello che volevamo.
«Quindi dobbiamo farci trovare nudi?» sussurrai, un po’ intimidita dal dire la parola ‘nudi’ ad alta voce, anche se non mi ero mai fatta grandi problemi prima di allora.
La risata di Harry, sincera, risuonò in tutta la stanza rimbalzando tra le pareti. Una bellissima risata. Arrossii violentemente.
«Harry? Sei nella tua stanza?» chiese la voce di Louis, dietro la porta. Io ed Harry ci guardammo negli occhi, allarmati, mentre la porta si apriva cigolando.


 

Nila's Corner

Scusate se vi lascio col fiato sorpreso, ma oggi ho deciso così u.u

Comunque, come va? Spero bene :) Io sì.
Forse (molto forse) se mi basta il tempo pubblico anche il capitolo successivo. Così, tanto perchè non voglio lasciarvi in sospeso per molto, so che è una brutta sensazione. Io l'ho provata poco fa. Mi stavo leggendo una fafinction, After, e se non la conoscete beh, è inglese ma molte la traducono in italiano e la postano su efp. Una aveva anche finito di tradurre la prima serie, ed io ero arrivata a leggere il capitolo 65. Oggi mi connetto, lo cerco e scopro che efp l'ha bannata perchè non aveva il permesso dell'autrice. L'autrice ha dato il permesso solo ad una ragazza che è arrivata al 47esimo capitolo. E io sono nel panico T.T
La ninna nanna è farina del mio sacco, comunque, l'ho inventata sul momento. Diciamo che me la cavicchio a scrivere poesie, amavo farlo alle elementari ma poi ho tralasciato. 
Comunque, ora vi lascio che ho fisica da studiare,

Bye

P.S. Grazie a tutte voi lettrici. Mi scuso se ho potuto rispondere solo a metà recensioni, sono un po' impegnata. Cercherò di rispondere a tutte al più presto :)
P.P.S. Ma che mi dite del trailer? Vi piace? Per chi non lo sapesse, il link è questo:
http://www.youtube.com/watch?v=bitFaA9Pwxw&feature=youtu.be

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 - I had to do it ***





Capitolo 8 - I had to do it





Feci la prima cosa che mi venne in mente. Afferrai un cuscino, mi misi seduta e cominciai a colpire Harry.
«Brutto...» e lo colpii «...zoticone...» e lo colpii di nuovo «...ti vuoi alzare...» e gli diedi il colpo finale «...o no?».
«Cosa sta succedendo?» chiese Louis alle mie spalle. Nella sua voce leggevo stupore.
«Quell’imbecille del tuo amico è così scansafatiche da non volermi aiutare a fare la colazione. E io non riesco a trovare niente in quel labirinto che chiama ‘cucina’!» urlai istericamente, balzando in piedi ed aggredendolo.
«E devi per forza chiederglielo a cuscinate...mezza nuda?» domandò sarcastico, alzando un sopracciglio. Avvampai (per finta, naturalmente) e mi nascosi dietro il cuscino.
«Diciamo che la fame non mi fa ragionare molto» balbettai.
«Vestiti, che ti aiuto io a cercare la colazione e non lo ‘scansafatiche’» mi esortò ghignando. Mi aveva creduto. Annuii e spalancai l’armadio di Harry.
«Cazzo Harry, ma felpe carine no? Le hai comprate tutte al mercatino dell’usato o te le presta la nonna?» sbottai frugando tra la sua roba.
«Cazzi miei» rispose Harry, la voce attutita. Mi girai a guardarlo, ed era coricato a pancia sotto e la testa premuta sul cuscino. Sorrisi.
«Va beh, prendo questa» conclusi, prendendone una grigia con qualche scritta. La indossai velocemente e trotterellai in cucina, dove trovai Louis.
«Eccomi» annunciai, fermandomi accanto a lui. Lui guardò infastidito la felpa.
«Perché indossi la felpa di Harry?» quasi mi aggredì.
«Perché adesso farò in modo di andare causalmente nel balcone, tutti mi vedranno la felpa e...» lasciai la frase in sospeso e schiacciai l’occhio. «Sono un genio» mi vantai. Lui alzò gli occhi al cielo.
«Comunque... che cercavi?» mi domandò, indicando la cucina.
«Ah, giusto. Ehm...» sussurrai. Riflettei un attimo su cosa chiedere. «IL LATTE!» urlai illuminandomi. Lui si massaggiò le orecchie infastidito, poi  aprì il frigorifero e lì, in bella vista, indicò il latte. Lo uscì e lo mise sul bancone.
«No!» feci stupita. «Davvero quello è il frigorifero? A me sembrava... il forno!» aggiunsi. Louis mi guardò con un’espressione che diceva “Ma sei tonta o cosa?”.
«Cos’altro ti serviva?» disse annoiato.
«Il caffè... e i cereali» risposi.
«Il caffè si fa in questa semplice macchinetta. Guarda, si preme questo pulsante e...» cominciò a spiegare.
«So come si usa una fottuta macchinetta del caffè!» ringhiai. Mi sentivo presa in giro.
«E allora dov’è il problema?» mi chiese con espressione strafottente. Cazzo. Dovevo imparare a controllarmi quando parlavo.
«La cialda, ovvio» ribattei dopo un attimo di esitazione.
«Forse, molto forse, è qui accanto» disse, indicando un mucchio di cialde accanto alla macchinetta, di mille gusti diversi.
«Sì, ma manca quello al cappuccino» aggiunsi velocemente. Lui frugò velocemente e dopo qualche secondo uscì bene tre cialde al cappuccino.
«Wow, ma sei una specie di genio o cosa? Io non li avevo visti e...» blaterai. Poi mi accorsi del suo sguardo e capii di sembrargli una pazza, così cercai di cambiare discorso. «...i CEREALI! Mi piacciono al cioccolato, ma non li trovo» esclamai con ovvietà.
Lui si massaggiò nuovamente le orecchie, poi aprì il primo stipetto e prese i cereali. Al cioccolato. E ne aveva circa una decina là dentro.
«Anche ad Harry piacciono al cioccolato, ha solo quelli» ribatté Louis. Harry doveva imparare a mettere le cose in posti meno ovvi, cazzo.
Adesso magari Louis neanche mi credeva. Insomma, chi crederebbe ad una che accampa scuse così ridicole? Solo un  vero e proprio ritardato.
«Adesso, se mi scusi, vado a parlare con Harry. Ah, e se vuoi sapere dove sono le tazze e le posate...» e me le mise sul tavolo.
«Se hai bisogno di altro fai un fischio, oppure prenotati una visita dall’oculistica. E da uno psichiatra» fece serio, poi uscì dalla cucina. Mi aveva davvero creduto. Era un vero e proprio ritardato.





«Grazie, davvero».
«Dovevo farlo».
«Non per forza. Non ti avrei incolpata di nulla se tu fossi rimasta paralizzata dalla paura».
«Te lo dovevo. E lo dovevo a Louis. Io non sarei stata in quel letto se non fosse stato per i miei stupidi incubi».
«Se sono incubi, non sono stupidi» affermò guardandomi negli occhi. Io tenni il contatto per un secondo, poi riabbassai lo sguardo alla mia tazza di caffè. La terza della giornata.
«S-sono arrivati i copioni, mentre tu e Louis...» e lasciai la frase in sospeso, non sapendola continuare. Cosa avevano fatto per un’ora e mezza nella camera di Harry, quasi in perfetto silenzio?
«...ci chiarivamo» terminò lui, evasivo.
«Giusto. Mentre tu e Louis vi chiarivate. Ho fatto in modo che mi vedessero dal balcone con la tua felpa» lo informai.
«Idea geniale» disse. Non era per niente sarcastico. «Potresti guardarmi negli occhi, per favore?» aggiunse poi, un po’ irritato.
Posai la tazza sul bancone della cucina e mi ci sedetti. Poi mi sforzai di guardarlo negli occhi. Non resistetti per più di qualche secondo.
«È solo che è tutto così confuso. Un attimo prima litighiamo, l’attimo dopo mi consoli mentre piango, e l’attimo dopo ancora io arranco scuse su scuse mentendo a Louis. Piani sconvolti, copioni cambiati, stranezze di entrambi...» confessai, poggiando la testa fra le mani, affranta. La voce mi tremava debolmente. Sentii un calore accanto a me: Harry si era seduto accanto a me.
«Anche per me è così» sussurrò. Poggiò la testa sulla mia spalla e mi circondò la vita con un braccio. Tremai leggermente a quel contatto.
«Che facciamo?» chiesi con lo stesso tono di voce.
«Che ne dici di provare ad essere amici?» mi propose. Tolsi le mani dal viso ed alzai la testa di qualche centimetro. Mi stava porgendo la mano. La fissai dubbiosa.
«Anche quando sarò arrabbiata senza motivo?» domandai incerta. Lui sorrise.
«Anche quando sarai arrabbiata senza motivo».
«Anche quando ti sveglierò nel bel mezzo della notte urlando?».
«Specialmente quando mi sveglierai nel bel mezzo della notte urlando».
Gli strinsi la mano.





«Bianco o nero?».
«Nero».
«Per me bianco».
«Bianco? O mio dio. Giorno o notte?».
«Giorno».
«Notte, naturale» sbuffò. «No, dai, spiegami cosa c’è di emozionante nel bianco e nel giorno» sbottò incrociando le braccia al petto.
«Beh, noi il giorno viviamo. È durante il giorno che le nostre vite trascorrono. E il bianco sa di pace» spiegai le mie ragioni. Altro sbuffo.
«La notte è magnifica. È incantata, avvolta in quell’alone di mistero che il buio le conferisce. È durante la notte che si capisce la vita. E il nero sa di tranquillità, ordine» ribatté.
«Ma la notte non ti regala gli incubi?» domandai, e me ne pentii subito. La vidi tremare al solo ricordo, la mano sospesa in aria per prendere i biscotti dallo scaffale.
«Non più» sussurrò, afferrando saldamente il pacco e mettendolo nel carrello. Lo spinsi in avanti.
«Cielo o Terra?» chiesi, ricominciando il gioco.
«Cielo» rispose immediatamente.
«Cielo» annuii sorridendo.
«Perché?» trillò, prendendo le caramelle gommose e buttandone due pacchi nel carrello.
«Non è una domanda ‘o...o...’» ribattei.
«Non è per il gioco. È una domanda vera e propria. Perché il Cielo?» specificò.
«Perché è bello, perché mi sembra affascinante, perché ci sono le stelle... tu?» domandai.
«Perché lassù c’è mia madre» mi confessò, abbassando lo sguardo e arrossendo imbarazzata.
«Oh» fu l’unica cosa che riuscii a dire. Che idiota.
«Mare o Neve?» domandò, cambiando discorso e tornando allegra.
«Neve».
«Mare» disse in tono di rimprovero.
«La neve è candida, e divertente» mi difesi.
«Il mare è qualcosa di unico. Un mondo perfetto, una forza enorme e delicata» ribatté. Alzai le mani sopra la testa.
«Scusa, scusa. Okay, il mare» mi arresi. Lei rise di cuore, e io con lei. Si avvicinò a me e mi baciò, lentamente. Lasciai stare il carrello e mi avvicinai a lei, facendo aderire i nostri corpi. Lei si staccò leggermente.
«Visto, riccio? Non sei l’unico capace di sorprendere» sussurrò sorridendo, provocando un mio sorriso.
Si sentì, lontana, una risata stridula, fastidiosa. Jane si staccò di colpo, allontanandosi e guardando intorno allarmata.
«Dove cazzo...?» disse tra sé e sé. Guardai anch’io nei paragi, ma non vidi nessuno ridere. La risata era dentro il supermercato, ma non dove eravamo noi, sicuramente in un altro corridoio vicino.
«Harry, andiamo» ordinò Jane, con voce spaventata. Io la guardai, interrogativo.
«Cosa?» chiese.
«Andiamocene» ripeté, prendendomi il polso destro e il carrello e affrettandosi a girare l’angolo.
Mi voltai un attimo, e prima di essere sostituita da un nuovo corridoio, vidi una chioma biondo cenere comparire dall’altro lato.
«Cosa succede, Jane?» chiesi, mentre lei arrancava verso la cassa.
«N-non dobbiamo rimanere qui un attimo di più» balbettò. Mi accorsi che stava tremando.
«Jane,  Jane, calmati, okay? Va tutto bene» cercai di tranquillizzarla prendendole le spalle, come avevo fatto la notte prima, quando aveva avuto gli incubi.
«No che non va tutto bene. Questo non è un incubo, è la realtà. Sbrighiamoci, andiamo alla cassa» mi rispose. La sua voce era così piena di spavento che non osai ribattere. Cosa poteva aver causato quell’enorme paura?
Ci sbrigammo alla cassa e pagai. Il viaggio verso casa fu estenuante e gelido.
«Jane, mi dici cos’è stato?» chiesi per l’ennesima volta entrando in casa. Sapevo che non voleva parlarne, ma se stava davvero tremando dalla paura per ciò, dovevo sapere cosa fosse.
Dovevo saperlo per poterla tranquillizzare, per sapere se davvero stava andando tutto bene come le dicevo.
«No» disse secca per la millesima volta. «Non voglio metterti in pericolo» aggiunse sussurrando.
Quella frase, appena udibile, mi provocò dei brividi.  Se saperlo mi avrebbe messo in pericolo, volevo saperlo. Perché, da quel che avevo capito, era in pericolo anche lei.
«Jane, dimmelo» ordinai, guardandola negli occhi e lasciando stare la spesa per terra.
«Ma, Harry...» si difese debolmente.
«Niente ‘ma’, Jane, devi dirmelo. Non sopporto di vederti in questo stato. Se siamo amici, dimmelo. Agli amici si dicono i segreti» ribattei. Sapevo di essere crudele, ma, in qualche modo, avevo bisogno di saperlo.
«Non si mettono in pericolo gli amici» fece con voce spezzata e sull’orlo delle lacrime.
«Sì invece, se loro sono disposti ad esserlo» sbottai. Lei sospirò e abbassò lo sguardo.
«Bene. Harry, sto per svelarti il motivo dei miei incubi» e prese a raccontare. Gli orrori vennero a galla.


 

Nila’s Corner

Eccomi qua, ad aggiornare solo dopo un giorno :) Spero apprezzerete il gesto.
Ahimè, mi piace divertirmi con voi, e quindi ecco un altro capitolo che finisce a metà. Scusatemi, ma stavolta il seguito lo pubblicherò solo quando finisco di scrivere l’11, dico sul serio. O finisco per pubblicarli tutti in una volta e poi perdere anche due settimane perché magari ho un blocco o troppi compiti per poter scrivere.
Non lo pensate anche voi? Meglio avere molti capitoli a ritmo di uno ogni circa 4-5 giorni che 4 capitoli in tipo sei giorni e poi un vuoto di due settimane, vero?
Questo capitolo per me è qualcosa di eccezionale. La pazza, lunatica e casinista Jane aiuta Harry e salva il suo rapporto con Louis a proprie spese. QUESTO E’ AMORE, E ONESTA’. Cosa che manca parecchio alle persone, di questi tempi. Insomma, avrebbe potuto combinare un casino, far lasciare Louis ed Harry definitivamente e scoparsi il riccio dalla mattina alla sera, ed ha preferito fare qualcosa per una persona che quasi non la calcola o che comunque la odia (Louis). Sto amando particolarmente la mia Jane, sta uscendo fuori un essere unico.
Anche Harry è dolce, quando ha detto a Jane di guardarlo negli occhi la parte conscia del mio cervello ha preso i popcorn mentre il mio inconscio continuava a muovermi le dita sulla tastiera.
Ed ecco qui che compare per la prima volta l’antagonista della storia, e adesso stop! non anticipo più nulla.
Con il prossimo capitolo (Memories, ero tentata di chiamarlo Midnight Memories ma poi non sarebbe stato più “puramente casuale” come nei film xD) saprete la ragione degli incubi di Jane e vi consiglio, alla fine, di rileggere la descrizione che ho scritto su di essi, così da far combaciare i pezzi.
Adesso vado, mi aspettano latino, matematica e inglese che mi occupano una pagina intera di diario e io scrivo piccolo. Maledetto scientifico.

Bye ^^

P.S. Ho iniziato una raccolta di poesie, se vi va di leggerle cliccate qui 
P.P.S. GRAAAAAAAZIE a voi che leggete <3

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 - Memories ***





Capitolo 9 - Memories





Io e mia madre eravamo felici. Non eravamo le persone più ricche del mondo, anzi, ma eravamo felici lo stesso.
Lei, ancora giovane, faceva i suoi spettacoli di acrobazie, ed io mi allenavo sin da piccola per seguire la sua strada.
Un giorno, avrò avuto al massimo otto anni, un uomo vestito di scuro e con una bambina biondissima venne a trovarci nella nostra roulotte che avevamo al circo.
Il giorno prima aveva piovuto e il terreno era fangoso, ma mia madre mi mandò fuori a giocare con la bambina mentre lei parlava col padre.
Io saltavo e facevo piccole acrobazie, mentre la bambina mi fissava in silenzio con espressione arrabbiata.
«C’è qualcosa che non va?» le chiesi io, preoccupata.
«Sì! Tu ti sei presa la mia mamma» sbottò arrabbiata. Io la guardai stupita.
«Io non mi sono presa nessuno» ribattei.
«E invece sì! Me l’ha detto papà, sai? Lei ha preferito tenersi te e invece ha preferito dar via me, mi ha lasciato con lui! Tu che hai di diverso da me? Perché lei vuole te e non me?» si mise ad urlarmi contro, e io non capivo. La mia mamma non era solo mia? Era anche sua?
Il signore uscì subito dopo, si prese la bambina ed andò via senza neanche considerarmi. Per strada, quando ancora lo riuscivo a vedere, un colpo di vento gli fece cadere il cappello e gli vidi i capelli biondi. Biondi come la figlia.
Era chiaro che lui era suo padre, come era chiaro che mia madre fosse tale: ci assomigliavamo!
Mentre io e l’uomo, come la bambina e mia madre, non avevamo somiglianza. Decisi che la bambina si era inventata tutto e tornai in casa senza chiedere nulla a mia madre.
Otto anni dopo, quando avevo sedici anni, ormai mia madre non faceva più spettacoli ma era alla biglietteria, ed io mi esibivo tutte le sere.
Durante uno spettacolo, dei rapinatori entrarono nel circo trascinandosi dietro mia madre. Oltre ai soldi della biglietteria che mia madre aveva dato loro, volevano gli incassi degli spettacoli precedenti, o l’avrebbero uccisa.
Il titolare, un uomo senza cuore, non accettò il ricatto, ed uccisero mia madre davanti i miei occhi. Disperata e ferita dal fatto, mi gettai sul corpo di mia madre e la strinsi a me per gli ultimi istanti di vita.
Ma fu un errore, perché i rapinatori mi videro e mi presero, portandomi via. Mi addormentarono, e mi svegliai in una casa di campagna, immagino, perché anche se urlavo nessuno mi sentiva.
Per quel che mi parve un giorno, nessuno mi venne a trovare. Poi cominciarono a venire. Tanti, troppi.
Al primo mi ribellai, scalciando e mordendo. Mi fece calmare a suon di schiaffi, pugni e calci. Poi mi rubò la verginità con un ghigno, minacciando altre percorse se mi fossi ribellata. Fu solo dolore, immenso e insopportabile.
Poi se ne andò, ma poco dopo venne il secondo. Mi vide in quello stato ma non disse nulla. Mi usò come l’altro. Mi ribellai di nuovo, ma lui non fece altro che colpirmi violentemente, e cedetti quasi all’istante. Anche lui se ne andò appena ebbe fatto, e fece violentemente.
Dopodiché vennero continuamente, senza un attimo di tregua, per chissà quanti giorni. Alcuni erano più gentili, mi guardavano con pietà e mi promettevano meno dolore, altri più violenti che godevano più nel sentirmi urlare di dolore che altro. Altri ancora mi massacravano di botte soltanto.
Mi fecero mangiare per la prima volta dopo non so quanto, forse una settimana. Ero allo stremo delle forze e complessivamente avevo perso parecchio sangue.
Dopo li sentii decidere che mi avrebbero dato qualche goccio d’acqua e poco cibo ogni giorno, abbastanza da tenermi invita e abbastanza da tenermi debole, così potevano continuare a vendermi.
Contai ventuno pasti, fino a quando finalmente un uomo entrò nella stanza, mi studiò e poi uscì lamentandosi che lui aveva pagato per una donna e non per un pezzo di carne da macello. Ed era quello che mi sentivo io, e desideravo soltanto morire e finire quell’agonia.
Entrò un altro uomo che fece come nulla fosse e mi stuprò. Il terzo uscì subito dopo disgustato e fece gli stessi discorsi del primo, e così tutti gli altri.
Passò un giorno, poi due. Ormai non rendevo più e discutevano di sopprimermi. E desiderai ciò ardentemente. Dopo qualche ora qualcuno entrò nella stanza. Una donna, la prima che vedevo da quasi un mese.
Era vagamente familiare, ma ero troppo debole per ricordare. Mi portò via di lì e per un po’ sperai nella salvezza. Ma mi portò in una casa e mi spiegò tutto.
«Ti ricordi di me? Io sono Alexia» mi disse. Ma io non conoscevo nessuna Alexia. «Sono la bambina che, otto anni fa, venne da te con suo padre e ti urlò quelle cose» aggiunse, e allora ricordai. Dovette capirlo dalla mia espressione, perché sghignazzò.
«Sono qui per la mia vendetta. So che nostra madre è morta, purtroppo. Non ho potuta finirla io. Ma a te sì» e cominciò a torturarmi. Prese a farmi dei tagli da tutte le parti, strani disegni, scritte. Ma durò poco, perché dalla fretta non si era curata di una cosa: le mie urla. Qualcuno mi sentì e chiamò la polizia, che venne a salvarmi.
Non seguii il processo tranne che per dare la mia testimonianza, seppi solo che il titolare del circo era cambiato (il primo era stato condannato per favoreggiamento, mi pare) e che voleva accogliermi. Ritornai al circo e ripresi la vita di sempre, ma gli incubi rimasero.
E lei ha giurato di farmela pagare.






«Al supermercato c’era lei, c’era Alexia» conclusi, tra le lacrime. «Riconoscerei la sua risata ovunque».
Harry mi abbracciò, tentando di consolarmi. Ma come faceva, se la minaccia era così vicina?

«Non sei più da sola, sai? Alexia non può più ferirti, ora ci sono io e non permetterò a nessuna biondina in cerca di vendetta neanche di sfiorarti, fidati. E adesso non pensiamoci più, okay?» disse Harry.
Chissà perché, io ci credei. Forse perché avevo voglia di sentirmi più sicura, forse perché era vero. In quel momento neanche mi sfiorò l’idea che, forse, al mio nuovo incontro con Alexia, Harry poteva non esserci più. 


 

Nila's Corner

Eccomi qui, vado un po' di fretta ma okay, sono qui e sto aggiornando nonostante abbia una versiona di latino, dieci espressioni di matematica e tre temi di italiano. Perchè per me la storia è più importante dei compiti, mettiamolo in chiaro. 

Ecco qui la storia di Jane, molto cruenta mi dicono. Ora capirete meglio gli incubi che ha avuto. Il capitolo è piuttosto corto rispetto agli altri, scusatemi.
Ora vado, che la versione di latino mi chiama,

Bye xxx

P.S. Un GRAZIE enorme a chi recensisce/ricorda/segue/preferisce o semplicemente legge questa storia :)

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 - Seven day to fall in love ***




Capitolo 10 - Seven day to fall in love





Day n°1

Era successo quando, dopo pranzo, avevamo finalmente deciso di aprire i copioni. Vuoti. Pagine e pagine bianche, completamente vuote, eccetto la prima, dove c’era scritto:

 
COPIONE

Scrivetelo voi, vi lasciamo libero arbitrio :)

Chiunque avesse avuto questa genialata, gli avrei infilato quella faccina nel culo e gliel’avrei fatta uscire dalla bocca. Tanto per non essere volgare, eh.
«Facciamo un patto» proposi, spegnendo la televisione di colpo. Lei sussultò, spaventata, alzando gli occhi dal libro che stava leggendo.
«Non ne abbiamo già fatto uno?» mi chiese a bassa voce.
«Dobbiamo pur trovare qualcosa da fare. Non possiamo passare sette giorni ad annoiarci» osservai io. Lei annuì.
«Hai ragione» ammise.
«Propongo un gioco» aggiunsi. Lei mi guardò attenta. «Sette giorni per innamorarsi. Naturalmente per gioco» proseguii.
«Che vuoi dire?» mi chiese confusa.
«Tenterò in tutti i modi di farti innamorare, ma solo per il pubblico. Non voglio davvero farti innamorare, non ora che io e Louis abbiamo fatto pace» spiegai.
Soltanto dicendolo ad alta voce capii quanto il mio piano fosse stupido, e sbagliato. Che idea si sarebbe fatta di me?
Avrebbe urlato, dandomi dello stupido? Sarebbe arrossita, capendo male la mia richiesta? Si sarebbe chiusa in sé stessa? Avrebbe riso?
Invece non fece niente di tutto ciò, sorprendendomi. Si limitò a restare esattamente come prima, con la stessa espressione inespressiva di prima.
«Tu e Louis avete fatto pace? Avevate litigato?» chiese semplicemente. Mi rilassai impercettibilmente.
«Sì, per... per la sua gelosia. Io sopporto Eleonor da non so quanto tempo, e lui dopo un giorno è già stufo di vedermi con te» e risi, una risata isterica.
«Dev’essere brutto, suppongo. Amare una persona ma sapere che ciò è sbagliato. Amare una persona ed essere costretto a fingere di amare qualcun altro» sussurrò, guardandosi le mani.
«È orribile, te lo garantisco» confermai.
«Okay, ci sto. È sempre un modo per passare il tempo. Scriviamo il copione insieme, decidendo giorno per giorno, o vuoi usare ancora l’effetto sorpresa?» mi chiese con un sorriso.
«Effetto sorpresa» risposi, aprendomi in un sorriso.





«Bene» sogghignai. Se lui era sempre per l’effetto sorpresa, lo sarei stata anch’io. Se lui scombinava i piani (prima prometteva di essere un amico, poi si comportava come qualcosa di più) io l’avrei accontentato, e di più: lo avrei confuso come lui confondeva me, nello stesso modo subdolo che usava lui. Lui si comportava così e accaparrava la scusa del ‘pubblico’. Io avrei fatto lo stesso.
Lasciai stare il mio libro, che misi in un bracciolo del divano, e mi misi a cavalcioni su di lui, che mi guardò, stupito e interrogativo. Avvicinai il mio viso al suo e sfiorai il suo naso con il mio.
«Se dobbiamo finger bene di esser fidanzati, dobbiamo provare. Sarai un po’ irrigidito con le ragazze, sarà da un bel po’ che non te ne scopi una» sussurrai. Lui scoppiò a ridere.
«Devo dirti che in realtà non è poi un vero “bel po’” come la fai tu. Se per te Taylor Swift conta come ‘ragazza’, intendo» ribatté strafottente. Io lo guardai interrogativa, capendo lentamente il senso della frase.
«Cosa? Certo che reputo Taylor Swift una ragazza, scusa come la vorresti consid... ASPETTA! TI SEI SCOPATO IL MIO IDOLO?!» sbraitai capendo finalmente ciò che mi aveva detto.
Voleva dire che lei, proprio lei, la mia amata, cara Taylor Swift, era stata sopra di lui nello stesso modo in cui c’ero io? Ed aveva dormito nel suo letto come avevo dormito io?
Lui fece una smorfia ed arricciò il naso. Non sembrava molto contento, anzi, non era affatto contento, si vedeva lontano un miglio. Forse non voleva davvero sollevare l’argomento.
«Lei è il tuo idolo?!» chiese con il mio stesso tono shockato. Ah, era questo che voleva sapere, che lo infastidiva?
«Sì, lei ai miei occhi è sempre stata fantastica, stupenda, la perfezione assoluta!» esclamai con sguardo sognante. Poi mi rabbuiai. «Non è così?».
«Beh, è molto più umana di come la fai tu. Non è affatto una dea. E magari non poi così fantastica e stupenda, e nemmeno così brava a letto. Se poi vogliamo star qui ad elencare tutti i suoi difetti...» cominciò, ma io mi tappai prontamente le orecchie.
«Bla bla bla, non ti sento! Bla bla bla, non ti ascolto! Bla bla bla, bla bla bla bla...» cominciai ad urlare sopra la sua voce per non sentirlo. Quando vidi che la sua bocca era finalmente chiusa, mi azzardai a levar le mani dalle orecchie.
«Senti, so che è umana, e forse avrà anche più difetti di me» ignorai il “Diciamo...” di Harry e proseguii «ma voglio continuare ad associarla all’idea di perfezione ed esempio da seguire, grazie» conclusi.
«Dove eravamo rimasti, prima dell’argomento ‘T’?» chiese. Argomento ‘T’? E questa da dove la tirava fuori? Bah.
«Eravamo rimasti a tu che non scopi da un bel po’ con le donne. Che poi, scusa, ma tu e Louis da quando state insieme?» domandai quasi senza riflettere.
«Da poco dopo la fine di X-Factor, perché?» ribatté.
«E perché ti sei scopato la Swift se stavi con Louis?» chiesi curiosa, pensandoci bene. Insomma, se si era scopato l’argomento ‘T’ mentre stava con Louis l’aveva... tradito!
«Diciamo che era un periodo di... pausa fra noi due e mi serviva qualcosa per farlo ingelosire» rispose alzando le spalle. Scattai in piedi, inorridita.
«Bleah! E poi sarebbe la Swift quella piena di difetti! L’hai scopata con un secondo fine!» mi lamentai sconvolta.
«Beh, ti assicuro che anche lei aveva un secondo fine» fece.
«FERMATI! Non mi dire quale, non lo voglio sapere, mi basta il tuo» ringhiai. Poi mi rilassai e tornai su di lui. 
«Stavo dicendo, prima di tutto ciò, che quindi abbiamo bisogno di pratica. Propongo una mezz’oretta al giorno da dedicare alla pratica» dissi dandogli un bacio a stampo «in cui cercheremo ognuno di far eccitare l’altro. Ma ricorda, è un esercizio per recitare meglio, non sesso. Quindi bisogna essere spinti ma non troppo: niente sesso, e se mi tocchi culo o tette ti castro. Domande?». Alzò la mano, ed io alzai un sopracciglio facendogli segno di parlare.
«Sì, una: sicura sicura che culo e tette non...?» mi chiese. Lo fulminai con lo sguardo.
«Puoi, ma solo se hai voglia di diventare femmina, Harry» lo ammonii.
«Credo che me ne starò alla larga» disse in un soffio, fingendosi spaventato.





Entrai nella mia stanza lentamente. Jane era andata a letto prima di me e non volevo disturbarla.
Però, quando spalancai la porta, attento a non far rumore, la trovai che guardava il soffitto con aria triste. Mi infilai nel letto, accanto a lei.
«Qualcosa non va?» chiesi guardandola. Lei si girò a guardarmi e rimase in silenzio per qualche secondo.
«Mi stavo chiedendo se tutto questo sia giusto» rivelò. Io la guardai, interrogativo ed in cerca di spiegazioni.
«Tutto questo cosa?» domandai.
«Io e te, intendo. E tutta questa recita che abbiamo messo su, che ci hanno fatto metter su» spiegò, con voce un po’ alterata.
«Non so se sia giusto. So solo che serve. Tu vieni pagata per questo, no?» feci. Quando la guardai mi accorsi dell’enorme errore che avevo commesso: avevo come scaricato la colpa su di lei.
«Già, io vengo pagata per questo. Tu invece sei obbligato. E questo fa di me l’essere più meschino fra noi due» concluse Jane, seria.
«Anch’io vengo pagato. E se non ci fosse questa recita, se le fans sapessero che sono gay, io scomparirei nel nulla e non verrei più pagato. Anch’io sono meschino» mi affrettai a dire.
«Già. Ma anche se tu lo dicessi al mondo intero (che sei gay, intendo), beh, credo che molte tue vere fans rimarrebbero. Come si chiamano quelle? Ah sì, le directioner» cercò di tranquillizzarmi. Ma non ci riuscì, così cercai di pensar a qualcos’altro.
«Ti ricordi la prima volta che ci siamo visti? Quando hai finto di essere una di loro?» chiesi, sorridendo al solo pensiero.
«Già, e tu ci sei cascato» rise. Poi tornò seria. «Sembra una vita fa» confessò.
«Hai ragione. È come se, quel pomeriggio al circo, fosse cominciato qualcosa di nuovo. E di strano» annuii.
«La nostra amicizia?» chiese Jane, incerta. Potevamo davvero definirla amicizia? Beh, era un’amicizia nuova e strana, quindi...
«Certo» ribattei. Lei sorrise e si avvicinò a me.
«Adesso dormiamo, ho sonno» borbottò lei. Io la abbracciai stringendola a me. Era ghiacciata dal freddo.
«Ricordati di svegliarmi se hai qualche brutto incubo» le raccomandai. «Su, da’ qua i piedi che te li riscaldo» aggiunsi, sfregando i miei piedi ai suoi, entrambi  in cerca di calore.





Day n° 2

«Non sono abituata a questi tipi di negozi» mi lamentai entrando nell’ennesimo negozio di marca con commesse che mi assalivano appena ci mettevo piede.
“Vuole provare questo?”, “Sta cercando quello?”, “Posso aiutarla in qualche modo?”... tutte frasi noiose, ripetute all’infinito e scontate.
«E dove andavi prima? Al mercatino dell’usato?» chiese sarcastico Harry. Mi rabbuiai. Presi un vestito a caso dal mucchio ed entrai in un camerino.
«Oh, scusa, non volevo offenderti in nessun modo, lo giuro!» cominciò a supplicarmi Harry dall’altra parte della tenda.
«La vita del circo è piena di sacrifici e mal pagata. Non posso permettermi certi abiti e certi prezzi, con il mio stipendio» spiegai, provando il vestito grigio scuro-lilla di lana che avevo preso.
«Brr...» sussurrai, strofinando tra loro le gambe e le braccia scoperte. «Harry, puoi prendermi un paio di leggins?» gli chiesi.
«E tu mi perdoni?» domandò. Sospirai, fingendomi infastidita.
«Solo se ne scegli un paio davvero carino» gli concessi, con una risata. Dopo pochi secondi una mano mi tendeva dei leggins bianchi. Storsi il naso.
«Bianchi? Non potevi prenderli grigio chiaro?» mi lamentai. Odiavo gli abiti bianchi. Sanno di purezza, innocenza, e in realtà sono l’opposto. Insomma, il bianco lascia vedere tutto ciò che c’è sotto, specialmente quando si bagna. Altro che innocenza.
«Certo» e subito ritirò il bianco e mi porse quello grigio chiaro. «Se non ti piace, ho qui anche dei leggins grigio scuro, neri o viola».
«Apprezzo il tuo pensiero di prenderli di tanti colori diversi, ma davvero pensi che io indosserei dei leggins viola sotto questo vestito? Insomma...» commentai ad alta voce mentre indossavo i leggins.
«Scusa, ma non sono abituato a provare abiti da donna» si scusò. Risi di cuore.
«Mi preoccuperebbe il contrario» risposi.
«Ah, ti ho preso anche dei dolcevita per le braccia scoperte. Vuoi che te li passi?» mi chiese. Ma che tenero... pensai, arrossendo. Allora forse gli importava qualcosa di me.
«Sì» risposi tendendo la mano. Lui me ne passò uno color grigio chiaro, uguale ai leggins, che mi sbrigai ad indossare. «Ah, Harry?» feci.
«Sì?» domandò.
«Grazie» sussurrai. Poi, dopo essermi guardata allo specchio, uscii dal camerino. Lui rimase, stupito, a fissarmi. Anzi, più esattamente mi fece i raggi X in tutto il corpo, centimetro per centimetro. Finsi di arrossire.
«Sto così male?» balbettai, fissandomi le scarpe.
«Sei stupenda» disse, con voce che suonò vera. Arrossii veramente. Poi mi prese per mano e mi trascinò per il negozio.
«Ma che cazz... Harry? Dove stiamo andando? Cosa stiamo facendo?» chiesi mentre lui cercava qualcosa in giro per il negozio senza smettere di tenermi per mano e trascinarmi con lui da tutte le parti.
«Trovato!» urlò, e mi porse un cappello di lana. Una commessa ci raggiunse in fretta.
«Avete bisogno di aiuto?» chiese con un sorriso stupido in viso. Harry continuò a cercare qualcosa senza calcolarla.
«Trovata anche questa!» e mi diede una sciarpa di lana.
«Posso aiutarvi?» insistette la commessa. No, smamma, puttana pensai fulminandola con lo sguardo
«Ecco qua i guanti! Non sono carini, Jane? Ma adesso cerchiamo gli stivali. Questo negozio vende anche stivali, vero?» domandò Harry alla commessa, che sollevata si aprì in un sorriso soddisfatto e, a parer mio, strafottente. Come se mi stesse urlando “Hai visto che servivo?”.
«Certo, venite da questa parte che vi illustro i nuovi arrivi» gracchiò, avviandosi verso la parte opposta del negozio.
In quel momento cinque ragazze entrarono nel negozio. Le guardai di sfuggita e notai che erano sicuramente più piccole di me di qualche anno.
«OH MIO DIO, QUELLO È HARRY STYLES!!!» urlò una di loro. Io ed Harry ci guardammo spaventati.
«Già, e quella non è la sua nuova ragazza?» chiese un’altra. Poi cominciarono ad urlare istericamente e a venire verso di noi.
Harry, veloce, mi prese per mano e mi trascinò via dal negozio. Suonò l’allarme, poiché io avevo ancora addosso i vestiti che avevo provato.
Mi girai solo un istante a guardare un’auto di polizia ferma vicino al negozio e dei poliziotti (molto probabilmente venuti per prendersi una cosa al bar vicino e attirati dall’allarme) correrci dietro insieme alle ragazze e ad alcune commesse del negozio.
«Corri, spicciati!» urlò Harry tirandomi via. Io cominciai a correre insieme a lui. Le vie di Londra erano per me sconosciute, e ogni volta che svoltava l’angolo, o sceglieva una strada invece che un’altra, speravo stesse andando da qualche parte in cui le fans non ci avrebbero trovato.
«Ma Harry, abbiamo anche la polizia dietro!»  gli urlai.
«Lo so» disse semplicemente lui.
«Non potremmo fermarci e chieder loro aiuto? E magari pagare le mie cose!» gli suggerii.
«Credi davvero che ce le farebbero pagare e basta? Loro muoiono dalla voglia di trovare nuovi scoop, sono peggio dei giornalisti. Qualcosa tipo “Harry Styles e la sua ragazza arrestati per furto” e un articolo su quando bad boy io sia» mi rispose.
«E quindi?» chiesi.
«E quindi corri, che prima arriviamo da Paul e meglio è» mi rispose semplicemente.
«Spero che tu sappia come arrivarci. Mi fido di te» ribattei, prima di chiudere una volta per tutte la bocca, o mi sarei stancata più del dovuto.


 

Nila’s Corner

Eccomi qui, scusate il ritardo ma ho avuto problemi di connessione e compiti a palate :O Ora, se vedete il capitolo precedente ho aggiunto un pezzettino :)
Ora vado, che ho letteralmente i minuti contati

Bye xoxoxo

P.S. VI VOGLIO BENE :D Grazie a tutte voi, care lettrici! Risponderò alle recensioni appena posso, promesso, e cercherò di trovare più tempo!

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