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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio - Qualche mese dopo ***
Capitolo 2: *** Fantasmi - Il volto del nemico ***
Capitolo 3: *** Risveglio - Uno dei sei ***
Capitolo 4: *** Il piano inferiore - Ian e Iago ***
Capitolo 5: *** La terza voce - Linus delle ombre ***
Capitolo 6: *** Il Maestro - Fattore K ***
Capitolo 7: *** Karen della fiamma - I paladini ***
Capitolo 8: *** Il secondo giorno di scuola - Entra il nemico ***
Capitolo 9: *** La Squadra Beta - Ian e Linus ***
Capitolo 10: *** In infermeria - Le teorie di Helen ***
Capitolo 11: *** Modus opeerandi - La marcia degli spettri ***
Capitolo 1 *** L'inizio - Qualche mese dopo ***
1
L’inizio
Qualche
mese dopo
“
Scott, posso parlarti un momento?”
Era
suonata la campanella del suo primo giorno di scuola, era la fine di
marzo. Tutti
i ragazzi stavano uscendo dalla classe, quando il professore
dell’ultima ora lo
aveva chiamato. Scott non poteva certo dire di esserne
sorpreso… semmai a
sorprenderlo era il fatto che avesse aspettato la fine
dell’ora per parlargli. Si
fermò accanto alla cattedra e aspettò che gli
altri ragazzi uscissero. Si ricomincia gente,
disse qualcosa
dentro si lui. Erano mesi che si trovava a dare spiegazioni per cose di
cui non
sapeva niente.
Rimase
ad osservare in silenzio, come sempre faceva.
Scott
era un ragazzo che poteva passare facilmente inosservato. Non parlava
mai se
non interpellato, sembrava non essere mai veramente presente. Non era
molto
alto, aveva i capelli scuri molto corti. Era un po’ pallido,
quasi etereo.
Nemmeno il suo abbigliamento destava curiosità: semplici
jeans e maglietta blu.
Era come se non ci fosse, in qualunque situazione. Ma se incrociavi il
suo
sguardo, anche solo una volta, non lo dimenticavi facilmente. Anche per
questo,
Scott aveva sempre lo sguardo basso.
Il
prof nel frattempo mise apposto le sue cose. Era abbastanza giovane
nell’aspetto e nei modi, di certo meglio dei matusalemme che
gli esano capitati
gli anni passati.
“
Ho
dato un’occhiata alla tua cartella, prima di venire in
classe. Non so se tu
l’hai mai vista, ma… be’… non
c’è niente in quella cartella. Ho cercato negli
archivi
e tutte le informazioni su di te sembrano essere sparite nel nulla. E
oggi
spunti dal nulla nella mia classe, accompagnato dal preside in persona.
Posso
chiederti quanti anni hai?” L’espressione del
professore era strana. Sembrava
accusarlo di qualcosa e al tempo stesso sembrava quasi temerlo. E
nonostante
tutto, gli parlava con un gran sorriso sulle labbra.
“
Diciotto.
Li ho compiuti il mese scorso”.
“
E
come mai ti hanno assegnato ad una classe di seconda liceo?”
chiese il
professore.
“
Perché i miei voti in primo liceo mi consentivano di
iscrivermi al secondo
anno.” Rispose, senza smettere di guardarsi intorno
lentamente.
Il
prof aprì la bocca per dire qualcosa. Poi la richiuse. Scott
sapeva quello che
avrebbe voluto chiedere. E intuiva quello che sperava di sentire.
“
Se
mi vuole chiedere cosa ho fatto nei 4 anni che avrei dovuto passare a
scuola,
sappia che non li ho passati in carcere. Ero in una clinica
specializzata. Ero
affetto da una rara malattia, a quanto pare. Spero non le dispiaccia se
non le dirò
altro al riguardo.” Il quel momento smise di guardare in giro
e fisso il
professore. Sapeva che il suo sguardo, più delle parole,
avrebbero messo fine
alla conversazione.
“
Ehm… sì, certo… capisco. Puoi
andare… ehm… Scott. Sono sicuro che lavoreremo
bene
insieme.” Il prof prese tutte le sue cose e quasi corse fuori
dalla porta. Ora
aveva paura. Scott poteva quasi vederla, la paura, come
un’aurea intorno al suo
corpo.
Ecco
un altro che non mi guarderà con gli
stessi occhi, domani.
Sulla
strada di casa cercò di non pensare a niente. A volte gli
tornavano in mente
immagini di cose che non ricordava, di cose che non potevano essere
reali, ma
sembravano così vivide che lo spaventavano. Provò
per l’ennesima volta di
pensare a quando era piccolo, alla sua infanzia, ma inutilmente. Certo
ricordava i suoi genitori, i suoi nonni. Ricordava di essere cresciuto
a
Noridan, un piccolo paese non molto lontano da lì. Ricordava
dell’esplosione
che aveva ucciso i suoi genitori… era solo un lampo,
un’enorme luce rossa che
invadeva tutto… ma aveva quattro anni all’epoca,
era giusto che non ricordasse
altro. Ma tutto quello che era venuto dopo… no, non ne aveva
memoria. Ricordava
i nomi dei suoi amici, ricordava i loro volti, ma non quello che
avevano fatto
insieme, non ricordava nulla dei loro giochi. Ricordava tutti i nomi,
tutte le
date, tutte le facce… ma niente di quello che era successo.
Pensò
distrattamente che il semaforo avrebbe segnato il giallo tra meno di 4
secondi,
perciò allungo il passo per non doversi fermare. Mancavano
trecentocinquantaquattro metri alla fermata, sei minuti
all’arrivo del pullman
se fosse stato puntuale. Non si chiese come facesse a sapere tutte
queste cose.
Le sapeva e basta. Quello che non sapeva, quello che non ricordava, era
chi fosse
lui davvero.
Un
ragazzo biondo sullo skate lo superò ad una
velocità impressionante. Poi si
fermò e guardò dietro.
“
E
muovetevi schiappe!” urlò.
Scott
d’istinto si voltò e vide in lontananza tre
ragazzi che arrancavano sui loro
skate. Sembravano spossati. Il ragazzo biondo invece sembrava non avere
nemmeno
un po’ d’affanno.
Improvvisamente
un altro lampo. Guardò il ragazzo davanti a sé. I
suoi capelli erano di un
biondo scuro, la sua pelle abbronzata. Gli occhi azzurri. Non era la
prima
volta che lo vedeva. E la sua voce – muovetevi schiappe!
– riecheggiò nella sua
testa. No, aveva già sentito quella voce. L’aveva
sentita… l’aveva sentita urlare…
“
Ci
sei, fratello?”
Scott
sbatté gli occhi e tornò al presente. Ci mise un
attimo per analizzare la situazione.
“
Ti
stavo fissando, vero?” chiese.
“
Eh,
sì. Sembravi aver visto un alieno.” Disse il
ragazzo biondo, spostando il peso
da un piede all’altro in continuazione.
“
Scusa. È che mi hai ricordato qualcuno che forse
conoscevo.”
“
Fai
tu. Ma se scopri che in un’altra vita ti dovevo dei soldi,
non venirmi a
cercare! Io scappo.” Senza aspettare risposta, il ragazzo
biondo si rimise
sullo skateboard e schizzò via.
L’aveva
già visto. Non aveva dubbi. E se non si sbrigava, rischiava
di perdere il
pullman.
Quando
salì sul pullman, i dubbi e il domande che lo tormentavano
da mesi si
ripresentarono, come noiosi clienti che si chiedono accanto al tuo
tavolo
quando hai bisogno di un po’ di tranquillità.
Ripresero i loro posti e
cominciarono a parlare. E una domanda, buttata lì con
noncuranza, lo sorprese:
era stato necessario spaventare il prof quella mattina?
In
fondo, stava facendo solo il suo mestiere. Un nuovo alunno presentato
quasi a
fine anno, praticamente un fantasma senza nessun documento che ne
chiarisse il
passato. Era giusto che fosse curioso… e magari anche
sospettoso. E, volendo
proprio semplificare il tutto, avrebbe potuto dirgli tranquillamente la
verità.
Ma
che cazzata!
Sbottò un altro
noioso cliente, nella sua testa. Lui non
la conosceva la verità! Gli avevano detto che era
rimasto in coma per
quattro anni e lui aveva finto di crederci, ma non poteva essere
così. Aveva
cercato in tutti i modo di spiegarselo, aveva cercato informazioni. Non
avrebbe
potuto svegliarsi da un coma di quattro anni e alzarsi semplicemente
dal letto
e urlare perché aveva fame. I suoi muscoli non gli avrebbero
permesso di
alzarsi. Avrebbe avuto qualche postumo, un qualsiasi sintomo. Invece
aveva
aperto semplicemente gli occhi, pensando di aver dormito un
po’ troppo.
Non
gli
avevano detto la causa di quello stato comatoso. Ogni dottore aveva
indicato un
collega che avrebbe saputo dargli maggiori spiegazioni. Scott aveva
capito che
o non sapevano niente oppure non volevano dirglielo. In ogni caso,
avrebbe
trovato da solo le risposte.
Era
diventato molto silenzioso. Un cliente rise senza discrezione. Scott ne
era
molto irritato. Come faceva a dire che era diventato
silenzioso, se non ricordava niente di com’era prima?
No,
non era vero, provò a ridabile. Ricordava un sacco di cose.
Aveva frequentato
la scuola elementare e le medie nella scuola che praticamente era sotto
casa.
Era stato bravo, tutti ottimi voti. Ricordava i volti dei suoi genitori
e la
data dell’incidente d’auto che glieli aveva portati
via. Ricordava della gita a
Roma e di quella a Parigi. Ricordava la sua stanza, la sua casa.
Ricordava i
suoi amici, le strade della sua città che aveva consumato
sulla sua bici…
Ma
appena
pronunciate, anche solo nella sua mente, quelle parole gli sembrarono
così
inconsistenti. Era semplicemente troppo poco. La
verità era che ricordava solo notizie!
Andavano bene per compilare un
curriculum, un rapporto… ma ricordava di essersi divertito
con i suoi amici?
Ricordava di aver pianto per i suoi genitori? Ricordava di aver avuto
paura?
E
lui, com’era da bambino? Oltre al rapporto di fine anno
dietro ad ogni
attestato della scuola, chi era stato in realtà?
Scott
strinse i pugni, un brivido gli corse per tutto il corpo.
Lasciò perdere tutti
quegli stupidi pensieri. Chiuse gli occhi, per trovare la
concentrazione.
Sul
pullman c’erano ventitrè persone. Cinque
dormivano. I sette ragazzi in fondo al
pullman tornavano probabilmente dall’università.
La ragazza straniera avanti a
lui era lì per badare alla signora che le sedeva accanto.
Non sembrava capire
molto di quello che diceva la vecchia, ma annuiva nei momenti giusti.
C’erano
due bambini e una bambina. Un ragazzo con gli occhiali e
l’i-pod che forse
dormiva. Un ragazzo
e una ragazza che
stavano abbracciati.
Senza
aprire gli occhi, Scott passò in rassegna tutti i passeggeri
che aveva visto
quando era salito. Di nuovo non si chiese come fosse possibile che
ricordasse
tanti particolari dopo una semplice occhiata. Le voci nella sua testa
avevano
smesso di chiacchierare.
Stava
per succedere qualcosa.
Qualche
istante dopo, Scotto capì che aveva visto giusto. Alla
fermata, salirono a
bordo due uomini. Il primo sulla trentina, il secondo un po’
più giovane. Jeans
malandati, maglione scolorito, lo sguardo attento sui passeggeri.
L’autista
chiuse le porte e continuò la corsa. I due presero posto
davanti.
Aveva
tutto sotto controllo.
L’autista
cambiò frequenza alla radio, trovò una canzone
decente e alzò un po’ la voce.
Faceva un po’ troppo caldo lì dentro. Imboccarono
l’autostrada.
Il
giovane si avvicinò all’autista. Gli disse
qualcosa all’orecchio. Scott non
riusciva a leggere il labiale, ma in fondo non ne aveva bisogno.
L’altro uomo,
quello più anziano, tirò fuori una pistola.
Scott
vide la mamma in seconda fila tirare a sé il bambino e
nasconderlo contro il
vetro, senza dire una parola, ma con gli occhi che parlavano molto
chiaramente.
Attese le fatidiche parole – “questa è
una rapina! Collaborate e nessuno si
farà male!” – e si concentrò
sui movimenti dell’uomo. Era lui il capo, era sua
la decisione. Era lui quello da eliminare.
Colpisci
al cuore! Colpisci alla testa
jushi!
gridarono le voci nella sua testa. Tutto il
resto cadrà a pezzi!
L’uomo
stava derubando i passeggeri, sollecitando con pugni e minacce chi non
cacciava
subito il denaro. Scott si alzò e fece un paio di passi
verso l’uomo.
“
Seduto! Sta seduto pezzo di stronzo!” gli gridò
l’uomo, puntando la pistola
verso di lui.
Scott
evitò di guardarlo negli occhi. Le voci nella sua testa non
smettevano di
parlare, ma stavolta non era un fastidio. Gli dicevano di non alzare lo
sguardo.
L’uomo
arrivò ad un passo da lui. Sta
alzando il
braccio. Disse una voce. Ti sta
per
colpire con il calcio della pistola. Adesso!
Il
braccio di Scott scattò in alto. Bloccò la mano
dell’uomo. Tenne la pistola
puntata contro il soffitto. Il tempo sembrava essersi fermato. Con
l’altra mano
sferrò un pugno nelle costole dell’uomo.
Sentì le ossa spezzarsi. L’uomo si
accasciò a terra. Scott gli prese la pistola.
Senza
bisogno di guardare, sentì l’altro ragazzo
avvicinarsi. Gli Aveva puntato la
pistola contro. Lui non si sarebbe avvicinato abbastanza. Lui non
avrebbe
esitato a sparare.
Fai
quello che devi, jushi!
Scott
alzò lo sguardo. Fissò gli occhi del giovane.
Vide la sua mano tremare. Sentì,
la sua mente vibrare.
Lasciaci
andare, jushi! Lasciacelo fare!
No!
Per un attimo Scott ebbe paura. Non sapeva perché, ma
sentiva che non doveva
seguire le voci in quel momento. Non doveva lasciarle andare.
Si
concentrò ancora di più sul ragazzo. Lo vide
lasciar cadere la pistola. Lo vide
indietreggiare, quasi volesse nascondersi. Poi un uomo sulla
cinquantina si
alzò e lo colpì alla nuca. Il giovane stramasso
al suolo.
Silenzio.
Nella sua testa c’era silenzio. Era finita.
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Capitolo 2 *** Fantasmi - Il volto del nemico ***
2
Fantasmi
Il
volto del nemico
La
polizia li accolse all’uscita successiva. Arrestò
i due delinquenti e fece
domande a tutti i passeggeri. Tutti diedero pressappoco la stessa
versione:
indicarono Scott come il loro eroe. Ma quasi nessuno gli si
avvicinò per
ringraziarlo. Molti avevano visto il suo sguardo, mentre guardava il
giovane.
Sei
un eroe, jushi.
Gli disse una
voce.
Mi
sembra di essere tornato ai vecchi
tempi!
Rispose un’altra.
Tu
non te li ricordi i vecchi tempi! Tu
non c’eri!
Si
che c’ero! Il jushi qui ha solo
bisogno di un po’ di esperienza, ma sento che…
Sta
zitto, ok?
Scott
li lasciò perdere. Un agente non la smetteva di fargli
domande, doveva stilare
il suo rapporto, forse l’avrebbe portato in centrale... non
sembrava sapere con
precisione quale fosse il suo compito. Era molto giovane.
“
Allora, ricapitolando, tu ti sei alzato e sei andato contro
l’uomo…” Scott si
limitò ad annuire per l’ennesima volta. Voleva
tornare a casa. C’erano tante
cose a cui doveva pensare.
Vide
un uomo in giacca e cravatta che parlava con il comandante, poi si
avvicinò a
loro. Aveva sulla faccia il sorriso falso di un diplomatico, ma il modo
in cui
camminava gli diceva tutt’altro. Doveva tenerlo
d’occhio.
“
Agente, ho appena parlato con il vostro comandante. Sono
l’agente Dillmore”
disse, mostrandogli il tesserino. Unità speciale Udsc. Non
l’aveva mai sentita.
“Non le dispiacerà se prendo in custodia il
ragazzo, vero?”
“
Ehm… no, certo. Ho finito con il rapporto. È
tutto suo l’eroe.” disse,
l’agente, allontanandosi.
L’agente
speciale gli riservò uno dei suoi migliori sorrisi.
“ Vuoi seguirmi, prego?”
“
Dove deve portarmi?” chiese Scott.
“
È
per il tuo bene, non preoccuparti. Ti porterò in un posto
sicuro.”
“
Posso trovarlo anche da solo un posto sicuro. Lei chi
è?”
“
Sono l’agente Dillmore. Abel. Unità
speciale…”
“
Unità davvero speciale, se prevede l’apprendimento
delle arti marziali.”
“
Come…?”
“
Lasci stare. Si limiti a dirmi la verità. So riconoscere una
menzogna.” Disse
calmo Scott, guardandolo adesso negli occhi.
L’uomo
sorrise. Scott ne rimase sconcertato.
“
Il
tuo sguardo non ha effetto su di me. Anche questo è previsto
nell’addestramento. Tu hai delle domande. Sto per portarti
alle risposte. Devi
solo seguirmi.”
“
Bene. Andiamo.”
Scott
guardò la strada per tutto il tragitto. Ci impiegarono
più di un’ora. Erano in
un posto che non aveva mai visto, ma avrebbe saputo tornarci ad occhi
chiusi.
Aveva già memorizzato la strada.
Era
un complesso di costruzioni squadrate, pieno di finestre e prati e
nemmeno una
macchina. Come aveva immaginato, i parcheggi erano sottoterra.
Posarono
la macchina e l’agente Dillmore lo guidò per
diversi corridoi, all’apparenza
tutti uguali.
Conosco
già questo posto, pensò
Certo
che lo conosci.
Disse una delle
voci.
Come
faccio a conoscerlo?
È
qui che hai passato gli ultimi quattro
anni. Coma hai fatto a dimenticare questa puzza!
Era
l’odore di disinfettanti. Oltre quello, sembrava non esserci
nient’altro.
Le
pareti erano immacolate, come se fossero state dipinte il giorno prima.
Tutto
era impeccabile, asettico. Osservando attentamente, scoprì
che le porte erano
distribuite secondo una precisa logica. Ne fece mentalmente una mappa.
Sulle
porte non c’erano targhe né indicazioni. Era un
posto irreale. Sembrava
immenso. Eppure per la prima volta da quando si era svegliato, ebbe la
sensazione di essere a casa. Aveva paura.
Dillmore
lo precedeva di qualche passo, evidentemente a suo agio in quei
corridoi.
Ce
ne dobbiamo andare, jushi!
Stai
zitto! Lo sapevi che saremmo tornati
qui.
Di
che state parlando?
Chiese Scott.
Ormai aveva preso coscienza che quelle voci non gli appartenevano.
Che
dobbiamo scappare, non c’è altro
tempo!
“
Qualcosa non va, Scott?” gli chiese Dillmore.
“
Cos’è questo posto?”
“
Qualche altro minuto di pazienza e avrai le tue risposte.”
Scott
si mosse fulmineo. Sferrò un pugno al fianco
dell’agente con tutta la forza che
aveva. Gli bastava rallentarlo per scappare di lì.
Ma
Dillmore fu più rapido. Si voltò, come
aspettandosi quell’attacco e lo parò con
facilità.
Scott
sentì un brivido lungo la schiena. Fissò di nuovo
l’agente negli occhi.
“
Ti
ho già detto che quella tecnica non funziona come,
stronzetto!” disse Dillmore
“
Io
non ci giurerei” sussurrò Scott. Non sapeva cosa
stesse succedendo. Sentiva gli
occhi ardere come stessero andando a fuoco. Non era come le altre
volte.
“
Ma
che diavolo…”
Dillomore
si allontanò da lui. Non poteva staccare gli occhi da quelli
di Scott. Anni di
addestramento erano del tutto inutili contro quel ragazzo.
Cercò di resistere,
ma inutilmente. Dopo qualche secondo, si accasciò a terra,
privo di sensi.
Ora
corri jushi, portaci fuori da qui!
Scott
non se lo fece ripetere. Sapeva come uscire.
Non
ebbe il tempo di fare due passi che scattò la sirena
dell’allarme. Come diavolo
avevano fatto a scoprirlo così in fretta?
Corse
per i corridoi senza esitazioni, l’uscita non era lontano da
lì.
Girò
l’angolo e si trovò improvvisamente contro sei
agenti. indossavano delle tute
bianche, quasi a volersi confondere con le pareti. Avevano delle
maschere. Con
loro il suo sguardo non avrebbe avuto effetto. E comunque, erano in
troppi.
Non
farti prendere!
Era
facile a dirsi. Non poteva lanciarsi contro di loro, né
tornare indietro: di
sicuro conoscevano quel posto molto meglio di lui. però
poteva provare a
dividerli! Avrebbe avuto qualche possibilità.
Ma
prima che potesse muoversi, altri 2 agenti sbucarono alle sue spalle.
Fece
un passo indietro. All’improvviso ricordò di
averli già visti! Quella stessa
formazione… era già successo… avevano
già cercato di braccarlo. Immagini si
imposero alla mente con forza. Non
è il momento!
Si disse, ma non poteva evitarlo.
Rivide
quegli agenti mascherati muoversi in una stanza, che cercavano di
catturarlo… e
di sfuggirgli.
Sentì
delle urla. Urla di bambini, da qualche parte. E corpi sul pavimento.
Sangue. E
le urla. Le urla erano anche peggio. Sentiva la mente scoppiare, come
allora.
Scott
era terrorizzato. Non aveva memoria di un terrore così
totale. La mente
pulsava, faceva male. Poi un volto si presentò davanti ai
suoi occhi. Un
vecchio. Capelli bianchi. Una cicatrice sull’occhio destro.
La mascella
pronunciata. Barba ispida. Il volto che lo rincorreva ogni notte nei
suoi
incubi!
Fu
allora che Scott non riuscì più a controllarsi.
Il terrore di quell’uomo abbatté
tutte le sue barriere.
Lo
sto facendo di nuovo!
Pensò, ma quel
pensiero si perde nel resto.
Chiuse
gli occhi. E sembrò la fine del mondo.
Rumori.
Urla. Le voci nella sua testa erano sparite. Intorno era solo nebbia.
Le urla
rimbalzavano sulle pareti. Scott non sapeva cosa stesse succedendo, ma
il suo
corpo sapeva come muoversi. Vide ombre nella nebbia. Ombre che non
toccavano il
suolo. E le urla degli agenti, urla di uomini che hanno perso ogni
appiglio.
Poi sentì le voci che aveva imparato a conoscere bene, le
voci che da mesi
sentiva nella sua testa. Ma adesso erano là fuori, tra gli
agenti. Le sue mani
sembravano controllare la nebbia.
All’improvviso
avvertì una presenza dietro di sé. Qualcosa che
riluceva attraverso la nebbia.
Era rosso, fiammeggiante.
Scott
si voltò e aprì gli occhi. Si trovò di
fronte un angelo. Dimenticò tutto il
resto. Davanti a lui c’era la ragazza più bella
che avesse mai visto. I suoi
capelli biondi sembravano mossi dal vento. E i suoi occhi, verdi,
luminosi, gli
impedivano di guardare altrove. Camminava verso di lui, con un sorriso
malizioso. Aveva un cappotto rosso, lungo, elegante. Arrivò
a qualche metro da
lui e aprì il cappotto. Sotto aveva una gonna nera, molto
corta, ma non fu
quello ad attirare il suo sguardo. Allacciate alla vita aveva due
pistole. La
ragazza le estrasse con una velocità sorprendente e le
puntò contro di lui. Non
smise di sorridere, mentre sussurrava: “Sogni
d’oro, bellezza”.
Due
spari. Lo colpirono al petto. La nebbia di dissolse. Le voci
ritornarono nella
sua testa. E tutto divenne nero.
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Capitolo 3 *** Risveglio - Uno dei sei ***
3
Risveglio
Uno
dei sei
Si
vegliò sdraiato su qualcosa. Gli avevano bendato gli occhi.
Attese qualche
momento, cercando di ricordare quello che era successo. Presto gli
tornò in
mente tutto, ma era così distante, distaccato…
come se fosse successo tanto
tempo fa… o a qualcun altro.
C’era
qualcun altro nella stanza. Oltre a sentirlo dai suoi movimenti, poteva
quasi
dire di percepirne la presenza. L’avevano preso alla fine. Le
voci nella sua
mente tacevano, come addormentate.
“
Dove mi trovo?” chiese Scott a chiunque ci fosse nella stanza.
“
Sei
in un laboratorio.” Era la voce di una ragazza. Ma non era
quella che lo aveva
incantato. Che gli aveva sparato.
“
Cosa mi state facendo?”
“
Niente di quello che pensi Scott.” La ragazza gli si
avvicinò. “ Ora ti
toglierò la benda dagli occhi.”
Scott
si ritrasse istintivamente al tocco delle sue mani fredde, ma
pensò che quella
poteva essere l’occasione giusta per attaccarla.
“
Prima che te la tolga, voglio dirti che i tuoi poteri non hanno effetto
su di
me. È per questo che hanno lasciato me qui.
Intesi?”
Gli
tolse la benda. Scott provò comunque a fissarla negli occhi,
come stava
imparando a fare istintivamente. La ragazza gli rispose con un sorriso
dolce.
Aveva i capelli neri, corti. Portava gli occhiali. Era molto graziosa.
“
Io
mi chiamo Helen, lieta di conoscerti.” Disse la ragazza.
Scott
si guardò in giro. Sembrava la stanza di un ospedale, ma era
piena di strane
attrezzature. Aveva delle flebo inserite nel braccio. Un altro
macchinario era
collegato alla sua testa.
“
Sei
tu che mi stai facendo questo?” chiese Scott.
La
ragazza sorrise di nuovo. “ No. La mia preparazione medica
non mi consente di
trattare con agenti come te. Agenti del tuo potenziale.”
“
Perché mi hai chiamato agente?” chiese Scott senza
smettere di guardarsi
intorno.
“
Perché
è quello che sei. Quello che sono
anch’io.”
“
Per
questo i miei poteri non hanno effetto su di te?” chiese
ancora.
“
No.
Non puoi colpirmi perché, in un certo senso, siamo
fratelli.” Disse Helen, poi
aggiunse, prevenendo la domanda di Scott. “ Di questo
parleremo dopo. Ce ne
sarà tempo. So che hai altre domande più
urgenti.”
Scott
ci pensò un attimo e chiese: “ Sono diventato un
topo da laboratorio, vero?”
“
No,
per niente. Queste macchine che vedi, servono solo a inibire i tuoi
poteri.
Giusto il tempo di farti spiegare il necessario. Hai steso 8 agenti
speciali là
fuori. Capirai che è una procedura necessaria.”
Scott
sorrise: “ Stai forse dicendo che mi lascerete andare,
dopo?”
Stavolta
Helen non rispose al suo sorriso: “ Sto dicendo che quando
avrai capito tutto,
sarai tu a decidere di restare.”
La
ragazza gli liberò le mani e le gambe. Scotto si mise
seduto. Indossava una
tuta asettica, bianca come tutto il resto lì dentro.
Provò a scendere dal
letto, ma barcollò. Se Helen non l’avesse
sorretto, sarebbe caduto a terra.
“
Scusa. Ho dimenticato che gli inibitori ti hanno lasciato spossato.
Sarà meglio
che prenda delle stampelle.”
Si
voltò per cercare le stampelle in un armadietto. Scott vide
che aveva ancora
una siringa infilata nel braccio. Fece per toglierla, quando Helen gli
disse: “
Così ti farai male, Scott.”
Scott
rimase di sasso. Helen era girata, non c’erano specchi.
“ Come hai fatto a
vedermi?”
“
Non
sei l’unico ad essere speciale qui dentro. Ecco le
stampelle.”
“
Ci
siamo già incontrati io e te. È successo
più di quattro anni fa. È stato allora
che ci hanno portato qui, eravamo in sei. Abbiamo cominciato quello che
potremmo definire… corso di preparazione. Ci hanno divisi
subito e da quel
momento non abbiamo più avuto tue notizie. Sei come sparito
nel nulla.”
“
Sono… sparito?” chiese Scott. Erano nel corridoio,
ma ormai non gli importava
dove stessero andando.
“
Sì.
Ovviamente dalle cartelle risulterà che eri in qualche
programma speciale. Ma
non c’erano programmi speciali, ne sono quasi sicura. In
tutto questo tempo non
siamo riusciti ad avere altre notizie: pensavamo ti avessero chiuso da
qualche
parte, in isolamento. O che ti avessero ucciso.”
“
Quello che stai dicendo non ha senso.” Disse Scott.
“
No.
Come non ha senso che un solo ragazzino di nemmeno quattordici anni
uccida
diciotto agenti senza muovere un dito.” Disse Helen senza
voltarsi.
“
Allora era vero… ho… ho ricordato qualcosa
prima…”
“
Sì,
il capo ha detto che forse col tempo ricorderai anche il resto. Non
è sicuro
però. Da quello che so, nessuno sa niente di preciso sul tuo
conto. Quindi non
credere mai ciecamente a quello che ti diranno. Ci sono solo ipotesi,
non
certezze. Questo ovviamente è solo un mio
consiglio.” Disse la ragazza.
“
Perché?” chiese Scott.
“
Perché cosa?”
“
Perché mi stai dando questo consiglio? Tu sei dalla loro
parte.”
Helen,
si voltò. Il suo sorriso sembrava sincero. Non riusciva a
credere che stesse
mentendo. Eppure cerca molta fermezza nei suoi occhi. C’era
molto di più.
“
Loro mi hanno aiutata a capire chi sono. Mi hanno mostrato una strada
che ho
scelto di seguire. Ma non posso dire di essere dalla loro
parte.” gli si
avvicinò, quasi contando i passi. Continuò, a
bassa voce: “ Ci sono cose… cose
che devo scoprire e solo restando ne avrò la
possibilità. Voglio aiutarti per
due motivi. Perché anche tu hai delle domande e solo qui
troverai le risposte.
E perché tu sei uno dei sei. Solo con te siamo completi.
Spero che terrai per
te queste informazioni. Anche qui, ci sono segreti da
mantenere.”
Helen
si voltò senza aspettare risposta. Scott continuò
a seguirla, appoggiandosi
alla stampella. Quanto desiderava che le voci riprendessero il loro
normale
chiacchierio. Almeno avrebbe avuto qualcosa di familiare a cui
aggrapparsi.
“
Chi
sono gli altri quattro?”
“
Karen devi averla già incontrata. Solo lei avrebbe potuto
fermarti.”
“
La
ragazza che mi ha sparato!” sbottò Scott.
“
Sì,
lei. Può essere un po’ drastica a
volte… ma con te penso che anche io avrei
fatto lo stesso. Spero lo capirai. Ti ha sparato dei
tranquillanti.” Disse
Helen. Anche se era di spalle, capì che stava sorridendo.
“
E
gli altri?”
“
Li
conoscerai presto. Ti sto portando da loro, oggi sono tutti qui. Penso
sia meglio
per te conoscere prima il resto della squadra e poi il resto
dell’organizzazione. Così avrai qualche punto di
riferimento.”
Arrivarono
ad una stanza, all’apparenza identica a tutte le altre. Ormai
aveva calcolato
che quel posto fosse lungo diversi chilometri, e le stanze si
susseguivano
sempre identiche, con le porte situate secondo la stessa logica. Non
un’eccezione, non un’anomalia. La cosa che
più trovava incredibile, in ogni
caso, era il fatto che non avevano incrociato nessuno nei corridoi.
“
Sei
pronto a conoscere gli altri, Scott?”
|
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Capitolo 4 *** Il piano inferiore - Ian e Iago ***
4
Il
piano inferiore
Ian
e Iago
Helen
aprì la porta e Scott rimase spiazzato. Era un comunissimo
ascensore, grande un
paio di metri quadrati. Un grande specchio rimandava indietro la loro
immagine.
La ragazza rise alla sua espressione stupita.
“
Anche questo serve per confondere. Dobbiamo scendere al piano
inferiore.”
Dall’indicatore
sulla porta, doveva dedurre che ci fossero almeno quattro piani sotto
il
livello del suolo. Se non si trovavano già ad un livello
inferiore, pensò.
“
Forse quando saremo giù vedrai qualcosa che ti
lascerà stupito. Penso sia
normale. L’importante è che rimani accanto a me,
qualsiasi cosa succeda. Gli
effetti degli inibitori non sono ancora svaniti e saresti troppo
vulnerabile.
Tienilo a mente.”
Scott
guardò la sua immagine allo specchio. Pallido come sempre, i
suoi occhi
saettavano dappertutto
Qualche
secondo dopo le porte si aprirono. Si trovavano in una palestra enorme,
ma
quella era solo la prima impressione. C’erano attrezzi che
non aveva mai visto.
Su una parete era stata ricostruita una parete rocciosa,
dall’altro c’erano
strade asfaltate e sagome di persone. Tutto sembrava così
reale da mettere i
brividi. All’improvviso vide qualcosa sfrecciare verso la
parete rocciosa. Contemporaneamente
vide un ragazzo grosso come un armadio che cominciò a
scalare la parete. Aveva
un’agilità inimmaginabile per la sua stazza.
Aiutandosi con le mani, fece due
salti, arrivando quasi a metà della parete; a questo punto
si voltò e si lanciò
nel vuoto. Chiuse il pugno, preparandosi a colpire. Scotto
riuscì solo a
distinguere qualcosa di bianco che sfrecciava contro il bestione. Il
ragazzo grosso
colpì. Si sentì rumore di metallo, poi qualcosa
si schiantò al suolo. Il
pavimento era di un materiale sconosciuto, capace di assorbire gli
urti.
“
Sei
troppo lento Ian!” gridò il ragazzone.
Scott
seguì il suo sguardo e vide che si stava riferendo ad un
ragazzo magro. Era lui
quella cosa bianca che aveva visto sfrecciare in aria! Scott lo
capì subito,
anche se crederlo gli era ancora difficile.
“
Hai
avuto solo fortuna!” disse il ragazzo magro. Poi so
voltò verso di loro. “ Hey
è tornata la principessa Helen dei Ghiacci. Come va
sorellina?”
Mentre
parlava, mise le mani dietro la schiena, poi fece il gesto di lanciare
qualcosa
contro di loro. Scott non vide assolutamente niente. Sentì
solo Helen che
faceva cadere la cartella che aveva in mano e metteva le mani avanti,
come a
voler respingere qualcosa.
Un
istante dopo, Scott vide cadere a terra quattro shuriken, le tipiche
armi dei
ninja, che somigliavano ad una stella a quattro punte. Solo che questi
shuriken
erano completamente ghiacciati.
“
Quante volte devo dirti di controllarti Ian! Poteva essere
pericoloso!” gridò
Helen.
“
Ma
così è più divertente, no?”
rispose Ian.
“
Idiota” mormorò Helen. Poi lanciò uno
sguardo a Scott. “ venite qui un attimo.
Devo presentarvi una persona.”
In
un
attimo i due ragazzi gli si avvicinarono. Finalmente guardarono Scott.
“
È
il tuo ragazzo, principessa?” chiese Ian.
“
Smettila,
cretino! Comunque penso che voi due vi siate già
visti.”
Scott
annuì. Fino a quel momento era stato in silenzio ad
osservare. Stava accadendo
tutto così velocemente. “ Sì ci siamo
visti… ieri?” Era il ragazzo sullo
skateboard, quello che aveva incontrato prima di salire sul pullman.
Quello che
nella sua memoria continuava a gridare.
“
Sono passati tre giorni, fratello. Comunque io sono Ian del vento,
piacere di
conoscerti.”
“
Ancora
con questi nomignoli, sono infantili.” Sbottò
Helen.
“
E
dai, lo sai che Linus ci tiene. Comunque, piacere.” Ian tese
la mano e anche
Scott si presentò.
Ian
era un po’ più basso di lui, ma aveva un fisico
perfetto. Non era niente
confronto ad Iago, ma era un fascio di nervi e muscoli. Scott
valutò che doveva
avere un’agilità incredibile. I capelli biondi
erano in disordine, come l’altro
giorno, la faccia rotonda, abbronzata. Sembrava un surfista di una di
quelle
immense spiagge australiane. Solo più basso. Scott non
riusciva a collegare
quel viso così solare all’urlo che sentiva ancora
nelle orecchie.
“
Lui
invece è Iago delle rocce. Scusa, solo Iago.”
Disse Ian.
La
stretta di Iago era molto più salda. Aveva un faccione
simpatico, di quelli che
ti fanno sperare di trovarlo sempre sorridente. Era alto, grosso, un
ammasso di
muscoli. Iago delle rocce. Qui era facile capire il perché
del soprannome.
Helen
si fece avanti di nuovo. “ Ragazzi… lui
è il sesto.”
Ian
e
Iago rimasero un attimo in silenzio, stupiti. Poi risero entrambi. Iago
gli
diede una pacca sulla spalla che quasi lo buttò a terra.
“Allora
è vero!” esclamò Ian.
“Pensavamo fossero solo voci! Benvenuto nel gruppo
allora.”
Scott
rimase sconcertato. Con Helen era stato più normale. Era
simpatica, ma
distaccata, professionale. Quei due ragazzi sembravano in pieno
intervallo
scolastico! Possibile che anche loro fossero agenti? E che razza di
organizzazione era quella?
“
Hai
già conosciuto Linus?” chiese ancora Ian.
“
Ehm… no, non ancora. Conosco solo voi tre” Disse
Scott.
“
E
che aspetti! Hai bisogno anche tu di un soprannome se vuoi far parte
della
squadra!”
Iago
ne rise, dando una botta sulla schiena di Ian. Questi si
buttò a terra, come se
fosse stato colpito da un macigno. Nemmeno Scott riuscì a
trattenersi questa
volta, e scoppiò a ridere. Helen era accanto a loro.
“
Ok,
fratello, adesso dobbiamo riprendere
l’allenamento.” Disse Ian.
Scott non era abituato a sentirsi chiamare in
quel modo.
“
Già.
Ricominciamo daccapo. E stavolta cerca almeno di colpirmi.”
Disse Iago.
“
Possiamo fermarci un attimo, Helen?” chiese Scott.
“
Qualcosa non va?” chiese la ragazza, allarmata.
“
No,
no. Volevo vedere l’allenamento. Finora mi hai parlato delle
vostre capacità…
ma non so niente di concreto.” Spiegò Scott.
Sperava di risultare credibile, ma
non sapeva come risultasse la sua faccia quando mentiva.
“
Sì
certo. Spostiamoci di qui, però. Quei due non sono molto
attenti quando si
allenano.”
Helen
lo guidò in una stanza nascosta. Da lì potavano
osservare il campo senza
rischiare di essere colpiti. Scotto continuò ad appoggiarsi
alla stampella,
anche se sentiva di poterne fare a meno adesso. Doveva fare una cosa,
prima di
continuare. Soprattutto, doveva capire se la sua intuizione era giusta.
Ci
siete?
Nessuna
voce gli rispose. No, non andava bene.
Fuori
i ragazzi avevano cominciato ad allenarsi. Scott non li
degnò di uno sguardo.
Aveva altro a cui pensare.
Gli
effetti degli inibitori stavano svanendo. Era il momento per provare.
Immaginò
nella mente la situazione ideale, come era stato il suo primo (ed unico
per il
momento) giorno di scuola. Immaginò di trovarsi in un
caffé, un posto ben
tenuto, accogliente. Tavolini e sedie erano in legno, come anche il
bancone. Il
grande specchio dietro il bancone, costellato di bottiglie di liquori,
rimandava l’immagine di un tranquillo locale di periferia. La
luce era soffusa,
nessuno che veniva a disturbarti. Era perfetto.
Scott era seduto ad un
tavolino, da solo.
Davanti a lui non c’era nessuno. Ma sentì qualcuno
che prendeva posto nel
tavolino dietro di sé. Non poteva voltarsi, ma in fondo non
ne aveva bisogno. Sorrise.
Ci
siete allora.
Non
ci siamo mai mossi di qui, jushi.
Solo che tu eri troppo intontito per sentirci.
Disse la prima
voce. Erano in tre come sempre.
Allora
sapete anche cos’è successo
l’altro giorno? Chiese
Scott.
Certo
che lo sappiamo. Farsi fregare in
quel modo da una stupida jushika è stato davvero…
stupido!
Rispose il
secondo. Era quello che parlava più spesso. Era quello che
l’aveva convinto a
scappare.
Cosa?
Lascia
perdere, pund, non ti sta
seguendo.
Era di nuovo il primo. Quindi… il secondo era pund.
Qualsiasi cosa
volesse dire.
Sentite,
lasciate perdere per il momento.
Io non lo so che sta succedendo! Ho bisogno di chiedervi una cosa.
Quello
che vuoi, jushi. A proposito,
carino questo posto. Pund
sembrava davvero compiaciuto.
Devo
sapere che sta succedendo qui.
Fu
la
prima voce a parlare. Qui intendi in
questo istituto… o qui nella tua testa?
Per
adesso ho bisogno di sapere con chi
ho a che fare. Voi sapete cose che io non ricordo. Dovete essere i miei
occhi.
A
quel punto, per la prima volta, parlò anche il terzo. Finora
era stato in
silenzio, ma la sua presenza era palpabile. La sua voce metteva i
brividi.
Il
jushi comincia ad avere bisogno di
noi.
Pund
e l’altro rimasero muti. Nemmeno un sospiro.
Scott
insistette. Potete farlo?
Lascia
fare a noi, disse
pund. Tu
pensa solo a continuare a fingere di non sentire niente. E se lo vuoi
sapere,
sei bravo a fare il tonto.
Per
adesso poteva bastare. Era folle pensare che quelle voci non gli
appartenessero… ma almeno non era costretto a dividere i
suoi pensieri con
loro. In fondo, non sapeva se poteva fidarsi di loro.
Finalmente
guardò verso il campo. Non sapeva di preciso quanto tempo
fosse passato, ma non
dovevano essere stati più di cinque minuti. Eppure sul campo
sembrava fosse
passato un uragano.
I
due
ragazzi erano fermi al centro, uno di fronte all’altro,
affannati. Intorno a
Iago c’erano decine di shuriken conficcati a terra. Il
ragazzo impugnava una
spada enorme.
Di
fronte a lui, Ian stringeva 2 shuriken. Era in posizione
d’attacco. Sul suo
viso un sorriso di sfida. “ Stavolta ci sono andato vicino,
vero?”
“
Non
abbastanza” rispose Iago.
“
Ho
passato la tua difesa.”
“
Ma
non mi hai colpito.”
Helen
si alzò dicendo: “ Che ne dici di andare via? Non
li sopporto quando fanno
così. Finiranno per farsi male.”
“
Ma…” che hanno fatto?
stava per
chiedere, ma chiuse subito la bocca. Non poteva far finta di non aver
visto
niente.
Jushi,
sei fortunato che ‘sti due non
sono tuoi nemici.
Vuoi
dire che mi posso fidare di loro?
No.
Voglio dire che non ti conviene
averli contro.
“
Ok”
disse. “ Andiamo.”
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Capitolo 5 *** La terza voce - Linus delle ombre ***
5
La
terza voce
Linus
delle ombre
“
Sei
diventato silenzioso”, notò Helen, mentre
l’ascensore li riportava al piano
superiore.
“
Eh…
scusa. Stavo pensando. Ma da quant’è che siete
qui? Voi cinque, voglio dire.”
“
Io
sono stata la prima. È stato quasi cinque anni fa. Ian e
Iago sono arrivati
subito dopo. Sono cugini, penso di non avertelo detto.”
“
No.
Sono molto… affiatati.”
“
Il
paese in cui vivevano è stato raso al suolo. Secondo la tv
è stato l’incendio
del bosco accanto, ma noi sappiamo che non è
così. Da quando sono qui hanno
imparato a contare su loro stessi.” Spiegò Helen.
Non c’era emozione nella sua
voce, come se si stesse costringendo ad essere professionale.
“
Cosa è successo al villaggio?”
“
Penso che te lo dirà l’agente Norman. È
da lui che devi andare dopo. E
comunque, c’entra con il motivo per cui siamo qui.”
Posso
fidarmi di lei?
È
troppo carina per mentire!
Rispose subito
pund.
Smettila
non mi serve un pagliaccio
adesso!
Sì,
sì. E comunque non ti sta dando
informazioni vitali. E ti sta guardando, quindi non rimanere in
silenzio.
Ma
non mi sta guardando! È voltata in
avanti!
Ti
vede eccome, stupido jushi!
“
Sembrano forti” buttò lì, tanto per
dire qualcosa.
“
Lo
sono… e parecchio. Dovresti vederli in azione.”
“
Scusami Helen… ma come posso esservi d’aiuto? Ho
scoperto solo qualche mese fa
di avere questi… poteri. Non so nemmeno usarli!”
Helen
sorrise. “ non preoccuparti di questo. È davvero
l’ultimo dei problemi.”
Ci
stanno seguendo.
Era di nuovo la
voce del terzo, così profonda e roca.
Ne
sei sicuro?
Chiese Scott.
Gar
non sbaglia mai, jushi.
Si intromise il
secondo. Ora era l’unico di cui non conosceva il nome.
Sono
in due. Ora sono in tre. Tieniti
pronto. Disse
gar.
Pronto
per cosa?
Per
fare il tuo dovere! La
voce di gar
gli metteva i brividi, non poteva evitarlo. Quando parlava, anche pund
e
l’altro tacevano.
Finora
non avevano incrociato nessuno nei corridoi, il che ovviamente non
significava
che non c’era nessun altro lì. Gar aveva detto che
li stavano seguendo… e gar
non sbagliava mai. Era una stronzata, lo sapeva. Ma decise di fidarsi.
Helen
girò l’angolo e Scott la seguì.
“
Penso che ci stiano seguendo… Helen?” Scott si
fermò. Davanti a lui non c’era
nessuno.
Che
significa? È un’illusione?
No,
tora sa vedere oltre le illusioni. E
questa non lo è.
E
allora dov’è Helen?
Chiese di nuovo
Scott.
Si
guardò intorno. Non c’erano porte, non
c’erano nascondigli. Solo infinite
pareti bianche e il pavimento di cemento. Nessun rumore. Helen era
semplicemente sparita.
Dietro
di te!
Gridò pund.
Scott
si voltò di scatto, pronto a colpire. Ma il corridoio era
deserto. Lui non
aveva sentito niente. Che stava succedendo?
Sono
veloci.
Era la voce di
tora.
Quanti
sono?
Chiese Scott.
Quattro.
Perché
non li vedo?
Perché
non ci sono, idiota!
Starnazzò pund.
Sì,
davvero non c’era nessuno lì. Forse erano dentro
quelle stanze… ma non gli
sembrava credibile. Attese, con ogni cellula del corpo pronta ad agire.
Ci
stanno girando intorno.
Stavolta
a parlare fu gar. E Scott ne fu contento. Era terribile, vero, ma
sembrava
sapere quello che faceva.
Riesci
a sentirli?
Sì.
Sono in quattro e sono veloci. Non
possiamo rimanere qui.
Alla
fine Scott si arrese: che devo fare?
Per
un attimo credette che gar non gli avrebbe risposto. Ma alla fine fu
lui a parlare:
C’è
una sola cosa da fare. Dobbiamo
uscire allo scoperto.
Quello
che disse dopo era talmente pazzesco che Scott non provò
nemmeno a
contraddirlo. Era follia. E in quel momento, era l’unica cosa
alternativa che
aveva. Doveva fidarsi di gar.
Ora!
Scott
corse in avanti. Doveva trovarsi al centro dei due corridoi che si
intersecavano. Secondo gar, in quel momento sarebbe stato attaccato da
tutti e
quattro i lati contemporaneamente.
Scott
si fermò al centro. Si guardò intorno. I nervi
tesi, il cuore che batteva
forte. Ma non vedeva niente.
Al
mio segnale incrocia le mani davanti
agli occhi, come se volessi parare un pugno,
aveva detto gar.
Scott
attese il segnale. All’improvviso sentì uno
spostamento d’aria. Si voltò,
terrorizzato.
Vai!
Urlò gar.
Quando
incroci le mani, lasciaci andare.
Scott non
sapeva cosa diavolo significava… ma in qualche modo lo fece.
Li lasciò andare.
Sentì qualcosa staccarsi da lui… come se gli
avessero stracciato la maglia di
dosso. O la pelle stessa. Non fu doloroso. Fu semplicemente irreale. E
all’improvviso, le voci che sentiva nella testa, ora erano
nella stanza accanto
a lui.
Un
istante dopo, un pugno colpì davvero le sue mani. Scott
strinse, per fermare il
nemico.
Pund,
tora e gar erano accanto a lui, di schiena. Avevano formato un
quadrato, ognuno
di loro aveva di fronte un avversario. Scott non poteva voltarsi. Tutto
sembrava essersi fermato.
Chiuse
gli occhi e improvvisamente vide il mondo da tre punti di vista
differenti.
Vedeva gli altri tre corridoi, a destra, a sinistra e dietro. Ma la
figure che
vedeva davanti erano tutte identiche.
Riaprì
gli occhi. Il ragazzo che aveva di fronte, ritirò il pugno.
“
Però, sei forte!”
“
Chi
sei?” chiese Scott.
Gli
altri ragazzi erano spariti e anche le voci erano tornate dentro di
lui.
C’erano solo lui e questo strano ragazzo.
“
Io
sono Linus delle ombre, è un onore conoscerti”
fece persino un mezzo inchino.
Aveva degli orecchini neri a forma di croce ad entrambe le orecchie e
un
piercing sul labbro inferiore. Il taglio dei capelli era decisamente
originale,
ma adesso a Scott non importava niente.
“
Sai
chi sono?”
“
Io
penso di sì. Ma tu sai chi sei, Scott degli
Spiriti?”
Scott
fece un mezzo passo indietro. Era completamente disorientato. Disse la
prima
cosa che gli venne in mente.
“
Dov’è Helen?”
“
Oh,
si è presa una pausa. Voleva che io scoprissi i tuoi poteri.
Sei un fenomeno!”
gli afferrò la mano e gliela strinse.
“
Sapevo che cinque non era il numero giusto, l’ho sempre
detto. Comunque senti:
sei uscito allo scoperto di proposito vero? Volevi che ti
attaccassi.”
Scott
fu indeciso se mentire o dire la verità. Ma quel ragazzino
gli era simpatico.
Non stava fermo un attimo, sembrava un bambino. E le voci tacevano.
“
Per
la verità, non sapevo niente. Ancora non ho capito cosa
è successo.”
Linus
sgranò gli occhi. “ Graaaaande!!”
Le
voci nella sua testa tacevano. Linus si avvicinò al suo
volto, quasi a
sfiorarlo con il naso. Lo guardò dritto negli occhi, ma
Scott non si fece
indietro. Poi Linus sbottò: “ tzè, non
funziona!”
“
Cosa?”
“
Non
riesco a leggerti nella mente. Sei davvero uno di noi, allora! I miei
poteri
non funzionano sugli altri cinque. E nemmeno quelli di Helen.”
“
E
quali sarebbero i tuoi… poteri?” chiese Scott.
“
io
sono Linus, il signore delle ombre, per servirti” fece un
inchino in modo molto
appariscente e Scott rimase incantato dalla sua ombra. Si muoveva
autonomamente, si allungò, si divise in due e si
staccò dal pavimento. In un
attimo presero forma altri due Linus e anche loro si inginocchiarono.
Erano identici
a lui, solo gli occhi erano diversi: i cloni non avevano la pupilla.
Scott
sorrise. “ Piacere di conoscerti, Linus.”
“
Adesso penso che dovrei accompagnarti dal maestro, altrimenti Helen mi
scuoia
vivo. Me e tutti i miei cloni.”
Si
incamminarono per i corridoi e Linus si dimostrò
l’esatto opposto di Helen. Non
faceva che girargli intorno e fare domande.
“
Non
ti sei ancora allenato qui, vero?”
“
No,
nessun allentamento.”
“
Allora ti sfido. I miei cloni contro i tuoi fantasmi!”
“
Linus… io non so di cosa stai parlando…”
“
aaahh! Lo sapevo, non vuoi svelare i tuoi trucchi. E non posso nemmeno
leggerti
la mente. Che culo. Vabbè, tanto di batto lo
stesso.”
Continuarono
a camminare per un po’. Scott non riusciva a credere che quel
posto fosse così
grande. Aveva camminato per chilometri ormai! Ma aveva altro a cui
pensare
adesso.
Aveva
lasciato la stampella da qualche parte indietro. Non ne aveva bisogno.
“
È
stata Helen a chiederti di attaccarmi?” chiese Scott.
“
Sicuro. Voleva sapere che poteri avevi. Sai, girano strane voci su di
te.”
Disse Linus, sorridendo.
“
Su
di me? Ma se sono appena arrivato!” disse Scott. Ma se era
così, perché quel
posto gli sembrava così familiare?
Pund?
Chiamò.
Sono
Tora. Ci sono solo io adesso. Era
la prima
voce.
Dove
sono gli altri?
Non
fare domande stupide.
Sono
già stato qui?
Sì.
In un certo senso… sei sempre stato
qui.
Che
vuoi dire?
O
che non te ne sei mai andato davvero.
Fai un po’ tu.
Perché
pund voleva scappare?
Pund
è un vigliacco. Tu non sei costretto
ad assomigliargli.
“
Hey, tutto apposto?” gridò Linus, sventolandogli
una mano davanti alla faccia.
“
Che
c’è?” disse Scott.
“
Ti
sei straniato. I tuoi occhi sembravano più grandi. Cazzo mi
hai messo i
brividi! Me l’aveva detto Helen che potevi fare questo
effetto, ma non ci avevo
creduto.”
“
Scusa. Stavo cercando di capire una cosa.”
“
Cosa?” chiese subito Linus.
“
Ho
l’impressione di essere già stato qui. Non so
perché.” Ammise Scott alla fine.
Per qualche motivo, Linus gli era simpatico.
“
Certo che sei stato qui! Sei venuto insieme a tutti noi. Solo che poi
sei
sparito, non chiedermi perché.” Linus
guardò l’orologio. “Ora però
è meglio che
ti porti dal professore. Già se la prendono sempre con me
perché faccio tardi.”
“
Chi
è il professore?”
“
Basta con le domande. Ti va una corsa? Ti avverto che sono molto
veloce.” Poi
senza aspettare risposte da Scott, gridò:
“Via!”
Era
incredibile. Sfrecciò via ad una velocità
disumana. Ma quello che lo sorprese
ancora di più, era che riusciva a tenere il suo passo! Gli
sembrava di correre
normalmente, ma vedeva i corridoi sfrecciare su entrambi i lati. Era
pazzesco.
“
Ora
si fa più difficile. Seguimi!” gridò
Linus.
Spalancò
le braccia. Distese le dita. Dal pavimento si alzarono due perfetti
cloni di
Linus. In un attimo si scambiarono di posto e Scott non
riuscì a seguire il
vero Linus. Improvvisamente i cloni imboccarono due corridoi diversi.
Scott
stava per fermarsi. Non sapeva quale doveva seguire, quando una voce
gli tuonò
dentro la testa.
Destra!
Era Tora. Quello che sapeva
vedere attraverso le illusioni. Doveva tenerlo a mente. Per il momento
si
lanciò a destra.
Linus
ripeté il trucco altre due volte. Tora gli gridò
la direzione da seguire. Si
fermarono alla fine davanti ad una porta.
“
Grande! Sei il primo che riesce a starmi dietro! Come diavolo hai
fatto?”
Scott
stava per rispondere, quando Linus lo fermò. “ Lo
so, lo so, non me lo dirai.
Sembri uno di quegli stramaledetti prestigiatori che non ti spiegano
mai il
trucco! Comunque non capisco perché Karen abbia detto che
sei una schiappa. Per
adesso sei andato alla grande.”
“
La
ragazza con le pistole?”
Linus
strabuzzò gli occhi. “ Karen ha il fisico di una
dea… e tu ti ricordi le
pistole!!”
“
Mi
ha sparato.” Si giustificò Scott.
“
Dio, poi dicono che io sono quello strano.” Aprì
la porta e Scott vide un’altra
ascensore.
“
Il
prof ti aspetta al piano superiore.”
“
Tu
non vieni?” chiese Scott.
“
No,
per carità. Già ho avuto la mia razione per
questa settimana. Buona fortuna. È
al piano di sopra.”
Linus
corse via. Scott entrò nell’ascensore.
|
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Capitolo 6 *** Il Maestro - Fattore K ***
6
Il
Maestro
Fattore
K
Le
porte si chiusero. Ora era di nuovo da solo. Sapeva che quando le porte
si
fossero riaperte avrebbe avuto le risposte che cercava. Ormai solo
quello
contava. Certo, i ragazzi sembravano simpatici… ma erano
comunque degli
estranei.
Scott
aveva bisogno di capire perché quel luogo gli sembrava
così familiare. E che
significavano tutte quelle frasi lasciate così in sospeso?
Che gli stava
succedendo?
Ci
siamo, ragazzi.
Pensò, rivolto
alle voci.
Non
dovremmo essere qui, lo sai vero,
jushi? Era
la voce di pund.
Perché?
Sto cercando delle risposte, e
finalmente qualcuno mi potrà rispondere.
Stai
facendo il loro gioco. Ti hanno
spinto fino a qui e tu non hai nemmeno opposto resistenza!
No,
ho scelto io di venire qui!
O
ti sei lasciato convincere dalla bella
Helen?
Sta
zitto, adesso.
Che
pund avesse ragione? No, non doveva pensarci. In fondo era troppo
tardi. Non
contava più se avesse preso quella decisione da solo o no.
Ormai era lì. Se era
una trappola, avrebbe cercato una soluzione.
Per
un istante, un solo istante, pensò che in fondo non aveva
niente da perdere.
Niente esisteva, fuori di lì.
Le
porte dell’ascensore si aprirono. Scott quasi
desiderò che gar dicesse
qualcosa, ma era solo in quel momento. Fece un passò e si
trovò in una stanza
adatta ad un presidente. Dal pavimento di moquette, ai divani in pelle,
la
scrivania mastodontica, le pareti costellate di quadri, alla libreria
immacolata. Eppure sembrava troppo irreale per essere vero. Era solo
una
copertura. Come tutto quello che aveva visto fino a quel momento, anche
questa
stanza era sterile, precisa e funzionale.
Accanto
alla grande finestra, c’era un uomo, di spalle. Fuori il
panorama era
completamente anonimo: si vedevano altre costruzioni come quella in cui
si
trovava, una strada deserta, dei prati di un verde perfetto. Ma Scott
non aveva
tempo per quello. Ci concentrò sull’uomo. Il suo
completo sembrava impeccabile,
i capelli grigi ben ordinati.
“
Lieto di rivederti, jushi.”
Scott
si immobilizzò. Non sapeva cosa significasse, ma solo pund,
tora e gar lo
chiamavano in quel modo.
“
Chi
sei?”
“
Mi
chiamano Maestro, o Capo. A volte Boss. Non tengo molto alle
etichette.”
Quel
tipo non gli piaceva. Già dalla voce, dal movimento della
sua testa. Scott
aveva tutti i sensi allerta. Nella sua testa stava succedendo qualcosa.
Le voci
si stavano agitando. Le chiamò per nome, ma non risposero.
“
In
un certo senso” continuò il vecchio.
“Potremmo dire che se voi sei siete
fratelli… io sono vostro padre.”
Scott
cadde in ginocchio, la testa tra le mani. Gli sembrava stesse
esplodendo. In un
istante sparì tutto, la stanza, il vecchio, il mondo intero.
Il dolore era
ovunque.
Vai
via, andiamocene di qua! Strillò
pund.
No!
Voglio delle risposte!
Idiota,
qui non le troverai! Stai solo…
La
voce di pund si perse nel frastuono.
L’uomo,
il maestro, non si mosse affatto. Attese che si rimettesse in piedi poi
continuò: “ Contavamo di riaverti nella squadra,
Scott. Ci hai fatto penare non
poco.”
“
Io…
non sono in nessuna squadra! Voglio sapere che sta succedendo qui.
Vengo
aggredito su un pullman, vengo prelevato da
un’agente… finisco qui dentro e
tutti dicono di conoscermi!” urlò quasi Scott.
“
Era
tutto organizzato. Ian ti stava sorvegliando. La rapina era una messa
in scena.
Ti volevamo qui, Scott. Ancora non capisci quanto tu sia importante, ma
suppongo che sei venuto fin qui per scoprirlo, non è
vero?”
Scott
non rispose. Non gli era difficile credere che quella rapina fosse
fittizia.
“
Non
ricordi niente, vero?” chiese ancora il vecchio.
“
Cosa dovrei ricordare?” Un’altra fitta alla testa,
proprio in mezzo agli occhi.
Questa volta fu quasi più forte di prima.
“
Avresti
parecchio da ricordare.” Il maestro si voltò
lentamente. Lo fissò negli occhi.
Era quello lo sguardo! “ Per esempio che in questa stanza,
quasi cinque anni
fa, tu sei morto.”
Scott
sentì mancargli il respiro. Lasciò cadere ogni
barriera, aprì la bocca senza
voler dire niente. E in quel momento tutto cambiò.
Un
urlo disumano gli esplose nella testa. Sentì qualcosa che
gli squarciava il
petto. Urlò, senza nemmeno accorgersene. Non capì
niente di quello che stava
succedendo. Sentiva pund che urlava… e anche tora.
Sentì il mondo rovesciarsi e
perse l’orientamento.
Si
alzò in piedi senza aver intenzione di farlo. Fece un passo.
Poi capì.
Fatti
da parte, jushi!
Era
gar! Aveva preso il controllo del suo corpo! E Scott si fece da parte,
troppo
confuso per sapere cosa fare.
Si
avvicinò alla scrivania. Sentiva la rabbia di gar bruciargli
la pelle. Afferrò
la scrivania e la scagliò contro la parete, come se fosse di
carta. “ Ci
rivediamo, bastardo!”
“
Vedo che ci sei anche tu, gar”
Gar
si lanciò in avanti per afferrarlo, quando tora
gridò:
no
è un’illusione! È sulla destra, contro
il muro
pund!
Prendilo!
Tuonò gar.
Pund
apparve all’improvviso e la mente di Scott si
paralizzò. Era un fantasma! Non
poteva distinguere le sue fattezze, era evanescente. Sembrava indossare
degli
stracci che pensavano da ogni parte, ma era impossibile capire altro.
In una
mano stringeva una katana.
Un
attimo dopo vide il maestro contro il muro, nel punto che aveva
indicato tora.
Era come apparso dal nulla. Era spaventato.
Colpiscilo!
La
spada di pund gli trafisse un braccio. Il maestro urlò. Gar
rise. In un attimo
gli fu addosso.
“
È
la tua ora bastardo! Ho aspettato questo momento da molto
più di una vita!” lo
afferrò per la gola e lo sollevò contro la
parete.
Il
maestro cercò di divincolarsi, ma la stretta era troppo
forte. Riuscì a
sussurrare qualcosa. “Scott… Scott…
ascoltami…”
“
Taci!” tuonò gar.
“
Se
mi… uccide… non saprai mai… la
verità”
Che
devo fare?
Urlò Scott, ma
solo nella sua mente.
“
Ritorna… in te… scaccialo! Non farlo…
decidere… per te…”
Scott
si concentrò con tutte le due forze. Gli era venuta
un’idea. Era folle, certo,
ma ormai la follia sembrava la norma lì dentro.
Dimenticò tutto il resto. I
rumori, le voci, gli odori. Tutto. E all’improvviso si
trovò di nuovo nel suo
caffé. Era sempre la stessa ora, un tardo pomeriggio
primaverile. Con un enorme
sforzo, costrinse le voci a presentarsi lì. Erano di nuovo
sedute dietro di
lui.
No!
È un assassino, un mostro! Ti userò
per i suoi scopi e poi ti ucciderà! Lo ha già
fatto anche con te! Urlò
pund
Lasciaci
andare, jushi.
No!
Voi non siete niente! Voglio delle
risposte e le avrò a modo mio!
Ti
ha già ucciso una volta! Come puoi
fidarti ancora!?
Era tora. Aveva ragione. Ma non gli serviva saperlo.
Improvvisamente
la stanza cambiò. Divenne una prigione. Tre brande, le
sbarre di ferro.
Aspetterete
qui.
Disse
semplicemente. Era ora di tornare.
Ritornò
in sé dopo qualche minuto. Era a terra, doveva essere
svenuto. Del maestro non
c’era traccia. Si alzò e si guardò
intorno. Provò l’impulso di mettere a posto
la scrivania, ma non lo fece. Nella sua testa le voci tacevano e
stavolta era
un bene. Non avrebbe mai immaginato che fossero capaci di tanto!
Sentì
il rumore di una porta che si apriva e si voltò subito. Era
un uomo sulla
trentina, in un completo grigio molto professionale. Più che
un agente sembrava
un agente immobiliare.
“
Io
sono l’agente Resk. Tu devi essere Scott. Ho dato
un’occhiata alla tua cartella
prima di venire. È la procedura.”
Spiegò l’agente. Poi lanciò
un’occhiata alla
scrivania che era finita contro la parete.
“
Mi
sa che sederci alla scrivania sia fuori discussione. Che ne dici del
divano?”
disse, sfoggiando un mezzo sorriso. No, non sembrava affatto un agente.
Si
sedettero sul divano. Quello era ancora più strano. Sembrava
una discussione
così formale.
“
Dov’è il Maestro?”
“
Non
saprei. Sono qui da sette anni e non l’ho mai
visto.” Disse l’agente Resk.
“
Ma
era qui qualche minuto fa! Ci ho parlato! Ho… sì
comunque era qui.”
L’agente
sorrise. “ Era una proiezione. Solo l’ennesima
prova, suppongo. Il maestro ci
ha lasciati molti anni fa. Ora non sappiamo dove si trovi. Ma non ti
preoccupare, ha i suoi modi per mettersi in contatto con noi.”
Scott
aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse. Aveva
davvero pensato che il
Maestro si fosse fatto aggredire così facilmente?
“
Ad
ogni modo, siamo qui per parlare di te. Avrai molte cose da chiedermi,
suppongo.”
“Sono
già stato qui?” chiese Scott.
“
Sei
arrivato qui cinque anni fa. Sei arrivato insieme a Helen, Iago, Ian e
Karen. Sei
stato il caso più eclatante degli ultimi anni.”
“
Un
caso?” gli sembrava irreale parlare con uno sconosciuto che
sapeva così tante
cose su di lui.
“
Secondo i medici eri malato, ma non hanno mai capito che malattia
fosse. Ma essendo
orfano, non hai certo avuto il parere di molti specialisti. Il punto
era che
non eri affatto malato. Il tuo corpo stava reagendo al fattore
K.”
L’espressione
di Scott bastò per rendere chiaro che non aveva mai del
fattore K.
“
Avrai visto in tv o almeno avrai sentito parlare di persone che
riescono a fare
calcoli a mente di decine di cifre… oppure di gente che
riesce a ricordare
tutto dopo una semplice occhiata. Il fattore K è un gene che
permette di
sviluppare una determinata abilità in modo a volte
sorprendente.
“Ma
finora non sappiamo da cosa derivi questo gene. Non è
ereditario. Sembra
svegliarsi spontaneamente in determinati individui.
“
A
volte gli effetti sono praticamente inconsistenti. Maggiore resistenza,
vista
migliore… niente di eclatante. Questi sono i casi di livello
0. Gradualmente si
assistono a fenomeni più o meno interessanti. Fino ad
arrivare agli agenti. In
loro il fattore K ha raggiunto un livello a cui è difficile
nascondere gli
effetti. Un ragazzo che con un pugno può schiantare
un’auto in moto oppure una
ragazzina che rimane sott’acqua per più di cinque
ore non sono cose che passano
inosservate.
“
Se
sono fortunate, queste persone incontrano noi e scelgono di seguirci.
Se non lo
sono, be’… diventano un problema.”
Era
abbastanza chiaro. Pazzesco, ma chiaro.
“
Anche io sono un agente, in questo senso?” chiese.
“
Non
proprio. Tu e gli altri cinque ragazzi che conosci siete…
fuori scala, per così
dire.”
“
Che
significa?”
“
Che
le vostre capacità vanno ben oltre lo sviluppo delle
potenzialità del corpo e
del cervello umano. Voi siete in grado di manipolare la materia e
chissà
cos’altro.”
“
Siamo solo noi sei a poterlo fare?”
“
Il
Maestro sapeva farlo. Sa farlo tutt’ora. Ma non sappiamo
quanti ce ne sono come
voi. Voi sei vi avevamo sotto controllo da molto tempo, dalla comparsa
dei
primi sintomi.”
“
Ma
stavamo parlando di te. Ti portarono qui che eri quasi morto. Negli
altri
ragazzi lo sviluppo del fattore K non aveva portato conseguenze
fisiche. Nel
tuo caso, per qualche motivo, le funzioni vitali stavano rapidamente
svanendo.
I nostri medici provarono delle tecniche mai sperimentate prima, ma fu
tutto
inutile.
“
Nel
laboratorio dove stavano cercando di curarti accadde qualcosa di
inconcepibile.
In qualche modo, hai ucciso diciotto uomini, prima di cadere a terra
morto.”
“
Com’è possibile che io sia morto? Ci deve essere
un’altra spiegazione.”
“
Sì,
ci sono diverse ipotesi. Ma quel giorno, eri morto davvero. Il tuo
cadavere fu
deposto con tutti gli altri. Fu il Maestro a ordinare di riportarti in
laboratorio. Tenemmo in attività il tuo corpo… il
tuo cadavere potremmo dire.
L’encefalogramma rimase piatto per quattro anni. Poi ti
svegliasti e chiedesti
da mangiare.” L’agente rise, e Scott avrebbe riso
con lui, se non fosse stato
troppo scosso da quello che stava sentendo.
“
Con
questo il mio ruolo è concluso.” Disse
l’agente, alzandosi in piedi.
“
Un
attimo! Ho ancora un sacco di domande!”
“
Prova a farne una.”
“
Perché dovrei restare qui?”
“
Perché lì fuori c’è qualcuno
che ti cerca. Che cerca quelli come te. Quelli
come noi. Ed è meglio
non farsi
trovare impreparati da quella gente. Domani comincerai
l’allenamento.
Divertiti, Scott. Qui non è così male come
sembra.”
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Capitolo 7 *** Karen della fiamma - I paladini ***
7
Karen
della fiamma
I
paladini
Scott
tornò al piano inferiore. Stava cominciando ad ambientarsi
un po’. Tornò nella
sua mente e fece sparire la prigione. Gli sembrava che le voci fossero
un po’
risentite, ma Scott non sentiva di dover chiedere scusa. Aveva
cominciato a
capire qualcosa. Non molto per la verità… ma
aveva l’opportunità di sviluppare
i suoi poteri. Avrebbe deciso in seguito, avrebbe avuto modo di
osservare la
situazione. Era bravo in quello.
Si
aprirono le porte dell’ascensore e trovò Helen ad
aspettarlo.
“
Mi
sento un po’ come un ospite d’onore. Non ho ancora
fatto un passo senza una
guida.” Disse Scott. E aggiunse: “ O senza una
guardia.”
Helen
sorrise, dolce come sempre. “ Non farci l’abitudine
Scott. È solo una
disposizione momentanea.”
“
Ordini del Maestro?” fece Scott.
“
No,
il Maestro non c’entra.” Fece una voce dietro di
loro. Scott si voltò e rivide
un volto che aveva già visto… ma in condizioni
molto differenti. I suoi capelli
biondi erano legati in una coda adesso, ma gli occhi verdi erano sempre
gli
stessi. “ Siamo stati noi cinque a decidere. Scoprirai che i
nemici non vengono
solo dall’esterno. Fino a che non saprai orientarti, ti
faremo da balia.”
“
Tu
dovresti essere Karen, giusto?”
“
E
tu il ragazzo che è risorto.”
La
ragazza tese la mano. Scott scoprì una cosa inquietante. Il
suo fascino
aumentava incredibilmente se la guardava negli occhi. Aveva addosso un
abito
che aveva visto solo nei film: calzoncini corti rossi, calze scure,
stivali
neri, e un lungo cappotto rosso che nascondeva tutto. Dava
l’impressione di
essere tanto bella quanto pericolosa.
Scott
le strinse la mano con una punta di soggezione. Il suo sorriso, a
differenza di
quello di Helen, non aveva niente di dolce. Quello di Karen era un
sorriso di
sfida.
“
Dicono che sei forte. Almeno lo dice Linus” disse Karen.
“
Non
ho ancora capito bene… i miei poteri. Non penso di essere al
vostro livello.”
“
Questo è evidente. Avrai bisogno di un allenamento speciale,
non temere.
Comincerai domani.” Disse Karen con un sorriso malizioso.
Fu
Helen a riprendere: “ Non dovrai lasciare la scuola, per ora.
Né la casa dove
abiti. Avrai permessi speciali e una scorta segreta, ma per il momento
continuerai come gli altri giorni.”
“
E
voi?” chiese Scott.
“
Anche
noi abbiamo le nostre vite e le nostre identità fuori di
qui. La regola è non
incontrarci mai lì fuori. Mai fermarsi a parlare o a
prendere qualcosa al bar.
Siamo estranei.” Rispose Karen.
Si
incamminarono tutti e tre per i corridoi ed entrarono in una stanza
apparentemente vuota. Al centro c’era un grosso tavolo di
ferro e al soffitto
c’erano le solite lampade neon. Helen si guardò
intorno, con attenzione. Karen
attese con le mani sui fianchi.
È
quella che ti ha sparato, vero? Era
la voce di
pund.
Proprio
lei.
Ho
una notizia da darti, jushi. Questa
ragazza ha addosso un arsenale. Le pistole sono probabilmente le ultime
cose di
cui dovrai preoccuparti.
Non
penso che voglia spararmi di nuovo.
Io
non ci giurerei. Non mi piace quello
sguardo.
“
Riesci a vederle, Helen?” Chiese Karen.
“
Sì,
sono qui. Ma mi sembra strano che non ci siano congegni di
sicurezza.” Rispose
Helen.
“
Forse 348 agenti bastano come sicurezza.”
“
348?” fece eco Scott. Le ragazze non gli diedero peso.
“
Ok,
allora diamoci da fare.”
Helen
si avvicinò al muro e tocco un punto apparentemente a caso.
Si aprì un’anta che
fino ad un attimo prima non esisteva. Dentro c’erano carte e
documenti di cui
Scott ignorava tutto.
“
Queste sono le mappe della base.” Disse Helen, svolgendo i
rotoli sul tavolo.
Scott la guardò e senti che pund, tora e gar facevano lo
stesso. In un attimo
aveva memorizzato gran parte dei dati.
Al
piano terra, quello accessibile immediatamente dall’esterno,
c’erano i
magazzini e poco altro. Era la copertura, probabilmente. Al primo piano
c’erano
gli uffici, come quello in cui aveva incontrato il falso Maestro.
Evidentemente
era lì che operavano i dirigenti. A meno che non fosse tutta
una copertura
anche quella.
Al
primo piano sottoterra c’erano loro e quelle infinite file di
stanze tutte
uguali. Scott notò parecchi ascensori e stanze che dalle
carte risultavano
vuote. In altre c’erano laboratori, sale, magazzini di armi
ed equipaggiamenti
vari. Lì sotto sembravano pronti a tutti.
Al
piano inferiore c’erano le palestre e altre sale speciali,
contrassegnate con
delle sigle che per il momento Scott non poteva decifrare.
Ancora
più giù cominciavano i piani Top Secret, di cui a
parte la piantina, non
c’erano iscrizioni.
All’esterno
non c’era niente di eclatante: una rimessa di auto e una
pista di atterraggio
per elicotteri e poco altro di interessante.
“
Sembrate preparati per una guerra.” Fece Scott.
“
Siamo in guerra, Scott. Una guerra che va avanti da secoli. Ci siamo
noi, gli
Agenti, e ci sono loro, i Paladini.” Rispose Karen.
“
Paladini?”
“
Scott” intervenne Helen. “ Non è tutto
così definito come dice Karen. Non ci
sono i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Ma
è vero, ci siamo noi e ci
sono loro. Devi solo decidere da che parte stare.”
“
E
se non potessi decidere?” chiese Scott.
“
Allora avrai due nemici invece di uno” Rispose Karen.
Scesero
di nuovo al piano inferiore e si trovarono in una grande mensa. Solo
quando
vide i banconi pieni di cibo sentì lo stomaco brontolare.
“
Sembra una vita che non tocco cibo!” esclamò.
“
In
effetti sei stato sotto flebo per tre giorni.” Disse Helen.
Si
misero a mangiare. Scott non sapeva nemmeno bene che ore fossero, ma
per ora
non gli importava. Si lanciò sul cibo quasi dimenticandosi
di essere in
compagnia di due ragazze.
“
Mentre mangi, cercherò di aggiornarti un po’ sulla
situazione.”
“
Sì”
disse Scott, mandando giù un boccone. “ Cosa sono
i paladini?”
L’orologio
di Karen cominciò a suonare. La ragazza si alzò,
lanciando un’occhiata ad
Helen, che annuì. “ Ci vediamo domani,
Scott.” E se ne andò.
“
Sembra che tocchi a me il ruolo della maestrina oggi” disse
Helen. “Ebbene
all’inizio, e ti parlo di secoli fa, c’era
un’organizzazione che mirava a distruggere tutto quello che
siamo. Davano la
caccia agli individui speciali, fuori dalla norma. Gli agenti,
insomma.”
“
Tipo la caccia alle streghe?” fece Scott.
“
No,
niente di così eclatante. O almeno, non ci risulta che la
caccia alle streghe
sia opera loro. Abbiamo notizie solo da un paio di secoli a questa
parte. I paladini
erano molto più cruenti… e molto più
discreti. Ma con il passare del tempo capirono
che, per quanto fanatici e irremovibili, i loro metodi non erano in
grado di
fermare gli agenti più dotati. Soprattutto dal momento che
venne formata L’Agenzia.
E allora i paladini hanno deciso di usare metodi molto più
drastici. In qualche
modo hanno avuto accesso alle arti magiche e hanno imparato ad usarle.
Quello
che noi riusciamo a fare in maniera naturale, loro l’hanno
imparato studiando ogni
sorta di magia arcana.”
“
E
questo non va contro i loro principi?”
Helen
sorrise. “ Ottima osservazione. Ma penso che una volta
toccato con mano il
potere che potevano avere, abbiano cambiato facilmente i loro ideali.
Ora non
si preoccupano più di ripulire il mondo da noi, che siamo
abomini della natura.
Ora vogliono il mondo.”
“
Mi
sembra assurdo. Che cosa sappiamo di questi paladini?” chiese
Scott. Era sazio.
Le voci borbottavano qualcosa, ma sembrava non avessero niente da
dirgli.
“
Molto poche. Stanno crescendo rapidamente, le nostre perdite sono
aumentate in
modo preoccupante. Sta per succedere qualcosa, lo sento, ma ne sappiamo
ancora
troppo poco.”
Scott
stava per rispondere, quando qualcuno spalancò la porta
della sala.
“
Scott! Sei qui allora!” urlò Linus, correndogli
incontro. “ Ho una notizia da
darti, tieniti forte.”
“
Cos’è successo?” chiese Helen.
“
Aspetta. Sei pronto, Scott degli Spiriti?” chiese Linus.
“
Ok.
Spara.”
“
Domani andiamo in missione!” urlò afferrandogli la
mano.
Scott
lo guardò spiazzato, non sapeva cosa rispondere.
Guardò Helen e vide che era
preoccupata.
“
Che
storia è questa? Scott è appena arrivato. Non ha
nemmeno cominciato
l’addestramento.”
“
Ordini del capo.” Disse Linus. “ A proposito, ci
vuole vedere domani mattina.”
|
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Capitolo 8 *** Il secondo giorno di scuola - Entra il nemico ***
8
Il
secondo giorno di scuola
Entra
il nemico
La
mattina seguente, la sveglia suonò all’alba. Scott
si alzò come ogni altra
mattina ed andò in bagno. La sera precedente
l’avevano accompagnato nella sua
vecchia casa, un appartamento per studenti. Al momento non aveva
coinquilini,
ma conosceva gli altri ragazzi nel palazzo. Nessun amicizia che potesse
considerare stretta, ma Scott non ci aveva mai dato peso.
Si
preparò in fretta e si affacciò. C’era
una macchina ad aspettarlo. Doveva
passare prima alla base. Era quasi bello avere una sorta di scopo.
Scott
guardò di nuovo la strada per la base, ma l’aveva
già imparata bene. Scese e si
incamminò sicuro per i corridoi. Sapeva dove doveva andare
questa volta. Linus
gli corse incontro appena lo vide.
“
Manca un quarto alle sette. È tardissimo!”
“
Sì,
sì, sono qui. Possiamo andare.” Disse Scott.
“
Hai
conosciuto tutti ieri, vero?” chiese Linus.
“
Sì.
Ho conosciuto Karen ieri sera.”
“
Carina, vero?” fece Linus.
“
Sì.
Inquietante però.”
“
Sì,
lo dico sempre anche io. È l’ultima che in qualche
modo può usare i suoi poteri
anche su di noi. Se vuoi, potrai trovare anche un motivo scientifico,
ma io
dico che sono semplicemente gli ormoni. Comunque con me non
attacca.” Linus
continuava ad andare avanti e indietro e a girargli intorno. Sembrava
sempre
sul punto di saltare in aria.
“
Perché su di te non ha effetto?”
“
Perché sono gay. E questo va a conferma della mia
ipotesi.”
Scott
sorrise. “ Ok. A che ora dobbiamo andare dal capo?”
“
Adesso, se sei pronto. È la tua prima missione, non sei
emozionato?”
“
Te
lo dico appena avrò capito con sicurezza che
significa”
Entrarono
nell’ufficio del capo. Era un uomo sulla cinquantina, con i
capelli neri e una
faccia seria e scavata. Indossava un vestito sobrio e sembrava aver
visto
abbastanza da non sorprendersi più per niente. Fece cenno di
sedersi nelle
sedie davanti alla scrivania e Scott notò che le sedie erano
tre.
Dunque
non siamo soli,
disse pund. Era
dalla notte precedente che non si facevano sentire. Avevano fatto il
punto
della giornata insieme e avevano concluso che dovevano continuare a
tenere gli
occhi aperti.
Prima
che Scott potesse dire qualcosa, entrò anche Ian, per niente
sorpreso di
vederli. Era molto più serio di quando l’aveva
visto il giorno prima.
“
Ian
conosce già i dettagli della missione”
esordì il capo. “Sarete solo voi tre,
tempo d’azione non più di un’ora.
Sappiamo con certezza che un furgone blindato
sarà assaltato apparentemente da una banda di ladri. In
realtà, sono membri
dell’ATC.”
“
I paladini”
sussurrò Linus. Poi disse ad alta voce: “ Ma non
basta la polizia per quello?”
“
Il
vostro compito non è quello di arrestare i ladri. Dovrete
svaligiare il furgone
prima di loro.” Disse il capo.
“
Una
rapina?!” gli occhi di Linus erano diventati enormi per lo
stupore, era rimasto
a bocca aperta. Scott quasi si mise a ridere.
“
Noi
la chiamiamo operazione di recupero preventiva.”
Precisò il capo.
“
E
la chiamate con il nome sbagliato! È una rapina bella e
buona!”
Fu
Ian ad intervenire. Era strano vederlo così serio, anche se
lo conosceva da
qualche giorno appena. “ L’obiettivo non
è la refurtiva, Linus. Vogliono sapere
perché quelli dell’ATC stanno cercando quella
roba, non è così?” Lo disse
fissando negli occhi il capo.
“
Esatto. Corre voce che verrà trasportato anche
qualcos’altro insieme al denaro.
Qualcosa di piccolo e facilmente trasportabile. È quello che
dovrete scoprire.”
“
E i
soldi?” chiese Linus.
“
Provvederemo poi a restituirli” rispose il capo, facendo un
gesto con la mano,
per liquidare la questione. Poi passò loro delle cartelle.
“Avete qualche
domanda?”
La
mano di Linus scattò in alto. Ma il capo guardò
Ian.
“
Per
questo genere di missioni bastano le squadre tradizionali. La squadra
H, per
esempio, è esperta nei recuperi.”
“
La
squadra H è impegnata altrove. E comunque non è
efficace nei luoghi affollati,
come di sicuro saprai.”
“
Non
è questo il punto. Una squadra qualsiasi sarebbe stata
più che sufficiente.
Voglio capire, al limite, mandare uno di noi in supporto. Ma tre!
È una
follia!” disse Ian, accendendosi in viso.
“
È
una missione senza pericoli. Una passeggiata, per voi. E quindi adatta
a Scott,
come prima missione. Ian, potresti fare anche tutto da solo. Linus
sarà di
supporto, nel caso qualcosa andasse storto” spiegò
ancora il capo.
“
Continuo a non essere d’accordo. Abbiamo sempre vietato le
missioni che
implicavano l’utilizzo di tre del nostro gruppo. È
troppo pericoloso. Il
Maestro è sempre stato contrario.” Disse Ian.
“
È
stato il Maestro a pianificare questa missione. E ha chiesto
espressamente di
voi tre.”
Mentre
i ragazzi si alzarono per tornare al piano inferiore, il capo li
fermò
chiedendo: “ Linus. Volevi chiedere qualcosa?”
“
Ehm… sì… ma mi sono
dimenticato” si giustificò. Poi salutarono e
lasciarono la
stanza.
“
Questa situazione non mi convince” disse Ian.
“
Che
significa che non siete mai andati in missione in gruppi di
tre?” chiese Scott.
“
L’ATC ci sta cercando. Siamo il loro obiettivo principale.
Non possiamo
permetterci di uscire tutti insieme, saremmo un bersaglio troppo
facile.”
Spiegò Ian.
“
Anche se finora non ci sono riusciti!” fece eco Linus.
Scott
diede un occhiata al fascicolo mentre camminavano. La missione era per
il
giorno dopo. C’erano gli orari, la pianta della strada e
della banca, il nome
dei dipendenti e tutti i dettagli possibili.
Questa
faccenda mi puzza. Era
tora.
Anche
ad Ian a quanto pare. Che ci sia
qualcosa sotto?
Sicuro.
Tieni gli occhi aperti, jushi, ti
daremo una mano.
“
Ci
vediamo stasera allora. Scott… buona lezione”
disse Linus e corse via.
“
Lezione?”
“
Ti
aspettano tra dieci minuti.” Rispose Ian. “ Non
avrai dimenticato che devi
andare a scuola?”
“
Oh…”
Compito
di storia previsto per le 9. Trovò in macchina una dispensa
di tutto il
programma svolto fino a quel momento. Tempo di percorrenza per giungere
alla
scuola: 40 minuti.
“
E
cosa dovrei fare con questa dispensa?” chiese Scott.
C’era un agente al
volante. Un’altra macchina di scorta li avrebbe pedinati,
senza dare
nell’occhio.
“
Dovresti impararla.”
“
E
come?”
“
Leggendola, magari. Mentre io cerco la strada.”
“
Deve girare a sinistra alla prossima. Poi la terza a destra.”
Disse Scott,
sfogliando la dispensa.
“
Se
hai imparato la strada dopo averla vista una sola volta, non ti
dovrebbe essere
difficile memorizzare quella dispensa.” Disse
l’agente.
Scott
non rispose. Era possibile? In fondo era vero… conosceva
bene la strada. Come
conosceva la piantina dell’agenzia, anche se
l’aveva vista una sola volta.
E
poi adesso non hai solo due occhi,
gli disse pund.
Chiuse
la dispensa mentre l’agente accostava. Sapeva tutto. Scese
dall’auto e un
attimo dopo rimise dentro la testa e disse: “ La risposta
è 700. Bella
trovata.”
A
scuola sembrava che il tempo non passasse mai. Gli altri ragazzi lo
guardavano
in modo strano e gli sembrava del tutto legittimo. Era il suo secondo
giorno
lì. E poi era molto più grande di loro.
Completò
il compito in dieci minuti, senza nessuna correzione. Pund e tora
passarono in
rassegna tutti gli alunni senza trovare la minima traccia del fattore
K.
Sentiva che stava perdendo tempo inutilmente, ma non sapeva che fare. E
forse
stare un po’ lontano dall’agenzia lo avrebbe
aiutato a riflettere meglio.
Agenti
e Paladini. C’era qualcosa che non quadrava. Le spiegazioni
che gli avevano
dato avevano troppi buchi. Che l’Agenzia esistesse solo per
la loro
sopravvivenza? Mettere insieme tutto quel potenziale umano senza
impiegarlo in
nessuna modo concreto? E perché i Paladini avevano paura di
loro? La storia del
fanatismo reggeva fino ad un certo punto. Non erano più nel
medioevo e anche
lì, superstizione e fanatismo avevano le loro motivazioni
pratiche. No, c’era
qualcos’altro.
È
troppo piccolo questo posto. Si
lamentò pund.
Che
c’è che non va? È un’aula!
È
stretta. E bassa. E troppo affollata.
Preferiresti
fare lezione in un campo
sportivo?
Se
ci attaccassero qui, saresti nei guai.
Non
essere paranoico, pund! Punto primo è
una semplice scuola. Punto secondo nessuno sa che sono qui. Punto terzo
ci sono
degli agenti di guardia.
Punto
quarto ti stai riempiendo di
stronzate come un tacchino alla festa del ringraziamento!brontolò
pund.
Dopo
mezz’ora ormai la noia stava avendo il sopravvento. Non ce la
faceva più a
stare seduto senza fare niente. Diede un’altra occhiata al
compito, ma era
perfetto così. Si mise a guardare fuori dalla finestra e
notò un murales molto
bello. Non significava niente, solo linee e colori, ma era fatto
davvero bene.
Di sicuro chi l’aveva fatto voleva lasciare un messaggio. Era
ben rifinito, i
colori erano folli.
Guarda
bene, gli
disse tora.
Cosa
devo guardare?
Tutto…
ma non concentrarti su niente in
particolare. Guardalo nella sua interezza.
Lo
sto guardando.
No.
Tu stai guardando le linee. E dove
portano, dove si congiungono. Smettila di guardare le linee e guarda il
disegno.
Per
qualche minuti Scott si limitò a guardare, cercando di non
fissarsi su niente.
Stava per dire che non c’era niente, niente da vedere, quando
all’improvviso
capì. Sbatté più volte gli occhi. Ora
che l’aveva visto era sembrava
impossibile non vederlo.
Era
una sola parola, perfettamente leggibile. QUI.
Devo
tornare dagli agenti. Disse
Scott e si
stava per alzare, quando gar lo fermò.
Troppo
tardi, jushi. È già
qui.
Chi?
Chiunque
ti stia cercando. Lo sento. Esci
da questa stanza.
Sei
sicuro che…
Esci
di qui!
Scott
consegnò il compito e usci in corridoio. Era tutto
stranamente calmo per una
normale giornata di scuola. Gar gli suggerì di andare in
bagno. Aveva attivato
il rilevatore. Presto due agenti l’avrebbero raggiunto
lì dentro.
Il
bagno era vuoto. Molto meglio così. Attese mezzo minuto
camminando avanti e
indietro, quando finalmente la porta si aprì.
“
Salve”
disse una voce. Era un ragazzo, non molto più vecchio di
lui. Era vestito di
nero. Bastava uno sguardo per capire che non era uno studente.
“
Chi
sei?” chiese Scott.
Non
lasciarlo parlare troppo. Al mio
segnale, lasciaci andare.
“
Oh,
avremo modo di parlare con più calma. Che ne dici di venire
con me con le
buone?” disse il ragazzo. Aveva i capelli biondi, quasi a
caschetto. Un ciuffo
gli ricopriva metà della fronte. Gli occhi erano piccoli e
vicini. Le dita
lunghe e sottili.
“
Dove dovrei venire?” chiese Scott. Non aveva armi. Non aveva
niente! Si trovò
inconsciamente a misurare ogni distanza, da lui alla porta,
dall’altro ragazzo
a lui. Calcolò tutto, ma non serviva a niente.
“
In
genere, in una situazione come questa, non avresti scelta. Ti ucciderei
senza
darti il tempo di pensare. Ma tu sei speciale. Abbiamo tante cose da
dirci.
Tanti segreti. Vieni con me?”
“
Per
curiosità… come si dice nella tua lingua: va a
farti sfottere!”
Scott
lasciò andare le voci. Le sentì staccarsi da lui
con ferocia. Le vide stavolta,
armate con grosse katane fantasma. Sentiva la stessa rabbia dentro di
sé.
Pund,
gar e tora si lanciarono sul nemico in sincronia. Il ragazzo non si
scompose.
Mormorò qualcosa come: “ Moccioso” e
protese le braccia, i palmi aperti rivolti
all’esterno. Sussurrò qualcosa.
I
fantasmi andarono a sbattere contro qualcosa di invisibile e tornarono
indietro. Scott li guardò: erano disorientati. Non
c’era niente davanti.
“Pensavi
che fossi venuto fin qui senza le dovute precauzioni?” disse
il ragazzo.
“
Che
significa?” chiese Scott, guardandosi intorno.
“
Che
avevo preparato questa barriera prima che tu entrassi qui dentro. Ora
che l’ho
attivata, ti è impossibile uscire. O lasciar uscire i
fantasmi. I tuoi poteri
ci sono noti. Sappiamo molto su di te. Anche come renderti
inoffensivo.”
“
Come fate a conoscere i miei poteri? Fino a qualche giorno fa non li
conoscevo
nemmeno io!” disse Scott. Cominciava a sentirsi affannato.
“
Sono anni che ti cerchiamo, jushi!”
Ancora
quel nome! E sulla bocca di un nemico!
Che
succede?
Siamo
bloccati. Deve essere uno scudo
dimensionale.
Scott
non riuscì a capire il resto. La vista cominciò a
confondersi. Un attimo dopo
cadde in ginocchio, sentiva le forze che lo abbandonavano.
“
Potevi seguirmi con le tue gambe, stupido moccioso” disse il
ragazzo biondo con
un profondo sdegno. “ Gli effetti della barriera non si
possono interrompere.
Mi farai perdere un sacco di tempo!”
“
Cosa… vuoi… da me!” disse Scott,
tossendo. Sentiva la gola stringersi, era
atroce.
“
Una
cosa molto semplice. Voglio sapere come hai fatto a morire e poi
tornare in
vita. Non c’è magia che regga al
confronto!” Il ragazzo si chinò, poggiandosi
con le mani sulle ginocchia, per osservarlo meglio.
Aveva
una gran confusione in testa. Non sentiva più le voci. La
stanza sembrava
girargli intorno. Gli sembrò di cadere, poi si accorse di
essere già a terra.
“
Io…
non so.. come ho fatto!”
“
Oh,
ma non devi essere tu a dirmelo. Avrò tutte le risposte che
mi servono dal tuo
corpo. Sarà un grande lavoro! Il mio signore sarà
molto contento di me.” Alla
fine si alzò e fece un passo indietro. Con dei rapidi
movimenti delle mani annullò
la barriera. “ Ora alzati!”
Scott
venne alzato di peso e un attimo dopo si trovò contro il
muro. Batté la testa,
ma fu solo un dolore che si sommò agli altri.
Il
mondo perse velocemente consistenza. Era così che finiva la
sua avventura con
l’agenzia? Era lì tutto quello che sapeva fare?
Aveva ragione Karen allora, era
solo un incapace, inutile appena la balia voltava lo sguardo.
Una
lacrima gli scese sulla guancia. Sentì un rumore improvviso,
come una porta che
sbatteva. Poi non sentì più niente.
***
All’improvviso
la porta venne spalancata, andò a sbattere contro la parete
e rimase lì di
sbieco, dopo che erano saltati i cardini.
Il
ragazzo biondo, fece un salto indietro, preparandosi ad attaccare, poi
abbassò
le mani e sorrise. Il ragazzo che aveva davanti era alto e grosso.
Aveva una
spada enorme sulla schiena. I suoi occhi erano infuocati.
“
Ma
che fortuna! Così l’Agenzia ha mandato te
stavolta. Piacere di rivederti,
Iago.” Disse il ragazzo.
Iago
guardò il corpo di Scott ancora contro la parete, poi
tornò a guardare il
nemico. “ Dove sono i tuoi scagnozzi, Crin? L’ATC
non ti ha certo mandato da
solo.”
“
Non
ho bisogno di nessun altro. È una missione molto
semplice.”
“
Io
non ne sarei sicuro. Stavolta non verrà nessuno a
salvarti.” Iago si mise in
posizione d’attacco.
“
Levati dai piedi, Iago. Stavolta non sono venuto per te.”
Disse Crin.
“
Lascia andare Scott. E affrontami. Parleremo dopo.”
“
Dio
ma come siete noiosi!” sbottò Crin, poi protese di
nuovo le mani in avanti, con
i palmi rivolti verso Iago. Disse una sola parola.
Iago
vacillò. Allargò le gambe e ritrovò
l’equilibrio.
“
Avevo previsto l’eventualità che arrivasse
qualcuno. Ho preparato un'altra
barriera. Geniale non trovi? Ora porterò via Scott e tu non
potrai far altro
che guardare!” Il ragazzo biondo rise, facendo due passi
verso il corpo di
Scott, ancora premuto contro la parete.
Iago
rise. Crin si voltò, per capire perché il ragazzo
stesse ridendo. Iago lo
guardò negli occhi.
“
Avresti
dovuto impegnarti di più, genio.
Non
sono più un ragazzino.” Un attimo dopo, Iago
alzò le mani. Chiuse gli occhi e
inspirò profondamente. Poi lanciò un urlo
selvaggio e calò i palmi delle mani
sul pavimento con una forza inaudita. Le piastrelle del bagno saltarono
con uno
schianto. Crepe si aprirono per più di due metri intorno a
Iago. Si sentì un
rumore improvviso, come di una lastra di vetro che viene infranta.
La
barriera aveva ceduto.
Iago
alzò lo sguardo. Sembrava una belva inferocita.
Urlò in maniera spaventosa,
estrasse l’enorme spada che aveva sulla schiena e si
lanciò sul nemico. In un
attimo gli fu addosso. Calò la spada con tutta la sua forza.
La
spada si fermò all’improvviso, con un impatto
metallico. Iago rimase
sconcertato. Crin aveva bloccato la lama con una sola mano, senza
procurarsi la
minima ferita. Un attimo dopo capì perché: il suo
braccio era diventato di
metallo grezzo.
Un
tonfo segnalò che aveva perso la sua presa su Scott e il suo
corpo era crollato
al suolo.
“
Credevi di essere l’unico ad aver fatto dei progressi,
moccioso!?” ringhiò
Crin, poi lo colpì con l’altra mano. Iago fu
scaraventato indietro, ma riuscì a
tenere l’equilibrio. Era forte, quel bastardo.
Iago
lasciò perdere la spada. Era un’arma troppo
ingombrante per un combattimento
tattico. E per quanto potente fosse il colpo, quelle braccia erano
troppo
solide.
Era
ora di mettere in atto quello che aveva imparato con Ian. “Quando la forza non basta, usa la
velocità. Non dare il tempo
all’avversario di vedere i tuoi colpi.”
Si
lanciò di nuovo contro il suo nemico. Caricò il
destro, notando il sorriso
beffardo sul viso di Crin. Ma all’ultimo momento
scartò di lato, finse di
colpire, scartò di nuovo, evitò il pugno di ferro
e caricò di nuovo. Arrivò a
quasi a colpirlo allo stomaco, mentre Crin serrava i gomiti per
bloccarlo,
quando spostò il peso sull’altro piede,
caricò il sinistro e lo colpì al volto
con tutta la forza di cui era capace.
Crin
venne scaraventato indietro, finì contro la parte con una
tale violenza che
distrusse tutte le mattonelle sulla parete. Iago ansimò,
sorridendo.
Crin
riuscì a non cadere, ma quasi non riusciva a reggersi in
piedi. Sputò sangue.
Le sue mani erano tornate normali.
“
La
prossima volta che ci incontreremo, rimpiangerai questo
momento” disse.
“
Non
ho ancora finito, Crin!” urlò Iago.
“
Sì,
abbiamo finito. Non sono venuto qui per te.”
Prima
che Iago potesse fermarlo, Crin saltò dalla finestra. Un
attimo dopo di lui non
c’era più traccia.
Iago
prese Scott su una spalla e andò via. Quella sarebbe stata
una giornata
maledettamente lunga!
|
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Capitolo 9 *** La Squadra Beta - Ian e Linus ***
9
La
squadra β
Ian
e Linus
La
stanza era quella ufficiale delle riunioni. Una lunga scrivania
rettangolare in
mogano, ventuno sedie girevoli, ventuno block notes rilegati in pelle.
Erano
occupate solo otto sedie e l’aria era tesa come la corda di
un violino. Il capo
stava riguardando il rapporto della mattinata. Nessuno osava aprire
bocca.
Mancava ancora una persona all’appello.
Iago
entrò qualche attimo dopo, senza bussare. Aveva una
fasciatura sul braccio
sinistro, ma non era niente di grave. Era piuttosto
l’espressione che aveva sul
volto che non prometteva niente di buono.
C’era
anche Ian nella stanza, si limitò a guardarlo e fargli un
cenno con la testa.
Il
capo si schiarì la voce e tutti si misero composti per
ascoltare.
“
Possiamo cominciare questa riunione straordinaria. Il motivo della
convocazione
è noto a tutti. Due agenti sono morti, assassinati dai
membri dell’ATC in un
attacco a sorpresa. Siamo…”
“
Attacco a sorpresa!” sbottò Iago.
“
Agente Iago, abbiamo letto il tuo rapporto. Ed è lecito
supporre…” cominciò il
capo, guardandolo con uno sguardo truce. Ma serviva a ben poco con il
ragazzo.
“
No,
mi sembra evidente che non abbiate letto bene. Non
c’è stato nessun attacco
a sorpresa!”
Fu
un
altro agente a rispondere. Calvo, con le guance rosse. Sembrava
più un
impiegato di banca che un agente. “Non c’erano
indizi né presupposti per un
attacco, siamo stati colti…”
“
Oh
al diavolo!” gridò quasi Iago, sbattendo il pugno
sul tavolo. Tutti
trasalirono. Solo Ian rimase al suo posto, con lo sguardo sulle carte
che aveva
davanti.
“
Statemi bene a sentire. Io ero là fuori e non intendo
addolcirvi la pillola.
Avete mandato un ragazzo che non sa praticamente niente dei suoi poteri
e della
situazione in cui ci troviamo in un luogo pericoloso e fuori da
qualsiasi
copertura. E, cazzo, ora vi sorprendete che lo abbiamo
attaccato!”
“
Era
stata istituita un’adeguata scorta” disse di nuovo
il bancario… ma con scarsa
convinzione.
Fu
Ian a prendere la parola. Iago non si sedette, era troppo nervoso.
“ Gli agenti
di scorta, Adel e Ben, sono stati uccisi praticamente prima che
potessero
accorgersi di un possibile pericolo. Questo perché un
normale agente da solo non
può competere con i poteri che stanno acquisendo
all’ATC. La forza degli agenti
consiste nell’unità e nella quantità
del gruppo d’azione, cosa che voi del
direttivo fate di tutto per dimenticare. I due agenti erano soli e
separati.
Chiamarla una scorta adeguata è quantomeno
inopportuno.” Ian si guardò intorno.
Nessuno riusciva a trovare un argomento valido per controbattere.
“
Il
punto della questione, comunque, rimane un altro.”
Continuò Iago. “ Abbiamo
rischiato di perdere Scott. Conosciamo le sue potenzialità.
È un alleato che
non possiamo permetterci di perdere. L’abbiamo mandato allo
scoperto. E per quale
motivo?”
“
Agente Iago, questo comportamento non è
tollerabile…” protestò il capo.
“
Giocare con la vita degli agenti non è tollerabile, capo! In
quella scuola
c’era uno dei più pericolosi membri
dell’ATC a noi noti. Ha già provato a
catturare me e Linus. Non era difficile pensare che potesse avere
interesse a
Scott!”
L’aria
nella sala ormai era tesissima, come i nervi di Iago. Nonostante la sua
fama di
ragazzo tranquillo, in quel momento nessuno osava contraddirlo.
Sembrava una
furia.
“
In
ogni caso è stato il maestro a volere che Scott continuasse
le attività
anteriori…”
“
Dov’era il Maestro questa mattina, capo?
Dov’è adesso? Dobbiamo smetterla di
pensare che il Maestro abbia tutte le risposte. Siamo noi qui che
rischiamo la
vita giorno dopo giorno.”
Mentre
l’atmosfera divenne un po’ più
rilassata, discussero delle misure di sicurezza
da prendere. Iago e Ian rimasero per lo più in silenzio,
erano questioni di
routine. Tutti gli altri agenti invece sembravano stranamente zelanti. Burocrati del cazzo! Pensò
Iago.
“
Inoltre,
c’è una missione in preparazione che prevedeva
l’agente Scott. Dovremo…”
Iago
alzò la mano. “ Essendo una semplice missione di
recupero, propongo che venga
impiegata una squadra semplice.”
In
quel momento si alzò Ian. Iago rimase stupito.
“
No,
io e l’agente Linus abbiamo già pianificato tutto.
Possiamo fare a meno di
Scott. E poi, date le circostanze, non si aspetteranno una mossa tanto
avventata da parte nostra.” Lo disse senza guardare Iago.
Sapeva che dopo ne
avrebbero discusso in privato.
“
Bene. Vi sarà assegnata comunque una squadra di supporto.
Per quanto riguarda
Scott…” cominciò il capo, ma Iago lo
interruppe di nuovo.
“
Ho
io una proposta. Per la verità è più
di una proposta. Da oggi sarà istituita
nuovamente la squadra BETA, come prevede lo statuto. E Scott
entrerà a pieno
merito nella squadra. Da subito.”
“
Questo non è ammissibile!” proruppe un agente.
“
Su
queste non sono ammesse obiezioni. La Squadra
BETA è una squadra speciale,
istituita nei momenti più duri.
Ne abbiamo parlato e siamo tutti d’accordo. Noi cinque
più Scott.” Iago li
guardò uno per uno. “ Non abbiamo bisogno della
vostra approvazione per farlo e
lo sapete bene. Anche questi sono ordini del Maestro… o
preferite fare il suo
nome solo quando vi conviene?”
La
riunione si concluse di lì
a poco. Se ne
andarono tutti molto scossi, ma era prevedibile. Stava diventando
un’istituzione troppo conservatrice, penso Iago. Stavano
dimenticando che era
una guerra quella che stavano combattendo. Al comando c’era
gente che non
vedeva il mondo esterno da troppo tempo, che viveva troppo protetta per
capire
davvero il pericolo.
La
Squadra
β era di nuovo
una realtà. E per la prima volta, erano in sei. Per la prima
volta la
Squadra β era al completo.
“
Che
diavolo significa che andrete in missione?” chiese Iago,
mentre raggiungevano
la sala comune. Quella che presto sarebbe stato il loro quartier
generale.
“
Che
usciremo, prenderemo quello che serve e torneremo indietro.
Semplice.” Rispose
Ian.
“
Hai
sentito quello che abbiamo detto là dentro, vero? Quello che
HO detto là
dentro?” chiese ancora Iago.
“
Sì.
E non sto facendo una cazzata.” Si giustificò Ian.
“
Certo che no. Però voglio sapere che ti passa per la
testa.”
Entrarono
nella sala comune. C’era Helen intenta a studiare una mappa.
Notò le loro
espressioni e non li interruppe.
“
L’agenzia ha bisogno di quello che trasporteranno questo
pomeriggio. Qualunque
cosa sia. E non possiamo permettere che l’ATC se ne
impossessi.”
“
Fin
qui tutto chiaro.” Disse Iago.
“
Linus
ed io abbiamo pianificato tutto. Siamo pronti. Ma se rinunciamo,
dovranno
istruire una squadra in poche ore. Il rischio di fallimento sarebbe
molto più
elevato. Non possiamo tirarci indietro.”
Per
un lungo momento, Iago e Ian si fronteggiarono, occhi negli occhi. Poi
Iago
sospirò e si fece da parte.
“
Cerca di fare attenzione.”
“
Certo. Vado a prepararmi. Se vedete Linus, ditegli che lo sto
cercando.” Disse
Ian e se ne andò.
Qualche
istante dopo, Helen si avvicinò a Iago. Leggeva chiaramente
la preoccupazione
sul suo viso. Era comprensibile. Ma entrambi sapevano di cosa era
capace Ian.
“
Come sta Scott?” chiese Iago.
“
Stabile. Per il momento non possiamo fare niente. Solo
aspettare.” Disse Helen.
Attese qualche secondo, alla fine non riuscì a trattenersi.
“ Sai perché Ian ha
scelto di andare in missione, vero?”
“
So
che non l’ha fatto per la missione in sé. Ma non
ho ancora capito…” chiese
Iago.
“
L’ha fatto per la squadra.” Disse Helen.
“
Che
c’entra la squadra?”
“
Un
semplice baratto. Il capo avrebbe trovato mille obiezioni e lo sai
anche tu che
in queste condizioni, non potremmo mettere in piedi la squadra. Ma il
capo aveva
bisogno di Ian per la missione. Ian ha accettato per costringerlo ad
accettare
la squadra. Loro avranno il loro prezioso oggetto, noi la
squadra.” Spiegò
Helen. Sorrise, ma la sua voce tradiva una forte apprensione.
Iago
ci pensò per un attimo. Poi sospirò. “
Mio cugino è un genio. O un coglione.
Non l’ho ancora deciso.”
Erano
nella palestra, entrambi sudati, entrambi immobili. L’ombra
di Linus aveva
raggiunto i piedi di Ian e lo teneva bloccato a terra. Ian non poteva
muoversi.
Sorrise.
“
Ok,
così può bastare” disse Ian e Linus
annuì, lasciandolo andare.
Il
piano di Ian sembrava perfetto. Aveva previsto tutto e aveva lasciato
spazio
per quello che proprio non potevano prevedere. Un piano accurato e
flessibile,
come diceva Linus. Ian del vento non sbagliava mai. Anche se questa
volta…
“
Non
abbiamo previsto la squadra di supporto” disse, mentre si
allontanavano dal
centro.
Ian
si asciugò la fronte con un asciugamani. “
Preferisco lasciarli fuori e
continuare con il piano originale. Sarebbero solo
d’intralcio.”
Linus
non ne era convinto. C’era qualcosa che non andava questa
volta. Ian era un
genio, ma stavolta c’era qualcosa che proprio non andava.
Continuò a pensarci
per trovare una risposta, ma non ci riuscì.
Perché elaborare un piano tanto
complicato, quando potevano andare direttamente in banca e rubare
quello che
dovevano prima che avvenisse il trasferimento? Alla fine glielo chiese.
Ian
si guardò per un attimo intorno, poi gli fece segno di
avvicinarsi. “ La
missione ufficiale è di recuperare l’oggetto.
Questo è l’obiettivo
dell’Agenzia. Ma la Squadra Beta
ha un altro obiettivo.”
Linus
si illuminò in viso, come ogni volta che veniva nominata la Squadra
β. Poco importava
che avessero preso quella decisione senza di lui.
“
Voglio scoprire che priorità ha quell’oggetto per
l’ATC.” Disse Ian.
“
E
in che modo?”
“
Dobbiamo far uscire la squadra dell’ATC allo scoperto. E per
farlo, dobbiamo
far uscire l’oggetto dalla banca.”
“
Il
capo lo sa?” chiese Linus.
“
La Squadra
Beta non ha bisogno
dell’autorizzazione del capo” disse Ian sorridendo,
finalmente.
Linus
rispose al sorriso. “ Grande!!”
Ian
controllò di nuovo tutto l’arsenale che aveva
preparato. Shuriken, bombe carta,
fumogeni, coltelli da lancio… se tutto andava come previsto,
non ne avrebbero
avuto bisogno. Sarebbero stati sufficienti i suoi poteri e quelli di
Linus,
aveva ideato il piano in base a quello. Era quello lo spirito di
squadra.
“
Hai
notizie di Karen?” chiese alla fine.
“
No,
ancora niente. I rapporti sono sospesi per ventiquattro ore.”
Rispose Linus.
“
Lo
immaginavo” sospirò Ian.
“
Ma
tornerà tutta intera! Non c’è nessuno
che possa fermare karen della Fiamma!”
Ian
sorrise, ma non era più tranquillo. Karen era là
fuori con dodici agenti, e già
questo era molto insolito. Il livello di segretezza era massimo.
Sperò che
andasse tutto bene.
***
Erano
le tre in punto. Linus entrò in banca. Aveva addosso dei
jeans molto larghi ed
una felpa nera con il cappuccio, molto semplice per i suoi gusti. Per
l’occasione aveva scelto due piercing poco appariscenti:
nient’altro che
semplici cerchietti d’argento. All’altro orecchio
aveva un auricolare
praticamente invisibile.
Si
avvicinò alla fila più lunga e si mise in coda.
“
Senti niente?” chiese Ian dall’auricolare. Linus
non rispose, ma fece un gesto
impaziente con la testa e ad Ian sembrò di sentire: “Sono appena entrato mi vuoi dare il
tempo!!”
Poi
si concentrò. Lasciò la mente vagare, cogliendo i
pensieri delle persone
vicine, ma senza soffermarsi. Aveva perso interesse per i segreti delle
persone
che non conosceva, era meglio non indagare per non rimanere delusi.
Lentamente
ampliò il suo raggio, sentì i pensieri degli
addetti allo sportello, poi degli
impiegati alle loro spalle. Cercava qualcuno che fosse a conoscenza del
trasporto di denaro che doveva avvenire da lì a dieci minuti.
Finalmente
individuò qualcuno. Stava parlando con il direttore, anche
se non riusciva a vedere
dove si trovasse. Si concentrò su di lui e
ascoltò tutto. Un minuto dopo uscì
dalla fila, tirò fuori il cellulare e finse di chiamare.
“
Ci
sarà il solito prelievo, dalla porta principale, ci saranno
svariate guardie
giurate, ma sarà solo una copertura. Il pacco
uscirà dal retro, con una scorta
più consistente. Passo” bisbigliò
Linus. Era sicuro che nessuno stesse
origliando, perché continuava a leggere la mente delle
persone accanto.
“
Bene così. Esci. Il piano resta invariato. Chiudo”
disse Ian.
Linus
uscì dalla banca, fece il giro dell’isolato e
attese, fingendo di parlare al
cellulare. La situazione era calmissima. Nessun movimento sospetto.
Nessuna
traccia del nemico.
Arrivò
l’ora e tutto fu precisissimo.
Una
piccola cassetta era portata da un poliziotto che entrò nel
cellulare blindato
della polizia. Due agenti salirono a bordo. Altri quattro presero
un’auto di
scorta. Tutto normale.
Arrivò
Ian. Era in sella ad una Kawasaki fiammante, con addosso un giubbino da
motociclista giallo. Era stata modificata ad arte e solo Ian era in
grado di
sfruttarla a pieno. Accostò e Linus salì dietro
di lui, mettendosi il casco. Le
auto della polizia partirono.
“
Pronto per la scossa!” disse Linus. Ian guidava da folle e
Linus non vedeva
l’ora.
Entrarono
in autostrada. La velocità era sostenuta e c’era
poco traffico. Si tennero a
distanza, osservando, mentre l’auto di scorta tallonava il
cellulare della
polizia. Dell’ATC neppure l’ombra.
“
Che
facciamo se non vengono?” chiese Linus nel microfono.
“
Verranno” si limitò a rispondere Ian, accelerando.
Linus si strinse più forte a
lui. Provò a lasciare andare la mente, ma a quella
velocità non poteva captare
niente.
Entrarono
in un tratto a tre corsie e improvvisamente una macchina
affiancò l’auto di
scorta. Era una Spider grigia.
“
Ci
siamo!” disse Ian.
La
Spider
rimase sulla
corsia di sorpasso, accanto alla volante di scorta. Per un attimo non
accadde
niente, le due auto viaggiarono accanto, mantenendo la stessa
velocità.
Poi
improvvisamente la voltante sbandò. Fu una lieve sbandata,
l’auto tornò subito
al suo posto. Un attimo dopo ancora venne sbalzata da terra da una
forza
incredibile, come spinta da una mano invisibile. Andò a
schiantarsi conto la
parete rocciosa. Esplose.
Le
altre macchine cominciarono a frenare all’improvviso, poi a
sbandare. Sentirono
il rumore di un tamponamento dietro di loro. Ian accelerò.
“
Cazzo, hai visto che roba!?” esclamò Linus.
“
Sì.
Hanno usato una tecnica telecinetica. È una tecnica
avanzata. Linus, dobbiamo
coglierli di sorpresa, altrimenti finiremo per saltare in aria anche
noi. Ok?”
spiegò Ian con calma. La sua mente lavorava veloce.
“
Ok”
disse Linus, continuando a guardare indietro.
“
Tieniti pronto, allora. E ricorda quello che abbiamo fatto in
palestra!”
Avevano
cinque secondi di tempo. Se Linus avesse fallito l’aggancio
erano spacciati.
Cominciò a pensare che il suo piano fosse una follia. Ma era
troppo tardi per
pensare a qualcos’altro.
Accelerò.
Superò la Spider,
mettendosi tra il blindato e l’auto. Era il momento giusto.
Sentì le mani di
Linus stringersi sui fianchi. Non poteva guardare dietro, ma sapeva
bene cosa
stava succedendo.
Linus
stava manipolando la sua ombra. Avrebbe raggiunto le ruote della Spider
e
l’avrebbe immobilizzata. In quel modo immobilizzato anche le
persone
all’interno del veicolo.
“
L’ho preso!” esultò Linus.
“
Adesso buttali fuori strada!” disse Ian.
Per
qualche secondo Linus fece uno sforzo enorme. Provò con
tutte le sue forze, ma
l’auto rimaneva sulla loro scia.
“
È
troppo pesante! Non riesco a muoverla!” disse alla fine.
Cazzo.
Quello
non ci voleva. La mente di
Ian si dibatté tra mille ipotesi. Alla fine
azzardò.
“
Puoi tenerla ancora?”
“
Sì.
La tengo sulla nostra scia.”
“
Ok.
Tieniti forte. Al mio via lasciala andare.”
Ian
sterzò a sinistra. La Spider
li seguì. Le ruote adesso non toccavano l’asfalto,
scivolava sull’ombra creata
da Linus. Ian incrociò le dita e provò. Si
piegò a sinistra, frenò
all’improvviso. Si mise di traverso per la strada,
lanciandosi in una derapata
incredibile. La
Spider
era fuori controllo e fuori traiettoria, scivolava come su una lastra
di
ghiaccio. L’ombra di Linus si curvò, il ragazzo
strinse i denti per il dolore.
“
Lascia!” urlò Ian, così forte che
l’avrebbe sentito anche senza il microfono.
Linus lasciò. La Spider
ritrovò improvvisamente attrito, ma era in diagonale sulla
corsia. Le ruota
anteriore cedette, l’auto si ribaltò in un attimo.
Lo schianto fu terribile,
l’auto rotolò più volte
sull’asfalto, prima di schiantarsi contro le
recinzioni.
“
Sono morti?” chiese Linus. Erano fermi, per evitare di essere
colpiti da
qualche resto della Spider.
“
Non
lo so. Ma li abbiamo fermati.”
“
Ian
tu sei un fottuto pazzo! Mi potrei pure innamorare di te!”
disse Linus, senza
staccare gli occhi dalla scena.
“
Ok,
ok, allora proverò a contenermi” rispose Ian.
Un
attimo dopo erano di nuovo in corsa verso il blindato. Di sicuro era
stato dato
l’allarme, il loro tempo d’azione doveva essere
ulteriormente ridotto. Ora
toccava a lui.
Accelerò
al massimo, la moto permetteva molto. Non c’era traffico
adesso, le altre auto
si erano fermate quando avevano visto la volante e la Spider
saltare in aria. Era
molto meglio così. Poteva concentrarsi sul bersaglio senza
distrazioni.
“
Siamo alla seconda parte. Passami gli shuriken” disse.
Linus
ne prese quattro dalla borsa legata alla moto e li passò a
Ian. Ian staccò le
mani dal manubrio e afferrò gli shuriken. La moto non si
mosse minimamente. Si
concentrò. Studiò il vento e la
velocità. Si sentì pronto.
Lanciò
i quattro shuriken con entrambi le mani. Li sentì tagliare
il vento e li guidò
con il suo potere. Linus lo avvertì chiaramente, intorno a
loro. Era come se
l’aria si fosse fermata, in attesa.
Gli shuriken centrarono le
quattro ruote. Il
blindato sbandò uscì di strada, finì
contro il guardrail e tornò sulla corsia,
mentre si esauriva la spinta.
Ian
rallentò e si avvicinò. C’erano solo
due agenti adesso, tra loro e
l’oggetto misterioso.
“
Lascia fare a me” disse Linus. scese dalla moto e si
preparò. Incrociò le mani,
chiuse gli occhi. E le ombre si svegliarono con lui.
Quattro
cloni si alzarono dal suolo. Erano identici a Linus, ma i loro occhi
erano
senza pupille: erano ciechi. Linus li lanciò contro il
blindato.
Un
agente aprì la portiera, con la pistola puntata, ma non ebbe
il temo di
rendersi conto di quello che sta va succedendo. Due cloni gli furono
addosso,
lo colpirono e lo disarmarono in un attimo. Linus seguiva con lo
sguardo tutti
e quattro i cloni. Linus era i loro occhi. Aveva le braccia aperte e
muoveva le
dita come un marionettista. Non sapeva perché lo facesse,
poteva controllare i
suoi cloni con la mente… ma non se ne diede pensiero. In un
attimo anche
l’altro poliziotto venne sopraffatto.
Ian
colpì il furgone. L’allenamento con Iago gli aveva
permesso di affiancare alla
sua agilità soprannaturale una forza spaventosa.
“
Ce
l’abbiamo fatta.” Disse Linus, avvicinandosi.
Guardarono all’interno del
furgone. C’era solo una valigetta, bloccata sul pavimento.
Ian
guardò le nuvole in cielo. Un pensiero improvviso lo
bloccava. Aveva
dimenticato qualcosa. Guardò il furgone, si
guardò intorno. La sua mente volò
indietro e ripercorse tutte le loro mosse fino a quel momento. Non
c’era niente
di sbagliato. Eppure quel pensiero non se ne andava. Aveva dimenticato
qualcosa.
C’era qualcosa che non andava.
All’improvviso
capì. In un attimo fu tutto chiaro. Afferrò il
braccio di Linus, aprì la bocca
per parlare.
L’esplosione
li colse in quel momento, li travolse, spazzò via ogni
pensiero, ogni parola.
Il blindato esplose e non lasciò niente di intatto
lì intorno.
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Capitolo 10 *** In infermeria - Le teorie di Helen ***
10
In
infermeria
Le
teorie di Helen
La
squadra di supporto li aveva portati alla base in poco meno di due ore.
Era
stato il loro unico intervento in quella missione. Iago li vide parlare
con il
capo, più che altro per assentire ad ogni sua parola.
“
Voglio un rapporto dettagliato sulla mia scrivania entro un
ora.” Disse il capo
e se ne andò. Iago guardò la squadra. Erano
quattro agenti semplici, due di
loro li conosceva bene. Erano molto professionali, ma non molto potenti
da
soli… eppure non avevano un graffio. Cosa diavolo era
successo?
Individuò
l’agente medico e si fece indicare la stanza in cui erano
stati portati Ian e
Linus. Subito gli dissero che non avrebbe potuto vedere Ian. Era in
sala
operatoria, nessuno poteva entrare. L’agente si mise davanti
a lui, come
aspettandosi che Iago usasse la forza per passare. Il ragazzo invece
non disse
niente, fece un semplice cenno con la testa e tornò sui suoi
passi.
Era
inutile perdere il controllo in una situazione come quella. Non
c’era niente
che potesse fare e vedere il suo amico nel letto non
l’avrebbe aiutato a
pensare lucidamente. Avrebbe atteso e avrebbe sperato.
E
poi
c’era Linus. Decise di andare da lui.
“
Iago! Puoi dire a questi babbei che non ho bisogno di nessun riposo! Io
sto
bene!” gli urlò contro Linus, quando lo vide
entrare. Iago non riuscì a fare a
meno di sorridere.
“
Lasciali stare, Linus. Stanno facendo solo il loro dovere.”
“
E
non lo possono fare da un’altra parte?! Voglio andare da
Ian.” Sbottò Linus.
Iago
vide che stava bene davvero. Qualche graffio, qualche livido. Una benda
sulla
nuca, ma niente di preoccupante.
“
Cos’è successo là fuori?”
chiese, andando verso la finestra.
“
Non
lo so!” rispose Linus, brusco. “È quello
che voglio chiedere a Ian. L’ho già
detto pure al capo. Abbiamo aperto il blindato, stavamo per prendere la
refurtiva e poi è diventato tutto bianco. Dopo, mi sono
svegliato qui” ci pensò
un attimo e aggiunse: “ Pensavo di essere morto, sai? Poi ho
pensato che in
paradiso non ti attaccano alle flebo. Soprattutto se stai
bene!” lo disse alzando
la voce, in modo che gli infermieri sentissero.
“
Comunque non potresti andare da Ian. È in prognosi
riservata.” Disse Iago,
senza staccare gli occhi dalla finestra.
“
Hey, non ti metterai a piangere, vero, omone? Ian starà
bene. deve stare bene
per forza, perché deve spiegarmi che diavolo è
successo là fuori.” Disse Linus.
“ Il piano sembrava perfetto.”
Iago
sorrise, ma non rispose. Ian sapeva che non esistevano piani perfetti,
lo
diceva sempre. Si ingegnava solamente a limitare i danni. E a riportare
la
squadra a casa, sana e salva.
“
Sai
che sono riuscito a bloccare un’auto in corsa?” gli
chiese Linus. Anche senza
usare il suo poteva di leggere la mente, sapeva a cosa stava pensando
Iago. E
sapeva che erano pensieri inutili.
Iago
si voltò e si avvicinò al letto. Linus stava per
lanciarsi in un’accurata e
compiaciuta analisi delle sue abilità. Per una volta, non se
ne dispiacque.
Helen
si trovava a casa di un’amica quando suonò il
cercapersone camuffato da
orologio. Gli diede appena un’occhiata e continuò
ad ascoltare l’amica.
Frequentavano entrambe la facoltà di medicina e stavano
preparando l’esame di
farmacologia insieme.
“
Qualche impegno?” chiese Clara.
“
No,
no. Era solo la sveglia. Continua pure.” E Clara
continuò ad elencare tutte le
tipologie di farmaci che stavano studiando.
La
mente di Helen era già altrove. Iago l’aveva
chiamata con il codice giallo.
Nessuna emergenza… ma la informava che era successo qualcosa
ad un membro della
squadra. Qualcosa era andato storto nella missione di Ian e Linus? O
forse le
condizioni di Scott erano peggiorate? O si trattata di Karen?
La
mente la portava lontano da lì, lontano dal libro di
farmacologia che aveva
davanti, ma si impose di rimanere calma e distaccata. Anche nelle
situazioni di
emergenze la regola era mantenere la copertura.
E la sua copertura adesso era quel maledetto esame di cui
già sapeva tutto!
La
mattina seguente lasciò perdere
l’università e corse alla base. Aveva parlato
con Iago e non perse tempo in convenevoli: andò a cercare il
medico che aveva
visitato Ian e pretese la cartella medica. Dopodichè corse
nella stanza del
ragazzo.
Un’ora
dopo lasciò la sala per andare da Linus.
Lo
trovò a letto, intento a seguire un film d’azione
in tv.
“
Helen!” la salutò il ragazzo. “ Toglimi
una curiosità: tu puoi vedere sotto i
vestiti della gente, vero?”
Helen
era ancora sulla soglia. Sorrise, suo malgrado. “
Sì, se volessi, potrei.”
“
E
puoi farlo anche con gli attori in tv?”
“
Solo se li vedessi dal vivo. Se li guardassi in tv vedrei solo il tubo
catodico. Ma questo lo sai già.”
“
Uff…” sbuffò Linus, abbassando il
volume alla tele.
Helen
si sedette accanto al letto. Notò che non c’era
niente sul comodino,
evidentemente Linus stava più che bene.
“
Vabbè. Sai qualcosa di Ian?” le chiese.
“
Sono stata da lui prima. Ho dato un’occhiata alla cartella e
alle cure che
hanno predisposto. Stanno facendo il possibile, ma è ancora
incosciente” spiegò
Helen, senza mezzi termini, come suo solito.
Linus
tentennò un po’ prima di fare la domanda
successiva. Di fronte a Iago non
avrebbe mostrato la minima preoccupazione, ma adesso c’era
Helen e lei era
l’unica con cui si sentiva libero di esprimere quello che
sentiva.
“
Ha
qualcosa di grave, vero?”
Helen
conosceva quello sguardo e quello che stava pensando. “ No,
niente di grave. È
come se avesse consumato fino all’ultima goccia di energia
che aveva in corpo.
Ora ha bisogno di riprendersi.” Si fermò un attimo
e poi disse quello che pensava
davvero: “ Tu lo conosci, Ian. È capace di correre
per ore senza il minimo
affanno. Non so proprio cosa abbia fatto per finire in quello
stato…”
Linus
guardò altrove. “ Penso che mi abbia salvato la
vita. Lo dovrei ringraziare
quando si riprende.”
Continuarono
a parlare di altro e Linus ritrovò in parte il suo
buonumore. Sembrava essersi
convinto che Ian fosse solo “maledettamente
stanco”. Dal canto suo, poteva
lasciare l’infermeria già da qualche ora, ma con
Ian e Scott fuori
combattimento, non sapeva con chi allenarsi.
“
Per
la verità… volevo parlare con te di una
cosa…”
“
Ti
sei trovata un ragazzo!” esclamò Linus,
spalancando gli occhi.
“
Linus! Cosa ti fa pensare che lo verrei a raccontare a te, se trovassi
un
ragazzo!” disse Helen ridendo.
“
È
così che tratti gli amici! Con tutto quello che faccio per
te…” disse Linus,
strofinandosi gli occhi platealmente.
“
Lasciamo perdere, Linus. Ho una cosa da chiederti.” Fece
Helen, con
un’espressione seria.
“
Ogni tua parola è un ordine, principessa Helen dei
ghiacci.” rispose Linus.
“
Riguarda
Scott” esordì Helen.
“
Ok”
fece Linus. Non era più il momento di scherzare.
“
Ho
analizzato la sua cartella e le sue condizioni peggiorano gradualmente,
senza
alcun motivo concreto. I medici non ci capiscono niente, ma a me
è venuta
un’idea. Ma… be’… non penso
che il capo approverebbe.” Spiegò Helen con calma.
Non amava infrangere le regole e Linus lo sapeva bene.
“
Una
missione da Squadra beta?”
“
No”
rispose Helen. “ Niente di ufficiale. Dobbiamo solo svegliare
un amico.”
Entrarono
nella stanza riservata a Scott. Helen spiegò brevemente che
tutti quei
macchinari servivano a monitorare le condizioni di Scott, ma non
c’erano novità
da più di ventiquattro ore. In più, diventata
sempre più debole. Se ne stava
andando… lentamente.
In
quel momento, il viso di Scott sembrava ancora più pallido,
e non era solo
colpa della luce. Ora che aveva gli occhi chiusi, aveva un viso fatto
per
passare inosservato. Un fantasma.
“
Allora, vogliamo cominciare?” disse Linus. Non gli piaceva
stare lì. C’era
qualcosa in quella stanza, aveva la sensazione che non ci fosse solo
Scott lì.
Occhi che guardavano, voci che sussurravano.
“
Lo
senti anche tu vero?” chiese Helen.
“
Mi
fa venire i brividi. Ma è lui che lo fa?”
“
Penso di sì. Ora concentrati. So che i tuoi poteri non hanno
effetto su di noi.
Cioè, non puoi leggerci nella mente e in più, noi
avvertiamo chiaramente i tuoi
tentativi. Ma non abbiamo mai provato in condizioni del genere.
C’è una grande
attività celebrale, ma è come se
fosse… be’… da un’altra
parte.”
“
Vuoi che gli legga la mente?”
“
Sì,
se ci riesci. Voglio sapere che sta succedendo lì dentro.
Prova a parlargli.
Forse in questo modo, potremo avere un indizio e trovare una
cura.”
Linus
ci pensò un po’ su. Non c’era niente di
male in quello che stavano per fare, ma
Helen dimenticava una cosa fondamentale.
“
Helen, non posso leggere la mente di Scott. Ci ho già
provato una volta. Anche
se non conosce i suoi poteri e non riesce a percepirmi, io non posso
entrare
nella sua testa.”
“
Ma
non so se adesso… be’, se adesso è lui
dentro la sua testa.”
Linus
la guardò con gli occhi sgranati. Poi guardò il
volto di Scott. “Che cavolo
vuoi dire?”
“
Ho
osservato le sue mosse, i suoi poteri. E mi sono fatta l’idea
che la sua mente
lavora in modo diverso dalla nostra. E hai visto anche tu i fantasmi.
Per
controllare entità di tale portata deve avere
delle… non so come chiamarle…
delle forme mentali in grado di agire su vari livelli. Controlla il suo
corpo,
i suoi pensieri… e poi ci sono i fantasmi.” Helen
si fermò scuotendo la testa.
“ Non lo so, Linus. Sono solo ipotesi. Ne ho parlato anche
con Karen e mi ha
consigliato di continuare su questa linea e tu sai che osservatrice
è Karen.”
Finì Helen, quasi come a volersi giustificare.
“
Ok.
Quindi tirando le conclusioni, potrebbe essersi perso in
questi… livelli… e
aver perso il controllo del corpo. In fondo, è molto
inesperto.”
Linus
si avvicinò a Scott, ancora un po’ titubante, ma
stavolta era pronto ad andare
fino in fondo.
Provò
ad entrare nella sua mente. Sentì subito quella resistenza
che avvertiva sempre
quando era con Helen e gli altri… solo che questa volta era
molto più debole.
Poteva facilmente forzarla: era la prima prova a favore di Helen.
Chiamò
a raccolta le sue forze e si concentrò per spingere.
E in quel momento, accadde una cosa che non credeva possibile.
Nel
momento stesso in cui spinse con tutte le sue forze, la mente di Scott
si
spalancò come una porta. Linus fu risucchiato dentro e in un
istante si trovò
nel buio più completo. Per un attimo si lasciò
prendere dal panico, si guardò
intorno, senza vedere niente. Non c’era niente.
Un
attimo dopo, capì che si sbagliava. C’era qualcuno
che si muoveva lì vicino. O
qualcosa. Lo avvertiva chiaramente come avvertiva l’aria
fredda sulla faccia.
Non ebbe il tempo di chiedersi come fosse possibile avere quelle
sensazioni, se
il suo corpo era rimasto nella stanza con Helen. Adesso si
concentrò su quello
che sentiva e si preparò per difendersi.
“
Chi
sei?” gli chiese una voce gracchiante. Sembrava provenire da
molto lontano.
“
Dov’è Scott?” chiese Linus di rimando.
“
Scott non è qui. Non più. Ha lasciato questo
posto molto tempo fa. Chi sei tu
che giungi vivo tra i morti?”
“
Scott deve essere qui, bastardo! Dimmi
dov’è?” gridò Linus,
meravigliandosi
dell’eco provocato dalla sua voce. Le sue percezioni adesso
erano tutte
sballate. Se si fosse mosse, avrebbe perso facilmente
l’orientamento.
Colui
che aveva parlato non rispose, ma cominciò a muoversi.
“Sei venuto a far
compagnia al nostro jushi?”
“
Che
vuoi dire?”
Qualcosa
sfrecciò verso di lui. Sentì il sibilo
dell’aria e istintivamente si tirò
indietro. Sentì qualcosa di affilato passargli accanto alla
guancia e perdersi
dietro di lui.
Calmo.
Doveva stare calmo. Era addestrato per quello. Così Linus
ritrovò la calma e
ricordò una cosa fondamentale. Era al buio, vero, ma lui era
il Signore delle
Ombre! Chiuse gli occhi, congiunse le mani ed evocò un clone
d’ombra. I suoi
cloni erano ciechi alla luce… ma vedevano benissimo al buio.
Linus poteva
vedere con i suoi occhi.
Vide
davanti a lui uno spettro. Galleggiava nell’aria,
luminescente, terribile.
Stringeva nelle mani due sciabole fantasma, come un grande guerriero di
altri
tempi. Un attimo dopo vide dietro di lui apparire alti spettri. Non
poteva
restare lì a lungo.
“
Nessuno giunge immune nelle stanze dei morti, sonen!”
gridò lo spettro, poi si
lanciò contro di lui, urlando.
Linus
lanciò il suo clone contro di loro, mentre con tute le sue
forze cercò di
tornare indietro. Sentì di nuovo quella resistenza, ma
stavolta non ebbe
esitazione. Si scaraventò contro la parete e
tornò indietro, mentre il suo
clone veniva massacrato dagli spettri.
Linus
tornò in sé. All’improvviso, venne come
spinto all’indietro, inciampò nella
sedia e si trovò a terra.
“
Santo cazzo che storia!” esclamò, ansimando.
“
Linus! Mi hai fatto prendere un colpo! Cos’è
successo?” disse Helen.
“
Ho
fatto come hai detto! Sono entrato nella…”
“
Sei
ferito.” Lo interruppe Helen. Gli passò un dito
sulla guancia e gli mostrò il
sangue.
“
Cavolo allora è possibile! Mi hanno colpito quando
ero… be’… nella mente di
Scott…”
Linus
raccontò tutto quello che era successo. Non ci mise molto,
ma fu quando più
preciso possibile.
“
È
stata un’idea stupida” concluse Helen.
“
No!
Sono entrato nella sua testa come dicevi tu. Avevi ragione,
è possibile!”
“
Ma
è troppo pericoloso! Sei stato fortunato… non
possiamo provare di nuovo.” Disse
Helen. Era sconvolta al pensiero di aver messo la vita di Linus in
pericolo.
“
Ma
io ce la posso fare!” insistette Linus.
“
No,
Linus. Troveremo qualcos’altro.”
Linus
si voltò, risentito. Sapeva di potercela fare, gli serviva
solo un po’ di
tempo. Ma Helen sembrava così decisa…
“
Helen… ma come è possibile che nella mente di
Scott ci fossero così tante…
presenze?” chiese Linus ad un tratto.
“
Non
era la mente di Scott. Penso che ci sia un’altra
spiegazione.” Rispose Helen,
quasi soprappensiero.
“
Che
tipo complicato eh?” disse Linus, sorridendo.
|
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Capitolo 11 *** Modus opeerandi - La marcia degli spettri ***
11
Modus
Operandi
La
marcia degli spettri
Riunione
straordinaria. Erano di nuovo nella sala
grande, tutti gli agenti nei loro completi impeccabili e
con il volto
teso. Erano le otto del mattino. Per la squadra β
c’erano Iago ed Helen, era impossibile non notarli. Iago, con
la sua maglietta
rossa senza maniche, con i tatuaggi tribali sui grossi bicipiti, i
jeans
stracciati e il taglio da marines sembrava semplicemente aver sbagliato
stanza.
Helen era più discreta, ma aveva tutta l’aria di
non voler somigliare agli
altri burocrati presenti.
Erano
stati convocati all’improvviso. Non
sapevano ancora il motivo.
Il
capo entrò di lì a poco, puntuale da spaccare
il secondo. Saltò tutti i convenevoli e andò
dritto al punto.
Sugli
schermi posti davanti ad ogni membro
comparve la foto di una ragazza. Bruttina, con i capelli neri corti e
degli
occhiali spessi.
“
Josephine Caldone, 23 ani, di origini francesi.
Una situazione familiare complicate: padre alcolizzato, madre depressa.
Nessun
fratello, nessuna relazione stabile. Scappa di casa a 19 anni e da tre
anni
abita nel pressi dell’università. Poco prima della
fuga, tenta il suicidio,
lanciandosi dalla finestra di casa, al sesto piano. Si rialza senza
nemmeno un
graffio. Non ne fa parola con nessuno, a quanto ci risulta. Da quel
giorno la
stiamo seguendo” il capo fece una pausa, dando a tutti il
tempo di assimilare
le informazioni.
“
Una possibile agente?” chiese uno di loro.
“
È quello che pensavamo. Ma dal giorno del tentato
suicidio, non si sono ripetuti eventi analoghi, né ha dato
prova di possedere
capacità particolari. Inoltre i test non hanno rilevato
tracce del fattore K”
spiegò il capo, poi aggiunse: “Stamattina, la
ragazza è morta.”
Un
attimo di silenzio, poi un altro agente
chiese. “ Qualcosa a che fare con il suo presunto
potere?”
“
No, il contrario semmai. È morta in seguito ad
un’esplosione nel suo appartamento. Si è lanciata
dal balcone ed è collassata
sull’asfalto. Nessun fattore K rilevato.”
“
Cosa c’entra con noi, capo?” chiese Iago,
osservando le altre immagini della ragazza che scorrevano sullo
schermo.
“
Alcuni indizi fanno pensare ad un
coinvolgimento dell’ATC.”
“
Gli agenti della squadra di pulizia hanno
analizzato ogni angolo della casa, senza trovare traccia
dell’esplosivo. Eppure
l’esplosione è stata così forte da
abbattere un muro.”
“
La ragazza è morta per l’esplosione o per
essersi gettata dalla finestra?” chiese Helen.
“
Non ne siamo ancora sicuri. Le ustioni sul suo
corpo erano sufficienti ad ucciderla, a quanto ne sappiamo.
È dunque
inprobabile che in quelle condizioni si sia lanciata dalla
finestra.”
“
Ancora non mi è chiaro l’intervento
dell’ATC in
questo incidente.” Disse un uomo seduto a due posti dal capo.
Si chiamava Colt.
Aveva l’aria saccente e parlava come se già avesse
risolto la questione e
stesse sprecando tempo a spiegarlo a chi non aveva ancora capito.
“
Non è stato un incidente. È stato un
omicidio”
Rispose un altro agente.
“
Una ragazza si getta dalla finestra e diamo la
colpa all’ATC? Avete proprio bisogno di sentire la loro
presenza ovunque?”
rispose Colt.
“
E come spieghi l’esplosione?”
“
Le indagini lo potranno spiegare. Ma potrebbe
essere stata causata dal gas. Convocare un’assemblea sulla
base di così pochi
dati è solo una perdita di tempo”
continuò Colt.
Iago
guardò Helen e vi lesse i suoi stessi
pensieri. Il capo aveva visto giusto, per quanto non gli andasse di
ammetterlo.
Conosceva quel genere di azione.
“
No, Colt, non è stata una perdita di tempo”
disse Iago alzandosi. Sapeva che l’agente Colt avrebbe notato
l’omissione del
titolo e ne era contento. Detestava quell’uomo. “
C’è l’ATC dietro questo
omicidio.”
“
E cosa ne sa la squadra beta? Avete
informazioni che non conosciamo?” sbottò
l’uomo.
“
No, Colt. Solo buona memoria. Cosa che a te
sembra mancare.”
Helen
soffocò una risatina.
“
Oh, questa sì che è buona. Se avete una
così
buona memoria, come ha fatto l’agente Ian a dimenticare come
si porta a termine
una semplice missione di recupero?” replicò Colt,
con un odioso sorriso sulle
labbra.
Iago
strinse i pugni, incenerendolo con lo
sguardo. Helen era sicura che avrebbe assalito l’agente e un
po’ ci sperava
quasi. Ma Iago rimase fermo al suo posto, stringendo i pugni tanto da
farsi
sbiancare le nocche. Helen si alzò in piedi, prendendo la
parola.
“
Se avessi letto i rapporti, avresti
riconosciuto il modus operandi di una nostra vecchia conoscenza
all’ATC. Si
tratta di Renin, esperto in arti esplosive. In genere si diverte
a… giocare…
con le sue vittime, piazzando gli esplosivi in modo da non ucciderle.
Questo
spiegherebbe perché la ragazza ha avuto il tempo di gettarsi
dalla finestra
nonostante le ustioni”. Concluse guardandosi intorno.
“
Sono solo congetture! Non è niente di provato.
L’ATC non controlla tutto. Non sono dappertutto. Stiamo
sopravvalutando il
problema.” Disse ancora Colt. Il capo stava per intervenire,
quando Iago diede
un pugno talmente forte sulla scrivania da incrinarla.
“
Negli ultimi sei mesi abbiamo perso più agenti
che negli ultimi 5 anni. Anche questa è una coincidenza,
grande figlio di
puttana? Anche questo è sopravvalutare
il
problema? E nonostante ciò, non stiamo facendo
niente per intervenire.
Ognuno di voi qui dentro sa di avere le spalle al coperto e non gli
importa più
niente del vero scopo di quest’Agenzia.”
“
Basta così. Questi argomenti verranno discussi
nella prossima assemblea. Per ora dobbiamo decidere che misure prendere
a breve
termine. Per tanto…”
Ci
misero un’ora per decidere quello che ormai
era inevitabile. Attivare tutte le squadre a disposizione, aumentare la
perlustrazione e agire in modo rapido ed efficace. L’agente
Colt e due agenti
seduti accanto a lui sottolinearono l’inutilità di
tali provvedimenti e
arrivarono persino ad accusare l’assemblea di fare del facile
allarmismo.
Helen
e Iago si allontanarono subito dopo la
riunione.
“
Hai anche tu l’impressione che l’agente Colt e
la sua cricca stia mirando unicamente a rallentare
l’intervento dell’Agenzia?”
“
Burocrati conservatori del cazzo! Sono convinti
che solo perché abbiamo vinto, continueremo a vincere per
sempre. Cose tipo:
mai permettere che i fatti smentiscano i propri pregiudizi!”
“
Dobbiamo trovare un accordo. E dobbiamo farlo
in fretta.” Disse Helen. Erano quasi arrivati alla sala
comune.
“
Non ci serve un accordo!” proruppe Iago. “ La
squadra Beta può fregarsene del protocollo!”
“
Stai cominciando a parlare come Linus!” lo
bloccò Helen. Era stanca di quella situazione. “
Sai benissimo che non possiamo
fare niente senza il supporto dell’Agenzia. Siamo
un’unità speciale, d’accordo,
probabilmente la migliore, ma senza la rete d’informazioni
centrale, senza gli
approvvigionamenti…”
“
Allora dobbiamo passare al comando” la
interruppe il ragazzo.
“
Iago!” urlò quasi Helen. “ Abbiamo solo
diciotto anni! Come puoi pensare di gestire una cosa tanto
grande?”
“
Ian ci riuscirebbe” disse Iago, a bassa voce
stavolta.
Entrarono
nella sala ed Helen posò i fascicoli
sul tavolo. Aveva bisogno di mettere le cose in ordine. Soprattutto se
si
trattava davvero di Renin.
“
Ian è ricoverato in seguito ad una missione
male gestita. Non l’avrei mai ammesso davanti
all’assemblea, ma è così!
Guardiamo in faccia la realtà e non diamo la colpa al
destino.”
Iago
fece per contraddirla, ma poi si zittì. Si
sedette accanto ad Helen, rinunciando a controbattere. In fondo aveva
ragione.
“
Parliamo di cose più urgenti. Pensi davvero che
sia stata opera di Renin?”
“
Ha giocato con la sua preda, l’ha ferita,
mutilata e l’ha costretta a gettarsi dalla finestra.
Sì, è stato Renin.”
***
Linus
vide un agente medico uscire dalla stanza
di Ian e subito gli chiese informazioni. Ian stava bene, non aveva
riportato
traumi di nessun genere. Si era svegliato per qualche minuto, ma era
ancora
tremendamente stanco. Un altro giorno, forse, e sarebbe tornato come
nuovo.
Decise
così di lasciarlo riposare, ora che era
sicuro che stava bene, e si allontanò. Pensò di
nuovo a Scott, ormai era
diventata un’ossessione. Era dalla sera precedente che ogni
pensiero portava
alla stessa conclusione: ce la poteva fare. Gli bastava scoprire dove
si
trovasse Scott di preciso, in qualche parte della sua mente fosse
finito, poi
sarebbe stato facile. Non una passeggiata, certo, ma ce la poteva fare.
Helen
si sarebbe ricreduta.
Nella
stanza di Scott non c’era nessuno. I
macchinari erano tutti in funzione, silenziosi come al solito. Non
attese oltre
e decise di provarci immediatamente. Si sedette sul letto e si
concentrò. Si
disse che sapeva perfettamente a cosa andava incontro.
Provò
ad entrargli nella mente. Incontrò la
solita resistenza, ma era molto più debole del solito. Era
un po’ come andare
incontro ad un lenzuolo gonfiato dal vento. Si limitò a
scostarlo, senza
lasciarsi trascinare dentro.
Entrare
nella mente delle persone era sempre
stato un po’ come aprire un baule pieno di cianfrusaglie e
mettersi a cercare.
Con Scott era diverso. Aperto quel baule non c’era niente,
solo l’apertura di
un pozzo in cui non si scorgeva la fine. E lì dentro
c’era un mondo intero!
Si
spostò con cautela per cercare Scott. Corse
con la mente in ogni direzione, nel buio, tra gli alberi, si
trovò in uno
stretto corridoio di pietra, in una piazza, su un monte… non
sapeva come fosse
possibile, il tempo e lo spazio lì sembravano
così sbagliati!
Alla
fine lo vide. Era lì, in un deserto di
sabbia celeste che si estendeva a perdita d’occhio.
Lì era solo deserto e
cielo. Linus corse verso l’amico, lasciandosi trascinare
completamente nella
sua mente.
“
Scott, finalmente! Stai bene?”
Il
ragazzo si voltò, con gli occhi neri che
luccicavano sul viso quasi del tutto bianco. Era serio, nessuna traccia
di un
sorriso. “ Non dovresti essere qui” gli disse.
“
Neanche tu, se è per questo. Qualunque cosa sia
questo posto…” replicò Linus. Non si
era certo aspettato quell’accoglienza.
“
È la Valle. Non
dovresti essere qui” ripeté Scott, senza muoversi
di un
centimetro. Linus ebbe un brivido. No, non sembrava il ragazzo che
aveva
conosciuto all’Agenzia.
“
Torniamo indietro allora. Sono venuto qui per…
be’, per svegliarti.”
“
No. Io devo restare. Questo è il mio posto.”
Disse Scott.
“
Scott, questo posto non esiste! È solo nella
tua mente!”
Una
voce parlò alle sue spalle. Linus non l’aveva
sentita arrivare. Era uno spettro. “ Questo posto
è sempre esistito. Fin
dall’alba dei tempi. E mai è stata tollerata
un’anima viva!” doveva essere lo
spirito di un vecchio, la sua pelle semitrasparente pendeva dalle ossa.
La
guancia era stata maciullata, Linus poteva scorgere i suoi denti
fantasma.
“
Fermo, Gunt!” disse Scott e lo spettro si
fermò. “ È qui per me. Lasciaci
soli.” Lo spettro se ne andò. O meglio,
sparì.
“
Che significa, Scott? Che sta succedendo?”
chiese Linus.
“
Non puoi stare qui. Questo non è posto per i
vivi.”
All’improvviso,
mentre era perfettamente
immobile, Scott si lanciò contro di lui. La sua
velocità era sorprendente, Linus
non riuscì a distinguere i suoi movimenti. Lo
colpì con un pugno allo stomaco,
prima che potesse difendersi.
“
Perché?” chiese, mentre era in ginocchio.
“
Torna indietro.” Sibilò il ragazzo, con una
voce che non aveva pià niente di umano. “ Scott
non vi appartiene.”
A
quelle parole, Linus cominciò a capire. In quel
momento, avvertì intorno a sé altre presenze,
questa volta però non erano
ostili. Non erano lì per lui. Erano come in marcia, tutti
nella stessa
direzione.
“
Tu non sei Scott, dunque” disse, rialzandosi.
“
Sì, sono io. Sono quello che Scott dovrebbe
essere. Un guardiano di spiriti. Scott non appartiene al vostro
mondo” Ripeté
ancora il guardiano.
Linus
si guardò intorno: era pieno di anime che
camminavano nella stessa direzione, lente ma costanti. Il cielo era
sereno e… completo, non
c’erano nuvole e nessun
monte a disturbare l’orizzonte. E non c’era nemmeno
il sole. Un azzurro
perfetto, ma senza sole. Non c’erano ombre,
riflettè Linus. I suoi poteri erano
molto limitati, lì.
“
Non mi interessano i tuoi discorsi, spettro.
Dimmi dov’è Scott e me ne
andrò”
Sono
qui…
Quella voce gli arrivò dritta alla testa. In qualche modo
Scott
riusciva a mettersi in contatto con lui. Solo che non aveva idea di
dove fosse.
Un
instante e il guardiano lo attaccò di nuovo.
Questa volta però Linus non si fece trovare impreparato.
Schivò l’attacco e
indietreggiò di un passo. Era troppo veloce. Non poteva far
altro che
difendersi.
Scott
dove
diavolo sei?
Parò
un pugno, saltò, indietreggio di qualche
altro passo. Si guardò intorno con disperazione. Se Scott
gli aveva parlato era
perché l’aveva visto. E se l’aveva
visto, doveva essere lì intorno.
Ad
un tratto lo vide. Il guardiano lo centrò con
un pugno e lo mandò al suolo. Linus sputò sangue,
ma quasi non se ne accorse. Scott
era lì, a nemmeno cento metri da lui. Si
meravigliò di non averlo visto prima,
ma pensò che forse prima non c’era. Come non
c’erano tutte quelle anime in
marcia. Doveva raggiungerlo… ma il guardiano non
l’avrebbe lasciato andare
facilmente. Doveva trovare una soluzione.
In
quel momento gli tornò in mente Karen. Smettila
di pensare all’onore. Gli uomini
d’onore sono quelli che muoiono per primi. Qui siamo in
guerra… non importa
quello che fai, l’importante è abbattere il
nemico. A qualunque costo, con
qualunque mezzo.
Il
guardiano si avvicinò minaccioso. Il suo volto
era identico a quello di Scott, ma non era lui. Quello sguardo omicida
non
apparteneva al suo amico. Linus affondò le dita nella
sabbia. Finse di
rialzarsi e il guardiano lo attaccò di nuovo. Linus fu
più veloce: gli lanciò
la sabbia sul volto e corse via. Non aveva molto tempo.
Scott
era a terra carponi. Tossiva. Era chiaro
che non riusciva a mettersi in piedi.
“
Scott! Cosa diavolo sta succedendo?” gli disse
Linus.
“
Non lo so. Non riesco a muovermi. Mi hanno
portato qui. Vogliono che faccia qualcosa” disse Scott
ansimando.
“
Chi sei Scott? Il guardiano… ha detto che tu
appartieni a questo mondo…”
“
Gli spettri mentono, Linus. Non hanno nessuna
ragione per dirti la verità. Aiutami adesso.”
Disse Scott. Riuscì ad alzare lo
sguardo e Linus non ebbe dubbi che fosse il suo amico.
Provò
a sollevarlo, ma non ci riuscì. Era
diventato incredibilmente pesante! Non riusciva a sollevarlo nemmeno di
poco.
Un
attimo dopo, notò qualcosa di strano. C’era
qualcosa intorno a Scott, come una lastra di vetro che distorceva il
paesaggio
al di là.
“
Hai combattuto contro Crin, vero?” chiese
Linus, allontanandosi di qualche passo.
Scott
non rispose, ma non ce n’era bisogno.
“
Scott… quello che sto pensando va contro ogni
logica… ma sei ancora dentro la barriera
dimensionale!”
La
barriera dimensionale era una tecnica minore,
che inibiva rapidamente tutte le capacità motorie e creava
uno stato
confusionale che poteva durare giorni. Era efficace, ma rimaneva
comunque una
tecnica statica, non poteva avere altri effetti. “
Com’è possibile che sia
arrivata fin qui! Siamo nella tua mente, cavolo, perché la
barriera è ancora
attiva?”
“
Non… è… la mia…
mente… tirami fuori… per
favore…” riuscì a farfugliare Scott.
Sapeva
come fare. Si voltò e vide che il
guardiano stava correndo verso di loro. Non c’era tempo.
Bastava colpire il
punto nevralgico della barriera. Linus lo individuò subito e
lo colpì con tutta
la forza di cui era capace, come gli aveva insegnato Iago. La barriera
andò in
frantumi.
“
Andiamo! Sta arrivando il guardiano! È troppo
forte per me!” disse Linus aiutandolo ad alzarsi.
“
Ci penso io a lui” disse Scott.
Linus
avvertì uno spostamento d’aria, poi
all’improvviso vide apparire tre spettri che si interposero
tra loro e il
guardiano. Erano spiriti guerrieri, armati di tutto punto. A differenza
degli
spiriti che marciavano in quella valle, questi non barcollavano, non
arrancavano. Erano lì, pronti a combattere.
“
Gar, tora, pund… è tutto vostro” disse
Scott e
gli spettri attaccarono. Il guardiano provò a colpire, ma
gli spettri furono
letali.
“
Linus, andiamo via di qua. Tieniti forte.”
Prima
che potesse replicare, si trovò
scaraventato attraverso foreste e laghi, monti e città. Fu
solo un attimo, ma
sembrò eterno.
Si
svegliarono nella stanza, Linus si alzò di
scatto dalla sedia, senza rendersene conto e cadde a terra.
Sputò sangue di
nuovo.
Anche
Scott era sveglio, drizzandosi al centro
del letto, rischiando di strappare i tubi che lo collegavano ai
macchinari. Si
guardò intorno e poi disse semplicemente:
“
Cazzo, che fame!”
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