L'Ascesa delle Tenebre - Le Spade Dei Draghi

di Alyss_
(/viewuser.php?uid=282283)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno - Il Rito ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due - Visioni ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre - Nel Buio ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro - Ciò Che Ti Sostiene ***
Capitolo 5: *** Capitolo Cinque - Perdersi Nei Sogni ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno - Il Rito ***


Capitolo Uno - Il Rito
 
La prima cosa di cui Nida si accorse, fu il dolore accecante che le aveva preso la testa; quella successiva, fu di essere sdraiata su una superficie morbida.
L’ultimo particolare le fece spalancare gli occhi all’istante.
Era stesa su un letto dalle lenzuola bianche, in una stanza con le pareti di pietra levigata del medesimo colore; di fianco al letto c’era un tavolinetto di legno chiaro, forse ebano, dov’era sistemata una boccetta di cristallo di forma allungata, vuota, e una seria di stracci raccolti in una bacinella, bagnati da un denso liquido pastoso, color della pece.
Il suo sangue, realizzò.
“Come diavolo ci sono finita, qui?”
Non fece in tempo quantomeno a cercare di rispondersi, che la porta si aprì. Sulla soglia stava una giovane donna con i capelli blu scuro, che le arrivavano morbidi fino al bacino; da quella chioma color della notte, spuntavano due orecchie con una leggera punta. Gli occhi erano di un delicato color lilla, che sfumava sino al blu, senza un colore preciso, contornati da un leggero alone violetto. Ma, per quanto strani, non furono gli occhi a colpire la viverna: fu il neo. Il neo bianco che la donna aveva in mezzo alle sopracciglia. L’Occhio della Mente.
Nida si alzò di scatto, la mano destra già avvolta nelle fiamme nere, ma la sconosciuta la fermò con un cenno.
« Tranquilla, Nidafjoll, non ti sono ostile. » disse.
La bionda arcuò un sopracciglio, ma spense le fiamme e si avvicinò alla donna, che non mutò espressione.
« Chi sei? »  chiese, in un ringhio di minaccia.
L’altra sorrise. Era più alta della bionda di una spanna, e sì che Nida non era certo bassa!
« Unna, Custode della Bianca Fiamma di Draconia. Si potrebbe dire che sono una purificatrice di anime. »
Nida alzò entrambe le sopracciglia, assumendo un’aria stupita e scettica al tempo stesso.
« Non per dire, ma... Da quel che so, tu sei morta da un pezzo. » osservò, con il suo famoso tatto.
Unna sbuffò leggermente.
« Tesoro, scusa la brutalità, ma come dire... Anche tu sei morta. »
Di scatto, Nida si portò le mani al ventre, dove il tridente di Ofnir aveva trapassato la carne. Nulla; solo la pelle liscia e intatta. Eppure ricordava il dolore lancinante che l’aveva attraversata come una frustata, e l’urlo di Fabio che le giungeva attutito alle orecchie. Unna sorrise.
« Ho fatto un buon lavoro, no? » domandò, facendo sparire con un gesto della mano la bacinella e le pezzuole sporche di sangue poggiate sul comodino.
« Mi hai guarito tu? »
Appena ebbe posto la domanda, Nida si rese conto di quanto idiota fosse. Ma era confusa, non riusciva ad articolare bene pensieri e parole, pensava “carote” e diceva “limoni”, tanto per fare un esempio. Unna annuì lo stesso.
“Ma allora, se io sono qui...”
Nida non fece in tempo a concludere il suo pensiero che la Custode la precedette:
« E, dato che so che te lo stai chiedendo, ho portato qui anche Ratatoskr, sì. »
La viverna spalancò gli occhi: come...?
« Leggi nel pensiero? » chiese sarcastica, senza aspettarsi una risposta, che arrivò comunque: Unna annuì svogliatamente, controllandosi le unghie laccate di... nero?
Solo allora Nida prese nota dell’abbigliamento della purificatrice: portava una tunica scura, lunga fino ai piedi, stretta sulla vita da una fusaccia grigio scura allacciata di lato, senza spalline; tutto sommato sembrava un abito da sera. Al collo aveva un ciondolo chiaramente ricavato da un dente di drago scolpito, che ritraeva due draghi che si attorcigliavano sinuosi attorno ad una spada; ai polsi aveva un bracciale ciascuno, un filo adornato da scaglie di drago luccicanti, di dolore viola. Alle caviglie, sotto il vestito, dove Nida non riusciva a vedere, c’era una cavigliera intrecciata con i rami secchi dell’Albero del Mondo e ammorbiditi con la linfa. Sul viso aveva degli strani tatuaggi grigi, che lentamente sbiadivano, in modo quasi impercettibile: attorno agli occhi aveva aloni scuri che si allungavano fino agli zigomi e alle tempie come le ali di una farfalla, e che si aprivano tra le sopracciglia in una mezzaluna, che accoglieva l’Occhio della Mente in sé. Dall’attaccatura dei capelli partivano tre linee parallele che si curvavano fino al centro della fronte, vicino ad un tatuaggio tribale che sembrava una spada, diviso in tre parti, la cui estremità combaciava con il neo bianco, segnandone i contorni. Sulle braccia aveva delle spirali che le si avvolgevano lungo tutto l’arto, fino alla clavicola, avvolgendosi attorno alla base del collo come una collana. Sul palmo delle mani aveva un marchio a forma di muso di drago, con le ali spalancate che lo circondavano come un cerchio. Se si fosse voltata e avesse scostato i capelli, Nida avrebbe visto le ali tribali che le segnavano le spalle, spalancate, talmente ben fatte da sembrare vere. Ma tutti quei segni non l’abbruttivano, anzi, servivano a darle un che di mistico e surreale, unito al colore inusuale degli occhi e dei capelli.
Notando lo sguardo stupito della viverna, la Custode scrollò leggermente le spalle.
« Che credevi, che io sia un drago come gli altri? Sbagliato, Nida. Vedi questi segni? »
Si sfiorò i marchi sul viso con la punta delle dita, con aria afflitta, e voltò le braccia per far sì che vedesse meglio i segni che vi erano impressi.
« Ho più oscurità in me che in tutti gli altri messi insieme. Non so se posso neppure definirmi una creatura della luce... » sospirò, poi recuperò la sua maschera di impassibilità « Be', credo tu abbia voglia di rivedere il tuo compagno, no? » chiese.
« Be'... »
Quella domanda così diretta aveva spiazzato non poco la bionda: sì, ok, voleva rivederlo, ma... Come avrebbe potuto presentarsi davanti a lui, quando aveva “tradito” la sua razza, alleandosi con i Draconiani?
Di nuovo, Unna le lesse nella mente, ascoltando le sue paure e i suoi dubbi, e sorrise.
« Ratatoskr sa tutto » le disse.
Nida sobbalzò: presa com’era dai suoi viaggi mentali, si era quasi dimenticata della presenza di Unna.
« Come sarebbe a dire che Ratatoskr SA TUTTO?! » chiese, una nota isterica nella voce.  
Unna si strinse nelle spalle.
« Credi che i miei poteri si limitino a due scintille ogni tanto? Abbiamo seguito tutto da qui, sai? E, rilassati, non te ne fa’ una colpa. E se non credi a me, che ne leggo i pensieri, puoi sempre chiederlo direttamente a lui.  »
Nida arricciò leggermente il naso, più per abitudine che per altro. Unna scosse la testa, con un sorrisetto che le increspava le labbra.
« Su, se proprio non vuoi rivederlo ti farò vedere un’altra cosa. Vieni. » le disse, facendole un cenno con la mano.
Come se una forza misteriosa le controllasse le membra, la viverna si sentì muovere un passo dopo l’altro, seguendo la Custode, che sembrava fluttuare a qualche centimetro da terra, grazie all’abito nero. Era piuttosto... Sì, ok, era inquietante. Tutto sommato, sembrava la brutta copia adulta di una delle gemelle del film “Shining”... Nida si ritrovò in un corridoio dal soffitto a cupola, dalle pareti bianche e lisce, affrescate con dipinti di draghi e viverne che combattevano con ferocia; le immagini erano così ben fatte che sembravano muoversi. Unna mosse la mano con un movimento circolare, e le immagini si animarono davvero: i draghi e le viverne si avvolsero in un abbraccio mortale, e i suoni feroci della battaglia rimbombavano per il corridoio. Nida si portò le mani alle orecchie: per il suo udito fine, quei rumori assordanti erano troppo. Poi, com’era iniziato, tutto finì: la viverna alzò lo sguardo, trovandosi davanti Unna che la fissava impassibile, a braccia incrociate; i dipinti errano tornati normali, sempre se si erano mai mossi. In quel luogo, tutto sembrava distorto.
« Ho affrescato io stessa questo palazzo, sai? » disse di colpo la donna « Ho impresso le mie memorie su queste pareti, dando loro vita... Un po’ mi consolo, è come guardare il passato, così non si dimentica mai... »
Con la punta delle dita affusolate, Unna tracciò in contorno del muso di una dragonessa bianca, che scintillava come un diamante tra i colori scuri delle viverne avvinghiate attorno a lei. Nida capì al volo che quella doveva essere la sua vera forma. La purificatrice si voltò, facendo ondeggiare i lembi del vestito nero, e raggiunse la fine del corridoio. Entrarono in una grande sala a pianta rotonda, con il soffitto a volta. La stanza era abbastanza grande per accogliere una ventina di draghi adulti e piuttosto massicci. Le pareti erano intarsiate di bassorilievi raffiguranti le elezioni delle varie generazioni di Guardiani, a partire dal soffitto fino a terra, divisi per fasce. Tutta la fascia più bassa era dedicata a Thuban e ai suoi compagni. Le varie sezioni erano divise da decori di rami frondosi ricoperti di fiori e gemme. Di fronte all’entrata del corridoio, c’era il disegno di un albero immenso, le cui fronde crescevano ricoprendo quasi tutto il soffitto color porpora. Il pavimento era di piastrelle, affrescato con disegni geometrici dei cinque colori dei frutti. Alte colonne parzialmente inglobate nelle pareti sostenevano la struttura, finemente decorate come se fossero ricoperte di verdi rampicanti rigogliosi. Tre ampie finestre lasciavano entrare la luce naturale, grandi abbastanza da far entrare un drago ad ali spiegate; i disegni sul muro continuavano sulle lastre di vetro, per non interrompersi mai. Una statua svettava al centro dell’enorme salone. Thuban, Rastaban, Eltanin, Aldibah e Kuma ad ali spiegate, ritti sulle zampe posteriori, e ai loro piedi i Draconiani: Sofia, Lidja, Fabio, Karl, Chloe ed Ewan, ognuno con le rispettive armi; Sofia stringeva la sua spada verde con la mano destra, ed essa grondava del sangue nero di Nidhoggr. I draghi erano scolpiti in gemme preziose, che ne rispecchiavano perfettamente i colori: smeraldo, rubino, topazio, lapislazzuli e ametista. L’insieme era mozzafiato.
« Questa era la sede del Consiglio. » spiegò Unna « Qui i Guardiani e i Custodi si riunivano per prendere le decisioni più importanti, che riguardavano l’intera comunità di Draconia... Era un periodo così bello... L’Albero del Mondo fioriva, era rigoglioso, la sua linfa curava i malati e gli anziani, i suoi frutti salvavano persino dalle malattie più mortifere... » raccontò, e mentre parlava, sembrava che sulle pareti si raffigurassero le scene da lei descritte; Nida rabbrividì: quel palazzo sembrava vivo. Unna sorrise a mezza bocca.
« Quando ho ricostruito Draconia, la mia... personalità, diciamo, si è impressa in queste pareti... E ora che la linfa dell’Albero nutre di nuovo i suoi figli, anche queste mura cantano la loro gioia. »
Se il suo ferreo autocontrollo non glielo avesse impedito, Nidafjoll avrebbe spalancato la bocca.
« Sono a... Draconia? »
Unna arcuò le sopracciglia e, dando mostra di un sarcasmo insospettabile, rispose:
« No, sei dove gli unicorni vomitano arcobaleni e  zollette di zucchero. »
Quando lei tacque, il silenzio regnò per qualche secondo, per venir poi rotto da un suono: non era un suono particolarmente acuto, o grave, o forte, nulla di tutto questo. Era una risata cristallina.
Nida stava ridendo. Forse per la prima volta in vita sua senza sarcasmo o malizia. Quando recuperò la calma, si stupì di come quel momento liberatorio le avesse fatto bene; ora si sentiva stranamente meglio.
« Cos’è che dovevi mostrarmi di così importante? » chiese, schiarendosi leggermente la voce.
Unna sembrò illuminarsi. Mosse la mano, e, apparentemente dal nulla, comparve una spada.
L’arma era meravigliosa: era nera, e sfavillava come il vetro, materiale di cui sembrava condividere la trasparenza; la lama piatta era affilata come un rasoio, e si stringeva leggermente verso l’elsa. Intorno a quest’ultima, di sezione rettangolare, si avvolgeva sinuosamente un drago.  Le fauci dell’animale erano spalancate, e altrettanto le grandi ali che si dispiegavano verso i lati della lama, lavorate a tal punto che vi si potevano intravedere i rilievi delle vene, e tanto sottili da essere trasparenti.
Unna prese in mano l’arma, e la gemma brillò per un secondo, prima di tornare normale.
« Porgimi la mano destra. » ordinò la donna dai capelli blu, a voce bassa.
All’improvviso, la purificatrice sembrava tesa e concentrata: due docce di sudore le scesero lungo la tempia. Nida, di nuovo comandata da fili invisibili, alzò il braccio con il palmo rivolto verso l’alto.
Unna chiuse gli occhi più forte possibile, e l’Occhio della Mente sfavillò di  una bianca luce accecante. La spada calò, e il metallo nero scintillò quando la luce bianca irradiata dalla gemma sulla fronte della donna ne colpì il filo affilato come un rasoio. Un taglio slabbrato si disegnò sul palmo dalla pelle chiara di Nida, facendole scappare un gemito di dolore. Ebbe appena il tempo di sgranare gli occhi, che si afferrò il polso e si portò la mano al petto, ora urlando sul serio per le atroci fitte che le attraversavano l’arto.
Bruciava... Bruciava come fuoco, dannazione! Sembrava che un tizzone ardente fosse stato posizionato sulla ferita. Un alone grigio si spandeva attorno il taglio, fino ad inglobare tutta la mano. Il sangue nero colava sul pavimento, in una piccola pozza. Unna le afferrò il braccio, portandoselo sulla fronte; il calore dell’Occhio della Mente, sommato a quello della ferita, era insopportabile. Nida era sicura che avrebbe vomitato. Sudava, i capelli erano appiccicati alla fronte, le dita della mano sinistra erano contratte, come se stesse stringendo qualcosa; la schiena si era incurvata sotto un peso invisibile.
Unna recitava una litania in una lingua sconosciuta e dai suoni cantilenati a voce bassa, aumentando gradualmente il tono. I segni sulla sua pelle sembravano ardere di fuoco nero, in netto contrasto con la luce bianca del neo. Sembrava affaticata, come se stesse compiendo uno sforzo estremo: i muscoli del collo erano tesi, e le dita che serravano il polso della viverna erano contratte nella loro presa.
I sensi di Nida si stavano offuscando: vedeva sfocato, avvertiva sempre meno il dolore alla mano, e una grande sonnolenza la stava invadendo.
“Fidati di me, Figlia...” le sussurrò una voce profonda nella sua mente, calma e rassicurante.
Lei si lasciò cullare da quel suono vibrante e caldo, avvertiva sempre meno il suo corpo, solo grazie alla magia che Unna esercitava sulle sue membra non era ancora crollata  terra.
Unna, ormai, stava gridando. I marchi sulla sua pelle scottavano da impazzire, ma mai quanto l’Occhio della Mente. Le sembrava di avere un carbone ardente conficcato in mezzo alla fronte, e resistette alla folle voglia di strapparselo con le unghie per porre fine al dolore. Sapeva che faceva male, lo faceva ogni volta, ma fortunatamente per Nida, chi subiva scivolava lentamente nell’oblio per un paio d’ore. La spada nera era ancora stretta nella sua mano destra, e dalla punta colavano gocce di sangue nero e pastoso, che andavano a macchiare il pavimento già sporco. Unna alzò il braccio, e affondò la punta dell’arma nella fronte della bionda, esattamente in mezzo alle sopracciglia, per poco meno di mezzo pollice. Una ragnatela di filamenti luminosi si espanse dal punto dove l’arma interrompeva la pelle della viverna, disegnandole un reticolato di linee bianche sul viso. Il sangue colava sul viso di lei, che aveva ricominciato a dimenarsi, scossa dagli intensi spasmi.
Con gli ultimi residui di voce, Unna concluse il rito, ritirando la spada dalla carne di Nida. Lei diede un ultimo urlo, talmente acuto da farlo sembrare quello di una banshee, per poi perdere completamente lucidità, abbandonandosi come una bambola di pezza tra le braccia della purificatrice.
Ora, il sangue che colava dalle sue ferite, era rosso.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Look at me!
So che Ginevra Gwen White mi starà lanciando maledizioni. Lo so. Be', lo confesso, la storia doveva venire molto meno cruenta, ma l'ho riscritta daccapo in un pomeriggio di incazzatura con il mondo, ed ecco il risultato... Confesso di aver immaginato di usare la spada di Unna per fare a fettina il motivo della mia rabbia u.u
Vabbè, spero che comunque sia accettabile.
D.
P.S.: Non temere, avrai comunque il tuo momento puccioso, solo che ci vorrà un po' di più del previsto. (eheh)

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo Due - Visioni ***


Capitolo Due – Visioni
 
Sofia era circondata dal nero più assoluto, tanto denso che sembrava possibile tagliarlo con un coltello. Ovunque si voltasse, non riusciva a scorgere nulla, tenere gli occhi aperti o chiusi non faceva differenza. I piedi di Sofia poggiavano su una superficie dura, che la ragazza non riusciva a scorgere: le sembrava di essere sospesa nel vuoto. Le sue viscere si contorsero a quel pensiero.
Una risata simile allo stridere di due lame risuonò attorno a lei, echeggiando in modo da rendere impossibile percepirne la provenienza.
« Pensi di avermi sconfitto, Thuban? » chiese una voce, e Sofia a quel suono tremò interiormente, perché la conosceva.
Era la voce di un fratello e del nemico, del drago verde cupo e della nera viverna, del fulgore del sole al tramonto e della notte più oscura.
“Niddhoggr” pensò, sgomenta.
Ma non era possibile! Niddhoggr era morto, l’aveva colpito lei stessa! Ricordava bene il sangue nero che macchiava l’arma verde...
Come la sua anima, macchiata nella purezza che l’aveva sempre caratterizzata, ferita nel profondo e ancora sanguinante.
Pian piano, due occhi rossi come braci si delinearono davanti a lei, colmi di un odio inestinguibile, destinato a non spegnersi mai.
Arretrò, inciampò e cadde, sbattendo la schiena a terra. Un denso liquido pastoso le immobilizzò polsi e caviglie, rendendole impossibile qualsiasi movimento. Sofia era terrorizzata; cercò di liberarsi, ma più ci provava, e più la sostanza aumentava la stretta.
La viverna rise, di nuovo, un suono colmo di follia e dolore; si avvicinò, sovrastando la ragazza, che chiuse gli occhi, aspettando che l’attaccasse...
Un cerchio di fiamme lilla e bianche l’avvolse completamente, separandola dal suo nemico e sciogliendo le sue catene oscure. Un’immagine si impresse nella mente di Sofia, colpendola con la forza di un macigno, inchiodandole la testa al terreno per l’irruenza con cui si palesò.
Due spade incrociate, una bianca e una nera, rette da una donna dai capelli blu come l’inchiostro, che piangeva.
Le lacrime scorrevano sulle guance chiare di lei, macchiandole col loro colore rosso.
Vero e proprio sangue sgorgava dagli occhi dalle sfumature d’ametista della guerriera che si interponeva tra lei e Niddhoggr, che la scrutava con ira.
Sofia si mise faticosamente a carponi, per poi tirarsi in piedi.
« Non farai di nuovo del male a coloro che amo. » mormorò la bellissima donna « Non te lo permetterò. »
La viverna ringhiò, cercando di penetrare la barriera infuocata, che lo respinse.
« Non mi fermerai, Custode! » ruggì « Sono tornato, e questa volta non permetterò a nessuno d’ostacolare i miei piani! L’uomo dal sangue oscuro mi farà risorgere, in tutta la mia antica potenza! »
L’incubo in carne e ossa che era l’oscura creatura venne avvolto da un bozzolo di sfrigolanti lampi neri, che si abbatterono con forza inaudita sul corpo della Custode, facendola piegare in due, e aprirono un varco nella protezione della donna, che sparì improvvisamente, così com’era apparsa.
Le zanne della viverna raggiunsero la pelle morbida della spalla di Sofia, affondando nella carne con prepotenza.
 
Sofia si svegliò gridando.
La fronte pulsava, aveva il respiro corto, i capelli erano appiccicati al collo per via del sudore che le imperlava la pelle e il cuore batteva come un tamburo contro le costole, come se volesse uscirle dal petto.
Ogni singolo dettaglio dell’incubo era scolpito nella mente della ragazza, rendendole impossibile non ricordare. La cosa era strana, perché ogni volta che sognava, come nelle premonizioni per trovare i frutti, al mattino i particolari erano vaghi e sfocati.
Quella volta, invece, tutto era talmente nitido che pareva che si stesse svolgendo di nuovo, davanti ai suoi occhi.
Si portò una mano al petto, cercando di calmare il galoppare del suo cuore, e chiuse con forza gli occhi, deglutendo.
La gola bruciò mentre la saliva scorreva, a prova del fatto che doveva aver strillato anche durante il sonno.
Sofia si prese la testa tra le mani, mettendosi seduta e appoggiando i gomiti sulle ginocchia. Il piumone si raggrumò ai piedi del letto, scoprendola fino alle caviglie.
« Cosa diavolo mi sta succedendo? » bisbigliò alla stanza vuota, stropicciandogli gli occhi con le dita.
“Thuban... Aiutami...”, si ritrovò a pensare involontariamente, come faceva sempre quand’era ancora tutt’uno con lo splendente drago verde. La faceva sentire bene, sapere che c’era sempre qualcuno per lei.
Come Lidja, Karl, Ewan e Chloe, in quel periodo.
E Fabio.
Loro c’erano sempre, erano la sua famiglia, assieme al professore, Thomas e, di recente, anche Gillian. Sapeva di poter contare su di loro, così come loro potevano contare su di lei, ed era rassicurante avere qualcuno a cui aggrapparsi anche nei momenti più bui.
Una forte luce verde si propagò dalla sua fronte, e un intenso calore allungò i suoi tentacoli sul viso della ragazza, lasciandola senza fiato.
Una voce calda e vellutata le avvolse la coscienza come un balsamo, facendole chiudere gli occhi per la tenerezza con la quale le parlava.
Come quella di una madre.
“Ti manca poco, giovane Guardiana. Devi trovare la forza dentro di te, solo allora la Custode potrà spalancare per te le porte della tua casa. Solo quando sarai pronta potrai adempiere al tuo ruolo di Guardiana dell’Albero del Mondo e il tuo destino potrà compiersi. L’uomo dal sangue oscuro trama nell’ombra contro di voi, e vuole vendicarsi. Fai attenzione, Figlia. Noi veglieremo i vostri sonni”.
Il neo sulla fronte di Sofia si spense, ma non prima che la giovane scorgesse il viso di una donna dalla pelle chiara, il più bello e il più amorevole che avesse mai visto in tutta la sua vita.
 
*°*°*
 
Unna si piegò sulle ginocchia, ansimando.
Il contatto onirico era sfiancante, lo sapeva, ma per fortuna nella sua vita ne aveva fatti pochi, escluso quello appena concluso.
Si portò una mano al petto, chiudendo gli occhi mentre una violenta fitta di dolore le flagellava mente e corpo.
« Tutto a posto? »
Unna alzò appena lo sguardo, parzialmente occultato dalla barriera che i capelli scuri spiovuti sul viso avevano creato, incontrando un paio di iridi chiare.
Nida era appoggiata allo stipite della porta con aria interrogativa, che consisteva in una variazione della sua espressione normale, quale il sopracciglio sinistro appena arcuato e il capo leggermente piegato sulla spalla destra. Aveva al collo un ciondolo raffigurante un drago, con le ali che si toccavano sopra la testa dello stesso, congiunte da una pietra tonda. Una sottile cicatrice sulla fronte segnava il punto dove Unna aveva affondato la spada: a detta della purificatrice, il coso – come si ostinava a chiamarlo Nida – sarebbe comparso entro una settimana al massimo, data l’instabilità che causava il rito e la... particolarità del suo caso.
La stanza in cui le due si trovavano era a pianta rotonda, con il soffitto a volta, e l’unica luce presente era donata da alcune candele incantate per non spegnersi mai.
I colori dominanti erano l’ambra e l’ocra, presenti nel pavimento di piastrelle squadrate e nelle pareti di pietra levigata. La statua di una bellissima donna dai capelli color acquamarina era posizionata in fondo alla stanza, circondata da un cerchio di rune scolpite dagli artigli di generazioni di Custodi, sfrigolanti di arcano potere blu. La figura rappresentata era snella e flessuosa, e indossava una tunica bianca con rifiniture d’oro, le maniche dal gomito e una generosa scollatura. Gli occhi erano privi di iride e pupilla, completamente bianchi, e i capelli erano lunghi fino alla vita, verde acqua e acconciati in boccoli definiti. Il taglio del viso era vagamente orientale, così come quello degli occhi; portava una collana raffigurante un albero rigoglioso con cinque globi luminosi.
La donna dagli occhi lilla sorrise appena, raddrizzandosi.
« Tutto bene, sì. » mormorò.
Nida fece una smorfia.
« Certo, come no. Hai l’aria di una che è appena stata mangiata, digerita e espulsa da una viverna, e ringrazia che buona creanza non vuole che specifichi da dove. »
Unna ridacchiò, appoggiandosi alla parete con la mano.
« Ti fa male stare in mia compagnia: ti sto appiccicando tutto il mio insospettabile sarcasmo. »
La bionda socchiuse gli occhi, staccandosi dalla parete con un colpo di reni.
« Smettila di leggermi nel pensiero, è una cosa che detesto profondamente. »
Quello era un particolare di Unna che Nida odiava con tutto il cuore. Lei aveva sempre dovuto sottostare agli ordini del suo Signore, ma i pensieri, quelli erano sempre stati suoi. Nessuno aveva mai profanato la sua mente, e persino quand’era sicura che avrebbe fallito, nei suoi pensieri trovava conforto, quasi protezione. Sapere che la Custode la leggeva a quel modo, in senso letterale, la faceva imbestialire. Si sentiva violata.
La purificatrice sorrise.
« Lo so, e rispetto i tuoi sentimenti. Da quel giorno ho cercato, per quanto possibile, di non leggerti la mente, ma in alcuni casi è impossibile evitarlo. Prima o poi dovrò insegnarti a erigere barriere mentali. »
Nida fece una smorfia.
« Sarebbe il caso, grazie. »
 
*°*°*
 
Sofia si presentò in cucina con due occhiaie che urlavano ‘Non ho dormito!’ con tutta la loro forza. Si sedette pesantemente accanto a Lidja, che le rivolse un’occhiata interrogativa. Afferrò con poca convinzione il cucchiaio, rimestando lo yogurt alle fragole, per poi accantonarlo con aria stanca.
E quello fu il segnale, che attirò l’attenzione di tutti i Draconiani presenti in cucina – ovvero Lidja, Karl e Fabio.
Lo yogurt alle fragole era il preferito di Sofia, che ne era praticamente dipendente, e se lo rifiutava voleva dire che era successo qualcosa di davvero fuori dall’ordinario, che nel novantanove virgola novantanove per cento dei casi riguardava i draghi e l’Albero.
O che il mondo stava per finire.
Ma tutti loro, chissà perché, optavano sempre per la prima.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo Tre - Nel Buio ***


Capitolo Tre - Nel Buio

La grotta era avvolta nelle tenebre, che impedivano di vedere l’ambiente circostante; l’unico rumore che si avvertiva era un lento gocciolio, come acqua che cola lungo una stalattite.
O come il sangue che sgorga da una ferita aperta da millenni, inferta da coloro che aveva più cari.
Il mondo sembrava iniziare e finire tra quelle quattro pareti, la realtà esterna era sigillata da un pesante masso.
Due occhi ocra luccicavano appena, come illuminati dall’interno, risplendendo nel buio di cui il luogo s’ammantava; grosse e imponenti spire scivolavano lente e quiete, senza fretta, strusciando contro rocce e pareti calcaree, producendo un lieve e quasi impercettibile stridio; le squame nere come la notte più oscura erano amalgamate con l’oscurità circostante, impossibili da distinguere se non per le argentee venature in rilievo sull’epidermide.
Il sangue dei demoni scorreva in quei canali portatori di vita, pompato dal cuore possente, alimentato dall’odio e dal rancore, mentre calda linfa vitale dal colore della lussuria scivolava tra le zanne d’avorio, macchiando quel bianco candido, splendente ma letale.
Una coppia di ali maestose si spalancò, mentre i muscoli si stendevano di nuovo dopo millenni, e gli artigli affondavano in profondità nella roccia.
Un ruggito devastante, antico canto di un dolore profondo, echeggiò nella grotta. L’unico, fragile ostacolo che si interponeva tra lui e la tanto agognata libertà venne distrutto, lacerato come carta sotto i potenti colpi.
E c'era luce fuori, tanta luce, che nutriva le sue squame secche e aride, incrostate di lerciume nero, di sangue dalle tonalità della pece: il suo stesso sangue gli macchiava la pelle, dove vecchie cicatrici spiccavano pallide contro il nero più nero.
Inarcò il collo, avvertendo le vertebre schioccare e le ossa gustare la mobilità che per secoli era stata loro negata, le ali tagliare l’aria come burro, la coda oscillare nel vento, il corpo frustato dalle correnti.
Un secondo ruggito squarcia il cielo, ma stavolta è un grido di vittoria, la promessa di vendetta, vendetta covata a lungo nel cuore, vendetta agognata e prossima.
Persino la terra parve tremare fin nelle sue fondamenta, all’udire quel suono antico e selvaggio, la natura parve ritirarsi su se stessa al passaggio del nero essere portatore di morte.
L’Angelo era tornato.

 

***


Unna assaporava la leggera brezza che spirava alla Torre della Guardia Centrale; l’edificio era stato costruito durante la guerra tra draghi e viverne, ed era complementare con la Torre della Guardia del Nord, del Sud, dell’Est e dell’Ovest: le costruzioni erano situate ognuna ad un diverso punto cardinale, all’estremo confine di Draconia, ed erano state il supporto principale della resistenza dell’epoca, ove i draghi impossibilitati a combattere - quali erano i cuccioli e i malati - potevano trovare protezione e cure per un breve periodo di tempo.
« Per quale motivo ti rifugi qui ogni volta che non ci alleni? » chiese una voce maschile alle spalle di Unna, leggera come il frusciare delle foglie autunnali.
La donna si voltò con un leggero sorriso sul volto, trovando Ratatoskr che la fissava coi suoi occhi imperscrutabili e vigli come quelli di un falco predatore; l’uomo indossava un completo da guerriero, quelli portati dagli uomini alleati coi draghi nei tempi che furono, composta da un semplice paio di pantaloni fulvi, una casacca verde chiaro, una robusta cintura marrone e una sottile giacca nera molto aderente e elastica che gli arrivava alle cosce, la quale metteva in risalto i muscoli di lui. Unna si girò nuovamente, facendo ondeggiare l’orlo della veste, e posò gli avambracci sulla solida veranda di pietra.
La balconata era ampia e spaziosa, ed era riservata al comandante della guarnigione che proteggeva la Torre: percorreva tutto il profilo circolare della struttura, cosicché il capitano potesse avere una visione d’insieme delle truppe, nemiche o amiche che fossero; il granito grigio con la quale era costruita era annerito in alcuni punti, per colpa del fuoco che aveva massacrato tutti i difensori di Draconia, ma neppure le viverne e il tempo erano riusciti a farlo crollare.
« Sai… » soggiunse la donna, con aria malinconica. « Ricordo con precisione la caduta di ogni singola Torre... ».
Unna chiuse gli occhi, mentre la sua mente si popolava di immagini che provenivano dal passato. Quando lei parlò, la sua voce era calma e controllata: « Prima cadde la Torre del Nord: era da lì che proveniva l’attacco più massiccio… Il capitano Thinkingblu lottò con tutte le sue forza, ma venne ucciso a sangue freddo, e la sua testa portata in trionfo dagli assalitori. Era il nostro più valoroso guerriero, dopo i Guardiani. »
Ratatoskr cominciò a sentirsi a disagio: le parole di Unna lo trasportarono in una piana fumante, piena di macerie, dove l’esercito composto da nere serpi alate esultava, e la più grande di tutte brandiva il capo mozzato di un drago grigio, le squame divenute rosse per il sangue. Urla barbare riempivano l’aria, colme di gioioso trionfo.
La Custode continuava a parlare, le palpebre serrate, incurante della reazione di lui; le sue labbra si muovevano, ma non sembravano combaciare con le parole che vibravano nell’aria, le quali sembravano giungere da un luogo antico e remoto, dove tutto è nero di morte: « La seconda fu la Torre del Sud: le viverne avevano deciso di stringere la città in una morsa, attaccando fronti opposti per coglierci di sorpresa. Kyushin, il capitano della guarnigione sud, venne fatto prigioniero e successivamente ucciso, quando si rifiutò di tradirci.
« Poi venne il turno dell’Ovest: quando videro che resistevamo ancora, avvelenarono le scorte della Torre. Tutta quella parte di città morì in una notte, tra atroci dolori. ».
Unna si interruppe, e prese una boccata d’aria. « L’ultima fu la Torre dell’Est: decine di valorosi combattenti persero la vita quel giorno. Makuycha era il capitano, l’ultimo sopravvissuto dell'élite guerriera, che in principio era formata da quattro generali… Lo catturarono, lo legarono e lo torturarono. Poi, all’alba del giorno dopo, venne mangiato vivo davanti ai sopravvissuti. » la Custode si voltò, incrociando lo sguardo di Ratatoskr, in cui si leggeva tutto il suo sgomento. « Tra di loro c’era suo figlio. »
Le pupille dell’uomo si allargarono all’ultima affermazione.
E vide, vide un’enorme e gigantesca viverna affondare i denti nel collo di un drago rosso incatenato a terra, vide il corpo inerme sussultare e contorcersi negli ultimi barlumi di vita, e sentì un grido straziante e acuto, udì un pianto saturo di dolore.
Aveva sempre pensato, anche dopo essere rinato, che Thuban fosse comunque dalla parte del torto, per via dell’azione spregevole che aveva compiuto, ma ora… Ora tutto assumeva un aspetto nuovo. Quale essere orribile aveva mangiato il padre di fronte alla sua prole, provando il piacere perverso di ascoltare le urla d’angoscia di un figlio che perde il genitore?
Chi si era poi vantato di quest’azione barbara, inumana e crudele fino alla follia?
Nemmeno lui, che era stato uno spietato predatore, poteva rimanere impassibile innanzi questo.
« Perché me lo stai racontando? » chiese, la voce ridotta ad un sussurro.
Unna si avvicinò, sfiorandogli la fronte con le unghie laccate di nero, tracciando un sentiero lungo la mascella, fino al mento, dove lasciò una piccola mezzaluna rossa.
« Perché tu devi comprendere. » mormorò. « Devi sentire, devi sentire il dolore, l’angoscia, udire il canto di dolore degli animi affranti, provare sulla tua pelle la disperazione che permea l’aria, la paura della preda braccata, sentire l’alito della belva intriso dell’odore del sangue sulla tua nuca. » mentre parlava, aveva avvicinato la bocca al suo orecchio destro, sfiorandolo con le labbra. « Devi essere consapevole. »
Ratatoskr aveva iniziato a tremare appena, e una nuova inquietudine si fece strada nel suo petto, stringendogli le viscere in una morsa di gelo.
« Io non… »
Due dita della mano destra della purificatrice si posarono sulla bocca dell’uomo, impedendogli di continuare oltre.
« Quando capirai… » gli sussurrò suadente « Lo saprai. ».
Quando l’ultima lettera ebbe lasciato le sue labbra, Unna si allontanò. I suoi occhi viola sfiorarono appena quelli di lui, e un lieve sorriso fece capolino sul suo volto.
Ratatoskr era rimasto a bocca socchiusa, incredulo, senza riuscire a riordinare i pensieri, che turbinavano nella sua mente in un vortice confuso e privo di senso logico.
« Aspetto te e Nida nell’Arena tra un’ora esatta. » disse con tono calmo la Custode, come se nulla fosse accaduto.
Si allontanò all’interno della struttura, superando l’uomo e lasciandolo solo sulla terrazza di marmo.

 

***


Unna stava scendendo le scale della torre, quando una violenta fitta alle tempie le mozzò il fiato in gola; una presenza antica e nefasta si insinuò nella mente della Custode, avvolgendola come una coperta.
“E così ci incontriamo di nuovo, Unna” sibilò la coscienza sconosciuta.
Unna avvertì l’angoscia serrarle la gola, e trovò persino difficile deglutire.
« Tu… » ringhiò. « Tu! Per quale motivo la tua coscienza è libera?! »
“Non solo la mia coscienza, Custode” ghignò egli. “Il mio stesso corpo è di nuovo privo di vincoli, ma non crucciarti: presto avrai mie notizie!”.
La donna sentì il senso di oppressione svanire, e si ritrovò in ginocchio, ansimante e con la fronte mandida di sudore.


____________________________________________________________

Look at me!
PerdonoPerdonoPerdonoPerdono! *si inchina stile giapponese* Sono davvero mortificata… Aveva promesso ad alcune di voi che l’aggiornamento sarebbe stato rapido, e invece… Sigh, mi sento una brutta persona…
Ringrazio tutti coloro che seguono questa storia, e soprattutto chi la recensisce!
Come sempre, questo capitolo è dedicato a Ginevra Gwen White, la mia Musa Ispiratrice, colei che mi sostiene sempre in tutte le mie follie :) Ti voglio tanto bene, tesoro! <3

Baci e coccole,
D.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo Quattro - Ciò Che Ti Sostiene ***


Capitolo Quattro - Ciò Che Ti Sostiene

Le mani della donna si muovevano veloci, sfiorando appena la superficie liscia della sfera di cristallo posata sull’altare; forme nebulose prendevano vita all’interno del vetro latteo, gettando inquietanti bagliori bianchi tutt’intorno.
La stanza era immersa nell’oscurità, le tende di velluto rosso bloccavano la luce del sole all’esterno della struttura, mantenendo l’oscurità più totale e favorendo così la concentrazione della purificatrice. I marchi neri sulla pelle di lei si erano illuminati fiocamente da una luce bluastra, che sembrava provenire dall’interno del corpo della donna, e sfrigolavano di potere arcano; qualunque cosa ci fosse all’interno dell’oggetto di vetro, sembrava rispondere perfettamente ai movimenti eleganti che le braccia della Custode disegnavano nell’aria, rilasciando scie di luce, emanate dai tatuaggi tribali.
La sua era un’arte complicata e sconosciuta ai più, affinata da secoli di pratica, tutto il contrario della suddetta ‘magia’ delle donne umane, che vantavano poteri di chiaroveggenza del tutto inventati: per Vedere bisognava possedere la rara abilità della Percezione, dono che si manifestava una volta ogni quattro generazioni, in un singolo individuo: c’era, persino sulla Terra, qualche vero potenziale veggente, per lo più uno dei discendenti degli umani che un tempo vivevano al fianco dei draghi, ma la stupidità umana giudicava quel potere come qualcosa di malefico, e nessuno poteva istruire i predestinati affinché coltivassero il loro dono. Un tale spreco di potenzialità era una vera eresia: avrebbe dovuto porvi rimedio al più presto.  
A poco a poco, le figure dentro la sfera assunsero contorni definiti, diventando un’arcata maestosa, intarsiata d’oro e di platino: le due colonne erano due draghi avvolti attorno al tronco sottile di un albero, e le bocche spalancate delle creature liberavano getti di fuoco color rubino, che costituivano l’arco; dove le due fiammate convergevano, vi era una placca argentata, ove era inciso lo stesso marchio riportato sulla fronte della donna. I battenti del portone erano spalancati, quasi divelti dai cardini, e cigolavano come mossi da un forte vento gelato.
La luce proveniente dalla sfera illuminò le labbra della donna, strette in una linea sottile, e i grandi occhi violacei, chiusi per trattenere le lacrime.
Le braccia di lei ricaddero lungo i fianchi, e il fioco bagliore si spende del tutto; soltanto le spirali impresse sulla pelle della purificatrice rimasero accesi, e sembravano promanazioni di spiriti giunti sulla Terra per osservarne la distruzione.
Unna si accasciò sull’altare di marmo bianco, avvertendo la pietra gelata premerle contro lo stomaco; dalla bocca di lei sfuggì un singulto, subito soffocato dalla mano premuto contro le labbra tremanti.
Poche volte la Custode aveva provato la paura, quel tipo di paura che ti serra le viscere in una morsa, ti impedisce di respirare e ti fa piangere amaramente senza che nulla ti abbia ferito; ed era proprio ciò che la donna stava facendo in quel momento: piangeva.
Piangeva d’ira, ma soprattutto di terrore, perché sapeva che l’incubo che aveva distrutto tutto ciò in cui credeva tremila anni prima era tornato, e che nessuno sarebbe stato più al sicuro, nemmeno lei.
Incosciamente, si premette i palmi contro il ventre, avvertendo quel suono che da tempo la tormentava: due diversi battiti cardiaci, ben distinti tra loro. Lentamente, però, il secondo andava spegnendosi, pulsando sempre meno nel corpo della donna, finché non scomparve del tutto.
Un singolo urlo lacerò il silenzio, spezzato da singhiozzi rabbiosi e disperati al tempo stesso; e quando il suono smise di echeggiare tra le pareti di pietra, Unna finalmente alzò lo sguardo, mostrando un viso stravolto dal dolore che la dilaniava dall’interno.
Solo due parole lasciarono le sue labbra, vibrando nell’aria più a lungo persino del precedente grido: « E’ tornato. »

 

***


Sofia, Lidja, Fabio, Ewan, Chloe e Karl erano seduti sotto l’ombra di un frondoso salice piangente, sulle rive del lago; il vento increspava l’acqua cristallina e faceva frusciare le foglie degli alberi, solleticando delicatamente i volti dei Draconiani.
I ragazzi osservavano il lago, pensierosi, e con la mente si tuffano in profondità dello stesso, giungendo ad una bolla magica che ospitava un tempio in marmo bianco, traboccante di potere, e cinque sfere magiche che avevano salvato loro la vita. Lo facevano spesso: si trovavano e fissavano il lago, senza parlare; le parole erano superflue, tra loro.
Sofia aveva appoggiato la testa sulla spalla di Fabio, mentre gli occhi le si chiudevano sempre di più; fu sul punto di addormentarsi, e vide fugacemente l’immagine di una donna dai lunghi capelli blu, avvolta in una tunica nera…
« Sofia! »
L’interpellata balzò subito a sedere, strizzando gli occhi appannati per mettere a fuoco la sagoma della sua migliore amica, che la osservava preoccupata.
« Sei sicura di stare bene? » chiese Karl. « Stamattina non hai mangiato quasi nulla, e hai l’aria distrutta. »
La ragazza si passo una mano sul viso, cercando di sorridere. « Certo, è che stanotte non ho dormito, sapete che quando non mi riposo divento una zombie… » Sofia cercò di riderne, ma dall’espressione dei suoi amici capì di non averli convinti.
« Sofia. » la voce di Fabio era dolce, ma ferma. « C’è qualcosa che devi dirci? »
Per l’ennesima volta, la rossa si chiese come facesse Fabio a leggerla così bene; da un lato ne era contenta, voleva dire che la osservava e ci teneva a lei, ma dall’altro era quasi snervante essere un libro aperto a cui lui poteva dare una sbirciatina quando voleva. Sospirò, raddrizzando la schiena e incrociando le gambe, facendo segno agli altri di avvicinarsi. A voce bassissima, come se temesse di essere udita da qualcuno, la ragazza disse: « Stanotte ho fatto uno strano sogno… »

Sofia non lo sapeva, come del resto non lo sapevano gli altri Draconiani, ma qualcosa strisciava nell’ombra del bosco alle loro spalle. L’anima assetata di vendetta che tesseva le sue trame sibilò malignamente, trattenendo la voglia estrema di saltare al collo di quei patetici, ridicoli mocciosi, che avevano avuto l’ardire di sfidare le forse oscure: non era ancora il momento giusto.
Ma avrebbero pagato, oh, se avrebbero pagato! Dopotutto, non è forse la pazienza la virtù dei forti?

 

***
 

Il clangore delle lame delle due spade che cozzavano l’una contro l’altra rimbombava contro le pareti delle case; le due armi, una grigia, l’altra nera, si incrociarono di nuovo, intrecciando arabeschi di attacchi e parate, in una danza senza fine; i due spadaccini avevano il viso coperto da una maschera da allenamento imbottita di cuoio e intrise di un incantesimo di protezione, che aveva lo scopo di deviare eventuali attacchi al volto.
I due si trovavano in una piazza ampia, circondata da alte case marmoree, con al centro una magnifica fontana intagliata in blocchi di puro diamante, raffigurante una sirena stesa su uno scoglio, le braccia sollevate verso l’alto e sul viso un’espressione di pure sofferenza: dai palmi sgorgavano getti d’acqua cristallina, che in parte zampillavano verso l’alto, in parte colavano lungo gli arti della donna metà pesce, sulle spalle, sui fianchi, lungo la coda, per poi gettarsi nella polla che circondava la sirena ; le superfici splendenti della statua riflettevano la luce del sole in mille tonalità diverse, e con un’intensità tanto abbagliante da essere quasi dolorosa. Il terreno era lastricato di piastrelle bianche, lucide e pulite, che sposavano perfettamente i toni della scultura.
Colui che impugnava la lama grigia portava una semplice maglia di elastico tessuto verde, con le maniche poco sopra il gomito, che mettevano in mostra la muscolatura delle braccia e dell’addome, e un paio di pantaloni di pelle nera traspirante.
L’altro, invece, aveva il corpo interamente coperto da un completo scuro come la sua arma, che consisteva in una giubba leggera, dei pantaloni aderenti, una robusta cintura marrone e degli stivali da poco sotto il ginocchio.
Entrambi portavano una leggera corazza che fasciava loro il petto e la parte davanti delle gambe.
Il combattente dalla spada nera aveva il fisico decisamente minuto, rispetto all’avversario, ma l’eguagliava in altezza e rispondeva colpo su colpo con una fluidità acquisibile solo con anni di intenso allenamento; l’altro contendente pareva in difficoltà a rispondere ai colpi furiosi dello spadaccino col quale contendeva la vittoria, ma se la stava cavando.
Ratatoskr si allontanò di qualche metro con un salto, allontanando dagli occhi qualche ciuffo ribelle spiovuto sul viso; aveva il fiato corto, e il sudore gli rendeva lucida la pelle delle braccia, che ormai tremavano per lo sforzo continuo. Era da almeno due ore che combatteva senza sosta, e non era ancora riuscito ad avere ragione dell’avversario: di solito, batteva Unna dopo poco più di un’ora - anche se comprendeva benissimo che, se la Custode l’avesse voluto, il duello sarebbe finito entro pochi minuti con la sua morte - mentre quella volta la purificatrice sembrava decisa a farlo arrendere. E doveva ammettere che ci stava riuscendo perfettamente: i muscoli bruciavano, così come la gola, la presa sull’elsa della spada si era fatta meno sicura, i passi meno fluidi e il baricentro instabile: andando avanti di questo passo, sarebbe crollato a terra da solo per la fatica.
La Custode strinse l’impugnatura della sua arma dall’elsa a foggia di drago con tanta forza da farsi sbiancare le nocche, digrignando i denti: avvertiva il disperato bisogno di sfogare tutta la frustrazione e la rabbia che aveva accumulato, se non l’avesse fatto sarebbe di sicuro esplosa.
Unna coprì la distanza che li separava con un balzo, afferrando la spada con entrambe le mani e vibrando un violento fendente dall’alto; l’uomo riuscì a schivarlo saltando di lato, e il colpo gli tranciò di netto una ciocca di capelli e creando una corrente d’aria che per poco non fece volare via la maschera dal volto; la lama dell’arma affondò nelle piastrelle bianche, spezzandole di netto e gettando tutt’intorno pezzi di marmo, che ferirono di striscio le braccia di Ratatoskr.
La donna non estrasse la spada dal terreno, ma rimase immobile, ansimando e con i muscoli ancora tesi per lo scatto, sotto lo sguardo sbalordito di Ratatoskr. L’uomo non riusciva a credere a ciò che era appena successo: se non si fosse scostato, Unna l’avrebbe di sicuro...
I due rimasero così, l’una piegata sulla spada, l’altro in piedi a poca distanza da lei, col fiato grosso, ognuno perso nei propri pensieri.
Dopo quelli che parvero secoli, la donna si alzò di scatto, togliendosi la maschera e gettandola lontano; la protezione per il viso rimbalzò varie volte sulla superficie levigata, per poi fermarsi a ridosso della fontana, un elemento dal sapore della battaglia, che sembrava scontrarsi con l’armoniosa pacatezza della scultura.
I lunghi capelli blu erano legati in una treccia, e i ciuffi ribelli le contornavano il viso madido di sudore; gli occhi violacei lanciavano lampi di rabbia, e la punta dell’arma strusciava per terra.
Fu Ratatoskr a rompere quel silenzio.
« Mi avresti ucciso, non è così? » chiese, la voce più tagliente delle lame che entrambi impugnavano. Il volto della purificatrice sembrò indurirsi di colpo, e parve anche lei una statua, così come quella di diamante, che impassibile assisteva al loro fronteggiarsi. La spada grigia sfumò in una nube bianca, e l’uomo si ritrovò a stringere il pugno attorno al nulla. « Non è così? » ripeté egli, conscio che non avrebbe avuto risposta.
La parte superiore della corazza fede la stessa fine della maschera: la Custode la sfilò e la lanciò lontano; sembrava infuriata con se stessa.
« Perché l’hai fatto, Unna? » domandò nuovamente lui, avvicinandosi di qualche passo; se avesse allungato il braccio, avrebbe potuto sfiorarla.
« La lezione è conclusa. » sibilò lei, socchiudendo gli occhi pericolosamente. « Puoi ritirarti. »
Ratatoskr conosceva poco di Unna, così imperscrutabile com’era, e sapeva che era pericoloso sfidarla, molto pericoloso. Avrebbe potuto ridurlo in cenere in pochi istanti, se lui avesse solo provato a varcare quella corazza invisibile che avvolgeva l’anima stessa della donna che gli stava davanti. Non sapeva cosa l’avesse indotta a proteggersi internamente a quel modo, ma sapeva per certo che doveva aver sofferto molto.
« Ho detto... » ringhiò a bassa voce la Custode, non vedendosi ascoltata. « Che puoi ritirarti. Ora. »
Ratatoskr infine obbedì, scomparendo nei vicoli tra le case in pochi istanti.
Quando fu certa di essere sola, Unna scagliò via anche la spada, la quale andò a conficcarsi nello spazio tra due piastrelle; si portò una mano alla bocca, per poi lasciarla scivolare fino a coprirsi gli occhi. Si morse le labbra a sangue, angosciata: era davvero arrivata a tanto? Aveva davvero quasi ucciso Ratatoskr, una delle uniche due persone al mondo che potevano dire di conoscerla almeno un po’, colui che dopotutto considerava un amico?
Incapace di sopportare oltre il senso di colpa, la Custode svanì in una nube bianca, portandosi dietro le sue emozioni e i suoi segreti.
Senza più i due combattenti ad animarla, la piazza era desolatamente vuota: anche le protezioni erano sparite, solo la spada nera rimase, affianco alla statua della sirena, ritta come un soldato innanzi al comandante.
Un caldo riverbero di sole dorato illuminò il filo dell’arma, che scintillò di luce bianca.

 

***


Nida era a gambe incrociate, sull’orlo del precipizio che segnava la fine della città sospesa nel cielo. Le nuvole, che formavano una coperta che sembrava infinita, erano tinte di rosso e ocra dalla luce dell’astro diurno, quasi scomparso oltre l’orizzonte.
Era lì da ore a meditare, sotto ordine di Unna, e ancora non riusciva a capire che scopo avesse quell’esercizio; le gambe le formicolavano e la testa le pulsava per la concentrazione, e ancora non aveva raggiunto nessun risultato degno di nota.  Devi imparare a sentire, aveva detto la Custode… Ma sentire cosa, poi? Davvero, non riusciva a capire: Unna sapeva essere così criptica, mai che desse un’informazione chiara.
Nida si mise a riflettere sui suoi stessi pensieri: si stava facendo dare ordini da Unna? Lei che era stata sottomessa solo al suo Signore, obbediva ad una figlia dei draghi? La Custode della Bianca Fiamma, per di più, la carica più alta di tutta la gerarchia di Draconia! Com’era arrivata a ciò? Com’era arrivata a sentirsi così ben disposta e permissiva? Lei era tutto fuorché quello!
“Forse perché non ci tengo a finire ridotta ad un mucchietto di cenere” pensò ironica la bionda, per poi tornare seria. No, non era per quello, c’era ben altro… Unna esercitava una sorta di energia elettromagnetica attorno a sé, era come una sorta di calamita, che attrae quella a carica opposta. Non riusciva a opporsi… Ma perché? Era questa la domanda ridondante: perché? Oh, e c’erano tanti perché! Perché Unna l’aveva riportata in vita? Perché la stava allenando? Perché si dimostrava così fiduciosa nei suoi confronti? Infondo, non aveva esitato a fare il doppio, anzi triplo gioco, tradendo contemporaneamente il suo ex pardone e i Draconiani per uccidere Fabio. Ma… Che la Custode avesse capito qualcosa che a Nida sfuggeva? Che sapesse qualcosa di vitale importanza?
“Continua a cercare, Nida” disse la voce della purificatrice, rimbombando nella sua mente. “Sei vicina alla tua meta...”
« Ma qual’è la mia meta? » mormorò a se stessa la bionda, senza neppure lamentarsi a quell’ennesima violazione della suai privacy.
“Devi trovare l’anello...”
« L’anello? Che anello? » esclamò, sentendosi così vicina alla verità da non riuscire a vederla, così cieca da ignorare l’ovvio.
“L’anello che lega le due metà della catena”
« Non capisco! Non puoi essere più chiara, maledizione?! » urlò la bionda al nulla, scattando in piedi, il viso rivolto al sole, illuminato dalla sfolgorante luce del tramonto. « Cos’è che devo cercare?! Cosa?! »
La voce della purificatrice si fece più severa, ma allo stesso tempo più malinconica e bassa, come se stesse soffrendo molto: “Cos’è che ti ha spinto ad andare avanti tutto questo tempo? Qual’è la tua vera ragione di vita?”
Il respiro di Nida le si impigliò in gola, e un grosso groppo le impedì di deglutire. Cosa l’aveva sostenuta mentre Nidhoggr la braccava? Cosa l’aveva consolata nelle notti gelide e solitarie?
Un ricordo…
Ma non poteva essere!
« No, non è possibile… » sussurrò al vuoto Nida. « Non è possibile che sia… Che sia… » mandò giù un bolo di saliva, iniziando a sudare freddo.
Una nuova paura le strinse le viscere, ma era una paura diversa a quelle che la viverna aveva provato fin’ora: era un’emozione sconosciuta, che era comparsa all’improvviso, e che lei non sapeva spiegarsi.
Perché il cuore le batteva così forte? Cosa le stava accadendo? La bionda si sedette di nuovo, cullata dai caldi riverberi dorati; pareva una divinità immersa nella luce, con il caschetto scosso dalla lieve brezza, gli occhi chiari illuminati e semichiusi, la bocca semiaperta, come se volesse dire qualcosa ma non ricordasse le parole, e un lieve rossore sulle guance.
« A cosa vuoi farmi arrivare, Unna? » chiese alla sua anima, immergendosi nei ricordi e lasciandosi trasportare in un luogo nebbioso, sperduto nei meandri della sua mente.

 

___________________________________________________________

Look at me!
Buonsalve, popolo di EFP.
No, non sto male, e no, non sono un alieno sotto le spoglie di Diamante, quindi rilassatevi. Considerato questo capitolo come un regalo in ritardo per Natale. O in anticipo per la Befana. O per Capodanno. O per Pasqua. Insomma, consideratelo un regalo e basta.
Il popolo richiede a gran voce un po’ di Ratida (per chi non lo sapesse, Nida/Ratatoskr), e io l’ho accontentato… Anche se in modo moooolto velato. Sì, sono cattiva, lo so. Non c’è bisogno di dirmelo. Ah, sappiante che la parte dei draconiani mi convince molto, ma molto poco... Che ci volete fare, sono più brava a descrivere dilemmi mentali che altro, sono fatta così.
E sì, stavo quasi sbavando mentre descrivevo Ratatoskr, per rispondere alle domande di qualcuna di voi.
Anyway, penso sia il momento di ringraziare un po’ di persone.

§Chi ha messo questa storia tra le ‘Preferite:
-Ginevra Gwen White
-Roky Draconiana

§Chi ha messo questa storia tra le ‘Seguite’:
-chiara_centini
-magicadark007

§Chi ha messo questa storia fra le ‘Ricordate’:
-Cristina Cuman
-darkyumi
-Drachen
-Jtp994ever
-magicadark007
-Roky Draconiana

§E, soprattutto, chi ha recensito:
-Ginevra Gwen White
-Roky Draconiana
-magicadark007
-Drachen
-DianaLoveStory

Davvero mille grazie, ragazze… Questa storia va avanti solo perché ci siete voi che mi sostenete!
Baci e coccole,
D.
P.S. Ho accontentato Ginevra Gwen White cercando di allungare il capitolo. Quindi, prendetevela con lei. Io sono innocente (più o meno)

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo Cinque - Perdersi Nei Sogni ***


Capitolo Cinque - Perdersi Nei Sogni

L’oscura viverna nera e la splendente dragonessa bianca stavano l’uno innanzi all’altra, separati solo da pochi metri di vuoto: la terra attorno a loro era nuda e arida, priva di arbusti e di qualsiasi tipo di forma di vita. L’anima straziata di lei ululava, mentre avvertiva nel petto un dolore sordo e lacerante: lì, una volta, cresceva una delle foreste più rigogliose di tutta la sua terra ed ella vi aveva passato numerose ore a cogliere i suoni della natura e a meditare immersa nel verde; vedere quel luogo ridotto in quello stato…
La dragonessa era pronta ad attaccare, i muscoli tesi come prima di uno scatto, la coda che oscillava appena, per bilanciare un eventuale perdita di baricentro dovuta ad una fiammata a sorpresa; al contrario, la serpe alata pareva tranquilla. Quel muto fronteggiarsi si protraeva oramai da troppo tempo, ed ella decise di porvi fine.
« Cosa vuoi da me, Nidhoggr? Io e te non abbiamo più nulla da condividere. ».
La voce gelida della figlia dei draghi risuonò forte e chiara, echeggiando numerose volte, prima di scemare in un silenzio persino più assordante del precedente.
Nidhoggr sorrise.
« Unna… Davvero le lusinghe di mio fratello hanno questo ascendente su di te? Ti sei davvero lasciata ingannare così? ». Il tono di lui grondava sarcasmo, e mentre parlava aveva iniziato a strisciare intorno alla Custode della Bianca Fiamma come se volesse avvolgerla tra le sue spire, e la purificatrice seguiva i suoi movimenti soltanto con gli occhi, mentre il resto del suo corpo rimaneva perfettamente immobile.
« Ciò che davvero mi stupisce è che io mi sia fidata di te. Dovevo capirlo subito che eri così. » ringhiò alla fine Unna.
I tratti serpentini del rettile nero si indurirono; un vento sibilante spazzò la piana desolata, sollevando sbuffi di polvere sottile che divisero per qualche secondo i due.
« Così come? » chiese infine Nidhoggr. « Così determinato ad ottenere ciò che mi spetta di diritto? »
« Soltanto perché sei il fratello maggiore il titolo di Guardiano non è automaticamente tuo! Gli Anziani valutano quello che c’è nel cuore dei candidati! »
« E nel mio cuore cos’hanno trovato?! » ruggì la viverna, spalancando le ali. « Cos’hanno trovato, eh?! Sono rimasti spaventati dal mio potere?! Non vedi ciò che il vostro tanto amato Thuban ha fatto a me, come mi ha ridotto?! ». Si alzò in volo, così che gli sfregi che deturpavano la sua corazza nera fossero ben visibili.
Unna deglutì. « Thuban… Ha commesso un errore. »
« E quindi?! Io non potrei aver commesso un errore?! » urlò l’ex drago, avvicinandosi pericolosamente a lei. « Io non ho diritto ad una seconda chance?! »
Gli argini si ruppero, e tutti ciò che il cuore di Unna conteneva si riversò fuori, come un fiume in piena.
« Tu non sei pentito di ciò che hai fatto, tuo fratello sì! »
« Questo nessuno può assicurarvelo! »
« FAI SILENZIO! »
Persino le correnti si placarono; tutti si ammantò di una quiete innaturale, quella che precede la tempesta. Ogni parola che pronunciò Unna era intrisa di potere, mentre i suoi occhi perdevano il confine tra iride, pupilla e cornea, illuminandosi completamente di viola per qualche effetto arcano.
« Potrai pensare di ingannare gli altri, Nidhoggr, ma non ME! Io sono la Custode della Bianca Fiamma di Draconia, tutto ciò che è vivente si inchina al mio cospetto! » un tuono squarciò il cielo, e quasi immediatamente una saetta si abbatté sul terreno, creando una crepa che divise i due contendenti. Anche se le sue ali spalancate erano immobili, Unna levitava sopra la serpe alata, avvolta da un’aura di magia bianca. « E tu, che fai scempio di tutto ciò in cui crediamo, pensi di poter abbindolare ME! Tu, pensi di domare ME, colei a cui la Natura deve pagare lo scotto! Le tue parole false oramai non hanno più alcun effetto, Nidhoggr! Nel tuo cuore alberga l’odio, non potrai MAI essere un Guardiano! ».
Quelle parole scatenarono la furia della viverna, che con un ruggito devastante si avventò contro Unna, e i due si avvolsero in un abbraccio mortale.

No… Basta… Smettila…

Con una zampata lei riuscì ad allontanarlo; quando gli artigli fendettero il vuoto, la dragonessa spalancò le fauci e vomitò sul nemico una cascata di fiamme bianche e viole, che parvero riempire tutto lo spazio che li circondava, bruciando il terreno anche a dieci passi di distanza.
Nubi temporalesche correvano per il cielo, fattosi nero e ripetutamente squarciato dai lampi, e quello sembrò il preludio dell’Apocalisse.

Basta…

Nidhoggr si avvitò su se stesso, schivando il torrente infuocato che fendette l’aria dove pochi secondi prima si trovava lui, e ricambiò con una vampata di fuoco nero; i due inferni cromaticamente opposti si scontrarono nel cielo, creando milioni di lingue di fiamma che piovvero sul terreno come comete infuocate, lasciando lunghe abrasioni sulla crosta terrestre.
Unna avvertiva lo spasmodico desiderio di sentire la carne della viverna lacerarsi sotto i suoi denti, voleva annientarlo, farlo soffrire e ferirlo. Si scagliò su di lui, le zanne letali pronti a scattare, e chiuse le fauci sull’ala avversaria, affondando i denti e stringendo le mascelle più forte possibile. Nidhoggr reagì con un violento colpo di coda, che la fece desistere; con un repentino scatto della testa, però, la Custode riuscì a portare con sé parte della membrana alare del nemico.
Ruggendo, egli precipitò a terra, tra lapilli che ora parevano sgorgare direttamente dal cielo.

Smettetela… Per favore…

La dragonessa ruggì trionfante, e il suo grido di vittoria venne parzialmente coperto dall’ennesimo tuono. Un secondo urlo risuonò nella piana: Nidhoggr si era rialzato, l’ala destra lacerata e grondante di sangue nero stava già ricrescendo, e in pochi secondi la viverna poté dispiegarla e innalzarsi di nuovo nel cielo.
Unna aspettò che stesse per impattare contro di lei per scartare lateralmente, spiegando completamente le immense ali bianche e salendo ancora più in alto, forzando al massimo i suoi muscoli, così in alto che sul suo muso si formarono piccole scaglie di brina.
Sentiva la presente della serpe alata alle sue spalle, e seppe che l’aveva quasi raggiunta; allora fece aderire le ali al corpo, e si lanciò in picchiata contro il suo nemico, prendendolo alla sprovvista. I due si scontrarono e iniziarono a precipitare in una confusione di ali, zanne e artigli; impattarono al suolo con un boato tale da generare un’onda d’urto che spazzò il terreno per centinaia di metri.

Basta! Lasciatemi in pace! Ve ne prego, basta!

L’incontro dei mastodontici corpi con il suolo scavò due fosse differenti, da cui riemersero ansimando e ricoperti di graffi, ma con l’odio ancora impresso negli occhi. Stavano per lanciarsi nuovamente l’uno contro l’altra, quando più ruggiti si levarono alti nel cielo. Si voltarono, e videro le sagome di cinque rettili alati, che splendevano in quell’inferno buio come gemme: i Guardiani erano accorsi.
Nidhoggr digrignò i denti, iroso, scorgendo in testa al gruppo suo fratello; la rabbia nei confronti del sangue del suo sangue era talmente tanta che dovette sfogarla in qualche modo, lanciando un grido che sgorgava dal profondo della sua anima ferita.

Smettetela! Basta, per favore, lasciatemi stare!

Unna chiuse gli occhi, e quando li riaprì essi avevano riacquistato i loro colori naturali.
« Vattene, Nidhoggr. » gli intimò.
La viverna sapeva che non avrebbe avuto possibilità, per quanto forte, contro i sei draghi più potenti di tutta Draconia; riconoscendo di essere stato sconfitto, la serpe alata lanciò un’ultima minaccia, prima di dissolversi in una nube nera: « Tornerò. »
E sparì.
Quando l’immagine del suo nemico scomparve dal suo campo visivo, Unna avvertì una fitta alla testa, e chiuse gli occhi nel tentativo di domarla.

ADESSO BASTA!

Tutto divenne nero.
 

***

 

Unna si svegliò con un grido. Aveva la vista appannata, la fronte imperlata di sudore, la veste appiccicata al corpo; gli occhi erano arrossati, la gola le bruciava e il respiro si era fatto affannoso. A fatica riconobbe i contorni del mobilio dei suoi appartamenti; quando il battito sfrenato del suo cuore si fu calmato riuscì a sedersi sul bordo del letto dov’era distesa fino a qualche attimo prima.
Le tempie le pulsavano e i palmi delle mani erano insanguinati per via delle unghie che si era conficcata nella pelle durante il sonno; le palpebre calarono sulle iridi stanche, e le lacrime impigliate nelle ciglia scivolarono lungo le guance pallide. Si prese il viso tra le mani.
« Basta… »
 

***


I tacchi di Nida si scontravano con il pavimento freddo, producendo un ticchettio simile a quello di un orologio. La bionda era inspiegabilmente nervosa, e aveva fretta di tornare nlle sue stanze, che erano poi quelle in cui si era risvegliata dopo la sua ‘morte’.
Cercò di non soffermarmi troppo sulle figure raffigurate sulle pareti del corridoio: la mettevano stranamente a disagio.
« Nida! »
Il cuore di lei ebbe un sobbalzo quando udì quella voce. Sapeva che era lui, e sapeva anche cosa voleva: da giorni ormai lo stava evitando, precisamente da quando Unna l’aveva spinta a riflettere, sull’orlo del dirupo che segnava la fine della città sospesa nel cielo. Non era ancora riuscita a mettere chiarezza in se stessa, e meno stava a contatto con lui meglio era. Fece un respiro profondo per calmarsi, poi si voltò, sul volto un’espressione fredda che nascondeva un’anima tormentata dai dubbi.
« Ratatoskr. » replicò. Quando lo guardò negli occhi avvertì una stretta allo stomaco e il suo cuore iniziò a battere più forte; solo il ferreo controllo che esercitava sulla sua mente le impedì di arrossire. Che le stava succedendo?
L’uomo la osservava con quelle iridi imperscrutabili e profonde allo stesso tempo, percorrendo tutta la sua figura con lo sguardo, come se cercasse imperfezioni in una copia.
« Se non ti dispiace... » disse Nida, che iniziava a sentirsi davvero a disagio « ...vorrei tornare nei miei appartamenti. »
Si voltò e fece per andarsene, ma lui le afferrò il braccio; quel contatto infuocò l’animo della donna, che deglutì a vuoto un paio di volte.
« Sì, mi dispiace. » le soffiò all’orecchio, facendola quasi sobbalzare.
« Allora dimmi che vuoi. » replicò Nida, ostentando una calma che non provava.
Ratatoskr assottigliò lo sguardo. « Sai benissimo cosa voglio. » sibilò, e sembrava davvero irritato. « Non fai che evitarmi da un po’ di tempo a questa parte. Perché? »
Ancora quella stramaledettissima domanda!
“Se lo sapessi sarei davvero lieta di risponderti!” avrebbe voluto urlargli la bionda, ma si trattenne, e si rifugiò dietro la sua maschera di compostezza.
« Non c’è nessun particolare motivo, a dire il vero. » mentì.
L’uomo le afferrò il mento con due dita, e stavolta Nida non riuscì a frenare il sussulto che le scosse il corpo: lui era vicino, troppo vicino, così vicino… Poteva sentire il suo fiato incresparle le ciglia. E i suoi occhi erano così belli...
Si allontanò, come scottata da quei pensieri, per poi voltarsi e percorrere quei pochi metri che la separavano dal legno della porta della sua camera quasi di corsa, per poi chiudersi dentro.
Ratatoskr rimase con la mano a mezz’aria per qualche secondo, per poi abbandonarla lungo il fianco. Il suo cuore era in subbuglio per la vicinanza della bionda, che ora si era barricata dietro quel misero uscio, rifiutando insistentemente ogni contatto con lui.
« Prima o poi dovrai abbassare la tua maschera, Nida. » sussurrò al nulla, prima di andarsene.

________________________________________________________________
Look at me!
*si prepara al linciaggio*
Ehm… Dai, ragazze, mettete via quei forconi e quelle torce… Suvvia, da brave… ^^’
Ehi, che volete da me?! Vi ho messo il momento Ratida, il più più di tutta la storia, finora u.u Dovreste pure ringraziarmi U_U
Ho scritto l’ultima parte ascoltando “Urlo e Non Mi Senti” di Alessandra Amoroso, e vi consiglio di leggerla con questa canzone di sottofondo: credetemi, merita davvero.
Meglio che sparisca, domani la prof di inglese mi interroga e io non ho ancora studiato >.<

Un besos,
D.

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2140035