Miedo

di Elric_Kyoudai
(/viewuser.php?uid=24925)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cristales y hilo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***



Capitolo 1
*** Cristales y hilo ***


head>

 

Dopo mesi di inattività causa MiMancaInternetByMikael, eccoci di nuovo qui, pronte a riempirvi la mente con qualcosa di diverso!

Esatto, niente fangirlamenti random. Niente frivolezze, niente perdite di memoria. Solo una sana dose di psicolabilità e, come sempre, quel bit di Elricest che non guasta mai, stavolta in chiave diversa dal solito.

Miedo è nata quest'estate, mentre noi prendevamo appunti e il padre di Mika ci guardava malerrimo.;_; Ma è una cosa meravigliosa e noi la amiamo, e voi dovete amarla ç_ç!

Miedo è, per chi non fosse pratico, la parola spagnola per Paura. Scissa in due, ci becchiamo "Mi Edo", che sempre in spagnolo starebbe a significare Mio Edo, ma qua ci arrivavamo tutti è_é! Quindi, non aspettatevi cuoricini, ok? *risata satanica*

 

Al prossimo capitolo >O

 

Miedo

 

Il 20% dei ragazzi con depressione ad inizio così precoce sviluppa poi il cosiddetto "disturbo bipolare":

una vulnerabilità ad eccessive fluttuazione dell'umore, in cui le fasi di depressione si alternano a periodi di vera maniacalità,

caratterizzata da scarso bisogno di dormire, euforia immotivata,

esuberanza di energia, idee grandiose su di sé e i propri progetti,

senza alcun fondamento reale, e una elevata probabilità di cimentarsi o sfidarsi in attività ad alto rischio.

 

“Niisan, sono a casa!”

Aprì la porta, sentendo le orecchie invase dal tenero mugugnare di una voce decisamente familiare. Poggiò a terra le buste della spesa, per poi sfilare le chiavi dalla serratura e poggiarle sul mobile appena dopo l’ingresso.

Passo per passo si addentrò nell’andito, sentendo la voce di suo fratello farsi sempre più chiara, finché non si fermò sulla porta del soggiorno, ad ammirare per qualche secondo quella testa bionda che dava alla finestra, ciondolando a ritmo con la musica.

“Sono a casa.” Ripeté, battendo le nocche sull’uscio e abbozzando un sorriso.

“Ciao, Al.

Edward si voltò verso suo fratello, sorridendo lievemente, con le braccia poggiate sulle ante della finestra. Nonostante tutto, ancora gli faceva leggermente strano vedere il corpo di carne e sangue di Al, ancora dopo un anno.

“Hai incontrato qualcuno, per strada?”

Mise le mani dietro la schiena, avvicinandosi al fratello, ciondolando leggermente la testa di lato.

Alphonse annuì, azzardando qualche passo verso Edward e allargando il sorriso.

“Sì! Ho incontrato il Generale Mustang al banco della frutta. Abbiamo chiacchierato un po’ e mi ha aiutato con le buste fino alla piazza! Ti saluta,a proposito.”

Il maggiore iniziò a giocare con le proprie dita ancora a livello del fondoschiena. A sentire la parola Mustang ebbe un sussulto. L’altro lo interpretò come uno dei suoi soliti scatti di odio verso quell’uomo.

“Uhm, sì…”

Lo superò, piegandosi per prendere le buste con entrambe le mani.

“Da domani magari la faccio io la spesa, okay…?”

“Niisan, non lo incontro tutti i giorni il Generale!- ridacchiò, grattandosi la testa mentre osservava la schiena del fratello risollevarsi. – Non ti preoccupare!”

Di cosa poi, neanche lui lo sapeva.

L’altro neppure alzò lo sguardo aureo (e vagamente vuoto, ma Al non ebbe occasione di notarlo) su Alphonse.

“E’ uguale…”

Iniziò a mettere nella credenza la spesa.

“Preferisco uscire io. Non vuoi che esca?”

Ma no, no Niisan… - borbottò, andando ad aiutarlo. – Se va a te, non c’è problema!”

Si mise sulla punta dei piedi, a raggiungere lo scaffale più in alto, allontanando il più possibile dalla vista di entrambi cibi non propriamente sani che se fossero stati in uno scaffale più basso sarebbero spariti seduta stante – sicuramente.

“D’accordo, allora domattina esco. Mi fai tu la lista della spesa?”

Vedendo che stava sistemando lui, Ed si mise a sedere, accavallando le gambe, osservandolo muoversi, senza proferire più parola.

Era qualche tempo che Edward pareva strano. Ancora più del solito.

Da quando Al aveva il suo corpo, Ed si era dimostrato appiccicoso. Estremamente. Quasi da portarlo all’esaurimento. Il minore non avrebbe mai immaginato che suo fratello potesse risultare così attaccato a lui. Ma il più piccolo giustificava il processo mentale per cui Edward aveva totalmente eliminato la sua privacy col fatto che erano così tanti anni che non sentiva il calore del suo corpo.

E aveva deciso di assecondarlo. Un po’ perché lo adorava, un po’ per la curiosità di sapere fin dove si sarebbe spinto.

Un po’ per timore - probabilmente infondato, pensava spesso e volentieri.

“D’accordo Niisan. – annuì, chiudendo l’anta e voltandosi verso di lui. – Io scrivo, tu compri. E stai attento a non sbagliare!”

“Non sbaglio, non preoccuparti. Non credo sia difficile azzeccare quel che scrivi su un pezzo di carta.

Al percepì, nella voce del fratello, una totale assenza di… tono. Era come asettica, quasi uscisse da un guscio di metallo – non un’armatura in cui era imprigionata un’anima, ma un contenitore, una lattina. Ne usciva un insieme di suoni modulati ma totalmente estranei, freddi. Un collettivo di parole che parevano pronunciate da un computer, non da una persona – non da un fratello che dovrebbe usare solo toni dolci, o perlomeno umani.

Mh…” mormorò, in assenso.

Forse se l’era presa. Forse aveva pensato che con quella frase il suo amato fratellino gli avesse dato dello stupido, dell’incapace o qualcosa di simile.

Perplesso, si avvicinò al suo viso, guardandolo con occhi se possibile ancor più grandi del solito, le iridi ambrate che andavano alla ricerca di una qualsiasi cosa che smentisse i suoi sospetti.

“… Ho detto… Qualcosa che non va?” bisbigliò, per poi chinare la testa,e osservare con insistenza la punta delle sue scarpe.

“No, non preoccuparti.”

Gli alzò il viso, due dita sotto il mento.

“Non hai detto niente di male. Non preoccuparti.

E le sue labbra s’incresparono in un sorriso rassicurante.

Lui voleva solo il bene di Alphonse, in fondo.

Alphonse amava quel sorriso. Era caldo come il sole d'agosto, caldo come gli abbracci della sua mamma quando ancora era con loro.

Tuttavia, ancora non era convinto che tutto andasse bene. Insomma, più che altro quella voce così apparentemente fredda - un pezzo di ghiaccio che quel caldo sole non riusciva a sciogliere - aveva installato in lui il tarlo del dubbio.

Ma probabilmente era solo una sua paranoia. In fondo, era stato via solo poche ore. E in poche ore non si può rovesciare il mondo, no?

Che c’è, Al?”

Edward notava ancora, nel fratello, uno sguardo preoccupato, che in fondo non era neppure giustificabile. Non era diverso dal normale, perché tutta quella apprensione?

Si avvicinò a lui, baciandolo sulla guancia.

Nella prospettiva di Alphonse, gli occhi che lo fissavano erano estremamente vuoti. E lo innervosiva il fatto che non capiva perché.

"No, niisan, nulla... - pigolò lui, ricambiando il bacio con un breve abbraccio - Che dici, prepariamo il pranzo?"

Era una paranoia, era una paranoia, era una paranoia.

Doveva essere per forza così.

Sciolse l'abbraccio, dichiarando al fratello che sarebbe andato a mettersi i vestiti di casa e poi si sarebbero messi a cucinare, come ogni giorno.

Probabilmente, quella fastidiosa sensazione sarebbe sparita nel giro di poco tempo. O almeno confidava in ciò.

“D’accordo”, pronunciò secco Ed, quasi irritato dal distacco.

Non gli piaceva che Al fosse lontano. Neppure per pochi attimi. Erano stati troppi anni distaccati da quell’armatura del diavolo, e prima si recuperava il tempo meglio era.

Prima, prima possibile.

Ogni secondo, ogni stilla di tempo. Doveva abbeverarsene fino ad ubriacarsi, di Al.

E lui sembrava non capire.

Addirittura si fermava a parlare con Mustang, quell’uomo insopportabile.

Inconcepibile.

Non tollerava che avesse contatti con altre persone. Lui era di Alphonse, e Alphonse apparteneva a lui.

Di diritto.

Interruppe il flusso di pensieri quando il rumore scricchiolante delle scale gli fece capire che stava per avere di nuovo la sua compagnia.

Alphonse si sistemò il colletto della maglia, riavvicinandosi a lui e sorridendo, deciso ad accantonare ogni strano pensiero.

"Sono stato veloce?" chiese, tirando poi fuori la lingua.

“Sì, velocissimo, niichan.”

Fu quasi acido nel rispondere.

Cosa mangiamo oggi?”

In verità non era tanto importante quel che avrebbe avuto nel piatto, ma chi lo preparava.

(Alphonse stava diventando una malattia.)

Il più piccolo sospirò appena, sentendo quel che tentava di mandar giù cercare di tornare prepotentemente a galla.

"Ti va il riso al curry? Ho trovato gli ingredienti in offerta, e siccome ti piace..."

Non sapeva di preciso come comportarsi. Se mostrarsi felice o per quello che aveva dentro.

Forse doveva solo stare più attento.

“D’accordo.”

D’improvviso, Edward gli andò dietro e lo abbracciò. Gli teneva le mani incrociate sul ventre, mentre strusciava le labbra contro al collo.

“Sai di buono…”, gli sussurrò all’orecchio, baciandogli ripetutamente la gota.

Non si interessò di far irrigidire Alphonse. Non erano da tutti i giorni quei suoi slanci d’affetto. Strani, strani e sospetti.

Il fratellino mugolò, stupito.

Poggiò le sue mani contro quelle del maggiore, una calda e morbida, l'altra fredda e appena ruvida - sarebbe andato incontro alla morte, se Winry avesse solo saputo.

La sua bocca sembrava rovente, e per contro la sua schiena venne scossa da un leggero brivido.

Decisamente strano.

"Merito del bagnoschiuma, niisan..." tentò di scherzare, stringendo appena la mano metallica (così che non potesse accorgersene, sperava).

“Buono…”

Continuò a strofinare le labbra sul collo, e i baci si spostarono su quella parte. La bocca era di ferro rovente, gli marchiava la pelle, le cicatrici si formavano ad ogni minimo sfioramento.

“Mio…”, sussurrò, appena percepibile, ma abbastanza forte da far sussultare Alphonse.

Si aggrappò istintivamente all'altra mano, sospirando.

Il suo comportamento non lo aiutava a capire cosa stesse passando nella testa del suo fratello adorato. Oltrettutto, persino la sua mente cominciava ad annebbiarsi, sotto quel tocco delicato e appena... spaventoso.

"T-tuo..." bisbigliò appena, chinando la testa di lato, chiudendo gli occhi per cercare di riordinare le idee.

Perché, era innegabile, Edward era strano. E non di uno strano piacevole.

"Tuo, Niisan..." ripeté, sentendo il calore impossessarsi delle sue guance.

Ad Edward bastò quell’unico monosillabo, per rincuorarsi. Ridacchiò nelle orecchie del fratellino, camminando con lui verso la cucina, sempre attaccato.

“Facciamo da mangiare assieme?”

… cominciò a chiedersi se non fosse bipolare, o qualcosa del genere.

In verità era un'ipotesi un po' azzardata. Insomma, non che fosse da tanto che avesse quell'aria totalmente assente a tratti, o che si ammutolisse per poi scherzare su qualcosa, o ridere a cuor leggero.

Ma in fondo suo fratello non era mai stata una persona... ordinaria.

Decise quindi che, nello stesso momento in cui avrebbe risposto alla sua domanda, avrebbe finalmente accantonato i pensieri per tirarli fuori, se necessario, in un altro momento.

"D'accordo!" ricambiò, mentre si faceva trasportare nella stanza dell'alchimia culinaria.

 

Si stava davvero bene lì, sul divano, con Al tra le gambe.

Dopo pranzo, lo aveva preso per il braccio, obbligandolo a sostare lì con lui. Non gli interessava che avesse altro da fare, come lavare i piatti, o leggere. Gli premeva di più poter sentire il profumo dei suoi capelli.

“Di che avete parlato, con Mustang?

Se ne uscì così, in un momento a caso, mentre il respiro di Alphonse si stava facendo più forte, indizio che stava per scivolare in un piacevole sonnellino pomeridiano.

Si mosse un po' tra le sue gambe, l'altro, riaprendo gli occhi e sbadigliando.

"Ma... niente di che in verità... Mi ha chiesto qualche consiglio su cosa cucinare e..."

Si interruppe, sbadigliando di nuovo e strofinandosi un occhio.

“Nient’altro, sicuro?”, domandò con tono insistente Ed, mascherando una vena d’ansia con un tono benevolo, carezzandogli i capelli morbidi.

"Mh... - mugugnò, rilassandosi sotto il tocco di quella mano - Ha detto che... sua cugina è arrivata ieri a Central City... E mi ha chiesto se potevo incontrarla per farle vedere la città... Sai, non è mai stata qui e..."

Tick.

(E’ il rumore di un filo che si stacca – un filo rosso di cotone sottile che tiene insieme una pezza per riparare un buco)

E non poteva pensarci lui…?”

Trattenne un attimo il respiro, il più piccolo, avvertendo una nota mal celata di fastidio in quelle parole.

Si risvegliò completamente dal torpore del caldo pomeridiano.

"Mi ha detto che stasera lui ha da fare in ufficio... Che il tenente Hawkeye gli ha portato un mucchio di documenti da firmare e controfirmare e ne avrà almeno fino a domattina..."

La stretta che teneva ancora attorno al suo ventre si fece, lentamente, sempre più stretta.

“Non può portarla in giro domani sera? Non poteva pensare, quell’uomo inutile, che tu avessi altro da fare che portare in giro una ragazza che non conosci neppure?”

"Beh, credo che non volesse lasciarla sola... - tremò appena, sentendo il tono contrariato di lui - Insomma, se tu andassi in un posto nuovo, credo farei lo stesso..."

Non aveva la benché minima intenzione di volarsi per osservarlo in viso. Era sicuro che avrebbe trovato occhi piccoli piccoli e labbra mordicchiate.

"E poi ha insistito un paio di volte..." si giustificò, sperando che si acquietasse.

Una bugia bianca in favore della tranquillità di Edward.

“Non sa ricevere un no, quell’uomo insopportabile?”

Delle buone intenzioni di Al, Ed non ne percepì nessuna. Anzi, fu solo più irritato.

Lasciò andare il fratello, per alzarsi e torreggiargli davanti, in tutta la sua confusa ed ingiustificata ira.

“Se io non volessi vederti uscire da quella porta, eh?! Sono tuo fratello maggiore, e mi dovresti ubbidire.

Questo non andò giù ad Al. Si sentì un oggetto. Rimase seduto a fissarlo, un broncio latente sul viso.

"Credo di essere abbastanza grande da poter decidere cosa fare o no senza chiederti il permesso, niisan."

Sentiva un fastidioso nervoso appropriarsi delle sue membra, un po' come quando da piccoli Edward si faceva burle di lui, e in risposta non sapeva fare altro che lamentarsi con sua madre.

"E poi non puoi darmi ordini. Faccio un favore a un amico!"

Più che il sentire definire Mustang un amico (di per sé già insopportabile e assurdo), a bruciargli come un carbone ardente in mezzo al petto fu la disubbidienza di Alphonse.

(Nel suo cervello, questa si tramutò in una mancanza di interesse nei suoi confronti, ceduto invece a quella femmina di cui entrambi non conoscevano neppure il nome)

Senza una parola, se ne andò in cucina, a passi pesanti. Dopo pochi attimi, si sentì il rumore di vetri rotti.

"Niisan!"

Alphonse scattò in piedi, correndo verso la stanza dove neanche poche ore prima stavano preparando il loro banchetto del mezzodì.

Vide le sue spalle muoversi velocemente, il pavimento costellato da piccoli cocci trasparenti - quasi sembravano brillare come stelle alla luce del sole.

"… ma sei completamente impazzito?!" fece, alzando la voce, pretendendo di non credere a quel che stava vedendo.

Dai cocci, Ed alzò lo sguardo verso Al, spaventandolo a morte. Aveva le iridi di una fiera, un animale impazzito a cui ogni cosa andava bene, in nome dell’esplicazione della propria rabbia. Sembrava un leone in procinto di avventarsi sulla propria preda.

“Ti sembro impazzito?”

Fulmineo, si avvicinò al fratello, costringendolo al muro, tenendogli i polsi in alto.

“Ti sembro impazzito?”

E questa volta fu quasi un sibilo.

Alphonse deglutì a vuoto un paio di volte, senza riuscire a dire una sola parola.

Non lo aveva mai visto così fuori dai gangheri. non aveva mai visto nei suoi occhi così tanta rabbia.

Sentiva ogni muscolo del corpo paralizzato, impaurito dalla sua reazione qualunque risposta avesse dato.

Il deglutire del fratello minore rimbombò nelle sue orecchie come uno scroscio d’acqua impazzita. Purificò la sua mente e lo fece rinsavire.

“Oddio…”, mormorò, mollando Alphonse, che si massaggiò i polsi ancora spaventato.

“Oddio oddio oddio…”

Quasi sull’orlo di piangere, abbracciò fortissimo l’altro ragazzo, scusandosi mille e mille volte.

Alphonse balbettò un paio di volte, nel tentativo di chiamarlo per nome, e quasi come un automa sollevò le braccia, abbracciandolo a sua volta.

Sempre il campanello che suonava nella sua testa, come un richiamo alla sua attenzione.

Gli carezzò la schiena, ancora tremante, mentre davanti ai suoi occhi vedeva quelle stelle artificiali farsi una grande macchia davanti alla nebbia dei suoi occhi.

“Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace…”

Era come una cantilena, pronunciata con voce rotta e spezzata – come quei cocci che luccicavano di una luce troppo bella per essere prodotta da pezzi di vetro, denuncianti un’anomalia, una macchia che si stava sempre più allargando dentro Edward.

Alphonse stava diventando la sua malattia. Sempre di più.

"N-niisan, basta..."

Lo strinse forte a sé, rendendosi conto di quanto male stesse suo fratello - nonostante ancora non capire quale fosse stata la causa scatenante di tutto.

Sentiva il cuore stringersi tanto da far male, mentre il suo labbro veniva continuamente molestato dai denti, per non piangere, per non lasciarsi andare.

"Va tutto bene."

Bugia bianca.

“Scusami, non capisco che diavolo… scusami, Al, mi dispiace tantissimo, io…”

Sembrava sull’orlo di traboccare, di esplodere come una diga.

“Devo averti spaventato così tanto, Al…”

Probabilmente era inutile ammettere il contrario, ma sembrava così mortificato che non se la sentì di spiattellargli contro la paura che gli aveva messo addosso.

Si limitò a stringerlo ancora un po', per poi prendergli le mani e scuotere la testa, tentando di guardarlo negli occhi, il labbro che ancora tremava.

Ed gli baciò le gote, la fronte, le mani, tentando di calmarlo in tutti i modi. Lo abbracciò, cullandolo, seguitando a mormorare le sue scuse più profonde e sentite.

“E’ ovvio che puoi fare come vuoi, Al… mi dispiace, mi dispiace…”

Tirò un profondo sospiro, Alphonse.

E con tutto il coraggio del mondo, lo allontanò un poco da sé, tenendogli le spalle.

"Non chiedermi scusa Niisan, basta... - mormorò - Va... tutto bene..."

Di nuovo.

“… a che ora devi uscire con la cugina di Mustang?”

Tirò su col naso, Edward, tenendo lo sguardo fisso sul viso di Al. Era pallido.

"Il... Il colonnello ha detto che... mi avrebbe aspettato alle sette nella piazza dell'orologio... Ma... se... se vuoi posso chiamare e dirle se..."

Aveva gli occhi pieni d'acqua limpida, il contorno degli occhi appena umidi.

Forse non doveva andare, e dir subito ad Edward che avrebbe declinato l'invito e, e, e...

“No, no, vai! Che ore sono? Quanto manca? Devi prepararti, niichan…”

Gli carezzò le guance, e Alphonse non poté che sussultare al profondo freddo che quelle dita gli trasmisero.

Sollevò gli occhi, cercando la sveglia con gli occhi, cercando di capire che ore fossero tra quella nebbia, cercando di calmarsi.

Sentendo l'umido scivolargli sotto gli occhi.

"S-sono le... le cinque..." balbettò, senza mollare le sue spalle.

“Su, devi tirare fuori i vestiti, di quelli buoni, e darti una lavata, non vorrai fare brutta figura con quella ragazza…”

Scrollandosi, tolse le mani del fratello dal suo corpo, e si diresse verso la camera di Alphonse, facendogli cenno di seguirlo. Lo avrebbe aiutato a conciarsi decentemente, e avrebbe fatto una figura meravigliosa, e sarebbe stato il suo orgoglio…

Alphonse rimase un attimo immobile, a guardarlo salire le scale, poi scosse la testa, cacciando via le lacrime dagli occhi, e lo seguì.

Lo vide chino su un cassetto, alla ricerca di qualcosa che potesse stare bene alla sua figura, sentendolo mormorare "Questo no, questo manco..." mentre frugava tra la sua roba.

"N-niisan, non preoccuparti, faccio io..." sibilò, senza sapere cosa aspettarsi in risposta.

Sapeva solo che la voglia di vedere quella ragazza ora come ora rasentava lo zero.

Ed lo guardò in viso, cogliendo all’istante quel che provava in quel momento. Andò ad abbracciarlo di nuovo.

“Mi dispiace… dai, sarà una bella serata, no? Ti divertirai tanto e poi me la farai conoscere, okay? Non solo perché ha del sangue in comune con quel coso dovrà essere così malaccio, no?”

E gli sorrise. Gli mostrò uno di quei sorrisi che Alphonse amava tanto, di quelli forti, e solari, e grandi come il cielo.

Al annuì, tentando di sorridere a sua volta.

"D'accordo, però... Non cercare roba troppo sofisticata, ok? - ridacchiò - Intanto vado a lavarmi, ok?"

“Certo, Al, certo.”

Lo salutò infantilmente con la mano mentre usciva dalla stanza verso il bagno.

Appena chiuse la porta, sentì un vuoto d’ampiezza quasi incomprensibile. Ma decise, quella volta, di non pensarci, e si diede alla ricerca di abiti buoni per Al.

 

"Ok, credo di aver preso tutto..."

Si sentiva decisamente a disagio con quella camicia dal collo un po' stretto. Sembrava un perfetto gentiluomo a detta di suo fratello.

Ed era sembrato così estasiato da non poter neanche osare contraddirlo.

"Non farò tardi, promesso..."

“Okay, a che ora pensi di tornare?”, domandò l’altro, sottolineando l’implicita affermazione che l’avrebbe aspettato sveglio.

Più lo guardava, più rimaneva abbagliato dal suo splendore.

"Sperando arrivi puntuale, spero non più tardi delle undici..." fece, chinando la testa sull'orologio da polso che Edward gli aveva prestato.

Troppo poco tempo per cercare il suo.

"Se sei stanco, vai a dormire, ok?"

“No, no, ti aspetto…”, replicò, sorridendo rassicurante. “Spero non si innamori di te, non voglio rimanere orfano di fratelli! Anche se sarà difficile che non rimanga affascinata da te…”

"Aw, Niisan! - fece, dandogli una pacca affettuosa sulla spalla - Non dire idiozie, dai... Se anche fosse, le dirò No grazie, sono proprietà privata!

E rise, scuotendo la testa per auto prendersi in giro.

“Questo è bene…”, bisbigliò quell’altro impercettibilmente, a voce talmente bassa da non farsi udire dal fratellino. “Hai sete, per caso?”, gli domandò invece.

"Mh, sì... - fece, annuendo - Non vorrei dover spendere più soldi del necessario per prendere da bere..."

Neanche fosse così costoso prendere dell'acqua. Ma prevedendo una chiusura dei negozi nel giro di un'ora e mezza, mai dire mai.

Senza una parola, ma solo sorridendogli, Ed si infilò in cucina, mettendoci un tempo estremamente lungo per riempire un semplice bicchier d’acqua.

“Non ne trovavo uno pulito…”, si giustificò.

"Nulla, Niisan!"

Afferrò il bicchiere a piene mani, deliziandosi del fresco che emanava. Portò il vetro alle labbra, ingollando fino all'ultima goccia del liquido, e poi si asciugò le labbra con la punta delle dita, alzando un sopracciglio per riflesso condizionato.

Strano sapore.

"Ok, allora prendo il giubbotto e vado!"

Ed fu più veloce di lui, allungandoglielo. Lo fissò un attimo con un’espressione indecifrabile dipinta sul volto, e un sogghigno non eccessivamente benevolo.

Alphonse lo fissò per un momento, poi prese il cappotto.

… tentò di prenderlo.

Non capiva perché, ma allungando la mano sul cappotto, non riusciva a sentirne la stoffa. E poi ne vide due.

Gli sembrava di avere le nuvole in testa.

“… n-niisan..."

“Sì, Alphonse? Non ti senti bene…?”

Una domanda retorica posta con un tono affettato e sarcastico.

Al, davanti a lui, stava perdendo ogni forza.

“Vuoi che ti porti a letto?”

Il piccolo strabuzzò gli occhi, sentendosi confuso.

Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, cercando di mettere qualche suono, ma l'unica cosa che uscì dalle sue labbra fu un suono strozzato, un mugolio sommesso.

Fece qualche distratto passo in avanti, appoggiandosi al suo fratellone.

"Nii..." bofonchiò, stringendo debolmente la spalla.

“Lo prendo per un sì…”

Mise il braccio metallico sotto le gambe del ragazzo semi morente, prendendolo in braccio come una sposa.

Gli baciò la fronte, mentre camminava verso la sua camera da letto e l’altro scivolava tra le dita sapienti di Morfeo come sabbia.

“Buonanotte, Alphonse.”

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


E dopo mesi e mesi di silenzio, eccoci di nuovo qua!*muoiono male* Siete stati bene durante le vacanze?♥ Speriamo di sì*^*

Bene, prima di passare al secondo capitolo, via alle risposte ai commenti è__é!

Beautiful_disaster: sì che è vera XD Ci sono persone che soffrono di questo disturbo... Siam contente ti piaccia, speriam di soddisfarti anche con questo^w^

Shichan: inquieta vero?8D Spero che il diabete non te lo sia beccata da noi XD *specie da Na che ne ha scritte davvero troppe e troppo mielose.* Grazie mille tata *w*

Chibisimo: Speriamo che andando avanti non ti sembri più tanto dolce XD Grazie del commento comunque^^

Paper Doll: Grazie tata *w* Ed è bello perché lo muove Mika, mica per altro ;__;!

Betta90: speriamo intanto che tu sia ancora una nostra fedele seguace ;_;! Ecco il seguito, speriamo ti gusti *O*<3

Sarazaretta: Grazie mille tata ^w^ Eh, fa il geloso male però...;A; Siamo tutte un po' preoccupate per Al, voi no?

Damaris: Eccolo*w* Siamo felici di aver reso bene una cosa così inusuale... speriamo di non deluderti andando avanti è_é

Prima di iniziare, pubblicità!

http://elricest.forumfree.net, venite numerosi/e!*^^*

And now, let's go on!

 

 

 

 

 

 

Mugolò appena, la testa pesante come un macigno.

Tentò di aprire gli occhi, ma la stanza era immersa così tanto nel buio che non riusciva a capire se effettivamente ci fosse riuscito o meno.

Che diavolo era successo? Ricordava solo che stava per uscire per fare da guida alla cugina di Mustang, e che suo fratello gli aveva porto il cappotto; dopo era tutto velato di nebbia, le orecchie infastidite da un ronzio continuo e molesto, anche ora che era sveglio.

Tentò di portarsi una mano al viso - stanco, stravolto, e chissà cos'altro - ma l'unica cosa che ottenne fu il rumore di metallo appena dietro di lui, e una stretta gelida attorno al polso.

"M-ma... che...?"

“Ben svegliato, fratellino.”

Alphonse si ritrovò il volto sorridente del suo niisan davanti.

Sorrideva, Edward, ciondolando le gambe sulla sedia troppo alta.

Sembrava un bambino – di tale innocenza era il velo dipinto sulle sue labbra curvate.

"Nii... niisan, che che cosa...!"

Cominciò ad agitare le braccia, quasi isterico - nonostante la debolezza attanagliasse ancora i suoi arti, ogni suo muscolo - ma ottenne solo la fitta di due profondi solchi doloranti nei polsi, e il tintinnare di quelle che non pensava avrebbe mai avuto addosso.

Un paio di manette.

“Mi sembra semplice.”

E ancora un sorriso – era quasi puro, infantile. Perché così gli sembrava la risposta che doveva dare allo spaventatissimo Alphonse.

“Ti ho legato, così non andrai più via.”

E lo disse con un tono di totale innocenza che sembrava davvero un infante che risponde in assoluta sincerità ad una domanda totalmente elementare (“Hai fatto i compiti oggi, Edward?” “Sì, mamma, e prima di Alphonse!”).

Alphonse spalancò gli occhi, sentendo forte il cuore battergli nella gola, nello stomaco, dappertutto.

Terrorizzato. Né più né meno. Al non riusciva a pensare a niente, se non a fuggire il più lontano possibile.

La paura aveva preso il posto del sangue, scorrendo veloce nelle sue vene. E il fatto di vedere appena suo fratello - quel bagliore lunare che si poggiava sui suoi lineamenti perfetti, rilassati, come se non stesse effettivamente succedendo nulla - lo terrorizzava, se possibile, ancora di più.

"Sl-slegami, niisan, slegami, Dio!", alzò la voce, agitandosi sul letto sfatto.

Un brivido di eccitazione attraversò la spina dorsale del fratello maggiore.

“Perché, Al…?”

Edward portò il viso a due millimetri da quello del fratello.

“Per farti fuggire, mio piccolo uccellino?”

No, questo non sarebbe mai accaduto. Lo avrebbe continuamente impedito. Mai, mai.

Al era solo suo. Incatenato a lui.

Per sempre.

Un brivido scosse il corpo della vittima, mentre incontrava le iridi d'oro dove neppure la luna riusciva a specchiarsi.

Non aveva mai avuto paura di lui, neanche per un solo istante.

Prima di quel momento.

Spalancò la bocca, cominciando a urlare disperato, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime.

Scappare scappare scappare.

Ed, infastidito da quelle urla insensate, gli tappò la bocca con la mano.

“Perché urli, niichan? Che bisogno c’è di farlo, mio carissimo niichan?”

Quello tentò di cacciare via la mano, sentendo la sua stessa voce soffocata e provando una sensazione tremenda al livello dello stomaco. Era come se tutto si stringesse al suo centro, come se ci fosse un buco nero che stava risucchiando tutte le sue viscere.

Agitò le gambe in segno di protesta, urlando parole che filtrate da quella mano calda diventavano mugugni incomprensibili.

Poi si fermò – niente più urla, niente più calci, solo lacrime che cominciavano a scivolare dalle sue guance, gelide rispetto al calore del suo viso.

Le labbra del Fullmetal andarono a baciare le perle liquide che scivolavano sulle guance dell’altro.

“Perché piangi, mio adorato niichan?”

Ripeteva le stesse domande, vuotamente, aspettando una risposta da Al.

Perché piangeva? Se l’era meritato, in fondo. Aveva tentato di fuggire.

Ed era stato anche buono in fondo. C’era chi gli avrebbe spezzato le gambe, per non farlo andare via.

Dal canto suo, Alphonse si limitò a singhiozzare pesantemente, il petto che andava su e giù senza controllo, rantoli che tentavano ora di venir soffocati, anziché liberati.

… perché non se n'era accorto prima?

Perché suo fratello - quello che gli faceva gli scherzi sulla culla, quello che gli spingeva l'altalena, quello che gli aveva ridato una vita fatta di sole sulla pelle e risate nelle orecchie - si era d'un tratto trasformato di qualcosa di orribile?

Non riusciva a smettere di piangere, impaurito al solo pensiero di quello che poteva succedere.

"L… lasciami… " sibilò, lo stomaco che si contorceva ancora.

“Perché mai? Non ti piace stare con me, Alphonse?”

E la voce si incrinò leggermente, spezzandosi come un vetro cosparso di sassolini.

Il suo cuore mancò un battito, mentre le lacrime continuavano copiose a scendere dal suo viso.

"Mi… mi fa male…" sibilò soltanto, in risposta.

Perduto.

“Ti farebbe più male se scappassi di qua.”

Perché il Fullmetal si era fissato sull’idea che Alphonse sarebbe fuggito.

Sì, la cugina di Mustang era una scusa, di certo. Voleva solo scappare, non averlo più tra i piedi, non volerlo più vedere.

Di certo era così, per forza!

E questo non doveva accadere.

"No… non me… non me ne vado…" disse, la voce roca, il leggero solletico sul collo di una lacrima fuggiasca.

Non era neanche sicuro che l'avesse sentito.

Non era neanche sicuro che quella che andava dicendo fosse la verità.

Sapeva solo che suo fratello aveva un problema.

E no, non era solo una stupida lite per bere il latte.

“… davvero?”

Quella promessa strappata sembrava aver rassicurato il più grande dei due. Lo aveva calmato, forse.

“Non scapperai mai da me, Al?”

Gli accarezzò il viso, sfiorandolo con dita ghiacciate.

L’altro mosse la testa, piano, in segno di assenso.

Probabilmente la testa di Edward era confusa quanto la sua, forse in un modo diverso.

Non si sarebbe mai sognato di andare via, lasciarlo da solo.

Solo in quel momento. Perché la paura aveva attanagliato ogni sua membra, senza dargli via di scampo.

“Me lo giuri, Alphonse?”

Gli toccava a malapena le gote con un’accuratezza da amante.

“Me lo giuri su nostra madre?”

Vicino, vicino, sempre più vicino – sempre più pericolosamente vicino.

“Me lo giuri su te stesso?”

Il piccolo si morse il labbro, singhiozzando e annuendo di nuovo, gli occhi stretti stretti, sapendo che tanto non avrebbe potuto vedere, con quel buio a coprire la stanza.

Sentiva il suo respiro sul viso... lo scaldava, lo arroventava.

Sudava, sudava paura.

"Sì…" bisbigliò, assicurandosi che comunque lo sentisse.

E di nuovo, Edward sorrise. Il sorriso puro di bambino gli illuminò il viso.

Lo liberò, abbracciandolo.

“Ne ero sicuro che non mi avresti lasciato, Al!”

Al, è davvero tuo fratello, questo?

Si lasciò sollevare dal materasso, senza accennare un minimo di resistenza. La debolezza, lo spavento, e tutti i - troppi- sentimenti provati in un solo tempo avevano intorpidito ogni suo muscolo.

Si limitò a singhiozzare sulla sua spalla, senza dire una parola.

Va e viene, sembra l'anima di un bambino disperso in un tunnel buio, un omicida prima del suo delitto.

“Scusa se ho usato questi metodi… un po’ bruschi.”, fece, grattandosi la testa, come a farsi perdonare di una marachella da mocciosi.

Iniziò a massaggiare i polsi del fratello, dopo aver sciolto l’abbraccio, col volto sereno.

Cosa stava succedendo nella sua mente?

C'era ancora qualche traccia del vecchio Edward lì dentro?

Alphonse mugolò di dolore, a quel contatto. Probabilmente qualche taglio, o la manetta troppo stretta. Ma faceva male.

Faceva male tutto.

Ed, dimentico dell’empatia naturale che lo collegava al fratello, continuò a massaggiarlo, tranquillo e beato come un fanciullo di pochi anni.

“Mi sembrava l’unico modo buono di convincerti, scusa…

Al ritrasse le mani con uno scatto, preso da un improvviso brivido alla schiena.

Si sentiva a disagio, con le sue mani addosso.

"Mi fa male." si giustificò, portando i polsi dietro la schiena.

“… ti ho già chiesto scusa, mi pare.”, mormorò Edward, con lo sguardo basso sulle proprie dita che prima toccavano la pelle tiepida del fratello. “Non ti sembra abbastanza? Perché ti arrabbi?”

Era lui ad avere ragione, non certo Alphonse!

"Non… non mi sto arrabbiando… - mormorò il fratello, retrocedendo un poco sul materasso (un pochino solo, piano, pianissimo, perché lui non se ne accorgesse) - Stavo solo dicendo che… che mi fa male…"

“Te l’ho già detto, era l’unico modo per farti ragionare.”

Lo era davvero, Al?

“Saresti andato via.”

"Non… non me ne sarei andato…" mormorò, stringendo i lobi della coperta, un sospiro soffice che si schiantava con la tensione che aleggiava nella stanza.

"... devo chiamare la... cugina del colonnello..."

“… cosa?”

Le parole di Alphonse erano come forbici, che recidevano ogni più piccolo e sottile filo che collegava ancora Edward alla normale realtà umana. Tagliavano ogni contatto, poco a poco, involontariamente.

“Vuoi organizzarti con lei per fuggire?”

Ogni parola rassicurante precedente del fratello era stata cancellata, lavata via con un minimo tocco di spugna bagnata.

"Niisan… - cantilenò, scuotendo piano la testa - Non voglio fuggire da nessuna parte… voglio solo scusarmi…"

Pigolò, stanco, attraverso le coperte tirate sulle labbra.

Non capiva da dove suo fratello avesse tolto fuori un'idea tanto assurda. Non aveva mai avuto l'intenzione di lasciarlo, mai. E adesso, si vedeva assalito dai suoi inutili dubbi.

Quando aveva cominciato a diventare così? Aveva perso qualche passaggio, in tutto quel tempo? Aveva forse sbagliato qualcosa?

“… vai a fare questa telefonata.”

Facendo stridere le gambe della sedia sul pavimento, si alzò e se ne andò, precedendolo in salotto, dove si trovava il vecchio telefono, regalo di zia Pinako.

Sembrava essersi calmato. Acido, scorbutico, ma calmo.

Alphonse piegò le gambe al petto, passandosi le mani sul viso e sospirando.

"Dio..."

Prendendo coraggio - ed invocando la divina provvidenza affinché le sue gambe reggessero (si sentiva ancora come se gli avessero dato una botta in testa, di quelle pesanti, che ti rimane addosso la confusione per tutto il giorno) - poggiò i piedi sul parquet, seguendo suo fratello.

Buttò un occhio all'orologio, inarcando le sopracciglia. Sperava solo che quella ragazza fosse restata a casa e non fosse uscita.

In malo modo, Ed gli diede in mano la cornetta, e si sedette di fianco a lui, per assicurarsi che dalle sue labbra non uscisse nulla che non gli andava a genio.

“Su, muoviti. È tardi.”

Al sì limitò a prendere la cornetta e a comporre il numero della ragazza, scritto di gran fretta dal colonnello su uno scontrino che ancora aveva in tasca. Aspettò che il telefono smettesse di squillare, e quando sentì la voce dall'altra parte, deglutì, prima di salutare.

"Salve, sono Alphonse... sì, l'amico del colonnello Mustang... mi dispiace per non poter essere venuto ma..."

Buttò un occhio su suo fratello, le labbra serrate e gli occhi fissi sui suoi.

"... ma non sono stato bene e quindi..."

Edward, riducendo gli occhi a fessure, gli strappò il telefono di mano.

“Quindi ciao.”

E ributtò giù, sorridendo poi ad Alphonse, senza proferir parola alcuna.

"Ma... niisan! – esclamò, stringendo un pugno e incrociando il suo sguardo. – Ce n'era bisogno?!"

Poteva capire l'astio nel confronti di Mustang - quello c'era sempre stato, e sempre avrebbe continuato ad esserci - ma non verso quella ragazza.

"Potevi evitare, sai!"

“Anche no.”

E il sorriso non mutò, assolutamente, neppure per un istante.

Ed era questa la cosa che più spaventava Al.

Sentiva il cuore battergli in gola.

Era diventato quasi... temibile.

Prima lo scatto d'ira, poi... Dio, non aveva neanche capito ancora cosa gli aveva fatto - doveva essere stata quell'acqua ad averlo mandato k.o., non c'era altra spiegazione - e ora questo.

"Tu non..."

“Io non cosa, niichan?”

Il sorriso, sempre lo stesso, si velò di una sorta di malignità. Affilato, divenne, come un coltello.

“Cosa non posso fare, niichan?”

Si avvicinò sempre di più ad Al, facendolo retrocedere.

“Credi di potermi dire che fare e che non fare, niichan?”

Passo dopo passo - piccoli, lenti, appena percettibili - sentì il muro sfiorare la sua schiena. E di nuovo la paura gli attanagliava lo stomaco.

"Tu... tu..." balbettò ancora, senza riuscire a concludere la frase.

Edward gli tappò la bocca per l’ennesima volta col palmo della mano.

“Io cosa, Al? Che vuoi dire, eh?”

Sempre più forti attorno alle labbra, Alphonse si sentiva soffocare, morire.

“Pensi forse di potermi ordinare qualcosa, bambino mio? Tu, che mi devi tutto? Tu, che mi devi la vita intera? Chi credi di dover ringraziare per il tuo corpo? Chi credi di dover adorare per sempre, per la vita di ora?”

Mentre quello lo fissava con occhi quasi inespressivi, la cui unica cosa che riuscivano a trasmettere era il terrore che saliva dallo stomaco, Alphonse si aggrappò al polso d'acciaio di suo fratello, tentando di liberarsi da quella stretta, dolorosa più per la persona che gli stava facendo così male, piuttosto che per il dolore in sé. Farfugliò un lasciami a labbra serrate, spingendo con tutta la sua forza.

Gli occhi di Edward erano due puntini opachi.

“Bambino ingrato, di chi credi sia il merito, eh? Che credi che abbia dato in cambio della tua carne pulsante? Cosa, eh? La cosa più preziosa che avevo! E tu, irriconoscente, ora vuoi scappare!”

Il più giovane scosse nervosamente la testa, un po' per rispondere a quelle accuse, un po' per trovare un modo per liberarsi. Inutilmente. Sentì gli occhi pizzicare, mentre il cuore correva dannatamente veloce.

Temeva quasi stesse per scoppiare, come era scoppiata l'ira di suo fratello.

Implorò ancora di essere liberato da quella stretta, senza risultato.

Questo non è mio fratello, questo non è mio fratello, questo non è...

Alphonse poteva sentire il respiro del fratello sfiorargli la pelle e riempirlo di brividi da capo a piedi – il corpo non riusciva a smettere di tremare, e questo non fece che indispettire ancora di più Edward.

Perché tremava? Perché? Che motivi ne aveva?

“Perché tremi?! Non ne hai diritto, perché lo fai?!”

E si stupì, il più piccolo, che ancora non riuscisse a comprenderlo.

Non è mio fratello, non è mio fratello...

Cominciò a sentire le gambe farsi molli, mentre il respiro andava al diavolo - sentiva in bocca il sapore del metallo, quelle dita grigie che premevano violente sulle sue labbra, bagnate dalle lacrime che non riuscirono più a stare al loro posto.

“Cos’hai da piangere, Al?”

Con la mano libera, gli asciugò le perle liquide. Anche le sue dita sembravano avere personalità differente. Un assassino e un fratello. Un pazzo e un amante.

“Perché piangi?”

Si ritrovò a piangere per la seconda volta, inerme.

Era una situazione subdola, impossibile. Pensava ad Edward , quello vero, quello che ha sempre il sorriso sulle labbra, quello che sa solo viziare il suo fratellino, "Niichan, niichan, niichan!" ,e vedeva davanti a se un uomo completamente diverso.

Vedeva quegli occhi, e si trovava in balia di un estraneo.

“Ti ho fatto qualcosa di male, Al?”

Ed parlava con un’innocenza totale e per nulla fittizia. Guardava Al chiedendosi che stesse succedendo.

Tutto cancellato?
Tutto dimenticato?

Non c’era più speranza di farlo tornare normale?

Non sapendo da dove avesse trovato la forza, riuscì finalmente ad allontanarlo - giusto in tempo per non cadere ai suoi piedi privo di sensi una seconda volta, per non farsi vedere più debole di quanto solo la sua visione riusciva a farlo essere  - e corse verso la camera, balbettando il nome del suo fratellone, ricamato da un Non è possibile qua e là.

Sì intrufolò tra le coperte, nascondendosi sotto di esse, tremando come un ramo sbattuto a destra e a manca dal vento.

Non era lui, non era lui, non era lui…

Quello che era teoricamente suo fratello sbuffò, allontanando un ciuffo di capelli (gli erano cresciuti incredibilmente, nella totale noncuranza) dagli occhi e si alzò.

“Bah…”, fu l’unico monosillabo che uscì dalle sue labbra.

Se fosse stato normale, si sarebbe gettato su Alphonse, cullandolo, tranquillizzandolo.

Se fosse stato normale, non sarebbe successo nulla, in realtà.

Se fosse stato normale, non ci sarebbero stati né vetri rotti, né lacrime, né occhi iniettati di quel principio di pazzia che sembrava star dilagando nel petto del maggiore, nel suo corpo, nel suo cervello.

I singhiozzi della vittima rimbombavano nelle pareti vuote della stanza, mentre tutto si faceva più scuro.

 

Per la prima volta, dopo anni, i due fratelli avevano dormito separati. Al nel letto in cui non aveva smesso di tremare e Ed sul divano. In verità, non aveva chiuso occhio, rimuginando su tutta la giornata precedente.

Aveva un mal di testa come quelli provocati dall’alcool. Ogni minimo rumore gli rimbombava nel cranio, insopportabilmente. Il cinguettio degli uccelli, i bambini che andavano a scuola, il telefono…

… il telefono?

“Chi diavolo è a quest’ora?”

Scocciato, si alzò, prendendo in mano la cornetta.

La sua alterazione aumentò incommensurabilmente, al solo sentire quell’odiata voce.

Un complotto, ecco cos’era, un meschino complotto architettato alle sue spalle!!

Ah, ma non l’avrebbero passato liscia, lui e quell’altro!!

“ALPHONSE, E’ PER TE!”

Alphonse si girò verso la porta, avvolto ancora nelle coperte.

Sotto le palpebre, due occhiaie di un viola appena accennato, gli occhi arrossati dalla paura che ancora gli circolava in corpo.

Non sapeva chi potesse essere, né cosa potesse volere. Ma con un briciolo di intelligenza pensò che forse era meglio andare da lui per non provocarlo ancora di più.

La sua voce era quella di un leone che non mangiava da giorni e reclamava il suo cibo furibondo.

Combattendo contro la voglia di restare nascosto sotto il tepore delle coperte, prese il piumone e se lo avvolse attorno alle spalle, mettendo piede sul pavimento freddo e dirigendosi verso la cucina.

"Chi... chi è?" mormorò appena, senza incrociare lo sguardo del fratello maggiore.

“Mustang.”

L’acido con cui, solitamente, pronunciava quel nome venne triplicato, quadruplicato, potenziato all’ennesima.

Tornò in camera, prendendo il fratello per il braccio in malo modo, stringendo le dita sulla carne morbida, portandolo in cucina praticamente di peso, e dandogli la cornetta in mano.

Vediamo cosa architettano alle mie spalle.

Alphonse la fissò per un attimo, la schiena scossa da un brivido.

E adesso, cosa gli avrebbe detto?

"... p-pronto?" mormorò, dopo aver portato l'apparecchio all'orecchio.

Dall'altra parte udì la voce squillante ed un pizzico preoccupata del generale chiedere spiegazioni.

"Io... - alzò lo sguardo cercando quello del fratello per riflesso incondizionato - Mi dispiace per... ieri sera, generale... ma ecco... non... non sono stato bene e..."

E non sentì più la voce del colonnello. Anzi, non sentì più nulla. Alzò lo sguardo sulla figura del fratello.

“Mi irritava. E mi ha sempre irritato il rumore del telefono. Così non avremo più questo problema, no?”

In mano, risplendevano assassine le forbici.

“Così nessuno ti disturberà più, non trovi?”

Alphonse tenne lo sguardo fisso sul suo viso soddisfatto.

"Ma..." boccheggiò, aprendo e chiudendo la bocca lentamente - era come se suo fratello fosse in piena metamorfosi, cambiava così rapidamente da un momento all'altro che gli faceva... paura.

"Niisan..." bisbigliò, guardando la cornetta ormai inutile nella sua mano.

“Tu non hai bisogno di nessun altro che non sia io, no?”

Lo guardava e sorrideva, estremamente convinto di quello che diceva.

Se fino a quando era un’armatura non erano vissuti che unicamente di loro stessi, perché ora qualcosa sarebbe dovuto cambiare?

“Non è così, Al?”

Il più piccolo sentiva la mano che reggeva il telefono tremare, mentre continuava a fissare terrorizzato il volto di suo fratello.

Il suo viso sembrava così rilassato da essere troppo... felice.

"S... smettila..." disse, un sospiro appena pronunciato, la gola che si chiudeva, e non lo lasciava respirare.

“Di far cosa, Al?”

Nella sua voce non c’era nulla che potesse tradire falsità, o artificiale. Tutto quello che pronunciava, ogni singola sillaba gli veniva dal cuore, e lui ci credeva profondamente.

Di che poteva abbisognare il suo adorato fratellino, se non di lui? Cos’altro poteva essergli fondamentale?

Nulla, ovviamente.

"Di... di fare così..."

La voce del minore degli Elric si faceva sempre più bassa, lo sguardo scendeva al pavimento, intimorito da quel contatto visivo.

"Di... di..."

Indietreggiò, quasi le sue gambe avessero deciso di comandare al posto della sua testa.

Non sapeva cosa fare.

I fili del telefono penzolavano dal mobile dov'era poggiato.

Era isolato, abbandonato. Solo.

“Cosa, Al?”

Edward lo seguì, e più avanzava più l’altro indietreggiava.

“Di fare cosa?”

Poteva sentire il suo respiro caldo contro il collo.

“Cosa sto facendo, Al, di male, secondo te?”

L'interessato sentì il gelido marmo del tavolo sbattergli contro i lombi.

Scosse la testa, il cuore ormai andato per altre strade.

"Mi stai..."

“Ti sto?”

Non capiva, semplicemente. Cos’aveva? Che succedeva al suo fratellino?

Eppure non stava facendo nulla di male.

Alphonse mise le mani davanti, le braccia tremavano, quasi ci fosse un terremoto.

"Non... non ti... avvicinare..."

Ad Edward montò su un’irritazione inimmaginabile.

Perché si comportava così? Cos’aveva fatto di male per meritarsi un’irriconoscenza simile?

“Merda, fai come cazzo ti pare!!”

Come una furia, tornò in camera da letto, sbattendo rabbioso tutte le porte che trovò nel suo cammino.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


Pensavate che saremmo tornate per natale, eh? E invece noo!(cit.) Stavolta siamo state molto molto brave, e quindi ecco il terzo capitolo è_é! Edo è così carino e dolce qua, si vede come vuole bene ad Al..*^* *sbrillano di amore e *coff coff ok scherzavamo.*

Prima di iniziare, solito appuntamento con le risposte ai commenti *O*

Elmeren Kun: Si, qua in teoria non pensiamo ci sia dell'elricest - Ed è solo un po' ossessionato da suo fratello, ecco. Ma perché lui è uno psicotico puccino, e tutti noi lo amiamo per questo.&heart; Grazie mille per i complimenti >w< E... no grazie çOç!

Damaris: ArigaTTo è_é<3 Ci spiace averti (e avervi) fatto aspettare così tanto, però vediam che ne è valsa la pena, no?^^ Grazie mille per tutto ;A;

BeautifulKirja: La bipolarità di Edo è tutto merito di Mika *^* Lei è tanto brava in ste cose çwç Cioé scrive da dio ecco. E il mio Al viene di conseguenza, perché vuole essere degno di stare qui dentro.<3

FightClub: XDDDD Eccolo qua^O^

Saku_chan: Pubblicizza, pubblicizza è__é!!XD Sembra o è?*ammiccano pesantemente* Grazie mille tata *w*

Chibisimo: Siamo in due ^_^ Mikael_Ace e Nacchan è_é  Abbiamo preservato la tua salute psichica aggiornando presto, olé *O* Credo rimarrai soddisfatta di questo capitolo...<3

 

And now, let's read all together, one, two, three!

 

 

 

Alphonse tornò a respirare.

Voltò il viso, osservando le porte muoversi ancora, vittime del passaggio di una furia di cui neanche lui aveva ancora capito la causa.

Era la prima volta in tutta la sua vita che non...

Che non riusciva a capirlo.

"Niisan..." sospirò, azzardando un passo verso il salotto.

Edward si morse un labbro, nervoso ed arrabbiato. Non lo aveva neppure seguito! Non gliene fregava proprio nulla di lui!!

Tornò indietro, rabbiosamente, giusto per espletargli quel che stava pensando.

“Non te ne importa un cazzo di me, vero?!”

Al si fermò a guardarlo, interdetto.

Non poteva aver davvero sentito quelle parole. Eppure rimbombavano, dolorose, fino al cuore.

Gli corse incontro, afferrandolo per le spalle e scuotendolo con forza - per quanta forza potesse avere addosso dopo quella frase impossibile.

"Smettila! - urlò, sconvolto - Smettila di dire idiozie! Come puoi..."

Lo lasciò, passandosi una mano in volto e sollevando lo sguardo al cielo per trattenere le lacrime.

"Come puoi pensarlo...?"

“Dai tuoi comportamenti! Non vorresti fare altro che andartene da me, vero?! Ma  non lo farai, cazzo, io ti ho dato la vita, e solo io posso strappartela!”

Violentemente, il maggiore spinse il fratellino contro il muro, mentre le mani, incontrollate, furiose, impazzite, gelide e bollenti – cicatrici ovunque passassero –, ne saggiavano le teneri carni, come la lingua che s’era dedicata, ustionante e maledetta, al collo.

Al sentiva la sua testa vorticare, il più piccolo, mentre a stento tratteneva un urlo di dolore - vuoi per lo scontro col gelido muro, vuoi per l'inaspettata reazione del fratello.

Per la paura delle sue parole.

Allungò le mani sulle sue braccia, tentando di scansarlo, di levare quel peso che aveva sempre amato sentire in lui quando erano bambini, e tutto andava ancora bene.

Quei tempi erano andati, e se ne rese conto del tutto solo in quel momento. Probabilmente - con tutta convinzione forse - suo fratello, quello che lui era abituato a vedere, quello che lo consolava, lo faceva divertire, e faceva lo stupido nei momenti neri, non esisteva più. E già da un po', ormai. Come aveva fatto a rendersene conto solo in quel momento? - mentre sentiva le dita quasi strappargli le carni di dosso.

Per Alphonse, fu una doccia gelida in pieno inverno. Finalmente comprendere in pieno la follia che s’era impossessata del fratello maggiore, del suo idolatrato Niisan, lo riempì di brividi e terrore. Sentiva addosso il suo respiro, pesante come fango.

“Non te ne andrai mai da me…”

Edward pensava che, così facendo, suo fratello sarebbe stato marchiato, e legato a lui per sempre. Non c’era altro modo, che quello carnale. Non vi erano altre catene che lo avrebbero tenuto lì.

Ma, in fondo, non stava facendo che il suo bene, no? Alphonse non stava bene da nessun’altra parte, se non sotto le protettive ali del suo fratellone. Quindi, che male c’era in quel che stava facendo?

Al strinse le mani attorno alle spalle del fratello, tentando di staccarselo di dosso. E dire che quando era un'armatura, era sempre lui a vincere contro quel biondino sfacciato. Invece, ora si trovava in balia delle sue mani, di quella stretta forte che gli avrebbe lasciato addosso il segno per sempre, di quelle labbra che lo mordevano, del suo corpo che premeva sul proprio, per assicurarsi che non andasse da nessuna parte se non lì.

Se non a subire, senza possibilità di scampo.

Era la prima volta in vita sua che non voleva essere lì. Nella sua stessa stanza, nella sua stessa casa.

La mancanza di urla, quella resistenza che non riusciva a classificare in altro modo che passiva, lo rendevano sempre più forte nella sua convinzione.

Scopatelo, e vedrai come non se ne andrà più.

Un ginocchio, gelido, di Edward andò in mezzo alle cosce di Alphonse.

Quel pensiero non faceva che rimbombargli in testa, torbido, assurdo, contro ogni desiderio ed ogni morale.

"Mmmh!"

Si morse un labbro, sentendo una scossa lungo la schiena - per riscendere poi al basso ventre.

"Niisan, no, niisan!"

Spinse più forte che poteva, mentre sentiva l'arto del fratello muoversi piano tra le sue gambe.

“Perché? Cosa sto facendo di male?”

Scoparselo equivaleva… ad una dimostrazione di possessione, no?

“Sei mio, no?”

"No... NO!"

Forse perché alzò la voce all'improvviso, il più piccolo riuscì a spintonarlo via, assestandogli un pugno che, per poco forte fosse, ferì il labbro del maggiore.

Annaspò, guardandolo, portarsi una mano alla bocca - indietreggiando un poco, cercando sicurezza nella distanza.

Qualcos’altro andò a spezzarsi, per l’ennesima volta, saltando come un filo della luce – e l’ennesima, minuscola lampadina che ancora, imperterrita, rimaneva accesa nella mente del Fullmetal, si spense.

“Perché non vuoi…?”

Sembrava così fragile, il suo fratellino.

Perché? Eppure non gli stava facendo nulla.

Allora aveva davvero intenzione di…?

“Te ne vuoi andare davvero…?”

L’altro poteva quasi scorgere un velo di lacrime nei suoi occhi dorati.

"Sm... smettila, non attacca! - urlò, indietreggiando ancora. - Non ci casco..."

Eppure, il cuore sembrava stringersi. Sentiva il suo respiro farsi faticoso per il peso che gravava sul petto.

A cosa diamine doveva credere...?

Tutta la forza che prima era nel corpo di Edward, d’improvviso sparì, lasciandolo sfiancato.

Si sentì, tutto d’un colpo, vuoto e solo.

Si passò una mano sul viso, e con essa si coprì gli occhi.

“Resta qui…”

Un filo di voce che sarebbe potuto essere reciso con assoluta semplicità. Ma, al contempo, così forte da poter spezzare la forbice che avesse osato avvicinarlo. Per cui Alphonse non poté fare altro che ubbidire, ancora frastornato.

Ma, pochi attimi dopo che il fratello se n’era andato, udì rimbombare per tutta casa l’inconfondibile rumore delle finestre sbarrate.

“Io vado a farmi un giro, Al. Ti lascio qui, d’accordo?, così che potrai schiarirti un po’ le idee…”

Aveva un tono triste, lacrimoso, e gli occhi annebbiati da una leggera cortina umida.

"Non... posso venire con te?" azzardò Al, sentendosi improvvisamente chiuso in una prigione.

“No, non mi pare una buona idea.”, rispose l’altro, usando un tono che sembrava rimarcare quanto sarebbe stato dannoso se fosse uscito con lui.

Prese le chiavi, che tintinnarono nel rimbalzare nella tasca dei pantaloni, ed uscì. Chiudendo tutto con tre giri di chiave.

Al, occhi sbarrati, corse di scatto verso la porta, tentando di aprire la porta.

"Niisan, aspetta! NIISAN!"

Inutilmente.

Si voltò, guardandosi attorno. La luce filtrava appena dalle finestre, sbarrate in men che non si dica dal sistema di sicurezza. Che suo fratello si era premurato di bloccare con la chiave che si era portato dietro.

Corse in camera, in bagno, in cucina, ma niente. Tutto assolutamente chiuso ermeticamente.

Si sentiva soffocare.

“Ci vediamo dopo, Al.”

 

Non avrebbe resistito a lungo restando in quella situazione.

Ogni possibile via di fuga gli era stata preclusa - porte, finestre, e passare per i condotti dell'aria era idiota e pericoloso.

Non riusciva a stare fermo. Gironzolava per la casa da giorni interi, cercando qualcosa di abbastanza robusto per sfondare almeno le sbarre della finestra della sua camera.

Ma la cosa più robusta che riusciva a vedere era un tavolo di legno - quindi, niente da fare.

"Cristo..." sibilò, cambiando stanza.

Nel bagno, l'unica cosa che poteva usare era saldata al pavimento - stupidi e inutili lavandini.

Forse, se avesse avuto abbastanza forza, avrebbe potuto usare il letto. Ma era solo e stanco - poco cibo e poco sonno non sono proprio la cosa più salubre.

Alla fine, la provvidenza divina si personifico in una spranga proprio davanti ai suoi occhi. Lì, nascosta dietro il letto del suo fratellone - un pezzo di ferro che brillava colpito da quella poca luce esterna.

"Proviamo." disse a se stesso, prendendola in mano e andando verso la sua stanza.

Aprì i vetri, osservando le sbarre davanti ai suoi occhi.

Era terribile pensare al cambiamento di suo fratello in così... poco tempo. Perché non era riuscito ad accorgersene prima?

E ora, come se non bastasse, era via da troppo tempo.

E ora, oltre all'ansia per la sua vita, si aggiungeva quella per suo fratello, e soprattutto...

Sarebbe mai riuscito ad uscire da lì? Mise la spranga tra due sbarre, cominciando a fare forza.

Ma i risultati non sembravano venire a galla.

"Forza, piccole, forza..." mormorò, spingendo col corpo sull'attrezzo e pregando dio che non tornasse.

Ma insomma, in anni e anni di vita, e con tutte le esperienze che avevano affrontato lui e suo fratello, aveva imparato una cosa.

Dio non c'era.

Non per loro, almeno.

E diede, per l’ennesima volta, una palese prova della sua inesistenza.

“Alphonse, cosa diavolo stai facendo…?”

La domanda arrivò fredda, una stilettata nella schiena, e gli trafisse il petto.

Rimase immobile, in apnea, terrorizzato.

Perché proprio in quel momento? Di mille che ne aveva avuti a disposizione, perché doveva ricomparire proprio in quell'istante?

Vedeva la libertà allontanarsi di nuovo.

Non fiatò. Non poteva farcela.

“Allora…?”

Edward incrociò le braccia al petto, battendo lentamente un piede per terra, ad aspettare una risposta ovvia, e quantomeno banale.

Quasi autolesionista, voleva assaggiarne l’amaro pronunciato dalle sue labbra.

“Voglio andarmene”, si aspettava.

Sarebbe stato terribile, vederlo uscire dalla bocca di Al.

Non aveva avuto neanche il coraggio di voltarsi a guardare la sua espressione - avrebbe avuto paura di vederla incazzata, avrebbe provato pena nel vederlo triste.

Non riusciva a capire che cosa provasse, neanche dal tono della sua voce.

Cominciò a tremare, aprendo la bocca.

"V-volevo..."

“Scappare, non è così?”

Si avvicinò al fratello, e ogni minimo rumore rimbombava violentemente nel cranio di Alphonse.

“Ti sembra normale voler scappare da tuo fratello, dalla tua vita, da chi dovresti adorare e venerare…? Da me?!”

Ogni parola, ogni singola lettera, grondava ossessione – e sporco, lordo, soffocante, avvolgeva Al, come il più temibile e sadico degli amanti.

Non ne sarebbe mai uscito.

"Non... non volevo sc-"

Le parole si bloccavano in gola. In diciotto anni di vita, non era mai stato capace di mentire, neanche quando si trattava di vita o di morte, come in quel caso.

Lui non voleva solo scappare. Voleva andare il più lontano possibile da quella prigione.

Subito, all'istante.

Ma non sarebbe servito a niente, volere.

Pregava soltanto di uscirne presto. Incolume possibilmente. Non avrebbe sopportato a lungo - sentiva le membra stanche da quella pressione gravargli sul corpo.

Nell’aria, era quasi percepibile ogni singola rottura dei nervi.

“Perché devi rifilarmi certe cazzate, quand’è evidente che sono cazzate?”

Ora, faceva veramente paura. Non che prima fosse stato meno inquietante, ma ora – gli occhi ridotti a fessura, le membra che non accennavano a smettere di tremare – avrebbe spaventato il più temibile dei guerrieri.

Alphonse afferrò salda la spranga, girandosi piano e ritrovandoselo a pochi centimetri da sé.

"Non... non ti avvicinare!" urlò, senza poter fare a meno di scuotere ogni muscolo - quasi fosse una gara a chi vinceva, se la paura, o la rabbia.

Allungò la spranga davanti al suo naso, sperando di fargli paura, senza ottenere nessun minimo risultato. Edward gliela tolse di mano, usando lui stesso.

Rimbombò, infernale, il rumore delle ossa rotte della gamba destra di Alphonse.

“Così ci penserai due volte, prima di fuggire da me…”

Non gli fece il minimo effetto, l'urlo del fratellino che gli trapanava le orecchie, ora in ginocchio davanti a lui a tenersi la gamba dolente.

Questi tentò di cercare nel suo viso un barlume di sanità mentale, ma non vide altro che vuoto nei suoi occhi.

Non avrebbe mai fatto una cosa simile, mai. Non il suo niisan. Quello vero, quello con cui rideva e giocava.

Cominciarono, davanti agli occhi di Al, davanti alle palpebre chiuse dal dolore, a mostrarsi, uno per uno, i migliori momenti passati col fratello. Che, terribilmente, si affiancarono alla figura tremolante del nuovo Edward che gli si parava di fronte.

Totalmente differente.

Non esisteva più nulla di quel fratello che da piccolo gli dava i colpi alla testa perché geloso delle attenzioni che la mamma dava solo a lui, non c'era più niente dei giochi nel fango e delle lotte per conquistare Winry, nulla dell'affetto che gli aveva avvolti e protetti da ogni male fino a qualche tempo prima.

Ora c'era solo uno sconosciuto con una spranga in mano.

E lui voleva solo scappare.

Provò a strisciare verso il ragazzo, trascinandosi e stringendo i denti contro il labbro dal dolore.

"L-lasciami..."

Edward si chinò, sorridendo. Gli baciò una gota bagnata, facendolo rabbrividire.

“Posso anche lasciarti andare, ma non credo andresti molto lontano, messo così, tesoro mio…”

Carezze di lunghe e scheletriche dita. Stessa sensazione di paura ed orrore immobilizzante.

Alphonse si lasciò scivolare a terra, reggendosi la gamba dolente, cercando di allontanarsi da quell'estraneo.

Il busto era scosso da singhiozzi di sofferenza - il dolore fisico, quello dell'anima che vorticavano insieme lungo ogni sua fibra.

"Lasciami..." ripeté ancora, con un filo di voce.

“No. Non ti lascerò mai, fratellino adorato.”

Gli baciò la fronte, con amore affettato.

“Vuoi che ti vada a prendere qualcosa, per quella brutta ferita? Non vorremo mai che non guarisse mai più, vero…?”

Al si limitò al silenzio, stringendo le dita attorno ai pantaloni macchiati di sangue.
Sentiva un leggero sfarfallio nella testa, probabilmente colpa del dolore.
Pregò che qualcuno venisse presto in casa loro, a chiedere come stavano, come mai non si facevano vivi da giorni.
Ma a giudicare dalla sua fortuna, non sarebbe venuto nessuno.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


Zan zan zan.

Questo è l'ultimo capitolo.*tolgono cappelli dalla testa per rispettare un minuto di silenzio*

... Ma don't worry, be happy!*O* Ci sarà anche l'epilogo, insomma è_é! E quindi voi non verrete qua ad ucciderci con delle grandi mannaie vero?ç_ç *fanno occhi cucciolosi*.

Insomma, siamo strafelici di come Miedo sia piaciuta. E vi ringraziao tutti quanti dal profondo del cuore. Grazie, grazie, grazie!*w*

E ora, let's respond ai comment!

Red Robin: No no, niente incesto qua XD Cioé forse un po' - ma insomma, da due maniache non puoi aspettarti niente di diverso. Comunque non avere paura XD Qua l'incesto rasenta lo zero assoluto, Edo è solo ossessionato da Al. Un "po' più" del solito.*smirk* Comunque sì, qui Edo è allegramente bipolare xD<3

Damaris: Gwa, pensare che ti riportiamo alla mente King è amore çOç! Grazie mille per il commento stupendo, ci fai gonfiare d'orgoglio e amore çOç Purtroppo qua scarso aMMMore, però insomma, abbiam compensato da altri fronti, no?XD

Liris: DEVE far paura!*__* *risate diaboliche qua* Qua scoprirai misteriosi arcani...çOç! *si guardano intorno e scappano* visto che siamo ormai alla fine è_é

FIghtClub: Grazie XD!

Elmeren Kun: Edo è talmente preso dalla paura che Al scappi che è disposto a tutto pur di farlo restare lì con lui. Infatti del dolore che provoca al fratellino non ne prende assolutamente nota XD L'importante è che lui stia a casa col suo niisan.ù_ù Siamo contente che sia stata apprezzata, Edo è tutto merito di Mika ;_;!*ammira la sua donnina*

Chibisimo: eccoci eccoci çOç *coccola* Qua pronte, sei contenta?*^* Abbiam avuto dei *piacevoli*ammicca** contrattempi, ma ora siamo qui è_é! E sì, hai preso i nomi e i... ruoli XD Grazie mille ancora *w*

Shiba96: Edo rende perché è guidato da manine d'oro çOç<3 Grazie mille per tutti i complimentiii >///<

Saku: XD Tranzolla, è qua e non scappa è_é! Grazie mille tata *w*

 

E ora, visto il grande successo, sono aperte le donazioni alla "Salviamo il piccolo Alphonse da questo amore fraterno", l'indirizzo a cui mandare i soldi è Al-*viene trascinata via dalla sua donna ;A;!!!!*

 

Let's start xDDD

 

 

 

 

Stava sdraiato sul letto, il braccio contro la fronte e il respiro affannoso.

Non aveva fatto altro che trattenere le grida per tutta la notte - prima mentre suo fratello lo curava, poi per il dolore pulsante, concentrato sul taglio, sul bozzo che si era venuto a formare nella sua gamba. Si sentiva come se avesse mille aghi infilzati, mentre la sua pelle aveva un colore poco piacevole. Mugugnava, mordendosi le labbra.

Appena aveva fatto giorno, Edward gli aveva dato un bacio sulla fronte, sorridendogli.

"Vado a fare la spesa, tu non muoverti, ok?" gli aveva detto sorridendo, felice che quella volta non avrebbe tentato di scappare.

E ora era lì, solo, con una gamba rotta e un macigno sul cuore.

 

Edward camminava a passo svelto, nervoso, mentre non riusciva a smettere di torturarsi – le dita, le unghie, gli abiti. Non riusciva a svuotare la mente, in circolo aveva troppa adrenalina per rimanere tranquillo. Ogni minimo rumore acuiva la sua tensione, mentre si avvicinava al centro del paesino. Forse, immergersi nella folla – quasi come annegare – lo avrebbe distratto. Sussurrava, tra i denti, monosillabi incomprensibili, fissando in basso la strada che calpestava con mirata forza, quando andò a sbattere, goffamente, contro una persona.

“Ohi, fai atten- Fullmetal?"

Contrariato alzò lo sguardo, incontrando l'unica persona che non avrebbe voluto vedere né in quel momento, né mai.

Roy Mustang lo guardava dall'alto dei suoi infiniti centimetri in più, sogghignando felicemente per l'arrivo del diversivo.

"Che ci fai qua?"

“Le interessa davvero? Non credo.”

Qualsiasi traccia di affettata gentilezza, o perlomeno educazione,con cui aveva forzatamente imparato ad impastare la voce – imposizione di Al, dopo la trasmutazione ben riuscita –, era scomparsa totalmente, per lasciare spazio unicamente all’acido e all’odio.

Cosa faceva lì? Lo credeva, in verità, in viaggio verso Alphonse. Di sicuro erano riusciti a mettersi d’accordo, in quale modo, e quell’uomo detestabile sarebbe riuscito a salvarlo, no?  Era forse in ritardo?

“Potrei chiederle la stessa cosa.”

"Fullmetal."

Roy alzò il ghigno, assieme alle buste della spesa che aveva in mano.

"Cosa vuoi che faccia qui, a quest'ora? - domandò, palesando la risposta ovvia. - Hai il cervello atrofizzato?"

“Non potevo immaginare che lei sapesse fare qualcosa di utile alla società come questo.”

L’irritazione che gli provocava era mille volte superiore a quella solita.

Doveva distrarlo? Il piano suo e di Alphonse era quello di tenerlo lì più a lungo possibile, in modo che il fratellino scappasse? Ah, avrebbe fallito di certo. Con quella gamba, non sarebbe andato da nessuna parte, mai.

Gli sfuggì un sorriso sghembo, strano, che strideva enormemente nel suo viso.

E Mustang lo notò, stranito.

Certo, secondo lui il Fullmetal non c'era mai stato tanto con la testa - cioé, nel modo meno crudele del termine.  Ma aveva qualcosa di strano. Proprio a pelle. Gli occhi erano stanchi, appesantiti dalle borse, eppure con quel barlume che li rendeva spaventosamente vivi. Forse anche troppo.

"E' utile al mio stomaco, direi. Tu che ci fai qua da solo?"

Non fare il finto tonto, idiota di un Mustang.

“Alphonse non sta tanto bene. Sono venuto a prendergli qualcosa per farlo stare meglio.”

Una bugia talmente gelida, ma pronunciata con un’affettazione talmente sottile da farla apparire reale.

Non riusciva a non risultargli particolarmente odioso e irritante, quell’uomo. Il sopracciglio alzato, la forma delle labbra, persino la postura del corpo semi immobile.

Ti sei aggrappato ad un’ancora così fallimentare, Alphonse, piuttosto che stare con me?

"Ma... come, sta ancora male?"

Sapeva che Al aveva ancora qualche problema con il suo nuovo corpo - nonostante di tempo ne fosse abbondantemente passato. Ma erano passati giorni (settimane?) da quando lo aveva sentito al telefono.

... gli venne in mente che l'ultima volta che lo aveva sentito la linea era improvvisamente caduta. Ma lasciò correre il pensiero, pensando a un semplice guasto.

"Ma di preciso cos'ha? Influenza?"

Ingenuità.

Il taisa continuò a fissarlo, sperando di capire qualcosa di più di ciò che veniva fuori dalle labbra dell'alchimista d'acciaio.

“Non riesce ad alzarsi dal letto, letteralmente. Si può togliere dalle scatole, ora che mi ha fatto il terzo grado, e farmi passare? Alphonse mi aspetta.”

Un tono irritato, e una strana inflessione nel pronunciare il nome del fratello.

E poi, da quando lo chiamava per nome intero?

"Scusa se voglio sapere come sta Al."

E perché sentire lui, quell’uomo detestabile, abbreviare il suo nome aumentava la sua rabbia?

Si scostò di lato, lasciandogli la strada sgombra - trafficata da decine di persone.

"Se non mi dici cos'ha allora verrò a trovarlo..."

Lo sapeva, maledizione, lo sapeva!!

“No.”

Fu un monosillabo di un’ira incontenibile, sottile e stridente, che trapanò il cervello di Roy.

“Sarebbe inutile.”

"Non dovresti decidere per lui. Se non può alzarsi dal letto, sai che noia."

Tentò di dissimulare, vedendolo trattenere qualcosa più forte di lui.

Non riusciva ad essere convinto delle sue parole. Avevano una punta troppo evidente di fastidio.

Come se stesse ipotizzando chissà quale danno alle sue spalle.

“Sì che decido io per lui, sono suo fratello maggiore. Non ha bisogno di visite, soprattutto delle sue. Si toglie, ora?”

Edward, pugni chiusi in tasca, si stava sforzando enormemente per non saltargli al collo e morderlo come una fiera impazzita.

"Ok, ok..."

L’adulto indietreggiò di qualche passo, ridendo in maniera irritante, almeno all'orecchio del maggiore degli Elric. Poggiò una busta a terra, sventolando in aria una mano - come ad accomodare le sue inutili e (più del solito) sgarbate richieste.

"Comunque verrò comunque, almeno per un salutino."

Riacchiappò la busta, sollevando un sopracciglio e tentando l'impossibile.

"Potrei venire ora, no? Un salutino rap-"

“Ho detto di no, in quale lingua glielo devo dire per farglielo capire?!”

Come un fiume in piena, la furia di Ed si svuotò addosso all’uomo che si trovava davanti.

“Alphonse non ha bisogno che lei gli faccia un inutile saluto, ha solo bisogno di riposo e delle MIE cure, di lei non ha assolutamente bisogno!!”

Non ha bisogno di nessuno che non sia io.

Roy Mustang non poter fare altro che alzare un sopracciglio e alzare le spalle.

"Come ti pare." rispose, deciso a non continuare la conversazione. Strinse la presa intorno alla plastica delle buste, voltandosi per dargli le spalle.

"Allora ciao, Fullmetal Tappo. Salutamelo tu."

“Nemmeno per sogno.”, sibilò quello, con astio e odio. Lo osservò per un attimo andarsene in una direzione opposta a casa sua.

Lo stava prendendo in giro, credendolo di gabbarlo così – si sarebbe diretto verso Al appena avesse girato lo sguardo da un’altra parte?

Le congetture, tutti quei macchinosi pensieri, gli procurarono un mal di testa atroce. Decise che sarebbe stato meglio tornarsene a casa – in fondo, stava male sia dentro che fuori quelle quattro mura. Delle due, era di certo migliore sorvegliare il fratellino.

Stava male, in fondo, no?

 

Entrò in casa con gesti secchi e nervosi. Buttò le chiavi a terra, noncurante della loro sorte. Un silenzio ingombrante circolava per le stanze, impregnando le pareti. Non c’era traccia di vita.

“Alphonse? Alphonse? Dove sei?!”

E poi, sentì debole un sospiro, uno sforzo, un rumore di qualcosa che si scontrava con l'acqua del gabinetto.

Sicuramente Alphonse non gli avrebbe risposto, in quel momento. Stringeva e rilassava le dita sulla tazza del water, mentre il suo stomaco ballerino premeva per buttare fuori ogni cosa dentro di sé - possibilmente anche lo stomaco e tutto il resto.

Edward, con un moto di amore fraterno ricomparso da chissà dove, si fiondò in bagno.

“Alphonse, che diavolo hai?!” domandò istericamente, come se non fosse già abbastanza evidente.

Quello non rispose, scosso da un altro conato. Sentiva la gola bruciargli, mentre l'acido risaliva su per l'esofago. Ormai si era svuotato di tutto - anche se imperterrito lo stomaco continuava a comandargli di rimettere l'anima.

Il maggiore, improvvisamente, si sentiva confortato e tranquillo. Era ancora lì, nessuno era venuto a prenderlo. Si sentì battere forte il cuore di gioia.

“Sei ancora qui, ancora mio…”, bisbigliò, raggiante, impossibilitato  a contenere tutto. Senza il minimo sentore dell’immenso dolore fisico e mentale dell’altro, privato di qualsiasi empatia, quasi fosse stata succhiata via in un colpo solo.

Alphonse respirò pesantemente, cercando di recuperare il controllo di sé.  Era tutto un bruciore, un dolore intenso che pulsava nella gamba, e che dal petto percorreva gola, cuore, polmoni. Anima.

Non ebbe il coraggio di voltarsi e guardare il viso di suo fratello. Aveva troppa paura di vedere un mostro, e di perdere ogni ultima immagine di quello che Ed era una volta. Sì limitò ad ansimare, senza staccare gli occhi dalla tazza del water - l'odore rancido del vomito che impregnava la stanza.

“Ti porto qualcosa? Asciugamani, da bere, un’aspirina?”

La voce di Edward usciva meccanica dalla voce, affettata e affabile come quella di un’infermiera. Altrettanto falsa, di plastica.

“Del the?”

Al non rispose, portandosi le mani allo stomaco - una smorfia di dolore sul suo viso pallido e sudato. Voleva un letto, un ospedale, qualcuno che lo tirasse fuori da quell'inferno creato da suo fratello.

"N-niisan..." provò a chiamarlo, nell'inutile tentativo di riportarlo indietro.

“Sì tesoro?”

Il suo sorriso, la sua voce, erano pesanti e soffocanti come lo sporco più lordo, più penetrante ed osceno.

"Niisan..." ripeté, sentendo un nodo farsi sempre più stretto alla gola, mentre quasi involontariamente si aggrappava a un suo braccio, senza sapere più che fare. Era arrivato al limite. Lui, la sua mente, il suo corpo. Voleva semplicemente smettere di stare lì.

“Una camomilla?”

Sembrava in un mondo a parte, staccato da Al, che vedeva esteticamente sofferente da un vetro limpidissimo, da cui non riusciva a comprendere il dolore.

“Non so cosa poterti dare, altrimenti, per il vomito…

Non fosse mai che chiamasse Winry o zia Pinako. Loro? Fuori dai loro affari!

Alphonse poggiò al testa sulla sua spalla, in un misto di singhiozzi e lacrime. Scosse la testa,più per esasperazione che per rispondere alle domande di Edward.   Non ce la faccio più, non ce la faccio più, non ce la faccio più.    

“Vuoi che ti porti a letto, Alphonse? Sei tanto stanco?”

Paterno, dolce, terrificante. Più lo trattava teneramente, più le carni di Al s’irrigidivano, rendendolo un blocco di marmo.

Rimase appeso alle sue vesti, senza dire più una parola.

La voce di quello che doveva essere il suo niisan sembrava ormai quella di un estraneo - meccanica come quella di una bambola.

Quel nodo alla gola che diventava sempre più stretto.

Lo prese in braccio, leggero come una sposina

“Stai tanto male, vero, Al? Povero tesoro mio…

Gli baciò la fronte, caldo.

Rapido, lo portò nella loro camera, quella che dividevano da quando Al respirava nuovamente (Niichan, niichan, dopo tutto il tempo che sei stato quell’ammasso di metallo, ora dobbiamo goderci la vicinanza, eh! È importante!”) come una sposina, appoggiandolo delicatamente sul letto.  Tornò giù in cucina, estremamente celere nel preparare la camomilla e ugualmente veloce a portargliela. Il suo fratellino stava così male, era un suo dovere essere rapido ed efficiente per farlo stare meglio possibile.

Alphonse alzò le iridi verso il maggiore - un profondo solco sotto gli occhi denotava mancato sonno da ormai giorni, un po' per il dolore, un po' per la paura. Sentiva la voce di Edward ovattata, lontana, mentre la testa gli doleva, e un pensiero martellante lo colpiva insistentemente.

Doveva scappare, subito.

Guardò la tazza fumante, sentendo l'odore fastidioso entrargli nelle narici - provocandogli ancora un moto continuo nel suo stomaco, la bile ormai stanca di fare su e giù per l'esofago.

Edward, dimentico di ogni facilità con cui riusciva a comprendere il fratello, soffiò più volte sul liquido bollente – non avrebbe mai voluto che si scottasse, naturalmente – per poi portargli la tazza alle labbra secche e screpolate.

“Attento, ch’è ancora caldo…

In un’altra situazione, sarebbe risultato rassicurante e protettivo come un genitore col figlio più piccolo con un’influenza pazzesca. Ora, appariva solo enormemente inquietante.

Il minore dischiuse un poco le labbra, lasciando che la bevanda scivolasse più lungo il suo collo piuttosto che dentro la bocca.

Scappare, scappare, scappare...

Stringeva convulsamente le mani sul materasso, gocce calde di camomilla che colavano fino al petto.

Mettersi in salvo fuggire reagire.

E poi bam, cocci a terra e liquido caldo sul viso di Edward. Alphonse racimolò tutte le sue forze, spingendolo lontano dal letto e lasciandosi scivolare a terra, strisciando come un verme alla ricerca di un appiglio per rimettersi in piedi.

Scappa, scappa, scappa.

L’altro lanciò un urlo, e una bolla iniziò a formarsi sulla guancia, poco sotto l’occhio. Le pupille si ridussero a due minuscoli puntini, mentre afferrava Al per una caviglia – la gamba sana, la gamba malata, non aveva importanza. Se stava fuggendo, si meritava di soffrire cento volte di più.

“Che cazzo credevi di fare, eh?!”

"Lasciami! - urlò, quasi isterico, mentre tentava invano di calciarlo - LASCIAMI!"

Allungò le mani verso quella del fratello, affondandovi le unghie.

“Perché dovrei, eh?! Così te ne potrai andare come vorrai?! Non credo proprio!!”

Egli gli gridava contro con tutto il fiato che aveva nei polmoni, rendendosi più spaventoso che in tutte le altre occasioni. I nervi per poco non spaccavano la pelle, le vene pulsavano d’ira pura, le membra tremavano impercettibilmente.

"Lasciami stare!!"

Premeva più forte sulle sue carni, mentre con l'altra mano andava ad afferrare un coccio della tazza.

E poi, stavolta fu Ed ad urlare di dolore, mentre la ceramica bianca gli penetrava nella mano sana. Cominciò a gridare come una bestia martoriata, tenendosi la ferita che macchiava l’automail fin dentro i più piccoli circuiti.

Ferito da suo fratello? Era forse un incubo, quello?

“Al, come hai potuto…?”

Ma lui ignorò ogni sua parola, lasciandolo urlante e imprecante dietro di sé. Si aggrappò con forza alla porta, tirandosi in piedi per poi saltellare sulla gamba sana - poggiando a momenti l'altra, ancora pulsante di dolore. Doveva scappare, urlare, invocare aiuto prima che fosse troppo tardi. Ancora il coccio sanguinante in mano.

Ed riuscì, misteriosamente, a calmarsi. Rimase per un po’ col fiatone, con la ferita sgocciolante, e un sorriso strano, storto, si aprì sul suo volto. (bizzarro, per quanto esso fosse malato, non strideva in alcun modo col suo viso)

Più lo fissava, più gli diveniva lampante, chiaro, limpido: suo fratello stava dando di matto. Era l’unica spiegazione per averlo ferito! E poi era giustificato, con quella brutta frattura della gamba, in molti avrebbero reagito così.

Intanto, Alphonse cercava la via di fuga più semplice, poggiato al muro e saltando verso l'ingresso. Si spaventò, pensando a ciò che aveva appena fatto. Mai in tutta la sua vita avrebbe neanche sognato di fare del male al suo adorato fratello, e invece ora...

Scosse la testa, allontanando quel barlume di senso di colpa. Se non fosse scappato, probabilmente non sarebbe stato mai più capace di provare niente. E sicuramente non per insensibilità.

“Al, Al, stai tranquillo, tranquillo…

Lentamente Edward muoveva passi quasi timidi verso suo fratello. Sorrideva, come ad un cagnolino impaurito.

Era sicuramente come pensava lui! Tutto quello stress – e poi, quel pensiero assurdo di andarsene via… lo avevano fatto uscire di senno. Certo! Era tutto così tremendamente plausibile!

"Non... - allungò la mano, tenendo stretto tra le sue dita il coccio insanguinato (la mano che, ballerina, tremava) - Non ti avvicinare!"

Probabilmente Edward aveva ragione, in un certo senso. Non lo era ancora, ma una sola altra ora in casa con lui, e Alphonse non sarebbe più uscito sano di mente da quella casa.

Di scatto, quest’ultimo balzò su Al. Lo prese tra le braccia, in una morsa che nella sua testa era tenera e piena d’amore, ma che in realtà era talmente costringente da impedire ogni movimento di Alphonse.

“Su, su, tranquillo…

Gli accarezzava i capelli, socchiudendo gli occhi, cullandolo. Cominciò ad agitarsi tra le sue braccia, Al, nel disperato tentativo di liberarsi. Ma da quando ormai era tornato ad essere un corpo di sangue e carne, aveva perso ogni vantaggio fisico nei confronti di Edward. E si sentiva inerme.

"Lasciami!" tentò di liberarsi, mentre il coccio bianco e rosso tentava disperatamente di affondare nel braccio sano del fratello.

Ssh, ssh, andrà tutto bene…

Ci credeva fermamente, nelle proprie parole.

Stava male, era evidente. E l’unica cosa che serviva al suo adorato fratello era non fuggire da lì.

Gli carezzò il capo e le guance con la mano umana, tentando di trasmettergli più calore possibile.

“Devi stare per sempre con me, Alphonse…

Mentre l’altra mano, lenta, inesorabile, andò a stringere il collo. Fredde, gelate, fortissime.

Se avesse dormito per sempre, sarebbe stato bene, no?

Gli occhi di Alphonse si alzarono, terrorizzati, mentre le sue mani schizzavano a quel braccio d'acciaio. Sentiva l'aria mancargli, le gambe che si agitavano, sperando di liberarsi da quella stretta. Inutilmente. Sentiva le farfalle allo stomaco, e la testa girava vorticosamente - la nausea pressante premergli contro la gola, l'aria che chiedeva di entrare dalle sue narici, la vista che si annebbiava, la paura che lo possedeva. Emise un urlo soffocato, mentre la sua stretta già si allentava e quella di Edward si faceva sempre più forte.

Più forte più forte più forte.

Non si rendeva minimamente conto di ciò che stava accadendo.

Il respiro di Al che si faceva all’inizio più isterico e poi sempre più rarefatto; le gambe che lentamente smettevano di muoversi, il petto che non andava più su e giù.

Aveva capito, finalmente, che non c’era altro posto più sicuro che casa sua, protetto dal suo fratellone.

Un largo sorriso si aprì nel volto di Ed. Seguitava a cullarlo.

“Starai sempre così bene, qui…

Le sue parole erano lontane nelle sue orecchie. Riusciva a malapena a distinguerle, mentre i suoi occhi si facevano pesanti, le sue membra si rilassavano - pronte a irrigidirsi di nuovo.

Per sempre.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=214865