Tu sei mia, mettitelo in testa

di LittleMilkshake
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***







La prima volta che lo avevo visto, era una giornata piuttosto cupa e nuvolosa.
Una nebbia densa circondava completamente i campi di Lima, in Ohio.
Le sue dita, lunghe e affusolate, si facevano strada tra gli steli secchi del campo di fronte a me, mentre lui avanzava puntando i suoi occhi in avanti e non distogliendo mai lo sguardo da me.
Mi fissava, riuscivo ad avvertire i suoi occhi su di me e la cosa non mi piaceva per niente.
Per la prima volta in 17 anni, non vedevo l’ora che l’autobus della William McKinley High School arrivasse.
Si fermò sotto un salice piangente, dall’altro lato della strada, ancora intento a fissarmi ma senza muovere un solo muscolo.
Era alto, molto alto. Quel cappotto nero di pelle era decisamente troppo pesante per una giornata di fine settembre, sebbene il tempo non fosse dei migliori.
Continuava a stare lì e a fissarmi, era la cosa più inquietante che mi fosse mai successa.
“Ma che diavolo vuole questo? Non è normale starsene sotto un salice all’alba, con un cappotto nero, a fissare le persone!!” pensai tra me e me.
Non appena alzai lo sguardo, incrociai i suoi occhi e vidi un flebile, cupo sorriso dipingersi sul suo volto.
Sembrava sul punto di attraversare la strada e venire verso di me.
Maledetto autobus, quanto diavolo ci metti ad arrivare? Maledetti i miei papà che non avevano mai acconsentito che usassi una stupida auto per andare a scuola.
Potevo benissimo rimanere ferita anche con l’autobus; gli incidenti capitano.
Nel momento che passai ad inveire contro i miei padri, quel ragazzo si era davvero avvicinato a me.
Era uscito dall’ombra dell’albero sotto il quale stava e si era avvicinato di pochi passi, stava per attraversare la strada.
In quel momento, vidi arrivare il mio autobus.
“Carissimo numero 23, non sono mai stata così felice di vederti in tutta la mia vita!!” ero così sollevata che stavo per correre verso l’autobus, che era ormai a pochi metri da me.
Un attimo prima che l’autobus si fermasse, mi sembrò quasi di sentire lo sconosciuto parlare.
«Larisa» sussurrò.
Il mio vecchio nome. Quel nome che avevo abbandonato in Romania il giorno in cui i miei genitori mi avevano adottata e portata a Lima, ribattezzandomi come Rachel Berry.
Quel nome che ormai non sentivo più da anni.
Come poteva sapere quel nome?
L’autobus si fermò proprio davanti a me e l’autista, Larry, aprì la porta con l’aria assonnata.
«’Giorno Rach» biascicò in tono cavernoso, prima di ripartire verso la William McKinley High School.
Risposi con un sorriso e andai a sedermi in fondo all’autobus, lontana dagli sguardi indiscreti di tutti i miei compagni.
Mentre l’autobus partiva, non potei fare a meno di girarmi nuovamente verso l’estraneo.
Era in mezzo alla strada adesso, le gambe leggermente divaricate e le braccia che scendevano lungo i fianchi.
La testa alta, la postura composta e lo sguardo, cupo come il cielo quella mattina, nuovamente fisso su di me.
«Larisa» mi sembrò di sentirlo dire nuovamente, mentre l’autobus era partito e si dirigeva verso la mia scuola.
Un brivido mi percorse la schiena.
Mi stava davvero chiamando con quel nome europeo ormai dimenticato?
Come faceva quello sconosciuto a conoscerlo?
Ma soprattutto, che diavolo voleva da me?

 


L'angolo di Alex
Eccomiiiiiiiii!!
Dite la verità, vi sono mancata un po'?!
Lo so, lo so... Ho 30.000 cose da aggiornare e una FF nuova non ci voleva...
Vabbè, mi andava!!! XD
Spero tanto che il prologo vi piaccia e vi invogli a continuare a leggere :)
Ci sono ancora tante sorprese e moltissimi scheletri da riesumare dall'armadio!!
Aspetto con ansia le vostre opinioni :)
Hugs&Kisses

- LM

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***




«Le mie vacanze estive posso riassumertele in poche parole» disse il mio migliore amico Kurt Hummel, sospirando mentre metteva piede in quella prigione che era la William McKinley High School.
«Bambini che strillavano, scottature, ortica e ragni nelle docce»
«Devi volere molto bene a tuo padre per aver sopportato tutto questo» ridacchiai mentre entravamo in quell’atrio che ormai conoscevamo anche troppo bene.
C’era odore di cera d’api e di detersivo per pavimenti, per adesso la signora Marriot aveva ancora voglia di pulire.
«Se può consolarti, io sono ingrassata di almeno due chili lavorando al BelGrissino. Ero talmente esausta che la mattina non riuscivo nemmeno a fare attività fisica e ad ogni pausa, mi fiondavo a mangiare qualcosa»
«Ma finiscila, sei bellissima» mi sorrise Kurt, dandomi un bacio sulla guancia.
Sorrisi, quel ragazzo era adorabile.
«E a proposito di bellissimi» disse Kurt, facendomi cenno di guardare avanti a me.
Finn Hudson, che viveva non molto lontano da casa mia, stava armeggiando con la combinazione del suo nuovo armadietto.
Lo vidi lanciare un’occhiata nervosa a un pezzetto di carta che teneva in mano, girare la manopola e dare uno scossone alla maniglia.
La T-shirt bianca nuova di zecca che aveva addosso, metteva ancora più in risalto l’abbronzatura estiva e le maniche contenevano, a fatica, due bicipiti muscolosi.
«Finn è uno spettacolo» mi sussurrò Kurt, mentre lo raggiungevamo «Deve aver fatto molta più palestra. E quelli sono colpi di sole?»
«Ha tagliato l’erba di tutto il quartiere sotto il sole per tutta l’estate, Kurt. Non ha bisogno di intensificare la palestra o schiarirsi i capelli» risposi piano.
Finn sollevò lo sguardo proprio mentre passavamo e mi sorrise «Ehi Rach»
«Ehi» risposi. Poi il nulla, la mia mente si svuotò.
Kurt arrivò prontamente in mio aiuto «Sembra ti abbiano dato la combinazione sbagliata. Hai provato a dargli un calcio?»
Finn lo ignorò completamente «Non lavoravi ieri sera, Rachel?»
«No, non lavoro più al BelGrissino. Era un lavoretto estivo»
Finn sembrò quasi deluso «Oh, vabbè, vorrà dire che ci vedremo a scuola allora»
«Certo. Dovremmo avere qualche lezione insieme» dissi sentendo le guance che mi andavano a fuoco.
«Ci si vede» dissi poi, trascinando via con me Kurt.
«Che significava tutto quello? Finn triste perché non lavori più al BelGrissino, te che diventi paonazza… Devi raccontarmi qualcosa?» sorrise Kurt curioso.
«No, niente… È venuto qualche volta, verso la fine del mio turno, e mi ha dato un passaggio. Siamo usciti un paio di volte. E non sono paonazza» protestai.
«Questo sarà un anno molto interessante» sorrise, guardando fisso davanti a sé.
«A proposito di cose interessanti…» stavo per iniziare a raccontarle del ragazzo alla fermata dell’autobus ma, nel preciso istante in cui il pensiero si formò nella mia mente, avvertii un formicolio alla nuca, come se qualcuno alle mie spalle mi stesse osservando.
“Larisa…”
Quella voce sinuosa, profonda, riecheggiò dentro di me, come il ricordo di un incubo.
Mi passai una mano sulla nuca.
A Kurt lo avrei raccontato più tardi, o forse questa storia si sarebbe semplicemente dissolta da sola.
Sì, probabile.
Ma quel formicolio non accennava ad andarsene.
 
 
«Vedrete quanto ci divertiremo durante questo corso» ci promise la signora Wilhelm, traboccando d’entusiasmo mentre ci distribuiva la lista dei libri da leggere per l’ultimo anno di Letteratura Inglese.
«Adorerete i classici che ho scelto per voi. Preparatevi ad un anno di avventure, amori mozzafiato e grandi scontri armati»
Sembrava l’unica entusiasta, visto che in classe si levò un coro di dissensi e di lamenti fra quelli che già avevano la lista fra le mani.
Me ne passò uno Noah Puckerman, il mio eterno aguzzino, che era piombato a sedere nella postazione davanti alla mia come una gigantesca palla appiccicosa.
On no, non Ivanhoe. E Moby Dick… Chi aveva tempo per Moby Dick?
Ma questo non doveva essere l’anno dedicato a una frenetica vita sociale?
Per non parlare poi di Dracula… ma per piacere!
Se c’era una cosa che odiavo erano proprio i racconti dell’orrore, frutto della fantasia, senza appiglio nella vita reale e nella logica.
Kurt, dall’altra parte dell’aula, aveva la mia stessa espressione mentre sussurrava «Perché “tempestose”?»
«Non ne ho idea» gli risposi piano.
«Vorrei che mi aiutaste a distribuire questa piantina.
Il posto che vi siete scelti sarà vostro per tutto l’anno e dato che vedo molte facce nuove, vorrei imparare i vostri nomi il prima possibile»

Perfetto. Ero destinata ad un anno di commenti idioti e maligni da parte di Noah Puckerman.
E Quinn Fabray, la cheerleader di leggendaria stronzaggine, si era seduta proprio dietro di me.
Ero schiacciata tra le due persone che più odiavo in tutta la scuola. Per fortuna, né Kurt né Finn erano troppo lontani da me.
Noah si girò passandomi la piantina «Ecco qua Cherry» disse ridendo, sbagliava di proposito il mio cognome per farmi arrabbiare.
«Almeno, io so scriverlo il mio nome» sbottai.
Stronzo.
Puckerman si voltò e mi chinai a cercare una penna nel mio zaino. Ma la penna aveva la punta secca a furia di girare nel mio zaino.
L’agitai e riprovai, ma niente.
Mi voltai verso Finn, chiedendogli se potesse prestarmene una, ma non feci in tempo a parlare che mi sentii toccare la spalla destra.
«Perdonami, ti occorre uno strumento per scrivere?»
Quella voce profonda, con un insolito accento europeo, veniva da dietro di me.
Non avevo scelta, se non girarmi.
Era lui. Il tizio della fermata dell’autobus.
Era così vicino che potevo guardarlo negli occhi. Erano neri come la pece e mi scavavano dentro, con uno sguardo glaciale, intelligente e insieme insopportabile.
«Cerchi uno strumento per scrivere, non è così?» ribadì, allungando il braccio per offrirmi una scintillante penna d’oro.
Non una banale biro di plastica, una vera penna d’oro.
Continuò ad agitare la penna davanti a me «Sai riconoscere una penna, vero? È uno strumento familiare, no?»
Non apprezzai molto il suo tono sarcastico e nemmeno il fatto che mi fosse apparso a sorpresa davanti per ben due volte in un giorno, così mi limitai a fissarlo.
Finchè Quinn non mi diede un pizzicotto sul braccio «Firma la piantina e falla finita. Ok Meg?»
Mi strofinai il braccio sbuffando, avrei voluto prenderla a sberle ma l’ultima persona che aveva contraddito Quinn Fabrey era stata costretta a trasferirsi in un’altra scuola.
«E muoviti Meg» disse di nuovo Quinn, continuando a sbagliare il mio nome.
«Ok ok». Riluttante, accettai la penna di quel ragazzo e nell’istante in cui le nostre dita si toccarono, avvertii la sensazione più strana che avessi mai provato.
A metà tra un déjà-vu e una premonizione.
Lui mi sorrise, aveva dei denti bianchissimi e perfetti. Brillavano letteralmente, come armi tirate a lucido.
Lentamente mi voltai.
Mi tramava un po’ la mano mentre scrivevo il mio nome, era stupido farsi prendere dal panico in questo modo. Era solo un ragazzo nuovo.
«Allora, questa piantina?» ringhiò Quinn alle mie spalle.
«Ecco, tieni» dissi e glielo passai senza nemmeno voltarmi. Quinn me lo strappò di mano, tagliandomi il dito.
«Ahi» agitai la mano, ficcandomi poi in bocca il dito ferito.
Mi voltai per restituire la penna «Tieni, grazie»
Ma quel ragazzo stava fissando il mio dito. Non staccava gli occhi dalle mie dita, alcune sporche di sangue.
Forse quel sangue gli dava il voltastomaco, ma ero certa di aver intravisto nei suoi occhi neri qualcosa di molto diverso dal disgusto.
E poi, lo vidi leccarsi lentamente il labbro superiore.
E quello che diavolo era?
Gli lanciai la penna e mi voltai di scatto. Ok, cambio scuola. Sono ancora in tempo, chi se ne frega.
La signora Wilhelm recuperò la lista ed iniziò a scorrere i nostri nomi, sorridendo e sollevando lo sguardo in direzione di qualcosa dietro di me.
«Ragazzi, diamo il benvenuto al nostro nuovo studente straniero. Sebastian…» abbassò lo sguardo sul foglio, in difficoltà «Vlades… cu. L’ho detto bene?»
«No, non è corretto» rispose il ragazzo, alzandosi e andando verso la lavagna bianca.
Prese un pennarello e tracciò la parola Vladescu sulla lavagna, in corsivo.
«Mi chiamo Sebastian Vladescu, Vla-DES-cu. L’accento cade sulla sillaba di mezzo.
È un nome che incute soggezione in Est Europa, è un nome nobile»
Si girò fissandomi e puntando gli occhi addosso a me «Un nome reale»
Era impossibile smettere di fissare quel ragazzo. I suoi lunghi capelli neri erano completamente fuori luogo a Lima, in Ohio.
Era longilineo e i suoi muscoli erano ben delineati, gli zigomi alti, il naso dritto e la mandibola pronunciata. Un vero e proprio modello.
Ma perché non la smetteva di fissarmi?
«C’è nient’altro che vorrebbe dirci di lei?» chiese la signora Wilhelm alla fine.
Sebastian si voltò di scatto, fissandola e chiudendo la penna «No, niente in particolare. No»
Non era una risposta maleducata, ma il suo tono non era esattamente quello che si dovrebbe usare con un professore.
«Non ci dispiacerebbe sentire qualcos’altro sul suo conto. Sembra interessante» ammise tempestiva la signora Wilhelm.
Ma Sebastian era già tornato a rivolgere il suo sguardo verso di me.
Sprofondai sulla sedia. Lo vedevo solo io?
«A tempo debito vi dirò dell’altro. È una promessa»
Lo disse con tono pacato, ma a me suonò come una vera e propria minaccia.
 
L'angolo di Alex
Rieccomi pronta per un nuovo aggiornamento!!
Mi ci sono messa d'impegno e ho scritto tanto stavolta :)
E nulla, non mi sto a dilungare troppo!!
Spero tanto che il capitolo vi piaccia
Aspetto, come sempre, di sapere le vostre opinioni :)
Hugs & Kisses

- LM

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***







«Hai notato come ti guardava il tipo straniero a Letteratura Inglese?» esclamò Kurt quando ci incontrammo dopo la scuola.
«È bellissimo e si deve esser preso una bella sbandata per te! È pure nobile».
Gli strinsi il polso, cercando di farlo calmare.
«Kurt… Prima che ti fiondi a comprare un regalo per le nostre nozze “reali”, devo dirti una cosa sul tuo “bellissimo”»
Con aria scettica, Kurt incrociò le braccia, in attesa. Ero certa che avesse già preso la sua decisione su Sebastian Vladescu, e che la sua opinione si basasse solo su quelle spalle larghe e la mascella importante.
«A dir la verità, l’avevo già visto, stamattina, prima di venire a scuola. Quel Sebastian era alla fermata dell’autobus. E mi fissava»
«Tutto qui?!» ribattè Kurt facendo roteare gli occhi.
«In realtà, è più strano di così. Mi… Mi è sembrato di sentirlo pronunciare il mio nome proprio nell’istante in cui l’autobus si è fermato»
Kurt aveva l’aria confusa.
«Il mio vecchio nome» specificai.
A quel punto, Kurt fece un bel respiro e ammise: «Ok, te lo concedo, questo è strano»
«Nessuno conosce quel nome. Nessuno»
In effetti, nemmeno a Kurt avevo detto molto del mio passato. La storia della mia adozione era uno dei segreti che custodivo più gelosamente.
Se si fosse saputo, la gente avrebbe iniziato a guardarmi con occhi diversi.
I miei due padri adottivi erano andati in Romania per assistere ai rituali di quella gente, ma le cose non andarono troppo bene all’epoca, nell’Europa dell’Est.
Quei rituali si erano rivelati un po’ troppo insoliti ed alcuni abitanti si erano coalizzati per mettere fine con la forza a quelle attività.
Prima che la folla si inferocisse, i miei veri genitori mi affidarono, ancora in fasce, ai miei due papà, affinché mi portassero al sicuro negli Stati Uniti.
Detestavo quella storia, detestavo che i miei veri genitori fossero persone così ignoranti e superstiziose da abbracciare un culto del genere.
Immaginavo di che tipo di rituali si trattasse, mio padre li studiava: sacrifici di animali, vergini gettate nei crateri dei vulcani… magari i miei genitori erano stati uccisi perché coinvolti in roba da pervertiti.
Non ho mai chiesto i dettagli ai miei papà, ero contenta di essere Rachel Berry, una ragazza americana.
Larisa Dragomir non era mai esistita, per quanto mi riguardava.
«Sei proprio sicura che abbia detto il tuo nome? Nessuno conosce quel nome, te lo sarai immaginato.
Oppure lui ha detto qualcosa di simile ad Larisa»
mi disse Kurt.
Lo guardai storta «E quale parola suonerebbe come Larisa?»
«Non so, qualcosa tipo “la conosci Arisa”?»
Scoppiai a ridere. Ci dirigemmo verso la strada aspettando che uno dei miei papà venisse a prendermi.
«Dico solo che forse dovresti dare a quel Sebastian una possibilità» concluse Kurt.
«Perché?»
«Perché è così… alto» spiegò Kurt, come se l’altezza fosse prova di buone intenzioni. «E poi è europeo, l’ho già detto?»
La berlina di mio padre Hiram si avvicinò al marciapiede ed io agitai la mano.
«Sì, mi fa proprio stare meglio pensare che il mio inseguitore sia un alto ragazzo europeo invece che un americano di media altezza»
«Beh, questo non toglie il fatto che hai stuzzicato la sua curiosità»
Raggiungemmo l’auto e spalancai la portiera, ma prima che potessi dire ciao, Kurt mi spinse dentro, poi infilò la testa nell’abitacolo e disse d’un fiato «Rachel ha il ragazzo, dottor Berry!»
Mio padre la fissò perplesso «Dice davvero, Rachel?»
A quel punto, spinsi Kurt fuori, mi aggiustai sul sedile e chiusi la portiera.
«Un ragazzo, eh Rachel?» chiese papà.
«Non è il mio ragazzo, è solo uno straniero strambo che continua a seguirmi. Stamattina se ne stava lì con quel mantello nero addosso…
e poi, quando mi sono ferita il dito, lui si è leccato le labbra…»

Non appena pronunciai quelle parole, papà frenò bruscamente e la macchina dietro di noi suonò il clacson furiosamente.
«Papà! Ma che fai?»
«Scusami tesoro, è per colpa di quella cosa che hai detto…» disse, un po’ pallido «Chi è questo ragazzo? Come si chiama?»
«Il suo nome è...» ma non feci in tempo a dire Sebastian che lo vidi. Era seduto su un muretto e mi guardava, di nuovo.
Quello non era semplicemente uno strano atteggiamento, quello si chiamava “pedinare”.
Mio padre, allora, fece qualcosa di inaspettato. Accostò proprio accanto a Sebastian, che ci seguiva con lo sguardo «Dimmi il suo nome, Rach»
«Sebastian. Sebastian Vladescu»
«Oh santo cielo. Immaginavo che prima o poi dovesse accadere. Aspettami qui» disse in tono serio.
Senza aggiungere altro, papà uscì dall’auto e si diresse verso di lui. Era impazzito? E lui se la sarebbe data a gambe?
No, di fatto, scese dal muretto e fece un inchino profondo a mio padre. Ma che…?
Parlavano a voce molto bassa ed anche abbassando il finestrino, non riuscii a sentirli.
La conversazione durò per un secolo, poi papà scosse la testa.
Sebastian si voltò e se ne andò, mentre papà tornava in auto e metteva in moto.
«Cosa vi siete detti?» chiesi, sbigottita.
Allora lui mi guardò dritto negli occhi e disse «Tu, io e tuo padre dobbiamo parlare. Stasera»
«E di cosa? Tu lo conosci?»
«Ne parliamo più tardi. Abbiamo così tante cose da dirti. E dobbiamo farlo prima che Sebastian si presenti per cena»
La mia mandibola giaceva ancora a terra, quando mio padre mi toccò gentilmente la mano e si immise nel traffico.
 
 
I miei papà non ebbero mai modo di spiegarmi bene cosa stava accadendo. Papà Leroy, quando rientrammo, era in giardino nel bel mezzo di una lezione di yoga tantrico, così papà Hiram mi disse di iniziare intanto a pulire.
Poi Sebastian arrivò per cena, in anticipo.
Ero nel fienile a pulire le stalle quando, con la coda dell’occhio, vidi un’ombra dietro di me.
«Chi è?» esclamai nervosa. Non ricevetti risposta, così ebbi l’orribile sensazione che fosse proprio il nostro ospite.
Per sicurezza, impugnai il forcone che avevo tra le mani «Che ci fai qui?» chiesi mentre mi veniva incontro.
«Per cortesia, un po’ di educazione» protestò Sebastian con quel suo accento snob
«Una signorina non urla così da un capo all’altro del fienile. Ad ogni modo, che accoglienza è mai questa?»
«Ti ho chiesto cosa ci fai qui» ripetei stringendo ancora di più il forcone.
«Sono qui per essere messo al corrente dei fatti, ovviamente» disse iniziando a girarmi intorno e a scrutare il mio abbigliamento
«Sono certo che anche tu muoia dalla voglia di conoscermi»
Ma anche no!
«Perché mi guardi cosi?» chiesi vedendo la sua faccia disgustata.
«Stai pulendo le stalle? Sono feci quelle che hai sulle scarpe?»
«Sì, e allora? Pulisco le stalle tutte le sere»
«Tu?» sembrava stupito, quasi sconvolto «Da dove vengo io, abbiamo chi lo fa per noi. C’è del personale addetto. Tu, con la tua levatura, non dovresti dedicarti ad attività tanto umili. È oltraggioso»
Al solo pronunciare quelle parole, le mie dita strinsero di nuovo il forcone. Sebastian Vladescu mi faceva venire i nervi.
«Senti, ne ho abbastanza di averti sempre intorno con quel fare spocchioso. Chi ti credi di essere? E soprattutto, perché mi segui?»
Rabbia ed incredulità si mescolarono in quello sguardo scuro.
«Hiram non te l’ha ancora detto?»
«Dovevamo… pensavamo di parlarne dopo. Papà sta facendo una lezione di yoga…»
«Contorcersi fino ad ottenere una serie di ridicole figure è più importante di informare sua figlia riguardo al patto?
Che idiozia queste pratiche pacifiste, l’uomo è fatto per la guerra»

«Patto? Che patto?» chiesi.
Ma Sebastian aveva iniziato a vagare con le mani dietro la schiena, ragionando fra sé «Non va bene, non va affatto bene.
Avevo detto agli Anziani di richiamarti in Romania anni fa, avevo il timore che forse non saresti stata una sposa all’altezza…»

Wooo, frena frena! «Sposa?»
Sebastian si voltò a fissarmi «La tua ignoranza è snervante. Dal momento che i tuoi genitori non sembrano intenzionati a dirti la verità,
te la dirò io e cercherò di essere il più chiaro possibile»

Si puntò un dito al petto e dichiarò, scandendo bene le parole «Io sono un vampiro. Tu sei un vampiro.
Noi ci sposeremo all’alba della tua maggiore età. Così è stato deciso al momento della nostra nascita»

Il mio cervello non arrivò nemmeno a processare la parola “sposeremo”, figuriamoci la parola “deciso”. Si fermò a “vampiro”.
Fuori di testa. Sebastian Vladescu è completamente fuori di testa. Ed io sono sola con lui, in un fienile vuoto.
Così scaraventai il forcone in direzione dei suoi piedi e iniziai a correre a perdifiato verso casa, ignorando il suo ululato di dolore.
 


L'angolo di Alex
CHI NON MUORE SI RIVEDE!!
Vabbè, le mie scuse ormai sono un copia incolla da FF a FF XD
Sì, faccio schifo, ci ho messo 2 anni ad aggiornare

Me chiede scusa e spera di essersi fatta perdonare
Come sempre, aspetto una vostra recensione se vi è piaciuto il capitolo
e se volete, passate anche dalla mia pagina Facebook

Bacioni,
LM

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