William di OceanAvenue (/viewuser.php?uid=72656)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Question ***
Capitolo 2: *** Long Life ***
Capitolo 1 *** Prologo: Question ***
PROLOGO: QUESTION
~·~W~·~
Passi felpati sull'asfalto.
Un uomo canticchiava una canzoncina...
Sete. Solo sete nella sua mente. Una sete dilaniante, tremenda, che fa
dimenticare anche il proprio nome. Ma a lui la sensazione quasi piaceva.
“Sono proprio masochista...” Disse a se stesso con un ghigno divertito.
Sì, gli piaceva protrarre la fame fino allo stremo, sentire di essere
sul limite di perdere il controllo e trattenersi ancora. Per cercare la
vittima giusta: quella che gli avrebbe dato il brivido di pensare che
forse non avrebbe mangiato quella notte, che forse avrebbe risposto
alla sua incessante domanda...
Ma chi prendeva in giro? Nessuno l'aveva fatto in 402 anni e quella
sera era davvero affamato. E non l'avrebbe fatto nemmeno la dolce
ragazzina di cui stava fiutando la scia... mah chi lo sa.
~·~M~·~
Camminava veloce verso casa. Era tardi e aveva solo voglia di infilarsi
il pigiama e di fare zapping seduta sul divano.
Cambiava incessantemente canzoni sull' i-Pod guardandosi
intorno.Tipiche strade della periferia di una grande città: muri
scrostati di vecchi magazzini abbandonati da una parte e un parco pieno
di barboni e tossici dall'altra. Yuppi. Proprio il posto più sicuro da
frequentare all'una di notte.
Ecco, finalmente le dita smaltate di nero avevano sfiorato il titolo
della canzone voluta. Qualche secondo di silenzio prima che il brano
inizi...
“AAAAAAAH” un urlo straziante aveva squarciato il silenzio della
stradina.
La ragazza alzò lo sguardo e contemporaneamente si strappo le cuffie
dalle orecchie.
Il cuore batteva a mille, il petto sembrava incapace di sopportare la
pressione provocata dal terrore che le era scoppiato dentro al suono di
quell'urlo.
Una ragazza. Una ragazza come lei in pericolo. E proveniva dal vicolo
li vicino, solo una cinquantina di metri più avanti.
I pensieri correvano e così i suoi piedi, spinti dall'istinto verso la
fonte dell'urlo.
Raggiunse il punto e la scena che le si parò davanti, che se l'avesse
vista in un film non l'avrebbe scossa più di tanto, nella realtà le
fece gelare il sangue.
Un uomo stava in piedi nel vicolo, tra un muro scrostato e un bidone
della spazzatura. Solo un lampione alle sue spalle illuminava la scena
rendendola irreale e da brividi: le sagome scure di due persone
contornate da una luce asettica e dallo squallore.
Sì, due. Perché dal braccio alzato dell'uomo, appesa come una
marionetta per la gola, pendeva un ragazza dai capelli biondi. I suoi
piedi scalciavano alla ricerca del terreno, senza trovarlo, e il petto
di lui era scosso da una risata: era pietrificata.
Non riusciva a capire cosa e stesse succedendo: tutta quella corsa a
perdifiato per poi rimanere lì impalata ad una decina di metri di
distanza, a guardare quel quadretto dell'orrore senza riuscire a
muovere un muscolo. Nulla, se non starsene lì ansimante, shoccata e un
po'... affascinata?!
Non riusciva a distogliere lo sguardo.
Poi lui parlò, “Dimmi bella bionda... cosa sono?” disse con voce
profonda e suadente.
La stretta intorno alla gola della ragazza era abbastanza lassa da
lasciarla parlare, o almeno per lasciare che ci provasse: “S-ah seih
u-u-una pe-pe-peh-rsona buonah- ah!”. La mano si strinse intorno alla
sua gola impedendole di andare oltre.
“Ahahaha!!” una grassa risata proruppe dal petto dell'uomo, il quale
gettò la testa all'indietro aprendo la bocca e mostrando i suoi lunghi
canini appuntiti e prominenti... zanne?
“Vampiro.” Cos'aveva detto?! Le parole le erano uscite dalla bocca
senza controllo. Come se avesse dato voce a tutti i collegamenti che il
suo cervello aveva fatto alla velocità della luce, ricordando tutti i
vecchi film dell' orrore in bianco e nero che aveva visto mille volte a
notte fonda sulla tv via cavo.
E poi lui si era girato. Dapprima sembrarono neri come la notte, poi si
aprirono, o cambiarono, non avrebbe saputo dirlo, ma d'un tratto i suoi
occhi furono di un blu tanto luminoso da risplendere nel buio.
In un secondo, un movimento del polso e il collo della bionda era
spezzato.
In due secondi, il cadavere giaceva a terra, le mani dell'uomo erano
sulle sue braccia e la costringevano contro il muro del vicolo.
Ma lei vedeva solo il blu, il blu di quegli occhi profondissimi che le
faceva girare la testa.
“Ripeti” scandirono due labbra carnose e perfette, tirate in un ringhio
a mostrare le zanne.
“Vampiro” si sentì rispondere con voce trasognante.
“Merda” poi il buio.
~·~W~·~
Aveva addormentato la ragazza con facilità, 'solo un vecchio trucco da
zingaro' si disse.
Non riusciva a capacitarsi di quello che era successo e la sua mente
vagava incessantemente, mentre si caricava la ragazza su una spalla e
si avviava verso il parco lì vicino.
Aveva risposto... aveva davvero risposto. Non aveva urlato, non era
scappata... c'era qualcosa in quella ragazza, qualcosa che avrebbe
dovuto approfondire. Non se ne sarebbe liberato tanto facilmente.
Dio, quanta voglia aveva di una sigaretta. Ma la ragazza pendeva
proprio dalla parte dove teneva il pacchetto, quindi avrebbe dovuto
aspettare di arrivare a casa per la sua dose di nicotina: ecco, la
ragazzina iniziava già a dargli problemi.
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Betato da Seline
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Capitolo 2 *** Long Life ***
CAPITOLO 1: LONG NIGHT
~·~M~·~
Il buio iniziò piano piano a diradarsi...
Aveva la sensazione di essere stata incosciente per un bel po', ma ora
sentiva di essere stesa su di una superficie solida.
Aprì gli occhi lentamente, stiracchiandosi languidamente. Fu a quel
punto che si rese conto che non era nel suo comodo letto dalle lenzuola
perennemente disfatte e, quando riuscì a mettere bene a fuoco, che non
era nemmeno nel suo sgangherato monolocale all'angolo fra un
supermercato etnico e uno spacciatore.
Scattò seduta per esaminare ciò che la circondava: era stesa su di
divano vecchio stile, di quelli con la struttura color oro e l'
imbottitura rosso scuro. Sopra al bracciolo, vicino ai suoi piedi, era
stata lasciata una giacca di pelle.
Quella che indossava lui.
Un brivido le corse lungo la schiena mentre si guardava intorno alla
ricerca di qualcosa che le desse anche la minima speranza di essere in
un luogo famigliare, o magari in ospedale... invece, del resto della
stanza riusciva solo a scorgere una logora poltrona di pelle, i
candelabri dall'aspetto antico e il caminetto. Uno splendido caminetto
di pietra, incorniciato da legno scuro e al cui interno risplendeva un
bel fuoco scoppiettante che le riscaldava le guance.
E poi lui. Era seduto a gambe incrociate davanti al caminetto e
sembrava non essersi accorto che lei si fosse svegliata. Così si prese
un momento per osservarlo meglio: aveva i capelli neri, nè troppo
lunghi nè troppo corti, pettinati morbidamente all'indietro. Sembravano
davvero soffici mentre ci passava una mano facendoli scorrere fra le
dita. Indossava una maglietta nera a maniche lunghe, che lo fasciava
strettamente facendo risaltare il fisico massiccio e scattante.
Si mosse. Stava fumando: prese una boccata dalla sigaretta, trattenne
per un attimo il fumo nei polmoni e poi lo soffiò fuori, dritto nel
fuoco. Poi parlò. “Ti senti bene?” la domanda la lasciò interdetta:
sapeva che lo stava osservando? “Sai, potrebbe girarti la testa dopo -”
aggiunse girandosi e puntando i suoi occhi blu su di lei, come a
scrutarla.
“Cosa mi hai fatto?” lo interruppe lei.
“E le presentazioni? Che maleducato, piacere, mi chiamo William.” disse
il ragazzo con voce amichevole alzandosi e tendendole la mano.
Rimase impressionata dall'altezza del ragazzo. In piedi, forse, gli
sarebbe arrivata allo sterno.
“Bene, che cosa mi hai fatto William?” Non voleva stare al suo gioco.
Per quanto ne sapeva poteva benissimo essere un maniaco che voleva solo
violentarla.
“Oh cristo... Posso quasi vedere i tuoi neuroni girare.” disse
sghignazzando. Poi prese un'altra boccata dalla sigaretta: labbra
perfette che si schiudevano per lasciar uscire il fumo grigio. “So
quello che stai pensando e, a riprova che non sono un maniaco, ti
faccio notare che potevo approfittare di te quando eri svenuta, cosa
che non ho fatto.” finì con un sorriso rassicurante.
Non seppe spiegarsene il motivo, ma seppe che ciò che diceva era vero.
“Il mio nome è Misha e -”
“E vorresti sapere cosa ti ho fatto...” Lei annuì. “Ipnosi, semplice
ipnosi.” disse facendo ricadere la mano al suo fianco.
“Non pensavo che si potesse far svenire la gente con l'ipnosi e poi non
hai usato nessun pendolo.” rispose lei combattiva. Non voleva dargliela
vinta così facilmente.
“Beh, magia.” disse ghignando. Non poteva evitare di notare quanto
quelle guance cave fosse sexy quando inalava una boccata di fumo.
Era tanto pallido da avere la pelle quasi trasparente, le vene bluastre
si intravedevano all'interno dei polsi quando portava la sigaretta alle
labbra e le fiamme del caminetto gli illuminavano gli occhi di una luce
che sembrava quasi ultraterrena.
Si ritrovò a sorridere e a tendergli una mano come lui aveva fatto
prima. “Allora, tu vivi qui, William?”
~·~W~·~
“Sì, da un centinaio d' anni a questa parte.” disse William con un
sorriso, mentre le stringeva la mano.
Aveva sempre avuto mani così grandi? Si stupì da solo delle dimensioni
della sua mano, così grande rispetto a quella piccola, ma forte, di
Misha.
Era davvero carina. Piccola, magra, grandi occhi grigi in un visino
dolce incorniciato da lunghi capelli neri e, non poté fare a meno di
notare con brivido che finì nel basso ventre, un seno decisamente dalle
dimensioni non trascurabili.
Prese un altro tiro di sigaretta. “Scusami,” disse riferendosi al
mozzicone che stava gettando nel fuoco del caminetto. “Non ti ho
chiesto se il fumo ti desse fastidio.”
“Ah, tranquillo, non mi da fastidio,” rispose lei mentre si metteva a
gambe incrociate sul divano. “Anzi, in verità, anche se non fumo, ne
sento proprio il bisogno in situazioni come questa.” aggiunse
ridacchiando nervosamente.
Allora William si girò e prese il suo pacchetto di Davidoff dalla
mensola sopra il caminetto, lo aprì e gliene porse una.
“Accendino?” chiese Misha.
“Giusto.” rispose imbarazzato... imbarazzato? Cazzo la ragazzina
diventava sempre più fastidiosa. Prese l'accendino. “Ecco.”
La ragazza accese la sigaretta. Aveva davvero delle belle mani, dita
lunghe e affusolate, con le unghie dipinte di nero.
Notò la sua pallidezza. “Non ami molto prendere il sole, vero piccina?”
Lo guardò accigliata, prese un tiro e poi parlò, facendo fuoriuscire
fumo dalla bocca ad ogni parola, “Primo,” e alzò il mignolo “senti chi
parla-”
“Ma io sono un vampiro!” si difese William.
“Secondo,” alzò l'anulare, “piccina lo dici a tua sorella, o a qualcun
altro, ma sicuramente non a me. Terzo, qui le domande le faccio io se
permetti, visto che sono stata appena rapita da un vampiro – dio suona
così assurdo! - senza ragione. Quar-”
“Senti ragazzina se ti ho portato qui c'è un motivo, e questo motivo è-”
“Oh si ti prego illuminami!” ringhiò Misha avvicinandosi al vampiro.
“Tu non sai che stai facendo ragazzina,” ringhiò William afferrandola
per le braccia e attirandola a se in modo che i loro corpi fossero a
contatto e che sentisse quanto lui fosse più forte. Era come un
uccellino stretto fra le zampe di un gatto.. o meglio, di una tigre. E
il suo odore era così invitante... portava una maglia blu scuro con lo
scollo a v sotto la giacca di pelle e il suo collo... ma la cosa che
più lo affascinava era lo sguardo, lo sguardo di fuoco che gli stava
lanciando.
Le lasciò le braccia e si diresse verso la poltrona di pelle vicina al
camino, dove si lasciò andare pesantemente.
Misha era ancora in piedi, con lo sguardo fiammeggiante puntato su di
lui e un tremore che le scuoteva tutto il corpo, tanto leggero che solo
un essere sensibile come William avrebbe potuto notarlo.
“Siediti, per cortesia.”
“No, no, io me ne vado cazzo.” Misha aveva iniziato a tirare
febbrilmente dalla sigaretta, i capelli che svolazzavano leggermente
mentre si girava nervosamente alla ricerca dell'uscita.
Il vampiro si alzò di nuovo, ma questa volta si avvicino a lei
lentamente. “Misha, perdonami, ho perso il controllo, ma posso, anzi,
devo spiegarti tutto.” Capì dallo sguardo che non era convinta. “Ti
giuro che appena avrò finito di dirti quello che ti devo dire potrai
farmi tutte le domande che vuoi e poi andartene, o se vuoi potrai
andartene subito, è una tua scelta. Ma ti prego, resta e ascoltami.”
disse William con il cuore in mano, per farle capire quanto
sinceramente voleva che lei restasse.
Misha diede l'ultimo tiro alla sigaretta e sembrò essersi
tranquillizzata.
“Getta pure il mozzicone nel fuoco.” le consigliò lui con il sorriso
più rassicurante che riuscì a tirare fuori. “Siediti dai, che sarà una
cosa lunga.” disse mentre si risedeva sulla poltrona.
Misha si sedette sul divano. “Lunga? Dio che hai intenzione di fare,
raccontarmi tutta la tua vita?” disse ridacchiando.
“Ehm... Sì.” Misha non ridacchiava più.
“So che sembra assurdo,” sospirò prendendosi il viso tra le mani
“ma è una promessa che ho fatto a me stesso molto tempo fa... quindi,
per favore, lascia che io mi spieghi, poi potrai andartene e non
voltarti mai più, farmi tutte le domande che vuoi o... restare.”
L'ultima parola l'aveva sussurrata, ma quando rialzò lo sguardo lei lo
stava guardando fermamente.
“Perché dovrei rimanere?” chiese con un filo di voce.
“Beh è tardi, magari ti sarebbe più comodo dormire in una delle stanze
degli ospiti... e andare a casa domani mattina...”
“Va bene,” sbadigliò, “allora inizia, altrimenti mi addormenterò e
sarai costretto a portarmi in camera in braccio.” rispose con un
sorriso malizioso. “E non sono poi così leggera come sembro.”
“Dimentichi che ti ho già preso in braccio...” ribatté in modo
altrettanto malizioso – oh ragazzina spero tu sappia cosa si rischia a
giocare con il fuoco -.
William si alzò e aprì un mobiletto, evidentemente quello dove teneva i
liquori, di fianco a caminetto. Ne tirò fuori una bottiglia piena per
metà di un liquido ambrato e se ne versò un bicchiere. Ne prese un
lungo sorso, appoggiò la bottiglia sul tavolino vicino alla poltrona e
si sedette con le gambe raccolte al petto, osservando il liquido nel
bicchiere assorto nei suoi pensieri... non era facile riportare alla
mente certi ricordi.
“Ti fai coraggio con l' alcool?” disse Misha.
“Prima di tutto questo non è volgare alcool, è whisky invecchiato,
precisamente Talisker scozzese invecchiato 12 anni, ambrato...” guardò
il bicchiere come se fosse un sommelier “gusto affumicato...leggermente
dolce... insomma, tutta un'altra cosa e in più... beh mi ci vuole un
po' per ricordare dall'inizio 400 anni di vita...” il suo sguardo si
fece vacuo “e poi un po' di coraggio ci vuole per raccontarti certe
cose...” i suoi occhi tornarono limpidi e li ripuntò su di lei. Doveva
capire fin dove poteva arrivare prima che scappasse.
“Bene, iniziamo,” altro sorso “sono nato il primo luglio del 1611, a
Milano, in Italia...” vide Misha prendere fiato per parlare e la fermò
“Lasciamo le domande a dopo, così riesco a fare un discorso che fila”
disse benevolo.
Ricominciò “Quindi, Italia... lo so il mio nome può fuorviare ma non è
il nome con cui sono stato battezzato... quello non riesco a
pronunciarlo da talmente tanto tempo che non lo ricordo nemmeno – ma
questa è tutta un'altra storia. Come dicevo, sono nato a Milano da una
famiglia di origini nobili ma in decadenza. Purtroppo mio nonno aveva
fatto accordi con le persone sbagliate e saremmo stati sul lastrico se
non fosse stato per mio fratello, che lavorava presso il comune e
riusciva a a guadagnare tanto da mantenere me, mia sorella e nostro
padre malato. Comunque, per aiutare la famiglia, nel 1635 partii per
l'Inghilterra per sposarmi. La donna che dovevo sposare era una
bellissima ragazza dell'aristocrazia inglese, si chiamava Elizabeth e
non era innamorata di me tanto quanto io non lo ero di lei. Diventammo
molto amici e perciò, come mio regalo, parlai con suo padre
spiegandogli la situazione e indirizzando il fidanzamento sul suo
amato. Il padre acconsentì, ma d'altro canto il ragazzo era un partito
decisamente migliore.
Continuai a vivere come ospite presso di loro, nella loro tenuta di
Cardiff per un anno, fino a che non mi giunse una lettera in cui mi si
comunicava che mio fratello era morto in un'attentato e che le
condizioni di salute di mio padre peggioravano di giorno in giorno. Il
dolore per quella notizia mi dilaniò ma sapevo che ora la mia famiglia
contava su di me. Era quindi fondamentale che mi sposassi, e in fretta.
E così, come un abbagliante raggio di sole che squarcia le nuvole,
arrivò lei: Mary Margharet di Scozia. Una nobildonna vedova del marito
con una dote stratosferica che accettò la mia proposta d fidanzamento.
La sposai in fretta e furia, con il solo pensiero di aiutare la mia
famiglia. Non mi curai di notare che, nonostante avesse dieci anni più
di me, sembrasse una ragazzina, nè di alti segnali che avrei dovuto
assolutamente percepire. Dopotutto il matrimonio senza amore era la
norma a quei tempi e mi rassegnai al mio destino. Poi arrivò la prima
notte di nozze.”
Prese un lungo sorso e si riempì di nuovo il bicchiere, iniziando di
nuovo a perdersi fra i riflessi ambrati del liquore. “All'inizio non
trovai nulla di sbagliato in lei, assolsi i miei doveri coniugali come
mi era stato insegnato e mi stesi, mi ridistesi, sul quel letto
sconosciuto pronto ad una vita infelice ma con la consapevolezza di
aver fatto il mio dovere. Fu a quel punto che accadde: sentii due
braccia fortissime che mi voltavano e la sua voce tramutata in quella
di un demone. Mi confessò di essere un essere dannato, un vampiro e di
volermi trasformare nel suo sposo per l'eternità. Ero talmente
spaventato che la lasciai fare.
La mia vita finì in quell'aprile del 1636, fra e braccia di una donna
che non amavo.” tornò a guardare Misha negli occhi “Da quel momento in
poi mi istruì su come sarebbe stata la mia nuova vita. Da cosa
guardarsi e di cosa nutrirsi... Io la odiavo. Sì, mi aveva dato la vita
eterna, ma a che prezzo? Non avrei più potuto rivedere la mia famiglia,
la luce del sole o cibarmi di qualcosa di normale... Ero rinchiuso in
una gabbia dorata. Mi teneva rinchiuso nel castello dove vivevamo,
obbligandomi a cibarmi di persone che lei uccideva, o di animali...
sai, il sangue degli animali non ti rende forte come quello degli
umani, me lo rifilava con la scusa di non volere che mi sporcassi e
mani con del sangue innocente... Cazzate! Lei mi voleva debole. Voleva
che fossi la sua immortale bambola di pezza che poteva picchiare,
amare, accarezzare o ferire e tutto senza che mi ribellassi... e io
volevo solo scappare. Così iniziai a pensare ad un piano. Stetti al
gioco, fui il suo innamorato, sorrisi migliaia di volte alle sue
pessime battute, la ammirai con finta adulazione quando mi
mostrava i suoi vestiti eleganti, fui un buon amante,
apparentemente adorante verso la sua eterna padrona. E tutto questo
solo per guadagnare la sua fiducia, per diventare il suo confidente. E
ci riuscii, oh, quanto ci riuscii!” sorrise beffardamente mentre
continuava a bere.
Raccontava, la sua mente persa per metà nei ricordi di quegli oscuri
giorni, per metà intento ad osservarla: non aveva battuto ciglio per
tutto il racconto, i grandi occhi grigi e indagatori puntati su di lui.
“Il giorno in cui mi resi conto di essere riuscito finalmente nel mio
intento fu il giorno in cui mi raccontò la sua storia: non era molto
antica, giusto novant'anni, ma ne aveva fatte di cose... sai, potresti
conoscerla come Elisabeth Barthory, la più grande serial killer di
tutti i tempi. O contessa Dracula. Nata come umana in una nobile
famiglia Rumena e trasformata in vampiro a soli sedici anni, da suo
marito. Essendo già lei una pazza, sadica e schizofrenica – beh
ovviamente lei non si descrisse così – diventò una vampira tanto
crudele e sanguinaria da uccidere il suo stesso creatore e talmente
tante giovani donne – si vantava di averne uccise ben 650 – nel giro di
pochi anni, che gli umani si ribellarono e la murarono viva nella sua
stanza nel 1610. Ovviamente si liberò ma, dopo 4 anni di digiuno
forzato, era talmente debole che fuggì in Gran Bretagna. Si finse una
nobildonna in fuga e adescò il suo primo marito, il quale però era
troppo vecchio per essere trasformato, così lo uccise e aspettò che i
suoi seguaci trovassero un ragazzo come me. Un giovane bello e
bisognoso di denaro, da sposare e fare suo per l'eternità.
Vista la fine dei precedenti mariti, che non l'avevano soddisfatta,
decisi che mi sarebbe convenuto starmene buono per un po'. Passai i
primi sei anni della mia nuova vita in quel castello scozzese a
compiacerla in ogni modo possibile, all'apparenza-”
“E dai! Non tenermi sulle spine, raccontami di come l'hai uccisa!” lo
interruppe Misha con l'impazienza di una ragazzina.
William sorrise amaramente. “Uccisa? Magari. Sai, durante il suo
racconto mi aveva rivelato anche la sua passione per l'alchimia e la
magia nera. Tutta la servitù della casa era in possesso di poteri
magici ed era ovviamente a conoscenza della nostra identità. Se avessi
tentato di farle del male o di scappare, la loro magia mi avrebbe
trovato. Era in una botte di ferro... ma – sfortunatamente per lei
- sono sempre stato maestro nel non far scoprire le mie conquiste
a mia madre.” rispose il vampiro con un ghigno tanto malizioso da
riuscire a far affiorare un leggero rossore sulle guance della mora.
“Quindi, come un sapiente ragno, iniziai a tessere la mia tela... Una
delle tante confidenze che Elizabeth mi fece fu riguardo ai figli della
servitù: i ragazzi erano tutti della mia età o poco più giovani e,
essendo nati da genitori a servizio della vampira, erano condannati a
vivere con noi in questa gabbia dorata per proteggere il segreto. Così,
la prima sera in cui mia moglie mi lasciò solo per sbrigare degli
affari in città, elusi la sorveglianza delle guardie fuori dalla mia
stanza e andai a cercare i ragazzi... Non fu difficile guadagnarmi la
loro fiducia, sapevano che il nostro non era l'idillio amoroso che
Elizabeth pensava che fosse. Mi rivelarono così che già da anni
pensavano al modo migliore per liberarsi di quella schiavitù e, grazie
a me, ce l'avremmo fatta. Ci mettemmo ben due anni. Durante questo
periodo mi fecero bere il loro sangue per rendermi più forte e per
infondermi il potere che sarebbe servito per l'incantesimo e mi
istruirono sui rudimenti di magia e alchimia, tutto questo mentre loro
rubavano gli ingredienti necessari ai loro genitori e creavano nuovi
incantesimi, sconosciuti ai loro genitori e maestri. Una notte
dell'inverno 1642, riuscimmo a far cadere tutti in un sonno profondo
quindi, usando un incantesimo di sangue molto potente e pericoloso,
creammo una barriera magica potentissima che li rinchiuse all'interno
del castello per sempre.” Un sorriso amaro e nostalgico affiorò alle
labbra di William. “Io, Anne Razboinic, Philipp Inima, Sarah e Allison
Lup fummo gli unici a riuscire nell'incantesimo. Da lì in poi ci
dividemmo: Sarah e Allison verso il continente, nell' Europa dell'est
dove la loro dinastia era iniziata, Anne fuggì con un contadino di cui
era innamorata e io e Philipp ci dirigemmo in Irlanda, dai druidi.
Sapevamo tutti che prima o poi i loro genitori avrebbero trovato il
modo di spezzare l'incantesimo, e che ci avrebbero cercato. Sapevamo
che dovevamo diventare più potenti. Restammo coi druidi per ben 22 anni
ad incrementare le nostre conoscenze.” William finì il suo secondo
bicchiere e la guardò. Era tranquilla. “Ma non ti ho ancora detto il
perché ti ho risparmiata, vero? Beh, questo è una regalino dei druidi,
sai non era stato facile farsi accettare da loro in quanto demone, ma
videro le mie ragioni come giuste e ci accolsero. Durante quegli anni
Philipp continuò a concedermi saltuariamente i suo sangue così da non
perdere potere ma, quando dopo quattro anni si ammalò di tifo, non ci
fu nulla che potesse fermarmi dal trasformarlo. La mia era una
maledizione, lo so, ma non potevo lasciare che morisse a soli
vent'anni. Philipp era sempre stato un ragazzo sanguigno e faticai
molto a farlo abituare a nutrirsi di animali come facevo io da quando
lo avevo trasformato. Spesso fui costretto a nascondere le tracce dei
suoi omicidi per non intaccare il rapporto che avevamo con chi ci stava
fornendo quelle importantissime conoscenze magiche e che ci aveva
accettato nonostante la nostra natura. Ma dopo ventidue anni trascorsi
lì solo i più anziani ci temevano ancora, difatti, quando il capo del
villaggio scoprì la relazione che Philipp aveva con sua figlia ci bandì
e ci maledì, costringendoci così a nutrirci solo di coloro che fossero
stati così stolti da non conoscere la nostra identità. Ed essendo tu la
prima persona in quattrocento anni ad aver risposto alla mia domanda...
beh, mi sono semplicemente sentito in dovere di raccontarti la mia
storia. Fine.” concluse il vampiro allungando le gambe e stravaccandosi
meglio sulla poltrona.
“Cazzo, l'alcool deve esserti servito per evitare che la lingua ti si
seccasse e cadesse! Quanto hai parlato!” esordì Misha. Poi sbadigliò.
~·~M~·~
Era stata tutto il tempo intenta ad ascoltare quell'assurdo racconto.
Assurdo sì, ma vero. Mentre il ragazzo parlava riusciva quasi a vedere
le immagini danzare davanti ai suoi occhi. Così blu... così pieni di
segreti.
Non mi stai dicendo tutto, uomo del mistero... perché i tuoi occhi sono
così tristi?
Non osò dare voce ai suoi pensieri: voleva somatizzare un po' tutte
quelle informazioni prima di fare le sue dovute domande e mettere alle
strette William.
“Quindi? Nessuna domanda?” Il ragazzo sembrava a disagio. I suoi occhi
imploravano per qualcosa... ma cosa?
“Sai, hai ragione, è tardi, e preferirei dormire un po' prima di
subissarti di domande...” Misha si alzò dal divano per stiracchiarsi.
Poi ripuntò lo sguardo su di lui. La sua posizione, gambe larghe e
braccia mollemente appoggiate sui braccioli della poltrona: voleva
esprimere strafottenza e rilassatezza, ma nei suoi occhi leggeva solo
sollievo. “E poi mi sembra che anche tu desideri dormire un po', non
dev'essere stato facile riportare alla mente tutte queste cose.” Era
davvero indescrivibile la bellezza dei suoi occhi mentre i fuoco vi si
rifletteva. William si alzò e le si avvicinò.
“Già, non è stato semplice.” Sorrise,“ bene signorina le mostro le sue
stanze.” disse allargando un braccio verso il buio.
“Ok, ma penso dovrai prendere una candela o qualcos'altro per salire,
il fuoco illumina, ma i miracoli ancora non li fa!” disse Misha.
“Beh per essere vecchio sono vecchio, ma non antico!” rispose
divertito, William.
Misha avrebbe avuto qualcosa da ridire riguardo all'ultima affermazione
del vampiro, ma lasciò cadere la battuta scontata.
Lo guardò dirigersi verso il muro vicino al caminetto e girare un
piccolo interruttore, così, gradualmente, varie luci si accesero
illuminando la stanza con una luce calda.
La ragazza rimase letteralmente a bocca aperta: la stanza in cui erano
non era enorme, più lunga che larga, con un pavimento di parquet scuro
e tutti quei mobili coperti come fantasmi, da teli bianchi, e poi, un
paio di metri alla sua destra, una scala di legno massiccio, con i
gradini coperti da un tappeto rosso sangue e il corrimano che saliva
su, fino ad un secondo piano ancora nascosto alla sua vista. Tutto ciò
la fece ricadere nel mondo reale, fuori da quel nebuloso sogno di cui
quel camino, quel divano e quella poltrona erano stati lo sceario... e
pensare che le sue prospettive l'avevano vista sul suo divano sfondato
a guardare la tv.
“Sì lo so, non è proprio il massimo...” iniziò William.
“Stai scherzando? È bellissima...” rispose Misha in un soffio
incontrando di nuovo i suoi occhi.
Ci fu un attimo in cui i loro sguardi si legarono in modo così naturale
ed improvviso che entrambi ebbero per un secondo l'impressione di poter
sbirciare nell'anima dell'altro. E ciò che scorsero era tanto simile e
intimo per entrami che tutti e due distolsero lo sguardo più in fretta
che poterono, sentendosi al contempo imbarazzati e violati, come se per
per tutta la lunghezza di quello sguardo fossero stati l'uno davanti
all'altra, nudi.
“Bene signorina, vuole che le mostri le sue stanze?” si riprese William
con un sorriso beffardo porgendole il braccio.
“Oh sì, la prego.” rispose Misha sbadigliando.
Dio, alla luce, il fascino del ragazzo era quasi oppressivo. Si
aggrappò al suo braccio saggiandone la tonicità e la freddezza dei
muscoli sotto il velo leggero della maglia.
Mentre salivano le scale lui chiese, “Senti freddo? Sai, la mia
pelle...”
“No, tranquillo. Va tutto bene.” rispose lei dolcemente.
Continuarono a salire in silenzio ed arrivati al secondo piano si
staccarono. Lui accese le luci e lei lo seguì lungo il corridoio, senza
battere ciglio.
Non è che non si stesse domandando che diavolo ci facesse lì e perché
non fosse scappata urlando già da un pezzo, ma voleva saperne di più.
Nel racconto di quel giovane uomo non aveva scorto solo la sua
difficile e apparentemente assurda storia, di come fosse diventato un
essere sovrannaturale... ci aveva letto prima di tutto la storia di un
uomo in fuga. Se non avesse avuto prove sufficienti della sua non
umanità, nel vicolo dove si erano incontrati, avrebbe pensato ad un
ragazzo scappato di casa che aveva perso un po' la testa, ma che
restava comunque un ragazzo spaventato.
Ecco. Il vicolo. Un'altra cosa per cui sarebbe dovuta scappare a gambe
levate... No, ora non voleva pensare. Il suo istinto l'aveva fatta
rimanere lì e lì sarebbe rimasta finché non avesse deciso che era il
caso di scappare via urlando.
Erano passati davanti a diverse stanze ma si fermarono solo davanti
alla penultima.
William afferrò la maniglia di ottone e aprì la porta entrando per
primo per accendere la luce.
Quando Misha entrò vide una grande camera color crema, con un letto
matrimoniale con lenzuola e piumone color champagne e i mobili dello
stesso legno scuro - probabilmente quercia - che aveva già visto nel
resto della casa.
“So che probabilmente non è di tuo gusto,” disse William con un tono
che sembrava quasi imbarazzato, “ma le lenzuola sono pulite, le
cambio ogni settimana, in caso arrivasse qualcuno...”
“Qualcuno dei tuoi vecchi compagni di fuga?” tentò la ragazza con con
sorriso rassicurante.
“Sì, forse...” Gli occhi di William si fecero cupi, e Misha si sentì
davvero in colpa.
Se avesse ascoltato il suo istinto – il suo dannato istinto –
probabilmente gli sarebbe corsa incontro abbracciandolo stretto per
consolarlo. Ma non lo fece, invece disse, “La stanza è magnifica,
grazie William.”
“Di nulla.” sorrise lui “Beh allora... se avessi bisogno di qualcosa
non aver paura di chiamarmi, la mia camera è quella quì a destra,
l'ultima. Ah, il bagno è la porta qui di fronte. Ecco...no, non
dovrebbe esserci altro.”
Nonostante avesse detto di tenere la camera pronta per
quell'eventualità, sembrava proprio che William non fosse abituato a
ricevere ospiti da molto, molto tempo. “Beh, allora a domani Misha.
Buonanotte.” disse il ragazzo avviandosi verso la porta.
Si fermò con la mano nuovamente sulla maniglia, lo sguardo puntato sui
suoi piedi. “Se ti chiedessi perché non sei scappata,” alzò lo sguardo
puntandolo dritto nel suo “mi risponderesti?”
Misha sedette pesantemente sul letto – un materasso molto morbido, notò
con un angolino del suo cervello – e sospirò guardando il pavimento.
Poi riportò lo sguardo in quegl' occhi blu. “E se ti dicessi che non lo
so, andrebbe bene lo stesso?” rispose con tono tanto serio che il
vampiro non riuscì a mantenere lo sguardo su di lei.
“Buonanotte Misha.” riuscì solo a dire.
“Buonanotte William.”
~·~W~·~
William richiuse la porta dietro di sè e sospirò avvicinandosi a quella
della sua stanza, l'ultima del corridoio.
Com'era diversa, con il grande letto a baldacchino con le lenzuola di
seta nera disfatte e i vestiti buttati alla rinfusa sul pavimento. I cd
ammassati in un angolo vicino allo stereo e una decina d candele
sciolte che campeggiavano sopra il comò. Forse sarebbe stato meglio
mettere un po' apposto prima che la ragazza si svegliasse.. e forse
anche comprare qualcosa che potesse mangiare per colazione... sì...
cibo... la sete lo stava divorando.
William si passò una mano sulla gola, forse nella speranza di poter
sedare la sete almeno finché non avesse potuto andare nuovamente a
caccia.
E se ti dicessi che non lo so, andrebbe bene lo stesso?
Una fitta lo colpì allo stomaco. Quelle parole... quella sincerità...
si arruffò i capelli neri come l'inchiostro come a voler cacciare quei
pensieri. Basta, a lei ci avrebbe pensato più tardi. In quel momento
aveva solo bisogno di una doccia. Una doccia calda, bollente, che lo
facesse sentire pulito.
Si diresse verso il bagno privato a cui si accedeva dalla sua camera.
La stanza era grande, con piastrelle color crema sia sul pavimento che
sulle pareti. Sulla parete destra si notava subito il lavabo di marmo
bianco poggiato su di un mobile di legno scuro, sopra cui troneggiava
un grande specchio con la cornice d'oro. Poco più in là, dietro un
separé orientale, era nascosto il water. Ma la cosa che dava più
nell'occhio nella stanza era posta vicino alla parete sinistra: una
grande vasca da bagno di marmo nero, poggiata su supporti decorati come
zampe di leone dorate e d'oro erano anche il rubinetto e le manopole.
Una vasca fantastica, lo sapeva, ma non era di un bagno che aveva
bisogno. Si diresse verso lo specchio e guardò la sua immagine riflessa
- come sarebbe stato bello se le leggende sui vampiri fossero
state vere e non avesse potuto vedere gli evidenti segni che quella
notte aveva portato sul suo viso-. Guardò quel viso pallido con gli
occhi cerchiati di nero e le rime arrossate, come se fosse quello di
uno sconosciuto. No, non era più quella persona. Non voleva ricordare.
Ringhiò e si tolse la maglia con rabbia. Si strappò via la cintura e il
bottone dei jeans quasi saltò per la violenza usata quando se li tolse.
Lanciò i boxer e si buttò nel box doccia – unico apparente segno di
modernità del bagno - nell'angolo opposto al separé. Chiuse la
porta di plastica e aprì al massimo il gettò d'acqua calda.
Flash riguardanti il suo passato lo tormentavano...
Il suo arrivo in Inghilterra, giovane ed ingenuo...
La lettera da cui apprendeva della morte del fratello e della malattia
del padre...
Il giorno del suo matrimonio... Quegl' occhi color della pece che lo
guardavano da sotto il velo...
E poi la prima notte di nozze. Quella ragazzina con gli occhi da
vecchia, i capelli lunghi e biondi che ricadevano come una cascata fino
alla vita a ricoprire il suo corpo nudo... Il rapporto consumato in
fretta e furia, disturbato dalla sua nudità e dalla sua audacia
nei movimenti, ma più di tutto disgustato da se stesso. E poi quella
voce, “ti farò mio per sempre dolce William..” poi il dolore straziante
della pelle che veniva lacerata e la sensazione del sangue che fluiva
fuori dal suo corpo, poi il torpore e la morte...
Si graffiò con rabbia la base del collo, le spalle, il petto... Ringhiò
sbattendo i pugni contro le piastrelle. Graffi rossi e gonfi si stavano
formando pian piano sulla nivea pelle del collo, sotto di loro,
profonde e vecchie cicatrici di morsi.
Tanti, su entrambi i lati. Non semplici morsi ma ferite inferte con
rabbia, per fare del male.
Dei singhiozzi silenziosi iniziarono a scuotergli il petto mentre
scivolava seduto sul piatto della doccia.
La mente vagava nei ricordi di quelle atroci notti...
Era steso sul letto a baldacchino della camera padronale, legato mani e
piedi. Avrebbe dovuto essere spaventato ma sapeva già cosa gli sarebbe
successo di lì a poco... il suo corpo portava le cicatrici fresche di
un paio di notti prima – se non fosse stato un vampiro probabilmente
sarebbero state ancora ferite aperte e sanguinanti – quando la suo
dolce mogliettina aveva deciso di scoprire come avrebbe reagito la sua
pelle alle braci ardenti. Non voleva nemmeno pensare cosa avrebbe fatto
quella notte.
Chissà se le sue urla sarebbe giunte di nuovo fino agli appartamenti
della servitù: le ragazze si erano molto spaventate l'ultima volta.
Osservava il soffitto cercando di estraniarsi. Cercando di pensare a
quando sarebbe fuggito, a quando quelle ferite sarebbero diventate solo
vecchie cicatrici.
Passi. Arriva. Qualcosa striscia sula pavimento. Una risata di
ragazzina preannuncia l'inizio dell'ennesima nottata di dolore.
“Acum o sa ma distrez foarte mult, dragostea mea*”disse la ragazzina,
poi sentì uno schiocco.
“Una frusta, fantastico.” sussurrò.
Si rannicchiò in posizione fetale mentre il getto d'acqua bollente
lavava via lacrime che non sarebbero mai scese dai suoi occhi... gli
aveva tolto anche questo.
Cos'avrebbe pensato Misha se fosse entrata in quel momento?
Una stanza in disordine, mozziconi di sigarette e candele sciolte
ovunque, amuleti appesi alle finestre e rune mistiche disegnate sulle
pareti. E poi, un giovane uomo dalla pelle pallidissima rannicchiato
sotto la doccia: la sua schiena muscolosa interamente ricoperta di
tatuaggi che raffiguravano gli stessi simboli sulle pareti della camera.
Codardo, sei solo un codardo.
Ripeteva mentalmente a se stesso.
No, me ne sono andato, sono fuggito. Sì, ma a che prezzo?
Quei momenti erano impressi a fuoco nella sua mente e non li avrebbe
mai voluti dimenticare.
Si ritrovò di nuovo lì, nella notte scozzese, inginocchiato nella neve.
Sangue che usciva dai lunghi tagli sui suoi polsi e dal grande
pentagramma su suo petto.
Sentiva l'odore del sangue degli altri. I suoi occhi erano neri dalla
sete, ma si tratteneva.
L'incantesimo doveva riuscire. Le parole della litania continuavano a
uscire dalla sua bocca come un fiume, senza esitazioni.
Cercò gli altri con lo sguardo:cinque ragazze e tre ragazzi con i polsi
tagliati tutti intorno a lui che recitavano la formula in coro.
Erano una cosa sola. L'energia scorreva, i loro volti sconvolti dalla
trance e i loro corpi provati dallo sforzo. Il loro sangue aveva preso
vita formando un pentagramma nel cui centro sedeva lui.
Sapevano che avrebbe potuto andare male, ma non erano preparati quando,
a incantesimo concluso, quando il legame di energia si dissolse per
dare vita alla gabbia che imprigionò il castello, John, Simon e Clare
caddero senza vita sulla neve candida macchiata dal sangue di tutti
loro.
William e gli altri erano stremati ma cercarono comunque di farli
rinvenire. Ma non c'era nulla da fare, erano morti durante
l'incantesimo, durato più di quattro ore, ed era stata la trance e
l'energia condivisa a dare l'illusione che i loro corpi fossero ancora
in vita. Philipp piangeva tra i biondi capelli ricci della donna con
cui avrebbe voluto scappare in Francia per vivere una vita felice
insieme...
Prima dell'alba, William, dopo aver sistemato la sua camera da letto,
andò al supermarket aperto 24 ore su 24.
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Note: *ora mi divertirò molto, amore mio (in rumeno)
Dedicato a Giulia, la mia prima fan e ispiratrice del nome della
proagonista femminile, e a Davide (lo sai perchè).
E grazie a Madalina per le parole in rumeno e a Seline per aver betato
il capitolo!
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