una vita sulle punte

di cold_fire
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** quella sera dal mio punto di vista ***
Capitolo 3: *** in partenza ***
Capitolo 4: *** la notte più lunga della mia vita ***
Capitolo 5: *** la mia dannatissima vita ***
Capitolo 6: *** inaspettatamente ***
Capitolo 7: *** speriamo in bene... ***
Capitolo 8: *** cosa accadrà poi? ***
Capitolo 9: *** il tradimento ***
Capitolo 10: *** che fare? ... non lo so ***
Capitolo 11: *** dopo tanto tempo ***
Capitolo 12: *** grazie... ***
Capitolo 13: *** Gordon ***
Capitolo 14: *** quanto sarebbe dovuta durare la felicità? ***
Capitolo 15: *** per favore ***
Capitolo 16: *** la casa abbandonata ***
Capitolo 17: *** stardust ***
Capitolo 18: *** mi dispiace... ***
Capitolo 19: *** happy ending ***
Capitolo 20: *** avviso ***



Capitolo 1
*** prologo ***


Prologo
La musica di Yann Tiersen inonda la stanza sulle note di comptine d’un autre été – l’après-midi. E uno… e due… e tre… e quattro… e cinque… e sei… e sette… e otto… e via! Inizia la danza. La coreografia parte, le mie compagne iniziano a ballare ed io con loro. Due minuti e mezzo dopo siamo nei camerini che ci cambiamo veloci per la prossima coreografia, a soli quattro minuti di distanza. Veloci torniamo invisibili dietro le quinte e di nuovo la musica, il conto del tempo… e la danza.
Agitata come tutte prima di iniziare lo spettacolo. Sono nervosa, con la paura di sbagliare e il cuore a mille. Non so come faccio. Ormai la danza è la mia ancora di salvezza, la mia vita, la mia unica possibilità di salvarmi. Ballare per me è una cosa naturale e innaturale al tempo stesso. Naturale perché secondo me tutto era una danza, il mondo intero si muoveva a passo di danza. Innaturale perché non veniva dalla mia natura, non veniva da me, non veniva nemmeno dal mio cuore. Veniva da una stazione di controllo esterna e sconosciuta al mio cervello. Non ero io a comandare la mia danza. La musica partiva ed io ballavo, semplicemente ballavo. Era tutto così normale…
Di nuovo in attesa che l’altra coreografia inizi mi agito ma, appena la musica inizia, mi rilasso e finisco nel mio mondo, ballo e gli altri mi guardano, sto ballando, tutti sono stupiti e sul palco ci sono solo io che ballo.
La coreografia finisce proprio com’era iniziata, in un attimo. Io di solito ballo con gli occhi chiusi. Non che per cinque minuti me ne stia con gli occhi sbarrati, ovvio. Solo che a volte mi piace chiudere gli occhi per sentire il vento sulla mia pelle intanto che giro in una piroetta. Ascolto ogni singolo respiro di ogni singola persona tra il pubblico, ascolto il battito del mio cuore che non va troppo veloce, cosa naturale quando si è agitate. Non va troppo veloce perché io non sono agitata. È solo ballare. Poi in un attimo apro gli occhi e guardo. Guardo le persone (almeno cinquecento) che sono lì e che probabilmente non mi vedono ballare. Nel mio gruppo di danza classica siamo in sei, è ovvio che non guardino solo me. Non sono mai stata altezzosa, come non ho mai pensato di essere chissà quale fenomeno della danza. In mezzo ad altre cinque persone che ballano la mia stessa coreografia, mentre io ballo nel loro stesso modo è ovvio che non abbiano gli occhi solo per me. E avanti così. Inizia, finisce, inizia, finisce, inizia e finisce di nuovo. Come è complicata la danza. Ti sembra di poter ballare all’infinito ma devi per forza importi un limite. È strano… come se in una fabbrica di caramelle un adulto dice a un bambino che può fare tutto quello che vuole, ma il bambino vuole solo star seduto e aspettare che il tempo passi.
Adesso è il momento dei saluti finali. Il saggio è quasi finito. Come ci è stato spiegato a lezione iniziamo. Pliè, relevè, port de bras, jetè, jetè, gran jetè e pliè, corsetta, inchino, piroetta in sequenza, una per volta, a mo’ di canone, di nuovo inchino, spaccata, torno su, piroetta, pliè e corro via. Un'unica sequenza… come la mia vita. Dopo la morte di mia madre niente aveva più avuto un senso. Mi ricordo ancora quella sera. Avevo dodici anni…
 
 
Cari lettori, vi ringrazio di aver letto questa mia storia, e spero che vi sia piaciuta. Non preoccupatevi se magari il prologo vi sarà sembrato corto o troppo scadente… migliorerà, ve lo prometto, giuro che farò di tutto per farvi piacere la mia storia e accetterò ogni singolo consiglio abbiate in mente di darmi. Recensite in tanti e vi starò ad ascoltare con la massima attenzione.
Grazie mille e un bacione da SuperSavo <3 <3 <3

 

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Capitolo 2
*** quella sera dal mio punto di vista ***


Capitolo 1
Quella sera dal mio punto di vista
 
“non ti preoccupare Claire, guarda che torno” disse mia madre voltandosi per osservarmi con uno sguardo dolce dipinto sul volto, in piedi sulla soglia di casa intanto che usciva, per poi voltarsi a parlare con Cecilia.
Cecilia era la mia baby sitter. Occhi azzurri, capelli biondi, volto pallido. Benché nata in Italia, si notava subito che i suoi genitori erano del nord. Infatti era di origini norvegesi. Non aveva alcun accento del nord, parlava perfettamente l’italiano. Era una simpatica ragazza di diciotto anni, bellissima come poche. In più era anche una splendida babysitter. Con lei mi divertivo sempre un mondo. Era divertente perché non mi trattava come gli altri babysitter che avevo avuto. Essendo giovane aveva capito subito che ero una ragazza sveglia e che non mi andava di non fare mai niente. Così ogni sera appena i miei uscivano di casa andava in cucina a preparare i pop corn mentre io prendevo la coca cola e alzavo la musica al massimo. Sapevo tutto di lei. Il suo colore preferito era il verde smeraldo, il suo animale preferito era il cigno per la sua eleganza, i suoi movimenti e la passione che sembrava sprigionare da essi. Cecilia era una ballerina classica. La sua famiglia affrontava vari problemi economici. Sua madre aveva un lavoro ma non guadagnava molto, il padre scappato chissà dove in un altro paese perché non se la sentiva di gestire una famiglia con così tanti problemi si era probabilmente trovato un’altra moglie e aveva fatto altri figli. Il sogno di Cecilia rimaneva sempre e comunque quello di entrare a far parte della scuola di danza classica della scala di Milano. Sapeva che quel sogno era irraggiungibile per lo stesso grande problema: i soldi. A quell’età non capivo dove potesse stare la felicità in una cosa materiale tanto quanto male essa potesse provocare. I sogni, i desideri, le speranze, dipendevano tutte dalla stessa identica cosa, la stessa identica cosa materiale. Adesso lo capisco. Ad ogni cosa c’è un prezzo, una targa, qualcosa da pagare. Il bene non esiste senza il male e viceversa, quindi per via del fato, per ogni maledettissima cosa bella che accade deve essercene una brutta che attende il tuo arrivo, il tuo passo falso, il tuo minimo, più piccolo, miserabile e insignificante degli errori. L’avrei imparato quella sera.
“Cosa ci aspetta in televisione stasera?” chiese appena dopo che la macchina di mio padre ebbe svoltato l’angolo. “varie scelte… vampiri, alieni, mummie… oggi però è la serata alieni, quindi propongo Paranormal Activity 2” dissi “bello, io vado in cucina a preparare i pop corn, tu intanto accendi la tv”.
Quando il film iniziò e i pop corn si trovarono tra le nostre mani, ci dimenticammo di tutto ciò che accadeva attorno a noi, immerse nella semi oscurità.
Ma, quasi alla fine del film, il telefono squillò.
Controvoglia Cecilia mise in pausa il film, si alzò e rispose.
“pronto?” una voce rattristita giunse dall’altro capo della cornetta: “Lei deve essere Cecilia, giusto? La babysitter di Claire. Dobbiamo darle una… brutta notizia. Stasera verso le dieci e mezzo la madre e il padre di Claire hanno avuto un incidente d’auto” “oh no! E poi? Stanno bene? Si sono fatti male? Dove sono? Può passarmeli?” il broncio di Cecilia si trasformò in un lampo in una visione orribile, un’espressione incredula mischiata all’orrore e alla disperazione, incorniciata da lente lacrime che le scendevano dagli occhi, per la consapevolezza di ciò che stava per sentire, come se solo la voce dell’ interlocutore potesse spiegare tutto. E in un lampo la consapevolezza di Cecilia mi attraversò. Io che tendevo l’orecchio per saperne di più sui miei genitori.
“mi dispiace, temo che non sia possibile passarglieli. Loro…vede, loro sono… la madre è morta. E il padre è in coma. Mi dispiace… io sono la madrina di Claire, vede, e quindi lei è sotto la mia tutela, fino a quando, e se, il padre si risveglierà. Potrebbe comunicarle lei la notizia. Mi dispiace, davvero, non so come… come sia potuto accadere… non ci credo mia sorella era così, così… serena… non si sarebbe mai potuto immaginare che anche lei sarebbe potuta… morire… non così giovane… trent’anni… era una di quelle persone da qui non c si aspetta la fine, che sembrano essere in grado di sconfiggere la morte… sa, lei una volta…” Cecilia aveva smesso di ascoltare ma non interruppe nemmeno una volta mia zia per non distrarla dai suoi ricordi felici. La scena nel soggiorno era completamente cambiata. Meno di dieci minuti prima eravamo sedute sul divano a guardare un film, a mangiare pop corn e a ridere benchè stessimo guardando un film dell’ orrore. Ora però il film non mi importava più. Il telefono continuava a parlare senza che nessuna di noi due capisse le parole che ne uscivano. Le lacrime che scendevano dagli occhi di entrambe, io che tremavo e abbracciavo Cecilia, sforzandomi di non piangere. Potevano passare secoli, millenni, anni, secondi, ore, giorni, minuti, mesi, settimane. Eravamo una semplice statua, non si direbbe che potessimo muoverci, cosa che se non fosse stata per i tremiti e i singhiozzi sarebbe sembrata vera.
Cecilia si mosse solo per salutare mia zia e riattaccare. Dopo mi portò a dormire nella camera dei miei genitori, mi rimboccò le coperte, e si sedette su una sedia in parte al letto a osservarmi dormire. Probabilmente rimase sveglia tutta la notte a pensare, cosa che feci anch’io. Probabilmente pensò come me al fatto che il giorno dopo avrebbe dovuto portarmi a casa di mia zia, a cosa avrei dovuto sopportare se anche mio padre fosse morto, a come era potuto accadere tutto ciò e a cosa era successo quella sera esattamente. Alle prime luci dell’ alba scese a preparare la colazione e intanto che ero da sola un altro pensiero mi assalì. Quella poteva essere l’ultima che vedevo Cecilia. Cercai di non pensarci ma quel odiosa idea mi tornava in mente in continuazione. Non gli parlai di quel pensiero, ma rimasi nel mio letto immobile intanto che lacrime mi scendevano sul volto senza che io provassi a fermarle. Alle otto e mezza mi alzai e dopo che mi fui vestita lei prese la macchina e ci avviammo verso la casa di mia zia.
Quando arrivammo la salutai abbracciandola e poi lei se ne andò.
“Come va Claire?” chiese mia zia “tutto bene?”
“sì,” dissi “tanto tutti moriamo. Certo mi dispiace che la mamma è morta. In fondo lei era mia mamma. E se muore anche il papà tanto meglio, così loro staranno insieme. Io invece aspetterò che arrivi la morte a portare via anche me così torneremo di nuovo una famiglia. Infondo la morte è come un’ altro stato, un’altra nazione, in cui solo alcune persone possono andare. No? Quindi questo è il giorno più bello della mia vita, ovviamente dopo ieri” mia zia era stupita di quelle parole. In effetti avevo usato un tono di sfida un po’ troppo stra fottente. Ma del resto quella domanda era semplicemente un idiozia. Era passato qualche secondo e, spiazzata da quelle poche frasi, mia zia mi rimproverò, ma non per la battuta: “non dire quella parola Claire. Non dirla mai più” “quale parola zia Bianca? Morte?” dissi sfidandola di nuovo con lo stesso tono di prima “ti ho detto di non dirla!”
E così dicendo, entrò in casa arrabbiata. Sarebbe stato un lungo periodo…
 
 
Passarono i mesi. Un pomeriggio d’estate il telefono squillò. Io ero fuori a giocare a pallone ma inspiegabilmente il cuore mi balzò in gola e una scarica mi attraversò. Entrai in casa correndo proprio mentre sentivo le parole “buon giorno. E’ l’ospedale dove dovrebbe essere ricoverato suo cognato. Dobbiamo avvertirla che è uscito dal coma e potete venire a trovarlo oggi stesso. La devo avvertire anche che dato che si è appena riavuto potrebbe essere di emozioni instabili e che potrà tornare a casa fra non meno di due settimane.”
Ero felice come non lo ero mai stata prima e non badai più alle parole che uscivano dal telefono o a quelle della zia. Quella stessa sera avrei rivisto mio padre, dopo quasi nove mesi da quel tremendo incidente d’auto. E avrei finalmente capito cosa era accaduto quella sera.
Quando arrivammo in ospedale un dottore ci accompagnò nella stanza dove mio padre era ricoverato e ci lasciò sole con lui.
Aveva un’ aria confusa, come se non ci conoscesse.
“che bello vederti Claire. E anche te Bianca. Come sei cresciuta tesoro. Quanto tempo è passato? Non sono riuscito a farmelo dire. Quanti anni hai adesso Claire. Abbiamo così tante cose da dirci.” Disse mio padre in un sol respiro. Il fatto che avesse detto le parole “dobbiamo dirci così tante cose” mi fece capire che voleva parlare di quella sera. Dopo tanto parlare con mia zia, mio papà le chiese di uscire per poter parlare in privato con me.
“siediti” mi disse “sai… non so come spiegare quello che è successo… tranne che dicendoti ciò che è successo davvero quella sera. Tu sei abbastanza intelligente per capire. Tutta tua madre… aspetto e carattere… vedi, quella sera in macchina io e lei abbiamo… discusso su una brutta cosa che ha fatto il papà, e che non ha detto alla mamma. Lei si è arrabbiata molto e anche io perché non mi è mai piaciuto quando tua madre urlava e mi sono… ehm… distratto dalla strada. Ciò che il papà ha fatto di brutto non t deve preoccupare adesso, lo capirai quando sarai più grande. E’ solo che… io volevo tanto bene alla tua mamma, e anche da tanto tempo, ma alcune volte capita che una persona tende a non provare più interesse per un’altra, e a... uscire, sai… con un’altra persona…” “o mio dio pa’! hai tradito mamma?! E non essere così stupito. Sono abbastanza grande da capire… ho dodici anni ormai! So cos’è il tradimento! E t lamenti se la mamma si è arrabbiata? Io mi stupisco che lo abbia capito così in ritardo! Anche io me ne ero accorta! La mamma piangeva spesso quando non c’eri, parlavate meno e tu stavi molto poco tempo in casa. E meno tempo tu stavi in casa più lei piangeva. Quindi un po’ è colpa tua se lei è morta. Il giorno dopo l’ incidente ho detto che forse era meglio se morivi anche te così tu e lei sareste stati di nuovo insieme e prima o poi anche io vi avrei raggiunti. Ma adesso non ne sono più tanto sicura…” Conclusi in fine. Le ultime frasi le avevo dette in un solo fiato e adesso gli mancava il respiro. Il mio cervello intanto stava già lavorando a raffica per capire meglio ogni singola parola.
Lui ha tradito mamma, lei lo ha scoperto, si è arrabbiata, lui si è distratto e… “è come se tu hai ucciso mamma…” dissi. Non volevo dirlo davvero. Volevo solo pensarlo, ma l’avevo detto ad alta voce e a questo punto era impossibile rimangiarsi tutto. Inoltre l’avevo detto con un tono che non mi ero mai sentita usare. Ero triste e arrabbiata al tempo stesso. “cosa dici?! Io non ho ucciso la mamma! Mi sono semplicemente…” ma non finì mai quella frase. Forse perché non si era “semplicemente distratto”. Forse lui e la mamma avevano litigato non solo con le parole…
 “devo riposare. Vattene” “ma pa’…” “ho detto VATTENE!” “NO” “vattene!” “me ne vado ma tu non puoi trattarmi come una bambina! Non lo sono più ormai!” l’avevo davvero fatto arrabbiare. Non volevo continuare quella conversazione, così uscii assicurandomi di sbattere la porta forte e con più non curanza possibile.
Fuori dalla stanza vidi mia zia in piedi che si guardava in giro troppo velocemente per sembrare normale. Probabilmente aveva origliato fino a quel momento tutta la conversazione. Volevo sapere cosa ne pensava ma lasciai perdere. “andiamocene, non siamo le benvenute. Non più ormai” mi limitai a dire. Ce ne andammo dall’ospedale e io avevo ancora il broncio per ciò che avevo appena scoperto. Quella sera a cena mangiai poco e tornai in camera. Pensai che probabilmente quelle due settimane che rimanevano prima del ritorno di mio papà dovevo impiegarle per andare in ospedale a trovarlo e a chiedere scusa… ma stranamente non ne avevo voglia. Le avrei impiegate x divertirmi. Avevo la strana sensazione che dopo non avrei potuto più farlo. O non nello stesso modo. La mia vita aveva subito una svolta troppo grande per me. La morte di mia madre mi aveva sconvolta.
 
 
Eccomi qui con il mio primo capitolo dopo il prologo! Spero che vi piaccia. Giudicate voi tramite recensioni, datemi consigli. Mi piacerebbe anche scoprire cosa vi aspettate dal prossimo capitolo. Di sicuro la morte di sua madre e il risveglio di suo padre non saranno le uniche svolte che Claire subirà… ma non vi anticipo niente.
Baci, Savo XD
 

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Capitolo 3
*** in partenza ***


Capitolo 2
In partenza
 
Una brezza leggera entrò nella mia stanza portando odore di crostata alla ciliegia e tè. La finestra era aperta e attraverso le tende entrava un pallida luce che rischiarava leggermente la stanza. Doveva essere passata da poco l’alba. Mi alzai in punta di piedi, accesi la luce e mi guardai intorno. Puntai dritta verso il calendario. Erano segnate in rosso quindici “X”. Sulla scrivania accanto al mio letto erano stati messi alcuni abiti. Li guardai per un attimo e poi li indossai. Una maglietta rossa senza maniche, pantaloncini di jeans neri e una felpa blu e bianca. Guardai sotto il letto in cerca delle ballerine abbinate alla felpa ma non le trovai. Mi era rimasto solo un paio di scarpe da ginnastica bianche. Confusa aprii l’armadio e non trovai nessuno dei miei vestiti. Mi accorsi che anche le mie cose, che di solito lasciavo sparpagliate per la stanza, non c’erano più. Andai al tavolino dei trucchi ma non c’era niente. Aprii tutti i cassetti ma non trovai niente di ciò che mi apparteneva. Guardai sul ripiano della finestra e li vidi. Il mio cellulare, l’iPod, e un paio di occhiali da sole vi erano postati posati sopra, insieme ad un vassoio con una fetta di crostata alle ciliegie e del te. Vicino al piatto con la crostata c’era un biglietto scritto con una calligrafia decisamente. Sopra vi era scritto:
“cara Claire. Ti starai chiedendo dove sono tutte le tue cose. O se non te lo stai chiedendo ti faccio notare che non c’è più niente di tuo in questa stanza. Le tue cose sono in due valige. Se vai all’ingresso le trovi. Tuo papà è arrivato ieri sera quando tu dormivi e ha insistito nell’andare via il prima possibile per non dare troppo fastidio. Io son uscita per andare a fare la spesa e tuo padre mi ha detto che usciva. Non so dove doveva andare.
     Baci, tua zia Bianca”
  
Feci in fretta colazione, presi le cose posate sul davanzale e scesi nell’ ingresso, proprio mentre mio papà entrava accompagnato da mia zia. Appena mi videro smisero immediatamente di parlare e mia zia mi superò per andare in cucina, senza nemmeno salutare. Avevano litigato.
“ciao” disse mio padre “come stai?” “bene, ma non sono io ad essere appena uscita da un coma” risposi “ma cosa…?!” “volevo dire… tu come stai?” mi corressi in fretta. “bene. Vedo che sei già pronta, possiamo partire anche subito se per te va bene” “NON CI PROVARE MICHAEL!” la voce severa che uscì dalla cucina così all’improvviso mi fece sobbalzare. Probabilmente stavano litigando per quello mia zia e mio papà. “ne abbiamo già parlato Bianca. Se io voglio andarmene non me lo puoi impedire. Io sono suo padre quindi…” “no! Non voglio che litighiate solo perché tu vuoi tornare a casa. Zia, non ti preoccupare. Non abitiamo molto lontani. Verremo a trovarti… sarà solo qualche isolato.” Dissi. Non sopportavo vedere mia zia e mio padre litigare. “… non ci credo Michael.. tu… tu non… non glielo hai detto? … non le hai detto NIENTE? Io non ci credo… non hai nemmeno chiesto il suo parere… io… io… vattene, esci da casa mia Michael… MI HAI SENTITA? Voglio che tu esca da casa mia!” non capivo… cosa voleva dire non le hai detto niente? Pensavo che stessero parlando di andare via di casa presto perché papà non voleva disturbare la zia… forse mi ero persa qualcosa. O come aveva fatto intendere mia zia… mi ero persa tutto. Se no perché ci stava praticamente cacciando… anche se in teoria cacciava papà…
“andiamo Claire. Su, Sali in macchina e dormi. Ti sei svegliata presto, avrai ancora un po’di sonno.” Senza ribattere salii in macchina, ma, con gli occhi chiusi, rimasi in ascolto. Non sentii molto, anzi, praticamente niente. Mio padre aveva ragione. Ero davvero molto stanca, quindi mi addormentai. Prima però riuscii a sentire alcune parole intanto che mio padre caricava le valige in macchina lo sentii brontolare un certo tipo di parole contro mia zia. Non ne ricavai molto. L’unica cosa nuova era che mia zia non avrebbe dovuto dire quello che ha detto… perché io non dovevo sapere quello che ho quasi capito. Ma cosa è che avevo quasi capito io? Sinceramente… non avevo quasi capito un bel niente. Anche se prima o poi avrei dovuto saperlo no…? Come il tradimento di mio padre nei confronti di mia… MA CERTO! Una piccola, inutile rotella che si era accesa solo una volta prima di allora riprese a funzionare di colpo. Avevo troppe domande, troppi perché, troppe curiosità. Eppure io dovevo solo fingere di dormire. Chi era la ragazza con cui aveva tradito mamma? Le aveva nascosto di avere una moglie? Erano ancora in contatto? Sapeva dell’ incidente? Che fine aveva fatto? di sicuro lei centrava con il litigio tra papà e la zia… e se fosse venuta a vivere con noi?
Non osai immaginare oltre e decisi di addormentarmi per davvero. In fondo erano le sei e mezza del mattino.
Non feci sogni. E per fortuna. Se c’era una cosa che odiavo erano i sogni. Permettevi che ti entrassero in testa anche se non ne avevi la minima voglia di vedere immagini che potevano cambiare e farti star bene o male secondo loro scelta. Ti facevano sentir debole. E un’altra cosa che odiavo era essere debole. Per fortuna avevo imparato che tutti i sogni prima o poi si infrangono. Che siano quelli che ti entrano in testa quando dormi, che quelli che ti entrano in testa da sveglio. Dormii tranquilla e quando riaprii gli occhi mi sembrò passato solo un secondo. Mi pentii subito di quel gesto. Poco lontano dal finestrino c’era ragazza sulla trentina che mi guardava. Aveva lunghi capelli castani e occhi neri. Stava parlando con mio papà e imparte a lei erano posate tre valige di cuoio nero. Sperando che non mi avesse notata chiusi subito gli occhi. Bene, una delle domande se ne era andata, perché su una delle sue valige era scritto in caratteri dorati il nome “Cindy”. A quanto pare anche un'altra domanda se ne era andata: sì, la fidanzata di mio papà veniva a vivere con noi. E io sarei vissuta con lei. Ok… forse non era antipatica, forse mi sarebbe stata molto simpatica, ma non saremmo mai potute essere amiche. Mio papà aveva tradito mia madre per lei. Era una specie di compito darle battaglia, essere ostinata nei suoi confronti e farla impazzire per il solo scopo di far capire a mio padre che io non volevo lei, che volevo mia madre, che aveva sbagliato tutto e che non mi capiva. Era un piano abbastanza allettante, ma prima dovevo sapere se lei era simpatica o no. Non riuscivo a crederci. Era questo che mi aveva nascosto? Che la sua fidanzata sarebbe venuta a vivere con noi? Che altro dovevo aspettarmi? Speravo sinceramente che fosse tutto finito li. Era decisamente troppo. Mio padre aveva davvero pensato che la sua fidanzata avrebbe potuto sostituire facilmente mia madre? Lei mia aveva messa al mondo, questa invece non sapevo nemmeno chi era. C’è una bella differenza.
Almeno mi rimaneva la mia bella casa, la scuola, i luoghi in cui amavo andare, che mi piacevano di più. Non vedevo l’ora di vedere Cecilia per poterle raccontare tutto quello che mi era successo nell’ultimo anno, per sentirmi dire che ero cresciuta tantissimo, per vedere l’unica persona che riuscisse davvero a capirmi, nonostante non pensassi di essere difficile da comprendere, bastava ascoltarmi qualche volta. Cecilia era la mia migliore amica, la mia unica amica, e non ero riuscita a mettermi in contatto con lei per un anno. Quado due portiere si chiusero capii che mio padre e Cindy erano saliti in macchina, e così ripartimmo. Dopo le ultime scoperte il sonno mi si era tolto di dosso e adesso continuavo a pensare se andare avanti a fingere di dormire finchè non sarei arrivata a casa oppure fare finta di svegliarmi. Non sapevo dove abitava Cindy quindi non sapevo quanto sarebbe potuto durare il viaggio verso casa. Ero tentata di fare davvero finta di svegliarmi, per vedere che cosa avrebbe detto mio padre. E poi mi sarebbe piaciuto fare la faccia sbalordita e sparare domande così velocemente da vedere la faccia di mio padre cambiare colore da rosso, a viola, a verde, a bianco pallido. Ero davvero molto tentata di farlo… ma purtroppo mio padre non lo odiavo abbastanza. E mi sarei rovinata mettendomi a ridere, quindi non mi conveniva. Prima o poi avrei fatto comunque la faccia stupita, e forse avrei anche potuto spaccare qualcosa gettandolo a terra o scagliandolo contro mio padre. Avrei aspettato poco, e avrei urlato tanto.
Quindi aspettai. E aspettai. E aspettai ancora di più. Ma casa mia non arrivava e inizia a preoccuparmi fui tentata di sbirciare il finestrino ma se avessi aperto gli occhi mi avrebbero vista. Ripensai al fatto di far finta di svegliarmi, ma rinunciai. Il viaggio andò avanti per quella che mi sembrò una mezz’ora. Poi sentii la macchina fermarsi, le portiere aprirsi e poi richiudersi. “tu entra in casa, tieni le chiavi… io devo parlare con lei… devo spiegarle” disse mio padre a Cindy. Passò qualche secondo poi la portiera che stava sul mio lato della macchina si aprì e mio padre mi chiamò per svegliarmi “sveglia Claire… ti devo parlare… siamo… a casa…” aprii gli occhi di colpo e lo fissai. Vidi un leggero movimento delle tende dietro la finestra, e capii che Cindy ci guardava. Che strano… le tende le ricordavo bianche… non porpora. E ogni tassello del puzzle andò al suo posto. Quella non era casa mia. Era la casa di Michael e Cindy. Non la mia, di mio padre e di mia madre. Da quando avevo visto  quella casa lui non era più mio padre. Un altro paese… un’altra casa… un’altra donna… e io che rimanevo li senza dire niente e guardavo mio padre infuriata, mentre lui distoglieva lo sguardo per non fissarmi negli occhi. Sapevo cosa fare. Non mi importava più se fosse simpatica o no. Non lo facevo per la giustizia di mia madre. Stavolta lo feci per conto mio. Entrai in “casa” a passo di carica ed entrai nella stanza dove avevo visto muoversi le tendine. Ed eccola li, in piedi, che mi guardava esterrefatta con la bocca aperta e il suono di una parola muta, o che non riuscì a pronunciare più in fretta di me. “brutta bastarda! Tu sei un incubo! Sei entrata nella mia vita senza che io volessi e mi hai fatto cambiare casa, hai pensato di poter sostituire mia madre, hai fatto si che Michael tradisse mia madre per te! Hai preso anche la mia vita! L’hai cambiata come si fa con le bambole! E ci vuoi ancora giocare! Io non voglio questa vita, non voglio questa casa e non voglio TE!” dissi tutto d’un fiato urlando allo stremo delle forze, sicura che i nuovi vicini potessero sentirmi, tanto per avere una buona prima impressione su di loro. “vattene! Quella è la porta! Almeno penso… sai io non mi sono ancora ambientata!” ma qualcuno mi afferrò per la manica della felpa. Cercai di togliermi di dosso mio padre ma lui mi fece voltare e mi tirò uno schiaffo, anche bello forte. Passò qualche secondo, in cui gli volli dire che era uno stronzo, ma pensai che mi avrebbe tirato un altro schiaffo, quindi passai al piano B, e lo guardai intensamente negli occhi, facendo cadere una lacrima dai miei. Una lacrima da oscar. Sentii il suo cuore perdere un colpo e lui mia abbracciò forte continuando a sussurrarmi delle scuse. Ma il piano non finiva li. Dovevo fargliela pagare, e far sentire le persone in colpa mi faceva stare molto meglio. “quando c’era la mamma non mi avevi mai nemmeno sfiorata” dissi facendo cadere altre lacrime sulla sua spalla. “mi dispiace, scusa, scusa, scusa, non volevo, ho fatto male, non era mia intenzione, mi dispiace tantissimo” disse lui, ma con uno gesto me lo scrollai di dosso e feci la faccina triste più convincente che mi riuscì, trattenendo a stento le risate. “non ti riconosco, tu non sei più il mio papà” dissi piangendo di nuovo con una voce leggermente da bambina. Uscii da quella che mi ero accorta essere la sala da pranzo intanto che mio padre si sedeva per terra con il viso tra le mani. Appena fuori dalla porta mi voltai a guardare Cindy, con un’espressione sprezzante le feci l’occhiolino lasciandola a bocca aperta e con un ghigno me ne andai verso la macchina per prendere le mie valige. Quando aprii la porta vidi che una ragazza mora poco più grande di me stava risalendo il vialetto di casa con una torta in mano. Sentii profumo di cioccolata. “ciao… ehm, io abito nella casa di fronte, dall’ altro lato della strada. Vi ho portato una torta per darvi il benvenuto. Spero vi piaccia… ehm… era tua madre ad urlare prima? Si è sentito ovunque…” disse la ragazza “grazie, sei molto gentile, è un fantastico benvenuto… e… no, ero io ad urlare…” le risposi “oh, scusami, non volevo… offenderti… mi dispiace…” “non ti preoccupare , non mi hai offesa. Va tutto bene” “ma eri arrabbiata con tua madre?” chiese evidentemente curiosa “no… mia madre è… ehm… lei non è più qui. E se te lo stai chiedendo, quello non è mio padre. Cioè… non lo è più. Grazie ancora per la torta, ci vediamo in giro… come hai detto che ti chiami?” le chiesi di fretta “non l’ho detto, ma comunque il mio nome è Anna Banghi. E te?” “Clarissa Crisalba, piacere di conoscerti, ma chiamami pure Claire, tutti mi chiamano Claire. Adesso devo proprio andare, ok?” le dissi “ok, ciao. Se avete bisogno di qualcosa noi siamo al numero tredici. Ci vediamo” e così dicendo si voltò verso casa sua e si incammino. Rientrai silenziosa in cucina, appoggiai la torta sul tavolo e una volta fuori mi diressi verso la macchina. La aprii e presi le mie valige zebrate viola. Rientrai in casa e stando attenta a non farmi sentire portai le valige al piano di sopra. Le lasciai vicino alle scale e mi aggirai per il corridoio aprendo le porte delle stanze per vedere quale era la mia. Al primo piano di sicuro c’erano la cucina, la sala da pranzo, il soggiorno, un bagno e mi era parso di vedere anche una piccola zona tranquilla con delle librerie vuote ai muri, che mio padre avrebbe di sicuro trasformato nel suo studio. Al piano di sopra c’era una gigantesca camera matrimoniale per Cindy e papà, la stanza degli ospiti, un altro bagno e una camera grande quella matrimoniale che, ne ero sicura, spettava a me. Ripresi le mie valige e le portai dentro. Le pareti erano state dipinte con una sfumatura che andava dal lilla chiaro al blu elettrico e delle decorazioni floreali porpora. Nel centro c’era un letto da una piazza e mezza. Mi ci sedetti sopra e mi guardai attorno. Mi accorsi che la camera era del tutto vuota. La parete opposta rispetto a dove mi trovavo era bianco panna e sembrava creata apposta per uno spazio di studio. Infine mi accorsi di una porta vicino a quella di entrata. Scesi dal letto e la aprii. Con stupore ci trovai un bagno privato. A quanto pare mio padre aveva previsto che l’avrei presa male quella storia e aveva fatto di tutto per chiedere scusa.
Uscii dalla camera e notai un’altra porta di fronte a me. La aprii ma era solo una piccola stanza vuota tutta completamente bianca. Di sicuro voleva regalare una cabina armadio a Cindy. Ma poi notai una cosa strana. Sul soffitto c’era una botola. Cercai ovunque ma non vidi sedie. Entrai in tutte le stanze ma non ne trovai. Così scesi in cucina e ne presi una di nascosto. Tornai nella camera vuota e aprii la botola semi visibile da sotto. Dentro c’era una fantastica soffitta. Se mio padre non se ne fosse accorto, lo avrei trasformato nel mio rifugio segreto. Mi girai per uscire e vidi un biglietto che prima non c’era. Diceva:
so che l’hai presa male Claire. Io ti voglio bene, sei la mia unica figlia e voglio farmi perdonare a tutti i costi, quindi ti regalo la camera da letto di fronte con bagno privato e questo piccolo spazio che userai come luogo di studio. Ti prego di perdonarmi. Spero che tu ti ricordi sempre che ti voglio un bene immenso.
Papà
Commossa tornai di sotto cercando papà e Cindy, seduti su un piccolo divano semi distrutto, che guardavano la tv, una specie di scatolone grigio che prendevano a malapena. Appena mi vide, mio padre si alzò in piedi e mi guardò inespressivo. Io gli corsi incontro e lo abbracciai forte. “ti voglio un mondo di bene, grazie mille” gli dissi. Lui, stupito, ricambiò l’abbraccio. Cindy gentilmente uscì dal soggiorno per lasciarci soli, e subito mi sentii in colpa per averla trattata male prima. Volevo rimediare “Cindy aspetta” le dissi. Lei si fermò e mi guardò “mi dispiace per prima. Quello che ho detto non lo pensavo e non lo penso davvero, vale per entrambi. Mi sono comportata malissimo e lo so, non mi sorprenderebbe se tu non mi voglia più parlare. E’ che sono partita con il piede sbagliato. Questa casa è fantastica e nel vecchio paese non c’era nulla a cui ero legata. E ancora non ti conosco abbastanza per giudicarti. In realtà io non ti conosco per niente. Mi dispiace tantissimo. Mi perdoni?” le dissi con l’aria più triste che potevo riuscire a trasmetterle “certo che ti perdono Claire. e anche di più. Ti capisco. Io avrei reagito allo stesso modo. Spero che possiamo essere ottime amiche.” Subito scoppia in lacrime sincere e andai ad abbracciarla. “bene, adesso possiamo andare a comprare i mobili. Ti va di scegliere l’arredamento delle tue stanze Claire?” chiese mio padre. Ero esterrefatta… “posso scegliere come arredare le mie stanze? Tutto quello che voglio?” “bè… basta che non vuoi spendere un milione, allora va bene. Però io devo aspettare qua… il camion del trasloco, con i mobili della nostra casa e di quella di Cindy, dovrebbe arrivare oggi pomeriggio… potete andare te e lei se volete. Così vi potreste conoscere meglio no?” Cindy mi guardò per un momento come per chiedere il mio parere e io risposi subito “è una fantastica idea” facendo comparire un sorriso sul suo volto.
Quello fu probabilmente il pomeriggio più lungo della mia vita. Io e Cindy partimmo subito e andammo in centro per vedere dei negozi di vestiti. Mi lasciò comprare due magliette, tre vestiti e due paia di scarpe coi tacchi. Era tutto favoloso. Poi andammo a pranzo in una pizzeria nei dintorni e infine andammo nei negozi di arredamento. Tornammo a casa e sistemammo tutto in piena sintonia. Durante le spese avevamo avuto modo di parlare e scoprire di avere molte cose in comune. Alla fine nella mia camera c’era un letto blu elettrico con cuscini pelosi lilla. In parte un comodino di legno antico con una lampada porpora conteneva tutti i miei quaderni e libri di scuola. Uno specchio era fissato alla parete con una sbarra di legno perfetta per danzare. Sull’altra parete c’era il quadro di una ballerina nel bel mezzo di un grand-jeté e tante foto di me da piccola con vari tutù di danza. In parte c’erano un armadio e una scarpiera con dentro i miei vestiti e le mie scarpe. Alla finestra c’erano delle tendine lilla mentre un tavolino con una sedia che sembrava far parte del camerino di una star si trovava ad un lato della parete bianca, con dentro tutti i miei accessori, i miei trucchi e i miei smalti. Il tocco di classe era una piccola tv a schermo piatto vicino al letto e la parete bianca che adesso era costellata di poesie scritte da me o da altri poeti o scrittori famosi, nelle tonalità del blu e del viola. Nella stanza di studio invece troneggiavano i colori pesca, albicocca e arancione. Una scrivania si trovava in fondo alla stanza con sopra un computer portatile collegato ad una stampante. Una libreria era comparsa in un lato della stanza ed era piena dei miei libri della vecchia casa e dei miei gingilli, per non parlare degli album di fotografie e della foto incorniciate. Quel giorno avevamo anche posato un parchè di legno chiaro per degli allenamenti di danza in casa. Dall’altro lato della stanza infatti c’era uno specchio gigante con una sbarra, uguale a quello nella mia camera. Avevo anche confidato a Cindy della soffitta e lei mi aveva giurato di mantenere il segreto. Adesso anche in quella c’era una piccola libreria con dei libri, tanti cuscini morbidi e pelosi per rilassarsi, una lampada vecchio stile che illuminava tutto l’ambiente dando un tocco di classe, un tappeto viola comodissimo e due pouf lilla e blu su cui sedersi. In più al centro c’era anche un tavolino basso, nero e lucido su cui potevo anche portare il pranzo o la cena, quando volevo stare da sola nei miei giorni no. Cindy l’avevo davvero sottovalutata. Era una ragazza splendida e solare, l’unica che riuscisse a capirmi davvero… ma in quel momento mi ricordai di Cecilia. Dovevo chiamarla per dirle tutto quanto, dall’ inizio alla fine. Salii di corsa in camera mia e presi subito il telefono. Digitai il numero e attesi. Nessuno rispose. Provai di nuovo. Nessuno, solo silenzio. Non poteva non rispondere. Non poteva non sentire. Non poteva non essere in casa, non proprio quando lei la chiamava dopo così tanto tempo! Non dopo che aveva così tante cose nuove da dirle! Provai per un ultima volta e la voce di una donna rispose “pronto?” “salve lei è la madre di Cecilia?” le chiesi “sì, sono io, chi è che parla? Cosa vuole?” “mi scusi per averla disturbata signora ma ho un bisogno urgente di parlare con sua figlia. Io sono Claire, lei era la mia baby sitter”  silenzio. La donna non parlava “pronto… signora è ancora li? Va tutto bene?”  chiesi preoccupata “sì, ci sono ancora, cara Claire, Cecilia mi ha parlato moltissimo di te. Ha aspettato una tua chiamata per quasi un anno! Che fine avevi fatto? Perché non l’hai chiamata?” “mi dispiace signora ma non ne ho avuto la possibilità” dissi “oh certo, che maleducata. Mi dispiace moltissimo per tua madre, una donna fantastica. E il padre? Come sta? Va tutto bene?” “si va tutto bene. Benissimo direi. Era proprio questo di cui volevo parlare con Cecilia” dissi. Sentendo il silenzio calare di nuovo come un ombra la serenità di poco prima svanì “signora è ancora li? Mi può passare sua figlia? Va tutto bene?” chiesi preoccupata “mi dispiace cara, ma non posso passarti mia figlia” disse la signora con uno strano senso di somma tristezza nella voce “perché? Le è successo qualcosa?” “sì. Le è successa una cosa… povera…” disse la signora in singhiozzi. L’ultima volta che avevo sentito rispondere così al telefono non era stato per buone notizie. Anzi, era stato per annunciarmi la morte di mia madre. Non capivo più niente… le lacrime avevano iniziato a scendermi sul volto, come se i miei occhi fossero un passo avanti al mio cervello. “cosa le è successo?” chiesi trattenendo un “no”, senza capire perché mai avrei dovuto dire una cosa del genere. Non solo i miei occhi, era come se tutto il mio corpo fosse avanti al cervello… o il mio cervello era indietro rispetto al mio corpo. Mi sforzai di non temere il peggio. “le hanno trovato un tumore abbastanza sviluppato e… e hanno dovuto operarla” capii che non era triste per il tumore. Era successo qualcos’altro. Dopo l’operazione. “come è andata?” chiesi “come è andata l’operazione?” “non bene… mi dispiace… adesso è… è… in coma…” merda! Perché a tutte le persone di cui mi importava qualcosa accadevano sempre cose brutte? Mia madre, mio padre, Cecilia. “oh mio Dio! Mi dispiace, davvero, mi dispiace moltissimo… cosa… da quanto?” “tre mesi. Coma profondo. Potrebbe… potrebbe non risvegliarsi mai più… ci credi?” no, non ci credevo, ma non lo dissi. “mi dispiace tantissimo. Adesso… devo andare… scusi, mi dispiace tanto ma… io… o no… perché proprio Cecilia?! Mi dispiace. Mi dispiace. A… arrivederci” dissi, ma lei riattaccò prima di me. Non poteva essere vero. Non Cecilia. Non la mia Cecilia. Non la mia unica amica. Lanciai il telefono sul letto e scesi di corsa le scale. Andai dritta in giardino rannicchiandomi in un angolo. Mi feci piccola piccola, in modo da non farmi vedere da nessuno. Piccola in confronto al mondo che avevo davanti e che mi attendeva. Il mondo che avrei dovuto affrontare inesorabilmente. Pregai con tutte le mie forze che Cecilia si risvegliasse o che sua madre mi richiamasse per dirmi che era solo uno scherzo. Ma non accadde niente. Intorno a me era calato il silenzio, come se fra me e il resto del monde si fosse formata una barriera invisibile che mi tappava le orecchie. Quel silenzio mi distruggeva. Non riuscivo a sopportarlo. Dopo qualche secondo scoppiai in un pianto irrefrenabile, ma era ancora troppo silenzioso, troppo muto. Allora urlai. Urlai ma non sentii niente. Urlai di nuovo. Niente. Di nuovo. Niente. Eppure sapevo di aver urlato fortissimo, perché vidi le tende della casa a fianco e la ragazza che ci aveva portato la torta, di cui mi ero già dimenticata il nome, che spiava e mi guardava male pensando che non l’avessi vista. Mi rannicchiai ancora di più e mi misi il viso tra le gambe, cercando di nasconderlo il più possibile. Pensai che fino a qualche minuto prima quello era stato il giorno più bello della mia vita. Adesso sarebbe anche potuto diventare il più brutto. Di solito in quelle situazioni era mia madre a tirarmi su… ma adesso dove era? Dove era mia mamma? Era ancora seduta accanto a me senza che io riuscissi a vederla? Non so quanto tempo passò, ma dopo un po’ decisi di alzarmi ed entrai in casa, cercando di pensare a cosa avrei fatto da quel giorno in avanti.
 
 
Eccomi qua con il mio nuovo capitolo. Scusatemi per il ritardo ma non trovavo mai tempo con l’inizio della scuola. Vorrei ringraziare RiccioLilli che mi da sempre una mano per queste storie, recensisce sempre e mi sopporta quando le chiedo che ne pensa della storia. Vorrei ringraziare anche tutti i lettori muti di questa storia che anche se non commentano leggono anche solo un capitolo. In più vorrei dire che se volete avere in mente l’aspetto di Claire io ho pensato a Bella Thorne ma ovviamente ognuno può immaginarsela come le pare e piace, avrei anke voluto postare una sua foto peccato che non ho la minima idea di come si faccia XDXDXD. 
Vi ringrazio ancora un mondo,
Bacioni, da Savo!!!

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Capitolo 4
*** la notte più lunga della mia vita ***


Capitolo 3
La notte più lunga della mia vita
 
Don’t try to make me stay, or ask if I’m okay
I don’t have the answer
 
Guardai la sveglia sul comodino e decisi di riprovarci. Erano le due e mezza precise e ancora non riuscivo a dormire. Chiusi gli occhi e feci ogni sforzo possibile per rilassarmi. Impossibile. Provai di nuovo. Niente. Pensai a cose più belle ma non me ne veniva nessuna in mente. Non avevo voglia. Dovevo dormire però. Domani (cioè oggi) sarebbe iniziata la scuola e anche le lezioni di danza. Cosa fare… non avevo nemmeno un briciolo di sonno. Guardai di nuovo la sveglia. Due e trentuno. L’unica cosa che speravo era che quel due diventasse in fretta un sei, almeno mi sarei alzata e avrei fatto qualcosa, al posto di stare a letto ad annoiarmi. Non sapevo se sarebbe stata una giornata positiva o negativa quella di domani. Non ho voglia di tornare a scuola domani pensai chissà cosa mi aspetta… per fortuna ho finito i compiti giusto in tempo… pensavo fossero infiniti… certo… li avrei finiti prima se non avessi passato tre quarti dell’estate in giro a non fare niente, uscendo dalle quattro del pomeriggio fino a mezzanotte. Però domani riinizia anche danza… ed è una buona notizia perché la danza mi leva sempre di dosso tutto lo stress che mi porta la scuola. Ero estremamente confusa. Che fare? Non venendomi in mente niente guardai di nuovo la sveglia. Due e trentaquattro. Sembrava che il tempo andasse a rilento. Avrei tanto voluto andare a scambiare qualche parola con chi lo gestisce. Magari il “proprietario” del tempo si era addormentato. Cosa che io non ero riuscita a fare. Iniziai a pensare alla mia migliore amica Elisa, ai miei amici Manuel, Luca e Fabio… al mio ex Matteo… al mio adorabile fidanzato Roberto… a mio padre… a Cindy… stavo giusto per addormentarmi quando sentii uno strillo acutissimo nella stanza accanto. La mia sorellastra di due anni, Maria, si era messa a piangere fortissimo. Era come se avesse capito che stavo pensando a tutte le persone a cui volevo bene. E a quanto pare aveva capito che in quella categoria non l’avrei mai fatta entrare. Maria era nata due anni prima e per fortuna, anche se molto stranamente, piangeva soltanto. Giuro che maledirò il giorno in cui dirà la sua prima parola. Il problema è che sembra nata per farmi finire in castigo. Ogni volta che le passo anche solo ad un metro di distanza lei si mette a piangere. Poi Cindy arriva di corsa e mi vede ad un metro da lei. Pensa che le abbia fatto qualcosa di brutto e mi mette in punizione. Adesso ho imparato ad uscire dalla stanza appena mi accorgo  di lei, oppure mi allontano facendo finta di niente. A volte funziona, ma ci sono alcuni casi in cui vado in giro per casa con un libro o con il telefono e così concentrata  non mi accorgo nemmeno di esserle passata accanto. E quando succede è snervante perché qualsiasi cosa accada Cindy la difende sempre. Non so perché non mi crede mai, ma dato che inizia a dire che sono egocentrica, pensa che faccio del male a Maria o che le dico brutte cose per attirare attenzione su di me… dice che mi sento esclusa dalla famiglia perché lei non è mia madre. Nel primo anno in cui sono vissuta con lei è stato bello, mi era molto simpatica. Poi è nata Maria e mi sono accorta della sua grande stupidità. Dice che il nome della bambina le è venuto in vocazione, continua a ripetere a se stessa che sua figlia farà grandi cose, senza accorgersi che, benché abbia due anni, non sa ancora parlare. E quando provo a farglielo notare mi mette in castigo. E poi c’è mio padre che da sempre ragione a Cindy e, anche se so che crede a me, mi mette in castigo. Di conseguenza cerco di passare il minor tempo possibile in casa. Vado a scuola, pranzo in mensa, torno a casa alle quattro prendo i libri e poi esco. Vado in biblioteca a fare i compiti. Per cena vado in pizzeria con la Eli. Poi torno a casa, mi cambio e mi lavo, esco con tutti i miei amici e torno a casa per le undici e mezza, quando tutti dormono vado a letto e ricomincio. Adesso Maria aveva smesso di piangere e mi era venuto un po’ di sonno. Guardai per l’ennesima volta la sveglia. Mancavano dieci minuti alle tre. Ero decisamente stanca. Chiusi gli occhi e mi addormentai. Sentii uno strano rumore, come un ticchettio. Aprii gli occhi e vidi la pioggia battere contro la mia finestra. Mi alzai dal letto in punta di piedi e notai che non indossavo più il pigiama ma dei Jeans e una felpa, gli stessi che portavo il giorno in cui ero venuta a vivere in quella casa. Vidi il mio riflesso nel vetro. I capelli erano più scuri del solito, ma erano ancora rossi. Il volto era pallido, molto magro, ma sorridente, benché ero sicura di non star sorridendo. I capelli erano raccolti in un cucù e notai che nel riflesso ero vestita con un tutù bianco e nei capelli era stata messa una specie di corona fatta di piume bianchissime. Non avevo più nemmeno una lentiggine e il contorno degli occhiera stato truccato con l’argento e il bianco, che quasi non si notavano sulla mia chiara carnagione. Quel vestito l’avevo visto indossare solo in una occasione, quando i miei genitori, mio padre e mia madre, mi avevano portata a vedere il lago dei cigni, quando eravamo andati in vacanza a Londra. Quella era stata l’ultima vacanza di famiglia prima che mia madre morisse. Di colpo il riflesso scomparve. Mi avvicinai alla finestra quando mi accorsi che era sparita. In quello stesso istante sentii qualcosa spingermi, una cosa che assomigliava molto al vento. Caddi fuori e nello stesso istante smise di piovere. Sentii un leggero impatto su qualcosa di freddo e vidi una stanza davanti ai miei occhi. Ero in piedi appoggiata ad una parete. Osservai la stanza che si mostrava ai miei occhi. Era abbastanza piccola, ma i mobili la facevano sembrare molto più grande. C’era un vecchio divano di pelle polveroso e una tv di quelle vecchie, con una specie di scatolone sul retro. Ero sicura che se l’avessi accesa le immagini sarebbero state confuse e in bianco e nero, ma non potevo perché qualcuno aveva spaccato lo schermo. Il parchè era stato messo molto male ed essendo anche vecchio rendeva difficile camminare senza inciampare. Il mio sguardo infine si posò sui muri, scrostati e in certi punti perfino anneriti, segno di un probabile incendio avvenuto in passato. Le pareti erano così malmesse, che non se ne capiva il colore originario. Ad un certo punto, senza alcun preavviso, il televisore si accese. Non trasmetteva nessun canale, sembrava più uno specchio, proprio come era sembrato qualche secondo prima con la finestra della mia stanza. Riuscivo a vedere il mio riflesso, ma sfuocato. L’unica cosa che si distingueva erano i miei capelli rosso fuoco, riflessi nel vetro dello schermo. Mi avvicinai di più, per vedermi meglio, ma, velocemente come si era acceso, il televisore si spense. Sentii dei passi avvicinarsi alla stanza in cui mi trovavo. Dovevo preoccuparmi? Non avevo la minima idea di dove mi trovavo in quell’ istante… che fare? Cercai un posto dove nascondermi intanto che la porta si apriva cigolando. Quando una testa bionda con degli occhi azzurro chiaro come solo Dio poteva descriverli  mi fece tirare un sospiro di sollievo, riconoscendo la mia amica Elisa “oh… per fortuna sei te Claire. ci eravamo preoccupati. Magari questo posto non è abbandonato! In cucina c’è ancora del cibo! Vuol dire che qualcuno deve viverci ancora nonostante lo squallore di questo luogo…” disse lei tutto d’un fiato. La domanda che mi ronzava nella testa era un’altra però… lei e chi? Chi altro era capitato in quel luogo? Non riuscivo a smettere di chiedermelo, fino a quando Elisa non mi distrasse porgendomi una borsa. Una mia borsa. Subito la riconobbi. Nera e fucsia con dei ricami bianchi. Era la borsa più grande che avevo e sembrava comunque piena zeppa di cose. La presi senza pensarci due volte e guardai al suo interno. Vuota. Vi era solamente il mio cellulare che si mise subito a vibrare come impazzito intanto che sul display compariva il segnale di chiamata di un numero privato. Risposi immediatamente “pronto?” chiesi “Ciao tesoro. Come stai?” subito mi si gelò il sangue che scorreva nelle vene, riconoscendo all’istante quella voce che speravo di non dover mai più sentire. Avrei voluto non rispondere. Il mio cavolo di ex. Perché mi aveva chiamata? Lui mi odiava! “cosa vuoi?! Sbrigati e sparisci” dissi con il tono più freddo e distaccato che riuscii a mantenere. Ero incazzata nera. Non volevo più parlargli. “che modi bruschi” disse addolcito come se avessi detto la cosa più tenera del mondo “non voglio infastidirti oltre pasticcino. Volevo solo dirti… che presto rimpiangerai tutto quanto. Dall’avermi lasciato all’esserti messa insieme ad un patetico traditore come il tuo attuale ragazzo” non credevo alle mie orecchie, ma lui continuò comunque a parlare “e ho già in mente cosa ti dirò quando tu e lui vi lascerete… che ne dici del buon vecchio stile che cosa ti avevo detto idiota?” gli riattaccai in faccia spaventata da quelle parole. Ok… lui mi odiava era ufficiale, ma non poteva arrivare a tanto! E poi era stato lui a lasciarmi mica io… d’accordo… forse si è arrabbiato perché non ero per niente triste del fatto che mi avesse mollata… ma non potevo mica piangermi addosso, senza fare niente! Probabilmente si era incazzato perché mi ero trovata subito un altro ragazzo… forse mi aveva lasciata solo per vedere se avessi sofferto, se fossi tornata da lui… avevo fatto qualcosa di male per cui mi meritavo di strisciare ai suoi piedi? Non mi sembra… non ero io quella che ci provava con tutte… mi riscossi da quei pensieri e decisi di seguire Elisa fuori da quella stanza. La prima cosa che notai quando uscii da quella stanza erano le finestre. Queste ultime erano state sbarrate malamente con delle assi di legno marce. Dai pochi raggi di luce che vi entravano notai varo granelli di polvere che fluttuavano nell’aria. Era una stanza immensa, praticamente vuota, eccezione fatta solo per qualche mobile polveroso e malandata. Al centro erano stati disposti in cerchio alcuni cuscini, con al centro un tavolino, l’unica cosa che sembrava non essere in cattive condizioni. Sui cuscini erano sedute delle persone. Subito le riconobbi, erano tutte le mie amiche. C’erano due cuscini vuoti sui quali ci sedemmo io ed elisa. Rimanemmo per qualche istante a guardarci in silenzio, avevo voglia di parlare ma non sapevo cosa dire. Eppure la risposta era così ovvia, non mi sarebbe bastato chiedere dove mi trovavo? Mi sembrava la cosa più sensata da dire in quel momento, oltre al perché eravamo li, me compresa, e perché sembrava quasi che mi stessero aspettando. Erano tutte cose che volevo, anzi, che dovevo sapere, ma non le chiesi. Una vocina dentro si me mi aveva detto di non farlo, come se non volesse rompere quel silenzio incredibilmente snervante. Cosa fare? Cosa dire? Non lo sapevo. Non sapevo nemmeno cosa pensare. Come se qualcuno mi avesse ordinato di farlo mi alzai inaspettatamente anche se le altre non diedero segno di essersene accorte. Uscii dalla stanza per cercare una porta che mi avrebbe condotto all’esterno. Quando la trovai appoggiai lentamente una mano sulla maniglia e tirai la porta verso di me. Guardai la luna che spiccava nel cielo notturno in mezzo ad un mare di stelle. La fissai intensamente per poi abbassare lo sguardo notando un zerbino rosso con una scritta dorata Welcome Gordon. Data la probabile età della casa mi sembrava strano vedere uno zerbino in così buone condizioni fuori dalla porta. Rientrai sbattendo la porta notando che aveva iniziato a piovere. Ritornai nella sala dove trovai i cuscini vuoti. Delle mie amiche non vi era traccia. Le cercai ovunque ma non c’erano. Entrai in una stanza e li vidi. Lui era avvinghiato a lei e non riuscivano a staccarsi. Sentii la gola chiudersi senza farmi respirare; il cuore mi si strinse nel petto come se volesse scomparire. Lui me l’aveva detto, aveva ragione. Mi ero fidanzata con uno sporco traditore che ora stava baciando (per non dire cose più porche) niente meno che la mia migliore amica Elisa. E in quel momento una forte  luce invase l’abitato e aprii gli occhi. Un raggio di sole entrava dritto dalla mia finestra. Era solo un sogno, che fortuna! Mi cambiai in fretta e scesi a fare colazione. “Che faccia sconvolta che hai! E’ successo qualcosa?” mi chiese Cindy quando entrai in cucina “solo un sogno” risposi minimizzando il tutto “spero per te che fosse un bel sogno” “e perché mai ti interesserebbe di me quando hai un’altra figlia…?” borbottai interrompendola. “Tu sei come una figlia per me Claire… e comunque volevo solo dirti che ho letto non so dove che prima o poi tutto quello che si vede nei sogni accade, e non vorrei vederti sconvolta così tanto di nuovo” Cindy che si preoccupava per me? Strano, ma… “con quella faccia spaventeresti la piccola Maria” disse con tono sconsolato. Adesso era tutto apposto… non gli importava di me ma “della piccola Maria”. Però speravo con tutta me stessa che quelle fossero solo cazzate… rabbrividii al solo pensiero che quella potesse essere la realtà. Dopo colazione salii in camera proprio intanto che il mio telefono riceveva un messaggio ti devo parlare Claire… e so che non vuoi ma ne ho bisogno. Da Matteo.
Era solo una cazzata. Quello che aveva detto Cindy era e sarebbe sempre stata solo una cazzata. Non poteva essere vero. Presi la cartella e il cellulare e scesi  le scale per prendere l’autobus.
 

 
Ecco qual il mio terzo capitolo escluso il prologo. Lo so, è passato solo un giorno da quando ho postato, ma volevo farmi perdonare per il ritardo del capitolo precedente. In realtà è solo un capitolo di passaggio anche se a volte i capitoli normali mi risultano abbastanza lunghi. Un po’ mi vergogno di questo capitolo perché sono sicura che lo troverete tutti noioso. Non pensate che questa sia falsa modestia, è sincerità. Anche se so che non sarà così, spero comunque che vi sia piaciuto e commentiate in tante. Ancora una volta ringrazio RiccioLilli per il suo supporto e vorrei specificare che è solo un caso se le mie protagoniste si chiamano Claire e Elisa come quelle della sua storia.
Per il resto vi ringrazio di cuore, grazie mille
Un bacione, da Savo!!!
P.S. solo una domanda: cosa pensate riguardo all’affermazione di Cindy?
P.P.S. ho iniziato a scrivere il testo di una canzone in cima ad ogni capitolo (irresistible, one direction) perché da qua che la storia comincia.

 

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Capitolo 5
*** la mia dannatissima vita ***


Capitolo 4
La mia dannatissima vita


Heartache doesn't last forever
I'll say I'm fine 



“Claire! sbrigati! C’è un posto qua!” disse una voce che subito riconobbi come quella della mia amica Elisa. Mi girai e mi trovai davanti una splendida diciottenne bionda e con gli occhi azzurri. Diciottenne… ancora non credevo che quello sarebbe potuto essere il nostro ultimo anno insieme… avevo trovato un amica fantastica, perfetta per me, e aveva tre anni in più… come il mio fidanzato…rabbrividii. Mi era venuto in mente quel sogno… migliore amica e fidanzato diciottenni…ed erano anche ex fidanzati… mai compiuto sbaglio più grande. Però era anche grazie ad Elisa se avevo conosciuto Roberto. Io e lei eravamo amiche quando stavano insieme, me lo a presentato e quando si sono lasciati, stranamente, sono diventati grandi amici. E io mi sono fidanzata con lui una settimana dopo… ormai era quasi un mese che stavamo insieme io e Roberto… eppure mi sembrava passata un eternità. Vedendo che non mi muovevo Elisa mi prese un braccio e mi trascinò fino agli ultimi due posti disponibili sul pullman. “mi vuoi dire cosa ti prende?! Hai per caso visto Taylor Lautner trasformarsi in un licantropo? Sei sconvolta!” disse Elisa riscuotendomi dai miei pensieri “eh? Oh no, non ti preoccupare, ho solo passato una nottataccia” risposi “non dirlo a me! Mi sono addormentata alle quattro e adesso sono stanchissima! Ci passerai anche te quando sarà l’anno degli esame. Già mi immagino il trambusto che ci sarà in quei giorni…” era questo il bello di avere un’amica come Elisa. Tu dici una frase e lei va avanti filata e se si accorge che non la ascolti non gliene frega molto, a lei basta parlare. Quando arrivammo a scuola scesi e corsi incontro al mio fidanzato baciandolo velocemente sulla bocca “mi sei mancato” gli dissi sorridendogli “ci siamo visti ieri Claire… ricordi?” disse lui scherzando, parlandomi come se fossi ritardata. Lo presi per mano ridendo ed entrammo a scuola insieme “agitata? Primo giorno di scuola…” disse lui “non dovrei essere io quella agitata, piuttosto tu che quest’anno ai gli esami della maturità, hai dormito stanotte?” gli chiesi evitando la sua domanda. Si, ero agitata, ma non per la scuola… “dormito come un ghiro, tu invece hai delle brutte occhiaie che ti fanno sembrare un brutto zombie uscito da un film dell’orrore degli anni ottanta” disse prendendomi in giro. Come avevo fatto a dimenticarmi di truccarmi?! Ero rovinata… la mia vita era finita, morta. Girammo in un corridoio intanto che Roberto mi scortava gentilmente verso la mia classe prima di andare con Elisa nella loro aula. E lo vidi. Se ne stava appoggiato imparte alla porta ancora chiusa della mi classe. Cavolo… perchè mi seguiva ovunque?! Gli inviai uno sguardo di fuoco che lo fece sorridere, per poi ammiccare nella mia direzione “stai calma” mi disse Roberto “ignoralo…” continuò dandomi un leggero bacio sulla fronte e guardando in cagnesco Matteo. “ciao Claire, come stai? Hai passato bene la notte? Io no, pensavo a te” disse facendomi l’occhiolino e cercando di prendermi un a mano che subito ritrassi. “vattene cretino. Stai lontano dalla mia fidanzata, lasciala in pace, sparisci, o ti faccio sparire io” disse Roberto per difendermi “oh ma stai zitto tu, con il tuo atteggiamento da quinta elementare e non da quinta superiore. Se c’è qualcuno che deve avere paura qua sei tu” Matteo iniziava a esagerare… “non ho paura di te” “non devi avere paura di me, ma della mia bocca” disse facendomi rabbrividire a quelle parole… se avesse anche solo avuto l’intenzione di baciarmi lo avrei fucilato “ci vediamo dopo, Claire. devo andare. Non lo ascoltare” disse Roberto. Lo baciai per un semplice bacetto a stampo ma quando cercai di allontanarmi lui mi prese per i fianchi e mi riattirò a se. Non protestai. Sentii Matteo sbuffare spazientito e decisi di mettermi in mostra ancora un pochino. Mi alzai sulle punte mettendo una mano nei capelli di Roberto e l’atra sul suo petto. Dopo qualche minuto che mi sembrò durare ore ci staccammo entrambi con un sorriso sulle labbra. Mi saluto con un occhiolino per poi dirigersi verso la sua classe, guardando male Matteo prima di andarsene. Mi girai e me lo trovai a pochi passi da me intanto che si avvicinava pericolosamente mi scansai di scatto “non ti va di baciare anche me? Magari bacio meglio di lui e poi torniamo insieme, dolcezza” disse facendomi l’occhiolino. Me ne andai a sedermi in un banco in fondo alla classe sperando che non mi seguisse intanto che Cristina, un’altra mia compagna di classe, si sedeva imparte a me. La ringraziai mentalmente per aver impedito a Matteo di sedersi al suo posto.
 
 
Quando la campanella che segnalava la fine delle lezioni suonò presi tutte le mie cose e usci dalla classe ansiosa di incontrare Roberto. Intanto che camminavo sentii qualcuno accostarsi a me. Alzai lo sguardo per scoprire chi era e, affermando le mie supposizioni, vidi Matteo.
“mi manchi dolcezza” disse serio cercando di trattenere però un sorriso che si trasformò poi in una smorfia buffa. “stammi alla larga” dissi cercando di andarmene aumentando il passo, senza risultati. Mi prese per un polso e mi trascinò, nonostante le mie “ribellioni”, in un luogo più appartato. “cosa vuoi?! Sbrigati e sparisci” dissi con il tono più freddo e distaccato che riuscii a mantenere. “che modi bruschi” disse addolcito come se avessi detto la cosa più tenera del mondo “non voglio infastidirti oltre pasticcino. Volevo solo dirti… che presto rimpiangerai tutto quanto. Dall’avermi lasciato all’esserti messa insieme ad un patetico traditore come il tuo attuale ragazzo” non credevo alle mie orecchie, ma lui continuò comunque a parlare “e ho già in mente cosa ti dirò quando tu e lui vi lascerete… che ne dici del buon vecchio stile che cosa ti avevo detto idiota?” Gli tirai uno schiaffo e corsi via, sentendo lui che mi seguiva. Quando arrivai nel corridoio più vicino mi fiondai in mezzo al mare di gente e cercai l’uscita. Ok… quella discussione era troppo famigliare… troppo vicina… non come un deja-vu, più come… come… un sogno! No no no no! Era solo un caso! Non era vero! niente… tutto falso, niente era vero… niente… quando trovai l’uscita mi fiondai addosso a Roberto che mi guardava in modo confuso. Poi, come se lo avesse colpito un fulmine, capì e mi strinse a se. Volevo non lasciarlo andare mai, per accertarmi che i sogni fossero solo dei sogni.
 

COSE DA VERIFICARE SE LA VITA DIVENTA UN SOGNO
1)Discussione con Matteo
2)Casa in rovina
3)Cuscini in sezione circolare
4)Roberto ti tradisce con Elisa
5)Zerbino “welcome Gordon”
6)Ballerina de “il lago dei cigni”
7)Pioggia a catinelle

Bene, lista finita, adesso rimaneva solo da vedere se qualcosa si avverava oltre alla discussione con Matteo, e poi avrei dovuto iniziare a preoccuparmi.
 
 
Ehilà, che ne pensate di questo capitolo? Bruttissimo, vero? comunque è solo un capitolo di passaggio, quindi vi prego, non uccidetemi! Per uccidermi aspettate che almeno finisca la storia, poi mi prenderò quello che mi merito! XDXDXD al di là degli scherzi (?) che ne dite di questo capitolo? Vi prego, commentate! Lo so che ho aggiornato ieri, ma avevo questo capitolo già pronto, e poi è così corto che ho pensato di postare. Grazie mille a tutti quelli che leggono le mie storie, recensite e datemi consigli, v.v.b.
Bacioni, da Savo
P.S. che cosa ne pensate adesso della domanda che vi ho fatto nel capitolo precedente?
P.P.S. nel caso che qualcuno pensi di essersi perso qualcosa, nei capitoli 1 e 2 Claire ha 12 anni, mentre dal capitolo 3 in poi e nel prologo Claire ha 15 anni.
Grazie mille, di tutto e a tutti
Baci

 

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Capitolo 6
*** inaspettatamente ***


Capitolo 5
Inaspettatamente

Midnight ain’t no
Time for laughing
When you say
Goodbye


“sì, sì… sì. SI! Non ti preoccupare, Eli! Me lo hai detto già sette volte! Sto preparando tutto, non dimentico niente! Adesso, mi lasci respirare? Devo andare a danza, ce la fai a stare zitta per due ore?! Brava, grazie…” “però ricordati tutto! Il cuscino, il sacco a pelo, gli smalti, il pigiama…” “scusa Elisa, non ti sento bene. Devo andare… ciao” dissi interrompendo la conversazione. Andai all’armadio e tirai fuori uno zaino dentro al quale misi tutte le cose che mi occorrevano per danza e tutto quello che mia aveva detto di portare Elisa. Mi sistemai i capelli in uno chignon a dir poco perfetto e mi incamminai verso la porta d’ingresso. Sentii il cellulare suonare nella tasca del pantalone della tuta, ma lo lasciai perdere. Elisa, di sicuro. Elisa, di nuovo. Salutai mio papà con un veloce bacio sulla guancia che mi augurava un buon divertimento alla festa di Elisa e mi diceva di farle gli auguri da parte sua. Elisa, benché fosse una ragazza di diciotto anni, non aveva mai amato il troppo rumore, le discoteche o la musica a palla nelle orecchie. Ogni anno, al suo compleanno, organizzava un semplice pigiama party con le sue amiche più care, tra cui io.


Il cellulare vibrò due volte segno che mi era arrivato un messaggio. Numero privato. Lessi il testo del messaggio: rispondi. Il  telefono iniziò a vibrare ripetutamente facendomi sussultare. Numero privato… mi guardai in torno cercando di vedere se ci fosse qualcuno nei dintorni. Nessuno. Risposi “ciao dolcezza” disse Matteo “sai che una bellezza come te non dovrebbe andarsene in giro da solo? Se vuoi vengo li e ti faccio compagnia” “non ne ho bisogno grazie. Ho dietro lo spray al peperoncino e con i pugni me la cavo bene” dissi con tono di velata minaccia “da quando sei così suscettibile?” chiese lui con il tono di chi la sa lunga “e tu da quanto non ti fai i cazzi tuoi? Da quando hai iniziato a parlare o da quando sei nato?” si mise e ridere e sentii anch’io una risata simile a qualche metro di distanza da me. Mi girai di scatto spaventata e lo vidi. Se ne stava seduto su una panchina che mi sorrideva. Si alzò di scatto e si mise a camminare verso di me. Ad ogni suo passo in avanti io indietreggiavo di due. Allungò il passo affrettandosi verso di me e in poco tempo mi ritrovai a correre. Ad un certo punto sentii la sua mano afferrare il mio polso e tirarmi con così tanta violenza che la mano si sarebbe potuta staccare dal braccio. Mi fece voltare di scatto provocandomi un male atroce alla spalla. Decisi di guardarlo negli occhi, senza abbassare lo sguardo, e mettermi ad urlargli contro con la speranza che qualcuno mi sentisse, ma non ne ebbi il tempo. La sua mano che prima stringeva il mio polso adesso stringeva il mio collo e faceva avvicinare le mie labbra alle sue mentre la sua mano libera mi cingeva dolorosamente i fianchi, infilandosi lentamente sotto la mia maglietta. Quando le sue labbra toccarono le mie rabbrividii e cercai di spostarmi ma lui era più forte di me e mi costringeva a stare immobile. Solo quando la sua mano tentò di scendere sotto i fianchi mi venne un’idea che avrei dovuto avere prima e gli tirai il calcio più forte che mi uscì proprio contro la sua tibia. Si staccò di colpo spingendomi a terra per farmi cadere. Sentii una forte botta alla nuca e tutto iniziò a girare velocemente ma non potevo perdere tempo. Intanto che lui era ancora frastornato per il calcio, mi alzai aumentando le vertigini e diminuendo l’equilibrio. Non sapevo dove stavo andando ma mi misi a correre. Pian piano la vista tornò normale, proprio intanto che il mio subconscio mi faceva arrivare sana e salva alla scuola di danza. Per fortuna era mio solito partire dieci minuti prima da casa. Andai negli spogliatoi notando che non ero la prima, cosa che mi accadeva di solito. Non la riconobbi subito ma quando si voltò verso di me identificai la mia amica Ines. Lei mi corse incontro preoccupata, con una smorfia che sembrava trattenere un urlo. Non capii subito ma dopo un po’ mi resi conto che avevo iniziato a piangere e sentii un brusco dolore al collo e ai fianchi, per non parlare delle gambe che erano stremate dalla corsa. Mi gettai tra le sue braccia singhiozzando. “cosa è successo? Claire…?” non risposi, cosa che lei intese come negativa, ovvero, che intese nel modo corretto “non vorrai dire… non sarà mica stato… oh povera! Vieni qui Claire… va tutto bene, non ti preoccupare, è tutto passato, adesso ci sono qua io non lui. Stai calma” disse cercando di tranquillizzarmi. Mi staccai da lei e mi asciugai le lacrime e riuscendo, con un enorme sforzo di volontà, a non farne scendere altre. Presi la cipria dal mio zaino a andai allo specchio per osservare le mie catastrofiche condizioni. Il mascara era colato per via del pianto, il viso arrossato dalla corsa, un tremendo rosso cremisi spiccava sul collo ed ero sicura che se avessi controllato avrei trovato gli stessi segni sui fianchi. Lo chignon era tutto da rifare e avevo solo dieci minuti, compreso anche il tempo che mi sarebbe servito per prepararmi. Mi misi subito all’opera con le salviettine struccanti, rimisi la cipria abbondando sul collo per nascondere il rossore e aggiunsi il mascara. Disfai lo chignon per rifarne uno perfetto a quello che avevo fatto prima di uscire di casa. Mi cambiai in tutta fretta, ma intanto che mi mettevo il body vidi un graffio profondo nel fianco… come aveva fatto a tagliarmi? Forse era quello il dolore che sentivo quando mi stringeva… pensai. A meno che… mi venne in mente un giorno, quando eravamo insieme. Eravamo al parco e ci tenevamo per mano, io ignara di ciò che lui era realmente. Quello fu il primo segno della sua violenza. Passammo accanto ad un gruppo di persone che lo guardò con un ghigno sul volto. Lui era molto carino (e ammetto che lo anche adesso) e metà della scuola (la metà femminile, si intende) lo guardava con gli occhi dolci. A lui non piacevano quella attenzioni e decise di baciarmi sul posto, per far vedere a quelle ragazze che era impegnato. Io non volevo baciarlo. Non che non mi piacesse, ma non volevo essere coinvolta in quella storia. Cercai di oppormi ma lui mi prese il fianco affondandoci le unghie, come a costringermi a fare quello che voleva lui. E io, spaventata, decisi di contraccambiarlo, però… no, non poteva essere così idiota… so che lui aveva sempre avuto un’idea possessiva della persone, voleva sempre avere il controllo su tutto e su tutti, ma non poteva arrivare a ferire volontariamente per il fatto che non mi avrebbe mai avuto… voleva dire che se gli avessi detto di no un’altra volta sarebbe potuto andare peggio…
In quel momento una lacrima cadde sul mio viso, ma la asciugai in fretta per far si che non rovinasse di nuovo il trucco. Ero, per come lo direi io, estremamente fottuta. Non mi avrebbe mai lasciata in pace fin quando non gli avrei detto di sì… fin quando non mi avrebbe costretta a dirglielo…
Rabbrividii al solo pensiero e finii di cambiarmi veloce. Quando uscii dallo spogliatoio notai un gruppo di persone vicino all’entrata dell’aula. “Ehi ragazzi! Guardate chi arriva” disse una voce che conoscevo bene “la principessa della scuola di danza, la cocca dell’insegnante” “chiudi quella bocca Chris! Te lo dico anche se so che per te è impossibile tanto quanto ballare decentemente” dissi prendendo in giro il mio migliore amico “oh, stai calma dolcezza” disse. No. Non quella parola. Mi ricordava lui. Quando stavamo insieme mi chiamava dolcezza. Adesso mi chiamava dolcezza. Ormai quella parola mi faceva rabbrividire nonostante il suo significato completamente opposto. “Chris… non devi chiamarla…” iniziò Ines in un sussurro che probabilmente pensava non potessi sentire “sto bene Ines, non ti preoccupare… va tutto bene...” dissi facendo una piccola pausa prima di pronunciare l’ultima parola. Ero sicura che Ines aveva raccontato tutto a Chris intanto che mi cambiavo, sapevo che aveva una cotta per lui. Entrammo nell’aula di danza insieme ad altre ragazze e ragazzi che facevano il corso cono noi. Giulia, l’ insegnante di danza, ci salutò con un breve cenno del capo intanto che congedava le ragazze del corso precedente. “entrate pure e iniziate a riscaldarvi, io devo uscire un attimo per fare una chiamata urgente, ma ci metterò poco.” Disse uscendo di corsa dalla sala. Circa un quarto d’ora dopo rientrò con una faccia seria che guardava il cellulare come se volesse incenerirlo. “ok, posizionatevi alla sbarra e iniziamo la nostra lezione senza interruzioni per una buona volta” ma non appena smise di parlare qualcuno bussò alla porta. “avanti” disse lei con voce infastidita. Tutti ci voltammo incuriositi verso la porta che si era aperta e alcune delle ragazze dall’altro lato della sala spalancarono gli occhi. Da dove mi trovavo non riuscivo a vedere chi aveva bussato ma ero troppo curiosa. “oh certo” disse Giulia “quasi mi dimenticavo. Vieni, entra pure così ti presento agli altri”. E anche io sgranai gli occhi quando vidi chi fosse lo sconosciuto. Si trattava di un ragazzo alto qualche centimetro in più di me, con dei capelli biondissimi e degli occhi azzurri come il cielo. Andò direttamente da Giulia e si volto per guardarci tutti con un sorriso timido che gli affiorava sulle labbra. “ragazzi e ragazze, lui è Filippo e farà danza con noi quest’anno. Si è appena trasferito quindi vedete di trattarlo bene, anche perché è ad un livello un po’più professionistico del vostro. Adesso iniziamo una volta per tutte!” e la lezione inizio definitivamente.
 
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La lezione era appena finita ed ero tutta dolorante. Non ero riuscita a concentrarmi molto, mi ero sicuramente impegnata di più nel trattenere le lacrime che minacciavano di uscire ogni volta che mi tornava in mente un ricordo di me e di Matteo, prima e dopo che ci eravamo lasciati. Stavo per uscire dalla porta quando sentii una voce chiamarmi “Claire, scusa, puoi venire qua un attimo?” chiese Giulia, tornai indietro fino ad arrivare da lei, chiedendomi cosa mi dovesse dire “scusa se mi intrometto nelle tue faccende ma… c’è qualcosa che non va?” quella domanda mi lasciò interdetta. Appena notò il mio sguardo confuso, riiniziò a parlare “oggi a lezione eri molto meno concentrata del solito, hai sbagliato non pochi passi. Non ti ho richiamata perché mi sono accorta che c’era qualcosa che non andava. Io ci tengo a te Claire, sei una delle migliori ballerine di tutta l’accademia, e non mi vergogno di fare paragoni. Ma ho troppe domande. Sbagliavi i passi, eri rigida nei movimenti, avevi lo sguardo perso, gli occhi lucidi, nei movimenti coi fianchi o nei salti ha volte avevi una smorfia di dolore sul volto… e cosa hai fatto al collo? È troppo rosso, io… io mi preoccupo Claire. E’ successo qualcosa?” quando smise di parlare rabbrividii sentendomi sprofondare e desiderai di non esistere. Cercai di contenermi e con il tono più distaccato che riuscii ad ottenere le dissi “non preoccuparti, sto bene… io… solo problemi da quindicenne, niente di grave.” “non so cosa sia stato, o chi, ma quei segni al collo e il dolore ai fianchi non dovrebbero mai rientrare in un problema da quindicenni. Se hai bisogno di parlare con qualcuno di qualcosa, io ci sono.” Non sapevo perché, ma le sue parole non mi facevano stare meglio “io sto bene, te cosa è successo? Ho notato che eri arrabbiata dopo la chiamata, fra te e tuo marito c’è qualcosa che non va?” ok, il rapporto che avevo con la mia insegnante di danza era fin troppo intimo, ma lei mi conosceva da quando ero piccolo, era la migliore amica di mia mamma, lei era stata tra le prime persone a vedermi appena nata. Era naturale un po’ di confidenza “non ci crederai mai… sono incinta!” mi aspettavo di tutto… ma non quello! “MAE’FANTASTICOGIULIA!!!” dissi tutto d’un fiato. Non ci credevo… ma questo voleva anche dire… no… probabilmente aveva notato il mio cambiamento d’umore e si affretto a spiegare “sì… è quasi tre mesi e sono riuscita a vederti solo oggi e sono un po’ in ritardo lo so, ma… già da settimana prossima dovrei andare in maternità, sai, sto avendo dei problemi con il bambino e prima ho chiamato la ginecologa che non ha risposto... comunque quest'anno avrete una nuova insegnante di danza” “oh mio Dio… non so se essere contenta per te o essere triste perché non ci insegnerai danza per quasi tutto l’anno…” dissi con voce smorzata “non ti preoccupare Claire, la nuova insegnante è molto giovane, circa… sei anni in più di voi? Ma non ti preoccupare, è bravissima, ed essendo così giovane riuscirà magari a capirvi meglio e ad insegnare meglio di me, adesso corri a cambiarti e avverti gli altri che durante la lezione non mi è venuto in mente di avvisare” e così dicendo uscii dall’aula. Andai negli spogliatoi e avvisai tutti, che reagirono nel mio stesso modo, ovvero prima felici e poi tristi. “E’ una notizia fantastica… ma non credo che abbia fermato te solo per questo… si è accorta di qualcosa?” mi chiese Ines sottovoce, in un sussurro che quasi non sentii. Annuii leggermente guardando da un’altra parte cercando di trattenere le lacrime che volevano scendere insistenti sul mio volto, ma comunque trattenute. “sei pronta? Dobbiamo andare alla festa di Elisa!” dissi per cambiare discorso “sì, io ci sono, ma non potremmo aspettare i ragazzi?” chiese lei con il suo tono supplichevole che mi scioglieva sempre “ok” consentii io. Quando Chris arrivò ci accorgemmo che era in compagnia del ragazzo nuovo. Come aveva detto di chiamarsi… Fabrizio? “ciao” disse Chris appena ci vide “ciao" rispose subito Ines continuando con le presentazioni “piacere, io sono Ines e lei è Claire” “piacere, io sono Filippo” disse quello che pensavo fosse Fabrizio. “piacere” dissi “senti Chris, adesso io e Ines dobbiamo andare perché siamo in un enorme ritardo, quindi ci vediamo. E piacere di averti conosciuto anche se per poco.” Dissi infine rivolgendomi a Filippo e prendendo a braccetto Ines, per portarla fuori dall’edificio di corsa.
 
 

Ehi ehi ehi!!! Come va? Eccomi di nuovo anche se con un po’ di ritardo, è solo che mio fratello si era impossesstao del computer, lasciandomelo si e no dieci minuti al giorno. Spero di essere più veloce con il prossimo capitolo. Ringrazio enormemente RiccioLilli perché continua a recensire instancabilmente e ringrazio di cuore anche Loulou_24 che tiene questa storia tra le seguite. V.v.u.m.d.b.!!! davvero, siete fantastiche. Riguardo al capitolo… non è molto interessante, se non per l’inizio e un po’ la fine. Adesso vi ho presentato gli ultimi amici di Claire, quelli di danza, che sono Chris e Ines, e ho anche fatto entrare (e rimarrà purtroppo per poco) l’insegnante di danza, Giulia, con cui Claire riesca a confidarsi quasi senza problemi. Il nome di Giulia mi è venuto in mente per ringraziare RiccioLilli per le recensioni e per la storia nelle seguiti, e consiglio a tutti la sua stori a sugli 1D, nuova scuola nuova vita.
Scusa ma non so mettere il link.
Per ora è tutto, alla prossima
Baci, Savo

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Capitolo 7
*** speriamo in bene... ***


Capitolo 6
Speriamo in bene…

 
I wanna be last, yeah
Baby let me be your
Let me be your last first kiss
(last first kiss – One Direction)
Io e Ines uscimmo di corsa dalla scuola di danza in un tremendo ritardo. Elisa ci avrebbe squartate vive, ne ero certa, anzi, di più. Presi di fretta il telefono per vedere che ore erano. Dieci alle sette… altro che squartate! Ci avrebbe cancellate facendoci soffrire lentamente! Quando dissi l’ora a Ines ci mettemmo a correre come non mai. Ad un certo punto ci fermammo per riprendere fiato. Quello vedemmo dopo fu solo un ricordo confuso. Sfondo di fulmini, sottofondo da film horror. Una figura femminile dagli occhi azzurri come il ghiaccio e dei capelli biondi tendenti all’oro. Ci guardava infuriate. Spaventate io e Ines per poco non ci mettemmo a correre. In quegli occhi quasi bianchi stava per esplodere un rosso cremisi pari al sangue che il suo cuore freddo pompava nelle arterie di lei. I ricordi si fecero sfuocati. Sempre di più. Sempre di più… dei passi affrettati verso di noi e delle urla di chi è incazzato nero perché due invitate della sua festa di compleanno sono in ritardo di mezz’ora. Un incazzatura, quella, che nessuno poteva fermare. Aspettammo il fiume di insulti che ci aspettavano intanto che Elisa si affrettava verso di noi. Sentii Ines tremare in fianco a me, e capii. Stavo riiniziando a sentire le gambe, più potenti di prima. Ma tutti i collegamenti con esse erano stati tagliati, i nervi inesistenti. Il cervello voleva far andare le gambe, farci scappare, farci correre ai ripari prima che si scatenassero le bombe. Tutto era maledettamente lento. Qualcuno aveva dimezzato la velocità quando sapeva che io volevo raddoppiarla per soffrire meno. Elisa era solo a due metri da noi ma il suono delle sue parole era ovattato impedendomi di ascoltarla. Quando fu più vicina mi accorsi che non stava urlando incazzata, sembrava… preoccupata. Mi abbracciò. Non capivo quel gesto, fino a quando non mi ricordai di Ines accanto a me. La sentii sospirare ed ogni pezzo del puzzle trovò il suo posto. Mi divincolai dall’abbraccio di Elisa e guardai Ines che mi fissava con aria colpevole. “glielo hai detto! INES!” dissi sconcertata “sì, è vero. me lo ha detto. Tu non me lo avresti detto? Mi avresti tenuta all’oscuro?” “no certo che no, ma io non le ho spiegato nei minimi particolari” “lo so, adesso però lo farai. Cosa è successo? Che ti ha fatto?” “ne possiamo parlare dopo? Qua in mezzo alla strada… non mi va molto…” mi arresi senza combattere, sapendo che sarebbe stata una battaglia persa in partenza “molto bene…ehm…” la bionda diventò subito rossa ed un’espressione preoccupata si dipinse sul suo volto “dato che dovrai spiegare tutto anche a Roberto…” “TU HAI FATTO COSA?! GLIELO HAI DETTO!!!” non ci vedevo più dalla rabbia “è il tuo fidanzato ha il diritto di sapere…” si difese lei con aria timorosa “quando? Quando glielo hai detto? Quando dovrò spiegargli tutto?” chiesi spazientita gliel’ho detto due ore fa dopo che Ines mi ha chiamata. Ti sta aspettando a casa mia…” o merda, lo aveva fatto preoccupare per due ore intere e… cosa? Cosa cazzo aveva appena detto Elisa?! Lui, Roberto, a casa sua?! Oh no… solounsognosolounsognosolounsogno, se non lo vedi non è vero, senonlovedinonèvero! “E’ venuto… a casa tua?” chiesi incredula “oh, non ti preoccupare, è venuto solo per te…” aveva capito quello che intendevo? “…dopo che avrete chiarito ci lascerà festeggiare il mio compleanno da sole, non rimarrà alla festa, non ti preoccupare” no. Evidentemente non aveva capito il senso delle mie parole. Camminammo in silenzio per strada e quando ci trovammo di fronte la porta di casa sua quest’ultima si aprì di colpo lasciando che Roberto mi corse incontro e mi abbracciò. Una lacrima scese sul mio volto e non provai nemmeno a nasconderla. Roberto si stacco da me e mi portò in casa tenendomi delicatamente la mano, facendomi accomodare su una sedia intanto che lui si sedeva delicatamente su un’altra davanti a me. Ines ed Elisa si sedettero su altre due sedie e mi osservavano impezienti. “ero appena uscita per andare a danza… mi ha mandato un messaggio con su scritto di rispondere e poi mi ha chiamata. Ero sicura di quello che stavo facendo. Io non pensavo… non potevo sapere che… che lui era li...” raccontai. mi fermai, improvvisamente spaventata da quei ricordi che ripercorrevano la mia mente. Come se stesse cercando di diffondermi forza Roberto mi prese entrambe le mai e le strinse a se “… bhè… il collo è leggermente arrossato, le gambe sono a pezzi, ho un taglio netto nel fianco e… mi ha baciata…” dissi dicendo l’ultima parola con la voce rotta dal pianto. “CHE COSA CAZZO HA FATTO QUEL BRUTTO FIGLIO DI PUT…” “stai calmo, è più preoccupante il taglio che ho nel fianco, non smette di bruciare da due ore. Adesso vado in bagno e mi disinfetto la ferita. Non ti preoccupare sto bene. Stai calmo… dove è il disinfettante Elisa?” chiesi “vengo con te, ti do una mano” disse lei ma Roberto la interruppe “no, è la tua festa. Tu vai in camera tua con Ines e divertiti con le altre. Mi occupo io di Claire” “ok… il disinfettante è nel cassetto in basso a destra” concluse Elisa. Trascinò Ines in camera sua intanto che Roberto mi prendeva per mano e mi trascinava in bagno. Prese il disinfettante e un batuffolo di cotone. “togliti la maglietta” disse lui. Lo guardai confusa senza capire cosa volesse dire. Cazzo. Dovevo togliermi la maglietta per fargli vedere il taglio sul fianco. “non ti preoccupare, sono il tuo ragazzo non sono mica Mat… uno sconosciuto” si corresse lui di corsa. Feci finta di non aver capito quello che stava per dire. Con ancora un po’ di esitazione mi tolsi la maglietta rimanendo solo in reggiseno. “ok…” disse lui guardando un punto un po’ più in basso del mio viso. Feci finta che stava guardando il taglio, e non altra roba… quando il suo sguardo improvvisamente cadde sulla ferita lo vidi ingrandire gli occhi più di quanto aveva fatto quando mi ero tolta la maglietta. Sul suo viso però stavolta si stava formando un’espressione totalmente arrabbiata. “io lo ammazzo quello, giuro che lo ammazzo…” si fece più vicino per osservare meglio il taglio. “è davvero molto profondo… devo fasciartelo” aveva un tono da esperto, ma cosa potevo dire se i suoi genitori erano dei medici? “ok” lui mise un po’ di disinfettante sul cotone e si avvicinò a me. Iniziò a tamponare la ferita senza alzare lo sguardo, sforzandosi di concentrarsi sul taglio e su nient’altro. Per lui doveva essere molto difficile. Insomma io avevo quindici anni, mentre lui ne aveva diciotto, era una cosa strana per entrambi. Chissà cosa gli stava dicendo di fare il cervello in quell'esatto momento. Cercò nei vari cassetti una fascia. Quando la trovò tornò da me e mi avvolse i fianchi con quest’ultima. A lavoro ultimato alzò lo sguardo su di me e mi sorrise guardandomi negli occhi. Senza che me ne accorgessi si avvicinò un po’ di più a me e con una mano mi spostò una ciocca di capelli dagli occhi. Intrecciò le dita delle sue mani con le mie. Era a pochi centimetri… no  ad un centimetro… mezzo centimetro… ad un millimetro di distanza dalle mie labbra si fermò e in un sussurro disse “non avere paura. Ti amo” annullò le distanze tra di noi. Stupita da quel bacio così improvviso e appassionato. Ricambiai quasi subito e permisi alla sua lingua di danzare con la mia. Un armonia fantastica, mai provata prima. Il caldo e il freddo diventano la stessa cosa, così come la luce e il buio. Non ho più dubbi come non ho più certezze. L’unica cosa di cui conosco l'esistenza è quel bacio, puro, leale, vero… un bacio che non è solo un bacio ma per me fu IL bacio. Quando ci staccammo sembravo una bambina appena nata che doveva ancora scoprire tutto del mondo, che doveva scoprire cosa era la vita… incredibile. Ma non era ancora abbastanza per me. Lui, come se avesse capito i miei pensieri mise le sue mani un po’ più sopra ai miei fianchi, molto vicine al taglio, ma molto vicine anche a qualcos’altro. Potevo biasimarlo? No, non avevo ancora rimesso la maglietta. Mi diede un bacio a fior di labbra per poi scendere lungo il profilo del collo e soffermarsi un attimo sulla mia spalla per poi proseguire decidendo con un autocontrollo disumano di fermarsi solo poco prima di… bhè… di tutto quello che avevo in quella zona. Arrossii violentemente. Le sue mani presero a muoversi lungo la mia schiena delicatamente ma non accadde nient’ altro. Ci staccammo definitivamente e mi rimisi la maglietta. Uscimmo dal bagno mano nella mano e lui mi portò nella stanza di Elisa. “è tutto ok?” chiese lei preoccupata. Probabilmente aveva notato che eravamo stati nel bagno un po’ più del dovuto “sì, sto bene. Non ti preoccupare. Il taglio fa già meno male” “bene, quindi adesso puoi venire qua e unirti a noi, sana e salva, ancora completamente viva?” chiese lei scherzosa, sottintendendo che Roberto poteva tornarsene a casa sua. “ok, io vado. Ci vediamo domani amore, ti voglio bene” “anche io. Tanto tanto.” Risposi io. Lui mi diede un leggero bacio sulla guancia e se ne andò. Entrai nella stanza e lo spettacolo che si presentò hai miei occhi mi spaventò. No. Non poteva essere. Non dopo che mi ero sentita così bene con lui. Tanti cuscini erano stati disposti in cerchio attorno ad un tavolino nero lucido. Solo due di questi cuscini non erano occupati, quello che avrei dovuto occupare io e quello che aveva lasciato vuoto Elisa, che si era alzata quando si era accorta di noi. Quel sogno… non quel sogno… e se… oh, ma vaffanculo, cosa vuoi che accada? È il compleanno della tua migliore amica e lei è li con te, non sta baciando il tuo fidanzato, sono solo tante coincidenze. Mi sedetti con Elisa, intanto che diceva qualcosa che sembrava un “mi farete vomitare un giorno o l’altro”. Sorrisi a quel pensiero e subito la serata tornò normale. Insieme ci divertimmo a morte, tagliando la torta a mezzanotte esatta e sporcandoci di panna, imbrattando anche i sacchi a pelo e i cuscini. Per più di tre ore ci guardammo Titanic, con i fazzolettini in mano applaudendo come matte quando apparve la scritta The End. In seguito Anna Banghi, la mia vicina di casa oltre che grande amica di Elisa, si mise a polemizzare sul fatto che se Rose non avesse occupato tutto quel pezzo di legno e ne avesse lasciato un po’ per Jack sarebbero sopravvissuti entrambi all’affondamento del Titanic. Facemmo una gara di chi infilava più pop corn in bocca e parlammo del più e del meno. Ad un certo punto Elisa andò in bagno e non tornò per una mezz’ora buona, facendoci preoccupare tutte. Quando tornò c’era qualcosa di indecifrabile sul suo volto. Era un misto tra esaltato e impaurito. Ma non accadde nient’altro di strano. Solo a volte mi sembrava che mi stesse fissando con un’aria preoccupata sul volto. Ma infondo conoscevo la mia migliore amica, di sicuro era colpa del ciclo. Certamente quello. Penso che erano le tre quando andammo a letto, e che mi addormentai verso le cinque perché continuammo a parlare anche con le luci spente. Il buio avvolse i miei sogni. E poi vidi la luce. non nel senso di capire di colpo qualcosa. Solo che il buio divenne luminoso, non nel senso di bianco, anzi, sembrava più nero, un nero che più nero non si poteva. Un nero accecante che mi spaventò non poco. E poi vidi davvero una luce bianca davanti a me. Ed ero di nuovo nella casa in rovina, da sola, senza nessuno accanto. Da sola… ma poi sentii dei passi. Sussultai quando sentii qualcuno picchiettarmi sulla spalla per poi prendermi in braccio. Portava una camicia a quadri blu e rossa della hollister e dei jeans larghi. Non riuscivo a vedergli il volto, non so perché. Vedevo solo due strane luci azzurre al posto degli occhi… Roberto. Ero quasi sicura che fossero i suoi occhi, così azzurri che non ne avevo mai visti. Eppure, qualcosa mi diceva che non era lui. Quando quegli occhi si fecero più definiti sussultai per poi risvegliarmi nel mio sacco a pelo. Una leggera luce entrava dalla finestra della camera di Elisa intanto che quel sogno scompariva dai miei ricordi e io scivolavo cercando un appiglio per non perdere quel sogno dai ricordi, per non farlo cadere nel vuoto. Non ci riuscii a lungo. Trattenni nella mente solo una parte di quel sogno, quella casa e un intenso colore azzurro.
 
Ehilà, come va? Lo so lo so, va male, ho scritto un capitolo così schfoso e voi l’avete anche letto, è ovvio che vada male. Io comunque spero che vi sia piaciuto, anche solo a quella povera anima di RiccioLilli che pensa che la mia storia sia bella. Davvero, t.v.u.m.d.b., ma se non vuoi non devi leggerla per forza la storia. In questo capitolo non accade praticamente niente, apparte alla fine. E poi ho voluto farvi preoccupare… chi avrà visto Claire in sogno?! E poi… Claire e Roberto non sono teneri?! Mi fanno davvero venire voglia di vomitare… e poi anch’ora, cosa sarà successo ad Elisa? Vi lascio con queste domande e mi dileguo!
Baci, Savo
P.S. ho cambiato il testo della canzone iniziale perché adesso inizierà ad essere un po’ più confusa la storia, congratulazioni a chi se ne è accorta.
P.P.S. ringrazio RiccioLilli e Loulou_24 per seguire le mie storie
P.P.P.S. (è strano scriverlo quanto dirlo) ringrazio tutte le lettrici  silenziose
 
Adesso me ne vado davvero, kiss kiss!!!

 

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Capitolo 8
*** cosa accadrà poi? ***


Capitolo 7
Cosa accadrà poi?
 
 
They don’t know about
the things we do
They don’t know about
The I love you’s
(they don’t know about us – One Direction)
 
 
Salutai con un gesto della mano Elisa, che faceva lo stesso con un sorriso stampato sul volto dall’interno della sua bellissima e costosissima Range Rover, regalo di compleanno dei suoi genitori. Entrai in casa di corsa e salutai rapidamente mio padre e Cindy, quest’ultima che stava cucinando in cucina e che nemmeno si accorse di me, troppo concentrata a non bruciare la frittata che avremmo dovuto magiare per pranzo. Salii al piano superiore ed andai in camera mia. Mi spogliai in fretta e mi misi dei pantaloncini e la comoda maglietta del pigiama. Mi buttai sul letto e presi il telefono. Un messaggio da Roberto.

Ciao amore, cm va? 6 già tornata a casa? –R

Sto bn, sn appena tornata a casa ma nn t preoccupare x me, tu cm stai? –C

Sto bn, dai. Mi manki troppo. –R

Tu no, nn mi manki per nnt. No dai skerzo, ade devo andare, ci vediamo doma a scuola. Ciao. –C

Ok, ciao –R

Pochi messaggi che mi fecero subito il buon umore. Non sapevo cosa fare, non sapevo nemmeno perché non volevo messaggiare con Roberto. Forse perché sapevo che avremmo finito con parlare del mio incontro con Matteo. Insoddisfatta mi cambiai di nuovo e andai in bagno per andare a farmi una bella doccia, in modo da far scivolare via tutte le mie preoccupazioni. Devo ammettere che funzionò alla grande. Una volta uscita tutti i miei pensieri erano evaporati insieme all’acqua calda sciogliendomi i nervi e facendomi quasi dimenticare tutto il dolore che provavo ai fianchi, alle gambe o al collo. Andai in camera mia con i capelli tirati in una coda mal fatta e l’asciugamano attorno al corpo. Rimisi gli stessi vestiti comodi che mi ero tolta poco prima. Andai nella mia piccola biblioteca personale e presi un libro a caso dagli scaffali. Lessi il titolo. Ragione e sentimento – Jane Austen. Era uno dei pochi libri che non avevo ancora letto, benché sapevo esattamente di cosa parlava. Lo rimisi al suo posto. Non volevo leggere un libro su una storia d’amore che finiva in un modo secondo me deprimente, nonostante la realtà dei fatti presentati (spazio autrice: con tutto il rispetto nei confronti di Jane Austen ovviamente, essendo io stessa un’amante dei suoi libri).Tornai a cercare una lettura un po’ più facile con un lieto fine. Non ne trovai nessuno che non avessi letto, dunque rinunciai. Presi una sedia e ci salii in piedi per riuscire ad aprire la botola che stava sul soffitto. Salii le scale e mi ritrovai nel mio “rifugio segreto”. Mi sedetti su una poltroncina che si trovava proprio imparte ad una finestrella. Guardai fuori perdendomi nell’osservare il cielo in tutto il suo splendore. Pensai che, probabilmente, se avessi avuto un libro da leggere, la mia vita sarebbe rimasta perfetta per sempre…
 
Elisa’s pov
 
Ho appena mandato il messaggio, dovevo dirglielo, non potevo più trattenermi. Gli ho detto tutto… cioè… glielo dirò. Spero che almeno domani a scuola voglia parlarmi…

Cosa devi dirmi Lillina? –R

Te lo poxo dire doma a scuola? –E

Adoravo quando mi chiamava Lillina…

Tutto a posto? Hai x caso litigato con Claire per un paio di scarpe? XDXDXD –R

No… magari fosse per un paio d scarpe… -E

Tutto a posto? Ehi? Ke c’è ke non va? -R

Ti spiego tutto a scuola, tu però promettimi di non dire niente a Claire –E

Ok… così però mi spaventi… ci vediamo doma –R

Ok, a doma –E

Non potevo farcela… dovevo stringere i denti…
 
Claire’s pov

Mi alzai svogliatamente dalla sedia della mia scrivania mettendo in stand-by il computer. Scesi con molta calma le scale ed entrai in sala da pranzo. La scena che mi si presentò davanti era a dir poco rivoltante. Cindy teneva in braccio la piccola Maria e la guardava con aria sognante intanto che le sussurrava parole dolci all’orecchio intanto che mio padre la cingeva per i fianchi e teneva appoggiato il mento nell’incavo del suo collo e stava zitto fissando una Maria sorridente come non mai. Che. Schifo. Manco fossero una di quelle famigliole felici delle pubblicità, ricche, sorridenti, e soprattutto, con un figlio solo. “ehi, famiglia! Dove è la cena?” chiesi. E’ già, esistevano le famiglie delle pubblicità e le famiglie delle pubblicità con una complicazione. La mia famiglia faceva parte del secondo genere, e la complicazione ero io. E ne ero estremamente felice. Non so perché, ma mi piaceva essere una complicazione. Sapere che mettevo in difficoltà gli altri mi rendeva, in un certo senso, felice. Sapevo che nessuno a questo mondo ha il coraggio di affrontare di faccia le complicazioni e la vita stessa. Il quadretto familiare si ruppe improvvisamente quando si resero conto di avere una seconda figlia. “noi abbiamo già cenato, Claire…” iniziò mio padre “oh, chiaro. Va bè, io esco. Provo a vedere se Elisa a già cenato. Buona serata. Tranne te piccola Maria, perché io ti odio” dissi con il tono più naturale che mi uscì. Visto che mio padre non reagiva mentre Cindy stava per scoppiare decisi di andarmene senza aspettare le urla che riuscii a sentire intanto che ero a metà della rampa di scale che portava al piano di sopra. Oh… ma ‘fanculo tutti quanti. Entrai in camera mia e mi gettai sul letto con il cellulare all’orecchio intanto che facevo partire una chiamata ad Elisa “ciao Eli? Come stai?” chiesi quando la sentii rispondere con un mugolio “bene te? Che hai?” disse con la voce impastata dal sonno. Ma come poteva dormire? Erano le otto di sera! “mi chiedevo se avevi già mangiato, sai… la famigliola felice ha già cenato e non ha pensato di avvisarmi” “mi dispiace teso… ho già cenato e non ho voglia di uscire stasera. Sorry. Ci vediamo domani a scuola, ok?” “sì… ciao” dissi chiudendo la conversazione. Mi sarebbe toccato uscire a cena da sola. Pace e amen. Presi la mia borsa, il cellulare, le chiavi di casa e il portafogli. Senza salutare uscii sbattendo la porta sperando che capissero che ero uscita e mi incamminai tra le fredde stradine di quel piccolo paese che era diventato casa mia da tre anni. Raggiunsi la pizzeria più vicina, la preferita da me e Elisa, e vi entrai senza esitazioni. C’era una fila lunga ma decisamente più corta del solito. Mi sedetti su una poltroncina in un angolo e presi una delle solite riviste datate 2008, sfogliandola per la milionesima volta in tre anni. Quando mi accorsi che la fila era del tutto sparita tranne che per un cliente seduto al bancone decisi di alzarmi e di andare ad ordinare “ciao, vorrei il solito grazie” dissi sbrigativa guardando intensamente il termometro sperando che riuscisse ad arrivare almeno ai quindici gradi. Un colpo di tosse mi distrasse dal mio scopo irraggiungibile. Mi girai e notai che il cameriere mi guardava con aria interrogativa. “pizza margherita con farina integrale e poca mozzarella. E una bottiglietta di acqua minerale… il solito” dissi con aria ovvia “ok” disse semplicemente lui e si allontanò. Quando tornò con il mio ordine lo riconobbi “aspetta un attimo! Ma tu non sei quello… quello nuovo? Ehm… Filippo giusto?” chiesi un po’ imbarazzata per essermi dimenticata per la seconda volta il suo nome “sì, sono io. Tu sei Claire invece” cavolo… lui si era ricordato il mio nome! Che figura di merda… “sì. Esattamente. Ma tu non ti eri mica trasferito in questi giorni?” chiesi “sì, perché?” “no, è solo che mi sembra strano che avessi già trovato un lavoro.” Dissi divertita “non mi ci è voluto gran chè” “se tutti riuscissero a trovare lavoro in fretta quanto hai fatto te penso che la parola crisi non esisterebbe” dissi io ridendo “probabile” rispose lui con un sorriso a fior di labbra. “certo, certo, Filippo. Parla con tutte le persone che vuoi, tanto i tavolini si puliscono da soli è in cucina c’è un esercito di chef a mia disposizione” disse Frank da dietro Filippo. Frank era il proprietario della pizzeria, eterno rompipalle e inguaribilmente senza immaginazione (di fatto la pizzeria si chiamava “Frank”) “ehi, ci stai già provando con Claire? Fai tutto quello che vuoi, basta che se rompete lei viene comunque qui a prendere la pizza. Se no ti licenzio, questa ragazza e la sua amichetta Elisa costituiscono il 20% del tuo stipendio” disse lui, ridendo. Filippo mi salutò con la mano intanto che tornava al lavoro. Finii in fretta la mia pizza e dopo aver pagato e scambiato due parole con Frank mi incamminai verso casa contenta di aver trovato un nuovo amico. Era ovvio, quella giornata non poteva andare meglio.
 
Il mattino seguente mi svegliai stranamente felice e decisi di iniziare al meglio quella giornata. Cercai di essere gentile con Cindy e anche con la piccola Maria. Tutti sembravano sbalorditi da quei gesti così gentili ma non ci feci troppo caso. Presi la mia cartella ed uscii di casa diretta verso scuola. Fuori dai cancelli trovai Roberto che mi stava aspettando come al solito mentre Elisa era in ritardo, come al solito. Gli andai in contro e lo baciai, felice di come avevo iniziato quella giornata.
 
Elisa’s pov

Cavolo, se non sono riuscita ad arrivare a scuola prima di Claire giuro che mi incazzo. Devo parlare urgentemente con Roberto. Sono quasi arrivata a scuola quando li vedo così teneri che mi arrabbio con me stessa per essere innamorata del ragazzo della mia migliore amica. Li guardo cercando di non far sfuggire le lacrime e con il tono più disinvolto che riesco ad ottenere mi avvicino a loro e dico “ehi, non siate così zuccherosi. Ne voglio un po’ anch’io, sapete che sono golosa.” Dico usando le mie fantastiche fossette. Ancora non ci posso credere. Basta far finta di niente, e con Roberto ci parlerò alla fine della scuola.
 
 
Sciao!!!!!!!!!! Come va? Io benisimo perché personalmente adoro questo capitolo, soprattutto perché si riesce a capire qualcosa della storia di Elisa e Roberto. Spero che anche a voi piaccia. Ringrazio RiccioLilli, Loulou24 e tutte le lettrici silenziose di questa storia! Dovrei anche dirvi che dal prossimo capitolo la storia si farà più interessante e da maniaca dell’ordine quale sono, ho già pronta la scaletta e per ora è risultata 24 capitoli. Spero di non avervi annoiate, baci,
SuperSavo
P.S. scusate per eventuali errori ma sono di fretta, prometto di ricontrollare appena posso

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Capitolo 9
*** il tradimento ***


Capitolo 8
Il tradimento

I'm trying to be okay,
I'm trying to be all right,
but seeing you with him
just don't feel right
(One Direction - Heart Attack)

Claire’s pov

“ehi, non siate così zuccherosi. Ne voglio un po’ anch’io, sapete che sono golosa.” A sentire di colpo quella voce sobbalzai. Mi girai e vedi Elisa che usava le sue migliori fossette guardandomi con qualcosa di strano negli occhi… una lacrima? C’era qualcosa che non andava. Oltre al fatto che aveva gli occhi lucidi stava anche usando le fossette. Aveva combinato qualcosa… ma per il momento mi limitai a guardarla male per aver interrotto quel bacio fra me e Roberto. Lei si mise di fianco a me e mi prese a braccetto facendo evidentemente finta di non aver visto le mie occhiatacce. Prima che lei potesse trascinarmi via quasi di corsa riuscii a prendere per mano Roberto per assicurarmi che ci seguisse e che non ci perdesse di vista. Elisa si fermò davanti al portone sorridente per non so quale motivo. Con il fiato corto mi accertai che Roberto mi stesse tenendo ancora per mano. Quando rialzai il viso per guardare in faccia Elisa notai che stava squadrando con aria omicida le mie mani intrecciate a quelle del mio fidanzato. Di colpo mi guardo e mi sorrise. Non era uno dei suoi soliti sorrisi… era amaro. La guardai con un’aria interrogativa che lei prontamente evitò. Il suono della campanella mi distrasse dal pensare cosa le prendeva quella mattina.

Elisa’s pov

Quando quei due si staccarono finalmente da quel bacio accorgendosi della mia presenza, notai Claire che mi guardava interrogativa per poi squadrarmi con aria omicida. Se gli sguardi potessero uccidere… merda mi avrebbe spellata viva tanto per farmi desiderare la morte! Aveva per caso capito qualcosa da come guardavo Roberto? No… non poteva essere. Cavolo… va be, tanto per sicurezza sarebbe meglio sorridere come un’idiota piuttosto che farla insospettire ancora di più. Le presi di scatto la mano trascinandola via cercando di separarla finalmente da Roberto. Mi fermai davanti al portone della scuola. Quando mi voltai per guardarla notai Roberto dietro di lei. Proprio non riuscivano a staccarsi? A volte mi sembrava persino che se lo portasse in giro come un trofeo tanto per far vedere che era fidanzata con uno più grande… merda, pensai, sono fidanzati! Non potevo nemmeno pensare certe cose sulla mia migliore amica! Non feci nemmeno in tempo a formulare quel pensiero che il mio sguardo si posò sulle loro mani intrecciate. Una lacrima minacciò di scendere sul mio volto ma glielo evitai, impedendo che distruggesse la mia perfetta maschera di indifferenza. Rialzai lo sguardo e notai che Claire mi fissava. Le sorrisi in modo poco convincente dato che mi guardò insospettita. Passammo qualche istante in silenzio e quando mi decisi a dire qualcosa quella benedetta campanella, che avevo tanto a lungo odiato, mi salvò la vita.
 
Claire’s pov
 
Mi girai a guardare Roberto con aria interrogativa per chiedergli cosa prendesse ad Elisa ma notai che aveva un’espressione probabilmente più confusa della mia. Facendo finta di niente mi girai di nuovo verso Elisa che se ne stava impalata davanti al portone intanto che gli altri studenti entravano, a volte evitandola a volte prendendola in pieno e rischiando di farla cadere. Per rompere quel silenzio assordante (e per evitare che qualche studente si mettesse a urlarci contro, dato che stavamo creando una fila pazzesca di persone che cercavano di entrare) decisi di prendere a braccetto Elisa e la trascinai all’interno dell’edificio, assicurandomi di tenere ancora stretto per mano Roberto. Tutti e tre insieme ci dirigemmo come nostro solito verso la mia classe. All’entrata iniziarono i problemi. Appoggiato al muro imparte alla porta c’era niente meno che Matteo. Mi girai di scatto verso Roberto nel caso di dover bloccare un suo imminente attacco, che non tardò ad arrivare. Lo presi per le spalle e lo spinsi indietro per evitare che tirasse un pugno a Matteo, nonostante il mio cervello mi stesse urlando di lasciarlo fare. “ehi, calmati. Non ti devi preoccupare. Potrà farmi tutto quello che vuole ma il mio cuore apparterrà sempre a te, chiaro?” dissi. Lui spostò il suo sguardo su di me terrorizzandomi per un breve secondo. I suoi occhi erano pieni d’odio. Non mi aveva mai guardata in quel modo. Durò solo un secondo per poi diventare triste e dispiaciuto “ok… scusa” disse. Mi si strinse il cuore nel vederlo così. Sembrava… indifeso. Lo avevo sempre visto come una persona forte, quell’espressione dispiaciuta da cane bastonato era proprio l’ultima cosa che mi aspettavo. “buona giornata principessa” disse sfiorando il mio naso con il suo per poi lasciarmi un veloce bacio sulla guancia. Mi girai e notai che Matteo ci guardava pensieroso. Appena notò che lo stavo osservando si aprì in un sorriso a trentadue denti e facendomi l’occhiolino mi disse “certo che sarà una buona giornata, principessa” lo odiavo. Era ufficiale. Entrai dritta in classe dimenticandomi di salutare Elisa.
 
Elisa’s pov
 
Claire entrò dritta in classe senza salutarmi. Aveva davvero capito qualcosa?! Non osai nemmeno immaginarlo. Silenziosamente mi incamminai con Roberto verso la nostra classe. Ad un tratto mi resi conto che aveva la fronte aggrottata come se stesse cercando di capire qualcosa di vitale importanza. “che hai?” gli chiesi. Sembrò risvegliarsi da un sogno “eh… oh no, niente. Mi stavo solo chiedendo se… se Claire è davvero innamorata di me” quelle parole mi lasciarono spiazzata. Con la voce più ovvia che mi uscì gli risposi “certo che ti ama, è la tua fidanzata” “lo so, lo so… è solo che alcune volte mi sembra… che non ricambi a pieno… ma forse sono solo io che non sono più molto convinto…” si fermò di botto “tu non dirle niente!” mi urlò quasi contro come se stesse rimproverando una bambina piccola perché non ha fatto i compiti. Mi limitai ad annuire. Dopo qualche secondo fu di nuovo lui a rompere il silenzio. “a proposito… cosa dovevi dirmi ieri di così importante, che io non devo dire a Claire?” cavolo… un groppo in gola mi impediva di respirare normalmente. Mi feci coraggio “bhè… vedi, io…” iniziai ma venni subito interrotta da un ragazzo della nostra classe, Michael. Che Dio ti maledica! Dopo che se ne fu andato con i risultati delle partite di calcio della serie A Roberto si rivolse di nuovo a me “scusami… cosa stavi dicendo?” decisi che gli avrei detto tutto alla fine della giornata. “no… che avevo bisogno dei compiti di latino, e che non devi dirlo a Claire che se no lei si arrabbia perché dice che non mi impegno” dissi la prima cavolata che mi venne in mente. E per fortuna che sapevo mentire. Entrammo in classe parlando dei compiti, aspettando che quelle maledette cinque ore chiamate scuola terminassero.
 
Roberto mi guardava con la bocca aperta. Eravamo appena usciti da scuola e approfittando del fatto che Claire non era ancora arrivata avevo preso coraggio e gli avevo detto tutto. Ancora non ci credevo. Avevo davvero detto quelle parole? Probabilmente avevo rovinato una grande amicizia, perché lui sarebbe andato di sicuro a dirlo a Claire. Come avevo fatto ad essere così stupida?! Inaspettatamente mi baciò, e in qualche secondo mi decisi a ricambiare.
 
Claire’s pov
 
Che male! “lasciami!” strillai, ma lui non ne voleva sapere. “no! Ti avevo avvertita io! E te cosa fai? Mi dici che sono un idiota! Adesso vedrai chi è l’idiota! Ti avevo detto no che eri fidanzata con uno sporco traditore, o mi sbaglio? E te mi hai sempre dato dell’idiota! Ma adesso capirai, non ce la faccio più… dico solo la verità e te cosa mi dici? Mi dici solo idiota!” stava delirando. Matteo mi stava letteralmente trascinando di peso fuori da scuola tenendomi per il polso della mano destra, che mi faceva un male cane. Decisi di rimanere zitta, la scelta tra tutte che risultava la più saggia. Quando ci trovammo fuori dalla porta mi indicò un punto indefinito tra il mare di studenti che si catapultava fuori dall’edificio. Ci misi un po’ a capirlo, ma poi li vidi. Matteo che si stava sbaciucchiando con una di quelle biondine che sembrava una uscita da un film. Ma poi riconobbi anche lei.
 
Elisa’s pov
 
Quando ci staccammo la prima cosa che notai fu una chioma rossa fuori dal portone della scuola. Non la riconobbi subito ma poi capii… Claire. merda!
 
Claire’s pov
 
In quel momento il mondo mi cadde addosso.
 
Ehieheiehi!!! Sono qui! Ho un bersaglio in  testa e se volete potete tirarmi i pomodori, o anche dei coltelli molto affilati! In  questo caso avreste davvero ragione! Ho scritto un capitolo cortissimo e anche brutto, dopo quasi una settimana! Se non fosse stato per il finale mi sarei uccisa da sola, non vi preoccupate. Se volete uccidermi fate pure, ma aspettate almeno che finisca la storia, per soddisfare quella buona anima di Ricciolilli che recensisce sempre, per Loulou_24 e Ricciolilli che tengono questa storia tra le seguite e anche per qwertylove che tiene questa storia tra le preferite! Vi voglio un mondo di bene ragazze!

Grazie mille, non so cosa farei senza di voi. Adesso pubblicità per le storie di:
-Ricciolilli, con la sua fantastica storia “nuoa scuola nuova vita”
-qwertylove, con la sua fantastica storia “71 41 10”   e anche “
Negavo che mi piacevi, ma quella notte i miei occhi smentirono tutto..!
-Loulou_24, con la sua storia “chatting with an angel”

P.S. la mia storia compie un mese! YEEEEEEEAAAAAAAAHHHHHHHHHH!!!!!!!!!!!!!!

 

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Capitolo 10
*** che fare? ... non lo so ***


Capitolo 9
Che fare? …non lo so
 
Racconterò una storia ma senza il bel finale, fredda ed asettica come una sala operatoria,
folle e cattivo come il mondo di uno psicopatico, irregolare come il battito di un cardiopatico,
e freddo sotto zero, e freddo come l’abisso,
tu non credi a niente perché cristo qui non si è mai visto
(sub zero – Vincenzo da via anfossi, Jake la furia, Sgarra)
 
Ero consapevole del fatto che non sarei riuscita a trattenere le lacrime molto a lungo. Corsi via dall’edificio come se stessi scappando da un incendio quando invece mi stavo lasciando alle spalle la mia migliore amica che baciava il mio ragazzo. Ma in fondo, era uguale, o no? Bruciava, come un incendio, con la sola differenza che stavolta faceva diecimila volte più male. Corsi fino a casa mia e senza pensare a chi poteva esserci dentro, senza preoccuparmi di chiudere la porta, senza riflettere su ciò che avrebbero potuto pensare tutti, mi fiondai nella mia soffitta. Volevo solo piangere, e per fortuna dopo tre anni ne ero capace. Ero sempre stata una ragazza forte, non avevo mai pianto dopo la morte di mia madre, ma quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Non avevo pianto alla morte di mia madre, al coma di mio padre, al suo risveglio, al trasloco improvviso, al tumore di Cecilia, agli anni passati come vittima sotto il potere che adesso faceva di Cindy la capo famiglia, non avevo pianto ai maltrattamenti subiti da Matteo e nemmeno davanti al suo amore violento e non ricambiato mi ero soffermata per sprecare lacrime. Ma non Roberto, non lui… e non Elisa, non lei! Come avevano potuto… adesso avevo solo la danza. Senza pensarci presi una biro e un foglio di carta che negli ultimi due giorni da quando lo avevo scritto avevo poi completamente ignorato. La lista andava modificata:
 
COSE DA VERIFICARE SE LA VITA DIVENTA UN SOGNO:
1)Discussione con Matteo
2)Casa in rovina
3)Cuscini in sezione circolare
4)Roberto ti tradisce con Elisa
5)Zerbino “welcome Gordon”
6)Ballerina de “il lago dei cigni”
7)Pioggia a catinelle
 
Non avevo la minima idea di cosa potessero voler dire tre su quattro punti, ma sapevo che uno di quelli mi rendeva immensamente felice. Almeno una nota buona…
Decisi di prepararmi per la lezione di danza che avrei fatto quella sera con un po’ di riscaldamento e cercando di rifare gli esercizi che avevamo fatto nell’ultima lezione. Dopo circa un’oretta in cui mi ero concentrata solo sulla danza, decisi di iniziare a prepararmi benchè sapessi che mancava ancora un’ora. Uscii di casa con un anticipo pazzesco e decisi di fare il giro lungo, passando per la pizzeria. Quando entrai, Frank stava pulendo un tavolo. Alzò di scatto la testa e quando mi vide si aprì in un grande sorriso. “ehi Claire! che ci fai qui? Non è un po’ presto per cenare?” disse ridendo. “avevo bisogno di qualcuno con cui parlare, tu hai qualcosa da fare?” “no, non ti preoccupare. Oggi ho pochi clienti. Per fortuna stasera te e Elisa siete qua a cena così racimolo qualche spicciolo!” quelle parole mi colpirono come una palla di cannone colpisce una nave, causando dolore e distruzione. Sentii gli occhi riempirsi di lacrime e il sorriso che avevo fino a poco prima sparì. “ehi? È tutto ok, Claire?” chiese Frank di colpo serio per il mio improvviso cambio d’umore. Scossi leggermente la testa per fargli capire cha stavo male. Frank era una delle poche persone di cui io mi fidassi davvero, e anche se una relazione così, tra una quindicenne e un adulto, era molto rara, io potevo benissimo considerare Frank come il padre che non avevo mai avuto, e che avevo sempre sognato. In una decina di minuti gli spiegai tutto quello che era successo, a partire dal sogno fino alla descrizione di quello che era successo con Matteo, per poi spiegargli quello che era accaduto quel giorno. Dovevo dirlo a qualcuno, non potevo tenermi tutto dentro all’infinito. Quando ebbi finito Frank mi abbracciò con fare paterno, un di quegli abbracci che ti scaldano dentro, un di quelli che non ricevevo da anni, uno di quelli di cui ogni ragazza della mia età aveva bisogno. Quando ci staccammo guardai l’orologio per vedere che ore erano. Mancava un quarto d’ora alle cinque, meglio andare a danza. Stavo per salutare Frank quando un ragazzo uscì dalla cucina con un borsone in mano. Capelli biondi, occhi azzurri, sorriso timido a fior di labbra… Filippo. Lo salutai con un cenno del capo e lui fece lo stesso “ehi, stai andando a danza?- mi chiese –perché mi stavo incamminando anche io. Andiamo insieme?” feci cenno di sì e dopo aver detto a Frank che sarei venuta li a cena, lo salutai e mi incamminai verso la scuola di danza di fianco a Filippo. Durante il tragitto parlammo del più e del meno, così scoprii anche qualcosa in più sul suo conto. I suoi genitori erano divorziati, ma lui non aveva sofferto perché quando era successo aveva solo due anni. Praticamente non aveva mai conosciuto suo padre dato che viveva con sua madre, e per cause di lavoro si trasferivano spesso. In un certo senso ci assomigliavamo, perché sia io che lui avevamo imparato sulla nostra pelle a non affezionarci troppo a cose o persone, con la sola differenza che lui ci riusciva mentre a me veniva più naturale provarci ma farmi male comunque. Aveva la mia stessa età ma andava in un’altra scuola in un paese vicini, per questo non l’avevo mai visto nel mio liceo. Arrivammo alla scuola di danza e davanti agli spogliatoi ci separammo, per poi rincontrarci con Ines e Chris fuori dalla sala di danza, intanto che aspettavamo che le ragazze del corso prima del nostro finissero la loro lezione. Quando entrammo mi resi conto che quel luogo era la mia vera casa, e che i miei compagni erano la mia famiglia, accomunati dalla stessa passione, dallo stesso scopo di vita: la danza.


Quella lezione però non fu poi così stupenda… i passi non riuscivano proprio ad entrarmi in testa, non ero capace di concentrarmi e prestare attenzione, e i passi che riuscivo a compiere senza problemi li riempivo con tutta la frustrazione che avevo. Alla fine di quelle due ore strazianti, ero praticamente morta. Prima di farci uscire dall’aula di danza Giulia aveva detto a tutti che quella sarebbe stata la nostra ultima lezione insieme e che dalla prossima avremmo avuto una nuova insegnate. L’avviso era stato seguito da numerosi lamenti di protesta, ma quando Giulia disse che era perché era incinta scoppiarono numerosi applausi. Prima che uscissi dall’aula mi lanciò qualche sguardo glaciale, ma non mi fermò per parlarmi in privato come l’ultima volta. Avevamo ancora un po’di tempo prima di andare a cena quindi io, Ines e Chris decidemmo di uscire a fare un giro. Quando all’uscita incrociammo Filippo gli chiedemmo se gli andava di venire con noi e lui si aggregò senza pensarci due volte. La frustrazione scaricata nei passi di danza si era lentamente ritirata dalla mia mente lasciando lo spazio a delle risate. Passammo insieme un’oretta parlando del più e del meno, giocando ad obbligo e verità con un’applicazione sul cellulare e facendo battute pervertite. Ovvero, passammo il nostro tempo come ogni ragazzo o ragazza di quindici anni farebbe normalmente. Quando decidemmo che era abbastanza tardi ci dividemmo e ci incamminammo verso casa. Ines andò con Chris perché erano vicini di casa, mentre io mi incamminavo con Filippo verso la pizzeria. Quando arrivammo feci per entrare nella pizzeria quando Filippo disse “bè, io adesso devo proprio andare. Ci vediamo” “non lavori stasera?” gli chiesi “no, ho fatto il turno pomeridiano” “ok, allora ci vediamo mercoledì sera” dissi “veramente volevo chiedere a te, Ines e Chris se potevamo incontrarci domani pomeriggio. Solo per fare un giro, devo imparare ad ambientarmi” “ok, lo dico io agli altri, non ti preoccupare. Ci vediamo domani alle tre e mezza davanti alla scuola di danza, così almeno sai dove si trova” proposi. Lui fece cenno di sì con la testa e andandosene mi salutò con la mano. Entrai nel locale e venni immediatamente travolta dal bel calduccio che vi era all’interno, mescolato con il delizioso profumo di pizza appena sfornata. Forse avevo sbagliato a tornare li. Oltre che essere un luogo troppo famigliare, era anche la pizzeria preferita di Elisa, e correvo il rischio di incontrarla. Al solo pensare il suo nome però l’effetto di quella serata felice svanì. Mi resi conto di quello che era successo. Ma non pensavo a Elisa e Roberto, pensavo al casino che avevo fatto a danza. Mi avevano sempre ripetuto che bastava un errore per mandare tutto in aria. Avevo rovinato l’ultima lezione che avrei fatto con Giulia per un bel po’ di tempo, oppure lei aveva capito che non ero capace di ballare? Forse davvero non ero capace di ballare… una vera ballerina doveva essere capace di mascherare il dolore e tutte le emozioni. E io non ero una ballerina… ok, adesso però basta demoralizzarsi dissi tra me e me. Però in effetti… se davvero non ero brava? Se Giulia mi trattava bene solo perché mi conosceva dalla nascita ed era molto amica di mia madre? Non l’avevo mai vista da questo punto di vista… ed era anche una visione abbastanza reale. Mi avvicinai al bancone con lo sguardo assorto nei miei pensieri. Quando alzai lo sguardo per ordinare vidi Frank che mi guardava con aria strana. “ok, hai avuto una specie di ricaduta?” mi chiese “no, non ti preoccupare…” “è successo qualcosa a danza chiaro.” Incredibile. Come faceva a capirmi così in fretta?! “oggi non voglio il solito. Credi che mi possa concedere una pizza normale con doppia mozzarelle?” chiesi con gli occhioni da cucciolo “wow, deve essere successo qualcosa di grave. Claire Crisalba che infrange le regole?! Qualcuno ha una macchina fotografica? devo immortalare questo momento!” disse strappandomi un sorriso “non ti ho chiesto il permesso ho ordinato la mia cena” ribattei io. Mangiai con calma e quando ebbi finito andai al bancone per parlare con Frank “salve, cosa vuole ordinare?” chiese lui. non capii. “ah Claire! scusa, dopo quella pizza doppia mozzarella sei ingrassata così tanto che non riconoscevo più la brava ballerina che eri!” disse lui. Ma che bella presa per il culo Frank… quanta immaginazione, come sempre. “Ah. Ah. Ah. Che bella battuta” “ma è vero! Claire che non rispetta le regole non è una cosa da tutti i giorni” “è proprio questo il problema” sbuffai “non ti seguo” disse Frank con ancora una nota di felicità nelle voce “ho troppe regole. A casa ho delle regole, a scuola ho delle regole, in giro ho delle regole e anche a danza!” dissi tutto d’un fiato “e pensi che mangiare una pizza possa voler dire infrangere una di queste regole?” mi chiese lui “no, appunto… ma non so come si faccia a sbagliare” “per sbagliare dovresti andarci davvero pesante. Devi guarire da una brutta malattia. Io la chiamo sottomissione dell’individuo. È molto comune anche tra gli animali. Avviene quando qualcuno viene sottomesso e schiacciato da varie regole” disse ridendo “e tu come ne sei uscito. Perché, da come ne parli, ne sei passato” “in effetti hai ragione. E la medicina la uso tutt’ora. Se vuoi te la presto” disse tirando fuori dalla tasca del grembiule un pacchetto di sigarette e porgendomene una. Strabuzzai gli occhi. Continuavo a spostare il mio sguardo dal suo viso alla sigaretta che mi porgeva, quasi come fossi un’impedita. Non so cosa fu a darmi una spinta, ma afferrai la sigaretta e la accesi con un accendino a caso che si trovava sul bancone. Con mano tremante me la portai alle labbra ed inspirai. Era… era… buona? Sempre che si potesse definire così… non sapevo come descriverlo, era strano. Forse ero solo un po’ eccitata dall’aver infranto la prima regola di una ballerina: non fumare. “allora, come ti senti?” “bene… meglio di prima in effetti…” dissi togliendo la sigaretta dalla bocca per parlare, per poi riportarla alle mie labbra. “e se io adesso mi mettessi a parlare di Elisa e Roberto?” di cosa stava parlando? Lo guardai con aria stranita, per poi ricordarmi. Wow, funzionava davvero. Dopo qualche secondo di silenzio spensi la sigaretta ormai finita in un posacenere li vicino. “bè… adesso mi sento meglio” dissi, ma Frank non mi stava ascoltando. Seguii il suo sguardo fino ad individuare il motivo del tuo interesse. Elisa e Roberto stavano per entrare in pizzeria. Merda. Mi girai verso di lui con uno sguardo probabilmente molto preoccupato “pizza gratis. Non ti preoccupare. E questo è un regalo” disse porgendomi il pacchetto sigarette e un accendino “per i momenti no, adesso vai” “grazie di tutto”. Stavo giusto per uscire dal locale, ma la porta si aprì intanto che sfioravo la maniglia. Mi trovai davanti una Elisa ed un Roberto che si guardavano con sorrisi dolci e scherzavano tra loro, praticamente incollati intanto che si tenevano dolcemente per mano. Ma i loro sorrisi si ruppero quando videro me davanti a loro. Ma io non dovevo piangere, non davanti a loro. Corsi via evitandoli, cercando di trovare casa mia, tra le lacrime che mi coprivano la vista. Le ultime parole che sentii fu Elisa che urlava il mio nome e Frank che diceva che doveva chiudere e che io ero l’ultima cliente. Frank quella sera aveva fatto per me più di quello che certe persone avevano fatto in quindici anni. Lo ringraziai mentalmente, promettendo che lo avrei ripagato di tutto.
 
 
Ehilà!!! Come va? Sinceramente questo capitolo potrà essere anche noioso, brutto e corto, ma a me è piaciuto scriverlo quindi spero che possa piacere anche a voi!!! Ringrazio tutti i lettori silenziosi, Loulou_24 che tiene questa storia tra le seguite, Ricciolilli che commenta sempre e qwertylove che tiene questa storia tra le preferite. Ringrazio di nuovo Ricciolilli per la sua pazienza nel correggermi le bozze. Vi voglio un mondo di bene!!! Se questo capitolo vi ha annoiate un po’, vi lascio un piccolo spoiler del prossimo. Grazie di cuore a tutte!!!
Kiss kiss, SuperSavo

 
SPOILER
Era li davanti a me. Ancora non ci potevo credere… sembrava passato così tanto tempo… “Claire” sussurrò flebile la sua voce soave. E in quel momento capii che tutto poteva tornare come era sempre stato.

 
 
Spero vi abbia incoraggiate a leggere anche il prossimo capitolo!!! Adesso vi saluto definitivamente, grazie di cuore!!!
 

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Capitolo 11
*** dopo tanto tempo ***


Capitolo 10
Dopo tanto tempo
 
She captures her reflection
Then she throws the mirror into the floor,
her image is distorted screaming
“is it worth it anymore?” nooo…
(change your life – Little Mix)
 
Quegli ultimi giorni erano stati davvero stupendi. Ero uscita ogni pomeriggio con Filippo, Ines e Chris ed ero riuscita a togliermi dalla testa Roberto ed Elisa. A scuola arrivavo presto in modo da nascondermi dove non mi avrebbero cercata ed entravo e uscivo sempre per prima, in modo da non doverli incontrare. E per fortuna che non eravamo in classe insieme! Se no mi sarei suicidata sul colpo. Comunque io e Filippo ci eravamo conosciuti un po’ di più ed era davvero molto simpatico. Timido, ma simpatico. Avevo scoperto che si era trasferito tante volte ed aveva frequentato delle prestigiose scuole di danza in tutti i paesi dove aveva abitato. Parlava, oltre all’italiano, anche l’inglese, il francese e lo spagnolo dato che si era trasferito anche a Nizza, Parigi, Londra, Wolverhampton, Marsiglia, Edimburgo, Madrid e Barcellona. E a danza, in effetti, era molto bravo ed aveva un sacco di talento. Quella sera avremmo avuto la prima lezione con la nuova insegnante di danza. Mi stavo riscaldando con calma alla sbarra messa nel muro della mia stanza e intanto che mi guardavo allo specchio notai il riflesso dell’orologio che diceva che erano le sette di sera. Era quasi ora di cena e… un attimo! Ma come fanno ad essere le sette se avevo danza alle cinque? Un attimo… allo specchio il riflesso era al contrario, quindi voleva dire che… erano già la cinque! Mi cambia di fretta, mi sistemai il trucco e presi il borsone di danza uscendo di casa senza salutare nessuno e mettendomi a correre come una pazza. Ero incredibilmente in ritardo. Che figuraccia, il primo giorno di lezione con la nuova insegnante e io ero già in ritardo… mi avrebbe guardato male a vita, manco fossi la ballerina più brava dell’accademia! Quando arrivai sentii della musica classica provenire dall’aula. Avevano già iniziato, e da un bel po’ anche. Corsi negli spogliatoi e finii di sistemarmi. Lo chignon non era messo così male. Non era perfetto, ma era accettabile. Senza perdere altro tempo andai verso la sala di danza, notando che la musica era spenta… che strano. Bussai timidamente alla porta e quando un “avanti” pronunciato in un modo così familiare mi assicurò di poter entrare, abbassai piano la maniglia e tirai la porta verso di me. Entrai nell’aula e con il tono più mortificato che riuscii a tirare fuori iniziai a scusarmi e a giustificarmi. “buongiorno, mi dispiace, lei deve essere la nuova insegnante. Non sa quanto sia mortificata di essere arrivata in ritardo, non era mia intenzione. Per l’ennesima volta, mi dispiace…” mi bloccai di colpo. L’insegnante mi dava le spalle, era andata allo stereo per cambiare disco, e non aveva visto chi era entrato. Per qualche strano motivo si era fermata di colpo intanto che cambiava la musica. Si girò lentamente. Era una ragazza carina, molto giovane. Come aveva detto Giulia, aveva solo sei anni in più di noi a quanto pare. Aveva due zaffiri al posto degli occhi e i capelli biondi sembravano oro. Aveva la pelle candida, sicuramente veniva dai paesi nordici e… interruppi di scatto i miei pensieri. Era un viso molto familiare, e che purtroppo non vedevo da un po’ di anni. “come ti chiami?” chiese lei cercando di apparire ferma e sicura, nonostante trapelava preoccupazione da tutti i pori “Claire Crisalba” sussurrai io, anche se ero certa che avesse sentito benissimo. I ragazzi e le ragazze presenti in sala ci guardavano impazienti. Scorsi le facce preoccupate di Ines e Chris, e quella confusa di Filippo. Cecilia. Era di sicuro lei. Chi altri se no? Era la mia migliore amica prima del… be… prima dell’incidente. E da quel giorno non ci eravamo più riviste. Era li davanti a me. Ancora non ci potevo credere… sembrava passato così tanto tempo… “Claire” sussurrò flebile la sua voce soave. E in quel momento capii che tutto poteva tornare come era sempre stato. “Cecilia” sussurrai a mia volta. E improvvisamente ci ricordammo nello stesso istante di dove ci trovavamo. “signorina Crisalba, vada a prendere posto alla sbarra insieme ai suoi compagni. Devo parlarle dopo lezione, riguardo al fatto di arrivare in orario agli appuntamenti.” Disse come se nessuno avesse appena assistito alla nostra breve conversazione, fatta di frasi brevi e sguardi. In silenzio andai al mio posto alla sbarra e iniziai la lezione con gli altri miei compagni. Durante tutta la lezione Cecilia non fece altro che osservare me e correggere anche gli altri. Ma la maggior parte delle volte guardava me. E più mi guardava, più io davo del mio meglio per farle venire dei sorrisi di orgoglio a fior di labbra. Cosa vedeva quando guardava me? Vedeva la ragazzina che era sempre voluta essere? vedeva la dodicenne che guardava i film horror accanto a lei? Vedeva una ballerina ed era orgogliosa di avermi trasmesso questa passione? Non lo sapevo, ma ero certa che quelli erano sorrisi di orgoglio. Alla fine delle due ore, quando tutti uscirono dalla stanza, io mi soffermai. Aspettai che la porta si chiuse per poi fare un passo insicuro verso la mia Cecilia. Perché lei, anche in quei tre anni, era stata mia, perché non c’era giorno o notte in cui io non pensassi a lei. Lei era girata di spalle intanto che cercava il cellulare nella borsa. Quando si voltò verso di me si aprì in un sorriso enorme e mi abbraccio di slancio “CLAIREEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!!” urlò. Era rimasta la solita bambina, la stessa ragazza che avevo lasciato tre anni prima. Io infondo avevo solo sei anni in meno di lei… potevo comportarmi anche io da bambina? Sì “CECIIIIIIIIIIIIIII!!!” urlai a mia volta, avvinghiandomi al suo collo e tenendola così stretta che quasi perse l’equilibrio. Ero davvero troppo felice! Ancora non ci credevo! Doveva spiegarmi parecchie cose! “tu devi spiegarmi tutto!” dissi appunto “bè, mettiti comoda. Che versione vuoi? Io che racconto o tu mi fai le domande?” chiese lei “racconta, non voglio perdermi niente quindi esagera con i particolari!”. Ci sedemmo su due sedie li imparte. Lei prese la sua borsa che era appoggiata su una di esse e se la poggiò in grembo. “penso che già sapevi che ho avuto un tumore e che sono finita in coma. Bè, sono stata in coma un anno e mezzo. Ma partirò dal principio. Quando ti ho lasciato sul viale di casa di tua zia, il giorno dopo l’incidente, mi sono sentita vuota. Tornata a casa ho iniziato a pensare cosa farne della mia vita. Volevo andare alla scuola di danza della scala, ma non avevo i soldi. Tentai comunque l’audizione e fu solo allora che scoprii che se i ballerini scelti avevano problemi finanziari la scuola poteva contribuire con una borsa di studio. Mi presero alla scuola. Circa due mesi dopo sarebbero iniziate le lezioni. Scoprii il tumore un mese prima. Ero spaventata all’idea dell’operazione, ed ero anche preoccupata di non poter iniziare le lezioni subito. Come già saprai, mi operarono e finii in coma. Quando mi sono risvegliata un anno e mezzo dopo mia mamma mi ha raccontato tutto per filo e per segno. Scoprii della tua chiamata e del risveglio di tuo padre. Provai subito a chiamarti ma sentii solo la segreteria telefonica che mi dava numero inesistente” “avevo cambiato numero!” dissi sbattendomi una mano sulla fronte. Le feci segno di continuare e lei riprese “sono riuscita ad iniziare la scuola, e dissero che dovevo provare qualcosa di più grande, come la Royal Ballet di Londra, o l’American Theatre, ma dopo il coma far sapere chi ero non mi importava più così tanto. Io e mia mamma decidemmo di traferirci, e venimmo ad abitare in un paese qua vicino. Cercai lavoro ed inizia a ballare in un teatro. Presto mi stancai e decisi di cercare lavoro come insegnante di danza, così sono venuta a lavorare qua. E oggi ho trovato te. Adesso è il tuo turno di raccontare” concluse. In breve le raccontai tutto. Conoscendo la sua curiosità in quanto ragazzi, le raccontai tutto quello che era successo nell’ultima settimana. Poco meno di un’ora dopo Cecilia era venuta con me a casa mia, e adesso parlava animatamente con mio padre e Cindy. Una cosa che mi fece arrabbiare fu quando disse che Maria era la bambina più carina che avesse mai visto “guarda che mi offendo” attaccai “oh, ma tu sai che sarai sempre la prima per me Claire!” disse mettendosi in ginocchio e fingendo di pregarmi per essere perdonata. La abbracciai e le lasciai un bacio sulla guancia. Cindy insistette per farla rimanere a cena ma lei si giustificò dicendo che sua mamma la aspettava a casa e che aveva un sacco di cose da fare. Quando fu uscita corsi in camera mia e chiamai Ines, Chris e Filippo per metterci d’accordo sulla prossima uscita/tour del paese. Gli raccontai anche di Cecilia e dato che Filippo non sapeva chi fosse gli dissi di nuovo la storia della morte di mia madre includendo anche lei. Decidemmo che il giorno dopo saremmo usciti verso le quattro. Attaccai la chiamata e feci per uscire, così per andare a raccontare a Frank gli ultimi avvenimenti, magari davanti ad una pizza integrale con poca mozzarella, ma Cindy mi richiamò dalla cucina “dove stai andando?” chiese “penso di poter andare almeno a cena” dissi fredda. Lei, anche se intimorita, continuò “veramente… bè, mi chiedevo… se ti andava di cenare con noi stasera… sempre che tu voglia ovvio”. Ero senza parole. annuii con la testa. Strano che tutto stesse andando per il verso giusto. Frank avrebbe aspettato, come avrebbero potuto farlo anche Elisa e Roberto, che per una sera non alloggiarono nei miei pensieri.
 
 
Ciao ciao ciao!!! Sono tornata, però devo essere breve perché manca venti alle dieci. Bè, ringraziamenti a qwertylove, Ricciolilli, Loulou_24 e Ali_di_vetro. Vi voglio un mondo di bene!!! Grazie di cuore, spero il capitolo vi sia piaciuto.
Baci da SuperSavo
 

 

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Capitolo 12
*** grazie... ***


Capitolo 11
Grazie…


la seule raison pour laquelle je crois toujours en quelque chose
c'est la mème raison pour laquelle je crois toujours en toi.


traduzione: la sola ragione per la quale credo tutti i giorni in qualcosa,
è la stessa ragione per la quale credo tutti i giorni in te

(poesia scritta da me, spero vi piaccia - SuperSavo)
 


“ok, ragazzi, per oggi può bastare, siete stati davvero molto bravi. Andate pure a cambiarvi” disse Cecilia alla fine della lezione. Era davvero molto brava. Aveva davvero molto talento, non potevo credere che aveva rinunciato al la carriera per fare l’insegnante di danza. Eppure se non avesse scelto una strada diversa, non l’avrei più rincontrata. Era passato un mese da quando aveva iniziato a insegnare, era il tredici ottobre, e le foglie degli alberi erano di tutti i colori, fuorché verdi.


Dopo aver salutato Cecilia mi diressi negli spogliatoi con questi pensieri in testa. Finii di cambiarmi e quando alzai lo sguardo notai che Ines non c’era. Certo, che stupida! Ines non era venuta a danza, aveva deciso di fare un corso di inglese, in modo da essere più preparata a scuola. Io non la capivo, iniziava un corso di inglese un anno in anticipo, rispetto a quando avremo dovuto fare il first 
(spazio autrice: per chi non lo sapesse, il first è un esame di inglese che si fa al quarto anno di superiore, può essere d’aiuto nella ricerca di un lavoro o di un’università. Comprende una prova sia orale che scritta e, tanto per fare un paragone, non per difficoltà ma per costruzione può essere paragonato al test di Ket che si fa in terza media). Chris invece era malato. Che bello. Oggi non uscivo, ma sarebbe toccato stare a casa a tenere d’occhio Maria intanto che Cindy usciva. Allegriaaaa!


Uscii sconfortata dallo spogliatoio e intanto che rimuginavo guardandomi i piedi andai a sbattere contro qualcuno. “oh, scusa Filippo!” dissi riconoscendo la persona a cui ero andata addosso “non fa niente. Che hai? Mi sembri pensierosa” “no, è solo che dato che Ines e Chris non ci sono oggi non posso uscire, quindi dovrò stare a casa a controllare quella peste di mia sorella” spiegai. “non devi per forza stare a casa…” disse lui “non ti seguo” dissi. Lui si mise a guardarsi le punte dei piedi imbarazzato iniziando a balbettare “bè… io, ecco, io… mi chiedevo… se ti andava di uscire con me… ma se non vuoi non ti preoccupare”.


Ero sbigottita. Era un appuntamento? Filippo era un bel ragazzo, intelligente, simpatico e aveva di sicuro un grande talento per la danza, ma… perché no? Poteva essere… intrigante era l’aggettivo giusto? Non mi sembrava del tipo Matteo, quindi poteva anche andare. “certo che mi va. Dove vuoi andare?” “sinceramente penso che abbiamo girato tutto il paese, quindi, decidi te” disse. Uhm… cordiale e gentiluomo, per essere un maschio. “io oratorio c’è sempre un sacco di gente. Che ne dici del parco? Per essere ottobre fa caldo” proposi “e che parco sia” disse lui. Non sapevo se essere felice o indifferente perché mi aveva chiesto di uscire. Un attimo… cosa? Nononono, non mi aveva chiesto di uscire! Eravamo amici, uscivamo insieme tutti i santi giorni, solo che stavolta non c’erano né Ines né Chris, e lui mi aveva fatto solo un favore. Eravamo solo amici.


Uscimmo dall’edificio e ci dirigemmo nel parco più vicino. Iniziammo a parlare del più e del meno. Fino a quando non iniziammo a parlare di cose più personali. Praticamente mi chiese di raccontargli le storie d’amore che avevo avuto. Erano due, ma gliele raccontai. Quando dissi cosa mi aveva fatto Matteo quel giorno a danza, lo vidi innervosirsi parecchio, ma mai tanto quanto per quello che mi aveva fatto Roberto. Avevamo parlato così tanto, che non sapevamo più cosa dire. Del tipo, uno di quei silenzi imbarazzanti che a volte t fanno diventare rossa come i pomodori. Ad un tratto sentii la sua mano sfiorare la mia, ma pensando che fosse stato solo un caso lasciai perdere. Ad un tratto mi accorsi che la sua mano aveva preso delicatamente la mia intanto che cercava di intrecciarle insieme. Non so cosa mi prese, ma allacciai le dita della mia mano attorno a quelle della sua. Continuammo a camminare così in silenzio, senza pensare che chi ci vedeva poteva pensare che stessimo insieme.


Volevo rompere quel silenzio a tutti i costi. “sei davvero brava a ballare” fu lui a parlare. Non sapevo cosa dire “ehm… grazie, anche tu sei bravo” dissi “mai quanto te. Cecilia non ha occhi che per te. E non penso che sia solo perché era la tua migliore amica” “ok, se insisti… sono la più brava della scuola e tu sei un’assoluta frana!” risposi facendogli la linguaccia. Adesso stavo pericolosamente camminando all’indietro per poterlo guardare in faccia. “ah sì? Sono una frana? Vediamo come te la cavi” disse e prendendomi alla sprovvista mi fece fare un giravolta. Ma non si fermò li, andò avanti. Due, tre, quattro. Mi veniva da vomitare. “ti prego basta!” urlai. Immediatamente mi fece smettere. Mi girava la testa e per non cadere mi appoggiai al suo petto. Alzai lo sguardo e notai che mi stava guardando. Forse mi piaceva, forse no. Forse lo amavo, forse no. Allacciai le braccia attorno al suo collo e sprofondai con il viso nel suo petto. Sorpreso dalla mia reazione non si mosse, ma dopo un po’lo sentii cingermi i fianchi ed appoggiare il mento sulla mia testa. Chiusi gli occhi. Mi sentivo maledettamente a mio agio...


Dopo un po’ ci staccammo e ci guardammo intensamente negli occhi.

Abbassai lo sguardo per prendergli una mano e tornare a camminare. “ti va di sederci?” chiese dopo un po’. Feci cennò di sì con il capo e ci sedemmo su una panchina li vicino. Ci sedemmo un po’ troppo vicini ma non mi dava fastidio. Mise un braccio attorno al mio collo e stettimo in silenzio a guardare un punto impreciso davanti a noi. Ad un certo punto mi accorsi che mi stava guardando e mi voltai verso di lui. I nostri visi erano a pochi centimetri di distanza. Di nuovo, stavo maledettamente bene in quella situazione. Anzi, benissimo. Anzi… io 
volevo che mi baciasse. Come se avesse letto i miei pensieri, iniziò ad avvicinarsi a me. Mi avvicinai anche io.


Chiuse gli occhi. Chiusi gli occhi. Aspettai un bacio che però non ci fu. Sentii il cuore sprofondarmi quando qualcuno pronunciò il mio nome, per poi sentirlo scomparire quando capii chi mi aveva chiamata. Riaprii gli occhi e vidi che Filippo fissava confuso due persone che avanzavano verso di noi.
E ci credo che fosse confuso.
Mi alzai in piedi per fronteggiare Matteo che veniva verso di noi con un finto sorriso in volto.


Non era solo. Al suo fianco c’era una ragazza dai capelli biondo platino e degli occhi azzurri. E dicendo azzurri, proprio azzurri, nemmeno una sfumatura più chiara o più scura. Semplicemente… azzurri. Aveva una minigonna di jeans che le copriva a stento il culo e una maglietta di lino semitrasparente a fiori. Le scarpe erano un tacco dodici rosso valentino. Aveva gli occhi coperti con chili di mascara, eyeliner e matita nera, senza contare l’ombretto viola di varie sfumature. Le labbra erano state truccate con un rossetto rosso a dir poco appariscente, simile allo smalto che aveva sulle mani. Mi faceva semplicemente schifo pensare di essere stata con un puttaniere come Matteo.


“ehilà Claire. Come va? Lui è il tuo fidanzato? Vedo che ti sei ripresa in fretta. Dopotutto il tuo fidanzato che ti tradisce con la tua migliore amica è un po’ demoralizzante” disse tanto per farmi saltare i nervi “Matteo, ti presento Filippo. Filippo, lui è Matteo” li presentai. Lo sguardo di Filippo, da prima confuso, divenne poi infuriato, anche se cercava di non farlo vedere. Si diedero un stretta di mano. “Claire, lei è Natasha. Natasha, lei è Claire” disse indicandomi la sua apparente fidanzata. “piacere” disse lei dandomi la mano. Aveva una voce squillante, fastidiosa tanto quanto il suo aspetto.


“allora, è il tuo fidanzato?” chiese Matteo di colpo serio “ti importa? Rispondo io: no, non ti importa” dissi io. Lui si avvicinò a me con fare offeso e non mi spostai nemmeno quando fu a pochi centimetri da me, non abbassai nemmeno lo sguardo “sai che non devi trattarmi così, Claire. non si fa, e conosci anche i rischi che corri” “perché, che rischi corre?” chiese Filippo che fino a quel momento era stato in silenzio. Si avvicinò a me con fare protettivo guardando Matteo in cagnesco “tu stanne fuori biondino” “non mi dici quello che devo fare” rispose lui fissando Matteo come fa un cacciatore con la sua preda “ho detto che devi starne fuori. Le conseguenze non le pagheresti solo te, ma anche lei” questa era una minaccia bella e buona.

Tanto per fargli notare la mia presenza mi avvicinai di più a lui.

Spostò di nuovo la sua attenzione su di me. Mi stava guardando con aria schifata, ma in fondo non era una novità. Stavo per sputargli in un occhio tanto per distrarlo, per poi correre via con Filippo, ma lui mi anticipò, lanciando uno sputo alla sua destra. Stavo per fare lo stesso per fargli vedere che me ne fottevo di abbassarmi al livello dei maschi, e che avrei fatto a botte senza tirarmi indietro. Di nuovo fui preceduta, però da Filippo, che nel frattempo era scoppiato. Spinse violentemente Matteo che per la sorpresa quasi non cadde “ma chi cazzo credi di essere?!” urlò Filippo “arrivi qua e ti fingi chissà chi quando non so manco chi sei!” “oh, strano che lei non sia venuta a piangere da te per tutte le cattiverie che le ho fatto. Ah, no, giusto, in quel periodo lei si confidava con quel tizio che l’ha tradita” ribadì Matteo.


Io guardavo la scena nervosa, consapevole che prima o poi sarebbe arrivato un pugno. Una cosa che non mi aspettavo fu che Filippo tirò il primo. Centrò Matteo sul labbro, probabilmente spaccandoglielo. Non potevo sopportarlo, nemmeno se si trattava di uno schifoso bastardo come Matteo. Volevo intervenire, ma Matteo rispose subito tirando a Filippo un pugno a sua volta sul labbro inferiore. Filippo mi sembrava messo peggio. “NOOO!”  urlai “basta, Matteo! Filippo!” i due si bloccarono, ma prima che potessi aggiungere qualcosa Filippo tirò a Matteo un pugno in un occhio, per poi allontanarsi ed avvicinarsi a me “brutto bastardo! Mi hai spaccato un labbro!” urlò furioso Matteo “bravo, vai a piangere da Natasha per le cattiverie che ti ho fatto!” lo schernì Filippo. Matteo si girò incamminandosi al fianco di Natasha che lo guardava preoccupata. Prima di andarsene si voltò verso me e filippo facendoci il medio, per poi andarsene e infilare una mano dentro la gonna (e probabilmente dentro le mutande) di Natasha. Trattenni Filippo dal mettersi a correre e spaccargli tutta la faccia.


Cavolo, ma di cosa era fatto? Acciaio?! Mi immaginai una tartaruga perfettamente delineata dei suoi addominali…ok adesso però basta pensare a certe cose. Lo fissai attentamente “il labbro inferiore è rotto” “non fa male” disse lui “sta zitto. Vieni che provo a chiedere del ghiaccio al bar”. Lo presi per mano e mi incamminai verso il bar. Che sfiga assurda. Chiuso… un bar chiuso il sabato sera! Che palle. “vieni, la porta sul retro è difettosa” dissi guidandolo verso una porta semi aperta dietro al locale.


Quando entrai scoprii che non c’era corrente. Bene, niente ghiaccio. Di bene in meglio. Lo guidai vero uno dei bagni ed entrammo. Feci scendere dell’acqua dal rubinetto e bagnai un fazzoletto che avevo in borsa, iniziando a bagnargli il labbro inferiore, cercando di far si che il sangue smettesse di scendere. C’era poca luce, ma quando gli facevo male lo notavo gemere, così mi fermavo di scatto per paura di fargli più male del dovuto. Quando fui certa che il sangue avesse smesso di scendere buttai il fazzoletto in un cestino per asciugarli il labbro, leggermente umido per via del fazzoletto bagnato con il quale gli avevo tamponato la ferita.


Ok… adesso posso riiniziare a pensare a certe cose, del tipo io e lui soli in un bagno, poca luce, che ci avviciniamo lentamente l’uno all’altra e… ma un attimo! Sta accadendo davvero! Filippo mi aveva presa per i fianchi e mi aveva lentamente attirata verso di se. Poggiai delicatamente le mie mani sul suo petto e chiusi gli occhi, nel momento esatto in cui le sue labbra entrarono in contatto con le mie. Una scarica mi percorse il corpo, intanto che quel bacio innocente si trasformava in qualcosa di più approfondito e le nostre lingue si intrecciavano armoniose. Era il momento più bello della mia vita. Le sue mani scesero più in basso dei fianchi, per poi attirarmi ancora di più a se, facendo aderire perfettamente i nostri corpi. Le mie mani risalirono il profilo dei suoi pettorali, arrivarono al suo collo e si intrecciarono con i suoi capelli biondissimi, intanto che lui faceva scorrere le sue mani lungo la mia schiena lasciando dei leggeri baci sul mio collo. Andammo avanti così per circa… che so? Mezz’ora? Un minuto? Un quarto d’ora? Avevo perso totalmente le cognizione del tempo…

 

Finalmente uscimmo all’aria aperta e ci accordammo per andare ad un bar. Frank era troppo lontano, quindi andammo in oratorio, dove il bar ospitava ogni giorno una festa diversa. Ci sedemmo al bancone e ordinammo da bere. “un bicchiere d’acqua, grazie” dissi io “per me invece una bottiglia di birra”. Lo guardai sbigottita “che c’è?” mi chiese lui “pensavo che i ballerini professionisti come te non bevessero” “uno, io non sono un ballerino professionista quindi non ricominciamo il discorso di prima e due, ci è pur permesso qualche volta di infrangere una regola. Basta non esagerare” quando mi fece bere un sorso della sua birra mi sentii in colpa per il pacchetto di sigarette che custodivo segretamente in un cassetto della mia camera.
Le avrei bruciate.


Cercai di non pensarci e passai una fantastica serata in compagnia di Filippo. Verso le undici e mezza mi riaccompagnò a casa e sulla soglia mi diede un veloce bacio a stampo sulle labbra dicendomi “ci vediamo domani bellezza” “ok, ti voglio bene” risposi “anche io. Tanto tanto”. Quando se ne andò entrai in casa e mi sentii la ragazza più fortunata sulla faccia della terra.

 
 

Eccomi qua. Sigh… scusate adesso piango. Mi sono commossa! Personalmente questo è il mio capitolo preferito! Lo adoro e spero che possiate adorarlo anche voi, perché davvero… boh, semplicemente questo è stato il primo capitolo che mi è venuto in mente. Ero li sotto le coperte del mio letto, è ho sognato questo capitolo, due mesi fa, così ci ho ricavato questa storia fino a quando una mia amica (Ricciolilli) mi ha fatto scoprire EFP, e la ringrazio enormemente. Adesso i ringraziamenti:
-Ricciolilli che mi corregge le bozze;
-qwertylove e Ali_di_vetro che tengono questa storia tra le preferite;
-Loulou24, Ricciolilli e ali_di_vetro che tengono questa storia nelle seguite;
-Ricciolilli e ali_di_vetro per le loro fantastiche recensione.

Grazie di cuore!!!!!!!!!!!!!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, grazie di cuore!
Un bacione da SuperSavo

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Capitolo 13
*** Gordon ***


Capitolo 12
Gordon

 
One way or another, I’m gonna see ya
I’m gonna meetcha meetcha meetcha meetcha
One day, maybe next week
I’m gonna meetcha
(One Direction – one way or another)
 


“Claire, aspetta un secondo!” sentii la voce di Cecilia richiamarmi da dentro l’aula di danza. Lasciai la mano di Filippo per dirigermi verso Cecilia.

Avevamo deciso di incontrarci con Ines e Chris e gli avevamo raccontato tutto quello che era successo. Ines si era eccitata come una bambina il giorno di Natale e si era messa a saltellare felice come un pazza battendo le mani freneticamente, senza mai smettere di ridere. Strano, di solito era una ragazza molto seria… ok, questo non è vero, l’ho vista seria in rare occasioni, ma questo non vuol dire che non possa maturare! 
(…) Invece Chris aveva fatto qualche battuta del tipo “hai davvero deciso di morire?”.
Ah. Ah. Ah. Che simpatico Chris… da 
morire!


Mi riscossi dai miei pensieri per concentrarmi su quello che mi doveva dire Cecilia “sì?” le chiesi “ho chiamato tuo padre- come aveva chiamato mio padre?! – gli ho chiesto se stasera puoi tornare un po’ più tardi, perchè devo portarti… in un posto” concluse evasiva “un posto? Che posto?! Sai bene che ho sempre odiato le sorprese!” “sei sempre la stessa bambina, quindi” disse divertita. Feci il broncio da finta offesa e le dissi “sono passati solo tre anni, non è poi così tanto” “dai! Non vorrai mica fare la finta offesa!” mi rimproverò scherzosa. “d'accordo… quindi mi dici o no dove andiamo?” “no” disse facendomi la linguaccia “ok… allora sbrighiamoci!”. 


Mi diressi verso gli spogliatoi per cambiarmi, intanto che Cecilia finiva di sistemare le sue cose. “scusa, ma oggi non posso uscire. Cecilia mi vuole tenere in ostaggio per non so cosa. Mi dispiace” dissi a Filippo fuori dagli spogliatoi “uffa… avevo voglia di uscire con te oggi” “io e te usciamo insieme ogni giorno!” dissi divertita “infatti… io voglio stare con te ogni momento” rispose lui stringendomi tra le sue braccia. Ricambia l’abbraccio affondando il viso nel suo petto “anche io volevo uscire con te stasera” dissi triste.


In lontananza sentii Cecilia chiudere la porta dell’aula a chiave.
Non volevo staccarmi da Filippo ma dovevo.
Appena staccata gli diedi un bacio a stampo sulle labbra; peccato che mi ero dimenticata di Ines e Chris che erano li che ci guardavano “ok, vi ricordo che sono debole di stomaco e non vorrei vomitare, ma se serve a bloccare queste effusioni pubbliche e sdolcinate, sarei anche disposto a farlo!” minacciò Chris.


Mi staccai da Filippo e li salutai con la mano. Poco dopo che erano usciti andai a vedere dove si era cacciata Cecilia, trovandola fuori dall’aula che cercava di raccogliere da terra dei fogli. Andai li e la aiutai, porgendole i fogli che ero riuscita a raccoglierle. Uno di quelli che avevo davanti mostrava un vestito corto, con una gonna a balze, tutto bianco. L'avevo già visto, ma non riuscii a ricordarmi dove.

“cosa è?” le chiesi “niente che ti debba interessare per il momento” rispose lei vaga.
Non provai ad insistere, sapendo che non avrebbe parlato.


Andammo al parcheggio e salii in macchina (la stessa con la quale mi aveva portata a casa di mia zia tre anni prima).

Durante il viaggio continuavo a guardare fuori dal finestrino, per vedere se c’era qualcosa che potesse indicarmi dove stessimo andando. Purtroppo era già tardi e fuori dal finestrino era tutto completamente buio. Quando sentii la macchina fermarsi guardai fuori di nuovo.


Lì, alla luce di un lampione, splendeva nella penombra la forma di un edificio fin troppo famigliare. Un luogo che non vedevo da tre anni… casa mia. La mia 
vera casa.

Era li davanti a me. Mi risvegliai dai miei pensieri solo quando Cecilia mi aprì la portiera per farmi scendere. Uscii dalla macchina facendomi investire pienamente dalla leggera brezza autunnale che c’era nell’aria, oltre che dal forte vento di ricordi che quel luogo mi portava. Osservai quell’edificio che non potevo più chiamare, casa riuscendo a trattenere a stento le lacrime.


Senza che me ne accorsi, Cecilia mi abbracciò “ti va di entrare?” mi chiese.

Io annuii, senza pensare se la casa potesse essere abitata o meno. Che effetto mi avrebbe fatto vedere dei perfetti sconosciuti in quella che una volta era stata la sede di mie gioie e dolori? Per saperlo dovevo solo stare a guardare. Il mio sguardo ricadde subito sullo zerbino. Dovevo ricordarmi di cancellare un altro punto alla lista, perché davanti ai miei occhi si trovava uno zerbino rosso e oro, con la scritta “Gordon”. Meno uno. Ma ormai non mi faceva più effetto quel sogno, perché finalmente ero davvero felice. La vera domanda era “quanto sarebbe durato tutto?”.  


Cecilia bussò e quando una donna bionda sulla quarantina ci aprì la porta, si aprì in un enorme sorriso, così come quest’ultima “Cecilia! Sei tornata!” urlò. Subito due bambini, un maschio e una femmina, si affacciarono alla porta. La ragazza aveva delle deliziose  treccine bionde come i capelli della madre e doveva avere circa sedici anni, mentre il ragazzo aveva i capelli castani e doveva avere poco più di dieci anni. Quando scorsero la figura di Cecilia le andarono incontro abbracciandola, gioiosi. Iniziavo a capirci sempre meno. Finalmente la signora, che doveva essere la madre dei ragazzi, si accorse di me “e chi è questa graziosa ragazza che è venuta con te?” chiese rivolgendosi a me. Mi tese una mano dicendo “piacere, io sono Eleonora e questi sono i miei figli, Lara e Cristian” “il piacere è mio. Io sono Claire” risposi. “a cosa devo la vostra visita? Ma che scortese… entrate pure farà freddo li fuori” quelle erano le parole che aspettavo.


Volevo varcare di nuovo quella soglia, fosse l’ultima cosa che facevo.
Fu però un grande errore; era tutto troppo diverso. Niente mi ricordava la mia vecchia casa, quella che avevo lasciato alla morte di mia madre. E poi mi venne in mente quella sera, dove mia madre aveva davvero oltrepassato quella porta per l’ultima volta… cercai di non pensarci “veramente, sono venuta per fare un piacere a Claire. Aveva bisogno di vedere la casa”.


Eleonora mi guardò stranita. Chiedeva spiegazioni, e le chiedeva da me “io vivevo in questa casa, prima… prima di voi” 
prima della morte di mia madre, prima che la mia vita diventasse tutta storta, volevo dire, ma mi trattenni “davvero?! Tu sei la figlia di Michael?!” chiese stupita. Maledetta me… era stato mio padre a vendere la casa, era ovvio che non era stato zitto “vuoi fare un po’ il giro della casa… da sola?” annuii, facendo così che lei si girasse e iniziò a conversare con Cecilia, accompagnandola in cucina.


Entrai prima in salotto. Era tutto diverso, apparte i ricordi. Quella sera si era svolta li, li mi era stata data la notizia di ciò che era successo, li era successo tutto… poi andai nella mia camera, che adesso era decorata tutta di viola scuro.

Probabilmente era diventata la camera di Lara, la figlia di Eleonora. Andai, infine, nella camera dei miei genitori, trovandola praticamente immutata, se non per le lenzuola del letto. Infine tornai al piano terra per andare in cucina e partecipare alla discussione tra Cecilia ed Eleonora. Ci ero già arrivata da sola al fatto che Cecilia era stata anche la babysitter di Lara e Cristian, e sapevo già tutta la storia, ma non conoscevo cosa era successo in quella casa durante quei tre anni di assenza. Bè… fui accontentata, non era successo niente, apparte il fatto che la nostra vicina di casa settantenne era stata ricoverata in ospedale. Purtroppo quella vecchia bacucca spiona e impicciona che non era altro, non era ancora crepata.


Verso le undici di sera ci congedammo e salimmo in macchina, per tornare a casa nostra. Stranamente quella visita non mi aveva sconvolta come avevo temuto. Forse quella non era l’ultima volta in cui avrebbe oltrepassato la soglia di casa.

 
 

Ehilà!!! Come va? Lo so, questo capitolo fa pena, so già che Ricciolilli si incazzerà con me, che poi è già bello che non mi abbia uccisa molto tempo fa. È corto e non è nemmeno di passaggio, perché potevo benissimo non metterlo, infatti stavo pensando di metterlo come one shot, ma poi l’ho voluto mettere qua, perché… non so perché, solo volevo scriverlo e farlo leggere, forse perché sono una ragazza molto poetica. Forse perché con questo capitolo non volevo collegarmi alla storia, ma al passato di Claire, in modo da far capire un mio pensiero, ovvero che benchè tutti ci dicano che dobbiamo guardare avanti, non ci si può staccare  dal proprio passato perché in qualche modo è il nostro ieri a creare il nostro domani… Ok, momento filosofico/strano/pazzo/deprimente concluso. Comunque non accade niente apparte il cosiddetto “meno uno” XD.
Adesso i ringraziamenti:
-ali_di_vetro che tiene questa storia tra le preferite;
-qwertylove che tiene questa storia tra le ricordate;
-alessia_bill98, ali_di_vetro, Loulou_24 e Ricciolilli che tengono questa storia tra le seguite;
-Ricciolilli e ali_di_vetro che recensiscono sempre.
-tutte le lettrici/lettori silenziose/i
Grazie mille , vi vogli troppo bene, grazie per il sostegno che mi date anche solo per leggere la mia ff!!!
Un bacione enorme, da SuperSavo

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Capitolo 14
*** quanto sarebbe dovuta durare la felicità? ***


Capitolo 13
Quanto sarebbe dovuta durare la felicità?

 

dreams are like angels,
they keep bad at bay,
love is the light
scaring "darkness away"

(Gabrielle Aplin - the power of love)



claire's pov


Quella mattina mi ero svegliata presto, nonostante la sera prima fossi andata a letto tardi. Sul ripiano della cucina avevo trovato un biglietto di mio padre che diceva che avevo la casa a disposizione per tutto il giorno. Avevano deciso di portare Maria al parco dei divertimenti per il suo compleanno.

Maria compiva gli anni? Avrei dovuto ricordarmene… naah…


Almeno avevo un giorno da passare da sola. O almeno, sola con un’altra persona… lo avrei chiamato nel pomeriggio… no, avevo danza, ma almeno lo avrei visto comunque.


Erano circa le dieci di mattina ed ero sdraiata sul divano a guardare la tv, dato che non avevo voglia di fare niente.

Sentii il campanello suonare e svogliatamente andai ad aprire. Mi aspettavo chiunque, anche il pizzaiolo che mi doveva portare la pizza nonostante non avessi ordinato, ma non lei. Elisa era praticamente in lacrime sulla soglia di casa mia e mi guardava disperata. Di sicuro Roberto. Povera, povera, povera la mia Lillina… naah, ero troppo stanca anche per fingere di essere dispiaciuta.
Le sbattei la porta in faccia. Il campanello suonò di nuovo. Non aprii. Suonò di nuovo. Non aprii. Suonò di nuovo. Non aprii. Suonò di nuovo. Aprii “cosa vuoi?” lei mi guardò in silenzio. La guardai “Roberto ti ha lasciata? Parla” “mi manchi te” silenzio “Roberto ti ha lasciata?” silenzio. Chiusi la porta. Il campanello suonò di nuovo. Riaprii “sono incinta” disse. Chiusi la porta.
Il campanello non suonò più.

 

Elisa’s pov
 
Ero andata a casa di Claire per dirglielo. Glielo dovevo dire. Io non volevo, ma Roberto mi aveva obbligata. E comunque non potevo tenermi dentro quel peso pel il resto della vita.

Dovevo dirle che ero incinta del suo ex fidanzato.

Era successo tutto così in fretta. Io e lui ci lasciamo e meno di una settimana dopo lui si fidanza con Claire. E un mese dopo scopro di essere incinta. Bello…

Arrivai a casa di Claire, rincuorata solo dal fatto che essendo le dieci lei era ancora a letto. Così suo papà mi avrebbe aperto, mi avrebbe detto che dormiva e io sarei tornata a casa mia e avrei scritto a Roberto che stava dormendo e che non ero riuscita a parlarle. Se ripensavo a quello che era successo nelle ultime settimane, o al fatto di essere incinta del ragazzo che amavo… sentii gli occhi riempirsi di lacrime.


Suonai il campanello.

Passò qualche secondo e la porta si aprì. Claire. Mi guardò per poi sbattermi la porta in faccia. Ma non potevo arrendermi. Suonai di nuovo. Nessuno aprì. Ancora una volta e un’altra ancora notando che non apriva. Al quarto tentativo la porta si aprì e sentii un groppo formarmisi in gola “cosa vuoi?” non riuscivo a parlare “Roberto ti ha lasciata?” non capivo quella domanda, ma evidentemente avevo gli occhi lucidi e lai aveva pensato subito a quello “mi manchi te” dissi. Silenzio. “Roberto ti ha lasciata?” chiese lei di nuovo, ma non riuscivo a sputare quelle due paroline 
sono incinta sono incinta sono incinta. Era l’unica cosa che dovevo dire. Spazientita dal mio silenzio richiuse la porta. Non so dove trovai la forza ma suonai di nuovo. La porta si riaprì “sono incinta” riuscii a dire. Nemmeno mezzo secondo. Mi ritrovai di nuovo la porta sbattuta in faccia.


Quando si chiude una porta si apre un portone. Strano, i portoni di solito sono più grandi delle porte. Ma se io avevo appena visto quest’ultima chiudersi, perché non ne vedevo una più grande aprirsi? Forse perché non esisteva… una lacrima mi scese sul volto. Non suonai più al campanello e mi diressi verso casa mia in lacrime.

 

Claire’s pov
 
Ok. La mia migliore amica era incinta del mio ex fidanzato. E non mi importava. Non mi importava perché loro avevano tradito la mia fiducia e adesso che la mia vita andava fottutamente bene non volevo rovinarla per due persone che mi avevano trattata così male, pensando forse che io non ero in grado di provare sentimenti.


Comunque non potevo mettermi a pensare a loro in questo momento. Dovevo prepararmi per danza. E a danza avrei incontrato Filippo. Quindi dovevo prepararmi per essere felice, anche se lo ero ormai da una settimana. Una settimana… sembrava passata così in fretta. Presi lo zaino e mi diressi verso la scuola di danza.


Una volta arrivata mi cambiai negli spogliatoi, salutai Filippo, Ines e Chris e entrammo nell’aula. Aspettammo in silenzio l’arrivo di Cecilia che era stranamente in ritardo. Non era da lei. Di solito era puntuale. Arrivò nell’aula con il fiatone, ripose la borsa dall’aria molto pesante su una sedia e ci guardò dal centro della stanza. Poi disse “ok, ragazzi. Oggi dobbiamo lavorare. Lavorare lavorare lavorare. Ho avuto un’idea per il saggio di fine anno. Una grandiosa idea. Tre parole: lago dei cigni. Che ne dite?” chiese tutto d’un fiato. Il silenzio prima di un’esplosione. E in effetti, l’esplosione ci fu “bene, adesso fate un po’silenzio. Non ho ancora molto chiaro chi interpreterà chi, quindi oggi sarà una lezione particolare, perché in base a come lavorerete io deciderò i personaggi. Man mano avrò le idee chiare scriverò i nomi su un foglio che appenderò alla fine della lezione e che voi potrete vedere quando sarete usciti dagli spogliatoi. Adesso, iniziamo” disse, ma io avevo ascoltato solo una parte.


Questo voleva dire? Avrei interpretato Odette 
(n. d a. per informazioni, leggere lo spazio autrice) al saggio di fine anno? Non me lo aspettavo, ma voleva comunque dire che stavo per eliminare un altro punto della lista. In quella lezione diedi il meglio di me e ala fine ero decisamente soddisfatta. Solo una cosa mi incuriosì, ovvero quando Filippo si soffermò un attimo nell’aula per parlare con Cecilia. Morivo dalla voglia di sapere cosa le aveva detto, quasi quanto morivo dalla voglia di sapere chi avrei interpretato.


Quando uscii dallo spogliatoio trovai già un mare di persone attorno a quello che doveva essere il foglio fatidico, su cui era scritto:

 
personaggi de “il lago dei cigni”:

Siegfried:   Filippo C.
Odette:       Ines I.
Odile:         Clarissa C.
Rothbart:    Chris L.
Regina:       Luna F.
Giullare di corte:  Emilio R.
Componenti primo pas de deux:    Luca S. – Nicole L.
Componenti secondo pas de deux:   Cristina G. – Andrea L.
 
I ragazzi restanti interpreteranno personaggi minori
 


Cosa…?! Non ero stata presa come Odette? Ero Odile?! E Filippo era Siegfried mentre Odette era Ines?! (N.d A. ripeto, dato che non ci avrete capito niente, andate a leggere lo spazio autrice). 
Ero a dir poco abbattuta, ma ero comunque un personaggio importante.


All’uscita incontrammo Cecilia che rivolgendosi a Filippo e Ines disse raggiante “congratulazione ragazzi! E anche a te Claire! Mi raccomando, ho inserito la scena di un bacio tra Siegfried e Odette, quindi Filippo e Ines, preparatevi!” quella parole mi spiazzarono. Vedendo quella confusione, Cecilia aggiunse “non siete fidanzati? Be, allora Filippo ha una cotta per te Ines. È venuto da me apposta per dirmi che ti voleva come Odette. Be… in realtà ha detto che gli sarebbe andata bene chiunque, tranne Claire.” io mi girai verso di lui con le lacrime agli occhi.


Tutto così in fretta, così crudo, era suonato come uno schiaffo sul mio volto.

Anche lui mi aveva tradita?! Come era possibile che non riuscissi a trovare un ragazzo onesto?! Consapevole che sarei scoppiata in lacrime, me ne andai di corsa da li, sentendo Filippo che mi richiamava. Avrei davvero voluto uccidermi, semplicemente ero troppo stanca per farlo. Arrivata a casa non toccai cibo andando a rifugiarmi sotto le coperto, lasciando che il mascara colasse sui cuscini bianchi.

 


Informazioni:
Siegfried è un principe, sua madre è la regina di un regno e pretende che lui si trovi una moglie. Gli vengono mostrate molte ragazze ma nessuna di loro va bene per lui. allora lui scappa e arriva ad un lago dove ci sono vari cigni che all’arrivo della notte diventano tante fanciulle, la cui principessa è Odette. Tutte loro sono vittime di un incantesimo di un malvagio stregone, Rothbart. L’unico modo per sciogliere l’incantesimo è che Odetto riesca a trovare il vero amore. Rothbart scopre dell’incontro tra Siegfried e Odette e decide di intrappolare quest’ultima in modo che non riesca ad andare al ballo con il principe. Rothbart ha una figlia, Odile, meglio nota come “cigno nero”. Odile assomiglia nell’aspetto a Odette, per non dire che sono uguali. Rothbart manda Odile al ballo per ingannare Siegfried. Purtroppo il principe cade nella trappola e la povera e dolce Odette muore. THE END
 

So cosa state pensando. Quella del lago dei cigni è una storia molto positiva. È già. Avendo usato molto spazio per le informazioni, userò questo spazio per ringraziare Ricciolilli (leggete la sua ff stupenda), ali_di_vetro, qwertylove (leggete le sue stupende ff), Loulou_24 (leggete la sua magnifica ff) e alessia_bill98. Grazie di tutto! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che continuerete a leggere. Un bacione,
da SuperSavo

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Capitolo 15
*** per favore ***


Capitolo 14
per favore
 

The story of my life
I give her hope
I spend her love until
She’s broke inside
The story of my life
(story of my life – One Direction)
 

Uscii di casa scocciata. Non potevo chiudermi in camera mia a piangere sotto le coperte del mio letto, per colpa di qualcuno che evidentemente non mi meritava. Non sapevo cosa fare.
Chiamare Cecilia no di certo! Avrei dovuto dare troppe spiegazioni e non mi andava.
Di sicuro non potevo chiedere a Filippo o a Ines di uscire, di conseguenza anche Chris era escluso.
Elisa o Roberto non li calcolo più da un mese, quindi non li calcolo nemmeno adesso.
Altre amiche di danza o di scuola? Nessuno che conoscessi abbastanza da uscirci insieme.

Non potevo nemmeno stare in casa perché rischiavo di mettermi a piangere, e almeno all’aperto e in pubblico non avrei corso questo pericolo. L’unica cosa da fare era uscire da sola e trovare un modo per togliermi dalla testa tutti quei pensieri.

Il caso volle che in quel momento passassi davanti al tabaccaio. Senza pensarci due volte entrai. Ne uscii con un pacchetto di sigarette e un accendino nuovo, rosso fiammante.
Riposi tutto nella borsa e m’incamminai verso l’oratorio per vedere se c’era qualcuno in giro con cui parlare.


Appena arrivata, entrai dritta nel bar. Parlai un po’ con la cameriera e ordinai una coca cola.

Era una giornata fin troppo noiosa. Dovevo trovare qualcosa da fare. Stavo per uscire dal bar quando sulla porta a vetri trovai un cartello con scritto 
“cercasi camerieri/e per festa. Giorno sabato 20 ottobre. Per informazioni rivolgersi al bar”.

Questa era proprio la mia giornata fortunata, dato che la festa era anche quella stessa sera! No un attimo… calcolando quello che era successo con Filippo quello stesso pomeriggio, non ero stata poi così fortunata. E va be. Capita.


Tornai sui miei passi fino a raggiungere di nuovo il bancone “so di essere un po’ in ritardo, ma mi chiedevo se avete ancora posto per una cameriera” dissi “be, solo due hanno degnato di uno sguardo quel cartello, e una d quelle sono io, quindi penso che vada bene. Stasera alle otto e mezza, al bar. Ok?” annuii e me ne andai.


Evidentemente quella non era davvero la mia giornata. Stavo camminando calma nei vicoli del centro città quando sentii dei passi seguirmi. Sbirciai con la coda dell’occhio e vidi tre ragazzi. I due ai lati non li riconobbi ma quello al centro capii subito chi era. Matteo.
Aumentai il passo impaurita, senza più badare a dove stavo andando, dovevo solo seminarli in quel momento.

Loro si fecero più veloci. Erano a pochi metri da me. Svoltai a destra e mi ritrovai in un vicolo cieco. Ormai di tornare indietro non se ne parlava, avevo perso troppo terreno. Mi girai spaventata, proprio nello stesso momento in cui due mani mi afferravano per il collo, senza lasciarmi respirare.


Matteo avanzò, facendomi indietreggiare e di conseguenza finire con le spalle al muro “non urlare. Non ti sente nessuno” disse. La sua voce era più cupa del normale. Obbedii. Mi afferrò più forte, alzandomi di qualche centimetro dal suolo. Iniziai a boccheggiare sentendo l’aria mancarmi nei polmoni. Lui si avvicinò al mio viso e disse con un ringhio “vai a dire a quel tuo fidanzatino di starti alla larga. Se non la smette di girarti attorno non sarà solo lui a pentirsene. Chiaro?!” disse. Non riuscii a rispondere e nemmeno ad annuire da tanto mi stringeva il collo.

Cercai di concentrarmi su qualcosa che non fossero i suoi occhi. Guardai meglio i ragazzi alle sue spalle. Erano praticamente uguali: occhi azzurri, capelli castani, alti, magri e apparentemente spaventosi. Entrambi portavano una felpa rossa. Notando che non rispondevo strinse ancora di più la presa. La vista mi si affievolì sempre di più. Riuscii a emettere un flebile suono affermativo, prima che gli occhi mi si chiusero. Sentii le mie ginocchia toccare l’asfalto freddo e caddi a terra priva di sensi.


Quando rinvenni era già buio. Notando ancora una nota di luce in cielo constatai che doveva essere passato da poco il tramonto e che quindi ero rimasta senza sensi poco più di un’ora, al massimo due. Mi alzai da terra e mi misi in piedi, benché avessi ancora le gambe un po’ deboli. Mi sistemai alla bell’è meglio e cercai di non mettermi a piangere per i maltrattamenti subiti. Almeno sapevo che non mi ci sarebbe voluto granché per fare quello che Matteo mi aveva detto. Con Filippo non ci avrei più parlato… peccato che prima non avevo avuto abbastanza fiato per dirlo. Oppure non ne avevo il coraggio. Oppure non lo volevo ammettere?


Ancora un po’debole iniziai a camminare verso casa, accendendomi una sigaretta. Prima di percorrere il viale la spensi e con il migliore sorriso che avevo, ovvero il meno triste in quel momento, entrai in casa mia, ricordandomi poi che non c’era nessuno e faticando a trovare le chiavi. Entrai e buttai la borsa sul divano.


Guardai l’orologio e sorpresa scoprii che erano le otto, ovvero che fra mezz’ora sarei dovuta andare in oratorio per fare la cameriera alla festa. Scrissi un messaggio a mio padre per avvertirlo che probabilmente quando sarebbero tornati non mi avrebbero trovata e senza attendere risposta andai a farmi una doccia, per poi cambiarmi, prendere la borsa e uscire di casa. Per strada non feci altro che pensare alla miriade di cose che mi erano accadute quel giorno. Elisa mi aveva detto di essere incinta del mio ex, me ne ero fregata, ero stata presa come Odile per il saggio di fine anno, avevo scoperto che Filippo mi tradiva, avevo deciso di fare da cameriera in una festa in oratorio, ero stata minacciata e strozzata da Matteo… chissà cosa mi doveva ancora accadere!


Arrivai in oratorio senza accorgermene ed entrai nel bar in anticipo, notando però che c’era già qualche persona. Andai al bancone e la stessa cameriera di quel pomeriggio mi riconobbe e mi disse quello che dovevo fare. Niente grembiule per le feste. Il segno di riconoscimento per camerieri era un cappello di paillettes argento. E per fortuna! Chi la voleva passare una festa con un grembiule addosso! Andai al bancone per servire quelle poche persone presenti nel locale. Mi accorsi che c’era già l’altra ragazza che mi avrebbe dovuto dare una mano a servire. Era girata di spalle intanto che parlava con un ragazzo.


Quando si girò, rabbrividii.
Ines.
Possibile che io fossi davvero così sfortunata?! Mi girai subito per non dover incrociare il suo sguardo ma la sentii avvicinarsi a me “ vattene” le dissi con il tono più freddo, gelido, indifferente, acido, incazzato che riuscii a usare. E per fortuna lei capì e se ne andò. La festa iniziò ad animarsi e cominciavano ad arrivare sempre più persone, fin quando non pensai che altre non ce ne sarebbero potute stare. Con tutti i ragazzi che arrivavano al bancone Ines non riuscì (per fortuna) a parlarmi.


Quando la situazione si fu un po’ calmata non ero ancora pronta ad affrontare un discorso con lei, quindi presi la borsa e uscii per accendermi una sigaretta. Fuori faceva freddo e il cielo era coperto. Mi stavo congelando ma non volevo rientrare per prendere la giacca che mi ero dimenticata nel bar. Stavo per prendere le sigarette quando sentii dei passi avvicinarsi a me. Di scatto le rimisi al loro posto, sospettando (correttamente) che si trattava di Ines.


“ehi” disse lei “ehi…” risposi io. Parve sorpresa dal mio tono rilassato “come va?” chiesi visto che il silenzio si stava prolungando fastidiosamente “bene e te? Come stai?” “alla grande” risposi guardando da un’altra parte cercando di non piangere. Evidentemente se ne accorse… “ascolta- mi disse –Filippo non mi piace e poi non è come pensi! Lui ti ama!” “sta zitta Ines, lui non ti piacerà ma sapeva che il mio sogno era ballare e interpretare Odette nel lago dei cigni! E cosa fa?! Va a dire a Cecilia 
mi va bene chiunque tranne Claire! Poteva semplicemente dire che come fidanzata gli andava bene chiunque. Apparte me” le risposi, ma avevo ormai acceso una nuova discussione, che non centrava più con Filippo “tu hai sempre sognato questo? E quello che ho sempre sognato io?! Non importa, vero?! No perché io sono solo una ballerina qualunque mentre te sei la più brava dell’accademia e se te non ottieni quello che vuoi non ti va bene, e devi rovinare la vita degli altri per ottenerlo!” non l’avevo mai vista sotto quel punto di vista. Si sentiva davvero messa in ombra da me? In effetti non le avevo mai chiesto cosa voleva lei, avevamo sempre parlato di quello che avrei voluto io, e leiascoltava me. Inutile dire che a quelle parole non risposi. Nervosamente e prima di potermene accorgere tirai fuori una sigaretta e l’accesi. Ines mi si parò davanti “che cazzo ti salta in mente?! Dove le hai prese quelle?!” “queste le ho comprate, mi danno una mano a non pensare e non m’importa se fanno male, perché ormai non m’importa più niente di nessuno, tanto meno di me stessa” dissi con tono calmo, anche se la mia voce s’incrinò leggermente alla fine. Lei, tanto per rispondere, me la tolse dalla bocca, la gettò per terra e la spense con un piede “ehi, me la ripaghi” dissi “no che non te la ripago! Adesso dammi il pacchetto” “no” risposi seccata “sì invece!” “ho detto no! Chi pensi di essere? Mia madre per caso?!” le chiesi prima di rendermi conto di ciò che avevo detto “oh no, io non sono tua madre! Lei è morta! E adesso che vedo come sei fatta m’immagino il suo di carattere e penso che sia per la sua morte che sei diventata così stronza!” mi urlò in faccia.


Non risposi, intanto che una lacrima mi scese sul volto. Passò qualche minuto prima che Ines si rese conto delle sue stesse parole. Con assoluta calma presi una sigaretta e me la accesi. Intanto che alzavo lo sguardo notai una figura bionda scendere da un motorino. Di bene in meglio… Filippo… “oh mio Dio, adesso arriva anche il tuo cavaliere. Io entro così state un po’ da soli piccioncini” dissi acida. Lei mi fermò per un polso e per poco non mi fece cadere la seconda sigaretta. Ancora scossa per quello che aveva osato dirmi poco prima mi fece cenno di no con la testa e con una mano sulla bocca rientrò nel bar.


Non riuscivo a muovermi. Filippo si accorse della sigaretta e mi corse in contro. Come poco prima con Ines me la tolse dalle labbra, anche se più delicatamente, e me la spense con un piede “ma sei scema? Cosa pensi di fare” “ me lo hai detto te. Uno strappo alle regole qualche volta non ci è vietato” sorrisi sarcastica “qualche volta, ma non oso pensare quante potresti essertene fumata solo oggi!” disse. Io alzai gli occhi al cielo scocciata. “guardami” mi disse. Non volevo guardarlo. Mi faceva schifo. Il mio sguardo si soffermò su un ragazzo oltre la sua spalla. Era alto, magro e muscoloso, aveva i capelli castani, indossava una felpa rossa ed era girato di spalle, ma quando si voltò riconobbe me e Filippo. Si allontanò con il mio sguardo preoccupato addosso.


No, non poteva essere. Era uno dei due ragazzi che accompagnava Matteo quello stesso pomeriggio. E questo voleva dire che c’era anche 
lui. Non riuscii a smettere di pensarci nemmeno un secondo. Quando si accorse che non lo stavo ascoltando Filippo si decise a seguire il mio sguardo, giusto in tempo per notare la figura di Matteo venire verso di noi con gli altri due al seguito. Riuscii a dire una sola parola “scappa” e tanto bastò. Filippo mi prese per mano e arrivati al suo motorino disse qualche bestemmia intanto che si metteva il casco. Salì in sella ed io lo imitai “non ho il casco per te, scusa.


"Tieniti forte” mi disse intanto che accendeva il motore e partiva mentre Matteo e gli altri due ragazzi (di cui ignoravo il nome) correvano per raggiungerci. Per fortuna riuscimmo a partire nonostante tenermi a Filippo mi era reso un po’ difficile dall’ingombrante borsa che mi ero portata dietro. La mia più grande preoccupazione era non far cadere niente. Piuttosto che perdere la borsa sarei caduta io stessa dalla moto in corsa. Fummo molto fortunati anche perché non c’era nessun poliziotto in circolazione. A un certo punto iniziò a piovere leggermente, anche se era ovvio che si sarebbe messo a diluviare, per via dei nuvoloni neri che affollavano il cielo da quella mattina stessa. Percorremmo una stradina di montagna e Filippo deviò a destra per prendere un sentiero semi nascosto nell’oscurità. Quando arrivammo davanti ad una casa semi abbandonata che sembrava uscita da un film degli anni 80 fermò la moto e mi diede una mano a scendere intanto che iniziava a piovere più forte. Io camminai un po’ più avanti di lui ed entrai per prima in quella casa abbandonata.

 



Ecco qua! Il fantastico capitolo che avevo promesso, sperando che anche a voi possa sembrare stupendo! Forse avete già capito cosa accadrà nel prossimo e di dove si trovano. Per schiarirvi un po’ le idee vi ricordo che Claire non aveva fatto un sogno, bensì due, è solo che del secondo non ne ha tenuto molto conto. Volevo vedere se ve lo ricordavate :P comunque se riuscite a ritrovarlo e a rileggerlo dovreste capire cosa accade nel prossimo capitolo. Adesso passiamo ai ringraziamenti:

- RiccioLilli, Ali_di_vetro e qwertylove che hanno recensito la mia storia;

-ali_di_vetro e lalla1313 che tengono questa storia nelle preferite;

-qwertylove che tiene questa storia nelle ricordate;

-RiccioLilli, alessia_bill98, ali_di_vetro, Loulou_24 e PulCece che tengono questa storia tra le seguite.

Grazie mille ragazze! V.V.U.M.D.B.!!!!!!!!
Adesso consiglio la storia di: RiccioLilli (don’t wanna be without you), Loulou_24 (chatting with an angel), PulCece (Tutte Le Strade Portano A Te), qwertylove (71 41 10 e negavo che mi piacevi ma quella notte i miei occhi negarono tutto).
Un’autrice che consiglio è anche Egg_s che scrive delle storie a dir poco stupende e AngyxX che è una scrittrice nata.
Spero di non avervi annoiate e scusate per la pubblicità ma mi sentivo in dovere di fare qualcosa per chi segue le mie storie.

Un bacione, ci sentiamo al prossimo capitolo

Da SuperSavo

 

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Capitolo 16
*** la casa abbandonata ***


Capitolo 15
La casa abbandonata
 
Feeling my way through the darkness
Guided by a beating heart
I can’t tell where the journey will end
But I know where to start
(avicii – wake me up)
 
Entrai in quella casa abbandonata degli anni 80 e quello che vidi mi lasciò a bocca aperta. Era come me la ricordavo. Era passato più di un mese da quel maledetto sogno eppure mi ricordavo ancora ogni singolo maledetto dettaglio di quella casa. I muri di quello che doveva essere l’ingresso erano scrostati e non si capiva il loro colore originario. Entrai cauta in quello che doveva essere il soggiorno. Era uguale a come mi ricordavo. Semplicemente nel sogno c’era un po’ più di polvere, ma forse era solo tutto sbiadito dalle lacrime…
Sentii dei passi alle mie spalle e mi voltai spaventata. Era solo Filippo che camminava dietro di me. Io continuavo a camminare ed entrare nelle stanze in cerca di quella. Quando la trovai vi entrai con calma. Come il resto della casa, tutto era rimasto completamente come me lo ricordavo. Il divano polveroso, le pareti scrostate, il televisore con lo schermo sfondato… tutto uguale. Mi girai per uscire; ormai avevo verificato che non ci fossero stati cambiamenti. Se anche solo qualcosa fosse stato diverso, poteva voler dire che non era quella la casa abbandonata che stavo cercando. Stavo per uscire dalla porta ma andai addosso a qualcosa… o meglio, a qualcuno. Filippo. Doveva sempre starmi tra i piedi?! Lui mi ricaccio nella stanza e chiuse la porta “ciao” mi disse. Io non risposi, mi limitai a guardarlo “senti dobbiamo risolvere una cosa” “no, è tutto chiaro. Tutto risolto” dissi. Speravo che se la bevesse, che pensasse che Ines mi avesse spiegato tutto. E invece non fu così “non fare la scema. Non sai nemmeno cosa è successo veramente” “mi hai tradita! Ecco cosa è successo veramente!” sbottai io, ma lui non si diede per vinto “no! Hai frainteso!” “senti, non sono scema! Quello che ho capito lo ho capito!” dissi “davvero? E allora, cosa di quello che ho detto oggi ti ha fatto credere che io ti abbia tradita?” mi chiese facendo tornare la sua voce ad un tono di relativa calma “hai chiesto a Cecilia di ballare con Ines invece che con me” risposi “non è vero” disse semplicemente lui “ si che è vero” “no, io ho detto chiunque tranne te. Non Ines” mi rispose “oh certo! Questo mi rende immensamente felice! Non solo Ines, addirittura chiunque!” “no no no… no, hai frainteso di nuovo” cercò di correggersi lui “davvero? Bè, illuminami la mente” dissi sarcastica. Adesso mi stava davvero scocciando. Lui iniziò a camminare verso di me; io indietreggiai ma lui continuava a camminare, fino a quando non finii con la spalle appiccicate al muro. Lui era sempre più vicino “ho detto che mi andava bene chiunque tranne te, perché tu sei una ballerina stupenda e avevo paura di fare delle figuracce, o di non essere ciò che ti aspettavi. E perché te mi fai sentire nervoso. Puoi cambiarmi la vita con un gesto o con un semplice sguardo. Non sarei mai riuscito a ballare con te senza distrarmi, senza perdermi nei tuoi occhi o senza imbambolarmi davanti ai tuoi movimenti perfetti e aggraziati” quelle parole mi fecero rabbrividire “non ti credo” dissi “si che mi credi” rispose lui avvicinandosi ancora di più a me “dove mi hai portata?” chiesi per cambiare discorso, ma lui se ne accorse “non cambiare discorso” disse lui infatti. Riprovai più convinta “dove mi hai portata?” “in una casa abbandonata in montagna che ho trovato un giorno quando ho sbagliato strada con il motorino. Da quel giorno sono sempre venuto qua per trovare un po’ di pace. Adesso tu puoi rispondere ad una mia domanda, dato che io ho risposto alla tua?” chiese avvicinandosi a me al limite del sopportabile. Gli misi una mano sul petto per fermarlo e intanto che era frastornato dalla mia reazione ne approfittai per togliermi dalla sua presa e uscire dalla stanza. Speravo di essere abbastanza veloce da uscire, ma non fu così. Quando ero ormai nel soggiorno mi prese per il polso e mi fece girare di scatto “ti prego, non andartene” disse “io non voglio stare qui” “e dove hai intenzione di andare? In oratorio?” chiese lui “no, voglio tornare a casa mia” risposi. Silenzio. Dopo un po’ lui disse “perché sei venuta qui?” “in che senso?” ero confusa  “perché sei venuta con me? Perché sei scappata con me? Perché sei salita sul motorino con me?” ero un po’ titubante… avrei dovuto dirgli la verità? Be… cosa sarebbe potuto succedere di male? Assolutamente niente “Matteo mi ha detto che… che se ci avesse visti di nuovo in-insieme, mi avrebbe… mi avrebbe… mi avrebbe picchiata…” dissi. Gli occhi di Filippo erano praticamente fuori dalle orbite. Si passò nervoso una mano tra i capelli “s-scusa… io non immaginavo… non avrei mai pensato… io… io… non volevo, scusa” “non fa niente” risposi. Un sorriso apparve sul suo volto “quindi mi hai perdonato?” “no” dissi io. Ma chi si credeva di essere?! Boh… “andiamo… perdonami” disse facendosi sempre più vicino. Il mio cuore perse un colpo. Stupido cuore, cosa ti salta in mente?! È solo Filippo. Pensai tra me e me “io non posso” “guardami. Voglio che tu me lo dica guardandomi negli occhi. Dimmi che non mi ami” “io non ti amo” mi sforzai di dirlo guardandolo negli occhi “dimmi che non ti piaccio” continuò imperterrito lui. E di nuovo glielo dissi “tu non mi piaci”. Ma non finiva lì. Lui si avvicinò un po’ di più e disse “dimmi che in questo momento non muori dalla voglia di baciarmi” “io… io… n-non v-v-voglio… non voglio b-baciarti… io non voglio baciarti” riuscii a dire. Lui si staccò da me e solo in quel momento mi accorsi di quanto eravamo appiccicati fino a poco prima. E di quanto, fino a poco prima, stavo maledettamente bene. “dove stai andando?” gli chiesi notando che stava uscendo “ho sbagliato con te, scusa. Adesso tu non mi ami più, quindi ti riporto a casa. Andiamo al motorino” mi disse. Non so cosa mi prese in quel momento, ma… ma… non lo so con precisione. Gli presi il polso e lo tirai verso di me. Eravamo ancora più vicini di prima, praticamente incollati. “adesso potrei dirti negli occhi che tutto ciò che detto prima era finto, ma…” “ma?” mi chiese lui “ma ho troppa voglia di baciarti” dissi, per l’appunto, baciandolo. Lui mi prese in braccio e per un momento ci staccammo. Un breve momento, in cui vidi i suoi occhi azzurri. Un breve momento in cui mi ricordai un sogno in cui qualcuno mi prendeva in braccio in una casa abbandonata e io mi ricordavo solo il colore dei suoi occhi… azzurri. Mi sentii poggiare delicatamente su un divano e un corpo posizionarsi sopra di me. Io e Filippo ci baciavamo intanto che le sue mani scorrevano lungo il mio corpo. Quello che accadde dopo era semplicemente immaginabile…
 

Il giorno dopo…
 
Mi risvegliai tra le braccia calde di Filippo e cercai di alzarmi dal divano senza svegliarlo. Ovviamente non ci riuscii, dato che era già sveglio “buon giorno principessa” mi sussurrò in un orecchio “ciao” dissi io “sai che sei carina appena sveglia?” disse. Non me lo aspettavo, quindi non risposi. “soprattutto dopo una notte passata con te” continuò lui. Arrossii violentemente. “però… forse adesso è meglio che ti vesti… non vorrei cadere in tentazione una seconda volta” concluse lui. “già, noi femmine siamo brave in queste cose” dissi maliziosa “me ne sono accorto, ma insinui per caso che noi maschi non siamo in grado di tentarvi, certe volte?” “no, dico solo che noi femmine siamo più brave” risposi “quale è la base di questa affermazione?” “la Bibbia” dissi sorridendo “e te invece in base a cosa saresti contro le mie ipotesi?” “in base a quello che è successo stanotte…” disse lui “hai vinto” gli concessi. Presi i miei vestiti e me li infilai rapidamente, così come lui. Fummo messi in allarme dal rumore di alcune moto che arrivavano nei pressi della casa. Corsi alla finestra. Impossibile. Come aveva fatto Matteo a scoprire dove eravamo? “è Matteo, dobbiamo andarcene da qui!” dissi a Filippo. Per fortuna in quella casa c’era una porta sul retro e riuscimmo a uscire proprio intanto che la porta d’ingresso si apriva. Sentimmo la voce di Matteo urlare “cercateli, non devono essere troppo lontani. Claire ha dimenticato qui le sigarette” merda… le sigarette! Guardai Filippo “puoi anche farne a meno, ti prego Claire. Rinuncia” nel vederlo così annuii. Camminammo cautamente lungo il perimetro della casa fino ad arrivare al cortile deserto. In silenzio ci infilammo i caschi e salimmo sul motorino. Purtroppo il motore che si accendeva non fu altrettanto silenzioso. Matteo e i suoi due amichetti uscirono giusto in tempo per vederci andar via.
 
Finalmente il mio adorato paesino! Filippo mi fece scendere dal motorino davanti al vialetto di casa mia e mi salutò con un veloce bacio a stampo. Entrai in casa e successe il finimondo. Mio padre mi venne in contro e mi tirò uno schiaffo “ti sembra l’ora di tornare a casa?! Ti ho chiamata milioni di volte e ti ho scritto un miliardo di messaggi! Si può sapere dove ti eri cacciata?! Sono le dieci di mattina! Ok, mi hai detto che non ti avremmo trovata a casa al nostro ritorno, ma non al nostro risveglio! E poi… le sigarette! Perché c’è un pacchetto di sigarette sul tuo letto? Parla! Tu fai danza, sei una ballerina stupenda e sei piena di talento, la tua vita non è insoddisfacente, non hai problemi in famigli, hai dei buoni amici, un fidanzato e vai bene a scuola! Perché ti rovini la vita con il fumo?!” mi chiese lui. ok… devo stare calma. Se non ci riesco urlo. Ok… non ci riesco “papà, sono uscita e mi dispiace, mi sono addormentata in oratorio intanto che alle quattro di mattina abbiamo dovuto pulire in tre un casino creato da cento persone. O meglio, da cento scimmie! Al saggio di danza sono stata presa come Odile, il cigno nero, e non come Odette, il cigno bianco, Roberto mi ha tradita con Elisa e l’ha messa incinta, mi sono trovata un nuovo fidanzato e ci siamo messi insieme ieri sera, Ines non mi vuole più parlare e di conseguenza nemmeno Chris, a scuola  miei voti sono tutti sotto il sei, apparte un raro sei più. In casa c’è una stupida bambina che non fa altro che piangere e non sa nemmeno parlare e tutti la venerano come una dea, mia madre è morta e per mio padre io non esisto mentre per la mia cazzo di matrigna… be, anche per lei non esisto, quindi praticamente non ho uno straccio di famiglia e tu sei troppo occupato a fare cose che interessano solo a te, per preoccuparti minimamente dei miei problemi. Ma questo accadeva già prima dell’incidente!” ed ecco un altro schiaffo. Salii in camera mia arrabbiata con il mondo intero. Perché nessuno mi capiva? Nessuno, tranne Filippo…
 
 
Ehilà!!! Come state? Io bene perché finalmente questo capitolo sono riuscita a scriverlo! È uno dei miei preferiti! Eppure fino a  ieri non sapevo cosa cavolo scrivere. O meglio, sapevo cosa scrivere ma alla fine è uscito totalmente diverso. Ringrazio RiccioLilli, Loulou_24, qwertylove, alessia_bill98, PulCece, Ali_di_vetro, lalla1313 e sax77 che tengono questa storia tra le ricordate/seguite/preferite e che (alcune di loro) recensiscono. Consiglio tutte le loro storie e consiglio anche le storie di Egg_s e di AngyxX. Volevo anche dire che, contrariamente a come avevo detto qualche capitolo fa, questa storia non sarà di 24 capitoli, ma più corta. Arriverà ai… 19 capitoli? Si, penso di sì. E per chi lo ha capito: sì, mancano tre capitoli alla fine (se contate anche il prologo). Ma non preoccupatevi, ho in mente di scrivere un seguito. Non so esattamente perché farò due storie separate, semplicemente nel capitolo 18 accadrà una cosa molto importante e volevo differenziare le due storie. Poi devo ancora vedere se fare due storie oppure una sola. Sono momentaneamente confusa XD.
Per ora è tutto, se non avete chiaro qualcosa chiedetemelo con le recensioni oppure con i messaggi privati.
Un bacione da SS
 
P.S. ringrazio anche i/le lettori/trici silenziosi/e. grazie di cuoreeeeeeeee!!!

 

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Capitolo 17
*** stardust ***


Capitolo 16
Stardust

I can put a little stardust in your eyes
Put a little sunshine in your life
Give me a little heart and feel the same, and I wanna know when I see you again
I’ve seen that before, cause you’re not even there,
I‘m writing this song and you don’t even care,
throw me a lifeline and open my door, and pick up my heart that you left on the floor
(stardust – Mika)
 
Ero chiusa in camera mia da qualche ora e non avevo più parlato con mio padre o con Cindy. Perché ogni volta che mi accadeva qualcosa di buono subito dopo andava tutto male? Per fortuna si trattava di mio padre e Cindy, quindi non  mi importava più di tanto. Avevo passato quelle ore di solitudine a scrivere messaggi a Ines per farmi perdonare e per parlare con lei di quello che mi era successo la notte prima con Filippo. Mi aveva persino chiesto un resoconto dettagliato e mi aveva fatto delle domande molto personali riguardo a Filippo… ovviamente non avevo detto nemmeno una parola. Avevo messaggiato anche con Filippo riguardo a quello che era successo. “magico” così aveva definito quella notte. E in effetti, lo era stata davvero. Era così tenero che di più non si poteva. Ci eravamo dati appuntamento anche per quella sera, sperando che mio padre mi lasciasse uscire. E avevo ragione ad essere preoccupata. Infatti quella sera, verso le nove, cercai di uscire di casa. “dove stai andando?” chiese mio padre “esco” risposi io semplicemente “no che non esci. Non sei stata fuori abbastanza ieri sera?” “no, non sono stata fuori abbastanza. Posso andare adesso?” inutile dire che a mio padre uscirono gli occhi dalle orbite e mi ricacciò in camera, nemmeno fossi una bambina di sei anni.
Aspettai un po’ per poi scrivere a Filippo

_Arriverò un po’ in ritardo. 21.30 va bene? .C

_Non ti preoccupare, va benissimo. Poi mi spieghi. Ciao .F

Misi il cellulare in borsa e alle nove e venti chiusi la porta della stanza a chiave, per poi uscire dalla finestra tramite il balconcino. Silenziosamente mi incamminai verso l’inizio del viale per aspettare Filippo all’incrocio. Vidi che era già lì, ma non si tolse nemmeno il casco. Mi salutò con la mano e mi aiutò a salire in sella. Io mi aggrappai stretta a lui appoggiando la testa sulla sua schiena intanto che il vento mi scompigliava i capelli. Quando ci fermammo mi accorsi che non eravamo ne in oratorio, ne alla casa abbandonata. Scesi dalla moto e mi guardai in giro preoccupata. Dove eravamo? Cercai di distinguere qualcosa nel buio con scarsi risultati. L’unica cosa di cui ero certa era che ci trovavamo in paese, probabilmente in centro, dato che sentivo il rumore delle macchine. Camminai un po’ avanti e indietro per riscaldarmi dato il freddo di quella sera di ottobre. Intanto che mi guardavo in giro sentii due mani afferrarmi dolcemente per la vita, per poi attirarmi verso un corpo caldo, che mi riscaldò subito. Subito iniziò a lasciarmi dei baci sul collo, scendendo sempre di più. Io chiusi gli occhi e con il tono più rilassato che mi uscì, gli chiesi “dove mi hai portata?” dissi mordendomi il labbro per il piacere che mi davano i suoi baci. “dove nessuno potrà mai vederci” disse lui con tono malizioso. Spalancai gli occhi intanto che le sue mani stringevano in modo possessivo la mia vita, e non mi lasciavano vie di fuga. Perché quello che disse dopo mi fece capire l’errore commesso “dove nessuno potrà mai sentirti urlare”. Perché quella non era la voce di Filippo. Era la sua voce, e mi fece rabbrividire. Non aveva proferito parola, e non si era tolto il casco per salutarmi. E adesso capivo il perché. Perché Matteo voleva la sua vendetta. Voleva farmi male, ma non a livello fisico. Perché lui aveva scoperto tutte le mie paure e sapeva che la cosa che mi faceva più male era essere usata, per poi gettata. Essere trattata come lui mi aveva sempre trattata. E adesso non potevo scappare, ne chiedere aiuto. Perché nessuno mi avrebbe mai sentita. Cercai di dibattermi tra le sue braccia, contro le sue mani che desideravano sempre di più. Gli tirai qualche gomitata tra le costole, facendolo gemere. Ma l’unica cosa che ottenni fu essere scaraventata con violenza a terra. Mi facevano male le gambe e la testa e non riuscivo a rialzarmi. Cercai la borsa che mi era caduta dalle braccia. Avevo la vista appannata ma di sicuro le orecchie funzionavano bene. E quello che sentii era di sicuro il mio cellulare squillare. Lo cercai per terra e quando lo toccai lo sentii smettere di suonare. Avevano già messo giù? Non potevano! Dovevo chiedere aiuto! Non passarono nemmeno cinque secondi che sentii la voce di Filippo “Claire? ci sei? Rispondi” disse. Io cercai di dire qualcosa ma mi uscirono solo dei singhiozzi strozzati. Sentii qualcuno avvicinarsi a me e prendere il telefono “Filippo, caro amico. Adesso non può. Addio”. Matteo. Spense il cellulare e lo scaraventò per terra. Di sicuro era rotto. Io ero immobile: ormai non capivo più niente. I miei pensieri e la mia vista erano offuscati, mentre tutti i suoni mi giungevano ovattati. Sentii delle lacrime scorrermi sulle guance… ero consapevole che da quella battaglia non sarei uscita vincente. Oppure, non ne sarei uscita. Matteo mi fece alzare di forza e me lo ritrovai davanti, intanto che mi fissava preoccupato. Che quel mostro avesse trovato un cuore? Non credo. Si avvicinò a me e mi scostò i capelli dal viso. E nonostante fossi in lacrime mi spinse contro il muro e iniziò a baciarmi. Io non potevo farci niente, non avevo la forza di ribattere. Non sapevo perché stavo reagendo così. Forse perché mi faceva davvero male essere trattata così… ma non capivo. Mi ero sempre ribellata e adesso non ci riuscivo, e questo era strano. Non so per quanto tempo mi baciò e, nonostante fossimo troppo vicini, ringraziai tutti i santi dell’universo quando capii che non si sarebbe spinto oltre. Perché forse non era così mostruoso come pensavo… ma mi sbagliavo sul suo conto, per la seconda volta. “sei mia” mi sussurrò in un orecchio, e anche se non volevo, ero costretta ad ammettere che era vero. ma io non ricambiavo e non avrei mai ricambiato. Avevo sbagliato una volta, e dagli errori si impara. Chi sarebbe mai così stupido da rimettere il piede, dove sa che c’è una trappola mortale?
...
Il tempo passò e non so che ore erano quando lui si staccò da me e mi disse “devo andare, grazie per questa notte” disse, per poi avvicinarsi di più e sussurrare “non ti preoccupare, tornerò presto. Sentirai la mia mancanza?” mi chiese e notando che non rispondevo mi tirò un doloroso pugno nelle stomaco, per poi ripetere “ho detto: sentirai la mia mancanza?” io ero li che quasi vomitavo sangue, e non so dove trovai la forza anche solo di annuire. Lui tornò alla moto, accese il motore e se ne andò lasciandomi li da sola, in quella fredda notte. Lasciandomi sola con la mia sofferenza.
 
La mattina dopo mi svegliai sull’asfalto freddo della strada. Mi guardai intorno e finalmente capii dove ero. Era un vicolo cieco, una piccola strada buia vicina ad un parco del paese che stava al confine con il mio. Purtroppo quel parco era abbandonato, se no la sera prima avrei avuto qualche possibilità di andarmene grazie all’aiuto di un possibile volontario in circolazione. Mi alzai dolorante e presi la borsa e il cellulare, con lo schermo interamente spaccato. Provai ad accenderlo e notai con sollievo che funzionava ancora. Nessun messaggio, nessuna chiamata… Filippo non aveva provato a richiamarmi? Non capivo…
Mi incamminai verso casa mia, benchè si trovasse a circa due chilometri di distanza. Quando mi ritrovai vicina alla strada riuscii a fermare un auto che andava verso il paese. “grazie” dissi entrando “era il minimo” disse quello che doveva essere un ragazzo di circa vent’anni. “dove devi andare?” “semplicemente in paese, da li posso camminare” dissi “non credo che ci riuscirai, visto come sei conciata. Dopo la nottata di fuoco il ragazzo ti ha lasciata senza riaccompagnarti e te sei svenuta, troppo sbronza per camminare?” cosacosacosa? E chi credeva di essere  quello? “in realtà no. Il mio ex fidanzato mi ha aggredita e quasi stuprata, poi se ne è andato dicendomi che non dovevo preoccuparmi e che sarebbe tornato a cercarmi. Questa spiegazione ti soddisfa?” chiesi innervosita dal carattere impertinente del ragazzo al volante “scusa… non volevo sembrare offensivo… mi dispiace” disse “non fa niente, è stata colpa mia. Tendo ad essere scontrosa a volte. Comunque, sono Claire” “io sono Cristian” rispose lui. il resto del viaggio lo trascorremmo in silenzio, che venne ad un certo punto rotto da lui che accendeva lo stereo. In onda sulla radio c’era una delle mie canzoni preferite, stardust di Mika “adoro questa canzone” dissi “anche io, sono  fan di Mika” rispose Cristian. Alzò il volume al massimo e iniziammo a cantare, stonando un po’ quando le note si facevano troppo alte per le nostre corde vocali. Ma non ci importava. Gli dissi l’indirizzo di casa mia e lui mi ci portò. Scesi dalla macchina e lo ringraziai “di niente, era il minimo che potessi fare. buona fortuna, Claire” disse lui. Chiusi la portiera ed entrai cauta nella mia stanza, ovviamente trami te il balconcino. Speravo di farla franca. Purtroppo appena poggiai il piede sulla morbida moquette della stanza, la porta si aprì di scatto, intanto che mio padre appariva sulla soglia. Ero pronta alla sfuriata, perché ormai sapevo che a mio padre non sarebbero importate le mie catastrofiche condizioni, non si sarebbe commosso alla mia storia, non mi avrebbe abbracciata alla fine del racconto. Perché io non lo consideravo più mio padre da già tre anni.
 
 
Ehilà! Che ne dite di questo capitolo? Vi prego recensite!!! Ci tengo moltissimo! Spero davvero che vi sia piaciuto.
Adesso penso di dover dare delle spiegazioni riguardo al nome del capitolo… perché stardust? Perché amo questa canzone e trovo che Mika sia uno dei migliori cantanti del mondo, con una delle voci più belle mai esistite, senza parlare delle sue canzoni stupende. Io sono Directioner, ma di sicuro Mika è meglio degli 1D, e so che tutte le directioners che stanno leggendo mi invieranno delle minacce di morte, ma non potete negare: tra 1D e Mika, vince di sicuro Mika! Ok… ritornando a quello che dovevo dire: stardust = polvere di stelle. Ecco, il titolo mi attirava e lo trovo perfetto. Consiglio questa canzone a chiunque legga questa storia!
Adesso ringrazio per aver recensito, o per aver messo tra seguite/ricordate/preferite la mia storia, le seguenti persone: ali_di_vetro, lalla1313, qwertylove, alessia_bill98, Loulou_24, PulCece, RiccioLilli e sax77.
Grazie di cuore!
Mi scuso per aver aggiornato così in ritardo, ma in realtà volevo aggiornare solo oggi perché… QUESTA FF COMPIE DUE MESI! AUGURIIIIII!!! Ancora non ci credo che sta per finire… mancano due capitoli! Non ci credo… manca coì poco?! Bè, dato che non sono una che tiene la gente sulle spine, vi dico subito: siete persone a cui piacciono i lieto fine? Girate a largo, questa FF finirà di merda. E dato che però ho un certo gusto (o almeno spero di averne) ho deciso di fare un benedetto seguito e proverò (non assicuro niente) di fare andare le cose in un modo un po’ meno catastrofico. Vi avverto che penso di aggiornare o domani o sabato, e che sono praticamente certa che l’ultimo capitolo di questa FF lo posterò il 18 novembre. Sono stata abbastanza precisa? Bè, penso di aggiornare verso le 15.00, o 16.00 o 17.30. spero di essere stata abbastanza specifica XD, adesso, dopo questo lunghissimo spazio autrice, sparisco,
Un bacione da Mara (mi chiamo Mara)

 

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Capitolo 18
*** mi dispiace... ***


Capitolo 17
Come se si potesse dimenticare
 
If you’re pretending from the start like this,
with a tight grip, then my kiss,
can mend your broken heart, i might miss everthing you said to me
(over again – One Direction)
 
“Dove sei stata?” chiese mio padre, per ora tranquillo. Io non risposi. “cosa è successo? Come hai fatto ad uscire? A che ore? Con chi? Dove? Perché?” chiese lui “come hai fatto ad aprire la porta?” chiesi invece io “sono capace di aprire una porta con una forcina. Tuo padre non è così imbranato, vero?” disse avvicinandosi. Non so cosa mi prese, ma sottovoce dissi “tu non sei mio padre…” purtroppo lui mi sentì e mi venne in contro per prendermi a sberle. Stranamente non lo fece. Cioè, si avvicinò, ma si fermò con la mano a mezz’aria. Poi, molto lentamente, la riabbassò. Non capivo. Ma dato che lui adesso se ne stava zitto, dovevo trovare qualcosa da dire. Rispondere alle sue domande? Neanche morta! E all’ora… cosa potevo dire?! “senti… hai intenzione di rispondere alle mie domande oppure ho già perso in partenza?” fu lui a parlare “ieri sera sono riuscita ad uscire tramite il balconcino” “lo farò rimuovere” disse lui, interrompendomi “sono andata all’incrocio per incontrarmi con Filippo” “chi è?” “il mio fidanzato” risposi io per poi proseguire “sono stata portata in quel viale a fondo chiuso, vicino al parco abbandonato dell’altro paese. Hai presente?” “sì… quello è un brutto posto, se vi accade qualcosa nessuno può sentirvi o vedervi. È troppo irresponsabile questo ragazzo, mi metterò subito in contatto con lui” allora non aveva capito? “non… non ero con Filippo” “ma hai appena detto che…” disse confuso “sì, ho detto che mi dovevo incontrare con Filippo, ma mi hanno imbrogliata e un ragazzo che gli assomigliava mi ha portata via” lui mi guardò con gli occhi fuori dalle orbite “non ti credo. Sentiamo, chi era che ti ha rapita?” “Matteo” risposi io con aria sufficiente “Matteo? E perché? Vi siete appena lasciati, ma pensavo che foste comunque amici…” “scherzi vero?! eravamo felici insieme sette mesi fa, quando eravamo insieme e ci amavamo, prima che iniziasse a maltrattarmi! Prima che io trovassi la forza di dirlo alle mie amiche, di lasciarlo, di fidanzarmi con Roberto, di essere tradita da lui e anche prima di incontrare Filippo a danza per poi fidanzarmi di nuovo!” mio papà mi aveva ascoltata stupito. Era ovvio, non se la sarebbe mai aspettata una reazione del genere da parte mia “quindi… ehm… mi dispiace” lui si avvicinò per cercare di abbracciarmi, ma sembrava quasi essersi dimenticato come si faceva. Io indietreggiai dicendo “devo stare un po’ da sola, ok?” “ok. Vado allora” lui uscì dalla stanza e chiuse cautamente la porta. Approfittai di quel momento per dirgli un’altra cosa “ehm… lo schermo del mio telefono si è rotto. Me lo ricompri, vero?” lui si voltò verso di me e mi annuì. Io ritornai in camera mia. Presi il telefono scassato e lo accesi. Volevo subito scrivere a Filippo.

Ehi! Ci vediamo oggi a danza? Non vedo l’ora di rivederti… perché non mi hai scritto, o non mi hai chiamata, ieri sera? Avevo bisogno di te… si tratta di Matteo… dopo ti dico. Ciao. Ti amo –C

Aspettai un minuto… cinque minuti… un quarto d’ora… mezz’ora… niente… un’ora… ormai avevo perso ogni speranza. Perché non rispondeva? Decisi di chiamarlo. Passò solo qualche secondo, per poi sentire una voce uscire dal cellulare “spiacenti, ma il numero appena chiamato è inesistente. Verificare di aver composto il numero correttamente…” riattaccai. Uffa… perché non mi aveva detto che cambiava numero? Proprio non lo capivo… iniziai a prepararmi per danza, sperando di poter ottenere una risposta là. Feci un po’ di riscaldamento per passare il tempo e notai che, nonostante la brutta notte passata, non sentivo alcun genere di dolore. Alle cinque del pomeriggio uscii di casa e mi incamminai verso la scuola di danza. Il cielo era grigio, segno che stava per arrivare una brutta tempesta autunnale. Perché il cielo doveva sempre essere grigio? Sinceramente, io amavo il grigio, ma dopo un po’ che lo vedevi sempre lì, a sovrastarti, ti dimenticavi dell’azzurro. Un po’ come era successo a me. Nei libri amavo le catastrofi, le tragedie, le cose tristi, ma dopo due anni in cui non ti accadeva nient’altro, ti dimenticavi cosa voleva dire davvero stare bene.  In poco tempo arrivai, immersa nei miei pensieri, alla scuola. Entrai negli spogliatoi, mi cambiai e uscii per incontrare Filippo. Purtroppo di lui non c’era traccia “dove è Filippo?” chiesi a Ines che era lì con me. Lei mi rivolse uno sguardo confuso e aggiunse “ehm… lui è...” fece una piccola pausa, per poi aggiungere “non lo so… forse è malato” io la guardai confusa, ma non ci pensai molto dato che la lezione iniziò. Ero seriamente preoccupata, ma non per questo andai male a danza. Avevamo iniziato a fare le coreografie per il saggio, purtroppo senza Filippo. Forse io ero destinata a fare Odile, in fondo io ero sempre stata una protagonista, ma in senso negativo. Io ero stata l’antagonista. Avevo davvero rovinato la vita a qualcuno? Mi vennero in mente i nomi di molte persone, la maggior parte risalenti a prima delle morte di mia madre. La lezione finì e decisi di uscire con Ines e Chris. Andammo tutti insieme a cena da Frank. Filippo non c’era. “sai dove è per caso?” chiesi a Frank ed ebbi come la sensazione che Chris e Ines, dietro di me, gli stavano facendo cenno di no… cosa voleva dire? “ehm… ecco… non lo so” disse lui. Quando finimmo di cenare tornai a casa. La prima cosa che notai fu una lettera lasciata nella cassetta della posta. La presi. Era di Filippo. Entrai in casa e, una volta chiusa nel mio “rifugio segreto” in soffitta, la aprii. Diceva

Claire, ho aspettato che te andassi a danza per lasciarti questa lettera nella posta e non sai quanto mi senta vigliacco nel non dirtelo a voce. Ok, lo dirò come si fa quando si strappa un cerotto. Velocemente. Sperando che sia anche indolore. Ecco… vedi…  mia mamma ha trovato un altro lavoro… ti avevo detto che ci siamo spostati tante volte, e… bè… mi sono trasferito. In Inghilterra… e stavolta sembra una permanenza più lunga… ieri sera ti ho chiamata ma ha risposto… non so di chi era quella voce. Spero fosse quella di tuo papà che ti aveva sottratto il telefono per il ritardo… non che io penso che tu abbia potuto tradirmi, però… sai, siamo tornati insieme da poco, poteva capitare. Comunque, dovevo dirti che cambiavo numero. Davvero, non so cosa mi sia preso… mi sono dimenticato di dirtelo l’altro giorno… non ci ho pensato… mi sono scordato. Volevo dirtelo a voce, non volevo lasciarti un messaggio. Senti… non voglio farti soffrire, quindi non ti lascio il mio nuovo numero, così non sarai costretta e vederlo ogni giorno nella rubrica, sotto la lettera “F”… oppure sotto la lettera “A”, di amore… e ti assicuro che questo è il sentimento che ho provato per te, ma… semplicemente non credo nelle relazioni a distanza. Mi dispiace,
dal tuo Filippo
P.S. mi mancheranno i tuoi baci
 
Il mio cuore si spezzò in due. Cosa cavolo voleva dire “mi sono dimenticati di dirtelo”? che si era dimenticato di me? Bel fidanzato che avevo trovato. Strappai la lettera, scesi in soggiorno e, di nascosto, la buttai nel camino, vedendola bruciare come tutte le mie speranze, buttate al vento da quel ragazzo che mi aveva fatto provare, per la prima volta, quella cosa chiamata “voglia di vivere”. E che adesso se ne era completamente andata dal mio corpo.
 
 
Ed eccomi qua, con il mio ultimo capitolo prima dell’epilogo. Quindi… 22 ottobre 2013, Filippo si trasferisce e Claire non ah più voglia di vivere. Bè… cosa dire? Tutto regolare! È già bello che Claire non si è suicidata, per i miei standard di positività! Questo era l’avvenimento importante che dicevo sarebbe avvenuto, per il quale voglio creare due FF diverse. L’epilogo sarà un po’ più corto di un capitolo normale, ma lo userò un po’ come traccia di cosa accadrà nei primi capitoli della prossima FF. poi… ho cambiato nickname, che ne dite? Spero vi piaccia, anche se non so perché ve lo sto chiedendo! Un milione di grazie a: ali_di_vetro, lalla1313, qwertylove, alessia_bill98, Loulou_24, PulCece, RiccioLilli e sax77 per aver recensito, o per aver messo tra seguite/ricordate/preferite la mia storia. Vi voglio troppo bene! Consiglio la FF di RiccioLilli e quella di qwertylove, le storie di AngyxX, Egg_s e la storia di cui mi sono follemente innamorata: “miles apart” di CassandraAinsworth. Un milione di grazie anche alle lettrici silenziose, un bacione da CF (Cold_Fire)
 
 

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Capitolo 19
*** happy ending ***


Epilogo
Happy ending
 
This is the way you left me, I’m not pretending
No hope, no love, no glory,
no happy ending
this is the way that we love, like it’s forever,
then live the rest of our life, but not together
(happy ending – Mika)
 
Aprii svogliatamente gli occhi, facendo scivolare lo sguardo sulla mia sveglia che suonava instancabilmente, segnando le nove del mattino. Una stupida mattina d’inverno fredda e umida. Grigia, come il mio umore ogni giorno appena sveglia. Stancamente mi tirai la coperta sopra la testa, facendo cadere apposta la sveglia, sicura che si era rotta. Era la seconda che “uccidevo” dall’inizio della settimana. Ed era solo martedì.  Già… martedì 24 dicembre. La vigilia di natale. Personalmente odiavo il natale, perché ero costretta a svegliarmi presto, essere gentile con tutti e passare una giornata intera con delle persone di cui non conoscevo il nome, certa che ciò fosse reciproco. Intanto che mi perdevo nei miei pensieri sentii la voce di Cindy chiamarmi dalle scale. Svogliatamente mi alzai dal mio caldo rifugio.
 
Dove sei? Perché te ne sei andato? Mi hai lasciata sola… mi hai lasciata. Sei sparito dalla mia vita come se non ci fossi mai entrato. Non ti sei reso conto di ciò che mi hai fatto, di quanto mi hai cambiata. Di come mi hai salvata. Ma, ovviamente, come mi hai salvata mi hai anche distrutta. Sei scomparso come se le cose che mi hai detto fossero solo bugie. E adesso questa è la mia paura più grande: venire a sapere che erano davvero delle bugie. Se no che senso hanno questi ultimi mesi? Chiamate, lettere, mail, messaggi… niente di niente. Nemmeno cose anonime. Mi hai lacerato il cuore. Lo stesso cuore che io ti avevo donato. E adesso, mi hai lasciata… mi hai lasciata sola.
 
Ormai avevo perso i contatti con tutti i miei conoscenti. In due mesi non ero uscita mai di casa. Se mai per la “scuola”, se così la potevo chiamare. La prima settimana dicevo ha mio padre e a Cindy che andavo a scuola, quando in realtà me ne andavo… non so dirlo con esattezza, perché cambiavo quasi sempre posto. Centro commerciale, parco, oratorio… per far cosa? Niente. Semplicemente guardavo le persone che passavano e che mi guardavano sorridendomi, non potendo immaginare cosa mi stava capitando, o cosa mi era capitato. Purtroppo a scuola le insegnanti si erano accorte delle mie continue assenze e avevano deciso di chiamare mio padre. Ovviamente venni sgridata, ma ciò non mi impedì di fare quello che volevo. Mio padre decise dunque di accompagnarmi lui stesso a scuola, e vi rimaneva fino a quando io non entravo. E quando lui se ne andava io uscivo. Quando venne a saperlo era furibondo. Da quel giorno lui mi accompagnava fino alla profe che dovevo avere alla prima ora, quasi come un rituale. Poi questa mi accompagnava in classe e mi faceva sedere in prima fila, proprio davanti a lei. Non che mi importasse. Facevo quello che volevo e usavo il telefono davanti ai suoi occhi, senza che mi importasse più di tanto se mi vedeva o no. Dopo un po’ divenni un pezzo dell’arredamento. I miei compagni mi avevano fatta diventare una cosa normale, quotidiana. Quindi, adesso, la ragazzainprimafilacheusailcellulareenonseguesenzachegliimportidelleprofe era una cosa normale. Molto bene. Tutti mi trattavano normalmente. E Matteo… bè, Matteo se ne era andato dopo quella notte non si era più fatto vivo. Le profe dicevano che si era traferito con la sua famiglia e che sarebbe ritornato tra qualche mese. Io speravo che quel “tra qualche mese” fosse il più tardi possibile.
 
Ero uscita per andare a fare i regali di natale che fino a quel giorno non avevo voluto fare. E che nemmeno quel giorno avevo voglia di fare, per la cronaca. In effetti ero stata obbligata da Cindy. Aveva detto che dovevo uscire e stare all’aria aperta. Ovviamente era una cazzata, lei voleva solo che io comprassi gli ultimi regali, in modo che non era lei a dover crepare di freddo. Ero arrivata al centro commerciale, che negli ultimi due mesi di fuga era stata la mia casa principale. Entrai e vidi subito dei vecchietti indaffarati con le ultime compere. Alcuni erano lì perché avevano voluto aspettare gli ultimi sconti, altri probabilmente si erano scordati del natale. In giro non c’era nessun ragazzo della mia età, e per questo ringraziai il cielo. Non volevo essere costretta a parlare con persone di cui non mi importava nulla. O almeno, così pensavo. Ad un certo punto sentii una musica provenire da un negozio nelle vicinanze. Era familiare. Musica classica… il lago dei cigni, chiaro come il sole. Quella canzone mi riportò alla mente alcuni messaggi ricevuti negli ultimi due mesi.
 
- Flash back -
Ehi Claire, come va? Penso di aver capito cosa ti è successo… hai saputo? Senti non devi buttarti giù. Scusa se non te l’ho detto ma pensavo che Filippo te lo volesse dire di persona. Mi dispiace. Vedi di non demoralizzarti, ciao –Ines
Ehi, come va? Tutto ok? Ti sei demoralizzata, vero? se hai bisogno di qualcosa chiamami. –I
 
Senti… puoi rispondere ai messaggi? Dai, chiamami, ok? Sai che ti voglio bene… ciao –I
 
Claire! che fine hai fatto? Chiamami! –I
 
Ok, ci rinuncio, fai quello che vuoi! Non mi importa più niente di te e delle tue crisi, se proprio sei così testarda da non venire a danza! –I
 
Senti… vedi di rimetterti. Sai, Ines può aver reagito male ma era solo sorpresa. Noi ci teniamo a te Claire, ricordatelo. Vedi di tornare presto. Ciao –Chris
 
Ok… abbiamo parlato con Cecilia. Non vieni a danza da tre settimane, è ovvio che ti è successo qualcosa, no? Le abbiamo spiegato tutto. Ha detto che se non torni deve dare la tua parte a qualcun’altra. Ti prego, rispondi ai miei messaggi! -I
 
Ehi… come stai? Ines e Chris mi hanno spiegato tutto… mi dispiace ma se non torni il posto di Odile devo darlo a qualcun’altra. Vedi di rimetterti presto, ciao –Cecilia
 
Tu sei scema! Due mesi… torna a danza! Ormai il posto di Odile è stato assegnato a quella scema di Anne… quella biondo tinta, hai presente? Comunque, mi sono dimenticata di dirti che Chris interpreterà Siegfried! Non è stupendo? Sì che lo è! Ti prego rispondi, adesso devo andare, ciao. –I
 
Ehm… nel messaggio di prima non ti ho detto una cosa… buon natale –I
 
Claire, mi dispiace ma ho dovuto assegnare il tuo ruolo ad un’altra. Mi dispiace ma non ti fai viva da due mesi. Per favore rispondi ai messaggi. Buon natale. –Cecilia
 
Ehi Claire! indovina un po’! interpreterò Siegfried al saggio! Non  stupendo? Io! Protagonista! Un sogno che diventa realtà! Vedi di tornare presto. Ti voglio bene. Buon natale. –Chris
 
-fine flash back –
 
Mi incamminai verso il bar da cui proveniva la musica e decisi di ordinare qualcosa di bollente, come un caffè. O qualsiasi altra bibita che potesse ustionarmi la lingua, almeno avrei avuto un vero motivo per soffrire. Ad un certo punto sentii il telefono vibrarmi in tasca. Di sicuro Ines, in effetti mi scriveva ogni dieci minuti, anche solo per sapere come stavo. Ovviamente non rispondevo. E ovviamente il messaggio non era di Ines… un attimo! Non era di Ines? Numero sconosciuto… il cuore mi balzò in gola. E se fosse stato Fili… no, impossibile. Non potevo nemmeno dire quel nome. Lessi il messaggio più e più volte. Non poteva essere vero. E in fatti non lo era:
sono tornato
diceva il messaggio. Mi girai di scatto per vedere se era proprio lui… e la mia più grande paura si confermò. Sì, era lui. Matteo. E questo era il mio “happy ending”.
 
 
Lo so, sono cattiva! Non ditemi che per un micro secondo avete davvero sperato che questa storia potesse avere un buon finale! Pensavo che mi conosceste… ;P
E ovviamente ci sarà il seguito. Cosa pensate? Non sono così meschina! Forse… XD
Ringrazio tutte le persone che hanno seguito questa storia, che hanno recensito, le persone che l’hanno messa tra ricordate o preferite e ringrazio anche le/i lettrici/ori silenziose/i. senza di voi questa FF non sarebbe mai stata conclusa! Vi voglio bene! Spero di sentirvi al seguito, come spero che continuerete a seguire la mia storia! Grazie di tutte. Comunque, ho deciso di postare oggi, perché è un giorno importante per me… oggi compi tredici anni!!! HAPPY BIRTHDAY TO ME!!! XDXDXD spero che recensiate in tante. Vi voglio bene. Alla prossima da,
bacioni da cold_fire
 
P.S. ho deciso di mettere una foto. Non è di un personaggio, è solo una foto che ho trovato e che mi andava di mettere perché… bè, stava bene con questo finale. Se non la vedete avvisatemi in una recensione
 

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Capitolo 20
*** avviso ***


AVVISO:

ok, volevo solo informare le lettrici di questa storia (o lettori se ce ne sono) che ho postato il primo capitolo della mia nuova FF, il sequel di questa, e se qualcuno è interessato si chiama "sporca come il bianco" (sto migliorando con i titoli XD). volevo ringraziare tutte le persone che hanno recensito, che hanno messo questa storia tra seguite/preferite/ricordate e tutti quelli che hanno letto in silenzio e che spero abbiano gradito. grazie di cuore a tutti voi, senza il vostro sostegno questa FF non si sarebbe mai conclusa! un bacione enorme, per tutte voi:

- ali_di_vetro
- RiccioLilli
- controcorrente
- alessia_bill98 
- Finchelforever
- Hani78
- Loulou_24
- Maria51
- PulCece
- RebelVampire
- valeriaros85
- CARMY88
- denisa_chan
- qwertylove
- Angy xX
- emanuelapezzella
- lalla1313
- minnybelieber


da Cold_fire






P.S. lo so che avevo già messo questo avviso quindi scusate se vi è arrivata la notifica, è che l'ho cancellato per sbaglio e dato che c'erano i rigraziementi non mi sembrava carino non rimetterlo.

P.P.S. ne ho approfittato per aggiungere alla lista un'altra persone speciale, minnybelieber

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