Silver Lining Playbook

di hurrem
(/viewuser.php?uid=37706)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le parole che non ti ho detto ***
Capitolo 2: *** You're my person ***
Capitolo 3: *** Sisters - Part 1 ***



Capitolo 1
*** Le parole che non ti ho detto ***


ATTENZIONE: Carissimi lettori (ormai amici per lo più! :-P), è mio dovere informarvi che questa raccolta di one-shot conterrà missing moments della famiglia Brief (soprattutto Bulma/Vegeta e qualche racconto delle avventure giovanili dei tre moschettieri) e, visto che molte saranno inerenti o successive agli avvenimenti raccontati in PRIDE AND PREJUDICE, è possibile che non troverete aggiornamenti finché non avrò finito (o comunque non sarò ad un punto tale per cui si evitino grossi spoiler!).

Questo primo capitolo è nato per un’esigenza fortissima di scriverlo. Avrei preferito pubblicare anche questo più in là ma non ce l’ho fatta. Mi scuso se ci dovessero essere cose poche chiare, ma ripeto: a tempo debito ogni cosa verrà chiarita. I personaggi che vedrete apparire saranno ripresi in altri momenti e di loro saprete molto di più. Inoltre i capitoli non seguiranno un ordine cronologico.

Ammetto: questo lavoro mi è costato qualche lacrima e (so che sembra brutto da dire) in fondo spero che ne faccia scendere qualcuna anche a voi. Mi auguro che vi piaccia quanto piace a me.

Ne approfitto per ringraziarvi come al solito per il supporto ed il calore che dimostrate, leggendo e recensendo le mie storie. Un grazie di cuore a tutti voi!

Hurrem

 

 

 

 

1)      LE PAROLE CHE NON TI HO DETTO

 

 

 

 

      Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

      e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.

      Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.

      Il mio dura tuttora, né più mi occorrono

5     le coincidenze, le prenotazioni,

      le trappole, gli scorni di chi crede

      che la realtà sia quella che si vede.

 

      Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio

      non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.

10   Con te le ho scese perché sapevo che di noi due

      le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,

      erano le tue.

 

Eugenio Montale

 

 

 

 

 

C’è un vento fresco, segno che l’estate con la sua afa insopportabile sta finalmente terminando. È quasi fastidioso, ma non ha voglia di rientrare in casa. Non ancora almeno. È una notte insolitamente limpida e si vedono le stelle.

Si ostina a guardarle. Come se fossero lì per dirgli qualcosa. Come il naufrago che rimira l’orizzonte in direzione di casa. E non capisce perché.

In fondo, anche se fosse ancora nel pieno delle forze, dubita che partirebbe davvero alla volta di un lontano sistema solare. Con quali propositi? I suoi capelli si sono ingrigiti, la coda è andata perduta, il suo spirito combattivo è ormai da tempo sopito e la sua forza spaventosa, l’unica certezza della sua vita fino all’arrivo sulla Terra, si affievolisce ogni giorno di più. Chi lo riconoscerebbe per quello che è? Chi proverebbe ancora terrore alla vista del grande principe dei sayan?

Il vecchio principe dei sayan, pensa stringendo i pugni sui braccioli della vecchia sedia scomoda che si ostina a non voler sostituire.

La porta a vetro dietro di lui scorre nei cardini, ma non ha bisogno di girarsi per sapere chi lo ha raggiunto sull’ampio terrazzo. La sua aura è inconfondibile. Dall’interno proviene il solito chiasso di quando si riuniscono tutti per cena: un miscuglio di piatti sbattuti, sport in TV e voci che cercano di sovrastarsi l’un l’altra.

Poi lei chiude la finestra e torna il silenzio. La sente avvicinarsi in punta di piedi, per quanto glielo consentano quelle scarpe assurdamente alte e scomode che porta; poi le narici gli si riempiono del suo profumo floreale, mentre la percepisce chinarsi alle sue spalle per posargli un bacio sulla guancia ruvida. Il principe non si ritrae a quel gesto sdolcinato e sconveniente. Ormai ha imparato a farlo. Ormai non ha più senso farlo.

“Ciao.”, la saluta.

Lei toglie le mani dalle sue spalle, gira intorno alla sedia e si lascia cadere di traverso sulla soffice poltrona al suo fianco. Quando si decide a guardarla lei gli sta sorridendo e per un attimo, come sempre, gli sembra di soccombere di fronte ai suoi grandi occhi azzurri.

“Questo lavoro è un vero inferno.”, sbuffa sfilandosi le scarpe e incrociando le gambe sulla larga seduta.

“Lo sai che non sei costretta a farlo, vero?”, le dice lui senza smettere di guardarla. Ora che si è abituato al suo viso la sensazione di prima sembra scomparsa.

Lei scuote appena la testa.

“E tu lo sai, quanto alla fine lo amo lo stesso, no?”

Sì, lo sa. Tra tutti quanti è proprio lei la naturale erede dell’immenso impero creato dal Dott. Brief; l’unica in grado di reggere il confronto con chi ha guidato l’azienda negli anni passati.

“E comunque non hai nient’altro da dirmi?”

Suo malgrado Vegeta si lascia sfuggire un sorriso ironico.

“Non fare troppo la furba con me, mocciosa. Ti ho già fatto gli auguri stamattina.”

Lei non risponde, ma sembra canzonarlo mentalmente. Quel sorriso sardonico ed impertinente Vegeta lo conosce bene.

“Tu ti ricordi di quando hai compiuto trent’anni?”, gli domanda, sporgendosi verso di lui.

“È stato il primo compleanno che ho festeggiato.”, replica lui, quasi disgustato di come facilmente sia riemerso quel ricordo.

“… che mi hanno costretto a festeggiare, in realtà.”

Lei si tiene per sé ulteriori curiosità, ma Vegeta sa bene che non è difficile immaginare chi può aver costretto il principe dei sayan a fare qualcosa. Restano in silenzio per qualche minuto. È anche per quello che lei gli piace. Non è una gran chiacchierona.

“Tua nipote ha fatto sapere che stasera ci degna della sua presenza.”, aggiunge lei sovrappensiero.

Anche se non fosse l’unica a non vivere con loro, Vegeta non avrebbe bisogno di chiedere quale. A tutti i ragazzi piace prenderlo in giro sul presunto rapporto privilegiato con la primogenita di Trunks, anche se lei è l’unica che ci crede davvero.

Può immaginare perché lo pensa. Perché lo pensano tutti.

“Tu non sei mia nipote?”, chiede risentito.

“Sì, ma io non porto il nome del grande e potente principe dei sayan.”, ribatte lei sciogliendo la lunga coda di capelli lilla.

No. Ne porti uno molto più importante.

“Solo perché tua sorella mi somiglia ed ama combattere, non vuol dire che sia la mia preferita.”

Lei lo guarda alzando le sopracciglia in un’espressione di educata incredulità.

“Ah, no?”

“No.”

“E allora chi sarebbe?”, lo stuzzica ancora lei.

“Nessuno. Siete tutti insopportabili.”

Ride. E lui non sa se odiare quel suono o sentirsi sollevato del fatto che qualcuno alla Capsule Corporation stia tornando a divertirsi.

Seguono altri minuti di silenzio.

“Sto pensando di sposarmi.”, dice lei all’improvviso, cogliendolo di sorpresa.

Vegeta la studia un istante. Prova ad indovinare cosa si cela sotto quella confessione impulsiva, ma sua nipote sa essere ermetica quanto lui a volte.

“Credo che a zia Bra piacerebbe un sacco organizzare un matrimonio.”, aggiunge.

Oh, di questo ne è sicuro. Bra andrebbe fuori di testa.  Ma non è questo il punto.

“Fallo, se ti rende felice.”, commenta lui laconico.

Lei chiude gli occhi assaporando la brezza notturna sul viso, i lunghi boccoli che ondeggiano nel flebile vento.

“… e poi è ora di ricominciare a dare feste in questa casa, non credi?”

Vegeta prende tempo. Respira.

“Mi stai chiedendo il permesso?”

“Non sei tu il grande capo, qui?”

Non risponde. A rigore di logica, sì. Ma ora si sente solo un vecchio stanco e maledettamente robusto. Deve dire grazie ai peregrinaggi della sua gioventù se il suo sistema immunitario lo ha reso straordinariamente resistente. Il suo rivale invece, da bastardo fortunato quale è sempre stato, se ne è andato per via di una banale malattia infettiva pochi anni addietro, prima del declino fisico a cui invece lui è destinato ad andare incontro. E così ha battuto Kakaroth nell’unica cosa che non gli interessava davvero: la longevità.

“Sposati.”, le comunica infine. “Quel tipo che ti sei presa non mi sta antipatico.”

“Oh, è un sollievo sentirtelo dire!”, ride lei divertita, poi si porta le ginocchia al mento e si rannicchia sulla poltrona.

Si ritrova di nuovo a guardarla.

È bellissima. Così simile a suo padre e l’unica di sei nipoti ad aver ereditato quegli occhi. D’un tratto la ricorda bambina, quando si rannicchiava allo stesso modo fuori dalla Gravity Room, aspettando la fine dei suoi allenamenti per arrampicarglisi in braccio e reclamare le sue attenzioni. Si ostinano tutti a dire che Vegeta è da sempre la cocca del nonno, ma in realtà è lei che ha viziato più di chiunque altro. Vegeta è sempre stata troppo sveglia e indipendente, un gatto selvatico poco bisognoso di cure. Lei invece ha sempre cercato la sua compagnia con ostinazione e senza pretese.

“Io e Bunny siamo scese giù al laboratorio, oggi… a fare un po’ di pulizia.”

No. Di questo non vuole parlare. A questo non vuole pensare.

“C’era un sacco di roba. Abbiamo pensato che forse volevi tenere qualcosa…”

Perché dovrebbe? Proiettare il dolore sugli oggetti è inutile. Tutto questo… tutto questo è senza senso per un sayan.

Ma lui un sayan lo è ancora? Lo è mai stato?

“Vuoi vedere cosa abbiamo trovato?”, gli chiede con sguardo incoraggiante.

Se dice di no, cosa penserà di lui? È già abbastanza dura sapere la verità. Sentire quello che sente senza che gli altri se ne accorgano. Anche se dal modo in cui lei lo guarda si capisce che tutti lo sanno.

“Fammi vedere.”

È una resa. O forse un cocciuto barlume di fierezza per ostentare una falsa indifferenza.

“Vado a prendere la scatola.”, dice alzandosi e infilando veloce le scarpe.

Si allontana lesta e lui non può fare a meno di continuare a fissare la poltrona vuota.

 La SUA poltrona. La poltrona che da sei mesi è di tutti e di nessuno.

Sei mesi…

Sei mesi senza la sua voce irritante nelle orecchie. A volte è così doloroso che sembra spazzare via ogni cosa: Freezer, l’inferno, le umiliazioni, la sconfitta… Pensava che la disperazione provata negli anni oscuri della sua gioventù non si sarebbe mai più ripresentata, ma non è così.

È un dolore sordo, che non finisce mai. Peggiore di qualsiasi ferita, di qualsiasi frattura.

Se lei fosse lì in quel momento sa perfettamente cosa farebbe: lo butterebbe giù dalla sedia dandogli dello smidollato e spingendolo a forza nella Gravity Room, anche se ormai a malapena riesce a sopportare una gravità 200 volte superiore a quella terrestre. D’altro canto è pur vero che se lei fosse lì, lui non se ne starebbe seduto gran parte del tempo come un fantoccio privo di dignità.

Deve smettere di pensare a cosa farebbe lei. Lei non c’è.

Sei mesi.

Sei mesi da quando gli ha sorriso l’ultima volta. Pallida, magra e sfinita. Solo il fantasma di quello che un tempo era stata.

Lei ha rovinato tutto. Ha rovinato tutta la sua vita e non la perdonerà mai per questo.

Le cellule dei sayan invecchiano più lentamente di quelle degli abitanti della Terra. È semplice biologia ed è anche un segno della superiorità della sua razza, rispetto a quella a cui i suoi figli appartengono per metà. Lei gli ha fatto desiderare di non essere un sayan. Gli ha fatto desiderare di essere un volgare, insignificante e fragile terrestre.

Lei ha rovinato tutto. Ha reso i suoi pensieri un sacrilegio.

Lei ha visto il suo animo mostruoso e lo ha accarezzato fino a sanarlo. Lei ha posato le sue labbra morbide su mani macchiate dei più orribili crimini. Lo ha amato senza riserve, lo ha reso schiavo del suo corpo prima col sesso e poi chissà con cos’altro.

Lei lo ha salvato. Lei gli ha dato più di sessant’anni in paradiso e non la perdonerà mai per questo.

Forse la punizione decisa fin dal principio per le sue colpe è quella… dover sopravvivere senza di lei.

Ormai, è senza natura. I sayan muoiono combattendo. Così è sempre stato. Ma adesso lui è solo e un giorno, chissà quanto lontano, lascerà questo mondo per via della banale ed imbarazzante vecchiaia. Eppure non riesce nemmeno a desiderare una morte improvvisa ed indolore perché sa che lì, dietro alle finestre alle sue spalle, ci sono persone che hanno ancora bisogno di lui.

Maledetta donna. Cosa mi hai fatto… Ero un principe. Il signore dell’universo. Un invincibile distruttore. Tu mi hai reso niente.

All’inizio della settimana suo figlio e Goten sono riusciti a trascinarlo al fiume per pescare. In loro due c’è qualcosa che ancora oggi li fa sembrare due ragazzi spensierati, nonostante i figli, la pensione e tutto il resto. O forse sono solo i suoi occhi di padre a vederli così. Il giorno prima invece si è allenato. Poco. Male. Ma comunque l’ha fatto. Trunks, che da quando ha lasciato tutto in mano ai ragazzi non sa come passare la giornata, si è unito a lui per qualche ora. Sono questi brevi attimi di normalità che gli fanno pensare che forse alla fine è destinato a guarire comunque. È la natura umana, secondo Bra.

Umano.

Quando è arrivato sulla Terra la prima volta, quella parola per lui non significava che debolezza ed inferiorità; ora ha capito molto cose sugli esseri umani a cui pensava di non appartenere, ma il significato di quel termine non è cambiato.

Non è degno di un sayan svegliarsi la notte e sperare per un folle istante che sia stato tutto un lungo sogno… che quando aprirà gli occhi una giovane scienziata testarda lo importunerà invadendo il suo spazio vitale e solleticandogli il collo con i capelli turchini… che finiranno avvinghiati tra le lenzuola gemendo, incuranti del moccioso che dorme nella stanza accanto…

O forse sì. Forse anche i sayan amano. In fondo lui, Kakaroth e Tarble hanno voluto bene a qualcuno.

No.

Lui di più. Nessun altro ha provato quello che è spettato a lui. Non è paradossale e ridicolo che debba sentirsi migliore degli altri persino nelle debolezze? Che debba mettere su un piedistallo non se stesso, ma il sentimento provato per una donna?

Solo una donna. Eccezionale, è vero. Ma pur sempre un minuscolo e misero essere vivente.

La cosa peggiore è che a volte qualcosa di lei comincia a sfuggirgli. Il suo modo di mordersi il labbro si dissolve, il suono della sua risata si affievolisce, le cose che gli ha detto si confondono nella sua testa. Quando succede va in camera sua. Nella LORO camera. Prende il solo video che ha rubato nell’archivio della sala cinema, per non farne notare la mancanza ai ragazzi. Non gli importa di averlo visto già centinaia di volte. Non gli serve vedere qualcosa di nuovo. Gli basta vedere lei. Resta a contemplare la sua immagine che saluta la videocamera mentre culla Bra, la ascolta per ore ridere alle battute di Trunks e la guarda lottare ostinata con un se stesso molto più giovane per trascinarlo davanti all’obiettivo.

Si nutre di lei fino a che i pezzi del mosaico non tornano a posto.

Lo fa finché i ricordi non smettono di sbiadire.

Ogni volta che la vede comparire sullo schermo, ogni volta che si disonora aprendo il suo armadio che ancora nessuno ha avuto il coraggio di svuotare, qualcosa in fondo alla sua gola lotta disperatamente per uscire. Lui non glielo permette. C’è ancora un po’ d’orgoglio dentro l’inetto principe dei sayan. Lo stesso orgoglio che ha trattenuto quelle parole mai dette, nonostante una parte di lui si stesse sforzando di pronunciarle, nell’ultimo giorno di vita della sua metà.

Ci sarebbe riuscito. A dirglielo. Lo sa.

Ma quella donna straordinaria lo aveva sorpreso ancora. Lo aveva fermato, aveva messo fine al suo balbettio sconnesso.

Lo so, aveva detto con un sorriso sofferto, unica scintilla di vita in un corpo ormai allo stremo.

No. Non ci deve pensare. Non vuole ricordarla così.

È molto meglio pensare alle cose di lei che la malattia non ha cambiato… Le cose che rivede tutti i giorni nei suoi nipoti e che in un certo senso gli sono di conforto: la testardaggine di Vegeta, i capelli di Nami, la bocca di Bunny, la linguaccia lingua di Rickon e il fascino di Bran. E poi naturalmente gli occhi…

La porta scorre nuovamente. Sua nipote è tornata. Per un attimo ha sperato che non lo facesse, ma non sarà una cesta piena di cose inutili a sconfiggerlo. Non deve permettere che accada una cosa del genere.

La ragazza si siede di nuovo accanto a lui e gli posa sulle gambe una scatola di cartone.

“Puoi buttare qui tutto quello che non vuoi.”, gli dice indicando un’altra scatola vuota.

Vegeta distoglie malvolentieri gli occhi da lei e li porta sul contenuto misterioso.

Ha creduto che ci fosse chissà cosa, lì dentro. Chissà quale tesoro. Invece sono tutte cianfrusaglie: vecchie agende, piccoli prototipi, qualche indumento che non ricorda nemmeno di averle visto indossare, una collana, un giocattolo mordicchiato, una foto risalente ad almeno 40 anni prima che lei gli ha scattato di nascosto mentre dormiva… Che razza di stupida, come si è permessa?

In ogni caso, non c’è nulla che valga la pena conservare. Getta tutta quella roba nella scatola vuota che finirà tra i rifiuti, poi tira fuori un plico di fogli legati con dello spago e dopo averlo esaminato velocemente lo passa alla nipote.

“Questo dallo a tuo padre, vorrà tenerlo.”

Lei annuisce e sfoglia malinconica la risma di disegni buffi che lei, le sue sorelle, suo fratello e i suoi cugini hanno fatto per la nonna da bambini. Incredibile che lei li abbia tenuti tutti.

Sono rimaste solo due cose sul fondo dello scatolone. Vegeta afferra la prima incredulo e si ritrova a sorridere di fronte al suo vecchio scouter. Per quale motivo lei l’abbia conservato è un mistero. Forse l’aveva soltanto dimenticato in un cassetto.

“Questo puoi anche buttarlo. Non serve più a nessuno.”

“A dire la verità vorrei tenerlo.”, risponde la giovane.

“Sai cos’è, almeno?”, chiede lui, curioso del suo interesse.

“Sì, l’ho scoperto accendendolo. Voglio lavorarci su e capire se posso convertirlo in qualcosa di commercialmente interessante.”

Vegeta la osserva rigirarsi lo scouter tra le mani e non può fare a meno di pensare a lei di nuovo. Al modo in cui le sfide tecnologiche la entusiasmassero. Al fatto che quella stronzetta geniale non è mai stata seconda a nessuno degli scienziati di Freezer…

“Questo invece non riesco proprio a capire cos’è…”, afferma sua nipote afferrando l’ultimo oggetto.

Per Vegeta è una sorpresa. Da anni nessuno ne ha mai più avuto bisogno ed ha la sensazione che sia un bene. Toglie l’oggetto dalle mani della donna e lo accende con il grosso pulsante al polo superiore. Un punto luminoso si accende sulla mappa proprio in corrispondenza delle coordinate su cui poggia la sua casa: segno che funziona ancora, visto che nella loro cassaforte è custodita da almeno trent’anni la sfera con una stella. Sa anche che se allargasse il campo vedrebbe un identico punto lampeggiare in corrispondenza dei monti Paoz.

Se ci pensa è stato proprio quell’aggeggio a portarla da lui. A portarla su Namek e poi in quella foresta. Ma ancora prima… è stato grazie a quell’oggetto se lei ha incontrato Kakaroth, legando per sempre il suo destino a quello dei sayan. È buffo pensare che tutti gli abitanti di quella casa non esisterebbero, se non ci fosse stato il piccolo e vecchio radar che stringe tra le mani.

“Anche questo non serve più a nessuno, ma non buttarlo.”

“Ma si può sapere cos’è?”, chiede lei un po’ irritata. Di sicuro non riesce ad accettare che qualcosa sfugga alla sua intelligenza fuori dal comune.

In quel momento Rickon irrompe sul terrazzo con tre birre tra le braccia.

“Ehi voi due! Stiamo per dare una festa di compleanno, ve ne siete dimenticati?”

Senza attendere risposta li raggiunge e infila una birra in mano ad entrambi.

“Deve ancora arrivare Vegeta.”, gli fa notare la ragazza, prima di bere.

“Tanto per dovere di cronaca: papà e Goten stanno di nuovo litigando sul football, Bunny e Nami stanno cucinando, il che, da un lato, ci da la speranza che riescano ad avvelenare la nuova ragazza di Bran. Vi giuro, è ancora più stupida di quanto mi aspettassi.”, snocciola il giovane, sorseggiando dalla bottiglia.

Lei ride alle battute del fratello.

“Saranno anche stupide...”, interviene Vegeta. “Ma sono di sicuro più carine di quelle che porti tu.”

Rickon e sua sorella ammutoliscono sbalorditi nel sentirlo fare una battuta e qualcosa nel principe dei sayan prende vita. Qualcosa di quasi dimenticato, ma liberatorio. Scoppia a ridere. Vede i suoi nipoti guardarsi increduli a bocca aperta e la risata, seppur conclusa, lo scalda. Scioglie un po’ il ghiaccio che si sente dentro.

Rickon si riprende dallo shock e gli sorride in modo sfacciato, in una fedele imitazione del padre quando aveva la sua stessa età.

“Cominciavo a pensare che fossi diventato troppo vecchio per tenermi testa, nonno.”

“Pensavi male, moccioso.”, gli risponde prontamente.

Anche la donna non riesce a celare il sollievo sul volto e Vegeta capisce che si è dimenticata del radar, ancora nella sua mano.

“Dai, entriamo.”, gli fa cenno il ragazzo, dirigendosi felice all’interno. Vegeta si alza e da dietro il vetro lo scorge andare dritto dal padre, per dirgli qualcosa. Scorge Trunks sorridere e può immaginare che Rickon gli abbia detto di averlo sentito ridere. Razza di spione.

Anche sua nipote lo precede, ma prima che possa rientrare Vegeta la ferma.

“Aspetta, Bulma.”

Lei si gira. Lo guarda e vede che gli sta porgendo il piccolo oggetto di funzione ignota.

“Dallo a Gohan. O a Pan. A loro piacerebbe averlo.”

In fondo, quel radar è un ricordo di Kakaroth, quanto lo è di sua moglie.

Lei lo prende confusa e gli rivolge uno sguardo in cui Vegeta prova un insano piacere a perdersi.

“Non mi dirai cos’è, non è vero?”, gli chiede prendendolo sotto braccio e trascinandolo in casa.

Vegeta sorride.

“È solo un orologio.”

 

 

 

 

 

 

 

 

Eccomi qui, dopo aver scritto questa lagnosissima one-shot senza senso! Vi è piaciuta almeno un po’??? Spero di sì. E spero che con il casino dei nomi non si confondano i personaggi tra di loro! Ho cercato di non nominare Bulma per tutto il capitolo, e mi auguro che si capisca quando si parla di lei e quando invece della nipote. Anche il fatto di avere due Vegeta è stato alquanto stressante, ma per fortuna hanno sessi differenti, il che dovrebbe risultare in una stesura meno ingarbugliata. In ogni caso attendo i vostri giudizi trepidante. Come ho già detto, non c’è collegamento logico tra le one-shot che pubblicherò qui (o almeno l’idea è quella).

Per quanto riguarda i nomi dei nipoti di Vegeta: sulla scelta di chiamare le prime due come i nonni vi dirò altro più avanti. Bunny l’ho scelto perché sono sempre stata convinta che fosse il nome della mamma di Bulma, salvo poi scoprire che non è così (cosa mi ero bevuta per pensarlo non lo so!). Nami è il nome della protagonista di One Piece e visto che è un personaggio ispirato a Bulma ho pensato di prendere in prestito il suo nome. Rickon e Bran (diminutivo di Brandon) sono personaggi del Trono di Spade, di Rickon mi piaceva il suono, mentre il nome Bran è molto simile a quello della mamma, che sarebbe Bra. Vi piacciono? Fatemi sapere, please!

Prossimo aggiornamento: Sweet child o’ mine (ma abbiate un po’ di pazienza, è un periodo tremendo!)

Baci a tutti!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** You're my person ***


Ciao a tutti!!!!  ......

Vi prego non linciatemi e non copritemi di insulti. So di essere stata via molto tempo e so di avere due long in corso, ma non sempre si riesce a tenere i ritmi che uno vorrebbe e spero che possiate perdonare le mie lunghe assenze e che continuiate a recensire le mie fic e a farmi sapere che ne pensate. A volte si preferisce dare tempo ad un progetto perché si vuole essere convinti di ciò che si scrive e io non mi perdonerei mai di darvi un capitolo che considero mediocre!

Detto questo, abbiate pazienza! Le persone che mi seguono e non mancano mai di leggere ciò che scrivo sono sempre nei miei pensieri e naturalmente non le lascerei mai con storie incomplete!

 

Questa one-shot riguarda un momento particolare ma non troppo significativo nella vita tre moschettieri. Speravo di farvi capire meglio come la mia mente malata vede il loro rapporto. L’ho partorita in autunno ed oggi l’ho revisionata. Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando! Un bacione a tutti!

 

 

 

 

Non è stata la serata peggiore della sua vita. Continua a ripeterselo ma non sa se crederci davvero. Probabilmente no, ma la stanchezza e la delusione per essere entrato nel giorno del suo venticinquesimo compleanno circondato da scartoffie ed intrappolato in un ufficio non lo rendono abbastanza obiettivo. Appoggia la schiena allo specchio dell’ascensore mentre inizia la risalita verso l’attico, nel vano tentativo di alleviare quella sensazione di pesantezza che lo fa sentire come se si trovasse nella Gravity Room ed intanto tira fuori il telefono dalla tasca dei suoi costosissimi pantaloni.

L’ultimo messaggio di Goten è delle 02:44. Marron ha resistito un po’ di più. Il suo ultimo “sbrigati sfigato-faccina che ride-emoticon boccale di birra” è arrivato alle 03:35. Il numero totale dei messaggi è spaventoso e la cosa peggiore è che, tra un documento e l’altro da revisionare, li ha letti tutti. Spesso ha risposto. Ha chiesto pazienza e pietà, li ha pregati di non inviare più foto per potersi concentrare, si è roso il fegato al pensiero della sua festa di compleanno che si teneva senza di lui, ha sperato di poter finire in tempo per godersi almeno un bicchiere di champagne con i suoi amici… Il silenzio stampa delle ultime due ore parla chiaro: la festa è finita, Marron e Goten saranno finiti nel letto di qualcuno ubriachi marci e ricompariranno tra qualche giorno, a lui non resta che buttarsi a dormire ancora vestito e sperare che vedere Kari nel pomeriggio gli risollevi il morale.

In qualche momento ha pensato di abbandonare il campo. Uscire dalla finestra, volare fino a casa, farsi una doccia, cambiarsi e gettarsi nella certamente folle serata organizzata dai suoi migliori amici… Il maledetto orgoglio di eredità paterna gliel’ha impedito.

Non è più un ragazzino. Sua madre si aspetta grandi cose da lui, grandi cose da questo primo incarico nell’azienda di famiglia e i suoi straordinari risultati accademici non lo fanno sentire al sicuro dai pettegolezzi che lo ritraggono come il non meritevole figlio della straordinaria Bulma Brief, a cui la mamma ha garantito un posto ai vertici della compagnia.

Apre sfinito la porta del suo immenso appartamento e non appena mette un piede nel salone buio capisce che qualcosa non va. Qualcuno è entrato prima di lui.

Si affretta ad accendere la luce e gli si para davanti un apocalittico scenario di distruzione. Potrebbe credere che siano stati i ladri a fare irruzione, se non fosse per lo striscione appeso alle vetrate con scritto “Buon compleanno, imbecille” e il cimitero di bottiglie di alcolici semivuote abbandonate ovunque.

E così, la festa era lì. Goten e Marron dovevano essersi sbattuti proprio un sacco per organizzarla a sua insaputa. Evidentemente poi non avevano resistito fino a quell’ora estremamente tarda e se ne erano andati. La cosa lo fa sentire ancora peggio. Prende nota mentalmente di lasciare una sostanziosa mancia per la cameriera il giorno seguente e si dirige in camera sua, desideroso soltanto di svenire incosciente sul suo letto.

Il suo letto però è già occupato.

Goten si è sistemato su buona parte. Giace con le braccia spalancate, ancora completamente vestito e con le scarpe ai piedi. Marron se ne sta rannicchiata addosso a lui, con un abito di paillettes decisamente fuori stagione e fuori misura, visto che potrebbe venire dal guardaroba di Bra. Dormono beati.

Trunks sorride, si dirige in bagno per svestirsi e lo fa silenziosamente per non svegliarli. Magari non tutti sarebbero contenti di scoprire gli amici ad invadere il proprio letto, ma lui non ci vede nessuna violazione della privacy. Lo hanno aspettato. Sono rimasti per non farlo sentire solo il giorno del suo compleanno. Probabilmente anche svaligiato il suo mobile bar, adesso che ci pensa…

Esce dal bagno dopo aver infilato una maglietta ed un pantaloncino e fa per dirigersi in salotto. Con Goten in quella posizione è del tutto impensabile trovare posto persino sul suo immenso materasso.

“Auguri vecchietto…”  

Marron si è svegliata. Si tira su ciondolante e gli regala un sorriso non particolarmente sveglio.

“Oddio, che mal di testa…”

“Non parlarmene.”, le dice Trunks. “Almeno tu te lo sei fatto venire bevendo.”

“Che ore sono? Sveglio Goten? Le stripper dove sono?”, biascica la ragazza stropicciandosi gli occhi.

“Stripper? Quali stripper??”, domanda il giovane allarmato. Nella sua testa si accalcano già funesti scenari, uno peggiore dell’altro,  in cui Kari viene a sapere della cosa.

“Tranquillo, Athos. Scherzavo.”, lo tranquillizza Marron alzandosi e facendo scrocchiare le vertebre cervicali con gemiti di sollievo.

“Molto divertente, Portos.”, risponde il sayan guardandola dirigersi nel suo guardaroba.

“Mi prendo un pigiama.”, esclama lei sfilandosi il vestito dalla testa e gettandolo a terra, non dando al ragazzo nemmeno il tempo di voltarsi dall’altra parte. Quasi altrettanto velocemente il suo corpicino scheletrico si infila in una maglietta alquanto sformata dell’Hard Rock Café.

“Potresti avvisare quando decidi di denudarti davanti ad un uomo, sai?”

“Quante storie…”, fa lei prima di immobilizzarsi a guardarlo con gli occhi sgranati.

“Aspetta! Tu… sei un uomo?!”

Trunks raccoglie un cuscino finito chissà come per terra e glielo lancia, ma Marron riesce a scansarlo gettandosi sul letto. Nemmeno il sussulto del materasso riesce a disturbare il sonno di Goten, che continua a russare imperterrito.

“Vado a dormire. Ci vediamo domani.”, le comunica il ragazzo facendo per uscire.

“E dove vai, scusa?”, gli domanda Marron sorpresa.

“Non vedi che non c’è spazio, Portos?”, risponde Trunks con aria di sufficienza.

“Non essere ridicolo…”

Marron si getta con tutto il suo scarso peso su Goten e facendo leva con il ginocchio lo fa ruotare su se stesso fino a costringerlo in un angolo del letto.

“Ora c’è posto.”, sorride soddisfatta.

“Non vorrai dormire tutto solo il giorno del tuo compleanno, principino. Cosa ti hanno comprato mamma e papà? Un jet? Una portaerei?”

Trunks la spinge ridendo verso il centro del letto, mandandola a sbattere contro Goten. Il sayan fa un buffo verso nel sonno.

“Quando dorme sembra ancora più imbecille del solito…”, fa notare Trunks.

“Ti sei mai visto dormire, Athos?”

“Ovviamente no, genio.”

“Ecco, appunto.”, lo zittisce la biondina.

Trunks si sdraia e si infila sotto le coperte, tirandole via da sotto il corpo esanime di Goten. Marron si ritrova di nuovo sballottata addosso all’amico.

“Smettila o lo sveglierai! E gli farò chiamare davvero delle spogliarelliste!”

Trunks ride, forte della sicurezza che nulla riuscirebbe a svegliare Goten.

“L’unica speranza che hai di svegliarlo è abbassargli la lampo e fargli un servizietto.”, la stuzzica il giovane.

“Faglielo tu! Sono sicura che sei più bravo di me.”, ribatte lei immediatamente.

Trunks allunga una mano per farle il solletico, ma lo squittio acuto della ragazza lo fa desistere. Meglio non concludere la giornata con una chiamata dei vicini alla polizia per presunto omicidio.

“Adesso dormiamo. Domani devo vedere Kari.”, conclude il sayan.

Marron annuisce e si accoccola contro il fianco di Goten, la mano intrecciata in quella che il sayan tiene abbandonata sull’addome, la testa appoggiata alla sua spalla…

Amanti. È quello che tutti penserebbero vedendoli, ma Trunks sa che non è così. Quello strano sentimento morboso che lega i suoi migliori amici un nome non ce l’ha. Non ancora, per lo meno. Secondo tutti è solo questione di tempo: un giorno quei due se ne accorgeranno e capiranno di essere anime gemelle, ma Trunks non sa cosa pensare. Difficile immaginare Goten senza il suo sport preferito: il rimorchio selvaggio. Altrettanto difficile è immaginare Marron che accetta di legarsi a qualcuno e di mettere su famiglia. Ma le persone possono cambiare, suo padre ne è un esempio lampante.

“Pensi mai di poter trovare la persona giusta con cui stare per sempre?”, domanda il sayan a bruciapelo.

Marron si gira verso di lui spiazzata.

“Stai scherzando, vero? Sai che non mi interessa.”

“Sì, sì.”, si affretta ad interromperla Trunks. “Ma fai finta per un attimo che potresti volerlo… pensi che lui andrebbe bene?”

Marron corruga la fronte. Si vede che non capisce il perché lui glielo stia domandando.

“Te lo chiedo perché so che un giorno lui lo vorrà. Un giorno vorrà una famiglia e so che la vorrà con te.”, precisa lui.

Marron si gira un momento verso la schiena di Goten, poi torna a voltarsi verso Trunks.

“Cosa te lo fa credere?”, domanda la ragazza.

Trunks le sorride.

“Sono quelle cose che tutti sanno, no? Siete uguali. Vivete in simbiosi. Vi leggete quasi nel pensiero. Goten se ne accorgerà prima o poi, ma tu?”

Marron si prende ancora qualche secondo per rispondere.

“Se davvero dovessi cambiare totalmente idea, immagino che potrebbe andarmi bene. Fonti attendibili dicono che sa come appagare una donna!”, la butta sul ridere lei.

“Tuttavia non credo che succederà, pensavo che tu sapessi perché siamo così... appiccicosi.”

“Non hai capito. So che adesso siete amici. Sto solo dicendo che tra parecchi anni questo vostro somigliarvi potrebbe condurre ad altro.”

Marron si mette supina e gli appare pensierosa.

“Tu e Bra mangiate gli stessi cereali e mettete lo stesso numero di cucchiaini di zucchero nel tè.”

Trunks aggrotta le sopracciglia confuso. Cosa c’entra Bra?

“Bra è mia sorella.”, fa notare lui, come se ce ne fosse bisogno.

“So che può sembrare strano. Ma è come se io e lui lo fossimo, capisci? Tra 10 anni probabilmente la sola idea di stare con lui mi farà ribrezzo. Tu staresti con tua sorella?”

Trunks fa una smorfia di disgusto.

“Ecco, vedi? Immagina di essere il migliore amico di tua sorella. È più o meno quello che siamo noi.”

Trunks non ne resta molto convinto.

“Tu e Goten.”, riprende lei, “…io e te. Come ci definiresti? Non è strano quello che abbiamo?”

“Sì…”, ammette infine lui. Non aveva pensato ad includere se stesso nell’analisi e aveva sbagliato. Lui e Goten erano certamente più che semplici amici.

A pensarci bene, non sa nemmeno se ciò che li lega tutti e tre possa essere definito come semplice amicizia fraterna. Forse all’inizio era così. Ma dopo tutto quel tempo le cose si sono fatte più complicate: la sola idea di un mondo senza Marron e Goten è diventata assurda e non è sicuro che essere amici implichi quel grado di interdipendenza.

 “Lui è il mio momento sicuro.”, sussurra Marron ad un certo punto.

“Come?”, chiede lui sicuro di non aver capito bene.

“Il momento sicuro. Quel ricordo in cui un’altra persona ti ha fatto sentire al sicuro da tutto. Come se niente di brutto potesse più capitarti…”, spiega lei giocherellando con alcune ciocche dei suoi capelli sparsi sul cuscino.

“Oh, capisco. Perché lui?”, chiede il sayan curioso.

“È solo una cosa stupida...”

“E da quando non ci diciamo le cose stupide?”, la incalza.

Marron si gira a guardarlo e dopo un istante di incertezza si decide a parlare.

“Ero piccola, non ricordo quanto esattamente. Ma so per certo che il palloncino che mi avevano appena comprato mi era sfuggito di mano e lo vedevo allontanarsi nel cielo. Ero disperata…”

“Sì, immagino. Chi potrebbe sopravvivere ad un evento del genere?”, la schernisce lui.

Marron gli da una manata sul naso ridendo.

“Comunque piangevo a più non posso”, prosegue lei “…e ricordo che a un certo punto ho aperto gli occhi e davanti a me c’era Goten con il palloncino in mano. Mi ha sorriso, me lo ha legato bene al polso e mi ha abbracciata. Sarà anche stupido, ma è il mio momento sicuro.”

Trunks non la deride. Quello che si è lasciata tirare fuori dalla bocca è la pura verità. Si capisce dall’intensità della confessione un po’ infantile e dal colorito leggermente roseo che le sue guance hanno preso. Marron è un’attrice straordinaria, un vero portento nelle sceneggiate e del tutto priva di senso della vergogna, ma allo stesso tempo è davvero facile per chi come lui la conosce davvero capire quando i suoi veri sentimenti riescono ad affiorare.

“Per Goten sei tu. Lo sai, vero?”, gli dice la ragazza togliendosi dall’imbarazzo.

Non risponde. Sì, lo sa. Nel momento più buio della vita del suo migliore amico lui è stato l’unico a restargli vicino… l’unico ad abbracciarlo e a dirgli che tutto si sarebbe sistemato. Non Gohan. Non sua madre Chichi. Ovviamente non Goku. Lo ricorda come se fosse passato un giorno: il ragazzo più solare del mondo, spezzato dai singhiozzi e dal peso dello sbaglio che ha fatto. Era il suo migliore amico, qualcosa di più che un fratello per lui e dargli conforto era stato tutto quello che desiderava e poteva offrirgli in quel momento…

“E tu?”, lo distrae Marron.

“Eh?”, risponde lui d’un tratto di nuovo presente.

“Qual è il tuo momento sicuro, Athos?”

Trunks comincia a guardare il soffitto, ma risponde prontamente.

“Immagino quando mio padre è tornato sulla Terra, dopo la sconfitta di Majin Bu.”

Marron gli sorride comprensiva. E lui non si pente di averle mentito. Non sa perché l’ha fatto: forse per non aggiungere un altro inquietante tassello a quella strana connessione circolare tra loro tre, al loro dividere il letto un giorno sì ed uno no, al loro essersi tatuati ognuno la proprio iniziale dei tre moschettieri… o forse sono solo i geni di sua padre ad impedire lo sbandieramento delle sue fragilità.

Il suo momento sicuro. Anche se ha finto di no, ha capito subito il significato di quell’espressione. Non si riferisce al sentirsi protetti ed amati: ovvio che la sola presenza dei suoi genitori ogni giorno della sua vita l’abbia rassicurato al riguardo. Quello che Marron intende è l’inaspettato e gratuito antidoto alla paura da parte di qualcuno che non te lo deve, qualcuno che non condivide con te un rapporto di parentela biologico.

Era successo un pomeriggio d’inverno, forse prima di aver compiuto 20 anni.

Si era ammalato poche volte nel corso della vita, grazie alla robustezza della sua natura sayan, ma quelle poche volte che era capitato, il malanno si era rivelato di eccezionale gravità. Secondo sua madre era per via del genoma sayan: a volte un banale raffreddore terrestre poteva rivelarsi fatale per un individuo il cui organismo non avesse mai incontrato prima quella malattia. Bulma gli aveva trasmesso la capacità di resistere ad alcune di quelle comuni patologie che i terrestri ormai combattevano da secoli, ma quell’anno era stato sfortunato. Si trattava solo di influenza, ma aveva rischiato di ucciderlo davvero. Appena capita la gravità della situazione, Bulma si era affrettata ad allontanare Goten e Bra, per paura che anche loro si ammalassero e Trunks era  stato confinato in camera, senz’altra compagnia se non quella degli aghi nelle braccia a somministrargli lentamente potenti dosi di antivirali. Quando anche il peggio era passato, sua madre aveva cominciato a diredare le visite, presa dalla mole di lavoro lasciata in sospeso: gli portava da mangiare, gli assicurava che suo padre chiedeva delle sue condizioni, gli diceva che presto sarebbe guarito e che avrebbe potuto di nuovo uscire all’aperto.

Quel pomeriggio in particolare si sentiva molto depresso ed era scosso dai brividi: la febbre aveva avuto uno dei consueti e fastidiosi rialzi. Non vedeva Goten da un paio di settimane e sentiva persino la mancanza di quella peste di Bra e del broncio perenne di suo padre. Aveva sentito la porta aprirsi e gli era sembrato strano. Sua madre era passata per pranzo e gli aveva detto che non poteva fermarsi molto.

“Hai una faccia ancora più brutta di quanto pensassi.”, aveva sentito prima ancora di mettere a fuoco il viso del visitatore. Non poteva dirsi felice di aver scoperto chi fosse.

“Chi ti ha detto di entrare?”, aveva replicato freddo, tirandosi le coperte fin sotto il mento.

“Lo sai che sei simpatico come una scheggia nell’occhio?”

Ragazzina fastidiosa. Marron abitava in quella casa da pochi mesi, ma per Trunks si era rivelata fin da subito insopportabile. Da quando era arrivata per frequentare la West High School, lui e Goten non avevano avuto più un attimo di pace. Lei riusciva ad inserirsi in qualsiasi cosa facessero, e non sapeva se trovava più irritante che una stupida mocciosa si fosse intromessa non richiesta nel suo rapporto con Goten o che Goten la trovasse tanto divertente.

“Vattene, Marron.”

“Oh, sta zitto!”, gli aveva risposto lei scocciata.

Non aveva fatto in tempo a replicare nulla. Marron aveva scansato le sue coperte e si era infilata nel suo letto, lasciandolo letteralmente senza parole. Quando aveva realizzato che non era la febbre a farlo delirare, aveva provato a protestare ma Marron si era limitata a sistemarsi più comodamente nella porzione di materasso da cui lo aveva scansato.

“Adesso ti faccio compagnia. Tu non fiatare e non rompere le scatole, d’accordo?”

Una parte di Trunks aveva meditato di buttarla giù dal letto, ma non era sicuro di averne le forze. Si augurava solo che nessun altro decidesse di fargli una visita a sorpresa vista l’assurdità della situazione. Sua madre sarebbe stata capacissima di credere che aveva sedotto un’innocente fanciulla, per giunta ospite in casa loro e figlia di cari amici. E Marron poteva passare benissimo per una sorta di vergine Maria, se non che Trunks aveva avuto modo di vedere la vera Marron all’opera quando non c’erano adulti intorno; una cosa che l’aveva deciso a confinare Bra in camera sua non appena avesse compiuto 13 anni.

Scosso dai brividi, si era a malapena reso conto che Marron gli si era rannicchiata sul fianco. Il suo calore era piacevole e gli ricordava la sensazione di avere vicino il suo gatto. Non era più riuscito a pensare di allontanarla; per quanto indesiderato quel contatto fisico era riuscito a farlo sentire meglio. Non era più solo.

Ricordava di essersi addormentato, abbandonato poco alla volta all’abbraccio della sua nuova amica. Ci sarebbe voluto ancora un po’ di tempo per accettarla del tutto, andando a costituire quel trio che ormai sembrava indissolubile, ma dopo quella volta, Marron per lui sarebbe sempre stata quel corpo caldo e confortante, quella canzoncina canticchiata a bocca chiusa per farlo addormentare… il suo momento sicuro.

“A cosa pensi?”, lo riporta alla realtà la ragazza.

“A niente…”

Marron si fa andare bene la risposta. Quando Trunks la vede sporgersi verso di lui crede per un momento che voglia colpirlo come da consueto dispetto e chiude gli occhi. Invece è proprio sulle sue palpebre chiuse che lei posa un bacio leggero, solleticandogli il collo con i capelli sciolti.

“Buonanotte, Trunks.”, gli sospira allontanandosi e tornando a dargli la schiena per circondare Goten con un braccio.

“Buonanotte.”, risponde il sayan  sistemandosi prono e accogliendo finalmente il sonno.

Forse sta già sognando. Eppure prima di piombare nell’incoscienza gli sembra di sentire quel motivetto canticchiato tra le labbra, quella nenia che anni prima faceva vibrare il petto di Marron come se stesse facendo le fusa. E a quel punto non sa più dire se la mano che si è improvvisamente intrecciata alla sua sia reale o no.

Ma lui la stringe comunque.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Sisters - Part 1 ***


Ben ritrovati a tutti! Eccomi qui (della serie: ogni tanto resuscitano!).

Questa one-shot è la prima di una serie (probabilmente ce ne saranno cinque). Come si evince dal titolo, il filo conduttore che le lega sono le sorelle. Non ho sorelle (solo 4 fratelli), ma mi piaceva esplorare come alcuni personaggi di Dragon Ball si rapportino alle loro sorelle e spero che il risultato vi piaccia. Ogni OS avrà personaggi differenti, quindi aspettatevi una Bra-Trunks, ma anche altre coppie di fratello-sorella o sorella-sorella meno scontate.

In questo caso ho iniziato con due personaggi che ho introdotto nel primo capitolo di questa raccolta (le figlie di Trunks). È un capitolo ambientato in un futuro remoto e posso capire che chi non apprezza le deviazioni dalla trama ufficiale di Dragon Ball possa storcere il naso, ma spero che comunque proviate almeno a leggerne due righe prima di chiudere inesorabilmente la pagina! X-D Buona lettura!

 

 

SISTERS – PART 1

 

 

“Te ne vai?”

Vegeta si gira verso di lei, sorpresa di non averla sentita arrivare. Se ne sta lì in piedi, le braccia incrociate, il pigiama a righe e lo sguardo un po’ perso, a scrutare i borsoni pieni e le valigie appoggiate alle pareti.

Se fosse una normale domenica sera, l’aspetto di sua sorella ferma sulla porta sarebbe ben diverso. Può quasi immaginarla: pronta per andare a divertirsi, con indosso una camicetta firmata, perfettamente truccata e con l’aria un po’ snob. L’estate precedente si sono punzecchiate quasi tutte le sere prima di uscire a divertirsi, ognuna con i propri amici, per motivi che adesso sembrano così futili e infantili che riavvolgerebbe volentieri il nastro del tempo fino a quel momento, se solo fosse possibile.

Vegeta appoggia un altro zaino pieno ai piedi del letto, prima di risponderle.

“Sì, dopo cena.”

Bulma prende a tormentarsi una ciocca di boccoli lilla, di solito dalla forma impeccabile, ma in quel momento sfuggiti da una treccia arruffata. Potrebbe prenderla in giro per quella mancanza di charme. Renderle pan per focaccia, per tutte le volte che ha fatto fastidiosi commenti sulla sua pettinatura.

“Quindi dobbiamo prepararci ad un’altra scenata della nonna.”, le dice quasi scocciata.

Tipico di lei, pensa Vegeta. Mostrarsi altezzosa e tradita, invece di ammettere di essere spaventata all’idea di non averla più lì 24 ore su 24. Normalmente le risponderebbe in maniera altrettanto acida ed inizierebbero a litigare, ma l’ultimo anno, e le ultime due settimane in particolare, l’hanno cambiata. D’improvviso le sembra di essere diventata davvero l’adulta che ha sognato di essere fin da bambina e Bulma invece ha fatto il percorso inverso, cercando di restare aggrappata con le unghie e con i denti ad un’infanzia che ormai non esiste più.

“Non mi interessa se la nonna dà di matto, ormai ho deciso.”, dice passandosi una mano nei cortissimi capelli corvini, come da consueta abitudine.

Bulma la fissa in silenzio con i suoi enormi occhi azzurri, segnati dalla stanchezza di troppe notti insonni. Vegeta sa quanto sia combattuta tra l’urlarle addosso il suo disgusto e lo scoppiare a piangere per supplicarla di restare.

“Domani iniziano i corsi. Non ha senso fare avanti e indietro tra qui e Satan City e poi l’appartamento è pronto dal giorno del diploma…”

“Balle!”, la interrompe Bulma attraversando la stanza ed andando a sedersi sul letto con rabbia. Il modo in cui incrocia le braccia stringendosi i gomiti suggerisce quasi che voglia darsi coraggio, anziché dimostrare il suo sdegno. Vegeta comincia ad agitarsi: in un contesto diverso sarebbe andata via e basta, ma in quel momento sa di non poterle negare un momento di confronto.

“La verità è che non sei capace di affrontare la cosa e vuoi scappare.”

Vegeta stringe i pugni lungo i fianchi e prova a ricordarsi di respirare profondamente.

Niente sfuriate. Non deve cascarci. Incontra lo sguardo fiammeggiante di sua sorella, ma a giudicare dal calore che sente salire dalla gola i suoi profondi occhi neri non devono esprimere meno irritazione.

“Io non la sto affrontando?! Io?! Guardati, Bulma! Guardatevi tutti!”, si ritrova ad urlare, senza avere la capacità di controllarsi.

Bulma si morde il labbro e continua a squadrarla con aria di sfida, ma Vegeta la vede stringersi in se stessa e arrossire. Forse all’improvviso è conscia di essere ben lontana dalla Bulma Brief sempre perfetta di un tempo, infagottata in quel pigiama e con quell’aria trasandata. Comunque, d’altra parte, anche se Vegeta ha recuperato per prima la capacità di lavarsi la faccia la mattina, ciò non significa che non stia soffrendo tanto quanto la sorella minore.

“Dovrei fare finta di niente?”, le domanda Bulma, stringendo i denti.

“Dovrei alzarmi domani e andare a scuola come se nulla fosse? Vestirmi e sorridere agli sguardi di pietà della gente?”

Vegeta espira lentamente e si calma. Alla vista delle grosse lacrime che Bulma cerca di nascondere fissandosi i piedi, si avvicina al letto e le si siede accanto.

“Lo so che è una magra consolazione, ma noi siamo ancora vive…”, dice, più a se stessa che a lei. Bulma ruota le spalle stizzita e Vegeta deve fare appello ancora una volta ad una pazienza che non le si confà.

“…e la mamma ci ha chiesto di esserlo davvero. ”

Bulma recupera un fazzoletto dalla tasca del pigiama e si soffia il naso rumorosamente. Quando crede di aver ripreso il controllo rivolge uno sguardo amareggiato alla sorella maggiore.

“Facile a dirsi… La mamma era un’egoista, proprio come te.”

Vegeta porta le braccia dietro la testa e si lascia cadere all’indietro sul materasso. Non si è mai sentita così stanca in vita sua. Forse Bulma ha ragione, ma anche se fosse vero, è comunque certa che nulla cambierebbe e che quella sarebbe l’ultima sera passata a fissare il soffitto della sua stanza in cerca di risposte. Dalla finestra aperta entra una frizzante brezza estiva, ma forse i brividi che sente sulla pelle sono solo frutto della sua immaginazione.

Bulma non se ne va. Anzi. Dopo pochi minuti si stende accanto a lei, forse in segno di resa.

Vegeta sa che nessuno in casa ha badato davvero al letto in cui coricarsi, nelle ultime due settimane. Nessuno, a parte lei, se l’è sentita di dormire da solo. Lei ha preferito concedersi poche ore di sonno tormentato di giorno, nascosta in qualche angolo buio della casa, al riparo da occhi indiscreti. Di notte invece ha passato il tempo a girovagare senza meta per la Capsule Corporation, stando ben attenta a non incontrare nessuno. Nelle sue peregrinazioni si è imbattuta in suo padre e lo zio Goten appisolati sul divano; ha sentito i gemelli singhiozzare in camera della nonna e ha persino trovato Bulma addormentata contro la porta della sua camera, rigorosamente chiusa a chiave. In fondo le dispiace di aver respinto ogni tentativo di approccio da parte degli altri, ma stare da sola si era rivelato necessario e vitale quanto respirare.

Ora, però, la presenza di sua sorella accanto a sé non la infastidisce, né la fa sentire più triste di quanto non fosse prima del suo arrivo.

Bulma è stata la sua migliore amica e la sua peggior nemica fin da quando è nata. Può rivedere con chiarezza assoluta la bambina paffuta che pendeva dalle sue labbra e la seguiva ovunque adorante; così come altrettanto facilmente ricorda i suoi occhi azzurri riempirsi di odio e la sua bocca carnosa sputare veleno in risposta a qualche provocazione. Eppure deve ammettere (e sicuramente anche Bulma lo sa) che non ha mai avuto un rapporto tanto stretto quanto quello. La differenza d’età irrisoria tra di loro ha fatto in modo che Bulma abbia sempre fatto parte della sua vita. La confidenza, la rivalità, la gelosia e l’interdipendenza che sentono sono nate con loro e con loro sono cresciute, portandole a quel momento… a quel letto sul quale restano sdraiate a fissare il soffitto.

“Ieri pomeriggio ho dormito nel suo guardaroba…”, dice Vegeta d’un tratto.

Bulma sussulta inorridita. Sicuramente sta pensando che lei non avrebbe mai il coraggio di farlo, che solo una sadica come Vegeta può avere avuto un’idea del genere.

“C’era il suo profumo dappertutto e continuavo a pensare a quando si preparava la mattina per andare in ufficio… Sempre in ritardo, sempre tesa come una corda di violino. Anche adesso la rivedo seduta sul letto a infilarsi i collant, mentre cerca di sistemarsi i capelli e di parlare al telefono contemporaneamente.”

Bulma sorride appena.

“Non è strano pensare a delle cose così banali?”, continua la giovane, sorridendo a sua volta.

Bulma si rigira su un fianco, portando le ginocchia vicino al corpo, raggomitolandosi come uno dei gatti di casa.

“Mi aveva fatto una promessa…”, dice in un soffio la più giovane.

Vegeta le rivolge uno sguardo d’incoraggiamento. Sa che nell’esporsi sua sorella è molto più simile di lei all’uomo cui ha rubato il nome.

“Mi aveva giurato che quando mi fossi diplomata, avrebbe preso una settimana vacanza e ce ne saremmo andate, io e lei. Da sole.”, dice cercando di non far tremare la voce.

Vegeta chiude gli occhi. Si sente la testa troppo pesante e le ossa praticamente distrutte, nonostante quel giorno non si sia nemmeno avvicinata alla Gravity Room.

“Quando…”, continua, tentennando solo un momento di fronte alla scelta delle parole, “l’ho salutata, mi ha detto che le dispiaceva di non poter mantenere la parola… e che sarei dovuta andare a fare il nostro viaggio con un bel ragazzo.”

Vegeta scoppia a ridere, tra le lacrime che si sono improvvisamente affacciate sulle sue palpebre.

“Che razza di persona morente direbbe una cosa del genere?”, si ritrova a sorridere Bulma, con il volto altrettanto bagnato.

Vegeta non lo sa. Ma sua madre non era una persona comune, pur essendo soltanto una terrestre.

Si rimette a pensare per l’ennesima volta alle ultime parole che ha riservato a lei. Non sa perché, ma non le confesserà a Bulma per ora; forse non lo farà mai. Per una persona che non ha mai avuto peli sulla lingua, avere dei segreti può sembrare strano. Forse la ragione per cui non vuole parlarne è che ha la sensazione che il segreto non sia tanto suo, quanto piuttosto che le sia stato affidato da sua madre…

Quel consiglio in cui sua madre, caricandola di responsabilità per cui Bulma non è ancora pronta, ha racchiuso i rimpianti di una vita finita troppo presto.

Se tiene gli occhi chiusi può ancora sentirla…

Se ami qualcuno non passare nemmeno un minuto facendo finta che non sia vero. Ama. Ama e basta.

Vegeta non sa cosa il tempo cambierà di questo ricordo, né se risanerà mai la voragine che si è aperta nel suo petto. Ma di una cosa è stata certa da subito. Dal momento stesso in cui sua madre ha pronunciato quelle parole.

Amerà. Vivrà anche per lei. Non rimanderà la sua vita nemmeno di un giorno.

“Ci verrò io, in viaggio con te.”

Bulma spalanca gli occhi incredula. Forse anche un po’ commossa, ma dopo un secondo di esitazione qualcosa della vecchia sé riaffiora all’improvviso.

“Ma non scherzare. Finiremmo per sbranarci, ancora prima di partire.”

Già. Perché tra un anno, quando Bulma si diplomerà, la casa sarà di nuovo inondata dal sole e i fantasmi saranno solo un ricordo agrodolce che aleggia nell’aria. E quando Vegeta verrà in visita alla Capsule Corporation, niente impedirà alla sua sorellina di essere la solita stronzetta viziata di sempre.

“Ma se è una promessa, Vegeta… me ne ricorderò”, aggiunge la ragazza, visibilmente più serena.

L’interfono emette un trillo acuto. Il segnale che chiama tutti a raccolta per la cena sembra quasi appartenere ad un’altra vita, ma Vegeta è felice di averlo sentito un’ultima volta. È quasi un segno: a cominciare dalle piccole cose, i pezzi torneranno pian piano al loro posto.

Bulma si alza. Sta per uscire dalla stanza, ma si ferma e torna a guardarsi indietro.

“Vuoi una mano a portare via le tue cose?”

Vegeta si tira su con uno slancio e si stiracchia.

“Non serve. Metto tutto nelle capsule.”

Dà un’ultima occhiata intorno. Tante cose rimarranno lì: svuotare la camera del tutto le metterebbe troppa tristezza e molti degli oggetti di cui ha fatto l’inventario sono decisamente troppo infantili per seguirla a Satan City.

“Almeno mi inviterai, qualche volta?”, le chiede Bulma, sciogliendo lesta la treccia disfatta e sistemandosi meglio i capelli voluminosi.

“Vedremo.”, sorride lei, vagamente minacciosa.

“Se non lo farai tu, lo farà il tuo ragazzo!”, ribatte Bulma, facendole l’occhiolino.

Vegeta viene colta alla sprovvista, ma cerca di dissimulare la sorpresa.

“Guarda che lo sanno tutti, che viene anche lui. Ho sentito Pan che lo diceva a zia Bra ieri. Fammi solo un favore: non sposatevi, perché non credo che il nonno sopravvivrebbe, al ricevere un invito da parte di Vegeta e Goku per il loro matrimonio”, gongola Bulma.

Vegeta non le dà la soddisfazione di risponderle, ma si rende conto sollevata che alla fine è bastato meno di quanto pensasse per risollevare il morale di Bulma. Per quell’unica occasione, per l’ultima sera passata in quella casa, lascerà che lei la prenda in giro quanto vuole.

“Allora, io scendo…”

“Aspetta Bulma.”

La giovane sayan si ferma sulla porta, così come quando è arrivata, solo molto più serena.

“Pensaci tu a papà, d’accordo?”, le chiede, sperando che il suo sguardo enigmatico per una volta risulti quasi supplichevole.

Gli occhioni di Bulma si stringono appena. A Vegeta sembra quasi che voglia dirle che andrà tutto bene, ma gli occhi di sua sorella sono così belli che a volte le sembra di leggerci sentimenti non supportati da ipotesi plausibili.

“Non preoccuparti, starà bene. Ha fin troppe persone che si occupano di lui.”

“E tu? A te chi ci pensa?”, le chiede avvicinandosi.

Sa che dopo, al momento dei saluti, quando Bulma si sentirà più vulnerabile, non parleranno così apertamente. D’un tratto le sembra un azzardo lasciare la casa. Forse è troppo presto. Forse…

“Lo sai quanto tempo ci vuole per volare da qui al tuo appartamento, Vegeta?”

La giovane aggrotta le sopracciglia, confusa.

“Meno di un quarto d’ora, perché?”

“Appunto.”, dice Bulma abbracciandola e lasciandola di stucco.

“A me ci pensi tu.”

Vegeta lascia che si allontani, troppo sorpresa per ribattere. Cercherà di ricordarsi di quel momento, la prossima volta che avrà voglia di ucciderla.

“Ah, Vegeta.”, si affaccia ancora un’ultima volta alla porta. “Se scopro che ti sei portata via qualche mio vestito, giuro che ti ammazzo.”

Ecco, ora la riconosce.

“Ma chi li vuole i tuoi vestiti, sfigata!”, le urla dietro per il corridoio.

E mentre scende le scale, rincorrendo la sua risata, pensa a due bambine che corrono baciate dal sole, che si azzuffano e ridono. Senza un pensiero al mondo. Senza mai lasciarsi la mano.

 

Spero che vi sia piaciuta. Spero che questi personaggi risultino plausibili; che abbiate trovato in loro dei tratti riconducibili ai nonni ed ai genitori. Spero che vi abbia fatto ridere la battuta sul matrimonio di Vegeta e Goku (che sarebbe il figlio di Pan). Spero che qualcuno si sia un po’ rivisto nel rapporto con sua sorella. So che magari qualcuno avrà delle domande, in tal caso non esitate a farmele. Kiss kiss, alla prossima…

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2160056