Mochi

di Yuchimiki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Di sigarette e fumatori incalliti ***
Capitolo 3: *** Questione di principio ***
Capitolo 4: *** Io odio il Giappone ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


MOCHI


Prologo





 


È quasi ridicolo come certe storie abbiano inizio.
Alcune persone per sbaglio si scambiano i telefoni, scatenando una catena di eventi particolarmente imbarazzanti, che alla fine si risolvono in meglio. Alcuni sui banchi di scuola, non lasciandosi mai più andare. Poi ci sono quelli che si scoprono viaggiando, lavorando, o qualsiasi altra cosa possa venire in mente.
In quella situazione bastava dire che un certo demone era particolarmente irritato perché aveva fame, ma si comportava troppo da immaturo per ammetterlo anche a sé stesso.
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“Ma sei proprio sicuro che cucinino bene qui?”

Ogni qualvolta andavano in missione assieme, Shiro finiva per fare ragionamenti filosofici per spiegarsi il perché dell’infantilità di un demone che era più vecchio di tutta l’umanità messa insieme. Come se i gemelli non fossero abbastanza.
Era troppo vecchio per quelle cose.
“Cos’è, ora cominci a dubitare di me? Questa è nuova. So che ti piace la cucina giapponese, ma la varietà rende tutto più interessante!” L’interlocutore quasi si offese. La parola magica è quasi.

“Dove credi che sparisco ogni volta che mi mandano in da questa parte del globo? Fare un salto qui è d’obbligo, con o senza te.” Fujimoto lo informò, riconoscendo i segni di qualcuno che faceva il difficile. Rin era un esperto in materia.
“Se ti piace così tanto quello che cucinano qui, perché non ti sposi il capo chef?”
“Oh, smettila di comportarti da mogliettina gelosa. E poi, c’è un motivo per cui mi tengono alla sede giapponese: se ti lasciassi, finiresti col radere al suolo l’intero continente per noia.” O avrebbe fatto qualche scommessa assurda con qualche povera anima, solo per il gusto di farlo. Che ovviamente avrebbe poi vinto.
“Non darti tanti arie, nonnetto.”
“Tecnicamente, potresti essere un mio antenato se proprio vogliamo riaprire la questione. Oh, ecco il posto.”

Era una giornata come tante per i due uomini (o quasi) conosciuti con il nome di Shiro Fujimoto e Mephisto Pheles, attualmente in viaggio per gentil richiesta dell’Ordine della Vera Croce. Uno era di ottimo umore, l’altro stranamente no, a differenza del solito. Forse intendeva meramente complicare l’esistenza del paladino, opzione molto probabile.
“Mettiamola così, se non ti piace quello che cucinano qui, quando torniamo, ti trovo una di quelle maschere assurde che ti piace tanto collezionare. Andata?”
“Voglio proprio vedere come intendi trovare quelle che mi mancano.”
“Se vinci, ovviamente.”

Giunti finalmente a un comune accordo, i due entrarono nel ristorante conosciuto come ‘Perce-Neige’. Il demone fu piacevolmente sorpreso dell’interno del luogo, notando che tutto l’arredamento era un gioco di colori tra marrone cioccolato, arancio e verde pistacchio; lo staff non sembrò far lo stesso con lui.
Potevano anche essere un ottimo passatempo, ma delle volte proprio non riusciva a fare a meno di irritarsi, non che lo desse a vedere.
Non era colpa sua se gli essere umani erano così noiosamente monotoni con il loro modo di vestire, ma non poté far nulla col vociare che immediatamente si levò intorno a lui, come se non capisse quello che stavano dicendo. Un sorrisetto divertito si fece strada sul suo volto.

Non appena videro il volto del vecchio Fujimoto, parvero calmarsi.
Solo dopo che gli spiegò che il tizio eccentrico al suo fianco, che in un primo momento aveva attirato tutta l’attenzione su di se, era venuto con lui, questi assunsero un atteggiamento dispiaciuto.
“Ci dispiace per la nostra scortesia, non tutti i giorni una persona così particolare si presenta nel nostro ristorante. Se volete accomodarvi, prego, seguitemi.” Oggigiorno li chiamavano particolari.

Non avevano cappotti da far portare via, dato che la stagione estiva era nel suo pieno, e Mephisto si era rifiutato di cedere il suo cilindro bianco.
“Un cameriere verrà subito da voi.” Detto ciò, i due, seduti a un tavolo in una parte più riservata del ristorante, ricominciarono a chiacchierare amabilmente.
“Ti consiglierei di prendere questo, questi, quest’altro è uno dei miei preferiti… e anche questo.” Se solo lo spilungone avesse smesso di fare la lagna sarebbe stato più felice, ma in tutti gli anni che lo aveva conosciuto non era mai riuscito a prevedere i suoi cambi d’umore.  

“Dai, smettila di fare quella faccia. Solo perché non è tutto pieno di zucchero non vuol dire che non sia buono.” Sembrava un adolescente iperattivo che non aveva ancora ricevuto la sua dose di zuccheri. Doveva essere colpa del metabolismo sfrenato che contraddistingueva tutti i gehenniani.
“Ormai me ne sono fatto una ragione. Il problema è un altro. Jaques mi ha abbandonato! Me ne ero totalmente scordato. Come farò senza le sue torte adesso? Devo trovare il colpevole di questo infimo sacrilegio alla mia persona!” Ed ecco che tornava al suo solito atteggiamento di drama queen.
Fujimoto non fu per nulla impressionato, erano anni che quella storia andava avanti. Il francese non era certo il primo che scappava da quel goloso di Mephisto, nonostante la paga.
“Poveri noi, chi sarà la tua prossima vittima? Già prego per la sua povera anima.”

Quando arrivò il maitre, li trovò intenti a bisticciare come una coppia sposata. La scena era parecchio interessante, ciò perché il ragazzo in questione conosceva padre Fujimoto, e vederlo puntare il dito contro l’altro, molto appariscente, era una novità. Quasi gli dispiacque interromperli per prendere gli ordini.
“Alex! Che piacere rivederti, ragazzo. Mandano sempre te a servirmi, eh? Mai una volta che Agi si faccesse vivo. Questo povero vecchio si sente triste, dovresti dirglielo, tanto per fargli venire i sensi di colpa.” Nel loro ristorante solo in tre parlavano il giapponese, tra loro Alex era l’unico a fare il cameriere.
“Agi è il capo chef, non verrebbe neanche se lo pagasse. È fatto così.” Intanto si appunto sul blocchetto i loro ordini.
“Verrà un giorno in cui non ci sarò più, poi voglio vedere come si pente, quell’essere senza cuore.” La scenata andò avanti per pochi minuti finché, tra una risata e l’altra, il cameriere riuscì a scappare, mentre Fujimoto faceva finta di essere una donna tradita da suo marito.
Per tutta la durata della scenata, il demone non aveva proferito parola, meramente osservando l’interagire del ragazzo e dell’amico; doveva essere un cliente abituale per essere trattato in quel modo.

“Cosa non mi racconti, Shiro?”
“Umm? Oh, intendi quanto sono amichevoli con me?” Cercò di fare in finto tonto, ma il fatto che Mephisto non parlò lo convinse a essere sincero. Dopo tutti gli anni di conoscenza, Mephisto lo conosceva come le sue tasche.

“Vengo qui da sei anni, credo, ma conosco lo chef da molto più tempo. Vediamo, il marmocchio aveva circa diciannove anni a quei tempi, quindi sono nove anni che ci conosciamo. L’ho incontrato durante una delle missioni, lavorava in una cucina posseduta e non batteva occhio a proposito. La sua cocciutaggine alla fine mi ha fatto diventare suo amico. Quello scemo si rifiutava di abbandonare la scorta di cioccolato che adoperavano nella pasticceria e ci ha quasi rimesso la vita. A volte il potere del cioccolato mi mette i brividi.”

Non dovettero aspettare molto che le pietanze fossero portate a tavola e, assaggiandole, il demone rimase piacevolmente colpito. Mangiarono in tranquillità, facendo una considerazione di tanto in tanto, finché l’atmosfera serena non fu interrotta dalle voci di una coppia infondo alla sala. L’ora era ormai tarda e più di una persona nel ristorante era inebriata, pertanto era solo questione di tempo prima che si presentasse una situazione simile.
La coppia doveva essere di origine nipponiche, in quanto fu proprio Alex ad accorrere per risolvere la situazione.

“Pensi che non sappia che te la fai con Sachico da mesi ormai? Non cercare di addossarmi colpe che non ho, in particolare quando sei tu quello infedele, essere spregevole!” Non riuscendo a placare l’ira dell’uomo, pronto a rovesciare il tavolo pur di raggiungere la donna, il ragazzo mandò qualcuno a chiamare aiuto in cucina.
“Oh, ora guarda che succede, Mephisto…” Shiro sembrava intuire cosa sarebbe accaduto e, incuriositosi a propria volta, si concesse una pausa dal suo pasto.

Pochi istanti dopo uscì dalla cucina un uomo tutt’altro che felice, intento a pulirsi le mani con un asciugamano. Doveva essere uno degli chef, tuttavia non era vestito come tale, fatta eccezione per il grembiule alla francese che aveva porto a una cameriera. Raggiunse la coppia che bisticciava proprio dopo che l’uomo diede uno schiaffo alla donna, azione che sembrò irritare il moro ancor di più.
Arrivò giusto in tempo per afferrare il braccio del giapponese inebriato, prima che potesse ripetere il gesto di prima una seconda volta. Il nipponico provò a strattonarlo, ma la presa dell’altro era ferrea.

In confronto al cliente, l’uomo aveva un portamento totalmente diverso, quasi d’altri tempi, nonostante il malumore. Lo invitò cortesemente a lasciare il ristorante, benché il suo malcontento si percepisse chiaramente.
“Altrimenti che mi fai, eh, signorina? Mi prendi a sculacciate?” Rise di gusto, mentre il volto dell’altro era diventata una maschera indecifrabile.
Era di una testa più alto del suo offensore; piegare il capo in avanti intimidì questa volta per davvero l’altro, che sgranò gli occhi, avvertendo probabilmente il pericolo incombente.
“Cosa crede che faccia un hachidan che ha appena finito il suo turno a quest’ora della notte?”
A quanto pare aveva ancora un po’ di senno in sé e, intuendo la minaccia, decise di andarsene con le buone, prima che le cose andassero troppo oltre.
Appena ebbe pagato il conto, si volatilizzò. A quel punto il moro incaricò un’altra cameriera di prendersi cura della donna, ritornando in cucina.

“Dove lo trovi un altro chef tanto appassionato di karate, eh? Che per di più ha un punto debole per le donne. Potrei dire che sono il suo punto debole.” Il biondo era sinceramente divertito da tutta quella scenata, mangiandosi un altro raviolo prima che il moro uscisse nuovamente dalla cucina, questa volta con una giacca, pronto ad andarsene.

“Non è per caso quel famoso capo chef di cui ti vanti tanto tutta la serata?”
Non gli rispose, anzi, lo guardò con fare rallegrato e si alzò in piedi. “Agi, com’è questa storia, non saluti più neanche i vecchi amici?”
Quello che tuttavia sorprese Mephisto fu la reazione del giovane. Si trasformò letteralmente davanti ai suoi occhi come un bruco in una farfalla; l’espressione fredda e impassibile divenne in poco un sorriso a trentadue denti. Tutto il suo atteggiamento mutò, non lasciando niente di quello che c’era stato prima. Veramente un salto di qualità, come amavano dire gli esseri umani.
Altro che donne, Shiro doveva essere capace di farlo sciogliere come ghiaccio al sole.

“Shiro, vecchia volpe! Cosa ci fai da queste parti?” Il vecchio lo abbracciò com’era solito fare con i suoi figli.
“Ciao anche a te, marmocchio. Avevo delle questioni da sbrigare, quindi ho deciso di fare un salto qui.” Poi il cuoco notò la presenza del demone.
“E chi è il tuo amico?” Lo inquadrò immediatamente, come a cercare di scoprire se l’amico di Shiro fosse qualcuno di particolare.
Possibile che non fosse stranito, come il resto dello staff, del suo aspetto? Doveva averne viste di cose strane prima, forse la stranezza di Shiro l’aveva reso impassibile davanti a certe cose. Era così abituato alle occhiate impressionate che pura e semplice curiosità lo presero contropiede.

“Quasi dimenticavo, questo qui è-”
“Johann Faust V, piacere di fare la sua conoscenza, signor…”
“Agi Ruze, il piacere è tutto mio.” Stringendogli la mano, notò che aveva una presa particolarmente forte, probabilmente non scherzava quando diceva di essere bravo nel karate.

“Signor Ruze, perché non si accomoda con noi, mi farebbe molto piacere conoscere la persona di cui Shiro parla tanto positivamente.” Sembro sinceramente considerare la proposta, prima di assumere un’espressione dispiaciuta.
“Apprezzo molto la vostra offerta, tuttavia ho degli affari urgenti da sbrigare che non possono essere rimandati, con mio grande rammarico.” Avrebbe potuto pensare che cercasse di evitarlo, tuttavia la reazione di Fujimoto gli provò il contrario.
“A quest’ora? Agi, la notte è fatta per dormire, lo sai meglio di me.” Ci scherzò sopra, ma Mephisto vi colse una nota di serietà, come se non approvasse qualsiasi cosa il ragazzo facesse. Ruze alzò gli occhi al cielo, come se non fosse la prima volta che udiva tale rimprovero.
C’era altro che Shirou non gli diceva.

“Anche a quest’ora. Verrà il giorno che dormirò quando si deve, ma non è oggi, mamma.”
“Finalmente qualcuno che vive sulla mia stessa lunghezza d’onda! Perché dormire se si possono fare tante altre cose utili! Mi piaci ragazzo.” L’espressione di puro orrore che si materializzò sul volto del biondo fu totalmente ignorata dallo spilungone, la cui attenzione era totalmente diretta ad Agi. Il paladino sapeva per esperienza che chi attirava l’attenzione del demone in un modo o nell’altro finiva in situazioni sconcertanti.

“Johann, no. Posso ridere del fatto che quella storia vada avanti da anni, ma non per questo accetterò che implichi qualcuno cui tengo nei tuoi loschi piani.” Ah, l’ironia di quelle parole, chissà se il suo caro giovane vecchio amico l’avrebbe colta.
“Non so di cosa parli, Shiro.”

“Agi, forse è meglio che vai, prima che questo pazzoide ti coinvolga in qualche stramberia come suo solito. È stato un piacere rivederti, davvero.” Così, con quelle parole salutò quello strano giovane umano che aveva grandi doti culinarie.









Salve a tutti coloro che hanno deciso di dedicare qualche minuto del loro tempo a questa storia.

Ho deciso di riscrivere la storia perchè, rileggendola, sono rimasta scandalizzata. L'ho scritta quasi tre anni fa... e si vede.Ho sentito la necessità di dare più serietà al tutto, in particolare perchè il risultato precedente era una Mary Sue allo stato puro.
Come primo capitolo potrebbe non essere un gran che, ma ho sempre avuto problemi con i prologhi, quindi spero che con i capitoli a seguire riuscirò a soddisfare chi mi concede un po' del suo tempo.

Se notate qualcosa di strano, errori o cose simili, vi prego di dirmelo perchè, come dicono gli inglesi, I aim to please, senza doppisensi ovviamente.

Angolo delle curiosità:
- Mephisto che non mangia altro che dolci e schifezze è una di quelle cose che ogni fan ritiene canonico, quindi lui che mangia cose normali mi ha sempre incuriosito.
- Per chi conosce Nana, Sachico torna all'attacco! Non so come mi sia venuto in mente, ma non ho resistito.
- Hachidan, ossia una cintura nera di ottavo livello del karate, almeno è quello che sono riuscita a trovare. 

Dopo questo dilungamento, non vi trattengo oltre. Grazie ancora per avermi concesso il vostro tempo, per me conta molto!

Alla prossima!

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Capitolo 2
*** Di sigarette e fumatori incalliti ***


MOCHI

Capitolo 1 – Di sigarette e fumatori incalliti





 

La solitudine per molti aspetti è come il buio. Nessuno ammette di averne paura, ma infondo al cuore tutti sappiamo che è dietro all’angolo, pronta a inghiottirci e non a lasciarci più andare.
Ciò che ci distingue è come la combattiamo.

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Alla fine era successo.  
Come i suoi predecessori, anche lui se ne era andato.

Erano passati mesi dall’ultima volta che aveva visto Shiro Fujimoto; ora, più che mai, si pentiva di tutto quel tempo trascorso a vuoto. Si pentiva di non averlo ringraziato l’ennesima volta di esserci stato quando nessun altro c’era. Quante cose avrebbe voluto dirgli, magari dimostrare una volta per tutte che ci teneva per davvero, ma non l’aveva fatto.

E cosa aveva concluso nel mentre? Risolto le solite fesserie?
Ora era morto. Troppo tardi per pentirsi… ma non per questo faceva meno male.

La concezione della sua morte giunse solo quando acquistò un pacchetto di quelle sigarette che tanto gli piacevano, in una tabaccheria sulla via del cimitero. Si rinforzò quando pagò un mazzo di gigli bianchi, che non avrebbe preso se la scelta non fosse stata così limitata; erano gli unici fiori bianchi disponibili. Ne prese venti.

Il cielo era coperto e pioveva a dirotto da prima che arrivasse in città, solo qualche ora prima. La notizia era giunta alle sue orecchie per via telefonica la notte prima, mediante un conoscente comune; aveva prenotato per il primo volo disponibile, pochi minuti dopo la rivelazione. Non pensava ad altro.

Quando giunse al cimitero, solo l’ombrello a evitare che s’inzuppasse, notò che c’era un piccolo gruppo di persone vestite di nero, preti per lo più. Alcuni piangevano, altri li consolavano.
Non aveva nessun desiderio di parlare con loro. Il contatto umano, in qualsiasi forma si presentasse, era l’ultima delle sue priorità. Cercò un’entrata laterale.

Non impiegò molto tempo a trovare la sua tomba.



 
Qui giace
Shiro Fujimoto

Caro amico e beneamato padre
Non sarà dimenticato


 

Sospirò.
Allora era vero, non che ne avesse dubitato. Aveva sempre preteso che informazioni del genere fossero attendibili. Su certe cose non si scherzava.

Posò il mazzo di fiori accanto a quelli che già c’erano.  Ripiegate le gambe, accese una sigaretta per sé e un’altra la adagiò sulla tomba dell’amico, coprendola con l’ombrello, affinché non si spegnesse.
Inspirò profondamente. Erano anni che non se ne concedeva una.

Possibile che fosse sempre la stessa storia? Che cosa avrebbe dovuto fare, negarsi il piacere della compagnia? La solitudine era oltremodo soffocante e la pazzia sempre all’erta, fin troppo vicina. L’ultima volta che una cosa del genere era accaduta, aveva quasi perso la ragione.

“E così è arrivata anche la tua ora, eh, vecchio caprone?” Non ricordava neanche l’ultima volta che avevano fumato assieme. Il tabacco era una bomba a orologeria dopotutto.
Shirou aveva smesso quando aveva portato a casa con sé due marmocchi, quindici anni prima. Aveva seguito il suo esempio pochi mesi dopo.

Gli anni erano volati via troppo velocemente.
A volte lo scorrere inesorabile del tempo provocava nella sua anima un terrore che, se paragonato a quello della paura della solitudine, era niente. Possibile che fosse così sfuggevole?

“Ti avevo giurato che qualsiasi cosa fosse successa, se avessi avuto bisogno di aiuto, di chiamarmi. Dannato cretino.” Finita la sigaretta, anche se solo a metà a causa dell’acquazzone, la butto via, rialzandosi da terra. In lontananza un tuono rimbombò. Il temporale non accennava a miglioramenti.
Aspettò che anche quella di Shiro finisse. Con lo sguardo seguì gli ultimi rivoli di fumo, chiudendo gli occhi e lasciando che la pioggia bagnasse il suo volto, portando via anche le ultime tracce del suo dolore.


“Quando morirò, fammi una promessa. Piangi per me.” Quasi sputò il suo thè. Ecco una cosa che non si aspettava. Ma da dove se ne usciva con quelle pretese assurde?
“Cosa sono queste richieste di punto in bianco, eh? Paura di morire da solo, vecchio caprone?” Lo prese in giro, non sapendo in che altro modo reagire.
“Oh, per l’amor di- la smetti con questa storia del caprone?! Sono anni che mi chiami così! E prendimi sul serio una volta tanto.” Sbuffò come un bambino, anche se il fumo che esalò dalla bocca lo fece sembrare tanto un draghetto irritato. Con un pizzetto. Un draghetto con un pizzetto, faceva pure rima!

“Io ti prendo sempre sul serio, draghetto col pizzetto.” Bevve un altro sorso di thè, mentre Shiro s’irritò ancor di più.
“E questo nomignolo da dove è uscito?”
“Dallo stesso luogo da cui sei uscito tu.” Quello l’avrebbe fatto imbestialire.
“Ma cosa- ma come ti permetti! Vieni qua che ti distruggo!”



“Io mantengo sempre le mie promesse, draghetto.” Posò il pacchetto di sigarette sulla tomba, sorridendo amaramente. Prendersi in giro era stato sempre un passatempo come un altro per loro, anche darsele di santa ragione aveva fatto bene al loro rapporto di tanto in tanto.
Ora non aveva nessun altro.
Di nuovo.

“Mi ricorderò di te, lo prometto. Ricordo tutti quelli che se ne vanno.”

Lasciò l’ombrello lì dov’era, senza preoccuparsi della fine che avrebbe fatto; era l’ultimo dei suoi problemi.
Intraprese la stessa stradina di prima, che portava al cancello laterale, volgendo le spalle alla tomba del suo amico.
La ferita riaperta si stava già cicatrizzando, ma solo il tempo avrebbe alleviato il dolore. Peccato che la ferita peggiorasse di volta in volta. Il prossimo fendente sarebbe stato quello finale? Quanto doveva aspettare ancora?

Chi sarebbe stata la prossima vittima della sua solitudine?

“E tu chi diavolo sei?”
Si voltò di scatto, trovandosi davanti a un ragazzo con gli occhi dell’azzurro più intenso che avesse mai visto. Notò subito i suoi canini ,troppo appuntiti per poter essere quelli di un umano, come anche le orecchie. E quel volto, dove l’aveva già visto? Era così famigliare…
Uscendo dalla trance, si rese conto che aveva in mano una spada, puntata nella sua direzione, benché ancora nel fodero.
Demone, arrogante, moccioso, umm… sarà uno dei figli di Shiro? Aspetta… ecco a chi somiglia!
Ma non erano adottati? 


“Potrei farti la stessa domanda, marmocchio impertinente. Dov’è andato a finire il rispetto dei giovani oggigiorno?” Si passò una mano tra i capelli con finta nonchalance, per togliersi quelle ciocche che si erano appiccicate alla sua fronte, senza mai distogliere lo sguardo dal ragazzo. Almeno aveva abbastanza fegato per andare contro qualcuno più grande e alto di lui. O forse era semplice stoltezza?
Avrebbe riso, se solo avesse abbassato l’arma.

“Scommetto che sei uno di quei demoni di ieri! Sei venuto a finire il lavoro?!” Gli urlò contro il ragazzo, non fidandosi. Però dietro alla rabbia che permeava la sua voce c’era dolore e rimorso, lo stesso che aveva sentito dentro sé da sempre. Come si faceva a rimanere arrabbiati in una situazione del genere? Cosa si dice a una persona che ha appena perso il suo caro?
Che cosa aveva sempre voluto che dicessero?

Il suo silenzio sembrò irritarlo.
“Moccioso, io-” Non ebbe neanche l’occasione di spiegarsi.
“Voi demoni sapete solo mentire!” Di colpo dovette parare un fendente di spada, alzando l’avambraccio. Avrebbe tanto voluto dargli un pugno sul naso, per mostrargli le stelle e per vedere di che colore era il suo sangue, ma si accontentò di fargli lo sgambetto e di farlo cadere a terra. Poi brandì la sua spada, puntandogliela contro la testa.
Poteva anche provare pena per lui, ma l’occhiataccia non gliela risparmiò.

“Su, Rin, ti sembra questo il modo di trattare un amico di tuo padre?” Quella era una voce che non si aspettava di risentire. Riportò alla luce solo rimorsi, riaprendo la ferita.
A pochi passi da loro, sotto un ombrellino osceno, che ricordava tanto quello di Hagrid, si riparava un uomo dall’aspetto eccentrico. In faccia aveva quel sorrisetto insopportabile dell’ultima volta.
Chi si vestiva in un modo simile a un funerale? Shiro aveva ragione quando parlava di stramberie da evitare, ma quel giorno il soggetto in questione aveva un aspetto stranamente più serio, se confrontato a quello rilassato del loro primo incontro.

“Che-” Il mezzo demone sobbalzò, non aspettandosi che qualcuno gli arrivasse alle spalle, per poi girarsi di nuovo nella direzione di Agi, gli occhi sgranati. “Vi conoscete?” Oh, che voce incredula, musica per le sue orecchie.
Ma stentava a credere sua volta di conoscere Johann Faust. Ne aveva viste di persone strane nel corso della vita, ma lui batteva tutti.
“Faust, è un piacere rivederla. A cosa devo l’onore?” Se solo si fosse fatto vivo un po’ prima, forse il moccioso avrebbe mostrato più discrezione, magari rispetto nei suoi confronti. Tuttavia non poteva lamentarsi, alla fine la scocciatura gliel’aveva rimossa.

“Signor Ruze, perdoni i modi barbari di Rin, è solo provato dalla perdita di suo padre. Come noi tutti.” Avvicinandosi al giovane, Mephisto lo invitò a rialzarsi in piedi, mentre la spada puntava ancora al suo naso; la maschera impassiva che Agi aveva assunto alla vista del terzo, tutt’altro che incomodo in quella circostanza, non mutò di una virgola. Nonostante le precedenti osservazioni, solo quel sorrisetto menefreghista sul suo volto provocò ad Agi qualche problema a credere al suo dispiacere.

La pioggia continuava a scendere silenziosa mentre i due si osservavano, il figlio di Shiro dimenticato.
Giunse a una conclusione. Perché portare il cilindro essendo già uno spilungone di proprio? Certo, Agi non aveva nulla da invidiare, benché gli arrivasse solo al mento, ma ai suoi occhi la cosa risultò lievemente strana.

Rin, sentendosi il terzo incomodo in quella situazione, non seppe come reagire, finché Agi non gli lanciò contro la spada. “Prenditene maggiore cura e impara a usarla prima di puntarla contro qualcuno, o finirai col farti male con le tue mani.” Sembrò un pesce fuor d’acqua, annuendo a mo’ di sì. Quel gesto era così simile ai modi di fare di Shiro in quelle occasioni (non che lo avrebbe mai confessato) che quasi rise. Quasi.
Riassunse un’aria seria.

“Mi dispiace per tuo padre. Se mai ti servisse qualcosa, fammi uno squillo. Vedrò cosa posso fare.” Il modo in cui arrossì quando Agi gli scompigliò i capelli riportò sul suo viso quel sorriso che tanto aveva cercato di nascondere. Dopotutto c’era ancora del buono su quel pianeta, qualcosa per cui valeva la pena lottare. E non era il tipo da sorridere molto.

“Faust, dubito ne necessiti, ma la proposta è valida anche per lei. Ora, se non vi dispiace, me ne torno da dove sono venuto.” Gli affari non aspettavano nessuno, soprattutto quelli che Agi risolveva quotidianamente da ormai una vita. In particolar modo quando provocavano emicranie degne di tale nome.

“Non mi lascia neanche un numero?” Ai matrimoni si piange, ai funerali si ride, e Faust, con quell’onnipresente sorriso, doveva saperlo di certo.
“Non le ha mai detto nessuno che, chi cerca, trova?” Con un cenno li salutò e andò via.



“Okumura, perché non torni dentro? Ti raggiungo subito.” Rin non se lo fece ripetere due volte, incamminandosi velocemente al riparo dalla pioggia e brontolando su quanta gente strana aveva conosciuto ultimamente.
Lui restò lì a guardare la figura del cuoco che si allontanava.

Quel Ruze aveva qualcosa di strano. In genere, incontrando nuovi umani, risultavano tutti un libro aperto ai suoi occhi, nient’altro che delle pedine nel gioco che conduceva da secoli. Ma Ruze no. Quel giovane aveva lo sguardo di qualcuno che era stato all’inferno e ne era uscito e che la perdita dell’amico non fosse altro che un nuovo foro sulla sua cinta.
Non aveva visto altro, neanche la volta prima, se non l’affetto per il deceduto paladino.
I suoi occhi erano fredde pietre. Erano occhi di chi non si faceva scrupoli.
Umani di quel genere erano una rarità.

Ponderando su queste cose, fu un caso che notasse l’ombrello adagiato sulla tomba. Mephisto non era un tipo da colori cupi, preferiva dare vivacità a ciò che lo circondava, ma il bianco candore dei gigli attirò la sua attenzione. Solo allora vide il pacchetto di sigarette posate accanto a un mozzicone ormai spento; ne vide un altro ai piedi della tomba.

Erano quindici anni che il paladino non toccava una sigaretta. Lo sapeva meglio di chiunque altro, era presente nel momento della fatidica decisione.

Si voltò, cercando qualche segno dell’indugio di Agi Ruze, ma non ne era rimasto alcuno, portato via dalla pioggia.
Sorrise.

Come faceva a saperlo?



Non le ha mai detto nessuno che, chi cerca, trova?



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C’è chi la ignora, la solitudine, ritenendola inutile.
C’è chi si arrabbia, non capendo perché sia proprio lui o lei a doverne cadere vittima.
C’è chi, non sapendo come reagire, semplicemente si pone altre domande, distogliendo inconsciamente la propria attenzione. 









Salve! 
Come da promesso, torno con il secondo capitolo circa una settimana dopo, strano eh? Di solito sono una persona puntuale, ma nello scrivere non tanto.
Passando ad altro... si, lo so, qui Agi è deprimente. Se proprio devo dirlo, Agi è la personificazione di deprimente in certe situazioni, ma di solito ha solo una faccia di bronzo impressionante. Faccio fatica a mantenere una personalità simile, ma ne vale la pena a mio avviso. 

Sono rimasta molto sorpresa e gratificata dal fatto che due persone abbiano aggiunto la storia alle seguite (Black Air e Lulosky), due tra le preferite - Gasp! (Angel of hope e Zefiria BlackIce) e due abbiano commentato (Lulosky e XAniueX-lol). Davvero, mi avete riempito il cuore di felicità! Spero che sarete soddisfatte da come andrà avanti il tutto.

Angolo curiosità:
- Vivo con dei fumatori, quindi so per esperienza che smettere di fumare è difficile e che ricaderci è facile. Agi in particolare non deve vedere nè sentir parlare di tabacco altrimenti non riesce a resistere.
- Da dove vengo io, portare sulla tomba di un caro qualcosa che lo ricordi (giocattoli, cibi o sigarette in questo caso), insieme a un numero pari di fiori (dispari per i vivi) è comune. Per questo sono venti gigli bianchi.
- Le persone con gli occhi grigi si ritengono estremamente movimentate. Di solito non mi affido a cose simili, ma Agi sembra la personificazione di quest'affermazione.

Ringrazio ancora quelli che mi concedono qualche minuto del loro tempo.

Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Questione di principio ***


MOCHI

Capitolo 2 – Questioni di principio





I modi per irritare qualcuno sono tanti, forse quanti le stelle.
C’è chi, per esempio, si innervosisce a causa del continuo ronzio di una zanzara. Oppure per il perpetuo gocciolare dell’acqua da un rubinetto.

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Era una notte senza luna.
Le stelle, alte nel cielo, erano rese invisibili delle luci della città. Condizioni ottime per risolvere delle questioni in sospeso, lontano da occhi indesiderati. Il fattore del deposito abbandonato coronava il bisogno di segretezza della situazione.
Era quasi ridicolo quanto tutto ciò sembrasse esser spuntato fuori da un romanzo giallo.

Tra una jeep e una moto c’era un gruppo di uomini, di varie età, posti a semicerchio attorno a un altro, di una tranquillità quasi innaturale. Tuttavia le apparenze ingannano.

“Avevamo un accordo.”

Non era quello il modo.  
Poteva fare di tutto per ottenere ciò che voleva, ma quello era troppo per i suoi standard. Violava qualsiasi morale che, a dispetto delle atrocità che aveva commesso negli anni, era rimasta immutata.
“Quelle informazioni in cambio del libro, purché nessun essere umano, né demone neutrale, ne rimanesse vittima.” Si infilò le mani nelle tasche della giacca di pelle, perché prudevano dal desiderio di fare del male a qualcuno. Calma, calma, calma… calma.

Colui che probabilmente era il capo del gruppo si sentiva al sicuro, data la serenità che dimostrava in quella situazione. Conosceva quelli come lui.
Arroganti, presuntuosi oltre ogni limite, convinti di avere il mondo nelle proprie mani e di poterlo manipolare come più desiderano.
Disgustoso marciume.

“Rilassati! Era solo qualche demonietto di basso livello sceso a patti con gli umani. Un traditore! Se l’è meritato. Dovevo essere sicuro che le informazioni che mi hai ceduto fossero attendibili, non ti pare?” In particolare, avevano la presunzione di ritenersi più intelligenti degli altri. Così sicuri che i loro cani da guardia potessero proteggerli.

Ciò che troppo spesso sfuggiva all’opinione comune sia di demoni che di uomini era che i numeri, piccoli o grandi che fossero, non sempre contavano. Anzi, dimostravano solo quanto ci si sentiva insicuri nell’affrontare chi ci si parava incontro, mostrando le debolezze alla luce del sole.
Negli anni aveva raggiunto una conclusione: la paura era la regola secondo cui vivevano.

Il rosso non faceva eccezione.
“Non mi vorrai mica dire che ti dispiace per quella feccia? A ha ha! Da quando sei diventato così pietoso?” La paura li comandava. La paura li spingeva ad atti efferati.
La paura li rendeva disattenti e li illudeva dolcemente, li costringeva a credere che circondandosi di compagni e guardie sarebbero stati al sicuro. Tuttavia la vera forza non risiede nella quantità.

Era un periodo in cui si irritava con facilità. Proprio non ce la faceva a sopportare le cazzate della gente con cui faceva affari. Sarebbe stato così facile lasciarsi andare, dimostrare che era la qualità che contava… ma non ne valeva la pena.

“Dimmi, quali erano i termini dell’accordo?” Si accese una sigaretta, inspirando profondamente.
Doveva calmarsi. Passare alle mani non risolveva mai niente.
Nonostante tutto, dare la possibilità di spiegarsi, di redimersi, anche a feccia di quella stazza, era sempre stato un fattore di distinzione da chiunque altro. Era una regola fissa che cercava di non violare, in qualunque caso. Ovviamente le conseguenze erano spiacevoli.
Sperava solo che la nicotina facesse effetto a quel punto, almeno finché il rosso avesse fatto l’errore fatale.

“Ancora con questa storia? Dai, abbiamo altro di cui parlare! Tipo quel-” Agi inarcò le sopracciglia, mostrando che la linea tra la vita e la morte si faceva più sottile. Il tempo stava per scadere.
Non era poi tanto difficile adempiere alle condizioni dei suoi accordi. Non imponeva termini inconcepibili.
Inspirò di nuovo, chiudendo gli occhi. Una chance, doveva concedergliela, e poi la resa dei conti.

Il rosso sembrò comprendere di trovarsi in una situazione precaria, decidendo che forse era l’ora di smettere di scherzare. Bene.
“Di non coinvolgere innocenti, che fossero di Assiah o Gehenna. Ha! Non vorrei rovinarti la festa, ma i demoni non sono mai innocenti, siamo fatti per infrangere le regole!” Risposta sbagliata.

Riaprì gli occhi e i leccapiedi del demone attaccarono. Viscidi vermi.

Senza pensarci tanto, tirò fuori le boccette di acqua santa concentrata, spaccandola a turno in faccia uno a uno a tutti e sei gli scagnozzi, troppo lenti per poter fare qualche danno. Oggigiorno i demoni si stavano cominciando a indebolire, forse era quello il motivo per cui ardevano dal desiderio di fare Assiah loro prima possibile. Ma erano solo supposizioni.
 
Mentre si dimenavano come posseduti, del resto lo erano, raggiunse il rosso.
Cercando di indietreggiare era caduto sul fondoschiena, spaventato dalla sua reazione. Bene, aveva tutte le ragioni per provare timore. Aveva avuto la sua possibilità, l’aveva sprecata, e per colpa di quell’idiota aveva ricominciato a fumare.  Questa è una bugia.

L’orrore sul suo volto contorto non suscitò pieta, solo disgusto. Nel disgusto era nato e nel disgusto sarebbe tornato, nel migliore dei casi sarebbe morto.
Niente più chance, niente comprensione. Nulla, solo ciò che il moro riteneva dovesse subire.
Chi non capiva quando doveva fermarsi doveva morire.
Non coinvolgere innocenti, che siano di Assiah o Gehenna, altrimenti verrò a cercarti e te la farò pagare. Non era così difficile da tenere a mente, piccolo Marus.”

Una chance era la sua regola, il confine tra il diventare un mostro e il mantenere una briciola di umanità. O forse qualcosa per ingannare la verità, che infondo un mostro rimaneva tale, qualsiasi cosa facesse.  Alla fin fine aveva sempre saputo di esserlo.

La boccetta che arrivò in faccia al rosso era la più concentrata che avesse portato con sé, giusto per quell’evenienza. Si aspettava un finale del genere, ma sperare non aveva mai fatto male a nessuno. La speranza era una delle poche cose che provava tuttora.

Tornò in posizione eretta, osservando come Marus si dimenava in preda a dolori lancinanti. Esalò l’ultima nuvoletta di fumo e buttò il mozzicone a terra, schiacciandolo sotto la scarpa.
Odiava fare affari con gente come quella.
Erano vent’anni che non ne toccavo una e guarda che mi combini Shiro. Tutta colpa tua, dannato cretino.

Pochi minuti dopo il demone poggiava immobile sull’asfalto, il suo corpo piegato in una posizione innaturale. In un modo o nell’altro lo avrebbero trovato, ma non lo avrebbe soccorso.
I demoni possedevano i deboli di cuore e chi stava già marcendo di proprio. L’uomo ai suoi piedi mostrava i tipici segni di un umano che stava diventando qualcos’altro.
Il mondo sta deteriorando. È solo questione di tempo ormai.

Il telefono vibrò, attirando la sua attenzione.
Sul display apparve un numero sconosciuto, cosa che trovò leggermente strana. Non dava il suo numero personale a chiunque lo chiedesse. Tuttavia decise comunque di rispondere.
Per quella notte aveva finito. L’amarezza l’avrebbe riservata per la notte successiva.
“Pronto?”

Strano che provasse amarezza per l’accaduto di quella notte, eppure ogni qualvolta la situazione prendeva quella piega e doveva agire per rimettere le cose al proprio posto, sentiva che le sue interiora si rivoltavano, come a creare un nodo che bloccava tutto il suo corpo.
Agi Ruze?” Ma riusciva ancora a sorprendersi. Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille.
Quella chiamata risollevò lievemente il suo umore.

“Vedo che ha seguito il mio consiglio, signor Faust.” Una dose di sorpresa al giorno era ciò che mancava alla sua quotidianità e quell’uomo sembrava esserne pieno. Sperava solo che fossero sempre così positive, almeno quelle volte che decideva che gli serviva qualcosa.
Perché nessuno chiamava Agi Ruze per la sua personalità raggiante.

Quella proposta è ancora aperta?” Si accese un’altra sigaretta. Avrebbe dovuto aspettarsi di ricadere in quel vizio, eppure non riusciva più a smettere e non poteva fare a meno di dare la colpa al deceduto paladino, per quanto sembrasse infantile.
Chissà perché aveva cominciato in primo luogo tutti quegli anni prima. Perché scaricavo la rabbia in modo alquanto violento, ecco perché.
Quei monologhi interiori si facevano sempre più irritanti, anche perché era la voce di Shiro a parlare. Anche da morto se lo portava appresso.

Espirò la tossina, inarcando le sopracciglia. Nessuno chiamava solo per Agi.
“Cosa posso fare per lei?”




“Devi smetterla. Guarda come ti stai riducendo!” Disse il biondo, fasciandogli il fianco che solo qualche minuto prima sanguinava copiosamente.
Quella storia andava avanti da due anni e sinceramente l’esorcista ne aveva piene le tasche. Ogni volta che si presentava, il moro era sempre ferito gravemente e a malapena si reggeva in piedi. E per cosa?

Agi non gli rispose, troppo indaffarato a non urlare per il dolore. Era un miracolo che non avessero colpito qualche organo e non era in vena di discutere. Voleva solo un piatto di riso al curry e dormire fino alla fine dei tempi, se possibile.

“Agi, guardami. È una pazzia.” Lo costrinse a guardarlo, alzandogli il mento con una mano sporca del suo sangue. I suoi occhi erano di vetro, troppo stanchi per litigare e tantomeno pensare. Aveva le occhiaie e le guance avevano perso la tipica sfumatura rosata. Era stremato.

Sospirando, lo prese sottobraccio e lo portò in cucina, mentre gemeva per il dolore. Soffrisse pure, se lo meritava per tutte le volte che si presentava nel mezzo della notte in quello stato.
Lo fece sedere al tavolo e lo guardò mangiare con tale lentezza che si chiese se avesse parenti bradipi. Ma capì che cercava solo di guastarsi ogni boccone.
“Da quando non mangi?” Intuiva che la risposta non gli sarebbe piaciuta.

“Circa due, tre settimane. Non avrei avuto problemi a non mangiare anche per di più, se non per il fatto che stavo inseguendo quel bastardo. Dovevi vedere la sua faccia quando l’ho preso, dannato verme.” Si erano conosciuti solo due anni prima, ma il moro lo faceva preoccupare come se fosse sangue del suo sangue. Era snervante.

“Non concluderai niente così. Diventerai solo debole, fino al punto in cui non sarai più in grado di fare nulla.” Rise lievemente, irritando Shiro ancor di più. Agi stava male e non se ne voleva rendere conto.
“Non sono tua madre, tua sorella o chiunque tu voglia, ma ti chiedo solo di stare più attento. Comincia un corso di pugilato, Karate, qualsiasi cosa. Devi saperti difendere a mani nude.”
Finito di mangiare, lo accompagnò in camera sua, adagiandolo sul letto. Quel dannato ci passava più del biondo, era il suo letto per l’amor di dio!

“Grazie Shiro…” Sussurrò, in bilico tra questo mondo e quello dei sogni.

Sarebbe stato la sua rovina.





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Come ci sono anche quelli che, a causa di patto infranto, si infastidiscono tanto da far nascere una domanda più che legittima da parte di chi fa il torto.
Chi sei tu?










Buonasera! Mi scuso per il capitolo un po' cortino e pieno di seg*e mentali, ma non sono riuscita ad allungarlo di più.

Ebbene si, Agi fa affari con demoni e simili, e credo si capisca perchè, non di preciso, ma ci ho accennato. Poco pochino.
Non voglio che se ne abbia una cattiva impressione, ma ha problemi di autocontrollo, almeno li aveva a suo tempo, quindi cominciò a fumare; smise fino alla morte di Shiro, ma dopo non riesce più a fermarsi. Il carico emotivo è troppo e ricomincia di nuovo.

Ringrazio Zefiria BlackIce r Lulosky di aver commentato, Nachico_nene di avela aggiunta alle preferite e Morganalastrega di averla aggiunta tra le seguite, mi fa un grandissimo piacere!
Spero questo capitolo sia stato di vostro gradimento (anche se corto).

Alla prossima

   

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Capitolo 4
*** Io odio il Giappone ***


MOCHI

Capitolo 3 – Io odio il Giappone



 


Delle volte capita che agiamo in modi impensabili, totalmente fuori carattere.
Alcuni dicono che lo fanno per cambiare, altri perché sembra la cosa giusta da fare.
La verità è che fare scelte totalmente illogiche è parte della nostra natura di esseri senzienti.
Delle volte fare un salto è ciò che serve.
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Al lavoro dicevano tutti che fumare faceva male.
 
Il capo, non aspettandosi che avesse quel vizio, la prima volta che aveva visto i rivoli di fumo uscire dalla sua bocca era rientrato nelle cucine, nonostante fosse appena uscito. Aveva sempre saputo che era un po’ strano, ma lo stipendio era ottimo, perciò non si lamentava.
I colleghi, convinti che fosse successo qualcosa di terribile, narravano allegramente che una bella bevuta sarebbe stata un toccasana.
Era sì una cosa normale adoperarlo in cucina, ma di certo se c’era una cosa che detestava più del fumo era l’alcool.

Tuttavia non vedeva dove fosse il problema.
Era puntuale, veniva addirittura in anticipo, cosa degna di nota date le sue attività notturne, dava il massimo per rendere felici i palati dei clienti e per di più non aggrediva verbalmente nessuno, anche se ne aveva tutte le ragioni…

… chi cerco di prendere in giro.

Non avrebbe mai ammesso di aver fumato tre pacchetti di sigarette il giorno prima.
Venti sigarette per pacchetto.
Sessanta sigarette.  
Una sigaretta ogni 1440 secondi, 24 minuti o 0,4 ore.
La cosa si sta facendo seria.

A dispetto di tutta quella questione, la domanda del giorno era un’altra.
Perché aveva acconsentito a ritornare in quel posto dimenticato da dio?
La risposta in un primo momento fu: la paga. Eppure non poteva essere solo quello.
Decidendo che era inutile ponderare sulla questione, mise da parte l’argomento per un secondo momento.

Continuava a dirsi che erano inutili le loro preoccupazioni, ma la verità era che prima di partire aveva comprato quattro pacchetti.
E sono già a metà del secondo.

Erano passate due settimane dalla morte di Shiro.
Solo entrare in quella dannata città era stomachevole. L’unico sollievo era di non mangiato durante il volo, altrimenti avrebbe dovuto comprarsi un nuovo paio di scarpe e quelle che aveva addosso erano il suo paio preferito.

Non sapendo come orientarsi nella citta della Vera Croce, aveva chiamato un tassista con il preciso scopo di arrivare all’accademia in tempo e preferibilmente di buon umore. Inutile dire che, come tutti gli altri prima di lui, la prima cosa che vide fu la sigaretta.
Stava diventando irritante.

Sapendo che ad attenderli ci sarebbero stati circa cinquanta minuti di viaggio (era ora di punta da quelle parti), il tassista accese la radio su un canale di musica classica, preferendo farsi i cavoli propri, nonostante si fosse dimostrato molto cordiale.
Doveva aver visto che l’irritazione usciva da tutti i pori del suo corpo.

Tornando alla questione della giornata, due giorni prima Faust aveva deciso di usufruire della proposta, offrendo ad Agi un posto di lavoro alla propria accademia.
Tutt’ora non sapeva cosa farsene di quell’invito. Chiunque altro avrebbe reagito facendo salti di gioia, cantando, o qualunque cosa si facesse in quei casi.
Ciò nonostante, l’atteggiamento allegro, quasi menefreghista su certi livelli, per non parlare di snervante, dello spilungone suscitava solo un certo fastidio. Nessuno chiama solo per me, cosa mi aspettavo? Che Shiro tornasse miracolosamente in vita?

Non sapendo che altro fare, cominciò a battere leggermente il piede sul pavimento dell’auto. Era una situazione mai affrontata prima, cosa fare?

Quell’assillo annebbiò a tal punto la sua mente che neanche si accorse quando arrivarono. Imprecò sottovoce in una lingua che il tassista non comprese, scendendo dall’auto.
Ringraziò l’uomo, pagandolo più di quanto avesse chiesto, e lo istruì su dove dovesse portare le valige che aveva deciso di portarsi dietro. Era più che probabile che decidesse di rimanere.
Chi compra un appartamento se non è certo che rimarrà?

La sua ultima richiesta fu il suo numero, perché non aveva la più pallida idea di come avrebbe fatto a raggiungere l’appartamento per conto proprio.

Quando la macchina partì, si concesse finalmente un primo sguardo sull’Accademia della Vera Croce.
I modi pomposi del suo preside si riflettevano sull’architettura del posto; certo, era spettacolare, dotata probabilmente di strumenti all’avanguardia e quella roba di cui ai professori piaceva tanto vantarsi, uno dei posti più fastosi che avesse visto.
Si rassegnò al fatto che probabilmente sarebbe stata la sua nuova casa, perciò non poteva lamentarsi. E poi cosa era tutta quell’incertezza che sentiva dentro? Si schiaffeggiò mentalmente, vergognandosi di tale comportamento.
Non veniva certo a combattere una guerra, ma solo per invito del capo di quel posto, un invito a lavorarci!

Si accese una sigaretta, inspirando profondamente. Quella situazione aveva del ridicolo.

Non volendosi ridicolizzare oltre, varcò il cancello.
Un guardiano domandò chi fosse non appena lo fece. Certo che erano efficienti da quelle parti.
“Ho un appuntamento con il signor Faust.” L’uomo portava una divisa nera e aveva la testa piena di riccioli biondi; portava anche un bel paio di occhiali da vista, di quelli che non si vedevano in giro spesso.
“Devo avvertirlo del suo arrivo, signor…” Ma che carino, era impacciato.
“Agi Ruze. Non si scomodi, sono certo che non sia necessario.” Per qualche motivo aveva il presentimento che, non appena avesse messo piede in città il pagliaccio già lo sapesse. Perché sprecare energie per dirgli qualcosa che già sapeva? Ma poteva sbagliarsi, dopotutto era solo un presentimento.
“Se le sta più comodo… le auguro una buona giornata.” Con la storia del presentimento poteva benissimo affermare che quel biondino fosse un professore e sbagliarsi completamente.

“Anche a lei.” Così com’era apparso, se ne andò.
Si incamminò verso la sua destinazione, assaporando la quiete.
A quell’ora non c’era anima viva. Le lezioni erano iniziate da una settimana, quindi se la prese comoda, per così dire.
 
Vedere tante zone verdi e alberi sul suo tragitto fu una piacevole sorpresa, non si aspettava che le strutture si integrassero così bene con la natura. Forse il suo soggiorno non sarebbe stato così da incubo come se l’era immaginato in un primo momento.
Proprio non riusciva a farselo piacere quel paese.

Camminando ebbe tutto il tempo di riflettere su quell’inquietudine. Cosa poteva esserne la causa… il fatto che l’ultima volta che aveva visitato quel luogo era per un funerale? Probabile.
Che Faust fosse particolare, per mancanza di altri termini? Forse, ma poco credibile.
Magari era proprio tutto il posto a essere anomalo. Poteva sbagliarsi, ma aveva come l’impressione che la terra stessa fosse impregnata di energia demoniaca. La cosa peggiore è che non ne comprendeva l’origine.

Giungendo alla fine dell’ennesima scalinata, intravide a un centinaio di metri da sé una fontana, con tanto di panchine ai lati e una gigantesca quercia dietro essa.
Era forse la sua pianta preferita in assoluto. Aveva una sorta di rispetto per qualcosa che viveva nei secoli, superando catastrofi naturali che altri potevano solo sognarsi di sopravvivere.

Si sedette un attimo per riposarsi e godersi il bel tempo su una delle panchine, rimanendo lì per qualche minuto, immobile, a osservare le nuvolette nel cielo. Era davvero una bella giornata.
Fu quasi automatico prendere la sigaretta e accenderla, inalando quella tossina.

Finita la sigaretta, che buttò a terra, si rialzò, schiacciandola con la scarpa, non volendo certo far appiccare un incendio in un luogo del genere.

Girandosi per continuare la sua camminata, quasi inciampò, fermandosi giusto in tempo.
In un primo momento non capì cosa fosse successo, poi guardò a terra e ci trovò il cane più strano che avesse mai visto: un terrier bianco, con due occhioni verdi e un fazzoletto rosa a pois bianchi attorno al collo, tenuto da una strana spilla.

Ripiegò le ginocchia, avvicinandosi a lui.
“E tu chi sei?” Nell’istante stesso che proferì quella domanda pensò a quanto fosse stupida. Come faceva un cane a rispondere? Si vede che il poco riposo sta avendo effetti drammatici sull’attività neuronale.
Quando la sua attenzione ritornò su di lui, avrebbe giurato che avesse un’espressione annoiata. Considerò che forse la sua mente si prendeva gioco dei suoi occhi, ma ispezionandolo con più attenzione si rese conto che era davvero così. Il cane è annoiato con me?
Agi non capì cosa avesse fatto di male, non lo conosceva neanche quel terrier! Poi, riflettendoci su con più scrupolo, si ricordò del mozzicone di sigaretta che aveva buttato a terra.
Batté la testa alle ginocchia.

Alzandosi di nuovo in piedi, lo raccolse e lo portò al cestino più vicino, buttandocelo. Farsi rimproverare da un cane era una cosa assurda, non che gli desse torto. Le sue cattive abitudini non erano il massimo della vita e, per quanto s’impegnasse a migliorare, non ci riusciva. Sarebbe stato più facile smettere di nuovo di fumare.

Ritornando dal cane, questa volta notò che aveva un’espressione meno annoiata. Bene.
“Scusa, per quanto ci provi, mi dimentico sempre di buttare le cicche. Quando poi ci ripenso è troppo tardi.” Riflettendoci, se a Faust dava fastidio che gli si bagnassero i vestiti, a quanto aveva visto l’ultima volta (non lo dava a vedere, ma per chi sapeva cercare non era tanto difficile percepirlo), il fatto che lasciasse mozziconi ovunque avrebbe avuto cattive ripercussioni.
Avrebbe dovuto smettere.

Tirò fuori il pacchetto di sigarette e l’accendino, rigirandoseli tra le mani qualche momento, prima di buttare anche quelli. L’ultima volta aveva smesso allo stesso modo. L’importante era evitare le tabaccherie a quel punto. E i fumatori.
Il fatto più sorprendente fu che il terrier non si era spostato di un centimetro, osservando tutta la scena. Gli sorrise, avvicinandosi a dove era seduto.
“Prometto di smetterla da questo momento in poi.” Piegò le ginocchia, accucciandosi proprio davanti a lui. Era davvero un bel cane.
Lo grattò dietro un orecchio, e giurò di aver visto il terrier alzare gli occhi al cielo. Non aveva abbaiato neanche una volta in quel lasso di tempo, comportandosi da essere senziente più di certe sue conoscenze. Doveva essere molto intelligente.

“Va bene, non ti piace che ti si tratti da cane, ho capito.” Alzò le mani in segno di resa e solo allora, vedendo l’ora che segnava l’orologio, si rese conto di essere a rischio di ritardare all’appuntamento. Non andava per nulla bene.
“Mi dispiace bello, ma il dovere chiama.” Con quelle parole, alzandosi l’ennesima volta, lo lasciò, affrettandosi verso l’edificio centrale, in cui c’era la presidenza.

Solo allora si trovò in difficoltà. Non sapeva dove andare.
Chiese a qualche alunno che scorrazzava per i corridoi se potevano mostrare in che direzione si trovasse l’ufficio di Faust; avevano tutti reazioni diverse udendo il nome del preside: alcuni si meravigliavano, altri apparivano raccapricciati, altri ancora guardavano Agi come se avesse qualche rotella fuori posto e così via. Alla fine, in qualche modo riuscì ad arrivare all’ufficio di Faust in perfetto orario.
Non entrò subito, decidendo di aspettare qualche minuto. Si limitò a scrutare dalla finestra anteponente alla porta della presidenza, che offriva una vista spettacolare dell’accademia dall’alto, così come anche della città.

Certo che Shiro era stato una calamita vivente per gente del calibro di Agi e Faust.
Erano diversi, lì dove lui era esuberante, egocentrico e appariscente, Agi era più tranquillo e riservato, anche se le apparenze di solito ingannano. Tuttavia, differentemente dal preside, Agi sapeva tenere a bada le sue stranezze.

“Signor Ruze?” Disse una donna alle sue spalle. Aveva il passo leggero, ma l’aveva sentita arrivare.
Era una donna bionda, sulla trentina, di bell’aspetto. Dal grembiule dedusse che fosse una cameriera. Se le sceglieva proprio carine.
“Si, signorina…” Le rispose, facendola arrossire. Per di più era anche timida, che tenera.

“Mayuri Anna. Il signor Faust la attende dentro.” Quasi sussultò udendo quel nome. Anna, proprio come…
La donna indietreggiò di qualche passo, accostandosi al portone e aprendolo.
“Grazie, signorina Mayuri.” Si ricompose, sorridendole. Non era lei, non la sua Anna, e causare una scenata sarebbe stato fuori luogo.
Anna non c’è più.

Quando girò la testa verso l’interno della stanza, quasi rise. Ci avrei scommesso che nascondeva qualcosa sotto quel cilindro.
Il preside era seduto dietro alla scrivania, intento a leggere dei fogli con un’espressione leggermente irritata, non che lo desse a vedere più di tanto. Quel ciuffo era davvero ridicolo, non che glielo avrebbe detto, sapeva per esperienza che quando gente di quella sorta si arrabbiava le cose andavano male. Non per questo non si sarebbe fatto una risata a sue spese.

“La scuola non ha fatto in tempo a cominciare che gli studenti già combinano casini?” Doveva aver udito il rumore dei passi di Agi, perché non fu sorpreso di udire la sua voce. Anzi, sorrise.

“La gioventù è così piena di energia oggigiorno, non voglio bloccarla. Sono oltremodo carini, ma di tanto in tanto superano il limite.” Posò i fogli, alzandosi. Cappello o no rimaneva comunque uno spilungone.
“Ruze, è un piacere rivederla. Si accomodi.” Non se lo fece ripetere due volte, sedendosi su una delle poltrone a strisce accanto alla scrivania. Lui intanto si affacciò alla finestra.

“Deduco che abbia deciso di accettare la mia proposta, ne sono deliziato.” Più che accettare era dare il beneficio del dubbio, il Giappone non era tra i suoi posti preferiti e, dopo gli ultimi avvenimenti, la sua opinione in proposito del paese in questione era precipitata più in basso di prima. Era lì per decidere se ne valeva la pena.
Dare le spalle a un ospite non era il modo migliore per persuaderlo.

“Non la prenda come scortesia, ma perché dovrei farlo? Voglio dire, prima ci venivo solo per fare delle visite a Fujimoto, molto di rado per giunta, perché non mi è mai piaciuto questo paese. Ora, solo metterci piede mi dà il voltastomaco. E per favore, mi guardi in faccia quando mi risponde.” Era pura e semplice cortesia, quella che concedeva a tutti. Pretendeva la stessa cosa nei propri confronti.
Quando si girò nella sua direzione, sul volto aveva quel sorrisetto a trentadue denti che poco a poco stava cominciando ad associare esclusivamente a lui.

“Per cambiare il panorama?”
Agi aprì la bocca per rispondergli, ma ammutolì. Per cambiare il panorama?

L’incertezza di Agi doveva essere chiaramente visibile.
“Io dopo sei anni in quel posto mi annoierei a morte.” Era una presa in giro? Sembrava di sì.

“Guardi che la Russia è un paese vasto e di grande bellezza, di panorami ce ne sono in abb-” Faust non prese Agi sul serio, agitando una mano come per scacciare una mosca, un po’ annoiato.
“Non basterebbe una vita per visitarla tutta, tanto è estesa. In confronto il Giappone, anch’esso ricco di bellezze, è piccolo e quindi esse più sono concentrate. Un cambio di panorama è ciò che le serve, Ruze.” Lo guardò per un po’, sentendo un certo sconforto.
Aveva espresso una valida ragione per far accettare ad Agi il lavoro.

“Mi dia il contratto per piacere.” Alla fine proclamò, non sopportando più quell’espressione di chi sa di essersi aggiudicato la vittoria.
Non era più un mistero come si facessero a conoscere lui e il paladino. Le singolarità l’avevano sempre attirato.
Non dovette attendere molto, perché prese il contratto da uno dei cassetti della scrivania, porgendoglielo. Non pronunciò parola mentre leggeva, cercando di rilevare se c’erano dei raggiri o trabocchetti.

“Lo conosce proprio bene il giapponese.” Faust intanto se l’era presa comoda, riprendendo posto dietro alla scrivania e poggiando il mento sulle mani incrociate.
“Con uno come Shiro, che l’inglese lo distorceva in modi macabri, ho preferito imparare il giapponese e risparmiare le mie povere orecchie da quello che lui definiva my own English. Quello che diceva era atroce.” Gli rispose, non alzando gli occhi.
Non che scherzasse. Aveva frequentato lezioni di lingua per anni per evitare quell’atrocità.

Tacquero ancora per qualche minuto.
“Firmerò, a condizione che mi alzi lo stipendio. Dove lavoro attualmente mi pagano quasi il quaranta percento in più.” Se doveva rimanere in quel posto a lavorare doveva almeno avere la certezza di recepire una paga degna di tale nome. Dubitava che le tasche del preside ne avrebbero sofferto.

“Sono desolato, ma no.” Buffo, quello che aveva in faccia era tutt’altro che dispiacere.

La sua maschera di tranquillità si incrinò.
“Sa cos’è umiliante? Quando la gente cerca di risparmiare su di te. Solo perché è un lavoro prestigioso non vuol dire che mi farò mettere i piedi in testa.” Quella che inizialmente era solo una questione d’affari divenne una di principio.
Non aveva intenzione di farsi insultare.

Ovviamente, aspettarsi che non avesse un asso nella manica era  da ingenui.
“So che ha acquistato un appartamento in città, dubito che voglia sprecare tutto quel denaro per una visita di piacere.” Si stupì. Il presentimento di prima si era rivelato fondato dopotutto. Aveva seguito ogni sua mossa… quindi il biondino occhialuto era un professore allora?

“È qui che si sbaglia. Sono ancora capo chef al Perce-Neige e una casa delle vacanze mi farebbe comodo. Sa, mi seccherebbe dover pagare l’hotel ogni qualvolta voglio visitare la tomba di Shiro.” Era una mezza verità, perché quel paese non solo lo evitava, lo odiava, ma Faust non lo avrebbe saputo. Non era affare suo.

Si guadarono a lungo.
Non aveva mai particolarmente amato il verde, se non in natura.
C’era qualcosa di famigliare in quel guardarsi a vicenda, aspettando che uno dei due si arrendesse. Solo che in passato quei piccoli conflitti erano nati per motivi infantili.

Per l’ennesima volta, si perse nei ricordi.
L’ultima cosa che si aspettava era che l’altro si mettesse a ridere fragorosamente.
“Ora mi è chiaro perché lei e Fujimoto eravate amici. E sia! Mi piace avere qualcuno con cui bisticciare di tanto in tanto.” Agi trovava difficile inquadrarlo. Come fa a prenderla in questo modo?!

“Non si tratta di bisticciare, Faust. È una questione di rispetto. La rispetterò solo se lei farà altrettanto, solo in tal caso questa cosa non sarà esasperante.” Shiro doveva essere stato molto sconsiderato per esser amico di quella specie di demone sotto mentite spoglie.
Dopotutto di esorcisti, cosa che era per certo, come dimostrava la spilla che portava in petto, di natura demonica ce n’erano in abbondanza per il mondo.

Faust non rispose.
Si apprestò a firmare il contratto, porgendoglielo indietro.

Era fatta.
Ora doveva solo prepararsi al tumulto di imprevisti che si sarebbe fatto avanti.
Poteva sembrare esagerato, ma la tranquillità era un termine che aveva valore solo sulla carta ormai.

“Signor Ruze?” La voce di Faust fu improvvisa, interrompendo i suoi pensieri.
“Si goda il panorama.”



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Delle volte, la decisione di fare il salto si può ricondurre a una causa concreta: la solitudine.
Il problema è che spesso non lo capiamo.











Salve!
Innanzi tutto chiedo scusa per il ritardo, è un mio difetto.

Finalmente posso dire che la storia vera e propria è cominciata, infatti mi sono dilungata un pò di più su questo capitolo, che ho anche dovuto cambiare perchè era un po' fuori carattere dal punto di vista di Agi.
Per il fatto delle sigarette, be'... la cosa andrà e verrà, è un vizio che si terrà per tutta la durata della narrazione, quindi spero non vi disturbi troppo, anche se ovviamente non cerco di influenzare nessuno.

Ringrazio Lulosky per aver commentato il capitolo precedente (e anche per Tramonta il tempo!), mi ha fatto molto piacere. 

L'unica cosa che vi chiedo è di dirmi se ci sono errori di scrittura, perchè mi sono distratta più volte mentre scrivevo. Ho ricontrollato, ma ormai non vedo più nulla...
Non voglio mettermi a elemosinare commenti, ma sapere cosa ne pensate mi farebbe molto piacere.


Alla prossima!


 

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