Fear of Love

di Horrorealumna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bambini e Lettere ***
Capitolo 2: *** Ombre Mostruose ***
Capitolo 3: *** Via di Fuga ***



Capitolo 1
*** Bambini e Lettere ***


Bambini e Lettere

 
- Sembra latte...
Il visino di Laura si rilassò in un placido sorriso. Cominciò a ridere, mostrando i piccoli dentini bianchi dietro le labbra rosee. La città era avvolta da un denso strato di nebbia che aveva reso tutto più bianco, come in una sorta di terra incantata. A volte, Laura credeva che fosse stata colpa di qualche angelo troppo maldestro che, di prima mattina, aveva fatto cadere la propria tazza da colazione e riversato il candido latte sulla Terra. O forse, la strana e misteriosa atmosfera era dovuta alla presenza della fate. Questo pensiero suscitò in Laura un leggero tuffo al cuore.
La bambina di otto anni prese a saltellare allegramente lungo la strada, muovendo elegantemente la gonna che svolazzava piano, dietro di lei. Piano e mellifluamente, la nebbia prese a scomporsi e ad alzarsi in aria.
 
- Forza! Sbrigati, o ti lascerò indietro! - gridò Laura più e più volte, chiamando il suo compagno
 
I due stavano cercando i propri amici...
Ma lui era grasso e cocciuto e tutto quello che faceva era borbottare e accigliarsi. Ma a Laura non importava molto. Avrebbe litigato con lui, se fosse stato necessario, se significava rivederla presto. La persona che le aveva dato quella lettera...
 
 

 
Dall’altra parte delle sporche nubi, c’era lui. Riflesso sullo specchio, c’era il suo viso, freddo e immobile come quello di un cadavere.
Dopotutto, credo di essere morto”  pensò James Sunderland “O almeno... so che lo è il mio cuore”.
Non si sentiva perduto: capiva che non c’era altro da vivere per lui. Era cambiato. Lavoro, tempo libero - non importava più niente oramai. Persino il persistente odore di ammoniaca nell’aria non riusciva a catturare minimamente i suoi pensieri.
I sudici orinatoi erano coperti da una schifosa patina giallastra, simile alla gelatina, e il pavimento era così sporco che sentiva le sue scarpe quasi “incollarsi” sulle piastrelle - sensazione, senza emozioni o reazioni. Piuttosto, l’unico sostituto adatto a lui sarebbe stato un vero zombie.
 
“Mary... sei davvero in questa città?” pensò James, senza finirla di specchiarsi. Non aveva idea di cosa gli era successo prima di quei secondi. Cosa era davvero successo?
 
Con le mani ancorate al lavandino, mosse leggermente la testa, sospirando. Nonostante tutto, quel respiro sembrò ridargli un briciolo di vita; scosse il capo più forte e poi si sfiorò la frangia sulla fronte, come svegliandosi da un momento di delirio. Sapeva che tutto quello era vero, a causa di una lettera.
Uscì dal sudicio posto, sotto il cielo grigio. I bagni pubblici non avevano niente a che vedere con la luminosità del giorno che lo attendeva all’esterno. Un leggero soffio di venti scompigliò un ciuffo di capelli di James; la superficie del lago Toluca era piatta e calma, mentre una strana nebbia vi ci danzava sopra, misteriosa e silenziosa.
 
Nei miei sogni tormentati
Vedo ancora quella città... Silent Hill.
Mi promettesti di portarmi ancora là, un giorno. Ma non l’ha mai più fatto.
Bene, ora sono lì, da sola...
Nel nostro “posto speciale”...
Ad aspettarti...

 
Non c’erano dubbi: Mary aveva scritto e mandato quella lettera. La sua calligrafia era inconfondibile.
Tre anni prima, James passò una bellissima vacanza con lei, in quella città; ora ci era tornato.
Solo.
La sua automobile giaceva, spenta, al lato della strada, in un piccolo parcheggio. Non aveva niente di rotto, ma il tunnel che conduceva al cuore della città di Silent Hill era bloccato per un piccolo lavoro di ristrutturazione. In più, in grosso cancello in ferro bloccava il passaggio ed era impossibile varcarlo senza ferirsi o scavalcarlo. L’unica via di accesso per la città era una scomoda discesa che costeggiava un boschetto e il Toluca.
Dopo aver preso dalla macchina una mappa tascabile di Silent Hill, James cominciò ad incamminarsi, cullato dal dolce infrangersi dell’acqua dolce sulla riva; ad ogni passo che compieva, la nebbia si addensava sempre di più, e quando raggiunse la riva del lago James dovette ammettere di non riuscire più a vedere niente. In ogni caso, i suoi pensieri erano rivolti a Mary e alla lettera, e non all’ambiente. Da qualche parte, lontano, un cane abbaiava come un pazzo, ma lui lo ignorò.
 
Sulla lettera c’era scritto “Mary”.
Ma che idea stupida era?!
Scosse la testa, incredulo e sorpreso da quell’idea impossibile. Non poteva essere vero.
 
Sua moglie, Mary, era morta tre anni prima, per una malattia.



Angolo Autrice:
Ok, lo ammetto, "Fear of Love" non doveva vedere la luce per una serie di motivi; la raccolta è principalmente incentrata sulla cara Alessa e le sue reincarnazioni, e molti di voi lettori, recensori e anche semplici frequentatori del fandom lo sanno. In effetti, sto lavorando sul capitolo di Heather, ma... è come scattato qualcosa, dopo aver passato un'assurda oretta (troppo... e dico troppo misera) a giocare a SH2 e a ripensare a quando mi facevo in quattro per cercare di tradurre l'official novel di questo capolavoro anni fa. 
Sono tornata a Silent Hill, dopo un bel po'... e anche qui su EFP. Mi era mancato, devo dirlo; e sebbene non straveda per James e compagnia bella, adoro la sua tragedia, la sua ricerca interiore e il viaggio per rivedere l'amata Mary, con mostri annessi e connessi.
Fear of Love.
Non ci sono spiegazioni per i più immersi nella saga :3 me compresa. Ma non voglio spoilerare altro xD
La fic è finita. Non è qualcosa campata in aria, così, dal nulla; saranno almeno 4-5 mesi che giace nel mio computer. E ora sono fiera di mostrarvela. Naturalmente, il prossimo Fear of... che riprenderà la trama dei precedenti, arriverà una volta conclusa questa fic.
Grazie a tutti quelli che leggeranno e recensiranno :) Aggiornerò ogni settimana, scuola e impegni permettendo.
Perciò... alla prossima.
Stay Tuned!


PS: so che la storia si discosta tantissimo dai capitoli precedenti. E ho voluto farlo notare anche con la scrittura, che non è in prima persona, ma in terza, puntata sui pensieri e sui movimenti del nostro sfigato protagonista :)

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Capitolo 2
*** Ombre Mostruose ***


Ombre Mostruose


Doveva sicuramente trattarsi di qualche scherzo di cattivo gusto, da parte di una persona senza cuore. Uno scherzo per prendersi gioco di James e del suo cuore ancora sanguinante. Forse da parte dei suoi vicini. O dei suoi colleghi di lavoro. 
In ogni caso, dopo la scomparsa di sua moglie, James prese a bere e a trasformare il dolore in rabbia e frustrazione, prendendosela con chi aveva accanto, tanto che i suoi colleghi, in ufficio e anche fuori, facevano di tutto pur di evitarlo. Era sempre stato trattato come un istigatore, in effetti, e non aveva mai perso tempo a rimuginare su qualche sguardo accigliato o borbottio malizioso a lavoro.
Costeggiando il lago, la fine del sentiero era coperto da alberi e un denso strato di nebbia e la foschia rendeva impossibile capire da che strada si era arrivati. Ma quella nebbia rendeva lo scenario del lago Toluca ancora più intrigante e misterioso di quanto già non fosse; a James non importava: anche se aveva ancora dubbi sulla lettera e sulla sua provenienza e il ricordo della sua amata moglie lo tormentava, era stata quella a dargli la forza di affrontare il viaggio.
Non bisognava così sorprendersi, quando James pensò seriamente ad una specie di miracolo.
Mary era davvero morta tre anni fa? Era morta e poi tornata a vivere? Forse, dopo il funerale e l’uscita dei custodi che avevano lasciato la tomba incustodita, Mary si era svegliata ed era riuscita ad evadere dalla bara? Ma se era vero, perché aveva aspettato tre anni prima di farsi sentire? Forse, il poco ossigeno nel sarcofago, aveva danneggiato la sua memoria o il suo cervello? I guardiani si sarebbero spaventati molto alla vista di una persona che credevano morta pochi minuti prima. Lasciarla senza idea di chi fosse stata veramente, o di che cose stesse facendo là... O forse era stata rapita da profanatori... ?

Ma come poteva pensare cose del genere?!
James batté i denti per la frustrazione. Era irritante quando la sua immaginazione prendeva il sopravvento, proiettandogli nella mente immagini, una più orribile dell’altra. E quando cominciava era quasi impossibile contenersi. L’idea di una risposta ad una qualsiasi domanda sulla “vita” della moglie sarebbe stata capace di far gelare persino il suo sangue e di tormentarlo fino alla morte. 
Ma se è ancora viva, perché non mi ha contattato per tutto questo tempo? Mi stava evitando? E se fosse andata lontano, a vivere con un altro uomo?!
E questi ultimi pensieri lo lasciarono più interdetto che mai. Il cuore delle donne era così difficile da comprendere...
Per un momento, una scarica di odio e adrenalina gli salì fino al cervello, ma che si trasformarono in malinconia e tristezza pochi secondi dopo. No, avrebbe dato tutto e anche di più, pur di rivedere l’amata Mary. Vederla felice lo avrebbe riempito di gioia...

Improvvisamente una figura nera si condensò davanti ai suoi occhi, come sbucata fuori dal nulla, spaventandolo tanto da farlo sussultare. La figura sembrava umana.
- Mary... - sussurrò James.
No, non era assolutamente la moglie di James. Una volta più vicino, notò che aveva i capelli di media lunghezza e neri; era una donna, fredda, immobile, che fissava una grossa lapide per terra. Senza nemmeno notarlo, James era appena entrato in un cimitero. Sentendo qualcuno al suo fianco, la donna sussultò lievemente per la sorpresa e si girò verso il nuovo arrivato. 
Lui cominciò:
- Scusa, non avevo intenzione di spaventarti. Sto cercando una città chiamata Silent Hill. Ti dispiacerebbe dirmi se questa è la strada migliore?
- C-città? Vai in città? - La donna chinò il capo, pensierosa e ancora sorpresa. Anche se i suoi lineamenti potevano solo appartenere ad una giovane, oscure e pesanti occhiaie la rendevano quasi spettrale.
- Sì.
Lei esitò per un momento, poi rispose piano:
- ... sì. E’ la strada giusta. So che è un po’ difficile vedere dove si va, con questa nebbia. C’è una sola strada... non puoi perderti.
- Grazie.
- Ma...
- Cosa c’è?
- Sarebbe meglio non avventurarsi troppo... perché... quella città ha qualcosa di strano. Come posso spiegarmi... ? E’ pericoloso.
- Solo per la nebbia?
- No, ma... anche dei...
Cosa la rendeva così ansiosa e a disagio? Non sembrava in grado di dire altro senza balbettare ed era comunque senza senso continuare a parlare riguardo quello strano argomento. 
- Capito - rispose James - Farò attenzione.
- Ehi, non sono impazzita! - urlò la donna appena lui prese ad incamminarsi lontano - Sono in questa città per mia Mamma! Sono anni che non la vedo. E... e q-questa città...
La sua era una voce isterica. James non sapeva perché, improvvisamente, quella voce si era alzata così, alta e squillante, in risposta a pochi bisbigli. Sicuramente aveva... qualche problema. Lo stesso si poteva dire di James, comunque.; ma quello era il momento peggiore per preoccuparsi di quella donna. Le credeva, ma il desiderio di rivedere Mary era troppo forte. 
Lasciando la donna indietro, James attraversò velocemente il camposanto, lasciandosi alle spalle la foresta e il lago. I suoi pensieri si riposarono su Mary. Sulla lettera c’era scritto “Ti aspetto nel nostro posto speciale”... ma cosa intendeva? La risposta alleggiava, dimenticata, nei ricordi di tre anni prima.
I l luogo designato poteva trattarsi del parco o dell’hotel. Ricordava come loro due spesero tanto, un giorno, per prenotare la suite più grande della struttura e di come si divertirono a ordinare strane pietanze col servizio in camera. E durante una loro romantica passeggiata per la città, si imbatterono nel parco sul lago; seduti su una panchina, guardano le barchette rientrare al piccolo molo e qualche bambino con in piedi bagnati, che giocava sulla riva. Finirono per passarci un giorno intero, godendosi quello scenario e la compagnia dell’altro. 
Mary lo aspettava all’albergo o al parco?
Le foglie secche che si frantumavano sotto il peso di James, erano sparite, lasciando l’uomo su una moderna strada asfaltata e deserta. Una specie di tunnel, poi, attraversava quella che pareva essere il sottopassaggio dell’autostrada; James continuò, dritto, arrivando dopo pochi minuti, in una delle strade principali della città. La mappa la indicava come Sanders Street, nel quartiere più a est di Silent Hill. Continuando verso ovest, sarebbe arrivato al centro della città.
Il rumore dei suoi passi riecheggiò lungo la strada vuota. In effetti... erano l’unico suono udibile: i rumori di una normale città non erano presenti. Era una piccola città, certo, ma quel silenzio non sembrava normale. E la nebbia che offuscava la vista rendeva tutto più spettale. Scuole, negozi e uffici sembravano chiusi, per via del meteo, forse... ma il parco era solo a mezz’ora di cammino da là. Mary poteva essere là ad aspettarlo. 
Il viaggio avrebbe avuto un senso.

Appena arrivato all’incrocio per Lindsey Street, assistette a qualcosa di disturbante: la strada sembrava macchiata di sangue... no, sembrava che la scia rossa che serpeggiava lungo la via. James indietreggiò per lo shock; la vista di qualcosa che aveva, anche lontanamente a che vedere con la morte, era capace di riaprire vecchie ferite. Stette senza parole per un momento, con gli occhi fissi sulla strana scia. Il sangue sembrava ancora fresco; doveva essere appena successo qualcosa di orribile, come un omicidio, nascosto dalla fitta nebbia. Ma della vittima non c’era traccia e, stranamente, l’area non era bloccata.
Poi, il suono di passi strascicati, fece cessare quegli oscuri pensieri. Davanti a lui, una figura umana si addentrava nel mezzo della nebbia.
- Hey!
James cominciò a rincorrerlo. Da quando aveva perso la moglie, era rimasto indifferente al resto del mondo, ma non poteva certo ignorare sangue per strada. Probabilmente, abbandonare qualcuno bisognoso di cure, o persino in punto di morte, era qualcosa di troppo. Persino per lui. Quell’uomo era stato ferito e aveva perso molto sangue, mentre andava a trascinarsi, solo, per Silent Hill. E senza scarpe, da quello che udì James.
Non importava quanto l’uomo chiamò e urlò al ferito: la figura fugace non si fermò. Forse perché impaurita per un nuovo attacco? E nonostante tutto, come faceva a muoversi così veloce? Perché la distanza tra i due era ancora così elevata da non consentire a James nemmeno di intravedere il ferito? Ora stava procedendo verso nord, su Nathan Street, che se percorsa fino alla fine conduceva fuori da Silent Hill... il sangue si ripresentava per terra, a lunghi scie irregolari, che condussero James in una strada ancora in costruzione, recintata da grate di ferro e filo spinato, e un altro piccolo tunnel. Non c’era nessun operaio, naturalmente, nei paraggi e la figura sembrava sparita.
Ma all’improvviso un improvviso baccano echeggiò verso James, dal tunnel. Anche se probabilmente doveva essere stato vietato l’ingresso ai non-addetti ai lavori, l’ingresso era semplicemente bloccato da piccole assi di legno, facili da oltrepassare; accanto, sul freddo asfalto, giaceva una piccola radio tascabile, che apparteneva, probabilmente, a uno dei costruttori. Raccolta, James cercò di accenderla, ma al posto della musica, l’unico suono udibile era quello tipico di alcuni vecchi apparecchi elettronici, simile al fastidioso rumore di statico; in quel momento si rese conto anche che...
Non ho toccato la levetta del volume... ma allora perché il rumore dello statico si fa sempre più forte?
Il suono di passi. Ecco cos’altro si faceva vicino.
Dall’oscurità del tunnel emerse una figura traballante. James cominciò a preoccuparsi non appena capì che la cosa che lo aveva condotto lì... qualunque “cosa” fosse... non era umana. Le braccia della creatura sembravano fuse col corpo, composto da carne decomposta e sudicia; non presentava occhi, né naso, né bocca, o altri tratti distintivi per una normale persona. Si muoveva barcollante come un ubriaco, mentre il busto sembrava in preda a strane convulsioni che facevano assomigliare la camminata ad una specie di danza scomposta. Non era ferita. E il sangue a chi apparteneva? Chiaramente, la creatura non doveva trattarsi della vittima, ma del carnefice.

Tremante come una foglia, James si ritrasse inorridito. Terrorizzato e preoccupato di non far avvicinare troppo a sé il mostro. Voleva scappare. Sarebbe stato così facile tornare indietro e superare le basse travi di legno... ma non lo fece: giratosi di fretta, raccolse una delle assi più piccole dalla barricata, pieno di vigore e adrenalina, per usarla come arma. Non sapeva nemmeno lui il motivo di quel suo gesto stupido e insensato, ma non poteva sopportare il fatto che certe strane creature esistessero. E non era certo saggio lasciare il mostro libero per la città a creare confusione. In ogni caso, la ragione della sua scelta non aveva niente in comune col coraggio o con la giustizia.
Era disgusto.
Raccogliendo tutta la forza che aveva nelle braccia, James alzò l’asse, puntando la testa deforme della creatura e colpendolo forte. Il mostro vacillò e, anche senza bocca, lanciò un urlo soffocato. Ancora e ancora, più e più volte, l’arma dell’uomo si abbatté sulla massa animata, fino a perdere il conto dei colpi, fermandosi solo quando la creatura, ferita, cadde sulle ginocchia, atterrando per terra, su un fianco. E prima di morire si dimenò, a scatti ritmici e orribili, contorcendosi in pose innaturali e squittendo. Poi si immobilizzò.


Angolo Autrice:
Ecco il secondo capitolo, gente! Cercherò di essere costante nel pubblicare i capitoli, perciò credo che uno alla settimana sia sufficiente :) Dopotutto, come si può notare, si è subito entrati nel vivo della storia e i capitoli sono tutt'altro che "statici" e piani. Con un protagonista come James non si può fare altrimenti xD
Ringrazio chi legge e segue, come
clif e Blue Alessa
Alla prossima! Besos :3
alessa


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Capitolo 3
*** Via di Fuga ***


Via di Fuga


- E’... morto?
James toccò piano il mostro con l’asse, riscontrando che la creatura era definitivamente immobile. Quella che giaceva, per terra, era solo una schifosa massa informe e rossa, non più simile ad una persona; il “viso” era ridotto parecchio male e c’era uno strano liquido che gli colava sul “petto”. Non c’erano più dubbi: quel mostro era finalmente morto.
- Che diavolo era quella cosa?
Non importava quante volte gli occhi dell’uomo si posarono sul cadavere; cose del genere non esistevano e non avevano senso di esistere. Poteva trattarsi di uno strano esperimento scappato da qualche laboratorio dalle vicinanze? Giocò con le diverse possibilità razionali che gli passavano per la mente, ma tutte erano senza capo né coda. L’asse insanguinata era caduta per terra, accanto alla creatura.
All’improvviso la radio ritornò al centro delle attenzioni di James, che la squadrava nella sua mano, con sospetto: appena il mostro si era avvicinato, la radio aveva emesso il rumore fastidioso di prima, ma ora che la creatura era morta, l’oggettino era diventato muto. Eppure, un secondo dopo, riprese vita. James si guardò attorno, in cerca di altri mostri. Ma era solo... era tutto così diverso. Ascoltando con attenzione, gli sembrò di udire una flebile voce femminile, oltre lo statico. James sussultò. Mary!
Quella era la voce di Mary.
Prese saldamente la radio e l’avvicinò all'orecchio.

- A............................................. sono.......... e................ Vieni a................ woodsi.............menti ..... non.............. si................................. endo f................................ perché................... -u mi h........................ Jam................

La radio si faceva sempre più vicina alla tempia di James, che intanto era diventato avido di sentire ancora. Ma la voce della moglie si affievolì, fino a scomparire del tutto; lui spinse tutti i pulsanti e le levette ma la voce era completamente scomparsa. Arrendendosi, mise la radiolina nella tasca della sua giacca, lasciandola accesa per qualsiasi evenienza e sospirò: forse Mary era arrivata alla stazione radio, o a qualche torre di controllo della città, e stava cercando di lasciargli un messaggio. Forse la lettera non era altro che un semplice indizio per qualcosa di più grande. Ma se questo era vero, allora perché la radio della sua automobile non aveva trasmesso nessuna voce? Come poteva, una stupidissima radio rotta, ricevere un segnale così lontano?
Ripercorse i suoi stessi passi fino a ritornare in città, in cerca degli Appartamenti Woodside, come, fievolmente, tra il fastidioso statico, Mary gli aveva suggerito. Comunque, c’era un problema: non aveva idea di dove fossero e sulla mappa non erano segnati; e la prospettiva di incontrare dei residenti andava a diminuire ogni secondo di più. James cominciò a camminare per Linsdey Street, poi per Nathan Avenue, non molto lontano dal Parco Rosewater, uno dei suoi “posti speciali” . Dato che gli appartamenti erano sperduti, chissà dove, poi, avrebbe potuto direttamente tagliare per il luogo di ritrovo. Ma l’ombra di due persone che emergeva dalla nebbia lo attirò.
- Ehi, voi due! - urlò lui cercando di catturare la loro attenzione; dopo un secondo prese a correre verso di loro. Ma non appena il familiare rumore di statico si ripresentò, forte quando prima, proveniente dalla radiolina nella sua tasca dovette fermarsi di botto. La sua voce li aveva spinti a voltarsi e le figure sembrarono fissarlo, immobili. E non appena mossero piccoli ed incerti passi verso il forestiero, James notò che qualcosa era sbagliato: si muovevano a scatti, assumendo posizioni innaturali e contorcendosi mille volte meglio di qualsiasi acrobata. Erano mostri, esattamente uguali a quello che James aveva ucciso poco prima.
La stessa sensazione di orrore e disgusto si ripresentò nell’uomo: voleva distruggerli, frantumare le loro teste come aveva già fatto - qualsiasi cosa per liberarsi di quelle empie figure.
James realizzò, improvvisamente, che dopo la battaglia aveva abbandonato la sua arma, il lungo pezzo di legno. Per un momento, prese in considerazione l’idea di prendergli a pugni, ma sapeva che il solo tocco di quei mostri, di toccare quella viscida pelle lo avrebbe fatto crollare e abbandonare la battaglia, magari lasciandolo scoperto e rischiando la vita. Erano due, lui era solo. Il conflitto fu impossibile: corse veloce, preparato, verso sud, prima che le creature si fossero avvicinate troppo, verso Katz Street, poco lontana dal centro, per poi Neely Street. Le convulsioni delle creature le rallentavano l’andatura e, in poco tempo, non furono più visibili per via della nebbia. Lo statico della radio si era abbassato di intensità, per fortuna. Rispondeva alla presenza di mostri, era certo. Ma come poteva riuscirci? Era rotta. Raccoglierla era davvero servito a qualcosa, dopotutto. Comunque, per quanto i mostri fossero lontani e invisibili, lo statico non accennava minimamente a svanire del tutto.
James superò l’incrocio di Martin Street e Katz Street, arrivano anche a superare la Neely Street. Continuava a correre davanti a sé, diretto ora a Munson Street, dato che molte altre vie erano infestate.
- Ma che diavolo succede? - mormorò. I mostri avevano invaso la città, o qualcosa del genere? Anche Katz Street pullulava di esseri privi di braccia; le vie da percorrere sembravano essere terminate. James era paralizzato dal terrore e poteva solo osservare i movimenti scomposti delle creature che danzavano attorno a lui, nella nebbia. Non c’era più modo di tornare indietro. In quel critico momento, le parole della strana ragazza incontrata al cimitero risuonarono nella sua mente. Non sapeva, prima, se darle della pazza o no... e adesso...
Avrebbe dovuto ascoltarla. Avrebbe dovuto essere tornato alla macchina, vicino ai bagni pubblici, quando ne aveva l’occasione. Anche dopo il primo incontro col mostro, se necessario; ma non l’aveva fatto. La sua disperata ricerca per Mary... non poteva arrendersi. Solo il pensiero di poterla rivedere e riabbracciare, anche un’ultima volta, era troppo forte; quell’immagine felice lo spingeva ad andare avanti.
Mary... l’unica persona che avrebbe reso quel che restava della sua inutile vita... valso di essere davvero vissuto. Rischiare la vita era il prezzo da pagare, ma non poteva lasciare che succedesse così.
James corse veloce, pregando di trovare spazio tra i mostri, per seminarli e allontanarsi; nel momento in cui fu visibile il primo mostro, però, la nebbia sembrò cambiare colore davanti ai suoi occhi e la bocca e il naso di James cominciarono a bruciare, emanando uno strano acre odore. Perse concentrazione per un secondo e si ritrovò a correre incontro ad un'altra mostruosa creatura, urtandola e poi finire per terra. Una violenta tosse gli tolse il respiro e la sua mascella prese a muoversi da sola, quasi a tremare, suscitando in lui un leggerissimo fastidio, come dopo un’anestesia dal dentista. Era veleno. Quei mostri rigettavano veleno nell’aria. Ma non avevano bocca! E non appena un altro mostro si avvicinò all’uomo, a lui sembrò di scorgere una cavernosa spaccatura verticale sul petto della creatura, nera, bagnata di uno strano liquido nero; si dilatò per pochi secondi, come nell’atto di un respiro, preparandosi per un altro spruzzo di veleno. Ancora confuso e stordito dalla vita in su, James tirò un potente calcio alle gambe tremanti dell’essere, facendolo cadere al suo fianco. Non avendo braccia, la creatura si trascinò senza resistenza alcuna, cercando allo stesso tempo di rimettersi in piedi; James, più veloce, intanto, l’aveva iniziato a prendere a calci.
- Muori!
Le sue pedate ruppero e squarciarono la pelle del mostro, lasciandolo mezzo scuoiato e pieno di sangue. Ad ogni colpo ed impatto, la creatura squittiva di dolore e si contorceva con sempre più vigore, sussultando violentemente e scuotendo le gambe e la testa; James pensò di scappare in un primo momento, ma le patetiche mosse di contrattacco della creatura che si trascinava cercando un ulteriore scontro, lo sorpresero. In più, cominciava davvero a sentirsi male: non c’era parte del suo corpo che non tremasse, la vista era offuscata per il veleno. Era un brutto segno. Non avrebbe avuto molte possibilità di scappare, conciato così. Indietreggiò, quindi, verso una grata di ferro, che cigolò sotto la spinta delle sue mani. Era... un cancello?
James aveva proprio ragione: spinse forte il freddo metallo intrecciato in fili scomposti e arrugginiti, e si affrettò a varcare la soglia, richiudendo il cancello e fermando la serratura con un lucchetto che trovò per terra, per tenere a distanza i mostri.
Tre piccoli plessi, parti di un’unica costruzione, si ergevano al suo fianco, con pareti grigie e rovinate dalle intemperie. Una piccola insegna in ferro aveva inciso:

 
“Appartamenti Woodside”.



 
 
 

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