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Il giorno in cui lo incontrai era
un freddo giorno di Gennaio, il 15 gennaio del 1937. Seppur in pieno inverno,
quel giorno era soleggiato e tiepido, il classico giorno che le famiglie
trascorrevano passeggiando al parco con i loro bambini, nei loro vestiti
eleganti più puliti di loro. L'ennesimo giorno che odiavo e che osservavo dal
vetro della finestra della mia stanza.
"Sono tutti stupidi" pensavo, ogni volta che vedevo un bambino
con in mano una stecca di zucchero filato fare dispetti a qualche bambino meno
fortunato. Indossavo la divisa della mia scuola: dei pantaloni a sigaretta
lunghi blu scuro, ed una camicia che si abbottonava sul davanti. Odiavo anche
quella e odiavo mio padre, un generale delle forze tedesche che mi obbligava ad
indossare quella stupida uniforme tutti i giorni. Volevo vestirmi con un
pantalone semplice ed una bella camicia. Eravamo ricchi, potevamo
permettercelo, eppure mio padre voleva farmi indossare quella stupida uniforme,
solo per lo stemma che vi portava sopra. Uno stemma che odiavo. Odiavo un bel
po' di cose quell'anno. Odiavo anche me stesso. Avevo diciotto anni, degli
splendidi boccoli biondi e due occhi azzurri, eppure non ero capace di trovarmi
una fidanzata. Tutti i miei compagni di classe ne avevano già trovata una e le
avevano promesso di sposarle una volta trovato un bel lavoro per mantenerle, perchè volevano costruirsi una famiglia e fomentare la
riproduzione della razza "pura" tedesca. Io invece odiavo quelle cose
stupide. Che cosa me ne importa se sia o meno tedesca, la persona che amerò?
Iovolevo innamorarmi. Volevo amare
qualcosa o qualcuno, per compensare quell'odio che mi portavo dentro.
Quella mattina mio padre bussò alla porta, furono due colpi secchi.
« Avanti »
« Zarin, figliolo. »
« Buongiono, padre. »
« Vedo che sei già preparato. Sei pronto per uscire? Non ti dimenticare il
cappello, è molto importante. »
« No, padre, non lo dimenticherò. E' sull'attaccapanni vicino la porta
d'ingresso. »
« Perfetto. Andiamo.»
L'automobile di mio padre era una
Mercedes Benz. Era molto in voga all'epoca, anche se non molte persone erano in
grado di guidare un'automobile o di avere la possibilità di acquistarla. Io ero
seduto dietro insieme a mio fratello minore Viktor, mia madre era seduta
accanto a mio padre. Viaggiammo per circa venti minuti e parcheggiamo in una
strada vicino la piazzetta al centro. Anche noi quel giorno facevamo parte di
quella patetica scenetta della famigliola felice che passeggiava allegramente
al centro della piazza. Viktor piangeva perché voleva un nuovo giocattolo, io
invece fui attratto da una strana insegna. C'era scritto: "Venditore di
sogni". Sorrisi: di qualunque cosa si trattasse, aveva attirato la mia
attenzione, mi congedai da mio padre e m’intrufolai in quella stradina. Quel
negozio non vendeva davvero sogni ma libri. Era una piccola libreria dall'aria
anche un po' spettrale. Fuori dalla porta di vetro c'era un cartellino di
cartone ingiallito con scritto "Willkommen", sorrisi nuovamente ed
entrai.
«
Buongiorno » esclamai insieme al tintinnio di una campanellina messa dietro la
porta. Accanto alla porta d'ingresso c'erano due sedie smesse, di fronte la porta
una scrivania di legno scuro. Era un locale molto piccolo e straripava di
libri. C'era un odore strano, molto forte, ma bello. Davvero bello.
« C'è qualcuno? » non ebbi risposta e mi incuriosii. Mi guardai intorno. Sulla
scrivania c'era un volume con una copertina rigida e rovinata, a caratteri
dorati c'era scritto "Orgoglio e pregiudizio - Jane Austen".
Seppure non fosse buona educazione, quella copertina mi fece venire voglia di
sfiorarla, ma appena feci il gesto di poggiare la mia mano su quel libro,
sentii un grido seguito da un tonfo. Fu quello il momento in cui lo incontrai.
L’angolo dell’autrice:
Salve a tutti! :) Questa è la prima
storia a tema storico che scrivo, spero di non fare troppi errori storici
(potere di wikipedia, vieni a me!)… Che dire, spero vi
piaccia! Cercherò di aggiornare una volta a settimana.
L’idea mi è venuta perché sono
sempre stata sensibile al tema “olocausto” (quando andavo a scuola, la mia
professoressa di storia non faceva altro che spiegarci di questo particolare
periodo storico, in più ho lavorato con persone di origini ebraiche e mi sono
sempre appassionata alla loro storia – bella e brutta - e alla loro lingua), complice la mia insana
passione per lo yaoi. Spero di leggere qualche vostra
recensione, non abbiate timore di mandarmi a quel paese se non vi piace xD!
A presto ♥
NB: per chi non lo sapesse, “Mazeltov” in lingua ebraica
significa “Auguri” e anche “buona fortuna”.
Noah aveva i capelli neri ricci e
voluminosi, talmente voluminosi che fu la prima cosa che vidi da quella
montagna di libri sotto la quale era letteralmente sepolto. Mi precipitai
subito ad aiutarlo.
« Ahhhh, grazie, grazie. Mi sentivo già
divorato da queste vecchie pagine. »
« Stai bene? »
« Benissimo, grazie per l'aiuto. Che cosa posso fare per te? »
Noah aveva il sorriso più bello e
contagioso che avessi mai visto. Quando sorrideva, non si poteva fare a meno di
pensare che la giornata sarebbe stata bella e luminosa. Capii solo in seguito
che quell'odore che sniffavo nell'aria non era altro che inchiostro, pagine
ingiallite e incenso. Noah amava l'incenso. Diceva che nulla- o quasi - era più bello di leggere un buon
libro con accanto una tazza di caffè bollente e il profumo d'incenso che puliva
l'aria. Affermava sempre che l'aria era sporca di cattive intenzioni. Io non
capivo, ero troppo stupido e viziato per farlo all'epoca.
Quel giorno uscii dalla sua libreria con
in mano "Orgoglio e pregiudizio". Non mi fece pagare neanche un
marco, mi disse che l'avevo aiutato a liberarsi da quei libri che gli erano
caduti addosso e che aveva un debito con me. Pensai che fosse la persona più
gentile che avessi mai incontrato in vita mia, lo salutai con un mezzo inchino
e tornai da mio padre.
Passai tutta la serata a leggere il libro che mi aveva regalato Noah, mentre
mio padre spiegava a Viktor che doveva sentirsi orgoglioso di essere tedesco,
di parlare la lingua tedesca, di essere suo figlio, mentre tutti gli altri
popoli erano vuoti e sporchi. Baggianate. Come potesse lui stesso crederci era
ancora un mistero. Senza rendermene conto, terminai quel libro quel giorno
stesso. Da quando divorai quelle pagine così, come aria fresca, iniziai a
provare un senso di vuoto ogni qualvolta finissi un libro. Chiusi gli occhi e
mi addormentai. Non avevo mai fatto un sogno tanto bello quanto quello di
quella notte. La mattina dopo capii perché aveva scritto "Venditore di
sogni".
Ritornai in quella libreria circa un mese
dopo. Questa volta trovai Noah talmente assorto in quello che stava facendo che
nemmeno sentì il suono della campanellina. Ricordo che mi fermai un secondo a
fissarlo: si era sistemato gli occhiali dopo essersi spostato una ciocca di
capelli ribelle dal viso. La luce fioca della stanza rifletteva sulla blusa
color panna che indossava.
« Buongiorno... »
« Oh, ciao biondino. Come posso aiutarti? » il suo tono di voce era sempre
calmo e gentile. Quando il suo sguardo incrociò il mio, mi sentii strano, come
quando corri troppo e ti manca il fiato per poter parlare, infatti impiegai un
minuto buono prima di rispondere.
« I-io, ehm, mi piacerebbe acquistare un libro. »
Lui mi guardò fisso mentre io me ne stavo impalato lì di fronte come un pesce
lesso. Mi sorrise di nuovo.
« Ti è piaciuto "Orgoglio e pregiudizio"? »
Sgranai gli occhi. Si ricordava di me.
Da quel giorno in poi passai molto tempo
in quella libreria. Ci andavo almeno una volta a settimana. Mio padre mi chiedeva
sempre "Ma che ci trovi in tutti questi libri? Non t’insegnano la vita
reale. Quella la impari sul campo, in guerra, come ho fatto io. Dovresti
piantarla con quelle baggianate e trovarti una fidanzata". Io fingevo di
ascoltarlo e fuggivo in quella libreria. Spesso me ne stavo seduto sulla
poltroncina di Noah a leggere qualche libro che non avrei potuto portare a casa
senza incappare in una ramanzina di mio padre. Noah mi lasciava leggere quei
libri senza fare tante storie, io spesso lo guardavo di sottecchi quando
aiutava i bambini del posto a scegliere il libro giusto, o quando i loro
genitori lo ringraziavano con un sorriso. Lui sorrideva sempre e tra il suo
sorriso e quell'odore d’incenso desideravo di non abbandonare quel posto.
« Posso chiederti una cosa? »
« C-certo, Noah, dimmi pure. »
« Come ti chiami? Insomma, passi qui tutti i pomeriggi e non posso continuare a
chiamarti "biondino". Mi sembra poco cortese. »
Noah prese un bastoncino d'incenso e l'accese. Mi fermai a guardare le sue mani
sfiorare la lampada con delicatezza.
« Mi chiamo Zarin. »
Trascorsi lì tutti i pomeriggi. Uscivo da
scuola e mi fermavo nella sua libreria, raccontando a mio padre di grosse
bevute con qualche compagno di scuola: lui ci credeva e ne era contento e
anch’io lo ero, perché potevo fare qualcosa che mi piaceva.
Il nostro primo bacio accadde in uno di quei pomeriggi. Era il 21 marzo. Quella
volta mi salutò dicendo "Oggi iniziano a sbocciare i fiori, tornano i
colori." la trovai una frase profonda e sorrisi. Poggiai la mia borsa di
tela dietro la scrivania e arricciai le labbra.
« Quali sono i tuoi fiori preferiti? »
« Uhm, domanda difficile. Le orchidee, credo. I tuoi? »
« Le margherite. Le trovo particolarmente belle nella loro semplicità. »
Erano quasi le nove di sera, non ero
potuto andare via prima perché pioveva talmente forte che era impensabile
uscire da quella libreria e per di più non avevo con me un ombrello. Noah mi
disse che potevo restare lì fino a orario di chiusura senza problemi ed io non
me lo feci ripetere due volte. Quel giorno lessi "Sogno di una notte di
mezza estate". Alle nove di sera, Noah girò il cartellino sulla porta del
vetro. Invece di "Willkommen" c'era scritto "Sogni d'oro".
Noah aveva controllato i registri della libreria. Fuori pioveva ancora.
« Abiti molto lontano da qui? »
« Circa venti minuti con l'auto. »
« Bel guaio, la pioggia. Riesce sempre a coglierci di sorpresa. »
Noah aveva poggiato la fronte contro il
vetro: fissava le goccioline infrangersi contro la porta della libreria come se
fosse un bambino. Una delle cose che ho sempre adorato di Noah era la sua
semplicità, il suo sapersi emozionare di fronte alle piccole cose. Provava
tante cose diverse e mi sentivo incapace. Volevo capire come facesse: l'unica
cosa che provavo io, era odio, per tutto, tranne che per quei libri e per Noah.
Odiavo me stesso. Guardando Noah incantato dalla pioggia, mi domandai perché la
mia vita doveva essere così complicata: volevo diventare una ragazza e poter
diventare sua moglie. Quando mi resi conto del pensiero che avevo fatto,
sgranai gli occhi.
« Tutto bene? »
« Eh--uh, sì, sì, tutto bene... Stavo pensando che mio padre sarà sicuramente
in pensiero per me. »
« Io abito qui vicino. Ho un telefono a casa. Puoi venire con me e chiamarlo da
lì. »
« Ah ehm.. Sì, sì grazie, mi sembra un'ottima idea. »
Mio padre, il generale Wolfgang, mi
diceva sempre di non fidarsi di nessuno, soprattutto delle persone che sembrano
gentili: mi diceva di serial killer, persone disposte a tutto per derubare
quelli più benestanti e altre milioni di disgrazie possibili. Ma di Noah mi
fidavo a pelle. Forse era quell'odore d’incenso e libri che si portava addosso.
Corremmo fino a casa sua nascosti sotto la sua giacca che usammo come ombrello
improvvisato. Quando arrivammo sotto il portone di casa sua, realizzammo di
essere completamente zuppi. Noah frugò nelle tasche del pantalone che indossava
e trovò una chiave, così entrammo.
La sua casa era molto piccola. Io ero abituato al lusso della mia, mentre lui
riusciva a vivere benissimo in un appartamento con due camere, un bagno solo e
una cucina che usava anche come sala da pranzo.
« Permesso » bofonchiai.
« Entra pure » rispose lui, con il suo solito tono gentile.
Viveva da solo con sua nonna, un'anziana ma vispa signora. Sua nonna, la
signora Maya Levi, era bassina, aveva i capelli lunghi neri avvolti in una
treccia e la pelle segnata dall'età e dal duro lavoro. Quando entrai, la vidi
in cucina: mi fissò con occhi sottili che rabbrividii lungo la schiena.
« Buonasera, signora »
« Buonasera...»
La sentii rivolgersi a Noah in una strana lingua. Non era tedesco. Lui non
rispose e mi accompagnò al telefono. Chiamai mio padre e gli dissi che non
sarei tornato a casa, che ero fuori con un amico e ci saremmo fermati in una
locanda, lui mi disse di divertirmi ed agganciò. Non sembrava adirato come
quando gli dicevo che ero passato in libreria. Ritornai in cucina e trovai la
signora seduta vicino al tavolo con davanti una tazza di te e Noah che
tagliuzzava delle verdure. Parlavano quella strana lingua, ma avevo la
sensazione parlassero di me. La signora mi fissò di nuovo, poi mi invitò a
sedersi di fronte a lei ed io lo feci. Dalla tasca del suo grembiule tirò fuori
delle carte carte colorate.
« Quale ti piace di più? »
« Quel-- quella verde signora. »
« Il verde... » borbottò, e attirò la mia attenzione interamente « è il colore
dell'amore cosmico, verso tutto il mondo, verso il genere umano » parlottava a
bassa voce e dovevo tendere l'orecchio per ascoltarla, ma lei mi sorrise. Era
lo stesso sorriso di Noah. « Benvenuto. »
Cenai con loro quella sera. C'era una bella atmosfera: non ricordavo di aver
mai riso tanto in vita mia. Mi sentii leggero. Sua nonna andò a dormire poco
dopo cena, io seguii Noah in camera sua: stavamo cercando un pigiama per me e
lui ne scavò uno di quando era più piccolo. Noah aveva venticinque anni ma
supponevo fosse da sempre stato più alto di me. Quando mi presentai in camera
sua col suo pigiama addosso lo trovai a torso nudo nell'atto di sfilarsi la
camicia. Aveva un fisico asciutto e la sua pelle sembrava morbidissima,
desiderai toccarla.. Senza rendermene conto mi ritrovai imbambolato a fissarlo.
Mi capitava spesso con Noah.
« Noah! Guarda, mi calza a pennello! No, a pennello no, forse un po' largo,
però insomma, mi va.»
Il nostro primo bacio successe in quegli attimi. Mi avvicinai a lui, contento e
rilassato come non mai ed inciampai in quei pantaloni troppo lunghi. Detti per
scontato che sarei finito per terra, tant'è che strinsi gli occhi preparandomi
al peggio... Invece mi ritrovai tra le braccia di Noah. Quando riaprii gli
occhi mi ritrovai i suoi piantati nei miei. Arrossii. Ne ebbi la certezza perchè mi sentivo le guance evaporare.
A quei tempi non si poteva andare da qualcuno e dirgli "mi piaci"
oppure baciarlo e basta, non era concesso tra etero, figuriamoci tra due
uomini. Ma io volevo baciarlo, volevo sfiorare le sue labbra e la sua pelle.
Gli diedi un segnale e socchiusi gli occhi. Lo sentii titubante
nell'avvicinarsi a me. Sentivo il suo respiro contro di me. Inclinai un po' la
testa. Le sue labbra erano morbide e inumidirono leggermente le mie. Poggiai le
mani sul suo petto nudo. I suoi capelli si erano confusi con i miei. Lui portò
una mano sulla mia guancia.
Quello fu il mio primo bacio. Non avevo mai baciato
nessuno prima di lui.
Il giorno dopo, sulla scrivania nella sua libreria, trovai un vaso con delle
margheritine.
Quello fu il giorno in cui mi innamorai.
L’angolo dell’autrice:
Ecco qui il secondo capitolo di
quest’oscura faccenda! :) voglio ringraziare Amarie,
darkmagic31 e Jasminevampire per aver aggiunto questa
storia alle seguite, e Danyel e Ladydaredevil
per aver recensito il primo capitolo :3 grazie mille!
Qui abbiamo conosciuto Noah e Zarin ci ha
raccontato anche il loro primo bacio oltre che il primo incontro! Io adoro
questi due ciccini ;__;!
A presto :3
PS: per quelli che hanno tumblr, sappiate che potete trovare le mie storie anche su Ora scrivo io!
Dal prossimo capitolo:
Un giorno
eravamo in libreria, gli stavo passando dei libri per aiutarlo a tenere in ordine
quel posto che odorava di incenso e margheritine, poi entrarono loro. Due
uomini in divisa. La campanella tintinnò. Noah mi guardò e bisbigliò « Nasconditi.
Qualsiasi cosa accada, nasconditi. Non uscire allo scoperto fino a quando non
se ne sono andati. Queste sono le chiavi della mia libreria. Aspettami sotto
casa, se dovessi far tardi. Non uscire. Resta nascosto. »
[…] Noah tornò
a casa, aveva la camicia rotta e sporca di sangue e un grosso livido sulla
fronte. Sua nonna lo abbracciò e lo riempì di baci sulla guancia; era così
affettuosa ed io capii cosa significasse avere una famiglia. Con Noah e la
signora Maya capii che cosa significasse vivere.
Così capitò che per mesi io mi trovassi a
passare per caso in quella libreria e che per caso sbaciucchiassi il
proprietario di nascosto. Noi ciraggomitolavamo al buio, nascosti come la carne sotto un doppio strato
di epidermide e vestiti. Mi ricordo ancora il suo corpo che era in grado di
nascondermi come una tenda opaca copre la vista di ciò che accade dietro una
finestra. Ci sentivamo vivi. Volevamo sentirci vivi e lo eravamo solo quando ci
prendevamo per mano.
Un giorno eravamo in libreria, gli stavo
passando dei libri per aiutarlo a tenere in ordine quel posto che odorava di
incenso e margheritine, poi entrarono loro. Due uomini in divisa. La campanella
tintinnò. Noah mi guardò e bisbigliò « Nasconditi. Qualsiasi cosa accada,
nasconditi. Non uscire allo scoperto fino a quando non se ne sono andati.
Queste sono le chiavi della mia libreria. Aspettami sotto casa, se dovessi far
tardi. Non uscire. Resta nascosto. » mi fissò con gli occhi gonfi di
preoccupazione ed io annuii. Mi infilai nel ripostiglio e rimasi in ascolto.
« Buon pomeriggio, signori. Posso aiutarvi in qualche modo?»
« Devi seguirci in centrale. »
« Perché? »
« Impara a non fare domande. Se non ci segui, ti trascineremo via con la forza.
»
Spiando dal piccolo buco sulla porta dello stanzino, capii che quelle guardie
stavano minacciando Noah con un'arma. Lui si mostrava tranquillo, lo sentii che
diceva « La mia era solo curiosità. Vengo subito con voi. »
Noah tornò a casa alle undici di sera. Io
avevo telefonato mio padre dicendogli che non sarei tornato a casa, non
immaginavo minimamente di quanto questo potesse sembrargli sospetto. Tuttavia
aspettai Noah a casa sua. Quando tornò io ero con sua nonna Maya. La signora
Levi era una persona gentile, non fu difficile capire da chi avesse preso Noah.
La donna mi aveva preparato una tazza di tè bollente: era profumato e lo
sorseggiai con piacere in sua compagnia. Ogni tanto piagnucolava mormorando « Il
mio piccolo Noah... Chissà cosa vogliono da lui.. Gli avevo detto di stare
attento... Non gli devono fare nulla, altrimenti io come faccio? Il mio piccolo
Noah... »
Noah tornò a casa, aveva la camicia rotta e sporca di sangue e un grosso livido
sulla fronte. Sua nonna lo abbracciò e lo riempì di baci sulla guancia; era
così affettuosa ed io capii cosa significasse avere una famiglia. Con Noah e la
signora Maya capii che cosa significasse vivere.
Era circa l'una di notte, la signora Maya aveva preparato altro tè per Noah,
mentre io terminavo di pulirgli le ferite con un panno umido di acqua bollente.
Noah sembrava stoico, non emetteva neanche un lamento eppure sapevo che gli
stava bruciando. Ma Noah bruciava dentro. Il suo cuore ardeva di rabbia e di
disprezzo verso chi gli aveva fatto quello.
« Dobbiamo stare attenti, Noah... Dobbiamo andarcene... Non è sicuro qui...
Dobbiamo andare in America, dobbiamo scappare... Non siamo al sicuro. »
Noah farfugliò qualcosa in una lingua che sembrava essere francese e abbassò lo
sguardo; sua nonna scosse la testa e gli rispose nella sua stessa lingua, che
io non riuscivo a capire. Quello che non riuscivo a capire era perché Noah era
stato picchiato così dalle guardie. Volevo chiamare mio padre per dirglielo e
far sì che si prendessero provvedimenti, ma lui mi vietò di farlo.
« Perché no? Gli dirò che sei mio amico! Non è giusto quello che ti hanno
fatto!! »
« Non lo è, ma possono farlo, perché la legge glielo impone. Non puoi chiamare
tuo padre e dirgli "dei tuoi sottintendenti hanno fatto il loro dovere".
»
« Cosa..? Ma di che parli? Non c'è nessuna legge che dice di prendere a
bastonate un libraio, o sbaglio? »
« Non i librai. Ma quelli come me. »
« Perché, che...? » mi fermai. Pensai: intendeva forse "quelli come me, a
cui piacciono gli uomini"? Non riuscivo a comprendere che in realtà le
cose stessero peggio di così. « Ma noi siamo stati attenti, no? Non ci ha mai
visto nessuno... Ti vedi anche con qualcun'altro?» nel mio stupido egocentrismo pensai che
lui avesse un altro cui dare baci, un altro da prendere per mano, e mi
innervosii solo all'idea.
« Ma che dici, Zarin? » la sua espressione era notevolmente sconvolta « Come ti
viene in mente? Non farei mai una cosa del genere, mai. E' ben più
complicato... »
« Di me ti puoi fidare, stupido » lo rimproverai gravemente. Avevo capito che
c'era qualcosa che mi nascondevo, da moccioso quale ero pensavo che si
trattasse di un'amante. « Non mi devi nascondere niente, hai capito? Non mi
devi nascondere niente. Voglio sapere tutto di te.» non mi resi conto che con quelle parole,
potevo spaventarlo. Mio padre era il generale Wolfrang, impegnato mani e piedi
in quell'operazione chiamata "pulizia", ma io da bravo bambino
viziato non sapevo cosa stesse succedendo davvero. O forse non volevo vederlo.
«Anche io sono un ragazzo, e mi piaci
tu, che sei un ragazzo, e non mi pare che sia andato a dirlo in giro, il tuo
segreto è al sicuro con me. Ogni tuo segreto è un mio segreto. Ogni mio segreto
è un tuo segreto. »
Noah mi sorrise. Il suo era un sorriso dolce e mi diede un bacio.
Noah era ebreo. Era nato il 25 agosto del
1912 a Gerusalemme, sua madre si chiamava Nurit Levi, ebrea anche lei, mentre
suo padre era un marinaio cristiano che l'aveva messa in attesa di un bambino e
poi era sparito. L'unico problema era che sua madre Nurit era già sposata con
un altro uomo. Nella loro comunità, sua madre era chiamata "Zonah"
1, mentre lui era chiamato "Mamzer", un figlio nato
da una relazione proibita dalla loro cultura e religione, ma comunque ebreo.
Lui nasceva e già veniva additato come colpevole, come il "bastardo"
e "l'impuro". Lui non ricordava molto né di Gerusalemme, né
dei suoi genitori. Il marito di sua madre l'aveva uccisa qualche mese dopo la
sua nascita: non poteva sopportare il peso dell'adulterio, la vergogna di
crescere un figlio non suo. Le sparò un colpo e se ne sparò un altro da solo.
Ne avrebbe sparato uno anche a Noah, se non fosse che sua nonna, la signora
Maya, fosse lì nel tentativo di fermare quello scempio.
Ritrovandosi con sua figlia e suo genero morti, presa dallo sconforto e dal
pianto di un Noah neonato, prese la decisione più difficile della sua vita:
portò via il bambino e lasciò il paese prima che arrivasse l'alba. Arrivò in
Germania e aprì una libreria. Educò lei stessa Noah: gli insegnò il loro
alfabeto e quello tedesco, gli insegnò a leggere, a scrivere, e a essere sempre
rispettoso e gentile, ma soprattutto gli aveva insegnato ad amare e a essere
umile.
« Chi è veramente sapiente? Chi impara da ogni uomo » recitavano i salmi
del Torah, il loro libro sacro.
Noah mi aveva raccontato la sua storia. Avevo
capito perché quei poliziotti erano venuti a prenderlo in libreria e perché
l'avevano maltrattato a quel modo. Quando ebbe finito di raccontarmi la sua
vita, tremai. Avevo paura. Non ero più sicuro di volerlo sapere. Non avevo
nulla contro gli ebrei né contro quelli di altre razze: contrariamente da
quanto odio ci insegnassero a scuola, io avevo finito per odiarli tutti. Ma
Noah era diverso. Era... Noah.
Iniziai a piangere senza rendermene conto. Piangevo perché Noah era nato
nell'odio e nel sangue eppure era la persona più bella che avessi mai
incontrato, perché aveva vissuto tante cose brutte eppure sorrideva
luminosamente, perché avevo paura me lo portassero via. Piansi tantissime
lacrime, anche quando lui mi abbracciò. Io mi strinsi di più al suo corpo.
« Zarin... Non c'è bisogno di piangere, insomma, sono ancora vivo-- »
« Non c'entra nulla, brutto stupido! Piango perché mi dispiace che tu abbia
subito tutto questo! Per me non sei un bastardo, sei la persona più bella che
abbia mai conosciuto in vita mia! Cretino! Non capisci niente!! Piango perché
non è giusto che sia capitato a te!! E non è giusto che oggi quegli stronzi ti
abbiano fatto del male!!» ricordo che
parlandogli prendevo a pugni leggeri il suo petto. Lui mi ascoltò in silenzio e
mi lasciò piangere quelle lacrime che lui stesso non aveva mai versato. Poggiò
la mano sulla mia testa e mi scompigliò i capelli.
«Todà rabà » bisbigliò.
« Che significa?! »
« Grazie. »
L’angolo dell’autrice:
Salve a tutti! Eccomi qui con il terzo
capitolo di “Mazel tov”. Volevo ringraziare Danyel, Jasminevampire, Frauro, Amarie e darkmagic31 per aver aggiunto la storia alle
seguite e Ladydaredevil per le recensioni e il
supporto morale (anche il semplice sopportare il fatto che la tartasso nella
casella dei messaggi privati ahahua :P ).
A presto :3
1 Zonah: donna che ha avuto delle relazioni
proibite (adulterio, incesto)
Dal prossimo capitolo:
All'età di
18 anni conobbi l'amore. Si chiamava Noah.
[..[ Ci raggomitolammo sotto le coperte, spogliandoci non solo dei vestiti ma
anche delle nostre inibizioni, tremarono anche le nostre ossa e ci scrollammo
di dosso tutto il resto del mondo. Il mondo fuori faceva schifo, ma noi non
eravamo il mondo e per questo avevamo un prezzo da pagare.
La scuola giunse al
termine ed io non riuscivo a trovare molte scuse per allontanarmi da casa e
raggiungere Noah in libreria. Ogni tanto gli scrivevo delle lettere di
nascosto, ma gli avevo chiesto di non rispondere. Quando potevo chiamarlo lo
facevo, ma non ero mai solo abbastanza tempo da avere una conversazione più
lunga di "Come stai - sono vivo - anche io - mi manchi". Ma il
riuscire a sentire la sua voce calda anche solo per un istante mi dava
sicurezza.
La prima volta che
facemmo l'amore però, fu proprio d'estate. Accadde il 31 luglio. Certe date ti
rimangono impresse dentro.
Noah aveva risparmiato tanto abbastanza da potersi comprare una piccola
Volkswagen usata. Capitò che una volta riuscii ad andare al centro del paese e
lo raggiunsi a casa di mattina presto, avevo detto a mio padre che sarei
rimasto da un amico per il weekend. Ricordo che fui così contento di rivederlo
che mi fiondai ad abbracciarlo, senza calcolare che eravamo in pubblico, lui
fece lo stesso.
« Dobbiamo festeggiare! » Noah era fatto così. Ogni minima cosa che riceveva
(un cliente mai visto, una penna nuova, quando riuscivamo a vederci d'estate o
trovare per pranzo le "falafel"
appena cotte da sua nonna) doveva festeggiare. Diceva che la vita era troppo
breve per rimandare quei pochi momenti di felicità. A quella frase c'era un
solo modo di rispondere.
« Cosa facciamo di bello, allora? »
« Andiamo al mare! »
« Al mare? Ma ci si metteranno ore! E' lontano! »
« Due ore e mezzo, mi sono informato. Che l'ho comprata a fare questa macchina,
altrimenti? »
Ovviamente quando lui proponeva qualcosa non avevi modo di obiettare, potevi
solo dire «Va bene... » e partire con
lui. Tanto non ci si pentiva mai di assecondarlo. L'unica che aveva il potere
di dire "no" era sua nonna: la signora disse che il mare non le
piaceva, ci preparò le falafel da portare con noi
fuori per pranzo, con dell'hummus e diverse pite. Sua nonna cucinava benissimo,
molto meglio della cuoca che avevamo a casa. "Casa". Chissà se ho mai
creduto che quel palazzo nel quale sono cresciuto fosse veramente
"casa". Mi sentivo molto meglio con Noah e la signora Maya. Quando mi
diede una busta di tela che conteneva il nostro pranzo mi raccomandò di fare
attenzione al suo nipotino, io le dissi di non preoccuparsi e la ringraziai per
l'aver cucinato tutto quell'ottimo cibo. « Todà rabà » le dissi. Lei mi
sorrise e mi accarezzò.
Passammo una bella giornata. Ricordo che costruimmo dei castelli di sabbia e Noah
provò ad insegnarmi a nuotare, con scarsi risultati. L'immagine di Noah che
usciva dal mare, con le goccioline d'acqua che dai capelli gli scivolavano su
quella pelle dorata, il costume che aderendo al suo corpo ne disegnava le
forme... Dio, era la cosa più eccitante che avessi mai visto. Diventai tutto
rosso e mi stesi a pancia in giù sulla sabbia. Sentii qualcosa smuoversi sotto
la pelle. Qualcosa che riaffiorava ogni volta che sfioravo Noah.
Tornammo a casa di sera, non ricordo molto del viaggio in auto perché mi
addormentai e quando mi svegliai eravamo sotto al palazzo nel quale Noah
abitava, lui aveva appena parcheggiato. Erano circa le nove di sera.
Ero steso a pancia in giù sul letto di Noah, indossavo solo della biancheria:
faceva davvero caldo per poter mettere il pigiama, leggevo un libro. Quella
volta leggevo "I malavoglia". Leggere mi portava ovunque nel mondo,
mi sentivo senza confini. Noah entrò in camera con due tazze di tè bollente e
si accomodò seduto vicino a me. Respiravo il suo profumo e mi inebriava.
Bevemmo del tè insieme e facemmo due chiacchiere a lume di candela. Ci
stendemmo vicini, entrambi su un fianco e riuscivo a poggiare la fronte sul suo
petto.
« Come si dice? »
« Cosa? »
« Buonanotte, nella tua lingua.. »
« Layla tov. Si dice layla tov. »
Portai la mano destra sulla guancia di Noah e mi strinsi a lui in un tenero
bacio.
« Ti amo. » Noah aveva letteralmente piantato i suoi occhi nei miei.
Avevo la sensazione che il mio cuore si fosse fermato al suono di quelle
parole. Ricordo che volevo baciarlo di nuovo per fargli capire che lo amavo a
mia volta... Quella sensazione di calore che sentivo nel mio cuore, sotto la
mia pelle,nel mio cervello, in ogni
fibra del mio corpo ogni volta che Noah mi parlava, mi sfiorava o semplicemente
mi guardava, doveva essere per forza amore.
All'età di diciotto anni conobbi l'amore. Si chiamava Noah.
Ci raggomitolammo sotto le coperte, spogliandoci non solo dei vestiti ma anche
delle nostre inibizioni, tremarono anche le nostre ossa e ci scrollammo di dosso
tutto il resto del mondo. Il mondo fuori faceva schifo, ma noi non eravamo il
mondo e per questo avevamo un prezzo da pagare.
Ricordo la sensazione delle labbra di Noah sfiorare il mio collo.
Le mie mani intrappolate nei suoi capelli.
Le sue mani accarezzarmi la pelle.
La mia pelle sfregarsi contro la sua.
Il suo odore rapire la mia mente.
Le sue dita palpare e massaggiare le mie intimità.
La sua eccitazione crescere sotto il mio tocco.
Il mio respiro alterarsi, i miei gemiti. Quelli di Noah contro il mio orecchio.
Sentivo il suo sesso penetrarmi e avevo solo voglia di urlare al mondo che lui
era mio.
Le mie mani premevano sulla sua schiena.
Faceva male. Mi eccitava. Faceva male. Mi eccitava.
La mia mente era completamente soggiogata dal suo prendermi e lasciarmi.
Dai suoi baci. Dal suo respiro. Dalle sue carezze. Dai suoi morsetti.
Respiravo il suo odore mescolato con il mio.
Ascoltavo la sua voce calda bisbigliare al mio orecchio « Ti amo, Zarin. Ti
amo. »
La mia voce raggiungeva il suo, di orecchio « Anche io ti amo, Noah... »
Quella notte dormimmo abbracciati, i nostri due corpicini erano avvolti da un
lenzuolo. Io mi sentivo protetto, completo. Le braccia di Noah mi cingevano
infondendomi la più tenera delle sensazioni: la felicità.
Il mattino dopo sua
nonna ci preparò la colazione. Ci guardò e sorrise.
« Mazel tov » bofonchiò e ci servì una tazza di caffè.
L’angolo dell’autrice:
Salve a tutti! Eccomi qui con il quarto
capitolo di “Mazel tov”. Volevo ringraziare Danyel, Jasminevampire, Frauro, Amarie, LolaBlack e darkmagic31
per aver aggiunto la storia alle seguite e Ladydaredevil
per le recensioni che mi lascia :3 invito voi a fare la stessa cosa u.u seguite il suo esempio e ditemi cosa ne pensate di
questo racconto :3
A presto :3
Dal prossimo capitolo:
« Dimmi che
tu sei Zarin e che io non ho fatto una brutta figura. »
« Sono io, sì... Tu chi sei? »
Le cose con Noah
sembravano andare bene ed io ero sempre più intenzionato a dire a mio padre che
avrei presto lasciato la sua casa. Il mio progetto era di abbandonare gli studi
e andare a lavorare in libreria con Noah e vivere con lui e sua nonna. Noah
sembrava contrario, diceva sempre « Non dovresti abbandonare gli studi! Hai la
possibilità di frequentare l'università e faresti bene a proseguirli » ma io
ero di tutt'altro parere. C'era tutto un mondo che non t’insegnavano in quelle
scuole bigotte e su questo nessuno poteva contraddirmi.
Le giornate
volavano leggere una volta che ebbi ripreso la scuola, anche se spesso non
trovavo Noah in libreria e lo aspettavo a casa (quando potevo). Venivano sempre
più controlli. Un giorno trovai la libreria chiusa e andai a trovare sua nonna.
Quando salii, la trovai piangendo. La casa era stranamente in disordine.
« Signora Maya! Cos'è successo? Sta bene? Dov'è Noah? »
« L'hanno preso di nuovo » la sua voce era strozzata dal pianto « sono venuti
anche qui. Stamattina hanno bruciato i nostri libri. Quel cumulo di cenere
laggiù era il nostro Talmud. Volevano portare via anche me, Noah ha reagito e
alla fine l'hanno portato via. Torna a casa, ragazzo. Torna a casa. »
« Resterò a farle compagnia, signora, fino a quando Noah non tornerà. »
Noah ritornò dopo
tre giorni, io avevo finito le panzane da raccontare a mio padre, così fui
costretto a tornare a casa. Mi accompagnò proprio Noah, anche se aveva la testa
fasciata e borbottava frasi contro le guardie ogni volta che ne vedeva una ed
io gli davo manforte. Mi lasciò fuori al cancello, per paura di essere visti
non potei dargli un bacio per salutarlo, gli feci un cenno con la mano e salii
a casa. Mio padre aveva visto dalla finestra.
« Di chi è quella
macchina, Zarin? »
« Di un amico »
« Lo stesso dalla quale ti intrattieni le notti? »
« E' un amico papà. Ha una sorella molto carina. »
« Non è carino che sia sempre tu ad andare a casa loro. Come si chiama questa
ragazza? »
« Angelica »
« Mi piacerebbe conoscerla, anche a tua madre farebbe piacere. E vorrei
incontrare anche i suoi genitori. »
« Ah, ehm... Sì, ok. »
Mi ero cacciato in
un bel guaio e non sapevo come uscirne. Quella notte mi affacciai dalla mia
finestra e vedevo una luna che brillava troppo e troppe stelle in cielo. Perché
la luna brillava, anche se quello che c'era sotto non lo meritava?
Pensai a diverse possibilità: potevo dire a mio padre di essere omosessuale e
finire in galera; dirgli che avevo litigato con quella ragazza e dimenticarmi
di uscire senza qualcuno al mio seguito oppure presentargli una ragazza. Il
problema era che non conoscevo nessuna che avrebbe avuto il coraggio di mentire
spudoratamente al generale Wolfrang. Ero proprio in un bel casino. Quello che non
potevo sapere era che mio padre aveva già annotato il numero di targa
dell'automobile di Noah.
Il giorno dopo
andai da lui, scrissi una lettera e la infilai in un libro che gli ritornai.
C'erano due tizi in divisa che mi seguivano e pensai che mio padre si fosse già
messo all’opera, quindi evitai di fermarmi troppo in libreria. Sentivo già la
sua mancanza.
Il giorno dopo ancora, uscendo da scuola, trovai ad aspettarmi una splendida
ragazza. Si chiamava Alina. Aveva dei lunghissimi capelli biondi raccolti in
una treccia che le scendeva sul petto. I suoi capelli sembravano così morbidi,
mentre i suoi occhi azzurri risplendevano in quella giornata grigia. Indossava
un abito di cotone lungo fino a pochi centimetri sotto il ginocchio, le spalle
erano coperte da un golfino scuro e portava un cestino di paglia che teneva con
entrambe le mani. Mi vide e si avvicinò a me, prendendomi sotto braccio. Fece
ben attenzione a farsi vedere da quei due tizi in uniforme.
« Dimmi che tu sei Zarin e che io non ho fatto una brutta figura.
»
« Sono io, sì... Tu chi sei? »
« Mi chiamo Alina. Noah mi ha detto che eri nei guai... » aveva lo stesso
sorriso contagioso di Noah, così copiai quell'espressione.
« Io non sono nei guai! Cioè-- sono incasinato! Un po'! »
« Sei proprio nei guai. » borbottò lei, fissandomi con aria severa. Aveva circa
la mia età, ma c'era tanta vita dietro i suoi occhi azzurri. Alina. Conobbi
così quella che sarebbe diventata la mia migliore amica.
« Fino al collo. »
« Noah mi ha raccontato tutta la storia. Vieni, andiamo a casa sua. »
Alina era fuggita da Israele insieme alla sua famiglia, avevano tutti paura
della guerra. Sua madre era ebrea come lei, mentre suo padre era un protestante
tedesco. Lavorava ai servizi postali, mentre sua figlia studiava in casa con
sua madre che era una maestra d'asilo.
Arrivammo da Noah in circa un quarto d'ora. Sua nonna aveva cucinato i canapè
fritti e del riso bianco. Alina salutò la signora Maya in un abbraccio e lo
feci anch’io.
« Noah sta arrivando. Chiude sempre la libreria verso quest'ora qui, iniziate a
sedervi. »
Noah aveva spesso tenuto compagnia ad Alina durante i suoi studi, per lui era
come una sorellina minore, come una fetta di quella famiglia che non aveva mai
avuto. Alina era diversa dalle altre ragazze: sembrava non avere inibizioni o
pregiudizi mentre ballava con Noah canzoni inventate da lui, o quando diceva le
parolacce in tutte le lingue che conosceva (ben tre: tedesco, ebraico e
inglese). Alina era simpatica e solare. Noah poteva contare su di lei, infatti,
decidemmo quando presentarci a casa mia per far conoscere "la mia
fidanzata" a mio padre. Lo comunicai al generale Wolfrang e ci accordammo
per domenica a pranzo. Gli dissi che lei sarebbe venuta con suo fratello perché
i suoi avevano un impegno di lavoro e lui non fece una piega.
Una delle cose che
ricordo di Noah è che lui ci sapeva fare. In tutto. Quando cuciva i vestiti
rovinati dall'usura, quando cantava, quando ballava, quando cucinava ricette
mai provate prima, quando i bambini piangevano nella sua libreria, quando
doveva consigliare i libri da prendere, quando si prendeva cura delle piante,
quando faceva l'amore, quando era tenero, quando era con le persone: Noah,
semplicemente, ci sapeva fare. Sapeva farsi amare da tutti. Sono sicuro che sarebbe
riuscito a farsi amare anche dal suo patrigno se ne avesse avuto la
possibilità. Ho egoisticamente pensato che fosse una fortuna per me che lui
fosse rimasto orfano, altrimenti non l'avrei mai incontrato. Ero un moccioso.
Così Noah e Alina vennero a pranzo a casa mia. Alina indossava uno splendido
vestito blu cobalto, un rossetto rosa chiaro e aveva sciolto i capelli. Era
semplicemente bellissima. Noah si era pettinato i capelli ribelli
(probabilmente glieli aveva sistemati la signora Maya) e indossava un completo
elegante. Era magnifico. Noah era l'emblema della perfezione. M’innamorai
ancora una volta di lui, fissando il suo sguardo dietro quegli occhiali che
indossava.
Ricordo che non vidi mai prima di quella giornata mio padre ridere tanto
durante una conversazione. Noah tirava fuori il meglio dalle persone: non so
come faceva, ma sapeva esattamente cosa dire e quali tasti non toccare.
Parlarono delle solite cose da "uomini": lo sport, le automobili, le
armi, le donne. Appuntai di chiedere a Noah come mai fosse tanto spigliato sul
discorso "donne". Anche a mio fratello Viktor piacque Noah: si
intrattennero un po' a giocare con delle macchinine di latta, mentre mia mamma
e Alina (conosciuta come “Angelica” dai miei genitori) parlottavano di ricette
e cucito.
Quando lasciarono casa, tutto tornò vuoto e silenzioso. Mi mancava già quel
pazzo di Noah.
« Simpatico quel ragazzo. Immagino che gli fanno il filo molte ragazze... »
« Ah... Sì... Molte. »
« E' proprio un bravo ragazzo. Anche Angelica sembra essere una brava ragazza. Si
vede che la loro è una famiglia tedesca per bene, altro che questi stranieri
che si intrufolano nella nostra società. »
Avrei voluto tirargli un pugno, ma mi trattenni. Annuii e tornai in camera mia.
Gli avrei volentieri tirato un calcio nel suo voluminoso sedere tedesco per
fargli ingoiare quei suoi pomposi pregiudizi tedeschi.
L’angolo dell’autrice:
Salve a tutti! Eccomi qui con il quarto
capitolo di “Mazel tov”. Volevo ringraziare AsanoLight,
Jasminevampire, Frauro, Amarie, LolaBlack e darkmagic31 per aver aggiunto la
storia alle seguite e Ladydaredevil e Danyel per le recensioni :3 grazie per
dirmi cosa ne pensate della storiella che vi sto narrando e invito voi altri a
fare lo stesso ;3
Alla prossima! :3
Dal prossimo capitolo:
« Ti
amo, Noah. Promettimi che andrà tutto bene. »
« Anche io ti amo, scricciolino. Tra qualche
giorno saremo in America, in una bella casa, con un bel giardino e tantissime
margherite profumate.»
« Me lo prometti? »
« Te lo prometto. »
A causa del mio essere cresciuto tra i vizi di
una famiglia ben vista dalla società, ero convinto che nulla potesse rompere
quell'equilibrio precario. Così per un paio d'anni le cose sembravano andare
piuttosto bene. Avevo vent'anni, era il 1939. Dovevo entrare nell'esercito ma
mi opposi.
Non ricordo molto di quella notte, feci tutto di fretta e al buio. Ebbi una
lite furiosa con mio padre e tornai in camera mia. Presi un sacco di tela e vi
buttai dentro delle cose, un libro e qualche vestito. Uscii dalla finestra. Mio
fratello mi vide ma fece finta di continuare a dormire.
Era notte fonda e mi ritrovai a vagare nella città vuota tranne che per qualche
soldato di pattuglia. Mi mossi nell'oscurità come un ladro e andai a casa di
Noah. Lui mi aprì la porta assonnato, ma leggevo negli occhi il terrore di
vedermi lì a quell’ora insolita, probabilmente pensava che era qualcun altro o
che avessi combinato qualche guaio.
« Zarin, che ci fai qui a quest'ora? »
« Sono scappato di casa. »
« Sei... Sei impazzito? »
« No. Papà vuole farmi arruolare nell'esercito. Io non voglio. Devo
nascondermi. »
« Lo sai vero, che è il primo posto nel quale ti verranno a cercare? »
Noah aveva ragione.
La mattina seguente Alina bussò alla porta di casa con una certa urgenza.
« Noah, devi venire subito di là. Sta salendo il padre di Zarin. Non so cosa
sia successo, ma se non stiamo insieme, non crederà che siamo fratello e
sorella. »
Io rimasi nascosto in casa di Noah con sua nonna, mentre Noah andò da Alina e
parlò con mio padre fingendosi preoccupato per la mia scomparsa e gli disse di
non avere idea di dove fossi. Inveì contro di me asserendo che mi ero
approfittato della sua sorellina ed ero fuggito. Il generale Wolfrang se la
bevve tutta e andò via dopo una tazza di tè.
Quella non fu
l'unica tragedia che accadde in quella settimana. La dolce signora Maya morì il
giovedì successivo. Una sera era andata a dormire molto presto perché le faceva
male la testa e il giorno dopo non c'era più. Quel giorno bruciarono il resto
dei testi sacri ebrei trovati in città. La popolazione ebraica iniziava a
lasciare la Germania, alcune invece sparivano e basta. Nessuno sapeva, o meglio
tutti fingevano di non capire cosa stava succedendo.
Non ci fu un funerale per la signora Maya. Non in via ufficiale almeno,
altrimenti saremmo morti tutti. Ricordo quei giorni così tristi.
Noah si occupò di
lavare con un panno il corpo senza vita della signora e la vestì con dei tachrichim.
Mi spiegò che il lutto era prescritto solo per i parenti più stretti, ma io
vedevo nella signora Maya più di una sconosciuta e dissi che avrei seguito
quelle tradizioni a mia volta. Avvolgemmo la salma in un lenzuolo bianco e la
poggiamo a terra, circondandola con delle candele a olio. Noah mi spiegò che
sarebbero dovute restare sempre accese fino al momento della sepoltura. Coprimmo
tutti gli specchi della stanza, uno solo, con dei panni. Durante quel rito,
Noah praticò la krià, strappandosi il lato sinistro: per lui, la signora
Maya, era un vero e proprio genitore. Anche Alina e la sua famiglia presero
parte alla veglia per la nonna di Noah. Leggemmo dei salmi, o meglio, la mamma
di Alina li ricordava a memoria così, li recitò, parte in ebraico e parte in
tedesco per farmi capire quello che veniva raccontato. Quella fase si chiamava
"Aninut". Ci fu la sepoltura del corpo senza vita della
signora Maya.
Dopo iniziò l'Avelut. L'avelut si divideva in tre fasi: la prima fase si
chiamava shiva, che durò sette giorni nei quali Noah non proferì quasi
parola. Alina mi spiegò che durante questa fase, nessuno può parlare con la
persona in lutto salvo che non sia lui a iniziare una conversazione. La seconda
fase invece era chiamata shloshim, che durava trenta giorni, questo
periodo vietava a Noah di sposarsi o partecipare a feste felici come matrimoni.
In questi giorni Noah non poteva né radersi né tagliarsi i capelli. La terza e
ultima frase si chiamava shneim asar chodesh, che durava dodici mesi dal
giorno del decesso nei quali ogni sera doveva dedicare una preghiera alla
defunta, pur potendo riprendere, dopo lo shloshim, la sua vita di
sempre.
Sarebbe andato
tutto bene se non fosse stato per quelle maledette divise.Io, Noah, Alina e sua madre ci nascondemmo in
una botola nascosta sotto al letto di Alina. Ci nascondemmo lì senza neanche
respirare. Ricordo la paura e il battito cardiaco accelerato.
Decidemmo di partire per l'America, insieme alla famiglia di Alina. Noah
recuperò una foto di sua nonna da portare con sé.
Il padre di Alina conosceva un tizio che cercava di aiutare quelli come loro.
Ebrei. Omosessuali. Zingari. Testimoni di Geova. Polacchi. Tutti quelli che,
insomma, non erano "tedeschi". Ricordo che si parlava di
"superiorità della razza ariana". Stronzate.
Restammo nascosti a
casa del signor William Pryce. Il signor Pryce aveva una piccola capanna
circondata da terra. Vedevo solo terra da lì ma stringevo la mano di Noah nella
mia. Ricordo che dormivo usando il petto di Noah come un cuscino, con lui che
mi accarezzava la testa. Noah aveva i sensi di colpa. Ogni tanto piangeva e
diceva che non avrebbe voluto trascinarmi in quella fuga disperata. Io lo
abbracciavo. Io lo amavo. Che colpa aveva? Quella di amarmi? Che colpa avevo?
Quella di amarlo?
Siamo stati nascosti nella terra del signor Pryce per qualche settimana. Ogni
settimana dovevamo cambiare locazione. La seconda settimana siamo stati
ospitati dal signor Skeile. Il signor Skeile era un po' più ostile rispetto al
signor Pryce, ma ci offriva sempre il latte delle sue mucche. Lo aiutavamo nei
campi. Il sole batteva forte sulla mia pelle e sentivo di poter affrontare
tutto quello se il risultato fosse poter vivere con Noah per sempre.
La terza settimana ci ospitò il signor Kinley. Non sapevo più dove eravamo,
ormai il mondo aveva perso i confini. A volte sbucava fuori un soldato e noi ci
nascondevamo sugli alberi, in silenzio. Alina ci rammendava i vestiti con i
peli che i cavalli perdevano dalla coda o dal crine.
La mamma di Alina cucinava anche per il signor Kinley.
Dormivamo nel fienile, di notte. Non era molto confortevole, ma almeno potevo
sentire il calore di Noah vicino al mio corpo. Ogni tanto capitava che mi
svegliassi di soprassalto e mi tranquillizzavo solo nel vedere che Noah era
vivo accanto a me. La sera prima di partire per il porto - l'unico modo che
avevamo per raggiungere l’America, era via nave: quello più sicuro, anche se
più lungo - facemmo l'amore in quel fienile. Non avevo idea fosse l'ultima
volta che avrei fatto l'amore con Noah.
Facemmo l'amore tutta la notte. Più la gente ci odiava, più noi ci amavamo:
avevamo alimentato il nostro amore con il loro odio e la loro inettitudine. C’eravamo
lasciati travolgere dalle nostre emozioni e abbiamo lasciato che gli altri
sapessero quanto eravamo trascinati in quel vortice d'amore e coraggio. Eravamo
vivi come un fuoco ardente, eravamo veri come il sole che sorge ogni mattina.
Ci amavamo, cazzo. Cosa c'era di sbagliato in tutto quell'amore?
Il giorno dopo il signor Kinley, o forse dovrei
dire: il giorno dopo, quell'infame del signor Kinley ci lasciò al porto.
Ricordo Noah masticare una foglia di tabacco mentre un filo di luce illuminava
quei suoi capelli ribelli. Strinsi la sua mano nella mia.
« Ti amo, Noah. Promettimi che andrà tutto bene. »
« Anche io ti amo, scricciolino. Tra qualche giorno saremo in America, in
una bella casa, con un bel giardino e tantissime margherite profumate.»
« Me lo prometti? »
« Te lo prometto. »
L’angolo dell’autrice:
Salve a tutti! Eccomi qui con il sesto
capitolo di “Mazel tov”. Volevo ringraziare AsanoLight,
Jasminevampire, Frauro, Amarie, LolaBlack , darkmagic31 e otti89 per aver
aggiunto la storia alle seguite e Ladydaredevil e Danyel per le recensioni :3 l’invito
è sempre il solito: sapere cosa ne pensate di questo racconto mi aiuterà a
scrivere meglio, prendete il recensire come un’opera di bene u_u.
Ah e.. Povera signora Maya. Devo ammettere
che mi è dispiaciuto molto vederla morire :( dopotutto era una simpatica
vecchina! Sigh.. Sono stata crudele!!
A presto! :3
Dal prossimo capitolo:
« Portami
da Noah. Voglio andare dove sta Noah. » era l'unica cosa che dissi con voce
tremante di rabbia.
« Credevi di prendermi per il culo, moscerino? Secondo te non l'avevo capito che
ti nascondevi a casa di quel frocio ebreo? »
« Non rivolgerti a lui con quel tono, bastardo!! Tu non hai la minima idea di
cosa significa vivere, io l'ho imparato grazie a lui e- »
Capitolo 7 *** La speranza è l'ultima a morire ***
Mazel tov!
Capitolo
07 – La
speranza è l’ultima a morire
Quella fu l'ultima
volta che avevo visto il sorriso di Noah. Appena scendemmo dal carro, ci
trovammo di fronte dieci uomini armati. Il primo che presero fu Noah. Cercai di
liberarlo ma il mio tentativo fu vano. Mi diedero un colpo dietro la testa.
Vidi del sangue sul volto di Noah. Sentivo in lontananza la sua voce.
« Vai in America » gridava « fuggi, vai in America, ci vediamo a New York ».
Non ricordo molto perché a causa del dolore lancinante dietro la nuca tendevo a
vedere tutto in maniera più incomprensibile.
Ricordo le lacrime
e le urla. Alina e la sua famiglia riuscirono, tra le lacrime, a salire su
quella nave perché Noah li fece nascondere dietro ad una cassa di pesce e dei
marinai americani li fecero accomodare all’interno. Presero Noah: ebbi la vaga
impressione che fossero lì proprio per lui e per me.
Noah non lo vidi più. Sapevo esattamente dove l'avevano portato.
Io fui condotto nella mia cittadina. Incontrai mio padre al commissariato. Era
una stanza anonima dalle pareti grigie sporche di resistenza. La voce del
generale rimbombava all’interno.
« Portami da Noah. Voglio andare dove sta Noah. » era l'unica cosa che
dissi con voce tremante di rabbia.
« Credevi di prendermi per il culo, moscerino? Secondo te non l'avevo capito
che ti nascondevi a casa di quel frocio ebreo? »
« Non rivolgerti a lui con quel tono, bastardo!! Tu non hai la minima idea di
cosa significa vivere, io l'ho imparato grazie a lui e- » fui interrotto da dei
suoi ripetuti pugni. Non si sprecò ad usare un manganello, voleva rovinarmi con
le sue stesse mani.
« Frocio » mi ripeteva continuamente in tono dispregiativo, mentre io mi
sentivodenudato della mia libertà e
dell’amore che provavo per Noah.
Quando fui
sufficientemente sanguinante e indolenzito, mi spedì in prigione. Disse agli
altri che potevano divertirsi con me in tutti i modi che preferivano dal
momento che ero un traditore del sangue puro. Gli altri lo presero in parola.
Ricordo che usavano il mio corpo come quello di una prostituta. Ricordo i
soprusi di quegli uomini repressi. Le violenze. Le lacrime.
Ero rintanato in un angolo ogni notte, mi asciugavo gli occhi con il dorso
della mano. Fui spogliato dai miei vestiti, ero nudo e infreddolito su un
materasso lurido e sporco di sangue e umori. Fissavo quelle sbarre e speravo
che Noah arrivasse come un eroe a portarmi via.
Noah non arrivava mai. Non arrivò mai.
Io non potevo
ancora sapere cosa era accaduto davvero al mio Noah. Potevo solo immaginarlo e
nonostante temessi il peggio, il peggio in realtà era ancora più devastante.
Fu mio padre a parlargli. Insomma, immaginatevi un generale tedesco che scopre
che colui che si era presentato come un"tedesco fratello di Angelica" era in realtà un ebreo
omosessuale fidanzato con suo figlio. Noah fu spedito direttamente ai campi,
solo dopo che mio padre gli avesse spezzato la gamba sinistra e quella destra.
Non era utile per i lavori ai campi. Io lo aspettavo e lui invece...
Nel 1944 fui
portato ad Auschwitz. Mi aveva accompagnato proprio il generale Wolfrang in
persona. Mi sputò in faccia prima di affidarmi a delle altre guardie, dopo
avermi spiegato per filo e per segno come aveva ridotto Noah. Avevo perso il
conto delle persone che avevano violato il mio corpo, che mi avevano sputato
addosso nella migliore delle ipotesi, che mi avevano ferito a sangue. Tutte le
volte piangevo perchè mi sentivo sporco. Come se
avessi tradito Noah.
Nel campo la vita non era diversa. Ad approfittarsi di me non erano solo quelli
più rozzi e incivili, ma anche le guardie. Stupidi vigliacchi. Nascondevano la
loro indole omosessuale sfogando su di me la loro repressione dopo aver preso
moglie e concepito dei figli. Ricordo la violenza incessante con la quale
ferivano il mio corpo come mille lame. Ogni volta mi sentivo sudicio e infranto
come il mio cuore e come la speranza di vedere Noah.
Nel campo conobbi
un ragazzo, il suo nome era Luigi. Era ebreo anche lui, nato in Italia. Luigi
lavorava in una panetteria in Italia prima di finire ad Auschwitz, ogni tanto
parlavamo prima di andare a dormire. Lui mi teneva compagnia e stringemmo
amicizia. Così, quando ogni tanto ci davano un tozzo di pane raffermo, io
immaginavo che fosse pane appena uscito dai forni a legna di cui mi parlava
Luigi in un tedesco stentato. Chiudevo gli occhi e sentivo l'odore del pane
fresco, il parlottare delle casalinghe che facevano la spesa, il campanello
della libreria di Noah. Anche Luigi era stato acciuffato mentre cercava di
partire per l'America. Diceva che alcuni ce l'avevano fatta. Io pregavo per
Alina e la sua famiglia. Pregavo per Noah. Pregavo per la signora Maya.Ricordo che quando cercavo di oppormi, o
quando non lo facevano, o quando cadevo e mi facevo male durante quei lavori,
trovavano sempre un modo per punirmi. Sono stato umiliato, sfruttato,
maltrattato. Ho visto le pene dell'inferno. Solo perché amavo un uomo. Un uomo
che stava subendo le stesse cose solo perché amava me e il loro stesso Dio ma
ci credeva in maniera diversa. Ricordo che volevo cedere. Però c'era Luigi che
mi aspettava sveglio come un cane da guardia aspetta il padrone. Voleva
accertarsi sempre che fossi vivo. La speranza, in quei pochi attimi, s'accendeva. Come quando, nei terreni del signor Pryce,
appassivano le margherite e Noah mi faceva notare che erano appena fruttati i
meli.
Ad Auschwitz vidi
cose che non potevo neanche immaginare nelle più omicide fantasie verso coloro
che abusavano di me. Eravamo marchiati a fuoco. Ci costringevano a lavori da
bestie da soma e quando ci facevamo male, ci mandavano "a fare la
doccia" nelle camere a gas. Quelli che andavano, non tornavano mai.
Luigi era sposato con Cinzia, una bella italiana formosa con dei capelli
lunghissimi neri, secondo lui la più bella ragazza che un uomo potesse mai
desiderare. Io gli dissi che amavo Noah. Lui non disse nulla. Non ebbe pregiudizi.
Luigi mi ascoltava ed io ascoltavo lui. Mi disse che l'amore è bello da qualunque parte proviene e che amare non è mai un peccato.
Quando arrivammo, ci privarono di tutti i nostri effetti. Luigi mi raccontava
che lui aveva ingoiato la fede che portava al dito in segno dell'unione con
Cinzia. Insomma, l'aveva ingoiata per non farsela portare via. Poi aveva
cercato tra le sue feci per ritrovarla. La sciacquava con l'acqua che ci davano
da bere e quando venivano le nuove ispezioni l'ingoiava di nuovo. Era una cosa
immensamente schifosa, immensamente tenera, immensamente disperata. Pensai che
avrei voluto anch’io ingoiare un pezzo di Noah da tenere sempre con me, ma di
Noah l'unica cosa che avevo era un libro che avevo affidato ad Alina prima di
farci portare sul carro da quell'infame del signor Kinley.
Il 26 gennaio del
1945 mi ruppi un braccio. Da giorni sentivo le persone borbottare di
"salvezza". C'erano docce sempre più frequenti. Luigi mi disse di
nascondermi. Con Luigi dividevo la brandina. Ci nascondemmo sotto le coperte.
Il tono era troppo agitato, erano evidentemente di fretta.
« Che stanno dicendo, Zarin? Uè, che sta dicendo? »
« Shh! Abbassa la voce, Luigi! Non sono riuscito a sentire bene..
Borbottavano di una perdita.. Di un impero finito.. Di fare piazza pulita...
Restiamo nascosti, Luigi, presto potrai rivedere la tua Cinzia se stai un po'
zitto! »
Lui annuì e bofonchiò « Spero che anche tu possa ritrovare il tuo Noah...
»
Luigi era sincero. Parlava sempre con il cuore in mano. Gli sorrisi e lui
sorrise a me.
Il 27 gennaio 1945
uscimmo all'avanscoperta. Vedemmo dei soldati senza una svastica sulla divisa.
Ci videro anche loro. Luigi ed io iniziammo a correre all'impazzata. Correvano anche loro.
« Please, don't run! Don't run! We aren't going to hurt you! Please! Stay here!
Please! We're here to save you! Hey, you two! » Ci scovarono. Tremavamo come due foglie. Il
soldato aveva un elmetto verde militare, rigido, ed un fucile sulle spalle.
« Are you ok? Your arm is bleeding... »
« Che sta dicendo questo tizio, Luigi? »
« Ahh, questo è inglese! Mio zio è in America, qualcosa la so! Aspetta
aspetta.. Ehm.. I.. Me.. We, ecco, we are ehm.. We are... »
« Free! You are free! Come with us! »
« Free? We are free? Liberi? »
« Yes, free! Liberi, free! Come on! »
« COME ON! »
Luigi saltò dalla gioia e mi abbracciò. Anch’io piansi dalla gioia e lo abbracciai.
Eravamo free, qualunque cosa significasse eravamo fuori da lì. « Where are you
going? » domandò il soldato « You can follow your dreams now, which are your
destinations? » « America » dissi io, alzando lo sguardo verso il
cielo « New York. »
Luigi non poteva
fare altro che urlare « Cinzia, sto tornando da te amore mio! » e saltava
seguendo quel soldato. Si strappò quel camice a righe da dosso, piangeva dalla
felicità. La sua voce strepitava. Io guardavo il cielo e sorridevo.
« Todà rabà, signora Maya » sorrisi. Ora dovevo raggiungere Alina e Noah.
Quel giorno seppi
cosa significasse la libertà. Avevo tanta vita dentro e tanta altra da vivere.
L’angolo dell’autrice:
Ciao a tutti! Eccomi qui con il settimo e
penultimo capitolo di “Mazel tov”. Volevo ringraziare AsanoLight,
Bliss_, Jasminevampire, Frauro, Amarie, LolaBlack,
Danyel, darkmagic31 e otti89 per aver aggiunto la storia alle seguite e
Ladydaredevil per le recensioni :3 l’invito è sempre il solito: lasciatelo un
commentino a questa povera ragazza .w.
E ora, che ne sarà di Noah? Si
ritroveranno in America, la terra delle mille opportunità?? Lo scopriremo nel
prossimo (e ultimo) capitolo!
A presto! :3
Dal prossimo capitolo:
« Ahh, la
pioggia » mormorò un signore poco più grande di me, coprendomi con l'ombrello.
« Riesce sempre a-- » feci per parlare ma lui concluse la frase al posto mio.
« A coglierci di sorpresa. »
Quando io e Zarin
facemmo l'amore in quel fienile del signor Kinley io avevo paura. Avevo paura
di perdere la mia ragione di vita.
Non che fossi un tipo particolarmente ansioso o previdente - anzi, dal momento
in cui mia nonna mi ricordava di dover portare l'ombrello quando stava per
piovere e di mettermi i calzini di lana d'inverno, direi il contrario - ma
c'era qualcosa dentro di me, come una voce, come un sussurro biasciato che mi
tenne sveglio. La porta del fienile era socchiusa e mi alzai per chiuderla quando
fuori ci trovai Alina che fissava la luna piangendo e seppi esattamente cosa
dovevo fare. Mi dovevo fidare di lei.
[...] La vita nei
campi era davvero dura e con due arti fuori uso - gentile concessione di quel
tenerone di mio suocero - lo era ancora di più. Sono stato portato qui pochi
giorni dopo l'episodio del porto senza sapere se essere vivo fosse un dono
prezioso oppure una tortura. In pochi mesi avevo perso tutto: mia nonna Maya,
il mio fidanzato, la mia migliore amica, la mia libreria, i miei sogni e la mia
identità. Quando vivi una giornata in cui sei letteralmente trattato come una
bestia malata di colera, quando sei costretto ad andare in bagno in un prato e
a pulirti con dell'erba cocente e già sporca, quando non puoi neanche sollevare
lo sguardo al cielo per un secondo senza beccarti frustate o punizioni, non
sembra neanche qualcosa degna di essere chiamata vita ma un disperato tentativo
di sopravvivenza.
[...] Ho conosciuto
molte persone nell'arco della mia vita, alcune buone altre meno, alcune ebree
altre no, alcune belle altre brutte, avevo visto molti posti, avevo viaggiato,
avevo lottato per rinascere dopo la morte dei miei genitori e l'unica cosa che
avevo ottenuto era stata una condanna in questo posto perché appartengo a una
razza "impura", perché sono "malato" di omosessualità. Il
mio pensiero va sempre a Zarin, perché lo sento nel mio cuore che è vivo e che
mi ama ancora, e mi chiedo se perdonerà questa mia assenza nella sua vita, se
supererà il fatto che la mia presenza nella sua l'ha portato a questa
sofferenza, se capirà mai il mio non voler più resistere. Su questa brandina
che dividiamo in tre, con lo sguardo perso nel vuoto, mi chiedo solo se il mio
patrigno avesse fatto bene a non sforzarsi neanche minimante di pensare che
magari sarei potuto essere un buon figlio per lui. Peccato.
Fin dall'infanzia, così come ora, io stesso ero considerato solo uno stupido e
insignificante peccato.
Perdonami Zarin. Perdonami. Shalom. Un
giorno ci incontreremo di nuovo ed io sarò aria fresca. Cercami nella pioggia
imprevista o nel profumo delle margheritine fresche. Ritrovami tra le pagine
che hai sfogliato quando ci siamo incontrati la prima volta, immerso nel fumo
dell'incenso appena acceso. Ti amo. Mazel tov.
« A fare la doccia.
Muovetevi nullità. »
Capitolo 08 (ritorno a Zarin)– Shalom, pace
Non avrei mai
pensato che New York fosse tanto grande. Ricordo che all'inizio del mio tempo
qui, quando ormai avevo ventisei anni, vivevo in una casa popolare e dividevo
la stanza con una ragazza di nome Yolanda. Lavoravo come lavapiatti in un
ristorante italiano e ogni tanto parlavo quella lingua con i proprietari. Me
l'aveva insegnata Luigi al campo, quando era notte e non sentiva nessuno. Nei
giorni liberi cercavo una traccia di Noah. Aspettavo un segno. La signora Maya
mi aveva detto che tutto nella vita era scritto, com'era scritto ch'io
appartenessi a Noah. Quel segno arrivò. Era un altro 15 gennaio e iniziò a
grandinare talmente tanto che fui costretto a rifugiarmi in un piccolo
negozietto vicino al quartiere dove abitavo. Il negozio si chiamava "Il
venditore di sogni". Sbiancai.
Era una libreria,
dall'aspetto antico, con una scrivania di legno decorata da una lampada a olio
e un vasetto di margherite. Profumava d'incenso e libri. Chiusi gli occhi e
respirai l'odore di Noah.
« Buongiorno
signore, posso aiutarla? » a parlare era una bambina. Aveva lunghi capelli
biondi e degli occhi azzurri come il ghiaccio. Mi ammutolii. « Signore? »
« Maya, che cosa stai-- Mi scusi, mia figlia è un po'-- » disse la donna e
sollevò lo sguardo verso di me. Avevamo lo sguardo segnato dalla vita, ma non
potevamo non riconoscerci. «...Zarin?
Sei proprio tu? »
« Alina? Oddio... » scoppiai a piangere mentre scavalcai la scrivania per
abbracciarla. Piangemmo entrambi per qualche minuto buono. Sentivo di aver
trovato un altro pezzo di me. « Alina come stai? Tua figlia.. L'hai chiamata
Maya. Come la nonna di Noah.. E Noah? Oh, Alina, sei viva! »
Mi raccontò tutto.
Chiuse il negozio e m’invitò a casa sua, al piano superiore. La bambina giocava
con un paio di bambole di pezza. Io e lei sorseggiavamo caffè nero.
« Prima di lasciare
il fienile del signor Kinley, Noah mi affidò la foto di sua nonna e una foto
che ritraeva voi due. Mi disse "tu sei una donna, Alina, sei più forte".
Non riuscivo a capire il suo discorso. Aggiunse "verranno a prendermi e
quando lo faranno, io e Zarin non avremo scampo. Ma tu, Alina.. Tu ce la farai.
Sei forte. Sei in gamba. Io non ce la farò. Promettimi una cosa. Fuggi in
America, Alina. Con questi soldi metti su una libreria. Nascondi queste foto
nel libro giusto. Apri una libreria, chiamala come la mia. Sarà un punto di
riferimento. Ci incontreremo tutti lì, un giorno. Metti sempre delle margherite
fresche sul bancone. Zarin capirà che è nel posto giusto. Accendi dell'incenso
alla mela per me. Alina, sii forte. Promettimelo" ed io glielo
promisi. Quando mi hai dato quel libro, quella stessa mattina, capii in che
libro nascondere quelle foto.Ho controllato tutti i nomi dei
sopravvissuti che sono stati pubblicati sui giornali... Ho visto "Zarin
Levi" e ho pensato subito a te. Non poteva essere nessun altro. Ma nessun
Noah Levi. Nessuno. Penso che Noah non ci sia riuscito, Zarin. Credo sia morto
lì. In uno di quei campi. » si alzò e tornò in salotto qualche istante
dopo. Era un libro con una copertina sgualcita, rossa, e il titolo risplendeva
a caratteri dorati.
« "Orgoglio e pregiudizio" » lessi e scoppiai a piangere. Aprii il
libro: dentro c'erano le due foto di cui parlava Alina. La signora Maya
sembrava sorridessementre mi diceva
"Benvenuto", come il primo giorno in cui misi piede in casa sua.
Nell'altra io e Noah ci guardavamo. Giurai che mi dicesse "ti amo"
nel suo tono caldo e suadente, giurai di aver sentito la sua voce bisbigliare
contro il mio orecchio, di sentire la montatura fredda dei suoi occhiali
sfiorarmi la guancia.
Lasciai casa di
Alina dopo cena. Pioveva ancora. Chiusi gli occhi e lasciai che l'acqua che
cadeva dal cielo inumidisse la mia pelle.
« Ahh, la pioggia »
mormorò un signore poco più grande di me, coprendomi con l'ombrello. Sorrisi.
Quella pioggia improvvisa, così come quella del giorno in cui io e Noah ci
scambiammo il nostro primo bacio.
« Riesce sempre a-- » feci per parlare ma lui concluse la frase al posto mio.
« A coglierci di sorpresa. Abita molto lontano da qui? La accompagno a casa. »
Conobbi così Jacob.
Jacob è una brava persona e mi vuole davvero bene.
Viviamo in una casetta normale in un bel quartiere della Florida. Abbiamo un
giardino e ho deciso di piantarci un cespuglio di margherite.
Quindi Noah, ora
che la storia è finita, volevo dirti solo una cosa: mi hai insegnato a tirare
fuori tutto l'odio che avevo. Mi hai insegnato a combatterlo con l'amore e il
coraggio. Nella tenuta del signor Pryce, in quelli di Skeile, nei fienili di Kinley,
mi hai insegnato la forza d'animo. Mi hai fatto vedere che anche nei tempi più
cupi può splendere il sole e che si possono vedere margherite tutti i giorni
anche in una città dimenticata da Dio. E anche se le margherite si seccano, ne
sbocceranno delle nuove e così ancora, perché questo è il ciclo della vita. Ora
che non sei più qui, grazie alle cose che mi hai insegnato, ti sento vicino
ogni volta che accendo un bastoncino d'incenso, o che decido di comprare un
libro, ogni volta che la pioggia cade senza preavviso.
Non sei solo stato
il mio amore, ma il mio mentore, la mia guida, il sole intorno al quale gira la
mia terra.
Todà rabà
Noah, e ovunque tu sia... Mazel tov.
Tuo per sempre, Zarin Levi.
L’angolo dell’autrice:
Ciao a tutti! Eccomi qui l’ultimo capitolo
di “Mazel tov”. Volevo ringraziare AsanoLight,
Jasminevampire, Frauro, Amarie, LolaBlack, darkmagic31, Uccellino Assurdo e otti89 per
aver aggiunto la storia alle seguite e Danyel, Ladydaredevil per le recensioni
:3 e un grazie anche alla mia compaesana Bliss_ che
mi ha scritto ;) spero di sapere se questa storia vi è piaciuta o meno. Io
personalmente, sarà perché mi sono calata nei personaggi, ma a un certo punto
ho dovuto prendermi un po’ di pause caffè perché mi veniva da piangere :(
Alcuni di questi fatti raccontati (come quello degli anelli ingoiati, di
pulirsi sull’erba, degli abusi) sono tra le cose veramente successe.
Mi sono ispirata a delle esperienze di chi
ha veramente vissuto quest’incubo… La mia ex professoressa di storia – che teneva
molto all’argomento olocausto – mi ha fatto partecipare molto spesso a
conferenze sulla materia e ogni volta ho sempre pensato che non fosse giusto
lasciare tutto in un dimenticatoio: non sono cose belle da ricordare né però è
giusto tenerle nascoste! Bisogna imparare dagli errori e capire la sofferenza
di chi ha subito le frustrazioni altrui. Quindi con questo scritto ho provato a
denunciare le cose a modo mio, aggiungendoci un tocco di love story. Ovviamente
tutti i personaggi (come Noah,
Zarin, la signora Maya, Alina etc) sono frutto della mia fantasia. Spero
di essere riuscita a smuovere qualcosa dentro di voi, se invece non l’ho fatto
vi chiedo scusa per la perdita di tempo.
Alla prossima e grazie a tutti per aver
letto fin qui ♥ Shalom aleichem!