Leviathan

di ManuFury
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Esperimento MSP17 - 136 ***
Capitolo 2: *** Risveglio ***
Capitolo 3: *** Sentimenti Perduti ***
Capitolo 4: *** Acqua ***
Capitolo 5: *** Di Assassini e Mari in Burrasca ***
Capitolo 6: *** Vecchi Amici e Nuovi Nemici ***
Capitolo 7: *** Giusto e Sbagliato ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Esperimento MSP17 - 136 ***


LEVIATHAN
 
 
Capitolo 1:
ESPERIMENTO MSP17 – 136
 
 
“Ciao Eli!” Salutò con un bel sorriso Jessica, entrando in quel momento nella grande stanza avvolta da un’insolita luce azzurrognola che si diffondeva uniformemente sulle pareti bianche. Puntò gli occhi verdi e vivacissimi sulla collega in camice bianco, seduta ad un lungo tavolone metallico ingombro di carte e fascicoli.
“Ciao Jess. – Rispose la donna seduta, levando gli occhi scuri sull’amica, con un leggero sorriso in viso. – Vedo che alla fine hai ottenuto il trasferimento.”
“Sì, per forza. Quell’altro mi metteva i brividi.” Affermò avanzando in quell’ambiente così diverso… così neutro. L’esatto opposto rispetto a quello in cui lavorava fino a qualche giorno prima e al pensiero un brivido le corse lungo la spina dorsale.
“Ti capisco.” Ridacchiò leggermente e sotto i baffi Eli, tornando al fascicolo aperto sul tavolo.
“Stai brava che me li sognerò di notte quegli orrendi occhi gialli. – Rabbrividì di nuovo. Spostò lo sguardo, dalla donna a ciò che aveva alle sue spalle, al motivo per cui loro erano lì a lavorare. – Allora… è lei?” Domanda retorica, ma assolutamente spontanea a quella vista. Eli solo annuì, ponendo la sua firma lungo la linea tratteggiata al fondo del documento, prima di chiudere il fascicolo color blu mare.
Jessica avanzò fino al cilindro ricolmo di un denso liquido azzurrino, questo ribolliva lentamente come l’acqua messa sul fuoco per far cuore la pasta. All’interno, oltre lo spesso vetro antiproiettile, fluttuava una figura: un corpo snello, dall’esile profilo, la carnagione era chiara, chiarissima come se la pelle non fosse mai stata esposta ai raggi UV del sole. L’essere fluttuante teneva le braccia incrociate al petto, stringendosi poi le spalle con le mani come una mummia egizia. Il capo rasato era chino e aveva dei lineamenti tanto delicati e tanto neutri da impedire di comprendere se fosse maschio o femmina, ma entrambe le donne sapevano che si trattava di un individuo di sesso femminile. Gli occhi erano chiusi come se stesse dormendo. Sembrava così a suo agio, lì immersa nell’acqua.
“Non ti far ingannare da quel bel visino, Jess. – La riprese la collega, adesso impegnata con un altro fascicolo, dal colore verde acqua. – Hai visto com’è l’altro… non ti aspettare che lei sia diversa.”
“Non me lo aspetto, infatti. – Fu la sua pacata risposta mentre sfiorava lentamente con una mano il vetro gelido. – A che punto siamo con lei?”
“Buono, oserei dire. Ieri l’abbiamo tirata fuori e le abbiamo fatto il secondo ciclo di iniezioni. Controllato i parametri vitali e fatti tutti gli altri esami di routine. È sana come… - una breve pausa - … beh, come un pesce. Sembra anche che il suo corpo reagisca bene al siero.”
“Come per quell’altro?” Un nuovo brivido mentre nella testa si riaffacciavano quei terribili occhi dorati, quello sguardo così animalesco e sadico.
“Molto meglio. L’esperimento MSP17 – 134 è dipendete dal siero. Lei no. L’ha assorbito e plasmato a suo piacimento.”
“I capi saranno contenti.” Affermò Jessica spostando la mano lungo il vetro, a voler constatare che l’essere che abitava il cilindro non fosse veramente morto come poteva parere: in fondo, nessuno poteva stare immerso in un liquido senza maschere ad ossigeno per così tanto tempo. Spostò un dito, tracciando una linea invisibile più o meno all’altezza del collo.
Alle sue spalle un lieve sbuffo e un rumore di fogli spostati.
“Dio, non finirò mai.” Protestò Eli, strappando un sorriso alla collega da poco trasferita.
“Dimmi solo una cosa. Ce l’ha un nome?”
“No. Ha il suo numero identificativo… MSP17 – 136. Perché?”
“Beh. All’esperimento MSP17 – 134 abbiamo dato un nome, se così possiamo definirlo.” Abbassò gli occhi verdi, notando una targhetta alla base del cilindro: recitava il numero identificativo appena citato da Eli in grandi lettere e numeri in rilievo.
“Sul serio? Non lo sapevo. Si vede che voi dall’altra parte avete tempo da perdere. – Ridacchiò leggermente. – MSP17 – 136 non ha alcun nome, per ora. Qualche idea, cara?” Domandò con un sorriso l’altra donna.
“Forse. – Rispose pragmatica, staccandosi. – Dai, ti do una mano con le scartoffie.”
Indietreggiò raggiungendo il tavolone di metallo, recuperò una sedia e prese posto di fronte all’amica e collega.
La aiutò a compilare il resto dei fascicoli, per lo più schede che riportavano le condizioni fisiche dell’esperimento MSP17 – 136: dati riguardanti i suoi progressi con il siero, i suoi parametri vitali sempre perfettamente nella norma, c’era una tak del cervello che evidenziava alcune zone divenute particolarmente attive; in poche parole, tutto normale. Su un foglio vide scarabocchiata la doppia elica del DNA umano, delle parti erano state evidenziate e a fianco qualcuno vi aveva scritto “anfibi”. Jessica era veloce in quel lavoro visto che le toccava sempre compilare rapporti con l’esperimento MSP17 – 134.
Erano quasi alla fine quando alzò gli occhi, fissando quella figura pacifica nell’acqua. Le ricordava una qualche Nereide greca, o una ninfa dell’acqua, persino una Dea stessa, così a suo agio nel suo ambiente naturale. Ricordò poi le parole della collega, di non farsi ingannare da quel bel visino dolce, visto che non stavano creando una Dea o una pacifica Nereide, ma una macchina da guerra. A quelle nuove riflessioni i suoi pensieri si spostarono dai miti e dalle leggende dell’antica Grecia, per spostarsi ad un libro che aveva letto di recente, senza un’apparente motivo… la Bibbia.
“Leviathan…” Sussurrò a fior di labbra, portando gli occhi là dov’erano quelli della creatura. Per uno e un solo momento le parve di veder tremare le palpebre chiare, quasi che gli occhi volessero aprirsi senza riuscirci perché troppo pesanti. La giovane dottoressa si ritrovò a tifare in silenzio perché quegli occhi si aprissero, mostrandosi finalmente.
“Scusa?” Domandò Eli, alzando gli occhi dal suo compito per portarli sulla collega.
“No, niente. – Rettificò Jessica, abbassando di nuovo lo sguardo e cancellando i suoi pensieri. – Pensavo ad alta voce. – Fece una pausa. – Visto che sono nuova, vorrei chiederti ancora una cosa, ci può sentire?”
“In questo stato no.” Affermò sicura tornando alle scartoffie.
Jessica annuì. Alzò ancora una volta gli occhi verso il cilindro, ma li riabbassò quasi subito. Aveva appena iniziato, si era fatta trasferire perché si faceva delle paranoie assurde con quell’altro e non doveva ricadere in simili vizi anche qui.
Eppure…
Scosse più energicamente la testa, tornando a sua volta al lavoro. No, niente ossessioni.
Nello stesso momento l’acqua azzurrina del cilindro ribolliva e l’essere che lo abitava si mosse impercettibilmente, o meglio, mosse le labbra in un’invisibile sorriso sulle labbra sottili sottili.
Sì che vi posso sentire.
 
Continua…
 
 
 
***
 
HOLA! ^_^

Sì, è un periodo in cui sono fissata con il sovrannaturale, confesso. u_u
Questo personaggio è una mia creazione dei tempi delle medie (poi finita nel dimenticatoio per anni e anni), l’ho sognata di nuovo una notte e ho deciso di farla partecipare ad un Contest, limando, ovviamente, qualche dettaglio e aggiungendoci qualcosa di nuovo.
La raccolta è stata scritta per il
Contest a Turni “Autunno Originale” indetto da Faejer.
Nel primo turno bisogna presentare il proprio personaggio… io ne ho presentati addirittura due (già… l’altro personaggio citato da Jessica, sarà molto importante più avanti, quindi, non dimenticatevelo, mi raccomando. u_u).
Inoltre, diciamocelo, una parte dell’ispirazione mi è arrivata dalla Challenge “La sfida dei duecento prompt” indetta da msp17 con il prompt 136) Esperimento. E qui ammetto di averle dedicato un po’ il capitolo…
Altro da dire non mi viene in mente quindi direi che ci possiamo sentire la prossima volta, ok? ;)
A prestoooo!
ByeBye
 
ManuFury! ^_^

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Capitolo 2
*** Risveglio ***


LEVIATHAN
 
 
Capitolo 2:
RISVEGLIO

 
 
Il ritmico tamburellare delle dita dell’esperto di genetica stava iniziando a diventare fastidioso, almeno per Jessica.
Lo guardò di sottecchi, leggendone in viso una punta di stizza e tanta, tanta impazienza. Da quel punto di vista la giovane lo capiva: lei non aveva praticamente dormito quella notte dall’agitazione, come una bambina la sera prima di Natale, oppure come quando aspettava fuori dalla sala parto con suo padre, tanti anni fa, in attesa che nascesse il suo fratellino, all’epoca in cui ancora pensava che gli ospedali fossero luoghi pieni di miracoli e magia.
Sospirò scacciando quei pensieri, attorcigliandosi una ciocca di capelli attorno ad un dito. Gli occhi verdi vagavano naufraghi per la sala, sondando i pochi colleghi venuti ad assistere al risveglio dell’essere contenuto nel grande cilindro di vetro. E proprio lì si fermò lo sguardo della ragazza, scorrendo su quel corpo che ormai conosceva quasi come se fosse il suo, scivolando lentamente, ma senza malizia lungo le gambe sottili fino alla piccola targa dove, al posto del numero identificato, era stata scritta una parola, o meglio, un nome.
Leviathan.
Sorrise, ormai sapeva che tutti al laboratorio la chiamavano così. Le faceva piacere che molti apprezzassero la sua fantasia nel creare nomi, così com’era successo per l’esperimento MSP17 – 134.
Leviathan. In effetti, è proprio un bel nome. Pensò per distrarsi da quel continuo tamburellare e dai sospiri innervositi dei colleghi, le sembrava quasi di essere in fila alle poste. È quasi meglio di quello che aveva prima.
Alzò leggermente un sopraciglio: com’era già il suo nome?
Un vuoto che poteva colmare in fretta, semplicemente aprendo il fascicolo azzurro acqua che aveva di fronte. Le informazioni sulla vita di Leviathan le aveva lette una volta sola alla veloce, poiché Eli preferiva concentrarsi maggiormente sui test e sui risultati ottenuti piuttosto che su inutili questioni morali; ma adesso era un ottimo passatempo e poi Eli ancora non c’era, stranamente era in ritardo.
Jessica sorvolò su tutte le pagine dedicate ai test con i loro mille numeri e scritte strane che sembravano arabo o elfico per cercare quelle riservate all’ex vita di Leviathan. Tutte le informazioni erano racchiuse in una pagina, solo fronte.  
Sospirò, le sembrava così strano riuscire a condensare la vita di una persona in così poco spazio, ma ignorò quei pensieri scorrendo su quelle poche righe alla ricerca del nome.
Lo trovò subito sotto il codice identificativo. Josephine Cobb. E di seguito tutte le altre informazioni. Nazionalità: svizzera. Data di nascita: 10 novembre 1984.
Oh. È dello scorpione, come mio papà. Sorrise appena continuando a leggere le altre notizie: prima era nella finanza, era un Caporale di un nucleo antisofisticazione a essere precisi e aveva ricevuto diversi encomi per i lavori svolti.
Allora perché si trova qui? Si chiese Jessica alzando nuovamente un sopraciglio e portando gli occhi sulla creatura contenuta nel cilindro, non capendo la sua decisione: aveva la possibilità di una gloriosa carriera statale e invece aveva deciso di sottoporsi a quegli esperimenti ai quali poteva anche non sopravvivere. Che cosa era andato storto nella sua vita per spingerla a una scelta simile?
Ripensò all’esperimento MSP17 – 134, con lui era diverso, era stato spedito lì per motivi di sicurezza ma Leviathan…
“Scusate per il ritardo!” Esordì Eli entrando nella stanza in un fruscio di vesti, facendo tirare un sospiro di consolazione a tutti. Spiegò brevemente il motivo del suo ritardo: una chiamata importante dai piani alti, cose che succedevano abbastanza di frequente.
Jessica le sorrise chiudendo il fascicolo, tornando in trepidante attesa, come quasi tutti del resto!
Adesso avrebbero finalmente scoperto se il nuovo siero funzionava a dovere, se erano stati in grado di eliminare gli sgradevoli difetti dell’esperimento MSP17 – 134.
Il momento della verità. Pensò la giovane osservando la collega che si toglieva la giacca e si avviava verso un monitor lampeggiante con decine di bottoni e pulsanti colorati. Eli li osservò un momento mentre si sedeva. Chiese ai presenti se fossero tutti pronti con tono serio e professionale, all’annuire generale iniziò a inserire la prima sequenza di comandi.
Jessica la osservava attentamente, come un'allieva diligente che non si perdeva un movimento della maestra. Avevano ripetuto quei gesti decine e decine di volte negli ultimi giorni, preparandosi a quel momento.
Il liquido azzurro in cui era immersa Leviathan prese a turbinare, formando spumose bolle candide. A Jessica ricordavano tanto quelle del suo acquario sperimentale, risalente al periodo in cui si era messa in testa di costruire un apparecchio con cui si sarebbe stata in grado di comunicare con i pesci. Sorrise, il paragone era persino appropriato, anche se in quel caso si parlava di anfibi e non di pesci.
Attorno a lei era nato in lieve chiacchiericcio cui la giovane non prese parte né spese troppe attenzioni. Era concentrata su Leviathan, su quella figura sottile che iniziava a muoversi in autonomia a mano a mano che il livello del liquido in cui si trovava diminuiva. La vide piegare indietro il capo, sfiorando con la nuca rasata il vetro del cilindro, dischiudendo poi appena le labbra... e fu allora che urlò. Un grido acutissimo e straziante che obbligò tutti i presenti a portarsi le mani alle orecchie per quando quel suono fosse doloroso e lacerante!
La giovane digrignò i denti, stringendo gli occhi davanti ai quali si parò l’immagine di sua madre inginocchiata di fronte ad un corpicino ormai inerte.
Quando li riaprì, trovò molti dei suoi colleghi con ancora le mani premute sulle orecchie, le macchine non avevano badato a quei lamenti e avevano continuato a lavorare, svuotando prima e alzando poi il cilindro contenente Leviathan, ora riversa a terra, leggermente stretta su se stessa. L’assistente che doveva sorreggerla non si era mosso, troppo disorientato da quell’urlo.
Leviathan ansimava leggermente, stringendosi le spalle con le mani mentre piccole goccioline trasparanti le scorrevano sulla pelle candida. Tremava un poco come se sentisse freddo, il che era possibile visto la sua nudità. Solo dopo qualche minuto spostò indietro il viso, mostrando i suoi dolci lineamenti e gli occhi, che piano presero ad aprirsi: erano blu, quello bello e misterioso che puoi trovare nel profondo degli oceani, oppure durante il mare in burrasca. Vagarono naufraghi su quei visi sconosciuti, fermandosi poi su Jessica.
La giovane trattenne un momento il respiro, in testa le vorticavano gli avvertimenti di Eli, di non avvicinarsi, che non stavano creando una sirena o una Nereide, ma una macchina da guerra, fredda e spietata. Solo che nessuna macchina da guerra poteva avere quegli occhi così grandi e spaventati che sembravano quelli di una bambina che ha perso i genitori. Le ricordava bene quelle parole, ma le ignorò.
Avanzò verso l’esperimento, non badando ai commenti dei suoi colleghi e agli avvertimenti ancora sconnessi di Eli. Si sfilò il camice, calpestando qualche residuo di liquido azzurrognolo che si era riversato sul pavimento e raggiunse Leviathan. Lei la guardò e il corpo le tremò appena di più mentre il lieve profilo del seno si ritraeva per lasciare posto a pettorali elegantemente accennati. Più in basso, la sua sessualità dal principio neutra fu sostituita a una indubbiamente maschile.
Jessica sorrise all’esperimento, chinandosi verso di lei, più precisamente verso di lui. Aveva letto di quell’effetto collaterale, un meccanismo difensivo delle specie di alcune raganelle dell’Amazzonia con il quale il DNA umano di Leviathan era stato mescolato.
“Va tutto bene, tranquilla. – Disse dolcemente, ignorando le voci degli altri, che le intimavano di starle alla larga. Le posò il camice bianco sul corpo, così da coprirla, almeno parzialmente. – E benvenuta, Leviathan.”
L’esperimento la guardò, ritraendosi per un momento a quel gesto, ma poi accettando il camice come coperta. Vi si strinse dentro, sospirando e socchiudendo gli occhi blu oceano. Era restia a chiuderli del tutti, perché ogni volta che lo faceva immagini confuse, le si paravano davanti agli occhi: lei sul bordo di una piscina, una divisa, una macchina, delle rose, una pistola, del sangue in terra, una lettera e tanto altro. Immagini di una vita che era stata la sua, ma era tempo di lasciarsi tutto alle spalle.
Perché adesso era Leviathan.
 
Nel buio che lo avvolgeva, MSP17 – 134 attendeva in silenzio un segnale che sembrava non voler arrivare mai.
O almeno fino a quel momento, quando le sue orecchie scattarono leggermente indietro, captando un acuto grido attutito dalla distanza e fermato parzialmente dalle spesse pareti che dovevano contenerlo.
Sorrise nelle tenebre attorno a lui.
Era un suono così diverso da prima, da quando chi l’aveva emesso, era una bella ragazza dalle curve provocanti che l’avrebbero di sicuro attirato se fosse stato ancora umano… e un po’ più sano di mente.
Ricordava bene quel giorno perché era il primo in cui gli scienziati gli avevano concesso il permesso di uscire dalla sua cella di contenimento. Appena fuori mille odori l’avevano investito con la loro inebriante forza, anche se uno l’aveva attirato più degli altri. Era un profumo dolce, un aroma floreale che sapeva di cose belle e pure, ma con una nota aggressiva in sottofondo, che anticipava qualcosa di assolutamente… unico. L’aveva attratto, dandogli alla testa come una droga ed era scattato, eludendo la sorveglianza.
Trovare la fonte di quel buon profumo era stato semplice, si trattava di una ragazza, era scortata da due soldati che la stavano conducendo nella stanza dirimpetto alla sua, quella marchiata con un simbolo che ricordava vagamente la lettera greca lambda.
Scattare verso di lei era stato più forte di lui, era stato un istinto che non aveva potuto controllare e che aveva risvegliato qualcosa nel profondo della sua anima. Aveva ucciso senza rimpianti i due soldati e aveva bloccato la giovane alla parete, beandosi del suo aroma che gli dava alla testa e rabbrividendo di piacere al suo grido di terrore. Ma era stato solo quando i loro occhi si erano incontrati che aveva capito quanto fossero uguali.
Per questo non l’aveva uccisa come aveva fatto con gli altri poco prima.
Perché era come lui.
Sapeva che lei l’avrebbe cercato e lui aveva atteso, in silenzio, con pazienza un suo segnale.
E adesso sapeva che si era risvegliata per com’era veramente.  
Rise, con la sua risata isterica, identica a quella di una iena, ma decisamente più animalesca. Rise per rispondere al richiamo della ragazza, a ricordarle che era lì ad aspettarla.
 
Continua…
 
 
 
***
 
HOLA! ^_^
 
Anche se all’ultimo, sono riuscita finalmente a finire anche questo capitolo che non è venuto nemmeno un gran che, confesso! ^^’’
Allora, allora… il tema di questo turno era la presentazione del personaggio. Ho fatto qualche breve accenno a Jessica, ma tutto era incentrato sulla cara Leviathan della quale ho rivelato qualcosa senza scendere troppo nei dettagli, perché sono cattiva, cattiva! :P
E poi, per la cara Sorella Grimm ho voluto introdurre anche brevemente il buon 134, anche se per il nome dovrete attendente ancora il prossimo capito! U_U
Sempre che passi questo, ovviamente! ^^’’
Allora… che altro dire? Ah beh, ovviamente la raccolta è stata scritta per il
Contest a Turni “Autunno Originale” indetto da Faejer.
Inoltre, una buona parte dell’ispirazione mi è arrivata dalla Challenge “La sfida dei duecento prompt” indetta da msp17 con il prompt 139) Grido.
Bene, adesso ho detto tutto.
Ringrazio tutti quelli che hanno recensito e anche quelli che hanno solo letto. E soprattutto le altre partecipanti al Contest, alle quali devo ancora recensire le storie, ma lo farò presto, lo prometto ragazze e ragazzi! ^^’’
Bene, bene… in bocca al lupo a tutti e tutte!
Ci sentiamo alla fine del turno,
ByeBye
 
ManuFury! ^_^
 

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Capitolo 3
*** Sentimenti Perduti ***


LEVIATHAN
 
Capitolo 3:
SENTIMENTI PERDUTI
 
 
Will you follow me into the light
The fortress of wisdom, a star shining bright
The garden of heavenly sin
A kingdom of beauty to please you within…

 
Emergendo dal caos che regnava in quel momento nella sua stanza, Jessica si buttò letteralmente sul pavimento come un giocatore di football che arriva a meta, afferrando con ambo le mani il cellulare nero che stava suonando.
 
Where do we go from here?
Leaving our memories behind
It’s time to free your mind…

 
Bloccò la suoneria su quel passaggio, a suo dire il più bello di tutta la canzone e finalmente rispose, portandosi l’apparecchio all’orecchio.
“Pronto?” Domandò con innocenza mentre si girava sulla schiena. Ipotizzava chi fosse, per questo alzò gli occhi verdi al soffitto metallico, notando alcuni fogli di carta che ancora volteggiavano in aria come piccoli alianti, sospinti dal leggero venticello creato dal suo ventilatore che rinfrescava l’ambiente.
“Jessica!!! Ma che combini ragazza mia!? – Arrivò adirata e particolarmente acuta la voce della collega all’altro capo della linea. Dire che fosse arrabbiata era sminuire la situazione. – Sei in ritardo!”
“Sì, Eli, lo so. Ho avuto un piccolo… - fece vagare di nuovo gli occhi per la stanza messa a soqquadro - … intoppo.”
“Sempre la solita! – Sbuffò Eli, facendo sorridere appena Jessica, l’altra scienziata pareva tanto un toro infuriato a sbuffare in quel modo. – Sono venti minuti che ti aspetto e avrei anche altro da fare, quindi, se non ti arreca troppo disturbo…”
“Ti freno subito, Eli. Inizia pure. Arrivo il prima possibile.” Le rispose la giovane, alzandosi a sedere e frugando in mezzo ad un mucchio di vestiti, per la maggior parte jeans e camicette dai colori caldi e tenui.
“Sicura? Non so se la tua amica. Mi correggo, il tuo amico ha voglia di iniziare con me.”
“Ancora con questa storia?! – Ridacchiò la giovane. – Sai che Leviathan è un angelo.”
“Questo lo dici tu, dolcezza. – Un sospiro dall’altra parte. – Vedi di fare in fretta.”
“Certamente, chi si vuole perdere l’ebbrezza di una fantastica visita oculistica?” Un nuovo sottile risolino le uscì dalle labbra. All’altro capo della linea, invece, una risatina sarcastica, seguita subito dopo da un veloce saluto prima che la comunicazione si interrompesse.
Jessica sorrise prima di posare il cellulare a terra, ma il suo sorriso divenne subito uno sbuffo a guardare il casino che la faceva da padrone in quella stanza.
Peggio della cameretta di Sid. Pensò riprendendo a frugare tra i vestiti e i cumuli di oggetti che aveva buttato a terra, svuotando tutti i cassetti della scrivania, l’armadio e anche la cassapanca.
Era certa di aver guardato dappertutto, eppure quel dannato rapporto non si trovava. Non era niente di eccessivamente importante oppure di top segret, però quasi ci… teneva: era un foglio azzurrino di dimensioni standard, con il logo del loro laboratorio, ci aveva preso sopra alcuni appunti su Leviathan e anche su MSP17 – 134, studi sul loro comportamento in separata sede. Ma cosa più importante, vi era sopra un disegnino, piccolo e quasi insignificante che Leviathan aveva fatto per lei.
Sbuffò per l’ennesima volta, buttandosi alle spalle un paio di jeans con uno strappo molto alla moda all’altezza del ginocchio e si passò le mani tra i capelli.
Non l’avrebbe trovato mai in tutto quel caos. Aveva perduto quel foglietto e per sempre, lo sapeva.
Si sentiva disperata dalla perdita.
Certo, avrebbe potuto chiedere a Leviathan di farne uno nuovo, però, quasi temeva che… si offendesse. Avevano instaurato uno splendido rapporto e non voleva rovinarlo per una stupidaggine del genere.
Abbassò gli occhi, guardandosi le scarpe bianche, prima di rialzarli lentamente, le mani premute sulle tempie come se stesse pensando intensamente a qualcosa. Cosa vera, in effetti, pensava all’ultima volta che aveva visto quel pezzo di carta e a dove potesse essersi rintanato.
Quando rialzò con calma gli occhi, facendoli scorrere sul pavimento lucido e oltre i mucchi di vestiti e oggetti lo intravide: il foglio azzurro che tanto cercava, strappato su un lato e pizzicato per metà sotto una gamba della scrivania.
Classico! Pensò, un vero e proprio classico: quando si smette di cercare una cosa, questa rispunta dal nulla.
Si avvicinò gattonando e allungando la mano per recuperare il foglio, stringendolo poi tra le dita tutta soddisfatta.
“Ah! Ti ho presto.” Esultò come una bambina, nemmeno che quel pezzetto di carta fosse dotato di vita propria e tentasse in tutti i modi di scapparle. Lo osservò: certo che era più stropicciato di come se lo ricordava lei e poi, non le sembrava che fosse un foglio a righe.
Alzò un sopraciglio girandolo e capì immediatamente che non era quello che cercava. Era un vecchio foglio di quaderno a righe e non le ci volle nemmeno tanto per riconoscere la minuta, ma abbastanza elegante calligrafia.
 
Cara Jeka,
 
Iniziava così.
Per Jessica era impossibile non ricordare di chi fosse quella lettera, scritta in arancione scuro su azzurro, i suoi due colori preferiti.
Avvertì un groppo in gola: da quanto tempo non ci ripensava? Si era persino dimenticata che quella lettera esistesse, ormai era un ricordo lontanissimo e con troppa polvere sopra. Non poteva più ferirla con il suo spropositato carico emotivo.
Poteva continuare a essere così: ad essere solo un ricordo sbiadito come quell’inchiostro arancione scuro: bastava accartocciarlo e buttarlo nel cestino rovesciato della carta, scordandosi ancora una volta della sua esistenza.
Invece…
Poggiò il foglio a terra, stendendolo con entrambe le mani così da poter leggere più facilmente quelle righe.
 
Cara Jeka,
 
so che non sopporti che io ti chiami così, eppure non riesco a non farlo: il tuo bel viso adirato è stupendo, almeno ai miei occhi. Non so se l’hai mai notato, ma quando ti arrabbi, ti si gonfiano un pochino le guance e le orecchie si fanno subito rosse come peperoni. E poi la tua espressione imbronciata è troppo adorabile.
Ma ormai è così difficile vederti arrabbiata… oppure felice…
È così difficile vederti in uno stato diverso dalla tristezza e questo mi fa male.
Sembra tanto una frase da film, ma… mi dispiace per quello che è successo a te e alla sua famiglia, sul serio.
Vorrei dirti che so quello che provi, che il tuo dolore è anche il mio, ma non posso, perché suonerebbe falso e non è mia intenzione mentirti. Non voglio fare come tutti, che cercano consolazione in una bugia.
Ma non è nemmeno questo a incupire i miei giorni e le mie notti.
No, la cosa più terribile di tutta questa fot*** faccenda è il vederti così cambiata, Jeka. L’abbiamo notato tutti a scuola, la tua personalità così attiva e viva ora pare sfiorita come una rosa una volta passata la bella stagione. E questa nuova te… ci fa paura.
Io, ma non solo io, rivogliamo indietro la ragazza che entrava ridendo ogni mattina, augurando a tutti una buona lezione benché si trattasse di un’inutile ora  di fisica, o di matematica o di letteratura; rivogliamo la ragazza che a prendere appunti disegnava cuoricini arancioni sopra ogni i, la ragazza che d’inverno s’imbambola per delle ore sui fiocchi.
Ed io rivoglio quella ragazza dolce e semplice, sempre disponibile: quella che mi si avvicinò un giorno per chiedermi se avevo bisogno di una mano con le disequazioni. Quella che andava su tutte le furie se veniva chiamata Jeka… ma ridacchiava subito dopo, stringendoti in un abbraccio.
Questa è la compagna che ci manca: a noi, soprattutto a me.
Che fine ha fatto questa te, Jeka? In quali oscuri meandri si è perduta?
Vorrei tanto saperlo, per seguirti e riportarti indietro. Riportati a essere quella che eri…
Ma so che mi sarà impossibile.
Ti sei isolata, richiudendoti a riccio nel tuo dolore, piangendo in silenzio e da sola, proprio come fanno gli angeli.
Ti ho perduta, forse per sempre, così senza alcun preavviso, rendendo un inferno quello che prima consideravo il paradiso.
E mi ritrovo qui, seduto da solo alla scrivania a scriverti queste poche righe, guardando la foto di classe, quando ancora sorridevi. Ora, è questa difficile riconoscerti. È difficile ricordare che quella eri tu.
Cerco di sforzarmi, impiego tutto me stesso per poterti dimenticare una volta per tutte, ma non ci riesco, non completamente almeno.
Mi cosa dolore e lacrime, ma devo dirti addio, Jeka. Tu devi guarire le tue ferite e io le mie, quelle che questa storia mi ha provocato.  
Ci sono giorni in cui sentendoti mentre mi aggredisci con parole che mai avrei pensato potessero uscire dalla tua bocca vorrei odiarti, ma di nuovo non ci riesco.
Considerami debole e vigliacco, ma non riesco a odiare. Posso solo amarti, in silenzio e da lontano, come in uno di quei patetici film d’amore.
Solo che di questo conosco la conclusione e so che non un lieto fine.
Ti devo dire addio, Jeka.
Avrei voluto dirtelo di persona, ma non riesco più ad avvicinarmi a te, hai troppa rabbia, troppo fuoco che ti brucia dentro e io non ne voglio più avere a che fare, non voglio più scottarmi nel tentativo di avvicinarmi.
Perdonami per la vigliaccheria.
Quest’anno quando le scuole riapriranno, so che troverai questa lettera nel tuo armadietto, forse sbufferai e la butterai via senza nemmeno aprirla.
Ma spero che tu non lo faccia. Spero che tu la apra e la legga. Così, magari, potrai accorgerti che il dolore che senti non è solo tuo, è anche mio.
Perché  non mi hai mai lasciato la possibilità… di dirti… ti amo.
Addio Jeka,
 
Sempre tuo, nonostante tutto,
Davey
 
Le parole non erano cambiate nel corso degli anni. Del resto come avrebbero potuto farlo?
Restavano gli stessi dardi intrisi di veleno che erano tanto tempo fa: quando il calore dell’estate aveva lasciato il posto alle prime foglie brune che si staccavano dagli alberi per precipitare a terra e quando le scuole avevano riaperto i loro battenti per far rientrare al loro interno gli alunni. Era allora che l’aveva trovata: una lettera stropicciata buttata sul fondo del suo armadietto, probabilmente ancora umida di salate lacrime d’amore.
Jessica si strinse il foglio contro al petto, un po’ in alto, lì dove c’era il cuore cosparso ora come allora di cicatrici invisibili.
Davey… impossibile dimenticarlo. Era il ripetente della loro classe. Capelli scuri e occhi nocciola chiari, tratti forse un po’ marcati e ancora troppa acne che si sfogava sulla pelle, ma in fondo un gran bravo ragazzo.
Lei i ragazzi non li aveva mai guardati veramente come tali, erano solo amici, nulla di più. Anche se, Davey era diverso: sapeva sempre come farla ridere con le sue buffe imitazioni dei professori e le sue espressioni facciali così stravaganti. Sapeva scaldargli il cuore come solo Sid era in grado di fare.
Avrebbe dovuto capirlo. Avrebbe dovuto capire che non poteva esserci soltanto l’amicizia, come una volta sua madre le aveva detto: “Un ragazzo e una ragazza possono pure essere amici, ma ad un certo punto o l'uno o l'altra si innamorerà. Forse temporaneamente, forse nel momento sbagliato, forse troppo tardi o forse per sempre.”
Parole sante. Si disse sconsolata.
Come suo solito, ci era arrivata troppo tardi. Quando Davey era già perduto, trasferito in qualche lontana città Europea. Non l’aveva nemmeno potuto salutare, presa com’era dal suo dolore, non si era resa conto di averlo fatto anche ad altri e a qualcuno con più crudeltà che per qualcun altro.
Incredibile quando il ricordo fosse ancora vivo dopo più di quindici anni e come faceva ancora male come una ferita mal cicatrizzata e ancora infetta sotto alla crosta.
Jessica sospirò a quei pensieri di cose perdute che come foglie volteggiavano senza meta nella sua mente sospinti lievemente dal vento del ricordo. Gli occhi le pungevano come se dovesse scoppiare a piangere da un momento all’altro, ma riuscì a darsi un contegno. Doveva presentarsi da Eli e da Leviathan di lì a breve e non poteva farsi trovare in quello stato pietoso.
Prese un profondissimo respiro, chiudendo gli occhi.
Quando li riaprì trovò la forza di alzarsi in piedi, la lettera di Davey ancora stretta contro il petto, ma la mente più tranquilla, più in ordine.
Pensò che non aveva senso soffrire per un passato che ormai non poteva più cancellare e di cui, in un certo senso, ne era persino fiera compresa di: errori fatti e lezioni imparate, discese all’inferno e risalite al paradiso.
Ricordare Davey di punto in bianco le aveva fatto del male, più di quello che aveva mai creduto, forse perché con lui sarebbe riuscita, in un modo o nell’altro, a creare qualcosa di bello, qualcosa che non aveva mai avuto la forza di tentare di ricostruire dopo.
Scosse la testa a scacciare quelle sensazioni negative. Si avvicinò alla scrivania, recuperando il fascicolo contenente i test giornalieri da fare a Leviathan. Lo strinse al petto, assieme a quella letterina e uscì dalla sua stanza ancora in disordine dopo essersi infilata velocemente nella tasca anteriore dei jeans il cellulare.
Aveva fatto perdere fin troppo tempo a Eli. Avrebbe continuato a cercare in seguito il disegno che Leviathan aveva fatto per lei e se non l’avesse trovato… beh, sarebbe stata solo un’altra cosa perso nella sua vita: come Sid… come Davey…
Il rumore della porta che si richiudeva con forza alle sue spalle fece ridestare Jessica, alzò gli occhi al corridoio e prese ad incamminarsi con passo svelto e respiro regolare, atto a sedare le emozioni che ancora si combinavano dentro di lei.
Il laboratorio non era molto lontano: giusto un paio di incroci e il seguire per qualche altro minuto dei corridoi che, all’apparenza, sembravano tutti uguali. Nell’enorme stanzone dove era posto il cilindro dell’esperimento MSP17 - 136 trovò sia Eli che Leviathan. La prima era impegnata in un accurato controllo oculistico alla seconda, seduta perfettamente immobile, schiena e spalle ben dritte, posa che strappò un sorriso alla giovane appena arrivata.
Più la guardava e più Jessica si convinceva che Leviathan fosse un essere a dir poco eccezionale.
L’avevano risvegliata da un paio di giorni eppure gran parte della sua confusione iniziare dovuta alle mutazioni subite era svanita: riconosceva oggetti e persone senza difficoltà, dimostrandosi ben più ubbidiente dell’altro esperimento, sottoponendosi a tutti i test senza accennare a protestare. Si poteva quasi dire che avessero finalmente raggiunto il loro scopo: creare un essere geneticamente superiore a un qualsiasi altro, ma docile come un agnellino.
Almeno all’apparenza.
Si avvicinò lentamente alle due, sorridendo leggermente con il fascicolo stretto al petto.
“Se proprio bravissima. – Iniziò, ridacchiano non appena fu più vicina. – Ops volevo dire, bravissimo, Leviathan.” Affermò affiancandosi alla collega.
“Oh, ce l’hai fatta, Jessi.” Bofonchiò distrattamente Eli mentre si allontanava dall’esperimento di qualche passo, riscontrando che andava tutto benissimo anche per quanto riguardava la sua vista. Leviathan non disse nulla, solo posò gli occhi azzurrissimi in quelli verdi di Jessica, incurvando leggermente le labbra sottili a rispondere al gesto della scienziata nel modo più umano che conosceva. Cenno che fece di nuovo sorridere la ragazza.
“Allora?” Domandò ad Eli, tornata a sedersi alla scrivania, mentre compilava il suo rapporto.
“Sanissimo. Non ha alcun difetto fisico, di nessun genere. Se non fosse per la sua ostilità nell’ostinarsi al non parlare!” Protestò la donna, inserendo il rapporto appena firmato in una cartellina blu che ripose su una pila ordinata con le altre.
“Fossero tutti qui i nostri problemi.” Commentò Jessica, posando il suo di fascicolo sulla pila e sfiorando gli altri con la punta di un indice.
Ne pescò uno apparentemente a caso, dopo averli passati in rassegna tutti.
Riguardava i mutamenti della struttura fisica di Leviathan, in particolari quelli legati al sesso. Avevano fatto vari esperimenti al riguardo: con scienziati di sesso maschile, Leviathan cambiava i suoi attributi in quelli di una donna, al contrario con ricercatrici femminili si evolveva in un uomo, com’era adesso. Con una velocità di reazione di pochi minuti da un sesso all’altro.
Eli lo trovava un sorprendente effetto collaterale, degno di ricerche molto più approfondite, mentre Jessica, benché lo trovasse affascinante a sua volta, non poteva fare a meno di considerare tutta quella storia terribilmente triste. Adesso in particolare, ora che i suoi ricordi più intimi erano risaliti a galla, come tanti fantasmi, risorti solo per tormentarla.
Aveva comunque voluto andare più a fondo in quella storia, passando tre ore intere con il suo collega esperto di anfibi, il simpaticone che tamburellava in continuazione con le dita, per farsi spiegare come fosse possibile un cambio così repentino della propria struttura fisica, in particolare di quella riproduttiva.
Il giovane ricercatore, un polacco visto l’accento, le aveva spiegato in un inglese un po’ stentato che il cambio di sesso in specie più o meno evolute era un elementare meccanismo di difesa per assicurare la continuazione della specie. In natura, però, il cambio del sesso può avvenire spontaneamente, ma una sola volta durante tutta la vita dell’individuo e risulta permanente.
Leviathan, invece, era stata in grado di plasmare quella caratteristica a suo piacimento, avendo così un possibilità di interscambio continuo.
“Un cosa molto tanto interessante.” Aveva commentato con il suo buffo accento il collega polacco, dal nome impronunciabile.
Interessante? Sì. Sicuramente, ma anche profondamente triste. Pensò la ragazza con un sospiro, leggendo in fretta quelle parole che Eli aveva scritto con la sua bella grafia. Una grafia che adesso le ricordava incredibilmente quella di Davey. Le tremò impercettibilmente la mano, a quel pensiero.
“Sicura che vada tutto bene?” Le chiese la collega notando quel lieve tremore.
“Ovviamente!” Affermò sicura, cercando di sviare o liquidare nel più breve tempo possibile quella discussione. Avvertì una sensazione strana sulla pelle e quando si voltò vide gli occhi azzurrissimi di Leviathan fissi su di lei, così seri e concentrati.
Jessica fece appena in tempo a domandarsi il motivo di quella serietà così improvvisa che il cellulare prese a squillare, diffondendo nell’aria le note di una delle sue canzoni preferite. Impiegò un minuto buono prima di riuscire a estrarlo dalla tasca troppo stretta dei jeans e qualche altro secondo prima di rispondere.
“Sì?” Dall’altra parte avvertì un vortice di urla e di ruggiti, intervallati di tanto in tanto da terribili risate isteriche.
“Jessica! Abbiamo bisogno di te!” Arrivò affannata la voce di Bruce, un suo collega durante i lavori sull’esperimento MSP17 – 134. Sembrava agitato, troppo per uno gelido come Bruce.
“Ehi, Bruce, piano, che succede?” Domandò con una nota preoccupata a farle tremare la voce.
“E’ l’esperimento, ha qualcosa che non va! Non riusciamo a calmarlo, devi darci una mano!” Finì giusto in tempo la frase per far arrivare un ringhiare fortissimo e terribilmente vicino alle orecchie della ragazza. Poi la linea cadde.
“Bruce? Bruce?!” Chiamò invano.
“Che succede?” Chiese con una certa preoccupazioni la collega a sentire quei frammenti di discorso tra Jessica e Bruce.
“Problemi, Eli.” Disse solo, dandole le spalle, intenta ad avviarsi. C’erano sempre stati problemi con quello, era stato un totale fallimento sin dal principio. Ma lei sapeva come fermarlo: aveva lavorato al suo progetto intensamente, arrivando quasi a stamparsi in testa le sequenze genetiche del suo DNA.
“Problemi?” Le fece eco Eli, staccandosi dalla scrivania per raggiungerla, col chiaro intento di accompagnarla in quell’impresa.
L’altra ragazza annuì seccamente. Entrambe così prese da non notare che due iridi azzurre si erano fissate su di loro, avide di informazioni.
“Sì, problemi… con Hyena.” E il suo tono era grave come non mai.
Sulla schiena di Leviathan, invece, un lunghissimo brivido gelido che scosse i suoi muscoli come una scarica elettrica, facendoli vibrare al punto tale da riportarla alla sua situazione fisica di partenza.
Hyena.
Allora era così che chiamavano il suo compagno.
 
Continua…
 
 
 
***
 
HOLA! ^_^
 
Eccomi qui con il terzo capitolo della saga, intimamente collegato con il quarto (che sto per postare! Quindi restate sintonizzati).
Qui scorgiamo qualche dettaglio in più sul passato della cara Jessica e il suo primo e forse unico “amore” … ammetto che in questo campo non sono bravissima, ma spero di aver reso comunque bene le sue sensazioni! ^^’’
Se non fosse stato così scrivetemi pure, insultatemi anche e datemi consigli per migliore, che sul campo: amore/romanticismo/coccole ho la stessa preparazione che avrebbe un sasso (?! XD).
Forse, lo stendere questo capitolo mi sarebbe stato impossibile se la Challenge “La sfida dei duecento prompt” indetta da msp17 con il prompt 124) Perduto, non mi avesse dato qualche dritta. Spero di averlo usato abbastanza bene in riferimento sia alla perdita dell’amore di Davey, sia alla perdita del disegno di Leviathan (che conto di postare nel prossimo capitolo, spero! ^^).
Ricordo ancora una volta che la raccolta è stata scritta per il
Contest a Turni “Autunno Originale” indetto da Faejer.
Prima che mi dimentichi, ho ancora una cosa da dire, un ringraziamento da fare… vorrei ringraziare tanto, tanto l’autrice TheHeartIsALonelyHunter poiché è stata lei (e in particolare una delle sue bellissime storie su “Un Ponte per Terabithia”) che mi hanno suggerito l’ispirazione per il consiglio della madre di Jessica, penso che, non ce l’avrei fatta senza di lei.
Grazie, quindi e scusami tanto per il furto! XD
Ok… direi di aver detto tutto e quindi non mi dilungo ulteriormente… grazie a tutti quelli che seguono questa saga e un bacione a chi recensisce e mi da consigli! <3
Ci si vede presto (anzi, prestissimo, il quarto capitolo arriverà a momento),
ByeBye
 
ManuFury! ^_^
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 4
*** Acqua ***


LEVIATHAN
 
Capitolo 4:
ACQUA
 
 
L’esperimento MSP17 – 134 ringhiò con forza, mostrando al buio che lo circondava i canini spropositati e bianchissimi, ma quando non ottenne risposta tornò ad appoggiare il capo a terra, una tempia leggermente più calda contro il gelido pavimento metallico della sua cella d’isolamento.
Perché il suo richiamo non aveva funzionato? Eppure era stato certo di averlo fatto bene, di essere stato chiaro.
Ringhiò di nuovo, più piano, come se ora non dovesse farsi sentire e provò a muovere il resto del corpo, ma non vi riuscì. I suoi occhi nocciola dorato che un tempo erano stati azzurri come il cielo, si spostarono con rabbia sulla siringa che gli umani gli avevano piantato in una spalla.
Piegò nuovamente le labbra in una smorfia di rabbia, esponendo i denti affilatissimi. L’effetto del paralizzante non era ancora svanito: doveva essere stato modificato, rendendolo specifico per lui, visto che solitamente gli effetti di un qualsiasi farmaco, positivi o negativi che fossero, svanivano nel giro di qualche minuto. Era stata quella ragazza, quella con gli occhi verdi e il sorriso sulle labbra, quella che gli umani chiamavano Jessica. Era opera sua, lei aveva migliorato quel siero per tenerlo tranquillo.
La creatura in preda a quegli iracondi pensieri tentò di girarsi di scatto sull’altro fianco, così da togliersi quella fastidiosa siringa dalla spalla. Non fu un successo, il corpo ancora non gli rispondeva: era come se gli avessero staccato l’anima dal corpo, non riusciva ad avvertirlo come una marionetta a cui hanno staccato i fili. Era una sensazione così irritante.
L’essere chiuse gli occhi, iniziando a respirare rumorosamente; perché doveva sottostare alle leggi di quei deboli esseri umani?
Lui era superiore.
Più quei pensieri si infiltravano nella sua mente più la sua collera aumentava, ribollendo dentro al suo corpo come lava di un vulcano attivo, ma senza svegliare i muscoli ancora gelidi e bloccati da quel dannato paralizzante.
Nella sua cella vuota si poteva avvertire solo il suo respirare rabbioso e il battito lento e regolare del cuore nel petto, oltre che il leggerissimo soffiare di eliche nascoste, che pompavano aria all’interno della stanza.
O almeno, così doveva essere; quasi senza preavviso un suo orecchio appuntivo si alzò automaticamente per ascoltare meglio ciò che lo circondava. Di nuovo si accorse di non essersi sbagliato: sentiva qualcosa, lo percepiva e sembrava il placido scorrere dell’acqua, che striscia a terra come dotata di vita propria, un lunghissimo serpente liquido che calmo si avvicina sempre più.
L’esperimento rialzò il capo, spalancando gli occhi e ringhiando sommessamente contro quell’essere che non conosceva. Nell’oscurità non abbastanza densa per le sue iridi dorate vide un filo d’acqua scorrere sul pavimento fino al suo cospetto, fermandosi lì, a pochi centimetri dal suo corpo.
La creatura annusò il liquido trasparente sedando il suo ringhiare, ma anzi trasformandolo in un ghigno quasi terribile.
Lo sapeva che il suo richiamo aveva funzionato.
L’acqua a terra attese qualche attimo ancora, poi prese a tremare increspando la sua superficie liscia come se soffiasse il vento. Altra acqua si aggiunse alla prima, uscendo da un lavandino poco distante e il liquido, per definizione amorfo, prese a compattarsi, alzandosi con calma.
Gli occhi della creatura paralizzata sul pavimento erano tutti per quella trasformazione fantastica: l’acqua, diventata una colonna, prese a ribollire, trasformandosi, come se fosse argilla in lavorazione.
L’essere sorrise di nuovo, ormai non poteva avere più alcun dubbio e anzi, quei pochi che forse aveva ancora svanirono a vedere quel corpo sottile che andava a formarsi, definendosi in ogni suo dettaglio ed era così bella, più bella di quanto ricordasse.
La copia d’acqua di Leviathan sorrise, chinandosi, mentre ogni suo dettaglio continuava a formarsi, modellandosi sempre più precisamente. Allungò una mano, fattasi abbastanza consistente e solida da poter dare una carezza all’essere. Quello parve gradire, socchiudendo un po’ gli occhi, ma riaprendoli poi subito dopo per godersi lo spettacolo del corpo perfetto della sua compagna.
Leviathan sorrise, dandogli un’altra carezza. Hyena, il suo compagno, poteva parere spaventoso, ma a lei non faceva paura. Aveva sentito il suo richiamo ed era arrivata, sapeva che dovevano parlare.
Fece scorrere una mano d’acqua tra i capelli, bagnandoli solo un po’ e poi lungo il collo, fino alla spalla dove vide quell’ignobile siringa: Hyena aveva sofferto quella punizione per lei, solo per vederla. Quando la afferrò, nelle iridi azzurre e nella mente fluida come l’acqua di Leviathan abbassarono mille immagini: il suo corpo steso su un tavolo, una forte luce puntata su di lei e siringhe, tante, da ogni direzione che penetravano con violenza inaudita nel suo corpo candido. Chiuse gli occhi, sia quelli della copia che i suoi, c’erano altri ricordi: Hyena steso su un tavolo identico al suo, legato, bloccato, indifeso e altri aghi, altre punture, altre siringhe che strazziavano la sua carne in nome di una causa folle.
Scosse la testa, stordita dalla violenza di quei ricordi, con le tempie che pulsavano per lo sforzo, le capitava sempre quando pensava al suo passato.
Avvertì la testa dell’altro esperimento strofinarsi sul suo corpo, bagnandosi d’acqua ancora di più e questo la fece sorridere. Poco prima le era capitato di leggere la lettera che la sua amica aveva lasciato al laboratorio, quella che era la fonte di tutte le sue preoccupazioni.
Allentò le dita, lasciando scivolare nuovamente a terra il foglio azzurro e tornò a sedersi.
Aveva percepito tante cose nel leggere quelle righe: felicità e amicizia che erano state brutalmente distrutte dalla tristezza e dal dolore.
Per questo si era domanda se lei avesse mai provato quelle sensazioni.
Per definizione sapeva cos’erano cose come l’amore, la felicità, la tristezza e il dolore, ma ora si chiedeva se le avesse mai provate sulla sua pelle.
Prima aveva avuto un… ragazzo? Un marito? Un’amante? Se era così, erano felici assieme? Erano inseparabili? Oppure litigavano? Cercavano ogni giorno modi più pittoreschi di farsi del male?
Abbassò gli occhi che andarono su quel corpo teso e muscoloso perfetta macchina da guerra che ora paralizzata ai suoi piedi.
Ricordava una scena simile, in un’epoca che sembrava così passata, così antica. Sensazioni famigliari s’intrecciarono ai ricordi di una sua vita ormai dimenticata. Ricordava molto vagamente un Johann, ma una nuova fitta alla testa la fece desistere.
Non era quello il nome giusto, lo sapeva.
Il nome giusto era… Hyena.
Lui era il suo compagno, lo sapeva e sapeva che doveva stare con lui, qualunque cosa succedesse.

 

 
Continua…
 
 
 
***
 
HOLA! ^_^
 
Visto come sono stata di parola?
Ecco a voi il quarto capitolo della saga!
E ora vi starete chiedendo: “ma Manu cara, hai messo un rating arancione e non è ancora successo niente” … avete ragione, ma tranquilli, tra poco ci arriviamo.
Ora che Leviathan e Hyena sono assieme, ci sarà da ridere o da piangere, come preferite voi. U_U

Bene… allora, ricordo per l’ennesima volta che questa raccolta è stata scritta per il Contest a Turni “Autunno Originale” indetto da Faejer, sia questo capitolo che il precedente avevano come tema l’amore…. Forse con Jessica ho sviscerato un po’ meglio l’argomento, ma prometto di fare un po’ meglio prestissimo! ^^’’
Inoltre, il solito ringraziamento va alla Challange La sfida dei duecento prompt” indetta da msp17 con il prompt 7) Sringa. So di non averlo usato benissimo, ma mi darà spunti per andava avanti in seguito, promesso. ;)
Finiti i ringraziamenti, vi lascio.
Ci si sentiamo prossimo capitolo, gente! ;)
ByeBye

 
ManuFury! ^_^
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 5
*** Di Assassini e Mari in Burrasca ***


LEVIATHAN
 
 
Capitolo 5:
DI ASSASSINI E MARI IN BURRASCA
 
 
Dal nulla un lunghissimo brivido le si formò tra le spalle, scuotendole con forza, per poi scendere come una cascata gelida lungo tutta la spina dorsale.
Jessica deglutì lentamente cercando di sedare quel lieve tremore e prese a guardarsi attorno, nel vano tentativo di riconoscere il profilo dei macchinari che scorgeva nell’oscurità fitta. Non c’erano forme nitide, solo profili sfocati, eppure tutto aveva un aspetto conosciuto, così famigliare, ma non ricordava il perché.
Quel posto le ricordava qualcosa: ci era già stata?
Possibile.
Aveva lavorato in molti laboratori diversi essendo specializzata sulle sequenze atipiche di DNA, e sapeva che erano tutti più o meno simili: con i loro grandi e complessi macchinari, i loro cavi che formavano una giungla di liane metalliche e i loro schermi pieni di numeri e immagini. Però quello aveva qualcosa di particolare, lo avvertiva. C’era come una sorta di dettaglio fondamentale che ancora non riusciva a mettere a fuoco. Era come quando aveva guardato Profondo Rosso di Dario Argento, nel vano tentativo di cogliere il dettaglio che rivelasse dal principio l’assassino. Ma proprio come allora, si ritrovò a fallire.
Chiuse gli occhi, traendo un profondo respiro per concentrarsi, mentre muoveva un passo avanti. Aspettò qualche secondo, in cui il suo corpo fu perfettamente immobile, poi avanzò di un secondo e di un terzo e un quarto.
Non era per niente certa di quello che stava per succedere in quel sogno, perché ormai si era auto convinta che quello fosse un sogno a tutti gli effetti, che altro sarebbe potuto essere in fondo? E anche se così non fosse stato, qualunque cosa fosse, era intenta a scoprirlo.
Proseguì nelle tenebre finché notò che si trovò di fronte ad una struttura: sembrava un solido compatto, un grande cubo, due metri per due giudicò a occhio. Anche quell’oggetto le era stranamente famigliare, ma di nuovo non riusciva a focalizzarlo… non subito, almeno.
Provò ad avanzare un'altra volta, ma si ritrovò bloccata sul posto, raggelata mentre i ricordi, finalmente riemersi, scoppiavano nella sua mente, brillando come fuochi d’artificio per festeggiare l’ultimo dell’alto. Quel cubo e quel posto… adesso ricordava dov’era finita!
Ebbe la tentazione di voltarsi e scappare via, ma il suo corpo era come una bellissima statua di marmo: fornita di muscoli finemente scolpiti, ma impossibili da usare. Tentò allora a urlare per esprimere tutto il suo orrore a quella visione, ma nessun suono lasciò le sue labbra appena dischiuse dallo spavento, si sentiva la gola imbottita di materiale isolante che assorbiva come una spugna ogni suono da lei emesso.
Tremando appena, Jessica si portò le mani alla bocca nel momento in cui, a fianco di quel massiccio cubo, si accendeva un piccolo schermo; mostrava l’interno di quella struttura di contenimento: dentro le pareti erano candide e su di esse si rifletteva una luce così forte e bianca da fare male agli occhi. C’era qualcuno all’interno: un militare vista la divisa, la giacca con i gradi era buttata in un angolo e se ne intravedeva una sola manica verde, ma era inconfondibilmente militare. Era alto e slanciato e sotto la camicia bianca si poteva intuire un fisico piuttosto atletico, suggerimento che arrivava anche dalle spalle larghe. Era immobile e teneva i pugni chiusi e sanguinanti contro il muro del cubo, appoggiandoci poi la testa bionda.
“Fatemi uscire maledetti figli di puttana! Tutto questo non faceva parte dei piani! Non ne faceva parte!” Urlò rocamente, sbattendo i pugni contro la parete, macchiandola del suo sangue.
Da una piccola manichetta sul soffitto, appena visibile vista l’inquadratura della telecamera, uscì un potente getto d’acqua che bagnò il militare dalla testa ai piedi.
Quello rimase in silenzio qualche attimo, forse un minuto intero, prima di singhiozzare piano, quasi discretamente per non farsi sentire.
“Vi prego… non… n-non ce la faccio più… vi scongiuro. Fatemi uscire.” Sussurrò con la voce corrotta dalla disperazione, mentre il suo corpo scivolava lentamente contro la parete.
Il getto non s’interruppe subito, continuò a spruzzare acqua fino a inzupparlo completamente, aggiungendo disperazione ad altra disperazione, tanto da far bloccare il respiro a Jessica, che osservava quelle riprese, senza potersi sottrarre.
Tempo qualche attimo, poi il giovane si voltò appoggiando la schiena contro il muro candido dietro di lui, sedendosi sul pavimento bagnato. Il viso era bello, o almeno lo era stato in precedenza: adesso pareva piuttosto fiaccato e stanco, come un fiore che non ha più alcuna voglia di vivere, la pelle appena abbronzata era solcata da piccole goccioline d’acqua che parevano tante minuscole lacrime.
Alzò debolmente la testa e puntò gli occhi contro la telecamera, quegli occhi che erano di una bellezza rara: d’un azzurro profondissimo che quasi si confondeva con il bianco della cornea, anche se risultava appena spento da veli di stanchezza e corrotto da piccoli fili color dell’oro.
Ringhiò, basso e minaccioso come avrebbe potuto fare una belva; e anche quel suono aveva qualcosa di famigliare.
“Io vi ammazzerò tutti.” Promise a denti stretti.
La telecamera inquadrò meglio quello sguardo, fattosi gelido e crudele, segnato da mille tormenti e dall’oro che si diffondeva nell’iride in piccole vene, rendendo quell’occhiata ancora più intensa e minacciosa di quanto già non fosse.
Jessica rabbrividì riconoscendo quegli occhi e fece di nuovo per indietreggiare. Il suo corpo finalmente si sbloccò e riuscì a muoversi di un passo prima che, molto semplicemente, lo schermo si spense.
La giovane sperò che fosse la fine di quell’incubo orrendo: voleva risvegliarsi, darsi una lavata e andare al lavoro, rivedere Leviathan con quei suoi begli occhi rassicuranti e parlare con Eli del più e del meno.
Non le fu concesso.
Era ancora imprigionata in quel mondo mistico, dove paure e orrori si confondevano con ricordi più o meno chiari del passato, fondendosi in un vortice che la portava verso quel color oro così innaturale nel genere umano, così simile a quello di altre specie animali, tutti terribili predatori.
Ovunque guardasse, vedeva quegli occhi azzurri colorarsi sempre di più d’oro, segno evidente della follia che stava prendendo il sopravvento sulla ragione, come una chiazza di petrolio che si dilata sul mare. E la giovane lo sapeva, perché erano stati loro a volerlo: avevano fatto crollare ogni sua barriera razionale con torture di ogni genere, solo per permettere al siero di diffondersi più velocemente nel corpo del ragazzo, mutandolo così come avevano progettato, ma qualcosa era andato storto. Se n’erano accorti solo dopo.
Jessica si portò le mani alle tempie, stringendo con forza gli occhi; tutto quello non era altro che un sogno, uno stupido orrendo incubo, eppure non riusciva a fare a meno di tremare: la logica in quel luogo non esisteva, c’erano solo paure e rimorsi come quando si è bambini e si ha inconsapevolmente paura del buio.
Un lieve cigolio fece spalancare e voltare gli occhi della ragazza in quella direzione, di nuovo verso il cubo una cui faccia si stava lentamente aprendo su un mondo di tenebra ancora più fitta di quella che la circondava. Un nuovo brivido lungo la schiena della scienziata mentre vedeva accendersi come due pepite d’oro gli occhi del giovane militare, ora completamente mutati: l’azzurro era sparito per lasciare spazio a un giallo oro dai riflessi metallici e terribili, occhi che non potevano essere umani per quanta era la crudeltà che vi scorreva dentro. L’essere la guardò per qualche attimo prima di sorridere: un sorriso fatto di denti acuminati e gocciolanti di sangue e da quello sguardo così disumano.
Era identico a come si era presentato a lei una delle prime volte, alla sua prima strage: una creatura sadica e maligna, con il sorriso e il sangue sulle labbra e una scintilla di pura follia a illuminare quei suoi occhi dal colore inusuale. Avevano ottenuto quello per cui lavoravano: una macchina da guerra asseta di sangue, senza morali o sentimenti, un essere fatto di  pura brutalità e violenza. Ma come tutte le macchine, anche quella era sfuggita al controllo dei suoi creatori e aveva ucciso chi gli aveva donato la vita, senza smetterla di ridere, senza fermarsi di fronte alle preghiere e ai lamenti, senza che la ragione incrinasse quello sguardo d’animale.
Era perfetto anche in quello.
E questo le faceva paura, perché guardandolo quella prima volta, aveva capito che lei sarebbe stata la prossima. Lei che aveva migliorato la sequenza proteica del suo siero per renderlo così spietatamente perfetto.
La creatura guardò la ragazza, piegando appena a lato la testa, ridacchiando solo leggermente come la bestia che era e nell’immobilità del momento si potevano sentire i suoi muscoli strabilianti tendersi, pronti a scattare per balzarle addosso, a volerla ucciderla del peggiore dei modi conosciuti.
Il salto arrivò e quegli occhi da assassino le furono davanti a volerla divorare, assieme a quel sorriso da animale.
 
Jessica si alzò bruscamente dal letto, trattenendo a stento un urlo in gola mentre respirava con forza, coperta di sudori freddi per la paura.
Rimase lì, ferma nel suo letto a passarsi una mano tra i capelli e poi sulla fronte madida. Negli occhi ancora quelle immagini, quell’incubo che l’aveva assalita e quegli occhi giallo oro. E con essi tornavano i sensi di colpa per le torture subite da quel giovane militare di cui nemmeno sapeva il nome. Lei non ci aveva preso parte, ma ne era stata informata in seguito. Eppure si sentiva ugualmente complice di quel trattamento disumano.
Sospirò, coprendosi gli occhi con le mani mentre il respiro ritrovava una certa regolarità. Solo che ora il buio era associato a quello sguardo terribile e assassino.
Imprecò a bassa voce, una cosa che non faceva praticamente mai, e scalciò via le coperte, alzandosi in piedi; aveva assoluto bisogno di una doccia, era l’unico modo che aveva per distendere i nervi. L’acqua gelida era sempre stata un tocca sana per lei, l’aiutava a svuotare la mente e a riprendere il controllo del proprio corpo. Le sembrava di purificarsi con quel semplice gesto.
Visto che era presto, quell’incubo l’aveva svegliata molto in anticipo rispetto alla sua solita sveglia, si prese tutto il tempo possibile per dedicarsi alla sua persona: sia con la doccia, sia nell’asciugarsi i capelli, che nel vestirsi e in tutto il resto.
Quando uscì finalmente dalla sua stanza, si sentiva un po’ meglio: la ragione era tornata a prevalere sulle paure e sui rimorsi, anche se alle volte le sembrava di sentirsi quello sguardo addosso, che la scrutava come un predatore dagli angoli troppo bui, ma cercò di ignorarli.
Jessica respirò veramente di sollievo solo quando entrò nella stanza blindata di Leviathan, la giovane era seduta a tavolino che le avevano fornito da poco e stava leggendo un romanzo. La scienziata sorrise a vederla, almeno c’era lei e la calma placida che confluiva nei suoi occhi così come un fiume che confluisce nel mare.
“Buon giorno, Leviathan.” Salutò radiosa l’altra. L’esperimento voltò lentamente il viso verso di lei, rabbrividendo appena come sempre faceva quando il suo sesso cambiava. Ancora si ostinava a non parlare, ma nessuno voleva metterle fretta; sembrava che fosse perfetta così: era ubbidiente e educata, ma rispondeva a ogni ordine senza protestare, come un ottimo soldato. I test condotti sulla sua forza fisica erano stati magnifici. Forse, finalmente, qualcosa era andato nel verso giusto… a differenza di Hyena.
A quel pensiero il sorriso sulle labbra di Jessica morì appena mentre si sedeva di fronte a Leviathan per leggere il rapporto del giorno compilato da Eli, quella donna era una vera stacanovista.
Hyena.
Non avrebbe voluto pensarci, considerando che era sempre stato una sorta d’incubo a occhi aperti, eppure adesso non riusciva a fare a meno di meditare. La follia che aveva letto nel suo sguardo aveva un fondo di tristezza che non aveva mai colto prima. Sentiva ancora nelle orecchie le parole che il giovane militare senza nome aveva pronunciato: “ Tutto questo non faceva parte dei piani!”
Non riusciva a non domandarsi che gli fosse stato promesso, cosa si aspettava il giovane quando aveva deciso di far parte di quel progetto rischioso. Aveva deciso lui stesso di partecipare oppure era stato costretto con qualche ricatto?
Erano tutte domande che non potevano trovare risposta, anche se lei avrebbe voluto e molto. Si sentiva stranamente coinvolta e avrebbe tanto voluto andare a fondo di tutta quella faccenda.
Sospirò alzando lo sguardo dal rapporto che non aveva nemmeno letto. Leviathan la stava osservando con una certa intensità, come se cercasse di leggerle nel pensiero, di penetrare la sua anima con quei suoi occhi così azzurri e limpidi.
Jessica le sorrise dolcemente, cercando di rimettere ordine nei pensieri, anche se ormai quelli erano diventati un gregge senza pastone e vagavano alla rinfusa nella sua testa. L’esperimento, però, continuava a guardarla, bloccando quasi il suo respiro, tanto che il suo bel petto mascolino non sembrava muoversi.
Per la prima volta da quando lo avevano risvegliato, la scienziata sentiva una punta di… timore: quel suo sguardo era troppo diverso dal solito, era così serio e intenso, troppo intenso. Il cuore della ragazza accelerò i suoi battiti per qualche breve istante, mentre dita gelide le risalivano sulla schiena.
Conosceva bene quella sensazione viscida, l’aveva provata da poco.
Paura.
Leviathan, dal canto suo, ancora la scrutava mentre il mare che aveva negli occhi mutava, perdendo la sua calma e la sua limpidezza per lasciare il posto a oscure sensazioni che lo facevano sembrare più un oceano in burrasca. Non era lo stesso sguardo che l’esperimento le aveva rivolto la prima volta al suo risveglio. Era completamente diverso: più maturo, più terribilmente consapevole di quello che era in grado di fare e non fare… consapevole dei suoi poteri come lo era quello di Hyena.
La somiglianza eccessiva dell’intensità di quelle occhiate le fece accapponare la pelle e alzare quasi di scatto dalla sedia.
“Io… io avrei una cosa da fare. Mi dispiace Leviathan, staremo assieme un’altra volta.” Si giustificò in fretta, ricordandosi tardi di quanto fosse una pessima bugiarda.
L’esperimento annuì con calma, continuando a leggerle l’anima con il blu mutato dei suoi occhi, adesso non più belli e luminosi.
La scienziata si allontanò in fretta dalla stanza, sospirando di sollievo quando chiuse la porta alle sue spalle.
Doveva essere successo qualcosa ai due esperimenti. Erano venuti in contatto in qualche modo, solo questo poteva spiegare il loro comportamento e questo non era un bene, non era un bene per nessuno.
Doveva avvisare Eli prima di subito: spiegarle la situazione, raccontarle della mutazione che aveva visto e chiederle di prendere dei provvedimenti. In fondo era lei a capo della ricerca da quando il suo superiore era andato in vacanza la settimana prima. Era necessario che facessero qualcosa, prima che la situazione sfuggisse loro di mano, anche perché Hyena era un essere violento e brutale, ma aveva dei punti deboli. Leviathan… no.
Jessica si passò le mani sul viso, prima di avviarsi quasi correndo verso l’ufficio di Eli. Cercò di non pensare ai due esperimenti, ma ovunque si girasse vedeva occhi gialli o azzurri che la scrutavano, scavandole nel cervello per carpire informazioni. Occhi che erano spietati come quelli di un assassino e violenti come il mare in burrasca.
 
Continua…
 
 
 
***
 
HOLA! ^_^
 
Ecco a voi il quinto fantastico (?!) capitolo della saga! *Sventola bandiera del Capitan Ovvio!*
Allora, come posso commentarlo?
Dicendo che, una volta tanto, mi sento veramente soddisfatta di quello che ho scritto: sarà perché adoro descrivere ciò che gli occhi sanno trasmettere, essendo questi lo specchio dell’anima di ogni essere vivente, umano o animale che sia. E proprio questo era il campito di questo girone del
Contest a Turni “Autunno Originale” indetto da Faejer, parlare dello sguardo di qualcuno. Io ho voluto fare il confronto tra lo sguardo di Hyena e di Leviathan, del loro prima e dopo e spero di averlo fatto discretamente (fatemi sapere, mi raccomando! ;) )
E poi, come posso non ringraziare una delle mie più cospicue fonti d’ispirazione rappresentata dalla Challenge “La sfida dei duecento prompt” indetta da msp17 con il prompt 101) occhi.

Devo anche ringraziare fanny_rimes… che commenta sempre splendidamente le mie storie!
Danke, cara :3 (E spero che il viola ti piaccia come colore... ^^'').
Ok, finito il lungo elenco di ringraziamenti, vi lascio ad eventuali recensioni e ci sentiamo il prossimo capitolo, se vi va! ;)
A presto,
ByeBye
 
ManuFury! ^_^
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Vecchi Amici e Nuovi Nemici ***


LEVIATHAN
 
 
Capitolo 6:
VECCHI AMICI E NUOVI NEMICI
 
 
Lo scuro sguardo di Eli era immobile: fisso e serio come poteva esserlo quello di una fantastica bambola di porcellana. Tamburellò le dita un paio di volte, ricordando a Jessica il tic del suo amico Til, il giovane esperto di genetica sugli anfibi. Alla ragazza venne quasi da sorridere, perché ormai associava quel gesto proprio al giovane, ma quando vide il viso di Eli alzarsi, l’espressione mutò. Non l’aveva mai vista così seria e soprattutto non aveva mai visto i suoi occhi scrutarla così a fondo, sondandola come se volesse farle una scansione dell’anima. Rimase in quella posa per attimi interi, prima di muovere le labbra e parlare.
“Quindi… tu sostieni che gli Esperimenti MSP17 – 134 e MSP17 - 136, sorvegliati a vista ventiquattro ore su ventiquattro, rinchiusi separatamente in strutture ermeticamente isolate l’una dall’altra e che mai prima d’ora si siano incontrati… siano riusciti a entrare in contatto? È questo che mi stai dicendo?” Chiese con una nota di scetticismo nella voce.
Jessica se ne sentì ferita e irritata allo stesso tempo.
Non era da Eli accusarla in quel modo così violento. In fondo erano colleghe e prima ancora amiche sin dai primi anni dell’università in cui erano state inseparabile come sorelle gemelle. Si erano sempre sostenute a vicenda e adesso che la giovane aveva bisogno del suo aiuto, lei le chiudeva la porta in faccia e con un tono così scettico, quasi le sembrava di veder uscire dalle labbra dell’altra la sottile lama di un coltello che andava poi ad affondare nel suo cuore.
Rabbia e delusione si mischiarono nel petto della scienziata, ma nessuna delle due sembrava riuscire a prevalere sull’altra, per il momento. Si ritrovò solo a stringere con forza i pugni.
“Io so quello che ho visto!” Ruggì, appoggiando poi entrambe le mani alla scrivania dell’altra, sporgendosi in avanti con il viso. Sapeva esattamente quello che aveva visto, era certa del cambiamento che aveva avvertito in Leviathan; non sapeva come spiegarlo, ma era certa che fosse avvenuto.
“Com’è possibile?” Chiese Eli con una calma gelida che non le apparteneva. Anche lei sembrava cambiata, così dal nulla. Probabilmente la posizione di capo del laboratorio le aveva dato troppo alla testa. Non che sia la prima volta nel corso della storia. Pensò la giovane.
“Ma che ne so io?! Magari una guardia si è appisolata durante il suo turno, magari Leviathan ha dei poteri che noi non conosciamo, oppure Hyena si è scavato un tunnel nella sua cella d’isolamento con un cucchiaino come in un vecchio film di quart’ordine. Non so come sia stato possibile, ma ti dico che è accaduto! Quei due si sono incontrati!” Ribatté Jessica con sicurezza, sbattendo appena una mano sulla scrivania di metallo, sembrava che la rabbia avesse vinto sulla delusione e sulla tristezza di quel tradimento.
“Hai delle prove?” Gli occhi scuri di Eli erano di nuovo su di lei: fissi e gelidi come due diamanti, sembravano un’altissima e inespugnabile palizzata di una fortezza. Gli stessi occhi che aveva il giorno della sua laurea, quando i professori le avevano riso in faccia per le sue ridicole, a detta loro, teorie sulla microevoluzione delle sequenze ripetute di DNA umano.
Jessica capì che era impossibile farle cambiare idea, almeno quando si trovava in quello stato, la conosceva troppo bene.
Respirò a fondo, sedando la collera che si era impadronita di lei come un burattinaio pazzo. Valutò che era il caso di cambiare tattica, puntare a qualcosa di un po’ più personale, forse così l’avrebbe smossa.
“Eli – riprese, questa volta con tono più basso, quasi sconfitto in partenza. – Mi hanno raccontato del massacro operato da Hyena qualche tempo fa; quando non avete interpretato bene i segnali di squilibrio che vi mandava. Sono quasi certa che, se non facciamo qualcosa, un massacro simile si ripeterà. Per favore. Dammi retta.” Supplicò in un sussurro.
Pregò con tutta se stessa che Eli le desse ascolto, perché credeva veramente in quello che aveva detto: se lo ricordava lo sguardo di Leviathan, non era lo sguardo da bimba sperduta che aveva il prima giorno, nemmeno quello da giovane e allegra ragazza che sfoggiava in loro presenza; il suo sguardo parlava di burrasche e le burrasche portano sempre caos e morte.
Dal silenzio che seguì, Jessica quasi s’illuse di esserci riuscita, di aver finalmente convinto la collega e scalfitto così quella palizzata a guardia dei suoi occhi; ma quando vide il suo sguardo, capì che le sue erano parole al vento, non aveva scheggiato proprio niente.
“Mi dispiace Jess. Non posso mettere in allarme tutto il laboratorio perché tu hai una sensazione se così possiamo definirla. – Sentenziò tranquillamente. – Se tu avessi delle prove, qualsiasi cosa.”
“Ti chiedo di fidarti di me, Eli; come quando mi hai confidato i tuoi progetti per la laurea. Per favore, Eli, fallo in nome della nostra amicizia.” Provò ancora la giovane, sperava di smuovere ricordi felici: quando l’amicizia per loro veniva prima di ogni altra cosa e le parole pronunciate erano come oro colato.
“Spiacente, non siamo più all’università.” Rispose freddamente, congiungendo le mani esattamente come anni addietro fece il rettore dell’università.
Aveva ragione: non erano più le due ragazze piene di grandi idee e con la testa affollata di progetti sul futuro, su come cambiare il mondo in meglio. Non erano più le due studentesse che lottavano contro dei professori conservatori che ridevano delle loro tesi di laurea al limite della fantascienza.
“Se tu avessi visto quegli occhi, capiresti.”
Fu l’ultimo commento di Jessica, prima di staccare le mani dalla scrivania gelida dell’altra scienziata e avviarsi alla porta, sconfitta come mai le era capitato prima, ma soprattutto tradita nel profondo. Suo padre aveva ragione: lei credeva ancora nelle favole e nei grandi ideali come quelli dell’amicizia, ma ormai erano valori superati.
Sospirò con il viso leggermente abbassato, come un soldato che torna sconfitto dal fronte.
Era già praticamente alla porta, aveva la mano sulla maniglia e lì avvertì Eli parlare di nuovo.
“Visto gli occhi di chi?” Le domandò, puntandole lo sguardo scuro nella schiena.
“Di Leviathan.” Fu la parca risposta della giovane prima di uscire e chiudersi la porta alle spalle.
Si avviò per il corridoio metallico in silenzio, spalle curve e capo chino e dentro, sul cuore, una nuova ferita. La sua migliore amica di sempre le aveva voltato le spalle proprio quando aveva bisogno del suo aiuto.
Ma forse… Eli aveva ragione, si stava facendo coinvolgere troppo e impressionare per niente. Prima di tutto non avrebbe dovuto sviluppare quella confidenza nei confronti di Leviathan, in fondo, lei era un Esperimento, una macchina da guerra che come tale doveva essere trattata. Un oggetto da studiare, un cane da addestrare in base ai loro scopi, nulla di più.
Eppure quegli occhi. Pensò.
Quelli ancora non riusciva a toglierseli dalla testa: erano lì, davanti a lei in tutta la loro gelida freddezza, che la scrutavano come se volessero scavarle nel cervello, scovare le sue paure più nascoste per usarle contro di lei.
Scosse il capo, rabbrividendo a quei pensieri, soprattutto perché a quello sguardo che sapeva di mare in burrasca, ne associava sempre un altro, quello di un assassino a sangue freddo, che rideva mentre balzava verso di lei, a voler lacerare il suo corpo con le sue sole mani e la sua forza sovrumana…
“Jessica!”
La ragazza sobbalzò per quella voce improvvisa, la sua mente era così assorta nella meditazione che si era estraniata del tutto dal mondo esterno.
Si voltò di scatto nella direzione da cui aveva sentito provenire la voce, chi era il genio che le faceva certi…?!
Il corpo le si bloccò quando riconobbe nel giovane che le stava davanti il suo amico Til, detto anche e scherzosamente: “Il simpaticone che tamburellava sempre con le dita quando avevano svegliato Leviathan.
“Finalmente io truovo, tie.” Sorrise appena il ragazzo avvicinandosi.
A una prima occhiata Jessica l’aveva trovato passabile, a una seconda carino, alla terza bello: aveva dei bei tratti dell’est Europa, caratterizzati da lineamenti appena affilati e pelle chiara, quasi diafana. I capelli corti e biondo paglia erano tutti scompigliati, come al solito. Gli occhi verde scuro, che la prima volta Jessica aveva scambiato per nocciola scuro, erano alzati e puntanti in quelli verdi dell’altra; aveva quel vizio, quello di fissare sempre negli occhi, non abbassando lo sguardo per nulla al mondo.
“Che ci fai qui?” La scienziata si ritrovò ad alzare lentamente un sopraciglio, di tutte le persone che aspettava, lui era proprio l’ultimo: credeva che fosse super impegnato visto il nuovo progetto che volevano avviare, questa volta interamente sugli anfibi.
“Io vuolevo dire tie un cuosa. – Affermò con quel suo accento così marcato, anche se il tono della sua voce era confidenziale e particolarmente serio. – Riguarda Leviathan.”
A quel solo nome l’attenzione di Jessica fu tutta per lui.
“Facievo uno controllo in suo DNA, cercavo filmento con sue di caratteristiche di fisico per cuello di cui noi abbiamo parlato in pranzo di altruo giorno.”
Capitava più spesso che si trovassero seduti allo stesso tavolo a pranzare, si sentiva entrambi stranieri in quel laboratorio: Til perché era effettivamente uno straniero e Jessica perché si trovava lì da poco, da quando aveva migliorato una proteina nel siero di Hyena. E così, giorno dopo giorno si erano trovati e conosciuti un po’ per volta. La ragazza aveva iniziato a trovare anche apprezzabile il suo tamburellare con le dita, perché dal suo ritmo riusciva a capire gli stati d’animo del giovane. E poi, credeva di amare quel ragazzo già solo per lo spirito con cui si buttava a fare le cose: era uno stacanovista come pochi altri e soprattutto, se prometteva qualcosa, la portava a termine anche a costo di passare delle notti in bianco.
“Il cambio di sesso, intendi?” Lo aiutò, sapeva che il giovane non parlava bene l’inglese, era in quel laboratorio da poco più tempo di lei, fresco fresco di università come gli avevano riferito durante una delle loro discussioni.
“Sì, di cuello io parlo.”
Le porse un fascicolo, che Jessica prese subito, aprendolo e iniziando a leggere. Si parlava del corredo genetico di Leviathan: in particolare dei cromosomi deputati al sesso, nel corredo genetico umano erano due fissi e ben distinti, il Cromosoma X e il Cromosoma Y; nel caso dell’Esperimento MSP17 - 136, invece, uno dei due aveva subito un’alterazione che lo rendeva più plasmabile, consentendole così di variare il suo sesso a comando. Studi recenti li avevano portati a dire che la variazione dei suoi connotati era in base alla quantità di feromoni presenti nell’aria: se prevalevano quelli maschili, Leviathan diventava una femmina, se prevalevano quelli femminili, al contrario, diventava un maschio. Era un meccanismo di difesa di alcuni animali, così da essere certi di poter sempre trovare un partner e assicurare così la continuazione della specie.
“Beh, sono i risultati di quella ricerca che ti avevo chiesto di svolgere, no?” Domandò scorrendo di riga in riga, senza capire bene dove l’altro volesse andare a parare.
“Sì. – Disse in tono grave, così tanto da obbligare la ragazza ad alzare lo sguardo verso di lui: il debole sorriso era scomparso dal suo viso, lasciando il posto a un’espressione fredda e seria che non aveva mai visto su di lui. – Leggi ultima di pagina.” Aggiunse gelido.
Lei annuì, facendo scorrere i fogli fino a trovare quello indicato: rappresentava la doppia elica del DNA di Leviathan, con le iniziali delle basi azotate. Le passò in rassegna in fretta, senza capire.
Stava per rialzare la testa verso Til, per chiedere spiegazioni e fu lì che la vide: una sequenza particolare, proprio al fondo dello schema, cerchiata in rosso: A-A-A-A-A-A-G-A-A-G-A-G-A.
E quei soliti quindici nucleotidi, su un totale che era praticamente illimitato, le fecero crollare il mondo addosso. Non poteva essere.
Alzò lentamente lo sguardo verso il collega e amico, stringendo i bordi di quel fascicolo con tanta forza da accartocciarseli tra le dita.
“Tu sa cuale è corrispondienza… viero?”
“Ma… ma ne sei completamente sicuro? Magari ti sei sbagliato, forse c’è stato un errore di trascrizione. – Provò la ragazza, rendendosi conto di arrampicarsi sugli specchi da sola, perché sapeva che uno come Til B. Michailov non sbagliava… mai. – Perché questa…” Le mancò la forza di continuare.
“È secuenza difetta di Hyena.”
Jessica non sapeva se esultare o farsi prendere dal panico: adesso aveva tutte le prove che Eli potesse mai desiderare, poteva sbattergliele in faccia, dimostrandole che era lei quella che aveva ragione, ma… si bloccò. No, non erano le prove che le servivano, quelle dimostravano solo che Leviathan presentava una sequenza di DNA difettosa, la stessa che aveva fatto impazzire Hyena, ma non dimostrava che i due Esperimenti erano entrati in contatto.
Sospirò. Era tornata al punto di partenza e si sentiva più sconfitta di prima: non solo non poteva dimostrare le sue sensazioni, ma aveva addirittura scoperto che Leviathan era difettosa, almeno quanto lo era stato Hyena ai suoi tempi.
Si passò una mano tra i capelli, chiudendo gli occhi mentre se la abbassava al viso.
Avvertì un contatto, delicato quasi discreto; alzò gli occhi verdi e vide Til al suo fianco, una mano chiara posata su una sua spalla e un sorriso debole sul viso.
“Tu spiega me pruoblimiema. E noi facciamo risuolvo, è biene?”
“Non… non è così semplice, Til. Anzi, niente è semplice, niente sta andando come avevamo progettato!” Buttò a terra il fascicolo, con foga, passandosi le mani tra i capelli, com’era di consueto, dopo il primo momento di esaltazioni, seguite poi dalla fase neutrale, arrivava il panico, puro e semplice, con una potenza devastante. Una crisi di panico così forte non l’aveva dalla morte di Sid.
“Ehi… aspietta. Spiega me, che io aiuto, inteso?” Continuò l’altro ragazzo, che la guardava senza capire tutto, ma passandole un braccio dietro le spalle, a cingerla.
“È… è complicato.”
“Tu spiega in stesso. Sai che io puosso capire. – Le sorrise un po’ di più, cercando di confortarla. – Io è griande genio.” Si batté l’indice su una tempia così che un tirato sorriso si disegnasse anche sul viso della scienziata.
“E puoi… - continuò dopo quella breve pausa. – Tra amici si fa cuosì, no?”
Quelle parole bastarono per far sciogliere la lingua a Jessica, che snocciolò l’intera storia: di quei pochi mesi passati a lavorare con Hyena, di Leviathan, dei suoi cambiamenti improvvisi e dei suoi sentori che i due fossero entrati in contatto in qualche modo. Poi le sue paure di quello che sarebbe potuto accadere e del doloroso tradimento di Eli.
Il ragazzo ascoltò tutto in silenzio, annuendo a tratti e facendosi di nuovo serio in viso.
“Va biene… io criedo tie.” Disse guardandola.
Gli occhi della scienziata si fecero grandi e chiari per lo stupore: credeva veramente alla sua storia così assurda?
“Sul serio? Saresti, beh, il primo.” Borbottò con voce un po’ tremante, quasi non ci credeva lei. L’altro si limitò a sorridere, facendo mezzo passo indietro.
“Cierto, io criedo tie. Ora… tu ha uno piano?”
No, non ci aveva pensato minimante. Sperava di trovare una soluzione con Eli…
Poi scosse la testa e la alzò, sul viso un’espressione diversa da quella radiosa che aveva sempre.
“Sì, ce l’ho.”
“Ed è?”
“Sopprime Hyena!” Affermò seccamente, stringendo i pugni. Sapeva perfettamente che era lui quello più pericoloso.
O almeno così credeva…
Non poteva sapere che un altro effetto collaterale di Leviathan era di avvertire le vibrazioni, anche quelle insignificanti prodotte dalla voce umana, attraverso l’atmosfera, se in questa c’era presenza d’acqua.
Leviathan si alzò lentamente dalla sedia sulla quale riposava prima e chiuse lentamente gli occhi, per concentrarsi, non avrebbe permesso a nessuno di uccidere il suo compagno.
A nessuno, nemmeno a quella ragazza che una volta aveva chiamato amica.
L’avrebbe difeso con ogni mezzo a sua disposizione.
 
Continua…
 
 
 
***
 
HOLA! ^_^
 
Ecco, dopo molte sofferenze sono riuscita a partorire (?!) questo sesto capitolo.
Ammetto che non mi convince troppo, soprattutto per quello che sta nascendo tra Jessica e Til (sì, se ve lo state chiedendo gli ho dato lo stesso nome di Til Schweiger, l’attore che fa il mio amato Hugo Stiglitz in “Bastardi Senza Gloria” *occhi a cuoricino), però… sogni e ispirazione mi portano lì e presto arriverò alla fine.
Sempre che riesca a passare questo turno del
Contest a Turni “Autunno Originale” indetto da Faejer, il nostro compito in questo capitolo era quello di parlare dell’Amicizia, questa sconosciuta... spero di aver fatto un lavoro quanto meno passabile. ^^’’
Devo poi ringraziare la Challenge “La sfida dei duecento prompt” indetta da msp17 con il prompt 83) amico.
Credo che non riuscirei ad andare avanti senza questa Challenge.
Devo anche ringraziare
fanny_rimes… che commenta le mie storie mentre io sono sempre indietro nel commentare e recensire le sue, ma prometto che mi metterò in pari, giuro. ^^’’
Bene, ho finito, vi lascio a eventuali recensione e ci sentiamo il prossimo capitolo, se passo il turno, ovviamente… X’D
A presto,
ByeBye
 
ManuFury! ^_^
  
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Giusto e Sbagliato ***


LEVIATHAN
 
 
Capitolo 7:
GIUSTO E SBAGLIATO
 
 
Jessica osservava in silenzio quel piccolo oggetto come se fosse la prima volta che lo vedeva, le mani le tremavano leggermente mentre stringeva le dita sul cilindro di vetro gelido, contenente uno strano liquido dal colore giallo ocra.
Aveva paura, non si poteva negare: paura di quello che stava per fare, delle regole che stava per infrangere, ma soprattutto paura di quel colore che le ricordava i terribili occhi di un assassino; un essere che avrebbe presto incontrato faccia a faccia.
Strinse la presa sulla piccola siringa e subito avvertì due mani posarsi sulle sue.
“Pruonta?” Chiese Til, cercando di rassicurarla con un sorriso dolce. Lui si dimostrava sempre così calmo e controllato, alle volte la ragazza avrebbe voluto essere come lui in date situazioni: le ricordava tanto un cavaliere come quelli delle favole, senza macchia e senza alcuna paura.
Annuì debolmente e sorridendo ancora più timidamente al pensiero, prendendo poi un profondo respiro.
“Tu hai disattivato tutto?”
“Cierto. Mike duoveva me favuore, fa ripetere nastri di viecchi giorni. Faremo cuome esseri invisibili.” Ridacchiò leggermente, contagiando per qualche secondo la giovane scienziata.
“Bene. – Affermò, prima di abbassare gli occhi verdi alla siringa. – Anche perché abbiamo una sola possibilità.” Con Hyena non c’era da scherzare, anzi non ci si poteva permettere di scherzare con una creatura del genere: creata al solo scopo di uccidere; inoltre dovevano sfruttare la festa organizzata dal capo per la promozione di suo figlio, la sorveglianza era ridotta all’osso, la loro impresa era fattibile.
Si liberò delicatamente dalle mani del ragazzo e gli face cenno di seguirlo, mentre procedeva verso la zona del laboratorio in cui era rinchiuso Hyena. Mentalmente rivedeva la sequenza proteica modificata dell’Esperimento MSP17 – 134: quella che lei stessa aveva contribuito a migliorare, la stessa eccitava le cellule del corpo, spingendole sino al limite dell’umano e anche oltre. La proteina che aveva sintetizzato ora, invece, era l’esatto opposto e conteneva piccole sequenze di RNA messaggero che si sarebbero legate a quelle normalmente presenti nelle cellule, bloccandole e impedendo loro di giungere ai ribosomi, così da annullare definitivamente la produzione di quelle proteine modificate. E una volta esaurite quelle, poiché avevano vita più breve rispetto alle normali proteine umane, Hyena sarebbe tornato, per un breve lasso di tempo, un semplice essere umano… e sarebbe bastato un colpo di pistola in testa per ucciderlo, come una persona qualsiasi.
Il piano era quello: deciso in fretta e furia e che faceva acqua da tutte le parti; la giovane se ne rendeva conto da sola, ma Til le aveva detto che sarebbe stato con lei fino alla fine e questo le infondeva il coraggio necessario per continuare. Se doveva essere totalmente sincera, quel ragazzo non le dava solo coraggio, ma anche qualcos’altro, di più dolce e caldo che non riusciva ancora a identificare.
Zitta e concentrati sul suicidio verso il quale stai marciando. Se sopravvivi potrai cercare di dare un nome a questa sensazione, ma non adesso, non ora. Si impose mentalmente, per restare concentrata su quello che doveva fare.
Avanzò per il corridoio notando subito la mancanza di guardie lungo il cammino: di solito Hyena era sorvegliato ventiquattro ore su ventiquattro da sentinelle armate; e anche in un giorno di festa come quello, era impossibile che la sua prigione fosse così sguarnita, avrebbe dovuto esserci almeno qualcuno all’ingresso.
Allarmata da quella mancanza di sorveglianza, la ragazza si voltò verso l’amico.
“Sì… ho vistuo anche io.” Deglutì appena il ragazzo, superando Jessica e svoltando l’angolo: l’enorme porta blindata dietro la quale doveva essere rinchiuso l’Esperimento MSP17 – 134 era socchiusa e a terra correva un lieve filo d’acqua. Non era assolutamente un buon segno.
I due si guardarono, intimoriti e non più così sicuri di quello che stavano per fare, delle forze che stavano sfidare, sapevano che andavano sicuramente oltre ogni loro possibilità. E quell’acqua, indicava che probabilmente ora non dovevano affrontare solo più Hyena, ma anche Leviathan e quello poteva essere un problema ancora maggiore: non l’avevano testata, non del tutto almeno, non sapevano di cosa era realmente capace; l’altro Esperimento lo conoscevano da maggior tempo, la giovane, invece, era ancora un mistero.
Se non altro, quello confermava i sospetti della scienziata, quei due erano entrati in contatto anche prima. Una ben magra consolazione a quel punto.
“Se eliminiamo lui… lei tornerà quella di prima.” Affermò con sicurezza Jessica, ne era più che convinta. Leviathan era cambiata nel momento in cui aveva incontrato Hyena, se lui veniva eliminato, la giovane sarebbe tornare l’Esperimento buono e ubbidiente che avevano creato. O almeno, così sperava e pregava con tutta se stessa.
Til le annuì di nuovo, recuperò da una tasca e strinse con decisione il piccolo teaser; non era un’arma vera e propria, ma nel caso di Hyena lo era a tutti gli effetti: era un altro effetto collaterale delle sue mutazioni era l’averlo resto particolarmente sensibile alle scosse elettriche. A quanto pareva con una scossa elettrica le sue proteine si eccitavano a tal punto da bloccare i muscoli per qualche prezioso secondo.
Attesero ancora qualche attimo, per prepararsi psicologicamente al combattimento imminente, presero entrambi un bel respiro e avanzarono.
Fecero giusto in tempo a fare due passi che i pensanti portoni blindati furono letteralmente spalancati da un’onda d’acqua gelida che li investì in pieno, infradiciandoli dalla testa ai piedi. Til, un po’ più avanti rispetto a Jessica finì a terra per la forza dell’onda e il teaser gli scivolò via di mano. La scienziata, rimasta miracolosamente in piedi, subito accorse al suo fianco per aiutarlo a rialzarsi mentre alzava il viso; l’espressione che le si dipinse in volto era a metà tra l’ammirato e lo spaventato: di fronte a lei, in tutta la sua terribile bellezza c’era Leviathan quasi interamente avvolta da uno scudo d’acqua cristallina che deformava il suo corpo sottile, a formare quasi una sorta di armatura. I piedi, sempre scalzi, sfioravano appena il pelo liquido dell’acqua a terra, dando quasi l’impressione che fluttuasse nell’aria.
Dietro di lei, dopo qualche istante di silenzio arrivò secca e isterica un’acuta risata che fece letteralmente accapponare la pelle ai due amici che presto distolsero gli occhi dall’Esperimento MSP17 – 136 per passare all’altro, quello da cui tutto era iniziato e cui volevano porre definitivamente una fine.
Il ragazzo, se ancora di ragazzo si poteva parlava, si fece avanti lentamente, con un sorriso terribile e assassino disegnato in viso, i capelli biondo chiaro erano dritti, come il pelo degli animali quando vogliono mostrarsi più minacciosi. La creatura si sciolse con calma le spalle, mostrando i muscoli perfettamente scolpiti e piccole chiazze più scure lungo la gola e il collo, su quest’ultimo si formava una sorta di piccola cresta ispida, una prosecuzione dei capelli. Indossava gli stessi vestiti di quando Jessica l’aveva visto mesi prima: pantaloni militari e una canottiera nera aderente.
Avanzò di qualche passo, ringhiando così da mostrare i bei canini affilati, degni di un qualsiasi predatore fino al fianco di Leviathan, dove si strusciò appena, quasi con discrezione e affetto, bagnandosi dell’acqua di cui era avvolta.
Jessica si rimise in piedi, Til con lei, cercava di proteggerla col suo corpo; a vedere il gesto di Hyena la ragazza capì tutto in un solo istante.
Sono compagni. Fu la sua conclusione, fino a quel momento si era fatta solo idee sbagliate su quei due, pensava che si fossero alleati puramente per scappare da quel luogo che li teneva prigionieri e invece c’era qualcosa di più profondo e intimo dietro. Capiva tutto adesso: il comportamento così inusuale di Hyena, iniziato quando avevano risvegliato Leviathan, i suoi tentativi di fuga, i loro probabili incontri segreti; i cambiamenti nei comportamenti di lei. Era compagni e volevano stare assieme.
In fondo è logico. Hanno la stessa sequenza genetica nel cromosoma sessuale. Per loro è qualcosa di naturale… istintivo… animalesco. Ipotizzò la scienziata, eppure aveva come la sensazione che ci fosse qualcosa sotto, qualcosa di più personale. Non doveva essere solo attrazione animale.
Ma se era così, se loro due si erano scelti, per volontà o meno, come partner nessuno avrebbe potuto separarli.
Nessuno.
Tanto meno loro, due fragili esseri umani che avevano deciso di combattere contro qualcosa che era troppo forte per loro. Da quanto ne sapeva lei, gli animali erano ben più fedeli degli uomini, una volta che si formava una coppia, quella restava salda e unita per tutta la vita.
“Attienta!” Urlò di colpo Til, spintonandola malamente per evitare un colpo si Hyena, si era mosso con fulminea abilità, quasi senza lasciare tempo di reazione: su quello non avevano sbagliato, era una vera macchina per uccidere, forse un po’ arrugginita dalla prigionia, ma senza dubbio letale.
La scienziata finì a terra, sbattendo dolosamente il fondoschiena contro il duro pavimento e non ebbe il tempo di fare assolutamente niente che si ritrovò l’Esperimento MSP17 - 134 davanti: nei suoi gelidi occhi dorati poteva leggere la follia e la sete di vendetta che da sempre lo caratterizzavano, ma non solo quello, poteva quasi vedere riflesse in quelle due iridi gli esperimenti che erano stati fatti su di lui, le iniezioni, le torture subite, le cinghie usate per trattenerlo e l’odio che contornava e deformava ogni ricordo, traboccante di rabbia repressa per troppo tempo.
La creatura sorrise, a mostrare di nuovo quei denti terribili e alzò un braccio muscoloso, le unghie, tramutate in artigli affilati quasi brillarono e Jessica si ritrovò a coprirsi istintivamente il viso con le braccia, in una vana difesa, gridando dallo spavento.
“Ehi!” Un urlo alle spalle dell’essere e un suo sbuffo, quando quella che sembrava scarpa lo colpì in testa, scompigliandogli per qualche secondo i capelli ispidi. Til voleva attirare l’attenzione del mostro su di sé, per dare il tempo alla ragazza di contrattaccare, di usare quel nuovo siero per debilitarlo il tempo necessario per ucciderlo.
La giovane recepì il messaggio e si rimise in piedi per quanto possibile, con le gambe che tremavano per lo sforzo, mentre il corpo di Hyena si voltava verso il ragazzo che l’aveva sfidato, ringhiando appena con la cresta più scura sul collo tutta alzata.
Jessica strinse con forza la siringa e alzò in alto il braccio, voleva piantagli l’ago tra le spalle mentre era distratto e iniettare senza pensarci due volte tutto il suo contenuto, ma ebbe giusto il tempo di eseguire quel gesto che immediatamente un muro d’acqua si frappose tra lei e l’Esperimento. Si girò disorienta e con il respiro pesante per l’ansia e la paura, a cercare la causa di quella protezione. Trovò Leviathan, gli occhi completamente azzurri, cornea compresa, fissi su di lei e gelidi come quelli del suo compagno; non le avrebbe mai permesso di fargli del male; ma era anche vero che lei a sua volta non poteva permettere che Hyena facesse del male a Til, non l’avrebbe sopportato.
Sapeva essere uno scontro impari quello tra i due ragazzi e proprio per questo doveva intervenire. Scattò in avanti, superando il muro d’acqua con una potente spallata e buttandosi sull’Esperimento, nella speranza di distrarlo a sua volta o anche solo di buttarlo al suolo per guadagnare tempo prezioso. Ottenne solo l’effetto contrario, quello di farlo infuriare di più senza che si spostasse di un millimetro.
Hyena si voltò verso di lei, ringhiando e non esitò un istante solo prima di afferrarla per la gola e sbatterla contro la prima parete disponibile.
Jessica si sentì soffocare, l’aria le mancò subito per quella stretta così brutale. Lasciò cadere a terra la siringa per portare entrambe le mani su quella della creatura, per fargli allentare la presa, ma quella era peggio di una tagliola e più lei tentava di ribellarsi, più quella si stringeva. La ragazza sapeva che quel combattimento era impari, che quell’impresa era impossibile eppure aveva deciso di buttarsi comunque, convinta che se non fossero stati lei e Til a fermare quel mostro, nessuno ci sarebbe riuscito… e ora stava per morire.
Nei film, quando il personaggio principale sta per morire, mostrano sempre i flashback che ritraggono i momenti più importanti della sua vita: la nascita, gli anni della scuola, le amicizie trovate e quelle perdute, il primo bacio di vero amore. Ma quello non era un film, era la vita vera: non c’erano attori che, una volta caduti al suolo, poi si rialzavano sorridenti e non c’erano flashback o salvataggi dell’ultimo momento; c’erano solo gli occhi gialli di Hyena e l’aria che mancava nei polmoni che bruciavano e una consapevolezza… dopo sarebbe stata libera.
Libertà.
Si ritrovò a fantasticare per quegli ultimi istanti su quella parola: pareva così falsa in un laboratorio come quello, dove ti rinchiudevi un giorno e poi non ne uscivi più. E doveva essere assolutamente sconosciuta ai due Esperimenti, che ne sapevano loro della libertà? Erano stati privati dei ricordi del mondo di fuori, i ricordi cancellati e le menti programmate come dei computer, poi erano stati modificati e rinchiusi lì, in gabbia come le bestie di un circo. Eppure, nonostante tutto quello che gli era stato fatto, nonostante le torture, la sofferenza e il dolore subiti, avevano avuto la forza di fare qualcosa che in pochi avrebbero fatto: amare. Un amore forzato, forse, animalesco e istintivo, viscerale quanto l’amore di una madre per i propri figli; ma pur sempre amore. Bastava quel sentimento per sentirsi veramente liberi.
Jessica si stupì che quelli fossero i suoi ultimi pensieri: ragionamenti che non la riguardavano minimamente, ma anzi che erano rivolti a due mostri, uno dei quali stava anche per ucciderla. Strani i ragionamenti del proprio cervello quando viene privato dell’aria per troppo tempo.
Chiuse gli occhi, smettendola di lottare e tutto fu nero.
Ma giusto per un secondo appena: la presa alla sua gola si fece lasca di colpo e l’aria rientrò prepotente nei suoi polmoni, dilatandoli come palloncini e facendola tossire, si ritrovò a cadere, finendo distesa sul pavimento bagnato. Alzò lentamente le palpebre e vide Hyena e Til combattere: scontro impari, troppo impari, ma il ragazzo ci stava comunque provando, probabilmente per lei. Leviathan era distante da loro pochi metri e li osservava con i muscoli tesi, come se temesse per la vita del compagno e fosse pronta a intervenire.
La scienziata spostò lo sguardo, davanti ai suoi occhi c’era il teaser che era sfuggito di mano a Til, quello che poteva bloccare Hyena per qualche istante, dando loro il tempo necessario per riprendersi, bastava che tendesse un braccio, poteva farlo, tutti erano impegnati, distratti in qualche modo, sarebbe stato così semplice.
Allungò la mano, sentì il freddo del metallo e si bloccò: quanto freddo dovevano aver sentito i due Esperimenti, rinchiusi in stanze blindate, senza possibilità di avere contatti, di vivere realmente la vita?
Scosse la testa per quegli stupidi e inutili ragionamenti e afferrò il piccolo oggetto nel momento in cui Til gridò, ritrovandosi steso a terra, Hyena che torreggiava vittorioso sopra di lui, pronto a ucciderlo con un solo colpo.
Jessica respirò con forza, correndogli incontro, anche se, all’ultimo si chinò a recuperare la siringa abbandonata sul pavimento poco prima e, una volta vicina, con una scarica elettrica colpì l’Esperimento.
Quello mugolò, tremando dalla testa ai piedi e cadendo su un fianco, il corpo muscoloso scosso da spasmi che gli facevano tendere e distendere i muscoli.
La giovane fu al fianco di Til, che respirava profondamente: aveva uno squarcio sanguinate sul petto che gli imbrattava il camice candido da laboratorio e un taglio allo zigomo, ma a parte quello sembrava stare abbastanza bene.
“Adiesso, Jessica, adiesso!” La incitò, afferrandole una mano per aiutarla prima ad alzare e poi a far calare quella siringa  sulla creatura che ancora si contorceva. Siringa che era diventata così pensate, troppo pensare per un oggetto di quelle dimensioni. Jessica tremava a sua volta, come Hyena, sentiva come se il combattimento, lo scontro non fosse solo quello che si era svolto tra lei, Til e Hyena, ma era anche dentro di sé: avvertiva la mente e il corpo staccati l’uno dall’altro, che si sfidavano come due gladiatori, da una parte voleva affondare quell’ago, iniettare quel siero e uccidere per sempre quel mostro, ma dall’altra… provò per pochi istanti a immaginare la sua vita: i suoi ricordi, i suoi affetti cancellati, il suo corpo legato a un tavolo operatorio costretto a esperimenti folli e dolorosi, la mente vuota e scombussolata. La confusione, la solitudine, il caos più totale. Riusciva a figurarsi tutto questo e poi una scintilla, una possibilità di vita, un compagno che la capiva, che era come lei, che riaccendeva qualcosa nel suo petto e nelle sue memorie, qualcosa che credeva perduto per sempre. Era successo a lei con Til, involontariamente. Ed era successo a Leviathan con Hyena e viceversa.
Adesso la capiva e si ritrovò a esitare. Le scelte non erano più solo giuste o sbagliate, non c'erano solo il bianco e il nero, ma anche il grigio.
In quel breve attimo di insicurezza Leviathan si frappose tra loro e il compagno ancora gemente a terra, sollevando muri d’acqua ribollente d’ira a proteggere fino all’ultimo il suo compagno.
Come avrebbe fatto un qualsiasi essere umano. Si ritrovò a pensare la ragazza.
E lì un dubbio atroce le attanagliò le viscere, portandole l’amaro sulle labbra. Ma se avessero ucciso Hyena sarebbe veramente tornato tutto alla normalità? Leviathan sarebbe veramente tornato l’ubbidiente Esperimento di sempre, oppure sarebbe cambiata in modo così radicale da far concordare a tutti di sopprimere anche lei?
Erano domande cui Jessica non riuscì a trovare risposta, non nell’immediato almeno, perché Leviathan si era dimostrata ben più umana di certi umani che lei aveva conosciuto e frequentato.
Si ricordò in un baleno la sua storia d’amore, tragicamente finita ancora prima di iniziare e di come quella ferita l’avesse segnata nel profondo dell’anima; una cicatrice invisibile, ma pur sempre presente. Se era stato così per lei, perché non avrebbe dovuto essere così anche per l’Esperimento.
No. Niente tornerà più come prima, non dopo quello che ho visto. Pensò e bastò quella consapevolezza per riportare il mondo com’era sempre stato: con giusto e sbagliato divisi in bianco e nero.
Lasciò cadere a terra la siringa, stringandosi a Til come se avesse il timore che glielo portassero via.
“Andate. – Disse ricevendo occhiate interrogative sia dall’amico sia dai due Esperimenti, ma lei non se ne curò. – Andate, ho detto. Fuggite lontano da qui!” Questa volta ordinò con tono secco e autoritario.
Le barriere d’acqua svanirono praticamente subito e gli occhi di Leviathan tornarono normali: quelli limpidi e tranquilli che la scienziata aveva visto il primo giorno, quelli che sentiva di conoscere da sempre. L’Esperimento accennò un sorriso e mosse le labbra senza far uscire alcun suono in una parola che senza essere pronunciata scaldò il cuore della ragazza: “Grazie.
Leviathan aiutò il compagno ad alzarsi ora che non era più in preda agli spasmi; quello lanciò un’occhiata di fuoco e rancore in direzione dei due scienziati, probabilmente deluso per non averli potuti uccidere, o almeno per non aver potuto restituire un po’ del dolore che gli era stato procurato. Guardò poi la ragazza al suo fianco, dritta negli occhi e con lei si avviò di fretta.
In un attimo sparirono.
Jessica sorrise a sua volta, sospirando, appoggiando il viso contro il petto di Til, sentiva che respirava ancora affannosamente per lo scontro avvenuto e per il dolore che doveva provare per le ferite.
“Pierché? Chiese a bassa voce.
Lei non gli rispose, alzò semplicemente le spalle. Per istinto, forse, o perché sentiva che quei due avevano subìto troppo per non meritare almeno un po’ di felicità e di libertà.
Forse perché quella parola non detta le aveva scaldato il cuore.
Forse per mille altri motivi che non sarebbe stata in grado di spiegare nemmeno in mille anni, ma era certa di aver fatto qualcosa di giusto e di buono. Certo, ci sarebbero state delle ripercussioni su di loro, per averli fatti scappare e probabilmente si sarebbero organizzate delle ricerche per ritrovarli, ma la giovane era certa che se la sarebbero cavata: erano macchine da guerra, sapevano sopravvivere egregiamente per conto loro. E magari, come in una bella favola, avrebbero persino trovato un po’ di quella felicità che era stata loro negata.
Jessica sospirò di nuovo, chiudendo gli occhi e appoggiandosi completamente al petto di Til, in attesa che i soccorsi arrivassero, ormai era convinta che quel combattimento non fosse passato inosservato.
Si sentiva felice nel profondo, di una felicità pura e genuina, anche se sperava che quella scelta per lei così giusta, non risultasse infine sbagliata.
 
Continua…
 
 
 
***
 
HOLA! ^_^
 
Miei adorati/a siamo quasi alla fine (forza, forza resistete ancora un capitolo moooolto breve e poi abbiamo concluso!)
Ok, mi sono lasciata andare al romanticismo e alla felicità del momento, sperando di non essere risultata banale. Volevo fare un finale dove tutti morivano ammazzati, ma all’ultimo non me la sono sentita: perché, come sempre mi capita, mi ritrovo ad affezionarmi terribilmente ai personaggi che creo e non ho mai la forza di farli soffrire! >.<
Questo, inoltre è anche l’ultimo turno del
Contest a Turni: “Autunno Originale” indetto sempre dalla grande Faejer, questa volta l’argomento era libero e io ne ho voluti trattare due: quello della Libertà e quello della Scelta; spero che si sia capito almeno un minimo… ^^’’
Non so, di nuovo questo capitolo non mi convince, ma ormai sono in finale e tanto vale sperare fino alla fine di arrivare almeno in classifica! ^u^
Devo poi ringraziare come al solito la Challenge “La sfida dei duecento prompt” indetta da msp17 con il prompt bonus 78) combattimento.
Che mi ha molto ispirato… dubito fortemente di avere ancora ispirazione senza questa Challenge.
Devo anche ringraziare tutti coloro che leggono di nascosto e non recensiscono (anche se questo mi farebbe molto piacere).
Non ho altro da dire.
A presto,
ByeBye
 
ManuFury!
^_^
 
P.S: I bellissimi disegni postati qui sotto sono stati creati appositamente per me *me molto commossa!* dalla grandissima LunAngel.
 

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Capitolo 8
*** Epilogo ***


LEVIATHAN
 
 
Epilogo
 
 
Leviathan guardava la foresta innevata che si stendeva per chilometri e chilometri attorno a lei. Non le piaceva quel posto, le sembrava così tetro e oscuro, così lontano da quel mare che aveva visto una volta e che aveva subito adorato; ma Hyena le aveva detto che era un posto sicuro, un posto dove non li avrebbero mai cercati.
Era il loro rifugio, aveva ringhiato una volta, strofinandosi poi contro di lei con quella dolcezza burbera che aveva.
Benché la sua presenza, la giovane non riusciva a farsi piacere quel luogo, nemmeno dopo che il suo compagno aveva trovato una zona di alberi più rada, vicino a un importante lago, adesso completamente ghiacciato. Continuava ad avere addosso una sensazione di sbagliato, perché lei non doveva stare in un posto simile, non doveva stare sulla terraferma, doveva stare sulle scogliere che si tuffavano nel mare. Quell’ambiente era più adatto a Hyena, era lui il vero cacciatore tra i due.
Aveva quindi iniziato a capire il significato di quella frase che aveva sentito spesso al laboratorio, frase che gli scienziati si scambiavano scherzosamente: “La libertà ha il suo prezzo.
La loro ne aveva avuto un molto alto: un costo esorbitante in vite umane e in amicizie create e spezzate, così come si può spezzare un filo. E aveva un prezzo che pagavano tuttora: la latitanza. Non che sarebbero stati bene tra le persone normali, quello no, ma quel loro continuare a fuggire aveva un qualcosa di logorante; ma non era importante, non del tutto, non ora che stavano assieme.
Sospirò, formando una bianca nuvoletta di condensa. Faceva freddo, ma lei il freddo non lo sentiva veramente, l’aveva avuto dentro per tanto tempo e ora sperava di poterlo sciogliere contro al corpo caldo del suo compagno un po’ alla volta.
Un movimento lieve al suo fianco la distrasse dai suoi pensieri. Ne seguì un lieve ringhiare, ma non di quelli aggressivi che si fanno contro i nemici; affatto, era uno di quelli dolci e confidenziali. Un paio di labbra che si posarono lentamente sul suo collo, in quello che doveva essere una sorta di bacio.
Leviathan sorrise appena, voltandosi verso Hyena, che sorrideva a sua volta; stava per uscire per procurare loro da mangiare e quello era il modo in cui la salutava sempre prima di andarsene, quelle piccole attenzioni che ogni volta lui le riservava le facevano piacere, molto piacere.
Solitamente il suo compagno stava via molto, Leviathan era convinta che stesse ore nei boschi a godere di quello che doveva essere il suo ambiente naturale, ma ogni volta che tornava c’erano attimi di tenerezza come quello.
La giovane lo guardò allontanarsi, lo vide sparire tra gli alberi alti e fitti di quella foresta che ancora non le piaceva, ma che si sarebbe fatta piacere per lui. Per loro.
Rimase del tempo lì, a osservare con attenzione il punto in cui aveva visto Hyena sparire; pensando a quella scienziata con gli occhi verdi, quelli che tutti chiamavano Jessica e che lei una volta aveva chiamato amica. Si chiedeva come stesse in quel momento, se avesse avuto problemi dopo la loro fuga, ma soprattutto, se alla fine avesse finalmente mostrato i suoi veri sentimenti per il ragazzo straniero. Se lo augurava alle volte, anche quella ragazza meritava felicità ed era stata l’unica buona con lei; qualche volta accarezzava anche l’idea di cercarla, solo per vederla un’ultima volta, per stamparsi in mente il suo sorriso solare.
A distrarla un rumore alle sue spalle: un suono strano, che forse voleva essere un ringhiare, ma che non lo era per niente e anzi, risultava un suono pieno di tenerezza proprio per quella tona stonata che di adulto e minaccioso non aveva proprio niente.
Si voltò, sorridendo e avvicinandosi a una piccola costruzione di legno fatta da Hyena diverso tempo prima; si chinò verso l’interno trovando una minuscola creatura che cercava in qualche modo di ringhiare senza riuscirci. Era piccolo, piccolissimo, con una buffa crestina azzurra che gli correva lungo tutto il collo, appena macchiettato di azzurrino. L’esserino agitava leggermente i piccoli pugni, aprendo la bocca, dalla quale si intravedevano quattro minuscoli, ma affilati canini. Evidentemente doveva avere fame se si agitava in quel modo, c’era da sperare che Hyena tornasse presto.
La ragazza lo prese in braccio con dolcezza, cullandolo dolcemente per calmarlo e quello, dopo qualche istante aprì gli occhi, che erano come quelli di suo padre: dorati e bellissimi.
 
Alla fine la natura aveva fatto il suo corso, com’era giusto che fosse e i mostri che tutti avevano creduto di creare si erano dimostrati più umani dei loro creatori.
 
 
 
***
 
HOLA! ^_^
 
 
Ed eccoci alla fine. Finalmente direte voi. Sì, ne avete tutte le ragioni e immagino che presto andrete dal dentista a farvi curare le carie dovute a questo pezzo troppo zuccherino, mandatemi pure il conto, me ne prendo ogni responsabilità! XD
Che vi posso dire? Io adoro i bambini e non potevo farli mancare, soprattutto perché questa è un’immagine così adorabilissima.
Molto altro non ho da dire… anzi, sì, una cosa sì, o meglio, più cose!
Primo fra tutti, se questa storia dovesse essere piaciuta veramente a qualcuno me lo dica, perché mi renderebbe terribilmente felice! *Q*
Ho intenzione di scrivere un piccolo seguito, un Cross – Over tra questa storia a un’altra in corso (della Serie: “Fratres in Armis”) dove militari ed Esperimenti s’incontrano, io già non sto nella pelle all’idea!
Secondo, ma più importante di tutti vorrei ringraziare tanto, tanto, tanto… tanto, tanto, tanto *Jovanotti arriva e chiede i diritti d’autore!* a
Faejer e al suo bellissimo Contest a Turni: “Autunno Originale” perché mi ha dato il coraggio di scrivere su questi personaggi che stagionavano nella mia testolina già da qualche tempo. Qualsiasi sia il posto che vorrà assegnarmi in classifica io ne sarò estremamente fiera, perché mi sento orgogliosa di aver scritto questa piccola Long.
Terzo… come al solito ringrazio la Challenge “La sfida dei duecento prompt” indetta da msp17 con il prompt 127) foresta.
Che mi ha ispirato per il rifugio di Leviathan e Hyena e il loro cucciolo (se volete saperlo, si chiama Jared, che significa: “Discendenza, progenia” mi sembrava adeguato come nome! XD).
Ringrazio anche tutte le ragazze che partecipano a questo Contest… devo passare a leggere tutte le loro storie, ma prometto che lo farò, perché le trame di alcune mi hanno proprio ispirato.
E per ultimi, ringrazio tutti quelli che leggono, spero di avervi emozionato almeno un pochino, ino, ino.
Spero di tornare presto con quel seguito di cui vi anticipavo.
A presto bella gente,
ByeBye
 
ManuFury! ^_^

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