Red Dress

di Lori_Tommo96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** Festa ***
Capitolo 3: *** Louis ***
Capitolo 4: *** Verità ***
Capitolo 5: *** Messaggi ***
Capitolo 6: *** Pomeriggi ***
Capitolo 7: *** Tentativi ***
Capitolo 8: *** Vendetta ***
Capitolo 9: *** Angeli ***
Capitolo 10: *** Assenza ***
Capitolo 11: *** Natale ***
Capitolo 12: *** Rivelazione ***
Capitolo 13: *** Contrasti ***
Capitolo 14: *** Londra ***
Capitolo 15: *** Bufera ***
Capitolo 16: *** Dolore ***
Capitolo 17: *** Certezza ***
Capitolo 18: *** Scuse ***
Capitolo 19: *** Rosso ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


Era il 15 settembre quando mi svegliai tra le braccia di Harry Syles per la prima volta.
Ero poco più che una bambina, avevo 15 anni e lui 17.
Dovevo cominciare la terza superiore in una scuola nuova e la cosa mi spaventava a morte.
Ero sempre stata una ragazza socievole, ma mi sarebbe bastato?
Mia madre aveva decretato che il liceo che frequentavo non fosse la scuola giusta per me, l’aveva definita “troppo soft”.
Ne avevo parlato per tutto il pomeriggio con Hope, ma lei non abitava a due passi da casa mia e in quel momento mi sentivo così sola nella mia villetta a Holmes Chapel che se non avessi trovato compagnia mi sarei strappata uno ad uno tutti i miei ricci corvini che odiavo da morire.
E quale compagno migliore se non il ragazzo che abitava di fronte alla mia porta? Quel riccio sicuro di sé, sempre solare, così sfacciato ma allo stesso tempo sensibile e premuroso?
Così, senza pensarci troppo, avevo chiamato lui, l’unica persona che alle dieci di sera sarebbe stata disposta ad ascoltare i miei problemi adolescenziali, l’unico che sarebbe stato capace di farmeli dimenticare e renderli in un momento una sciocchezza; perché Harry era così, sapeva trasformare tutto in uno scherzo, rendeva tutto più leggero.
Così presi il mio cellulare e feci a memoria il suo numero, senza usare la rubrica.
“Cazzo Giuly sono le 10 passate, dobbiamo alzarci presto domani…che vuoi?”
“Ciao anche a te Harold! Harry, se non mi trovassi bene? Voglio dire, l’unica che conosco della classe è Hope! E quel coglione di Zack, ma lui non conta, quindi penso che di certo non potrò trovarmi bene, è logico no? E poi si sa che le nuove arrivate vengono prese di mira, perciò forse non è della classe che dovrei preocc…”
“Frena frena” il grido di Harry mi fece accorgere che stavo straparlando, come mi succedeva spesso..
“Scusami” sospirai.
“Dai vengo lì, così evito di dover massaggiare fino a mezzanotte passata”.
Non feci in tempo a urlargli quanto gli volessi bene, che la chiamata si chiuse.
Un quarto d’ora dopo, una faccia assonnata ma tremendamente adorabile si era presentata alla mia porta, un paio di occhi verdi come smeraldi mi avevano guardata gentilmente e una voce roca disse:
“Hai un’ora di tempo per addormentarti prima che io me ne vada”.
Alla fine le cose non erano andate come previsto.
Ci eravamo sdraiati sul letto, io in pigiama e lui completamente vestito, avevamo parlato per un tempo che sembrava infinito della scuola poi, quando Harry riuscì a convincermi che mi stavo facendo delle gran paranoie, cambiammo discorso. Mi confidò che voleva presentarsi alle audizioni per X-Factor e io non pensai più neanche per un secondo alla scuola.
L’idea mi sembrava fantastica, lo vedevo già su quel palco a dimostrare all’Inghilterra quanto fosse bravo. Avevamo passato interi pomeriggi nel mio salotto, io a suonare il piano e lui a cantare seduto al mio fianco. Era il nostro piccolo mondo: Harry quando cantava era un altro ragazzo, non quello sfacciato e burlone che giocava a pallone nel campetto del quartiere, non quello che amava prendersi la sbornia il sabato e andare ogni volta con una ragazza diversa.
“E cosa dice tua madre? Che te lo lascia fare vero?”
“Ovvio!” disse scrollando le spalle.
Lo abbracciai, felice per lui e cominciammo a fantasticare su cosa avremmo potuto fare se lui fosse diventato famoso e gli feci promettere che mi avrebbe regalato il vestito rosso più costoso sul mercato, perché mia mamma non voleva assolutamente che indossassi un abitino di quel colore, per lei troppo “volgare”.
Mentre gli strappavo quella stupida promessa, Harry cedette al sonno e si addormentò sul mio letto.
Prima sbuffai, cercando di farmi spazio, poi presi il suo telefono e avvisai sua madre, infine mi accoccolai contro il suo petto e cercai di prendere sonno a mia volta.
 

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Capitolo 2
*** Festa ***


Io avevo sempre creduto in quel ragazzino, sapevo che aveva talento da vendere e che aveva la giusta determinazione per sfondare e solo quella sera davanti allo specchio della mia stanza,a distanza di due anni suonati, mi accorsi che io l’avevo sempre saputo. Già, io avevo saputo fin dal primo momento che Harry avrebbe scalato con facilità la salita impervia verso il successo, che i One Direction sarebbero andati ben oltre X-Factor, che del mio amico riccio se ne sarebbe sentito parlare per un bel po’.
Sorrisi involontariamente mentre mi sistemo i miei ricci ribelli con delle forcine. I miei capelli non avevano niente a che fare con i suoi, così morbidi, fluttuanti.
Non sapevo bene perché avevo accettato l’invito a quella COSA che io non riuscivo a definire festa, perché Hope fosse così felice di andarci e perché,dannazione, io non riuscivo a essere cintenta nemmeno la metà di quanto lo era lei. 
Io, in quel momento, sentivo di essere stata enormemente presa in giro.
In due anni le cose erano cambiate drasticamente. 
Stavo per cominciare l’ultimo anno di liceo, avevo progettato di già il college a Londra con Hope, avevo una media da salvaguardare in quell’ultimo anno per permettermi la borsa di studio.
In due anni, di Harry era rimasto solo un amaro ricordo, eppure stavo preparandomi per andare all’annuale party a casa di Andy e la chicca della serata era la presenza onoraria di Harry Styles e Louis Tomlinson, il suo inseparabile amico e compagno di band.
Avevo perfino creduto a quelle storie su di loro, i video su you tube avrebbero messo i dubbi sull’eterosessualità di quei due a chiunque, ma fondamentalmente mi sembrava impossibile associare la parola gay a Harry Styles.
Facevo molta meno fatica invece a credere che si fosse fatto quella Caroline che poteva essere sua madre, oppure la cantante biondina americana e chissà quante altre.
Ma in fondo come facevo a saperlo? Era da più di un anno che non ricevevo un suo messaggio. All’inizio ci eravamo tenuti in contatto, quando tornava a Holmes Chapel veniva regolarmente a trovarmi e passavamo interi pomeriggi a parlare.
Ma durante il suo primo tour i contatti si erano interrotti, quando tornava a Holmes Chapel aveva tempo solo per la sua famiglia e, alla fine, mi ero semplicemente abituata alla sua assenza.
Ma la delusione che provavo ogni volta che sentivo pronunciare il suo nome oppure ascoltavo la sua voce alla radio, non si era affievolita nemmeno un po’. Lui era il mio amico, il successo me lo aveva strappato dalle mani e Harry non aveva lottato affinché questo non succedesse.
La porta della mia stanza si aprì e una vocina familiare mi riportò alla realtà.
“Giuly vuoi muoverti? Di questo passo arriveremo che non sarà rimasto nulla da mangiare e ancora meno da bere!”
“Un momento, sto sistemando questo schifo” dissi a Hope indicando la mia chioma di ricci ribelli.
Quando ebbi finito di fermare quello scompiglio con le forcine, mi infilai i miei tanto odiati tacchi a decoltè neri.
Detestavo indossarli, ma per le feste a casa di Andy era quasi un obbligo farlo, così avevo scelto di abbinarci un paio di pantaloni del medesimo colore e una canottiera argentata molto disco anni settanta.
Notai che Hope aveva optato per il classico: tubino blu e scarpe coordinate.
Mi piaceva come aveva raccolto i suoi capelli biondi in una sorta di chignon, lasciando che qualche ciocca le ricadesse sulla schiena.
Io e lei, fisicamente parlando, eravamo agli antipodi: io mora e riccia, lei bionda e liscia, io occhi scuri lei azzurri, io alta e formosa, lei più bassa e asciutta.
“Sei pronta?” chiese lei spazientita.
Io annuii e uscimmo. Il passaggio fino a casa di Andy ce lo aveva gentilmente offerto Mike, il fidanzato di Hope. Era un tipo a posto, simpatico e gentile nonostante la sua stazza. 
Già perché quel ragazzo era alto un metro e novanta, bicipiti e addominali scolpiti dovuti ad anni e anni di box, ma non avrebbe fatto male a una mosca fuori dal ring. 
La sua auto era posteggiata davanti al vialetto di casa mia e immaginai che ci stesse aspettando da un pezzo a giudicare da come tamburellava sul volante.
Salii di dietro, prendendo un respiro profondo. Ero agitata, tremendamente agitata ma non volevo ammettere nemmeno a me stessa quale fosse il motivo.
La voce di Mike mi fece sussultare.
“Hai fatto i soldi?”
“Co-come?”
“Non usa salutare?” mi canzonò.
“Scusa Mike, ero sovra pensiero. Ciao comunque” sospirai.
“Lasciala perdere, è in crisi esistenziale,stasera rivede il suo cantante preferito” disse Giuly con aria divertita e io alzai gli occhi al cielo.
Cercai di non pensare a niente durante il breve tragitto in macchina che ci separava dall’immensa villa bianca.
Una volta scesi, sentii subito la musica che proveniva dall’interno. 
Hope mi puntò il dito contro.
“Te l’avevo detto che avremmo fatto tardi, a giudicare dal volume della musica la festa è iniziata da un po’” 
“Se fosse stato per me nemmeno saremmo qua” sussurrai, ma Hope mi sentì.
“Lo so che ti fa un certo effetto rivederlo, non mentirmi.”
Camminavo sul vialetto che ci separava dalla porta di casa di Andy a passo nervoso.
“Ok ammetto che sono in imbarazzo. La colpa è sua comunque, non sono io quella che è scomparsa lasciandosi tutto alle spalle.”
Hope annuì. Sotto il porticato davanti  all’ingresso c’erano vari ragazzi di nostra conoscenza che fumavano tranquillamente le loro sigarette. Li salutai velocemente e, prendendo un bel respiro, aprii la porta, seguita da Mike e Hope.
Fui investita da un odore di fumo misto a sudore. L’enorme salotto di Andy era gremito di persone, su una pedana probabilmente noleggiata stava il Dj, le luci colorate illuminavano la massa informe di gente. Sul tavolo accostato al muro stava il buffet che ogni anno il mio amico milionario offriva agli invitati a sue spese, mentre notai che il bar era stato allestito sulla terrazza, a cui si accedeva attraverso un’ enorme vetrata.
La prima persona che intravidi tra la folla fu la sorella di Andy, Christie, la mia popolare compagna di classe. In effetti nessuno avrebbe mai negato l’evidenza: Christie Stewart era da sempre stata di una bellezza fuori dal comune: occhi verdi, capelli biondi e mossi, fisico da paura.
Si montava la testa, questo sicuramente, ma rimaneva una delle mie amiche più care dopo Hope, nonostante ogni volta mi lasciasse spiazzata dal suo fascino. 
Quel vestito rosso vermiglio sembrava essere stato creato per lei e in quel mentre detestai mia madre per non avermi mai permesso di comprarne uno simile, anche se sapevo bene che indossato da me non avrebbe avuto lo stesso effetto.
Le mani piccole di Christie mi avvolsero in un abbraccio.
“Finalmente siete arrivate, non ci speravo più” disse rivolta a me e Hope.
“Colpa mia” ammisi “Dov’è Andy?”
“E’ in terrazza, vi stava aspettando anche lui.”
Annuii e mi diressi verso la terrazza con solo Hope al seguito: Mike aveva già trovato i suoi compagni di boxe. 
Varcai la porta della vetrata e fui investita da un freddo venticello che fece accapponare la pelle delle mie spalle scoperte. 
Mi strinsi le braccia al petto e cercai il corpo massiccio di Andy con lo sguardo tra le varie perone in coda per un drink.
D’un tratto mi accorsi che un paio di occhi verdi mi stavano osservando e non potei fare a meno di rimanere incantata da quello che vidi.
Un ragazzo molto più alto di come lo ricordassi se ne stava appoggiato contro al muretto della terrazza, un paio di pantaloni neri aderenti gli fasciavano le gambe affusolate, una camicia slacciata fino a metà petto lasciava intravedere dei tatuaggi sulla pelle chiara e un fisico ben definito, i capelli riccioli gli contornavano il viso che non era più neanche lontanamente quello di un bambino. 
Una tizia gli stava parlando, ma quegli occhi mimetici erano puntati su di me. 
In quel preciso istante mi pentii di aver evitato per un anno intero di guardare una sua foto, un suo video o qualsiasi altra cosa che lo riguardasse.
Faticavo a credere che fosse cambiato così tanto e lo shock mi impediva di muovermi, di  fargli un cenno, eppure non riuscivo a staccare i miei occhi dai suoi.
Il nostro contatto visivo si interruppe solo quando, dopo qualche secondo oppure un secolo, difficile a dirsi, le muscolose braccia di Andy mi travolsero in un abbraccio e “Finalmente Giuly” mi disse soddisfatto. Distolsi gli occhi da Harry e notai quanto l’alito di Andy puzzasse di alcool.
“Andy, quanto hai bevuto?” chiesi scherzosamente.
“Non molto, voglio ricordarmela questa serata piccola!” 
Quasi aveva gridato e mi aveva stretto ancora più forte. Mi divincolai dalla sua presa e rivolsi di nuovo lo sguardo verso il muretto. Harry era contornato da varie persone, manco fosse un pezzo da museo. Certo che non lo era, lui era meglio di tutte le statue greche così perfette che avevo studiato a scuola, lui era reale, in carne e ossa. I suoi capelli si muovevano accarezzati dal vento leggero, il suo sorriso illuminava gli sguardi delle persone che gli stavano intorno e mi fece piacere notare che quelle sue adorabili fossette ai lati della bocca non erano sparite con la crescita.
Mi sorprese a guardarlo e mi rivolse un lieve sorriso.
In quel preciso istante, mi sentii come se, assieme al mio sguardo, avesse colto anche i pensieri che stavo formulando su di lui e le mie guance si infiammarono. 
Una parte di me, quella istintiva, voleva ricambiare quel sorriso, invece il mio lato razionale e orgoglioso prevalse su quell’impulso: mi aveva scaricata, dimenticata, dopo anni e anni passati insieme, non meritava il mio sorriso solo perché era sicuramente il ragazzo più bello che avessi mai visto in vita mia. 
Mentre formulavo questa ipotesi, arrivò Hope con due bicchieri di birra e me ne porse uno. 
Bevvi in silenzio. Hope ad un tratto sgranò gli occhi.
“E’ veramente…”
“Harry Styles?” la interruppi e bevvi un sorso poi ripresi: “Sì lo è”.
“E immagino di sapere perché sta venendo qui”
Persi un battito. Hope mi strizzò l’occhio e fece per andarsene.
“Dove credi di andare?” chiesi categorica.
“Da Mike, ovvio, non voglio assolutamente interferire nella vostra conversazione, saluterò Harry più tardi”.
Detto ciò sparì fluttuando tra la folla. La maledissi mentalmente, poi una mano si posò sulla mia spalla nuda e un brivido mi percorse da capo a piede.
Prima di voltarmi, sorrisi al ricordo di quelle mani sproporzionatamente grandi che cercavano in tutti i modi di imparare a muoversi sul mio pianoforte con scarsi risultati.
Presi un respiro e mi girai.
Cercai di non badare al suo sorriso provocatorio e gentile al tempo stesso, ai suoi occhi così intensi, al suo profumo che mi aveva avvolta, alla sua camicia che lasciava poco all’immaginazione e me ne uscii con un “Ciao Harry”.
“Ciao Giu”
A sua voce non era cambiata, sempre profonda, le parole sempre pronunciate lentamente. Quando mi aiutava a fare i compiti mi faceva venire il mal di stomaco per la lentezza con cui pronunciava ogni singola parola. Lo guardai aspettando che dicesse qualcos’altro e così fece.
“Sei cambiata un sacco sai?”
Da che pulpito pensai ironicamente e sorrisi.
“Credo di essere sempre la stessa di più di un anno e mezzo fa. Tu invece? Come vanno le cose?”
Notai dalla sua espressione che aveva colto il risentimento nella mia voce fredda, ma conoscevo bene Harry, non mi sarei mai aspettata un “mi dispiace per non averti più scritto”.
Sarebbe stato anche stupido da parte sua esordire così, infatti cambiò velocemente argomento.
“Direi che non posso lamentarmi. Vieni, devi conoscere una persona che ti piacerà un sacco.”
“Ah sì? Come fai a dirlo?” 
Non sembrava che fosse passato un anno intero, non c’era distanza tra noi, a parte un po’ di freddezza che non riuscivo a non mostrare.
Harry si mise a ridere di gusto.
“Perché siete simili, te ne accorgerai”
“Vedremo”
Mi avvicinai a lui pronta a seguirlo, invece mi sentii afferrare per un braccio e ricevetti uno strattone così forte che finii contro il suo petto. I suoi occhi erano a pochi centimetri dai miei, strabuzzati per la reazione inaspettata.
“Lo so che sono stato uno stronzo, ma non usare questo tono di sufficienza” disse serio.
“Non sto usando un tono di sufficienza, ma cosa ti aspettavi? Che sarei corsa a salutarti e a dirti che mi sei mancato tanto?” 
Mi staccai dal suo corpo e ripresi a parlare, cercando di non alzare la voce.
“Sai una cosa? Mi sei mancato davvero comunque”dissi seria.
Chinai lo sguardo, pentita già di quello che avevo detto. Non ero la classica persona sentimentale, anzi il mio orgoglio mi impediva di dire così apertamente cosa provavo dentro di me.
Sentii la sua mano stringere la mia, come faceva sempre, stringendomi il dorso con il pollice e il palo con il resto delle dita.
“Mi sei mancata anche tu, piccola stronza, adesso vieni che devo farti conoscere Louis”
Probabilmente arrossii quando mi chiamò così, il che può sembrare stupido, ma in realtà lui mi chiamava sempre in quel modo prima e inevitabilmente quell’epiteto mi aveva fatta sentire bene.
Lo seguii in casa di Andy, dove la musica rendeva quasi impossibile parlare. Mentre entravamo, tutti ci guardavano. I nostri amici, quelli che erano ancora miei amici, ci salutavano. Le ragazze in verità salutavano me e poi dedicavano tutte le loro attenzioni ad Harry.
Pensai che a quel passo ci avremmo impiegato delle ore ad arrivare da Louis, il suo amico.
Avevo visto qualche loro foto, quelle per cui venivano considerati gay, e non avevo alcun dubbio sul fatto che anche Louis, come Harry, fosse bello da mozzare il fiato.
Mentre Harry stava intrattenendo Christie, che sembrava fargli delle avance più che evidenti, venni travolta da una strana sensazione. Il cuore mi batteva stranamente forte e l’unica cosa che volevo è che quella conversazione terminasse. Christie poteva avere chiunque, perché ci stava provando proprio con Harry? Ovvio che ci provasse, era più simile a un angelo che ad altro.
Non era affar mio l’interesse di Chirstie verso d lui, erano liberi di fare ciò che volevano in fondo. 
Dopo ben dieci minuti passati ad ascoltare i loro discorsi, Harry riportò l’attenzione su di me e salutò la mia amica, la quale mi fece un occhiolino complice che mi diede la conferma di ciò che sospettavo: voleva provarci con Harry e me lo aveva appena fatto capire.
Non ci badai più di tanto e lo seguii su per le scale della villa.
“L’ho visto salire prima, chissà dove c’ha i piedi. Spero sia sobrio, anche se quando è ciuco è uno spettacolo” disse Harry mentre salivamo le scale. Scoppiai a ridere, poi notai un particolare.
Possibile che in un anno e mezzo fosse cresciuto così a dismisura? Dal mio metro e settantacinque mancava un palmo abbondante per raggiungere la sua statura.
“Styles ti hanno concimato? Quanto sei alto?”
Harry rise per la mia battuta.
“Sono così diverso? Mi guardi come se fossi un’altra persona!”.
Trasalii. Cercai di mantenere la calma e di non far notare il mio totale imbarazzo. Come aveva fatto ad accorgersi che lo guardavo in modo diverso? Era veramente così evidente? 
“No che dici! Sei sempre tu, solo più alto, più grosso e con i tatuaggi.”
“Anche tu sei diversa. Hai un viso da donna ora e lo stesso vale per il corpo”.
Quasi inciampai su un gradino. Harry Styles che mi faceva un compimento, un’osservazione: era decisamente cambiato. Notai un filo di imbarazzo nella sua espressione, poi disse:
“Non sai quanti tatuaggi mi sono fatto, non ne hai idea!” 
“Mmm vediamo, questi sulle mani e le rondinelle sul petto… quanti altri possono ancora essere?”
Harry scoppiò a ridere accentuando le fossette sul suo viso. Mi prese per mano e mi trascinò dentro la prima stanza vuota che trovò nel corridoio di casa Stewart, chiudendosi la porta alle spalle.
Che cosa stava facendo?
“Cosa ci facciamo qua? Dovresti presentarmi Louis…”
Notai che eravamo nella stanza dei genitori di Andy e Christie e, a giudicare dalla quantità di bicchieri sparsi sul pavimento, qualcuno era già stato lì.
“Non posso mostrarti i miei tatuaggi in mezzo al corridoio” sentenziò e cominciò a slacciare i pochi bottoni della camicia che non erano già slacciati.
Involontariamente, andai in apnea quando rimase a torso nudo, gettando la camicia sul letto. 
Il suo corpo era diventato qualcosa di talmente sensuale e perfetto che non potei restare indifferente a quella visione: pelle bianca, più tirata sui muscoli addominali dove spuntava una farfalla tatuata, spalle pronunciate, le rondinelle sul petto, una G e una A sotto quest’ultime, una sorta di gabbia sul fianco, una scritta, poi le braccia: un veliero, delle scritte, una stella, un cuore, il tetraedro simbolo dei Pink Floyd e ancora altri segni.
Rimasi stupita come su di lui tutte queste immagini non risultassero esagerate, anzi gli donavano in modo particolare. 
Mi guardava con aria divertita mentre lo stavo letteralmente ammirando scioccata.
“Che c’è Giu? Hai perso il dono della parola? So che odi i tatuaggi…”
“Sì li detesto, ma devo ammettere che sei… uhm che ti stanno molto bene”.
Dopo questo mio commento, passammo circa mezz’ora chiusi in quella stanza. Harry mi mostro i suoi tatuaggi uno ad uno, mentre stavamo seduti comodamente sul letto. Molti di questi se li era fatti con Louis, mentre altri erano di tipo più personale.
“Scommetto che la G e la A stanno per Gemma e Anne giusto?” chiesi curiosa, pensando a quanto assomigliasse a Gem, sua sorella maggiore, e a sua madre.
“Bingo”
“E la farfalla?” 
“La farfalla è stata un esperimento. Non ti piace vero?”
Guardai bene l’enorme disegno sui suoi addominali. In realtà mi piaceva, non avrei mai penato che potesse risultarmi carina e addirittura sexy eppure era così.
“Mi piace invece, è particolare”
“Ma va, lo so che odi questa roba!” disse facendo una smorfia.
“Io odio i tatuaggi su me stessa, non sugli altri” lo corressi.
In quel momento pensai a quante cose non sapevo di lui a parte i tatuaggi.
“Raccontami qualcosa della tua vita, dei One Direction, sono curiosa”.
“Avremo una settimana per parlarne. Sto un po’ qua dalla mia famiglia.”
Fui felice di quella notizia, ma non potei trattenermi dal dire:
“Allora questa volta avrai un po’ di tempo anche per me?”
Harry prese la sua camicia tra le mani e sospirò.
“Senti, ti ho detto che sono stato uno stronzo, non farmelo pesare.”
Mi ricordai in quel momento quanto fosse facilmente irritabile quando stava dalla parte del torto.
“Ok mister tatuaggio, andiamo da questo Louis ora?”
“Ah già Lou!”
Ci alzammo simultaneamente dal letto, Harry si riabbottonò la camicia e poi uscimmo in corridoio.

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Capitolo 3
*** Louis ***


Girammo varie stanze ma di Louis nemmeno traccia.
Entrai senza bussare in una stanza e vi trovai due ragazzi che non conoscevo in atteggiamenti piuttosto intimi.
Richiusi subito la porta imbarazzata.
Harry rise di gusto.
“Potevano anche chiudere a chiave” constatai.
“E tu potevi bussare! Bella figura di merda.”
Gli diedi una pacca sul braccio e lui mi fece la lingua.
Al piano di sopra non c’era traccia del suo amico, quindi scendemmo al piano terra e fummo di nuovo accerchiati dalla calca di gente. Era snervante dover fermarsi a parlare con tutti e pensai a quanta pazienza avesse Harry: non negò a nessuno un saluto o un paio di parole, ammirevole.
Dopo mille ricerche, Harry lo vide, seduto su una poltrona e me lo indicò.
Forse per entrare in una boy band, oltre a doti canore e senso del ritmo, ci volevano anche notevoli requisiti fisici perchè in quel momento rimasi letteralmente incantata: occhi azzurri, fisico magro ma atletico, capelli castani sollevati in un ciuffo, sorriso degno di poter sponsorizzare i migliori dentifrici e un fondoschiena da paura (pensarlo mi fece diventare rossa come un peperone).
Indossava una semplice maglietta bianca attillata e un paio di jeans, ma avrei potuto giurare che nulla gli sarebbe stato meglio.
Insomma, Louis Tomlinson non era esattamente un ragazzo carino, andava ben oltre il bello, come del resto avevo pensato di Harry, che il quel preciso istante notò la mia espressione ammirata e scoppiò in una fragorosa risata.
“Giuli chiudi almeno la bocca, stai sbavando! Ti informo che è ufficialmente fidanzato”
“E’? Ma va, è solo che…” il mio imbarazzo mi impediva di continuare, ma poi mi feci coraggio: era ancora il mio amico no? Ci eravamo sempre detti tutto. “Louis è notevole ecco, tutto qua”.
La vergogna che provai nell’ammetterlo davanti a Harry, non fu nulla in confronto a quella che mi travolse un secondo dopo, quando Harry, con tutta la naturalezza del mondo e un sorriso enigmatico in volto, disse:
“Ma io sono meglio, giusto?”
Deglutii e trattenei l’impulso di gridare: tu sei la creatura più perfetta che abbia mai conosciuto.
Così, fingendo un sorrisino divertito, ammiccai: “Certo Styles, come no, fammi conoscere questo Louis adesso!”
Harry scosse la testa e i suoi ricci sventolarono: avrei dato qualsiasi cosa in quel momento per sfiorarglieli.
Ci avvicinammo alla poltrona dove stava seduto il suo amico, attorniato da un bel gruppo di gente, e quando gli fummo abbastanza vicino, incrociò per un attimo i suoi occhi fantastici con i miei.
Poi congedò quelle persone e venne verso di noi.
Fu Harry a parlare:
“Tommo ti porto in un posto dove non conosci nessuno e ti ritrovo a parlare con un mucchio di gente?”
“Vuoi che mi annoi? Siamo a una festa, diamine!”
La sua voce era più acuta di quella di Harry almeno di un ottava.
Harry mi mise una mano sulla spalle, poi ci fece fare presentazione.
“Giuli lui è Louis, Louis lei è la mia amica Giulia”
“Piacere, finalmente ci conosciamo” fece l’altro, allungandomi la mano, che io strinsi subito, colta da una consapevolezza che mi aveva stupito: Harry aveva parlato di me a Louis. Non potei che esserne felice.
“Piacere mio Louis” dissi poi.
In quel momento arrivarono Mike e Hope, che salutarono calorosamente Harry e io mi ritrovai a parlare con Louis.
Capii dopo pochi minuti cosa intendesse Harry con “siete simili”.
Che a me piacesse chiacchierare con qualsiasi persona che fosse disposta ad ascoltarmi era abbastanza risaputo e lo stesso avrei potuto dire di Louis.
In meno di cinque minuti mi portò a sedere sulla poltrona che aveva occupato lui fino a poco prima e si accomodò sul bracciolo, cominciando a farmi una serie di domande. Mi chiese quanti anni avevo, che scuola frequentavo, come facevo a conoscere Harry, se ascoltavo i One Direction e io risposi di buon grado, facendo altre domande a mia volta.
Quando gli dissi che io e Harry da piccoli ci divertivamo a fare i duetti, lui cantando e io suonando il piano, scoprii che anche Louis aveva studiato pianoforte. Quel ragazzo mi stava simpatico, c’era poco da fare.
La solarità di Louis e la sua estroversia, mi fecero dimenticare del fatto che Harry non era più accanto  noi. Per la verità, notai che nemmeno Mike e Hope erano nei paraggi, così proposi a Louis di aiutarmi a cercare Harry.
 

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Capitolo 4
*** Verità ***


Non facemmo in tempo ad alzarci, che notai subito dove fosse il mio amico e cosa stesse facendo.
Proprio sotto la pedana del dj, una bellissima ragazza bionda con un bellissimo vestito rosso stava avvinghiata al corpo di Harry e alla sua bocca.
Una strana sensazione mi avvolse: non stupore, non rabbia, solo rassegnazione.
Christie era così: voleva qualcosa, o meglio qualcuno, e l’oggetto del suo desiderio diventava suo in meno di cinque minuti. Questo non valeva solo con i ragazzi, ma anche con gli abiti, le scarpe e quant’altro.
Anche Harry non mi aveva per niente stupita, infatti il numero delle ragazze che avevano assaporato le sue labbra carnose nessuno poteva dirlo, neanche lui stesso.
Pensai che Christie dovesse piacergli particolarmente, perché altrimenti non l’avrebbe baciata da sobrio, non avrebbe pomiciato con lei davanti a una marea di gente e non l’avrebbe nemmeno presa per mano per accompagnarla su per le scale.
In quel momento fui colta da un senso di nausea che non riuscii a controllare e Louis, che aveva seguito quella scena al mio fianco, se ne accorse.
“Ti senti bene?” chiese premuroso. Pensai a quanto dovesse essere fortunata la sua ragazza.
“Sì, solo che la birra fredda mi ha messo lo stomaco in subbuglio” mentii spudoratamente.
Come avrei potuto dirgli che il suo migliore amico, nonché quello che era stato il mio migliore amico, mi faceva schifo? Che non tolleravo il fatto che avesse il vizio di scoparsi la prima che gli capitava a tiro?
“Vuoi uscire un po’ fuori? Ti vedo pallida.”
Annuii e lo seguii in terrazza, cercando di non pensare a quello che stava succedendo al piano superiore in quello stesso istante.
Ci sedemmo sul muretto, in un punto appartato, così da rimanere un po’ in pace.
Il viso di Louis, nonostante la poca luce che arrivava in quell’angolo, splendeva ugualmente e avrei potuto giurare che i suoi occhi brillassero di luce propria, come le stelle.
Ma poi il mio stomaco ebbe la meglio su quella visione angelica. Dei conati insopportabili minacciarono di sfondarmi l’esofago. Corsi veloce via dal terrazzo, lasciando Louis allibito.
C’era una scaletta che conduceva in giardino poco distante da noi e la percorsi due gradini alla volta per raggiungere l’erba. Mi rifugiai dietro una pianta, nel buio semitotale e vomitai anche l’anima.
Non riuscivo a credere che fosse stata la vista di Harry e Christie insieme a darmi la nausea, ma non potevo negare che fosse andata così. Ero stupida, ecco la ragione.
Quante ragazze avevo visto baciare le sue labbra? Eppure quella sera provavo un profondo senso di abbandono. Lui aveva preferito scoparsi la mia amica piuttosto che passare del tempo con me, mi aveva scaricata col suo compagno di band a me sconosciuto per fare i suoi porci comodi con lei e io ero stata così ingenua da credere che lui fosse ancora il mio Harry, quello che passava pomeriggi interi a casa mia a guardare film o a giocare alla play , quello che non avrebbe mai cambiato la mia compagnia con quella di nessun altro, invece mi sbagliavo.
Mentre la consapevolezza mi bruciava la mente e il dolore allo stomaco mi impediva di stare dritta, sentii una mano calda toccarmi il braccio infreddolito.
“Ti senti bene? Meglio che ti accompagni a casa, che ne dici?”
“No!” gridai quasi. “Non voglio andarmene, ora sto molto meglio.”
Louis mi guardò serio, non molto convinto sulla mia condizione di salute. Non volevo andarmene, non mi sarei lasciata condizionare e avrei continuato la mia serata.
Tornammo in terrazza senza dire una parola.
Parlammo a lungo di cose stupide e notai come Louis stava riuscendo a migliorare il mio umore.
Non volevo rovinargli la festa e ancora meno volevo rovinarla a me stessa, così presi coraggio e feci la mia proposta.
“Ti va di ballare Louis?”
I suoi occhi mi rivolsero uno sguardo stupito, le sue labbra formarono un sorriso divertito.
“Hai appena vomitato e hai seriamente voglia di ballare?” chiese non riuscendo a trattenere una risatina canzonatoria.
“Se non ti va non è un problema”.
“Chi ha detto che non mi va?”
Risi. Sapevo che uno come Louis non si sarebbe di certo tirato indietro.
Prima di rientrare, mi ammonì:
“Però stai attenta, io ti ho offerto un ballo. Se le tue intenzioni sono le stesse che ha avuto quella tizia con Harry sappi che sono fidanzato…”
“Ufficialmente” lo anticipai. “Lo so. Tranquillo, non c’è niente sotto, voglio ballare.”
“ Se le cose stanno così, allora andiamo!”
Mi prese per mano trascinandomi in pista.
Inizialmente ballai solo con Louis, che si divertiva a fare il deficiente imitando le mosse di una ragazza accanto a noi, la quale sculettava senza un minimo di ritegno e faceva dei versi osceni per compiacere il ragazzo che le stava dando corda.
Non potei fare a meno di piegarmi dalle risate. Mike e Hope si unirono a noi dopo pochi minuti.
In una mezz’ora abbondante passata in pista, non smisi un secondo di ridere:Louis e Mike insieme erano il ritratto della pazzia e della comicità. Arrivò Andy a portarci dei bicchieri e i due ragazzi si misero a bere. Hope intimò al suo ragazzo di non esagerare e anche Louis seguì quel consiglio, anche se notai i suoi occhi azzurri diventare più lucidi e il suo sorriso allargarsi sempre di più ad ogni sorso: era già brillo.
I versi spastici di quei mi fecero dimenticare un paio i occhi verdi e un vestito rosso, almeno fino a quando non lanciai un’occhiata verso le scale.
Avrei riconosciuto la chioma post-coito di Harry tra milioni di teste: i ricci non avevano più un senso definito, erano come impazziti.
Lo vidi scendere le scale da solo, espressione seria, camicia semi slacciata, passo svelto.
Non so perché lo feci, ma presi Louis per mano avvicinandolo di più al mio corpo: era visibilmente brillo, non avrebbe reagito male. Infatti continuò a ballare come se niente fosse.
Come avevo mentalmente previsto, Harry ci raggiunse dopo pochi secondi, sfoderando due occhi stupiti.
E fu in quel momento che ebbi una piccola rivincita: mi aveva lasciata sola con il suo amico e ora io stavo ballando appiccicata a lui come se ci conoscessimo da una vita. Uno a uno Styles, palla al centro.
“Vedo che avete fatto conoscenza in fretta” gridò Harry per superare il volume della musica.
Non ci fu più bisogno di gridare: probabilmente era già tardi perché la musica disco fu sostituita da un’altra dal ritmo più cadenzato, dolce, intimo: un lento.
Fu Louis a parlare al mio posto.
“Stavamo occupando il tempo tanto per aspettare che tu finissi di scoparti quella. Complimenti Hazza, molto carina”.
Sulle mie labbra si stampò un sorrisetto soddisfatto: Louis mi aveva tolto le parole di bocca.
Notai anche il soprannome che gli aveva attribuito: Hazza, suonava bene.
Harry spostò lo sguardo su di me e allora decisi che la messa in scena era durata anche troppo.
Mi staccai da Louis e lo guardai raggiungere un ragazzo a me sconosciuto. Mike stava cominciando a ballare con Hope su quelle note romantiche, ma lei mi guardava con aria interrogativa.
In quell’istante capii che ci sarebbero volute spiegazioni, perché probabilmente mi aveva vista accostarmi a Louis e aveva sicuramente pensato che nutrissi un qualche interesse per lui.
Non badai più di tanto all’occhiata strana che avevo ricevuto dalla mia amica, così portai la mia attenzione su Harry, pensando che avesse qualcosa da dirmi.
Invece non disse nemmeno una parola. Mi prese in vita e cominciò a muoversi a tempo.
Ci misi qualche secondo a lasciarmi andare. Pensare che le sue mani grandi che mi stavano delicatamente stringendo i fianchi avessero appena compiuto una serie di cosa sconce su Christie mi faceva tornare la stretta allo stomaco. Poi lo guardai negli occhi: non spariva mai dal suo viso quel mezzo sorriso quasi provocatorio, incredibilmente sensuale, che lo caratterizzava.
Arrossii violentemente, sconvolta dai miei stessi pensieri e in quell’istante, mentre mi muovevo con lui, le mie braccia sulle sue spalle forti, le sue mani attorno alla mia vita, capii che veramente lui non sarebbe più stato quello di prima per me. Cercai di scuotere via quella consapevolezza e, senza staccare i miei occhi dai suoi, dissi:
“Forse dovresti essere a ballare con Christie”.
“Forse sì.” Ammise con un filo di imbarazzo.
Perché allora non te ne vai? Forza, va da lei… pensai. Poi continuò:
“Penso che in questo momento sia con alcune sue amiche a vantarsi di essersi fatta Harry Styles.”
La naturalezza con cui lo disse mi fece salire il nervoso.
“Sei un porco Harry”. Tentai di dirlo in tono scherzoso, ma la punta di rimprovero fu percepita da Harry che si accigliò.
“E tu non sei mia madre!”disse sfidandomi.
Risi di gusto, poi tra noi calò il silenzio.
Ci lasciammo trasportare dalla musica, lui mi tirò più verso di sé e io, con un attimo di esitazione, poggiai la testa sul suo petto, sfiorando con la guancia la pelle scoperta del suo petto.
Quando la musica cambiò, mi staccai istintivamente dal suo corpo e lo guardai.
Lui mi sorrise poi si accostò al mio orecchio:
“Andiamo via di qua?”
Pensai al fatto che il giorno dopo mi aspettava la scuola. Non capivo perché Andy si ostinasse a fare la festa a casa sua sempre il giorno prima. “E’ tradizione” mi rispondeva ogni volta che glielo chiedevo, ma io continuavo a non tollerarlo.
“Sì, io domani ricomincio.” Sospirai.
“Non fingerti dispiaciuta, lo sappiamo che sei una secchiona” mi arrivò un buffetto sulla nuca e mi misi a ridere.
Cercai con lo sguardo Mike e Hope, ma non li vidi. In compenso Andy mi passò davanti.
Lo fermai, annunciai che io e Harry ce ne stavamo andando e lui ci salutò calorosamente.
Aveva idea del fatto che quel ragazzo che stava abbracciando aveva appena scopato con sua sorella? No ovviamente e sperai che non lo venisse mai a sapere. Andy era  grosso, muscoloso e tremendamente iper-protettivo, aveva già menato alcuni ragazzi che avevano fatto brutti scherzi a Christie e non volevo che la sua amicizia con Harry finisse perché né lui né Christie sapevano tenere a freno gli ormoni.
Cercai di nuovo Hope tra al folla, ma Harry richiamò la mia attenzione.
“Mandale un messaggio, ti porto a casa io”.
Mi guardai un’ultima volta intorno e alla fine decisi di assecondarlo.
Prima di uscire, Harry mi disse di aspettarlo fuori da uno stanzino all’ingresso e io obbedii.
Quando lo vidi uscire, trattenei a stento le risate: indossava una giacca nera, un cappello ridicolo dentro il quale aveva infilato tutti i ricci e un paio di occhiali decisamente enormi.
“Sei sexy Styles!”. Ridevo come una pazza e Harry fece lo stesso.
 “Non voglio foto indiscrete, i paparazzi sono ovunque.”
“E Louis? Lo lasciamo qua?”
Vidi la faccia allarmata di Harry. “Merda” gridò.
“Vado a cercarlo, non muoverti”
Mi precipitai di nuovo tra la mischia e dopo pochi minuti, invece di Louis, incrociai Hope. Le spiegai brevemente che stavo per tornare a casa con Harry per poi chiederle “Hai visto Louis?” in modo forse troppo apprensivo.
“No che non l’ho visto. Poi mi spieghi cos’è che è successo tra te e Louis, ok? Lo sai che è fidan…”
“Niente Hope, non è successo niente e sì, lo so che è fidanzato”.
Hope mi guardava ancora allibita. Le avrei spiegato, ma non in quel mentre: dovevo trovare Louis.
La salutai con un bacio veloce e poi finalmente vidi gli occhi cristallini di Tomlinson, che se ne stava appoggiato alla finestra a parlare con un tizio.
Mi avvicinai a loro e interruppi la conversazione.
“Scusatemi. Louis, dobbiamo andare, Harry ci sta aspettando all’ingresso.”
“Di già? Vabbè, allora andiamo. Ciao Mark” disse a quel tipo e poi mi seguì senza battere ciglio.
Non era più brillo, l’effetto dell’alcool era scomparso completamente.
Raggiungemmo Harry, che appena vide Louis gli indicò lo stanzino.
Il risultato di occhiali, cappello e giacca su Louis fu ancora più scioccante che su Harry: sembraa un vecchio investigatore privato incallito tremendamente sexy.
Uscimmo senza attirare troppo l’attenzione. Harry compose un numero e disse semplicemente “Siamo usciti” al destinatario, poi si rivolse a me:
“Non ti ho detto che ho l’autista.”
“Wow ho sempre sognato essere sulla macchina si una persona famosa con vetri oscurati, autista e tutto il resto!” lo presi in giro.
Louis rise, mentre Harry scosse la testa.
Arrivò una macchina nera e si fermò avanti al cancello. Noi tre procedemmo a passo svelto verso l’uscita.
Louis si sedette davanti, io e Harry dietro.
Passai il breve tragitto in totale silenzio.
Quando la macchina si fermò davanti a casa mia, Louis si voltò verso di me.
“Dobbiamo salutarci io e te, adesso vado in albergo e domani mattina parto per Londra.”
Guardai intensamente quegl’occhi azzurri così vispi. Avrei mai rivisto Louis Tomlinson? Speravo di sì con tutta me stessa.
Scesi dalla macchina d’istinto e andai ad aprire la portiera di Louis. Gli diedi un bacio sulla guancia e sussurrai al suo orecchio:
”Spero di rivederti Louis. Buon viaggio”.
“Sicuramente, non è così facile liberarsi di me” disse ridendo. Mi scompigliò i capelli e ci salutammo definitivamente. Harry, che nel frattempo mi aveva affiancata, gli disse un breve “ci vediamo Lous” poi guardammo la macchina partire.
Rimanemmo soli sul marciapiede, la strada deserta illuminata solo dalle luci dei lampioni.
Il nostro quartiere era molto elegante: belle case, tanti giardini, un parco, un posto tranquillo insomma.
La voce di Harry chiamò la mia attenzione.
“Non dovevo stare con Christie stasera”.
Per un attimo pensai di essermi immaginata quella frase. Poi lo vidi chinare la testa e mettersi le mani nelle tasche di quella giacca improponibile.
“Adesso ti fai venire i dubbi?” cercai di sdrammatizzare.
“No, i dubbi mi sono venuti da subito. Insomma, la tua amica penserà che io provi qualcosa, quando invece non è così. Dovresti dirglielo, io non…”
“Mi stai chiedendo di disilludere Christie?” gridai. “Bene, si vede che ci hai solo scopato e che non la conosci affatto. Lei prova tanto sentimento quanto te, stai pur tranquillo.”
“Perché stai urlando?” chiese stupito.
Merda. Urlavo perché mi dava fastidio il suo atteggiamento, odiavo come sfruttava le ragazze a suo piacimento come se il genere femminile fosse stato creato solo per il puro divertimento dei suoi ormoni.
Si accorse del mio fastidio. Si avvicinò pericolosamente al mio viso e mi sussurrò all’orecchio:
“Sei gelosa?” sussurrò ridendo di gusto.
Quella risata mi fece male, le sue parole mi tagliarono a metà.
Era la verità, non potevo negarlo a me stessa. E a Harry quella verità faceva ridere.
Gli sembrava così strano, così impensabile? Certo, io ero l’amica di infanzia, quella responsabile e con la testa sulle spalle, che non avrebbe mai occupato il suo letto solo per fare una pazzia di una notte, lui questo lo sapeva, me lo aveva appena sputato in faccia con quella sua risata sprezzante.
Non poteva neanche immaginarsi me gelosa, semplicemente per il fatto che io per lui non ero una ragazza come le altre, non la ero mai stata.
Rabbia, nervoso, voglia di piangere, vergogna, ecco cosa mi impediva di guardarlo negl’occhi.
Presi un respiro e, da brava amica qual ero, mentii spudoratamente tentando di non piangere come una stupida.
“Muoio di gelosia” dissi facendogli una linguaccia e sfoderando un sorriso talmente finto che ringraziai la semi-oscurità che ci circondava.
“Direi che si è fatto tardi. Ci vediamo Giuli, buonanotte”.
Un paio di labbra morbide si posarono sulla mia fronte.
Rischiai seriamente di lasciare andare tutte le lacrime che avevo trattenuto pochi secondi prima.
“Notte Harry” sospirai.
Senza voltarmi a guardarlo mi incamminai verso la porta d’ingresso ed entrai.
Salii in camera mia alla velocità della luce e mi abbandonai sul letto, lasciando scivolare sul mio viso le lacrime.
Stavo piangendo per Harry Styles. O meglio, piangevo perché quella sera mi ero fottutamente innamorata di Harry Styles anche se ancora non me ne rendevo conto.

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Capitolo 5
*** Messaggi ***


Quello che in diciassette anni avevo capito degli uomini era ben poco, per lo più le mie storie erano state cose passeggere, in parte perché avevo sempre avuto a che fare con dei deficienti e un po’ perché forse il destino non mi aveva ancora fatto incontrare la persona giusta.
Quindi, per quanto il genere maschile per me rimanesse un mistero e mi rifiutassi di comprendere la logica con la quale un uomo fosse portato ad agire in modi sconsiderati e incoerenti, una cosa l’avevo certamente imparata: qualsiasi sofferenza causata da un ragazzo, grossa o piccola, rimediabile o no, non doveva essere in nessun modo mostrata.
E fu con questa filosofia che mi alzai la mattina dopo la festa, mi lavai il viso, coprii le occhiaie con il correttore, mi misi un po’ di matita e il rimmel, tirai fuori dall’armadio i miei jeans preferiti e una camicia a quadri, mi sistemai la chioma ribelle con un cerchietto e presi lo zaino, pronta ad uscire per affrontare il mio ultimo primo giorno di scuola.
Non feci caso alle urla di mia madre che mi urlava dalla cucina di mangiare un boccone prima di uscire di casa, non detti nemmeno troppa importanza al fatto che mia sorella maggiore, Cindy, probabilmente era tornata a casa la sera prima dall’università dal momento che il suo cappotto era appeso all’appendi-abiti nell’ingresso. Avrei avuto tempo quel pomeriggio per salutarla.
Uscii di casa dirigendomi verso la fermata dell’autobus, senza nemmeno rivolgere lo sguardo alla villetta molto simile alla mia dall’altra parte della strada.
Mi pentii di aver preso l’autobus e di aver distrattamente rifiutato la richiesta di mia madre di accompagnarmi, quando due isolati dopo salì Hope, ancora fermamente convinta che io avessi qualcosa da raccontarle su Louis. E non ero dispiaciuta di raccontarle quanto Louis fosse stato gentile e simpatico, ma perché sapevo bene che sarei finita col parlarle di Harry. E io fondamentalmente non volevo parlare di lui.
Ma nonostante tutto, per noi due era impossibile non confidarsi a vicenda e forse questo faceva bene a entrambe.
Non feci nemmeno in tempo a salutarla e a farle posto vicino a me, che cominciò a farmi il terzo grado.
“Ora, spiegami un po’ bene cosa mi sono persa ieri sera.”
“Non ti sei persa niente su me e Louis se è questo che intendi”.
“Già, inizialmente ho pensato che tu fossi strana per un paio di occhietti azzurri e un culo che, permettimi di dirlo…”
“No Hope, non te lo permetto! Sei fidanzata” la ammonii scherzosamente.
“Si chiama evidenza o dato di fatto, vedi tu. Comunque, ho capito che il tuo problema ieri sera non era Louis. Che mi dici del fatto che Harry si è scopato Christie piuttosto? Ti ho vista da lontano quando si sono baciati in pista e ho notato la tua reazione. Poi quel cretino di Zack, dopo dieci minuti dall’accaduto, mi ha detto che ti ha vista vomitare nel giardino”.
Se n’era accorta. Era così evidente o semplicemente per Hope ormai ero diventata un libro aperto?
Sperai nella seconda ipotesi e “Ok penso di poterti spiegare” sospirai.
“Ecco fallo in fretta, perché tra cinque minuti siamo arrivate”.
Le rivelai tutto. Come ero rimasta estasiata alla vista di Harry, il fastidio che mi aveva dato nel lasciarmi sola, la stretta allo stomaco che mi era presa quando lo avevo visto baciarla, insomma le raccontai ogni cosa.
E Hope non parve molto stupita, anzi per niente.
“Io l’ho sempre pensato che prima o poi te ne saresti accorta”
“Accorta di cosa?”sputai acida.
“Di volere qualcosa di più di un’amicizia da Harry.”
Sbuffai. Io volevo qualcosa di più, solo ed unicamente io. E poi volere cosa? Non avrei fatto l’amica di letto di nessuno, neanche di Harry.
Arrivammo a scuola, mi diressi verso il mio armadietto per sistemarci le mie cose, assieme a Hope che aveva quello accanto al mio.
“GIU!HOPE!” un grido ci fece sobbalzare. Una voce inconfondibile e che non avrei voluto sentire chiamava il mio nome con tono eccitato.
“Ciao Christie” disse Hope prima di me, intuendo il mio disagio.
La bellissima ragazza bionda davanti a me irraggiava felicità da tutti i pori e potevo ben immaginare il motivo.
“Devo raccontarvelo, ma forse tu Giuli lo saprai già dato che sei amica di Styles vero?”
“Hai fatto l’amore con lui, me l’ha detto” dissi tutt’altro che entusiasmata.
Ed ecco che successe quello che io volevo assolutamente evitare. Chrstie, con minuziosa precisione e cura dei particolari, ci descrisse per filo e per segno quanto Harry fosse un mago a letto.
Feci forza contro me stessa per evitare di prenderla a schiaffi mentre si vantava di quanto fosse brava con i preliminari e di come quella scopata fosse stata la migliore della sua vita: non aveva un minimo di ritegno.
Ma la batosta non fu quella descrizione dettagliata, nemmeno il fatto che altre nostre compagne si erano intromesse nella conversazione esprimendo la loro invidia nei suoi confronti, bensì una cosa, che io definirei catastrofe,che successe all’intervallo.
Mentre prendevo il mio cappuccino di routine, Christie mi raggiunse alla macchinetta delle bevande saltellando come un grillo, sventolando il suo I-Phone per aria e gridando:
”Leggi qua, LEGGI QUA!”
Presi il cellulare in mano controvoglia e persi un battito.
Conoscevo a memoria quel numero e non riuscivo a dare un senso a quel messaggio.
 
Ti va di rivederci stasera? Scegli tu il posto. –H  xx
 
Di nuovo la sensazione della sera prima, più forte, più agghiacciante.
Mal di stomaco, senso di abbandono, sconforto e anche gelosia. Sì, ero gelosa fino al midollo.
Aveva avuto anche la faccia tosta di dirmi che si era pentito di quello che aveva fatto, ma poi ripensai meglio a quello che ci eravamo detti.
Si vede che ci hai solo scopato e che non la conosci affatto. Lei prova tanto sentimento quanto te, stai pur tranquillo.
Ero stata io a pronunciare quelle parole e prenderne consapevolezza mi fece cascare il mondo addosso, mentre il cappuccino mi andava inevitabilmente di traverso.
Christie mi diede varie pacche nella schiena per fermare i miei spasmi.
“Giu, va tutto bene?” chiese premurosa.
Ripresi lucidità e la facoltà di parlare dopo vari colpi di tosse, poi indossai la mia maschera migliore.
“Sì, è questo maledetto caffè che esce troppo caldo. E’ una bella cosa Christie, immagino quale sia la tua risposta”.
“Ovvio che lo voglio rivedere! Stasera Andy esce con i suoi amici, mamma e papà sono a una riunione di lavoro. Ho la casa libera!”
Meraviglioso. Harry se la sarebbe scopata di nuovo e la colpa era solo mia.
Congedai Christie e mi chiusi nel bagno delle ragazze, in preda allo sconforto.
Harry mi aveva promesso che ci saremmo visti, che non si sarebbe dimenticato di nuovo di me e il suo primo pensiero era stato quello di assicurarsi un’altra sveltina.
Mentre formulavo quei pensieri, il telefono vibrò nella mia tasca.
Aprii distrattamente il messaggio, ma quando lo lessi mi resi improvvisamente conto di chi fosse a scrivermi.
 
Ciao Giu, ti andrebbe di venire con me a una cosa che ha organizzato mia madre? Così magari parliamo un po’, abbiamo tante cose da raccontarci. Ci conto –H. xx
 
Mi rimangiai quello che avevo pensato pochi secondi prima: si era ricordato anche di me.
In quel messaggio ci lessi la seria intenzione di voler recuperare il nostro rapporto di amicizia e il mio cuore fece inevitabilmente le capriole.
Peccato che le mie intenzioni non fossero le stesse di Harry, ma per quella mattina mi bastava sapere che l’avrei rivisto il pomeriggio. Non sapevo cosa fosse balzato nella testa di Anne quella volta: da quando si era lasciata dal marito si era tenuta occupata in mille modi per non perdersi d’animo, aveva organizzato feste di volontariato, cene, aperitivi e chi più ne ha più ne metta.
Qualunque cosa fosse, avrei accettato di buon grado. Ma a che ora? In che luogo? Ah già io dovevo ancora confermare la mia disponibilità. Mentre scrivevo, le mani tremavano
 
Sì, vengo volentieri, mi piacciono le iniziative di tua mamma. Dove andiamo? A che ora? -G. xx
 
La risposta fu istantanea.
 
Vestiti comoda e fatti trovare davanti a casa tua per le quattro. Di a tua madre che non torniamo per cena. A dopo. –H.
 
Tipico di Harry, non mi avrebbe detto una parola di più sul programma della giornata, ma lo avrei seguito dovunque, quindi il problema non esisteva.
Durante il viaggio di ritorno a casa, quando raccontai a Hope della mia uscita a sorpresa con Harry, il mio stato d’animo passò da felice e ansiosa a sconfortata quando vidi passare l’auto di Andy con Chistie seduta sul sedile del passeggero.
Hope mi consigliò di non pensare a Christie, ma solo a quel pomeriggio e io decisi di darle retta.

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Capitolo 6
*** Pomeriggi ***


Quel giorno le quattro sembravano non volere arrivare mai.
Cindy non faceva altro che parlarmi dell’università, ma a me dell’economia non me n’era mai importato molto e il suo ciarlare mi impediva di andare a suonare un po’ perché, da brava sorella, ero tenuta ad ascoltarla.
Alle tre e mezza andai a prepararmi con largo anticipo e mi ricordai che dovevo vestirmi comoda.
E allora infilai un paio di pantaloni grigi della tuta, una felpa nera e le mie All Star scassate.
Aspettai nervosamente nel mio atrio d’ingresso, camminando avanti e indietro, poi uscii alle quattro in punto.
Una macchina nera spuntò dal vialetto di casa Styles. Rimasi letteralmente scioccata quando aprii la portiera del passeggero. Un ragazzo con dei pantaloni blu di una tuta, un maglione informe, le sneakers e una sorta di bandana arrotolata a tenergli a freno i ricci non poteva essere così bello da togliere il fiato. Cercai di non affogare nella mia bava e lo salutai con un “ciao” che mi uscì troppo acuto.
“Ciao Giuli, grazie per aver accettato.”
“Dove andiamo di bello? Cos’ha pensato stavolta tua mamma?”
Harry scoppiò a ridere.
“Non so se ti piacerà molto l’idea, ma ormai hai accettato. Mia mamma ha invitato mia zia Claire e i gemelli per una grigliata al cottage. Bene, Gemma non torna da Londra fino a stasera, mia zia arriva per ora di cena e i gemelli sono con mia mamma al cottage da stamani quindi…”
“Fammi capire: faremo i baby sitter vero?” chiesi curiosa e divertita.
“Probabilmente mi odierai perché sono delle piccole pesti, ma come premio hai una bella cena no? E il privilegio di passare un’intera giornata con me.”
Lo disse con quel suo fare provocatorio e da sbruffone, rischiando di farmi sciogliere con una semplice frase. Che i due cuginetti di cinque anni di Harry fossero esagitati non era un segreto per me, avevamo badato a loro tante di quelle volte che avevo perso il conto, ma una giornata con Harry, per quanto mi scocciasse ammetterlo, era veramente un privilegio.
Non perché fosse famoso, non avevo mai realmente preso in considerazione Harry come una star o qualcosa di simile, anzi da quando se n’era andato io avevo odiato e amato nel contempo sia  i One Direction, che X-Factor: li odiavo perché avevano portato via da me il mio migliore amico, ma li amavo perché lo avevano reso felice.
Il viaggio fino al cottage della famiglia Styles durò più di mezz’ora e occupammo il nostro tempo a parlare di tutto ciò che non ci eravamo detti in tanto tempo.
Scoprii quanto dovesse essere esaltante e soddisfacente stare sul tetto del mondo, adorato da milioni di fan e fare quello che hai sempre sognato da una vita.
Harry mi raccontò dei loro due tour, delle città in cui era stato e della fantastica esperienza che gli stava capitando, ma soprattutto non fece altro che parlarmi dei suoi amici e compagni di band.
Louis lo avevo conosciuto in qualche modo e già mi stava simpatico, e dalle parole di Harry intuii che anche Liam, Niall e Zayn dovessero essere dei ragazzi fantastici.
Non potei fare a meno di chiedere “Devono essere proprio importanti per te vero?”
“Non sai quanto” ammise. “Non è tutta rose e fiori la mia vita, loro mi aiutano a superare i momenti no”.
In quel momento desiderai con tutta me stessa di tornare a far parte di quella stretta cerchia di persone che facevano superare i “momenti no” a Harry Styles, compito che avevo eseguito alla perfezione per una vita. Harry, sotto il suo velo di simpatia, ironia e sicurezza, era sempre stato un ragazzo sensibile.
Non lo dava a vedere spesso, ma c’erano state occasioni in passato in cui era letteralmente crollato.
Il giorno in cui suo padre andò a vivere per conto suo, scappò di casa. Tutto il vicinato lo aveva cercato ma di lui nessuna traccia. Alla fine, fui io a trovarlo alle dieci passate di sera al campo da calcio del quartiere, intento a tirare calci furiosi a un pallone. Aveva delle occhiaie che sembravano solchi, la fronte corrucciata e il veleno negl’occhi. Al primo tentativo di riportarlo a casa e di farlo ragionare, mi arrivò uno spintone, ma poi quel ragazzo allora tredicenne crollò tra le mie braccia, liberando tutto il suo dolore in un pianto disperato.  La sua voce mi riportò alla realtà e lasciai da parte quel ricordo triste.
“Tu che mi racconti? Suoni ancora il piano?”
“Potrei mai smettere?”. Gli feci l’occhiolino e lui mi regalò un sorriso.
“E come stai messa a ragazzi?”
Sapevo che prima o poi sarebbe arrivata quella domanda, ma in quel momento non me l’aspettavo.
Mi irrigidii e diventai acida di colpo.
“Non mi va di parlarne, comunque ora non c’è nessuno.”
Harry annuì poi, col suo tono canzonatorio, disse:
“Sbrigati a trovare qualcuno, la tua amica ti ha preceduta”
Non volevo qualcuno, volevo lui. Cercai di rimanere lucida.
“Ti riferisci a Hope e Mike?”
“Già Raccontami di loro, non avrei mai immaginato che si sarebbero fidanzati.”
Lo ringraziai mentalmente per aver lasciato perdere la mia vita sentimentale.
“Già, inizialmente non potevo crederci nemmeno io. Lei così piccola e indifesa e lui un armadio a tre ante, ma sono bellissimi insieme”.
La mia constatazione ci fece ridere entrambi.
“Mike è un bravo ragazzo e da come la guarda direi che è innamorato sul serio” sussurrò.
Anche Harry aveva notato il modo in cui si guardavano e mi chiesi se lui avesse mai guardato una ragazza con quegl’occhi.
Poi notai che stavamo imboccando la stradina sterrata che portava al cottage, delimitata da un fitto bosco.
Dopo pochi secondi rividi la casetta di legno bianco immersa nel verde prato circondato solo dagli alberi. Era proprio come la ricordavo: piccola, ma estremamente graziosa e curata. Notai Anne sotto il portico che guardava verso di noi.
Harry posteggiò e ci dirigemmo insieme verso la casetta.
Due faccini uguali uscirono simultaneamente dalla porta di ingresso e corsero verso Harry e me.
Tom e Derek erano cresciuti dall’ultima volta che gli avevo visti. Li salutai entrambi, poi feci la stessa cosa con Anne, intenta a pulire il barbecue dai rimasugli di cenere.
Due occhi identici a quelli di Harry mi guardarono con affetto e fui accolta con un abbraccio.
“Sono così felice che Harry ti abbia invitata”.
“Il piacere è mio, Anne” dissi in imbarazzo.
I gemelli mi presero per mano e mi trascinarono in casa. Harry mi seguì, divertito.
Quel pomeriggio i due diavoletti ci fecero giocare a palla in giardino, poi a nascondino.
Non potei non notare quanto Harry ci sapesse fare con i bambini. Li guardava dolcemente, assecondava le loro richieste e, alla fine, aveva finito per divertirsi anche lui, da bambino cresciuto qual era.
Finalmente, quando l’ora di cena stava avvicinando, quelle due pesti ci lasciarono un po’ in pace.
Io e Harry allora camminammo per il sentiero che dal bosco portava a un piccolo laghetto dove andavamo sempre da bambini.
Harry si sedette su una vecchia panchina e io lo affiancai.
Il sole basso della sera faceva splendere i suoi occhi, il suo viso era rilassato e sereno.
Era bellissimo.
Passammo svariati minuti a parlare di nuovo della sua carriera, delle false notizie che circolavano sul web, dello stress che si trovava a sopportare in alcuni periodi.
C’era un lato che non avevo mai considerato della sua vita: il fatto che Harry alla fine avesse solo diciannove anni. Quello che stava vivendo era fantastico, ma forse a volte risultava troppo, troppo grande anche per lui.
“Mi sono mancate queste giornate tranquille: niente urla, niente aereo, niente lavoro” disse tutto ad un tratto.
“A me sei mancato tu”.
Non so quale strana forza sovrumana mi spinse a dirlo e me ne pentii subito. Sentii il battito del mio cuore accelerare e aumentare di intensità. Stupida, ero stata stupida.
Harry mi guardò sorpreso dalla mia affermazione, ma poi mi sorrise e mise una mano sul mio ginocchio. Un brivido.
“Cos’è questa gentilezza improvvisa? Non sei più una piccola stronza, allora”
Gli diedi un piccolo schiaffo sulla fronte facendo cadere la bandana che portava.
Mi scappò una risatina compiaciuta. Harry si scompigliò i ricci togliendosi del tutto il pezzo di stoffa dalla testa.
“Questo non dovevi farlo” sentenziò, poi prese a farmi il solletico, facendomi piegare sulla panchina.
“Harry basta… basta, ti prego!” urlai tra le risate.
Mi dimenavo al suo tocco e ridevo, ma poi le cose presero un’altra piega.
Dopo qualche secondo mi ritrovai sdraiata sulla panchina, il corpo di Harry tra le gambe sospeso sul mio petto.
Lui fermò di colpo le sue mani e mi guardò intensamente.
Poi fu un attimo. Si chinò velocemente sul mio viso e poggiò le sue labbra morbide sulle mie.
E allora le sentii. Per la prima volta nella mia vita sentii le farfalle allo stomaco, accompagnate da una sensazione di casa, appartenenza, piacere che solo le sue labbra erano riuscite a darmi fino a quel momento. Avrei voluto fermare il tempo, desideravo ardentemente abbracciare quel corpo e stringere quei ricci all’infinito.
Ma quando quel casto bacio, dopo pochi secondi, si interruppe, la piacevole sensazione che avevo provato si trasformò in panico. Un paio di occhi verdi mi guardavano pentiti.
Harry si rimise a sedere composto e io mi sollevai di rimando.
“Scusa. Non doveva succedere” disse freddo e una morsa mi strinse lo stomaco e il cuore contemporaneamente. Capii che l’avevo perso per sempre come amico.
Quindi lo lascerai andare così?
Una vocina dentro di me mi iniettò una dose potente di coraggio. Non volevo lasciarlo andare.
I momenti come quello appartengono alla categoria di attimi in cui l’adrenalina che ti pompa dentro ti porta a prendere delle decisioni folli nel giro di una frazione di secondo.
E non so ancora se fu l’adrenalina, la mia mente impazzita, il mio cuore in preda a una delle sue più grandi crisi o semplicemente la disperazione che mi spinsero a fare quello che feci.
Mi alzai in piedi, portandomi perfettamente davanti al corpo stupendo di quel ragazzo seduto sulla panchina e, appena si degnò di alzare lo sguardo verso di me, mi chinai di scatto e feci incontrare di nuovo le nostre labbra.
Ero pronta al rifiuto, pronta a dire addio per sempre a quello che eravamo stati, ma non ero assolutamente preparata alle sue mani calde e accoglienti che mi presero il viso, alla sua lingua dolce che si insediò tra le mie labbra chiedendo l’accesso alla mia bocca.
Mi stava baciando e lo stava facendo come nessuno lo aveva mai fatto prima.
Senza interrompere il contatto tra noi, mi sedetti sulle sue gambe e le sue mani mi cinsero la vita.
I movimenti della sua lingua erano intensi e dolci allo stesso tempo, si muoveva piano e con trasporto e io non dovevo fare altro che assecondare le sue mosse.
Le farfalle non sembravano più farfalle, ma piuttosto uno stormo impazzito di rondini, il mio cuore scalpitava, la mia mente si rifiutava di comprendere cosa stava succedendo eppure la mia pelle era certa che quello che stavo facendo era reale.
Il bacio divento più fugace, più spinto, la lingua di Harry mi stava travolgendo.
Infilai le mani nei suoi ricci e mi beai di quel tocco.
Poi la foga di Harry si interruppe. Si staccò da me riprendendo fiato e mi accorsi che anche io avevo l’affanno. Mi guardò dritta negli occhi e poi lo vidi, il suo sorriso.
D’un tratto mi sentii leggera, svuotata, sollevata. Non si era pentito di avermi baciata, stava sorridendo diamine! Cercai di regalargli il sorriso migliore che potesse formarsi sul mio viso.
Ero seduta sulle sue cosce, le mie ginocchia toccavano i suoi fianchi.
“Cos’era questo Giulia? Potremmo rovinare tutto” disse piano, con un filo di voce.
“Da quando ti preoccupi delle conseguenze di quello che fai Styles?”
Scoppiò in una fragorosa risata e mi baciò di nuovo.
Era vero, lo avevo perso definitivamente come amico.
Speravo solo ardentemente che, per una volta nella mia vita, il detto si chiude una porta, si apre un portone fosse vero.

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Capitolo 7
*** Tentativi ***


“Quindi quanto stai con noi?” chiese Gemma prima di mordere la sua costoletta.
La grigliata preparata da Anne ebbe un successone. Le due piccole pesti si erano calmate e stavano mangiando di gusto. Claire era arrivata da poco e aveva tempestato Harry di domande, lo stesso aveva fatto Gemma.
Io e lei ci vedevamo spesso, lei era amica di mia sorella e, a differenza di suo fratello, non era mai sparita.
Assomigliava a Harry più di quanto mi ricordassi: stessi occhi e stesse labbra, i capelli invece erano lisci e quasi biondi .Pensai che probabilmente fosse veramente più simile a lui di prima: Harry era cambiato tanto.
“Uhm non so di preciso quando riprenderemo a lavorare al nuovo album. Una settimana?” rispose Harry, poco convinto.
Mi si gelò il sangue nelle vene e il buon cibo che stavo addentando perse il suo gusto.
Harry sarebbe rimasto pochissimo a Holmes Chapel e quella consapevolezza mi fece fare i conti con la realtà, che mi era sembrata così lontana e distante su quella panchina, poiché offuscata dalle labbra di Harry.
Capii che il nostro idillico pomeriggio sarebbe rimasto un caso isolato, perché Harry sarebbe sparito di nuovo per dei mesi interi. Io sicuramente, se me l’avesse chiesto, avrei aspettato il suo ritorno, lo avrei atteso per il tutto il tempo necessario, ma lui non si sarebbe mai vincolato a me, lo conoscevo bene e sicuramente  avrebbe ripreso a baciare, mordere e violare decine di labbra come aveva fatto con le mie.
Stavamo facendo qualcosa di insano, avevamo intaccato  la nostra amicizia irreparabilmente per cosa? Ancora non lo sapevo.
A cena parlammo, ridemmo e scherzammo come se niente fosse successo.
Quando furono le nove e mezza il telefono di Harry vibrò e lui si alzò da tavola per rispondere, allontanandosi di poco da noi.
Con gli occhi finsi di essere interessata alla conversazione tra Gemma e Anne riguardante lo shopping, ma tesi bene l’orecchio per ascoltare quello che Harry stava dicendo al telefono.
Rimasi scioccata dalle sue parole.
“Pronto? Ah ciao… no guarda, niente di personale, ma stasera non posso venire… no nemmeno dopo… mi dispiace” concluse serio, chiudendo la telefonata e io non potei fare a meno di voltarmi verso di lui e guardarlo negli occhi.
Mi ero completamente dimenticata che Harry avrebbe dovuto vedersi con Chrstie quella sera e non riuscii a controllare i battiti del mio cuore quando mi resi conto che aveva appena deciso di non andare da lei.
Dopo la telefonata, tra me e Harry calò il silenzio per il resto della serata.
Dal momento che cancellò i suoi “impegni”, prolungammo la permanenza al cottage.
Ringraziai il fatto che ci fosse Gemma a parlare con me, perché il suo fratellino aveva preferito passare il suo tempo a giocare con i gemellini e a rispondere a tremila telefonate su un altro cellulare, probabilmente quello che usava per il lavoro.
Verso le dieci, mentre io e Gemma stavamo sedute sul divano parlando allegramente della vita universitaria sua  e di mia sorella, Harry mi degnò della sua considerazione.
“Forse è meglio che ti riporti a casa, domani hai la scuola”.
“Piantala Harold, non ti si addice il ruolo di papà”. Fu Gemma a parlare.
Harry si sedette tra noi due sbuffando.
“Forse hai ragione” dissi io “è meglio se andiamo”.
Harry fece una smorfia compiaciuta a sua sorella e si alzò annunciando “ti aspetto in macchina”.
Salutò i bimbi e sua zia, poi uscì.
Ringraziai Anne per la bella cena, salutai Gemma, i marmocchi e Claire, poi lo seguii.
Si era fatto freddo ed era completamente buio. Odiai il fatto che la famiglia Styles non avesse mai pensato a mettere delle luci esterne perché faticai a raggiungere l’auto senza inciampare.
Salii sul posto del passeggero mezza infreddolita, senza guardare Harry negl’occhi.
“Gemma ti ha rifilato un sacco di stronzate sull’università vero?” chiese compiaciuto mettendo in moto.
“Non erano stronzate” puntualizzai “anche se a me non piace la sua facoltà, non ci ho mai capito niente di economia”.
“Le nostre sorelle conoscono l’andamento del PIL, tu ed io sappiamo leggere uno spartito musicale”.
Il suo sorriso, il modo in cui lo disse, quel tu ed io, mi fecero palpitare talmente forte che pensai che anche lui potesse sentire i battiti del mio cuore.
La macchina sobbalzò: Harry prese un dosso un po’ troppo velocemente.
“Non avevi detto di avere un autista e le guardie del corpo? Perché non ne usufruisci?” dissi ridendo.
“Vuoi scendere da quest’auto?” mi chiese provocatorio, ma col sorriso stampato in faccia, poi riprese “Comunque sono a casa, non voglio autisti, non voglio la security, voglio stare un po’ in pace.”
“Posso capirlo” sussurrai.
Harry accostò l’auto in uno spiazzo a bordo strada, inchiodando.
Lo guardai con aria interrogativa, lo vidi slacciarsi la cintura e sporgersi vero di me, per poi sussurrarmi all’orecchio: “E voglio anche te, ma questo potrebbe solo farti soffrire”
Incontrai i suoi occhi, riuscivo a distinguerli perfettamente anche in quella semi-oscurità.
I nostri visi erano a pochi centimetri di distanza e io percepivo il suo respiro caldo sulle guance.
“Pe-perché?” balbettai, ancora incredula per quello che avevo sentito. Lui voleva me.
“Non so fare la parte del bravo ragazzo, quello che tu sogni da una vita”.
Perché me lo stava dicendo? Sapeva di non potercela fare a prendersi nessun tipo d’impegno che si avvicinasse anche solo un po’ al fidanzamento, lo avevo capito anch’io da sola, eppure aveva cancellato l’appuntamento con Christie e aveva detto di volermi.
Volermi. In un attimo capii cosa intendesse con quell’affermazione, perché glielo avgeo già sentito di dire per decine e decine di ragazze, e mi salì un tale nervoso che non riuscii a contenermi.
“Già, tu non sei capace a fare altro che scopare, me n’ero dimenticata” sbottai girando il viso verso il finestrino.
“Non era questo che intendevo con…”
“Cazzate Harry! Non dovevi baciarmi oggi, non dovevi illudermi porca puttana!”
Stavo gridando e le lacrime mi punzecchiavano gli occhi, ma non le liberai.
Harry mi guardava serio e pentito per quello che aveva detto, poi mise una mano sul mio ginocchio e a quel contatto mi rilassai un po’. Non riuscivo ad essere lucida e determinata con lui.
“Lo sai che non era quello che volevo dire. Oggi io non volevo illuderti.”
“E cosa volevi fare sentiamo? Mandare al diavolo la nostra amicizia per un bacio?”
Lo lasciai senza parole. Chinò lo sguardo e tirò un sospiro.
“Portami a casa”dissi affranta.
Cercai di trattenermi: non volevo urlare di nuovo perché avrei finito col piangere come una stupida.
Harry rimise in moto e tra noi calò il silenzio.
Nella mia testa invece accade l’opposto: una miriade di pensieri mi assillarono per tutto il viaggio.
Ero delusa, arrabbiata, mi sentivo usata e presa in giro, sentivo la cena martoriarmi lo stomaco e le tempie pulsare, ma nonostante tutto il mio orgoglio dovette fare a cazzotti con l’istinto che mi suggeriva di supplicarlo a non lasciarmi sola: avrei continuato a fare la sua amica per sempre, mi sarei dimenticata di quel pomeriggio, ma non potevo accettare di nuovo la sua assenza, sarebbe stato troppo.
Arrivammo nella nostra via e Harry accostò davanti a casa sua.
Slacciai la cintura e feci per aprire la porta, ma venni bloccata dalle sue mani.
Nemmeno io volevo andarmene davvero senza chiarire quindi fui sollevata nel vederlo fermarmi, perché io non avrei mai avuto il coraggio di rivolgergli per prima la parola.
“Ok, possiamo provare a fare come dici tu. Dammi una possibilità.” disse soltanto, guardandomi coraggiosamente negli occhi.
In quel momento la ragione abbandonò il mio corpo e la mia mente. Harry mi aveva appena proposto di tentare la sorte, di provare a stare con lui non come amica.
Lui, il ragazzo che non conosceva la parola fedeltà, che non aveva mai nemmeno pensato a una storia seria con una ragazza, aveva appena chiesto a me di fare un tentativo con lui.
La felicità si impadronì di me e lo baciai con foga, insediandomi nella sua bocca e strappandogli un gemito di sorpresa.
Harry non si lasciò andare del tutto a quel bacio e capii il perché un attimo dopo, quando staccò le sue labbra dalle mie sorridendo.
“Vuoi che una nostra foto spopoli sul web? Non è saggio baciare me in mezzo a una strada”.
Il suo sorriso da furbetto mi fece arrossire. Scesi velocemente dall’auto e lui fece altrettanto.
Con fare circospetto mi invitò a seguirlo dentro casa sua.
Eravamo soli, dal momento che la sua famiglia si trovava ancora al cottage e io mi sentii mancare quando Harry, chiusa la porta dietro di sé e accesa la luce del salotto, mi prese dolcemente per mano portandomi a sedere sul suo divano, anzi precisamente sulle sue gambe.
Si tolse la felpa, rimanendo con una maglietta a maniche corte bianca scollata a V che lasciava poco all’immaginazione. Fece per baciarmi di nuovo ma io abbassai la testa. Volevo chiarire prima.
“Perché questo cambiamento improvviso di orizzonti?”
Harry prese il mio viso tra le sue mani, costringendomi a guardarlo.
“Perché se io non avessi voluto baciarti oggi non l’avrei fatto e non l’avrei lasciato fare a te.
Non so cosa può venire fuori da questa faccenda, ma ormai ci siamo dentro no?” disse facendomi l’occhiolino poi appoggiò delicatamente le sue labbra sulle mie.
Ci baciammo a lungo quella sera, lingua contro lingua, fronte contro fronte.
Fino al giorno prima avevo creduto che non ci potesse essere niente di meglio che vedere Harry in tutto il suo splendore, ma baciare quelle labbra fino a perdere il fiato, stringere quel corpo caldo, perdermi nel verde dei suoi occhi fu qualcosa di nettamente superiore e di indescrivibile.
Quando tornai a casa quella notte, con la buonanotte di Harry e il suo “ci vediamo domani” che mi ronzavano ancora nelle orecchie, non feci nemmeno caso alle grida di mia madre che mi accusava di essere in un ritardo pazzesco, non diedi importanza all’orario improponibile che lampeggiava sulla mia sveglia. Con le gambe tremanti, il cuore che dava in escandescenze e la mente che non mi dava possibilità di ragionare su quello che era accaduto, mi lasciai andare sul letto chiudendo gli occhi.
Non saprei dire fino a quando semplicemente pensai ai suoi occhi, alle sue fossette, ai suoi riccioli prima di passare a sognarli.

 

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Capitolo 8
*** Vendetta ***


Bussai alla sua porta tutta eccitata, ma la contentezza mi morì dentro quando lo vidi oltre la soglia.
Un Harry in tenuta sportiva, pantaloni da calcio corti e maglietta bianca, ancora sudato, ma con un labbro spaccato a metà e rigonfio.
“Harry cosa…”
“Sono caduto” mi interruppe. Mentiva, lo vedevo dal suo sguardo, ma il tono serio in cui aveva pronunciato quell’affermazione mi impedì di replicare. Mi confermò che stava dicendo delle cavolate quando sentì il bisogno di spiegarmi prima ancora che glielo chiedessi.
“Ero a correre al parco e sono inciampato in un sasso”.
Annuii. Glielo avrei tirato fuori cosa fosse successo, ma presi tempo.
Entrai nel salotto e vidi che non c’era nessuno.
Sentii Harry abbracciarmi da dietro. Il cuore prese a palpitarmi: un gesto dolce, così affettivo, così nuovo. Poi prese a baciare l’incavo del mio collo, per poi sussurrarmi all’orecchio: “Vado a fare una doccia, ci metto poco”.
Annuii. Mi disse di fare ciò che volevo e poi sparì al piano di sopra.
Io accesi distrattamente il televisore, su un canale che guardavo spesso, ma riuscii a concentrarmi solo sui suoi baci delicati sul mio collo. Harry mi avrebbe fatta impazzire.
Solo la sua assenza mi aveva fatto capire come la sua presenza fosse fondamentale, come fosse vero che non si da il valore giusto alle cose finché non si perdono. E la mia paura più grande, più viscerale, era quella di perdere Harry di nuovo, per sempre.
Era sempre stato uno spirito libero, non sentiva l’esigenza di legarsi a nessuno affettivamente, me lo aveva detto molte volte. A lui bastavano gli amici, la famiglia e fare quello che gli riusciva meglio e che lo rendeva felice, giusto,completo: cantare.
Le donne erano una gabbia per lui, lo sapevo bene, e avevo paura che non avrebbe cambiato idea a riguardo, soprattutto per me, che ancora faticavo a realizzare il semplice fatto di averlo baciato.
Lui era bello, famoso, più grande e indipendente, io mi ritenevo fortunata già ad averlo avuto come amico, benché  lo desiderassi in un modo diverso.
Non mi capacitavo del perché avesse intrapreso questa “cosa” con me, una semplice ragazza ordinaria, soprattutto correndo il rischio di rovinare la nostra amicizia.
Mi immaginai per un attimo che lui avesse provato i miei stessi sentimenti, che avesse ritenuto incompleto il nostro rapporto, proprio come avevo fatto io. Forse anche lui aveva desiderato di più, si era sentito stretto nella definizione di “amico”.
Mi sembrava impossibile che potesse averlo pensato, ma una cosa era certa: mi aveva baciata e mi aveva promesso un qualcosa, un cambiamento, e io avrei seguito la sua strada, avrei seguito le sue mosse, in maniera irrazionale, ad occhi chiusi, pur di stargli accanto.
Dopo pochi minuti, che passai interamente a riflettere, Harry scese dalle scale vestito con un paio di pantaloni lunghi della tuta e una maglietta nera.
Mi rivolse quel suo sguardo così enigmatico, divertito e provocatorio allo stesso tempo, prima di dire: “Gemma non uscirà da quella stanza fino a domani mattina”.
Sentii un brivido percorrermi, poi il freddo più agghiacciante e il caldo più torrido nell’arco di cinque secondi.
Per un secondo, analizzando le sue parole e quel sorriso, pensai che forse volesse da me esattamente quello che otteneva da qualsiasi altra ragazza.
Poi scacciai quel pensiero, era il mio Harry dopotutto, non mi avrebbe mai usata in quel modo.
Si sedette accanto a me notando il mio disagio.
“Non mordo mica è!”
Rise di gusto e risi anche io, più sciolta. Non mi ero mai sentita fuori posto con lui, promisi a me stessa che non sarebbe più successo.
Io mi fidavo di Harry, sapevo che non avrebbe approfittato di me come faceva con tutte le altre, non perché io mi sentissi più importante, semplicemente perché se avesse voluto farlo lo avrebbe già fatto e poi sapevo benissimo che non era lo stronzo che a volte sembrava.
Il bisogno di stringerlo a me, di toccarlo, diventò impellente.
Scacciai via quel poco di disagio che avevo provato e mi avvicinai a lui, toccando con le dita il suo labbro tagliato.
“Niente baci stasera Styles?” dissi divertita sfiorandogli la ferita rimarginata con l’indice.
Non potevo credere che si fosse tagliato per una caduta, nemmeno un bambino se la sarebbe bevuta una scusa del genere, ma non indagai. Non ancora.
“Per un taglietto? Come sei melodrammatica” lo disse per poi prendere a baciarmi dolcemente a stampo, infilando una mano tra i miei ricci ribelli. Scese sul mento, poi sul collo, poi si spostò sull’orecchio rischiando di farmi diventare matta.
Non credevo ancora che il mio migliore amico, nonché il ragazzo più affascinante che conoscessi, mi stava assaporando lentamente creando dentro di me un vortice di emozioni impetuoso, così in contrasto con sua delicatezza.
Solo la visione di un livido violaceo che spuntava dal girocollo della maglia, mi rese inquieta, cancellando la magia di quel bacio.
Mi ritrassi dal suo tocco, guardandolo preoccupata.
Harry mi guardava spaesato.
“Togliti la maglietta” ordinai con voce ferma.
Harry sospirò, poi si mise le mani tra i ricci.
“Non credo tu voglia vedere” sussurrò e con quella frase capii di avere centrato.
Lo avevano pestato, era andato al parco per correre e lo avevano picchiato. Chi? Perché? Quanti altri segni c’erano sul suo corpo? Cominciai a tremare.
Mi alzai di scatto, mi misi davanti a lui e tolsi le sue mani pesanti dai suoi ricci. Harry guardava in basso, intuendo cosa stessi per fare, ma non si oppose.
Con il cuore in gola presi un lembo della sua maglietta e sollevai il tessuto. Harry mi aiutò, togliendosi definitivamente l’indumento di dosso.
Dovetti risedermi per non cadere e mettermi una mano davanti alla bocca per non gridare.
Il suo bellissimo petto era un tripudio di macchie rosse e violacee, le più intense sulla farfalla nei suoi addominali e sul fianco destro, dove avrei potuto giurare che si distinguesse l’impronta di una scarpa. Poi guardai con orrore la sua schiena statuaria, così liscia, cosparsa di altre macchie.
“Co-cos’è suc-successo?” balbettai sconcertata da quella visione e da come la mia voce fosse rotta. Harry mi prese una mano, quella livida, e quando la strinse annullò il tremito delle mie dita.
“Calmati ok?”
“No che non mi calmo!” gridai quasi, ritraendo la mia mano.
Harry si rimise la maglietta e lo ringraziai mentalmente. Non potevo concentrarmi davanti a quella vista.
“Cos’è successo?” ripetei. “Dimmelo ti prego” lo supplicai poi, accarezzandogli un braccio.
Harry prese un respiro e sputò il rospo.
“Sono andato al parco a correre mentre mia mamma e mia sorella cenavano. Era già quasi buio, pensavo di stare tranquillo senza interruzioni. Poi sono arrivati, due tizi enormi che non avevo mai visto in giro e Andy con loro.”
Il suo nome mi fece sobbalzare e in un attimo mi fu tutto più chiaro.
Prima mi chiede di scopare poi mi lascia a bocca asciutta. Per colpa sua ho fatto una figuraccia davanti a tutte quante, dovevo raccontare la mia notte di fuoco con Harry invece quel cretino mi ha dato buca! Ma non la passerà liscia.
Le parole di Christie riaffiorarono in me immediatamente, facendomi salire il nervoso, la rabbia più viscerale e profonda che avessi mai provato. Aveva mandato suo fratello a pestare Harry.
“Andy ha parlato più che altro, dicendomi che non dovevo permettermi di far soffrire sua sorella, di approfittarmi di lei per poi non farmi più vedere. Ha detto addirittura che Christie è una persona sensibile, pensa. E mi ha minacciato di non dire niente del nostro piccolo incontro al parco, altrimenti mi avrebbe denunciato per abuso su minore”
Rabbrividii. Quella troia era riuscita ad ingannare perfino suo fratello, rifilandogli una marea di cazzate e facendo pestare Harry solo per il gusto della vendetta.
Sensibile? La sensibilità in Christie era morta da tempo.
C’era stato un tempo in cui non dava importanza al suo aspetto, alla compagnia che frequentava, ai vestiti firmati. Un tempo in cui sapeva voler bene alle persone, ma quella Christie che avevo conosciuto era scomparsa e il corpo martoriato di Harry ne fu la prova decisiva.
“Io l’ammazzo quella zoccola!” sbottai.
“Tu non fai proprio niente! La colpa è stata mia, non ti è mai balzato in mente?” lo disse con sarcasmo e io non ci vidi più.
Mi alzai di scatto. Tutta la rabbia che stava ribollendo dentro di me, mi uscì fuori come un fiume in piena che travolse Harry.
“Certo che non dovevi scopartela, quello l’ho pensato fin dal primo momento! Cosa credi, che per me sia stato facile mettermi a ballare con te dopo che te la sei passata per benino?”
Stavo urlando. Avevo il veleno dentro e nessuno poteva più fermarmi. Harry si alzò, intimandomi di abbassare la voce e cercando di afferrarmi, ma io ero partita per la tangente.
“Ti credi che mi abbia fatto piacere baciarti sapendo che prima di me ci sono state centinaia di altre? Quante Harry? Per me questo non è un gioco, mettitelo nella testa, io non sono la stupida di turno.”
Sentii una sua mano chiudermi la bocca e l’altra stringermi un fianco.
“Gemma è di sopra” disse indispettito. I suoi occhi erano severi, ma glielo leggevo in faccia che non se l’era presa per la durezza delle mie parole, semplicemente perché stavo dicendo la verità.
Mi lasciò e io mi sedetti sul divano, prendendomi la testa tra le mani e massaggiandomi le tempie.
Sfogarmi mi aveva scossa e turbata, ma allo stesso tempo mi sentivo libera e più leggera.
Toccava a lui chiarire le sue intenzioni o dire qualsiasi altra cosa, io mi ero espressa a tono.
Si sedette di fianco a me di nuovo e disse l’inaspettato.
“Tu non sei la stupida di turno ok? Non lo sei mai stata, toglietelo dalla testa. Su tutto il resto hai ragione, sono stato uno stronzo.”
Lo vidi gesticolare nervosamente con le dita e poi sfiorarsi il fianco con aria sofferente.
In quel momento la mia rabbia scomparve. Se c’era una cosa di indistruttibile in Harry era il suo orgoglio, perciò quali parole potevano risultarmi più sincere della sua ammissione di colpevolezza?
Nessuna, perché aveva appena rinunciato al suo orgoglio per riacquistare la mia fiducia.
Allora non pensai più a nulla. Mi mossi di scatto verso di lui, dimezzando la distanza.
Poi lo tirai verso di me con delicatezza, per paura di provocare ulteriore dolore su quel corpo, e lo baciai appassionatamente, per fargli capire quanto avevo apprezzato il suo gesto.
Nella foga finimmo sdraiati sul suo sofà, il suo corpo a sovrastare il mio.
Affondai le mani nei suoi ricci morbidi mentre lui spingeva la sua lingua dentro la mia bocca travolgendomi.
E probabilmente saremmo andati avanti per ore a baciarci in quella posizione se una voce dalle scale non avesse richiamato la nostra attenzione.
“Harry dove hai messo le mie…”
Gemma si interruppe vedendoci sul divano, incredula.
Diventai rossa come un pomodoro, Harry si alzò a sedere e io lo guardai supplicante, come a incitarlo a dire qualcosa.
“Se cerchi le tue cuffie sono sul mio letto.”
Gemma si rilassò e fece un sorriso divertito.
“Ok grazie, io vi lascio.”
Fece per andarsene, ma Harry la richiamò.
“Gem? Tu non hai visto nulla” la ammonì facendole l’occhiolino.
“Niente.” Disse di rimando ricambiando l’occhiolino e sparì al piano di sopra.
Harry rise vedendo la mia faccia preoccupata, così mi rassicurò promettendomi che Gemma non avrebbe mai aperto bocca sulla questione con nessuno.
Un po’ rassicurata, tornai a sfiorare i miei capelli preferiti, a perdermi nel verde più bello che avessi ma visto, a sfiorare la sua pelle paradisiaca.
La frase che aveva pronunciato poco prima riecheggiava nella mia mente.
Forse non ero davvero una come tante, Harry poteva cambiare per me e questa speranza, assieme al contatto dolce con il suo corpo, mi diedero sicurezza.
Tra le sue braccia io mi sentivo irrazionalmente a casa, al mio posto.
Sapevo che se la voce su noi due si fosse sparsa in giro, sarei finita sul web, sulle riviste e chissà quante persone avrebbero parlato di me infangando la mia vita privata. Mi rendevo conto che avrei perso la mia unica possibilità di andare alla Royal se Andy e sua sorella avessero saputo della faccenda, ma non mi importava,avrei trovato un modo per farcela da sola forse. O forse no, ma non era rilevante. Così come non avevo paura della disapprovazione che avrei sicuramente riscontrato nella mia famiglia, che tanto odiava il mondo con cui Harry doveva fare i conti ogni giorno.
L’unico pensiero che tormentava la mia mente, offuscata dai suoi baci e dal suo tocco, era la possibilità che tutto potesse infrangersi, che le circostanze ci avrebbero sopraffatto, che finita quella settimana di pausa per Harry quello che eravamo, qualsiasi cosa fosse, scomparisse.
E io giurai a me stessa, mentre ancora le sue braccia mi cullavano e le sue labbra mi facevano raggiungere il paradiso, che io avrei lottato affinché ciò non accadesse.
Non avrei perso quel ragazzo, non di nuovo, a qualsiasi costo.
 

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Capitolo 9
*** Angeli ***


Ciao ragazze!! Ebbene, dopo vari capitoli mi sono decisa a scrivere una nota.
Scrivo in questo capitolo perchè è il più importante della FF, quindi vi consiglio di leggerlo con attenzione.
E' anche il più lungo, ma a questo abituatevi perchè i prossimi saranno consistenti come questo.
In questi giorni ho aggiornato spesso, ma da ora in poi mi prenderò un po' più tempo, ma non troppo :P
Che dire, buona lettura e grazie del vostro appoggio per questa long!
-Lori xx



Mercoledì. Un giorno freddo e ventoso. Ci mancava solo il vento a scompigliare ulteriormente i miei capelli.
Mentre mi dirigevo verso la fermata dell’autobus avvolta nella mia giacca, pensai a quante cose erano cambiate in pochi giorni.
Il vento forte però, mi impediva di concentrarmi.
Quando fui seduta sull’autobus, mentre cercavo di sistemare il disastro sulla mia testa guardando la mia immagine riflessa sul vetro, pensai al vento e a Harry.
Lui era tornato impertinente e travolgente come le ventate di poco prima e aveva scosso tutto, cambiato ogni cosa nella mia quotidianità e dentro di me, aveva sconvolto il mio cuore come nessuno prima.
Sapevo che avrei dovuto affrontare tanti ostacoli per averlo, per tenermelo stretto, ma ero sempre più convinta che ne valesse la pena.
Hope salì sull’autobus con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia. Solo Mike riusciva a strapparle uno di quei sorrisi, infatti notai subito l’anello brillantato che svettava sul suo ditino esile.
“Oh mio Dio, è un anello di fidanzamento quello?” chiesi entusiasta sapendo già la risposta.
Hope era talmente felice che mi abbracciò e io non potei che essere contenta per lei.
Dieci punti a Mike, anzi cento. Si amavano tanto e dopo più di un anno finalmente l’anello.
Mi raccontò per filo e per segno la sua serata, tanto che dimenticai per un po’ Harry Styles e problemi annessi e connessi alla sua persona.
Quel giorno forse non l’avrei visto, era andato a Londra per quell’intervista.
Non pensai a lui finché non scendemmo dalla corriera e vidi un’elegante Audi grigia accostata al marciapiede davanti al cancello della scuola.
Notai  Christie scendere dall’auto e la rabbia riaffiorò.
Ma non era con Christie che volevo parlare, infatti mi mossi svelta verso l’auto senza dare spiegazioni a Hope, prima che ripartisse.
Bussai al vetro davanti, richiamando l’attenzione del ragazzo che aveva pestato Harry in quel modo vile assieme ai suoi loschi amichetti.
Andy abbassò il finestrino guardandomi stupito.
Come tutti del resto, sapeva che ero molto amica di Harry e intuì subito il motivo del perchè fossi lì.
“Se sei venuta qua a prendere le parti di Styles, sappi che ti consideravo un po’ più furba, quel tizio non merita la tua amicizia”.
“Anche io ti facevo più intelligente Andy” sputai fuori.
Stentavo ancora a credere che Andy avesse fatto una cosa del genere, lo avevo sempre considerato un ragazzo a posto. Era Christie il suo problema, lo mandava fuori di testa. Non sapevo cosa gli avesse raccontato, ma senza dubbio ci aveva creduto ciecamente.
Lo misi a disagio con quella risposta, ero sempre stata brava con le parole e sapevo come farmi valere.
Andy mi rivolse uno sguardo in cagnesco, battendo un pugno sul volante con tutta la sua forza bruta. Nascosi un tremito.
“Quel cane vigliacco si è approfittato di mia sorella e tu vieni a difenderlo?”.
“Forse tu non sai come sono andate veramente le cose Andy! Sì, Harry voleva solo divertirsi, ma credimi se ti dico che lo stesso valeva per Christie! Non so cosa ti abbia detto per portarti a ridurre Harry in quella maniera!”
“Il tuo amichetto se l’è meritato. Non si scopa per divertimento con la ragazza che ti invita a una festa a casa sua, soprattutto se lei è minorenne, non si mandano messaggi dolci per poi darle buca. Christie ci ha sofferto!”
Scoppiai in una risata isterica e ciò fece irrigidire ancora di più il ragazzo muscoloso alla guida dell’auto.
“Andy, tua sorella non ha sofferto per niente, se l’è solo spassata. Io sono amica sua oltre che di Harry, se lui l’avesse fatta davvero soffrire avrei preso le difese di Christie, lo sai questo”.
Ed era vero: per quanto stravedessi per Harry, non lo avrei giustificato se Christie non fosse stata così subdola, quindi sperai di convincere Andy, invece scatenai la sua rabbia.
“Stai insinuando che mia sorella si sia ripassata un ragazzo per divertimento? Tu dici di essere sua amica invece non la conosci neanche un po’!”
“Sei tu a non conoscerla!” dissi con tono fermo e Andy mise in moto.
“Vai a farti fottere Giulia, ti facevo una persona migliore” sussurrò scomparendo dalla mia vita alla velocità della luce.
Sospirai. Insieme a quella machina se n’era andata via anche la possibilità di andare alla Royal, l’accademia di musica più quotata di Londra. La famiglia di Andy conosceva il direttore e lui mi aveva promesso un provino per ottenere una borsa di studio.
Anche se avessi superato gli esami di ammissione, non avrei mai ottenuto una borsa di studio senza le conoscenze adeguate. E mia madre non voleva che frequentassi quella scuola, che lei riteneva inutile, perciò mi ero iscritta al college.
Non era nel mio vocabolario la parola arrendersi, così mi misi subito in testa che avrei dovuto cercare un lavoro e al modo in cui avrei giustificato il mio impiego davanti a mia madre. Mi servivano soldi per pagarmi l’iscrizione, i libri e quant’altro dal momento che la borsa di studio non l’avrei ottenuta.
Fu il mio primo pensiero dopo la chiacchierata poco amichevole con Andy e in un certo senso realizzare che potevo farcela anche senza il suo aiuto, mi rese forte e fragile allo stesso tempo.
Quello che prima era un porto sicuro, la certezza che Andy mi avrebbe aiutata, adesso era un faro lontano, che non avrei mai potuto raggiungere perché non era il classico tipo con cui si poteva fare pace, chiarirsi o cose del genere: potevo ritenermi fuori dalla sua cerchia.
Ma non ne fui che fiera, perché quello stronzo figlio di papà accecato dalla possessione verso sua sorella aveva fatto menare il mio Harry, quindi non potevo desiderare altro che non fosse stare lontano da lui. Il prezzo da pagare era un biglietto assicurato verso il mio futuro.
Avrei potuto non affrontare Andy e fingere indifferenza sulla questione, ma non rientrava esattamente nel mio modo di essere lasciar correre, soprattutto se si trattava di un amico, di una persona cara. E Harry per me era molto di più di questo.
Proprio mentre lo pensavo il cellulare vibrò nella tasca dei miei jeans. Il suo nome sullo schermo.
 
Starò a Londra fino a stasera. Devo parlarti però, ci vediamo a casa mia verso le dieci. –H
 
Ansia. Nelle ore successive riuscii a non attaccarmi con Christie come avevo fatto con suo fratello, riuscii perfino a non pensare alla Royal e al mio bisogno di un lavoro, ma fu impossibile ignorare le parole di quel messaggio così freddo, preoccupante.
In tutti i modi tentai di scacciare tutte le ipotesi poco rassicuranti che mi erano balzate in testa, ma invano.
L’idea che potesse ripensarci, che decidesse di finirla, era la più spaventosa, seguita subito dopo dalla possibilità che se ne andasse di nuovo, senza darmi la possibilità di scoprire come sarebbe andata avanti e se sarebbe andata avanti.
Provai un’immensa vergogna quel pomeriggio, quando mi presentai dalla mia anziana maestra di piano e dovetti giustificare quel livido che mi provocava fitte fastidiose ad ogni arpeggio, per non parlare delle ribattute. E come se non bastasse il dolore alla mano, la mia testa non voleva saperne di concentrarsi su quel valzer di Chopin.
Dopo una lezione snervante, studiare fu ancora peggio.
Maledissi la chimica, la mia mano dolorante e anche Harry, che aveva ben pensato di rendermi la giornata impossibile con un messaggio.
Sembravo una ragazzina in crisi adolescenziale che affrontava le sue prime esperienze con un ragazzo. Il ritorno del mio migliore amico si era trasformato in qualcosa di forte e estremamente fragile allo stesso tempo, lo avevo ritrovato eppure la sensazione che lo avrei potuto perdere di nuovo mi divorava.
Con quel chiodo fisso, passai il resto del tempo che mi divideva da lui, finché alle dieci in punto, mi diressi verso la sua porta.
Ad aprire fu Gemma, stupita di vedermi.
“Ciao Gem, devo vedere Harry, mi ha detto di venire qua” esordii.
“Ah” fece lei, evidentemente in imbarazzo. Avevo già intuito dal suo sguardo e dalla sua esitazione a farmi entrare quello che mi disse poco dopo.
“Harry non c’è, mi dispiace.”
“E sai dov’è?” chiesi con voce tremante.
Mi aveva invitato, doveva parlarmi e poi non era in casa, tipico di lui.
L’ansia aumentò, accompagnata dal nervoso.
“Credo che sia al Queen, hai presente il pub irlandese appena fuori Holmes Chapel?”
Annuii incredula. Che cosa ci faceva in quel posto quando doveva essere a casa sua a parlare con me? La risposta era semplice, chiara, limpida: si stava ubriacando come tutte le volte che era entrato in quel locale. Conoscevo abbastanza bene Harry per esserne certa.
Gemma continuò.
“Oggi è tornato da Londra in compagnia di Niall, sai chi è penso”
“Sì, uno degli altri quattro, quello biondissimo e irlandese” sospirai.
Il fatto che ci fosse un ragazzo irlandese con lui, non cambiava le cose.
Harry non aveva portato Niall in quel posto perché gli ricordasse la sua Irlanda, ma per bere quantità tali di alcool fino a scordarsi i loro nomi.
Delusione, rabbia, ancora ansia, ancora nervoso e la sensazione schiacciante di essere stata presa in giro.
Io mi ero preoccupata tutto il giorno per un suo messaggio, mentre lui probabilmente si era dimenticato del nostro appuntamento e di quello che doveva dirmi, perché aveva trovato qualcosa di più interessante da fare: andare a sballarsi.
Vedevo rosso dalla rabbia. Gemma se ne accorse e mi fece una proposta che non avrei potuto rifiutare.
“Se vuoi ti accompagno, se la merita una lavata di testa mio fratello.”
“Sì, eccome. Grazie Gemma.”
“Andiamo dai.”
Prese la sua giacca dall’appendi-abiti vicino alla porta, le chiavi della macchina da sopra un mobiletto, urlò a sua madre che stava uscendo, poi aprì l’auto parcheggiata davanti a casa.
Andammo spedite verso il rinomato locale. Gemma mi lasciò davanti all’entrata e io la salutai grata.
Quando stavo per entrare in quel posto invaso da musica rock, lì davanti a quelle vetrate opache contornate dal legno scuro tipiche degli irish pub, mi sentii travolgere dai dubbi.
Come avrebbe reagito vedendomi entrare in quel luogo? Non volevo sembrargli ossessiva e pressante, ma la tentazione di vederlo fu più forte della mia indecisione.
Presi un bel respiro ed entrai.
Una calca di gente mi travolse, quasi tutti con una birra in mano o superalcolici.
Un odore di fumo misto a sudore mi solleticò il naso. C’era una cover band dei Rolling stones a suonare sulla pedana che fungeva da palco. I pochi tavoli che riuscivo a intravedere tra la marea di gente erano pieni di boccali di birra e bicchieri vuoti. Erano solo le dieci, chissà come si sarebbe ridotto quel posto poco dopo.
Un tizio ubriaco mi spintonò. Il bancone del bar era affollato di gente. Notai quanti tipi di birra diversi servivano in quel posto, dalla più bionda a quella nera, a doppio malto, rossa, insomma c’era l’imbarazzo della scelta.
Aguzzai la vista cercando la mia testa di capelli preferita.
Il mio sguardo ispezionò ogni singolo antro de locale e poi trovai l’oggetto della mia ricerca.
In un tavolo più affollato degli altri, stavano seduti Harry, che indossava una provocante camicia blu elettrico, il suo amico Niall e altri ragazzi che non conoscevo, attorniati da un gruppetto di donne.
Gli occhi lucidi di Harry, la sua risata smodata e la quantità di bicchieri vuoti che riempivano il tavolo, confermarono la mia teoria: era ubriaco.
Non ci vidi più dal nervoso. Camminai a passo svelto verso quel tavolo, ma a metà strada un uomo enorme, vestito di nero e con l’auricolare all’orecchio, mi fermò.
Quella volta Harry si era munito di guardia del corpo, perfetto!
“Signorina, dove sta andando così spedita?”
L’armadio a tre ante sulla cinquantina cercò di intimorirmi col suo tono, senza sapere che nemmeno altri dieci tizi della sua stazza mi avrebbero fermata in quel preciso istante.
“Sono un’amica di Harry, le dispiace farmi passare?” chiesi sull’orlo di una crisi di nervi.
Mi rise in faccia e allora cambiai tattica, cercando di mantenere la calma e la lucidità.
“Allora se non le costa troppo, vorrei che mi accompagnasse da lui”.
Non addolcendo nemmeno un po’ la sua espressione, come io del resto non feci con la mia, mi scortò fino al tavolo.
Harry, che fino a un secondo prima stava ridendo sonoramente con Niall e una tizia troppo poco vestita (di rosso, ironia della sorte) molto più grande di lui, diventò serio appena mi vide. Sbarrò gli occhi e mi guardò colpevole.
Non avevo assolutamente intenzione di farmi addolcire dai suoi occhi incantevoli, né di farmi distrarre dal fatto che a quel tavolo erano seduti due dei più famosi ragazzi al mondo perciò gli rivolsi lo sguardo più truce potessi esprimere, senza vergogna per il resto dei presenti che mi guardava con aria interrogativa.
Provai un senso di inferiorità vedendo la loro eleganza, i loro vestiti firmati e notando quanto tutti quei ragazzi e ragazze, Niall e Harry compresi, fossero persone fuori dall’ordinario, di quelle con un certo stile, che potevano permettersi di sfoggiare dove e come volevano.
D’un tratto mi sentii fuori luogo, avvolta in un semplice paio di jeans e una felpa, i miei riccioli ribelli e il mio viso semplice, senza trucco a camuffarlo o perfezionarlo.
La ragazza che stava parlando e ridendo sguaiatamente con Harry e il biondo mi rivolse un’occhiata divertita poi si rivolse ad Harry.
“Tesoro, è lei la ragazzina?”
Mi sentii annientare da quella domanda. Se un momento prima ero arrabbiata, dopo quello che udii diventai letteralmente furiosa. Ero un vulcano, di quelli latenti, pronti a esplodere, ma non ancora: ero curiosa di sentire come avrebbe risposto Harry, che intanto stava rendendosi conto della situazione critica che lo circondava, nonostante la quantità di alcool che con ogni probabilità aveva ingerito.
Già l’appellativo, quel tesoro sputato fuori gratuitamente, mi aveva ferita irreparabilmente facendomi trasudare gelosia da tutti i pori, accentuando il mio senso di inferiorità, senza contare il fatto che le avrei spaccato la faccia quando mi aveva definita ragazzina. LA ragazzina.
Cosa sapeva quella tizia di me? Harry mi doveva delle spiegazioni.
Strinsi i pugni, senza distogliere lo sguardo da lui, impaziente che dicesse qualcosa.
Niall lo stava osservando con stupore. Finalmente si decise a parlare.
“Ragazzi, scusatemi” detto ciò si alzò e richiamò l’attenzione del bodyguard che mi aveva accompagnata al tavolo.
L’uomo enorme si parò davanti a Harry e mi disse di seguirlo.
Obbedii e ci scortò fuori dal locale, passando per una porta. Eravamo sul retro del Queen, in un vicolo appartato e deserto.
“Grazie Paul, puoi andare” disse semplicemente Harry.
Poi si rivolse a me.
“Giuli posso spiegarti ogni cosa”. Tentò di afferrare il mio polso ma mi ritrassi, inviperita.
“Mi mandi un messaggio che avrebbe fatto preoccupare chiunque, aspetto tutta la giornata per vederti, per parlare, e devo farmi accompagnare da tua sorella in questo posto di alcolizzati perché hai pensato bene di darmi buca! Oh sì che devi spiegarmi, tesoro!”
Dissi l’ultima parola imitando il tono di voce della ragazza di poco prima e notai che le mie parole lo avevano messo subito a disagio.
“Senti, io volevo parlarti, ti voglio parlare ancora…”
“Perché sei qua e non dove dovevi essere allora? Perché Harry?” inveii interrompendolo.
Si stava torturando un lembo della camicia nervosamente, la fronte era corrugata,segno evidente dei dubbi che lo attanagliavano. Non sembrava ubriaco, forse non lo era.
“Ok è ora che ti spieghi come stanno le cose, è inutile rimandare”.
Lo guardai inquieta. Stava per dirmi qualcosa di importante e difficile da pronunciare, ma in parte me lo aspettavo.
“Domani riparto per Londra” sussurrò mettendosi le mani in tasca e abbassando lo sguardo.
Mi sentii mancare e istintivamente appoggiai la schiena contro il muro alle mie spalle.
Non riuscivo a parlare, a muovermi, a togliere dalla mia faccia quell’espressione smarrita. Domani. Poche ore sarebbe ripartito.
Harry continuò.
“Volevo dirtelo stasera, davanti a una tazza di tè seduti sul mio divano, ti giuro che lo volevo, ma non ho trovato il coraggio per questo sono venuto qui”.
Il cuore mi batteva all’impazzata, le lacrime stavano minacciando di uscire. Se ne sarebbe andato di nuovo, senza lasciare tempo al nostro rapporto. E l’avrebbe fatto senza avvisare, seduto in quel pub a sbronzarsi con i suoi amici.
Raccogliendo un briciolo di coraggio, trattenendo con tutte le mie forze le lacrime, gli dissi la verità.
“Non voglio che tu sparisca ancora dalla mia vita, vedo che per te non è la stessa cosa altrimenti non saresti venuto qui”.
Harry mi guardò di nuovo, intensamente, con quello sguardo così potente da spaccarmi in due l’anima. Mi concentrai sul verde dei suoi occhi che mi stavano fissando.
Si avvicinò a me, che stavo appoggiata a quel muro per non cadere a terra e mi accarezzò una guancia con il dorso della mano.
“Davvero saresti disposta ad aspettarmi? Ad accettare che sarei più assente che presente?”
Non avevo dubbi sulla risposta: sempre e comunque sì.
“E tu sei disposto a legarti a me? Perché lo sai che la vera domanda è questa e non la tua, io ti aspetterei sempre”.
Harry chinò la testa e per me quella fu già una risposta, così tagliente e dolorosa che sentii veramente una voragine aprirsi dentro di me e la testa girare.
“Io… non so, non so se è giusto” ammise.
Feci appello a quel poco di lucidità e forza d’animo che mi erano rimaste e parlai.
“Allora pensaci Harry”.
Gli voltai le spalle e corsi svelta verso la fine di quel vicolo. Non accettavo la sua indecisione, quel suo modo di fare che non ammetteva il porsi dei problemi. Ero furiosa, delusa, mi sentivo non ricambiata in quello che provavo e le lacrime scesero incontrollate.
Lo sentivo correre dietro di me, mi pregava di fermarmi, ma io non avevo la forza di guardarlo concia com’ero, con le lacrime a rigarmi il volto.
Mi insultai mentalmente per essermi lasciata andare in quel modo, per aver creduto di essere importante per lui almeno la metà di quanto lui lo fosse per me.
Non feci in tempo a svoltare l’angolo che mi raggiunse a grandi passi, mi afferrò per i polsi e mi spinse contro il muro.
Quando si accorse che avevo gli occhi gonfi e il viso bagnato di pianto, mi lasciò incredulo.
Io non avevo più la forza di scappare, quindi piansi, stringendo i pugni e mettendomi le mani sul volto, quasi per nascondere un po’ della mia vergogna e della mia debolezza.
Tutti i miei precedenti flirt erano stati una delusione, Harry poteva diventare la peggiore di queste facendo strage nella mia testa e nel mio cuore.
Singhiozzavo e ringraziai che quel vicolo fosse deserto, a parte Harry e me.
Non lo guardai, ma sentii anche troppo bene la sue mani afferrare le mie, i suoi anelli freddi a contatto con la mia pelle calda, a costringermi a guardarlo negli occhi. Cedetti a quella richiesta quasi forzata e vidi il volto di Harry con un’espressione unica.
Sconvolto, compassionevole e serio contemporaneamente.
Poi mi abbracciò stringendomi contro il suo petto. Non ricambiai l’abbraccio, non ne avevo la forza, ma non avevo nemmeno l’energia necessaria per allontanarmi.
“Mi dispiace” sussurrò al mio orecchio “non volevo dire che non mi piace quello che c’è tra noi, che non starei tutto il giorno insieme a te, semplicemente è difficile. Tu hai la scuola, io il mio lavoro, che mi obbliga a girare per il mondo.”
Non smettevo di singhiozzare, stretta tra le sue braccia senza stringerlo a mia volta, con il viso affondato nella sua camicia blu a inspirare il suo profumo dolce. Non riuscivo a parlare.
“Non piangere Giu, non ci riesco proprio a vederti così”
Ed era vero. Non ricordavo l’ultima volta che mi aveva vista piangere o se mi avesse mai vista farlo.
“Smettila ti prego. Io… non volevo dire che ho dei dubbi su di te … tu sei speciale, sei unica, è tutto nuovo questo per me”.
“Se tra do- domani te ne va-ai e non torni, io ti ammazzo Styles”.
Si lasciò scappare una risatina, poi sollevò il mio viso dal suo petto. Vidi il suo sorriso più naturale, quello appena accennato che non accentuava le fossette. Prese un fazzoletto bianco dalla tasca dei suoi pantaloni e asciugò le mie lacrime con premura, con un’accortezza e dolcezza che sapevo appartenergli sotto il suo velo di spavalderia e falsa prepotenza.
Chiusi gli occhi e lo lasciai fare, poi sentii le sue labbra carnose sfiorare le mie, più sottili, più caste, meno sexy.
“Dimmi che non è l’ultimo bacio” singhiozzai interrompendo il contatto.
“Non l’ho mai pensato davvero di sparire dalla tua vita” ammise tornando a torturare le mie labbra con passione.
Quel bacio così sincero stava ricucendo la ferita al cuore che mi aveva causato il proprietario di quelle labbra pochi secondi prima.
Perché avere Harry intorno era sempre stato come andare sulle montagne russe, quelle che regalano il divertimento e il brivido ad ogni giro, ma sono fatte di alti e bassi.
Mi tornò in mente uno dei nostri tanti litigi per scegliere uno stupido programma televisivo e per un attimo mi sembrò impossibile  che lo stesso bambino capriccioso mi stesse baciando.
Ci staccammo perché sentimmo la maniglia della porta da dov’eravamo usciti abbassarsi.
Apparve Niall con un’espressione di totale imbarazzo e di chi aveva scritto in fronte a caratteri cubitali NON VOLEVO INTERROMPERVI MA DEVO.
Notai quanto fosse carino, con il suo viso da angelo e quegli occhi azzurri che sembravano quasi finti.
Pensai a quelli di Louis, così profondi e all’incirca del solito colore, e non potei fare a meno di confermare mentalmente quello che sostenevo già da un pezzo: a X-Factor sceglievano bene, eccome, sotto ogni punto di vista.
“Hazza ci sono le tizie di quella rivista ehm… bè non mi ricordo il nome, comunque, hanno detto se...”
“Dì che sono andato via ti prego!” sbuffò Harry contrariato.
Il suo tono non ammetteva repliche e Niall annuì, rivolgendomi un saluto con la mano prima di scomparire di nuovo oltre la porta, senza che io potessi ricambiare.
Harry mi guardò con aria sollevata poi prese il cellulare dalla sua tasca componendo un numero.
La mia testa urlava frasi sconnesse tipo torna subito a baciarmi e dimmi di nuovo che sono speciale.
“Paul! Sto andando via… no, non preoccuparti… accompagna Niall in stazione più tardi e basta”
Paul. Il bodyguard. Harry voleva andarsene via. Lo guardai stupita.
“Stasera non ci disturberà più nessuno” disse allacciando le sue mani attorno alla mia vita.
La determinazione con cui disse quella frase accelerò i miei battiti.
Mi prese la mano e mi accompagnò lontano da quel vicolo, nel buio, in un parcheggio lì vicino.
Si guardava intorno nervoso, per paura di incrociare sguardi indiscreti o ancor peggio obbiettivi di macchine fotografiche.
Arrivammo alla sua auto, mi fece salire e partimmo.
Non mi interessava la destinazione, non mi preoccupai minimamente del fatto che mia madre avrebbe potuto preoccuparsi dal momento che ero uscita senza darle troppe spiegazioni , volevo solo rimanere con Harry, che stava in qualche modo cercando di mantenere la promessa contenuta in quel messaggio: quella sera avremmo dovuto vederci noi due, non in un pub e non con altra gente intorno.
Però decisi che fosse meglio avvisarla quella donna ansiosa e petulante, così le scrissi che mi fermavo da Hope, per poi spegnere il cellulare. Avrebbe sicuramente tentato di chiamarmi.
Harry accese la radio e gli Scorpions invasero l’abitacolo.
“Non chiedi dove siamo diretti?”
“Mi fido” dissi con un sorriso, che venne presto ricambiato.
E poi la strada la conoscevo: campi da golf, alberi sempre più fitti e infine quel vialetto sterrato.
Non ero mai stata al cottage degli Styles di notte e non riuscii a non definire romantica la destinazione scelta da Harry.
Una volta che aprì la porta dopo aver tribolato un pezzo con la serratura, mi lasciò senza parole con un’affermazione spontanea.
“Tornerò tutte le volte che posso. Mi hai fregato, Giu, sono tuo”.
Non mi lasciò il tempo di assimilare quella frase che si avventò sulle mie labbra, spingendomi dentro. Impossibile descrivere quanto fosse bravo e capace nei movimenti, quanto il contatto con le sue labbra mi portava direttamente sulle nuvole, facendomi perdere la connessione con il resto del mondo.
Una mossa veloce e accese la luce, chiudendo la porta con un calcio.
D’un tratto si fece più rude, più maschio, addentandomi il collo con i denti facendomi sussultare.
Non riuscivo a pensare, ma nemmeno a reagire come avrei voluto, prendendo una qualsiasi tipo di iniziativa, quindi lo lasciai fare.
Forse lui era mio, ma senza ogni dubbio io ero sua, quindi mi abbandonai al suo corpo.
Finimmo sul divano, uno sull’altra. Harry stava marchiando a fuoco il mio collo.
Sapevo dove saremmo arrivati, quindi cercai di assaporare il momento e di scacciare l’ansia da prima volta con tutte le preoccupazioni del caso.
Non era il momento di essere razionali, ormai c’ero dentro.
Cominciò a spogliarmi senza chiedere alcun tipo di permesso, partendo col togliermi la felpa, poi le scarpe, le calze.
Riuscii a riprendere coscienza della situazione e gli slacciai la camicia, beandomi di quella vista.
Gli baciai le rondinelle sulle clavicole, poi scesi verso la farfalla, gustando ogni minima parte di quel corpo perfetto.
Harry fece volare via definitivamente la camicia in un posto indefinito della stanza per poi tornare ad occuparsi delle mie labbra, succhiandole avidamente.
Mi stava travolgendo con la sua esperienza, il mio cuore stava per raggiungere la velocità della luce.
Non avevo idea di cosa fare precisamente e vedere Harry così disinibito mi imbarazzava.
Non potevo ignorare la sua erezione premere contro i suoi pantaloni e la mia coscia.
Affondai le mani nei suoi ricci mugolando per un morso sulle mie labbra che avrebbe sicuramente lasciato il segno.
E quello per Harry fu un campanello d’allarme, qualcosa che lo spinse a controllarsi e fermarsi ad osservarmi, permettendomi di affogare nei suoi occhi lucidi di eccitazione.
“E’ la prima volta?” mi chiese serio.
Annuii in preda all’ansia e probabilmente le mie guance si colorirono di rosso.
“Lo vuoi davvero? Non cambierà niente se mi dirai di no, lo capisco” sussurrò, sfiorandomi la guancia con dolcezza.
Chiusi gli occhi per un attimo. Quante prime volte avevamo affrontato io e lui insieme? In quel momento mi vennero in mente la prima sigaretta fumata per il gusto di provare e l’emozione del primo concerto vero a cui avevamo partecipato, quello dei The Script, ma ne avrei potute contare delle decine.
Quella sera, in cui l’affetto reciproco si stava per trasformare in qualcosa di più grande, ero certa che fosse giusto così, che non avrei mai potuto desiderare qualcun altro più di quanto desideravo il mio riccio.
“Harry fai l’amore con me” affermai convinta.
I suoi occhi si illuminarono. Lo vidi alzarsi e andare verso l’ingresso.
Abbassò le luci del salottino e l’atmosfera cambiò di netto: il cottage ora sembrava illuminato dalla luce di una candela.
Harry riprese posto sul divano, accomodandosi sopra di me, reggendo il suo peso sulle forti braccia.
Il suo approccio cambiò radicalmente: baci delicati, leggeri, le sua mani grandi che mi liberavano dei vestiti con dolcezza.
Mi rilassai al suo tocco, cercando di spogliarlo a mia volta. Rimasi incantata dalle sue forme perfette e dal suo sorriso angelico, così innocente anche quando armeggiò per scartare un profilattico.
Sei un angelo Harry, un angelo pensavo solamente, anche quando con la mano tremante massaggiai la sua lunghezza, senza preoccuparmi più di tanto delle dimensioni considerevoli.
Mi persi tra le sue braccia e non provai un briciolo di vergogna quando, senza staccare le nostre labbra, rimanemmo completamente nudi su quel divano.
Il suo corpo perfetto che sovrastava il mio, i suoi baci lasciati su ogni angolo della mia pelle e le sue parole soffiate sul mio orecchio, le ultime di quella sera, cariche di preoccupazione, di sentimento.
“Farò piano, non ti farei mai del male”
Il dolore ci fu, ma più forti erano il senso di appartenenza, il calore del suo corpo e il tripudio di sensi che invase le mie viscere; i suoi occhi che non abbandonarono i miei per un attimo non mi lasciarono né il tempo né la volontà di abbandonarmi al male fisico.
Il ritmo dei nostri respiri affaticati che si fondevano insieme, il battito dei nostri cuori all’unisono,
il mio nome pronunciato durante l’apice del suo piacere mi fecero sentire la persona più appagata e felice del mondo e non ebbi un minimo dubbio: quell’angelo dagli occhi smeraldo che si addormentò con il viso sul mio petto come un bambino, dopo averci entrambi coperto con la sua giacca, lo amavo incondizionatamente, da sempre.

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Capitolo 10
*** Assenza ***


La mia nottata clandestina mi costò cara, più del previsto.
Reclusione totale per più di due settimane.
Passai i quindici giorni successivi a studiare, suonare, cercare annunci di lavoro, telefonare a Harry e pensarlo costantemente.
Avevo trovato qualcosa di talmente bello, unico e prezioso in Harry che il destino aveva deciso di farmi sudare sangue per tenerlo stretto a me.
Infatti, appena tornò a Londra, oltre a dover sopportare la sua assenza, sorsero una serie di problemi annessi alla sua persona.
Prima di tutto c’era mia madre, che dopo la mia fuga notturna e il mio succhiotto difficile da nascondere, si era insospettita. Nessuno doveva sapere della nostra storia, perché sarebbero venuti fuori scandali mediatici che mi avrebbero reso la vita impossibile ed era troppo presto per affrontare tutto ciò.
Ma nessuno scandalo avrebbe mai potuto eguagliare l’ira funesta di mamma, se avesse scoperto di Harry e me.
Un altro problema non indifferente riguardava il mio lavoro: dopo pomeriggi interi di reclusione avevo trovato un impiego a un bar a due isolati da casa mia, dalle sette alle dieci e mezza di sera, sei giorni su sette.
Ne avevo parlato in casa, trovando appoggio in mio padre: riteneva giusto il fatto che cercassi di essere indipendente nelle mie spese, ignorando il vero motivo della mia decisione, perciò mi acconsentì di lavorare a patto che i miei voti non calassero.
A me piaceva anche servire alcolici, caffè e quant’altro, soprattutto perché quel bar era frequentato da giovani come me, e mi trovavo bene.
Questo per i primi giorni, finché non mi resi conto che il mio collega barman, un ventisettenne australiano di nome Zack, ci provava con me spudoratamente.
Allungava le mani, mi dava nomignoli del tipo “bambolina”, faceva commenti sarcastici sulla mia taglia ben piazzata di reggiseno e, di fronte a tutto questo, io dovevo sopportare, anche se spesso esagerava. Lui era un mio superiore in fin dei conti, se ci avessi litigato mi avrebbe licenziata e addio Royal.
Tra la scuola, l’esame finale che mi dava del filo da torcere, il pianoforte, il lavoro e il mio cuore che batteva per metà nel petto di un’altra persona che si trovava a chilometri di distanza da me, mi ritrovai a novembre in una sorta di crisi depressiva.
Erano mesi che non vedevo Harry, che ascoltavo solo la sua voce per telefono o  ci scambiavamo sms.
Iniziai a seguire gli spostamenti della band su internet, a chiedermi costantemente ogni notte cosa facesse Harry, con chi parlava, se ci fossero delle ragazze (e sicuramente ce n’erano in abbondanza) che ci provavano con lui e, soprattutto, per quanto avremmo retto la distanza.
Avevo sempre odiato le relazioni chilometriche, ma prima di rendermi conto che per Harry avrei affrontato l’oceano, sarei andata fino in Australia o su un altro pianeta.
Non sapevamo quando ci saremmo rivisti, mi mancava da morire anche se cercavo di non farglielo notare troppo. Le nostre telefonate non erano niente di melenso o sdolcinato, passavamo la maggior parte del tempo a ridere come idioti per qualche cazzata che avevano combinato i suoi compagni di band o per cose stupide, per poi passare a raccontarci la nostra giornata, a confidarci l’un l’altra come avevamo sempre fatto.
In una di queste chiamate, mi rivelò che, da un anno ormai, aveva cominciato a soffrire di crisi di panico, dovute allo stress per il suo lavoro, io invece gli avevo parlato di come sarei finita in cura di lì a poco se non avessi messo un freno alle mie giornate insostenibili che potevano essere sintetizzate nel trinomio studio-musica-lavoro.
Una sera di fine novembre, una delle nostre telefonate portò a una conclusione felice.
Ero in camera mia, era mezzanotte passata e stavo finendo un esercizio di matematica quando il telefono squillò.
“Pronto Harry!” trillai  entusiasta di sentirlo.
“Sei ancora sveglia? Non me lo aspettavo, pensavo non avresti risposto”
“Sto studiando”ammisi.
“Dovresti smetterla sai? Non fai altro che lavorare e studiare, non hai tregua!”
Sospirai. Aveva ragione, ma mi ripetevo costantemente che sarebbe finito il periodaccio.
Harry continuò.
“Ho una bella notizia da darti. Oggi ho telefonato a tua sorella e le ho detto di noi”.
Lasciai cadere a terra la penna che stavo adoperando, incredula.
“COS’HAI FATTO?” urlai, in preda all’ansia. “Come ti sei permesso?”
Una risata dall’altra parte. Mi innervosii.
“Harry? Ti sei bevuto il cervello? Hai fumato una canna? Che cosa ti passa per quella tesa dura?”
“Non ti arrabbiare, mi fai finire?” chiese tranquillamente, con quel suo tono strafottente.
“Lì per lì se l’è presa con te perché glielo hai tenuto nascosto, ma poi le ho fatto la mia proposta e lei si è comportata da brava sorella”.
Ero confusa, terribilmente. Mi immaginai il sorrisino che stava sicuramente sfoggiando Harry in quel momento e mi venne voglia di buttare giù la telefonata. Cindy sapeva tutto, mi avrebe odiata perché glielo avevo nascosto e perché sapeva che non era esattamente una delle relazioni più facili che potessi intraprendere: in sostanza mi aspettava una bella lavata di testa.
Mi trattenei dall’inveire telefonicamente contro il mio pseudo-ragazzo famoso, solo per sapere la proposta che aveva fatto a mia sorella.
“Che cosa le hai detto? Di non uccidermi a sangue freddo  perché lo è venuta a sapere da te?”
“No” rise compiaciuto “le ho detto di fingere di ospitarti a Londra dopo Natale, dal 26 dicembre fino al 6 gennaio, e lei ha accettato”.
Mi misi una mano davanti alla bocca per soffocare un urlo. Non ci potevo credere: avrei rivisto Harry, mia sorella mi avrebbe fatto da spalla saremmo stati a Londra, solo noi due, per tutte le vacanze.
“Oh mio Dio! Se fossi qua ti soffocherei di baci!!!” gridai, senza preoccuparmi di essere sentita.
“Lo so, sono un genio, però c’è un problema: a lavoro come farai?”
Merda. Merda. Merda.
Mi avevano concesso solo Capodanno e la prima settimana di gennaio di riposo.
“Cazzo. Sono libera dall’ultimo dell’anno fino al sei, prima no”ammisi.
“Mmm, vorrà dire che ti darò un’altra notizia. Vengo a Holmes Chapel a Natale, il 25, perché la Vigilia è il compleanno di Louis e voglio festegg…”
“Harry non sai quanto ti adoro!!!” gridai di nuovo.
Mi aveva letteralmente lasciata senza parole con quel suo gesto.
Lui, Harry Styles, il ragazzo che non si prendeva impegni, che viveva alla giornata e non aveva mai avuto una relazione che fosse durata più di una notte, aveva progettato tutto questo per me. Per noi.
Il cuore accelerò, avevo voglia di saltare di gioia, di abbracciarlo, di baciarlo, di stringerlo e dirgli quanto fosse fantastico. E anche quanto lo amassi, ma per telefono non era il caso.
“Hai fatto tutto questo per noi due” affermai, quasi più rivolta a me stessa che a lui.
“Già, tranquilla, il primo a stupirsi sono stato io”.
“Non mi hai stupita così tanto, in fondo lo so che non sei un bastardo come vuoi far credere”.
Rise profondamente e mi beai di quel suono. Mi mancava più dell’aria in fondo all’oceano, chissà se io gli sarei mai mancata così tanto.
“Devo andare”disse poi “Ma non chiudo questa chiamata finché non mi giuri che adesso la smetti di studiare e ti riposi”.
Avrei potuto rispondere di no solo per parlare con lui ancora un po’, invece cedetti.
“Te lo giuro papi” scherzai, poi ci salutammo.
Mi auto-convinsi che forse, dopo tutto quello che avevo appena sentito e che dopo un tempo infinito senza vederci Harry non sembrava essere stanco della situazione o dare l’impressione di avere ripensamenti, forse ricambiava il mio sentimento almeno un po’.
E con quella consapevolezza, per la prima volta da quando avevamo fatto l’amore su quel divano, dormii serena e tranquilla.
 
 
Nei giorni successivi non feci altro che pensare a Natale per evitare di sprofondare nello stress.
Zack stava rendendo impossibile andare a lavoro.
Hope mi consigliò più volte di mandarlo a quel paese, di dirgli di tenere le mani a posto e di darsi una regolata, io però preferivo ignorarlo, per la paura matta che potesse licenziarmi.
Non parlai mai di lui e le sue avances a Harry durante le nostre telefonate, non ne avevo il coraggio e me ne vergognavo immensamente.
In casa la situazione stava degenerando: mia madre odiava il fatto che volessi lavorare per forza, mio padre invece controllava ogni mio singolo voto scolastico sul sito della scuola, aspettandosi che da un momento all’altro sarebbero precipitati sotto la C, ma non gli diedi mai l’occasione di venire nella mia stanza e affermare “non devi compromettere i tuoi risultati scolastici per il lavoro” e bla bla bla.
Ovviamente tutto ciò mi stava distruggendo lentamente, io non me ne accorgevo, e così anche la mia famiglia e i miei amici, nemmeno Cindy, che mi aveva promesso il suo aiuto per le vacanze e aveva accettato di coprire la mia storia con Harry.
Le eccezioni erano Hope e Harry stesso, che non la smetteva di mandarmi sfrecciatine telefoniche incitandomi a riposarmi, a darmi una calmate e robe simili.
Io mi rifiutavo di ammettere che, a lungo andare, sarei scoppiata.
Mi rifiutavo di notare le occhiaie profonde che mi contornavano gli occhi, i pantaloni che si stavano facendo sempre più larghi, i pasti saltati per la furia di lavorare, la mia testa che faceva costantemente male: vivevo in una sorta di bolla, di routine, ogni giorno la stessa e sempre più pesante da sopportare.
Fu Hope a farmi aprire gli occhi, un sabato sera.
Venne al bar verso l’orario di chiusura, i biondi capelli raccolti in una coda di cavallo altissima.
Dal bancone la guardai sorpresa di vederla lì a quell’ora senza Mike.
Venne verso di me dondolando una borsa di plastica nella mano sinistra e poi la appoggiò sul bancone.
“Ciao” dissi stupita.
“Stasera ti togli quel grembiule in orario e vieni con me alla festa di Abby” ordinò.
Pulii il bancone con lo straccio. Non avevo le forze per andare a una festa.
“Sono stanca Hope…” mi lamentai.
“Lo so, ma ti riposerai domani”.
“Negativo, devo suonare”
Hope si sporse verso di me e prese il mio viso tra le mani costringendomi a guardarla.
“Non puoi andare avanti così, se ti vedesse Harry ora stenterebbe a riconoscerti. Sei pallida, smunta, avrai perso non so quanti chili! Adesso ti metti la roba che ti ho portato e vieni con me a quella festa!”
Guardai la borsa che aveva portato, senza dire nulla e questo la fece inviperire.
“Cosa ne hai fatto della Giulia che conoscevo io? Non mancavi mai ad una festa! Forza! Non c’è nessuno in questo posto, adesso vai da Zack, gli dici che tu stasera vai a divertirti, ti cambi e vieni via con me!”
Mi riscossi dal mio stato di trance e ammisi a me stessa che aveva ragione.
Ero cambiata, mi stavo concentrando troppo sul futuro, sulla Royal e sugli esami, senza accorgermi che non era solo il mio corpo a risentirne, ma anche la parte migliore di me: quella solare, spiritosa, festaiola, insomma la vera Giulia.
Annuii alla mia amica che mi aveva appena salvata da me stessa e accettai l’invito, togliendomi quel grembiule sudicio, per poi andare dal mio capo a dire che smontavo in orario quella sera, cosa che non era mai capitata.
Mi cambiai nel bagno del bar con le cose che mi aveva portato Hope direttamente da casa mia: un vestitino nero puntinato di  paillettes, tacchi in tinta, le calze troppo fini per il freddo di novembre.
Indossai tutto, mi truccai  e notai quanto fosse vero quello che mi aveva detto.
Stentavo a credere che quel vestito su di me facesse tutto un altro effetto rispetto all’ultima volta che l’avevo indossato.
Il mio seno non valorizzava più la scollatura, i miei zigomi paffuti erano quasi spariti infatti il blush aveva avuto ben poco effetto, sul mio viso troneggiavano le occhiaie.
Uscii da quel bagno quasi spaventata per ciò che avevo realizzato davanti allo specchio e mi suonò il telefono.
“Pronto Harry” risposi.
“Ciao Giu, sto andando a una festa, per questo ti chiamo ora. Non ti fare i tuoi soliti film mentali su me, le altre, il sesso, perché lo sai che puoi fidarti”.
Me lo disse prima ancora che potessi parlare a mia volta, ma ormai mi ero fatta una ragione sulla cosa: lui usciva spesso, chissà quante ragazze posavano gli occhi su di lui, sul suo viso perfetto, il suo corpo sensuale, e dovevo far appello a tutte le mie forze per convincermi che l’Harry donnaiolo forse non esisteva più, dal momento che ogni volta mi ripeteva la solita solfa: niente film mentali, fidati di me.
Risi quella sera, perché dopo un po’ di tempo che non succedeva, potevo replicare.
“Hai fatto bene a chiamare, sto andando ad una festa anche io”.
“Davvero?” chiese stupito “Sono felice, finalmente ti concedi un po’ di relax”.
“Tu non sei geloso?” lo stuzzicai.
“Mmm penso di sì, non so: la gelosia si prova quando vorresti essere al fianco di una persona, stringerla, sorridergli e hai un nervoso assurdo perché hai paura che ci sia qualcun altro a farlo?”
Oddio. Harry era veramente geloso di me. Mi aspettavo una risposta tipo “io geloso? Ma va” invece mi aveva stupito, di nuovo.
“Sì Styles, è così che ci si sente” sussurrai seguendo Hope a passo svelto fuori dal bar.
In quel momento un ricordo mi balzò in testa: quelle parole prima dell’amore, così sincere. Sono tuo.  Lo aveva detto lui e io mi fidavo, quindi aggiunsi:
“Lo sai che sono tua anche se non te lo dico mai”
“Voglio ben sperare allora che le voci che mi sono giunte sul tuo collega barista che ti mangia con gli occhi siano solo voci”.
Un brivido mi percorse, non di freddo. Come lo sapeva? Mi sentii sprofondare per non avergliene mai parlato, in fondo non facendolo avrebbe potuto pensare che avevo qualcosa da nascondere.
“Chi te lo ha detto?” chiesi preoccupata.
“Allora è vero” constatò accigliato.
“NO!” gridai, facendo paura a Hope che camminava in silenzio a fianco a me.
La casa di Abby era facilmente raggiungibile a piedi dal bar.
“Non è come pensi” dissi calma.
“Ah no? E com’è?”
“Zack è un mio superiore e sì, a volte fa il coglione, lo fa con me, con le clienti e con ogni essere femminile sulla faccia della Terra, ma non posso mettermi a dargli del pervertito sennò mi licenzierebbe capisci?”
“Gli stacco la testa io a quello” sputò con una cattiveria tale da farmi quasi paura.
“Non ci sono i motivi” mentii. “Ora devo andare”.
“Divertiti Giu e mi raccomando” disse con la sua solita voce sensuale, facendo scomparire la cattiveria di poco prima.
“Mi piaci geloso” affermai ridendo.
“Gne gne” farfugliò con una vocina adorabile, poi mi salutò.
Dopo tanto tempo stavo andando a una festa, avevo avuto l’appoggio del mio Harry, avevo scoperto quanto fosse geloso di me e Hope era riuscita a farmi ragionare.
Si prospettava una serata felice, spensierata e così fu.
Probabilmente quella fu la notte più divertente dopo la partenza di Harry e il merito era quasi totalmente della mia amica, la persona più speciale che conoscessi. E fui grata a quella testolina bionda per avermi costretta ad aprire gli occhi.

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Capitolo 11
*** Natale ***


Il pranzo. Io adoravo il Natale, soprattutto se, come quella volta, potevo voltarmi verso la finestra della sala e vedere la neve scendere candida.
Come ogni anno, la mia famiglia era al completo: mamma, papà, Cindy, mia nonna, mio nonno, mia cugina Ruth e i suoi genitori.
Quel giorno ero felice, non tanto per il camino acceso, la neve che scendeva, l’albero che avevamo addobbato io e Cindy che luccicava accanto al tavolo imbandito di ogni sorta di cibo, ma perché tutta la mia famiglia era riunita attorno a quel tavolo e Harry si trovava nella stessa accogliente situazione a pochi passi da me.
L’avrei rivisto e non stavo più nella pelle, non vedevo l’ora di saltargli al collo e dirgli quanto mi fosse mancato, guardare di nuovo i suoi occhi, baciare quelle labbra e toccare i suoi ricci.
Comunque non potevo alzarmi da tavola, prendere la porta e bussare a casa Styles: avevo aspettato tanto, qualche ora in più non  mi sarebbe costata poi troppo.
Dopo pranzo ci fu la tradizionale tombola, in assoluto il momento più bello del Natale.
Tutti giocavano, anche quella scorbutica di Ruth, che di solito non si lasciava troppo coinvolgere dai pranzi di famiglia. Lei aveva la mia età, veniva da noi in estate e per le feste.
Ragazza un po’ eccentrica, aveva scelto un look natalizio notevolmente diverso dal mio: anfibi neri contro stivaletti marroni con la gamba di pelo, pantaloni ancora più neri con le borchie sulle tasche contro pantacollant beige, una maglietta di un gruppo a me sconosciuto con una felpa larga sopra rigorosamente nera, contro un golfino di quelli lunghi e dai motivi intrigati sulle tinte del marrone dal quale spuntava il colletto di una camicetta bianca.
Che dire, una metallara d’oc e una studentessa dai ricci ribelli, ricoprivamo bene i nostri ruoli, ma almeno i miei ciuffi non erano per metà fucsia e mezzi rasati come i suoi.
Mia nonna, come da tradizione, si alzò per andare a preparare il ponce al mandarino e io mi offrii di aiutarla. Mentre mi stavo dirigendo verso la cucina, suonò il campanello e cambiai direzione, ma fui preceduta da Cindy che, dopo avermi dato una spallata poco fine, si diresse verso la porta e la aprì.
Rimasi di sasso quando Gemma si catapultò nel nostro ingresso tirando uno schiamazzo.
“Sei un cretino! Mi rovini i capelli!” urlò entrando in casa e scrollandosi la neve dalla testa, per poi rivolgersi a me e mia sorella.
“Auguri ragazze!” disse gentile, ma io avevo gli occhi puntati verso di lui, sul mio pianerottolo, un cappello di lana in testa, le guance arrossate per il freddo, un sorriso malizioso stampato in viso e una palla di neve in mano.
Aveva avuto il coraggio di presentarsi alla mia porta, eventualità che io avevo escluso poco prima, ed
era bello, bello da far invidia a chiunque. Era lì per me, davanti a me, tutto infagottato in un piumino nero stralucido e in un paio di pantaloni color crema. Fu come vederlo per la prima volta.
Non riuscii a trattenermi per un secondo di più e corsi ad abbracciarlo, lui lasciò cadere la palla di neve e mi strinse tra le sue braccia, fuori, al freddo, sul pianerottolo, davanti alle nostre sorelle che ci guardavano divertite ridacchiando.
Affondò la sua testa nell’incavo del mio collo e i suoi ricci morbidi mi solleticarono la pelle, così come la punta del suo naso, fredda come il ghiaccio.
Le sensazioni che provai in quell’istante furono le più disparate e mi accertarono che aspettare fosse la peggiore delle torture, ma che aveva reso tutto più emozionante, unico.
Non riuscii a resistere e appoggiai le mie labbra sulle sue. Il tempo di uno schiocco e io già non sentivo più il freddo attorno a me, avevo le gambe molli e il mio cuore stava dando di matto.
Il nostro contatto durò forse tre secondi, il tempo per farmi sciogliere.
“Buon Natale Giuli” sussurrò Harry. Un brivido, non di freddo, mi attraversò al suono della sua voce: i telefoni non le rendevano giustizia.
“Ora sì che è un buon Natale” risposi sincera, guardandolo negli occhi, lasciando intuire dal mio tono e dai miei occhi quanto fosse irrefrenabile la voglia che avevo di baciarlo fino a soffocare.
Mi sorrise e probabilmente arrossì pure, (Harry Styles arrossito, non so se fosse possibile) ma poi mi squadrò da capo a piede, quasi mi stesse scansionando, facendo una smorfia di disappunto con le labbra.
“Quanti chili hai perso?”chiese preoccupato.
Andai nel panico. Mi ero rifiutata di salire sulla bilancia dopo essermi resa conto di quanto fossi deperita dopo mesi di totale stress, ma avevo cercato di riprendere le corrette abitudini alimentari.
Evidentemente non ero riuscita a tornare in forma ai suoi occhi, mi toccai una guancia come per attestare che fosse tornata tonda e morbida com’era tempo prima, ma era inutile negare che fosse così. Se Harry mi avesse vista nel mese di novembre, probabilmente si sarebbe spaventato.
“Non lo so” ammisi “Ma sto cercando di tornare normale”.
“Ne riparliamo” disse lui serio, categorico, e mi fece sentire stupida. Non dovevo lasciare che accadesse questo al mio corpo, trascurarmi in quel modo.
“Ehm ragazzi, penso che sia meglio se entrate” disse Cindy facendoci l’occhiolino.
Il mio momento di disagio finì, io e Harry scoppiammo a ridere per il piccolo spettacolino che avevamo appena inscenato davanti alle nostre sorelle.
Dovevamo contenerci per un po’e sarebbe stato quasi impossibile, almeno da parte mia.
Entrai dopo di lui, che salutò mia sorella e le fece gli auguri di Natale, allora mi ricordai di aver ignorato i saluti di Gemma appena qualche secondo prima, così la abbracciai.
Mia madre arrivò nell’ingresso, contenta di vedere i fratelli Styles.
“Gemma! Harry! Che piacere vedervi. Entrate ragazzi, siete giusto in tempo per il ponce… auguri comunque”
Se sapessi cosa c’è tra di noi non so se saresti così felice di vederlo.
Non potei fare a meno di pensarlo.
“Siamo passati a salutare” spiegò Gemma “ma il ponce della nonna non si può rifiutare” aggiunse.
Fecero il loro ingresso in salotto e furono ben accolti dalla mia famiglia, nessun escluso.
Gli Styles erano un po’ come dei parenti per noi, persone di famiglia, amici intimi.
Risi mentalmente pensando a quello che avevo combinato con Harry: intimi, decisamente, era la parola giusta.
Mia madre li fece sedere al tavolo, portando altre due sedie dalla cucina e, neanche il tempo di accomodarsi, cominciò l’intervista. Harry fu tartassato di domande sul suo lavoro, sulla sua nuova vita e io mi persi ad ascoltarlo rispondere gentilmente a tutto, mentre mia madre e mia nonna preparavano il ponce. Sorrisi notando come già sapevo tutto di lui.
Perfino Ruth era rapita dalla sua voce, dai suoi gesti, dalle sue parole lente e cadenzate, suadenti. Forse ero solo io a notarlo, ma avrei potuto giurare che non ci fosse voce più profonda, più intensa e più sensuale di quella di Harry.
Mi ero seduta al suo fianco e le nostre cosce si sfioravano appena, solo quel contatto mi faceva palpitare.
Mia nonna, la madre di mio padre, una donnina in gamba per la sua età, comparve dalla cucina con un vassoio pieno di bevande rosse calde.
“Oh Gesù, sei davvero Harold ragazzo? Come sei cresciuto, ti sei fatto proprio bello!” esclamò a gran voce appoggiando i bicchieri sul tavolo e andando a stuzzicare le fossette di Harry con un pizzicotto. Risi sotto i baffi: anche la nonna aveva stregato.
“Signora, è un piacere rivederla” disse lui con riverenza, stringendo la mano di mia nonna che scomparve nella sua, enorme.
Mio padre, che non aveva ancora detto nulla, fece una proposta interessante.
“Non è una cosa di tutti i giorni avere in casa un cantante di fama mondiale” disse orgoglioso sorseggiando il ponce. Dove voleva arrivare?
“Si da il caso che io abbia una figlia che non fa altro che rammollirci il cervello con quel coso- indicò il pianoforte a muro- perciò, se hai voglia di cantarci qualcosa, penso sia felice di accompagnarti” concluse strizzandomi l’occhio.
Istintivamente ci guardammo.
Fui presa alla sprovvista da quella richiesta, tutti i presenti ci incitarono calorosamente e Harry acconsentì, sorridendomi complice.
Da quanto tempo non facevamo uno dei nostri duetti? Il cuore prese a palpitare mosso dai ricordi.
Mi alzai dalla sedia, incrociando gli sguardi fieri di Gemma e Cindy, le uniche a sapere che dietro quell’imminente performance improvvisata ci stava qualcosa di più.
Mi sedetti al piano, guardando Harry che prese posto a fianco a me, un mano appoggiata sulla cassa di risonanza del pianoforte e i suoi occhi fissi su di me.
“Scegli tu” dissi un po’ indecisa, ma poi mi venne in mente una canzone.
“Aspetta, ho un’idea” sogghignai tutta entusiasta per essermi ricordata.
Avevo guardato pochi giorni prima un video dei One Direction a X-Factor in cui si erano esibiti in una cover e la voce principale era cantata da un Harry un po’ più giovane di quello che mi stava guardando curioso mentre frugavo tra i miei spartiti.
Estrassi dal mucchio quello che stavo cercando e gli occhi di Harry si illuminarono.
“Ottima scelta” mi sussurrò soddisfatto.
Cominciai a suonare le prime note della versione per pianoforte di Torn, la canzone di Natalie Imbruglia che tanto mi piaceva, nonostante il testo triste e malinconico.
E mai come quel giorno quelle parole mi arrivarono così intense, profonde e vivide.
Se c’era qualcosa a cui non mi sarei mai abituata, che non avrei mai dato per scontata o ordinaria, era la voce di Harry.
Le mie mani scivolavano sui tasti, ma la mia mente non si stava realmente concentrando sullo sparito, suonavo di rimando, quasi senza pensare realmente a cosa stavo facendo, perché il suo timbro mi stava mandando in estasi: era la pace dei sensi starlo a sentire, poterlo percepire così vicino e così unito a me. Ancora una volta ci stavamo completando, io melodia e lui canto, due facce della stessa medaglia.
Mi era mancato suonare per lui, ma quella volta fu diversa da ognuna di quelle prima.
Quando conclusi il pezzo, tra gli applausi dei presenti, sperai che il campo gravitazionale tutto nostro in cui avevamo fluttuato staccandoci completamente dalla realtà e i nostri sguardi intensi durante il brano, non fossero stati colti dai presenti, ma ne dubitavo fortemente.
E Harry decise di togliere ogni dubbio, baciandomi dolcemente la fronte davanti agli occhi di tutti e facendomi complimenti.
Fottuto Harry Styles. Voleva mettere alla prova il mio autocontrollo, far insospettire mia madre che ancora non si era dimenticata della mia scappatella notturna, oppure entrambe le cose?
Era appena tornato e già mi stava facendo impazzire.
Cercai di fulminarlo con lo sguardo, ma probabilmente mi uscì un’espressione inebetita.
Harry invece mi guardò divertito, con un mezzo sorrisino dei suoi, quelli provocatori, dolci e soddisfatti allo stesso tempo.
Inutile dire che mi stava letteralmente facendo uscire di senno e quel sorriso fu la botta finale: era lì accanto a me senza che io potessi toccarlo, abbracciarlo, baciarlo fino allo svenimento e dirgli quanto fossi contenta della sua presenza, quanto mi sentissi finalmente completa e felice dopo tanto tempo.
Mi persi letteralmente a contemplare il suo sguardo, il verde intenso dei suoi occhi brillanti e il pensiero che mi rivolgesse quello sguardo anche solo con la metà del sentimento con cui lo guardavo io, mi fece capire che non mi importava più di nulla in realtà: se affrontare il mondo del gossip e di internet, la distanza, mia madre che non avrebbe capito, significava avere Harry Styles lo avrei fatto, senza pensare alle conseguenze.
Che l’amore e la razionalità non andassero a braccetto lo sapevo eccome, in fondo.
Non poter stare con Harry nel modo in cui avrei desiderato, beandomi di lui ogni giorno e senza  problemi, poteva fare di lui un’ arma a doppio taglio: distruggermi o rendermi più forte di tutto il resto.
Comunque era Natale, lui era con me, al resto ci avremmo pensato in un altro momento.
 

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Capitolo 12
*** Rivelazione ***


Nei giorni seguenti, quelli che mi separavano dalla partenza per Londra, la mia vita sembrò finalmente aver preso una giusta piega.
Al mattino mi dedicavo allo studio e al pianoforte, il pomeriggio uscivo con Harry e i miei amici, o meglio, i nostri amici: Hope, Abby, Mike, Adam, come ai vecchi tempi.
La sera iniziavo il mio turno al bar, pieno zeppo di gente a causa delle ferie natalizie, con un sorriso stampato in viso, che Hope puntualmente definiva l’effetto Styles.
Harry mi venne a prendere al lavoro tutte le sere dal 26 al 29 dicembre, fulminando ogni volta Zack con lo sguardo e rischiando di essere visto in mia compagnia da qualche paparazzo indiscreto.
A Holmes Chapel le persone non ci guardavano in modo diverso, per chi ci conosceva era normale vederci assieme e questo giocava a nostro favore, aiutandoci a tenere tutto nascosto, mentre chi non ci conosceva si limitava a guardare Harry, a mormorare il suo nome quando passava per la strada oppure a chiedergli un autografo, ignorando completamente me.
Fu più difficile invece ingannare quel sergente di mia madre, che tutto faceva tranne ignorarmi, quindi ogni sera dovetti inventarmi una buona scusa per giustificare le mie uscite: il giorno dopo Natale le dissi che andavo da Hope a guardare un film, il 27 che dovevamo finire di vedere quel film, il 28 feci finta di uscire con Cindy, invece lei andò con le sue amiche e io, beh finii al cottage con Harry come le sere prima.
Quel posto diventò il nostro nascondiglio, il rifugio dal mondo e dagli impegni, dove Harry smetteva di essere il cantante dei One Direction, spegneva quel dannatissimo cellulare che scampanellava ogni cinque minuti, e si dedicava totalmente a me, a noi.
E non parlo solo di fare l’amore, anche se sarebbe impossibile mettere la cosa in secondo piano.
Avevo letto da qualche parte quanto Harry fosse rinomato per essere un mago del sesso, un drago a letto e così via, e non avevo potuto fare a meno di imbestialirmi, morendo dalla gelosia verso tutte le ragazze che erano state nella sua vita.
Ma il modo in cui mi toccava, quasi fossi fatta di cristallo, la dolcezza mista a erotismo, i sorrisi rassicuranti, le parole sconnesse durante il rapporto, tutta la premura che mi dedicava, mi avevano confermato che il nostro non era sesso, Harry poteva essere un drago in quello, ma rimaneva comunque un angelo nel fare l’amore.
Amore. Io non avevo dubbi a riguardo, lo amavo con tutta me stessa, ma non sapevo esattamente cosa frullasse nella sua testolina riccia e cocciuta, anche se fondamentalmente sapevo che provava qualcosa di speciale nei miei confronti. Se fosse stato amore o qualcosa di simile, non avrebbe comunque esternato quel sentimento, così nuovo e surreale per lui.
Non mi interessava che esprimesse a parole i suoi sentimenti, non volevo frasi romantiche stile filmino melenso, non avrei scelto lui se avessi voluto quel genere di cose. Certo, quel sono tuo che aveva pronunciato la nostra prima volta rimbombava ancora nella mia testa durante la notte, nei momenti vuoti del giorn, ma lo sapevo che per Harry i momenti come quello, in cui esternava ciò che sentiva, erano rari e dovevo farne tesoro.
Harry sapeva essere speciale in momenti tutt’altro che romantici, come quando si impiastricciò di cenere per accendere la stufa del cottage oppure quando mangiò quasi tutto il cioccolato che avevamo comprato per fare i muffin, che da quattro che dovevano essere diventarono due; Harry era speciale perché mi prendeva in giro e non si offendeva se ero io a farlo, perché pur non sapendo esprimere la dolcezza a parole, mi dimostrava quanto ci tenesse a me a gesti.
E in assoluto il gesto migliore fu complottare con mia sorella per farmi andare a Londra, a mia insaputa: lei doveva prepararsi per gli esami di gennaio e io sarei andata da lei per tenerle compagnia e fare shopping, questa era stata la versione ufficiale che avevo dato a mamma e papà.
Una mezza verità insomma, mia sorella doveva realmente prepararsi per gli esami (e vedere il suo nuovo ragazzo), il fatto che io andassi là per stare con Harry non doveva assolutamente saltare fuori. Era eccitante pensare di fare una cosa tanto proibita, ma nello stesso tempo così bella ed emozionante. Non ero la classica persona che trasgrediva alle regole, ma non ero pronta a parlare di Harry ai miei genitori, che certamente non l’avrebbero presa nel modo giusto.
Certo, la nostra storia era complicata, nessuno poteva negarlo, ma il problema maggiore per mia madre e mio padre sarebbe stato accettare che mi legassi a una persona famosa con una reputazione di donnaiolo. Non avrebbero capito che a me del successo e della notorietà mi importava meno di zero, non avrebbero dato fiducia a Harry come avevo fatto io, così decisi di godermi quelle vacanze e tenere loro all’oscuro, aiutata da Cindy.
Anche lei però non approvava del tutto la mia relazione, nonostante Harry le stesse simpatico:  sosteneva che prima o poi avrei fatto i conti con un mondo totalmente diverso dal mio, che la distanza non avrebbe portato nulla di buono e così via. E per carità anche io avevo paura del futuro, ma volevo affrontare i problemi se e quando si sarebbero presentati, seguendo per una volta il mio cuore e non la razionalità.
 
Il 29 dicembre ci fu una bufera di neve, così  a me e Harry non sembrò il caso di andare al cottage.
Così, per fargli una sorpresa, decisi di presentarmi a casa sua, con l’intento di vedere un film con lui sul divano, come ai vecchi tempi. Anne non avrebbe di certo sospettato no? Nemmeno mia madre aveva reagito in modo strano quando le dissi semplicemente che andavo a casa di Harry, in fondo lo avevo fatto tante volte e lei non poteva sapere che ci eravamo visti tutte le sere dopo il suo ritorno.
Bussai tutta infreddolita, nonostante fossi avvolta da giacca, sciarpa, guanti, cappello e maglione i lana, di quelli grossi e sformati, tutt’altro che sexy.
Fu Harry ad aprire, con un maglione bianco super attillato addosso e un’espressione sorpresa.
“Giu che ci fai qua?” chiese quasi indispettito e mi preoccupai.
Pensavo che gli avesse fatto piacere vedermi, invece mi guardava allarmato, lasciando trasparire un bel po’ di disagio nel vedermi lì, davanti alla porta di casa sua.
“Che c’è? Non vuoi che entri?”
Harry non rispose e si tolse dall’entrata permettendomi di passare.
E di colpo capii cosa lo avesse trattenuto dal farmi accomodare subito.
In salotto, dove mi sarei aspettata di trovare Gemma o Anne, stava seduta una donna sulla trentina, rossa di capelli, che indossava un’elegante giacca ancora più rossa. Stava seduta comodamente sul divano, sul tavolino davanti a lei c’erano due tazze di tè fumante e un vassoio di biscotti.
Era bella, bella fuori dal comune, e avrei giurato di averla già vista. Quando mi guardò e mi rivolse un sorriso, mi sentii morire. Certo che l’avevo già vista, eccome, durante l’assenza di Harry mi ero messa a cercare alcune delle sue storie sul web e, tra le foto che erano uscite, avevo focalizzato la mia attenzione su un soggetto ricorrente che aveva suscitato non poco scandalo tra i media.
Un’attrice americana con la quale era uscito più volte, che aveva minimo dieci anni più di lui, la stessa donna che stava seduta sul divano di casa sua. Emily Turner si chiamava.
Per un attimo mi congelai totalmente, volevo sprofondare e scomparire, poi la rabbia si impossessò di me.
Guardai Harry in cagnesco, lasciando intuire che avevo capito di chi si trattava.
La donna si alzò in piedi, mostrando le sue gambe perfette che spuntavano dalla giacca rossa e io constatai come tutte quelle che ronzavano attorno a Harry Styles come le api con il miele prediligessero quel colore. Christie, la tizia del pub e poi questa donna.
E tra tutte quelle che mi vennero in mente Emily Turner era la migliore in assoluto, nonostante fosse la più avanti negli anni. Aveva un viso perfetto, il trucco abbondante ma non esagerato accentuava ulteriormente i suoi lineamenti aggraziati, il rossetto poi metteva in risalto le sue labbra tanto perfette da sembrarmi dipinte. Di fronte a lei mi sentii una checca, cosa poteva esserci di speciale in me quando Harry aveva conquistato donne come lei? Non avevo mai pensato di avere fascino, quindi mi sentii schiacciata dalla presenza elegante della donna che mi stava davanti, e ciò aumentò solo la mia gelosia e l’astio nei suoi confronti.
In un altisonante accento americano, con un sorriso malizioso stampato in volto, si rivolse a Harry.
“Harry, non mi presenti la tua amica?” disse con fare eloquente.
Non ci vidi più, lo fulminai con lo sguardo e notai il suo disagio. Come aveva potuto ospitare quella tizia a casa sua senza dirmi niente? Perché stavano bevendo un tè tranquillamente? Perché di Anne e Gemma non c’era nemmeno l’ombra?
“Sì Harry, perché non ci presenti?” chiesi io truce congelandolo con lo sguardo.
La donna si fece di colpo seria e prese la decisione più sensata di tutte. Raccolse la sua borsa firmata dal divano e venne verso di noi, che stavamo fermi davanti all’ingresso.
“Forse è meglio che io vada.”
“Emily, davvero, non c’è bisogno che…”
“No caro, prendo un taxi. E’ stato un piacere”
Harry annuì per un secondo, guardandola complice per poi salutarla con un paio di baci sulle guance.
Fu troppo. Lo aveva chiamato caro, si erano guardati e toccati davanti a me, sconvolta e incredula.
Non gliel’avrei fatta passare liscia a quel riccio, la rabbia mi stava facendo ribollire come una fornace tant’è che dovetti sbottonare la giacca per alleggerire il senso di oppressione e calore infernale che mi invadevano. Non avevo degnato di un cenno quella che probabilmente doveva essere un’attrice molto famosa in America, ma che ai miei occhi rimaneva solo una donna trentenne che si era fatta un ragazzo diciannovenne, il mio ragazzo.
Harry chiuse la porta e mi guardò allarmato.
“Non è come pensi” si mise sulla difensiva.
“Ah no?!” gridai “Non serve che mi dici chi è, lo so molto bene, ho anche io internet sai? Tralasciando il fatto che mi fa schifo pensare che ti sei scopato una che, cristo, è vecchia confronto a te, non tollero di entrare in casa tua per farti una sorpresa e trovarmela davanti!”
Harry tentò di prendermi un braccio, ma io non glielo permisi.
“E’ venuta lei! Non me lo aspettavo, non lo sapevo, cosa dovevo fare? Buttarla fuori di casa? Credi davvero che l’abbia invitata io?” chiese alzando la voce.
“Non so chi ha invitato chi, so solo che non sei il suo caro, quella non deve toccarti ok? Che ti ha chiesto? Un’altra notte di fuoco?” ringhiai togliendomi il cappello i lana e scaraventandolo a terra.
Sapevo essere davvero cattiva quando mi arrabbiavo, intimorivo la gente e mi accorsi che anche Harry in quel momento mi guardava spaventato, non sapendo bene cosa rispondere.
Poi sembrò riprendersi e si fece serio. Si avvicinò prendendomi per le braccia e costringendomi a guardarlo.
“Lo vuoi proprio sapere? Sì, è venuta a casa mia direttamente con quell’intento, dal momento che passava di qua” dichiarò con voce ferma, facendomi incazzare ancora di più. Non sopportavo che lo dicesse come se nulla fosse, non era tollerabile.
“Ah, e invece di dirle no grazie, sono impegnato le hai offerto un tè per metterla a suo agio? Poi? Come sarebbe andata a finire? Illuminami Harry, quante te ne sei fatte per tenerti impegnato quando non potevi avere me?”
Cercai di divincolarmi dalla sua stretta, ma di rimando lui fece più forza.
“Non dire stronzate!” urlò facendomi tremare “Capisco la tua gelosia per averla trovata qua ma tu non hai il diritto di sputare sentenze su di me ok? Non le ho offerto un tè per metterla a suo agio, solo per cortesia, e se tu non ti fidi di me, possiamo anche finirla qua! Se tu pensi che io sia un donnaiolo del cazzo mi sta bene, lo sono stato e non è la prima volta che me lo dicono, ma non puoi neanche lontanamente pensare che io ti abbia tradita, perché ti amo hai capito?” gridò, per poi lasciarmi le mani, voltarmi le spalle e mettersi le mani tra i capelli.
Mi ci vollero vari secondi prima di riprendermi dallo shock.
Mi ero arrabbiata con lui, ero accecata dalla gelosia, l’avevo assalito pesantemente, avevo addirittura pensato che potesse avermi tradita e Harry aveva ammesso di amarmi.
Guardava basso, dandomi le spalle e io non potevo accettare di non vederlo in faccia.
Con la mano tremante, gli toccai una spalla, ma lui si spostò.
Il mio cuore perse un battito quando si sottrasse al mio tocco.
Non mi interessava già più di quella donna, la rabbia era svanita lasciando spazio al senso di colpa per ciò che avevo detto. Avevo esagerato, avevo indotto Harry a dire quelle parole che gli risultavano così difficili da pronunciare per colpa della mia gelosia e dell’ impulsività che faceva parte di me.
Avrei voluto urlargli che non lo pensavo davvero, ma sarebbe stata una menzogna grossa.
Mi vergognai di me stesse per aver fato vacillare la mia fiducia nei suoi confronti, ma mentire dicendo che avevo detto quelle cose senza pensarci sarebbe stato scorretto.
Ero nel panico più totale, così feci la prima cosa che si fa quando una persona dice di amarti.
“Ti amo anche io, Harry” sussurrai, senza esitazione.
Poi riprovai di nuovo a sfiorarlo, stringendogli il dorso della mano, e non si divincolò.
“Guardami” supplicai. Avevo paura di vedere il suo sguardo e coglierci tanta delusione.
Harry si voltò, incrociando i suoi occhi con i miei. Invece di vedere delusione, capii che dire quelle due parole per lui era stata una prima volta: sguardo smarrito, confuso, come il mio quando facemmo l’amore la prima volta. L’Harry sicuro di sé era scomparso, lasciando spazio a un ragazzino fragile che non aveva mai detto a nessuno “ti amo”. Nessuno a parte me.
Speravo solo che non si fosse pentito di averlo detto, volevo fargli capire che non c’era nulla di cui pentirsi. Presi il suo volto tra le mie mani tremanti e lui non si oppose.
“Scusami” soffiai sulle sue labbra.
Scatenai la sua reazione: si sporse verso di me baciandomi con trasporto.
Fui sollevata, quel bacio stava allentando la tensione che si era formata poco prima, Harry non era pentito e ringraziai il cielo per questo.
Sicuramente però non aveva sbollito la rabbia come me, infatti mi ritrovai senza fiato, spinta contro il portone d’ingresso con poca grazia. La sua lingua mi invadeva prepotente come mai lo era stata, le sue mani mi stringevano i fianchi con forza, poi prese a mordere le mie labbra, facendomi scappare un ahi. Si staccò dalla mia bocca e mi guardò divertito.
“Ti sta bene” sentenziò e mi fece capire che il disagio di poco prima era passato.
“Ah sì?” lo sfidai. Gli afferrai il viso e affondai i denti nel suo collo, stringendo un po’ e facendolo sussultare. Poi succhiai avidamente il lembo di pelle candida che avevo scelto, ripassai la lingua sul segno che avevo lasciato e schioccai un bacio sul mio lavoretto.
“Questo è per ricordati a chi appartieni” dissi fiera e Harry sorrise, toccandosi il succhiotto.
In quel momento delle chiavi girarono nella serratura del portone e Anne comparve dietro di noi, stupita di vedermi, ma felice allo stesso tempo.
“Ah Giulia, sei qua cara? Sono andata a trovare mia sorella, sto congelando” disse entrando velocemente e togliendosi la giacca. Mi ricordai di avere ancora addosso quell’indumento e allora improvvisai:
“Ehm sono arrivata adesso” mi tolsi la giacca e raccolsi il cappello che avevo scaraventato a terra. “Pensavo di vedere un film con Harry” aggiunsi guardandolo.
Lui annuì, la mano ancora sul collo a coprire il segno che gli avevo lasciato. Sogghignai.
“Ne ho scaricato uno interessante, vieni dai” disse Harry spingendomi su per le scale.
Rividi il corridoio stretto di casa Styles, tappezzato di quadri, giusto il tempo di ricordarmi come fosse poi Harry spalancò la porta della sua stanza e mi trascinò dentro.
Era rimasto tutto come mi ricordavo: lo stereo e l’infinità di CD su un mobiletto, il letto accanto alla finestra, il comodino con una foto sua e di Gemma, la scrivania immacolata con sopra solo un portapenne, le mensole piene di libri, tutto uguale: solo qualche valigia in più sparsa sul pavimento.
Harry mi prese la mano e mi condusse verso il suo letto, mentre ancora mi stavo guardando intorno.
Si tolse le scarpe e si sdraiò, io lo imitai dopo pochi secondi, prendendo posto accanto a lui nel lettino a una piazza. Le sue braccia mi circondarono.
“Ero venuta davvero con l’idea di vedere un film” dissi ridendo “e considerando che tua madre è al piano di sotto direi che abbiamo poche alternative”constatai.
“Oh io ce l’ho eccome le alternative!” disse con tono provocatorio.
“Posso immaginare…”
Cominciò a baciarmi il collo, poi il lobo dell’orecchio, fermandosi.
“Baciarti, prenderti un po’ per il culo per questo bel maglioncino che indossi, dirti che ti amo…”
Sussultai. Lo avevo ripetuto davvero. Il cuore minacciò di esplodere nel mio petto, le farfalle cominciarono a svolazzare nel mo stomaco e le mie guance andarono a fuoco.
Mi guardava sorridendo, mostrandomi quelle fossette adorabili; era tranquillo, lo aveva detto con serenità e aspettava una mia reazione.
“Partiamo dall’ultima cosa ok? Poi insulti il mio golfino e alla fine mi baci per farti perdonare” proposi.
Harry rise sonoramente, poi mi prese in vita, facendomi ruotare sopra di lui.
Lo ammirai, sdraiata a pancia in giù sopra il suo petto, le sue braccia che mi circondavano i fianchi e i suoi smeraldi verdi che mi guardavano con una luce diversa.
“Ti amo Giu” disse semplicemente, facendomi avvampare, producendo dentro di me un turbine di scariche elettriche.
Cercai di aprire la bocca per rispondere, ma le sue labbra me lo impedirono.
“Lo so, lo so che mi ami anche tu” disse riprendendo a baciarmi dolcemente.
Con quelle parole, che fino a quando non le pronunciò non credevo potessero uscire realmente dalla sua bocca, mi fece toccare il cielo con un dito. Non potevo chiedere di più, Harry per me era il massimo, tutto quello che potevo desiderare.
Continuammo a baciarci come se non l’avessimo mai fatto prima, con la stessa dolcezza che usammo sulla panchina mesi prima.
Poi Harry si interruppe un attimo, le guance colorite di rosso.
“Il tuo golfino lo commentiamo un’altra volta” disse strizzandomi l’occhio.
Scossi la testa ridendo e ripresi a baciarlo senza sosta, affondando le mani nei suoi ricci morbidi.
La certezza di essere amata da lui, mi infuse la giusta forza d’animo che mi avrebbe permesso di affrontare i momenti difficili che, come sapevo bene, sarebbero inevitabilmente arrivati se avessimo continuato la nostra relazione.
Ma quale essere umano al mio posto avrebbe trovato la giusta lucidità per pensare alle conseguenze di ciò che stavamo facendo, quando l’unico pensiero che occupava la mia testa era il riecheggiare di due sole parole? Ti amo, ti amo, ti amo
 
 

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Capitolo 13
*** Contrasti ***


30 dicembre. Era bello stare alla finestra ad osservare la neve per terra la mattina presto, quando nessuno aveva ancora percorso i vialetti dei giardini, i marciapiedi, che come tutto il resto erano ancora completamente di un bianco candido, senza impronte, senza macchie, ad eccezione del grigio della strada. Quest’ultima però non era l’unica ad essere del suon colore originale, quel grigio catrame così contrastante con il bianco, anche il vialetto di casa Styles era segnato da varie impronte di piedi e dai segni di piccole ruote.
Erano le sette del mattino, l’alba aveva quasi completato il suo corso, e io, oltre alla neve, stavo guardando un Harry indaffarato a portare fuori di casa le sue valigie, aiutato da Anne e da quell’omone enorme di nome Paul, che le caricava su un’auto sportiva parcheggiata davanti a casa Styles.
Ma non ero dispiaciuta nel vederlo trafficare con le valige, sapendo che sarebbe partito per Londra dopo pochi istanti, perché sapevo che l’avrei raggiunto meno di ventiquattro ore dopo, un niente se paragonate alla sua precedente assenza.
In ogni caso non riuscii a lasciarlo andare senza averlo salutato. Così mi vestii alla svelta, scesi le scale ignorando mia madre in cucina che stava preparando la colazione e mi misi la giacca.
Prima di uscire, mi assicurai che Anne rientrasse in casa: un conto era accettare che due “amici” guardassero un film chiusi una stanza, tutt’altra cosa sarebbe stata vedermi alzata, alle sette di mattina, in piene vacanze di Natale e uscire con un freddo cane solo per salutare suo figlio.
Vidi Anne abbracciare Harry e poi sparire dentro casa, così colsi l’attimo e, senza fare casino evitando così di distogliere mia madre dai fornelli, uscii.
Harry, che indossava un montgomery verde scuro e un adorabile cappello di lana grigio in testa, era super impegnato a fare entrare l’ultimo trolley nel porta-bagagli dell’auto, così mi avvicinai lentamente, senza farmi sentire, aiutata dalla neve che attutiva i miei passi, arrivai dietro di lui.
Lo abbracciai da dietro e si spaventò, fece un salto e diede un zuccata contro lo sportello aperto del cofano. Scoppiai a ridere come una scema, stringendomi la pancia e piegandomi.
“Tu sei matta! Che botta!” piagnucolò Harry, non trattenendosi dal ridere a sua volta poi chiese “che ci fai alzata a quest’ora?”
Io non riuscivo a smettere di ridere, ma cercai di rispondergli.
“Prendo un po’ di fresco e spavento le persone” dissi sarcastica “secondo te che faccio? Vengo a salutarti scemo!”
Harry finì di sistemare la valigia nel trolley, si guardò intorno per controllare che non stesse passando nessuno e venne ad abbracciarmi, stringendomi contro il suo petto.
Non potevo toccargli i capelli come facevo sempre perché portava il cappello, ma qualche ricciolo spuntava perciò ne presi uno e lo rigirai nel mio indice.
Harry mi guardò intensamente e il mio cuore prese a battere incontrollato, come ogni volta che mi rivolgeva quello sguardo. Non avrei mai smesso di essere abbagliata e catturata dai suoi occhioni color giada, che quella mattina erano ancora inspiegabilmente più verdi.
Si guardò di nuovo intorno (aveva la fobia delle macchine fotografiche e degli sguardi indiscreti, come biasimarlo) e mi stampò un dolce bacio sulle labbra fredde.
“Ci vediamo domani” sussurrò.
“Non vedo l’ora” risposi fondandomi sulle sue labbra, chiedendo subito l’accesso alla sua bocca con la lingua che mi venne concesso volentieri.
Quando ci staccammo, Harry corse subito in macchina, dicendo che altrimenti avrebbe fatto tardi a un appuntamento di lavoro. L’auto partì e io rimasi per un attimo interdetta, ancora scossa dal nostro bacio.
Mi ripresi e mi voltai verso casa mia, pronta a rientrare, invece vidi una scena che mai e poi mai avrei voluto trovarmi di fronte.
Mia madre era alla finestra, stava guardando nella mia direzione con una faccia sconvolta e, a giudicare dal suo sguardo era da un po’ che mi stava osservando.
Incrociai i suoi occhi e ne ebbi la conferma: era incredula, sconvolta e sicuramente incazzata nera.
Mi aveva vista baciare Harry, probabilmente nella sua testa aveva già capito tutto.
Una donna sveglia mia madre, di quelle che se le inganni una volta puoi star certo di non riuscirci  mai più, e con ogni probabilità aveva capito che in quelle sere non ero uscita con Hope, che quella nottata passata fuori porta molto tempo prima non l’avevo realmente passata da Hope.
Mi sentii morire quando constatai che avrebbe capito anche il motivo della mia partenza per Londra. Non volevo affrontare la sua ira, ma non avevo altra scelta.
E mentre percorrevo il breve tragitto verso la porta di casa mia, sentivo il freddo più forte di prima e un fastidiosissimo senso di debolezza, di abbandono, Harry se n’era andato ignaro del casino che avevamo combinato per quel bacio di troppo e io dovevo affrontare mia madre da sola.
Entrai al caldo di casa mia con il cuore in gola e, anche se non avevo la minima idea di come dovesse sentirsi un imputato davanti al giudice, mi sentivo colpevole, in attesa di ricevere accuse.
Ero sola a difendermi, nessun appoggio, nessun avvocato e mia madre era la peggior giuria che conoscessi. Il confronto sarebbe stato impari.
Mi stava aspettando seduta sul divano, il grembiule a cingerle i fianchi asciuttissimi, una gamba a muoversi nervosamente e gli occhi truci, scuri come i miei, puntati su di me.
Mi tolsi a giacca titubante e la misi sull’attaccapanni, poi la guardai e mi resi conto che era giunto il momento di dare spiegazioni. Mi sedetti su una sedia del tavolo, girandomi in modo da guardarla negli occhi.
“Avrei dovuto dirtelo, lo so” ammisi colpevole.
Lei continuò a guardarmi con la sua tipica espressione infuriata. Non avrebbe alzato la voce, la conoscevo bene, non le serviva.
“Da quanto va avanti?” domandò senza un minimo di emozione che la tradisse.
Arrivati a quel punto, non potevo continuare a mentire e pensai che avrebbe apprezzato il fatto che eravamo rimasti insieme nonostante la distanza a dividerci.
“Da settembre. Lascia che ti spieghi come stanno le co…”
“No! Ne hai avuto di tempo per spiegare” affermò alzandosi in piedi “non c’è bisogno che spieghi nulla, stai con una super star adesso no? Facile da capire!”
Non avrebbe dovuto dirlo, l’ultima cosa che mi interessava era la popolarità e il fatto che Harry fosse famoso.
“Possibile che tu creda che mi interessi davvero? Io adoro quello che fa Harry, ovvio, perché mi piace la sua voce, il suo modo di cantare e perché lui l’ha sempre voluto fare, ma la popolarità non mi interessa, andiamo, non sono quel tipo di persona!”
“Vediamo, non ti interessa nemmeno quello che dicono le riviste? Lo sai che quando vado a farmi i capelli, ogni santa volta la parrucchiera mi aggiorna sulle nuove conquiste di Harry Styles? E hai idea di quante siano? E di quanto Anne ci stia male per lo stile di vita di suo figlio? Adesso lui parte, confonde qualche altra sprovveduta come te e..”
“Credi davvero che io sia una sprovveduta?” gridai
L’espressione schifata che aveva assunto parlando di Harry mi aveva ferita. Lei lo conosceva bene, lo aveva visto crescere e sapeva che, nonostante i suoi precedenti con le donne, era un ragazzo pieno di talento, intelligente, simpatico e anche sensibile, non poteva parlarmene come se fosse il peggior delinquente di tutta l’Inghilterra, dopo che il giorno di Natale, come gli altri presenti a casa, lo aveva elogiato per la sua carriera e accolto in casa come un figlio. Abbassai il tono di voce comunque, non volevo che la situazione degenerasse.
“Harry ha fatto i suoi sbagli, ma lo sai che non mi prenderebbe in giro, che ci vogliamo un bene dell’anima da quando siamo nati, prima come amici e adesso da fidanzati”. Dirlo mi costò un certo sforzo.
Mia madre tornò a sedersi, prendendosi la testa tra le mani e massaggiandosi le tempie.
“Vorresti sentirti dire che sono felice di questa cosa vero? No, neanche un po’ e lo sai che lo dico per il tuo bene, anche se mi hai deluso terribilmente. Tutte queste sere non eri da Hope vero? E il pomeriggio?”. Stava alzando la voce e ciò non prometteva nulla di buono, ma non volevo cedere.
“Tu dovresti essere felice, invece. Ho sbagliato, dovevo dirtelo, ma avevo paura di una tua reazione. E non avevo torto”
“Cosa ti aspetti che ti lasci sprecare la tua vita accanto a una persona che non ci sarai mai per te e che fino a ieri è andato con la prima che capita?” gridò, facendomi raggelare, poi riprese “Toglitelo dalla testa! Tu non andrai a Londra e non dirmi che saresti andata là a far compagnia a tua sorella, perché non sono nata ieri!”
La guardai implorante, spaventata anche, con le lacrime agli occhi. Non poteva impedirmi di vederlo, avrebbe rovinato tutto, dal momento che non erano tante le occasioni che avevamo per stare insieme. Non riuscii a trattenere le lacrime e scoppiai a piangere. Il mio cuore si frantumò in mille pezzi. Mia madre aveva sempre cercato di imporre le sue regole alla mia vita: aveva scelto lei il college che le sembrava più adatto, mi aveva detto che non avrebbe mai finanziato i miei studi alla Royal nonostante le avessi giurato che avrei frequentato anche l’università contemporaneamente. Ed era solo colpa sua e della sua mentalità se dovevo anche lavorare, non poteva mettere il suo zampino pure nella mia vita sentimentale. Ero troppo avvilita per arrabbiarmi, così, in preda a una crisi di pianto, cominciai a supplicarla.
“Ti-ti p-prego m-mamma, io de-devo andare, voglio ve-vedere Harry, lo amo capisci?”
“Certo, vi amate” sputò “vedrai come sarà contento tuo padre di sapere questa cosa!”
Invece di impietosirsi aveva rincarato la dose, si alzò dal divano e si diresse a passo svelto verso la cucina, senza degnarmi di uno sguardo.
Mi lasciai cadere sul divano dove stava lei poco prima, incredula, sconvolta, ferita nella maniera più profonda. Non riuscivo a capacitarmi di come poteva essere così insensibile. Harry non era nei suoi progetti per la mia vita e lo aveva deliberatamente allontanato, senza preoccuparsi minimamente di quello che aveva suscitato in me. La mia mente fece un breve viaggio nell’immediato futuro: se avessi permesso a mia madre di tenermi lontana da Harry, lo avrei perso. Un brivido. Cosa mi rimaneva da fare? Contare su mio padre? Lui avrebbe mostrato più comprensione, ma come al solito avrebbe finito con l’appoggiare le decisioni di sua moglie. In momenti come quello mi sarebbe servita Cindy, ma lei stava già a Londra, certamente ad amoreggiare con Sam, il suo ragazzo che avrebbe dovuto presentarmi se solo mi fosse stato permesso di raggiungerla.
Ero più che disperata, non riuscivo a farmi una ragione di quello che era appena successo, non riuscivo a reagire in nessun modo, a trovare una scappatoia alla situazione di merda in cui stavo.
Poi sentii mia madre canticchiare i suoi motivetti sconnessi dalla cucina, mentre probabilmente stava cucinando il pranzo, e la scintilla scattò.
Lei riusciva ad essere serena anche dopo avermi fatto soffrire in quel modo. E lo era perché sapeva che, da brava figlia qual ero, avrei accettato ancora una volta le sue decisioni.
Venni scossa da una tale rabbia che la testa cominciò a martellare, potevo quasi sentire il sangue fluire più velocemente nel mio apparato circolatorio e un odio totale e insano verso la donna che mi aveva messo al mondo occupare il mio cuore.
Non avrei voluto veramente odiarla, ma finii per farlo, e ciò mi portò a prendere la decisione più azzardata e rischiosa dei miei 17 anni di vita: sarei andata a Londra comunque, con o senza permesso. Volevo dimostrare che per Harry avrei fatto qualsiasi cosa, volevo raggiungere Cindy e spiegarle la situazione di persona, volevo scappare dalla famiglia che, per quanto mi amasse, stava progettando la mia vita pezzo per pezzo senza darmi voce in capitolo.
Una scarica di adrenalina mi guidò come un automa verso la mia stanza.
Cercai furiosamente tra le carte che avevo preparato per andare a Londra e trovai il biglietto aereo low-cost . Il modo più veloce per arrivare là era infatti raggiungere Manchester con il treno per poi prendere l’aereo. Nella mia situazione il jet privato del mio ragazzo avrebbe fatto decisamente comodo, ma ringraziai comunque il cielo che per prendere quel tipo di volo bastassero 16 anni.
Chiusi la porta della stanza a chiave e finii di preparare la valigia, aprii il primo cassetto del comodino dove tenevo tutti i soldi guadagnati al bar fino a quel momento e li misi nella borsa.
Era una cifra considerevole, ma promisi mentalmente a me stessa che avrei speso il meno possibile: non avrei mai rinunciato ai miei progetti per la Royal. Mentre trafficavo con le mie cose, le lacrime scendevano, il cuore mi scalpitava nel petto.
Accesi il pc, guardai gli orari dei treni: considerato che il mio volo era previsto per le quattro del pomeriggio del giorno dopo, avrei preso un treno l’indomani mattina, quando mia mamma sarebbe uscita per andare dalla parrucchiera e mio padre si sarebbe di certo trovato a lavoro.
Per un attimo ebbi paura delle conseguenze della mia azione, ma due occhi verdi mi apparsero come un flash, il ti amo di Harry riecheggiò nelle mie orecchie e scacciai via la paura.
Mi ricordai di Harry, del fatto che fosse completamente all’oscuro della faccenda e quindi feci esattamente quello che facevo anni prima quando avevo un problema: chiamavo Harry Styles.
Il problema era anche suo, però sapevo che se c’era uno pronto a risolverlo, quello era lui.
Sperai che non fosse ancora salito su nessun tipo di velivolo e lo chiamai.
“Pronto Giuli!”
“Harry” la voce mi morì subito e cominciai a singhiozzare. Con quale forza gli avrei detto che mia madre mi aveva impedito di vederlo deliberatamente? Come avrebbe reagito?
“Ehi, ma piangi? Che è successo?” chiese spaventato.
“Mia ma-mamma ci ha visti. Non vuole che io venga a Londra, n-non vuole che io stia con te, come al solito cerca di manipolare la mia vita ma...”
“Calmati, calma!” disse serio “Le parlerai di nuovo e chiarirete”
Non aveva capito l’entità del problema, allora sputai il rospo, raccontandogli per filo e per segno cosa pensava mia madre di noi, di lui soprattutto, piangendo come una fontana. Harry rimase di sasso.
“Ci sei ancora?” sussurrai con la voce tremante, per paura della risposta.
“Sì, ma preferirei essere lì con te. Ti ho rovinato l’esistenza Giu, è tutta mia la colpa, tua madre ha ragione per certi aspetti” sussurrò e mi fece rabbrividire. Il mio cuore che stava dando di matto perse un battito. No, no, no. Non doveva nemmeno pensare una cosa così, Harry trovava sempre una soluzione sensata alle cose e quello che disse non era per niente sensato. Scattai.
“Non dirlo neanche per scherzo ok?” gridai “Tu sei la cosa più bella che mi sia capitata, non ha ragione mia madre! Quale madre al mondo impedirebbe a sua figlia di essere felice con la persona che ama? Non può odiarti solo perché tu sei famoso e vivi una vita diversa dalla mia, no Harry, no cazzo, non devi dire così, mi spezzi il cuore…”
“Giu, non gridare. Fai finta che non l’abbia detto, solo che… come possiamo pensare di andare avanti in questo modo?”
Un altro colpo al cuore. Le lacrime si fermarono, le avevo esaurite. Non era nemmeno lasciarsi la soluzione che avrei cercato io, e il fatto che lui lo avesse insinuato mi costrinse a sedermi sul letto per non svenire di colpo. Poi raccolsi tutto il mio coraggio per continuare a parlare.
“Harold Edward Styles tu hai detto di amarmi” sputai fredda “stai pensando di chiuderla qua alla prima difficoltà?” chiesi con cuore in gola e ripresi: “Dimmelo se è così, perché io domani verrò da te costi quel che costi, ho già fatto la valigia!”
Silenzio. In fondo sapevo che non voleva lasciarmi per davvero, ma aveva paura, come ne avevo anche io,  paura della distanza e dei miei genitori che ci avrebbero reso la vita impossibile. Mi amava abbastanza per accettare tutta quella situazione? Dalla sua risposta, capii che forse quelle due parole non le aveva pronunciate con leggerezza.
“Sei la donna più forte che io conosca, Giu. Non si dovrebbero incitare le ragazzine minorenni a scappare di casa, ma se domani tu non verrai a Londra da me a festeggiare l’ultima notte dell’anno…. Beh allora sì che potrei lasciarti sul serio”
Sorrisi orgogliosa di lui e quelle parole pronunciate con una speranza diversa mi diedero quel briciolo di forza in più per attuare il mio piano senza rimorsi, ricordandomi che lo stavo facendo per un solo motivo: amavo Harry più di me stessa.
“Bene, ti sei salvato carino, perché se mi avessi seriamente lasciata domani non ti sarebbero bastati dieci armadi a tre ante come Paul per controllare la mia rabbia” sogghignai.
“Che paura” mi prese in giro.
“Smettila Styles. Vado ad avvertire Hope, lei ha il diritto di sapere cos’ho intenzione di fare, potrebbe uccidermi se partissi senza avvisarla. Ti amo tanto” dissi con tutta la dolcezza e la sincerità che possedevo.
“Sì è giusto. Ti amo anche io, devo andare ”
“Ciao”
Chiuse la chiamata e io tirai un sospiro di sollievo.
Saltai il pranzo a piè pari, precipitandomi da Hope.
Piansi ancora molte volte quel giorno, come non facevo da tempo: piansi quando Hope mi incentivò a fare quella pazzia fregandomene delle conseguenze, piansi a lavoro nascosta nel bagno, piansi a cena quando mio padre, venuto a conoscenza della situazione, non fece nulla per convincere mia madre a cambiare opinione su Harry, mettendosi dalla sua parte.
Infine piansi quella notte, sola come un cane nel mio letto senza braccia tatuate a stringermi.
Davvero i miei genitori non capivano? Come potevano non capire quanto lo amassi?
Me lo ripetevo ininterrottamente girandomi tra le lenzuola.
Lo dico per il tuo bene, aveva detto mia madre.
L’unico bene di cui avevo bisogno era prendere in mano le redini della mia vita, fare per una volta quello che desideravo senza sottostare a niente e nessuno.
All’una passata, il mio cellulare vibrò.
 
Non so se sei ancora sveglia, io sì. Non sei obbligata a venire a Londra, troverò un modo per raggiungerti appena posso. Non devi metterti contro i tuoi genitori per me.
 
Sorrisi nel leggerlo. Gli stavano venendo i dubbi di coscienza, non voleva mettermi nei guai.
La decisione l’avevo presa, non sarei tornata indietro.
 
Domani io e te saremo a Londra a festeggiare l’anno nuovo, insieme. Ho deciso, buonanotte Harry.
 
Dopo trenta secondi, forse anche meno, arrivò la risposta.
 
Verrò all’aeroporto a prenderti, poi ti accompagno da tua sorella. Porta gli occhiali da sole;)
 
Scoppiai a ridere. Finimmo per messaggiare come due cretini, scrivendoci assurdità, fino alle due passate, quando mi arrivò l’ordine tassativo di mettermi a dormire.
Anche da lontano sapeva farmi sentire meglio, infatti dopo poco sprofondai nel sonno, senza pensare più a nulla.

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Capitolo 14
*** Londra ***


Arrivata a questo punto, mi sembra doveroso ringraziare tutte le persone che seguono questa  storia, le care ragazze che hanno lasciato delle recensioni e, in particolare, la persona che mi ha convinta a pubblicare Red Dress Ga_DjMalik: you are always in my heart xx
Bene, questo capitolo è moooooolto lungo e spero vi piaccia, non ce ne saranno ancora molti, vi avviso, detto ciò vi lascio alla storia.
Buona lettura!
-Lori_Tommo96-
 
 
 
 
 
Non riuscivo a credere di essere per davvero su quell’aereo.
Stavo atterrando a Heathrow, erano le cinque passate del pomeriggio dell’ultimo giorno dell’anno  e il mio stato mentale si traduceva in una sola parola: ansia.
Mi ero mangiata  le unghie per tutti i 55 minuti interminabili di viaggio, nemmeno la musica nel mio I-Pod mi aveva aiutata a rilassarmi.
Ero realmente scappata, stavo davvero andando dal mio ragazzo a Londra per passare il Capodanno con lui e i suoi amici (i cinque ragazzi più famosi del momento), avevo perfino accettato di partecipare alla festa organizzata da loro piena di gente di successo o comunque a me sconosciuta come ragazza ufficiale di Harry Styles. Il solo pensiero mi mandava nel panico più assoluto.
Pensai che forse ero stata un’irresponsabile, capricciosa, ribelle diciassettenne, ma ormai era tardi per tornare indietro.
Il telefono spento nella mia borsa pesava come non mai, neanche fosse stato fatto di piombo. L’ultima chiamata l’avevo fatta all’aeroporto a Manchester: avevo chiamato mia sorella, avvertendola del mio arrivo e dicendole in breve cos’era successo. Ovviamente, Cindy voleva i dettagli, pretendeva che le raccontassi tutto per filo e per segno, e mi rimproverò per essere scappata così senza prima avvisarla, ma io la liquidai promettendole che le avrei spiegato tutto più tardi.  
L’ultimo messaggio invece, lo avevo mandato a Harry. Voleva sapere l’ora dell’atterraggio per venirmi a prendere.
Scesi dall’aereo e il mio cuore cominciò a palpitare fortissimo, un po’ per l’ansia e un po’ perché stavo cercando Cindy e Harry in mezzo a un aeroporto gremito di persone.
Dopo aver recuperato i miei bagagli, mi preoccupai di non vedere né lui né mia sorella da nessuna parte. Harry probabilmente aveva rinunciato all’idea di scendere dall’auto, sarebbe stato travolto da una marea di fan urlanti e fotografi.
Ma Cindy dov’era? Mi maledissi per non poter accendere quel dannato telefono, non dovevo assolutamente rischiare di vedere il nome di mia madre sullo schermo.
Girovagai con lo sguardo tra le varie persone, poi un omone gigante mi si avvicinò.
Non credevo che potessi essere contenta di vedere Paul, invece gli sorrisi felicemente.
“Ti ricordi di me vedo” disse lui, con un sopracciglio alzato e un lieve sorriso.
“Non passi inosservato” constatai.
“Vieni con me dai se non vuoi vedermi licenziato” disse prendendo il mio trolley e facendomi segno di seguirlo.
“Licenziato?” chiesi confusa.
Io non posso scendere da questa fottuta auto, Paul conto su di te: è un po’ sbadata, prendile il trolley e fai il cavaliere mi raccomando” disse imitando il tono di voce di Harry e mi fece ridere.
“Da quando sono diventata quella sbadata? Harry in mancanza di un qualsiasi ostacolo riuscirebbe a inciampare sui suoi piedi!” commentai sarcastica, strappando un sorriso divertito al suo bodyguard che probabilmente era a conoscenza del precario equilibrio di Styles.
“Harry mi ha detto di dirti che tua sorella sa che passerai la giornata con lui. Anche la notte” riferì strizzandomi l’occhio. Io arrossii violentemente  cercando di annuire e deglutire.
Harry e Cindy avevano stretto un sodalizio e non potei esserne più felice: almeno un membro della mia famiglia mi supportava e si fidava del mio fidanzato.
Raggiungemmo un parcheggio, poi un’auto con i vetri oscurati.
C’era un freddo cane e tremavo, ma forse il tremito era dovuto alla consapevolezza di chi avrei trovato sull’auto.
Aprii la portiera posteriore mentre Paul sistemava i miei bagagli nel baule.
E se per un attimo sull’aereo avevo dubitato di ciò che stavo facendo, definendo la mia fuga una trovata irresponsabile, un capriccio quasi, tutti i dubbi svanirono all’istante appena vidi lui.
Il motivo principale per cui avevo preso quell’aereo non era il senso di libertà, la voglia pazza di dimostrare ai miei genitori che io e soltanto io avevo in mano le redini della mia vita; certo, era tutto vero, ma passava tutto indiscutibilmente in secondo piano, dopo Harry Styles.
Era lì, seduto sul sedile posteriore, il suo sorriso migliore sul volto, le fossette super evidenti, gli occhi di un verde quasi grigio a causa del tempo instabile, ma brillanti più che mai e, tocco di classe, i ricci assolutamente perfetti nel loro scompiglio. Indossava una giacca nera aperta, che rivelava la camicia bianca superaderente che portava sotto.
Non ero mai stata una ragazza di quelle che sbavavano dietro al primo maschio carino sulla piazza, ma Harry di carino non aveva proprio nulla, andava ben oltre.
Mi sedetti sul sedile mormorando un “ciao” imbarazzato. Ci provai a assumere un’espressione meno ammaliata, meno da adolescente in crisi ormonale, ma mi resi conto di avere fallito quando Harry pronunciò un roco ciao e mi baciò dolcemente, chiudendo le mie labbra che formavano una O con le sue. Il contatto aveva dato il colpo di grazia alla mia lucidità.
Mi guardò divertito, quasi confuso.
“Che c’è? Il viaggio ti ha sconvolta?” chiese ridacchiando, notando quanto fossi stupita, ignorando che stavo facendo mentalmente pensieri poco casti sul suo corpo.
Che senso aveva mentirgli, era lui quello che mi aveva sconvolta, non il viaggio e neanche la fuga.
La sua bellezza impeccabile, il suo carattere complicato, i suoi scherzi, il suo sorriso, la sua voce, lui e basta.
“Sei bellissimo” sussurrai adorante, guardandolo intensamente, non rispondendo realmente alla sua domanda.
Harry mi guardò divertito poi scoppiò a ridere. Mi fece morire di vergogna e mi pentii amaramente di aver pronunciato quel complimento. Ma che avevo detto di così divertente o che non avesse sicuramente già sentito? Pensai a quante ragazze sicuramente glielo avevano fatto notare, ogni giorno su Twitter leggevo cose del tipo Harry Styles è il sesso che cammina  e abbassai lo sguardo mortificata dalla sua risata. Bell’inizio pensai, ma Harry mi stupì, di nuovo, facendomi cambiare idea. Mi prese la mano e cominciò a parlare, a sussurrare per la verità, mentre Paul mise in moto.
“Sei appena scappata di casa, tua madre sarà su tutte le furie, la tua famiglia mi odia, stai per venire nel mio appartamento e stasera andrai a una festa piena di gente che non conosci, e che fai appena mi vedi? Mi dici che sono bellissimo” constatò.
“Beh non sarò di certo l’unica a pensarlo” bofonchiai ancora tremendamente in imbarazzo e torturandomi un ricciolo ribelle. Harry mi fece incontrare per forza i suoi occhi, prendendomi il viso tra le mani.
“Ti sei imbarazzata per davvero?” chiese con un sorriso da cucciolo.
Un pomodoro maturo probabilmente non poteva competere col mio rossore.
Harry mi baciò ridendo tra le mie labbra e dopo quel bacio il momento di totale disagio finì.
Anzi, cominciammo a pianificare la nostra giornata in attesa di arrivare nel suo appartamento.
Gli altri ragazzi erano a casa sua ad aspettarmi, Harry aveva insistito per farmeli conoscere e fui sollevata al pensiero che almeno uno di loro mi stava già simpatico e non mi avrebbe fatta sentire a fuori luogo. Poi il programma era semplice: cenetta da soli, festa esclusiva in un rinomato locale, evitare i fotografi il più possibile e festeggiare insieme l’anno nuovo.
 
L’appartamento di Harry aveva il suo stile: era luminoso, spazioso, arredato con gusto moderno, insomma il classico appartamento da celebrità, ma con tanto tocco personale.
Appena entrata nella sala enorme mi ero trovata davanti  i restanti membri dei One Direction stravaccati sul grande divano in pelle blu scuro, intenti a guardare un programma televisivo e mangiare patatine. Anzi, a riempire il pavimento di patatine.
“Ok, poi lo ripulite tutto questo casino, maiali!” affermò il padrone di casa togliendosi la giacca e prendendo anche la mia, per poi appenderle a un attacca-panni nell’ingresso. Paul entrò, facendosi strada con le mie valigie su per l’ampia scala che portava a un soppalco a vista e a un piano superiore a me sconosciuto.
Sentii quattro paia di occhi puntati su di me e il disagio crebbe. Non sapevo se trovarmi di fronte a quattro cantanti oppure essere finita per sbaglio in una casa di moda.
Stavo con il ragazzo più bello che conoscessi, ma i suoi amici gli tenevano testa alla grandissima.
“Sei arrivata finalmente!” esclamò Louis, alzandosi dal divano di scatto e raggiungendomi.
Mi avvolse in un abbraccio e mi sentii subito più sciolta, pronta a conoscere anche Zayn, Liam e Niall, anche se col biondino avevo già avuto a che fare.
Harry mi rivolse un sorriso rassicurante e mi accompagnò verso il divano.
Un educatissimo Liam Payne si alzò subito, allungando una mano verso di me e sfoggiando un timido sorriso.
“Ciao sono Liam, piacere di conoscerti, ho sentito molto parlare di te” disse tutto d’un fiato facendomi sorridere. Strinsi la mano e presi un po’ di coraggio.
“Ciao Liam, sono Giulia. Inutile dire che anche io è da un po’ che sento parlare di voi”
Un paio di occhi scuri e profondi si stavano avvicinando a me.
“Liam, non ci sai fare con le presentazioni, sembri un maggiordomo!” scherzò Zayn ricevendo una pacca di disappunto da Liam. Poi si rivolse a me.
“E così sei tu la famosa Giulia. Zayn, molto piacere”
Strinsi anche la sua di mano e non trattenei un commento divertito.
“Wow, qua sembra che sia io la star, ma ragazzi siete voi ad avere milioni di followers su Twitter!”
Li feci sorridere tutti e ciò mi rese soddisfatta, facendo scomparire da me il disagio di poco prima. Non ero davvero la classica ragazza che si intimidiva o provava vergogna nel conoscere gente nuova, ma comunque si trattava di quattro tra i ragazzi più famosi sulla faccia della Terra.
Guardai Niall e il biondino mi rivolse un sorrisone, appoggiando le patatine e venendo anche lui a salutarmi.
“Ci siamo già conosciuti, comunque io sono Niall, il più simpatico, il più gentile, il più carino…”
“Il più modesto” lo interruppe Liam facendogli il verso.
Sorrisi alla battuta e in cinque minuti cominciammo tutti a ridere e scherzare tranquillamente, seduti sul divano gigante di Harry.
Notai ben presto che i ragazzi seduti su quel divano erano assolutamente divertenti e alla mano, classiche persone con cui sarei andata d’accordo senza problemi. Passarono una mezz’ora buona a, parole di Zayn Malik, “mettermi al corrente di piccoli aneddoti della vita di Harry Styles”.
E sì, sapevo bene che Harry riuscisse ad essere un perfetto idiota sia da sobrio che da ubriaco, ma mai e poi mai avrei pensato che addirittura si fosse messo a sculettare in diretta mondiale ai Teen Choice Awards, dal momento che non ero proprio una grandissima fan dei One Direction, nonostante li ascoltassi volentieri.
La conversazione, dovevo ammetterlo, si era rivelata uno spasso. Harry non era del tutto del mio stesso parere, anche se aveva fatto di tutto per mostrarsi indifferente.
Si era fatta sera, erano le sei passate. I ragazzi ci salutarono, ma li avrei rivisti a breve, alla festa.
Harry fece il bravo uomo di casa: prese una scopa da uno stanzino che non avevo notato e pulì il disastro di patatine sul pavimento, lasciandomi un po’ perplessa.
“Da quando sei diventato un casalingo?”
“Da quando ho a che fare con Niall Horan che non sa mangiare ancora come si deve a vent’anni” disse strizzandomi l’occhio e riponendo la scopa nello stanzino, liberandosi poi anche delle briciole.
“Le tue valige sono di sopra nella stanza degli ospiti” affermò “ma magari ora mangiamo qualcosa ti va? Non ho prenotato il ristorante, mi sembrava troppo scontato per un cenone di fine anno e poi volevo evitare i fotografi”
“Non posso essere più d’accordo, se mia mamma mi vedesse su una rivista sarebbe la volta buona che mi disereda, cuciniamo noi!” esclamai dirigendomi verso la cucina.
Le doti culinarie mie e di Harry non erano propriamente definibili come “doti”, ma ci arrangiammo. Mentre cucinavamo in perfetta sincronia una pasta alla carbonara e quelli che dovevano assomigliare a degli spiedini di carne, Harry mi informò che Cindy aveva già provveduto a calmare l’ira funesta di mia madre, convincendola a non muovere pressioni contro di me per farmi tornare a casa.
“Tu e mia sorella avete proprio pensato a tutto” constatai infornando la carne.
“Noi siamo gli adulti responsabili e tu la figlia ribelle che scappa, è normale che ti pariamo il culo” mi prese in giro mentre girava concentrato il sugo per la carbonara.  
Le nostre famiglie avevano un debole per la cucina italiana, che sia io che Harry avevamo imparato ad apprezzare fin da piccoli.
“Simpatico. Direi che possiamo buttare giù la pasta ormai, siamo a buon punto”
“Sì capo cuoco!” esclamò Harry, facendo scivolare gli spaghetti nell’acqua bollente.
Sorrisi nel vederlo fare quel semplice gesto. Non eravamo cambiati molto alla fine, sembravamo ancora due amici più che dei veri e propri fidanzati; tra noi non c’erano smancerie di troppo, niente amore e tesoro, solo un’indissolubile compatibilità che ci portava a stare bene insieme anche in una cucina, a preparare la nostra cena. E andava bene così.
Alla fine mangiammo di gusto quello che avevamo preparato con cura, ridendo e scherzando tranquillamente.
Dopo cena, mi invitò a seguirlo in quella che scoprii essere la sua stanza, al piano di sopra.
Era ariosa, luminosa, come il resto della casa. Il tocco di stile era senza dubbio il letto: rotondo, gigante, con mille cuscini bianchi sopra al blu scuro delle coperte. A Harry piaceva molto quel colore, anche il divano e molti elementi del mobilio di casa erano blu.
A parte il letto megagalattico, notai l’ordine maniacale della stanza: la scrivania immacolata con sopra solo il pc e un portapenne, le centinaia di libri riposti sulle mensole e in un apposita libreria, neanche un vestito sparso in giro, lo stereo con i cd sopra un mobiletto apposito.
Guardai quell’ambiente con curiosità, poi mi rivolsi a lui.
“Wow non sapevo leggessi così tanto”
“Prima non lo facevo infatti, prima dei One Direction intendo”.
Annuii e lo guardai dirigersi verso il suo armadio, estraendo un pacchetto regalo.
Il cuore mi palpitò nel petto quando me lo porse dicendomi “è per te”, lasciandomi letteralmente inebetita.
“Harry, davvero, è già troppo essere qua con te, venire alla festa e tutto, non…non dovevi farmi…”
“Aprilo e dimmi cosa ne pensi piuttosto” mi consigliò vivacemente, stendendosi sul letto gigante.
Lo guardi estasiata, mi sedetti sul letto accanto a lui e presi a scartare il regalo, felice come non mai.
Dal pacchetto uscì qualcosa di totalmente inaspettato, ma assolutamente unico.
Il vestito che avevo sempre sognato, rosso vermiglio, stava tra le mie mani. Era corto e stretto in vita, come piaceva a me, mentre ricadeva morbido sulle cosce; aveva le spalline fini e delle roselline stilizzate sul seno. Era semplicemente perfetto.
Harry mi guardò preoccupatissimo, riuscendo a decifrare solo stupore nel mio sguardo incantato.
“Se non ti piace, lo cambiamo, cioè… un vestito non è proprio il massimo come regalo da fare a una donna, voi passate ore e ore a scegliere, ma quando l’ho visto ho pensato che, beh, su di te sembrasse… via, che su di te fosse carino, poi mi pare che ti piaccia il rosso, ma non so…”
Bloccai il suo sproloquio gettandomi sulle sue labbra, baciandolo come mai avevo fatto prima, prendendo totalmente il controllo della situazione. Harry gemette le ultime sillabe tra le mie labbra e ci mise qualche secondo a reagire, accompagnando la mia foga, poi tutto ad un tratto, il nostro contatto diventò dolce e delicato.
Cominciò a baciarmi il collo, prendendo le mie mani e portandole sul colletto della sua camicia. Raccolsi la richiesta e, con la mano tremante, cominciai a sbottonare.
“Harry il vestito è assolutamente perfetto. Non potevo desiderare regalo migliore”
“Dici sul serio?” domandò perplesso.
“Sì e lo indosserò stasera” annunciai soddisfatta. Lo sguardo di Harry si illuminò di compiacimento.
Sentii i suoi denti sul mio collo e poi un morso secco, che mi fece gemere. Sogghignò e passò la lingua nel punto dolorante, procurandomi una forte scarica elettrica.
Per tutta risposta ribaltai la situazione, mettendomi a cavalcioni su di lui e cominciando ad armeggiare con le dita e la lingua sul suo petto, libero ormai dalla camicia.
“Se tua madre ci vedesse adesso?” chiese Harry divertito, distraendomi dal mio lavoro.
“Pensa se ci vedesse tra poco” risposi strizzandogli l’occhio. Mi guardò basito.
“Poi sono io quello che pensa solo al sesso, piccola pervertita” affermò togliendomi con una sola mossa felpa e maglietta.
“Hai ragione, sono proprio una cattiva ragazza, meglio che vada a telefonare a Cindy ” lo provocai cercando di alzarmi dalla mia posizione, ma venendo prontamente bloccata dalla sua presa.
“Dove pensi di andare?”
Ribaltò di nuovo la situazione e mi trovai sotto di lui che prese a baciarmi con foga, facendo sparire i nostri vestiti in un batter d’occhio.
Non avevo mai pensato di poter fare l’amore con un ragazzo come lui, invece ero sua, su un letto fantastico, lontano dalla casa da cui ero scappata, pronta a partecipare alla festa più esclusiva che potessi immaginare con un vestito da sogno.
 
 
La festa fu davvero quello che comunemente una  ragazza ordinaria potrebbe definire sogno.
Quei cinque ragazzi avevano dato il meglio di loro stessi nell’organizzazione.
La musica era fantastica, c’era un famosissimo dj in console  e gli invitati, che io pensavo fossero per la maggior parte gente più grande di me e loro collaboratori di lavoro, si rivelarono invece persone giovani e del tutto normali, loro amici e amiche venuti a divertirsi per l’ultima notte dell’anno.
Certo, non mancavano le personalità di spicco, tra cui uno dei miei cantanti preferiti: Ed Sheraan , carissimo amico di Harry.
Mi trovavo proprio a parlare con lui e sorseggiare un drink quando persi di vista il mio ragazzo tra la folla scatenata.
Vidi un poco sobrio Niall passare accanto a me abbracciando contemporaneamente due bionde.
“Niall!” lo chiamai.
“Giulia come te la passi? Festa da sballo non è vero?”  gridò trapassandomi i timpani e sovrastando il volume della musica.
“Sì, indubbiamente. Hai visto Harry?”
Niall mi indicò il piccolo palco dove stava il dj con le ballerine (già, perfino le cubiste avevano ingaggiato) ma notai che sopra uno dei due enormi cubi riservati alle ragazze, stavano ballando all’impazzata Zayn Malik, Louis Tomlinson e… Harry Styles.
Erano acclamati da un bel mucchio di gente, facevano mosse assurdamente ridicole e non potei fare a meno di ridere e raggiungere chi li stava applaudendo e incitando.
Sperai soltanto che Harry non fosse troppo ciuco.
Quando cessò quella ridicola esibizione, mi resi conto che quello messo peggio tra i tre non era il mio riccio, ma Louis.
Infatti Harry lo prese di peso sotto un braccio e lo trascinò verso di me, che ancora lo stavo guardando divertita.
“Complimenti Styles, sei un ballerino nato!” lo presi in giro.
“Smettila, hai apprezzato anche tu, ti ho vista. Adesso aiutami a portare questo asino a sedersi”.
Presi Louis sotto l’altro braccio e ci dirigemmo verso un divanetto.
Da quanto potevo capire dai suoi discorsi sconnessi, non aveva preso la sbornia per sballarsi, piuttosto per dimenticare un litigio non da poco con la sua ragazza, Eleanor, che per dispetto non era venuta alla festa.
Harry gli diceva di non pensarci, di smetterla di preoccuparsi inutilmente e che magari prima della mezzanotte sarebbe arrivata, pur lasciando intuire dalla sua espressione che non sarebbe successo.
Conoscevo Harry abbastanza bene da esserne sicura e probabilmente in condizioni normali se ne sarebbe accorto anche Louis, che invece continuava a sfogarsi senza ascoltarlo, a causa dell’enorme quantitativo di alcool presente nelle sue vene.
“Io non ci sono per lei, mai, sono un coglione, un fidanzato del cazzo!” esclamò ridendo con un sorriso che di divertito non aveva proprio nulla, era un ghigno disperato.
“Piantala di dire stronzate, hai bevuto troppo. Domani da sano parlerai con Eleanor e sistemerete”.
“Mi porti un Margarita Hazza?” cambiò discorso “Sono single ora, dobbiamo festeggiare!”
Louis fece per alzarsi dal divanetto, ma Harry gli diede uno spintone e lo fece risedere.
“Tu non sei single e non bevi più niente per stasera, chiaro?” lo ammonì con voce ferma e Louis riprese a delirare.
“Mi ha detto che sono sempre lontano e che quando le sto vicino sembro ancora più distante di prima! Sono un pessimo ragazzo, una merda!”
Continuò quella tiritera straziante per altri dieci minuti e la cosa dolorosa era constatare che Eleanor, per quanto non mi capacitassi di come potesse considerare pessimo un ragazzo come Louis, aveva piena ragione su un fatto: per quanto lui fosse un ragazzo fantastico a mio avviso, non poteva esserle vicino nel modo in cui lei desiderava e questo non sarebbe mai cambiato.
Mi prese lo sconforto pensando che forse anche io e Harry, prima o poi, ci saremmo potuti stancare della distanza, del non poter né toccarci né vederci per tanto tempo.  Sarei stata forte abbastanza da sopportarlo? Avevo resistito da settembre fino a Natale, certo, a discapito del mio fisico e della mia salute mentale. E non c’era stato Harry a impedirmi di diventare matta o anoressica, piuttosto se mi ero ripresa era stato merito di Hope. 
Louis, in preda ai suoi deliri, disse una cosa che mi fece spaventare.
“Tienitela stretta Hazza” mi rivolse uno sguardo per poi guardare di nuovo Harry, che sembrò irrigidirsi.
“Certo, come tu ti terrai stretta Eleanor e le parlerai, ora per favore cuciti la bocca, stai dando spettacolo. E’ una festa Lou! Adesso ti calmi, ti passa un po’ la sbornia, così più tardi torni a divertirti ok?”
Nemmeno Harry sembrava sicuro delle sue parole e cercò di evitare il mio sguardo.
Invece io guardavo silenziosamente un Louis dagli occhi azzurri lucidissimi e persi nel vuoto, parlare senza sosta e senza un filo logico e un Harry che continuava ad ascoltare ogni parola, amareggiato nel vedere il suo amico ridotto in quel modo passare male l’ultima notte dell’anno.
Arrivarono anche Liam e Zayn, che presero il posto di Harry, invitandoci ad andare un po’ a ballare.
Mancavano pochi minuti a mezzanotte e Harry, non proprio felice di lasciare seduto su quel divanetto Louis, raccolse comunque il consiglio, prendendomi per mano e portandomi in pista.
Fingendo completamente che le parole di Louis non ci avessero in qualche modo messi in allarme, cominciammo a ballare spensieratamente, prima tenendoci solo la mano e muovendoci a tempo, poi avvicinandoci sempre di più e infine dimenticandoci della musica, trovandoci abbracciati in mezzo alla folla di gente scatenata.
“Vieni con me!” gridò Harry e io annuii.
Mi prese per mano. Guardai il grandissimo orologio appeso contro una parete del locale che segnava il count down: dieci minuti a mezzanotte.
Harry si fece largo tra la gente, trascinandomi con lui oltre la calca di persone. Passammo dietro al palco del dj e delle cubiste, lui aprì una porta e ci ritrovammo in una stanzetta adiacente a quella della festa, dove la musica arrivava più ovattata.
Era una sorta di privè stile night club, con tanto di passerella per lo spogliarello e divanetto in pelle rossa.
“Che posto romantico!” constatai divertita, sedendomi sul divaneetto.
“Di là è difficile parlare”
“Dobbiamo parlare ?”
Mi si formò un nodo alla gola, ero ignara di cosa volesse dirmi.
Harry si alzò, sedendosi poi sul bordo della passerella di fronte a me, scompigliandosi i ricci.
Per la serata aveva scelto dei pantaloni neri strettissimi e una più semplice camicia bianca, ma non avrebbe potuto essere più bello che in quel momento.
“Ti ho vista andare nel panico quando Louis parlava di lui e Eleanor, anche io ci ho pensato … a noi due intendo” disse con un filo di voce.
Mi colse alla sprovvista, non volevo veramente parlargliene e non sapevo cosa dire in realtà.
“Non sono Eleanor e tu non sei Louis, quindi non possiamo spaventarci ora no?” cercai di sdrammatizzare.
“No invece credo che dovremmo proprio parlarne”
La serietà con cui lo disse mi fece spaventare, così presi a tirarmi i lembi del mio fantastico vestito, aspettando che continuasse a parlare.
“L’anno che sta per cominciare sarà pieno di impegni per me, tra cui il tour mondiale. Tu devi diplomarti, studiare e almeno fino alla prossima estate vedersi sarà un problema, non credi? Cioè, i tuoi genitori non ti permetteranno di venire qua a Londra quelle volte che io ci sarò e io non so quanti giorni riuscirò a ritagliare per essere a Holmes Chapel”
“Perché lo stai dicendo Harry?” chiesi in preda al panico.
“Perché sarei un egoista se ti obbligassi a legarti a una persona come me senza dirti la verità. Tu non hai idea di come sia un tour, saranno mesi di concerti, con pause quasi nulle. Non che per me sarà facile, no, ma posso dire di essere abituato a stare lontano dalle persone che amo. Sono preoccupato per te invece, in pochi mesi sei stata peggio di quanto potessi immaginare e se fossi stato accanto a te non ti avrei permesso di ridurti in quello stato” sospirò.
Pensai velocemente al nostro futuro, all’anno che stava per iniziare. Mi ero già fatta una ragione di tutto quello che stava dicendo e sapevo a cosa sarei andata incontro. In quei mesi non ero stata male solo e unicamente perché lui non c’era, era stato tutto insieme: il lavoro, lo studio, il pianoforte e sì, anche la mancanza di Harry.
Non negavo che sarebbe stato difficile, tanto anche, per entrambi , ma perderlo in confronto sarebbe stata una catastrofe, un buco nero, avrebbe reso nullo ogni sacrificio fatto fino a quella notte, anche la mia fuga.
Mi alzai e feci qualche passo verso di lui. Per qualche secondo in quella stanza si udì solo il rumore della musica che proveniva dall’altra sala.
“Ci riuscirò” affermai.
“Ne sei sicura?” chiese dubbioso, facendomi innervosire.
“E l’alternativa a sopportare la distanza Harry? Ci hai mai pensato a quale sarebbe?”
Mi guardò interrogativo, non cogliendo il senso delle mie parole. Non avrei voluto affrontare quella questione proprio durante la sua festa, quella che aveva organizzato con i suoi amici, ma mi aveva costretta, così trovai il modo migliore per dissuaderlo dai dubbi.
“Sarebbe lasciarci ora. E scusami, ma io non ne ho proprio la minima intenzione!” esclamai, prendendolo per i polsi e tirandolo giù dalla passerella. Attorcigliai le braccia attorno al suo collo e presi a baciarlo, prima sul collo, poi sul mento, poi sulle guance, sul naso, sulla fronte, sulle labbra morbide e lui mi lasciò fare, rilassandosi al mio tocco.
Il dj nell’altra stanza cominciò il conto alla rovescia e la gente gridava 59 58 57…
Sentii la sua mano affondare nei miei ricci.
40 39 38 37…
Chiesi l’accesso alla sua lingua e lui me lo concesse subito, prendendo a muoversi lentamente, quasi volesse rallentare il tempo. La sua bocca sapeva leggermente di alcool, era buonissimo.
20 19 18….
Mise le sue mani lungo i miei fianchi, aumentando il ritmo del bacio, mordendo le mie labbra, per poi affondare la lingua con maggiore intensità nella mia bocca.
15 14 13 12…
Ansimavo, seguivo i suoi movimenti, decisa a fare di quel bacio il migliore di tutti quelli che ci eravamo scambiati fino a quel momento. Ero sua, completamente, e lo sarei sempre stata anche a chilometri di distanza.
10 9 8 7…
Harry sembrò accorgersi  che stavamo vivendo gli ultimi secondi dell’anno, così mi stampò un ultimo bacio, casto, appena accennato, guardandomi negli occhi.
5 4 3 2…
Gli sorrisi, appoggiai la testa sulla sua fronte.
“Ti amo” sussurrai e nell’altra sala scoppiò il delirio.
Harry mi sorrise, i suoi occhi verdi brillarono più che mai. Non avevo idea di come avremmo vissuto l’anno nuovo ma sicuramente l’inizio era stato più che perfetto.
Giurai a me stessa che nei momenti di smarrimento, quando Harry sarebbe stato lontano, avrei dovuto ripensare a quel bacio, così carico di promesse, dell’assoluto bisogno che avevamo l’uno dell’altra, pieno del nostro amore contorto, diverso dagli altri, ma pur sempre amore.

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Capitolo 15
*** Bufera ***


Per un certo periodo riuscimmo effettivamente a combattere la distanza e i miei genitori, le difficoltà non mancarono ovviamente, anzi, eravamo lontani dal poter dichiararci una coppia felice.
Mamma e papà, nonostante avessi Cindy totalmente dalla mia parte, non mi avevano fatto passare liscia la fuga una volta che tornai a Holmes Chapel.
Per tutto il mese di gennaio mi rinchiusero in casa, fatta eccezione solo per scuola e lavoro, ma avevo già messo nel conto tutto questo. Il mese di febbraio invece, passata la bufera post-evasione da casa, parlai di Harry con mia madre per la prima volta dopo essere stata a Londra. Si meravigliava di come riuscissimo a mandare avanti la nostra relazione senza grossi problemi per il distacco: Harry era tornato solo una volta a Holmes Chapel dopo i miei giorni passati a Londra.
Colsi la palla al balzo spiegandole che sarebbe stato tutto più semplice se mi avesse permesso di andarlo a trovare qualche volta quando si trovava in capitale, ma la mia richiesta fu respinta, ovviamente.
Nonostante ciò i miei genitori cominciarono ad interessarsi alla vita del mio ragazzo, chiedendomi spesso dei suoi concerti, del tour che doveva cominciare, dei premi che riceveva la band.
Dapprima pensai che finalmente cominciassero a farsi piacere la mia relazione con Harry, quindi, raccontavo fiera di come il suo lavoro lo rendesse felice, il grande successo dei loro concerti sempre sold-out, le iniziative di  beneficenza che potavano avanti i One Direction, ma poi capii che il loro interesse per la vita di Harry aveva un secondo fine: era il loro misero tentativo di riavvicinarsi a me, non un modo per accettare Harry come parte della mia vita. Avevano paura di perdermi, infatti dopo il mio ritorno da Londra ero cambiata molto, non entravo più in casa sbandierando i miei successi scolastici con orgoglio, a tavola non partecipavo quasi mai ai discorsi che aprivano e, silenziosamente, facevo capire che non mi importava nulla della loro approvazione: Harry era diventata una parte fondamentale di me.
Una sera, tornata da lavoro, ebbi conferma del fatto che continuassero a odiare Harry Styles e l’influenza che aveva su di me.
Li sentii parlare in salotto della mia storia d’amore. Mia madre scommetteva che non saremmo arrivati all’estate, mio padre invece fu un po’ più benevolo: non saremmo arrivati a luglio! Entrambi però erano convinti di una cosa: mi avrebbe tradita molto presto.
Questa conversazione che non avrei dovuto ascoltare accertò che il loro desiderio non era vedermi felice al fianco della persona che amavo, piuttosto speravano in una nostra rottura, ipotesi imminente e molto probabile a sentirli, per poi essere pronti a dire “te l’avevamo detto che non era il ragazzo giusto per te”.
Nel frattempo cercavano di recuperare il rapporto con me facendomi quelle stupide domande ripetitive sulla carriera del mio fidanzato e della band di cui faceva parte, sperano così di recuperare il mio affetto. E questo mi faceva quasi ridere: rimanevano comunque mia madre e mio padre per quanto mi avessero delusa, non riuscivano nemmeno a rendersi conto che non avrebbero mai perso realmente il mio amore nei loro confronti, nonostante stessero veramente mettendo alla prova i miei nervi.
I miei genitori comunque non erano il peggiore dei problemi, ci fu di peggio da affrontare per me.
Io e Harry eravamo stati bravissimi a nascondere la nostra storia, evitando gli scandali mediatici anche a Capodanno, quando uscì sul web una nostra foto in giro per Londra, che lui prontamente giustificò in un’intervista dicendo che la sua compare, cioè io, era la sua amica d’infanzia: una mezza verità che mise a tacere i media.
Un giorno di fine febbraio però, saltò tutto all’aria.
Harry fece una scappata a Holmes Chapel, per stare con me almeno un po’, prima di partire per il tour mondiale il primo marzo.
Concentrati solo a goderci quel poco tempo che avevamo a disposizione, ci dimenticammo che non era consigliabile baciarsi appassionatamente fuori da un rinomato ristorante.
E i fotografi non si lasciarono scappare l’occasione.
Da quel giorno la mia vita cambiò di netto, mettendo letteralmente a repentaglio i miei propositi di Capodanno.
La settimana dopo l’accaduto, era quasi impossibile uscire di casa senza essere fermata per rilasciare una dichiarazione sulla nostra storia a qualche giornalista che cercava lo scoop.
A scuola tutti parlavano alle mie spalle, le ragazze non provavano nemmeno a nascondere l’invidia nei miei confronti e le persone più cretine mi fermavano in corridoio facendomi domande stupide del tipo “come ci si sente a stare con una celebrità?”.
In un batter d’occhio, per l’intero istituto diventai la ragazza di Harry Styles, non più Giulia.
Andare al mio armadietto ogni mattina equivaleva a passare sotto uno scanner a raggi X: sguardi puntati addosso, parole pronunciate sottovoce, saluti falsi da persone con cui non avevo mai avuto a che fare.
Nella mia classe, fatta eccezione per Abby e Hope, le cose non andavano meglio. Ogni giorno puntualmente qualcuno aveva qualcosa da chiedere sulla mia vita sentimentale.
Christie, invece, rappresentava l’eccezione: mi aveva tolto perfino il saluto. Harry era stata roba sua. Si era sentita scaricata miseramente, il fatto che io fossi riuscita a conquistare il suo cuore, la mandava in bestia e la portava ad accanirsi contro di me. Lei ragionava esattamente come le bambine viziate, quelle che se non possono avere un giocattolo, allora nessun altro deve averlo. Aveva messo in giro la voce che io stessi con Harry solamente per la popolarità, non per amore, facendo credere a tutti che ero andata a Londra solo per entrare nella cerchia degli amici di Harry.
Lavorare era diventato frustrante quasi come andare a scuola, anzi, considerando i commenti inopportuni di Zack sulla mia vita sessuale con Harry, forse era nettamente peggio.
La mia routine era stata sconvolta, così come la mia immagine, da un tornado inarrestabile chiamato gossip.
Sul web infatti, giravano articoli nauseanti, che mi facevano salire il nervoso e la rabbia alle stelle, e la maggior parte di questi mi faceva sentire anche e soprattutto una nullità: per le riviste era impensabile che un sex symbol come Harry, rinomato per la sua fama di Don Giovanni, si fosse legato a una ragazza come me. Io ero una normalissima, sconosciuta, ordinaria studentessa dello Cheshire, una ragazza come tante, niente bellezza fuori dal comune, niente culo da paura, niente tette spropositate, niente occhi color cielo, ero considerata troppo poco per uno come Harry. E se già da sola mi rendevo conto che veramente Harry meritasse di meglio, i commenti su Twitter e le riviste non aiutavano per nulla.
Sopportare il peso delle critiche e della falsa immagine che tutti avevano di me, le continue sfrecciatine dei miei genitori e la consapevolezza di essere lontana dal mio Harry, che ogni due giorni cambiava città e girava l’Europa, era diventato veramente troppo.
Ogni volta che telefonava, fingevo di stare bene e cercavo solamente di pensare a quando l’avrei rivisto, senza lasciare trapelare quanto effettivamente mi mancasse.
E oltre a mancarmi, diventai anche gelosa, Dio se lo diventai!
Ogni volta che Harry faceva un’uscita pubblica assieme ai One Direction, a parte la miriade di fan che li attorniavano, Harry riceveva decisamente troppe attenzioni dalle donne: in quei mesi uscirono sue foto ad alcune feste dopo i concerti nelle quali, immancabilmente, era attorniato da qualche  bel seno messo troppo in mostra. E questo mi faceva incazzare a livelli stratosferici.
Ne parlammo mille volte per telefono, ma lui non capiva dove fosse il problema, dandomi della paranoica e della fidanzatina gelosa. Sapevo che per Harry ricevere attenzioni fosse normale, ma io sapevo anche che prima per lui era normale anche darne. E pregai che avesse perso questo vizio, pregai che non ricadesse nelle sue vecchie abitudini. Non che non mi fidassi di lui, semplicemente non mi fidavo delle circostanze, di cosa sarebbe potuto succedere se avesse avuto bevuto un po’ troppo, quando l’intero genere femminile non aspettava altro che soddisfarsi con il suo corpo che, per quanto perfetto, doveva soddisfare i bisogni che la carne gli richiedeva.
Ma anche io ero fatto di carne e ossa, così un giorno di fine maggio, persi il controllo per una banalità.
Era una serata come un’altra, stavo quasi terminando il mio turno al bar e chiacchieravo allegramente con Abby e Hope.
Quando se ne andarono e stavo quasi per chiudere, Christie e le sue amichette snob entrarono nel locale, orinandomi sgarbatamente degli aperitivi analcolici, neanche fossi una sguattera o qualcosa di simile.
Mi guardavano dall’alto in basso mentre preparavo gli stuzzichini e le bevande, ma cercai non farci troppo caso. Consegnai loro le bevande, cercando subito di tornare alla postazione dietro il bancone.
Ma venni fermata da Christie.
“Cara, è tanto che non parliamo un po’, perché non ti siedi con noi?” chiese con tono quasi irrisorio.
“No grazie, dovrei lavorare” mentii, cercando di evitare la proposta.
“Dai! Non c’è nessuno ora, puoi anche bere qualcosa assieme a noi!” continuò Tiffany, una delle sue amiche.
Sospirai, andai velocemente a recuperare una birra dal frigorifero del bar e mi sedetti a quel tavolo.
L’argomento di cui volevano parlare con me non era difficile da immaginare, infatti prontamente Tiffany chiese “Perché non ci parli un po’ della tua love story? Insomma, eravate amici e poi boom, è scoppiato l’amore?”. Le altre ridacchiarono sotto i baffi, Christie compresa. Pensai che fosse tardi per tirarsi indietro e dissi la prima cosa che mi venne in mente.
“Forse non eravamo più adatti per essere solo amici, chi lo sa, è successo e basta”
“Oh certo, è arrivata la freccia di Cupido” scherzò un’altra ragazza di cui non mi ricordavo il nome.
Diedi lunghi sorsi alla mia birra sperando di liberarmi velocemente da quella conversazione inutile, ma non avevano ancora finito di torturarmi.
“E insomma, non ci dici nulla?” chiese di nuovo Tiffany.
“Cosa dovrei dirvi?” domandai, roteando gli occhi.
“Non so, ti fai uno dei ragazzi più desiderati del mondo, ne avrai di cose da raccontarci” mi provocò sempre Tiffany. Arrossii violentemente e mi innervosii, possibile che fossero così dirette?
Intervenne l’altra ragazza: “E’ davvero così bravo come si dice, sì insomma, a fare…”
“Non credo di volerne parlare” affermai, cercando di mantenere la calma.
“Ragazze, vi soffermate troppo su quello che dicono i giornali” constatò Christie. Non sapevo dove volesse andare a parare, ma  poi la sentii pronunciare quelle parole che mi avrebbero portato non pochi guai.
“Magari è lei ad avere doti particolari che l’hanno fatto impazzire. So quanto piacciano al nostro Styles i lavoretti di bocca, ad esempio. Scommetto che la nostra Giulia sia un portento, dato che non si è ancora liberato di lei come ha fatto con le altre centinaia!”
Il modo in cui lo disse, la sua espressione divertita e provocatoria, le amiche che risero compiaciute: fu troppo, assolutamente troppo.
Diedi sfogo ai miei impulsi repressi, schioccandole uno schiaffo in pieno volto e colpendola talmente forte che perfino la mia mano destra bruciò al contatto.
Mi resi subito conto di aver commesso uno sbaglio, provocarmi era stata la loro intenzione fin dall’inizio, ma ormai il danno era fatto.
Sul faccino angelico di Christie svettava un rigonfiamento rosso, talmente evidente che mi fece stupire della mia forza. Non che non mi avesse un po’ soddisfatta vedere la sua espressione dopo la botta e le sue amiche ammutolire, ma non avevo mai pensato che usare la violenza fosse un buon modo per sfogarsi.
Christie diventò furibonda, si alzò dal tavolo, prendendo in mano il bicchiere del suo aperitivo e lanciandolo rovinosamente a terra. Le schegge di vetro si sparsero sul pavimento, mentre io rimasi impassibile davanti alla scena. Christie estrasse dalla tasca una banconota, appoggiandola sul tavolo, poi assunse di nuovo il suo sorriso sfacciato.
“Questa me la pagherai Giulia! Grazie per l’aperitivo” affermò sadica, dirigendosi verso la porta seguita a ruota dalle sue amiche.
Rimasi un po’ scioccata dall’accaduto, tanto che mi tremavano le mani mentre raccoglievo i vetri da terra. Cercai di sbollire il nervoso che ancora mi attanagliava lo stomaco, pensando che di lì a pochi giorni avrei rivisto Harry, durante la sua pausa dai concerti.
 
Infatti il venerdì successivo all’accaduto, andai a lavoro con un diverso spirito.
Servivo tutti i clienti con un sorriso enorme stampato in viso, il sorriso tipico di chi non sta più nella pelle dalla contentezza. Il giorno dopo avrei rivisto Harry dopo un tempo che mi sembrava infinito e il solo pensiero mi rendeva la donna più felice del pianeta.
Sarebbe tornato a notte fonda, così avevamo deciso di vederci il sabato mattina, anche se ciò prevedeva una mia assenza da scuola. Avrei forcato per una giusta causa: un bel paio di occhi verdi e delle fossette adorabili.
Smontai da lavoro tutta eccitata, Zack quella sera era andato via prima affidandomi le chiavi del locale e il compito di chiudere. Alle dieci in punto svolsi il mio dovere, incamminandomi verso casa, con la testa che già pensava al giorno dopo.
Camminavo verso casa con le cuffie alle orecchie, muovendo i miei passi a ritmo di musica.
Ero quasi arrivata a casa, quando mi sentii afferrare per un braccio, da dietro.
Sobbalzai per lo spavento e mi voltai verso la persona che mi stava stringendo il braccio con forza, per poi spaventarmi ancora di più nel constatare che si trattava di Andy.
Puzzava tremendamente di alcool, le vene del suo collo muscoloso sporgevano a dismisura, il suo sguardo era truce. Mi salì un nodo alla gola e cercai di non sembrare a disagio.
“Ciao Giulia!” mi salutò facendomi un sorrisino sghembo. Era ubriaco, eccome se lo era.
“Andy, che ci fai qua? Mi fai male, lasciami!”
Cercai di liberarmi dalla sua presa, ma la forza con cui mi teneva era incontrastabile.
“Come mai mia sorella è tornata a casa con un bel ricordino in faccia l’altro giorno? Illuminami!”
Il modo in cui lo disse, un misto tra il provocatorio e il furioso, mi fece alzare la pelle d’oca.
“Abbiamo avuto un malinteso” sussurrai.
Scoppiò a ridere di gusto, una risata sadica, spaventosa. Poi cessò di ridere, aguzzò lo sguardo su di me e mi colpì violentemente in viso, facendomi perdere l’equilibrio e cadere a terra.
Il colpo fu tanto forte e ben centrato, che dopo il dolore iniziale sentii solo la guancia andare in fiamme e pulsare.
Andy si chinò a terra, raggiungendo la mia altezza.
“Non è bello essere presi a schiaffi giusto? Ricordatelo la prossima volta prima di alzare le mani su mia sorella!” ringhiò a pochi centimetri dal mio viso, regalandomi una ventata di alito puzzolente, per poi lasciarmi seduta lì, a pochi passi da casa mia, e sparire nel buio della strada.
Piansi. Faceva freddo per essere maggio, la guancia pulsava, ma non piangevo per il male fisico.
Ero crollata e non solo a terra a bordo strada.
Avevo raggiunto il limite di sopportazione, non riuscivo a stare al passo con quello che mi stava capitando, non ero abbastanza forte da accettare contemporaneamente la distanza, le critiche, la notorietà, i miei genitori e la gelosia contemporaneamente, così mi accucciai su me stessa e piansi per un tempo che sembrava infinito, cercando di pensare solo e soltanto a una scusa buona per giustificare la mia guancia gonfia davanti a mia madre, ma fallendo miseramente.
 
Il giorno dopo, come da copione, aspettai Harry vicino alla fermata dell’autobus.
L’idea iniziale era stata quella di passare una giornata insieme felicemente dopo tanto tempo che non ci eravamo visti, ma i miei occhi gonfi e arrossati, le occhiaie pronunciate, il segno violaceo sul mio viso lasciavano trasparire tutt’altro che felicità.
Avevo fallito, non ero stata abbastanza forte da non lasciarmi travolgere dalle difficoltà che comportava stare con Harry.
E quando vidi la sua auto accostare a pochi passi da me, mi sentii mancare il respiro.
Avevo una voglia matta di rivederlo, ma avevo paura che leggesse il mio stato d’animo ancor prima che potessi baciare le sue labbra e fargli capire quanto mi fosse mancato, perciò tenni lo sguardo basso.
Aprii la portiera ed salii in auto con il cuore in gola, finendo subito tra un paio di braccia forti che mi strinsero con affetto. Le sue braccia.
“Dio, mi sei mancata come l’aria” sussurrò con la sua voce profonda e quella semplice frase detta col cuore mi fece crollare di nuovo. Gli ero mancata, lui era mancato a me, eppure stavo soffrendo per causa sua, per causa nostra. Perché era tutto così difficile? Affondai il viso sul suo petto caldo e cominciai a singhiozzare disperatamente, come se con il pianto potessi cambiare le cose. I miei genitori avrebbero continuato a non accettare la situazione, neanche se avessi riempito un oceano con le mie lacrime avrebbero cambiato idea, le ragazze non sarebbero certo state a debita distanza da Harry solo perché io avevo bisogno che lo facessero, a scuola avrebbero tutti continuato a parlare alle mie spalle e a criticare anche se avessi urlato quanto ciò mi faceva stare male. Loro non sapevano, non capivano, eppure giudicavano.
“Giuli… che succede? P-perché piangi? Cosa c’è?” chiese l’angelo dagli occhi smeraldo seduto accanto a me, cercando di sollevare il mio viso dal suo petto per fare incrociare i nostri sguardi.
Tentai di impedirglielo, agguantando il tessuto della sua maglia verde scuro, ma lui fu più veloce. Mi prese il mento e si lasciò sfuggire un sospiro di sdegno quando notò il segno viola sul mio viso e i miei occhi gonfissimi di lacrime.
I suoi occhi si incupirono, il viso diventò teso e mi guardò con disappunto e tanta rabbia.
“Cos’è successo?” domandò serissimo.
Non riuscivo a parlare, i singhiozzi mi bloccavano, non sapevo cosa dire in realtà. Che avevo schiaffeggiato Christie per un attacco di gelosia? Era vero, non c’erano scusanti e me ne vergognavo.
Harry mi guardava impietrito, un po’ indeciso sul da farsi e optò per l’opzione migliore.
“Io metto in moto, ti porto un po’ con me al cottage che magari ti viene voglia di raccontarmi chi ti ha fatto questo alla faccia”.
Annuii continuando a singhiozzare. Harry però possedeva quell’innata capacità di farmi stare bene solo con la sua presenza e la sua voce. Prese a raccontarmi del tour, della Spagna, della Francia, dell’Italia e io pendevo dalle sue labbra. Non partecipai molto alla conversazione, parlò lui per lo più, ma ascoltarlo mi fece rilassare, tanto che non mi accorsi del viaggio che passava e mi dimenticai presto di tutte le preoccupazioni.
Dall’ultima volta che eravamo stati al cottage, la primavera aveva cambiato nettamente il paesaggio: il verde predominava ovunque, nel prato perfettamente curato da Anne spuntavano tantissime margherite e il sole splendente, non ancora caldo come quello estivo, conferiva alla casetta una luce particolare.
Harry estrasse le chiavi del posto alla tasca dei jeans e ci accomodammo in casa.
Aprì tutte le persiane e fece entrare la luce in quel posticino così accogliente, poi mi guardò e nei suoi occhi ci lessi la determinazione a sapere cosa mi era successo.
Volevo evitare a tutti i costi il discorso, così senza preavviso mi avvicinai a lui, gli tolsi la felpa che già aveva slacciata e cominciai a baciare la lieve scollatura della sua maglia verde.
Mi baciò con dolcezza, ma poi sorrise nel bacio, facendomi staccare dalle sue labbra.
“Se pensi che così non dovrai parlarmi di quello che ti è successo, ti sbagli di grosso!”  sentenziò.
Mi aveva scoperta, così sospirai, mi sedetti sul divano, quel divano pieno di ricordi, e gli dissi la verità.
“E’ stato Andy, ho litigato con Christie e l’ho… come dire, le ho dato uno schiaffo perché stava esagerando. Ho sbagliato io per prima!”
“Non penso che tu abbia fatto una cosa del genere a Christie” affermò indicando il livido che portavo in faccia.
“Perché lo hai fatto?” continuò, sedendosi accanto a me.
“Perché mi ha provocata! Tutti mi provocano Harry, da quando si è sparsa la voce non ho più pace!
I giornali mi danno della ragazzina, ritengono che io non sia abbastanza per te e forse hanno ragione, in più sostengono che abbia più corna di un cervo. La gente mi giudica, li sento parlare alle mie spalle, mi invidiano tutti a scuola perché sto con te, così mi provocano, trovano difetti, controllano ogni mia minima mossa e io non ce la faccio più!” gridai, trattenendo a stento le lacrime che stavano riaffiorando. Harry aveva sbarrato gli occhi, stava fermo immobile al mio fianco senza proferire parola, così continuai a parlare.
“In casa è un inferno, ti odiano capisci? Non accetteranno mai il fatto che ti amo più di me stessa e che voglio stare con te, non lo capiscono questo. E tu non ci sei Harry, vedo le tue foto alle feste, parlo con te al telefono, ma come posso stare tranquilla? Sei distante da me costantemente e per me è diventata un’agonia, lo so che ti avevo promesso che ce l’avremmo fatta, ma non so quanto possa ancora sopportare tutto questo, davvero” sospirai, lasciandomi di nuovo travolgere dalle lacrime.
Sentii Harry alzarsi dopo qualche secondo, così lo guardai e capii il danno che avevo fatto nel dirgli quelle cose. Aveva lo sguardo triste perso nel vuoto, la fronte corrugata, le mani stese lungo i fianchi e gli occhi lucidi. Mi guardò e mi sentii morire, mi stava uccidendo con gli occhi.
“Mi stai lasciando” sussurrò.
Trasalii. Non era una domanda. Ero stata una stupida, dicendo quelle cose lo avevo indotto a pensare che sarei stata meglio senza di lui, quando invece non avevo mai preso in considerazione l’idea di lasciarlo.
“No, non era quello che volevo…”
“Mi sembra l’unica soluzione ai tuoi problemi!” gridò allargando le braccia e facendomi spaventare.
“Non ho detto questo…”
“Non l’hai detto ma me l’hai fatto capire! Cazzo Giulia, il tuo unico problema sono io, lo sai che è così! Sono solo un egoista a costringerti a sacrificare la tua vita in questo modo per me”.
Vidi una lacrima scendere dal suo viso e in quel momento mi odiai come mai mi ero odiata prima.
Non volevo perderlo, ma avevo pensato veramente che dire quelle cose avrebbe portato a una soluzione diversa. Ma quale? L’unico modo per riavere la mia tranquillità era lasciare la cosa più bella che mi fosse capitata e che stava piangendo per me.
Mi alzai  lo raggiunsi in mezzo al salotto, ma non lo sfiorai nemmeno, per paura che potesse cadere a pezzi. Non lo avevo mai visto così affranto, nemmeno quando suo padre se n’era andato di casa i suoi occhi avevano preso quella piega.
“Scusami. E’ stato uno sfogo inutile che non avrei mai dovuto fare. Harry non pensare neanche lontanamente che io ti voglia lasciare”
“Davvero? L’ho pensato, eccome, e penso anche che sarebbe meglio per te” affermò serio con la voce rotta, abbassando lo sguardo. Fui io quella a spaccarmi a metà, poi ancora e ancora, potevo sentire il mio corpo frantumarsi sotto il peso di quelle parole.
“N-non lo dire, ti prego, d-dimenticati quello che ho detto! Harry, guardami!” lo supplicai.
Alzò il viso e mi fece affogare nel mare di lacrime che stavano scendendo dai suoi occhi.
Feci un paio di passi tremando come una foglia e lo strinsi a me, maledicendomi all’infinito.
In quel preciso istante, mentre stringevo il suo corpo caldo e scosso dal pianto, mi resi conto dell’infinito bisogno che avevamo uno dell’altra. Come avevo potuto pensare di arrendermi? Io senza di lui non sarei più stata nulla. Gli accarezzai i riccioli, accostandomi con le labbra al suo orecchio.
“Non volevo lasciarti e non voglio che lo faccia tu. Scusami, scusami tanto, sono una persona pessima” sussurrai con un filo di voce.
Harry mi prese il viso tra le sue mani e mi baciò con trasporto, come se da quel bacio dipendesse la sua salute, come se potessi fermare le lacrime che rigavano il suo bellissimo viso, poi parlò.
“Come puoi anche solo pensare di non essere abbastanza per me? Dio Giulia, sei così ingenua” .
Il cuore prese a scalpitare nel mio petto. Aveva ragione, ero un’ingenua, avevo dato retta alle opinioni di gente che di noi due non sapeva nulla.
Ripresi a baciarlo, dolcemente, mentre lui mi accompagnò con il corpo fino al divano.
Ci baciammo a lungo quel giorno, ci stringemmo l’uno all’altra e accarezzammo i nostri corpi, cercando di rimarginare le ferite, di far sparire la rabbia e di colmare almeno un po’ il vuoto che aveva creato la distanza, completandoci come solo lui ed io sapevamo fare, come avevamo sempre fatto. 

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Capitolo 16
*** Dolore ***


Dormire con la consapevolezza che la mattina seguente avrei rivisto Harry, fu una sensazione fantastica. Mi svegliai immersa in una sorta di limbo, una sensazione di pace e serenità mista al forte desiderio di abbracciare il mio ragazzo, desiderio che avrei soddisfatto di lì a poco.
Harry si sarebbe fermato ancora un paio di giorni e avevamo deciso di passare la domenica come una coppia “normale”, facendo un bel giro al centro commerciale assieme a Hope e Mike.
Non era stata propriamente una mia decisione: uscire insieme pubblicamente, con i fotografi in agguato ad aspettarci, un bodyguard alle calcagna, la gente che ci avrebbe osservati, le fan che avrebbero accerchiato Harry per ricevere un autografo. No, tutto ciò non era una prospettiva allettante.
Harry però aveva insistito dicendo che non dovevo dare peso ai giornali, ai commenti su internet e al giudizio della gente e sostenendo che quell’uscita avrebbe fatto bene ad entrambi.
Io non ero della solita idea, ma avevo accettato la proposta a condizione che ci fossero Hope e Mike con noi. Accettai soprattutto perché mi sentivo terribilmente in colpa per averlo fatto piangere a causa del mio sfogo.
Mentre mi sistemavo i capelli, già avvolta nel mio golfino di cotone e in un vestitino primaverile a motivi floreali che non mi ero mai messa addosso, pensai all’accaduto del giorno precendente.
Se un anno prima mi avessero detto Harry Styles ha pianto per una ragazza mi sarei messa a ridere.
Harry era cambiato tanto, era tornato ad essere il ragazzino sincero e divertente che conoscevo io, non più il cantante famoso e desiderato da ogni singola creatura di genere femminile. Sapere di essere stata la causa principale del suo cambiamento mi faceva sentire al settimo cielo. Non avevo mai creduto di poter essere tanto importante per qualcuno e il sapere che quel qualcuno era lo stesso ragazzo che amavo alla follia, mi dava una felicità troppo grande per essere quantificata e mi portava ad amare Harry ancora di più, incondizionatamente. 
Per quanto avessi dubitato di poter trascorrere una bella giornata in quel centro commerciale, alle cinque del pomeriggio, mentre eravamo tutti e quattro seduti a bere un tè in un bar, dovetti riconoscere che Harry aveva avuto ragione a dire che ci avrebbe fatto bene uscire.
Eravamo stati fermati da svariate fan, la gente ci osservava curiosa, ma eravamo riusciti a stare bene, divertirci e fare un po’ di shopping.
Nel bar c’erano poche persone e i presenti sembravano non curarsi troppo della nostra presenza.
Mike stava mostrando a Harry il funzionamento di un aggeggio per il computer che aveva appena comprato, mentre io e Hope stavamo commentando il look trasgressivo della nostra professoressa di ginnastica, per poi finire a parlare dei nostri esami imminenti.
“Smettetela di parlare di scuola, mi fate venire l’ansia!” ci accusò Mike.
“Beh, io a differenza tua ci tengo alla mia istruzione!” commentò Hope, facendomi ridere.
“Mi stai dando dell’ignorante?” chiese lui a sua volta con un espressione da finto offeso sul volto.
“Non potrei mai, Einstein!”
Finirono col punzecchiarsi a vicenda per cinque minuti buoni. Io e Harry ridevamo, divertiti dal loro battibecco, finché il mio sguardo non si posò su un tizio vestito di nero con una macchina fotografica in mano che ci stava osservando da fuori, attraverso la parete a vetri del bar.
Harry seguì il mio sguardo e si accorse della presenza del paparazzo. Poi sfoggiò il suo sorriso enigmatico, quello provocante e divertito al tempo stesso, lasciandomi intuire che aveva in mente qualcosa.
“Cosa ha partorito stavolta la tua mente malefica? Mi fai paura quando ridi così!” dissi appoggiandogli una mano sul ginocchio da sotto il tavolo.
“Niente di malefico, stavo solo pensando che forse potremmo dare a quell’uomo quello che vuole”
Lo guardai stupita e preoccupata allo stesso tempo, aspettando che si spiegasse meglio.
“Se io ti baciassi come si deve, un bacio di quelli seri intendo, il tizio là fuori avrebbe una bella foto scoop e, che ne so, potrei mettere a tacere qualche voce indiscreta che dice che ti ho tradita!”
Sbarrai gli occhi, poi scossi la testa. Sentire pronunciare da Harry la parola tradimento aveva per un attimo fatto riaffiorare la mia gelosia nei suoi confronti, che ormai era diventata una costante della mia esistenza con cui avevo imparato a convivere. Sapevo come sopprimerla, ripetendo ogni qual volta che ce ne fosse il bisogno che dovevo fidarmi del mio ragazzo come lui si fidava di me.
In quel momento però mi colse un’altra sensazione: mi sentivo terribilmente a disagio e no, non volevo finire su qualche copertina gossip. Ancora.
“E secondo te un bacio farebbe scomparire le voci?” gli chiesi poco convinta.
“No, ma voglio baciarti adesso e voglio che il mondo sappia che bacio solo te in questo modo”
Non mi lasciò replicare e si impadronì delle mie labbra, lavorandole per bene con le sue, per poi giocare di lingua e stringermi possessivamente la vita. Se solo avesse sentito il brivido che mi attraversò da capo a piede sarebbe congelato: ogni suo bacio per me era inebriante come il più dolce e raffinato champagne.
Mi lasciai andare a quel bacio così passionale ed intenso, solo con Harry avevo provato cosa voleva dire essere baciata in quel modo, quindi lo lasciai fare seguendo le sue mosse e non mi preoccupai minimamente del fotografo, di Hope e Mike che avevano appena finito di battibeccare e di tutto il bar che ci stava osservando.
Harry mi lasciò respirare dopo qualche secondo e mi sorrise soddisfatto. 
Io invece arrossii violentemente quando mi resi conto dello spettacolo che avevamo appena dato a vedere.
Hope stava sogghignando con fare ironico, intuendo il mio disagio.
“Ora sarai soddisfatto Styles, ci stanno guardando….mmm tutti?” sussurrai a Harry con tono di disappunto, ma lui in risposta rise di gusto.
“Siete quasi carini” la vocina divertita di Hope mi irritò.
“Il quasi è dovuto a lei” ridacchiò Harry indicandomi e in risposta si prese una gomitata nello stomaco.
Alzai gli occhi al cielo e mi resi conto che si stava facendo tardi e avevo promesso a mia madre che sarei tornata per cena.
“Signor modestia, che ne dice di riportarmi a casa?”
Harry mi sorrise e annuì. Uscimmo dal centro commerciale e, una volta arrivati al parcheggio dove un bodyguard a me sconosciuto ci stava aspettando in auto, salutammo Hope e Mike ringraziandoli della bella giornata.
Stavo ancora sventolando la mano in loro direzione quando successe l’inaspettato.
Vidi il terrore negli occhi di Hope che si sbarrarono, il mio nome uscì in un grido disperato dalle sue labbra. Ebbi il tempo di sentire un cigolio di freni e guardare Harry di spalle, a pochi passi da me, poi sentii il colpo.
Dolore. Quello che percepii dopo fu solo quello. Si impadronì di ogni viscera del mio corpo prima di oscurare completamente la mia vista, i miei sensi e farmi sprofondare nel buio più totale.
 
 
 
Da bambina, mi era successo molte volte di svegliarmi in un letto che non fosse il mio, magari quello che usavo quando andavo a trovare mia nonna o quello di qualche albergo al mare dove avevo passato una vacanza con la mia famiglia. Mi svegliavo, pensando di essere sul mio abituale materasso e mi trovavo spaesata, costatando di essere da tutt’altra parte, passando svariati secondi di confusione per poi realizzare la situazione effettiva.
Il mio risveglio quella volta fu analogo.
Solo che non mi stavo svegliando da un semplice sonno. Stavo riemergendo letteralmente da un baratro profondissimo e mi sentivo chiusa in una bolla opprimente, che mi impediva di riprendere contatti diretti con l’ambiente circostante. La testa pulsava, i neuroni però non si erano messi in moto. Avevo gli occhi aperti, ma non vedevo, sentivo voci attorno a me, ma non ascoltavo, percepivo un fastidio insopportabile ad ogni singola parte del mio corpo, ma non fiatavo.
Un paio di occhi verdi, inconfondibili, magnetici, mi diedero una scossa potentissima che scacciò via tutto il torpore e lo stato di trance in cui mi trovavo, e fecero dissolvere la bolla in cui ero rinchiusa. Allora presi parziale coscienza della situazione.
Realizzai di trovarmi in un letto di ospedale, in una cameretta dalle riluttanti pareti giallo limone.
Mi resi conto che le voci che avevo percepito senza sentirle realmente erano quelle di mia madre e mia sorella, alla mia destra, che stavano dicendo cose sconnesse.
“Giulia, dicci qualcosa, amore come ti senti? Giu?” le loro parole cominciarono a prendere forma e ad avere un senso, ma non risposi subito. I miei occhi caddero di nuovo alla mia sinistra, per scontrarsi di nuovo con quel verde brillante. Harry. Il mio cuore sembrò riprendere vita.
Come ferro attratto da una calamita, cercai di allungare le mie membra alla ricerca di un contatto con lui, che mi stava fissando con due occhi e un sorriso che si potevano solo che definire preoccupati.
Appena cercai muovere il mio braccio verso di lui fui tagliata a metà da un dolore mai provato prima, talmente forte da impedirmi addirittura di urlare. Il grido che avrei voluto lanciare si blocco nel mio petto e fui costretta ad ingoiarlo. Male fisico, non ne avevo mai sentito così tanto ed era talmente intenso che non riuscii a individuare il punto del mio corpo da cui si propagava.
E quella sensazione atroce mi svegliò completamente, riportandomi violentemente a contatto con la realtà. Incrociai gli occhi di mia madre, gonfi di lacrime e spaventati.
“M-mamma” articolai e subito la donna che stava davanti a me posò le sue labbra sulla mia fronte.
Anche Cindy mi baciò amorevolmente il viso, attutendo un po’ la terribile sensazione di prima.
La testa mi girava, ma ripresi il comando totale del mio corpo, che non avevo il coraggio di muovere o guardare, per paura di essere travolta di nuovo da quella morsa insopportabile.
Mi voltai leggermente alla mia sinistra reclamando quei due pozzi smeraldini che mi avevano riportata in vita pochi secondi prima, il gancio a cui mi ero appigliata per riemergere da quel baratro nero. E i suoi occhi erano lì. Lui era lì e mi stava guardando in un modo a me sconosciuto.
Terrore, preoccupazione, dolore, affetto, leggevo tutto questo dietro ai suoi occhi vividi e il suo leggero sorriso compassionevole.
“Harry” sospirai, cercando di nuovo di muovere le mie membra verso di lui.
Dolore atroce. Ancora. Più forte di prima.
Un gemito scappò dalle mie labbra, gutturale, agghiacciante da ascoltare persino per me.
Una mano enorme e allo stesso tempo così aggraziata si posò sulla mia guancia.
“Sono qua Giuli, non me ne vado” sussurrò, lasciandomi intuire dal suo bisbiglio che voleva che solo io sentissi quell’affermazione.
Non so per quanto mi persi a guardarlo, finché mia madre non attirò la mia attenzione.
“Come stai cara? Come ti senti?” il suo tono così apprensivo e preoccupato, Cindy che mi guardava come se stesse per assistere al mio funerale, mia madre che evidentemente aveva pianto, Harry totalmente spaesato e affranto, tutta la situazione mi lasciava intuire che mi dovesse essere successo qualcosa che ancora non avevo afferrato. Così mi concentrai. In un momento capii il dolore lancinante da dove provenisse ed ebbi un tuffo al cuore.
Con una paura folle di ciò che avrei potuto vedere abbassai lo sguardo sul mio braccio sinistro, precisamente sulla mia mano. Una benda spessissima vi era arrotolata attorno, nemmeno un dito fuoriusciva dalla fasciatura, che continuava fin sopra al gomito.
Mi accorsi di indossare una sorta di camicia da notte totalmente bianca non mia, che si intonava anche troppo all’ambiente ospedaliero.
Ignorai per un attimo il fastidio che mi dava l’ago piantato nell’altro braccio, i cerotti che sentivo chiaramente presenti sul mio viso, il mal di testa allucinante e posi la mia attenzione sul mio braccio sinistro. Provai a muoverlo e di nuovo mi sentii lacerare dal male.
Un’infermiera di mezza età, che probabilmente era già presente da un po’ nella stanza senza che io l’avessi notata, si precipitò al mio fianco.
“Signorina, non credo sia il caso di muoverlo troppo” mi consigliò, indicando il mio braccio.
“Che… c-cosa mi è successo?” la voce mi tremava così come tremava il mio corpo.
Non volevo sapere cosa si celava sotto quella benda e notai che tre paia di occhi si stavano scrutando per decidere chi dovesse mettermi al corrente della situazione.
Guardai Harry disperatamente, sperando che dicesse qualcosa, qualsiasi cosa, invece si limitò a toccarmi la spalla, sfiorandomi con le sue dita morbide.
Notai mia madre fulminarlo con lo sguardo e solo allora realizzai il clima di tensione che si respirava in quella camera. Un precedente confronto tra Harry e mia madre era la cosa più logica a cui potessi pensare: qualunque cosa fosse successa, Harry era a pochi passi da me, lo ricordavo perfettamente, e mia madre non poteva che aver preso male la cosa, già lo intuivo.  
Alla fine, fu proprio lei a parlare.
“Un ubriaco tesoro. Ha s-sbandato e ha tentato di frenare. Ti ha investita e…” si fermò, cercando tacito aiuto da Cindy. Il cuore si arrestò quasi, non volevo sentire il seguito per paura che corrispondesse con l’idea che mi ero fatta mentalmente.
Cindy sostituì mia madre nel racconto.
“Dopo l’impatto sei… insomma, in quel momento ti trovavi vicino a un guard rail del parcheggio, Dio solo sa perché mettano un guard rail di ferro come divisorio in un parcheggio ma… ecco… il tuo braccio, la tua mano, sono rimasti intrappolati tra il ferro e la carrozzeria della macchina.” Cindy prese un respiro profondo, poi continuò: “il polso si è rotto e, il ferro o forse la carrozzeria, non so” un sospiro “la tua mano è…”
Non riusciva a concludere la frase, ma l’infermiera di poco prima lo fece per lei.
“Abbiamo dovuto cucire. I tendini non hanno subito danni, ma la ferita è piuttosto profonda.”
Mia madre fece un no con la testa, lasciando intuire all’infermiera che potesse bastare.
E bastava. Eccome. Non credevo di poter provare un dolore interno più forte di quello fisico eppure successe. Il polso rotto, la mano lacerata. Chiusi per un attimo gli occhi e vidi i tasti di un pianoforte.
Tremavo come una foglia. Sentii il mio stomaco contorcersi e qualcosa dentro di me andare in frantumi come un cristallo caduto dal terso piano di una palazzina.
“N-no” sibilai, prima di sentire il mio cervello scoppiare, la disperazione più profonda impadronirsi di me e mi miei occhi riempirsi di lacrime. Non piansi però, era troppo banale esprimere in pianto quello che mi stava succedendo dentro.
“Mi dispiace tesoro” singhiozzò mia madre, che non era riuscita a trattenere le lacrime.
Mi prese la mano buona e l’accarezzò, ma io non sentivo nulla.
E  se avevo creduto che il mio risveglio fosse paragonabile alla risalita da un baratro, in quel momento sprofondai nel buco nero più oscuro e infinito che potessi immaginare.
Un paio di occhi verdi mi stavano osservando affranti, ma mi resi conto che il loro appiglio non sarebbe bastato quella volta. Interruppi il nostro scambio di sguardi e fissai un punto indefinito sul muro giallo per un tempo che sembrava un secolo.
Non riuscivo a formulare pensieri logici, a dare un nome al vortice di dolore che si impadronì di me.
Vedevo solo il mio futuro sgretolarsi lentamente e con esso la mia felicità.
In quel momento implorai, pregai, che Dio,il destino, la sorte mi riportassero indietro nel tempo e si prendessero un’altra parte di me, una qualsiasi che non fossero le mie mani. Perché non riuscivo nemmeno a pensare a me stessa lontana dalla musica, lontana da quei tasti che mai mi avevano abbandonata da quando avevo imparato a maneggiarli con cura.
Una lacrima sola mi scese bollente sulle guance, subito raccolta da un polpastrello gentile.
Mi voltai e guardai Harry di nuovo.
La consapevolezza che sarebbe ripartito lasciandomi sola a sopportare quella mancanza, a convivere senza il mio amato piano e a dover dire addio ogni singolo giorno ai miei progetti futuri, mi assestò il colpo finale. Così mi nascosi il viso con la mano buona e cominciai a singhiozzare sonoramente, urlando a tutti di uscire da quella stanza.
A tutti, anche a quel paio di occhi sublimi. Anche a lui.

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Capitolo 17
*** Certezza ***


Care lettrici,
innanzitutto un grazie speciale a tutte coloro che hanno inserito questa storia tra le seguite/preferite/ricordate e per le visite così numerose.
E’ la mia prima storia e per me ricevere le vostre recensioni così belle è qualcosa di nuovo e molto appagante, in quanto non pensavo realmente che qualcuno potesse affezionarsi a Red Dress.
Siamo agli sgoccioli però, ai capitoli finali.
Abbiate ancora un po’ di pazienza, non mi abbandonate proprio all’ultimo e continuate a recensire/seguire la storia!
Grazie ancora, dal cuore, soprattutto alla mia fan numero uno: Ga_DjMalik, non finirò mai di ringraziarti per avermi convinta a pubblicare.
Detto ciò, 
Buona lettura a tutti!
 
 
 
Martedì. Erano passati due soli giorni e io stavo varcando la porta di casa mia, il braccio legato al collo con un foulard grigiastro, il gesso che pesava fastidiosamente e la mano avvolta da bende che sembrava non fare parte del mio corpo. Avrei giurato che fosse così, che sotto quell’involucro bianco non ci fosse veramente la mia mano, se non fosse stato per le fitte che mi procurava.
Era stato un viavai continuo all’ospedale il giorno prima: compagni di scuola, Hope, Mike, i miei nonni, mia cugina Ruth, anche Gemma e Anne.
Faceva male vedere Anne così premurosa nei miei confronti quando mia madre non si era risparmiata dal disprezzare Harry con tutta sé stessa.
Lui non aveva lasciato un secondo il mio fianco sinistro: anche se lo avevo cacciato era ritornato un’oretta dopo, da solo, con in mano due cappuccini caldi.
E mi ero insultata da morire per avergli urlato contro così duramente. In meno di quarantotto ore Harry mi dimostrò ancora una volta che ragazzo fantastico fosse.
Si era lasciato accusare da mia madre per l’accaduto senza battere ciglio (Cindy me l’aveva confessato in uno dei pochi momenti in cui lui non era nella stanza), mi aveva tenuto compagnia per delle ore intere senza mai alzarsi da quella sedia, non trattandomi nemmeno una volta come facevano tutti gli altri, che provavano pena, che mi chiedevano ogni cinque secondi come mi sentissi, costringendomi a rispondere “bene”, anche se avrei voluto urlare il contrario. Harry, nonostante la mia apatia, non mi lasciò per un attimo. Lui sapeva che era inutile chiedere, inutile parlarmene, così si limitava a farmi chiacchierare di altro, riuscendo perfino a non farmi pensare alcune volte, ma in cambio da me non riceveva nulla.
Mi dispiaceva non riuscire ad esprimere a parole la gratitudine nei suoi confronti, ma, sul serio, non ero in grado di reagire all’accaduto in nessun modo, se non in quello sbagliato.
Ogni qual volta cercavo di convincermi che sarebbe tutto tornato normale, con il tempo certo, pensavo ai miei esami per entrare all’accademia. Non avrei potuto darli, i miei mesi di sacrificio e lavoro erano stati inutili: niente più piano, niente più borsa di studio.
Provavo rabbia, nervoso, voglia di spaccare tutto, non riuscivo a farmi una ragione dell’accaduto e diventai fredda, scostante, apatica e perennemente incazzata col mondo.
Con queste sensazioni a corrodermi, misi piede in casa mia, accompagnata da Cindy e Hope, che era appena tornata da scuola e si era offerta di rimanere un po’ con me.
Harry sarebbe ripartito il giorno seguente e in quel momento, alle due di pomeriggio, stava probabilmente attaccato al cellulare a sistemare i suoi impegni di lavoro.
Gli avevo detto di andarsi a riposare un po’, ma sapevo che non l’avrebbe fatto nonostante trasudasse stanchezza da tutti i pori. La sua vita era una continua frenesia e aveva spento volutamente il cellulare nei tempo trascorso con me in ospedale, per rimandare a un altro momento le chiamate e gli impegni che lo assillavano.
Salii le scale alla svelta, non rivolgendo di proposito lo sguardo verso il soggiorno, seguita da Hope che accelerò a sua volta il passo. Arrivai in camera e mi sdraiai sul letto, avvolta di nuovo nella mia bolla apatica che mi circondava da due giorni. Hope si fermò sullo stipite della porta. Conoscevo quello sguardo, quando la mia amica biondina faceva quella smorfia significava solo una cosa: rimproveri in arrivo.
“Non vorrai mica che dopo venga Harry qui e ti trovi in questo stato vero? Con quella faccia a funerale! Adesso ti alzi” ordinò avvicinandosi al letto “vieni con me in bagno” mi tirò per il braccio sano e mi costrinse a seguirla strappandomi un mugolio “e ti dai una bella sistemata”.
Mi stupii ancora una volta della grinta di quel corpicino. Il suo tono non era severo, ma non ammetteva repliche. Mi ritrovai rinchiusa nel bagno con l’ordine tassativo di “farmi bella”.
Appena realizzai che sarebbe stato impossibile entrare nella doccia con il gesso al braccio e una mano totalmente inutilizzabile, sospirai affranta e riempii la vasca di acqua calda.
Lavarsi fu peggio che combattere una guerra mondiale. Le abrasioni che mi erano rimaste sul viso e sulle ginocchia bruciavano, il braccio dolorante lo misi al sicuro dall’acqua appoggiandolo sul bordo della vasca e feci una fatica immensa a insaponarmi, sciacquarmi e asciugarmi con un solo arto a disposizione, rinunciando in partenza all’idea di lavarmi i capelli.
Finito il mio bagno, cercai disperatamente di ignorare il mio mal di schiena e scesi a cercare Hope. Mi si gelò il sangue quando arrivai al piano di sotto. Non feci caso alla mia amica che mi invitò a sedermi accanto a lei sul divano per sfogliare insieme la nostra rivista preferita, non mi accorsi di mio padre, seduto in poltrona, che mi chiese se avevo bisogno di un antidolorifico, semplicemente guardai il mio adorato piano e mi sentii perforare da una lama, da parte a parte.
Stavo per crollare di nuovo, ma Hope non mi lasciò il tempo di pensare. In un attimo fu al mio fianco, mi trascinò con lei sul divano e cominciò a parlare senza sosta di alcuni attori che spuntavano dalla rivista.
Rimanemmo da sole in casa. Mio padre uscì per il lavoro, mia madre andò a fare spesa e mia sorella sparì semplicemente fuori dalla porta, senza dare spiegazioni
Hope, dopo svariati tentativi, riuscì perfino a farmi sorridere, come succedeva ogni volta che aprivamo quel giornaletto stupido.
“Un test che rivela se il tuo stile è vintage, retrò, da Holliwood’s star o casual” lesse ad alta voce la mia amica, non trattenendo un risolino divertito.
“Andiamo, si vede no che sono una star di Holliwood no?” ironizzai, ridendo a mia volta.
“Certo come no! E il fidanzato famoso non ti manca”
Hope mi fece l’occhiolino e si prese una leggera pacca sul ginocchio come risposta.
In quel momento il campanello suonò. Lei si alzò prima di me.
“Vado io!” annunciò, saltellando verso l’ingresso.
“Oh Harry, stavamo giusto parlando di te!” cinguettò.
Sentii quelle parole e, di colpo, scattai in piedi.
Aveva avuto il coraggio di bussare con il rischio che aprisse mia madre, non curandosene per nulla, tipico di Harry.
Raggiunsi l’ingresso e vidi il mio riccio preferito appoggiato allo stipite della porta. Bello, bello da mozzare il fiato anche solo con una t-shirt bianca e un paio di jeans.
“Cosa stavate dicendo di interessante che mi riguarda?” chiese ammiccando nella mia direzione.
Era impressionante come, dopo due giorni in cui a malapena riuscivo a rivolgergli la parola in maniera gentile, lui non si fosse per nulla irritato; capiva meglio di chiunque la situazione e questo mi portava ad amarlo ancora di più, nonostante una parte del mio ego non voleva che se ne tornasse via, che continuasse a vivere il suo sogno, cantare, mentre il mio dei sogni era stato spazzato via da un ubriaco alla guida. La verità? Ero invidiosa, arrabbiata, pretendevo egoisticamente che lui mi stesse accanto invece di continuare a vivere la sua vita. Avevo torto a comportarmi così, lo sapevo, e solo il mio amore nei suoi confronti riuscirono a farmi mantenere la lucidità, a non sputargli in faccia ciò che avevo dentro.
Gli sorrisi in modo beffardo e mi avvicinai alla porta.
“Stavamo commentando qualche bel fisico scolpito su un giornale, sedute comodamente sul divano” lo provocai.
“Scusate se vi ho interrotto allora, posso andarmene” tentò di allontanarsi, ma Hope lo fermò.
“Tu non vai da nessuna parte, sono io quella che se ne và. Ciao piccioncini!” ci salutò saltellando fuori da casa mia. Anche io volevo che Harry rimanesse, ma non era necessario che Hope se ne andasse, così “Non serve che vai” annunciai, facendola voltare.
“Sarei andata comunque, Mike mi aspetta al solito bar. Statemi bene” detto ciò si incamminò voltandoci le spalle.
Guardai la figura di Hope allontanarsi mentre una mano calda si posò sul mio viso, molto vicino a un’escoriazione che avevo su uno zigomo, perciò sussultai.
Harry mi guardò spaventato.
“Scusa, ti ho fatto male?” la sua voce roca un po’ impaurita mi fece tenerezza.
“No, figurati. Vieni dentro” lo invitai, facendomi da parte.
“C’è tua madre? Perché già ho rischiato una porta in faccia quando ho bussato, non vorrei prendere in testa qualche pentola” scherzò e mi strappò una risatina.
“No scemo, siamo soli!”
La mia affermazione lo fece sorridere, con il suo sorriso enigmatico e sensuale.
Entrò finalmente in casa e si chiuse la porta alle spalle.
Si chinò verso un mio orecchio e, con quella voce che mi faceva perdere la testa, sussurrò: “Per soli, intendi che non che non c’è proprio nessuno?”
Una scossa elettrica, potentissima, mi attraversò. Deglutii a fatica e annuii.
In un secondo mi ritrovai sollevata da terra da due braccia forti. Gemetti perché il mio corpo era ancora indolenzito, forse troppo, ma con un gesto meccanico attorcigliai le mie gambe attorno alla sua vita. Harry si accorse della mia smorfia di dolore.
“Devo ricordarmi che sei stata investita da un’auto, imponimi di ricordarmelo” proferì serio.
Non ebbi tempo di annuire, che si avventò sulle mie labbra, per poi salire al piano di sopra.
Sapevo che sarebbe stato delicato in ciò che stava per fare, quello di cui non ero certa era se avrei  comunque resistito. Già da quella posizione sentivo dei dolori insopportabili alla schiena e il braccio mi faceva male, un male cane.
Mi pentii di non avere accettato un antidolorifico da mio padre.
Il mio corpo implorava pietà, ma allo stesso tempo avevo voglia di Harry, soprattutto sapendo che non l’avrei visto per un po’.
Lui non sembrò accorgersi della mia espressione dolorante, aprì la porta della mia stanza, la richiuse alle sue spalle con notevole agilità e mi adagiò piano sul letto, si tolse le scarpe e lo stesso fece con le mie, poi si posizionò sopra di me.
Incrociai i suoi occhi pieni di eccitazione, la sentivo, la percepivo chiaramente, non solo dal suo sguardo.  
In quell’istante feci forza a me stessa: non dovevo rovinare quel momento, dopo quei tre giorni infernali ce lo meritavamo in fin dei conti, lui soprattutto.
Harry non fece gravare troppo il suo peso sul mio facendo leva sulle sue braccia, e mi baciò ovunque, lievemente, come se fossi fatta di cristallo.
Sul mio viso c’erano ancora dei segni evidenti di quello che mi era successo, ma lui li schivò con cura, non sfiorandoli mai. Volevo ricambiare quelle attenzioni, così con il braccio sano cominciai a sfiorargli il petto, da sopra la maglietta fin troppo fine.
Harry pensò bene di togliersela, lasciandomi ancora una volta ammaliata dalla sua bellezza. Ripresi ad accarezzare quel corpo, prima il tatuaggio delle rondini sul petto poi quello della farfalla sull’addome. Lo sentii rabbrividire e feci un sorrisino soddisfatto: ancora non mi capacitavo di come potessi avere quell’effetto su di lui.
Prese ad armeggiare con i miei jeans, togliendoli in una sola mossa. Mi fece stringere i denti. Le mie ginocchia erano sbucciate, probabilmente in seguito alla mia caduta rovinosa a terra, e bruciavano. Harry si accorse di avermi procurato dolore e mi baciò subito.
“Scusa” un bacio “scusami” un altro bacio.
“N-non importa. Non fermarti” azzardai a dire, nonostante anche il mio braccio mi implorasse di alzarmi, andare in bagno e prendere qualcosa di calmante dal mobiletto dei medicinali.
Ignorai le richieste del mio corpo e con la mano destra cercai di sganciare la cintura dei suoi pantaloni.
Ogni tentativo fu vano, così Harry mi aiutò, sorridendomi dolcemente prima di stamparmi un altro bacio. Avevo tanta voglia di lui quanta ne avevo di piangere e mettermi a gridare.
Ribaltò le posizioni con poca grazia. Dolore alla schiena, al braccio, ovunque.
Ancora una volta mi imposi di non farci caso, ma quando le sue mani andarono a sfilarmi la maglietta, facendomi sollevare le braccia in un movimento troppo azzardato della mano e della schiena, che si inarcò, cacciai un grido.
Harry lasciò il tessuto, che ricadde sul mio corpo, per poi guardarmi con aria preoccupata.
Abbassai lo sguardo e con la mano sana andai a massaggiarmi la schiena che mi dava delle fitte insopportabili.
“Giuli, basta così,forse è meglio…”
“No cazzo!” urlai “Io voglio averti, almeno una volta, prima che te ne vada! Perché tu tra poche ore te ne andrai giusto? E io rimarrò più sola di come mi sentivo le altre volte!”
Mi scostai dal suo corpo, alzandomi in piedi.
Le lacrime cominciarono a scendere incontrollate, il dolore alla mano si amplificò e il mio cuore subì un altro durissimo colpo quando mi accorsi che Harry mi stava guardando sconvolto. Ancora una volta gli avevo urlato contro, me l’ero presa con lui di nuovo.
Mi sedetti in fondo al letto e mi lasciai trasportare dai singhiozzi, pregando che Harry si smaterializzasse e non mi vedesse piangere così.
Invece lui c’era. Si alzò in piedi, si chinò davanti a me che tenevo la testa bassa e mi prese la mano, l’unica che poteva stringere.
“Lo so che non stai piangendo solo perché non faremo l’amore oggi pomeriggio. Non ti dico di smettere di piangere perché è inutile, quindi sfogati finché hai bisogno, ma non te la prendere con me, perché io non riesco a capire cos’hai nei miei confronti da essere così fredda e distaccata.”
Mi lasciò la mano e riprese, alzando la voce “Anche a me sai sarebbe piaciuto averti, ma non per farmi una sana scopata, ma perché in questi due giorni non avevo più avuto l’onore di essere trattato con dolcezza da te!”
Il suo tono era fermo e la sua espressione irritata. Le sue parole, così tremendamente vere, mi fecero capire che se avessi continuato a rovinare i pochi momenti che avevamo a disposizione per noi due, prima con le mie scenate di gelosia e le continue lamentele, poi con quello che mi era capitato, avrei finito per perderlo.
Il senso di colpa mi attanagliò il ventre. No, io forse non era giusto che vivessi quella situazione di merda, ma nemmeno Harry meritava il mio modo di fare.
Volevo chiedergli scusa, abbracciarlo, ma rimasi immobile. Era ancora chinato davanti a me, lui per terra e io seduta sul letto, lui senza maglia e io senza jeans, quando parlò di nuovo.
“Ti ho vista finire contro quel guard rail, ho visto il sangue e… quando sei svenuta pensavo…” la voce di Harry si spezzò e allora lo guardai. Era terrorizzato al ricordo, aveva avuto paura di perdermi, invece io ero tanto egoista da non accorgermi del suo amore nei miei confronti, di come, inevitabilmente, stavo rovinando tutto tra noi. Avevo giurato a me stessa che non sarebbe successo.
Lo avevo fatto piangere per colpa delle mie insicurezze, mi rimasto accanto in una tristissima camera di ospedale per ore e ore, e io? Lo avevo trattato come poco più di un conoscente, urlandogli persino contro.
Stupida. Ero una stupida egoista. Lo capii solo in quell’istante quando vidi i suoi occhi spegnersi.
Era stufo della situazione, visibilmente, e tramavo al pensiero che potesse essere stanco anche di me.
Gli presi il polso e lo tirai verso il mio corpo, costringendolo ad alzarsi e alzandomi a mia volta.
Lo abbracciai come potevo, con un solo braccio, e affondai il viso sul suo petto caldo, sulla sua pelle morbida. In quel momento il dolore fisico passò in secondo piano, perché mi accorsi che Harry se ne stava immobile, non accennando a ricambiare la stretta.
“Scusami” singhiozzai “Sono stata una stronza egoista in questi giorni. Hai passato una pausa dai concerti di merda ed è solo colpa mia, prima ti ho assillato con le mie paranoie, poi è successo tutto questo casino e ti ho anche trattato male” alzai la testa dal suo petto e cercai il suo sguardo.
Lo trovai e avrei preferito non vederlo. Era deluso, ma non arrabbiato e questo in parte mi sollevò, in parte mi fece sentire ancora più in colpa.
Gli accarezzai il viso più e più volte, il silenzio tra noi stava diventando insopportabile quasi come la sua immobilità: era più fermo di una statua, probabilmente incerto su cosa dire.
“Dimmi qualcosa” lo supplicai “insultami pure, ma dimmi qualcosa”.
Un sospiro. Lo conoscevo bene, Harry era una persona paziente, ma quando si arrabbiava sapeva essere autoritario ed era capace di tenere il broncio per dei giorni, quindi se avesse voluto insultarmi o urlarmi dietro, sarebbe già successo prima.
“Mi dispiace soltanto andare via. Dopo questi giorni incasinati ci avrebbe fatto bene rimanere un po’ di più insieme, perché ho paura che se domani me ne vado tu potresti… noi…”
Trasalii e gli chiusi la bocca con due dita impedendogli di concludere quella frase dannata che mi fece tremare.
“Non lo dire neanche per scherzo Styles!” affermai senza vacillare.
Harry mi strinse a sé, finalmente.
“Beh, io devo chiarire tutta questa faccenda, ma se tu mi schivi non risolveremo niente. Quindi possiamo parlare?” chiese dolcemente.
Soffocai una risatina contro il suo petto.
“Che c’è?” domandò confuso.
“Niente, so che adesso non avresti voluto parlare e mi dispiace anche per questo” bofonchiai arrossendo parecchio.
Harry sfoggiò il suo sorriso provocatorio e mezzo pervertito che mi faceva impazzire.
“Ci rifaremo carina, adesso vai a prendere qualcosa per i dolori,  penso che tu ne abbia bisogno. Poi torni qua da me” mi baciò leggermente e anche io mi sentii più leggera, come quel bacio.
“Agli ordini, arrivo subito”.
Mi infilai i jeans facendo attenzione a non farli strusciare troppo sulle ginocchia, uscii dalla stanza diretta verso il bagno. Aprii il mobiletto e presi le gocce più forti che avevamo in casa, per poi catapultarmi da lui, ansiosa di parlargli, di chiarire e di dirgli quanto lo amassi.
Harry mi stava aspettando sul letto, sdraiato comodamente e assorto nei suoi pensieri.
Mio malgrado, si era rimesso la t-shirt. Dovevamo sostenere una conversazione lucidamente, quindi riconobbi che non aveva poi fatto tanto male a rivestirsi.
Mi guardò facendomi segno di affiancarlo. Non me lo feci ripetere e mi strinsi a lui, sopra il mio letto forse troppo piccolo per entrambi, ma che mi dava una buona scusa per avvinghiarmi al mio corpo preferito. Harry mi accarezzava i capelli, aspettando che fossi io a cominciare, com’era giusto che fosse. Presi un bel respiro.
“Non avere te e non poter suonare sarà dura Harry, tanto, ma non voglio giustificarmi per come mi sono comportata” sussurrai giocando distrattamente con un lembo della sua maglietta, senza guardarlo in faccia.
“Sei anche giustificabile invece, non so come avrei reagito io al tuo posto, solo che se perdiamo in questo modo i pochi momenti che abbiamo per noi due non facciamo che peggiorare le cose”
Annuii. Aveva ragione, che altro potevo dirgli? Mi strinsi forte al suo petto sperando che mi dicesse “Non me ne vado Giu, non ti lascio da sola in una casa dove nessuno capirebbe quanto stai male, in un ambiente dove sanno quanto ci tieni ad andare alla Royal e al tuo pianoforte, ma ignorano i tuoi desideri”.
Harry non lo disse ovviamente, perché era inevitabile la sua partenza.
“Devi promettermi che sarai forte da sola però. Devi studiare, prendere il diploma e andare avanti ok? Ci saranno altre occasioni per la musica” disse più serio che mai, baciandomi la fronte.
“Non so cosa c’è sotto queste bende- mi indicai la mano fasciata e il polso ingessato- ma qualcosa mi dice che sarà come ripartire da zero” sospirai.
Harry mi sfiorò la guancia e scosse la testa.
“Sei stata tu un po’ di tempo fa a dirmi che suonare è come andare in bicicletta, o mi sbaglio?” chiese retorico, con un sorriso che avrebbe fatto invidia agli angeli.
In quel momento non ci credevo alle sue parole, non riuscivo ad essere positiva, così azzerai totalmente le preoccupazioni concentrandomi solo su quel sorriso.
Mi persi ad osservare il mio uomo ancora un po’ bambino, con quei capelli arruffati e morbidi, quelle fossette pronunciate e infantili su un viso che di fanciullesco aveva ancora poco.
“Come fai a sopportarmi?” chiesi senza neanche rendermene conto, dando voce a una domanda che mi vagava in testa. Harry mi guardò con aria interrogativa, poi scoppiò a ridere, alleggerendo l’atmosfera.
“Non lo so” scherzò, baciandomi il naso “forse ti amo troppo” concluse.
Non mi sarei mai abituata al suono di quelle due parole pronunciate dalle sue labbra, mai.
Brividi su brividi, stomaco rigirato, cuore che minacciava di esplodere, la sensazione migliore di sempre.
Lo baciai sapendo che non avrei potuto più farlo per un po’, succhiai le sue labbra, avvolsi la mia lingua alla sua e continuai il bacio finché non sentii il fiatone, fin quando il mio fisico non ne ebbe abbastanza, perché per il mio animo era impossibile averne troppo di lui, non c’era una portata massima per Harry Styles dentro di me.
Non servì pronunciare un banalissimo “anche io” per fargli capire che era così e che lo sarebbe sempre stato, solo dovevo lottare, ancora e ancora, perché i problemi non si erano risolti ma quadruplicati. Ma finché lui mi avrebbe baciata in quel modo, avrei affrontato tutto senza fiatare. 

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Capitolo 18
*** Scuse ***


Ciao a tutte le mie adorate lettrici!
Vi annuncio da subito che il prossimo sarà l’ultimo capitolo (stento a credere di essere arrivata in fondo al mio progetto aaaaah).
Spero che questo capitolo non vi deluda, c’è parecchia introspezione ed è incentrato principalmente sulla figura di Giulia e il suo stato d’animo.
Non vedo l’ora di farvi leggere il finale della storia, ci sto ancora lavorando per renderlo al meglio!
Grazie a chi recensisce e a chi segue Red Dress.
Ora la smetto e vi lascio al capitolo!
Buona lettura!
Lori_Tommo
 
 
 
 
 
“Allora Giu, quali sono state le conseguenze economiche della Seconda guerra mondiale?” chiese Hope mordendo il cappuccio della sua penna e sistemandosi meglio gli occhiali da vista sul naso, affondando la testa sul libro e attendendo una mia risposta. Ma io ero stufa di studiare, non avevo voglia di pensare all’esame, non in una bellissima giornata di inizio giugno seduta su una panchina nel parco. 
“Dai basta, per oggi abbiamo ripassato abbastanza” mi lamentai, alzandomi di scatto e chiudendo il libro di storia che teneva sotto il naso.
“Ok hai vinto, facciamo due passi”
Camminammo un po’ nel nostro parco, lo stesso che frequentavamo da bambine.
Avevo tanti ricordi di quel posto. La maggior parte riguardavano Hope, Abby e Harry, quand’era ancora il ragazzino che amava giocare a pallone nel campetto che stavamo affiancando io e la mia amica.
Pensavo a cosa stesse facendo in quel momento in America, precisamente a Los Angeles, mentre io passeggiavo nei posti dove adoravo giocare con lui.
Guardai distrattamente il mio braccio. Mi avevano tolto il gesso da pochi giorni, il polso era a posto, ma dovevo ancora tenere una fasciatura.
La cosa spaventosa era la mia mano. Una volta tolti i punti, rimase un segno rosso violaceo che partiva poco sotto il mio indice e arrivava al mignolo. Dava il voltastomaco solo a guardarlo.
“Ti fa ancora male?” chiese Hope indicando con lo sguardo la ferita ormai chiusa.
“No, la mano è ok, tira solo un po’. E’ il polso a farmi male, ma il dottore dice che è normale”.
Hope annuì, poi fece una domanda scomoda, senza però intuire l’effetto che mi fece.
“Quando potrai suonare di nuovo?”
Tasto dolente. Avevo paura solamente a guardarlo il pianoforte, non ero pronta per suonare con il polso così fuori uso, ma non sarei comunque stata in grado di rimettere le mani sopra una tastiera.
Avevo paura, una paura folle di come mi sarei potuta sentire se mi fossi seduta al piano e dalle mie mani non fosse uscito nulla. Perché dopo più di un mese di totale immobilità, non sapevo cosa aspettarmi. Guardai Hope cercando di mantenermi impassibile.
“Intanto non posso andare all’accademia, ho smesso di studiare e anche di lavorare per pagarmi le spese” affermai ostentando indifferenza alla situazione, quando invece quell’amara consapevolezza mi distruggeva.
Avevo passato notti intere a piangere, quelle in cui non poter stringere Harry faceva più male.
E in quei casi cadevo nella mia silenziosa disperazione, come mi successe quel pomeriggio al parco per una banale frase della mia amica, che camminava al mio fianco ignorando quanto rumore facesse nella mia testa il mio apparente silenzio.
Tutto quello che avevo fatto in tanti mesi si era rivelato inutile e constatarlo mi uccideva.
Capii di avere bisogno di uno sfogo, di qualcuno che mi capisse e con cui potevo parlare a tu per tu senza vergogna, altrimenti sarei esplosa.
E la persona adatta era al mio fianco. Camminammo ancora per un po’, in religioso silenzio, poi mi sedetti su una panchina invitando Hope a fare altrettanto. Presi un bel respiro e parlai.
“Ho fallito in tutto. Non sono riuscita a fare capire ai miei genitori quanto ci tenga a Harry, con la mia fuga di dicembre non ho fatto altro che alimentare il loro astio nei suoi confronti. Ma comunque non c’è molto da stupirsi, non hanno capito neanche quanto ci tenessi alla musica, altrimenti quello stupido lavoro non sarebbe servito. Ho lavato bicchieri su bicchieri, servito degli ubriaconi di mezza età ogni sera, sottraendo tempo allo studio, per cosa? Per poi finire così” sventolai il mio braccio malato. Hope mi ascoltava attentamente, perciò ripresi il discorso.
“Ma non sono solo loro a dare problemi sai? Essere distante dalla persona che amo migliaia di chilometri, vedere Harry sulle riviste, saperlo circondato da un mondo viscido fatto di apparenza, foto, feste esclusive è il prezzo da pagare per essere la sua ragazza. Ci sono anche io sul web. Nove articoli su dieci che mi riguardano, parlano di me come la stupida ingenua ragazzina che aspetta il suo principe azzurro nel suo castello fatato mentre lui se ne sbatte a decine. E io non voglio credere a queste storie, non posso proprio permettermi di pensare all’eventualità che siano vere, altrimenti potrei impazzire” sospirai, cominciando a torturarmi i ricci e asciugandomi una lacrima che non ero riuscita a trattenere.
Hope mise una mano sul mio ginocchio, avvicinandosi di più a me.
“Ho sempre pensato che la tua vita fosse un po’ incasinata… beh lo è, ma pensa che tra poco, passati gli A-Levels, andrai al college a Londra, con me, con Cindy, sarai più vicina a Harry! Quando non è in tour abita lì no?”
Annuii tenendo lo sguardo basso. Hope continuò nel suo intento, quello di mostrarmi il lato positivo delle cose e non potevo negare di avere un disperato bisogno di vedere il bicchiere mezzo pieno.
“Per quanto riguarda internet, il gossip e tutte quella robaccia, beh un’accanita lettrice di riviste stupide come te dovrebbe avere imparato che il novanta per cento di quello che è scritto su quei giornaletti è una colossale cazzata, no?” lo disse scherzando, riuscendo a strapparmi un sorrisino divertito. Sì, io e lei ne avevamo lette di idiozie sulle riviste, tante anche.
“Hai ragione” ammisi, posando la mia mano sulla sua, che stava ancora sul mio ginocchio.
“Una cosa però devi farla Giuli” disse seria. Non intuivo a cosa si riferisse, ma me lo fece capire.
“Fai una chiacchierata in famiglia ok? Me lo prometti?” domandò speranzosa.
Non le avevo mai voluto bene come in quell’istante.
“Ci ho già provato, ma te lo prometto” la abbracciai “Grazie” sussurrai al suo orecchio.
Mi strinse ancora un po’, poi mi riaccompagnò a casa come se la conversazione non fosse avvenuta.
Era sempre così: passavamo dallo sfogarci, al deprimerci insieme, per poi scherzare pochi minuti dopo come se niente fosse. E con lei ci stavo bene anche per quello.
 
 
Decisi che rimandare quella conversazione con i miei genitori sarebbe stato inutile, quindi pensai di parlare con loro la sera stessa, a cena. Il fatto che non ci fosse Cindy a supportarmi poteva essere uno svantaggio, perciò decisi di ricorrere a un altro tipo di aiuto. Scrissi un messaggio al mio riccio sperando di non averlo disturbato. Maledetto il fuso orario.
 
- Ho bisogno di consulenza, puoi collegarti su Skype?
 
Evidentemente non avevo scelto un momento sbagliato, perché la sua risposta arrivò dopo pochi secondi.
 
- Il tempo di accendere il pc e sono tutto per te.
 
Soddisfatta, salii alla svelta le scale, mi chiusi in camera, accesi il pc e aprii Skype.
Dopo un po’, mi apparvero in diretta due dei cinque membri dei One Direction, a torso nudo, sullo schermo del computer.
“Holaaa” urlarono in coro il mio moroso e quel bel pezzo di ragazzo del suo amico irlandese dagli occhi magnetici, nonché Niall Horan.
Scossi la testa, abbozzai un “ciao” e sorrisi, cercando di non sbavare davanti a quel dannato schermo e sforzandomi di essere naturale. Non avevo molta confidenza con Niall, ma non ce n’era gran che bisogno data la sua naturale espansività esagerata. Infatti, fu lui a parlare per primo, come se mi conoscesse da sempre.
“Come va la vita nel vecchio continente?”
Scoppiai a ridere per l’assurdità della domanda.
“Non sono io quella che in giro per il mondo a fare concerti, ditemi qualcosa voi due!” proposi.
Harry fece per aprire la bocca, ma il biondo lo precedette.
“Qua è uno spasso, le fan americane sono un po’ turbolente, il cibo si lascia a desiderare, ma non ci lamentiamo, vero Haz?”
Dovevo abituarmi ancora a quel nomignolo, ma mi piaceva un sacco.
Harry guardò la webcam, quindi me, poi Niall.
“Hai mangiato qualsiasi cosa portassero a tavola, mancava solo che mordessi un piatto! Se il cibo non facesse schifo che avresti fatto?” lo canzonò Harry, facendomi sorridere.
“Si chiama istinto di sopravvivenza Styles, non posso morire di fame anche se il cibo fa schifo!” spiegò Niall, strappando una risata con tanto di fossette a Harry e una anche a me.
“Vai biondo, togliti dai piedi adesso!” a Niall arrivò uno spintone.
“Un momento, devo salutare Giulia. Ciao Giuliaaaa!” gridò in direzione della webcam.
“Ciao Niall” risposi sorridendo: era in assoluto l’irlandese più pazzo che conoscessi.
Sembrava un orsacchiotto innocente con quei suoi occhioni azzurri e il viso ancora fanciullesco ma, superata l’apparenza, il dolce Niall era un tornado vivente di adrenalina e risate.
Harry mi aveva raccontato decine e decine di aneddoti riguardanti il biondino, uno più imbarazzante dell’altro, comunque già alla festa di Capodanno mi ero accorta della natura espansiva e burlona di Niall.
Dopo vari spintoni tra i due, Horan decise di arrendersi e rimasi a tu per tu con Harry, anzi a tu per tu con la sua faccia e il suo petto muscoloso sul mio schermo.
“Scusalo, non sa farsi gli affari suoi, ha letto il messaggio che mi hai mandato e ha voluto presenziare” spiegò Harry.
“E’ simpatico Niall, ma è sempre… ehm così?” domandai un po’ incredula.
“Peggio di solito, ma tocca il fondo quando beve! Zayn ha nascosto la birra sotto la sua cuccetta nel tour bus, se la trova siamo rovinati!”
Scoppiai a ridere, ma poi mi ricordai per cosa l’avevo chiamato. Mi schiarii la voce.
“Devo parlare con i miei genitori stasera, di te. Ormai mi sembra il momento che accettino la situazione” affermai seria.
Harry assunse un’espressione visibilmente tesa, poi annuì.
“Ok, sono oltre oceano circondato da un corpo di sicurezza, ma tu cerca comunque di non fare arrabbiare tua madre più del dovuto!” scherzò alzando l’indice per ammonirmi.
“Stupido!” dissi non trattenendo una risata “Ti ho fatto collegare per un supporto morale, non puoi dire così!”
“Cosa dovrei dire?” chiese mettendosi una mano fra i ricci e torturandoseli.
“Non so, consigli? Sono un po’ in ansia a dire il vero…” ammisi.
Non sapevo esattamente come avrei toccato l’argomento: in casa nostra del mio fidanzato non se ne parlava MAI. Erano due le parole tabù dal giorno dell’incidente: pianoforte e Harry.
Il mio ragazzo mi guardò con occhi comprensivi. Quanto avrei voluto abbracciarlo in quel momento!
“Beh, ho capito che i tuoi non si fidano di me, ma visto che andrai ad abitare a Londra più vicino a me e che le cose più o meno vanno avanti potrebbero…”
“Più o meno Styles?” domandai fulminandolo con lo sguardo.
“Cos’hai capito scema!” mi rimproverò “nel senso che nonostante tutto questo casino riusciamo a volerci bene comunque, anche se ora ti vedo su un computer e non posso stritolarti tra le mie braccia. Vorrei baciarti anche, sai piccola?” confessò, arrossendo violentemente.
Sorrisi quasi commossa: erano pochi i momenti come quello in cui potevo bearmi della sua dolcezza. Anche Harry Styles aveva un lato romantico, seppure si ostinasse a non mostrarlo.
“Quanto ti amo quando arrossisci?” lo punzecchiai, ma ero sincera e lui lo sapeva.
“Sono diventato quasi diabetico, troppo miele” bofonchiò e io sghignazzai.
 “Beh, allora so perfettamente cosa dire in tua difesa” annunciai entusiasta.
Harry corrugò la fronte e fece un sorriso sghembo.
“Illuminami, cosa vorresti dire in mia difesa?” chiese virgolettando l’aria con le dita per sottolineare l’ultima frase.
Non ci pensai due volte alla risposta.
“Dirò che ti amo, che quando vuoi sei un ragazzo dolce, che mi manchi da impazzire e che non vedo l’ora di andare a Londra. Per il college, ovvio” sogghignai facendogli l’occhiolino.
Harry, dall’altra parte dello schermo, sorrise e fece per dire qualcosa, ma poi sentii chiaramente una voce distante chiamarlo per qualcosa che non afferrai. Harry si voltò alla sua sinistra, guardando qualcuno che mi era impossibile identificare e sospirò un “arrivo”, poi si rivolse a me.
“Direi che la prospettiva di Londra, di te e di me a Londra, mi piace. Ora devo andare, fatti valere!” mi incoraggiò.
“Ci provo”
“Manchi anche a me comunque” sussurrò appena, ma il messaggio arrivò forte e chiaro.
Gli sorrisi. Ci scambiammo un ultimo saluto, gli lanciai un bacio virtuale con tanto di schiocco e chiusi il pc.
 
 
 
Circa una mezz’ora dopo mi trovavo seduta al tavolo della cucina, davanti a un piatto di riso che non avevo assolutamente voglia di mangiare, mentre i miei genitori chiacchieravano del più e del meno.
Rigiravo i chicchi bianchi con la forchetta in cerca delle parole giuste da dire, per far sì che la discussione non finisse come l’ultima volta: non avrebbero perdonato un’altra fuga amorosa o qualcosa di simile.
No, non era più il momento di fuggire o di far finta che Harry non esistesse davanti a loro.
Lui era una parte fondamentale del mio futuro, i miei genitori dovevano capirlo e, soprattutto, accettarlo.
Mentre stavo ancora cercando l’imput per quello che avevo da dire, mia madre si accorse del mio disagio.
“Non mangi tesoro? Sei agitata per gli esami? Che c’è che non va?” chiese in modo apprensivo.
Non avevo mangiato che un boccone di riso, ma rischiai di vomitare all’istante.
Che c’è che non va?
Sentii il cosiddetto tuffo al cuore, le braccia appesantirsi, gli occhi riempirsi di lacrime e la rabbia scorrere incontrollata in tutto il mio corpo, da capo a piede.
Davvero non si rendeva conto di cosa non andasse per il verso giusto? Sul serio non si era accorta delle lacrime che avevo versato le prime notti dopo il disastro, quando la mattina mi alzavo con gli occhi gonfi, rossi e con tanto di borse? Come poteva non notare la mia paura di rimettere le mani su un pianoforte, la fottuta paura di capire che non sarebbe mai tornato nulla come prima? Era da un tempo infinito che non sfioravo quei tasti e lei, la donna che mi aveva messo al mondo, non mi aveva “notata” mentre cadevo in frantumi e ricostruivo i miei pezzi uno ad uno.
Era sempre lei la donna che non aveva capito a distanza di mesi e mesi quanto io e Harry ci amassimo, lei sapeva preoccuparsi solo della scuola, del college, senza dare una minima importanza alla parte di me che urlava per essere capita.
La guardavo senza proferire parola, incredula, sconvolta, mentre ero investita in pieno da rabbia e delusione, dal totale senso di abbandono.
Non so dove trovai la forza per parlare, ma lo feci, con voce ferma e distaccata.
“Ci sono varie cose che non vanno” cominciai “ad esempio mi manca lavorare. Sai perché? Perché io avevo bene in mente come spendere quei soldi. Avevo un progetto per il futuro”.
Decisi di dire la verità. Guardai negli occhi entrambi i miei interlocutori, a turno: non era solo mia madre a dover capire. Mio padre mi spinse a continuare con un gesto di mano e non me lo feci ripetere.
“Io voglio davvero andare al college a Londra, ma pensavo di frequentare contemporaneamente anche la Royal, pagandomi da sola le spese, senza il vostro aiuto, ma…” un nodo alla gola mi bloccò e sentivo le lacrime scendere sulle mie guance. Mio padre e mia madre erano allibiti.
Dovevo finire, cercai aria disperatamente con  un respiro profondo e proseguii.
“Succedono gli incidenti no? Sarebbe potuta andare peggio, potevo morire, ma anche con questa filosofia non riesco a non stare male, non avete idea di come mi senta senza la mia musica. Ah, e poi c’è Harry mamma!” gridai “Lui a differenza vostra, anche da lontano, mi ha aiutata a farmi forza!  Ci amiamo, cazzo! Non dico semplicemente che lo amo perché non basta, anche lui ama me e voi non lo a-accettate” singhiozzai, prendendomi la testa tra le mani e cadendo in un pianto disperato.
Il riso era diventato freddo, nella stanza calò il silenzio.
Mi sentivo male, ma più leggera. Non sapevo quando e se avrei ritoccato un pianoforte, ma la consapevolezza che mi stavo comunque rialzando, grazie a Harry, Hope, mia sorella, mi faceva sentire forte. Sapere che il merito non era delle persone che mi stavano davanti mi faceva soffrire, ma averglielo detto in faccia mi aveva tolto un gran peso.
Fu mio padre il primo a parlare.
“Perché non ci hai detto a cosa servivano i soldi, se avessi saputo quanto ci tenevi…”
“Lo sapevi papà!” lo corressi “ma ormai non ha importanza la Royal, non riesco ancora a piegare il polso e non so se avrò mai la forza per rimettermi a suonare” constatai amaramente.
I miei genitori si guardarono e allora ci vidi chiaro: nei loro occhi si leggeva a caratteri cubitali la parola pentimento. Avevo colpito nel segno.
“Tesoro” fu mia madre a parlare.
Si alzò dalla sua sedia, poi si diresse verso di me, appoggiandosi al mio lato del tavolo.
“Credo che le scuse non bastino, mi dispiace tanto” sussurrò.
E lo so che in quel momento avrei dovuto fare la sostenuta, dire che non me ne facevo niente delle sue scuse, ma io le volevo bene e il mio scopo non era vincere una sorta di battaglia, bensì quello di portare un po’ di pace e comprensione in quella casa dove vivevano dei perfetti sconosciuti da troppo tempo. Perciò scattai in piedi e la abbracciai, piangendo sulla sua spalla come quando ero piccola.
Lei prese ad accarezzarmi i ricci e mi fece calmare, perché diamine, io avevo bisogno della mia mamma.
Però avevo anche un’altra disperata necessità e per la prima volta sentivo che avrei potuto ottenere da loro ciò che volevo. Mi staccai dall’abbraccio per guardare negli occhi mio padre, che a testa china fissava il vuoto, evidentemente dispiaciuto.
“Papà” lo richiamai e allora mi guardò “non mi interessa la Royal, non so se nella mia vita ci sarà mai spazio per la musica, ma una cosa te la devo chiedere, anzi la devo chiedere a tutti e due”
“Se ti riferisci a Harry” mi precedette mio padre “abbiamo sbagliato a giudicarlo. Dovrebbe venire a cena da noi qualche volta, potrebbe quasi starmi simpatico” sdrammatizzò, facendomi un lieve sorriso che sapeva tanto di scuse.
Il mio cuore fece le capriole, i tripli salti mortali e le piroette. Mi alzai da tavola e andai ad abbracciarlo.
Per quella volta, dopo un tempo impronunciabile, eravamo di nuovo una famiglia nel vero senso della parola. Perciò li perdonai tacitamente, come avevano fatto loro con me miliardi di volte quand’ero piccola. Non avrei mai immaginato che quel generale di mia madre e il sergente che aveva per marito potessero conoscere il significato della parola “scuse” se a doversi scusare erano proprio loro.
Mi stupii anche di me stessa: per una volta nella mia vita avevo tirato fuori il coraggio, non ero scappata, non mi ero nascosta e avevo ottenuto finalmente qualcosa.
Prima di quella sera pensavo che fossero solo gli altri, Hope, Harry e Cindy per lo più, ad aiutarmi a reagire e a non farmi mollare, ma quando tornai nel mio letto dopo la cena più assurda della mia esistenza avevo capito una cosa importante: sapevo essere forte anche da sola.

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Capitolo 19
*** Rosso ***


Ciao a tutte le care lettrici!!!
Ebbene, siamo alla fine di Red Dress.
Dire che sono legata a questa storia è poco, ma sono soddisfatta del mio lavoro perciò non mi dispiace concluderlo (no dai un pochino mi dispiace).
L’unica cosa che mi rimane da fare a questo punto è ringraziare TUTTE VOI che avete recensito/seguito/ricordato questa storia.
Il vostro supporto è stato fondamentale, quindi GRAZIE infinite!
Ah, mi sembra doveroso spendere due paroline per ringraziare (che è dire poco) colei che mi ha convinta a pubblicare Red Dress, che mi ha appoggiata, ascoltata, compatita e quant’altro, perciò, cara Ga_DjMalik sappi che ti adoro!
Spero che il finale sia di vostro gradimento, ci ho messo parecchio a scriverlo.
Un avviso importante: se volete continuare a leggere quello che esce dalla mia testolina pazzoide ho iniziato un’altra storia che si chiama Something in the way you move.
Ho parlato anche troppo per i miei standard quindi, per l’ultima volta,
BUONA LETTURA!
 
 
 
 
 
 
Non sapevo perché mi trovavo proprio lì, ma di certo non ero mai stata in un appartamento del genere: grandi finestre offrivano un panorama mozzafiato del Tamigi in una giornata di sole di settembre, conferendo una luce chiarissima all’ambiente.
Il divano rotondo, rivestito di un tessuto rosso vermiglio, stava al centro dell’enorme sala, creando un contrasto con il parquet scuro del pavimento.
Sul muro di sinistra c’era un’enorme schermo al plasma, mentre dalla parte opposta stava un tavolino basso, bianco, con attorno vari cuscini rossi come il divano. Sopra il piccolo tavolo c’era un vaso con delle orchidee fresche. Una scalinata a vista portava al piano superiore, mentre un arco nel muro lasciava intravedere una cucina di gusto moderno.
Appoggiai la mia borsa sul divano color del fuoco e guardai verso la scala, dove stava seduto il ragazzo più bello che potessi desiderare: i ricci impazziti, un sorriso smagliante stampato sul viso dalle forme perfette, la camicia a quadri arrotolata sulle maniche e slacciata sul collo che lasciava vedere i numerosi tatuaggi, gli occhi di un verde disarmante. Dopo tanto tempo, riusciva ancora a sorprendermi il colore dei suoi occhi e la luce che emanavano.
Sistemai meglio sulle mie cosce il vestito rosso che mi aveva regalato e lo raggiunsi a metà scala.
La sua bellezza quel giorno era insostenibile, troppo anche per me che pensavo di essermi “abituata” al suo fascino, così lasciai che fosse lui ad avvicinarsi e a stamparmi un bacio.
Feci fare a lui quella mossa perché non riuscivo davvero a credere che fosse reale, lì, davanti a me, ma quando si avvicinò e mi baciò lentamente, lo percepii davvero: non era un sogno, lui era mio, io ero sua. E lo stavo baciando.
Non c’era niente di più dolce delle sue labbra morbide, di un rosso più intenso di quello del fantastico divano e del mio vestito.
Cercai di formulare una frase di senso compiuto circa il perché ci trovavamo in quell’appartamento da mille e una notte, e perchè ero stata costretta a indossare il mio vestito preferito, ma riuscii solo ad approfondire il bacio, stringendomi al suo corpo e cercando di non svenire dalla gioia ruzzolando tutte le scale.
Non potevo credere di essere a Londra, con un diploma in mano, iscritta allo stesso college della mia migliore amica, a vivere a un passo dal mio fidanzato e assieme alla mia adorata sorella.
Stavo per iniziare l’università, avevo passato delle bellissime vacanze ed ero pronta a cominciare la mia nuova vita, con le persone più importanti che avevano reso speciale la vecchia.
Affondai le mani nei suoi capelli mentre formulavo questi pensieri, ma poi interruppi il bacio, un po’ confusa dalla situazione e decisa a chiarirmi le idee.
“Ora mi puoi dire dove siamo? E perché sto indossando un vestito da party in un appartamento vuoto?” chiesi in un sussurro.
Harry mi sorrise, poi prese la mia mano sfregiata e cominciò a posarci sopra tantissimi piccoli baci.
Sospirai, abbandonandomi alle sue attenzioni.
La mia mano era il ricordo di cos’avevo dovuto perdere, perché nella vita non si può avere tutto vero? Ero cambiata, avevo imparato a convivere senza una parte di me che credevo fondamentale.
Cercai di ignorare i brutti ricordi, concentrandomi su Harry che mi stava baciando con delicatezza la cicatrice sul palmo, ancora evidentissima, e contemporaneamente mi accarezzava il dorso con le sue dita chilometriche, provocandomi i brividi.
“Siamo qui” cominciò con la sua voce roca e sensuale “perché voglio che tu faccia una cosa per me” disse baciandomi di nuovo la mano.
Mi confuse ancora di più la sua affermazione. Interruppi la scia di baci e gli presi il volto tra le mani, mettendomi in punta di piedi su un gradino per raggiungere la sua altezza.
“E cioè?” soffiai sulle sue labbra, per poi sfiorarle appena con le mie.
Harry sorrise, prendendomi per mano e trascinandomi al piano di sopra, in un corridoio buio.
“Harry aspetta” mi fermai “Vuoi dirmi chi abita qui?” domandai ancora incuriosita e un po’ spazientita.
“Louis” rispose tranquillo, prendendomi di nuovo per mano e portandomi davanti a una delle porte chiuse. Dovevo ricordarmi di complimentarmi con il proprietario per il suo impeccabile gusto in fatto di arredo, ma che ci facevo a casa sua?
“Non afferro, perché siamo nell’appartamento di Louis?” chiesi di nuovo.
Harry allora si fece serio. Lo guardai mettere una mano sulla maniglia e indugiare ad aprire.
“Adesso promettimi che proverai a fare quello che ti chiederò, senza urlarmi contro ok?”
Ancora non avevo capito le sue intenzioni, perché avrei dovuto urlargli contro?
Corrugai la fronte e feci per ribattere, ma Harry mi precedette.
“Prometti” disse serio.
Allora rinunciai ad altre domande e annuii.
Sorrise soddisfatto e aprì la porta.
In un secondo tutto si fece chiaro: perché ci trovavamo proprio nell’appartamento di Louis e cosa voleva che facessi.
Sentii la gola farsi secca, un nodo a fermarmi il respiro.
Realizzai cosa avrei dovuto fare, perciò le gambe cominciarono a tremare e le lacrime a minacciare di uscire. Avevo cercato di archiviare quella parte di me stessa nel cassetto più nascosto del mio cervello, avevo provato in tutti i modi a cancellare certe emozioni dal mio cuore, ma i miei sforzi di rivelarono inutili davanti allo Steinway a coda nero che troneggiava in mezzo alla stanza.
Volevo scappare, dire a Harry che non ero pronta, che avevo una paura folle di quello che sarebbe potuto succedere se avessi toccato di nuovo un pianoforte.
A che scopo poi? Suonare sarebbe stato come ammettere il mio fallimento, i miei progetti per il futuro andati in fumo.
L’istinto mi diceva di uscire di lì, da quella che doveva essere la stanza personale di Louis a giudicare dalla quantità di premi, libri di musica e CD presenti sulle mensole, ma il mio corpo non eseguiva i comandi.
Ero pietrificata sull’ingresso e avevo una terribile voglia di piangere.
Fu Harry a risvegliarmi dallo stato di shock e terrore in cui ero sprofondata, spingendomi con delicatezza all’interno della stanza.
Si avvicinò al piano e mi guardò. Dal suo sguardo capii che si era accorto del mio disappunto nonostante non avessi aperto bocca.
“Voglio che ci provi, per me” mormorò abbagliandomi con la luce e l’intensità del suo sguardo.
C’era amore in quella richiesta, c’era voglia di aiutarmi nei suoi occhi.
Dovevo provare, per lui, anche per me, ma ero bloccata, le mani tremavano e le lacrime stavano uscendo dai miei occhi lentamente.
Harry si avvicinò, mi sfiorò la guancia e l’asciugò con attenzione, come se fossi fatta di vetro.
Ed ero veramente fragile in quel momento, potevo rompermi con estrema facilità e lui questo lo sapeva bene.
Cercai un po’ di fiato disperatamente.
“N-non ce la f-faccio” balbettai con voce rotta, appoggiando la testa contro il suo petto.
Lui mi accarezzò i capelli e io tentai di calmarmi seguendo il ritmo dei suoi respiri e respirando a mia volta il suo profumo.
“Fallo per me” insistette “voglio vederti seduta su quel panchetto mentre mi suoni qualcosa di bello con addosso questo vestito”.
Il suo tono era quasi un ordine. Sapeva che se mi avesse pregata dolcemente non avrei ceduto, ma potevo rifiutarmi di eseguire una sua richiesta pronunciata con quella fermezza?
Gli avevo promesso che avrei fatto ciò che voleva, perciò mi feci forza.
Non lo guardai mentre camminavo verso una delle mensole. Cercai di fare piazza pulita dei pensieri che mi affollavano la testa, con uno sforzo immane cacciai la paura di non farcela, di rimanere delusa. Regolarizzai il respiro buttando fuori aria dalla bocca, così il tremito diminuì.
Su un ripiano impolverato e pieno di libri vidi ciò che stavo cercando, qualcosa che mi stava a cuore particolarmente e che speravo davvero che Louis possedesse
Ringraziai mentalmente quel ragazzo quando afferrai il libro dei valzer di Chopin.
Lo aprii cercando il valzer numero due, un pezzo che non mi sarei mai e poi mai potuta dimenticare.
Mentre mi dirigevo silenziosamente verso piano, il libro aperto in mano, chiusi per un attimo gli occhi.
Era il mio modo per costruire attorno a me quella che definivo la “bolla”.
Mente, mani, occhi, tasti e cuore erano gli unici ammessi nel sistema gravitazionale tra me e un pianoforte, tutto il resto rimaneva fuori, comprese l’ansia e la paura.
Ero pronta, così mi sedetti e appoggiai il libro sul leggio.
Vidi Harry appoggiarsi alla cassa armonica su un fianco.
Feci entrare anche il mio amore per lui dentro la bolla, per poi chiuderla definitivamente.
Guardai per un attimo le note a me tanto care e poi la cicatrice sulla mia mano.
Mi lasciai percorrere da un brivido, deglutii e partii.
Il periodo di pausa aveva reso i tasti pesanti al mio tocco però trovai quasi subito il giusto equilibrio. 
Mi lasciai andare ai tre tempi di quel valzer romantico, nostalgico, ed eccola.
La sensazione che mi era mancata tanto stava tornando.
Mi sentivo leggera come la cadenza del valzer, il mio cervello era musica, nient’altro, le mie mani non mi tradirono e nemmeno la concentrazione.
Ritrovai me stessa in quelle note, la parte così importante del mio essere che avevo cercato di annullare era ancora lì, dentro di me e nello sparito, pronta ad essere accolta di nuovo.
Ero stata stupida a pensare di poter vivere senza quelle emozioni e ancora una volta Harry mi aveva salvata da me stessa, evitando che mi privassi della musica.
Lui sapeva cosa stavo provando in quel momento, la stessa sensazione la provava sul palco con un microfono in mano.
Più mi avvicinavo alle note conclusive, più mi convincevo che non era l’accademia ad essere importante: bastavamo io e un pianoforte.
Il tempo si fermò e riprese a scorrere solo quando staccai le mie dita dai tasti.
Il mio cuore prese a battere all’impazzata,  mi scapparono altre lacrime, ma il mio volto si piegò in un sorriso.
Mi sentivo completa dopo tanto tempo: mi faceva male il polso, avevo sbagliato un paio di passaggi, ma non sarei potuta essere più felice di così.
Harry mi guardò fiero, con il sorriso, e fece per applaudire, ma io non gli lasciai il tempo: mi alzai dal panchetto, lo raggiunsi e lo spinsi contro la cassa armonica, intrappolandolo nel bacio più strano che ci eravamo scambiati fino a quel momento.
Era fatto di labbra, denti, lingua, ansiti, uno di quei baci scomodi ma impossibili da fermare, di quelli che tolgono il respiro. Era erotico, passionale, pieno di amore e intriso di grazie.
Un grazie impossibile da pronunciare a parole.
Harry invertì le nostre posizioni, spingendomi contro la grande coda nera e lucida.
Mi baciò il collo, ma lo allontanai: era lui quello che aveva bisogno di attenzioni, lui quello che doveva essere baciato e amato fino allo sfinimento.
Sorrisi al pensiero che lui era realmente mio e che io potevo amarlo.
Il mondo pensava di conoscerlo, le fan amavano la sua musica e la sua voce, ogni ragazza adorava il suo corpo, ma io avevo il privilegio di averlo per intero, corpo, anima, ricci, sorriso sfacciato, cuore dolce, parolacce, scherzi, frasi filosofiche senza senso: io avevo Harry Styles e non me lo sarei lasciata scappare per nulla al mondo.
Che lui avesse me era puramente scontato fin da quando eravamo piccoli.
Presi ad accarezzargli i ricci e la nuca, beandomi della sua visione e lasciandogli piccoli baci su tutto il viso.
“Ti amo” sussurrai al suo orecchio.
Sentii le sue labbra cercare il mio lobo e poi “grazie” soffiò.
Lo guardai stupita. Mi stava ringraziando sul serio? Mi aveva fatto riscoprire la sensazione migliore di sempre e mi ringraziava? Non potevo accettarlo, era troppo.
“No Harry, zitto, sono io a doverti ringraziare” dissi abbracciandolo come una bambina.
Lui mi fece tremare sul suo petto con una risata profondissima.
“Quindi” mi baciò la fronte “suonerai per me tutte le volte che vorrò?”
Annuii baciandolo di nuovo. Ce l’avevamo fatta: da quel momento potevamo vederci con più facilità ,avevamo un futuro stabile davanti pronto per essere vissuto. E sì, avrei suonato per lui anche per sempre.
“Con questo vestito addosso?” domandò ancora e io scoppiai a ridere facendo di sì con la testa.
Lui indossò il suo sorrisino perverso e sfacciato, ma in quel momento mi sembrò adorabile.
“Giu ti ho mai detto quanto mi piace il rosso?” chiese prendendomi in braccio, tenendomi stretta per le cosce e facendo aderire il mio corpo al suo, poi continuò a parlare.
“Ad esempio, il mio amico Louis ha un bellissimo divano rosso giù di sotto, scommetto che non gli dispiaccia se ne aprofi…”
“Sei il solito pervertito Styles” lo sgridai scoppiando in una risata fragorosa.
“Ma mi ami” affermò ancora più sfacciatamente.
 “Ma ti amo” confermai, incontrando di nuovo le sue labbra.
Ero fregata, totalmente persa, ma incondizionatamente felice.
 
 
FINE
 

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