The Things You Don't Know

di Evelyn Doyle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue. ***
Capitolo 2: *** Chapter 1. ***



Capitolo 1
*** Prologue. ***

















Prologue.
 

"Se il destino di un uomo è annegare, annegherà anche in un bicchier d'acqua."
[Proverbio Yiddish
]




Esiste davvero il karma, il destino?
Perché ci rende spesse volte la vita impossibile?
Cosa abbiamo fatto di male per meritarlo?
Questo è ciò che spesso noi pensiamo e che, esattamente, pensava Evelyn McKee in quel preciso istante davanti a quella porta di quell’appartamento in quel palazzo di quella grande città, precisamente Londra.
Procediamo, però, per ordine: chi è Evelyn McKee?
Ottima domanda, cari lettori.
Evelyn McKee, o più comunemente detta Evie dall’unico amico di cui parleremo in seguito che ha per qualche strano miracolo della vita, è una normale quindicenne.
No, ma che dico? Lei è tutto meno che “una normale quindicenne”.
Perché?
Anche questa è un’ottima domanda, miei cari.
Evelyn McKee ha infatti dimostrato sin dai primi anni di vita un’intelligenza assai precoce: ha imparato da autodidatta a leggere, scrivere, contare all’età di due anni e mezzo.
A tre anni ha imparato a fare i calcoli matematici basici.
Sempre da autodidatta.
Così i premurosi e milionari signori McKee hanno iniziato a far studiare la piccola da privatista, chiusa in casa il più delle volte, tra la trigonometria e la letteratura inglese, tra il pianoforte e la geografia.
Questo è infatti uno dei tanti motivi per cui Evelyn non ha mai avuto amici né affetto, infatti anche i suoi genitori non hanno contribuito a darle l'amore, l'affetto che di solito si da’ ai propri figli, per via soprattutto dei rispettivi lavori che li costringevano a partire spesso per l’estero e a non vedere spesso la loro pargoletta.
Un altro motivo è il suo carattere, probabilmente sviluppatosi in questo modo spropositato conseguentemente alla mancanza di affetto: infatti, oltre che sviluppare una prematura intelligenza, anche una precoce arroganza e superbia hanno trovato posto in Evelyn, senza contare il suo tremendo vizio di fare del sarcasmo pungente per qualunque cosa.
Avendo iniziato a soli quattro anni gli studi e data la sua memoria e capacità di assorbire ogni informazione letteralmente come una spugna, Evelyn finì infatti gli studi a quattordici anni e mezzo.
Rimaneva però l’università da fare, ma per quella avrebbe dovuto affrontare una miriade di test, a causa della sua giovane età.

Passiamo ora alla prossima domanda... perché Evelyn si faceva tutte queste domande esistenziali?
Beh, piuttosto direi di partire dal principio... più precisamente da una settimana prima, quando i carissimi signori McKee, lui imprenditore famoso e l’altra pianista di successo, informarono Evelyn di dover partire - entrambi - per un viaggio di lavoro, di vitale importanza, in Francia.
Ormai Evelyn era abituata alle assenze dei genitori, solitamente infatti stava sempre da sola, ma questa volta i cari signori McKee avevano pensato bene di starci un bel po’ di tempo in più in Francia, precisamente per cinque mesi.
Il caso, o destino, chiamatelo come volete, volle anche che gli Harrison, grandi amici dei McKee, dovessero anch’essi partire per un viaggetto di lavoro, così, in uno dei normali pomeriggi a prendere il tè assieme, era entrato in ballo il discorso “viaggi” e gli Harrison avevano proposto ai McKee di poter sistemare Evelyn per tutto il tempo necessario nel bell’appartamento del figlio dei primi.
I McKee acconsentirono, pensando, giustamente, che Evelyn sarebbe stata perfettamente in questo appartamento.
Le due famiglie erano, come già citato, ottime amiche da molto tempo, così non ci fu nessun problema di fiducia o altro.
Fu così che Evelyn dovette preparare presto i bagagli, volente o nolente.
Non conosceva così bene il genere maschile, ma sapeva bene cosa poteva girare nella loro testa.
Pensava, infatti, che questo famoso “figlio degli Harrison” fosse uno dei cosiddetti “figli di papà” ricconi, che credevano di essere superiori a tutti e tutto.
Il fatto che questo ragazzo avesse addirittura un suo appartamento di ben centocinquanta metri quadrati e in uno dei palazzi più facoltosi della città, poi, non faceva altro che far sospirare di rassegnazione la “povera” Evelyn.
Ovviamente le spese condominiali erano a carico dei generosi Harrison.

Difatti, tornando alla vicenda, la sopracitata era lì, davanti alla porta, intenta a suonare il campanello in attesa di una risposta, mentre si faceva le tanto famose domande esistenziali sul karma.
Dopo un quarto d’ora a suonare quel bel campanello, qualcuno si degnò di aprire: era un ragazzo, sicuramente più grande di Evelyn, dai capelli mossi e di un biondiccio miele e gli occhi del colore più strano che avesse mai visto: erano verdi, ma non un verde chiaro e acqua, bensì un verde petrolio profondo.
Era alto, molto alto, o forse lei aveva questa impressione data la sua minutezza.
Tanto per rendervene conto: Evelyn gli arrivava a malapena alle spalle e ciò non le faceva granché onore.
Alla vista di quella buffa ragazzetta le labbra del ragazzo si incresparono in una strana smorfia indefinibile.
«Tu saresti...?» chiese il ragazzo.
«Evelyn McKee» il ragazzo aggrottò per un attimo le sopracciglia, rifletté per un attimo sul cognome, per poi illuminarsi.
«Ah, già. La mocciosa che devo ospitare» disse poi con amarezza.
Evelyn non aveva nemmeno voglia di ribattere e iniziare di conseguenza una lunga discussione sugli aggettivi e i pronomi adatti alla sua persona, così entrò senza nemmeno chiedere il permesso.
«La tua stanza è sopra, a destra del bagno» la informò poi, mentre Evelyn saliva le scale sbuffando piuttosto rumorosamente «Sono Alexander Harrison, comunque» si presentò poi con nonchalance il ragazzo, mentre alzava un sopracciglio, in un espressione a metà tra il divertito e l’irritato, alla vista di quella strana ragazzetta piuttosto bassa di statura, dai lunghi capelli di un biondo tra il platino e il miele, intenta a trasportare un bagaglio alquanto superiore rispetto alle sue capacità fisiche.
Non si offrì però di aiutarla, come avrebbe fatto un qualunque “gentleman”.
Alexander Harrison, infatti, non era esattamente ciò che pensava Evelyn McKee.
La sopracitata non sapeva infatti che Alexander Harrison non solo era un viziato amante della vita facile, ma era anche uno strafottente all’ennesima potenza.
I cari Harrison, di fatto, non avevano però pensato che ciò fosse però come mangiare latte e limone assieme: provoca una reazione acida.
E in quanto acidità, Evelyn McKee era paragonabile alla soda caustica.
La sopracitata, in effetti, alla vista di quel ragazzo dalle espressioni sempre poco definite, aveva avuto qualche dubbio sul fatto che fosse ciò che pensava... adesso lo definiva più un “figlio di papà della serie beffardi di turno da quattro soldi”, definizione molto vicina alla realtà.
Esattamente questo era il suo pensiero, che, oltretutto non era più ottimista sulle capacità mentali del biondino.
Si sarà capito (almeno qualcuno l’avrà capito... giusto?) di certo che la piccola McKee aveva atteggiamenti piuttosto snobbanti e critici nei confronti del genere umano, salvo che della sua persona; questo perché nella sua vita non era stata abituata a relazionarsi con ragazzi della sua età, lei giudicava la gente dall’intelligenza, dalle doti intellettuali, non dai valori personali.
Per lei tutto doveva essere ordinato e logico, matematico e coerente.
La cosa più sorprendente, almeno per chi la incontrava per la prima volta, era che lei sapeva di essere così caustica e critica, sapeva di non essere per nulla simpatica, di non essere altruista e generosa, ma se ne vantava addirittura!
Sì, avete capito bene, lei si vantava del suo corrosivo sarcasmo e della sua scarsissima iniziativa ad aiutare il prossimo, per lei era “ciò che ogni umano dovrebbe fare”.
Ma, torniamo alla storia, dove eravamo arrivati?
Già, già: eravamo giunti al punto in cui Evelyn salì le scale e si diresse nella stanza indicata dal giovane Harrison.
Appena entrata si guardò un po’ intorno: era una stanza molto grande, con una grande finestra che si affacciava sulla strada, lasciando intravedere alti grattacieli e palazzi di vetro e acciaio.
Il letto era sicuramente una piazza e mezza, con a fianco un comò e un cassettone in legno di ciliegio.
L’armadio era anch’esso molto grande, addirittura vi era anche una bella scrivania di vetro lucente e una bella libreria – vuota.
Questi Harrison sono proprio ricchi sfondati, se possono pagare una casa così grande e piena di mobili al loro pargoletto” pensò Evelyn, mentre sistemava i suoi vestiti e i numerosissimi libri.
Appena terminò, si sedette sul morbido e grande letto.
Bene, che cosa dovrei fare ora?” alzò un sopracciglio e si accasciò sul letto meditabonda.
Capitava infatti spesso che la sopracitata si distraesse spesso dalla frenetica vita e si “incantasse” ad osservare il cielo o il soffitto con chissà quali pensieri.
Dopo cinque minuti buoni, con la coda dell’occhio vide qualcuno sulla soglia della stanza, forse poggiato al muro.
«Che vuoi?» chiese lei senza nemmeno scostare gli occhi dal soffitto.
«Salve anche a te, coinquilina» rispose beffardamente il biondino.
Evelyn finalmente si alzò in piedi, mentre incrociava le braccia con fare annoiato.
«Dimmi un po’, qui come funziona?» chiese lei.
«Come funziona che cosa?» chiese l’altro, non capendo cosa intendesse Evelyn con quella domanda.
«Intendo... Sei un cuoco, uno chef o digiunerò per i prossimi mesi?» rispose la ragazzetta sarcastica.
«Probabilmente la seconda opzione» fece lui, beffardamente.
Evelyn lo guardò con uno sguardo per niente divertito, con quei suoi occhi chiari che spesso inquietavano.
«Calma, calma, non sai proprio stare agli scherzi, eh?» Alexander assottigliò gli occhi, mentre un ghigno si dipinse sulle sue labbra.
Evelyn rimase impassibile, anche se in cuor suo detestava già quel ghigno.
«Beh, vuoi sapere come funziona? – scrollò le spalle, per poi continuare – Insomma, non funziona» a quelle parole, Evelyn sgranò gli occhi, incredula.
Eh, sì, se c’era una cosa che non sopportava (e ce n’erano fin troppe di cose che non sopportava...) era certamente questa mancanza di organizzazione.
«Insomma non sono mica qui a fare la balia a una mocciosa»
Ancora una volta Evelyn si trattenne dall’aprire bocca per riempire il ragazzo in questione di insulti.
«Non sono una mocciosa» sibilò infine Evelyn.
«Oh, certamente, come ho potuto mancare di rispetto? Sentiamo, quanti anni hai?» ghignò Alexander sarcastico.
«Quindici» fece Evelyn irritata.
«Allora sì che sei grande. Se aggiungi altri tre anni saprai quanti ne ho io. Sempre che tu conosca la matematica» a quell’affermazione Evelyn scoppiò in una fragorosa risata, mentre Alexander la guardava a metà tra l’interrogativo e l’irritato, per la strana reazione della ragazza.
«Scommetto che la matematica la conosco meglio di te, caro simpaticone» rispose lei, senza scomporsi minimamente.
«Ma sentila... che classe frequenti? Il secondo anno?» chiese Alexander scettico.
«Il secondo anno? Povero diavolo... davvero, mi fai quasi pena»
Alexander la guardò di sbieco, senza rendersi conto di cosa intendesse in realtà Evelyn.
«Evidentemente non sai che in realtà la sottoscritta è diplomata a pieni voti» ghignò Evelyn, senza un minimo di modestia.
Dapprima Alexander sembrò non crederci, ma il tono e l’espressione seri e sinceri lo avevano quasi convinto.
«Non hai detto di avere quindici anni?» chiese allora, ancora un po’ scettico.
«Sì, ovvio. Non ho frequentato la scuola, però»
«Ah, hai studiato a casa... ora capisco la tua indole molto amichevole» la schernì sarcastico.
Evelyn non si scompose minimamente allo scherno del ragazzo, e si limitò a sbadigliare con nonchalance.
Alexander se ne andò, riflettendo un attimo sulla persona che avrebbe avuto come ospite per i prossimi mesi.
Insomma, di certo non si aspettava una tale ragazzetta così caustica, dopotutto le ragazze che conosceva lui erano completamente differenti, ma, dovette ammettere, per una volta aveva trovato qualcuno di “indomabile”.
Dopo che ebbe sistemato tutti i bagagli, Evelyn guardò il suo orologio al polso: erano le 14.
Il suo stomaco emetteva lamenti impercettibili, così decise che era ora di metterci qualcosa dentro.
«Dove stai andando?» chiese Alexander, mentre Evelyn stava aprendo il portone.
«Volevi una giustificazione scritta, per caso?» chiese lei, sarcastica.
«Io credo, più che altro, che tu ti sia dimenticata un dettaglio importante» Alexander ghignò, osservando l’espressione interrogativa di Evelyn.
Tirò fuori dalla tasca dei jeans un mazzo di chiavi, mentre Evelyn capiva cosa intendeva dire.
Alexander le si avvicinò con un leggero scatto e con la coda dell’occhio vide la tasca nei jeans di Evelyn e, abbassatosi leggermente, ci infilò le chiavi.
Evelyn fece una smorfia e scosse la testa.
«Questa era una scusa per toccarmi il sedere, darling?» ci credeva ben poco in quella domanda, dato che lei in fatto di “lato B” non c’era granché.
Alexander scoppiò a ridere di botto.
«Ti prego, chiamare quello “sedere” è come chiamare una pianura Monte Everest, e non esagero» Alexander aveva detto ciò per infastidire Evelyn, ma la ragazza non si scompose e si scostò semplicemente una ciocca di capelli finita davanti agli occhi.
«Wow, questo sì che è umorismo» rispose sarcastica, per poi uscire dalla soglia.

* * *
Quando uscì fuori dalla porta, Evelyn si accorse di sentire il Valzer n°2 di Shostakovic provenire dalle sue tasche.
Il telefono” pensò prendendo il suo grosso smartphone bianco quasi troppo grande per le sue piccole mani.
«Pronto?» chiese asciutta, anche se aveva benissimo visto dal monitor del cellulare chi era.
«Evie, cazzo, un po’ di entusiasmo, no?» disse una voce maschile fintamente irritata dall’altra parte del telefono.
«Ti prego, Arthur, non sei divertente» replicò Evelyn scocciata.
«Come sei caustica, tanto per cambiare. Che è successo?» chiese il ragazzo.
«Che è successo? Tu mi stai chiedendo che cosa è successo?»
«Aspetta... è oggi che i tuoi partivano?»
«Esatto, geniaccio, è oggi»
«Beh, Evie, allora devi raccontarmi tutto, no? Dove hai detto che sei?» dopo che Evelyn dettò accuratamente il nome e il numero della via nella quale era, chiuse la chiamata con il misterioso ragazzo e rimise in tasca il cellulare.
Sicuramente vi starete chiedendo: chi è questo qua?
Ricordate che all’inizio di questa buffa vicenda avevo alluso ad un certo individuo amico di Evelyn?
Ecco, questa è la risposta alla vostra domanda.
Nientemeno che Arthur Hudson, l’esatto opposto di Evelyn McKee, in tutto e per tutto.
A prima vista, è quel genere di ragazzo che con Evelyn non ci potrebbe avere a che fare neanche per sbaglio.
Dopotutto questo karma, o chi per esso, è imprevedibile e, come ben sappiamo, dietro alle apparenze c’è sempre qualcosa, c’è un mondo che noi non conosciamo né conosceremo mai, forse.

Torniamo, però, alla vicenda... Eravamo arrivati al punto in cui Evelyn aveva appena finito di parlare con il suo caro amico Arthur, giusto?
Ecco, in un quarto d’ora buono esattamente davanti alla minuta figura di Evelyn si posizionò una moto di colore blu metallizzato, dalla quale scese un ragazzo.
Era alto anche lui, tanto per cambiare, ma poco meno di Alexander, aveva un paio di occhiali da sole stile molto scuri, che tolse, mostrando così un paio di occhi di un castano scuro in contrasto con una pelle piuttosto chiara e dei capelli corti e rossi, leggermente a spazzola.
«Evie, quale onore!» si avvicinò a Evelyn e le scompigliò leggermente i capelli biondi.
«Finiscila, Arthur, tanto lo sai che non sei simpatico» rispose Evelyn scostando la mano del ragazzo.
«Ehi, calma, calma... Sei più acida del solito, se è possibile. Ora tu mi spieghi per bene cosa è successo mentre calmi il tuo stomaco con questo» le disse porgendole un sandwich piuttosto imbottito.
«Come sapevi che avevo fame?»
«Sono il tuo migliore amico» Arthur scrollò le spalle.
«Ti correggo: sei l’unico essere con che non sia scappato dopo i primi dieci minuti di conversazione» rispose Evelyn.
«Avevo cinque anni! Comunque non mi hai ancora detto cos’è successo» le ricordò lui impaziente.
«Va bene, va bene. Maledizione, quanto sei insistente Arthur...» così dicendo Arthur riuscì a cavare fuori dalla bocca di Evelyn tutti i particolari del “divertente e piacevolissimo incontro” avvenuto poco prima.
«No, dai, la storia delle chiavi è assurda, Evie! Sicura di non averlo sognato?» chiese Arthur tra una risata e l’altra.
«Hudson, qui l’unico che sogna cose che non si dovrebbero sognare se tu» rispose Evelyn.
«Quanto sei divertente, McKee, così tanto che ti porterei a letto, giuro» rispose Arthur ironico.
«Ti prego, Arthur, togli dalla tua testa certe oscenità!» commentò Evelyn piuttosto schifata.
Un’altra cosa da sapere su Evelyn, che avrete capito, era la sua “familiarità” con il mondo mondano dei suoi coetanei.
Arthur lo sapeva bene, per questo le sue “battutine oltremodo squallide”, come le chiamava Evelyn, erano spesso e volentieri composte da tali elementi.
«Suvvia, Evie, così mi offendi, però!» rispose Arthur con tono fintamente offeso.
«Questo era il mio principale scopo» scrollò le spalle Evelyn senza cambiare espressione.
Non sorrideva spesso, Evelyn, era un evento molto raro vederla sorridere in modo sincero.
Il più delle volte erano risate di divertimento, come quella avvenuta durante il breve colloquio con Alexander, oppure sorrisi sarcastici alquanto irritanti per la gente che le stava attorno.
Arthur lo sapeva, ormai si era quasi rassegnato all’idea di vederla sorridere davvero, non riusciva nemmeno ad immaginare Evelyn McKee sorridere di felicità, era una visione troppo strana, lontana.
Dopo qualche altra chiacchierata e dopo aver finito il buon sandwich gentilmente offerto da Arthur, Evelyn si diresse nuovamente nell’appartamento, magari per finire di leggere Guerra e Pace.
Appena arrivò al portone, prese le chiavi, ne scelse una e tentò di aprire.
Non funzionava.
Ne prese allora un’altra dal mazzo e ritentò.
Niente da fare, non entrava nemmeno nella serratura.
Tentò anche con le ultime due chiavi, ma il risultato fu come gli altri.
Insomma, che caspita di chiavi mi ha dato?” pensò Evelyn, rassegnandosi all’idea di dover suonare alla porta.
Dopo il secondo squillo del campanello, qualcuno si degnò di aprire.
Solo una cosa: non era Alexander.
Era decisamente più femminile di Alexander.
Era decisamente meno vestita di Alexander.
Era, decisamente, la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso.


 
 
Author’s corner.
Salve a tutti! Eccomi, nuovamente, con una storia tutta nuova... Eh, sì, non ce la faccio proprio a stare troppo senza inventarmi nulla di nuovo!
Spero che l’inizio vi piaccia, ci ho messo veramente tutta la creatività che avevo in questa storia, per questo, almeno nella mia testa, appare più che appetibile la trama.
Come avete letto, la protagonista (e mia omonima!) è parecchio singolare, spero vi piaccia perché io la adoro semplicemente.
Come trovate Alexander?E Arthur? (io li adoro tutti, tanto per cambiare)

Spero abbiate notato il banner, che è opera della bravissima (e gentilissima!) Krystal Darlend.
Vi consiglio la sua pagina di grafica per richiederne uno, è davvero brava a crearne!
Cliccate sul nome seguente per andare nella sua pagina: ►Peerless Graphic Efp

Comunque, come avrete capito, la ragazza nel banner è Evelyn, mentre i due ragazzi sono Arthur e Alexander (Arthur a sinistra e Alexander a destra).
Ovviamente se mi lasciaste qualche parere con le vostre impressioni sulla storia, mi fareste oltremodo felice :D
Alla prossima!

Evelyn.

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Capitolo 2
*** Chapter 1. ***


~~Chapter 1.

Evelyn era ferma davanti alla soglia dell’appartamento.
In quel momento nella sua testolina passavano più imprecazioni del dovuto, ma riuscì a trattenersi dallo sputarle tutte insieme e di getto, per fortuna.
La ragazza che aveva aperto la porta la guardò con aria interrogativa.
«Non sapevo che Alex aspettasse qualcuno» osservò poi scioccamente la ragazza che le aveva aperto, scostandosi una ciocca di capelli castani finita davanti all’occhio.
«E io non sapevo che questo appartamento fosse un bordello» sibilò Evelyn.
«Come, scusa?» chiese la ragazza, che evidentemente non aveva ben compreso.
«Lasciamo stare. Comunque, dov’è quel disgraziato?» disse Evelyn, con un tono aggressivo, ma pacato.
«Di chi stai...?» ma Evelyn non la fece nemmeno terminare di parlare, che la scostò di peso ed entrò.
Salì in fretta le scale ed entrò nella stanza adiacente alla sua.
Lì c’era un Alexander intento ad allacciarsi la camicia.
«Ah, sei venuta a farmi compagni...» le parole gli morirono in gola, mentre alzò lo sguardo incrociando gli occhi di ghiaccio di Evelyn.
«Ma salve, coinquilina. Cosa cazzo ci fai qua?» chiese, alzando un sopracciglio.
«Senti, “bello”, non so tu come fai di solito, ma io non voglio zoccole nel giro di due anni luce, intesi?» sbottò Evelyn, puntandogli l’indice contro.
Per tutta risposta, Alexander le fece un secco e semplice medio.
«Senti, “bella”, non so tu come fai di solito, ma io non voglio rompicoglioni nel giro di... non so, dieci anni luce» disse poi Alexander, usando lo stesso tono di Evelyn.
«Mi spieghi quali problemi mentali hai? Magari ti chiamo un bravo psichiatra e li risolvi» rispose Evelyn acida.
«Mi chiami un bravo psichiatra? Lo stesso che cura te?» ghignò Alexander.
«Va’ al diavolo, Harrison. Sono qui da due ore e già voglio tornarmene a casa, fantastico»
«Beh, dillo ai tuoi mami e papi, che non vogliono lasciarti sola soletta perché sei piccina»
Questo era troppo, signori, Evelyn strinse i pugni, le pupille si restrinsero.
Era terribilmente impotente rispetto ad Alexander, però.
Una piccola pulce che litigava con un elefante, sembravano.
Solo che Alexander era molto più attraente di un elefante, tanto per la cronaca.
Ma ad Evelyn non importava, gli avrebbe sputato in faccia all’infinito molto volentieri.
«Senti, dolcezza, fai una cosa: chiuditi nella tua stanzetta a chiave fino a domani mattina e non scassarmi. Avrò pure il diritto di divertirmi, no?»
«Dio mio, sei senza dignità. Che schifo» sputò Evelyn, come se fosse veleno corrosivo.
«Aspetta, frena, frena. Non dirmi che sei quel genere di ragazza che fa finta di essere una santissima suora della carità. Cioè, lo sospettavo già, ma, insomma, potevo sbagliarmi» rise Alexander.
«Ti giuro, ho la cena di ieri che sta per uscire» rispose Evelyn.
Proprio in quel momento entrò nella stanza la ragazza che le aveva aperto la porta.
«Alex, chi è questa bambina? Non sapevo avessi sorelle» commentò, guardando malamente Evelyn.
Loro fratelli? Stava quasi per mettersi a ridere.
Insomma, era una parentela che non ci teneva affatto ad avere.
«No, è solo un’amica di colleghi dei miei. Sai, faccio anche il babysitter nel tempo libero» rispose Alexander, per poi fiondarsi sulle labbra della ragazza.
Con Evelyn di fianco, che stava seriamente per rimetterci la cena del giorno prima.
Insomma, da quella “comoda postazione” vedeva cose di cui avrebbe fatto benissimo a meno.
Come i continui palpeggi di Alexander alla ragazza.
Il “bello” era che quei due non si curavano affatto della presenza di Evelyn, di una sconcertata Evelyn completamente paralizzata e in preda all’orrore più totale.
Quel ragazzo non aveva il minimo pudore, pensò, mentre i suoi piedi si muovevano per cercare di uscire dalla stanza maledetta.
Si andò poi a chiudere nella camera di fianco, quella che doveva essere la sua.
Come se nulla fosse, prese Guerra e Pace dal suo bagaglio.
Avrebbe passato tutto il tempo a leggere, reclusa nella sua cella.
Certo, leggere con certi rumorini che provenivano dalla stanza a fianco non era una cosa molto carina.
Insomma, se ogni pomeriggio e notte fosse stato così, avrebbe fatto prima a spararsi seriamente.

* * *

Ad un certo punto, controllò l’orologio, giusto per essere sicura di quanto tempo fosse passato.
Le sei.
Erano quattro ore che quegli orrendi rumori le facevano da sottofondo alla lettura.
Sarebbe impazzita nel giro di poco, lo sentiva.
Chissà, magari intanto Alexander aveva cambiato ragazza.
Il solo pensiero le faceva rivoltare lo stomaco.
Era stata un'orribile giornata, quella.
Insomma, i suoi genitori l'avevano abbandonata in un lussuoso appartamento con un pervertito, fantastico, no?
Dopotutto, però, Alexander era – ora ne era più che certa – uno di quei figli di papà all’apparenza degli angeli con tanto di aureola, ma che sotto sotto erano peggio del demonio.
Ringraziò – ed Evelyn McKee che ringraziava era un evento più unico che raro! – chiunque le avesse donato un corpicino insulso e da bambina e riprese a leggere, mettendosi le cuffie con un valzer di Shostakovich al massimo volume per non pensare a cosa Alexander stesse facendo in quel preciso istante con quella ragazza.
Il tempo scorreva però lento, troppo lento.
Quanto avrebbe dato per andarsene, in quel momento? Tanto, davvero tanto.
Di fatto, Evelyn McKee, lo avrete notato, era impulsiva, anche tanto, ma riusciva a mantenere quasi sempre una calma alquanto innaturale.
Quasi sempre, appunto.
Ad ogni modo, non si era mai veramente confrontata con il vero mondo dei ragazzi della sua età.
Certo, c’era Arthur, ma Arthur era Arthur dopotutto.
Si erano conosciuti undici anni prima circa, Evelyn aveva appena iniziato il suo programma scolastico, che i “normali” bambini iniziano dopo circa un paio d’anni, mentre Arthur era un paffuto bambino iperattivo che amava giocare.
Gli Hudson erano altri amici dei McKee, soprattutto le madri, un tempo compagne di scuola.
Un giorno, la signora McKee e la signora Hudson, si ritrovarono appunto a chiacchierare del periodo universitario nel quale si erano perse di vista ed ebbero la brillante idea di portare con loro i due figli.
Evelyn era intenta a leggere – come aveva detto l’insegnante – un libro di fiabe.
La disgustavano quelle orrende storie su principesse e principi, preferiva di gran lunga quei meravigliosi racconti di Stephen King, che non aveva il permesso di leggere, ma che leggeva comunque, nonostante i suoi quattro anni.
Doveva ammettere che non ci capiva così tanto, a volte, ma quelle storie l’affascinavano molto più di quelle stupidate a lieto fine che doveva leggere.
Arthur, intanto, la osservava con le sopracciglia rosse aggrottate, chiedendosi cosa caspita stesse facendo quella bimbetta dallo sguardo arcigno.
Insomma, Evelyn non sprizzava esattamente allegria da tutti i pori, ma Arthur prese l’iniziativa e disse un timido “Ciao”.
Evelyn alzò lo sguardo dal libro e guardò quel bambino, quel bambino che si era permesso di rivolgerle la parola.
«Ciao» disse, con noncuranza, ritornando al suo libro.
«Cosa fai?» chiese nuovamente il rosso, cercando di capire come mai quella bambina lo guardasse così male.
«Leggevo» rispose Evelyn.
«Leggevi?» Arthur parve stranito.
Per lui leggere era da grandi, e quella bambina le sembrava tutto meno che grande.
Forse voi pensate, però, che Evelyn abbia usato il passato senza farci molto caso, in effetti sarebbe stato più sensato dire “leggo”, invece di “leggevo”, ma invece no, se c’è una cosa che Evelyn sapeva fare anche a quattro anni era usare le giuste parole.
«Sì, ora ci sei tu a disturbarmi» rispose quindi Evelyn.
Ecco, avete visto? La piccola Evelyn sapeva come togliersi dai piedi i rompiscatole.
Peccato che non conosceva Arthur Hudson.
«Divertente» commentò, dopo una breve risata.
Una risata così cristallina, che sembrava gradevole come il rumore delle onde.
Evelyn non era mai riuscita ad imitarne una, ma neanche ad inarcare le labbra con quella specie di “u”, come vedeva spesso fare agli adulti.
Insomma, dopo questo primo colloquio pieno di strane occhiate e parole dosate col contagocce, Arthur ed Evelyn divennero con gli anni una cosa molto strana.
Lei odiava definirlo “migliore amico”, era un sentimento troppo stupido da provare, ma in ogni caso qualcosa erano, non sconosciuti, di certo.
Comunque, dopo questo breve aneddoto, ritorniamo dalla nostra frustrata Evelyn.
Dov’era? Ah, già, nella sua stanza a leggere.
E anche da un bel po’, pensava.
Era quasi ora di cena, così tolse le cuffie per capire se Alexander era ancora intento nei suoi lavoretti ricreativi.
Non si sentiva alcun rumore, di nessun tipo.
Ottimo, pensò Evelyn, anche se questo non significava esattamente nulla.
Forse adesso era con una ragazza un tantino più silenziosa, chissà.
Aprì piano la porta della sua stanza, controllò il corridoio e decise di dirigersi in cucina, ovunque fosse.
Neanche il tempo di scendere le scale, che il campanello suonò.
Oh, oh.
Non aveva alcuna intenzione di aprire, poteva trattarsi di chiunque, un’altra amichetta di Alexander magari.
E lei non avrebbe mai voluto incontrarne nessun’altra.
Non sapeva dove fosse Alexander, ma ovunque fosse o faceva finta di non sentire mai quel dannato campanello, o era sordo per davvero.
Suonò per circa due minuti, dopodiché si stancò veramente di sentire quell’acuto rumore proveniente dalla porta, e aprì di getto.
Era un ragazzo.
Aveva i capelli corvini spettinati, la pelle olivastra e gli occhi di un candido azzurro.
Non poteva importagliene di meno, ad Evelyn.
«Finalmente, Alex, che cazzo stavi facen...» la voce del ragazzo si spense all’istante, notando che l’essere che gli aveva aperto era leggermente più in basso di quanto pensava.
«Ehm... salve?» azzardò il ragazzo, leggermente frastornato, ma con un sorriso sghembo sulle labbra.
«Se cerchi quel disgraziato, non ho la più pallida idea di dove sia» sputò Evelyn, roteando gli occhi.
Il ragazzo la guardò in modo così strano e così divertito, che Evelyn per poco non ebbe l’impulso di sbattergli la porta in faccia.
«E tu chi saresti?» le chiese, con un tono completamente diverso dal precedente.
Più mieloso e impastato, simile a quello di Alexander, ma più dolce.
E lei lo odiava già.
«Chi saresti tu, forse» rispose Evelyn, con il suo solito tono duro.
«Terence Wilson, ma puoi chiamarmi Ter» rispose il ragazzo, senza cambiare tono.
«Interessante, davvero. Non cercavi Alexander?» tagliò corto Evelyn, disgustata dal tono del ragazzo.
«Oh, la tua compagnia sarebbe molto più accattivante, in realtà» rispose Terence, appoggiandosi alla soglia.
Ma quanto era sfacciato? Pensò Evelyn, alzando un sopracciglio.
«Contaci» disse Evelyn.
Si fece da parte per fare entrare quel ragazzo, lei sarebbe ritornata nella sua stanza alla fine, le era addirittura passata la fame.
«Bene, non ti aspettare che vada a chiamare quello sciagurato. Io vado, au revoir» avanzò verso le scale per salirle, ma il braccio del ragazzo le bloccò la vita.
Una qualunque ragazza avrebbe sicuramente notato il brivido a quel contatto azzardato e sfacciato, ma Evelyn avrebbe soltanto voluto prendere a schiaffi il mondo intero, in quel momento.
«Tu. Mollami. Subito» disse Evelyn.
Il ragazzo rise un attimo, poi la lasciò.
«Scusami, non volevo, davvero. Però spiegami esattamente cosa c’entri con Alex. Dio, non riesco proprio a capirlo e mi sto scervellando da un minuto» rise Terence.
Evelyn fece un profondo respiro e scosse la testa.
«Prima dammi una pistola» disse sarcastica.


-Author’s Corner-


Salve! So che è una vita che non aggiorno la long, comunque ecco qua il primo capitolo.
So anche che il finale non è proprio un finale, ma l’ho spezzato in due, per creare un po’ di suspense (?)
Comunque, le recensioni sono sempre gradite ovviamente, mi farebbe piacere sapere il vostro parere :)
Detto questo, vi lascio, e alla prossima ;)

Evelyn.

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