Mano armata e naso bianco.

di misslittlesun95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***
Capitolo 12: *** XII ***
Capitolo 13: *** XIII ***
Capitolo 14: *** XIV ***
Capitolo 15: *** XV ***
Capitolo 16: *** XVI ***
Capitolo 17: *** XVII ***



Capitolo 1
*** I ***



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Mano armata e naso bianco.



I
Giugno 1975


L'estate, a Torino, non tardava mai.
Pareva paradossale, dato che il capoluogo del Piemonte non era certo un posto caldo e dotato di clima sempre mite, anzi, ma era così.
Già arrivati alla metà di maggio i ragazzi iniziavano a sentire il caldo come elemento di distrazione dallo studio, e appena le scuole chiudevano i loro pensieri correvano verso il mare sconfinato di cui, disgraziatamente, la loro città era sprovvista.
Ma quello non fermava di certo i giovani, anzi.
Anche i meno abbienti, i figli degli operai o degli immigrati del sud, in un modo o nell'altro in Liguria al mare ogni tanto riuscivano ad andare.
Mirella Birgazio, diciassette anni, aveva il padre commissario di polizia e le vacanze le faceva abbastanza bene tutti gli anni, un paio di settimane al mare e una dai nonni, ad Aqui Terme.
Proprio per quel motivo quel giugno del 1975 in casa loro era iniziato in modo strano.
Era successo, infatti, che non lontano da quel paesino era morta una terrorista, una brigatista*, e la notizia che la violenza gli fosse così vicina aveva spaventato Maria, la madre di Mirella.
- Forse dovremmo andarcene dal nord.- Aveva detto un paio di giorni dopo la donna mentre pranzavano.
- Fesserie! Il terrorismo è anche qui a Torino, lo sai, e mai hai proferito parola. Ora con questo fatto vuoi andar via?!- Aveva risposto il marito.
Maria non aveva replicato, ma sia Rodolfo, il marito, che i due figli maggiori, Mirella e Bruno, il fratello maggiore più grande di lei di cinque anni, avevano capito dove la donna volesse andare a parare, ovvero sul fatto che l'accaduto, essendo successo a pochi minuti dalla casa dei suoceri, gli era come entrato in casa.
A distendere il clima teso che la piccola discussione trai due aveva creato fu Guido, il figlio più piccolo, che non aveva neanche sette anni.
- Mamma dopo posso andare a giocare con Lauretta e Massimo?- Aveva domandato.
- E dove vorresti andare?-
- Al parco. Può venire anche Mimì se vuoi.-
Mimì era il nomignolo che il piccolino aveva dato alla sorella.
- Mimì ti va di andare con loro?- Aveva domandato sospirando la madre alla figlia.
- Va bene, però non dovete farmi impazzire che voglio ripassare latino per l'ultima interrogazione.- Aveva risposto la ragazza.
Maria aveva sempre ringraziato Dio di avergli dato una figlia del genere.
Buona, gentile, sempre disponibile a dare una mano e a mettersi in gioco per aiutare gli altri.
Non che Bruno fosse un cattivo ragazzo, ovviamente, ma era diverso dalla sorella minore.
Forse perché era maschio e, quindi, in qualche modo cercava di preservare la sua virilità facendo il duro.
Ma se c'era bisogno aiutava, quello sì, sempre.
Era anche per quel motivo che aveva fatto un istituto tecnico e non il liceo come i genitori avevano sperato.
La voglia di fare l'università non l'avrebbe avuta comunque, ma in quel modo subito dopo il diploma era riuscito a trovare lavoro e a dare una mano alla famiglia.
In casa lo stipendio lo portavano solo lui e il padre, perché la donna alla fine aveva deciso di rimanere a casa ad accudire i figli.
Aveva il diploma di insegnante elementare, ma finché con i soldi che avevano riuscivano ad andare avanti preferiva fare la casalinga.
Mirella frequentava lo stesso tipo di scuola che aveva fatto la madre, ma voleva farlo fino al quinto anno per poi andare all'università a studiare non sapeva bene ancora cosa.
Quando era stato il momento di scegliere aveva preferito quello al liceo classico perché trovava le materie di studio più interessanti ed adatte a lei, ma non per quello era intenzionata a fermarsi al diploma che a suo tempo aveva preso la madre.
L'apertura delle università**, anzi, aveva fatto nascere da subito in Mirella, che all'epoca aveva solo undici anni, la voglia di proseguire nei suoi studi a prescindere dalla scuola superiore.
Guido, invece, quando gli chiedevano che cosa volesse fare da grande rispondeva che voleva andare nello spazio.
Aveva appena finito la prima elementare e di certo a quell'età non poteva immaginare la sua vita da adulto.
Per lui, secondo il quale anche i ragazzini di quinta erano dei giganti e gli adulti quasi creature divine, le parole dei genitori relative al terrorismo erano nulla.
Questo motivo spingeva Maria e Rodolfo a non discutere di quello davanti al piccolo, e se possibile neanche davanti ai due ragazzi più grandi, che invece capivano fin troppo bene.
- Io scappo a studiare così per le quattro accompagno Guido ai giardinetti.- Disse Mirella alzandosi.
Bruno si alzò in automatico assieme alla sorella minore.
- E tu, invece, dove hai intenzione di andare?- Chiese il padre versandosi del vino nel calice.
- Da Pietro, gli serve una mano con la moto. Torno per cena.-
- Ah, grazie di averci avvisato, è un piacere vivere con te.- Commentò sarcastica la madre.
Ma Rodolfo, con un gesto del capo, fece capire alla moglie che forse era giusto lasciare al ragazzo la sua libertà.
Guido abbandonò il tavolo del pranzo poco dopo, mentre i genitori prendevano il caffè, e rimase a giocare nella stanzetta che condivideva con il fratello maggiore per tutto il pomeriggio, fino a che Mirella non lo portò al parco vicino casa.
Lei lo faceva molto volentieri anche per via di Mario, il fratello di Lauretta, un ragazzo di vent'anni che studiava medicina e che conosceva da parecchi anni.
Un po' sentiva di provare qualcosa per lui, era vero, ma sapeva anche che, per quanto si scambiassero solo tre anni, lui era per lei troppo grande.
Ciò però non gli impediva di essere amici, anzi, e di passare insieme quelle due ore ai giardinetti mentre i fratelli minori giocavano.
Insieme parlavano di tutto, ma l'argomento che più interessava Mirella era quello politico, di cui lei capiva poco mentre Mario parecchio.
Le spiegava ciò che accadeva nel loro paese con parole ed esempi semplici, di quelli che anche i bambini potevano capire, e la ragazza lo guardava con gli occhi di un'alunna delle elementari che scopriva qualche meraviglia della matematica o della scienza grazie a un maestro dal carattere d'oro.
Quel pomeriggio il discorso si fermo un attimo su ciò che era successo ad Aqui Terme, poiché Mirella non aveva mai realmente compreso cosa fosse il terrorismo. Né, fino a quel momento, se ne era interessata.
Poi però avevano iniziato a parlare dell'estate ormai arrivata e dei progetti per la stagione calda, della scuola che la ragazza stava finendo e degli studi di Mario.
Alla fine il tempo era volato, e al momento di salutarsi erano quai più tristi loro che i due bambini.
Mentre tornavano a casa, Guido aveva chiesto alla sorella del suo rapporto con il fratello di Lauretta.
- Ma tu sei innamorata di Mario? Guarda che non lo dico a mamma.- Le aveva detto mentre si trovavano a pochi metri dal portone di casa.
- Ma cosa dici?! Siamo amici, nient'altro. E comunque bravo, che se anche fosse queste cose a mamma non vanno dette. Ora però corri su a farti il bagno che sembri un pezzo unico di terra, come tu possa sporcarti ogni volta così tanto non lo so proprio! Dai, fila!- Disse la sorella sembrando convincente e poi sviando l'argomento.
Entrò in casa qualche minuto dopo Guido, poiché il piccolo si era fatto tutte le scale di corsa.
Si chiuse in camera sua e si buttò a terra appoggiata alla porta, fissando le guance completamente rosse.
Sì, probabilmente era innamorata di Mario e se l'aveva capito anche il fratellino significava che lo nascondeva male.
Sperò solo che il ragazzo non ci fosse ancora arrivato, perché in quel caso non si sarebbe più fatta vedere da lui neanche da lontano, e sarebbe stato difficile spiegare ai genitori quale motivo la spingesse a non accompagnare più Guido al parco.
Così, tolto il tempo della cena, passò l'intera serata a cercare di imparare a nascondere i suoi sentimenti.




Note del testo.
*Margherita “Mara” Cagol, fondatrice delle Brigate Rosse insieme al marito Renato Curcio, morta in uno scontro a fuoco con la polizia vicino ad Aqui Terme (AL) il 5 giugno 1975 (http://it.wikipedia.org/wiki/Margherita_Cagol )
**Nel 1969 viene esteso l'accesso alle università ai diplomati di ogni istituto superiore, prima era concesso solo agli studenti del liceo classico per tutte le facoltà e a quelli dello scientifico per alcune.




Note autrice
Ciao a tutti! Nuova storia, stesso periodo!
Di nuovo gli anni 70/80 ma questa volta visti da un'altra prospettiva!
Quale? La scopriremo andando avanti! :)
Per ora un grazie a chi ha letto e un abbraccio!
Alla prossima!

;Sunny

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Capitolo 2
*** II ***



Uploaded with ImageShack.us II
A settembre Mirella aveva iniziato il quarto anno di superiori, quello che per molte delle sue compagne sarebbe stato l'ultimo.
Anche la sua migliore amica, Simonetta, era tra quelle che non avrebbero fatto l'anno necessario all'ammissione all'università.
I suoi genitori erano operai alla Fiat di Mirafiori, e per lei era importante tentare di trovare lavoro come insegnante subito per dare una mano in casa.
Malgrado fosse figlia unica, infatti, i soldi non erano mai abbastanza, e di certo non coprivano quelle che sarebbero potute essere le spese per l'università della ragazza.

Probabilmente l'anno seguente le due quarte sarebbero diventate una quinta sola, e Mirella sbuffava ogni volta che ci pensava perché
con le ragazze dell'altra sezione non era mai scorso buon sangue.

- Ma sì, ci penserai a settembre prossimo, abbiamo ancora un anno davanti!- Le aveva detto Simonetta un giorno tornando da scuola col tram.
In effetti aveva ragione, c'era tutto il tempo, inutile farsi mille problemi in quel momento.
- Domani andiamo in biblioteca, vero?- Aveva proposto poi la ragazza.
Mirella aveva annuito. - Devo chiedere ai miei, ma penso che non ci saranno i problemi. Tra l'altro Alessandra mi diceva che c'è un gruppo di ragazzi dell'istituto geometra che vuole venire a fare picchetto pure davanti a scuola nostra, quindi figurati, spiego a mio padre la situazione e non ho problemi. - Aveva risposto Mirella.
Il giorno successivo, di fatti, ci sarebbe stata una grossa manifestazione studentesca a cui né lei né le sue amiche avevano intenzione di partecipare, ma a quanto pareva anche andare a scuola sarebbe stato complesso.
Così avevano deciso di passare la mattinata in biblioteca a studiare, loro due e un altro paio di amiche.
Si sarebbero viste alle nove meno un quarto davanti alla scuola elementare che frequentava Guido, che poi era la stessa in cui erano andate loro parecchi anni prima, e sarebbero poi tornate a casa per pranzo.
Mirella conosceva bene suo padre, e sapeva che in una situazione normale non sarebbe stato facile convincerlo a farle saltare un giorno di scuola, ma la notizia del possibile picchetto aveva cambiato le cose, e di certo Rodolfo avrebbe preferito avere la certezza che sua figlia fosse in biblioteca a studiare piuttosto che non avere idea di se e come fosse entrata a scuola.
Di fatti, durante la cena, l'unico momento in cui in famiglia stavano tutti assieme, la ragazza aveva spiegato bene al padre come stessero le cose e non aveva avuto problemi ad ottenere la sua autorizzazione ad andare con le amiche.
- Tu invece vai a manifestare?- Aveva domandato Maria a Bruno mentre serviva il secondo.
- No, ho da lavorare. E poi non ho molto da spartire con gli studenti, tutto questo mi pare di aver capito che sia legato alle scuole e alle università. Sai, mamma, come nel sessantotto. All'epoca aveva un senso anche per me, ma adesso no.-
- Però per la maggiore età a diciotto anni eri andato.- Aveva ricordato la donna.
- Sì, ovvio. Perché quello interessava anche me. E poi te l'ho detto, ho da lavorare. A proposito di questo devo andare a sistemare alcune cose, quindi se non vi dispiace vi lascio.- Aveva concluso poi alzandosi dal tavolo.
Appena il fratello era andato via, Mirella si era messa a ridere.
- Posso sapere il perché di tutta questa ilarità, Mimì?- Le aveva chiesto il padre.
- Scusa, è che stavo pensando alla maggiore età. Bruno è diventato maggiorenne lo scorso otto marzo, quando sarebbe dovuto diventarlo il quattro giugno, il giorno in cui ha compiuto ventuno anni. Io invece ho solo diciassette anni e mezzo ma tra meno di sei mesi, il ventuno di marzo, avrò diritto di voto, non vi pare bellissimo? Potrò prenderlo in giro tutta la vita, ci passiamo quattro anni e siamo diventati maggiorenni entrambi a poco più di un anno di differenza!-
Rodolfo aveva sorriso alle parole della figlia e poi si era pulito la bocca e i baffi per prendere un sorso di vino.
- Prenderlo in giro per tutta la vita per così poco mi pare eccessivo, ma se proprio ci tieni ricorda che, probabilmente, sarà la prima ed ultima volta che la legge sarà a tuo favore.- Le aveva risposto.
- Grazie papà, sei sempre così pronto a sostenermi. Comunque mi spiace dirvelo ma vado anche io, chiamo Simonetta e poi me ne sto un po' in camera.- Aveva detto la figlia, che proprio come il fratello maggiore se ne era poi andata dal tavolo senza neanche chiedere.
- Io quando compio diciotto anni mamma?- Aveva domandato Guido una volta rimasto solo con i genitori. - Che giorno è il tuo compleanno?- Chiese il padre.
- Il dieci di settembre.-
- E quanti anni hai fatto l'ultima volta.-
- Sette.-
- Quindi tra undici anni. Sai che anno sarà tra undici anni?-
Il bambino aveva scosso la testa.
- Sarà il 1986, uno nove otto sei. Il dieci di settembre del 1986 avrai diciotto anni.- Aveva detto Rodolfo.

- Ma manca ancora tanto.- Era stato il commento del bambino.
- Non ti preoccupare, vedrai che passa subito.- Aveva risposo la madre. - Però ora saluta papà che andiamo a dormire, su.-
Guido aveva salutato il padre e seguito la madre.
Prima di andare a letto era passato a salutare anche il fratello e la sorella, dicendogli felice che “Anche se gli mancavano tanti anni per diventare maggiorenne sarebbero passati subito”.
La mattina seguente, mentre andava a scuola accompagnato da Mirella, il discorso era caduto su altro, ad esempio sul motivo per cui quel giorno la sorella non sarebbe andata a lezione.
La ragazza gli aveva riassunto in parole povere che anche lui potesse capire il motivo, e poi l'aveva lasciato andare a giocare con alcuni amici nel cortile della scuola.
Solo prima del suono della campanella il bambino era tornato dalla sorella maggiore per prendere la cartella e darle un bacio.
Lei lo aveva guardato entrare e poi era uscita dai cancelli dell'edificio scolastico per attendere le sue amiche.
Loro erano arrivate puntualissime, come al solito, ma proprio mentre si stavano avviando verso la biblioteca Mirella si era sentita chiamare.
- Mìmì, anche tu oggi a fare la tata?-
Dietro di loro era comparso Mario, che probabilmente aveva accompagnato a lezione sua sorella Laura, la Lauretta amica di Guido.
- Ohi Mario! Eh, sì. Non andiamo a scuola per via della manifestazione, quindi... stavamo andando in biblioteca a studiare.-
- Ah, capisco. Sì, ho sentito che la mobilitazione sarebbe stata grande. Senti... non è che prima di andare con le tue amiche potremmo prendere un caffè insieme? Tanto a raggiungerle ci metti poco, no?-
Mirella si girò di scatto verso le altre ragazze, che come era ovvio avevano sentito tutto e le stavano sorridendo.
- Sì, posso. Basta che facciamo presto perché devo davvero studiare.- Aveva risposto.

Mario le aveva detto di non preoccuparsi, ed erano andati assieme in un bar dove avevano passato quella che la giovane poteva definire una delle mezzore migliori della sua vita.
Fu però proprio quando si accorse che era passata mezzora che si alzò di scatto e salutò il ragazzo in fretta, scusandosi ripetutamente per quel brusco addio ma spiegando che non poteva fare diversamente.
Lui ovviamente aveva capito, e si era anzi scusato a sua volta per averla trattenuta più del dovuto.
Rapidamente si era avviata verso la biblioteca, ma una volta entrata e raggiunto il tavolo delle sue compagne non aveva avuto neanche il tempo di mettersi seduta che era stata trascinata in bagno dalle amiche per farsi raccontare ciò che era accaduto.
- Nulla di rilevante, abbiamo chiacchierato come due buoni amici. Sapete come la penso, è grande per me.- Aveva subito detto la ragazza.
Quella era la sua idea realmente, purtroppo. Si trovava bene con lui, gli voleva bene, ne era in buona parte innamorata, proprio come anche Guido aveva capito, ma lui era grande, e si meritava una fidanzata grande.
E forse anche migliore di lei, lei che in fondo era solo una scolaretta, come spesso la definiva Bruno.
Simonetta, Alessandra e le altre due amiche che erano con loro l'avevano guardata con sospetto, ma alla fine si erano arrese al fatto che non fosse davvero successo nulla con Mario.
- Però un po' è un peccato, perché secondo me stareste davvero bene assieme.- Le aveva detto poi Simonetta mentre tornavano nell'aula di studio.
Mirella aveva annuito e sospirato.
Di certo lei e Simonetta non erano migliori amiche per caso.

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Capitolo 3
*** III ***



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III


Rodolfo definiva Mirella un fiore, e non solo perché come ogni padre provasse un affetto particolare per la figlia femmina o perché lei fosse molto bella, cosa che comunque era davvero.
Il motivo del paragone era ancora diverso e riguardava la sua data di nascita; ventuno marzo, primo giorno di primavera.
Era nata con qualche giorno di anticipo rispetto ai calcoli, e per circa quarantotto ore era rimasta senza nome proprio per quel motivo.
Al padre, infatti, sarebbe piaciuto chiamarla Rosa, Viola o Margherita, come i fiori, ma la madre voleva lasciarle il nome che avevano scelto, ovvero Mirella, poiché era il nome della sua adorata nonna, scomparsa quando lei aveva una dozzina di anni lasciandola con dentro un vuoto enorme.
Alla fine aveva prevalso l'idea iniziale all'anagrafe e l'aggiunta Rosa al battesimo.
Comunque fosse andata, da quando Mirella era nata non era esistita una primavera in cui il padre non aveva riempito la casa di fiori, dal ventuno di marzo al quattro di giugno, il giorno del compleanno di Bruno, che fin da piccolo aveva detto che i fiori erano troppo da femmine per lui.
Quell'anno, era il 1976, il ventuno di marzo capitava di Domenica, e Rodolfo si era alzato molto presto per andare a comprare un meraviglioso mazzo di fiori da donare alla giovane.
Diciotto anni, Mirella raggiungeva la maggiore età.
Si era fermata a dormire da Simonetta, tanto era nata verso l'ora di pranzo e proprio per quello stesso orario sarebbe tornata a casa dai genitori.
Aveva festeggiato, neanche in modo enorme, la sera prima con amiche e amici in un ristorante del centro.
Tra gli invitati vi era anche Mario, che poi a metà serata l'aveva invitata a ballare.
Lei continuava a reprimere ciò che provava per lui, malgrado immaginasse di essere in parte ricambiata, sempre per lo stesso motivo, la differenza di età.
Era un discorso che non affrontava neanche più con le amiche, sapeva che era un momento di crescita, il loro, in cui, per quanto gli anni di distanza fossero pochi, parevano troppi.
Forse, un giorno, qualche anno dopo le cose sarebbero state diverse, ma finché non si sarebbe sentita sicura di essere abbastanza vicina a lui a livello mentale avrebbe lasciato perdere, cercando magari di conoscere il mondo dell'amore, non necessariamente fisico, assieme a qualche ragazzo coetaneo.
In ogni caso l'amicizia tra i due rimaneva ed era forte, e più di tutto il resto questo era l'importante per Mirella.
La ragazza arrivò a casa puntualissima all'ora del pasto, accompagnata dalla migliore amica che sarebbe rimasta a pranzo con lei.
La tavola era già apparecchiata, ma mentre ai posti dei genitori, dei due fratelli e di Simonetta vi erano le stoviglie come era giusto fosse, su quello della neo-diciottenne vi era un enorme mazzo di fiori, quello che il padre aveva comprato quella mattina, e un piccolo pacchetto molto ben incartato.
Mirella era rimasta senza parole, perché la composizione floreale era magnifica, e dentro a quel pacchettino vi era una collana meravigliosa.
La indossò subito, e si promise che non se la sarebbe mai tolta, qualsiasi cosa fosse accaduta.
Maria e Rodolfo erano stati felici di vedere quanta gioia avessero donato alla figlia con quei regali, perché per loro i figli venivano prima di tutto, prima anche della loro stessa vita.
La giornata era passata tranquilla, con Mirella e Simonetta che ad un certo punto si erano anche dovute mettere a studiare, perché per quanto una giornata potesse essere felice il mondo non si fermava e le verifiche incombevano.
La loro unica fortuna era che mancavano solo dieci giorni alle vacanze di pasqua, che per quanto brevi erano comunque ben gradite e auspicate dagli studenti.
Tutto iniziava il Mercoledì Santo, e a casa di Mirella si stavano aspettando le comunicazioni dalle scuole della ragazza e di Guido per decidere come gestire quella giornata, ma per il resto già sapevano come avrebbero passato quei giorni.
La figlia più grande aveva detto chiaro e tondo che, per quanto possibile, avrebbe smesso un attimo di studiare, e i genitori non erano stati in grado di dirle di no.
Si meritava di riposare, lei come il padre e il fratello maggiore.
Faceva ancora freddo, ma la primavera non avrebbe tardato neanche quell'anno.
Si meritavano di riposare.


****

Le comunicazioni erano arrivate il Lunedì Santo, Mirella sarebbe uscita alle undici e trenta mentre Guido alle dodici.
- Possiamo fare che io vengo a prenderti e poi andiamo da Guido insieme, ti va?- Aveva proposto Bruno alla sorella minore la sera prima, quella del trenta Marzo.
- Perché no? Mamma per te è un problema?-
- No, anche perché domani a pranzo c'è papà, e se non devo fermarmi mentre cucino per andare a prendere vostro fratello mi fate un favore.-
Era stata la risposta di Maria.
Sapeva che i suoi figli amavano passare del tempo assieme malgrado la forte differenza di età, quattordici anni tra il primo e l'ultimo, ed era sempre stata felice di quello, perché conosceva l'importanza della collaborazione tra fratelli.
- E poi domani è anche il mio onomastico.- Aveva ricordato il piccolo di casa.
Era vero, il Santo che avevano scelto per celebrare il nome di Guido capitava proprio l'ultimo giorno di Marzo, poiché ve ne erano due a settembre ma erano troppo vicini al compleanno del bambino.
Quindi, alla fine, gli auguri al piccolo li facevano in quel giorno insolito anche sui calendari, dato che a quel giorno erano sempre segnalati altri Santi.
- Sì, amore, infatti pensavo di farti la torta, ti va?-
Gli occhi di Guido si illuminarono, se c'era una cosa alla quale non sapeva resistere era la torta al cioccolato della madre.
- Io vado in camera a studiare, devo finire un compito.- Fece Mirella salutando la madre e ii fratelli che erano rimasti nella cucina dell'appartamento a parlare.
Solo all'ora di cena, quando anche Rodolfo era rincasato, la giovane si fece rivedere.
Mangiarono insieme, e finito il pasto il padre acconsentì di andare in salone col figlio più piccolo per giocare alla lotta.
Mirella e Bruno si erano accomodati sul divano sorridendo per guardarli, perché anni prima anche loro facevano quel gioco.
In particolare Mirella ricordava un tempo, quando lei aveva circa quattro anni e il fratello maggiore otto, in cui era lui a giocare con il padre e lei, presa da chissà quale forte attacco di amore fraterno, era andata addosso al genitore dicendo “non devi picchiare mio fratello.
Erano passati davvero molti anni da allora, ma la ragazza a ripensarci sorrideva sempre.
Un po' le dispiaceva anche per Guido, perché a differenza sua stava vivendo l'infanzia senza un fratello o una sorella coetanei, ma il bambino non pareva sentire troppo quella mancanza.
Maria aveva raggiunto il resto della famiglia dopo aver lavato i piatti e rigovernato la cucina. Si era appoggiata allo stipite della porta e aveva guardato i suoi cari felici, il sogno della sua vita realizzato.
Si era quasi sentita triste quando, erano appena passate le dieci, aveva dovuto interrompere quel momento di gioia per portare a letto il figlio più piccolo.
Lui aveva fatto un po' di resistenza, ma alla fine si era arreso ed era andato a dormire.
Bruno e Mirella avevano fatto la stessa cosa dopo poco pur non essendo obbligati da nessuno se non dalla stanchezza, e prima di mezzanotte tutto nella casa taceva, con anche i genitori che si erano accostati quando ancora il giorno non era cambiato.
La mattina seguente era stata ben poco diversa dalle solite.
Rodolfo si era alzato presto e si era preparato.
La moglie lo aveva raggiunto in cucina poco prima che uscisse di casa, nella luce artificiale accesa per battere il buio in cui Torino ancora era avvolta.
Lui vestito bene come al solito, pronto per uscire. Lei con gli occhi ancora pieni di sonno e la vestaglia.
Erano così diversi in quel momento, molto più di quanto non potessero esserlo solitamente, eppure erano innamorati. Ancora, dopo tanti anni.
- Credevo aspettassi che si svegliasse Guido per fargli gli auguri prima di uscire.- Aveva detto la donna abbracciando e baciando dolcemente il marito.
- Devo andare, amore. O non farò in tempo a tornare per il pranzo. Glieli farò dopo, sai che non me lo scordo.-
Maria aveva baciato di nuovo le labbra dell'uomo.
No, non si sarebbe scordato dell'onomastico del figlio, non si scordava mai i nulla.
Era un padre affettuoso, dolce, era stata fortunata ad averlo sposato.
Rodolfo era uscito di casa subito dopo, e lei era rimasta alla finestra a guardarlo andar via con la macchina.
I figli si erano svegliati tutti nella mezzora successiva, e alle otto meno venti erano tutti e tre fuori di casa.
Bruno era poi rientrato verso le dieci e si era chiuso nella sua stanza, per uscirne poi solo un paio di volte per aiutare la madre e poi alle undici, poco più di un'ora dopo, per andare a prendere la sorella e il fratello.
A vederlo davanti alla scuola le più contente erano state le amiche di Mirella, che erano tutte d'accordo nel giudicarlo un ragazzo di bella, anzi bellissima, presenza.
Purtroppo per loro l'avevano potuto vedere solo per un attimo, poiché lui e la sorella erano dovuti andare subito alla scuola di Guido.
Mentre percorrevano la strada di casa, una volta recuperato il bambino, si erano fermati in una panetteria.
La ragazza non era d'accordo, ma le insistenze dei due maschi, e non specialmente del più piccolo, l'avevano costretta a comprare un pezzo di pizza che avevano mangiato molto prima di essere vicino casa.
Avevano girato sulla via di casa assieme alla Fiat grigia del padre, ed erano andati avanti a camminare mentre lo salutavano.
Quando erano a cento metri dal portone l'avevano visto uscire dall'auto, parcheggiata sul lato opposto della strada, e attraversare.
L'inaspettato era accaduto in quel momento.
Una motocicletta con sopra due figure scure era arrivata dall'angolo che aveva appena girato tutti quanti, chi a piedi e chi in macchina, e a velocità altissima si era diretta verso Rodolfo.
Lui si era scostato dalla strada ma non era bastato, perché non investirlo era l'intenzione della figura alla guida.
Quella di dietro, infatti, aveva tirato fuori una mitraglietta in tempo record e fatto fuoco contro il commissario.
Al fondo della via, che era un vicolo cieco, il motociclista alla guida, di certo esperto, aveva invertito la marcia e quello dietro aveva di nuovo sparato verso il padre dei ragazzi, lasciandolo a terra.
Bruno aveva urlato subito, appena si era aperto il fuoco, verso Mirella.
- Giù, prendi Guido e state giù.-
Lei si era stretta alla vita il fratello e si era nascosta dietro la prima automobile che aveva visto, lasciando cadere le due cartelle nel punto in cui erano prima.
Il ragazzo più grande, invece, era rimasto inerme davanti alla scena, aveva protetto i fratelli ma non se stesso, e per un attimo si era domandato come fosse possibile non gli fosse accaduto nulla.
Poi la nuvola di polvere lasciata dalla motocicletta era scomparsa, lasciandogli intravedere il corpo crivellato di colpi del padre.
Aveva urlato.
La ragazza si era alzata tappando occhi e orecchie al piccolo, perché anche se nascosta aveva capito.
Dopo istanti che parvero eterni dal portone di casa era uscita anche la madre, che come il figlio maggiore non era stata in grado di far altro se non gridare.
Qualcuno nel vicinato aveva chiamato i soccorsi, ma era stato inutile.
Rodolfo giaceva senza vita, riverso su un fianco in una pozza di sangue, sotto gli occhi di chi più amava.

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Capitolo 4
*** IV ***



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IV


La notizia era rimasta quasi una settimana sui giornali, con tanto di funerali alla presenza di personalità del mondo politico.
Era stata una settimana devastante per tutti.
Maria non si capacitava della morte del marito, Bruno si domandava se avesse potuto fare qualcosa, qualsiasi cosa per salvare il padre, Mirella piangeva e basta, e in fine Guido non capiva.
Non capiva perché il padre era morto, non capiva perché in quel modo, ma soprattutto non capiva perché una notizia così brutta e privata dovesse interessare a tutti.
La vedova era scoppiata in lacrime per la prima volta davvero davanti a sua sorella.
- Glielo avevo detto, gli avevo detto di andare via, che qui era pericoloso...- Aveva urlato piangendo due giorni dopo il funerale nel tinello dell'appartamento.
Le parole per confortarla mancavano a tutti, come mancavano quelle per confortare i figli.
Mirella non voleva parlare con nessuno se non col fratello maggiore, ma anche con lui aveva iniziato a farlo solo dopo un paio di giorni.
Aveva ripreso subito ad andare a scuola e lì non aveva voluto la compassione di nessuno.
Qualcuno per i corridoi le faceva le condoglianze o l'additava come la figlia dell'uomo ucciso, ma lei tentava di non darci peso.
Doveva andare avanti, doveva evitare di perdere l'anno, doveva studiare perché Rodolfo quello avrebbe voluto e lei lo sapeva.
Se lo ripeteva come un mantra anche quando il dolore diventava più forte della voglia di farcela.
Il posto in meno a tavola era stato il primo e peggiore segno di quella mancanza che sarebbe durata per sempre.
Anche la sera, quando non c'era nessuno con cui stare o da aspettare, i ricordi si facevano più forti e tutti cercavano a loro modo di nascondere i pianti.
Guido aveva iniziato a fare incubi costanti, e Bruno ne aveva parlato con un suo amico di vecchia data che si era da poco laureato in psicologia.
- Credo non abbia visto nulla, Mirella gli ha tenuto gli occhi chiusi...- Aveva detto esprimendogli i suoi dubbi sul motivo dei sogni.
- Ha sentito gli spari, il rombo della motocicletta, forse ha visto il corpo di suo padre. Ha probabilmente anche letto ciò che dicevano i giornali o ascoltato la televisione, il fatto che non abbia avuto sotto gli occhi la scena non cambia nulla. Deve aver ricostruito, ed è un bambino. I bambini hanno tanta fantasia, forse la sua ricostruzione è anche peggio della realtà. Ma vi racconta i sogni?-
- No, quando urla Mirella va da lui e lui dice di non ricordare nulla. Non so se sia vero o meno, fatto sta che poi è sempre lei a passare la notte vicino a lui, a volte sveglia, e il giorno successivo va a scuola. È molto coraggiosa, mia sorella.-
- Purtroppo lo dovete essere tutti, adesso. Ma vostro padre sarebbe fiero di questo.-
“Vostro padre sarebbe fiero di voi” era diventata una delle frasi che più i ragazzi si sentivano ripetere dal giorno dell'omicidio, e ogni tanto a Bruno e Mirella veniva voglia di di urlare contro chi la diceva per rispondergli che avrebbero preferito avere il padre ancora vivo, anche se magari non troppo fiero di loro .
Però non lo dicevano mai, perché non avevano voglia né forza di mettersi a discutere con gente che di certo non poteva capire.
Maria, meno di dieci giorni dopo la morte del marito, si era messa a cercare un lavoro di qualsiasi tipo sapendo che solo lo stipendio del figlio maggiore, che pure faceva di tutto per portare a casa il più possibile, non gli bastava.
Aveva iniziato provando a dare ripetizioni a ragazzi e bambini della sua zona, e sperava di poter tornare ad insegnare, anche se sapeva che non sarebbe stato poi così semplice.
La figlia le aveva chiesto più volte se non desiderasse che anche lei trovasse un lavoretto per aiutare in casa, ma la madre aveva sempre detto di no, che lei doveva pensare a studiare e a stare vicino al fratello minore, perché pareva essere l'unica capace di spiegagli che malgrado tutto dovevano proseguire con le loro vite, senza rimpianti o rimorsi.
Stare vicino al piccolo Guido la aiutava anche a dimenticare le occhiate che riceveva a scuola, dove ormai era conosciuta come “quella dal padre morto ammazzato”. Cercava di non darci peso, era vero, ma non era semplice.
Anche perché il ricordo del modo in cui aveva perso il padre veniva fuori di continuo, anche nei momenti in cui si tentava di recuperare un poco della normalità persa con la morte di Ruggero.
Ad esempio era successo che un giorno, era pomeriggio tardi e Mirella aveva accompagnato il piccolo di casa ai giardinetti, quando era arrivata l'ora di tornare a casa il bambino pareva scomparso.
La ragazza si era resa conto di improvviso che da una decina di minuti lo aveva perso di vista, e il primo pensiero era stato terribile, perché si era chiesto se qualcuno, forse gli stessi che avevano ucciso suo papà, non se lo fossero preso.
Dopo qualche minuto di panico, invece, l'aveva notato nascosto dietro ad un albero.
Mentre andava a riprenderlo non sapeva bene se dimostrarsi davanti a lui felice per l'averlo ritrovato o arrabbiata, nel tentativo di fargli capire quanto l'avesse fatta preoccupare.
Non era riuscita ad apparirgli in nessuno dei due modi, perché appena era arrivata al suo fianco l'aveva visto con gli occhi arrossati e le guance ancora bagnate di lacrime.
- Guido... cosa succede?- Gli aveva domandato la sorella sedendosi vicino a lui sulla ghiaia.
- Prima è venuto il papà di Massimo a prenderlo... perché il mio non può? Perché è morto? Perché gli hanno fatto del male?-
Mirella era rimasta spiazzata dalla domanda del fratello, poiché anche lei si faceva quelle domande, e risposte non ne aveva.
- Io... io non lo so, amore, nessuno lo sa... Forse per loro papà non era una brava persona...-
- Ma si sbagliavano! Dovevano conoscerlo! E poi sono loro i cattivi, perché papà non ha mai ucciso nessuno, mi diceva sempre che anche se faceva il poliziotto non voleva fare male a nessuno, mai!- Aveva replicato il bambino iniziando a piangere.
- Lo so, amore mio, lo so...-
- Non è giusto, devono metterli in galera! Papà diceva sempre che lì devono stare i cattivi, e loro sono stati i più cattivi di tutti. Così cattivi che forse devono morire anche loro. Però solo se non hanno figli, perché nessuno deve soffrire come noi, non devono piangere altri bambini. Ma devono trovarli, perché papà trovava sempre i cattivi.-
Mirella aveva trattenuto le lacrime a stento tenendo le mani del fratello.
- Quello che hai detto è molto bello, sono orgogliosa del tuo pensiero... Ora però è tardi, forse dobbiamo andare da mamma, non deve preoccuparsi...-
Il piccolo aveva annuito. - Sì Mimì, scusa. Però aspetta che mi lavo la faccia, non voglio che veda che ho pianto, Bruno dice sempre che devo essere forte con la mamma.-
Il bambino si era alzato stringendo la mano della sorella maggiore, e se ne era staccato solo dopo pochi metri per andare verso una fontanella.
La giovane, quando lui non poté più vederla, fece scendere qualche lacrima sul suo volto.
Avrebbe voluto abbandonarsi al pianto, ma poi decise di evitare.
Bruno aveva ragione, dovevano essere forti.
Erano rimasti loro, e dovevano bastarsi per tutta la vita.


 

****

La morte di Rodolfo era stata rivendicata due giorni dopo, quando ancora si doveva celebrare il funerale del commissario.
Una telefonata anonima al quotidiano Torinese “La Stampa” aveva detto che Rodolfo Birgazio era stato ucciso, anche se il telefonista aveva utilizzato il termine aspro giustiziato, in quanto “Servo dello stato, nemico dei proletari e della rivoluzione”.
A firmare l'attentato, sempre a detta di chi aveva fatto la telefonata, il gruppo di estrema sinistra “G.R.U. - Gruppo Rivoluzionario Urbano”.
Il questore del capoluogo Piemontese, uomo tutto di un pezzo, tendenzialmente di estrema destra e amico di vecchia data di Rodolfo e della famiglia aveva passato due notti sveglio a sfogliare tutti i verbali di attentati simile a quello dei due o tre anni precedenti, ma di questo G.R.U. nemmeno l'ombra.
Alla fine aveva convocato Maria e le aveva spiegato come, probabilmente, erano andate le cose.
- Deve essere un gruppo nato e morto solo per questa maledetta azione, è difficile pensare che si ripresentino, e spero tu comprenda quanto ciò rendere il nostro lavoro complesso...- Le aveva detto.
La donna aveva annuito, fin da subito aveva capito che l'omicidio di suo marito sarebbe rimasto impunito come tanti, troppi altri.
- Può essere che in futuro uno o più di questi si uniscano ad organizzazioni più grandi, e magari un arresto potrebbe fruttare una confessione anche per l'omicidio di Rodolfo, ma per ora non possiamo fare nulla... mi spiace...-
Aveva detto le ultime due parole abbassando gli occhi.
Maria non aveva replicato nulla, le era bastato salutare il poliziotto cordialmente e tornare a casa.
Quella sera aveva raccontato il fatto ai figli più grandi, approfittando del fatto che Guido si fosse fermato a cena da un compagno di scuola.
Né Bruno né Mirella si erano dimostrarsi sorpresi dal fatto, sapevano come andavano quelle cose.
- Tanto non è che se sapessimo chi è stato, e magari vedessimo anche questa persona, o queste persone, in galera le cose cambierebbero, giusto? Papà non c'è più e non tornerà comunque.
Sarebbe bello sapere il motivo di una follia tale come quella di chi uccide un uomo a sangue freddo, questo sì, avere una spiegazione razionale di questa ingiustizia che ha colpito noi come tanti altri in questi anni, ma non servirebbe a nulla, purtroppo. Non ho neanche la forza di cercare vendetta.- Aveva commentato la ragazza.
La madre e il fratello non avevano detto altro, perché condividevano in pieno il suo pensiero.
La vendetta sì, era passata nella mente a tutti, era ovvio, ma c'era il dolore per la perdita che era anche più forte, c'era un senso di solitudine che squarciava le anime e faceva dimenticare tutto il resto.
Alcune volte si sentivano soli anche stando insieme, magari a cena o in quei momenti che, fino a poche settimane prima, erano soliti condividere con Rodolfo.
Il piccolo Guido era stato l'unico, quel giorno al parco, a fare la domanda che tutti avevano in testa, ovvero “ma queste persone non hanno pensato al fatto che il loro obiettivo avesse una famiglia?”.
La risposta che il bambino non conosceva era logica per gli altri; per quella gente Rodolfo non era un uomo, era un simbolo.
E i simboli non hanno sentimenti, passioni. I simboli non sono vivi.

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Capitolo 5
*** V ***



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V
 

Un giorno, non era passato neanche un mese dalla morte del padre, Mirella era tornata a casa tremando come una foglia.
Nell'appartamento c'era solo Bruno, che subito, appena aveva visto la sorella, aveva capito che di certo non stava tremando per il freddo.
L'aveva stretta nel tentativo di calmarla e poi l'aveva fatta sedere in cucina per farsi raccontare quello che le era accaduto.
- Stavo tornando a casa, avevo appena portato Guido da Lauretta, e non so perché mi è venuta voglia di non passare dal corso principale come faccio di solito ma dalle vie piccole che ci sono qui dietro... e.... oddio...- La ragazza si era messa a singhiozzare rumorosamente, e il fratello le aveva preso le mani come a dire “Sono qui, stai tranquilla.”
Mirella aveva respirato profondamente ed era andata avanti. - Su un muro c'era una scritta, non so neanche se sono in grado di ripeterla...-
Bruno era rimasto colpito dalle parole di sua sorella, e forse era riuscito ad immaginare la scritta che la giovane aveva letto e che tanto l'aveva inquietata, ma pensava che sarebbe stato più giusto per lei dire quella frase, perché forse le avrebbe tolto un po' di paura ed angoscia.
La ragazza era rimasta ancora un poco in silenzio, poi aveva parlato.
- Era una scritta contro papà. C'era scritto che ha fatto bene a morire, che è stato solo il primo. Ho paura, non voglio più vivere qui. Portami via, Bruno, ti prego.- Aveva detto scoppiando a piangere ancora più forte tra le braccia del fratello maggiore.
Il ragazzo non era stato in grado di dirle nulla, provava tanta rabbia per quello che aveva appena sentito, e forse anche parecchia tristezza, ma in quel momento non poteva fare altro che stare vicino a Mirella, perché era lei ad aver bisogno di lui.
La ragazza, dopo quasi venti minuti, si era andata a mettere sul letto e si era addormentata come una bambina stanca dopo un pomeriggio al parco, solo che il suo sonno era contornato da pensieri molto più tristi.
La madre e il fratello minore erano tornati per cena, e mentre il piccolo Guido era nella sua stanza a giocare Bruno aveva raccontato alla donna di quello che era successo nel pomeriggio.
- Sì, lo so, sono almeno un paio di giorni che c'è quella scritta.- Aveva sospirato la madre mentre stava seduta in cucina a sbucciare alcune verdure per preparare la cena alla famiglia. - Me lo aveva detto ieri la signora Pasòli, quella del secondo piano dell'altro portone. Ho tentato di non darci peso, non voglio più avere nulla a che fare con quello che è accaduto sul piano politico o quello che sia. Sono una vedova, una donna che si trova a crescere da sola un bambino di otto anni, assieme a due figli più grandi che tutto dovrebbero fare meno che vivere uno strazio del genere. Domani andrò a parlare con chi di dovere per chiedere che quella scritta sia rimossa, ma non ho intenzione di fare altro, forse perché so di non riuscirci neanche a livello psicologico.-
Maria era seriamente stanca di tutto quello, e proprio come la figlia voleva andare via da quel luogo.
Aveva parlato con una sua sorella, lei proveniva da una famiglia molto numerosa, che viveva a Roma. Quella le aveva detto che in qualsiasi momento sarebbe stata pronta ad accoglierla assieme ai figli, che capiva il suo bisogno di lasciare Torino ed era disposta a fare qualsiasi cosa per loro. La donna l'aveva ringraziata ma si era presa un po' di tempo per pensare, perché in fondo era un grande cambiamento, specialmente per Mirella e Guido.
Forse il piccolo aveva già subito troppi traumi, non era il caso di prenderlo e portarlo ben lontano dal suo luogo di nascita, staccarlo da tutto ciò che gli era più chiaro al mondo e, soprattutto, da tutti i luoghi che potevano ricordargli il padre.
Però il fatto di quel giorno l'aveva fatta riflettere su dove stesse davvero il giusto, portandola alla conclusione che ogni sua scelta, da quel momento in poi, non poteva essere solo corretta o solo errata, che avrebbe sempre perso, in qualche modo, qualsiasi fosse stata la sua decisione.

Aveva riflettuto in autonomia ancora un paio di giorni, poi aveva preferito chiedere consiglio anche a Bruno.
In quel momento, dopo tutto, era lui una delle figure fondamentali della famiglia; portava i soldi a casa, aiutava la madre, stava vicino al fratello e alla sorella, il suo ruolo era dovuto divenire fondamentale prima del previsto, ma lui aveva accolto bene la sfida, perché fondamentale era per lui la famiglia .
Le parole della madre non lo avevano stupito più di tanto, immaginava che qualcosa di simile, un grosso cambiamento, sarebbe prima o poi avvenuto.
L'anno scolastico era agli sgoccioli, e per quel motivo Bruno aveva spiegato alla madre che forse era il caso di accennare dell'eventualità del trasferimento almeno alla sorella, la quale era prossima agli esami ma non sarebbe stata di certo contenta di scoprire tutto all'ultimo momento.
Per Guido, invece, avrebbero aspettato la certezza e le vacanze estive, un periodo in cui il piccolo era di certo più rilassato e poteva, per quanto possibile, accogliere meglio la notizia.
Mirella si era mostrata abbastanza indifferente al fatto, da quando il padre era morto si trovava spesso ad essere apatica, e oltre tutto in quel periodo lo studio era il suo solo ed unico pensiero.
Certo, pensare di lasciare le sue amiche la rattristava molto, ma in un certo senso aveva sempre sentito che non sarebbe rimasta per tutta la vita a Torino.

Praticamente subito aveva raccontato a quelle ciò che la sua famiglia voleva fare, e più di tutto erano state le loro reazioni a metterle tristezza.
Le promesse di rimanere amiche comunque, in quel momento, non bastavano, ma la situazione era così delicata da precedere ogni considerazione personale sul trasferimento.
Per la famiglia di Mirella sarebbe stato meglio così, punto, e dopo ciò che era accaduto quella era una scelta insindacabile.
Si era promessa di non pensarci, la ragazza, di attendere la fine degli esami prima di riflettere realmente su quanto la sua vita sarebbe stata modificata dall'eventuale trasferimento.
C'era tempo, si ripeteva costantemente Mirella. E sapeva bene quanto quella frase fosse solo una menzogna.
Il tempo non c'era, non c'era per essere sicurissima di passare bene gli esami e non c'era per abituarsi all'idea di cambiare città.
Il tempo era finito e morto con suo padre, il tempo si era preso anche tutto quello che doveva ancora arrivare.
Sarebbero passati giorni, mesi e anni. Ma il tempo, quello che poi era essenza della vita, si era perso per sempre.

 

****
Di quel tempo che la giovane non considerava neanche più tale, in quella strana estate fatta ancora di dolore e dubbi, la maggior parte era andata via tra i libri e la disperazione mista a panico per la maturità.
Alla fine, il primo sabato di Agosto, alla bacheca della sua scuola superiore erano stati affissi i risultati degli esami.
Cinquantacinque sessantesimi, un risultato di cui alla fine Mirella poteva dirsi assolutamente soddisfatta.
C'era stato appena il tempo per festeggiare con le amiche, però, perché prima ancora di Ferragosto la ragazza era stata impegnata con il trasferimento, che era divenuto definito già nella prima metà di luglio, e con lo spiegare al piccolo Guido l'intera situazione.
Lui ne era stato informato a fine giugno, ma tutti sapevano che finché non avesse avuto la certezza della sorella maggiore di come tutto sarebbe andato per il verso giusto non sarebbe stato semplice capire realmente come avesse preso la notizia.
- Ma i miei amici? La mamma non ci pensa?- Era stata la prima domanda che il bambino, che ancora non aveva otto anni ma era costretto a vivere come un ragazzino più grande, aveva fatto alla sorella maggiore.
Era il dieci di agosto, e la ragazza aveva portato il piccolo a passeggiare al Parco del Valentino proprio per parlargli di quello.
- La mamma ha pensato a tutti, anche lei lascia qui qualcuno che, se potesse, non vorrebbe perdere, ma purtroppo ci sono cose più importanti. Mi capisci, vero?-
Guido aveva fatto cenno di sì con la testa. - La mamma ha detto anche che se fossimo andati via da Torino prima papà non sarebbe morto, è vero?-
La ragazza aveva sospirato, perché quel pensiero l'aveva avuto anche lei e ogni volta che ci si metteva a ragionare sopra nuovamente si sentiva invadere da sentimenti che neanche sapeva distinguere tra di loro per quanto erano numerosi e duri.
- Quello non lo possiamo sapere, Guido.-Gli aveva risposto alla fine. - Le persone cattive come quelle che hanno ucciso papà ci sono ovunque; a Torino, a Roma, in tutte le città e anche negli altri paesi. La mamma aveva visto che qui, però, ce ne erano forse di più e per questo non voleva rimanere a viverci. Papà è stato molto coraggioso a non andare via.-
Il bambino aveva scosso la testa stupendo, e non poco, la sorella maggiore. - No, papà ha sbagliato, doveva ascoltare la mamma. Lei lo dice sempre che se non l'ascolto mi succede qualcosa di male, ed è andata così con papà. Solo che è successa una cosa troppo grave, perché ora lui è morto.-
La ragazza era rimasta allibita, quasi ferita, dalle parole del fratellino. - Ma questo discorso chi te lo ha fatto, Guido? Chi te le dice queste cose?-
- Nessuno. Lo penso io. Lo so che è brutto, ma papà doveva ascoltare la mamma. Anzi, anche lui mi diceva che a non farlo, era lui che mi diceva che se non gli davo retta mi mettevo nei guai. E invece... è stato lui a non ascoltarla ed è morto. Mimì perché gli adulti sono convinti di fare sempre la scelta migliore? Di poter fare quello che vogliono? Perché non sanno che poi anche loro possono mettersi nei guai? E perché non sanno che i loro guai sono peggiori, che io quando litigo con qualcuno al massimo perdo una figurina mentre loro muoiono e lasciano soli i figli? Mimì se i grandi sono tutti così io non voglio crescere. -
La ragazza lo aveva guardato con gli occhi lucidi. Quanto era dovuto crescere, il suo fratellino, in quei quattro mesi e poco più.
Aveva sette anni, solo sette anni.
- Tra un mese esatto è il mio compleanno, lo sai? A quel punto avremmo di nuovo dieci anni di differenza e non più undici.- Aveva poi detto il bambino per cambiare discorso, perché aveva visto che la sorella era sul punto di iniziare a piangere e non aveva intenzione di vederla in lacrime.

Non si sentiva pronto a consolarla, perché ogni volta che era stato triste lui proprio Mirella gli aveva fatto passare il magone e lo aveva fatto tornare a sorridere, e gli pareva assurdo che potesse accadere il contrario.
- Sì che lo so! Stai diventando sempre più grande...-
- Sai, mi dispiace che non potrò festeggiare con i miei amici, ma la mamma ha detto che per le feste, a Natale, torniamo per stare un po' con le persone che lasciamo qui quando andiamo via. È vero?-
- Ma certo! Io te l'ho detto, la mamma ha pensato a tutto!- Aveva detto sorridendo Mirella.
Ma Guido non le aveva risposto ed era corso a guardare le anatre che stavano tranquille e incuranti di tutto nel Po.
Lei, che era ossessionata dalla paura che potesse accadere qualcosa, qualsiasi cosa, a suo fratello, gli era andata appresso immediatamente.
Mentre guardavano il fiume in silenzio il bambino si era girato verso la sorella maggiore.
- Mimì promettimi una cosa.- Le aveva detto. - Promettimi che anche tu penserai a tutto, promettimi che ci sarai e non andrai via come papà.-
La ragazza aveva baciato dolcemente il capo del fratello, fatto di capelli biondi come il grano e lisci come spaghetti. - Te lo prometto, amore mio, te lo prometto davvero.- 

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Capitolo 6
*** VI ***



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VI
Erano andati a stare, a Roma, in zona San Lorenzo, quella del bombardamento di tanti anni prima, durante la guerra.
Ci erano arrivati ufficialmente, con anche le residenze cambiate e tutti i documenti il trenta di agosto, un giorno prima dei cinque mesi esatti dalla morte di Rodolfo.

Una delle cose peggiori del trasferimento era non poter andare al cimitero tutte le volte che volevano, ma neanche a Torino quello era facile, dato che il commissario era stato sepolto proprio ad Aqui, nel cimitero del paese natale dei suoi genitori.
Loro, i nonni, erano ancora increduli. I mesi passavano ma non erano ancora riusciti a realizzare veramente ciò che era successo.
Rodolfo era il loro unico figlio, e pensare di averlo perso così, per la follia di qualcuno, non aveva senso.
Si erano fatti forza, fino a quel momento, per i tre nipoti e la vedova, e già si domandavano cosa avrebbero fatto dopo, da quel giorno di fine agosto in cui anche loro erano andati via.

Come Maria aveva detto al figlio più piccolo sarebbero tornati spesso, per le feste, per stare con tutto ciò che rimaneva della loro vita vera, quella che si era interrotta con l'omicidio.
Omicidio.
Quella parola era stata bandita dal vocabolario di casa Birgazio appena si era deciso ufficialmente di lasciare Torino, e al suo posto era entrato in uso il più semplice e meno incisivo lemmo “incidente”.

La madre poi, una sera, aveva convocato in modo solenne i tre figli e quasi li aveva fatti giurare che mai a Roma si sarebbero fatti scappare la reale causa della morte del padre.
Non c'era un motivo vero e proprio dietro quella scelta, lo sapeva anche lei che non sarebbe cambiato nulla se le persone che avrebbero conosciuto nella capitale avessero saputo come erano realmente andate le cose, eppure quella parola, omicidio, la faceva pensare a un qualcosa di estremamente pubblico, ad una notizia che poteva stare sulla bocca di tutti, come poi era realmente successo alla morte del marito. E lei lo sapeva bene, ciò che era pubblico perdeva per forza il suo valore emotivo, fosse quello positivo o negativo.

- La sofferenza davanti a un giornalista o una telecamera non è quella di una donna che si trova a dormire in un letto da sola, è solo quella che la gente vuole vedere per compatire.- Aveva detto una volta.
E lo stesso nel quotidiano.
Si domandava come sarebbe stato Mirella o Guido entrare in una nuova classe, tra l'altro per la ragazza si trattava dell'ultimo anno di scuola, e dover spiegare ai compagni, bambini e ragazzi con cui avrebbe potuto, e dovuto, instaurare un rapporto anche di amicizia, che erano orfani di una vittima del terrorismo.
Il primo impatto dei ragazzi con Roma, tolte queste faccende familiari che li costringevano alla menzogna, non era stato né negativo né positivo, semplicemente strano.

La capitale non era di certo una città operaia come quella da cui provenivano, e questo lo sentivano parecchio.
Non tanto Guido, che in fondo a Torino aveva passato solo i primi otto anni della sua vita, quanto il fratello e la sorella maggiore.
Il bambino, che pareva essere proprio incurante delle profonde differenze sociali tra le due città, aveva iniziato la scuola con un po' di paura perché temeva di ritrovarsi solo, ma tempo neanche due settimane aveva già portato a pranzo un compagno ed era andato a sua volta a mangiare da un altro.
Vivevano vicino ad un parco e Maria si sentiva sicura a lasciarlo andare a giocare lì con i suoi nuovi amichetti sotto la supervisione di qualche adulto. - Per noi è del tutto normale.- Aveva spiegato la madre di un compagno di classe. - I bambini più grandi come i nostri figli vanno da soli, ma un occhio ce lo butta sopra un genitore di qualcuno più piccolo sempre, specialmente quando arrivano o vanno via e devono, quindi, attraversare la strada. È come se in quel momento fossero un po' tutti figli di tutti, senza distinzioni. Dopo tutto il parco è piccolo, non ci sono molti pericoli.-
La madre dei ragazzi era rimasta un poco stupita da quelle parole, ma aveva comunque voluto tentare e aveva mandato il figlio a giocare, e in effetti non c'erano stati problemi.
Guido, dal canto suo, era stato felice di quel modo di fare tipico di Roma, perché si iniziava a sentire più grande e responsabile, e per lui era un modo di crescere.
Mirella, molto più del fratello minore, aveva avuto paura di non trovare nessuno con cui spartire il suo tempo Romano.

Era ovvio che il piccolo non avesse avuto grandi problemi, perché si sa che i bambini stringono, e talvolta rompono, amicizia con un'estrema facilità, mentre alla sua età le cose stavano diversamente.
Aveva iniziato a pensare che al limite si sarebbe fatta passare quell'anno di solitudine per poi tornare a Torino per gli studi universitari, ma quel pensiero era sparito il primissimo giorno di scuola, quando si era seduta accanto ad una ragazza bionda che subito l'aveva presa in simpatia.

Rachele, questo il nome della ragazza, era rimasta affascinata dall'origine di Mirella, perché, per lei che non era mai andata più a nord del confine con la Toscana, Torino pareva essere quasi una località artica.
Le due ragazze frequentavano un istituto che comprendeva, oltre al loro indirizzo, anche il liceo classico e scientifico, e proprio a quest'ultimo erano iscritti Simone e Carlo, il fratello gemello e il cugino di due anni più piccolo di Rachele.

- Lei è la ragazza del nord.- Era stato il modo in cui quella aveva presentato Mirella ai due durante l'intervallo del terzo giorno di lezioni.
- Piacere...- Li aveva salutati timidamente Mirella.
Era stata una timidezza rapida, che era sparita dopo qualche giorno.
Rachele e i due ragazzi erano soliti starsene per i fatti loro, evitare i confusionari gruppi che nascevano ogni giorno più numerosi in componenti e litigi interni.
Mimì non si era fatta pregare troppo per diventare il quarto membro di quella che fino ad allora era apparsa un'associazione familiare.
Erano diventati amici praticamente subito, e Mirella aveva iniziato ad abbandonare la nostalgia di Torino, anche se tutte le sere aveva una rapida telefonata con Simonetta per raccontarsi le ultime novità.
Chi invece, almeno per i primi due mesi, aveva fatto volentieri a meno dei rapporti umani era stato Bruno.
Aveva trovato subito lavoro come addetto alla contabilità di una azienda, inizialmente in nero e poi in modo regolare, non appena il padrone, un uomo di trentacinque anni che aveva ereditato la piccola impresa dal padre, aveva compreso di potersi fidare di lui senza problemi.

Aveva molti colleghi maschi e anche qualche collega donna, ma con tutti evitava rapporti fuori dall'orario di lavoro, perché si sentiva responsabile della sua famiglia e non voleva mancare a questo ruolo, anche se ciò comportava perdere una parte del meglio della sua età, la spensieratezza e il divertimento. Li aveva eliminati, cancellati, e avrebbe continuato a farlo se non fosse intervenuta sua madre a dirgli che no, non doveva fare così, non doveva sentirsi in dovere di prendere il posto del padre defunto.
Sì, era vero che fondamentale fosse l'aiuto economico che Bruno apportava alla famiglia, ma non doveva preoccuparsi di altro, doveva continuare a vivere la sua vita da ventenne.
Dopo quella discussione con Maria, discussione che aveva avuto toni pacati ma decisi, specialmente da parte della donna, il ragazzo aveva iniziato ad uscire con qualche collega, magari per una birra o un giro il sabato sera.
Aveva anche conosciuto meglio una collega, Sara, ma il loro rapporto si era fermato ad una semplice amicizia, essendo lei la sorella del datore di lavoro del ragazzo.
Tolto il lavoro Bruno si era ambientato relativamente bene nella nuova città, imparando in fretta ad orientarsi e a cambiare quelle sue abitudini tipicamente nordiche.
Maria anche non aveva avuto problemi ad adattarsi, ma per quanto riguardava lei trovare un impiego risultava alquanto complesso.
Aveva capito dopo poche settimane che di tornare ad insegnare possibilità non ce ne erano, e allora aveva deciso che si sarebbe adattata con le ripetizioni come aveva fatto fino a quel momento a Torino, quantomeno per portare qualcosa a casa.
Verso la metà di ottobre le era arrivato un telegramma dal Municipio con una convocazione davanti all'assessore all'istruzione, e un po' timidamente la donna si era presentata, ben vestita e in ordine più che per l'incontro con l'autorità per il suo essere decisamente inaspettato.
L'uomo la conosceva in quanto vedova di una vittima del terrorismo, e per vie poco consuete aveva scoperto i suoi problemi con il lavoro che non poteva più trovare.
Così l'aveva chiamata per proporle di insegnare in una scuola serale per adulti analfabeti o con un bassissimo livello scolare.

Lui, come tutte le istituzioni, sapeva che era importante dare un supporto alle famiglie distrutte da quel terribile fenomeno che stava pian piano diventando più forte e invincibile in tutto il paese, e aiutare in quel modo Maria era il massimo che potesse fare.
La donna lo aveva ringraziato quasi in lacrime, e la sua gioia era aumentata quando quello le aveva detto che quell'impiego non le impediva di andare avanti con le ripetizioni che dava in modo privato.
L'assessore le aveva detto che avrebbe iniziato di lì a due settimane, e appena dopo il ponte dei Santi la madre dei ragazzi aveva cominciato, con tutta la paura e le emozioni che questi momenti possono fornire.
Ma emozioni e paure belle, finalmente.
Erano emozioni e paura che non sentiva da mesi, che aveva temuto di non poter sentire mai più.



 

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Capitolo 7
*** VII ***



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VII
Proprio come Maria aveva detto a Guido prima di andare via da Torino, per le vacanze di fine anno lei e i figli erano tornati nella città natale, per stare un poco con i nonni e gli amici di sempre, quelli che c'erano stati all'inizio di quel dramma e che in ogni caso non li avrebbero mai abbandonati.
Bruno si era trattenuto con loro solo dalla Vigilia a Santo Stefano, perché alla fine si era deciso a passare il capodanno con i colleghi, proprio quei colleghi che fino a poco tempo prima sdegnava completamente.
Non sapeva neanche lui perché avesse accettato, ma la madre era stata felice di vederlo inserirsi in un gruppo di coetanei, visto che da un periodo credeva che fosse arrivato il momento per lui di trovare una donna e mettere su famiglia.

Mirella era stata invitata da Rachele a passare le vacanze con lei e la sua famiglia, ma aveva rifiutato cortesemente l'invito dicendo che quelle festività erano intime e che non voleva essere invadente, anche perché, dopo tutto, si conoscevano solamente da tre mesi o poco più.
Dentro di sé sentiva molto quello che aveva detto ma a nessuno aveva confessato che una parte del rifiuto era dovuta alla paura di trovarsi assieme ad una famiglia felice ed unita, quella famiglia che lei non aveva più.
Però non si trattava di un argomento di cui voleva parlare, era un suo problema e da sola avrebbe dovuto risolverlo. Il mondo era pieno di famiglie unite e felici, e voler scappare da quello che alla fine era normale le pareva assurdo.
Non ci pensava mai, ma sapeva che anche lei un giorno sarebbe potuta essere madre di una di quelle, e a quel punto non avrebbe potuto odiare la sua vita.

Con calma, si ripeteva, con calma le cose sarebbero andate a posto, con calma avrebbe ripreso a non aver problemi, a non pensarci, a lasciar perdere la sua situazione personale e a vivere singolarmente quella di chi gli stava vicino, ma nessuno poteva pretendere che ciò accadesse rapidamente.
L'ultimo dell'anno sarebbero stati nove mesi esatti dall'omicidio.
Quando si erano trasferiti a Roma avevano venduto la casa di Torino, e in quel periodo di vacanza si erano stanziati da alcuni parenti che vivevano in tutt'altra zona.
La mattina del trentuno di Dicembre Mirella si era alzata presto e aveva detto che sarebbe andata a fare quattro passi per i fatti suoi, senza nessuno, e sarebbe tornata per pranzo.

La madre non aveva replicato nulla, ricordandosi per prima che giorno fosse e pensando che a quello era dovuto lo strano modo di fare della figlia.
Avevano deciso di festeggiare il Capodanno, e per quello non avevano tempo, quel giorno, di andare fino al cimitero dove riposava Rodolfo.
Ci sarebbero andati due giorni dopo, approfittando di una visita ai nonni paterni.
La ragazza però aveva bisogno di ricordare quella data, di fare qualcosa per non dimenticare come solo nove mesi prima qualcuno aveva deciso di strapparle quello che era stato il primo uomo della sua vita.
Era andata sotto la casa dove era nata e cresciuta, era andata dove suo padre era morto.
C'era ancora sull'asfalto una macchia più scura, quella del sangue di Rodolfo.
Dopo nove mesi la ragazza si chiese solo allora chi l'avesse pulita, chi si fosse piegato a cercare di cancellare il fatto.
Lei non ricordava quasi nulla di quel giorno e di quelli immediatamente successivi, dal momento in cui si era buttata dietro alla macchina con Guido fino al funerale del padre era tutto confuso, quasi perso in un'altra dimensione.
Forse col passare del tempo la fitta nebbia che avvolgeva quel periodo della sua vita sarebbe andata via sciamando, sarebbe scomparsa, ma a quanto pareva non era ancora ora.
Si era seduta per terra davanti al portone della sua vecchia casa e aveva guardato davanti a se, rivivendo per un attimo quei drammatici momenti che avevano distrutto la sua vita.
Aveva atteso che le lacrime iniziassero a scendere lungo il suo viso per alzarsi e andare via, perché era spaventata dall'idea che qualcuno la potesse vedere e, riconoscendola, potesse aver voglia di farle qualche domanda.

Non avrebbe avuto risposte, e anche le avesse avute non le avrebbe volute dare.
Si era abituata a Roma, dove nessuno sapeva e nessuno poteva chiedere.
Lì aveva realmente ricominciato da capo, senza la paura degli sguardi indiscreti dei compagni della scuola di Torino, quelli che la additavano indicandola agli amici come la figlia della vittima del terrorismo.
Ritornare in quel luogo di dolore significava esporsi, uscire dall'ambiente protetto in cui viveva, da pochi mesi, la sua quotidianità.
Ma doveva farlo, per suo padre e soprattutto per lei stessa.
Superare i fantasmi, andare avanti, ricominciare a non avere paura di addormentarsi la sera per via degli incubi. Ce la stava facendo, ce la avrebbe fatta.
Lei, come la madre, come Bruno, come il piccolo Guido...
Mirella osservava costantemente il fratello minore, lo guardava studiare, andare a scuola, giocare da solo o con gli amici.
Per lui era tutto più semplice, riusciva a colmare l'assenza del padre con la poca leggerezza dell'infanzia che ancora, malgrado tutto, aveva.
Dal momento in cui aveva dovuto cominciare a mentire sull'assassinio di Rodolfo, Guido era forse riuscito, almeno in parte, a dimenticare realmente il modo in cui il padre era morto, e Mirella riteneva probabile che questo lo aiutasse.

A poco a poco, il bambino, aveva cominciato a fare anche meno incubi, a non avere paura di tutto.
Lo squarcio nell'anima sarebbe rimasto per sempre, il ricordo degli spari e del rombo della moto non sarebbero scomparsi neanche a novant'anni suonati, ma nel vivere quotidiano il piccolo sarebbe stato come i suoi coetanei, avrebbe vissuto l'adolescenza che si meritava e avrebbe fatto tutto ciò che era giusto fare crescendo.
O almeno era quello che la sorella si augurava, lei che di colpo, senza volerlo, si era trovata a dover essere adulta.
Era tornata a casa per pranzo con gli occhi ancora bassi e lucidi, mascherati dietro a una plausibile aria fredda che le era entrata di colpo facendola lacrimare.
Aveva mangiato con il resto della famiglia e poi si era messa sul letto a riposare, stanca più nell'animo che nel corpo.
Verso le quattro del pomeriggio era andata a chiamarla sua madre, dicendo che aveva telefonato Mario domandandole se aveva voglia di portare da lui il piccolo Guido, che già si sapeva dovesse andare da Lauretta, e poi uscire con lui a fare quattro passi in centro per stare un po' insieme l'ultimo dell'anno.
La ragazza aveva accettato volentieri, e prima ancora delle cinque, quando era però già buio, si era ritrovata a passeggiare per l'illuminata via Roma assieme.
- Sono contenta che questo 1976 sia ormai finito... - Aveva sospirato Mirella. - Non che domani io riavrò mio padre o la vita prima di nove mesi fa, ma per quanto stupido trovo bello lasciarmi quest'anno, queste quattro cifre, alle spalle.-
- Non è stupido, in fondo riponiamo tutti così tante aspettative in questa notte di San Silvestro. Sempre, ogni anno, come il primo giorno di scuola, o ancora meglio il primo giorno di vacanza.- Aveva risposto Mario. Poi si era concentrato un attimo su quello che aveva detto poco prima l'amica. - Sono nove mesi oggi, vero?-
La ragazza aveva annuito. -Proprio oggi. Trentuno Marzo, trentuno Dicembre. Ma a pensarci bene è meglio così. Il trentuno è un giorno che non capita tutti i mesi, a volte non ci ho neanche pensato a come il tempo passasse. Non che sia un giorno a cambiare le cose, certe assenze sono terribilmente costanti...-
La giovane aveva tirato su col naso per evitare di piangere, e l'altro l'aveva stretta a se proprio come un fratello, come faceva Bruno quando gli attacchi di tristezza le prendevano a casa.
Mirella era rimasta stretta a lui per un po', poi si era staccata e avevano girato su via Lagrange.
Dopo qualche minuto avevano ripreso a parlare, questa volta di argomenti più leggeri come il Capodanno.
Alla fine anche Mario aveva deciso di rimanere a casa con la famiglia e quella dell'amica, perché lasciare sola Mirella in mezzo a gente molto più grande o molto più piccola gli metteva tristezza.
Mentre passeggiavano, da un bar che, sfidando il freddo, aveva lasciato una finestrella mezza aperta era uscita della musica
Senza neanche accorgersene Mirella aveva preso le mani dell'amico e si era messa a ballare in mezzo alla via pedonale.
La canzone lei l'aveva riconosciuta subito, era “Per sempre giovane” di Venditti, un cantante Romano venuto fuori da qualche anno che aveva imparato ad apprezzare tramite gli amici che si era fatta nella capitale

Questo è solo un anno da dimenticare 
questo è solo un anno da vivere insieme, amore
con il cuore più caldo che hai


Erano rimasti lì abbracciati a ballare per l'intera durata del brano.
Anche Mario non aveva ben compreso quale magia gli avesse impedito di muoversi dal ballo lento in cui l'aveva trascinato l'amica, lui che aveva giurato a se steso di non ballare neanche al suo matrimonio.
Si erano fermati solo quando la canzone era terminata, e in quel momento soltanto si erano accorti della folla che si era fermata ad osservarli intenerita dalla scena.
Tutti, probabilmente, si aspettavano un bacio tra i due, immaginando che fossero fidanzati o innamorati.
Loro però non l'avevano fatto, forse perché entrambi spaventati dall'idea di non essere ricambiati o forse perché il loro rapporto era paradossalmente troppo forte per diventare amore.
Si erano abbracciati nuovamente, invece, stretti e immobili sotto la neve che iniziava a scendere.
La folla aveva applaudito ugualmente, capace di percepire in quell'abbraccio tutto il calore che, nel freddo pomeriggio dell'ultimo giorno dell'anno, nessuno si aspettava di poter trovare.

****
Bruno si era alzato la mattina tardi, quando sua sorella, settecento chilometri più a nord, già si trovava davanti al portone della loro vecchia casa.
Aveva riordinato un minimo la sua camera e l'intero appartamento, malgrado non ci fosse molto da sistemare, e poi si era fatto una doccia rapida prima di mangiare qualcosa per pranzo.
Il pomeriggio l'aveva speso a leggere un libro che gli aveva regalato la madre per Natale, uno di quei classici a cui da solo non si sarebbe mai avvicinato.
Ma la noia giocava brutti scherzi, e lui preferiva di certo leggere che non pensare a come avrebbe passato l'ultima sera dell'anno.
Sapeva che avrebbe sbagliato, che stava sbagliando, però non poteva più tirarsi indietro.
Si era fatto una seconda doccia verso le sette, per prepararsi prima che qualche amico lo andasse a prendere per la serata.
Mentre si vestiva aveva guardato sul cassettone nella sala una foto fatta durante le precedenti vacanze di Natale, quando ancora c'era suo padre.

Si domandò se qualcuno un anno prima avrebbe mai potuto immaginare come sarebbero andate le cose, e si rispose di no perché, forse, quella era la risposta meno dolorosa di tutte. In fondo, in certi casi, l'ignoranza aiutava.
Certo, forse se il Trentuno Dicembre dell'anno precedente qualcuno gli avesse detto che solo tre mesi dopo suo padre sarebbe morto così, da un momento all'altro, sotto i suoi occhi avrebbe fatto il possibile per stare di più con lui, ma a parte quello...
A pensarci meglio, anzi, per lui era stato anche positivo non sapere prima cosa sarebbe accaduto.
Bruno non era il tipo che viveva di rimpianti o di rimorsi, non si dispiaceva di non aver vissuto gli ultimi mesi di vita del padre in una irreale gioia necessaria solo a non aggiungere poi il senso di colpa al dolore del lutto.
Lui ogni mattina faceva il possibile per azzerare tutto ciò che era stato fino al giorno prima e ricominciare.
Anche il giorno seguente avrebbe fatto di tutto pur di fingere che quella notte, che ancora doveva iniziare, non fosse mai esistita. Ma intanto doveva viverla.
I due amici incaricati di andarlo a prendere si presentarono sotto casa sua alle otto e mezza e citofonarono senza problemi, sapendo che tanto il ragazzo si trovava solo.
Scese rapido senza voltarsi mai indietro per pensare due volte a ciò che stava andando a fare.
Salutò gli altri come se tutto fosse normale e poi salì in macchina con loro.
- Ci hanno detto di girare un po' prima di arrivare alla meta. Non è per te, ovvio che prima o poi ti diremo come arrivare. Ma, sai, certa gente non festeggia manco il Natale, figurati l'anno nuovo...- Aveva detto quello alla guida mentre si avviavano.

- Perché? A Natale è successo qualcosa?- Aveva domandato Bruno.
- No.- Aveva parlato il secondo, che sedeva dietro al suo fianco. - Ma c'è stato un momento in cui abbiamo rischiato grosso. In ogni caso, oggi non portiamo nulla noi, quindi a meno di essere seguiti problemi non ce ne sono.- Aveva sorriso.
Poi nessuno aveva proferito parola fino all'arrivo.
Nell'appartamento dove avrebbero passato la serata c'era già tutto il resto del gruppo con cui erano soliti riunirsi.
Avevano cenato normalmente, come se nulla fosse, senza neanche fingere di essere un gruppo di giovani amici.
Cosa che tra l'altro erano realmente, tolto il piccolo particolare che li univa.
Quel particolare arrivò appena prima della Mezzanotte, come se fosse una normale bottiglia di Champagne.
Lo tirò fuori Andrea, un ragazzo che veniva da fuori Roma e che quel giorno era incaricato di girare con la patata bollente nell'auto.
- Bene, ci siamo, direi che possiamo preparare il nostro benvenuto al Settantasette.- Aveva detto sogghignando gettando sul tavolo alcune bustine piene di una polverina bianca che si capiva non essere farina.

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Capitolo 8
*** VIII ***



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Che gli inverni Romani fossero meno rigidi di quelli Torinesi era cosa nota e abbastanza logica.
Logica come il fatto che, comunque, l'inverno era inverno ovunque, e se a gennaio la caldaia che scalda un intero istituto si rompe il freddo si sente.
Per questo in un giorno di fine gennaio i rappresentanti di istituto avevano convocato un'assemblea per spiegare a tutti cosa stesse accadendo e quali sarebbero state le conseguenze.
Si era parlato di un paio di settimane per un intervento da parte dello stato o chi per lui, ma a metà febbraio le classi più fortunate erano riscaldate da stufette portate dagli alunni mentre in altre i ragazzi erano costretti ad andare malgrado il freddo, tanto che alcuni genitori, specialmente quelli degli alunni più piccoli, mandavano i figli a scuola solo due o tre giorni alla settimana.
Per uno strano caso del destino, però, le classi di Mirella e dei suoi amici facevano parte di quelle fortunate, di quelle in cui si poteva fare lezione.
Così continuavano a frequentare assiduamente, specialmente le due ragazze e Simone, che di lì a pochi mesi avrebbero dovuto dare l'esame finale.
- Comunque se andiamo avanti così finiremo per occupare come tre anni fa, ti ricordi Rachele?- Aveva detto Simone alla sorella gemella un pomeriggio mentre passeggiava nel centro di Roma insieme agli altri.
- Sì, come potrei scordarlo! Eravamo al secondo anno e siamo riusciti ad occupare una settimana dopo che in una classe era venuta giù la porta. Così, dal nulla. Per poco non ci era rimasto secco un ragazzo... come si chiamava? -
- Diego Simponico, siamo rimasti quasi amici. Sua sorella Agnese fa quinta ginnasio sempre da noi.-
Aveva risposto Simone.
- Sarebbe interessante sapere perché tu ti interessi di quelle di quinto ginnasio facendo l'ultimo anno, fratellino...- Aveva sorriso maliziosa la ragazza. - Comunque sia, all'epoca riuscimmo a fare questa lunghissima occupazione senza venir sgomberati fino al quinto giorno, ancora mi domando come possiamo esserci riusciti.-
- La conosco proprio perché è la sorella di Diego, lui la viene a prendere ogni tanto e me l'ha presentata. In ogni caso, all'epoca ci riuscimmo perché, evidentemente, eravamo appoggiati anche da alcuni genitori o docenti. Adesso la vedo molto più dura, senza contare che se aspettiamo ancora un po' l'inverno finisce e tutto perde di senso.- Aveva spiegato il ragazzo mentre entravano in un bar.
Ordinarono quattro cioccolate calde e ripresero a parlare davanti alle loro tazze fumanti.
Quello che era successo a scuola era un bel guaio, ed era strano che nessuno si fosse messo d'impegno per risolvere la faccenda nel minor tempo possibile.
- Piuttosto, cambiamo argomento.- Aveva proposto Rachele. - Cosa avete intenzione di fare il prossimo anno? Io penso pedagogia o psicologia o qualcosa del genere, voi?-
- Io medicina.- Aveva risposto il fratello gemello. - Dopo tutto si sapeva già. E tu Mirella?-
- Io penso che stupirò tutti iscrivendomi ad economia. Credo che mia madre avrà un infarto quando glielo dirò, ma non ho interessi particolari e immagino che quella sia una facoltà che poi ti porta a fare un po' di tutto, no?-
Gli altri ragazzi avevano annuito. Dopo tutto era loro la scelta, non dei genitori.
- Fortunato io che ho ancora tempo per scegliere.- Aveva riso Carlo.
Ma i cugini l'avevano ripreso dicendogli di non scherzare troppo, che gli anni passavano in fretta e si sarebbe ritrovato in quinta senza neanche accorgersene.
Quella frase aveva dato da pensare a Mirella, lei che in terza superiore non avrebbe di certo potuto immaginare come sarebbero andate le cose, quanti cambiamenti avrebbe subito la sua vita in così poco tempo.
- Mimì sei ancora con noi?- Le aveva domandato Rachele vedendola assorta nei suoi pensieri.
- Eh? Sì, scusa, stavo solo pensando a quanto fosse diversa la mia vita quando ero in terza. Avete ragione, il tempo vola e cambia fin troppo rapidamente. Non cullarti troppo nell'illusione della staticità, Carlo.- Aveva risposto facendo in modo che la discussione si spostasse ben lontana dai suoi pensieri.
- No, figurati, anche perché per quanto mi riguarda non è neanche consolatoria. Cioè, a me l'idea di rimanere per sempre come sono ora inquieta, preferisco che la mia vita sia piena di cambiamenti e novità continue, per quanto so che non saranno sempre belle...- Aveva sospirato.
- Si supera tutto, stai tranquillo. Alle perse si muore, e forse è anche il minore dei mali.- Aveva detto Mirella.
- Va bene, va bene, questa discussione sta diventando troppo triste per i miei gusti. Quindi proporrei di pagare e andare verso casa prima che inizi a diluviare, che ne dite ragazzi?- Aveva detto Simone che aveva intravisto negli occhi dell'amica un alone di tristezza per niente piccolo.
Gli altri erano stati d'accordo, e mezzora dopo si erano salutati alla fermata degli autobus.
Quello di Mirella era arrivato per ultimo, quando il cielo nuvoloso aveva iniziato a piangere acqua.
Si era seduta guardando fuori dal finestrino e aveva pensato a suo padre per tutto il viaggio.
Chissà come sarebbe stata la sua vita se lui non fosse morto.
Non erano passati neanche dieci mesi, eppure sembrava una vita.
Una vita che, a volte, le pareva non riuscisse più neanche a vivere.
Mentre scendeva dall'autobus aveva iniziato a piangere, ma prima di entrare in casa si era asciugata gli occhi.
In fondo, dietro alla porta possente del suo appartamento, c'erano quelle tre persone per cui valeva ancora la pena restare viva.

****
La profezia di Simone e Rachele si era realizzata a Febbraio, quando una mattina i ragazzi, arrivando a scuola avevano visto i primi segni di un'occupazione.

Non si era tirato indietro nessuno di loro.
Neanche Mirella, forse perché la mancanza del padre l'aveva resa, per quanto fosse brutto da dire, libera almeno in quel senso.
Simone le aveva inoltre detto che non sarebbe stata obbligata a fermarsi anche per la notte, un motivo in più che aveva spinto la ragazza a entrare e protestare assieme ai suoi compagni.
L'occupazione era iniziata con un'assemblea nel cortile della scuola che sembrava urlare “Stiamo più caldi qui”.
Megafono alla mano, il rappresentante di istituto aveva spiegato ai ragazzi quante volte fossero andati a chiedere di far aggiustare la caldaia da un mese a quella parte e come gli era stato costantemente risposto “Faremo il prima possibile”.
- Questo “prima possibile” continua a non arrivare, e anche se l'inverno finirà presto noi non abbiamo nessuna intenzione di arrenderci, perché è un nostro diritto venire a scuola senza rischiare di morire di freddo. Ci sono ragazzi che si sono ammalati, nelle ultime settimane, un paio almeno sono stati ricoverati per una brutta polmonite e la causa è solo il gelo in cui siamo costretti a vivere tutti i giorni per più ore. Non basta più stare a casa tre giorni a settimana, noi a scuola ci dobbiamo venire, ma per prepararci al futuro, non per morire!- Erano state le parole di una ragazza compagna di classe di Simone.
- Giulia Rieschio, è una tosta. Al biennio ci andavo dietro ma poi si è messa con un mio amico nell'estate prima della terza e addio. Stanno ancora insieme, e non sono per niente male come coppia.- Aveva spiegato agli amici.
Dopo il comizio si erano divisi per fare striscioni o altro materiale informativo, mentre altri ragazzi si organizzavano per far turni di controllo di eventuali sgomberi, ma non pareva esserci molto movimento fuori dall'edificio.
Il preside si era chiuso nel suo ufficio, non se l'era sentita di vietare ai ragazzi quell'occupazione.
Era un uomo austero, di vecchio stampo, rigido e ferreo nei modi di pensare, ma i parecchi anni di insegnamento lo avevano portato a imparare ad aprirsi un po' di più ai bisogni dei suoi alunni, e di certo quello di riscaldarsi non era un bisogno secondario.
- Se non fate danni né troppa confusione farò in modo di evitare uno sgombero.- Aveva detto. - Ma al primo sgarro finite tutti in questura.-
Le regole erano chiare, e i rappresentanti avevano ribadito l'ordine della presidenza a tutta la scuola.
L'uomo si era poi messo al lavoro per cercare di smuovere lui stesso qualcuno che potesse far qualcosa per la caldaia, ma dopo tutte quelle settimane anche lui si stava arrendendo.
Verso l'ora di pranzo i ragazzi si erano trovati nuovamente nel cortile per mangiare qualcosa e sentire se ci fossero stati in qualche modo sviluppi, positivi o negativi, della loro protesta.
- Allora, ragazzi, per l'ennesima volta ci è stato detto che interverranno per riparare la caldaia, e a quanto pare stanno realmente facendo una conta del denaro necessario per vedere se chi di dovere può provvedere da solo alla riparazione o c'è bisogno di altri soldi. In ogni caso ora stiamo calmi e continuiamo così che va benissimo. Alle cinque chi deve andare a casa esce e gli altri si fermano a dormire. Dopo le sei non esce più nessuno, quindi organizzatevi bene. Grazie dell'attenzione.-

Il discorso era culminato con un grande applauso.
Questa volta aveva parlato un ragazzo che Mirella non ricordava di aver mai visto ma che, allo stesso tempo, aveva catturato subito la sua attenzione.
Biondo, con i capelli tutt'altro che corti, e gli occhi di ghiaccio che si vedevano anche da lontano, di certo una persona del genere non passava inosservata... eppure lei niente, era certa di non averlo mai visto prima, tanto che chiese spiegazioni a Simone, che era ormai il suo privato insegnante per quanto riguardava i vari studenti della scuola.
- Quello? Danilo Bozzi, fa l'ultimo anno al Classico ma è del '56, l'hanno bocciato già due volte. Bello, sì, lo dicono tutte le ragazze della scuola. Ma altrettanto pericoloso. Gira voce che dopo il diploma voglia mettersi sulla strada di gente come quelli che hanno rapito quell'uomo a Genova... come si chiama? L'armatore Costa*, mi pare. Può essere?-
- Vuole fare il terrorista?- Aveva risposto Mirella guardando incredula l'amico e non rispondendo alla sua domanda, anche perché lei cercava, ovviamente, di ascoltare le notizie sul terrorismo il meno possibile.
- Sì, il terrorista o brigatista o quello che sia, non lo so e non sono affari miei. Una volta l'ho sentito discutere con un suo compagno su quella che per lui è la fondamentale differenza tra le Brigate Rosse e il terrorismo in generale, mi sono dovuto allontanare per non dirgli quanto mi parevano assurdi quei discorsi. Poi ognuno è libero, per carità, io però mi auguro sempre che chi sbaglia paghi, in ogni campo.- Aveva spiegato Simone, lasciando intendere che anche lui non si interessava molto di ciò che da qualche anno stava distruggendo poco a poco il paese.
Per lui erano criminali, punto, a prescindere dall'idea politica o da cosa volessero raggiungere. L'importante era pagassero.
La ragazza non si espresse a riguardo, per la paura di far trapelare qualcosa a proposito del suo passato e della morte del padre.
Era piuttosto tornata a fissare quel Danilo Bozzi, e per un attimo le era parso di averlo guardato dritto negli occhi, come se nel cortile pieno di gente ci fossero stati solo loro due.
Si era poi convinta fosse stata una sua impressione, suggestionata dal racconto dell'amico, ed era tornata con lui e gli altri a fare ciò che stava facendo prima della pausa.

Lei, Rachele e Carlo, che ancora veniva considerato piccolo, erano poi usciti dalla scuola alle cinque, mentre Simone si sarebbe trattenuto per tutta la notte.
La sorella gemella gli aveva chiesto più volte di ripensarci, ma lui era stato irremovibile: qualcuno doveva fermarsi e sicuramente meglio un ragazzo di quinta che uno del primo anno.
Sospirando, Rachele gli aveva detto che, almeno, avrebbe dovuto evitare il più possibile di fare casino, e il fratello gemello le aveva risposto un -Sìssignora.- Facendo un saluto militare.
Poi l'aveva salutata e vista andar via assieme al cugino e all'amica, sperando in cuor suo di poter tener fede alla promessa.

****

Di nascosto, con l'abilità che aveva sempre avuto ddi non farsi scoprire da nessuno, Bruno aveva continuato a frequentare le persone con cui aveva passato il Capodanno.
Aveva cominciato a tirare cocaina in modo regolare, senza mai portare a casa la sostanza ma iniziando sempre di più a portarne addosso gli effetti, sopratutto a livello psicologico.
Maria non pareva essersi accorta dei cambiamenti avvenuti nel figlio, forse perché attribuiva le sue continue assenze alla sua vita lavorativa e sociale, e comprendeva come il ragazzo, a volte, potesse essere agitato o irritabile.
Guido ogni tanto notava il fratello maggiore più assente del solito, ma impegnato con la scuola e i nuovi amichetti che si era fatto non ci dava più di tanto peso.
All'inizio si, dopo la morte del padre o appena arrivati a Roma aveva considerato Bruno il suo punto di riferimento fondamentale e aveva fatto il possibile per non staccarsi mai da lui, ma nell'ultimo periodo aveva deciso di crescere anche fuori dalla famiglia.
La perdita di Rodolfo aveva costretto il bambino a maturare rapidamente, lo sapevano tutti, e anche lo staccarsi dai fratelli e dalla madre faceva a suo modo parte di quel percorso di crescita che tutti compiono ma che, forse, lui avrebbe preferito avvenisse in modo meno immediato.
Senza neanche volerlo, quindi, il ragazzo era protetto da eventuali dubbi che potevano nascere alla madre o al fratellino, cosa che lo aiutava a continuare nei suoi loschi affari malgrado si rendesse ancora conto da solo di quanto tutto quello fosse sbagliato.
Chi invece aveva notato i suoi cambiamenti era Mirella, che dopo l'occupazione, durata due giorni e culminata con una vittoria dato che non era avvenuto nessuno sgombero ma, anzi, erano arrivate persone addette alla riparazione della caldaia, era tornata a fare la figlia e la studentessa come era sempre stato.
Aveva anche smesso di pensare al ragazzo visto il primo giorno di proteste, quel Danilo qualcosa, il cognome non le era neanche rimasto in testa, che Simone le avesse detto volesse fare scelte sbagliate.
Certo, ogni tanto, le rare volte che lo incontrava nei corridoi, un brivido le risaliva lungo la schiena, e non sempre capiva se si trattasse di paura o di semplice ammirazione per quel ragazzo che era realmente bello, ma tolto quello non ci pensava più.
Pensava, invece, al fratello maggiore e al modo in cui stesse diventando sempre più strano.
Spesso le capitava di rimanere sola con Guido la sera, quando la madre era a lavoro e Bruno fuori, e dopo aver messo a letto il fratellino non era raro aspettasse inutilmente alzata il ragazzo più grande.
Era solita coricarsi non dopo la mezzanotte, poiché sapeva che dormire poco la portava a non essere attenta in classe la mattina, e l'idea che suo fratello arrivasse sempre più tardi a casa la metteva in allarme.
Aveva provato anche a parlarne con sua madre, ma la risposta era stata la solita, cioè la convinzione che tutto fosse determinato dal lavoro, che spesso lo tratteneva fino a tardi, e dagli amici con cui era solito uscire.
Oppure che facesse come lei, cioè si fermasse a dormire da qualche collega quando finiva di lavorare troppo tardi.
Alla donna capitava spesso, anche perché da dove vivevano la scuola dove insegnava non era proprio ciò che si definisce comodo o vicino, e così i fermava a riposare qualche ora da una collega molto giovane a cui, oltre tutto, stava insegnando a suo modo il mestiere.
Istruire degli adulti sull'alfabetizzazione di base, secondo Maria, non era molto diverso dal farlo con dei bambini, perché in entrambi i casi si parlava di mancanza di educazione in tutti i sensi.
Ma quelli erano suoi affari di lavoro e la figlia non ci entrava mai in mezzo, se non per dirle qualcosa quando si accorgeva che la madre usava metodi di insegnamento antichi, ormai passati anche sui manuali di pedagogia.
Lo stesso valeva per il dormire fuori, che Maria le spiegasse in modo così assiduo che dormiva da una ragazze e non con un uomo non le pareva fondamentale, anche perché secondo lei non ci sarebbe stato nulla di male nel fatto che la donna trovasse un nuovo amore.
Però per suo fratello era diverso.
Poteva parere paradossale, era vero, perché ha più logica che dorma fuori di casa un ventenne che non una signora madre di famiglia, eppure Mirella vedeva così assurde le continue assenze del fratello più grande.

Anche quel suo modo di essere così irritabile e distante quando era a casa la metteva in agitazione, perché mai Bruno era stato quel tipo di ragazzo.
Iniziava ad avere seriamente paura di quello che poteva star accadendo al fratello, e se nessuno voleva darle retta si sarebbe mossa a suo modo per scoprire come stessero le cose.
Così una sera, approfittando del fatto che la mattina dopo non ci sarebbero state lezioni, aveva deciso di rimanere alzata fino al rientro di Bruno per parlargli una volta per tutte.
Mezzanotte, l'una, l'una e mezza, il vecchio pendolo sito nella sala da pranzo continuava a battere le ore e i minuti ma del ragazzo nemmeno l'ombra.
Mirella non aveva nessuna idea di quale fosse l'ora a cui lui era solito ritornarne, ma sapeva che di certo non poteva far l'alba, anche perché lui la mattina continuava ad alzarsi per andare a lavorare.
La porta di casa, di fatti, si era aperta poco dopo le due, e vedere ancora alzata e vestita la sorella, a dimostrazione del fatto che lo stesse aspettando, aveva fatto sobbalzare Bruno.
- Non è un po' tardi per te?- Le aveva domandato sorridendo.
Dentro se aveva pensato che la giovane era stata fortunata, quella sera non aveva fatto nulla di male, era una di quelle volte in cui era davvero uscito con dei colleghi.
Non poteva e non voleva immaginarsi cosa sarebbe accaduto se l'avesse trovata sveglia una di quelle sere in cui tornava dopo aver tirato a lungo, aveva quasi paura di pensarci.
- Potrei farti la stessa domanda.- Aveva risposto la ragazza. - Non è un po' tardi come orario le due di notte per chi la mattina lavora?-
Bruno aveva cercato di sfuggire alla domanda sbuffando e superando la sorella che stava in piedi nel corridoio dell'appartamento.
Si era diretto verso lo sgabuzzino per cambiarsi, ma imperterrita quella lo aveva seguito.
- Cosa c'è? Cosa vuoi? Ora che papà è morto e la mamma lavora ti senti in dovere di farmi da genitore tu? Guarda che mi pare di essere abbastanza grande per occuparmi di me da solo!- Aveva sbuffato di nuovo il ragazzo.
Poi aveva ripreso a camminare per la casa nella speranza di scollarsi di dosso la sorella, ma a nulla era valso il suo tentativo.
Erano finiti nel salone.
- Torni sempre tardi! Non ti vediamo mai in casa, e per quanto mamma non capisca quanto questo sia grave io sì, me ne sono resa conto e inizio ad essere spaventata.- Aveva detto guardando il fratello maggiore fisso negli occhi, con aria forse di sfida.
Lui, per tutta risposta, le aveva riso in faccia, come se volesse farla passare per una matta. - Non ti sembra di essere un po' paranoica? Lavoro, esco, mi sto frequentando anche con una ragazza, se ti interessa. È per questo che tardo così tanto, Commissario. Dato che sembra tu ti voglia prendere anche il ruolo sociale di papà, oltre che quello in famiglia. Ora posso andare a dormire?-
L'ultima affermazione aveva fatto aumentare il considerevolmente il battito cardiaco alla ragazza, perché era sicura che suo fratello, quello vero, non avrebbe mai detto una cosa del genere.
- No!- Gli aveva di fatti urlato subito dopo senza neanche accorgersene.
- No, tu devi spiegarmi cosa ti sta succedendo. Sei... sei strano, sfuggente, irritato, ogni tanto fai quasi paura... le poche volte che sei a casa, ovviamente.-
Il ragazzo aveva scosso la testa davanti alle critiche della sorella, e stava per risponderle a tono quando dei passi rapidi di bambino avevano interrotto la discussione.
Guido, in pigiama e con gli occhi da sonno, si era presentato davanti a loro dicendo di aver fatto un incubo.
- Guido vai a letto, adesso vengo a farti dormire.- Aveva detto Mirella guardando il piccolo.
- Ma non riesco se voi litigate. Bruno...- Aveva risposto il ragazzino cercando l'appoggio del fratello maggiore.
- Guido fa' quello che ti dice tua sorella, ora cerchiamo di abbassare il tono.- Era stata la risposta del ragazzo.
Risposta che aveva stranito i fratelli minori, solitamente abituati alle forti prese di posizione del ragazzo a favore del fratellino.
Entrambi, infatti, si sarebbero aspettati da Bruno che prendesse il piccolo e lo portasse subito a letto, o facesse qualsiasi cosa pur di andare contro a Mirella.
La sua passività, la sua incapacità di decidere, avevano quasi scioccato la ragazza.
- No, non abbiamo più niente da dirci.- Aveva detto subito dopo, ancora a suo modo scossa. - Vieni, Guido, andiamo a letto.-
In pochi attimi Bruno si era trovato solo nel salone, senza neanche capire cosa fosse accaduto.
Senza darci troppo peso, poiché non poteva comprendere cosa fosse passato nella mente della sorella, si era buttato sul divano.
E lì, ancora vestito, si era addormentato.

Note del testo
*
Ingegner Pietro Costa, rapito dalle Brigate Rosse il 12 Gennaio 1977 e liberato, succcessivamente al pagamento di un riscatto, dopo 81 giorni di prigionia
(
http://www.vittimeterrorismo.it/memorie/feriti/costa.htm)

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Capitolo 9
*** IX ***



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IX

La discussione tra Mirella e Bruno, che tanto aveva scosso loro quanto il piccolo Guido, non era più venuta fuori, come se per tutti fosse meglio far finta che niente fosse accaduto.
Il ragazzo si era messo di impegno per non far più nulla che potesse insospettire la sorella, e lei anche non aveva più dato peso ai comportamenti di Bruno, troppo impegnata con la scuola.
Era passato il primo anniversario dalla morte di Rodolfo, e a tutti era dispiaciuto non poterlo andare a trovare per lasciare un fiore sulla tomba di quel padre e marito affettuoso e amato che a distanza di un anno mancava ancora come se fosse passato solo un giorno.
La mattina del trentuno di Marzo né Guido né Mirella erano andati a scuola, sapendo entrambi che tanto non sarebbe stato proficuo.
Avevano preferito stare insieme e fare un giro per il centro di Roma, nella speranza di svagarsi e non pensare a quel triste anniversario.
Ma tutto, anche in quella città così diversa da quella da cui provenivano, pareva volergli ricordare ciò da cui stavano scappando.
Prima un negozio di giocattoli aveva attirato l'attenzione del piccolo, e la ragazza senza pensarci gli aveva chiesto se non desiderasse qualcosa, dato che, dopo tutto, era il suo onomastico.
Guido però aveva fatto cenno di no con la testa, spiegando, con il suo modo da bambino cresciuto troppo in fetta, che non pensava ci fosse più nulla da festeggiare.
- Anche quando mamma mi ha fatto gli auguri questa mattina le ho detto di no. Oggi è solo l'anniversario della morte di papà e sarà sempre così.-
Mirella aveva abbracciato il fratello minore e, forse per la prima volta, aveva davvero odiato gli assassini di suo padre.
Quelle persone non gli avevano solo tolto un genitore, cosa che sarebbe potuta accadere anche per un incidente o una malattia, gli avevano tolto la possibilità di avere una vita normale.
A lei, alla madre, a Bruno, a quel bambino che non festeggiava più l'onomastico ma non solo. Quell'omicidio non era stata una ferita, era un marchio, un marchio che nessuno di loro si sarebbe mai tolto di dosso neanche nascondendo al mondo ciò che era accaduto.
Qualche minuto dopo il passaggio davanti al negozio di giocattoli, i due avevano sentito un forte odore di pizza, e di nuovo la loro mente era corsa a un anno prima e a quelli che avrebbero sempre ricordato come i loro ultimi attimi di felicità.
Per scacciare i pensieri tristi, Mirella aveva proposto al fratellino di prendere insieme il primo gelato di quella primavera che stava arrivando, e lui aveva accettato con gioia.
Erano tornati a casa per pranzo, dove li aveva raggiunti anche Bruno.
Avevano mangiato tutti insieme, senza però fare riferimento a quella giornata.
Solo in serata la madre aveva chiesto ai tre figli di fare una preghiera, ma per il resto ognuno di loro aveva vissuto il suo dolore da solo.
A tarda sera Mirella si era addormentata accanto a Guido, preoccupata dall'idea che potesse fare incubi anche quella notte, soprattutto quella notte.
Il fratello maggiore si era fermato a guardarli per qualche istante prima di andarsi a coricare anche lui, e aveva compreso quanto sbagliato fosse quello che stava facendo da mesi.

Ma neanche quel pensiero poté dargli la forza per ragionare sull'ipotesi di smettere, e se ne accorse quando, appena prima di dormire, controllò per bene due volte di aveva la sua magica polverina bianca a posto nel doppio fondo del cassetto del comodino.

****

La classe di Mirella e Rachele aveva fatto spostare in extremis la verifica di italiano la mattina precedente, ammettendo tutti che del Paradiso Dantesco non stavano comprendendo molto.
La professoressa aveva accettato solo in virtù del fatto che mancasse molto poco agli esami, e così quell'ora era stata dedicata ad un ripasso approfondito dell'opera letteraria.
O almeno quella era stata l'idea.
Infatti lo studio della Commedia si era interrotto dopo neanche mezzora a causa di un forte urlo proveniente dal corridoio.
La cosa aveva fatto sobbalzare tutti, ma sarebbe finita lì se il grido non fosse stato seguito da un forte pianto.
A quel punto neanche le minacce della professoressa di una nota collettiva avevano impedito alla classe di uscire dall'aula.
Nel corridoio avevano scoperto di non essere stati i soli ad essere andati fuori dalla classe dopo aver sentito le grida, anzi, mezza scuola pareva essersi riversata al terzo piano in quei pochi attimi.
Mentre ancora tutti si interrogavano sulle cause dell'urlo e del pianto, Simone e il cugino avevano raggiunto le due ragazze per spiegargli cosa fosse accaduto.

- Ad urlare è stata una ragazza del ginnasio, Agnese Simponico.-
- La sorella di Diego? Il ragazzo di cui ci parlasti nel periodo prima dell'occupazione?- Aveva domandato Mirella ricordandosi una discussione di alcuni mesi prima.
- Sì, è appena arrivata la notizia della morte di Diego... ha urlato e pianto per questo. La mia classe è accanto alla sua, ce lo ha detto un suo compagno.-
- Oddio... ma come è stato possibile?-
- Si dice si sia menato con alcuni fascisti che erano chissà quanti contro lui solo e...-Simone non fu in grado di finire la frase, tacque nel tentativo di mandare indietro le lacrime che stavano per uscirgli.
La gemella non ci pensò due volte ad abbracciarlo per calmarlo.
Funzionava sempre, da quando erano piccoli, forse per uno di quegli strani meccanismi che legano i gemelli più di qualsiasi altro tipo di fratelli.
- Tu come stai?- Gli aveva poi chiesto.
Sapeva che Simone e Diego erano buoni conoscenti, forse addirittura amici, e non era un momento facile, quello.
- Non lo so... sono sconvolto. Non come può esserlo sua sorella, è vero, ma sono scosso... è così assurdo...-
Mirella, Rachele e Carlo si erano stretti vicino all'amico nella speranza di fargli capire che c'erano, che con loro non doveva vergognarsi di star male o di essere triste per ciò che era accaduto.

Dopo qualche minuto però, il tentativo di ritrovare la calma che stavano facendo era stato bruscamente interrotto da un altro urlo, sempre di ragazza, proveniente dal corridoio che faceva angolo con quello in cui erano loro.
Scossi nuovamente da quel grido, gli pareva di essere non a scuola ma in qualche campo di guerra, quella mattina, i ragazzi si avviarono senza pensarci due volte verso l'origine del nuovo urlo.
Assieme a loro si era mossa una gran parte degli studenti che ancora occupavano i corridoi, e tutti avevano ritrovato nel bagno delle ragazze l'origine del secondo grido.
Immobile davanti alla porta di uno dei gabinetti stava una ragazzina che non poteva avere più di quindici anni, proprio come Agnese, e sulla porta, grande tanto da occuparne tutta la metà, era disegnata con un rosso vivo una stella cerchiata a cinque punte, il simbolo delle Brigate Rosse.
Le persone davanti al bagno, quelle corse lì dopo l'urlo, stavano in silenzio ferme, aspettando chissà cosa.
La tensione che si era creata lì intorno si tagliava con un coltello, alcuni dei più piccoli non capivano, mentre i più grandi comprendevano fin troppo bene il senso di quell'immagine.
Mirella ci mise qualche secondo a realizzare e ricollegare, poi non seppe mai cosa fosse accaduto nella sua testa, semplicemente iniziò a correre, correre lontana da quel luogo, da tutta quella gente.
Arrivò allo scalone principale della scuola e poi iniziò a scendere, giù fino al piano terra.
Solo allora si buttò attaccata a un muro, seduta sul pavimento, e iniziò a piangere.
Confusa, arrabbiata, triste, non sapeva bene neanche lei come si sentisse.
Spaventata, forse.
Quel simbolo era una dimostrazione di forza, la dimostrazione di come neanche le scuole fossero luoghi sicuri.
Forse chi l'aveva fatto non poteva neanche comprendere la gravità della cosa, forse invece il suo intento era proprio quello.
Ma Mirella a tutto questo non riusciva a pensare. Tutti i suoi pensieri erano rivolti verso il padre e verso ciò che la sua famiglia aveva subito per colpa di qualcuno matto come quelli della stella cerchiata.
Pazzi, oppure cattivi, in ogni caso non cambiava.
Cinque minuti dopo, mentre stava ancora piangendo, fu raggiunta da Rachele e dai ragazzi.
- Oh! Ma cosa è successo?! Ti abbiamo vista correre via e... ma stai piangendo! Che cos'hai?-
L'amica fu la prima a parlare, mentre il gemello e il cugino erano rimasti silenziosi e inermi davanti alla ragazza in lacrime.
Mirella aveva scosso la testa più volte dicendo di non voler parlare, ma alla fine aveva confessato il motivo del suo pianto.
- Non è vero che mio padre è morto in un incidente... lui era un commissario di polizia e.... ed è stato ucciso... sotto i nostri occhi, i miei e quelli di Guido e Bruno...-
Quelle poche parole erano bastate per rendere a Rachele chiaro il quadro della situazione.
- Sono... sono stati quelli che usano quel simbolo? Quello apparso in bagno, dico.- Domandò non sapendo come altro spiegarsi, ma la testa della sua amica fece di nuovo cenno di no.
- No... non si sa chi sia stato... c'è stata una rivendicazione, ma di un gruppo che nessuno aveva mai sentito prima e che non si è più fatto vivo dopo. Come se fossero....- Un singhiozzo rumoroso aveva interrotto le parole di Mirella, ma dopo un attimo aveva trovato, chissà dove, la forza di andare avanti. - Come se fossero nati solo per uccidere mio padre...- Aveva sospirato prima di gettarsi, in lacrime, tra le braccia degli amici che, incapaci di dire qualcosa, avevano accolto quella sua richiesta di aiuto ed affetto senza esitare.

****

Bruno guidava nella notte di Roma in direzione casa.
Aveva passato la serata con alcuni amici e, per la prima volta dopo mesi, era riuscito a sentirsi felice senza bisogno di sostanze varie.

Non aveva neanche bevuto troppo, se ne accorgeva dalla lucidità con cui riusciva a condurre l'auto, eppure era stato così bene.
Una trattoria tipicamente Romana, l'ambiente familiare e un'ottima compagnia avevano fatto ciò che di solito riusciva a fare solo la cocaina, ed era stato strano rendersene conto.
Da una parte quello gli dava la speranza, per poca che ancora poteva essere, di poter smettere, dall'altro gli faceva domandare come fosse possibile che avesse fatto quella fine, la fine del drogato.

Perché non era altro che quello, un drogato.
Una risposta se l'era dato da solo qualche giorno prima, parlando con un amico di cui si fidava così tanto da avergli già raccontato la verità sulla morte del padre, proprio come aveva alla fine fatto Mirella con Rachele e gli altri.
- Sai,- gli aveva detto. - In fondo tutto si è stabilito il giorno in cui uccisero mio padre, nel momento in cui lo uccisero.
Diedi a mia sorella ordine di buttarsi a terra e proteggere Guido, ma poi fu lei da sola ad alzarsi tappando al piccolo occhi e orecchie perché sapeva che spettacolo gli si sarebbe presentato davanti. Lei da sola aveva preso l'iniziativa necessaria a difendere nostro fratello, ed è quello che farà per tutta la vita.
Io, invece, sono rimasto fermo, immobile, incapace di salvarmi e di salvare qualcun altro. Mi domando ancora come faccio ad essere sopravvissuto.
Ci sono notti in cui mi sveglio domandandomi se non avrei potuto fare qualcosa per salvare mio padre, chiamare aiuto prima o qualsiasi cosa.
L'ho visto bene, il suo corpo dopo la sparatoria, so da me che non si sarebbe salvato.
Ma ancora mi domando se non sia stata anche colpa mia.
È per questo che io sono qui a farmi di cocaina e Mirella a casa a studiare col desiderio di fare l'università, perché lei sa prendere decisioni che salvano la vita a se stessa e agli altri, mentre io vivo solo perché ho la fortuna di non morire.-
Solo che quella risposta, se bene fosse bastata al suo amico, a lui non dava il senso che cercava.
Sì, sapeva fosse colpa sua, dopo tutto nessuno gli aveva prescritto di iniziare a drogarsi, eppure...
Eppure a suo modo Bruno imputava tutta quella faccenda agli assassini di suo padre e al trasferimento a Roma, nel disperato tentativo di deresponsabilizzarsi.
Aveva quasi venticinque anni e non era in grado di prendersi le sue responsabilità per ciò che stava facendo di sé stesso, dire che si facesse schifo da solo era eufemistico.
Paradossale era, invece, il fatto che ovviamente solo nei momenti di lucidità potesse pensare sul serio a cosa fare e proprio in quei momenti voleva allontanare la mente da quella piega sbagliata che aveva preso la sua vita.
Come quella sera.
A furia di far in modo di pensare a non pensare non si era neanche accorto, parcheggiando la macchina, che la cucina dell'appartamento dove viveva avesse la luce accesa.

Per questo fu un colpo per lui entrare e trovare la sorella sveglia che beveva chissà cosa da una tazza fumante.
Per un attimo sospirò credendo che fosse lì pronta a urlargli addosso nuovamente, ma appena quella alzò lo sguardo si rese conto di come le cose stessero diversamente. Mirella aveva uno sguardo spento, vuoto, diverso da quello che lui conosceva.
- Ho fatto un incubo.- Disse al fratello senza guardarlo negli occhi.
Bruno, a quel punto, non perse neanche tempo a togliersi la giacca che andò a sedersi di fronte e le prese le mani nelle sue, proprio come quel giorno a Torino, quando la ragazza aveva visto quella scritta sul muro riguardante la morte del padre.
- Hai sognato quando lo hanno ucciso?- Le aveva chiesto aspettandosi un sì come risposta.
Ma lei aveva scosso la testa. - No, non proprio. È strano... non so raccontartelo. Era come se io sapessi che papà sarebbe morto, io lo sapevo ed ero impotente, non potevo fare nulla... eppure non è questo che mi ha inquietato...-
- E allora cosa? Se te la senti di dirlo, ovviamente.-
Mirella annuì e riprese fiato, poi iniziò a parlare nuovamente. - È che quando mi sono svegliata e ho realizzato che papà era già morto mi sono sentita strana, direi quasi sollevata. Ero quasi felice che fosse già morto, capisci? Perché significava che non avrei dovuto rivivere tutto da capo, tutto ciò che è successo da quando lo hanno ucciso. Io... io non lo so, mi faccio schifo da sola, ma non posso fare a meno di dirtelo, la prima sensazione che ho provato svegliandomi è stata questa, il sollievo per non dover rivivere tutto da capo.-
Silenziosamente per la paura di svegliare il fratellino e la madre, la ragazza si mise a piangere tra le braccia di Bruno.
Lui non fece altro che accarezzarle i capelli e ripeterle più volte che andava tutto bene, che non era colpa sua, che non doveva sentirsi in colpa per quello che aveva provato.
Forse era normale, addirittura logico.
Alla fine l'aveva accompagnata a letto un po' più tranquilla e calma, senza più lacrime ma distrutta dal sonno e dal pianto.
Era rimasto così, seduto ai piedi del suo letto, a vegliarla tutta la notte.

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Capitolo 10
*** X ***


X

Danilo Bozzi aveva fatto la sua prima azione terroristica, anche se pareva sciocco definirla così, a neanche quindici anni, nella primavera della quarta ginnasio.
Era successo quasi per caso, una mattina di aprile, molto presto, ad un'ora in cui lui era solito dormire ancora.
Viveva da sempre nello stesso quartiere, una zona abbastanza popolare appena prima del Grande Raccordo Anulare, ancora dentro Roma, e da sempre suo padre, un ex partigiano che continuava a votare comunista pur rinnegando alcune idee “troppo borghesi” del partito fondato da Gramsci, era in discordia con il capo della sezione locale del Movimento Sociale.
Qualche giorno prima però i due si erano attaccati pesantemente, e Danilo aveva giurato a se stesso che l'avrebbe fatta pagare al fascista, in una maniera o nell'altra.
All'inizio non aveva avuto idea alcuna, più o meno violenta che fosse, ma poi a lungo andare l'illuminazione era arrivata.
Di notte, poco prima di addormentarsi, aveva pensato a quando era piccolo e suo padre gli raccontava dell'aiuto che ai tempi della Resistenza aveva dato alla causa partigiana.
- Ero un ragazzino.- diceva sempre. - Piccolino e magro da far schifo, qualcuno mi prendeva per rachitico e quando dissi di voler aiutare chi desiderava la libertà del mio paese molti mi risero dietro.
Tutti meno che il capo della zona dove stavo. Mi aveva visto una volta sgattaiolare dietro una signora che comprava alla borsa nera per rubarle un pezzo di pane, aveva notato come fossi svelto e scaltro. Lui.
Quella ha sempre creduto la pagnotta fosse stata fatta male, povera idiota.
In ogni caso, a partire da questo mi fu affidato il compito di bucare le ruote dei camion dei soldati vicini al regime e, qualche volta, di sabotarli anche in maniera più tecnica.-
Danilo conosceva quella storia a memoria, ma fino a pochi anni prima non si era mai stancata di farsela raccontare, convinto che conoscerla nei minimi dettagli, prima o poi, gli sarebbe ritornato utile.
E così era stato.
Quella notte aveva deciso che il fascista, di lì a poco, si sarebbe trovato con quattro ruote squartate.
Aveva bisogno di un chiodo grosso e di dormire da qualcuno che non avrebbe fatto domande sul suo uscire di casa prestissimo, l'unico buon momento per fare una cosa simile, ma tolto questo il piano era perfetto.
Il giorno successivo, mentre tornava da scuola, aveva incontrato il figlio di amici di famiglia, un tale Paolo, che aveva pochi anni più di lui ma già lavorava in fabbrica.
Lì aveva iniziato ad abbracciare la causa della lotta di classe, e spesso lo si vedeva con in tasca copie di Lotta Continua*, tanto che molti si erano allontanati da lui.
Con Danilo non si vedeva spesso, colpa anche degli orari discordi dei due, ma quando si incontravano scambiavano poche parole sempre legate al comunismo e alla sinistra extraparlamentare.
Quel pomeriggio avevano fatto un pezzo di strada insieme, e a Danilo era venuto in mentre che forse proprio quel ragazzo avrebbe potuto fornirgli l'aiuto di cui aveva bisogno.
Viveva solo, si alzava presto per andare in fabbrica e casa sua era nell'isolato dopo quella del Missino. Forse avrebbe trovato da lui anche uno di quei chiodi che gli erano necessari, non poteva dirgli meglio.
L'aveva fermato all'angolo prima di casa sua dicendo che doveva parlargli.
– Ho bisogno di un favore enorme!-
- Ragazze?-
Danilo scosse la testa.
- E allora che hai combinato? Non hai neanche quindici anni e già ti metti nei casini?-
Il ragazzo aveva di nuovo scosso il capo. - Devo combinarlo, un casino. Qui in zona.-
- Contro chi?-
- Ziaboli.-
- Il fascista? Che è successo?-
- L'altro giorno lui e mio padre si sono attaccati di nuovo, ma questa volta quel bastardo non la passa liscia.-
- Che cazzo hai in mente Danì?-
- Bucargli le gomme di quella sua macchinetta borghese de sto cazzo.-
- E che ti serve da me?- L'aveva guardato strano Paolo.
- A che ora t'alzi pe' anna' in fabbrica?- Danilo aveva iniziato a sforzare il suo accento, come per sembrare più forte.
- Alle cinque e mezza sto fuori casa. Perché?-
- Ho bisogno di un chiodo grosso e un posto dove passa' la notte. M'alzo ed esco co' te, poi io faccio 'sto lavoro e me ne vado verso scuola. Il chiodo te lo riporto co' calma un giorno di questi.-
Paolo ci aveva pensato bene e poi aveva accettato a patto di non essere messo in mezzo al fatto in nessun modo, e Danilo gli aveva dato la sua parola.
A distanza di sei anni buoni ancora nessuno nel quartiere sapeva chi avesse bucato le gomme alla macchina del segretario della sezione dell' M.S.I., e questo basta a dire come fossero finite le cose.
Sei anni.
Danilo ci pensava appoggiato ad un termosifone nei corridoi della scuola proprio il giorno che correvano il sesto anniversario del fatto.
Ne era passata di acqua sotto i ponti da quel momento.
In primo luogo le due bocciature e tutti i cazzi che si erano portate dietro;
I genitori che minacciavano di buttarlo fuori di casa, le occhiatacce di alcuni vicini benpensanti, tutte rotture che lui avrebbe preferito evitare ma che si era dovuto sorbire a testa bassa.
Aveva fatto due volte la quinta ginnasio e due volte la prima liceo, solo che quella volta, al secondo giro era stato rimandato tanto in lettere classiche quanto in matematica, e nessuno avrebbe scommesso una lira sul suo passaggio a settembre.
Non tanto per la matematica, materia in cui l'insufficienza era dovuta più a un fatto di condotta che alla mancanza di notazioni positive, quanto per le materie portanti del suo indirizzo.
Chiunque altro a quel punto avrebbe lasciato perdere il liceo classico, era logico, ma Danilo era cocciuto.
E poi un sacco di persone, insegnanti, genitori e adulti vari, gli aveva più volte detto che sarebbe stato meglio cambiare scuola, ma lui a quella la soddisfazione non voleva darla.
Una sera di inizio luglio era stato beccato sbronzo all'uscita di un locale dal professore di latino e greco, un vecchio che aveva perso la famiglia in un incidente quindici anni prima e si era quasi risposato col suo lavoro.
Quel ragazzo scolasticamente difficile e menefreghista completamente ubriaco doveva avergli fatto una grande pena, perché l'aveva raccolto e se lo era portato a casa.
Qui aveva aspettato gli passasse la sbronza e poi gli aveva proposto un patto; lui lo avrebbe preparato agli esami se Danilo lo avesse aiutato con la casa.
Era vecchio, stanco, non gli mancavano più che pochi anni alla pensione.
Il ragazzo aveva accettato senza pensarci, e a settembre era arrivato alla riparazione più preparato di chiunque altro.
Il giorno che uscirono i quadri il giovane corse felice fino a casa del professore per comunicarli la promozione, ma non ce ne fu il tempo.
L'anziano docente era morto quella stessa notte, di infarto, come se il suo ultimo compito nella vita fosse stato quello di dare una svolta a quella di quel ragazzo.
Danilo era stato malissimo per quella perdita, ma non si era lasciato sconfiggere dal dolore ed era andato avanti, impegnandosi al massimo anche con la nuova insegnante.
Era per quello che era all'ultimo anno e aveva fatto di tutto per far bene quello e quello precedente, in memoria di quella persona che tanto lo aveva aiutato.
D'altra parte prima di lui aveva già perso, non per colpa della morte ma della vita, Paolo.
Era successo nel 1974, quando a Genova le Brigate Rosse avevano rapito un giudice* e Danilo, forse per la prima volta, aveva davvero avuto il dubbio che lo stato non coincidesse per forza col bene.
Ne aveva parlato con l'amico, che continuava a militare in Lotta Continua, ma alla fine le loro posizioni non erano state concordi e una violenta discussione aveva distrutto l'amicizia di una vita.
Poteva sembrare assurdo, ma era andata così.

Secondo Danilo il “Né con lo Stato né con le Br” di Lotta Continua era riduttivo ed insensato, per lui da una parte bisognava stare, tutto il resto era ignavia.
E pazienza.
Pazienza se il prof era morto, pazienza se il rapporto con Paolo era andato al diavolo, appoggiato lì al termosifone stava pensando che, forse, utilizzare i dieci minuti della ricreazione per riflettere su tutta la sua vita dalle gomme bucate al Missino in poi era stata una cazzata.
Stava per andarsene verso la sua classe quando la notò.
In realtà a scuola da un po' la notavano tutti, la ragazza che frequentava l'ultimo anno di magistrali.
Era arrivata il settembre precedente ma poi da un giorno all'altro era diventata nota.
Era bastato il simbolo di un'organizzazione terroristica sulla porta del bagno delle ragazze e il suo pianto che ecco come tutti avevano scoperto di lei, la figlia di un uomo morto ammazzato.
Danilo non ci pensava mai, ma le poche volte che lo faceva gli veniva da sorridere perché come fossero andate le cose prima di quel di disegno lui lo sapeva bene.
E, finché non vide la giovane venirgli contro col volto corrucciato e i pugni chiusi al fondo delle braccia, lunghe e tese ai lati del corpo, credeva di essere uno dei pochi a saperlo.
- Sei stato tu, vero?!-
Il corridoio sgombero anche dagli ultimi ritardatari che rientravano in classe dopo l'intervallo fece rimbombare le parole di Mirella.
- Che cazzo vuoi? Ma di che parli?- Rispose Danilo fingendo, anche bene, di non comprendere.
- Della... della stella! Lo sanno tutti che vuoi fare dopo il liceo, ammesso tu riesca finalmente a finirlo, ovvio. Allora, sei stato tu?-
Il viso della giovane era così contratto da, paradossalmente, mostrare benissimo tutte le lacrime che lì non aveva intenzione di piangere.
- Quella nel bagno delle ragazze? No, non penso proprio. Ma che c'è? Ti ha dato tanto fastidio?-
La ragazza aveva sbuffato.
- Oh sì... Ti ha dato fastidio...- Il tono di Danilo era passato da menefreghista a sottilmente ironico, diventando ancora più fastidioso.
- Ti ha dato fastidio perché adesso tutti sanno del tuo segreto, vero? Adesso tutti sanno di com'è morto tuo padre... ma che, non lo sapevi? Guarda andando in giro a dire che è morto in un incidente non tramuti la realtà, tuo padre l'hanno ammazzato comunque.-
Senza pensarci due volte Mirella mollò un sonoro ceffone al ragazzo che le stava davanti. - Allora la sai una cosa? Adesso va' pure in giro a dire che t'ha menato un fascista. Tanto questo schiaffo te l'ho dato sempre io.-
Poi si era voltata ed era corsa via, con le lacrime lungo le gote e la gola dolorante nel tentativo di nascondere i singhiozzi.
Danilo era rimasto lì, incapace di fare qualsiasi cosa.
Non ce l'aveva con lei, non si sentiva di essere vendicativo.
Non dava come assioma il non picchiare le donne, specialmente quando iniziavano loro, ma in quel momento non capiva neanche se picchiarla o comunque farle del male sarebbe stato sensato.
Era rimasto lì fermo fino a che il professore di matematica non l'aveva richiamato.
Poi, in classe, si era messo a fingere di seguire la lezione e aveva ripensato a quello che era successo.
Ecco perché aveva riflettuto sulla sua vita, nell'intervallo, perché tutto insieme era arrivata la conseguenza delle sue scelte, delle sue idee e delle sue dichiarazioni.


Note del testo
*Lotta Continua, forma breve LC, fu una delle maggiori formazioni della sinistra extraparlamentare italiana, di orientamento comunista rivoluzionario, tra la fine degli anni sessanta e la prima metà degli anni settanta.
(http://it.wikipedia.org/wiki/Lotta_Continua)
**Sequestro del Giudice Mario Sossi, rapito il 18 aprile 1974 e tenuto sequestrato dalle brigate rosse per oltre un mese.
(http://it.wikipedia.org/wiki/Mario_Sossi)

Note dell'autrice.
Bene! Eccomi di ritorno! :)
In teoria questo capitolo doveva essere differente, ma alla fine ho deciso di concentrarlo su Danilo, personaggio che sarà molto importante nel corso della storia!
Spero vi sia piaciuto ^^
Niente, io mi auguro di poter aggiornare presto e ci sentiamo alla prossima!
Ciao! :)))

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Capitolo 11
*** XI ***


XI

I pomeriggi di Maggio stavano andando via rapidi tra la biblioteca ed il parco per la preparazione agli esami e agli ultimi compiti in classe.
Mirella, Rachele e i due ragazzi stavano costantemente insieme, riuscendo ad alternare lo studio e lo svago in modo maturo e proficuo.
Dopo la discussione con Danilo Bozzi la ragazza di Torino aveva cercato di dimenticare tutto, la stella cerchiata in bagno e le occhiate dei compagni stupiti di avere a che fare con la figlia di una vittima del terrorismo, ma non era una cosa semplice.
Non aveva raccontato a nessuno, neanche alla sua amica, dello schiaffo. Anzi, a mala pena le aveva detto del litigio, se così lo si poteva definire, mentre ai due ragazzi aveva appena accennato i sospetti che aveva su Bozzi per quanto riguardava il disegno apparso a scuola.

In fondo, tolto a lei, degli autori di quello non interessava niente a nessuno.
All'inizio il preside dell'istituto e qualche professore avevano minacciato ritorsioni, alcuni avevano addirittura iniziato a fare attenzione alle parole che uscivano dalla bocca di quei ragazzi definiti più facinorosi, ma alla fine non era successo altro e tutto era stato sostanzialmente dimenticato.
A casa Mirella aveva raccontato della stella solo al fratello, ma neanche con lui aveva fatto parola riguardo a Danilo e tutto il resto.
Bruno continuava la sua sconclusionata vita nascondendo sempre meglio ciò che faceva.
Non riusciva a smettere, non era in grado di chiedere aiuto.
La casa dove vivevano era piena di foto loro e, soprattutto, del defunto padre.
Era passando davanti a quelle che Bruno si sentiva più in colpa, quando realizzava che la Dama Bianca, così la chiamava con i suoi amici, aveva tradito tutte le aspettative che Rodolfo aveva potuto avere su di lui, e non solo; a causa del modo malsano con cui stava conducendo la sua vita si era lentamente trasformato da vittima del terrorismo, del fato o di chi fosse, a carnefice di sé stesso e della sua famiglia.
Per quanto fingesse di credere che tutta quella storia avrebbe danneggiato solo lui, infatti, sapeva benissimo che prima o poi ci sarebbero andati in mezzo anche sua madre, sua sorella e il piccolo Guido.
Lo sapeva e si faceva schifo, se lo ripeteva continuamente, ma non poteva uscire da una cosa del genere semplicemente desiderandolo.
Magari fosse stato così facile, si diceva spesso, magari fosse stato solo un fatto di volontà.
La dipendenza che aveva sviluppato in quei mesi non si riduceva ad una semplice necessità fisica della dose di cocaina, perché lui paura di morire non ne aveva e se si fosse trattato solamente di quello avrebbe provato a dire basta, a costo di affrontare le crisi di astinenza e, forse, anche l'ora più grave della vita.
No, la dipendenza era psicologica e assolutamente necessaria per andare avanti.
C'era la morte di suo padre dietro a quel bisogno costante di sporcarsi di bianco il naso e assaporare il violento distacco con la realtà.
Era per lui ormai un obbligo dimenticare, spesso, i minuti più tristi della sua vita con un semplice respiro profondo che gli apriva i polmoni a qualcosa di innaturale.
Innaturale come l'omicidio di Rodolfo, innaturale come suo fratello minore che si svegliava in lacrime sognando la sparatoria.
Pareva quasi una gara a ciò che era meno naturale tra il suo drogarsi e l'uccidere dei terroristi.
E per quanto ci provasse a dire che loro avevano potuto scegliere e lui no, perché la droga come sollievo gli era capitata solo a causa del dolore provato, sapeva benissimo che non era vero.
Lo sapeva perché spesso ammirava sua sorella.
Mirella era bella, di una bellezza che andava oltre i lineamenti ancora dolci e a tratti infantili.
Aveva quella bellezza che regalano gli occhi di chi ha sofferto ma riesce ancora a sorridere, la bellezza di una forza d'animo che lui in sé non aveva mai trovato.
Si rispondeva sempre allo stesso modo, come si era risposto una sera tornado a casa in macchina; per lei era stato semplice, aveva guardato negli occhi Guido e aveva capito di doverlo proteggere, e quando devi proteggere qualcuno il tempo per guardarti dentro e decidere che il peso che hai sul cuore deve essere esternato non c'è.
Anche Bruno adorava il fratellino, come adorava la ragazza e la madre, e per loro ancora portava a casa lo stipendio e aiutava quanto potevano.
Ma erano gesti divenuti di routine, gesti necessari alla sopravvivenza di quattro esseri umani, non a quella di una famiglia.
Si rendeva sempre più conto di come avesse fatto suo il ruolo del padre non come figura piena di affetto e premure ma come semplice mezzo di sussistenza.
Lui era l'uomo di casa in quanto grazie a lui si metteva un pasto caldo in tavola, nient'altro.
Quando guardava i suoi cari sorridere, magari anche a causa sua, si sentiva comunque combattuto tra un sentimento di gioia e una completa apatia.
Si chiedeva se non fosse stato semplicemente ingiusto l'obbligo che gli era calato sulle spalle, forse arrivato proprio come fosse una punizione.
Un sacco di amici della sua età erano vicini al metter su famiglia, mentre lui, prima, quando le cose erano diverse e la vita era ancora bella davvero, preferiva solo divertirsi e non pensarci, lasciare tempo al tempo.
Aveva vent'anni e si sentiva ancora un ragazzino, e ogni volta che vedeva suoi coetanei in giro per il centro di Torino a cercare un abito per il matrimonio aveva voglia di prenderli in giro.
Poi da un giorno all'altro, senza mettere in mezzo fidanzate o cerimonie, si era trovato con una famiglia da portare avanti.
E si era sentito solo, triste, stanco.
Ed era arrivata la Dama Bianca, lei che portava via ogni tristezza, ogni dolore.
Al posto dell'amore per quel pezzo di famiglia che gli era rimasto, al posto del desiderio di riscatto dopo quell'assurdo dramma, al posto della voglia di trovare una donna tutta per lui con la quale avere una propria famiglia a cui per nulla al mondo avrebbe fatto passare i suoi dolori.
Al posto di ogni possibilità di andare avanti aveva preferito dimenticare.
E tra tanti metodi per farlo aveva scelto il peggiore.

****
Tre settimane prima della fine della scuola il malato modo in cui Bruno stava vivendo la sua vita lo aveva portato in galera.
Mirella era tornata a casa dalla biblioteca come tutti i giorni e aveva trovato nell'appartamento la madre in lacrime e la polizia.
Il ragazzo era già stato portato in questura, ma gli agenti dovevano fare una perquisizione.
Guido era stato mandato da un amichetto e lì sarebbe rimasto fino al giorno seguente, non gli era stato detto nulla e nulla gli sarebbe stato detto successivamente.
Nella camera di Bruno erano state trovate tre bustine di cocaina, e neanche l'abbraccio stretto della figlia era riuscita a calmare le lacrime di Maria quando, dopo ore interminabili, erano rimaste sole nell'intimità della casa.
La donna si incolpava, si malediceva per come aveva creduto che il figlio fosse grande e forte abbastanza per andare avanti senza problemi né dolori dopo la morte del padre.
Mirella, invece, ancora una volta aveva anteposto il dolore di chi amava al suo, e aveva fatto il possibile per calmare la madre.
Poi l'aveva fatta cenare e l'aveva messa a letto, dicendole che sarebbe andato tutto bene, che avrebbero parlato con Bruno il prima possibile, che si sarebbero chiariti e che lui sarebbe uscito di galera per dire basta a quella merda e ricominciare una vita vera.
Maria aveva annuito con lo sguardo vuoto alle parole della figlia, e la ragazza aveva capito che in quel momento non aveva senso parlare del futuro.
Lo shock della madre era stato molto forte, forse il secondo più forte della sua vita dopo la morte di Rodolfo, e almeno per quella sera non si poteva pretendere molto da lei.
Quando la donna si era addormentata la ragazza aveva sistemato la cucina e poi aveva fatto per coricarsi.
Ma appena prima di raggiungere la sua camera era passata davanti a quella del fratello e aveva visto il disordine lasciato dalla perquisizione.
Bruno e Guido dormivano assieme, e Mirella non poteva permettere che il piccolo trovasse la stanza in quelle condizioni una volta tornato a casa.
Anche perché a quel punto avrebbe dovuto inventare altre bugie oltre tutte quelle che aveva promesso alla madre di dire al fratellino per nascondere l'arresto del ragazzo.
Si era così messa a risistemare un minimo le cose, per far finta che nulla fosse accaduto e rendere la camera ordinata.
Mentre sistemava aveva trovato una foto di famiglia a terra, sotto la scrivania del fratello più grande.
Era la foto del giorno dei suoi diciotto anni, appena dieci giorni prima che uccidessero suo padre.
A quella vista gli occhi le si erano riempiti di lacrime, e si era addormentata sul letto di Bruno con la fotografia tra le braccia.
La mattina dopo le imposte rimaste aperte della camera l'avevano svegliata molto presto, e il caffè che aveva bevuto assieme alla madre, la quale si trovava in condizioni lievemente migliori rispetto alla sera prima, le aveva fatto pensare che inutile era rimuginare sull'accaduto, bisognava andare avanti e attendere di poter parlare con Bruno e con chi lo aveva arrestato.
La scuola era ormai agli sgoccioli e lei aveva davanti a sé un esame da affrontare per chiudere definitivamente il capitolo liceo.
Non sarebbe stato semplice da quel giorno andare a scuola sapendo che il fratello era in carcere, né sarebbe stato semplice non poterne parlare con nessuno, perché seppur Maria non le aveva detto nulla a riguardo lei non era intenzionata a raccontare dell'accaduto neanche agli amici più cari, ma ce l'avrebbe fatta.
L'anno precedente aveva affrontato gli esami con le immagini terribili della sparatoria ancora fresche nella mente, quell'anno sarebbe riuscita a fare lo stesso pur tenendo nel cuore quel pesante segreto.
Alla fine era rimasta a casa, per quella mattina, ed era stata grata al Cielo del fatto che fosse sabato, così che avrebbe avuto anche il giorno successivo per riprendersi e stare con la madre.
Guido era tornato a casa nel pomeriggio e subito aveva domandato dove fosse il fratello maggiore, credendo senza problemi a ciò che gli era stato raccontato, ovvero che il ragazzo era via per motivi di lavoro.
La domenica mattina era arrivata una telefonata dalla questura che chiedeva alla madre di presentarsi lì la mattina seguente.
Maria aveva a lungo domandato alla figlia di accompagnarla, come se per un attimo i ruoli tra le due si fossero scambiati, ma alla fine aveva accettato di andare da sola.
Non le avevano fatto vedere il figlio, le avevano solamente detto che era imputato per la detenzione della cocaina e che sarebbe stato processato subito quella settimana.
Tornata a casa Maria aveva parlato con la ragazza e lei aveva deciso che, se la loro presenza fosse stata consentita, sarebbe andata con lei all'udienza.
Il giovedì successivo, a nemmeno una settimana dall'arresto, Bruno era stato condannato a tre mesi, una specie di grazia dovuta alla quasi totale impurità della sostanza.
Durante il processo Bruno non aveva guardato neanche per un momento nella direzione delle due, ma poi, prima di lasciare la gabbia per tornare in carcere, aveva alzato gli occhi e incrociato lo sguardo triste e addolorato di Mirella.
Lei lo aveva fissato un attimo, poi aveva scosso la testa e a sua volta aveva abbassato gli occhi.
Avrebbe voluto far scendere calde lacrime lungo le sue gote, ma alla fine si era finta forte per sua madre.
Ancora una volta aveva poi pianto di notte, nel silenzio del suo letto.
Ed era andata avanti, fino all'esame.
Si era nascosta per bene il peso dell'incarcerazione del fratello dentro al cuore, aveva detto a sua madre di farsi forza, aveva convinto Guido che presto Bruno sarebbe tornato.
E aveva concluso il suo periodo da liceale su una spiaggia, con Rachele, Carlo e Simone.
Davanti ad un tramonto spettacolare, ad Ostia.
Dimenticandosi del fratello cocainomane, dei ricordi della morte di suo padre che le venivano in mente appena chiudeva gli occhi.
Aveva concluso il suo periodo da liceale come qualsiasi altra ragazza.
E lì, su quella spiaggia, dopo chissà quanto tempo si era sentita felice.

****

La vita del carcere era dura.
Bruno, quando con gli amici si divertiva in modi poco legali, non ci pensava neanche a cosa gli sarebbe potuto accadere.
Ma trovandosi lì capiva benissimo la grandezza dei suoi errori.
Forse morire sarebbe stato anche meglio, ma l'idea di ammazzarsi non lo sfiorava neanche.
Un conto sarebbe stato morire, per overdose, ammazzato o in un incidente, un altro era uccidersi, privarsi di propria spontanea volontà della vita. Da una parte c'era anche un sottofondo di orgoglio nell'essere liberi di scegliere se vivere o morire, ma dall'altra sapeva che non avrebbe avuto il coraggio di fare una cosa del genere.
No, forse era meglio attendere che quei tre mesi passassero e poi decidere cosa fare davvero della sua vita.
Intanto però quei tre mesi dovevano passare, e sembravano non averne nessuna voglia.
Aveva come compagno di cella un ragazzo della sua stessa età, un comunista finito in galera perché prima aveva frequentato il gruppo sbagliato.
Proprio come lui.
Non si parlavano molto, ma riuscivano a intendersi quelle poche volte che scambiavano due parole.
Un pomeriggio di luglio Bruno era stato chiamato a colloquio con l'avvocato o con la famiglia, non lo ricordava più, e il compagno di galera aveva sentito il secondino fare il suo cognome.
Quando il ragazzo era rientrato nella cella l'altro lo aveva bloccato.
- Fai di cognome Birgazio?-
- E anche fosse?
- E sei di Torino?
- Ma mi spieghi perché domandi? Qui non siamo noi a fare gli interrogatori .- Aveva sospirato Bruno buttandosi sulla brandina, sperando che il compagno di cella smettesse istantaneamente di fare domande.
Ma quello non ci pensava minimamente.
- L'altro anno a Torino è morto un commissario di polizia che aveva il tuo stesso cognome, mi chiedevo se foste parenti.-
A quel punto Bruno aveva girato il volto e lo aveva fissato stranito, con uno sguardo che voleva essere incazzato ma che non riusciva a essere più di stupito.
Sbuffò guardando in alto e poi decise che non c'era più niente da nascondere.
- Era mio padre. L'hanno ammazzato dei comunisti di merda come te. Sotto casa, sotto i miei occhi. Sotto gli occhi di mia sorella di appena diciotto anni e mio fratello di neanche otto. Neanche otto anni, capisci? E si è visto ammazzare il padre nella via di casa.
Ma ora dimmi a te di tutto questo che cazzo te ne frega!-
Lentamente la rabbia era montata, il ricordo della sparatoria e del resto, dopo quasi diciotto mesi, non faceva altro che provocargli quel sentimento, il dolore era ormai così continuo da non venir più fuori per eventi simili.
– Perché sono un comunista di merda, hai ragione tu. Ma proprio per questo so cose che non sai. So che chiunque abbia sparato sotto casa tua quel giorno non era un compagno, so che si sono finti rossi perché neanche loro avevano capito cosa fosse accaduto.
So che tuo padre non doveva morire.-



Note dell'autrice

Bella l'ultima frase? Eeeeh curiosi vero? :D
LoL.
No, tanto non anticipo nulla ^-^
Mi scuso solo perché questo e i prossimi capitoli saranno un po' rapidi, ma per esigenze narrative ho bisogno di far accadere parecchie cose in poco tempo :P
Vi ringrazio per le recensioni, le letture e i seguiti, è bello sapere che una storia particolare come questa possa piacere.
Spero di riuscire ad aggiornare in fretta anche prossimamente, ho stilato un primo piano per la stesura e parrebbero venir fuori ben cinquanta capitoli esatti (spero di farcela perché adoro le cifre tonde **)
Niente, io vi saluto, che magari mi viene anche voglia di fare fisica, e vi mando tanti tanti baci :**
Ci sentiamo alla prossima!

Ciao :3

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Capitolo 12
*** XII ***


XII
La libertà aveva accolto Bruno una mattina di fine agosto.
C'era il sole, faceva caldo, e forse in un'altra vita sarebbe stato al mare magari con amici o con la sua donna.
Ma gli era capitata quella vita e non poteva farci nulla.
Dal carcere a casa non aveva idea di quanto fosse, in chilometri e in minuti, ma non ne era interessato.
Aveva voglia di stare in giro per Roma, di godersi l'aria fresca e la libertà, per poi passare a trovare i suoi amici e vedere se era accaduto qualcosa durante la sua assenza.
In quei mesi non aveva visto nessuno, forse perché il rapporto che li legava non era così forte, o magari perché gli altri avevano paura di andare a trovarlo in carcere.
Fatto stava che, secondo lui, era il caso di cercarli.
Sapeva dove si trovassero il pomeriggio, e fino ad allora sarebbe stato per i fatti suoi.
Doveva pensare a quello che gli aveva detto il compagno di cella; era stato un trauma, ma era stato positivo.
Quella verità, che gli pareva quella reale davvero, non la finzione in cui viveva da quasi un anno e mezzo, aveva bisogno di essere resa pubblica.
A quel punto l'indagine sulla morte di suo padre poteva essere riaperta, si poteva fare giustizia.
Quel pensiero gli dava ottimismo; se pure Rodolfo non sarebbe mai tornato l'idea i fare luce e giustizia sull'omicidio lo faceva quasi stare bene.
Sarebbe stata l'unica piccola conquista per far sì che potessero mettersi l'anima in pace. Lui, la madre, Mirella e Guido...
Già, Guido. Alla fine il piccolo aveva scoperto cosa era accaduto al fratello maggiore, ma malgrado ciò l madre non lo aveva mai portato da Bruno.
Anche per quello il ragazzo sapeva che le idee su un'eventuale riapertura delle indagini sulla morte di suo padre erano castelli in aria.
Quando ci pensava, in carcere, provava inizialmente quei sentimenti di speranza che lo muovevano anche in quel momento, il desiderio di giustizia e la possibilità di lasciarsi tutto alle spalle.
Ma poi i suoi occhi guardavano la cella intorno a lui, le sbarre della porta, della finestre, e si domandava chi mai avrebbe creduto alle parole di un pregiudicato, di un drogato.
Senza contare che il tutto gli era stato raccontato da un altro carcerato pure comunista.
Lasciò perdere il pensare a quello, sperando di riuscir a trovare una soluzione a casa con la madre e la sorella.
Decise di dedicare la mattinata ad altro e si finse un turista.
Girò a vuoto nel centro di Roma; Fontana di Trevi, Piazza Venezia, vide tutto come se fosse la prima volta, come quei bambini che andavano in giro per la città in fila due a due, mano nella mano.
Si fermò a mangiare in un bar poco lontano dal Colosseo e poi andò a prendere la metropolitana per raggiungere i suoi amici, se così si potevano definire.
Si incontravano vicino alla Piramide, nell'appartamento di uno di loro.
Quando citofonò e disse il suo nome quello che gli aveva risposto rimase stupito ma lo fece entrare subito.
Sopra lì trovò tutti meno uno, un certo Loris.
Dalla sua assenza capì il motivo dell'arresto e tutto ciò che era successo, cosa che ancora, dopo due mesi, non gli era chiara.
- In sostanza hanno preso Loris che si faceva una pista vicino al gazometro. Lui non avrebbe mai parlato di suo, lo conosci, ma in tasca aveva un bigliettino con il tuo nome e il tuo indirizzo. Da lì sono arrivati a te e il resto lo conosci, penso...- Gli aveva spiegato Andrea, quello che era considerato un po' come il capo del gruppo.
Bruno aveva annuito e poi si era nuovamente guardato intorno. - E Loris adesso dov'è?-
- Non lo sappiamo. Speravamo foste in carcere assieme, ma se tu non sapevi nulla mi pare logico che la speranza fosse vana. Spero che in ogni caso stia bene, mi spiacerebbe se gli accadesse qualcosa. O se gli fosse già accaduto, è ovvio.-
- Per quanto riguarda voi, invece? Cosa avete fatto in questi mesi?-
- Il solito. Dopo una settimana dal tuo arresto abbiamo capito che non sarebbe accaduto nulla e abbiamo ripreso a fare quello che facevamo prima, ma in questi due mesi c'è stata una novità.-
- Cioè?- La voce di Bruno lasciava intendere bene quanto scettico il ragazzo fosse riguardo a ogni tipo di novità in quello che facevano.
Neanche in galera era riuscito a maturare seriamente la decisione di lasciare quel tipo di vita, e si era quasi convinto del fatto che non ne sarebbe usciti in nessun modo che non fosse la morte.
Anche perché, se avesse davvero deciso di allontanarsi da quel gruppo, non sarebbe tornato lì quel giorno.
- Stiamo cominciando a pensare che si potrebbe allargare la cosa, iniziare anche a spacciare. Nel piccolo, è ovvio, anche perché Roma è Roma, non puoi arrivare da un giorno all'altro e fare il signore, ma sarebbe un modo per aumentare il giro e guadagnarci qualcosa. Ah, e c'è una seconda novità. - Disse poi indicando con il braccio una ragazza seduta su una sedia, così silenziosa che Bruno neanche si era accorto della sua presenza. - Lei è Camilla, la mia donna. È dei nostri, ma per il momento non ha nessuna intenzione di iniziare con quella merda.- La giovane donna si alzò e si presentò al ragazzo, poi si sedette sulle gambe del compagno e lo baciò dolcemente.
Passarono insieme ancora una mezzora in cui Bruno raccontò del carcere e dell'orrore che aveva visto in quel luogo.
Non ne parlò per caso, voleva mettere in guardia il resto del gruppo su quello che rischiavano.
Naturalmente non accennò mai a quello che aveva scoperto su suo padre, anche perché quasi nessuno sapeva come lui avesse realmente perso il genitore.
Verso le cinque il ragazzo si avviò da solo verso casa, uno degli altri gli aveva fornito un biglietto per l'autobus e quello gliene era stato grato, non aveva nessuna intenzione di tornare a piedi.
Non si era preparato un discorso per il rientro, semplicemente avrebbe citofonato e atteso di essere in casa per parlare.
Poteva pensarci a due parole da dire, certo, ma non ne aveva avuto voglia.
Cosa poteva dire? Si poteva discolpare? No, certamente.
E allora che senso avrebbe avuto? Tanto meglio attendere di essere messo sotto processo dalla madre e dalla sorella per poi dire il poco che poteva.
Tra quel poco, ne era certo, ci sarebbe stata anche la promessa di smetterla.
Promessa che, aveva dimostrato a sé steso quel pomeriggio, non avrebbe mantenuto.
Ci pensò un attimo e si chiese se non sarebbe stato meglio non tornarci neanche, a casa.
Girare e ritornarne dal suo gruppo, rimanere lì.
Eppure voleva rivedere la sua famiglia; sua madre, sua sorella, suo fratello. Si fece coraggio e andò avanti.
Arrivato sotto il portone di casa provò una strana sensazione di gioia per il fatto che quella non fosse la porta della casa dove era nato e cresciuto.
A Roma non apparteneva, a quella casa non apparteneva.
E se non apparteneva a quella vita poteva anche tornarci dopo due mesi di galera, dopo esser stato scoperto come cocainomane.
Se fosse stato ancora a Torino no, non ce l'avrebbe fatta.

Ma, forse, se fosse stato a Torino tutto quello non sarebbe accaduto.
Citofonò e attese.
Rispose sua sorella.
- Chi è?-
- Sono Bruno, Mimì.-
Poi non sentì altro.
Cinque minuti dopo si aprì il portone.
Ma si aprì perché qualcuno voleva uscire, e davanti a sé trovò sua madre.
- Mamma...! - Rimase stupito vedendola, e un brivido freddo corse lungo la sua schiena.
- Va' via. Non sei mio figlio.- Urlò la donna senza neanche rispondergli.
Aveva negli occhi l'inferno, una rabbia terribile che nascondeva bene la tristezza di una madre.
- Mamma...-
- Vai via! Non tornare! Non cercarmi, non cercare i tuoi fratelli. Sta' lontano da noi, tieni per te i tuoi sbagli, lasciaci avere una vita normale. Vai via!-
All'ultimo urlo della donna Bruno non ebbe neanche il coraggio di rispondere, girò i tacchi soffocando un pianto sordo e se ne andò.
Maria aspettò che fosse lontano per scoppiare in lacrime e sedersi a terra.
Gettando lo sguardo sulla strada rivide come per un attimo il momento in cui suo marito era morto, il momento in cui tutto era finito.
Avrebbe voluto far tornare il figlio a casa, ma non aveva il coraggio di costringere gli altri due, Mirella e Guido, ad altre menzogne, a una vita ancora difficile.
Così si era costretta a essere dura con Bruno, a perderlo per sempre.
Intanto, a casa, la ragazza e il bambino sedevano sul letto del piccolo, che aveva provato a tapparsi le orecchie ma sentiva comunque.
- Mimì tu non te ne vai, vero? Qui se ne stanno andando tutti.- Aveva detto poi alla sorella abbracciandola.
- No, no che non me ne vado amore.-
- Ma prima o poi Bruno torna? Possiamo vederci ancora?- Le aveva poi chiesto speranzoso e con gli occhi lucidi.
La ragazza lo aveva stretto a sé.
- Non te lo posso promettere, Guido. Ma io penso di sì, che lo rivedremo, che tornerà.-
- Come nelle favole, Mimì?-
- Come nelle favole, tesoro. Come nelle favole.-

****
Il lungotevere di domenica sera, le ultime coppiette che abbandonavano la strada per un più confortevole nido d'amore, qualche padre che scherzava con un bimbo piccolo, qualche mamma preoccupata dai figli che si sporgevano troppo sugli argini ad ammirare il tramonto di fine estate.
E poi loro.
Castel Sant'Angelo si avvicinava sempre di più alla loro visuale mentre passeggiavano mano nella mano lungo il fiume come due innamorati.
Gli occhi di lei erano ancora rossi e umidi dopo il lungo pianto che si era fatta successivamente al racconto del ragazzo.
Ma non era tempo di piangere, non più, quasi diciotto mesi di lacrime erano bastati, a quel punto bisognava solo pensare ad agire a fronte della nuova realtà che, ancora una volta, gli si era piantata davanti.
Il loro, un incontro clandestino organizzato con la massima riservatezza e la terribile paura di essere scoperti da chi più doveva amarli, la madre, serviva a quello, a decidere come agire.
- E quindi è stata l'estrema destra.-
- Già.-
- Perché?... nostro... nostro padre... perché?-
- Un errore, te l'ho detto. Cercavano un'altra persona.-
- Trovo incredibile il modo con cui tu riesca a dirlo. È come se la cosa non ti riguardasse.-
- Devo essere obbiettivo, purtroppo. E anche tu.-
- Già.- Aveva risposto Mirella con lo stesso tono usato dal fratello poco prima.
- Adesso il problema è questo, qualcuno deve denunciare la cosa e io non posso farlo. Non crederebbero ad un drogato. Quindi tu dovresti parlare a mamma, sperando che a te creda, e poi fare ciò che consegue.-
La ragazza scosse la testa. - Anche se mamma mi credesse, ti credesse, il problema rimane un altro; ogni persona che viene a sapere di questo prima della polizia moltiplica il rischio di non essere creduta, le parole cambiano in fretta. No, temo che non potremo risolverla per vie legali, purtroppo.-
Bruno deglutì spaventato. - Cosa hai in mente, scusa?-
- Ancora non lo so, ma ti sto parlando sinceramente.-
- E mamma e Guido? Coinvolgerai anche loro?-
Mirella fece nuovamente segno di no col capo. - Non finché non avrò qualche certezza. È pesante vivere con l'idea che chi ha ucciso tuo padre, o tuo marito, è libero e non verrà mai cercato da nessuno. Forse per loro è meglio la rassicurante bugia che ci hanno detto più volte a Torino. Se non voglio usare la giustizia dello Stato per ottenere la verità non posso assolutamente coinvolgerli, Bruno. Non posso metterli nei guai. Ma ti prometto che penserò anche a loro.-
Il fratello maggiore l'abbracciò stringendosela forte al petto. - Vorrei dirti di non fare cazzate, ma non sono la persona giusta per farlo. Promettimi almeno che avrai cura di te.-
Mirella si staccò dal corpo del fratello tenendogli ancora le mani e lo fissò negli occhi. - Te lo prometto, Bruno.-
Poi, senza né un ciao né un addio i due ragazzi iniziarono a percorrere il lungotevere in direzioni opposte.
Finché al più grande non venne voglia di girarsi e urlarle le ultime parole che ancora si sentiva in dovere di dirle.
- Qualsiasi cosa tu abbia intenzione di fare ricordati che hai Guido, che ti devi occupare di lui.- Disse.
Ma non ottenne la risposta che sperava.
- No, Bruno, non affidarmi responsabilità che dovevano essere tue. Il momento è quello che è e anch'io ora devo sbagliare. Lui se la caverà.
Se non c'è posto in Paradiso per i drogati spero di peccare abbastanza da raggiungerti all'Inferno. Sei mio fratello, non potrò lasciarti solo.
E, soprattutto, adesso condividiamo un segreto così grande che nessuno potrà mai pretendere di lasciarci divisi per l'eternità.
Ciao, Bruno.-
La ragazza andò dritta per la sua strada, sapendo che non avrebbe più visto il fratello molto a lungo.
Lui si accese una sigaretta e rimase a fissare il fiume.
Avvertiva come un pugnale all'altezza del cuore, una ferita, le parole di Mirella, che non si sarebbe mai rimarginata.
O forse sì, lo avrebbe fatto il giorno in cui si sarebbero visti di nuovo.


Note dell'autrice.

E finalmente sappiamo la verità sulla morte di Rodolfo! E ora?
Beh, Mirella ha poche scelte, no?
Prossimamente vedremo anche quale farà :P
Intanto io vi saluto, ringrazio chi segue, legge e recensisce la storia, vi mando un grosso bacio e ci risentiamo presto!
;Sun.

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Capitolo 13
*** XIII ***


XIII

Il giorno in cui si erano seduti ad un tavolino di un bar di Trastevere per discutere dell'ipotesi di abbracciare la lotta armata era fine luglio dell'anno precedente.
Giorgio Tommasi, il più grande tra di loro, aveva appena ventun anni mentre i tre più piccoli, Carlotta, Erica e Davide, compagni di scuola, avevano finito a giugno il terzo anno delle superiori in un liceo scientifico della Garbatella.
Assieme a loro altre tre persone; Danilo, quasi vent'anni, Ludovico Arnesano, diciannove anni da compiere in autunno, un ragazzo cresciuto all'Eur in mezzo a fascisti di ogni età e scopertosi inaspettatamente comunista all'inizio delle superiori, e Saverio Grimaldi, anch'egli ventenne, studente di fisica all'università.
Per un motivo o per un alto tutti si conoscevano da parecchi anni e avevano buoni rapporti.
Quello di cui stavano parlando quel pomeriggio non era semplice, ma loro erano giovani, forse troppo, e il rischio di prendere alla leggera un argomento del genere era sempre dietro l'angolo.
Lo aveva capito bene Giorgio, che proprio per quello avrebbe preferito vedersi da solo con Danilo, Saverio e Ludovico, lasciando fuori i ragazzi più giovani. Fare discorsi di quel tipo con persone che ancora frequentavano il liceo poteva essere rischioso, e lo poteva essere per vari motivi; prima di tutto lui sapeva bene che, quando si facevano scelte così drastiche, era concreta la possibilità di dover sparire dalla circolazione, un giorno o l'altro, e poi perché, in ogni caso, quei ragazzi avrebbero continuato a recarsi tutti i giorni in un posto dove gli insegnavano che il terrorismo era un male e che andava combattuto, quando poi, il pomeriggio o la sera, si sarebbero trovati a fare il contrario di ciò che gli si diceva.
Ma alla fine aveva ceduto alle pressioni di Danilo e Saverio, facendo partecipare anche i tre a quella discussione estremamente determinante per il loro futuro.
A riguardo non si era mai espresso, invece, Ludovico.
Giorgio non sopportava facilmente quel ragazzo. Troppo chiuso in sé stesso, troppo ignavo rispetto al resto del gruppo.
Sapeva che se avesse potuto se ne sarebbe andato anche subito, probabilmente deciso a fondare una sua organizzazione, tanto per dimostrare che i comunisti non avevano assolutamente la tendenza alla scissione che che tutti gli attribuivano, m allo stesso tempo non era sicuro che il ragazzo comprendesse veramente la differenza tra il dire e il fare quando si trattava di lotta armata.
L'esatto contrario di Saverio, che aveva fatto di quella una dei punti fondamentali del uso modo di vedere la questione.
Ancora diverse erano le idee dei tre ragazzi più giovani, che malgrado la loro età non erano facinorosi e desiderosi di violenza come si poteva pensare ma, anzi, preferivano temporeggiare proprio come Danilo, che tra tutti era il più calmo.
- Insomma, siamo tutti d'accordo sulla scelta da compiere?- Era stato il modo rapido e crudo di Giorgio per chiudere al più presto una discussione che, in ogni caso, a suo modo pesava.
- Io credo di sì. Malgrado ci siano formazioni nuove ogni giorno, e sarebbe meglio non fosse così, non credo sia al momento il caso di cercare di appoggiarci ad altri. Iniziamo per i fatti nostri, con calma, senza azioni clamorose, e poi vediamo come si evolve la situazione. Andiamoci piano, ci stiamo mettendo in un casino non da poco.- Era stato il commento di Danilo, e stranamente erano stati tutti d'accordo con le sue dichiarazioni.
- Quello di cui abbiamo bisogno adesso è una base, e per il momento potremmo usare il mio appartamento a San Paolo, vicino all'Eur. Sta a via Gozzi, proprio sopra la stazione della metropolitana. Il resto di cui avremmo necessità verrà col tempo, e inutile dire a che mi riferisco.- Aveva continuato il ragazzo facendo ben capire che parlasse delle armi.
Viveva ancora a casa coi genitori, ma quell'appartamento gli era stato lasciato in eredità dal nonno ed essendo lui divenuto maggiorenne nessuno gli aveva detto nulla quando aveva deciso di tenerlo e di trasferirsi poi lì una volta finito il liceo.
- Voi tre siete sicuri di quello che state facendo, vero?- Aveva poi domandato un po' ironico Saverio a Davide e alle due ragazze, cercando a suo modo di scimmiottare la disapprovazione di Giorgio al loro ingresso nella neonata organizzazione.
I tre avevano annuito e l'altro, il più vecchio del gruppo, aveva fatto semplicemente finta di non sentire quella presa in giro.
A quel punto, forse per la prima volta da quando avevano organizzato quel pomeriggio al bar per fare il grande salto, aveva parlato Ludovico in merito ai membri del gruppo. - E voi ragazze? Siete davvero sicure di voler unirvi a noi anche a costo di rinunciare a tutte quelle cose che tra qualche anno desidererete? Marito, figli, famiglia... Siete sicure?-
La domanda di Ludovico era legittima e, strano ma vero, l'aveva posta senza il ghigno che gli era solito, senza offendere né provocare.
Le due avevano annuito senza dire nulla, con lo sguardo forte e fiero che faceva intendere benissimo come la pensassero.
- Beh, allora direi che ci siamo.- Aveva sospirato poi Giorgio.
Aveva alzato il bicchiere davanti a sé mentre un raggio di sole arancio tramonto provava ad accecarlo. - Proporrei un brindisi alla nostra, compagni. E che ci vada al meglio.-

****
Un anno dopo il pomeriggio al bar di Trastevere l'organizzazione aveva un nome che, dopo una discussione molto accesa, era Giustizia Proletaria. L'ideatore era stato Saverio, convinto che fosse giunto il momento, dopo anni di gruppi armati più o meno conosciuti che proprio a quella facevano riferimento nel compiere le loro azioni, di dimostrare che qualcuno aveva deciso di farne non solo un fine ma anche un mezzo.
Inoltre si era deciso, ed era stata una decisione condivisa da tutti, di darsi dei “nomi di battaglia” un po' come i partigiani durante la resistenza.
Danilo, che portava proprio il nome di battaglia del nonno ai tempi della lotta al fascismo, aveva scelto di chiamarsi Manlio, prendendo cioè il nome vero del vecchio.
Giorgio, invece, senza grandi motivazioni era divenuto Federico, Saverio si faceva ora chiamare Graziano, Ludovico era conosciuto come Giulio e Davide si domandava se per il suo nuovo nome, Samuele, fosse meglio Lele o Samu come diminutivo.
Le due ragazze avevano scelto nomi leggermente più particolari, con Carlotta che aveva deciso di chiamarsi Marzi ed Erica che un giorno, passando davanti ad un negozio di fiori, aveva visto alcuni Iris e aveva preso come suo il nome di quelli.
Oltre ciò però l'anno era servito ad organizzarsi e a farsi un nome negli ambienti vicini alle loro ambizioni.
Non solo; il fatto che i membri del gruppo non fossero minimamente cambiati era stato, a suo modo, tanto positivo quanto negativo, perché durante quel tempo i rapporti tra di loro erano stati estremizzati, portando alla nascita di grandi amicizie come di grandi dissidi. E per quanto ci provassero a stare uniti, era logico non potessero permettersi scissioni, gli scontri erano spesso inevitabili.
Anche quella sera, un giorno di inizio settembre, quasi quattordici mesi dopo la fondazione dell'organizzazione, quando per la prima volta stavano discutendo di un'azione.
Alla ricerca delle armi avevano dedicato tutta l'estate, e per quanto misero fosse il loro arsenale, alcune pistole e qualche mitraglietta, niente di troppo grosso, erano pronti ad agire.
Il piano lo stavano discutendo con Venditti di sottofondo e bevendo Coca-cola, dimostrando a sé stessi un'incoerenza di fondo.
- L'obiettivo è il direttore di una filiale di una banca all'Eur, lo becchiamo al ritorno a casa e lo feriamo alle gambe. Liscio come l'olio. Ce ne occupiamo io e Danilo in moto.- Aveva spiegato Giorgio/Federico agli altri.
Tutti avevano annuito, tranne Erica/Iris, che nel corso di quell'anno aveva mostrato bene a tutti di che pasta fosse fatta.
- Il ferimento alle gambe è nella nostra logica, nella logica dei movimenti rivoluzionari, ma voi due avete mai sparato?- I due avevano scosso la testa.
- Ecco, appunto. Se mirate male e lo beccate sopra il ginocchio, all'altezza della coscia, rischiate di fare un casino, magari di ammazzarlo. No, non possiamo correre questo rischio.-
Federico aveva guardato di storto la giovane compagna, ma poi aveva compreso la sua obiezione. - E scusa te che proponi?-
- Ferirlo alle braccia. I rischi sono minori sia per lui che per noi, e poi possiamo rivendicare il fatto in modo simbolico. Lavora in banca? Maneggia i soldi simboli del capitalismo? Bene, noi gli impediamo di farlo ancora.-
I compagni l'avevano guardata come si guarda un pazzo.
Ludovico/Giulio era stato il primo a dubitare del piano. - Sarà anche riduttivo in fatto di rischi, ma perché allontanarci da quello che fanno tutti? Perché cambiare proprio ora che non siamo nulla?-
Il ragazzo era noto per l'amore che metteva nel provocare tutti, nessuno escluso, e in quel momento, tanto per cambiare, lo stava facendo.
- Proprio per questo, compagno Giulio.- Aveva detto la ragazza rispondendo alla provocazione con un tono di sfida. - Non siamo nessuno? Non ci conoscono? Bene, entriamo nella partita a modo nostro e vediamo l'effetto che fa. Al massimo avremo evitato un casino. Andare troppo in fretta è rischioso, siamo quattro gatti disorganizzati e ignoranti in materia. La rivoluzione non può aspettare, sarà pure vero, ma ci terrei a provare a farla per un po' prima di finire in galera. - Aveva spiegato la ragazza.
A quel punto anche Giulio era stato zitto e tutti avevano accettato la proposta di Iris, sapendo che in ogni caso avrebbero avuto tutto il tempo per agire diversamente in futuro.
Si erano poi conclusi gli ultimi dettagli tecnici, e anche questa volta era stata la ragazza a spiegare che sarebbe stato meglio che i due impegnati nell'azione si preparassero prima, almeno in mente, una bozza di rivendicazione telefonica da fare dopo l'attentato. E, soprattutto, che si recassero dall'altra parte di Roma per telefonare, giusto per confondere un minimo le acque.
A fine serata si erano divisi dopo un brindisi alla loro prima operazione.
Il tutto era stato preparato per due mattine dopo.

****
Mentre a Via Gozzi preparavano l'attentato contro il direttore di filiale dell'Eur in una pizzeria della Garbatella, a poche centinaia di metri in linea d'aria da dove si trovavano Danilo e i suoi, Mirella era a cena con un gruppo di vecchi amici e nuovi compagni di corso.
Alla fine si era iscritta ad economia, lasciando davvero tutti stupiti, e non conoscendo nessuno in quella facoltà aveva, dopo un paio di giorni di preghiere, accettato l'invito di Rachele e dei due ragazzi ad accompagnarli a quella cena.
Non ne aveva particolarmente voglia, era ancora molto scossa dall'arresto di Bruno e da quello che era successo quando il fratello era uscito di galera e ovviamente non poteva dire nulla a nessuno, ma per fare un piacere all'amica, la sua sostanzialmente unica amica romana, era uscita con loro.
E non se ne era pentita affatto quando, dopo un'iniziale timidezza, aveva cominciato a chiacchierare con il ragazzo davanti a lei, un tale Maurizio, studente di giurisprudenza al secondo anno.
- E quindi vieni da Torino? Interessante! In effetti si sentiva dall'accento che non eri nata a Roma.-
- Già, sono arrivata qui lo scorso anno, sul finire di agosto.-
- Ah! E scusa la domanda, ma hai frequentato qui solo l'ultimo anno di liceo? Davvero?-
Mirella arrossì lievemente, a quella domanda, perché anche a lei, lei che quel fatto l'aveva vissuto in prima persona, faceva strano l'aver cambiato scuola, città e vita proprio alla fine delle superiori, durante l'anno più temuto da tutti gli studenti.
- Beh, sì. Ammetto che non sia stato facile, ma se alla fine sono qui vuol dire che ce l'ho fatta nonostante tutto, no?- Aveva sorriso rispondendogli.
- Caspita! Io sarei morto davanti una cosa del genere. E se posso come mai questo cambio di città improvviso?-
La ragazza arrossì di nuovo, questa volta più a causa del dolore che della timidezza. - Scusami, ma preferirei non parlarne. È una storia molto triste.- Aveva detto abbassando un attimo gli occhi.
- No, anzi, scusami tu, non avrei dovuto domandartelo.- Era stata la fin troppo banale risposta di Maurizio.
Ma lei non ci aveva dato peso e aveva sorriso, cercando di cambiare argomento e parlare di qualcosa di allegro.
Erano stati insieme tutta la serata, tanto che a tratti si erano anche dimenticati di essere lì con altre persone, concentrati solo sul loro chiacchierare.
Erano quelle classiche persone che si trovavano, punto.
In qualsiasi altra situazione, anche drammatica, sarebbero andati subito d'accordo perché così era stata impostata per loro la vita.
Tanto era vero questo che, a fine serata, fu Maurizio ad offrirsi di riaccompagnare Mirella a casa in automobile, dicendo che era di strada.
Se lo fosse o meno la ragazza non lo seppe, almeno non quella sera, ma fu ben certa che il giovane non avesse fretta, dato che rimasero a lungo sotto casa a parlare.
Si fece quasi mezzanotte prima che Mirella azzardasse a dire al nuovo amico che, forse, era per lei arrivato il momento di salire.
- Sono stata davvero bene con te, sai? E pensare che neanche volevo venire a questa cena! Solo che si è fatto realmente tardi per me. Non voglio mostrarmi scortese, davvero.-
Il ragazzo le sorrise dolcemente. - Ma che scortese, figurati! Anzi, colpa mia che ti ho fatto tardare. Però è stato un piacere conoscerti, davvero. Potremmo vederci, ogni tanto, no?-
- Ma certo! Tanto... voglio dire, ora che sono all'università sarà facile.-
- Allora ci vediamo? Guarda che ci conto!-
- Sicuramente! Il prima possibile!-
- Beh, quindi buonanotte, Mirella.- Fece lui facendole il baciamano.
- Buonanotte, Maurizio.- Rispose la giovane arrossendo ancora una volta ma adesso senza paura, nascosta per bene dal buio della notte romana.
Poi aspettò che il giovane salisse in macchina e partisse prima di rientrare in casa.
Fece piano, sapendo che tutti già dormivano, ma entrata in camera sua accese la luce e si sedette con le spalle attaccate alla porta ripensando, felice, alla serata.
Ah, Maurizio...
Sorrise ancora una volta quando, prima di coricarsi, si ricordò da quanto tempo era che non riusciva a stare così bene.


Note dell'autrice.
Arrivati a questo punto della storia credo sia giusto fare alcune precisazioni.
Questo racconto, che è puramente inventato, non vuole in alcun modo offendere chi durante il periodo più buio della Storia Repubblicana è rimasto vittima, in prima o in terza persona, del terrorismo.
La storia, come sapete dalla trama, porta una ragazza figlia di un uomo ucciso dalla pazzia di qualcuno a divenire una terrorista a sua volta, e ci tengo a precisare che questa è stata una mia pura invenzione e che, ripeto, non vuole essere offensiva nei confronti di nessuno, né tanto meno vuole fare apologia al terrorismo in modo alcuno.
Tutto ciò che narro da parte dell'organizzazione terroristica di cui si legge in questo capitolo è completamente inventato dalla sottoscritta e tenuto, per quante sono le mie conoscenze a riguardo, il più lontano possibile dalle vicende reali più o meno conosciute.
Come si è notato negli ultimi capitoli la vicenda sta abbandonando l'aspetto pubblico e vira sempre più sul privato con la scoperta dell' “errore” riguardo la morte di Rodolfo (E per vari motivi che si scopriranno più avanti la storia sarà sempre più “privata”).
Sono molto rispettosa di chi, come detto prima, ha subito di questi drammi e ha avuto la forza di andare avanti.
Se qualcuno è interessato all'argomento, e vi avviso che dovete avere parecchia forza interiore, consiglio un libro bellissimo di Giovanni Bianconi “Figli della notte”, scritto proprio per i ragazzi, ma vi ripeto che c'è bisogno di forza per l'affrontare questa lettura.
Per il resto niente, spero il mio pensiero sia stato chiaro.
Ci tenevo a fare questo piccolo disclaimer per me quanto per voi, e spero sia riuscito nel suo intento.

Vi mando un forte bacio.
;Sun

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Capitolo 14
*** XIV ***


XIV

La legittimazione a continuare sulla strada della lotta armata era arrivata, inconsapevole, da una penna poco nota de “Il messaggero” che al terzo articolo sull'attentato al bancario dell'Eur aveva omesso la parola “sedicente” dalle possibili aggettivazioni vicine al soggetto “organizzazione terroristica”.
Danilo aveva letto l'articolo seduto al tavolino di un bar vicino l'appartamento di via Gozzi e si era complimentato con sé stesso per il lavoro svolto.
Liscio, pulito, la strada vuota alle sette di mattina, l'uomo da solo ad aprire la banca, a tirare su la serranda come un qualsiasi commerciante.
Un po', all'inizio, gli aveva fatto anche pena quel tizio; lo avevano scelto come simbolo del capitalismo e della contrarietà dello stato borghese alla rivoluzione proletaria, ma in quel momento non sembrava altro che un povero Cristiano come tanti.
Era stato solo un attimo, però, il tempo di farsi passare da Giorgio il casco e salire sulla motocicletta.
Il compagno avrebbe sparato, lo avevano deciso la sera prima lasciando scegliere alla sorte.
L'abilità come tiratore dei due ragazzi era sostanzialmente para, e per questo, alla fine, se la erano giocati con una partita a carte.
Dal momento in cui erano saliti sul veicolo e aveva messo in moto le cose erano accadute in una successione rapida e difficile da definire o ricordare con precisione.
Il caldo ancora opprimente malgrado l'estate stesse finendo e fosse mattina abbastanza presto, il silenzio della via interrotto improvvisamente dal rombo del motore, gli spari, l'urlo dell'uomo a terra.
E poi via, la Colombo, via dell'Amba Aradam, Piazza San Giovanni, giù fino a superare via Sannio e immettersi in via Magna Grecia.
Si fermarono un attimo ad una cabina telefonica per rivendicare il ferimento: “Qui Giustizia Proletaria, abbiamo ferito alle braccia Edoardo Mattioli affinché smettesse tramite quelle di maneggiare il denaro dello stato borghese per danneggiare la classe proletaria.
Contro l'imperialismo, per la rivoluzione”.
Prima che dall'altro lato del filo, nella sede del quotidiano Romano, qualcuno potesse rispondere qualsiasi cosa la telefonata era terminata e i due attentatori già sulla moto.
E giù ancora verso via Gallia, via Druso e la Colombo, di nuovo.
Salirono su a Piazza dei Navigatori imboccando via di Tor Manciana e andando a girare subito dopo su un rettilineo che finiva in via Ambrosini.
Di lì terminarono girando su via Accademia degli Agiati, attraversarono un'ultima volta la grande via dedicata allo scopritore dell'America e si immisero nelle strade di San Paolo, quelle che portavano nomi di imperatori Romani e commediografi.

Lenti tornarono all'appartamento di via Gozzi.
Il tempo di farsi una doccia, cambiarsi e poi si erano trovati al bar con gli altri.
Lo stesso bar dove, qualche giorno dove, Danilo aveva letto l'articolo che, a modo suo, lo aveva reso tanto orgoglioso.
Era metà mattinata e stava aspettando Saverio che gli aveva detto di avere qualcuno da presentargli.
Si sarebbero visti a quello stesso bar per un aperitivo, e su questo il ragazzo già stava li anticipando, ma poi i discorsi seri li avrebbero fatti a casa durante il pranzo.
In quel momento lui era l'unico cliente del bar, e forse per quello Dario, il gestore, si era seduto al tavolino per scambiare due parole con lui.
Era stanco, Dario, stanco e scocciato da quella assurda vita che gli portava intorno parecchie persone tutti i giorni ma non gli dava reali relazioni umane. E così, quando trovava un cliente solo, ne approfittava per parlargli.
Caso volle che, quella mattina solo con Danilo, il discorso cadde sul ferimento del bancario dell'Eur.
Inutile cercare di capire se il motivo era la pagina del giornale sul tavolo, aperto alla cronaca di Roma, o il semplice fatto che quell'argomento era il fatto caldo degli ultimi giorni, alla fine Dario aveva iniziato a parlarne e Danilo, cosa quasi incredibile, si era mostrato del tutto calmo nel discuterne, tanto che nessuno avrebbe mai potuto immaginare che lui conoscesse l'accaduto molto meglio di tanti altri.
- Ogni giorno pare venì fori una nuova banda, non se ne può più, peggio di quando c'era il fascismo. Questi l'hanno solo ferito, altre ce rimangono secchi. Sta gente non ha scrupoli, non ha cuore. Si credono giustificati dall'ideologia, dalla rivoluzione. Macché rivoluzione, questi sono assassini e basta!
Ora vedrai, vedrai come questo ennesimo gruppo armato sparirà nel nulla.
Dal nulla nascono e nel nulla tornano, ma non prima de ave' distrutto qualche vita.-
Danilo ascoltava tacendo le osservazioni del barista.
Rispose solo dopo, raccontandogli dell'articolo e dell'aggettivo omesso.
- Se smetti di accusare un gruppo del genere di essere autoreferenziale gli fai solo un favore.
Il cronista, paradossalmente, ha quasi legittimato le azioni di queste persone, o comunque potrebbero vederla in questo modo. Non so, magari mi sbaglio, ma penso che questi non spariranno tanto in fretta.
Anche il modo in cui hanno agito, ben diverso da quello solito, è un fatto che fa pensare.
Ma credo che, alla fine, sarà solo il tempo a dirci come andrà.-
Il ragazzo finì il discorso e bevve un sorso del suo aperitivo.
Dario fece per continuare il discorso ma fu interrotto dall'arrivo di tre persone; Saverio, un ragazzo e una ragazza.
Riconosciuto il primo capì che erano lì per Danilo e si alzò lasciando loro il posto.
I nuovi arrivati si sedettero e ordinarono.
Poi, andato via il barista, iniziarono le presentazioni. - Danilo, questi sono Alessandro e Filomena. Frequentano la sezione del Pci del mio quartiere, ma il partito inizia a stargli stretto, a diventare troppo borghese. -
Il ragazzo si presentò a sua volta e cominciò a tastare il terreno con i due riguardo alle convinzioni politiche e al modo in cui erano disposti a vivere la loro ideologia fuori dagli schemi rigidi e legali del partito.
Non parlò di lotta armata e terrorismo in modo esplicito, e non solo perché farlo in pubblico poteva essere pericoloso. Voleva che il discorso con quelli venisse fuori partendo da loro in modo totalmente naturale, affinché essi comprendessero cosa quella scelta comportasse e decidessero da soli, consapevoli delle responsabilità che prima o poi si sarebbero dovuti prendere e dei rischi a cui andavano in contro.
Quando ebbe appurato per bene la convinzione di Alessandro e Filomena chiese il conto e fece segno al gruppo di seguirlo per i pochi metri che li separavano dall'appartamento.
Salirono in casa, dove erano attesi dal resto dei compagni.
Saverio, mentre gli altri si presentavano e si mettevano a pranzo, fermò Danilo nel corridoio. - Ti ho visto mentre arrivavo, stavi parlando con il barista. Che vi dicevate?-
- Niente, parlavamo di quel gruppo di pazzi che hanno ferito il bancario all'Eur. Lui è convinto che di quelli non sentirà più parlare nessuno.-
- E tu che ne pensi, Manlio?- Gli chiese chiamandolo di proposito con l'altro nome.
- Io? Io credo che solo il tempo ci darà risposte, ma non penso che questi spariranno tanto rapidamente. - Rise sarcastico.
L'altro rise nello stesso, identico, modo.


****

Passeggiavano lungo le vie del centro di Roma fianco a fianco, troppo timidi per darsi la mano.
Mirella e Maurizio erano andati a cena fuori e si erano poi presi la serata, bella e non fredda, per stare assieme.
Dopo il primo incontro avevano cominciato a frequentarsi spesso, all'università e non.
La ragazza aveva anche trovato il coraggio di parlargli di suo padre e del motivo per cui vivevano a Roma, anche se, naturalmente, aveva raccontato la versione dei fatti ufficiale, non quella che conoscevano solo lei e Bruno.
Maurizio aveva capito perché, la prima sera, non aveva voluto dirgli nulla, un peso come quello che si portava dietro Mirella da un anno e mezzo non era un fatto semplice. Ma non poteva neanche immaginare cos'altro lei nascondesse, e forse, per lui che già in quel momento la vedeva così fragile, era meglio così.
- E dopo l'università diventerai avvocato?- Domandò lei mentre camminavano in un vicoletto vuoto e illuminato solo da un paio di lampioni.
- Veramente spero di entrare in magistratura, mi piacerebbe fare il Pubblico Ministero, ma si vedrà. E tu? Hai già idee?-
La ragazza sorrise. - Devo ancora capire perché mi sono iscritta ad economia, a dire il vero. -
- Sei seria? Fai economia demotivata? -
- Più che demotivata sono immotivata. Ero indecisa tra economia e scienze politiche, e alla fine ho preferito questa. Non lo so, magari avrei fatto meglio a prendere l'altra strada, ma credo che alla fine un qualcosa da fare dopo l'università lo troverò comunque.-
Maurizio fece senno di sì con la testa.
Tempo prima lei gli aveva detto che, fin dall'inizio della quinta liceo, aveva deciso che non avrebbe fatto nessuna facoltà collegata al suo indirizzo di studi, spiegando che si domandava spesso se non avesse sbagliato scelta delle superiori.
In quel momento gli stava dicendo che forse aveva sbagliato anche scelta dell'università, e lui non capiva come fosse possibile.
La guardava e si chiedeva come una ragazza come lei, intelligente e sveglia, potesse davvero aver fatto grossi errori nel decidere del suo futuro scolastico.
Forse, pensava, aveva rimesso in discussione tutta la sua vita nel momento in cui il padre era morto, e probabilmente in quel momento era diventata anche insicura di sé, timida, senza certezze.
Non glielo aveva mai domandato e non voleva farlo. Anzi, a dire il vero non aveva mai accennato a suo padre, da quando aveva scoperto cosa fosse accaduto, e spesso, la sera, quando tornava a casa e si metteva nel letto, sentendo ancora nelle altre stanze i genitori parlare o scherzare, pensava a come sarebbe stata la sua vita se qualcuno avesse sparato a suo papà.
Non a come sarebbe stata se fosse morto, proprio a come sarebbe andata se gli avessero sparato, quasi a voler fare una netta differenza tra tutti i modi in cui una persona può morire, e a ben vedere erano davvero molti, e l'idea che qualcuno potesse scegliere di togliere la vita ad un uomo.
Ogni volta finiva per aver voglia di piangere e capiva, capiva i saltuari silenzi dell'amica o le volte in cui non voleva uscire di casa, quando si rintanava triste nella sua stanza.
Un'altra cosa di cui Mirella gli aveva col tempo parlato, ma senza raccontargli come stessero realmente le cose, era la storia di suo fratello maggiore.
La ragazza aveva parlato a Maurizio di Bruno e del rapporto che li aveva legati per anni, dicendo poi che, alcuni mesi prima, il giovane aveva avuto un'accesa discussione con sua madre e se ne era andato di casa, tagliando i ponti anche con lei e il piccolo Guido.
Una mezza verità, insomma, privata di tutto il dramma personale e familiare riguardante la droga.
A casa di Mirella, una volta o due, il ragazzo c'era anche stato.
Aveva conosciuto la madre e il fratellino, col quale si era trovato subito bene, ma soprattutto aveva guardato i loro occhi e la loro forza, e aveva sorriso nel vedere come fossero stati in grado di andare avanti.
Una sera, prima di dormire, Guido aveva preso da parte la sorella e le aveva parlato.

- Lo sai? Quando parli con Maurizio ti diventano più belli gli occhi, ti si illuminano. È una luce diversa, non è come quella che hai con i tuo amici. È più simile a quella che avevi con Mario.-
La ragazza aveva sorriso e poi passato una mano tra i capelli del fratellino scompigliandoglieli. - E quindi cosa vorresti dire?-
- Che tu eri innamorata di Mario, anche se dicevi di no, e ora sei innamorata di Maurizio. Però io te lo prometto anche questa volta, alla mamma non dico nulla. -
Mirella si era stretta il fratello al petto e lo aveva baciato sulla testa.
- Ma tu come fai a sapere tutto, eh?-
Guido aveva alzato le spalle. - Forse è che sono solo un bambino.- Le aveva detto.
A quel discorso la giovane ripensava tutte le volte che si trovava con Maurizio, proprio come lui ripensava alla storia della giovane.
Anche quella sera, mentre camminavano e parlavano di tutt'altro; la mente di lui era rivolta alle vicende personali di lei, mentre il pensiero della giovane era fissa a domandarsi se quello che provasse fosse amore, proprio come suo fratello pareva aver intuito.
Mentre giravano a vuoto, persi nelle chiacchiere e nelle vie di Roma, Maurizio riconobbe la strada per la Fontana di Trevi.
- L'hai mai vista la Fontana di sera? È uno spettacolo.- La ragazza fece segno di no con la testa, e per la prima volta allungò la mano verso di lui, come per voler essere guidata.
L'altro non perse tempo e gliela tenette stretta fino a poco prima di arrivare, quando passò dietro di lei per tenerle chiusi gli occhi.
- Ecco, Mirella, ora aprili.-
Lo spettacolo che si presentò davanti alla giovane fu meraviglioso, da toglierle il fiato.
La Fontana, in tutto il suo splendore, era lì davanti a loro immersa nella notte, e, stranamente, non vi era praticamente nessuno intorno.
Quello dell'acqua era l'unico rumore che si sentiva, per quanto non molto distante da lì si tornasse nella Roma caotica di sempre, e la ragazza, malgrado volesse dire qualcosa, rimase zitta per non interrompere quell'incantesimo.
Solo dopo parecchi secondi, forse minuti, si girò e guardò Maurizio con gli occhi felici come quelli di una bambina il giorno di Natale.
Poi, forse perché quello in cui era immersa era realmente un incantesimo, prese coraggio e baciò il ragazzo.
Dolce e delicato, quel bacio fu ricambiato senza esitazione.

****


Per uno che voleva fare la rivoluzione, aveva già sparato ad un uomo e cercava di capire come e quando farlo di nuovo, finire il galera per uno spinello non era il massimo.
Danilo se ne stava appoggiato a un muro del cortile del carcere, fissando il cielo grigio di novembre ed evitando di parlare con chiunque, quasi fingendo di essere invisibile.
Non che ne avesse bisogno, lì dentro c'erano precise gerarchie e lui, forse il più basso nella scala sociale, era praticamente inesistente e tale doveva restare.
La cosa migliore che gli era successa in quelle tre settimane di galera, non molte ma abbastanza, era che nessuno aveva scoperto niente riguardo al suo orientamento politico e al resto.
Era lì come drogato ed era bene rimanesse tale.
Si domandava spesso quanto, lì fuori, i suoi compagni ridessero per quel suo arresto totalmente inutile.
Tutti tranne Saverio e Ludovico, probabilmente, il primo incazzato per il fermo al lavoro che quel fatto portava (non avevano intenzione di far nulla finché Danilo non fosse tornato libero) e il secondo dubbioso sulla serietà di quel gruppo.
- Bazzi te vole il direttore.- Un secondino lo chiamò e gli fece segno di andare con lui.
Danilo non oppose resistenza e seguì la guardia carceraria in modo totalmente apatico, senza neanche parlare.

Nello studio del direttore fu fatto sede e gli fu buttata ai piedi la borsa con gli effetti personali con cui era stato arrestato più un paio di cose che teneva in cella.
- E questo che vuol dire?- Domandò non capendo.
- Vuol dire che sei libero, aria, sparisci. Una ragazzina è arrivata e ha pagato la cauzione. Ora vai.-
Senza capire, Danilo si ritrovò fuori dalle mura del carcere, accompagnato da due secondini che stettero ben attenti a richiudere le porte dietro di lui facendo parecchio rumore.
Davanti alla struttura carceraria, in piedi, con una lunga gonna, una giacca di pelle e una borsa di Tolfa a tracolla se ne stava Mirella, la figlia dell'uomo ucciso dai terroristi, quella che gli aveva mollato uno schiaffo meno di un anno prima.

- Sì, stronzo. Se te lo chiedi la cauzione te l'ho pagata io.
E ora muoviti, ti devo parlare.- Disse fissandolo negli occhi.



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Ammetto di non essere informata sul fatto della cauzione, quindi non prendete la scena per troppo realistica.
Prometto che non farò passare un altro mese prima del prossimo aggiornamento, anche perché se vado avanti così ho calcolato che ci metterò tre anni a postare l'intera storia.
Per il resto vi mando un bacio e alla prossima ^-^

;Sunny

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Capitolo 15
*** XV ***


XV

- Cos'è? Uno scherzo? Una puttanata ministeriale o qualcosa di simile? Ma davvero pensano che ci caschi? Davvero credono che una ragazza come te mi possa venire a cercare senza che io mi insospettisca?-
Mirella afferrò il polso del ragazzo e lui tacque, quasi spaventato da quel gesto.
Un po' quella giovane gli metteva davvero paura.
Dopo quello che era successo a scuola si era convinto che fosse molto diversa da come appariva, tranquilla e triste, ma allo stesso tempo non riusciva ad odiarla, a desiderare di farle del male o semplicemente ad essere indifferente alla sua esistenza.
Era strano, assurdo, come assurdo era vedersela lì davanti e scoprire che aveva pagato per farlo tornare in libertà.
- Stai sbagliando. Completamente.
Camminiamo, però, non ho voglia di rimanere qui ferma.-
La seguì senza fiatare, intenzionato a credere che fosse davvero lì solo per motivi suoi.
- Non è la prima volta che vengo qua, mio fratello si è fatto arrestare per droga ben prima di te.-
Danilo non comprese il senso profondo della frase, e lanciando un'occhiata alla ragazza per farle intendere ciò si fermò a sedersi su una panchina.
- Alzati.-
- No. Senza una spiegazione logica a tutto questo io da qui non mi muovo.-
- Alzati, non fare il bambino.-
- Come prego? Tu vieni qua, mi tiri fuori di prigione, mi dici che tuo fratello è stato arrestato per droga, e sto ovviamente tralasciando la cinquina che mi hai mollato in faccia lo scorso anno, e poi sono io che faccio il bambino se ti chiedo delle spiegazioni?-
Mirella sbuffò e si sedette accanto a lui.
- A scuola girava la voce che una volta diplomato tu volessi diventare un terrorista o qualcosa di simile. È vero? Stai già agendo in questa direzione?-
- E anche se fosse? Perché proprio tu dovresti interessarti di questo? Mi hanno arrestato per uno spinello e tu mi hai fatto uscire per consegnarmi alla giustizia come terrorista?
È il tuo tentativo per metterti in pace con l'omicidio di tuo padre? Mandare in galera qualcuno anche non colpevole pur di dare un senso a quello che è successo?-
La ragazza distolse lo sguardo dal giovane e girò la testa dall'altra parte per non far vedere che gli occhi le si stavano arrossendo.
- Io devo fare la tua identica scelta, Danilo Bazzi. E tu sei l'unico che mi può aiutare.-
- Certo, è perfettamente normale che la figlia di un uomo ucciso da dei terroristi vada da un presunto terrorista a dirgli che vuole diventare una terrorista. Del tutto logico.- Rise sarcastico e poi la fissò negli occhi cercando di capire la reazione che quelle parole avevano suscitato in lei, ma non ebbe nessun tipo di risposta.
- Se ti alzi e mi ascolti mentre camminiamo ti do una sigaretta.- Propose Mirella per cambiare argomento.
Il ragazzo accettò e ripresero ad avanzare verso chissà dove, fumando entrambi.
- Non sapevo fumassi. -
- Guarda che tendenzialmente tu di me non sai nulla, Bazzi.-
- So di tuo padre, so che hai un bel caratterino, so che tuo fratello si drogava e immagino che tu stia per dirmi qualcosa che, forse, non sa nessun altro. Direi che è abbastanza, no?-

Sembrava un gioco, giocavano a chi riusciva a spiazzare di più l'altro.
E la partita si combatteva su tutti i fronti; gesti, parole, azioni. Anche i silenzi erano determinanti.
Se qualcuno avesse tenuto il punteggio di quella partita sarebbe stata chiara la parità tra i giocatori.
Perché non dovevano essere lì, nessuno dei due.
Erano lì per un errore del destino, probabilmente, un'assurda congiunzione astrale, un qualcosa di incontrollabile, incomprensibile.
Ma erano lì, e non potevano farci nulla se non accettarlo, giocare quella partita.
Per questo Mirella, che forse aveva capito quell'aspetto della situazione, decise di giocare la carta della verità e spiegare tutto.
- In galera mio fratello ha scoperto che la morte di mio padre non è mai rientrata in nessuna idea di nessun gruppo terroristico comunista.
Anzi, le persone che hanno distrutto la mia famiglia non erano neanche politicamente rosse.-
Danilo si fermò alle parole della ragazza e stoppò anche lei per guardarla negli occhi.

- Stai dicendo che tuo padre è stato ucciso da dei fascisti?-
Mirella abbassò la testa ed annuì.
- Cercavano un'altra persona, neanche sapevano che vivessimo in quella via.
Mio padre non tornava mai all'ora di pranzo. È successo solo quel giorno, il giorno sbagliato...-
Si asciugò il volto, sul quale stavano scendendo grosse lacrime dolorose, e andò avanti nel suo discorso, cercando di non lasciare a Danilo tempo per replicare.
- Non abbiamo mai pensato a una cosa del genere. Quando mio fratello mi ha detto come fossero andate veramente le cose ci ho ragionato, ma lì per lì non ci pensi.
Nel momento in cui capisci che tuo padre non tornerà mai più non pensi che di solito rientrava alle sette e non all'una, o se ci pensi trovi una spiegazione quasi razionale, ad esempio pensi che lo stessero seguendo da inizio mattina.
Dopo sì, dopo ci ho pensato e ora ha tutto il suo maledetto senso.-
Sospirò nuovamente e non parlo più.
Improvvisamente, cambiando idea in pochi attimi, aveva deciso di lasciare al ragazzo tutte le parole.
Ma lui non sapeva cosa dire, non riusciva ancora a collegare quel discorso a tutto il resto, alla loro presenza lì, uno accanto all'altra.
Un nuovo lungo silenzio si prese il loro tempo.
Lasciò perdere il suo dolore e riparlò di nuovo lei, finendo il racconto.
- Quando mio fratello è uscito di prigione mi ha raccontato tutto. Ma non siamo andati alla polizia, pensavamo che nessuno avrebbe mai creduto alle parole di un drogato, soprattutto visto come, dove e da chi era partita l'informazione.
Mia madre l'ha buttato fuori di casa e al momento non so dove sia, ma l'ultima volta che ci siamo visti abbiamo parlato di questo. L'unico modo per avere giustizia è farcela da soli.
Ora ti è tutto più chiaro?-
Mirella tacque, questa volta in modo definitivo.
Continuavano a camminare, intanto, e Roma incurante viveva attorno a loro.
Danilo le chiese un'altra sigaretta e lei gliela diede pur non facendogli nuovamente compagnia mentre fumava.
- Ora sì. È una pazzia, quella che hai in mente.- Disse subito. - Ti vuoi mettere in un guaio più grande di te che nessuno, neanche e forse tanto meno la tua famiglia, potrebbe capire.-
- Non cercavo e non volevo la tua approvazione, Bazzi.-
- Però mi hai tirato fuori di galera...-
- Avevo bisogno di qualcuno che sapesse ed eri l'unico. Vabbeh, goditi la libertà. Io farò quello che devo fare, tu prendi la tua strada.
Hai detto che mi sto mettendo in un guaio, no? Forse è vero, ma tu non mi pari da meno. Chissà, magari ci rivedremo.
Buona fortuna, Danilo.- Terminò facendo calare la voce proprio sul nome del ragazzo, quel nome che non aveva mai pronunciato prima.
Poi si girò e, prima di andare via, cambiò un'altra volta idea e decise di accendersi anche lei una sigaretta.
Mentre rimetteva in tasca l'accendino si sentì tirare il braccio e fu costretta a voltarsi.
- Si chiama via Gaspare Gozzi, è una strada del quartiere San Paolo, per la precisione si tratta della via sulla quale si affaccia la stazione della metropolitana. Fatti trovare a quell'anglo domani sera alle otto.
Non dire niente a nessuno, non venire con nessuno. Sono stato chiaro?-
- Illuminante.- Rispose la ragazza.
Poi, con un rapido gesto, staccò il braccio dalla presa in cui lui continuava a tenerlo e andò via senza replicare.
Danilo Bazzi la guardò andare per la sua strada con un'andatura di certo orgogliosa e, chissà poi per quale motivo, si domandò quanto diversa sarebbe potuta diventare la loro vita da quel momento in poi.
****

La sera successiva, nell'appartamento di via Gozzi, la ragazza nata e cresciuta a Torino aveva fatto un'ottima impressione sui compagni di Danilo.

Ovviamente nessuno avrebbe mai saputo, oltre che a lui, il motivo di quel nuovo arrivo, tanto che si dovette inventare una storia in poche ore per giustificare Mirella e, soprattutto, la sua uscita di galera anticipata.
Mentre si trovava in cella il gruppo era aumentato, si erano aggiunti a loro Sabrina – divenuta poi Elena- e Antonio, il cui nome di battaglia era Mauro. Così quella serata aveva visto presentarsi tra di loro più persone, lasciando alle discussioni strategiche poco tempo dopo cena, al caldo del piccolo camino che si trovava nel salotto dell'appartamento.
- Tu non c'eri e noi non abbiamo fatto nulla, ci pareva giusto fare così.- Aveva detto Federico a Manlio.
Il ragazzo aveva annuito e poi si era concentrato sui giornali lasciati in ordine per lui dai compagni.
- Avete fatto bene, anche se alla fine la situazione non è cambiata molto da prima che mi arrestassero, no?-
- No, a meno che non ci siamo persi qualcosa di molto grosso no. Tu hai qualcosa in mente?-
Danilo si alzò e andò a versarsi in un bicchiere un po' dello schifoso superalcolico acquistato da Giulio in un supermercato a poche lire il giorno prima.
Ma lì non avevano altro e lui sentiva il bisogno esagerato di bere.
- Secondo te? Ho così tanti nomi che potrei finire domattina ad elencarteli, ma credo sia il caso di rimanere coi piedi per terra. Iniziamo a essere parecchi, ci servono più soldi e più armi.-
- Esistono gli espropri proletari.- Aveva fatto notare Iris.
- Sì, appunto. E avremmo modo di parlarne.- Aveva commentato Manlio.
- Ma non ora. Questa libertà un minimo me la voglio godere. E poi ci sono tutte queste nuove reclute.- Aveva sogghignato. - Sempre meglio conoscersi bene prima, no?- E lanciò verso Mirella un'occhiata che, fortunatamente, comprese solo lei.
Trascorsero il resto della serata parlando di altro, e quando ormai la mezzanotte era passata da un pezzo Manlio si offrì per riaccompagnare Mirella a casa, desideroso di sapere cosa pensasse.
- Immagino che né tu né io due giorni fa credessimo di cambiare così tanto le nostre vite, no?- Le domandò mentre si trovavano in macchina.
- Non mi pare sia cambiato molto da due giorni fa...- Aveva sospirato lei, come se non sapesse benissimo a cosa si riferiva il ragazzo, forse ancora incapace di credersi libero e con lei al suo fianco.
- Magari ancora no, ma di certo non resteranno ferme ed immutate a lungo. Specialmente la tua.-
Lei rimase zitta, tanto sapeva che le loro discussioni sarebbero state sempre così, determinante da silenzi confessori e accuse quasi sarcastiche. - Non ho ancora capito come intendi trovare gli assassini di tuo padre, però. Certo, non che io ci abbia potuto ragionare a lungo ma tu almeno...-
- Non lo so neanche io.- Disse subito.- Ma non penso di sbagliarmi molto se credo che li troverò più facilmente unendomi a voi rispetto al farlo da sola, no?-
Manlio scosse la testa e smisero di parlare.
Senza volerlo si trovarono entrambi a pensare alla loro vita futura, a come davvero lì dinnanzi a loro si presentava un cambiamento a cui non erano pronti.
Mirella pensò alla domanda che il ragazzo le aveva appena fatto.

No, non era del tutto vero che non sapesse come fare a trovare gli assassini di suo padre; sapeva che sarebbe diventata per tutti un fantasma prima o poi, solo così avrebbe potuto agire, e quello era l'unico modo per farlo. Sapeva che doveva imparare a difendersi e a cavarsela da sola, e di certo stare lì in mezzo poteva insegnarglielo.

Sapeva anche che sarebbe dovuta tornare a Torino per fare qualcosa di concreto, e immaginava che una città così industriale e a suo modo proletaria poteva essere di interesse anche per loro.
Ma più di tutto Mirella sapeva che tra lei e Manlio c'era un patto segreto nato nel momento in cui la sua mano si era con forza abbattuta sulla faccia dell'altro, nel momento dello schiaffo a scuola.
Lui conosceva, di certo da prima di quel giorno, quel che era capitato a suo padre, mentre lei gli aveva detto in faccia chiaro e tondo che sapeva delle sue intenzioni.
Quando poi, il giorno prima, le intenzioni del ragazzo erano diventate comode alla sua storia personale il patto aveva assunto i tratti di un rapporto di subordinazione tra lei e Manlio, e dopo in quegli attimi era diventato lui quello che comandava e aveva tutto in mano.
Però si trattava di un gioco rapido a cambiare, come già era successo, e sarebbe bastato un niente a capovolgere la situazione.
Erano legati, legati per sempre.
E non lo sapeva nessuno.
Forse neanche del tutto loro.


La lasciò a due isolati da casa, di modo che nessuno la vedesse.
Mentre scendeva dalla macchina vide ripetersi davanti a sé una scena già vista, con il ragazzo che le tratteneva il polso perché aveva dimenticato di dirle qualcosa o cambiato rapidamente idea come era accaduto durante il loro incontro pochi giorni prima.
- Aspetta...- Le aveva detto. - Non mi hai dato un nome con cui chiamarti. Come hai visto ognuno di noi ne ha uno.-
La ragazza si era riseduta nell'auto e aveva tirato fuori dalla borsa un pacchetto di sigarette.
Si era messa a fumare e lui aveva acceso l'autoradio sospirando e temendo che chissà per quale motivo lei volesse tirarla per le lunghe.
Ma si era sbagliato.
Dopo due tiri aveva tirato lontano dal veicolo la sigaretta per metà ancora buona e aveva lasciato il resto del pacchetto sul cruscotto.
Poi aveva parlato.
- Se me le trova mia madre mi ammazza, ma tu potresti usarle al posto degli spinelli per non fare cazzate.- Aveva detto.
Si era alzata stando ben attenta a non farsi prendere e una volta fuori dall'automobile si era girata e gli aveva risposto.
- Chiamatemi Chiara.-
Se ne era andata senza attendere commenti, proprio come il giorno prima.


Note autrice
Eccomi, sono viva.
Dopo un mese e mezzo riesco finalmente ad aggiornare! :D
Allora, inizio col dire che il capitolo non mi piace molto.
Forse sono stata troppo frettolosa nel narrare gli avvenimenti ma è anche vero che tutta la storia si svolge con una certa rapidità, quindi lascio a voi i commenti, positivi o negativi che siano.
Come forse avrete notato nella seconda parte del capitolo i nomi dei “terroristi” sono divenuti quelli di battaglia, quindi vi lascio qui sotto uno schemino per ricollegare ogni pg al suo nuovo nome anche se vi avviso subito che molti di questi spariranno in fretta. :)
Per il resto nulla, non so quando aggiornerò ma spero di metterci meno :/ malgrado la scuola stia per finire e si sia un po' tutti con l'acqua alla gola, si sa!
In ogni caso vi mando un grosso abbraccio e vi rimando alla prossima volta!
Ciao bellissimi :*

Nome “Vero”

Nome di battaglia

Danilo

Manlio

Mirella

Chiara

Erica

Iris

Davide

Samuele

Ludovico

Giulio

Saverio

Graziano

Filomena

Flavia

Emanuele

Geronimo

Alessandro

Andrea

Carlotta

Marzia

Giorgio

Federico

Antonio

Mauro

Sabrina

Elena


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Capitolo 16
*** XVI ***


XVI

Maurizio non sapeva nulla di quel che faceva la sua amata, delle persone con cui si era messa in contatto in quel periodo e di ciò che le passava per la testa.
Forse aveva ragione Manlio, molto probabilmente il ragazzo non avrebbe capito il perché di quelle scelta, se avesse saputo, come minimo si sarebbe spaventato e avrebbe denunciato tutti.
Ma Mirella, o come la chiamavano tutti “la compagna Chiara”, era brava a non farsi beccare, a condurre quella doppia vita senza destare sospetti. Continuava ad uscire con gli amici, aiutare la madre, studiare, crescere il piccolo Guido.
Anche la relazione con il fidanzato, ormai era tale per tutti, andava bene, malgrado Mirella spesso si sentisse in colpa nel dire alla madre che usciva con lui quando invece passava le serate all'appartamento di via Gozzi.
Erano serate abbastanza fini a loro stesse, spesso erano più le chiacchierate sterili che le vere e proprie discussioni sulla lotta armata.
Dopo la gambizzazione del direttore di filiale dell'Eur non si erano più fatti sentire, e il 1977 se ne era andato come se loro non fossero mai esistiti.
Manlio e Graziano più di una volta avevano avuto lunghe diatribe anche private su quel punto, ma il primo era sempre stato intransigente a riguardo.
Una sera però il compagno Graziano era esploso.
Era metà gennaio e all'appartamento erano una mezza dozzina.
Oltre a loro due, infatti, c'erano Chiara, Samuele, Andrea e Giulio, che come al solito si faceva i fatti suoi, totalmente disinteressato a tutto ciò che accadeva intorno a lui.

- Mi spieghi cos'altro stai aspettando? Te la sei goduta la tua libertà, o no? Ne abbiamo parlato mille volte da quando sei tornato, è ora di iniziare almeno a procurarci i famosi soldi e le armi di cui parliamo da mesi.-
- Per le armi servono i soldi e per i soldi servono le armi, riuscirai mai a capirlo?-
- E le poche armi che abbiamo non ci bastano per una rapina? Un esproprio proletario? Un qualsiasi metodo per procurarsi denaro?-
- Potresti mandare tua madre a battere, magari questo ci farebbe guadagnare i soldi necessari a comprare le armi.-
Samuele e Chiara scoppiarono a ridere, facendo distogliere Giulio dall'apatia con cui si stava girando una canna.
Andrea rimase impassibile guardando Graziano fumare rabbia da occhi e orecchie.
- A' Manlio, ma vaffanculo, va'! Non meriti neanche una risposta seria.- Fece Andrea poco dopo, cercando di replicare all'insulto senza però appesantire l'aria del piccolo locale, già densa di fumo e rabbia.
Ma il ragazzo a cui era appena stata insultata la madre era evidentemente di diverso avviso.
Con un gesto che nessuno poté prevedere o anticipare estrasse una pistola da sotto la giacca di pelle e la puntò dritta alla fronte del compagno.
Il clima si fece freddo, la finestra socchiusa si spalancò facendo entrare il gelido vento di gennaio nella stanza in cui tutto taceva e solo il giradischi gracchiava una canzone inglese o americana.

Manlio fissò negli occhi il ragazzo che minacciava di togliergli la vita.
Il suo sguardo sembrava quello fiero di chi va incontro alla morte senza paura, ma dopo poco si mise a ridere in faccia al suo aguzzino come se fosse la cosa più normale del mondo.
- Già mi vedo i titoli de “Il Messaggero” di domani; “regolamento di conti tra terroristi in un appartamento di San Paolo a Roma, forse morto l'uomo che mesi fa gambizzò il direttore di una filiale bancaria all'Eur”. In men che non si dica saresti ricercato per omicidio senza neanche dover parlare della tua amata lotta armata per il comunismo. Non ho mai criticato ciò che vuoi fare, ma sei così impulsivo che se ti avessi dato ascolto anche solo la metà delle volte che non l'ho fatto probabilmente oltre Rebibbia conoscerei anche qualche carcere speciale.-
Parlò tranquillo, alternando una iniziale ironia a un tono più serio ma sempre calmo e pacato, come se già sapesse che la sua vita non sarebbe finita quella sera.
Graziano lo guardò nuovamente con i lineamenti tesi e il volto rosso.
La mano che teneva saldamente la pistola iniziò a tremargli per la rabbia, e cacciando un urlo sparò un colpo fuori dalla finestra, in aria, spaventando qualche ubriaco o qualche passeggero della metropolitana che stava passando lì sotto.
- Sei un bastardo, Manlio, un grandissimo bastardo. E i bastardi vivono sempre poco, anche meno degli impulsivi.- Sentenziò riponendo l'arma.
Poi fece segno ad Andrea e se ne andò assieme a quello senza salutare.
Quando la porta si chiuse l'ansia si calmò e Manlio fu preso da un attacco di riso isterico.
- Che sagoma, quel ragazzo. Mi dà del bastardo e poi se ne va così, facendo anche un luogotenente proprio a fargli da cagnolino qualsiasi cosa accada. Bau, bau.- Finì con un'onomatopea.
- Non hai avuto paura che ti ammazzasse davvero?- Gli chiese Samuele.
- Ma chi? Il compagno Graziano? Quello non sparerebbe neanche ad Andreotti senza scorta, figurati se avrebbe colpito me.-
- E allora perché è così incazzato del tuo continuo temporeggiare?- Gli domandò Giulio, rimasto così colpito dalla discussione da essere diventato improvvisamente serio e attento.
- Perché ha fatto una scelta rischiosa e vuole darsi un tono. Forse anche io sono così, ma ammetto di essere più bravo.-
Scoppiarono tutti a ridere, e Samuele andò in cucina a prendere delle birre mentre Chiara si rimetteva il cappotto e sistemava la sua roba.
- Già vai via? Sono appena le nove e mezza.- Le fece notare Manlio.
- Lo so, ma ho promesso a mia madre che non avrei fatto troppo tardi; lei insegna in una scuola serale e per farmi uscire ha dovuto lasciare mio fratello a una vicina che non è il caso di scomodare troppo. Inoltre se mi comporto come si aspetta da me do certamente meno nell'occhio.- Spiegò la ragazza.
- Non ne dubito. Ci vediamo presto, mi faccio vivo io.- La salutò lui.
Mirella annuì e salutò gli altri con un gesto della mano.
Poi sparì.

****

Ma non fu possibile, per Manlio, farsi vivo lui, perché due sere dopo, tornando da una cena con Maurizio, Mirella aveva scorto una figura familiare tirare pugni, sputi e insulti verso un manifesto dell'Msi.
Subito aveva compreso che si trattava di una ragazza, probabilmente più piccola di lei, e dopo poco l'aveva completamente riconosciuta.
Era Agnese Simponico, la giovanissima allieva del liceo classico del suo stesso istituto che un giorno era scoppiata a piangere nel corridoio della scuola dopo la dolorosa scoperta della morte di suo fratello per mano di alcuni fascisti.
- Maledetti stronzi! Stronzi! Tutti stronzi!- Urlava infierendo contro quel pezzo di carta appeso al muro.
Mirella le si avvicinò in silenzio, senza farsi vedere, e corse da lei solo quando, dopo un'ultima imprecazione contro il partito di estrema destra (- Dovete morire tutti, da Almirante all'ultimo bastardo che lo vota), la ragazzina si abbandonò a terra scoppiando in lacrime.
Quella più grande le si sedette accanto porgendole un fazzoletto.
- Grazie...- Rispose Agnese a quel gesto spontaneo di cui immediatamente non riconobbe neanche l'autrice.
Poi, quando si fu asciugata gli occhi e la vista smise di esserle appannata, guardò meglio la figura che le si era messa affianco ed ebbe l'illuminazione.
- Tu andavi alle magistrali nella mia stessa scuola, vero? Sei la ragazza di Torino a cui è stato...-
- Ucciso il padre.- Sospirò l'altra. - Sì, sono io. Mi chiamo Mirella.-
- Agnese, ma temo tu lo sappia già. Tutti sanno chi sono, dopo quello che è successo a mio fratello.- Spiegò.
- È per questo che te la prendi con i manifesti dell'Msi, giusto?-
Annuì.
- Tu invece dovresti prendertela con quelli di sinistra, no? Dicono che tuo papà...-
- Ne dicono tante.- Commentò Mirella. - Ma non tutto è semplice come appare.-
Lasciò perdere quella discussione, non voleva raccontare troppo di quella difficile faccenda, e si premurò di controllare le condizioni di Agnese.
Quando la giovanissima stette meglio la riaccompagnò fino a casa, scoprendo che non vivevano poi così lontane l'una dall'altra.
Tornando verso la sua abitazione, la torinese incominciò a pensare a come quella ragazzina apparentemente così diversa da lei condividesse invece il suo stesso dramma personale.
Ci rimuginò sopra fino a che non si addormentò, ma quando la mattina dopo riaprì gli occhi ebbe un attacco di vomito dallo schifo che si faceva, perché aveva pensato più di una volta di proporle di unirsi a loro nella disperata ricerca di una vendetta che tanto la legge non le avrebbe mai dato.
Si sentì davvero male a fare di quei pensieri, in fondo Agnese aveva neanche sedici anni e non era minimamente immaginabile l'idea che facesse una scelta simile alla sua.
Ma che fine stava facendo? Si era domandata. Dov'era la ragazza matura e posata che aveva superato la morte del padre e la dipendenza del fratello maggiore, che studiava e aiutava in casa per garantire un futuro migliore a sé stessa e al piccolo di famiglia? Si fece schifo e vomitò ancora, ringraziando di essere sola, quella mattina.
Fu però nel fine settimana che qualcosa le fece rivalutare i suoi terribili pensieri.
Era tornata dopo un pomeriggio di studio in biblioteca e aveva trovato la madre e Guido intente a guardare vecchie fotografie trovate in uno scatolone che non avevano mai sistemato da quando erano arrivati a Roma. Il fratellino le corse incontro urlando. - Mimì, Mimì vieni a vedere le foto.-
La ragazza aveva sorriso e dato un leggero buffetto a Ninni, così lo aveva sempre chiamato affettuosamente, e, dopo essersi tolta il cappotto, li aveva raggiunti in salone.
Era stato un colpo al cuore vedere tutte quelle immagini della loro famiglia felice, e il peggio era arrivato quando tra le mani le era capitata una foto che era assolutamente certa di aver fatto lei.
Vi erano ritratti Rodolfo e il figlio maggiore, Bruno, sorridenti e appoggiati ad una staccionata di legno che si capiva appartenere ad una casa di campagna.
Mirella la girò e, come immaginava, vi trovò scritti luogo e data nella piccola ed ordinata calligrafia di sua madre. “Aqui Terme, casa dei nonni, Pasqua 1975”.
La ragazza la mostrò alla signora Maria, la quale sospirò con gli occhi tristi. - Non sono passati neanche tre anni e sembra un'altra via...- Sussurrò.
Poi fece avvicinare il figlio più piccolo per farla vedere anche a lui.
- Mamma quando fai tornare Bruno? Mi manca tanto...- Chiese Guido triste.
La donna non poté fare altro che sospirare ancora.
Anche lei sentiva forte la mancanza di suo figlio, e a volte piangeva maledicendosi per il modo in cui lo aveva mandato via, ma non poteva permettersi che un bambino crescesse con un ex cocainomane.
Sempre ammesso che avesse smesso con la droga, ovviamente.
Non fu in grado di rispondere alla domanda di Guido, e lui non ne fece più, rimanendo a guardare altre fotografie assieme alla sorella maggiore mentre la madre andò a preparare la cena.
Il ricordo della vita felice che aveva avuto fino al momento dell'omicidio di suo padre le aveva fato tornare alla mente Agnese e tutto il resto, e alla fine aveva deciso che la sua scelta l'aveva fatta e non poteva tirarsi indietro.

Aveva scelto di stare dalla parte sbagliata, di uccidere, se necessario, di fingere che gli ideali dei pazzi che distruggevano famiglie in nome di un fantomatico comunismo fossero anche i suoi, e l'aveva fatto perché diversamente non ci sarebbe stata giustizia per suo padre.
Se Agnese era nella stessa situazione era giusto che anche lei potesse scegliere, malgrado la sua giovane età non era stupida e il modo in cui l'aveva vista poche sere prima lo dimostrava.
Il lunedì mattina, a metà tra una lezione e l'altra, aveva cercato Giulio, l'unico che era certa frequentasse la sua stessa università, e gli aveva chiesto di poter parlare il prima possibile con Manlio.
- E perché? T'ha detto che si farà vivo lui.- Aveva risposto il ragazzo.

- Lo so, ma è una questione urgente e non posso attendere.-
Giulio aveva scosso la testa.

Non la sopportava, e anche se non sapeva nulla su suo padre e tutto il resto era convinto che ci fosse qualcosa di strano dietro quella ragazza, non era come le altre donne dell'organizzazione.
Dal canto suo Mirella provava indifferenza per tutti, quindi una persona in più o in meno che la odiasse non era poi un grande problema.
- Proverò a parlarci, ma non ti assicuro nulla. E mi faccio vivo io, dunque non cercarmi ancora.-
- Ti ringrazio.- Rispose la ragazza a denti stretti. - Con Graziano si è chiarito?-
- La pecorella e il suo cagnolino sono tornati all'ovile due giorni dopo.- Spiegò.
Poi si salutarono, e Mirella pensò che non avrebbe mai ricevuto una risposta positiva.


****

Ed invece no, già il giorno seguente Giulio le disse che Manlio e Graziano, parlò di entrambi insieme come se la coppia a guida del gruppo fosse ritornata salda e inscindibile, l'aspettavano a via Gozzi per quel pomeriggio dalle quattro in poi.
Per rimarcare l'astio che provava nei suoi confronti, inoltre, aggiunse che lui non avrebbe mai colto così facilmente la richiesta di incontro di una ragazzina se fosse stato al posto dei due, e la compagna Chiara rispose semplicemente che si riteneva fortunata di non aver lui a capo dell'organizzazione.
Continuava a tenergli testa, e più lo faceva più lui la disprezzava.
Si era presentata all'appuntamento alle quattro precise, e come aveva imparato a fare proprio da Manlio non si era persa in giri di parole inutili ma aveva raccontato tutto in breve centrando però il punto.
Alla fine Manlio e Graziano si erano scambiati un'occhiata molto eloquente che Chiara non aveva compreso.
- Lei non sa, immagino.- Aveva detto Graziano.
- No, anche perché non c'era motivo per cui dovesse sapere.- Era stata la risposta di Manlio.
- Voi due siete come i bambini, peggio quando andate d'accordo che quando litigate.- Aveva commentato la ragazza riprendendo una frase che diceva spesso suo padre a lei e Bruno quando erano piccoli. - Posso sapere ciò che non so ma forse dovrei sapere?- Aveva chiesto.
Graziano aveva annuito e Manlio aveva cominciato a parlare. - Prima che accadesse quello che è successo Diego, il fratello di Agnese, si era messo in contatto con me... Non era proprio uno stinco di santo, in vita, e se non fosse morto in quel modo probabilmente oggi sarebbe qui con noi, e intendo dire nell'organizzazione.- Chiara deglutì. No, decisamente non se lo sarebbe mai aspettato.
- Sarebbe con noi sì, ma farebbe il possibile per non tirare in mezzo sua sorella, e questo, Manlio, lo sai anche tu.- Era andato avanti Graziano.
- Stravedeva per lei e non si sarebbe mai perdonato che facesse una scelta tanto sbagliata, soprattutto perché lui temeva che un giorno si sarebbe dovuto staccare dalla famiglia per proseguire sulla strada della lotta armata, e voleva che lei rimanesse con i genitori per donargli un minimo di conforto.- Aveva spiegato.
- Però è anche vero che non si sarebbe certo aspettato di morire ammazzato da dei fascisti in quel modo, e già in passato avevamo discusso di come vendicarlo, visto che tanto la polizia, la magistratura e tutte quelle altre cazzate statali e borghesi non hanno mai avuto nessuna intenzione di punire quei neri del cazzo.-
Chiara ebbe un sussulto e Manlio lo notò.
- Possiamo parlarle e chiederglielo.- Propose poi il ragazzo.
- Oh sì, sono certo che presentarsi davanti ad Agnese e chiederle se sapeva che suo fratello voleva fare il terrorista sia un'idea geniale.- Commentò sarcastico Graziano.
Fu allora che intervenne la ragazza. - Non è una grande idea, ma è l'unica che abbiamo.- Disse. - E fatti una camomilla, Graziano, almeno una volta ogni tanto.- Finì prendendo posizione anche nell'inizio di una nuova diatriba tra i due.
Pur non essendo abituato a farsi frenare dalle parole di una femmina l'uomo dovette darle ascolto.
Così si organizzarono per il pomeriggio seguente; Chiara avrebbe aspettato Agnese davanti alla scuola, mentre gli altri due avrebbero atteso dietro l'angolo per poterci parlare solo in un luogo dove non sarebbero stati visti da altri studenti.
Non volevano ancora portarla all'appartamento, non era il caso.
La notte e la mattinata di attesa furono per Mirella momenti terribili durante i quali cambiò più volte idea su ciò che credeva fosse corretto fare.
Continuava a dirsi che, in fondo, se si fosse spaventata o altro i due uomini l'avrebbero lasciata libera di andar via con la sola promessa di non denunciare nulla “in memoria di Diego”, ma la paura per ciò che avrebbe potuto fare mentalmente alla ragazzina l'incontro del giorno seguente era molta.
Quando Agnese la vide, però, si sentì istintivamente a suo agio, e la seguì senza fare domande, come se già sapesse che si trovava lì per lei e non c'era dunque da preoccuparsi.
Si avviarono verso un piccolo vicolo poco distante dove le aspettavano Graziano e Manlio, e ciò che successe lì fu inaspettato sia per loro che per Chiara.
Dopo aver sentito i loro nomi, infatti, semplicemente la ragazzina sorrise e disse che li conosceva, perché più di una volta li aveva visti assieme a suo fratello.
Poi aveva collegato Manlio al ragazzo della sua scuola che tutti avevano sempre additato come possibile futuro terrorista, aveva fatto lo stesso ragionamento di Chiara quando era andato a scarcerarlo, e aveva fatto un lungo silenzio respirando forte prima di ricominciare a parlare.
- Voi siete quelli con cui Diego voleva mettersi nei guai...- Concluse.
E, prima che le venissero fatte domande, aggiunse. - Lo so perché una volta l'ho beccato a pulire una... una mitraglietta, credo... e quindi a grandi linee l'ho costretto a dirmi cosa significasse...- Respirò ancora, pensare al fratello l'aveva rattristata parecchio.
Chiara le strinse una mano sotto gli occhi critici di Graziano, il quale era convinto che il sentimentalismo dovesse stare ben lontano dalla politica e soprattutto dalla politica fatta come la facevano loro.
Ma le donne erano donne, e lo sapeva.
- Ti ricordi quando ti ho detto che sulla morte di mio padre le cose erano diverse da ciò che si diceva in giro?- Le chiese la ragazza più grande.
- Sì, l'altra sera.-
- Anche mio papà l'hanno ucciso dei fascisti, e quella gente in galera non ci va.- Spiegò.
Graziano non rimase sorpreso da quelle parole; nel pomeriggio precedente, dopo avergli fatto giurare che non l'avrebbe raccontata a nessuno, gli era stata narrata la storia di Mirella e della sua famiglia, e per quanto ne fosse rimasto stupito aveva capito qualcosa in più sulla compagna.
- Avete deciso di cercarli e ucciderli?- Chiese Agnese con il sangue che le si gelava nelle vene.
- Almeno di cercarli.- Rispose Manlio. - Ma non devi avere paura, visto che sapevi di tuo fratello è più che giusto che tu sappia anche che...-
- Sono dei vostri.- Rispose immediatamente la ragazzina. - Non... non sono una terrorista ma... ma voglio giustizia per Diego, e se non la farà lo stato me la farò da me.-
Agnese non aveva neanche sedici anni e stava decidendo da che parte stare.
Ma in realtà lo aveva deciso molto tempo prima, quando aveva trovato l'arma del fratello, che per l'esattezza era una mitraglietta Skorpion.
In casa avevano sempre votato a sinistra, ma, mentre col passare degli anni i genitori cercavano di andare verso posizioni più moderate, i due figli si estremizzavano sempre di più, e senza che nessuno lo sapesse lei aveva frequentato un circolo di Lotta Continua per la prima volta a tredici anni, in quarta ginnasio.
Se Diego non fosse morto probabilmente avrebbe cominciato con lui lunghe litigate, perché il bene che voleva alla sorella era troppo grande per farla mettere in quel casino, ma da quando era rimasta sola la situazione era cambiata notevolmente.
Gli aveva raccontato tutto quello all'appartamento, giurando di non dir nulla a nessuno e di fargli avere presto l'arma del fratello, che lei ancora conservava perché sapeva sarebbe potuta esserle utile.
Il modo in cui era stata reclutata, e soprattutto la rapidità con cui ciò era avvenuto, aveva lasciato tutti sbigottiti, ma quell'organizzazione così giovane non era nuova ad eventi simili, forse perché neanche loro erano poi così convinti di quello che sarebbero andati a fare.
Una possibile terrorista di sedici anni, e chi ci avrebbe mai pensato? In fondo però Iris e Samuele ne avevano appena diciotto, e anche Chiara ancora doveva compierne venti.
A quel punto anche il continuo temporeggiare di Manlio poteva essere giustificato.

****

Doveva essere, quel temporeggiare, una misura però limitata, ad interim, da terminare forse a fine inverno, decidendo finalmente davvero quali azioni avrebbero acceso i riflettori su di loro e soprattutto chi, vista la presenza di compagni giovani e giovanissimi, vi avrebbe preso parte.
Intanto, senza dire nulla agli altri, Manlio e Graziano avevano fatto un paio di colpi di autofinanziamento che erano stati spiegati solo a lavoro concluso all'organizzazione – con non pochi dibattiti interni – e non erano stati in alcun modo rivendicati.
A inizio Marzo Graziano aveva messo sul tavolo il nome di un giovane magistrato della Tuscolana, figlio di un magistrato e nipote di un gerarca fascista.
Era poco più che ragazzino e non si era mai schierato politicamente, anche se erano tutti convinti, nella banda, che fosse un fascistello un po' meglio vestito di quelli che si beccavano in strada armati di spranghe e pistolette discutibili.
La decisione sembrava presa, si trattava di discutere alcuni dettagli e scegliere chi, oltre i due capi, avrebbe preso parte a quella che, si era in fine deciso, sarebbe stata una gambizzazione.
Sabato diciotto Marzo si sarebbero visti per definire ogni cosa, visto soprattutto che il quindici, proprio a metà settimana, Graziano era sceso nel basso Lazio per incontrare alcuni compagni e farsi dare delle armi.
La mattina seguente, il Sedici Marzo, Chiara non aveva lezione e si era trovata a via Gozzi con gli altri.
Graziano e Manlio, come sempre, parlavano di ogni cosa gli passasse per la testa, mentre Giulio cercava inutilmente di riprendersi da una sbronza della sera prima a suon di canne.
Quando il campanello suonò, erano da poco passate le dieci e mezza, fu lei ad affacciarsi al balcone.

- È Samuele, lo faccio salire?- Aveva domandato.
I capi avevano annuito, e pochi minuti dopo si erano trovati davanti al ragazzo con la faccia più bianca e terrorizzata che avessero mai visto.
Era rimasto sull'uscio impietrito, e a quel punto Manlio aveva smorzato l'ansia con quella che voleva essere una battuta.
- Ma guarda te che espressione che c'hai, manco avessero sparato a Cossiga.-
La risposta di Samuele era stata entrare in silenzio e, come un automa, accendere la televisione.




Note autrice
Lo so, lo so, è passata una vita.
Ma almeno sono tornata! :D
Allooora, how are uuu?
Bene, ok, facciamo le persone serie.
Partiamo dal fondo; credo tutti sappiano cosa sia accaduto il 16/03/1978, dunque non penso ci sia bisogno di spiegazioni.
Con questo capitolo allarghiamo di molto la visuale sull'organizzazione, anche se la maggior parte dei personaggi citati in precedenza torneranno solo dal prossimo.
Anticipo subito che Chiara, Manlio, Giulio e Agnese (di cui ancora non si conosce il nome di battaglia) saranno probabilmente gli unici di cui si parlerà sia col nome vero che con quello finto, dunque teneteli a mente.
Riguardo a quest'ultima lascio a voi ogni commento, perché la parte in cui incontra gli altri non mi piace ma preferisco, come sempre, il giudizio dei lettori.
Guido sarà chiamato Ninni soprattutto perché al momento ho un altro piccolo Guido in un'altra storia, e rischio pure io di confondermi XD
Per il resto credo non ci sia nulla da aggiungere, se non che rinnovo i ringraziamenti a chi la segue e ripeto che è tutto frutto della mia intenzione e non intendo sminuire il periodo, prenderne in giro le vittime o, peggio ancora, fare apologia al terrorismo in alcun modo, semplicemente mi andava di scrivere una storia diversa che narrasse anche tematiche sensibili e serie.
Vi abbraccio tutt* e alla prossima <3

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Capitolo 17
*** XVII ***


XVII

Il sequestro di Aldo Moro aveva cambiato tutto.
Lo aveva fatto all'interno del quarto Governo Andreotti, che aveva ricevuto la fiducia proprio il giorno del rapimento e si trovava a gestire una situazione nuova sotto ogni punto di vista; lo aveva fatto nella stessa Democrazia Cristiana, che si vedeva privata del suo Presidente oltre che in un leader di correte, un tassello di certo fondamentale per tenere insieme le mille anime del partito che da oltre trent'anni governava l'Italia.
Ancora di più, se possibile, lo aveva fatto nel Pci di Berlinguer.
I Comunisti, non un gruppo marginale nel panorama politico dell'epoca, vedevano da almeno due anni l'Onorevole Moro come il collegamento tra loro e l'approdo all'esecutivo, prima con altri e poi magari anche da soli, ma quell'attacco allo Stato, per altro operato da persone che dicevano di rifarsi alla loro stessa ideologia, rimetteva di nuovo in discussione ogni futura azione od occasione politica.
Soprattutto, però, i più sconvolti dalla situazione erano i cittadini comuni che, per quanto tristemente abituati alla striscia di sangue degli anni precedenti, si vedevano incapaci di paragonare quella vicenda a tutte le altre, come se la vita di un politico contasse più di quella di un uomo qualunque. Di certo Aldo Moro era diventato un argomento di discussione molto più interessante da quando era in mano ai terroristi, soprattutto vista l'ilare magnanimità delle Brigate Rosse nel concedere al prigioniero la possibilità di inviare lettere a colleghi e compagni di partito.
Se il povero Democristiano sperava di aprirsi tramite quello un canale per il dialogo tra i suoi e i rapitori, però, aveva completamente sbagliato, perché da parte sua la DC aveva fin dall'inizio chiuso le porta ad ogni possibilità di trattativa, pur conoscendo l'alto prezzo che avrebbero pagato a causa di quella scelta.
Non solo; per motivi incomprensibili ai più il partito di governo stava anche facendo passare il messaggio che quelle epistole avessero solo la grafia di Aldo Moro, e che quindi i pensieri espressi appartenessero ad altra mate, quella di qualcuno che glieli dettava o la sua stessa ma drogata da qualche sostanza.
Al popolo, probabilmente, di tutto quello poco importava, volevano solo che il sequestro si concludesse il più rapidamente possibile, magari in modo positivo, e che il paese tornasse a una vita normale, senza l'assurda paura che quel periodo metteva in tutti, indipendentemente dal ruolo sociale o dalla posizione politica.
Il giorno del rapimento, quel sedici di Marzo, la signora Maria era nel centro di Roma con una collega per fare acquisti.
Era una mattina di inizio primavera e diversi pensieri affollavano la mente della donna; il compleanno della figlia, che cinque giorni dopo avrebbe fatto vent'anni, e il secondo anniversario della morte di Rodolfo, che sarebbe invece caduto esattamente due settimane più tardi.
Cercava quindi di bilanciare tristezza e gioia come ormai da tempo era costretta a fare per vivere in modo normale, anche se spesso tutto crollava sotto il peso dell'ultimo dolore della sua vita, l'allontanamento del figlio Bruno.
Per questo quando verso le undici si erano fermate, lei e l'amica, ad un bar per un aperitivo e avevano scoperto della drammatica azione di via Fani si era sentita male, soprattutto alla vista dei corpi senza vita degli uomini della scorta e al pensiero delle loro famiglie, costrette a vivere una tragedia simile alla sua per colpa di qualche sedicente rivoluzionari.
Era rimasta apatica per giorni, la signora Maria; certo, aveva continuato a fare come se nulla fosse, discutendo anche un poco di quello che era accaduto, ma qualcosa dentro di lei si era rotto per la seconda volta dopo la strage, e il triste anniversario di fine mese fu molto più pesante di quello che si immaginava.
In tutta quella situazione, poi, come ogni madre italiana, la donna si sentiva obbligata a proteggere il suo figlio più piccolo, Guido, che con i suoi nove anni e mezzo era ancora un bambino, e dopo ciò che aveva già vissuto non si meritava di soffrire nuovamente per la sola colpa di essere nato in Italia nel momento sbagliato.
Ninni, che qualcosa aveva capito ma non molto, si era però intristito parecchio quando aveva visto passare in televisione le immagini dei funerali degli agenti di scorta, poiché gli avevano ricordato quelli di suo papà.
Un venerdì pomeriggio di brutto tempo, era l'inizio di Aprile, Mirella si trovava a casa a studiare, chiusa nella sua camera.
Continuava a dividersi tra lo studio, la famiglia, Maurizio e il suo terribile segreto, che in quel periodo faceva indubbiamente i conti con la situazione del paese.
Manlio aveva deciso di fermarsi un po' con le azioni, almeno finché le acque non si fossero un minimo calmate, ma non tutti i compagni si trovavano d'accordo con questa visione delle cose, e le discussioni in via Gozzi si facevano sempre più accese.
Mirella, per l'appunto, cercava di star fuori da tutto quello per concentrarsi sullo studio e le altre attività che la rendevano insospettabile.
Continuava, inoltre, ad avere i sensi di colpa per quello che faceva; anche se era l'unico modo per vendicare suo padre sapeva che prima o poi si sarebbe trovata a ferire o addirittura ad uccidere, e quel pensiero la martoriava, anche nell'eventualità che tutto finisse nel migliore dei modi.
Il peso più grande era stata la sua scelta, e da quella non poteva tornare indietro neanche smettendo immediatamente ogni attività illegale.
Quel venerdì pomeriggio, dunque, era sedut6a alla sua scrivania con il libro dell'esame che stava preparando davanti agli occhi e la testa da tutt'altra parte quando sentì un urlo provenire dalla sala della casa.
Riconobbe subito la voce di sua madre e si preoccupò molto, tanto da alzarsi di scatto con il cuore in gola e correre nell'altra stanza.
Vide subito la signora Maria muoversi frenetica intorno all'apparecchio televisivo mentre Guido, rannicchiato su una poltrona, la guardava con gli occhi tristi.
- Ma cosa è successo? Ti ho appena sentita urlare!- Domandò la ragazza ancora agitata.
- Stavo guardando la televisione ma la mamma me l'ha spenta... non volevo vedere nulla ma sono annoiato, fuori piove e non so cosa fare, uffa.- Sbuffò il bambino.
Mirella voltò lo sguardo verso la madre in cerca di risposte a quel suo comportamento; si ricordava che la televisione in casa c'era sempre stata, anche quando il canale era solo uno, ma la madre mai l'aveva spenta loro in quella maniera, neanche quando lei e Bruno erano piccoli.
Quel pomeriggio qualcosa era evidentemente diverso, lo si scorgeva negli occhi di quella donna che era sempre stata forte e che, in quel momento, pareva fuori di sé, quasi come la sera in cui aveva buttato fuori di casa il figlio maggiore.
- Puoi spiegare, mamma?- Le chiese cercando di mantenere la calma e, soprattutto, di non dire nulla che potesse alterare ancora di più l'altra.
- C'erano quelle immagini di quando hanno rapito Moro, quelle della sparatoria. Non le deve vedere, è solo un bambino.- Ripeté più volte quelle quattro parole “è solo un bambino” e Mirella, dopo un lungo respiro, chiese al fratellino di andare a giocare un poco nella sua camera e lasciarle sole.
La signora Maria iniziò a piangere e riprese a parlare – È solo un bambino, non deve vedere certe cose... è mio figlio, lo devo proteggere...-
La ragazza le si avvicinò e le prese le mani che ancora tremavano per il nervoso.
- Lo so, mamma, lo so che vuoi proteggere Guido da tutto quello che accade in Italia ultimamente, dal ricordo di come è morto papà, ma purtroppo non lo possiamo fare, e non perché siamo a rischio anche noi, ma perché lui vede, sente, sa, e per quanto sia assurdo e terribile crescerà così, come tutti i bambini della sua età, e non possiamo fare nulla per impedirlo...-
La donna scoppiò in lacrime tra le braccia della figlia, che per farle forza si obbligò a stringerla e cacciare indietro la sua voglia di piangere.
Come se i ruoli si fossero invertiti.

****


- Più fastidiosi di posti di blocco e retate ci sono solo certi compagni.- Aveva detto una sera in via Gozzi Manlio a Chiara, Iris, Samuele e Agnese, la quale nel frattempo aveva assunto il nome di battaglia di Claudia.
Il gruppo si stava avvicinando irrimediabilmente a una rottura epocale, il capo banda lo sapeva e non poteva farci nulla.
Quella storia di Moro li aveva messi in un gioco molto più grande di loro, perché benché non avessero nulla a che fare né con il sequestro né con kle BR tutta la situazione del paese, in particolare quella della sinistra extraparlamentare, li costringeva a prendere decisioni a cui non avevano mai dato peso o minimamente pensato.
Già un paio di settimane dopo il rapimento si era consumata la prima scissione con un gruppo di quattro compagni guidati da Federico, tra i quali vi era anche Giulio, e che visto il dramma che si stava consumando si era chiamato fuori dal terrorismo a qualsiasi livello.
Manlio non aveva detto nulla, la loro non era una scelta facile ed era comprensibile che qualcuno, terminato l'entusiasmo iniziale, si tirasse indietro spaventato, ma Graziano non la pensava allo stesso modo, ed era seguito da tre o quattro altri compagni che viaggiavano su posizioni simili, quelli con cui presto si sarebbero fatti i conti.
Erano infatti convinti che proprio quello, così confusionario, fosse il momento propizio per fare il salto verso il terrorismo vero e proprio, su modello delle BR, forse anche entrando nell'organizzazione di fondazione Milanese.
- A' Manlio, lassali perde', nun te fa venì il fegato amaro pe' persone simili, tanto alla fine se vedrà chi davvero farà la rivoluzione e chi invece passerà la vita a guardare il solo a scacchi.- Gli disse Samuele girandosi uno spinello.
Già, la rivoluzione, pensò Manlio. Beato quel ragazzetto che ci credeva ancora, sul serio.
Lui no, lui aveva capito che erano in guerra, e al contrario di molti pensava che la guerra non potesse contenere al suo interno una rivoluzione, e bastava vedere la Russia per capirlo.
La verità era che la guerra aveva bisogno di eserciti, gli eserciti di generali e i generali di privilegi.
E siccome i generali di certo non venivano dal proletariato una volta finita la guerra avrebbero di certo voluto mantenere il loro status impedendo quindi di fatto la fine delle differenze di classe.
No, per lui la rivoluzione era un'altra cosa, qualcosa che partiva dal basso e si sviluppava nei cuori e nelle menti delle persone prima di tutto il resto, senza necessità di capi o generali, perché la scintilla sarebbe nata nei singoli, vero, ma tutti insieme.
A quel punto la rivoluzione, spontanea e forte, sarebbe stata vittoriosa, e l'approdo al comunismo vicino, privo anche del passaggio attraverso la “dittatura del proletariato”.
Perché secondo Manlio il termine stesso dittatura implicava l'esistenza di un nemico, ma l'unico nemico era la classe borghese, e quella sarebbe stata spazzata via già dalla rivoluzione.
Però era tutto ancora molto lontano, e lui stesso sapeva che loro per primi erano ben distanti dal poter fare la rivoluzione, un po' perché gerarchicamente organizzati, e quindi non del tutto comunisti, e un po' perché, appunto, immersi in una guerra.
Il compito che gli spettava, piuttosto, era risvegliare le coscienze e preparare il terreno.
- Graziano non mi è mai piaciuto, ha sempre avuto un modo di fare esageratamente provocatorio e questo, aldilà delle scelte che potrà fare, non lo porterà mai lontano.
A meno che lontano non sia un camposanto, perché prima o poi uno più grossi di lui lo beccherà e saranno cazzi suoi.- Concluse.
- Sì, ma te l'ho detto, davvero. Forse sarebbe meglio concentrarsi su di noi e su quello che vogliamo fare quando tutto questo sarà finito, no? Se poi Graziano vole fa' er matto fatti sua, quella è la porta!-
Fu l'ultimo commento serio di Samuele per quella sera prima che la canna iniziasse a svolgere il suo lavoro di tranquillante e, come diceva Manlio, rincoglionente.

****


lo strappo avvenne davvero, e fu circa dieci giorni dopo, di nuovo di sera, quando l'indole provocatoria di Graziano, che a volte pareva un fascista per come si poneva, si scatenò contro il resto del gruppo.
- Non me ne sto con le mani in mano mentre altri si danno da fare!- Aveva sentenziato urlando dopo che Manlio aveva ribadito, ancora una volta, le sue posizioni.
- Si danno da fare? Rapendo Moro? Ma lo vedi come lo stanno trattando i suoi?! Stai a vedè che alla Dc le Biere stanno a fa' un piacere, altro che attacco finale ar core dello stato, l'attacco – de core – je viene ad Andreotti se Moro torna vivo, te lo dico io.-
- Appunto! Per questo ti sto dicendo che abbiamo una grande opportunità, perché se è vero che come dici te le BR hanno sbagliato significa che sono troppo pochi e troppo stupidi, quindi hanno bisogno de 'na mano, no?-
- E che vorresti fare? Sparare a Cossiga? Azzoppare Craxi? Rapire Berlinguere e chiedere ai rapitori de Moro di farli incontrare e faje fa' il compromesso storico dalla prigione del popolo? Finirai ar gabbio molto prima de vede' anche solo da lontano le Brigate Rosse, fidate. Non è il momento.-
Graziano, però, non ci aveva visto più nel momento stesso in cui l'altro aveva parlato di galera, perché si poteva essere di idee e posizioni diverse, si poteva vedere in modo differente la faccenda di Moro, ma era impensabile che un compagno augurasse il gabbio ad un altro.
Lo sguardo del ragazzo si riempì di rabbia.
- Sai cosa c'è, Danilo?- E lo chiamò con il nome reale di proposito. - Che io mi auguro di finicce, ar gabbio, e soprattutto me auguro de incontravvece, perché a vedevve così me pare che ben presto farete la stessa fine de Federico e i suoi, altro che attendere per agire senza rischi; voi avete paura adesso e l'avrete quando 'sta storia de Moro sarà finita.
Speriamo di vederci davvero in galere, “compagni”.-
Pronunciò l'ultima parola con sdegno, quasi a volerli insultare neanche troppo velatamente.
Poi fece segno a chi la pensava come lui di seguirlo fuori e lasciò che la porta dietro di sé sbattesse forte, forse per far risuonare bene il suo astio verso quelli che fino a qualche minuto prima erano stati suoi compagni davvero.
Nell'appartamento erano rimasti gli stessi della sera in cui avevano previsto quella scissione, e Samuele, che stranamente non aveva toccato erba per tutta la giornata, si era alzato di scatto impugnando la sua pistola appena l'ultimo dei “cagnolini” di Graziano era uscito dietro al suo padrone, ma Manlio lo aveva immediatamente fermato con un gesto rapido.
- Lascia perdere, questa volta sono io che lo dico a te.-
- È un coglione, Ma', non so proprio come abbiamo fatto ad avere avuto a che fare con una testa di cazzo del genere.-
Ma l'altro scosse la testa. - Magari fosse un coglione, ci toglierebbe un sacco di problemi. In realtà quello è una testa fina, basta guardare come si è comportato poco fa: poteva venire qui con la voglia di fare a botte, stasera, o peggio di giocare al pistolero, invece ha solo parlato, convinto di riuscire a fregarci con la retorica.
Ah, se non fosse così facinoroso e attratto dalle armi, dal sangue e dall'illegalità sarebbe un ottimo politico.- Disse amaramente.
- Sì ma adesso noi cosa facciamo?- Domandò a quel punto Claudia, la più piccola tra loro.
Manlio squadrò i compagni rimasti; erano cinque lui compreso, e le donne vincevano per tre a due.
C'erano Claudia e Chiara, entrambe, bastava guardarle, decisamente fuoriluogo ma con la necessità di una vendetta diventata ormai questione di vita o di morte, che fosse la loro o quella di altri.
C'erano Iris e Samuele, che nella rivoluzione e in un futuro migliore ci credevano davvero, forse perché, lo si sapeva, erano compagni di vita prima ancora che di lotta, e chissà, magari speravano un giorno di avere dei bambini da crescere in un mondo diverso, più bello.
E poi c'era lui, il capo.
Non si era mai visto bene per quel ruolo, e se avesse potuto scegliere non lo avrebbe fatto.
Ma non c'erano state possibilità di scelta, per lui.
Per gli altri, invece...
- Io ho deciso, rimango della mia opinione, voi potete scegliere se seguire Graziano, scappare come ha fatto Federico oppure rimanere qui ad aspettare.- Disse tranquillamente.
Tanto lo sapevano tutti; prima o poi, in un modo o nell'altro, quella storia sarebbe dovuta finire.

****

E difatti finì poche settimane dopo, nel primo pomeriggio del nove di Maggio, quando il corpo di Aldo Moro fu ritrovato in un bagagliaio di una macchina parcheggiata nel centro di Roma.
Mentre Bruno Vespa dava la notizia Chiara era occupata con un esame universitario, Claudia tornava da scuola e Iris e Samuele erano insieme da qualche parte, forse intenti a scambiarsi piacere a vicenda.
Solo Manlio era alla base di via Gozzi, e lì rimase tutto il giorno, perché sapeva che i compagni sarebbero andati a cercarlo per chiedergli cosa fare a quel punto, e la sua risposta fu sempre e solo una; “Sparite, non venite qui intorno, non incontratevi tra di voi e non provate ad incontrare me. Ci vediamo tra un settimana esatta, sempre qui, la sera.
Tentante di esserci, se da lì a due giorni non avrà nessuna vostra notizia capirò che avete fatto un'altra scelta.”
Esattamente sette giorni dopo, la sera del martedì, quando furono certi che non ci sarebbero stati né la rivoluzione né un golpe, si rividero.
E c'erano tutti e cinque.


Note dell'autrice


So di essere in ritardissimo, ma da gennaio ad oggi ho fatto di tutto (viaggi, esami di maturità, pubblicazione di un libro).
Inoltre l'ispirazione andava e veniva – sigh -.
Questo capitolo parla da sé, abbiamo lo svolgersi del sequestro Moro e gli effetti che questo ha su chi vive vite regolari e chi, invece, si dà al terrorismo.
Come avevo preannunciato – I think – molti dei personaggi sono spariti, e vedremo ancora Pg andare e venire, per cui i principali, credo si capisca, sono i cinque rimasti, che come ho detto verranno chiamati quasi sempre con il nome di battaglia.
Niente, io proverò a fare il possibile per non tornare tra altri sette mesi, anche perché la storia dovrebbe contare – udite udite – CINQUANTA capitoli, e non posso metterci diciassette anni a finirla XD
Io abbraccio e bacio chiunque ancora segua questo farneticante racconto e alla prossima! :D


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