1942.

di helly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue. ***
Capitolo 2: *** Cap 1. ***
Capitolo 3: *** cap 2 ***



Capitolo 1
*** Prologue. ***







 
1942.
 
Essere o non essere...





Prologue.
Mossi i piedi freddi tra le lenzuola di flanella che mi avvolgevano, alla ricerca di un po’ di calore e magari anche un po’ di sonno. Erano circa quattro notti che non dormivo, e non sapevo neanche perché. Spesso mi interrogavo sulle sorti del mio destino, sperando di trovare una risposta che non vedesse termini come sangue o guerra, ma non ci era voluto poi tanto per capire che il mio era solo un sogno chiuso a chiave in un vecchio cassetto dimenticato dal mondo.
Quattro giorni prima d’oggi ero rientrato più tardi del solito, le quattro del mattino circa. Ero stato tutto il tempo in compagnia di amici in una vecchia bettola frequentata da persone non proprio raccomandabili, e se solo i miei lo avessero scoperto, sarei rimasto fottuto per almeno un mese. Mia madre e mio padre erano due persone in vista nell’alta società del mondo magico; i loro amici erano tutte persone colte e ben educate e quindi, fin da piccolo, si erano premurati di tramandarmi tutte le regole comportamentali che conoscevano. Un professore privato frequentava la mia casa, o meglio, la mia stanza per almeno quattro volte alla settimana. Con lui studiavo tutto, e quando dico tutto intendo dire anche quelle cose più banali di cui non frega a nessuno; come la matematica. I miei amici erano come me, ma noi a differenza degli adulti, apprendevamo, ma mettevamo in pratica ben poco di quella rigidità. La notte, io, Gerard Fitz, mi trasformavo in solo Gerard, e così anche tutti gli altri. Eravamo un gruppo di almeno sei ragazzi, tutti maschi ovviamente…perché nell’alta borghesia, le donne sono solo un bel soprammobile da portare dietro ad una festa; nessuno ha bisogno di loro se devi divertirti, insomma, quelle…le donne per divertirsi, le trovi sempre. Quella notte noi ne avevamo trovate ben tre nonostante fossimo rimasti solo in due, ma io e Laxus non ci eravamo mai creati problemi per una cosa così; avevamo soldi a sufficienza per offrire da bere anche a tutta la locanda, e una signorina in più che voleva farci compagnia non era di certo un problema. La prima parte della serata fu abbastanza monotona: i soliti drink, i coglioni ubriachi che si azzuffavano, la puzza d’alcol nell’aria e il fumo delle sigarette tra i capelli. Dopo la mezzanotte però, le cose sembrarono cambiare. Ci eravamo appartati con le ragazze, di cui neanche ricordo il nome, in un locale non poco distante da casa. Eravamo seduti su dei divanetti di stoffa bianca e loro ai cuscini avevano preferito le nostre cosce e noi le avevamo concesso tutto, anche qualche altro drink; tre se non sbaglio. Eravamo cotti, ubriachi e stanchi…forse neanche tanto vogliosi di scopare, ma quando la possibilità si presenta, si sa, un vero uomo non si tira mai indietro.
L’ultima volta che guardai l’orologio erano quasi le quattro e stavamo riaccompagnando a casa la più ubriaca del gruppo. Non riusciva a reggersi neanche in piedi e farfugliava roba in una lingua di cui solo lei ne conosceva l’esistenza. “Attento che non mi vomiti sui sedili cazzo!” la voce di Lax era così divertente quando celava quel velo d’ansia che chiunque sarebbe scoppiato a ridere, e così feci. Lui mi guardò male dicendo che mi avrebbe lasciato a piedi ed io risposi che non avevo paura. Avevo sempre i miei poteri, e mi sentivo indistruttibile. Inchiodò la macchina a pochi isolati dalla casa. Nessuno avrebbe dovuto vedere che eravamo noi a riaccompagnarla, così m’infilai la felpa nera e quando fui certo di essere ben coperto aprì lo sportello, tirai fuori la tipa e la lasci su un marciapiede. In macchina poi ci fu il silenzio; eravamo troppo stanchi anche per fumare, infatti mi addormentai, perché quando sentì la voce di Lax tracciarmi i timpani eravamo fuori casa mia. “Aiutami a controllare che non ci sia nulla, non posso rischiare!”. Suo padre era uno dei migliori amici del mio. Passavano intere giornate insieme a confabulare su cose che a noi non era concesso sapere, ma noi, da bravi figli educati quali credevano che fossimo, sapevamo tutto. Origliavamo le loro conversazioni anche a distanza e poi riunivamo le informazioni ottenendo così le risposte a tutte le nostre curiosità.
Uscì dall’auto nera e percorsi il vialetto di casa. Appoggiai la mano a pochi centimetri dalla serratura e la porta in meno di un attimo si aprì senza fare il minimo rumore. Sospirai notando che tutti dormivano. Camminai piano lungo il corridoio buio fino ad arrivare alle scale e dopo i primi passi notai una luce cupa provenire dallo studio di mio padre, allora tornai giù camminando in punta dei piedi e mi accostai alla porta socchiusa. Come avevo sospettato, lui era sveglio, ma non era solo. Nel silenzio della notte riuscì a distinguere due voci, una delle quali apparteneva sicuramente a Ivan Drayer. Mi accucciolai con le spalle attaccate al muro dello studio e restai basito dinanzi alle loro parole che improvvisamente mi riportarono alla realtà lasciando ormai alle spalle i fiumi d’alcol e le mille sigarette delle ore prima. Quando tutto finì corsi in camera, agitato, e provai a parlare telepaticamente con Laxus che fortunatamente era ancora sveglio; gli dissi che dovevamo vederci perché avevo novità. Pessime.
L’alba non tardò ad arrivare. Stavolta in casa dormivano davvero tutti e non solo lì. Anche le strade erano deserte alle sette del mattino, e nonostante avessi dormito nulla trovai la forza di alzarmi e arrivare fino ai giardini. Faceva freddo, dodici gradi più o meno; e Lax era seduto sula nostra solita panchina. Sentì il legno umido della notte entrare a contatto con la pelle nonostante i pantaloni.
“Si può sapere cosa succede?” mi guardai intorno e poi annuii…
“Ieri notte, tuo padre e mio padre parlavano di quella storia…” il suo sguardo s’incupì “Sei pazzo, non possiamo parlarne così per strada!” lo sentivo agitato e la voce gli tremava come un cellulare che vibra. Appoggiai la mano sulla sua coscia scuotendo la testa “Non c’è nessuno, rilassati!” fu lì che sbottò “rilassati un cazzo, Gerard!”. La sua impertinenza mi costrinse ad alzarmi di scatto per guardarlo negli occhi “Oh, sono io che parlo, al massimo il rischio è mio, quindi vedi di tacere e starmi a sentire!” sapevo che in quei momenti, l’importante, era prenderlo di petto; infatti dopo poco lo vidi tranquillizzarsi ed annuire “abbassa la voce però…” assecondai la sua richiesta e finalmente potei riprendere a raccontare…
“Li ho sentiti dire che lui ha deciso, che presto dovranno agire.”
“Cosa vuol dire agire? Sii più chiaro…hai detto di voler parlare, allora parla cazzo!”
“Ci sarà una guerra Laxus, una guerra per eliminare quella gente!”
“I mezzi maghi!”
“Sì”
“Che senso avrebbe…”
“Esisterebbe solo la razza pura, solo purosangue, solo noi…noi e gli umani…”
“Mah…continuo a non capire!”
“Anch’io, ma tu sai, noi siamo schierati con lui…”
Lui…è ridicolo che non ci sia concesso saperne nulla!”
“Lascia perdere, io non so se voglio sapere davvero! Comunque ho sentito tuo padre dire che tra cinque giorni si rinuirà il consiglio…dobbiamo esserci anche noi!”
“Sei pazzo Gerard? Noi non siamo ammessi, non ancora!”
“Non abbiamo mai fatto nulla senza il consenso forse?”
“Faremo la più grande cazzata della nostra vita!”
“Almeno la fermo insieme!”
Poi ci alzammo come se nulla fosse e ognuno prese la sua strada. Il martedì mattina Laxus aveva ripetizioni mentre io potevo passare la giornata a far quel che cazzo mi pareva, allora decisi di viziarmi iniziando con una dolce colazione.
A passo svelto, con le mani in tasca per evadere dal freddo ed evitare inutili geloni, mi diressi verso il bar più vicino. Era così buffo che vivessimo nello stesso mondo e nello stesso modo degli umani senza che loro sapessero nulla della nostra esistenza; spesso, mi divertivo a fingere d’essere uno di loro, per sfizio. Certo, ad esempio, se non fosse stato per la ragazza dei nei probabilmente ora non saprei dell’esistenza delle torte panna e cioccolato; non credo che le streghe come mia madre siano capaci di preparare roba simile.
Entrai nella caffetteria e presi posto al solito tavolino traballante, quello nell’angolo vicino al cartone decorato delle patatine in busta. Ormai avevo una vera e propria ossessione abitudinaria per quel posto; ci passavo almeno una volta al giorno e mi divertivo ad osservare la quotidianità delle persone, a stringere amicizia col personale e mangiare cose di cui fino a pochi mesi fa, prima che aprisse, non conoscevo neanche l’esistenza.
Ero intento a leggere le prime righe di un quotidiano locale quando sentì la voce di una ragazza rivolgersi a me in tono gentile. Sorpreso alzai lo sguardo e sorrisi “Dov’è finita la ragazza dei nei?” la vidi fissarmi come se le avessi chiesto se sulla luna fa caldo o freddo e infatti ci furono buoni secondi di silenzio imbarazzante in cui però mi soffermai ad osservarla. Aveva gli occhi scuri, un fisico ben scolpito sotto la divisa da barista e dei meravigliosi capelli scarlatti da cui non riuscivo a togliere lo sguardo. Non ne avevo mai visti così, prima d’ora. “Scusami, sono nuova e non conosco nessuna ragazza dei nei!” abassò lo sguardo quasi mortificata, facendomi sentire una vera merda “Non fa nulla, ragazza dai capelli rossi!” le sorrisi cercando di metterla a suo agio e fui ricambiato ben presto “Erza!” poi prese il block notes dalla tasca anteriore del grembiule “cosa ti porto?” appoggiai le dita sotto il mento per riflettere “tu cosa mi consigli?” amavo osservare i diversi gusti delle persone “torta panna e fragole!” sorrisi di nuovo ed annuii “perfetto, portami quella…ed un caffè…”.
Erza fu abbastanza rapida. Dopo circa cinque minuti era tutto lì sul mio tavolo, servito in modo impeccabile. La guardai per diverso tempo preparare tutto dietro il bancone e notai che lei, a differenza della ragazza dei nei era molto più casinista. In men che non si dica aveva accumulato un’ampia serie di tazzine sporche sul bancone ed ora faceva baruffa con una lavastoviglie troppo carica. Erza, mi faceva ridere; la ragazza dei nei a cui non mi ero mai sforzato di chiedere il nome, mi era indifferente.
Conclusi la mia colazione molto lentamente e quando non ne potetti più di restare lì seduto mi alzai e andai al bancone dove Erza stava riordinando le bustine di zucchero. “Allora, com’era la torta?” mi chiese con aria distratta mentre asciugava un bicchiere “davvero buona, grazie…” la fissai e lei dovette sentire il peso del mio sguardo perché smise di fare tutto e sospirò “sono contenta”. Erza aveva dei denti bianchissimi quasi più della sua pelle. “Quanto ti devo?” smorzai il silenzio “i-io…n-non lo so…” se tutti avrebbero pensato di essere presi in giro in quel momento, io no. Risi.
“come, non lo sai?”
“Davvero, insomma, se passi domani ti faccio trovare lo scontrino, scusa…” sussurrò imbarazzata.
“Ti fidi degli sconosciuti a prima vista?”
“Solo di quelli con gli occhi verdi!” ora mi prendeva anche in giro. Feci spallucce e girai le spalle “allora passo domani!” la salutai con un cenno della mano prima di tornare ai miei pensieri.
Iniziai a giocherellare con il serpentello d’argento che faceva da corredo alle chiavi di casa ma improvvisamente mi ritrovai scaraventato nell’angolino solitario nella retrovia del bar. Un pugno mi colpì all’addome e un altro in faccia. Non capivo nulla, ero stordito, confuso. Provavo a parlare ma una mano avanti la bocca me lo impediva “così impari a scoparti la mia puttana, stronzo!” fu lì che riconobbi la voce del mio aggressore e subito dopo un’altra “Ehi cosa fate lì? Basta!”.
Che figura di merda. Che epocale figura di merda, pensai. Quella era la voce di Erza e per la prima volta una donna mi stava salvando il culo. Prima che potesse arrivarmi l’ennesimo pugno mi si parò avanti “ti ho detto di smetterla!” alzai lo sguardo e la osservai fissare il tipo che sputò per terra e poi andò via dedicandomi l’ultima dose di figuraccia giornaliera “non finisce qui, Gerard!”. Non lo guardai nemmeno. Fu lei ad alzarmi il viso raccogliendo con un dito il rivolo di sangue che mi scendeva dal sopracciglio “Gerard, quindi…” annuii e basta ma lei continuò “ti sei fatto male?” scossi la testa “No!” in effetti, con un sopracciglio spaccato e piegato in due per i pugni allo stomaco, ero davvero credibile.
“Mi raccomando, da oggi fa il bravo, almeno fuori al mio bar!” ancora a prendermi per culo, guarda questa, pensai.
“Tranquilla, sceglierò un altro posto per spaccargli il culo!” la vidi ridere di nuovo e scostarsi da me “torno dentro, ma dovresti farti medicare, vieni…”avevo ancora un po’ d’orgoglio in corpo “No no, sto bene!” feci di nuovo per allontanarmi, e quella fu l’ultima volta che la vidi. Il giorno dopo tornai ma non c’era nessuno e il mio conto era già stato saldato.
Ora nel letto mi chiedevo chi abbia pagato quella torta e quel caffè e perché lei sia scomparsa. Per andare dove, poi? Per un attimo ebbi quasi paura che fosse la prima delle tante vittime di quella guerra ma poi mi ricordai che non era una strega e che per fortuna non era ancora iniziata. Mi chiedevo quante Erza sarò costretto ad uccidere tra poco e quante volte le mie mani si macchieranno dello stesso colore dei suoi capelli.
Mi ripeto che a diciott’anni non possono essere quelli i miei pensieri e provo ad addormentarmi pensando alla prima ragazza figa che mi viene in mente e…no, non è Erza, è solo la tipa della pubblicità del bagnoschiuma. Rido.







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Holaaaa! Shaaaalve, come va farytailers (?) passato buone vacanze? Io si, e tra un po', insomma qualche ora...me ne riparto per un weekenduccio in Puglia, ma prrrrima non potevo decidere di partire senza lasciarvi questa cosina qui che dorme nel mio pc da tipo una settimana.
Ero indecisina sull'idea di postarla poiché sarà una storia un po' particolare, non come le altre (non so se avete avuto il dispiacere di incontrare qualche mia shot sul vostro cammino xD) e potete notarlo fin da subito dagli avvertimenti decisamente "duri", inoltre voglio dirvi che non ne sono ancora sicura ma probabilmente il rating di questa long tenderà a salire fino al rosso, ma comunque vedremo.
Ci tengo a specificare che tutto quello che mi ha ispirata alla scrittura di tutto ciò non nasce -ovviamente- da un mio pensiero, ma semplicemente dalla rilettura e lo studio di alcuni momenti storci reali
(Mein Kampf- Adolf Hitler 1925) (Seconda Guerra Mondiale 1939-1942) che mi hanno portata a rivedere questa storia sotto un aspetto un po' diverso, ovvero il mondo magico che prova a ribellarsi all'idea di dover coinvivere con maghi non purosangue e umani.
Mi sembra giusto dire che data la delicatezza del tema non voglio offendere nessuno e per tale motivo cercherò di non sottovalutare nessun aspetto della storia rendendolo blando, conosco abbastanza da vicino l'argomento dato che il mio nonnino era in un campo, ma per fortuna adesso è qui con noi, so che tante altre persone non hanno avuto la stessa sorte e giuro che sarà una delle mie premure più grandi non toccare assolutamente il dolore altrui. Tutto ciò resta solo un'ispirazione creditata e non una vera e propria copia, quindi tranquilli non ci saranno campi di concentramento o roba varia, quello che tenevo a sottolineare era solo il concetto di "razza pura" espresso in quei tempi.
Ringrazio fin da subito tutte le persone che decideranno di seguire questo cammino con me. Cercherò di non deludervi, e non preoccupatevi, di certo, non mancheranno momenti amorosi <3 ahahah.
Fatemi sapere cosa ve ne pare, se vi va...e scusate per lo sproloquio su, ma volevo giustificare la mia scleta prima che potesse essere bocciata fin sal principio.

Vi lascio il mio Ask e facebook nel caso in cui vogliate farmi qualche domanda sulla storia o anche solo parlare un po' ti tutto ;)

Buona lettura.


Kisses & Huges.

helly



Ps: il titolo 1942 non è riferito al periodo storico della nostra guerra, ma è una cosa che scoprirete più avanti nei prossimi capitoli.



 

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Capitolo 2
*** Cap 1. ***








Cap 1.
Quella mattina sentii gli zoccoli di un cavallo pestare rumorosamente l’asfalto fuori di casa. Non aprii gli occhi, non lo vidi, ma sapevo di cosa si trattasse. Erano rare le volte in cui mio padre decideva di portare fuori dalla scuderia di famiglia il suo purosangue arabo; era bellissimo. Il suo manto nero dall’aspetto quasi vellutato aveva attratto la mia attenzione fin da quando avevo quattro anni… gli chiesi di insegnarmi a montarlo ma lui di tutto punto mi aveva allontanato e affidato alle mani di un’insegnante di equitazione per ben cinque anni. Adesso sapevo cavalcare bene, ma Black non avevo mai avuto il permesso neanche di accarezzarlo. Ogni volta che quel cavallo abbandonava il campo era solo ed esclusivamente per qualcosa di importante, qualcosa che adesso la mia mente immaginava essere un incontro al consiglio. Aprii lentamente un occhio quasi impaurito che ci fosse qualcuno in camera a controllare il mio sonno; quando mi resi conto che fosse solo una mia impressione posai gli occhi sulla sveglia appoggiata al televisore…erano le sei.
Lasciai scivolare la mano sotto il piumone e l’allungai verso il comodino per poter prendere il cellulare, tutto in rigoroso silenzio…quasi quasi neanche respiravo.
-L’aquila sta volando- era il modo in cui io e Lax ci scambiavamo messaggi quando si trattava di quella cosa; la sua risposta non tardò ad arrivare –allora gli uccellini dovrebbero scappare- questo era il modo per dirmi di seguirlo; allora come prestabilito mi alzai e mi vestii con degli abiti scuri così da passare inosservato. Dopo essermi accertato che mia madre dormisse ancora uscii da casa e percorsi il solito vialetto solitario che precedeva quello del mio giardino…all’angolo, dietro un pino selvatico, c’era Laxus vestito nel mio stesso modo. Non parlammo. Gli feci un cenno col capo, alzai il cappuccio e camminammo in silenzio per tutto il tempo finché alla nostra sinistra dopo circa mezz’ora di strada incontrammo il fatidico passaggio segreto.
Ne avevo sentito parlare, ma non mi era mai capitato di vederne uno prima d’ora. I maghi come mio padre lo chiamavano “book crossing” ma a me suonava strano, perché essendo cresciuto tra gli umani quella parola aveva tutto un altro significato. Scrollai le spalle fermandomi avanti ad un leggio di legno scuro su cui erano appoggiati tre libri: uno di fare storico, uno di cucina e infine quello romantico. Non so cosa avesse di romantico un consiglio oscuro, ma sapevo con precisione che il libro giusto fosse quello.
“Ne sei sicuro?”
“Fidati.”
Aprii il libro alla pagina ventisette che si sarebbe autonomamente collegata al ventisettesimo distretto, appoggiai la mano sulla carta bianca e indicai a Laxus di fare lo stesso. Nel momento in cui le nostre mani si congiunsero un lampo di luce ci avvolse e in meno di un secondo, almeno così mi parve, ci ritrovammo in tutt’altro luogo.
La libreria di Hall Street era scomparsa, adesso eravamo in un vicolo. Il cielo non era più azzurro ma cupo e nuvoloso. I palazzi non erano più quelli soliti ma semplici baracche dall’aria abbandonata. Alzai lo sguardo e lessi con piacere il numero ventisette d’un nero scambiato sul marmo grigio e sorrisi soddisfatto ma Laxus fece prima di me ad esternare tutta la meraviglia di quella magia.
“Cazzo! Che figata Gerard!”
Annuii convinto; in effetti se non fossimo stati lì per scoprire qualcosa di esageratamente devastante, adesso sarei esaltato per tutto ciò.
L’entusiasmo iniziale, però, svanì subito. In men che non si dica nelle nostre menti prevalse l’idea che da quel punto in cui eravamo fermi non sapevamo come muoverci. Con la mente provai a ripercorrere tutte le parole e i gesti di mio padre, alla disperata ricerca di anche un solo indizio che potesse aiutarci…ma nulla. Intanto i minuti sull’orologio scorrevano e l’idea di restare all’oscuro di tutte le parole che sarebbero venute fuori in quella maledetta stanza, mi lasciava senza battiti cardiaci. Diedi un calcio alla parete bianca lasciando che l’intonaco venisse giù mentre la macchia nera della suola della scarpa restava impressa sul resto della pittura.
Quando tutto sembrava perso, finito, andato a farsi fottere…Laxus mi diede una gomitata facendomi guizzare gli occhi su un tipo che passava all’altro lato del marciapiede. Aveva un mantello nero e il volto coperto dal cappuccio; ma una cosa raccolse la nostra curiosità trasformandola quasi subito in vero e puro interesse: un anello al dito medio. Tutti i membri del consiglio ne avevano uno e ognuno era diverso per il colore della pietra e l’animale raffigurato sulla placca centrale in oro bianco. Laxus anni fa mi aveva raccontato che quegli anelli erano personali, che ti davano il libero accesso al consiglio, a tutte le loro proprietà, le agevolazioni…e che infine quando il proprietario decideva di uscirne o nel peggiore dei casi, moriva, l’anello veniva spaccato in due con un grosso martello e mai più riprodotto.
“dobbiamo seguirlo!” l’impercettibile sussurro di Lax arrivò al mio orecchio in modo preciso e mi scosse dai pensieri in cui mi ero immerso…così seguii le sue istruzioni e a distanza di qualche metro da lui iniziammo a pedinarlo. Camminavamo lenti fingendo di guardare roba al cellulare e distrattamente gli lanciavamo sguardi per tenerlo sempre sotto controllo.
Quando ci fermammo eravamo in prossimità di una chiesa. Ci guardammo bloccandoci su una gradinata isolata.
“Cosa fa?” sussurrai.
“Entra in chiesa!” a quel punto pensai che avessimo sbagliato tutto e che quelle fossero solo fottutissime coincidenze che null’altro avevano fatto che allontanarci dal nostro interesse, o magari, perché no…dovevano averci scoperto e mandato qualcuno per distrarci; e se così fosse stato eravamo nei guai.
Per un attimo rimasi immobile terrorizzato dall’idea di sentire le mani punitive di mio padre sul corpo.
“Entriamo!” alzai lo sguardo incrociando i suoi occhi ormai assetati d’eccitazione. Era fatto così, lui. Da quando lo conoscevo aveva sempre fatto così…all’inizio cercava di restarne fuori, quasi come se ti implorasse di non chiedergli di mettersi nei casini, ma poi, puntualmente si lasciava coinvolgere e quando c’era dentro…non riusciva mai a tirarsi indietro; era la sua testa di cazzo a comandarlo.
Fatto sta, nonostante tutto che decisi di seguirlo e fare come diceva. Fu così che ci trovammo nell’ingresso buio e silenzioso della chiesa. I dipinti sembravano osservarci e mi sentivo a disagio sotto gli occhi di quelle statue di santi che in quel momento avrebbero dovuto fulminarci dato quello che stavamo facendo.
“Andiamo lì…”
“Bel senso d’osservazione Drayer!” c’era una piccola porticina dietro della stoffa rossa; doveva averla notata dalla maniglia scoperta. Cercammo di essere il meno invadenti possibili. Stavamo violando il codice della chiesa e per quello che ne sapevamo il tizio che avevamo seguito poteva essere un prete a tutti gli effetti.
Dietro la porta non trovammo nulla…solo polvere. La sacrestia era vuota, come se non fosse utilizzata da anni. Era impressionante come la facciata fosse diversa dall’interno. Mi avvicinai all’unica cosa presente…una botola sotterranea che doveva portare alla cantina. Fissai Laxus indeciso sul da farsi e lui intese subito il mio pensiero, infatti si avvicinò “siamo sulla strada giusta, me lo sento!” sogghignai aprendo.
Sotto la porticina in  legno c’era una scala a chiocciola buia, ma a differenza di tutto il resto non sembrava esserci polvere; qualcuno doveva esserci passato da poco. Arrivammo fin giù…erano solo sei gradini alla fine dei quali non c’era altro che profondo buio.
“Shhhhh” mi voltai osservando i lineamenti di Laxus illuminati dalla luce fioca dell’accendino “ascolta” ascoltai. Un brusio soffuso si diffuse rapido tra le mura. Ad un tratto ebbi paura.
“Andiamo lì…” seguii il suo dito che indicava un cunicolo in pietra. Non riuscivamo a stare in piedi lì quindi lo percorremmo in ginocchia fino ad una porta, l’unica.
“Ma mi permetta di dirle, mio signore, che in alcun modo sarebbe sicuro uscire fin da ora allo scoperto! L’esercito di maghi non è ancora al completo e se la voce si spargesse potrebbero nascere nuove forze e alleanze alle nostre spalle!”
“Permettimi di aggiungere però, Baxter, che noi siamo dei purosangue e nulla abbiamo da temere contro delle stupide bacchette di legno”
La voce di Ivan Drayer risuonò sicura fino alle spalle della porta dietro la quale eravamo nascosti.  Adesso non avevo più dubbi, ciò che avevamo capito era corretto.
Fin dall’infanzia i nostri genitori si erano premurati di classificare le stirpi di maghi secondo due canoni precisi: i purosangue e non. In passato tutti coloro che facevano parte del mondo magico avevano l’obbligo di sposare un loro simile, poi quando la sicurezza dei maghi fu messa a rischio dalla presenza degli umani, il consiglio decise che per espiare questo problema la soluzione adatta sarebbe stata quella di unire i due mondi vivendo così una vita di mezzo. Ovviamente tutto ciò non fu ben accolto da tutti.
I sostenitori della razza pura si opposero sostenendo la tesi che un’unione avrebbe portato a una sicura fusione tra le due razze, poiché era impossibile provare ad evitare ogni tentativo d’approccio con gli uomini dal momento in cui eravamo stati noi ad invadere i loro terreni, e ancor di più perché ci tenevamo a restare nel nostro anonimato…presentandoci al mondo intero come “loro simili”.
Questo è il motivo per cui, io, oggi mi ritrovo a vivere in un quartiere abitato perlopiù da umani, la maggior parte dei miei amici sono umani e anch’io credevo di esserlo, fino al giorno del mio quinto compleanno.
 
 
Ricordo perfettamente il sole che c’era quel mattino sul mio letto. Mia madre mi venne a svegliare come suo solito e mi portò giù per la colazione, lì ci raggiunse mio padre e da quel momento tutte le certezze vennero meno.
Mi spiegò chi ero davvero.
“Viene definito mago di razza pura chiunque abbia entrambe i genitori maghi, Gerard; se uno di questi invece fosse un umano… la “purezza” della magia trasmessa non sarebbe più perfetta, quella da dover preservare nel tempo.”
Il pomeriggio conobbi Laxus Drayer, mago purosangue, e da quel momento divenimmo inseparabili.
Spesso mi domandavo il motivo di questa distinzione tra maghi, calcolando che da bambino per me era già difficile accettare di essere uno di quelli di cui si legge nelle favole…così curioso com’ero, in un pomeriggio di studio in biblioteca approfondii le mie ricerche, ma a differenza di quello che chiunque si sarebbe aspettato, non ho trovato la risposta nei libri, ma in una ragazza. I suoi capelli profumavano di gelsomini selvatici e ne avevano lo stesso colore, bianchi. Era seduta a pochi passi da me e i nostri sguardi s’incrociarono per non più di un secondo. Si chiamava Mirajane e mentre tutti la chiamavano Mira…io, per fare il figo la chiamavo Jane.
“Ti presento Jane, Laxus!”
“Finalmente ti conosco, Jane!”
Non mi resi neanche conto di quello che avevo fatto. Avevo presentato al mio miglior amico il suo peggior incubo.
In quel preciso giorno segnai la vita di Laxus senza esserne consapevole.
Quando qualche mese dopo rientrammo a casa sua per cena… entusiasti, raccontammo della biblioteca, degli studi che procedevano perfettamente, delle nuove amicizie e lui raccontò di Mirajane che ormai frequentava da un po’. Lo sguardo di suo padre si trasformò nel momento preciso in cui Laxus pronunciò il cognome Strauss…e la cena si concluse lì, bruscamente…
“tu non vedrai mai più quella ragazza Laxus! Sta alla larga da lei, è solo…feccia!”.
Quello fu il giorno in cui per la prima volta spiammo i nostri genitori.
Lax aveva bisogno di sapere perché non potesse più vedere e parlare con l’unica ragazza che era riuscita a dargli qualcosa, ed io volevo aiutarlo, perché vederlo star male, di riflesso, faceva star male anche me.
“La sua famiglia non è pura, sai come sono questi, cercano di migliorare i loro status sociali riempendo di frottole le teste dei nostri figli, il loro scopo è quello di manipolarli per entrare a far parte della nostra categoria e intanto ci infestano il sangue, rovinano la nostra nomea e la nostra stirpe. Non permetterò che accada questo a mio figlio!”.
Sono sicuro che fu quello il momento in cui il cuore di Lax cessò di essere un cuore e si trasformò in pietra, rendendolo il ragazzo frivolo e bastardo di adesso.


Dietro quella porta continuavo a chiedermi cosa ci fosse di tanto sbagliato dietro l’amore tra umani e maghi, inevitabile dal momento in cui eravamo stati accolti nel loro mondo, e se non ci fossero stati quei principi radicati nella mia mente già da prima che potessi essere capace di pensare con la mia testa, probabilmente avrei fatto irruzione lì dentro e gliene avrei dette quattro assumendomi tutte le responsabilità del mio gesto.
“Ci saranno dei morti, Gerard!”
“Non saremo noi, Laxus!”
Ma mi resi conto che quei concetti, per quanto terribili, facevano parte di me.

 
 
 





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Taaaaaaadaaaaaan welcome back babies con questo capitolo schifetto che rivedrò sicuramente in questi giorni poiché non mi soddisfa. Ho cercato di svelare qualcosa sul principio di razza purosangue che ha il consiglio, e spero di non aver fatto un gran casino, dato che volevo dirvi qualcosa ma nello stesso tempo non tutto xD C'è ancora molto da scoprire, infatti siamo solo al primo capitolo ahahah
Ragazzi dovete credermi, le vostre recensioni così belle mi hanno entusiasmata e morivo dalla voglia di postare questo prima capitolo, ma come ho già detto a voi privatamente e lo ripeto anche qui, proprio poiché la storia è particolare richiede davvero molto impegno e quindi me la prendo un po' comoda per i capitoli, anche per non farvi leggere dei veri e propri obrobri, nonostante tutto però e anche l'imminente inizio della scuola AIUTOOOOOOO prometto di aggiornare almeno una volta a settimana. Spero di non deludervi.
Detto ciò veniamo al capitolo :)
Duuuuuuunque allora xD da dove iniziamo? Dalla bastardaggine di codesti genitori o dall'accenno di LaxusxMirajane? 
Abbiamo scoperto che Mira non è una purosangue e che frequentava Laxus prima che suo padre gli impedisse qualunque tipo di contatto con lei e da quelle poche paroline che dice Ger si capisce che Lax provava qualcoa per la dolce Mira e che da quel momento è un po' cambiato, ovviamente nei prossimi capitoli vedremo come. Intanto, che fine credete abbia fatto Mira? Credete che c'entri qualcosa Ivan Drayer? *coff coff* vedremo ahahah xD
poi c'è Gerard che ammetto, ancora confonde le idee...non si capisce se è un dolce cucciolino alla scoperta dell'amore, oppure un adoVabile figo che si crede Dio solo perché ha una madre e un padre maghi bà. Scopriremo anche questo più avanti, ma intanto voiiiiiii deliziatemi con le vostre domande e le vostre idee che sono sempre felice di leggere ** mi avete chiesto se ci saranno altri personaggi di FT nella storia e vi do la risposta...ovviamente SI tutti i personaggi saranno di ft, anche il capo delle menti malate del consiglio. Secondo voi, chi sarà mai? *ghigna*
Ah poi ho un'ultima cosa da dirvi LOL si lo so oggi ho esagerato con le NDA, ma...pensavo...mi era venuto in mente di creare una raccolta spin-off in cui integrare i momenti salienti della storia che qui sono un po' trascurati es: la conoscenza tra Lax e Mira e altri che ne verranno, in modo da darvi un punto più chiaro della situazione e magari potrebbe aiutarvi a conoscere meglio i personaggi. Ovviamente è una decisione che spetta a voi. Per quanto ami scrivere, di certo non voglio massacrarvi di storie che non vi va di leggere, quindi fatevi avanti e ditemi cosa ne pensate di questa idea, e magari se ci sono punti su cui vorreste maggiori approfondimenti, ditemelo che provvedo **
Con questo vi lascio.
Buona scuola a tutti voi adoVabili che iniziate domani e a chi ha già iniziato. Infine un grazie infinito a tutti quelli che hanno messo la storia tra le preferite, seguite e ricordate e a chi con tanto amore ha deciso e deciderà di lasciarmi un parere. Siete degli angeli e mi fate venir voglia di dare il meglio di me...Grazie.
 
Vi lascio il mio Ask e facebook nel caso in cui vogliate farmi qualche domanda sulla storia o anche solo parlare un po' di tutto ;)


Bacio.

Chiara







 

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Capitolo 3
*** cap 2 ***









Cap2.
Il giovedì mattina c’era il mercato in città. Le urla dei commercianti che provavano a vendere ogni tipo di merce riempivano le vie del centro e le mura delle case vicine; ma casa mia quel giorno era troppo incasinata per udire il prezzo delle cipolle o dell’ultimo modello di jeans a vita bassa. Mia madre si era svegliata presto ma non sembrava essere di buon umore; dalla cucina aleggiava uno strano odore di bruciato che mi aveva solleticato il naso fin dalle prime ore del giorno. Scesi le scale con la stessa lentezza di una lumaca sulla sabbia, avevo ancora sonno anche se ero abituato ai bruschi risvegli che mi regalava la straziante cucina di mamma…quelle rare volte che ci provava.
Quando arrivai alla fine delle scale, vidi la sua sagoma affacciarsi sulla porta e sorridermi “Gerard, ti dispiace far colazione fuori?” mi lasciò un bacio sulla fronte e senza neanche aspettare la risposta si dissolse nei fumi della stanza alle sue spalle.
Il tempo sembrava promettere bene, non per altro avevo indossato un semplice maglione di filo blue con dei jeans stretti e mi ero recato al mio adorato bar. Il posto era sempre lo stesso. Il mio; ed anche la ragazza dei nei era ricomparsa dietro il bancone bianco, ed ora mi sorrideva intenta a portarmi il menù…
“crostata di frutta o cheesecake al mirtillo? Beh non c’è una gran scelta, oggi…” lei si strinse nelle spalle con lo sguardo di un agnellino sotto il tiro di un fucile “m-mi dispiace, Gerard…è tutto qui!” sospirai sorridendole “sì…ma sta tranquilla eh, non è mica colpa tua!” lei annuì e andò via sparendo dietro la tenda azzurra che dava sul laboratorio di pasticceria. Poi, mentre ero intento a scegliere il mio caffè nella lunga lista di “caffè speciali” la vidi riavvicinarsi. “Mi dicono dalla cucina che c’è anche una panna e fragole, è appena uscita dal frigo, è freschissima...”.
Panna e fragole, panna e fragole…Panna. E . Fragole. Dove l’avevo già sentita? Riflessi…per ricordarmi poco dopo che si trattava della stessa torta che mi aveva offerto la bella ragazza dai capelli rossi, in questo stesso bar “vada per quella!”. Quando restai solo continuai a pensarla e le domande che mi ero posto su di lei tornarono a farmi visita; così quando Marie tornò per sopperire finalmente al mio bisogno di cibo…la invitai a sedersi e farmi compagnia. Lei accettò di buon grado anche se di tanto in tanto lanciava occhiatine verso la porta per accertarsi che il suo capo non la trovasse lì a ciarlare col primo fighetto di turno.
“Allora, com’è?” quella domanda familiare suonò bene sulle sue labbra, ma non come su quelle rosse e delicate dell’altra ragazza, Erza…sì, Erza…
“Davvero ottima, anche se credo di averla già mangiata!” il suo sguardo si fece carico di meraviglia.
“Oh ne sei sicuro? Siamo i primi a farla nel quartiere, questa ricetta… è antica!” sorrise fiera, neanche come se la ricetta fosse stata sua.
“Infatti è qui che l’ho assaggiata!” sogghignai per sorprenderla ancora di più “Me l’ha fatta provare Erza!”
“E-Erza?” abbozzò un sorriso così rapido che i miei occhi neanche riuscirono a coglierlo. Cos’avevo detto stavolta? Mi stavo quasi meravigliando di me, per come con due semplici frasi fossi riuscito a sorprendere una ragazza. A questi livelli di certo non avrei faticato a trovarmi una scopamica degna di nota.
“Sì, la ragazza con i capelli rossi…immagino che tu la conosca!”
“Sì, è la figlia del proprietario!”
Cosa? Adesso ero io ad essere meravigliato. Probabilmente se ci fosse stato uno specchio a riflettere il mio sguardo sarebbe stato molto simile a quello di un bambino che scopre che babbo natale non esiste e che gli adulti sono solo dei coglioni rompi palle che l’hanno preso il culo. Erza mi aveva preso per culo. Mi aveva detto di essere nuova e di non conoscere nessuno.
“La ricetta della torta…” continuò “…infatti è di sua nonna!”
“Della madre del proprietario, quindi!” aggiunsi…
“Sì, è stata proprio Erza a portarla qui…” mi sorrise ed io cercai di fare lo stesso incrociando il suo sguardo docile “la ricetta intendo!” rise “purtroppo la nonna è stata male pochi giorni fa e lei è andata fuori città per starle vicino. Sai…vive a Camden town, è crescuta lì…e il desiderio della signora Shell era proprio quello di passare gli ultimi giorni con la sua nipotina!”
“Sta morendo?” sussurrai pieno di collera, come se quella nonnina dalle mani fatate fosse anche un po’ la mia.
“Sì”.
A ora di pranzo non avevo fame. La torta mi aveva saziato ma forse le scoperte sulla bella ragazza scarlatta avevano aiutato l’imminente chiusura del mio stomaco. Feci un giro tra i giardini ormai colorati dalle sfumature autunnali. Se non fosse stato per le piogge credo che l’autunno sarebbe stata la mia stagione preferita. Mi rappresentava. Le foglie che cadono per dar spazio alle nuove, il fresco, i maglioni, gli stivaletti di pelle, le strade umide…io mi sentivo tutto quello…mi sentivo la via di mezzo tra quello che ero e quello che invece rappresentavo, come il passaggio dall’estate all’inverno.
Su una panchina, non troppo lontana dal solito chiosco delle bibite…c’era Laxus.
Studiai la sua posa mentre camminavo lentamente verso di lui, lasciando che il freddo iniziasse a pizzicarmi la pelle pallida senza barba. Fissava il legno su cui era seduto e sembrava accarezzarne i tratti rovinati dal tempo e dai coltellini con cui di solito i ragazzi usano intagliare la corteccia. Restai a fissarlo anche quando fui più vicino e lui non se ne accorse.
“Oh…potevi anche chiamarmi per un giro eh!”
All’inizio non alzò neanche lo sguardo. Forse pensava che non stessi parlando con lui…poi lo scossi per la spalla imponendogli di guardarmi. Laxus era spento; avvolto da un’ombra buia sotto gli occhi “potevi farlo anche tu!”.
Lasciò di nuovo che il mio sguardo fissasse la sua nuca e allora tornai a guardarmi intorno distratto. Le case, le persone, i cani che correvano e i padroni che urlavano…la sua mano che continuava ad accarezzare qualcosa di non più tanto incomprensibile.
“Cosa fai Laxus…” cercai di essere il più soave possibile ma non mi riuscì poi tanto bene.
“Nulla di importante Gerard, non rompermi le palle!”
“è importante invece…” sussurrai “è una M quella?” lanciai un’occhiata alla lettera impressa sulla panchina “stai accarezzando una M!” finii.
“Ah davvero?” scostò la mano mentre si alzava di scatto per lasciarmi lì da solo “non me n’ero neanche accorto e no, io non accarezzo un cazzo, neanche cani, gatti o puttane!”
Avanzai verso di lui per fermarlo dalla sua corsa contro il nulla…urlai delle scuse ad una signora che aveva rischiato di cadere per lo scontro con Laxus, superai il chiosco da cui proveniva odore di spremuta d’arancia, saltai sulla fontanella vicino al parco giochi bagnandomi una parte dei jeans e poi finalmente mi fermai, quando lui si fermò sulla sabbia per i castelli dei bambini.
“Cazzo Laxus!” sussurrai affannato, piegandomi a mezzo busto e appoggiando le mani sulle ginocchia “cosa cazzo ti prende?”.
Si voltò rivolgendomi finalmente uno sguardo. Aveva gli occhi rossi, le guance rosse. Mi avvicinai e sentii la fatica che faceva per respirare. All’unisono i nostri fiati si unirono in una sinfonia stonata nell’aria. Restai a guardarlo con le labbra schiuse mentre spostavo una ciocca di capelli dalla fronte sudata.
“Ma cosa cazzo vuoi oggi da me, Gerard?”
“era per Mirajane?”
“vaffanculo!” si voltò di spalle e lo afferrai per il braccio per non farlo più fuggire.
“pensavi a lei?” quando tornò a guardarmi fu solo per darmi un pugno che incassai in pieno viso.
“cazzo fai?” gliene diedi uno anch’io “sei impazzito? Stronzo!”, colpendolo sul lato destro della mascella. Lui si massaggiò e poi tornò ad inveire contro di me con altri pugni. Feci lo stesso. Non so per quanto tempo restammo a regalarci sberle nel luogo sacro dei bambini.
Le madri ci guardavano sconvolte allontanando i loro figli spaventati e in lacrime. Mia madre non l’aveva mai fatto con me, o almeno, non lo ricordavo.
Ci lasciammo cadere nella sabbia…ma tra il sudore, il sangue e i granelli che si attacavano al nostro corpo in seguito ad ogni minimo movimento, allungai la mano verso il suo petto. Si alzava e abbassava aritmico.
“Laxus…” tossicchiai polvere “era per Mirajane?” chiusi gli occhi.
“vaffanculo!”
“vaffanculo tu!” sorrisi piano, e doveva essere un sorriso di merda dato lo spacco sanguinante del labbro superiore.
Quando riaprii gli occhi era quasi buio. Mi voltai immediatamente all’altro lato per vedere che fine avesse fatto Laxus e sorrisi nel vederlo lì accanto a me a dormire. Avevamo dormito lì, come due idioti che poche ore prima si erano presi a botte nella polvere e ora ne riportavano i segni. Banale… come tutto fosse accaduto in un recinto dove di solito ci si diverte.
Mossi il collo intorpidito facendo per alzarmi e mettermi seduto. “Lax” sussurrai per svegliarlo toccandogli la spalla. Lui aprì l’occhio destro, subito. “Non dormivi?” corrugai le sopracciglia.
“No!”
“Allora perché sei rimasto qui tutto il tempo?”
“Per accertarmi che non fossi morto!” ghignò.
“Sta zitto va!” risi mentre entrambi facevamo per alzarci.
Silenziosamente andammo verso casa. Le ferite sulle pelle bruciavano a contatto con gli abiti ma nonostante tutto capii che era passato, che nessuno ce l’aveva più con nessuno…anche perché non ricordavo nemmeno più perché eravamo finiti così. Ma infondo l’amicizia è questo. Prendersi a parole, sberle…anche fino al mattino successivo. Ma per far pace basta uno sguardo. E no non me l’aveva insegnato una dolce nonnina come quella di Erza, ma Laxus.
Gli ultimi metri prima di raggiungere casa mia li percorremmo sotto una docile pioggia che neanche sembrava bagnarci, e ne avremmo avuto bisogno dato il modo indegno in cui eravamo ridotti; se mio padre mi avesse visto in quello stato…mi avrebbe dato del barbone. Sicuro.
Mi scrollai appena un po’ di dosso la sabbia anche se la maggior parte non riuscì a venir via, poi lui si avvicinò e mi aiutò a pulirmi ed io feci lo stesso. Il silenzio però rimase incessante. Non sapevo se salutarlo; magari lo avrebbe infastidito. Avevo capito che non era giornata per lui, ma tutti abbiamo quei merdosissimi giorni no. Insomma, chi è così perfetto al punto da uscire di casa ogni giorno con un super sorriso? Io no di certo, quindi non potevo pretendere che lo fosse il mio amico, sennò avrei fatto meglio a scegliermi un robot.
Appoggiai il dito sul campanello aspettando che la domestica aprisse e gli lanciai un ultimo sguardo mentre faceva per andarsene dal vialetto. Si fermò giusto in punta, sulla soglia del cancello nero di ferro battuto “era il suo compleanno, oggi.” sussurrò, e il cuore mi morì in gola. Di nuovo.
Laxus non mi aveva mai parlato dell’improvvisa scomparsa di Mirajane; ad essere sincero credo che non ne sapesse poi molto anche lui. L’unica volta che avevamo toccato l’argomento lui aveva detto qualcosa come “Mira è morta, punto!”. Non so quanto quell’affermazione fosse vera, ma nell’ultimo periodo temevo che lui ci credesse realmente.
In casa il cattivo odore si era dissolto e adesso regnava la solita quiete. Corsi in bagno alla disperata cattura della vasca da bagno, sperando che nessuno mi avesse sentito. Aprii l’acqua e iniziai a lavarmi il viso col sapone, poi abbassando lo sguardo notai delle macchie di sangue nel lavandino bianco. Inizialmente temei che fossero le mie, poi controllai meglio passandoci su il dito e capii che era sangue secco. Senza usare l’acqua presi l’asciugamano e mi tolsi il sapone dal viso. Guardandomi intorno cercai disperatamente mia madre, mio padre o una risposta che non tardò ad arrivare quando fece breccia nel mio orecchio un brusio sommesso.
“Gli idioti muoiono, non prenderla male, cara!”
“Ma Baxter era un vecchio amico di famiglia, sarà difficile abituarsi alla sua assenza!”
Ero troppo vicino alla porta quando mio padre la aprì trovandomi fuori, così finsi di osservare un quadro, sperando che non notasse la mia mise orripilante.
“Gerard! Cosa ci fai qui?”
“Credevo che il bagno fosse occupato dato che era sporco e allora perdevo tempo…”
“oh sì figliolo, ho ucciso un toro oggi…a caccia!” lo scintillio nei suoi occhi mi fece vibrare di paura quando il mio cervello collegò il toro a Baxter e di conseguenza all’unico uomo che al consiglio aveva avuto il coraggio di ribellarsi.
 
 
 
 
Erza.
Mia nonna non era mai stata più bella di allora. I capelli bianchi che sotto il riflesso della notte apparivano quasi biondo platino la facevano sembrare ancora giovane, il suo viso non era scavato da impressionanti rughe ma la sua espressione era morbida, e l’accompagnava in un sonno lieve. Le accarezzai il volto sperando di non perderla mai.
Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato questo momento, ma in cuor mio avevo sempre sperato che accadesse qualcosa di magico che le impedisse di morire. Non ero più una bambina, quella dolce e spensierata che lei aveva deciso di prendere sotto la sua ala protettrice, ma amavo ancora pensare come se lo fossi.
Tutti quei pensieri mi stavano mandando in fumo il cervello, vederla in quello stato mi bruciava il cuore ma provavo ad essere forte…per lei, lei che aveva voluto solo me accanto.
Quando fui certa che dormisse presi la macchina e guidai lungo la strada che portava al centro della città. Non avevo una meta, non sapevo dove fossi realmente diretta e neanche cosa avrei incontrato sul mio cammino: sapevo solo che volevo fuggire da quella realtà così dura per chi aveva passato poco tempo con la persona che più amava.
Strinsi forte gli occhi e allo stesso modo le mani sul manubrio. Al km trecentoquarantadue la macchina aveva deciso di fermarsi, abbandonandomi nella solitudine di una strada di periferia.
“Diavolo!” sospirai.
Ripensai alla nonna e al suo più grande consiglio “non perderti mai d’animo, bambina mia!”. Non lo feci. Non le avrei disobbedito proprio ora che stava per abbandonarmi.
Nonostante il buio percorsi la strada vedendo in lontananza una fioca insegna luminosa. Sperai con tutta me stessa che fosse una pompa di benzina ma invece era solo un bar. Sempre meglio di nulla, mi ripetei.
All’interno la situazione non era molto diversa. Luci soffuse, ambiente misto con solo due o tre clienti, un barista troppo sfacciato per i miei gusti dava fastidio all’unica ragazza del locale. Mi avvicinai a loro fingendo di conoscerla “scusa ma questo posto dovrebbe essere mio!”.
Il tipo barbuto mi fissò a lungo prima di alzarsi “ciao allora, dolcezza!” ammiccò e mi fece abbastanza schifo; lei non rispose. Mi sedetti di fronte ai suoi occhi azzurri per concludere la commedia.
Sul tavolino di plastica bianca c’era un muffin al cioccolato con su una candelina accesa.
“Non dirmi che…” lei scosse la testa prima che potessi finire di parlare. Tirai un sospiro di sollievo nel capire che quello non era il suo uomo, allora tornai a sorridere.
“Grazie…” socchiusi gli occhi per quanto fosse bello il tono della sua voce. Era romantico, tranquillo. Ciò che mi mancava da un po’.
“ti va un po’ di muffin?” aggiunse “oggi è il mio compleanno!” anche il suo sorriso era dolce, eppure era sola.
 









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Hello word! Se vi chiedevate se fossi morta... la risposta è NO! ahhaha stavo solo lavorando a questo capitolino che mi ha preso un po' più degli altri xD suvvia, guardate quante cose avete scoperto :) poi non per nulla, questo cap è più lungo degli altri e come ultima cosa, non per importanza, per la prima volta abbiamo anche visto il pov di Erza che mi ha messa parecchio in crisi. Comunque spero di riuscire a sfruttare presto anche i pov di tutti gli altri per farvi entrare peglio nei personaggi... quindi, ditemi...SONO PERDONATA? hahah
Allora, veniamo a noi...vorrei dilungarmi ma sono incasinatissima :( infatti presto risponderò a tutte le recensioni a cui non ho risposto ancora!
Ovviamente volevo avvisarvi che sto lavorando a quella raccolta di spin-off sulla storia ed ovviamente man mano che andiamo avanti con i capitoli mi piacerebbe sempre sapere da voi quali sono le parti che vi vorreste vedere "aprofondite" ed io proverò ad accontentarvi.
Ma adesso, parliamo di questo bel capitolo corposo, o almeno spero che anche voi lo abbiate trovato così! xD Insomma, abbiamo scoperto che fine ha fatto Er, che Lax pensa che la sua Mira sia morta e che Ger ha sgamato che suo padre è uno sporco assassino. Meglio di così? AhAhahah e alla fine del cap c'è anche una bella sorpresa che spero tutti abbiate compreso...quindi...chi è la bella fanciullina che festeggia il compleanno in solitudine lontana dalla città?
La risposta nel prossimo capitolo ahahah anche se spero che voi abbiate già inteso :)
Siamo alla fine quindi, ringrazio tutti quelli che hanno messo la storia tra le: ricordate, preferite e seguite. Un grazie speciale a chi dolcemente ha speso un po' di tempo per recensire e farmi conoscere il proprio parere :) VI ADORO.
Sarei felice se anche stavolta, qualcuno, volesse lasciarmi un piccolo parere :)  
Vi lascio il mio Ask e facebook nel caso in cui vogliate farmi qualche domanda sulla storia o anche solo parlare un po' di tutto ;)
Ci vediamo al prossimo capitolo con una bella sorpresina, almeno spero...il banner xD.

Bacio.

Chiara





PS: scusate dimenticavo di dirvi che no, il cattivo non è Voldemort oppure avrei scritto sul fandom di hp xD




 

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