Così vicini, così lontani

di Rebecca_lily
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 - Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Prologo ***


La mia storia ha inizio quando Georgie incontra di nuovo Abel, dopo aver lasciato Lowell da Elise, e vuole esplorare il rapporto tra i due 'fratelli' nel periodo in cui cercano di salvare Arthur dalle grinfie del Duca Dangering. In particolare questa storia intende approfondire sia la lenta presa di coscienza di Georgie del suo amore per il suo ex-fratello sia il carattere di Abel come viene reso per buona parte del testo originale, ovvero del manga e che molto si distacca dalla versione un po' superficiale che si ha nell'anime. Nella mia storia, Abel non vive dal sig. Allen e i due non affrontano immediatamente la questione del ritorno in Australia.

“Puoi stare a casa mia per tutto il tempo di cui hai bisogno, se desideri”- disse Abel guardandola negli occhi. Georgie abbassò lo sguardo, imbarazzata ma non rifiutò sia perché non sapeva dove andare, ma soprattutto perché la presenza di Abel la faceva sentire sicura e protetta. Accettò quindi l’invito e, accompagnata da Joy, si recò a casa di Abel. Si trattava di un piccolo appartamento in un bel palazzo non lontano dallo studio del signor Allen. Georgie entrò e subito si sentì a suo agio, stupendosi della cosa. Nel frattempo Joy aveva acceso il fuoco nel caminetto e stava recandosi nella camera di Abel per cambiare le lenzuola. “Lascia stare” – le disse Georgie – “Non è necessario che tu le cambi, Abel è mio …” si interruppe di colpo perché come quella volta davanti a casa di Catherine non riuscì a pronunciare la parola “fratello” riferita ad Abel. Joy la guardò stupita e Georgie ripetè la frase “Non è necessario che tu le cambi per me, davvero”. “Come vuoi”- rispose Joy.
Dopo aver fatto accomodare Georgie, Joy – come da richiesta di Abel – si recò a fare la spesa per prepararle qualcosa da mangiare. Georgie restò sola nella casa, si rinfrescò e si cambiò e poi si distese sul letto. Era distrutta, aveva vagato tutta la notte per le strade di Londra con il cuore a pezzi. “Lowell, amore mio, chissà cosa starai facendo ora…” pensò e si addormentò piangendo.
Quando si risvegliò era già buio e si sentiva più serena e riposata. Aveva sognato la sua casa in Australia e i prati sterminati su cui correva da bambina assieme ai suoi fratelli. Si rigirò nel letto, non capendo da dove le venisse quella improvvisa sensazione di pace, poi realizzò che il letto aveva l’odore di Abel … il profumo di casa.
Si alzò dal letto e andò nel soggiorno, qui trovò la tavola apparecchiata per una persona e, dentro il camino, una pentola tenuta in caldo accanto al fuoco crepitante. Poco più in là intravide la sagoma di Abel che dormiva sul sofà, voltandole le spalle. Georgie si commosse e ricordò le interminabili sere in cui era stata lei a dormire sul divano per accudire Lowell. Cercò, quindi, di fare meno rumore possibile mentre cenava e poi tornò a letto.
Nei giorni seguenti Georgie non vide mai Abel, che usciva molto presto la mattina e rincasava a notte inoltrata. Il ragazzo tornava a casa soltanto per dormire e cambiarsi, per il resto trascorreva le sue giornate lavorando nello studio del signor Allen. Aveva deciso di lasciare a Georgie tutto lo spazio fisico e mentale di cui aveva bisogno per metabolizzare la sua perdita. Georgie capì e dentro di sé ringraziò il ‘fratello’ per la sua riservatezza.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Dopo diversi giorni Abel, rincasando sempre a notte fonda, trovò la ‘sorella’ addormentata con la testa sul tavolo. Abel sorrise, si avvicinò a Georgie e, con delicatezza, la prese tra le braccia per portarla a letto. Una volta tornato in salotto, passando davanti allo specchio, restò colpito dall’immagine che vi vide riflessa: un volto stanco, segnato da profonde occhiaie e da uno sguardo cupo. All’inizio quasi non si riconobbe, poi pensò fra sé e sé che non doveva essere proprio un bello spettacolo da vedere. Si spogliò e si sdraiò sul divano per dormire.
Dopo un po’ Georgie si risvegliò e si dette della stupida per essersi addormentata. Si precipitò quindi in soggiorno per vedere se Abel era ancora in piedi, ma lo trovò che dormiva profondamente. Questa volta il ragazzo non le dava le spalle, ma era disteso con il volto verso la porta, il braccio destro sul petto e quello sinistro disteso accanto al corpo. Dormiva, come sempre, a torso nudo, con sopra una coperta, ma questa era troppo piccola per coprirlo interamente. Georgie si avvicinò e osservò il ‘fratello’ alla luce del caminetto. Era molto cambiato rispetto a come se lo ricordava ma, effettivamente - ora che ci pensava – se si escludevano i pochi giorni del suo rientro in Australia dalla lunga traversata attorno al mondo e l’incontro a casa di Catherine, erano quasi tre anni che non si vedevano. Abel era davvero cambiato in questo lasso di tempo: più adulto, più maturo. Anche l’espressione del suo viso era molto diversa, così seria e assorta. Non c’era traccia in lui del ragazzo scanzonato e impetuoso di un tempo. Un po’ le dispiaceva, perché le mancavano le sue risate e la complicità che li legava. “Che cosa gli sarà successo per cambiarlo così?” - si chiese Georgie con angoscia – “Sarà stata tutta colpa mia?”.
Georgie rimase a lungo a osservare l’uomo disteso davanti a lei e riconobbe che suo ‘fratello’ – se possibile – si era fatto ancora più bello di quando era ragazzo. Era molto diverso da Lowell, così raffinato e delicato, ma non aveva niente da invidiargli, anzi… Georgie arrossì violentemente a quel pensiero e si diede della sciocca per averlo fatto. Poi, nella penombra, scorse una profonda cicatrice sul braccio sinistro di Abel e una più leggera, ma molto più lunga sul petto. "Da dove vengono?" – si chiese Georgie tornando a dormire e si ripromise di chiederne notizia a Joy la mattina seguente.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


La mattina seguente Georgie si alzò stranamente di buon umore e decise che avrebbe provato a trovare la sua amica Emma e a cercare un lavoro. Poi, avrebbe preparato la cena per Abel e, questa volta, lo avrebbe aspettato in piedi! Dopo essersi vestita, Georgie sentì bussare alla porta: era Joy che le portava la spesa. Georgie la accolse offrendole una spremuta di arancia, poi le chiese se aveva notizie delle cicatrici di Abel.
Joy si rabbuiò al ricordo di quel terribile momento e cominciò il suo racconto: “Un giorno, mesi fa, incontrai Abel che era seduto lungo le banchine del porto ad osservare le navi. Il suo sguardo era molto triste ma, quando mi avvicinai, mi accolse con un sorriso e cominciò a scherzare con me e con il suo pappagallo. Ad un certo punto però due brutti ceffi si avvicinarono a noi con fare minaccioso e si rivolsero ad Abel chiamandolo Cain”.
“Cain?”- disse Georgie sgranando gli occhi e ripensando al ballo della Regina.
Joy si fermò un attimo a guardarla con aria stupita, poi però riprese il suo racconto: “Buffo no? Abel scambiato per Cain! Comunque, come ti dicevo, questi uomini ci hanno avvicinato minacciosi e hanno tirato fuori dei coltelli con cui hanno aggredito Abel. Io mi sono messa a urlare a più non posso e mi avrebbero sicuramente ucciso se Abel non mi avesse fatto scudo con il suo corpo, rimediandosi così quella brutta cicatrice al braccio”.
“Sempre coraggioso Abel!” – pensò Georgie.
“Dopo pochi minuti è arrivato il signor Allen che li ha messi in fuga - proseguì Joy - purtroppo però Abel era già stato ferito. Il signor Allen ci ha condotti a casa sua dove ha medicato Abel e, da quel momento, non lo ha più lasciato andare! Il signor Allen, che è un famoso ingegnere navale, ha scoperto, infatti, le doti marinare di Abel e lo ha assunto per aiutarlo nella progettazione della navi perché è bello, bravo e intelligente!”- chiosò Joy, chiaramente infatuata del ragazzo.
Georgie, che era rimasta scioccata dal racconto, chiese: “Quando è successo tutto ciò?”. “Non ricordo precisamente – disse la ragazzina corrugando la fronte – Un momento, sì che ricordo, fu il giorno in cui gli dissi che una certa Georgie era ospite a casa del Visconte Barnes! Evidentemente devono avermi dato un’informazione errata, non eri tu quella ragazza. O forse sì?” - chiese Joy che ancora non capiva chiaramente quale legame unisse i due ragazzi.
Georgie trasalì: povero Abel, non solo quel giorno lei gli aveva spezzato il cuore, ma era anche stato aggredito brutalmente. Il suo animo si fece carico di tristezza e di un inspiegabile senso di colpa, non rispose alla domanda di Joy e, dissimulando allegria, le chiese di accompagnarla al mercato dove si erano incontrate la prima volta perché era davvero intenzionata a ritrovare la sua cara amica Emma.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Quella sera Abel si sentì ‘autorizzato’ a rincasare prima. Sulla via di casa vide una signora che vendeva dei bellissimi fiori e ne avrebbe comprato volentieri un mazzo per Georgie, ma si trattenne dal farlo per paura di metterla in imbarazzo. Si strinse nelle spalle e proseguì il cammino, immerso nei suoi pensieri: era preoccupato per l’incontro con Georgie perché avrebbe dovuto parlarle di ciò che aveva scoperto su suo padre e non sapeva come l’avrebbe presa. Ma, soprattutto, perché avrebbe dovuto parlarle di Arthur e temeva che anche per lei ciò avrebbe comportato la perdita della serenità e lui non voleva di certo farla soffrire.
Si fermò alcuni secondi davanti alla porta di casa, fece un grosso sospiro, poi entrò. La scena che si parò davanti ai suoi occhi lo lasciò stupefatto, sembrava che uno dei suoi sogni si fosse appena materializzato: nel camino ardeva un fuoco scoppiettante, la tavola era apparecchiata e addirittura addobbata con un mazzo di fiori. Georgie stava cucinando.
La ragazza lo accolse con un sorriso: “Ciao Abel - disse allegra - la cena è quasi pronta, levati il mantello e vieni a tavola”. Ad Abel mancò quasi il respiro. “Grazie, vengo subito” - rispose, cercando di mantenere un contegno il più distaccato possibile. Sentì però che delle lacrime stavano per affacciarsi ai suoi occhi così, levatosi in fretta il mantello, si mise a ravvivare il fuoco per nascondere il volto. Non era più abituato a un’accoglienza familiare. Erano, infatti, mesi che trascorreva le sue serate con la sola compagnia dell’angoscia di salvare Arthur, del rimpianto per Georgie e del senso di colpa per aver abbandonato la sua famiglia in Australia.
Abel si sedette a tavola e notò che Georgie aveva preparato la zuppa di patate, il piatto che aveva provato a fare per la prima volta il giorno del suo rientro dal viaggio in mare. Voleva forse implicitamente riportare l’orologio indietro a quel momento? Abel cominciò a mangiare silenziosamente in compagnia dei ricordi che si affacciavano alla sua mente grazie a quei sapori e quegli odori a lui così familiari. Nel mentre, Georgie osservava Abel, chiedendosi se il ‘fratello’ aveva apprezzato il suo tentativo di fargli ricordare tempi più sereni. Abel non diede alcun cenno di aver colto il messaggio ma, terminata la zuppa, fece i complimenti alla cuoca che arrossì. La cena proseguì in silenzio e, una volta finita, Georgie si alzò per rimettere a posto. Abel la seguì e Georgie lo guardò stupita. Il ragazzo si accorse del suo sguardo e le disse: “Sono abituato a vivere da solo, Georgie”. Lei rispose: “Capisco, ma ora non lo sei e hai lavorato tutto il giorno, per cui lascia fare a me”. Abel, seppur a malincuore, si allontanò, pensando che forse lei non aveva piacere ad averlo tra i piedi. Quando se ne andò a Georgie dispiacque, al contempo però ella tornò con i pensieri a Lowell con cui avrebbe voluto condividere un po’ di quella quotidianità e le vennero in mente le parole pronunciate dal ‘fratello’ nella serra (“come potresti mai vivere con quello, tu che correvi a piedi nudi nelle praterie?”): una lacrima scivolò lenta sulla sua guancia. Abel da lontano vide l’espressione di Georgie e, sospirando, pensò che sarebbe stato meglio rimandare la loro chiacchierata ai giorni seguenti perché non voleva rattristarla ulteriormente.
Dopo aver finito di lavare i piatti, Georgie raggiunse Abel che stava leggendo un libro sul divano. Il ragazzo smise di leggere e si voltò a guardarla. “Abel - disse piano Georgie – devo dirti una cosa”. “Dimmi” – rispose lui, in cuor suo preoccupato. “Oggi sono andata al mercato con Joy e sono riuscita ad incontrare Emma, l’amica da cui sono stata quando sono andata via da casa Barnes”. Abel continuò a guardare Georgie in silenzio, pregando dentro di sè che quello non fosse il prologo per andare ad abitare altrove. Georgie proseguì incoraggiata dal suo silenzio: “Emma fa la sarta e mi ha proposto di lavorare con lei”. Il cuore di Abel si alleggerì, ma cercò di non darlo a vedere. “Non è necessario che tu lavori”- le disse. Lei rispose scaldandosi: “Ma io voglio cucire vestiti da sempre, lo sai! E sono anche brava. Vedrai, Emma ed io metteremo su una bella ditta!”. Lo guardò dritto negli occhi con un’aria di sfida che svanì immediatamente quando si accorse che lo sguardo di Abel si era addolcito: “Come desideri – le rispose calmo, poi le rivolse una domanda per lui penosa – dimmi una cosa, Georgie, hai per caso intenzione di trasferirti altrove?”. La ragazza sobbalzò, chissà perché quell’ipotesi non l’aveva presa neanche in considerazione ma, forse - si chiese lei - Abel preferirebbe tornare a vivere da solo e mi sta tenendo qui soltanto perché è gentile con me. Georgie abbassò gli occhi e vergognandosi gli confessò: “No, non ci avevo neanche pensato!”. Il cuore di Abel si riempì di gioia, ma nuovamente cercò di non darlo a vedere. Le disse soltanto e questa volta con il suo ‘antico’ tono scanzonato: “Allora sarà meglio che mi trovi un letto per dormire!” e rise. Georgie fu molto felice di vedere il ‘fratello’ ridere e si sentì sollevata. La serata proseguì serenamente con i due ragazzi seduti sul divano a parlare della futura impresa sartoriale di Georgie.
Dopo un po', Georgie si accorse che Abel aveva un’espressione molto stanca sul volto e così gli disse: “Forse è meglio se andiamo a dormire”. “Va bene”, replicò lui poco convinto perché combattuto tra la stanchezza e il desiderio di non interrompere quel magico momento. “Perché non dormi nel tuo letto stasera, Abel? Ti vedo molto stanco”, suggerì timidamente lei. Abel le rispose guardandola intensamente negli occhi: “Non ti farei mai dormire sul divano al posto mio, Georgie”. La ragazza si sentì avvampare e non riuscì a reggere lo sguardo di lui. La voce calda e profonda di Abel l’aveva scossa quasi si fosse trattato di una carezza. “Come vuoi”- rispose lei con un filo di voce e si avviò verso la camera da letto.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Rimasto solo, Abel si spogliò e si avvicinò allo scrittoio, dove troneggiavano i suoi libri e le sue carte. Tra di essi cercò la pianta del giardino di casa Dangering che gli aveva procurato il sig. Allen e si mise a studiarla per l’ennesima volta. Poi, prese un foglio di carta e si mise a scrivere. 
Un paio di ore dopo Georgie si svegliò e vide che la luce nel soggiorno era ancora accesa. Si alzò, bussò timidamente alla porta, ma non ottenne risposta. La aprì e vide Abel seduto allo scrittoio. Si avvicinò chiamandolo piano, ma il ragazzo non rispose perché stava dormendo con la testa reclinata sulla scrivania. Georgie vide che il cuscino sul divano non era stato usato, dedusse quindi che Abel non era proprio andato a dormire. Prese allora una coperta per poggiargliela sulle spalle. Quando si avvicinò, alla fioca luce della lampada, scorse un’altra cicatrice che attraversava l’ampia schiena di Abel. Il cuore di Georgie si riempì di tristezza: l’aggressione di cui le aveva parlato Joy doveva essere stata proprio violenta... La ragazza stava per spengere la lampada, quando sentì una voce che la ringraziava. “Di niente - rispose lei e aggiunse quasi sottovoce - Non riesci a dormire Abel? Tutte queste notti ho visto spesso la luce accesa”.
Dapprima Abel rimase sorpreso delle parole di Georgie, poi – sebbene fosse ancora assonnato – decise che era giunto il momento di parlarle. “Georgie, siediti per cortesia”, le disse. Georgie lo guardò interrogativamente, poi obbedì e si mise a sedere sul divano. Abel si alzò in piedi per raggiungerla e, nel movimento, gli cadde dalle spalle la coperta. La raccolse e si sedette accanto a lei. Georgie arrossì violentemente nel vedere Abel vestito dei soli pantaloni del pigiama e si chiese perché, dato che erano cresciuti assieme e non era certo la prima volta che lo vedeva vestito così. Nella penombra, Abel scorse un’espressione strana sul volto di Georgie, non ne comprese il motivo, ma d’istinto afferrò la casacca del pigiama e se la mise addosso. 
Il ragazzo si schiarì la voce e cominciò a parlare: “C’è una cosa che devo dirti Georgie, ma per me non è facile” – esordì. Georgie lo guardava in silenzio con i verdi occhi spalancati, desiderosa di capire cosa stesse tormentando suo ‘fratello’. “Anche Arthur è a Londra – proseguì Abel con voce seria - e per lui è peggio dell’inferno: è tenuto prigioniero in casa Dangering, sedato con delle droghe e guardato a vista dagli scagnozzi del Duca. Non so perché lo chiamano Cain e lo fanno passare per il fidanzato di Maria. Purtroppo, fino ad oggi, tutti i miei tentativi di salvarlo non sono andati a buon fine”.
Abel non disse niente a Georgie delle sevizie di cui Arthur era oggetto, né le raccontò della maniera traumatica in cui era venuto a sapere della presenza del fratello a Londra. Con un gesto inconscio però si toccò il braccio sinistro che, nonostante fosse passato molto tempo, ogni tanto ancora gli doleva.
Agli occhi di Georgie - che fissava Abel angosciata - il gesto non sfuggì anzi, le fece apprezzare ancora di più il ‘fratello’ che, nonostante tutto, cercava di preservarla dagli aspetti più inquietanti di quella orribile vicenda. Mille pensieri cominciarono a turbinare nella mente della ragazza, senza che ella riuscisse a proferire parola: pensò a Cain e a come l’aveva protetta al ballo della Regina; si sentì in colpa per non aver seguito il suo istinto che le diceva che quel ragazzo triste e gentile era suo fratello e per essere scappata con Lowell abbandonandolo al suo infelice destino. Si fece poi la domanda che sicuramente anche Abel doveva essersi posto mille volte senza però mai ricevere risposta alcuna se non la terribile, inconscia certezza di un’amara verità: “Che cosa è successo in Australia da costringere Arthur a lasciare la sua amata fattoria?” E, infine, tornò con il pensiero al ragazzo seduto accanto a lei che da mesi affrontava in totale solitudine un pericoloso e insondabile abisso di dolore e disperazione. “Oh, Abel…” – sussurrò piano, cominciando poi a singhiozzare sommessamente. 
Abel le prese le mani e le disse dolcemente: “Mi spiace Georgie, non volevo rattristarti, ma non potevo non parlarti di Arthur”. Lei lo guardò annuendo. “C’è un’altra cosa che devo dirti – proseguì lui – nei miei pellegrinaggi a casa Dangering ho sentito i suoi scagnozzi parlare di tuo padre … ”. “Ho scoperto chi è mio padre, Abel” – lo interruppe di getto lei. Abel la guardò con un misto di sorpresa e profondo dispiacere, poi allentò la presa sulle sue mani. 
Georgie si sentì tremendamente in colpa per non aver condiviso prima con lui questo importante segreto, perché impegnata a superare la separazione con Lowell. Non voleva di nuovo calpestare i sentimenti di Abel, non dopo averlo ritrovato e, certamente, non dopo che l’aveva accolta così amorevolmente a casa sua, ma ormai l’aveva fatto. Georgie si rese anche conto che la situazione sarebbe potuta solo peggiorare, una volta che egli avesse saputo che aveva addirittura incontrato Cain. Tuttavia, non potendo sottrarsi ulteriormente, a malincuore, proseguì: “Me lo ha detto Elise durante il ballo in onore della Regina. In realtà, me lo ha gridato contro: ero rimasta lì da sola e lei, circondata dalle sue amiche, mi ha detto che sono la figlia del Conte Gerard, deportato in Australia perché accusato di aver attentato alla vita della Regina”. Georgie vide Abel contrarre la mascella e abbassare lo sguardo e si sentì morire al pensiero che doveva ancora dirgli di Arthur, però continuò: “E’ poi intervenuto il fidanzato di Maria, Cain Dangering…”. Queste ultime parole furono un pugno dritto nello stomaco per Abel, che quasi sussultò pur cercando di non far trasparire quanto duro fosse stato per lui quel colpo. Tornò, infatti, a guardare la ragazza negli occhi ma lei, questa volta, non fu in grado di decifrare il suo sguardo. “… Cain … Arthur, mi ha accompagnato al centro della sala, dove era certo che le altre non avrebbero avuto il coraggio di seguirmi. Poi si è sentito male ed è andato via”. Terminato il racconto, Abel continuò a fissare Georgie per diversi secondi senza parlare. Una voce gli urlava dentro: avrebbe voluto chiederle il perché del suo silenzio, in questi giorni a casa sua come anche quando l’aveva cercata per aiutarla nella fuga con Lowell. Poi, lo stesso Abel si rispose che ormai la sua Georgie apparteneva a un altro mondo di cui lui non faceva parte, non era più suo fratello né sarebbe stato mai niente altro per lei, come gli aveva chiaramente detto quel giorno a casa dei Barnes. Alla fine Abel sospirò e, ingoiando tutta la sua amarezza, le disse: “Povera Georgie, deve essere stato orribile per te scoprire in questo modo l’identità di tuo padre”. Georgie, che si aspettava una diversa reazione da parte di Abel, rimase stupita nell’udire queste parole accoglienti e, non appena lui le pronunciò, si rifugiò tra le sue braccia, dove pianse tutte le lacrime che non aveva versato da quando mamma Mary l’aveva cacciata di casa. Poi - pian piano - si addormentò, cullata dal battito del cuore di Abel e dal calore del suo abbraccio. Abel, spiazzato dalla reazione della ragazza, non si mosse e, sebbene fosse fisicamente molto stanco ed emotivamente provato, rimase a vegliare il sonno della ‘sorella’ fino alle prime luci dell’alba quando, finalmente, anche lui si addormentò.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Quel mattino Georgie si risvegliò sorridendo poiché si sentiva pervasa da una piacevole sensazione di benessere. Aprì lentamente gli occhi e realizzò – non senza stupore – di essere sul divano, in camicia da notte e tra le braccia di Abel. Cosa ci faceva lì? Che cosa era successo? Con imbarazzo, si rese poi conto che la sua mano era appoggiata sul petto di Abel, che emergeva nudo dalla casacca aperta del pigiama. Pur essendo in preda all’agitazione, Georgie non poté fare a meno di osservare che la pelle di Abel, il cui profumo le era così familiare,  emanava un calore confortante e che il suo corpo – forte e solido – era, allo stesso tempo, avvolgente. A quei pensieri, la ragazza ritrasse istintivamente la mano e si vergognò di se stessa: anche se le era sempre piaciuto che il suo fratellone la abbracciasse, ora era tutto cambiato tra loro… non poteva più lasciarsi andare liberamente con lui. Non sapendo bene che fare o che dire, si arroccò in un silenzio imbarazzato. Subito dopo, però, si accorse che il respiro del ragazzo era regolare e che, quindi, con ogni probabilità, in quel momento stava dormendo. Fu allora che Georgie si calmò e che ricordò quanto accaduto la notte prima: si era buttata lei, piangendo, fra le braccia di Abel, lui l’aveva semplicemente accolta. Ma come aveva potuto farlo, soprattutto ora che aveva di nuovo ferito i suoi sentimenti? Era stata proprio una sciocca!  
Sospirò, dopo di che le tornò in mente che la sera prima aveva chiesto ad Abel di accompagnarla a casa di Emma perché voleva fargliela conoscere. Sbarrò gli occhi: e ora, cosa sarebbe successo? Come avrebbe reagito lui?
Affranta, Georgie desiderò tornare ai giorni felici dell’infanzia, quando tutto era più semplice, quando ancora viveva con la mamma e i suoi fratelli… Oh, Arthur! … al pensiero del fratello, si stampò nella sua mente la terribile immagine di lui prigioniero nel castello del Duca Dangering e - con crescente disperazione - Georgie si chiese se e come avrebbero mai potuto salvarlo. La ragazza si portò le mani al volto e cominciò a piangere sommessamente. Pensò poi ad Abel e all’incubo in cui era precipitato negli ultimi mesi e, timidamente, alzò la testa per guardarlo. L’espressione del suo volto era serena, anche se le ombre scure sotto i suoi occhi – cui Georgie non era abituata – erano un chiaro indicatore di una persistente e intima stanchezza. Il suo sguardo si posò poi sulle belle labbra di Abel, che così teneramente l’avevano baciata, tanto tempo addietro. Georgie arrossì e, per l’ennesima volta, si domandò come mai quel bacio lei non l’aveva rifiutato, anche se proveniva dalla persona che aveva sempre considerato suo fratello. Per reazione scosse il capo, come a voler allontanare quel ricordo che la turbava tanto profondamente. Non doveva distrarsi, non poteva, era necessario concentrare tutti gli sforzi per salvare Arhur e poi, tutto questo non aveva niente a che fare con la situazione in cui si trovava adesso a Londra… o forse sì? - si chiese Georgie. La ragazza era così intenta a rimuovere i suoi ultimi pensieri che non si accorse che Abel, nel frattempo, si era svegliato e la stava osservando.
I movimenti di Georgie avevano – infatti – destato Abel che, risvegliatosi, con meraviglia aveva sentito sotto le sue mani le sinuose forme di lei, appena celate dalla leggera stoffa della veste da camera. Abel avrebbe voluto stringerla forte a sé e perdersi nel profumo inebriante dei suoi capelli ma, reprimendo con forza tutto il suo desiderio, aveva contratto solo impercettibilmente le braccia. Poi, nella sua testa, si era affacciato il ricordo della notte precedente e questo era stato per lui un triste, quanto provvidenziale aiuto per il contenimento della sua passione. Si era, infine, reso conto che Georgie non si era accorta del suo risveglio e aveva approfittato di quel momento per osservarla notando, con dispiacere, l’espressione turbata del suo viso.
Fu allora che Abel pensò che i timori che lo avevano attanagliato da quando aveva incontrato di nuovo Georgie si erano – purtroppo - rivelati fondati, poiché lo smarrimento che leggeva nel suo volto non poteva che essere legato a ciò che le aveva raccontato a proposito di Arthur. Con l’intenzione di aiutarla, decise di palesare la sua presenza, chiedendole piano: “Va tutto bene, Georgie?”. Nell’udire la voce del ragazzo, Georgie sobbalzò e si girò di scatto verso di lui, trovandosi così a pochi centimetri dal suo viso. La ragazza trattenne il respiro, emozionata, poi balbettò confusa: “Si, sì, scusa, grazie …”. Abel si specchiò per alcuni secondi nei suoi occhi color giada, dopo di che il suo sguardo scese su quelle rosee labbra dischiuse che tanto avrebbe voluto baciare. Sentì forte dentro di sé l’impulso di gridarle ancora una volta tutto il suo amore e invece, con immenso e doloroso sforzo, distolse lo sguardo e si staccò da lei. Tuttavia, sciogliendo Georgie dall’abbraccio, le disse: “Dai, forza, prepariamoci che dobbiamo andare da Emma”. “Sì, si, certo …” – disse lei, alzandosi. Poi rimase a osservare l’alta figura di Abel che si allontanava, certa che tra loro si fosse purtroppo di nuovo creato uno iato.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Mentre si dirigeva verso la stanza da bagno, Abel si dava ripetutamente dello stupido. Non era possibile che, con Georgie, lui spengesse il cervello e, ostinatamente, continuasse a non prendere in considerazione ciò che razionalmente sapeva, bensì un ottuso quanto fallace istinto che seguitava a vedere in lei dei segnali di interesse. Perché? Perché continuare imperterrito a farsi del male in quel modo? Era chiaro che Georgie non lo amava, glielo aveva detto a parole e ripetuto con i suoi molti, troppi gesti: quando si era imbarcata per Londra dopo che lui le aveva dichiarato il suo amore, quando lo aveva nuovamente rifiutato a casa Barnes, quando era fuggita con Lowell… E, in ultimo, il non aver condiviso con lui la notizia della scoperta dell’identità di suo padre e il fatto di aver incontrato Arthur. Eppure da sempre albergava in lui un granello di speranza, oppure si trattava di una pia illusione?
Abel sentì montare dentro di sé la rabbia e decise di fare un bagno. Il contatto con l’acqua fredda lo aiutò, seppur bruscamente, a distogliere la mente. Una volta uscito dalla vasca, fece mente locale alla giornata che lo attendeva e, in particolare, pensò alla lettera che nella notte aveva scritto per Arthur. Si disse che, con un po’ di fortuna, sarebbe forse potuto riuscire a recapitargliela e decise che ci avrebbe provato quella sera stessa.
Quando uscì dal bagno, trovò Georgie seduta con le mani in grembo e il volto contrito. Sembrava quasi che fosse in attesa di giudizio e ad Abel fece tanta tenerezza. In fondo, si disse, non è colpa sua se non mi ama. Non devo essere così egoista: le ho promesso che avrei fatto qualunque cosa per renderla felice e non posso certo esser io a farla stare male. Si avvicinò quindi a lei per parlarle. Georgie alzò gli occhi e gli chiese trepidante : “Abel, vuoi che ti prepari qualcosa per colazione?”. “No, grazie” – rispose lui. Un'espressione di delusione si stampò sul volto di Georgie, espressione a cui Abel prontamente replicò: “Però possiamo mangiare qualcosa fuori assieme. Se non ho capito male, Emma dovrebbe abitare vicino al pub dove andavo spesso quando… - stava per dirle, quando alloggiavo in albergo non appena arrivato a Londra, ma si fermò pensando che quella frase avrebbe potuto risvegliare in lei dei ricordi poco piacevoli, per cui concluse con un più neutro - … prima di lavorare dal sig. Allen”. “Sì, volentieri” – rispose Georgie, che si illuminò, sentendosi perdonata. La ragazza avrebbe anche voluto gettare le braccia al collo del fratello ma - insolitamente - si trattenne per pudore, perché lui era vestito del solo accappatoio. Un accappatoio blu come i suoi occhi – notò Georgie mentre volava via verso la sua stanza. Giunta sulla porta di camera, si girò e disse allegra: “Vedrai, sarò pronta in un attimo…”. Abel sorrise e, con affetto, pensò che a volte la sua Georgie gli sembrava ancora una bambina. Poi si avvicinò alla scrivania e prese la lettera che voleva recapitare ad Arthur.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Camminarono fianco a fianco, in silenzio, per le strade di Londra che andavano rapidamente risvegliandosi e giunsero fino al mercato dove, mesi prima, Georgie aveva incontrato Emma e Dick. La ragazza si ricordò della giornata in cui aveva passeggiato per quelle stesse strade assieme a Lowell e si rattristò perché sentiva la sua mancanza. Allo stesso tempo Georgie, a cui – ora come allora – piaceva molto quel mercato non riusciva ancora a capire come mai Lowell avesse provato tanta avversione per quel luogo. A lei, invece, l’immergersi nel brulicante via vai dei banchi pieni di oggetti provenienti da tutto il mondo metteva allegria, di più: la faceva sentire viva. Come corollario a quei pensieri, Georgie ricordò la proposta di girare il mondo assieme che un ancora entusiasta Abel le aveva fatto a casa Barnes. Di riflesso, Georgie si girò a guardare il fratello che camminava accanto a lei con lo sguardo fisso davanti a sé. Georgie rimpianse quel suo entusiasmo. Sentendosi osservato, Abel si voltò verso di lei e, per cercare di intavolare una conversazione, le chiese: “Come hai conosciuto Emma?”.
Georgie reagì come se Abel le avesse letto nel pensiero e cominciò, non senza esitazione, a parlargli di quel pomeriggio trascorso con Lowell. Quando Georgie terminò il suo racconto, Abel chiosò con un guizzo del suo migliore tono sarcastico: “Lowell tra i popolani? Avrei proprio voluto vederlo!”. Dapprima Georgie si risentì poi, però si chiese se da quell’episodio lei non avrebbe già potuto evincere la profonda differenza che intercorreva tra loro. Allo stesso tempo, la ragazza perdonò ad Abel la battuta acida perché era ben cosciente che quello era stato per lui un giorno notevolmente più terribile.
Abel si pentì subito di aver usato quel tono e avrebbe voluto chiederle scusa, ma lei non lo stava guardando in quel momento e, nel frattempo, avevano raggiunto il pub, per cui desistette e decise di entrare nel locale. Era molto felice di portare Georgie a conoscere quel piccolo pub, la cui atmosfera calda e familiare lo aveva fatto sentire a casa molte volte nelle lunghe e solitarie sere invernali.
Abel entrò prima di Georgie per controllare che tutto fosse a posto e, non appena mise piede nel locale, una signora rubiconda di mezza età gli corse incontro festosa: “Abel? Non ci posso credere. Come stai?”. “Buongiorno signora Baker. Sto bene, grazie. Lei?” – la salutò Abel, fermandosi sulla porta, letteralmente assalito dalla suddetta signora. “Benissimo! E’ davvero tanto che non ci vediamo. Fatti vedere tesoro: a dire il vero hai l’aria un po’ sciupata. Ti mancano i miei manicaretti, vero?” – disse la signora alzandosi in punta di piedi per riuscire a toccare il suo volto. “Chissà come sarà contenta di vederti Matilda. Matilda! – urlò girandosi verso le scale che conducevano al piano di sopra – vieni giù che c’è una sorpresa per te. Non dovrei dirlo, ma mia figlia non ha dormito per notti intere quando hai smesso di venire qui. Penso si sia presa una bella cotta per te, ragazzo mio”. “Arrivo mamma” - rispose in lontananza una voce giovanile con un tono di appena un’ottava superiore al normale.
Abel, per uscire da quell’impasse, allungò all’indietro il braccio destro sperando che Georgie cogliesse il suo segnale. Georgie, che attendeva paziente dietro al fratello, capì al volo e afferrò la sua mano. Abel, confortato da quel gesto di alleanza e complicità, tirò a sé Georgie facendola così sbucare da dietro il suo mantello. La signora sobbalzò per lo stupore e un po’ per l’imbarazzo: “Ah, ma non sei da solo, caro”. “Signora Baker, le presento mia sorella Georgie” – disse Abel con voce neutra. La signora Baker riacquistò il suo tono garrulo: “Vieni accomodati, cara, fatti conoscere: ma che bella ragazza! E che bei capelli biondi... Però Abel - disse la signora guardandoli alternativamente - non vi somigliate per niente”. Abel sfoderò un sorriso di circostanza. “Piacere”- le rispose Georgie cortese. La signora li fece accomodare a un tavolo situato in un angolo tranquillo del locale poi prese le loro ordinazioni e si avviò verso la cucina. Georgie rimase in silenzio, il fatto che Abel l’avesse presentata come sua sorella non le era piaciuto per niente. Abel, intanto, si guardava attorno e scopriva con piacere che niente era cambiato negli ultimi mesi.
Dopo un po’ si avvicinò al tavolo una cameriera per servire loro il caffè. Abel si girò a salutarla: “Buongiorno Matilda” – le disse. “Buongiorno” – rispose la ragazza, arrossendo. Si trattava di una bella ragazza, un po’ corpulenta, con lunghi capelli ramati acconciati in due trecce attorno alle orecchie e un bel viso aperto, con due occhi espressivi che in quel preciso momento stavano chiaramente brillando. “Grazie per il caffè” – disse Abel. Lei un po’ impacciata, rispose con un sorriso. Matilda andò via subito dopo, non senza mancare di lanciare indietro occhiate di interesse, che non sfuggirono a Georgie. Abel – che dava le spalle alla scena - si rilassò e cominciò a sorseggiare il suo caffè, sentendosi a casa. Poi disse a Georgie: “Sono sicuro che ti piacerà la cucina di questo pub. La signora Baker prepara dei piatti deliziosi”. “Tu di certo sembri averla apprezzata molto” – rispose Georgie con un tono che Abel non comprese, ma di cui non si curò poi molto. In quel momento tornò al tavolo Matilda e portò loro le pietanze che avevano ordinato. “Spero che siano di vostro gradimento” – disse in tono cordiale. Abel la ringraziò con un sorriso sincero. Anche Georgie ringraziò la ragazza poi d’impulso, prima che lei se ne andasse, disse: “Abel, posso assaggiare quello che hai scelto tu?”. Abel le rispose affermativamente e le avvicinò il piatto, senza smettere di guardare Matilda a cui disse gentilmente: “Saranno di sicuro buonissimi, come sempre, grazie”. La ragazza si allontanò.
Georgie non capiva perché le fosse venuta fuori quella frase perché in realtà non era granché interessata a ciò che Abel aveva nel piatto. Comunque lo assaggiò, poi iniziò a mangiare ciò che lei aveva ordinato. Abel, che stava assaporando quel raro momento di serenità, le chiese affabile: “Ti piace la colazione Georgie?”. “Sì, è molto buona”, rispose lei sorridendo. Consumarono il pasto in silenzio, poi quando stavano per finire Georgie chiese ad Abel a bruciapelo: “E’ stata anche lei una tua ragazza Abel, come Jessica?”. Abel, che stava bevendo il caffè, per poco non soffocò. Dopo aver tossito, perché gli era andato di traverso il liquido caldo, le disse: “Scusa?”. Georgie ripetè la sua domanda senza guardarlo in volto. Abel non riusciva a capire dove lei volesse andare a parare, in ogni caso decise di parlarle francamente: “La risposta alla tua domanda è no, Georgie, non ho mai frequentato la signorina Matilda, però, ti ricordo, che per anni sono stato un marinaio”.
Georgie rimase colpita dalla risposta di Abel. Si rese conto in quel momento di quanta vita lui avesse vissuto lontano da lei e dalla sua famiglia, di quante cose e quante persone doveva aver visto e conosciuto. E lei di tutto ciò non sapeva niente, non gli aveva mai chiesto niente. Di colpo suo fratello le sembrò uno sconosciuto, esattamente come quando lo aveva trovato il giorno del suo rientro dal viaggio in mare nel pub del capitano, intento a baciare una donna. Georgie ricordò in maniera viva e pungente come si era sentita allora: le aveva dato così fastidio che una sconosciuta lo stesse allontanando da lei, che era stata preda di un vero e proprio attacco di gelosia, come pochi minuti addietro. Si dette dell’egoista, ma soprattutto si chiese perché mai avrebbe dovuto essere gelosa di suo fratello, o meglio dell’uomo con cui era cresciuta ritenendolo un fratello.
Abel la vide rabbuiarsi e pur avendo giurato a se stesso che non le avrebbe più parlato dei suoi sentimenti, mentre si alzava per andare a pagare, le disse: “Georgie, non è certo per lei che sono venuto qui a Londra”. Georgie non lo guardò mentre proferiva queste parole e rimase ad aspettarlo seduta al tavolo, confusa ma tutto sommato confortata.
Quando andarono via, Abel e Georgie furono salutati molto calorosamente dalla signora e dalla figlia, che non li fecero uscire senza la promessa che a breve sarebbero tornati a fare loro visita. Una volta incamminatisi verso casa di Emma, Abel decise di parlare a Georgie della lettera che aveva scritto quella notte: “Georgie, ho preparato un messaggio per Arthur – le disse - non so ancora se e come riuscirò a farglielo avere, comunque, stasera tornerò in perlustrazione a casa Dangering per capire come fare a recapitarglielo”. Georgie ascoltò Abel in silenzio, chiedendosi come avrebbe fatto suo fratello a superare le difese di quel castello. Si ricordò anche che Lowell le aveva raccontato che il Duca era un uomo molto potente e molto pericoloso. Sentì crescere dentro di sé una forte apprensione, anche perché le tornò alla mente la violenta aggressione che il fratello aveva già subìto ad opera di quelli che sicuramente dovevano essere degli uomini di Dangering.
Nel frattempo erano arrivati a casa di Emma e l’avevano trovata affacciata alla finestra che li aspettava: “Venite su, ragazzi” – disse loro allegra. La giovane donna li fece accomodare e chiese se poteva offrir loro qualcosa, Abel ringraziò poi aggiunse che avevano già fatto colazione. Si misero comunque a sedere al tavolo ed Emma iniziò a parlare con Abel: “Mi ha detto Georgie che sei l’assistente del sig. Allen. Devi essere davvero molto bravo, perché lui è uno dei più famosi ingegneri navali di tutta Londra”. Abel arrossì leggermente, poi rispose con un laconico “Può darsi…” e spostò la conversazione sulla nascente attività di sartoria. Dopo un po’ Abel si commiatò dicendo che doveva andare a lavorare. Dopo aver salutato Emma, Abel ricordò a Georgie che quella sera avrebbe fatto tardi; quando giunse sulla porta di casa, Georgie - che era stata piuttosto silenziosa sino ad allora - gli corse incontro e, posandogli una mano sul braccio, gli sussurrò con aria turbata: “Abel, fai attenzione”. Lui la guardò dolcemente, poi le sorrise annuendo e uscì.
Non appena Abel se ne fu andato, Emma disse a Georgie, con tono scherzoso: “Cara, non mi avevi detto che tuo fratello è un uomo così affascinante”. “Oh no, Emma anche tu …” – rispose la ragazza sbuffando. “Anche io cosa?” – chiese Emma stupita della reazione di Georgie. “E’ che oggi sembrate tutte attratte da Abel” – rispose un po’ evasiva Georgie, mentre si allacciava il grembiule per iniziare a lavorare. “Tutte chi, scusa?” – chiese Emma, ma Georgie cambiò discorso dirigendosi verso il mucchio di abiti che dovevano cucire. “Forza Emma” – disse energica – “mettiamoci al lavoro”. Georgie sentiva che lavorare era l’unica attività che la aiutava a tenere sotto controllo l’inquietudine che aveva dentro. Emma capì dallo sguardo di Georgie che c’era qualcosa che non andava e decise che avrebbe atteso pazientemente che l’amica avesse voglia di confidarsi con lei.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Cari lettori, l'immagine che trovate di seguito è stata aggiunta in data 23 settembre 2015 e rappresenta una delle scene clou del capitolo (come anche della storia tutta). Mi auguro tanto che vi piaccia: lavorare con la matita è, infatti, molto più complesso che lavorare di penna (o tastiera) per me, ma avevo piacere di condividere anche i miei scarabocchi con voi. Un abbraccio, Rebecca

Georgie se ne stava seduta accanto al camino ad attaccare nervosamente un merletto su un vestito mentre fuori da ore veniva giù una pioggia torrenziale. Abel le aveva detto di non aspettarlo in piedi perché sarebbe tornato tardi, ma lei gli aveva comunque preparato la cena e attendeva preoccupata il suo ritorno. La ragazza guardò per l’ennesima volta l’orologio e sospirò. Finalmente, dopo alcuni minuti, sentì aprire la porta e, sollevata, alzò gli occhi dal suo lavoro, purtroppo però lo spettacolo che vide non la rincuorò molto: Abel entrò in casa pallido, con le labbra bluastre e il mantello che grondava pioggia.
Il ragazzo non si aspettava di trovare Georgie ancora alzata ma, non appena la vide, si sforzò di tramutare la sua espressione affaticata in un sorriso per non impensierirla. Georgie gli corse incontro chiedendogli come si sentisse e lui, chiaramente mentendo, le rispose che stava bene. Poi, con il respiro affannato, aggiunse soddisfatto – “Sono riuscito a consegnare la lettera ad Arthur”. Lei replicò con un sorriso appena abbozzato che tradiva tutta la sua preoccupazione: “Levati il mantello e vieni a scaldarti vicino al fuoco”- gli disse. Abel seguì il suo consiglio e si sedette accanto al camino. Georgie però notò con apprensione che anche gli abiti sotto il mantello erano completamente fradici e si chiese per quante ore suo fratello doveva essere rimasto sotto la pioggia per inzupparsi in quel modo.
“Mio Dio Abel, sei completamente bagnato. Togliti subito questi abiti di dosso o ti prenderai un malanno!” - disse la ragazza, cominciando a svestirlo energicamente. Abel subì l’assalto senza opporre resistenza. Una volta levatagli la camicia, Georgie appoggiò una mano sulla sua spalla per controllare la temperatura corporea: “Senti qua, sei completamente gelato”, disse lei notando come l’usuale calore della sua pelle fosse assente in quel momento. Mentre proferiva queste parole Georgie osservò suo fratello seduto a capo chino, con i capelli completamente bagnati e il respiro ansimante e riconobbe che non c’era da stupirsi che le donne fossero così attratte da lui, perché Abel era davvero bello: alto, snello, con un corpo ben modellato e un bellissimo viso, su cui spiccavano due occhi blu che sembravano scrutarti l’anima ogni volta che ti guardava. Inoltre, il suo essere così taciturno e imperscrutabile lo rendeva affascinante e misterioso.
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Nel tempo in cui la mente di Georgie si addentrava in questi territori sconosciuti, la sua mano rimaneva immobile, indugiando per qualche secondo di troppo sulla spalla del fratello. Quella ‘sospensione’ suonò strana ad Abel che alzò il volto per guardarla e, quando vide la sua espressione assente, si chiese cosa stesse passando per la testa della ragazza. Poi, un po’ per il freddo che sentiva addosso e un po’ per uscire da quella situazione che lo metteva a disagio, disse: “Vado a cambiarmi”. Georgie si riscosse immediatamente dalla dimensione onirica in cui era caduta e, ritraendo imbarazzata la mano, replicò di getto: “Bene, ti scaldo la cena”. Prima di allontanarsi, Abel la ringraziò per tutte le attenzioni che aveva per lui e Georgie gli rispose con una frase di cui si pentì immediatamente: “Siamo cresciuti come fratello e sorella – Abel – è normale che mi prenda cura di te”. Abel non disse niente, ma si morse il labbro inferiore e, scuotendo impercettibilmente il capo, se ne andò. Rimasta sola, anche Georgie scosse la testa: perché gli aveva detto una frase del genere? Per mettere distanza tra loro? E perché aveva sentito il bisogno di allontanarlo così bruscamente?
Georgie era spaventata, sentiva che qualcosa dentro di lei si stava agitando, ma non riusciva ad ammettere con se stessa che stava iniziando a vedere Abel non come un fratello, ma come un uomo da cui si sentiva attratta. Allo stesso tempo, però, se ripensava agli anni trascorsi con lui in Australia, si rendeva conto che lo aveva sempre guardato con occhi diversi da quelli con cui guardava Arthur. Forse perché - sin da piccolo - Abel aveva sostituito per lei la figura di quel padre dolce, bello e affettuoso che tanto la adorava e che, troppo presto, li aveva lasciati? Oppure si trattava di altro? Tutti questi pensieri gettavano Georgie in una confusione totale.
Abel tornò in salotto tamponandosi i capelli con un asciugamano e si mise a cenare. Georgie aveva ripreso a cucire e, ogni tanto, alzava gli occhi per osservarlo, constatando con piacere che il colore stava progressivamente tornando sul suo volto e sulle sue labbra. All’ennesima occhiata furtiva, Abel – che si era accorto di tutto – le chiese: “C’è qualcosa che devi dirmi?”. Georgie scosse la testa e tornò a cucire. Dopo un po’ però prese a parlare, anche se a fatica: “Abel … oggi sono stata piuttosto in ansia nel sapere che saresti andato dai Dangering”. “Mi spiace, non volevo farti preoccupare ma, dato che viviamo sotto lo stesso tetto, ho pensato che fosse meglio metterti al corrente dei miei spostamenti”- le rispose lui. Georgie annuì e aggiunse, sempre titubante: “Abel … sei stato per ore sotto la pioggia … avresti potuto ammalarti…”.“Georgie, io voglio provare a fare tutto ciò che è in mio potere per salvare Arthur – le disse serio poi, addolcendo il tono di voce, aggiunse – ma, stai tranquilla, non ho intenzione di lasciarti da sola, almeno fino a quando non ci sarà nessun altro a prendersi cura di te”. Georgie avrebbe voluto dirgli che non era affatto preoccupata di restare da sola, era preoccupata che succedesse qualcosa a lui, ma non rispose, anzi tenne il capo basso per non mostrare quanto fosse a disagio.
Una volta terminata la cena, Abel prese una coperta e si sdraiò sul divano perché era molto stanco e ancora tanto infreddolito. Non parlò più, non perché si aspettasse una risposta da Georgie, ma perché continuava a echeggiargli nella testa la frase che lei gli aveva detto prima di cena e gli faceva ancora piuttosto male quando Georgie metteva distanza tra loro. Tra l'altro, Abel proprio non capiva che bisogno ce ne fosse, dato che – da quando lei l’aveva rifiutato – lui non solo aveva rispettato le sue scelte, cercando comunque di proteggerla anche da lontano, ma stava ben attento a non far mai trapelare i suoi sentimenti. In silenzio, dunque, il ragazzo si mise a contemplare le fiamme nel camino e, in breve tempo, si addormentò, complici la grande stanchezza e il tepore che regnava nella stanza.
Con la coda dell’occhio Georgie aveva visto Abel sdraiarsi sul divano avvolto in una coperta e aveva notato il tremore delle sue spalle. Le aveva fatto molta tenerezza e avrebbe voluto abbracciarlo per dargli un po’ di conforto, ma l’imbarazzo l’aveva nuovamente frenata. Non sapeva proprio come comportarsi: l’estrema familiarità, unita alle remore per non ferire ancora una volta i suoi sentimenti e a questi suoi strani turbamenti la facevano sentire davvero smarrita.
Quando Georgie alzò di nuovo gli occhi Abel si era addormentato: la ragazza se ne rallegrò perché sapeva quanto lui ne avesse bisogno, specialmente dopo una giornata come quella che aveva passato. Georgie smise di lavorare e si alzò per ravvivare il fuoco e per prendere un’altra coperta. Si avvicinò ad Abel e lo coprì, poi gli passò una mano tra i capelli per sentire se erano asciutti, ma si rese conto che purtroppo erano ancora umidi. Il suo cuore ebbe un moto di commozione per questo ragazzo che cercava in ogni modo di proteggere lei e Arthur senza appoggiarsi a nessuno e senza che nessuno si prendesse cura di lui. Si fece coraggio e gli accarezzò il volto. In quel momento Georgie riuscì ad ammettere a se stessa che la prospettiva che un’altra persona e non Abel vegliasse su di lei non la attraeva minimamente.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Cari tutti, mi spiace per il ritardo con cui posto questo capitolo che è un corollario del precedente, ma impegni vari non mi hanno permesso di farlo prima - ammesso che qualcuno se ne sia accorto ; ) . Tuttavia, pur non essendo questo un episodio molto natalizio, colgo l'occasione per fare a tutti voi i miei auguri di buone feste! 

Quella sera Abel si era recato al castello dei Dangering per cercare di recapitare la lettera ad Arthur. Era una brutta serata, pioveva e faceva molto freddo, ma decise che avrebbe comunque aspettato il momento migliore per riuscire a compiere la missione che si era prefisso.
Salì sul tetto e lì, seduto sotto la pioggia scrosciante in attesa che le luci nella stanza di Arthur si spegnessero, si chiese per l’ennesima volta come avesse fatto suo fratello a diventare Cain Dangering, fidanzato di Maria e figlio acquisito del Duca, in realtà suo prigioniero. Cain, Cain … Quel nome continuava a risuonare nelle orecchie di Abel dal giorno in cui l’avevano scambiato per lui. Che sciocco che era stato! Gli indizi c’erano già tutti - dal marinaio che l’aveva chiamato Arthur sulla banchina del porto all’aggressione dovuta alla somiglianza fisica - eppure dapprima non li aveva collegati. Neanche dopo il commento del sig. Allen sui fratelli biblici era riuscito a cogliere appieno il significato di quel nome: un chiaro messaggio da parte di suo fratello, un’implicita richiesta di aiuto. Come aveva fatto a non capirlo subito?
Al pensiero di tutte le sevizie di cui era oggetto Arthur, dalle morbose attenzioni di Irwin alla droga, Abel si chiese come mai suo fratello continuasse a sopportare e a resistere. Al posto suo lui avrebbe certamente preferito la morte. Poi la sua mente si illuminò: Arthur voleva restare vivo per incontrare di nuovo Georgie, l’unica ragione che lo manteneva ancora in vita era il desiderio di tornare a vivere con lei.
Abel ripensò allora a quando Arthur l’aveva salvata dalla caduta nel fiume e si disse che suo fratello avrebbe avuto più diritto di lui a stare vicino a Georgie perché in quel momento era stato presente, mentre lui era egoisticamente impegnato a dimenticarla, come se ciò fosse mai stato possibile. Se ne rimproverò aspramente, come sempre.
Tutto ad un tratto, le luci nella stanza di Arthur si spensero, le voci si allontanarono e il silenzio cadde sulla torre. Abel si riscosse dai suoi pensieri poi, approfittando di un momento di attenuazione della pioggia, si calò dal tetto con una corda, aprì con un filo di ferro la finestra e lanciò sotto il letto un sasso con la sua lettera accartocciata attorno. In quel momento nella stanza non c’era nessuno, ma Abel sperò ardentemente che suo fratello trovasse il messaggio e, in un momento di lucidità, riuscisse a leggerlo.
Quando finalmente scese dal tetto, si rese conto che doveva essere passato tanto tempo da quando era arrivato perché era molto buio e le luci della casa erano quasi tutte spente. Per tutte le ore che era rimasto ad aspettare, la pioggia aveva continuato a cadere incessantemente e Abel l’aveva sentita impregnare sempre più i suoi capelli e i suoi vestiti, fino a scorrere gelida sulla sua pelle. Stanco e infreddolito, si incamminò verso casa: la strada era molto lunga ma, rincuorato dal fatto che era riuscito a lasciare ad Arthur la lettera, si fece coraggio.
Quando finalmente arrivò a destinazione, Abel vide filtrare della luce sotto la porta e capì che Georgie era ancora sveglia, così - per non farla preoccupare - una volta entrato in casa, pur stanchissimo si sforzò di sorridere. La vide poi correre preoccupata verso di sé e si accorse che non gioì eccessivamente quando lui le comunicò che era riuscito a lasciare un messaggio al fratello. Gli sembrava completamente presa dal pensiero di occuparsi di lui. Si sentì gratificato per le sue attenzioni e così seguì docile il suo consiglio di sedersi accanto al camino e di levarsi gli abiti bagnati di dosso.
Non fece in tempo però a spogliarsi perché fu la stessa Georgie che, come quando erano piccoli, gli sfilò la camicia di dosso. Abel, avendo ancora il respiro un po’ affannato per la lunga camminata, si sedette accanto al fuoco, chinò il capo e appoggiò le braccia sulle gambe per riposarsi. In quel momento sentì la mano di Georgie sfiorarlo per controllare il calore del suo corpo. Non ci prestò molta attenzione, fino a quando non si accorse che la mano restava ferma lì sulla sua spalla. Alzò allora il capo per cercare di capire cosa stesse succedendo perché quella situazione lo stava mettendo in imbarazzo e scorse una strana espressione dipinta sul volto della sorella: un’espressione sognante. Non volle indagare per sapere su quali pensieri, quali situazioni e quali persone stesse concentrandosi il pensiero di Georgie perché era così provato che certamente non avrebbe retto un riferimento a Lowell senza arrabbiarsi, per cui si alzò per andare a cambiarsi. Prima di allontanarsi volle però ringraziare Georgie che lo aveva aspettato in piedi e gli aveva addirittura preparato la cena. Tuttavia, le parole con cui lei gli rispose gli gelarono il sangue più di tutta l’acqua che gli era caduta addosso quella sera. Abel si morse istintivamente il labbro per non replicare e andò via.
Si sentiva come su un’altalena: per un momento lei era gentile e affettuosa e si preoccupava per lui, poi lo allontanava bruscamente. Perché? Che bisogno aveva di ricordargli che erano cresciuti assieme come fratelli? Che bisogno aveva di mettere distanza tra loro in quel momento? Da quando lei lo aveva rifiutato dai Barnes, lui non si era più avvicinato a lei in alcun modo, se non per aiutarla. Perché allora lo respingeva così duramente?
Abel proprio non capiva, ma era troppo infreddolito e affaticato per occuparsene. Tornò quindi in salotto e iniziò a mangiare, accompagnato da una triste amarezza e, non molto più tardi, con quella stessa amarezza nel cuore, si addormentò mentre contemplava in silenzio le fiamme nel camino.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


A presto (giuro!) il seguito...

Quella notte Georgie si girò e rigirò nel letto senza riuscire a prendere sonno. La preoccupazione per la situazione in cui si trovava Arthur, l’ansia che l’aveva accompagnata tutto il giorno nel sapere Abel diretto al castello dei Dangering e quella strana inquietudine che serpeggiava nel suo cuore non la fecero dormire.
Si alzò molto presto e decise di scendere in strada per aspettare il venditore di latte. Stretta nel suo mantello davanti al portone del palazzo, pensò che ancora non si era abituata alla vita di città, mentre Abel le sembrava molto a suo agio lì a Londra. Finalmente, il venditore di latte arrivò e Georgie poté comprarne a sufficienza per lei e per Abel. Desiderava, infatti, che il fratello al suo risveglio ne trovasse una bella tazza calda.
Tornata in casa, si levò il mantello stando bene attenta a non fare rumore per non svegliare Abel che stava ancora dormendo. Si mise poi ad accendere la cucina a legna per scaldare il latte. Dopo un po’ Abel aprì gli occhi e scorse Georgie in piedi davanti alla stufa. Provò a chiamarla un paio di volte, ma la ragazza non gli rispose. Decise allora di alzarsi e di avvicinarsi. Era scalzo, per cui non fece molto rumore.
“Buongiorno” – le disse piano una volta dietro di lei. Georgie, che era sovrappensiero, sobbalzò e, indietreggiando maldestra, andò a sbattere contro di lui. Il ragazzo le afferrò deciso le spalle per sostenerla e rimase immobile. Anche Georgie non si mosse, si sentiva sovrastata da Abel, che era tanto più alto di lei e molto più forte. Dopo alcuni secondi che a entrambi sembrarono eterni, Abel le chiese: “Scalderesti un po’ di latte anche per me, per piacere?”. Georgie gli rispose in un soffio: “E’ per te questo latte, Abel”. Sorpreso Abel chinò il capo e sussurrò all’orecchio della ragazza un suadente quanto lievemente sarcastico: “Davvero? Beh, allora grazie … sorella”. Georgie non rispose e non distolse neanche lo sguardo dal pentolino del latte perché era profondamente turbata dal contatto con il corpo caldo e muscoloso di Abel e dal suo respiro sul collo e, quando lui si allontanò, si sentì pervasa da un’improvvisa sensazione di freddo.
Più tardi quella stessa mattina, Georgie cuciva in silenzio a casa di Emma. Poiché era da quando era arrivata che stranamente non proferiva parola, Emma si decise a chiederle cosa avesse. “E’ per mio fratello” – rispose mesta Georgie. “E' successo qualcosa ad Abel?” – chiese Emma. “No - rispose scaldandosi Georgie – Abel non c’entra proprio niente!”.  Emma sollevò il sopracciglio sinistro, ma aspettò che Georgie continuasse. “Si tratta dell’altro mio fratello, Arthur”. “Hai un altro fratello? Non me ne avevi mai parlato…”. “E’ una storia lunga, Emma – disse Georgie - Arthur è il fratello minore di Abel. E' venuto anche lui qui a Londra, ma non si sa come è finito prigioniero del Duca Dangering, che lo fa passare per il fidanzato di sua figlia Maria”. Emma si portò le mani al volto in segno di disperazione: “Quel Duca Dangering?”. “Sì” – le confermò Georgie. “Ma è un uomo potente e pericolosissimo…” – commentò Emma. “Lo so, lo sappiamo - disse Georgie includendo anche Abel nella sua narrazione - e non abbiamo idea di come fare per salvarlo. Ieri sera Abel si è recato al castello del Duca e ha provato a lasciare un messaggio per Arthur, ma non so se lui riuscirà a leggerlo”. “Ecco perché eri così silenziosa ieri, eri preoccupata perchè Abel andava dai Dangering”- pensò ad alta voce Emma che stava cercando a capirci qualcosa in quella intricata situazione. “Sì, ma non solo per lui…” – ci tenne a precisare Georgie di getto. Emma alzò di nuovo il sopracciglio: “Forse c’è ancora qualcosa che mi sfugge” – pensò tra sé e sé la giovane donna, che aggiunse:“Ah, no?”. “No – asserì convinta Georgie. “Strano, perché ieri mi sei sembrata diversa dal solito” – incalzò Emma, poi aggiunse cambiando discorso: “La tua mamma dovrà essere così in pensiero nel sapervi tutti e tre lontani da casa…”. Georgie sbiancò perché Emma non le aveva mai posto domande e lei non le aveva mai raccontato tutta la sua storia, le aveva detto soltanto che era andata via di casa per inseguire Lowell, il suo grande amore, a Londra. “Io non sono veramente figlia dei Buttman, Emma. Sono la figlia di un deportato inglese”. “Cosa?” – disse la donna. “Il sig. Buttman mi ha raccolto ancora in fasce tra le braccia della mia mamma morente e mi ha portato a casa sua” – continuò Georgie a capo basso e cercando in tutti i modi di non piangere. “Povera cara – disse Emma – e tu lo hai sempre saputo?”. “No, me lo ha rivelato mia madre prima che partissi per l’Inghilterra”- disse Georgie sorvolando sulla parte più dolorosa di tutta la sua storia. “Quindi tu sei qui anche per cercare la tua famiglia?” – le chiese Emma cercando di tirare i fili di quella intricata situazione. “Sì” – confermò Georgie. “E, quindi, tu e Abel non siete veramente fratelli?”- asserì, pur optando per un tono interrogatorio, la giovane donna. “No, ma siamo cresciuti come tali”- ci tenne nuovamente a precisare Georgie. Emma alzò ancora una volta il medesimo sopracciglio. C’era qualcosa che le sfuggiva in tutta quella faccenda, tuttavia lo scenario in cui l’aveva catapultata Georgie con il suo racconto era così complesso e doloroso, che era difficile coglierne tutte le sfumature senza un’accurata riflessione. Decise quindi di prendersi del tempo per pensare prima di parlarle.
Cercò, però, di distrarre Georgie proponendole di scendere a comprare il giornale per essere aggiornate sugli eventi che si sarebbero tenuti in città: un’attività vitale per lo sviluppo della loro impresa. Georgie accettò volentieri la proposta ma, quando tornò in casa, l’espressione sul suo viso era ancora più criptica di quella di quando era uscita. “Che è successo?” – chiese Emma. Georgie le porse il giornale senza aggiungere altro. Nella pagina dedicata agli eventi mondani, un trafiletto annunciava l’imminente partenza di Elise Dangering e del suo promesso sposo Lowell J. Grey per l’Italia. “Oh, mamma – disse Emma – proprio oggi dovevano pubblicare questa notizia!”. Georgie non commentò.
Il resto della giornata trascorse senza altre conversazioni di particolare rilievo ma, per tutto il giorno, la mente di Emma fu impegnata nella spasmodica ricerca di qualcosa che potesse aiutare l’amica a distrarsi.
Si fece sera e Dick rientrò a casa dal lavoro. Con la scusa di dover consegnare una copertina per la culla della nuova nata, Emma spedì Georgie dalla vicina di casa. L’intenzione della donna era quella di ritagliarsi un lasso di tempo sufficiente per parlare con il marito e ricevere da lui dei consigli sul da farsi. Emma raccontò velocemente a Dick della notizia di Lowell, ma non fece in tempo a finire il discorso che, dalla finestra scorse Abel che, come ogni sera, era venuto a prendere Georgie. Emma allora si affacciò e gli fece cenno di salire. “Come è premuroso Abel con Georgie – disse Emma al marito – la viene a prendere tutte le sere perché non ha piacere che faccia la strada da sola a piedi a quest’ora. Lo faresti anche tu con me, vero caro?”. Dick guardò la moglie con fare interrogativo poi pensò bene che fosse il caso di rispondere affermativamente per cui, avendo la bocca impegnata a masticare una mela, fece un cenno di assenso con il capo. Nel frattempo Abel bussò alla porta. Dick andò ad aprire e si presentò perché era la prima volta che si incontravano. Abel lo salutò poi chiese dove fosse Georgie. Emma gli rispose che si trovava fuori per una veloce commissione poi quasi assalì i due uomini chiedendo loro consigli e proposte per aiutare la ragazza in quella giornata così difficile.
Abel guardò Emma preoccupato, chiedendole cosa fosse successo di così grave. Dick si schiarì la voce e lesse ad Abel il trafiletto incriminato. Abel si irrigidì e sotto il mantello strinse i pugni. Avrebbe avuto voglia di strappare quel giornale, anche se la notizia in esso contenuta di per sé avrebbe potuto anche essere buona. Era la reazione che, secondo Emma, Georgie aveva avuto a renderlo nervoso.
Emma vide una strana espressione profilarsi sul volto di Abel, ma non fece in tempo a investigare perché, in quel momento arrivò Georgie. “Ciao Dick” – disse allegra poi girandosi verso Abel e arrossendo leggermente, gli chiese come mai fosse salito in casa. “Sono venuto a prenderti per portarti a una festa, se ti va” – gli disse lui sforzandosi di non far trasparire il suo nervosismo. “A una festa?” – chiese Georgie stupita. “Sì, il sig. Allen ha organizzato una festa a bordo della nave che abbiamo appena finito di realizzare. Si è trattato di un importante incarico per lo studio, per cui ha deciso di celebrarlo con tutti quelli che hanno lavorato alla progettazione e alla costruzione della nave. Ci saranno anche Joy e sua madre che si occuperanno del cibo e delle bevande. Vedrai, sarà una bella serata”- le disse Abel, cercando di suonare convincente. La descrizione dell’evento corrispondeva al vero, era la propensione al divertimento di Abel a non essere veritiera. Il ragazzo, infatti, non aveva la benché minima voglia di recarsi a quella festa e aveva anche già declinato l’invito, ma si trattava dell’idea migliore che gli fosse venuta in mente in quel frangente. Emma e Dick appoggiarono calorosamente la sua proposta e così Georgie, pur sorpresa della cosa, accettò. I due ragazzi furono poi letteralmente spinti fuori di casa da Emma che li spronò quasi con veemenza a divertirsi.
Rimasti soli, i due sposi si guardarono negli occhi poi Emma disse al marito che aveva bisogno di parlargli. Aveva intenzione, infatti, di metterlo al corrente di ciò che Georgie le aveva raccontato, ma soprattutto – dato che c’era qualcosa in tutta quella faccenda che non le quadrava – aveva bisogno di confrontarsi lui.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Come promesso...

Si incamminarono verso il porto senza parlare. Abel era molto preoccupato perché aveva visto l’espressione malinconica dipinta sul volto della sorella. Avrebbe voluto aiutarla a cacciar via la tristezza, ma era consapevole di essere l’ultima persona al mondo con cui Georgie avrebbe avuto piacere di condividere il dolore per la perdita di Lowell. Così le stette accanto in silenzio, anche se ciò lo faceva sentire tremendamente impotente.
Abel sentiva anche di avere i nervi a fior di pelle. Era più forte di lui, ogni qualvolta pensava a Lowell gli montava dentro una rabbia incontenibile perché non si capacitava proprio di come sua sorella avesse potuto innamorarsi di un tale damerino. Un uomo che non era riuscito in alcun modo a prendersi cura di lei, anche se – in fuga da Londra - aveva promesso allo stesso Abel che lo avrebbe fatto. E per una persona forte, pragmatica e idealista come lui ciò rappresentava davvero una grave colpa.
Ovviamente, sua sorella non gli aveva mai raccontato nulla della loro convivenza ma - quando si erano rivisti - Abel aveva notato che lei non aveva più indosso il suo bracciale d’oro e che le sue mani erano piuttosto rovinate. Ne aveva dedotto che il periodo trascorso assieme doveva essere stato molto difficile. Di certo, la malattia di lui non li aveva aiutati ma Abel era convinto che, anche in condizioni favorevoli, la debolezza del carattere di Lowell si sarebbe prima o poi rivelata.  
Accanto a lui, Georgie – che era di tutt’altro avviso - stava rivivendo nella sua testa i momenti passati con il suo amato: dall’emozione del loro primo incontro al coraggio che le ci era voluto per drogargli il vino il giorno del loro addio. Sperava che in futuro quelle immagini si sarebbero trasformate in dolci ricordi, ma per ora le parlavano di un futuro mancato assieme e la rendevano profondamente infelice. Al pensiero poi di Lowell tra le braccia di Elise sarebbe volentieri scoppiata a piangere, ma - essendo con Abel - non si sentì libera di farlo. Con ogni probabilità, infatti, Emma e Dick gli avevano raccontato l’accaduto. No – pensò Georgie – sicuramente Emma aveva detto qualcosa ad Abel perché la storia della festa le sembrava molto sospetta. Forse Emma aveva insistito affinché Abel portasse sua sorella con sé quella sera. Sulle labbra della ragazza comparve un timido sorriso al pensiero dell’amica che si era data così pena per lei.
Una volta giunti a destinazione, Georgie fu distolta dai suoi pensieri nel vedere la nave sulla quale sarebbero saliti. La ragazza si emozionò: le sembrava bellissima e avrebbe voluto che Abel le parlasse del progetto ma, quando si girò verso il fratello, notò che il suo volto era molto teso, per cui desistette dal chiederglielo. Musica e rumore di passi provenienti dal salone illuminato verso cui erano diretti attirarono la sua attenzione. “Siamo arrivati” – le disse Abel con un tono di voce il più incolore possibile tuttavia Georgie – che lo conosceva bene – riconobbe in esso tracce di rabbia e si sentì a disagio.
L’ambiente in cui entrarono era caldo, accogliente e vi regnava un’atmosfera festosa con persone che ballavano e altre intente a parlare davanti a giganteschi boccali di birra. Abel fece strada a Georgie e la aiutò a togliersi il mantello. Non ebbero però il tempo di levarsi i soprabiti di dosso che si fece loro incontro un collega di Abel, un giovane uomo dal volto lentigginoso, che disse con voce allegra: “Sei venuto, allora! Il sig. Allen ci aveva detto che forse non saresti stato dei nostri stasera”. Abel sorrise in maniera piuttosto formale. “Accipicchia Abel, vedo che incredibilmente non sei da solo, hai portato con te una ragazza e che ragazza! Complimenti signorina, lei è proprio uno splendore” – disse il ragazzo baciando la mano a Georgie, che divenne color porpora. “Smettila, Rick!” – gli disse duro Abel. “Smetterla? Il solitario e inavvicinabile Abel ci porta finalmente a conoscere la sua ragazza e dovrei far finta di niente?” – disse Rick ironicamente, strizzando al contempo l’occhio a Georgie.
Nel tentativo di proteggere la ragazza da tutte quelle attenzioni, Abel disse: “E va bene Rick, ti presento Georgie, mia sorella”. Georgie non sapeva se essere grata ad Abel per averla tolta dall’impiccio o arrabbiata con lui perché questa storia della sorella cominciava davvero a urtarla nel profondo. “Tua sorella? Oh bene, allora non ti offenderai se te la rubo per un ballo” – disse Rick porgendole la mano. “Sta a lei decidere” – rispose Abel impassibile. Georgie si girò a guardarlo delusa e stupita allo stesso tempo, ma Rick non le diede tempo di parlare perché la trascinò via con sé dicendole festoso: “Unisciti a noi nelle danze Georgie e non preoccuparti per il tuo gelido fratello, vedrai che qualcuno troverà per fargli compagnia. Non sai cosa darebbero le signore che sono in questa stanza per ballare con lui!”. Georgie – che era un po’ arrabbiata con Abel - non si fece pregare e si lasciò condurre da Rick in un gioioso ballo di gruppo che le ricordava tanto quello del matrimonio di Emma e Dick. Sentiva proprio il bisogno di distrarsi!
Rimasto solo, Abel attraversò la sala per andare a salutare il sig. Allen, che fu molto contento di vederlo, poi si recò verso il bancone a prendere una birra. Trascinata dalle danze ma memore del commento di Rick, Georgie cercò ripetutamente di individuare il fratello tra la folla per vedere con chi stesse ballando, fino a quando non lo scorse seduto ad un tavolino, immerso nei suoi pensieri. Si rese conto allora che Abel non avrebbe avuto alcuna voglia di andare a quella festa ma che lo aveva fatto solo per lei. Il disappunto che aveva provato poco prima lasciò spazio a un sentimento di gratitudine.
Sorseggiando da solo la sua birra, il ragazzo la osservò a lungo volteggiare in quelle improvvisate e allegre quadriglie e fu felice di averla portata lì. Avrebbe voluto anche lui partecipare dell’atmosfera spensierata che si respirava nella sala, ma il suo animo oppresso da una stratificata pesantezza glielo impediva. Abel non ricordava quasi neanche più quando era stato il suo ultimo momento di leggerezza, sapeva solo che negli anni gli eventi erano precipitati e che ora il pensiero di Arthur marchiava a fuoco ogni sua giornata. Si chiese in quel momento se avesse fatto bene la sera precedente a lasciargli la lettera e sperò che nessun altro avesse intercettato il suo messaggio perché ciò avrebbe con ogni probabilità peggiorato la già disperata situazione in cui versava suo fratello. Sospirando si portò una mano alla fronte. La voce allegra di Joy lo richiamò alla realtà: “Che ci fai qui tutto da solo fratellone?”. Abel si girò a guardarla con affetto. “Perché non stai ballando?” – continuò la ragazzina. “Preferisco stare qui, Joy” – le rispose Abel sinceramente. “Però potresti invitare la tua sorellina a ballare!” – gli propose Joy. “La mia sorellina?” – ripeté Abel, il cui pensiero era volato a Georgie. “Sì, io!” – disse Joy ridendo. Abel non rispose immediatamente così Joy iniziò a tempestarlo di suppliche e richieste. “E va bene, hai vinto tu” - capitolò alzandosi. “Evviva, avrò il cavaliere più bello di tutta la festa!” – disse Joy con entusiasmo mentre si aggrappava al suo braccio. “Sciocchina…” – le rispose Abel sorridendo. Quella ragazzina era davvero una delle poche persone in grado di scalfire la sua dura corazza.
Abel iniziò a ballare con Joy, poi quella gioiosa danza popolare finì per trascinarlo di dama in dama fino al centro della sala. Al termine della musica, il ragazzo si fermò un po’ ansimante e nel girarsi, rimase sorpreso di trovare Georgie proprio davanti a sé. Anche la ragazza si stupì. Era stata, infatti, così intenta a ballare che non si era accorta del fatto che Joy era riuscita a convincere suo fratello a unirsi alle danze.
La ragazza aveva le guance arrossate, gli occhi brillanti e il petto che si andava alzando e abbassando rapidamente a causa del respiro un po’ corto. Abel la fissò estasiato, sentendosi attratto da lei come da una calamita. In quel momento nella stanza risuonarono lente le note di un walzer e Abel d'istinto fece un passo in avanti per invitare Georgie a ballare, poi la sua parte razionale lo bloccò. Rimase in piedi davanti a lei alcuni lunghi secondi poi, pur tremendamente combattuto, lasciò vincere la sua passione e le porse una mano. Georgie, un po’ stupita perché non aveva mai visto il fratello ballare spontaneamente in vita sua, gli sorrise e accettò l’invito.
Quando Abel le cinse la vita, Georgie avvertì uno strano formicolio nello stomaco: la presa di lui era molto delicata, diversa dalla fisicità a cui il loro rapporto da ragazzi l’aveva abituata. La fanciulla sorrise pensando a come Abel, all’apparenza così freddo e arrogante, fosse in realtà un uomo molto dolce, soprattutto con lei. Subito dopo però le guance le andarono letteralmente in fiamme perché il contatto della sua mano con i muscoli del braccio di lui le richiamò con forza alla mente l’episodio occorso quella mattina. Georgie abbassò la testa per nascondere il rossore. Quando finalmente riuscì a calmarsi, alzò di nuovo il volto, incontrando così lo sguardo di Abel che era fisso su di lei dall’inizio. Da quel momento in poi Georgie non fu più in grado di staccare i suoi occhi da quelli del fratello: come risucchiata da un gorgo, la ragazza sentì che questa volta non sarebbe voluta fuggire, avrebbe solo voluto continuare a ballare in bilico sulle onde di quell’abisso.
Lentamente poi Georgie vide l’espressione del viso di Abel sciogliersi fino a quando il ragazzo non tornò a guardarla con gli stessi occhi carichi di amore di quando, anni prima, le aveva preso il viso tra le mani e l’aveva baciata. Georgie sentì il formicolio nello stomaco aumentare a dismisura e si allarmò ma, contemporaneamente, non poté fare a meno di ripensare a quel bacio casto e delicato, così diverso da quello che le aveva dato Lowell alla gara di boomerang. L’impetuoso e passionale Abel, infatti, era stato molto dolce con lei e aveva avvicinato il suo volto in maniera lenta e graduale, dandole tutto il tempo per respingerlo. Lei però era rimasta immobile, aspettando di sentire le labbra di lui poggiarsi sulle sue. Il calore e il sapore di quel bacio tornarono improvvisamente ad avvolgerla e, con spavento, Georgie realizzò che quel giorno non solo non aveva respinto suo fratello ma una parte di lei aveva addirittura desiderato che lui la baciasse.
A quel pensiero, la ragazza cominciò a tremare e fu assalita da un’improvvisa voglia di piangere. Georgie non si sentiva triste ma non era neanche capace di fermare le lacrime che si affacciavano copiose ai suoi occhi. Per far sì che Abel non la vedesse, la ragazza distolse immediatamente lo sguardo, ma lui la conosceva troppo bene per non accorgersene e la amava troppo per non preoccuparsi. E, infatti, Abel smise seduta stante di ballare, le prese il volto in una mano e la guardò interrogativamente, poi con il dorso dell’altra mano le sfiorò la guancia per asciugarle le lacrime. Per un istante Georgie rispose al suo sguardo con occhi terrorizzati, poi cominciò a singhiozzare. Abel si sentì terribilmente in colpa per non aver tenuto a freno i suoi sentimenti poi sentì la rabbia crescere dentro di sé al pensiero di non poter far niente per consolarla. L’espressione del suo volto tornò a indurirsi e un’ombra calò sui suoi occhi. Georgie se ne accorse e si sentì morire perché non voleva fargli del male di nuovo, ma non riuscì a dire niente perché le parole le morivano in gola.
In quel preciso istante Abel si sentì bussare a una spalla, si girò e vide Rick. Il ragazzo in tono scherzoso gli disse: “Abel, non crederai mica che Georgie voglia fare il primo ballo a due della serata con suo fratello!”. Georgie che, con il cuore in gola, stava cercando di ricomporsi, rimase in silenzio. Abel guardò Rick per un attimo poi, con voce cupa, gli rispose: “Hai ragione Rick, non credo proprio che lo voglia …”. Detto questo, si allontanò. Georgie vide il fratello mettersi il mantello e uscire e avvertì la stessa sensazione di freddo che aveva provato quella mattina. Rick guardò Georgie stupito dopodiché le disse: “Come è possibile che una ragazza solare come te abbia un fratello così scontroso?”. Georgie non rispose, sapeva bene che Abel non era scontroso, era solo profondamente ferito e per tutto il ballo continuò a fissare la porta della sala afflitta da un grande senso di colpa.
Una volta sul ponte, Abel si avvicinò alla balaustra di legno e la strinse così forte da farsi quasi male: non voleva cedere alla rabbia e al dolore, non voleva che l’impulsività del suo carattere avesse il sopravvento su di lui. Nel tentativo di calmarsi, respirò a lungo la brezza dal lontano sapore di mare che gli sferzava il volto, continuando a ripetersi che avrebbe dovuto dar retta alla voce dentro di sé che gli diceva di non avvicinarsi a lei, non di certo il giorno in cui un articolo di giornale le aveva ricordato di aver perso il suo amore per sempre. Si dette quindi dell’egoista per averla invitata a ballare, per averle chiesto di condividere con lui quel momento, per averla fatta piangere. Giurò a se stesso che, da allora in avanti, le sarebbe stato vicino senza cercare più di dare forma alcuna al suo amore, senza cercare più in alcun modo di realizzare i suoi desideri.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


@ Karmilla: piccoli passi ... ;  )
 
Una volta raggiunta una sorta di penosa atarassia, Abel rientrò nella sala e, da lontano, vide il signor Allen che gli faceva cenno di avvicinarsi poi scorse Georgie accanto a lui. Giunto vicino a loro, Allen gli chiese che fine avesse fatto, poi aggiunse: “Tua sorella è qui che ti aspetta da un po’”. “Ero uscito a prendere un po’ d’aria” – rispose evasivo Abel, senza girarsi a guardarla. Georgie invece lo guardò bene perché voleva capire quale fosse il suo stato d’animo, ma il volto di Abel non lasciava trasparire alcuna emozione, anche se i suoi occhi le sembrarono più opachi, più spenti. “Dì la verità, ragazzo mio, eri uscito a contemplare la tua creazione prima di separartene, vero?”- disse Allen strizzando l’occhio ad Abel. Poi, rivolgendosi a Georgie, disse: “Sai cara, per costruire questa nave ho usato molti dei suggerimenti di Abel e per la prossima ho deciso che mi baserò interamente su un suo progetto”. “Su un mio progetto?” – ripetè il ragazzo incredulo. “Sì, hai capito bene, Abel. La prossima nave che costruirò sarà una tua nave”. Sul volto del ragazzo – visibilmente emozionato - si aprì un sorriso. E in quel sorriso Georgie intravide un barlume dell’Abel che conosceva da sempre, del suo Abel. Gioì per lui. “Chi l’avrebbe mai detto che quel giorno in quel vicolo avrei trovato il mio miglior collaboratore!” - disse il signor Allen, dando una pacca sulle spalle ad Abel. Il ragazzo - sebbene fosse alto e ben piazzato - vacillò un po’ perché il signor Allen al suo confronto era quasi un gigante. “Comunque di tutto questo ne parliamo domani, perché ora devi riportare a casa una fanciulla che è molto stanca”, continuò Allen indicando Georgie. Questa volta il ragazzo si voltò a guardarla. I loro sguardi si incrociarono e quello di Abel sembrò a Georgie molto distante. Sentendosi tremendamente in colpa, la ragazza gli sorrise timidamente. Abel annuì in risposta ad Allen e, dopo aver salutato tutti, si allontanò con lei.
Nel loro silenzioso tragitto verso a casa Georgie si scoprì più volte a osservare il fratello, il cui viso era quasi del tutto celato dal bavero alzato del mantello. Georgie lo guardava con attenzione e ammirazione perché, anche se Abel aveva pochi anni più di lei, era così adulto, così maturo. Certo, Abel era sempre stato sicuro di sé anche quando erano piccoli, ma ora le sembrava proprio che fosse tanto più grande di lei. Forse perché erano anni che viveva lontano da casa, sempre cavandosela da solo, forse perché aveva girato attorno al mondo, forse perché era riuscito a coronare il suo sogno di diventare un progettista di navi ... Georgie non lo sapeva, ma in quel momento, il pensiero di Lowell le parve molto, molto lontano.
Una volta giunti a casa, i due ragazzi si salutarono ma Georgie non andò a dormire immediatamente, indugiò invece ancora un po’ sulla soglia della camera. Vide allora il fratello avvicinarsi al mobile per tirare fuori il cuscino e la coperta e le fece tanta tenerezza, perché da settimane ormai Abel dormiva su quel divano che non doveva essere per niente comodo per una persona della sua stazza. Georgie lo chiamò: “Abel…?”. Il ragazzo, che aveva cominciato a togliersi la camicia pensando di essere da solo, si girò verso di lei, sorpreso di sentire la sua voce. “Grazie per avermi portato a quella festa…” – aggiunse la ragazza. “Di niente” – rispose lui, abbozzando un sorriso, senza però che i suoi occhi sorridessero, poi nuovamente le diede le spalle. Dopo un po’ il ragazzo sentì un’altra volta la voce di Georgie che lo chiamava titubante: “Abel …?”. Si voltò di nuovo a guardarla e la vide lì sulla porta con lo sguardo di chi chiaramente si sente in colpa, ma Abel non aveva voglia di parlare di ciò che era accaduto tra loro quella sera, né tantomeno di essere compatito da lei, per cui - augurandole buonanotte - tagliò di netto la nascente conversazione. “Buonanotte anche a te” – disse Georgie, ritirandosi nella camera da letto che un tempo era di Abel.
Le settimane che seguirono furono un periodo di relativa calma per i due ragazzi che sperimentarono un periodo di convivenza tranquillo, nonostante l’attesa di una risposta da parte di Arthur e l’evidente tensione tra loro.
Abel sistemò un altro letto in un angolo del salotto e, grazie a un separè, riacquistò finalmente un suo spazio privato. La migliore qualità del riposo unita allo stile di vita più regolare favorito dalla convivenza con Georgie, portarono in breve tempo a un’attenuazione delle sue occhiaie e a un netto miglioramento del suo aspetto, che tornò a ricordare quello di un tempo. Ciò che però aiutò maggiormente la ‘rinascita’ di Abel fu la proposta del signor Allen. Abel si sentì così gratificato che si buttò anima e corpo nel lavoro. E, in quei giorni, ringraziò Dio di avere una passione tanto forte da farlo andare avanti nonostante tutto e da permettergli sia di tenere sotto controllo l’ansia per Arthur sia di distrarsi dal pensiero di Georgie.
Anche Georgie fu molto assorbita dal suo lavoro poiché non passava giorno che l’impresa creata con Emma non acquisisse nuove clienti dell’alta società, grazie soprattutto all’abilità di Georgie di disegnare abiti eleganti e fantasiosi. In poco tempo, l’attività si ingrandì a tal punto che le due ragazze proposero a Joy di unirsi a loro, offerta che la ragazzina accettò molto volentieri e valutarono addirittura di trovare un’altra sistemazione dato che la piccola casa di Emma non era più in grado di ospitarle.
Georgie sentiva di star vivendo la sua vita pienamente e anche il ricordo di Lowell era per lei sempre meno doloroso. Allo stesso tempo, nonostante che fosse contenta per Abel, il fatto che lui fosse soventemente assorto nei suoi pensieri la faceva sentire messa da parte. Nelle loro serate casalinghe il ragazzo era, infatti, ancora più taciturno del solito e quasi sempre intento a studiare. La sua scusa ufficiale era che l’impegno per la progettazione della nave lo assorbiva enormemente, la realtà era che Abel cercava il più possibile di limitare le interazioni con la sorella. In tutto ciò, il letto nuovo e il separè lo aiutavano non poco.
Al contrario, Georgie stava cercando di capire quale fosse l’origine del turbamento che sempre più prepotentemente si agitava dentro di lei. E così, spesso e volentieri, si trovava intenta a riflettere sul suo rapporto con Abel per cercare di comprendere perché gradisse così tanto le attenzioni del ragazzo: se si trattava di abitudine, di affetto fraterno oppure se il sentimento che provava per lui era di altra natura. Pensiero quest’ultimo che la metteva a disagio a tal punto da cercare con tutta se stessa di rimuoverlo. Passava però ore a ‘studiare’ da lontano il fratello e a ripercorrere con la mente la loro vita assieme in cerca di segnali che la aiutassero a capire. Si rese allora conto che sì Abel era stato sempre molto protettivo nei suoi confronti sin da piccolo ma che, parimenti, lei era sempre andata in cerca delle sue attenzioni, comportandosi così in maniera diversa con lui rispetto a come si comportava con l’altro suo fratello.
Nel flusso di ricordi, le tornarono in mente molti episodi della loro vita assieme, tra cui la prima volta in cui Abel era stato scontroso con lei: erano ancora alla scuola domenicale e il fratello inspiegabilmente l’aveva allontanata, chiedendole di non stargli sempre attaccata. Nonostante che all’epoca fosse molto piccola, Georgie ancora ricordava la cocente delusione di sentirsi respinta da lui. Ricordava, però anche la sua somma felicità quando Abel l’aveva portata sulla schiena dalla miniera abbandonata fin da sorella Kate perché si era fatta male a una gamba. E lì, abbracciata al fratello, si era sentita felice e sicura, come con il suo papà.
Si ricordò anche di quando aveva cominciato a vedere Abel come un adulto, nonostante il fratello non avesse ancora compiuto quindici anni. Era il giorno in cui erano andati a Sydney a consegnare della merce e Abel aveva manifestato ai suoi fratelli il desiderio di fare il marinaio. Non sarebbe stata intenzione palesare il suo desiderio alla mamma ma, su suggerimento di Georgie lo aveva fatto e la mamma – in preda alla preoccupazione – si era arrabbiata così tanto con lui, che era arrivata a schiaffeggiarlo. La sera precedente però i lupi avevano attaccato la fattoria, così quella stessa notte i tre i fratelli avevano deciso di appostarsi in attesa che le belve tornassero, per scacciarle. In quel frangente Abel aveva coraggiosamente salvato Arthur che era inciampato e caduto a terra, rischiando così di essere assalito dai lupi. Abel non aveva avuto dubbi né paura, si era buttato a terra per raccogliere il fucile e aveva messo in fuga le bestie feroci, poi aveva detto alla mamma che era intenzionato a rinunciare al suo sogno di fare il marinaio per restare a proteggere tutti loro. In quel momento, Georgie aveva guardato il fratello con un amore e un’ammirazione sconfinati e si era sentita felice che lui avesse desistito dal lasciare la fattoria.
Abel aveva mostrato il suo coraggio anche quando era corso in aiuto di Becky, la ricca e smorfiosa ragazza (come Georgie sottolineava anche nel suo ricordo) che avevano incontrato un giorno che erano andati a fare una cavalcata tutti assieme. Il cavallo di Becky si era imbizzarrito e stava correndo all’impazzata, quando Abel, avendo sentito le urla della ragazza, si era mosso per cercare di salvarla. Fortunatamente, era riuscito nell’impresa, anche se nel farlo si era lievemente ferito. Tutti e tre i fratelli avevano poi accompagnato la ragazza fino alla sua lussuosa dimora, dove Becky - con la scusa di medicare Abel - lo aveva in pratica sequestrato. La fanciulla aveva anche mostrato un atteggiamento ostile verso di lei e aveva cercato di allontanarla in tutti i modi dal fratello.
Il comportamento di Becky le aveva ricordato quello della mamma che sembrava molto preoccupata tutte le volte che lei si avvicinava ad Abel. Forse la mamma si arrabbiava tanto perché vedeva che il loro rapporto era così esclusivo? In effetti, che il loro rapporto fosse molto stretto doveva essere proprio evidente se la stessa Becky, che si era invaghita seduta stante di suo fratello, aveva mostrato segni di gelosia nei suoi confronti.
Abel era certamente attaccato a lei e lo mostrava apertamente, ma forse – pensò Georgie - anche lei lo era altrettanto, tanto è vero che, quando quel giorno aveva chiesto ad Abel di tornare a casa assieme, ci era rimasta molto male nel vederlo titubante. Era stata invece molto felice quando Abel si era addirittura gettato dalla finestra per scappare e tornare a casa con loro. Georgie ricordò anche che, nel raccontare alla mamma l’accaduto, aveva usato un tono indispettito e aveva apostrofato Becky con il termine “stupida” perché aveva osato “prendersi una cotta per Abel!”.
Nei giorni seguenti Georgie era rimasta piuttosto stupita del comportamento di suo fratello tra l’assente e l’indispettito e si era anche chiesta come mai Abel continuasse a paragonarla ad altre persone. Per cercare però di riconquistare la sua attenzione, Georgie aveva acconsentito a partecipare con lui e con Arthur alla festa di compleanno di Becky, a cui erano stati invitati e a cui non avrebbe avuto voglia di andare perché aveva paura di finire oggetto delle angherie della ragazza e delle sue amiche. Predizione che puntualmente si era avverata e sostanziata in un crescendo di dispetti culminato in quel fantomatico pudding preparato da Becky in suo onore che le avevano offerto. Dopo averlo mangiato tutto per compiacere la sua ospite e comprensibilmente alticcia, Georgie aveva cominciato a vagare per il salone e, barcollando, era finita dritta nelle braccia di Abel. Pur essendo ubriaca, Georgie si ricordava chiaramente di come Arthur si fosse arrabbiato con Abel e di come, in tono di sfida, lo avesse invitato a prendere posizione. Ma lei aveva fermato Arthur e, piangendo, aveva confessato ad Abel che aveva sopportato tutto quello solo per lui. Di ciò che era accaduto dopo Georgie aveva immagini piuttosto confuse, ricordava soltanto di essersi addormentata nella carrozza che li riportava a casa, sempre tra le braccia di Abel.
Pensandoci e ripensandoci, Georgie non potette che convenire con se stessa che nella sua vita aveva sempre dato per scontato che Abel fosse pronto a soccorrerla e ad accoglierla. Inoltre, Georgie si disse che, tra le sue braccia, lei si sentiva a casa, si sentiva protetta, si sentiva bene. Forse fin troppo bene… E, infatti, l’ultimo episodio che ricordava prima della partenza di Abel dall’Australia era un abbraccio: di notte e nel bosco. Abbraccio durante il quale Georgie aveva provato delle sensazioni di cui ancora si vergognava. Quell’immagine le riportò alla mente l’intera giornata: di mattina Abel era stato spedito dalla mamma a fare compere dalla signora Potter ma Georgie aveva preso il cavallo e lo aveva raggiunto perché voleva stare un po’ con lui, dato che nei giorni precedenti il fratello era stato un po’ scorbutico. La signora Potter però se ne era uscita con una battuta sciocca e infelice, che aveva fatto precipitare le cose tra loro. Aveva, infatti, detto che erano proprio una bella coppia, Georgie, anche se compiaciuta, aveva riso della cosa perché le sembrava un’assurdità dato che erano fratelli, Abel non aveva preso la reazione di Georgie molto bene (ora poteva capire il perché!) e l’aveva lasciata tornare a casa da sola. La mamma, ovviamente, si era molto arrabbiata e l’aveva accusata di aver combinato un guaio. In risposta lei era uscita a cavallo per cercare il fratello, ma aveva cominciato a piovere e si era rifugiata in un albero cavo, luogo dove Abel era fortunatamente riuscito a trovarla, come sempre. Quando Georgie aveva visto il fratello, gli si era gettata tra le braccia, solo che Abel quella volta aveva reagito in maniera diversa rispetto al solito e incomprensibile per lei all’epoca: l’aveva stretta a sé, si era gettato a terra ed era rimasto in silenzio sotto la pioggia scrosciante. Solo ora, Georgie capiva che quello era il suo modo di dirle addio perché il giorno successivo, all’ombra di un eucalipto, il fratello le avrebbe comunicato che aveva deciso di imbarcarsi.
Georgie ricordò distintamente le sue sensazioni nel momento in cui Abel le aveva comunicato la sua decisione e il dolore che le aveva bloccato le parole in gola. Non era riuscita a dire niente per fermarlo anche perché dentro di sé si vergognava profondamente per i sentimenti e le sensazioni che aveva provato la sera prima, stretta tra le braccia di suo fratello e aveva paura che tutto questo sarebbe venuto fuori se avesse parlato. E così aveva preferito tacere e lo aveva lasciato partire, anche se il suo cuore era dilaniato e le lacrime scendevano copiose sul suo viso mentre correva lungo tutta la banchina del porto di Sydney per un ultimo saluto.
Si sarebbero rivisti soltanto due anni dopo, quando Georgie sarebbe andata a prenderlo al porto al rientro del suo viaggio in mare. Solo che quel giorno non lo avrebbe trovato da solo, ma in compagnia di una donna, e per giunta, intento a baciarla. Come aveva avuto modo di ricordarsi alcune settimane prima, nel pub dove Abel l’aveva portata, alla vista di quella scena Georgie aveva provato un moto istintivo di gelosia nei confronti di quella ragazza. Georgie però si ricordò anche che Abel, non appena l’aveva vista, era subito uscito dal pub per seguirla lasciando spiazzata Jessica. Ricordò anche che quando, imbarazzatissima, aveva alzato il volto per guardarlo e lo aveva visto così bello e sorridente, gli avrebbe accarezzato il volto volentieri, se Jessica non si fosse intromessa tra loro.
All’epoca Georgie si era chiesta perché, come sorella, le avesse dato così fastidio che una ragazza mostrasse interesse per suo fratello. Georgie si era risposta che non avrebbe voluto condividere il suo abbraccio con nessun’altra perché Abel era il suo rifugio, il suo porto sicuro. Si era data allora dell’egoista e si era chiesta che cosa avrebbe voluto Abel. Forse avrebbe avuto piacere ad avere una fidanzata? E così, in groppa a quel cavallo che li riportava a casa, Georgie aveva cercato di non mostrare tanto al fratello la propria delusione.
Perché poi era così delusa, si chiese? Lei aveva già incontrato Lowell all’epoca e se ne era perdutamente invaghita, non avrebbe dovuto pensare alle attenzioni che riceveva o non riceveva da suo fratello. Eppure, il comportamento di Abel non le era mai stato indifferente. Persino Lowell – ripensandoci - si era stupito che fossero fratelli, come chiaramente si era evinto dalla sua reazione quando Abel lo aveva colpito dopo la gara di boomerang. Anche lui aveva forse visto nei loro comportamenti qualcosa di insolito? Perché era così palese a tutti e non a lei?
Ma, soprattutto, perché si sentiva così in colpa a pensare ad Abel come a un uomo, anche ora che sapeva che non era suo fratello? Eppure quando lui, dopo averle raccontato la storia del suo ritrovamento, le aveva confessato i suoi sentimenti e si era avvicinato per baciarla, lei non si era sottratta. Anzi, il ricordo di quel bacio l’aveva accompagnata fino a Londra, sulla nave che la portava da Lowell. Perché? E perché non aveva mai fatto l’amore con Lowell? Perché si era sempre sottratta a lui, facendo anche finta di dormire? Eppure era scappata da Abel e ancora continuava a sottrarsi a lui.
Georgie si sentiva confusa e spaesata e, per notti intere – in quelle lunghe settimane – non riuscì a dormire bene perché (volente o nolente) quelle domande affollavano la sua mente intrecciandosi al pensiero mai sopito della tragedia di Arthur.
Una di quelle mattine, al suo risveglio, Georgie si accorse che Abel era già uscito, lasciandole un biglietto in cui le diceva che si era dovuto recare al porto di prima mattina. Georgie, che aveva passato quasi tutta la notte a rimuginare, sentì forte dentro di sé il bisogno di vederlo così, accampando la scusa di dovergli consegnare il cestino che gli aveva preparato per il pranzo, si incamminò verso il porto. Quando arrivò, restò per un po’ in lontananza a osservare Abel che era impegnato a parlare con i marinai. Dopo un po’ il signor Allen scorse la ragazza e le fece segno di avvicinarsi. Georgie arrossì perché si sentì come se fosse stata scoperta, poi però si incamminò verso di lui facendo finta di niente. Giunta dal signor Allen, gli chiese di consegnare ad Abel il cestino: si sentiva un po’ agitata e non voleva assolutamente parlare con suo fratello perché aveva paura che il suo stato d’animo trasparisse. Il signor Allen acconsentì poi le disse allegramente: “Allora Georgie, mi ha detto Abel che tu ed Emma siete in cerca di una nuova sede per la vostra ditta.” “Sì, è vero” – confermò la ragazza. “Bene, - disse il signor Allen sorridendole - ho una grande stanza al pian terreno che non viene utilizzata da tanto tempo. Se volete, potete usarla voi. Sarei felice di ospitarvi”. “La ringrazio signor Allen, accetto con piacere la sua proposta! Anche Emma ne sarà felice, ne sono sicura …” - rispose Georgie, al settimo cielo non solo per l’offerta ma perché la sua frase era la testimonianza che - anche se negli ultimi tempi suo fratello non le aveva parlato molto - si era preso comunque cura di lei e l’aveva aiutata, come sempre. Con un sorriso radioso e pieno di gratitudine, la ragazza si girò a guardarlo. Da lontano Abel, pur sorpreso di vederla lì al porto, le rispose con un’occhiata intensa e un lieve ma complice sorriso.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***



Capitolo ponte verso un passaggio che nel manga si intuisce (a mio parere), ma che non è minimamente esplicitato, ovvero una ritrovata dolcezza tra i due, dopo la tensione (di lui) e prima del pieno coinvolgimento sentimentale (di lei).

Quella mattina Georgie arrivò sorridente a casa di Emma e annunciò che aveva trovato una nuova sede per la loro ditta. Sia Joy sia Emma guardarono Georgie perplesse dato che, non più tardi della sera prima, si erano lasciate ripromettendosi di decidere sul da farsi. Quando la ragazza raccontò loro che cosa era successo, entrambe – ma soprattutto Emma – gioirono perché si trattava di una soluzione comoda e per niente dispendiosa. “Che caro ragazzo!” – disse Emma, riferendosi ad Abel. “Eh sì, il mio fratellone è proprio buono e bravo!” – rincarò la dose Joy. Questa volta Georgie non prese le distanze dai loro complimenti, anzi annuì poi, pensando ad alta voce, disse: “Voglio fare un regalo ad Abel per ringraziarlo… Che cosa posso fare? Ah, sì… gli cucirò una camicia! Sì, sì, proprio una camicia! Scendo a comprare della stoffa perchè quella che abbiamo non va bene”. Emma e Joy si guardarono a vicenda non tanto per quello che Georgie aveva detto (in fin dei conti si trattava pur sempre di suo fratello!), ma per il leggero rossore che comparve sulle sue guance mentre decideva sul da farsi. Non fecero però in tempo a dire niente che Georgie era già uscita di casa. Quando la ragazza tornò, aveva con sè con una tela di cotone color carta zucchero. Sia Emma sia Joy le fecero i complimenti per la tonalità scelta perché – a detta di Joy – avrebbe fatto risaltare ancora di più gli occhi del ragazzo. Georgie confermò sorridendo. E in quel momento Emma, che dai commenti e dalle battutine di Joy era riuscita a capire qualcosa di più della complessa relazione che univa i due ragazzi, cominciò a pensare che in Georgie albergasse nei confronti di Abel un non del tutto conscio sentimento di amore. Un amore certamente non fraterno.
 “Sei di buon umore, eh oggi? Mi fa piacere perché, nonostante tutto quello che ti è successo… riesci ancora a essere allegra, hai proprio un bello spirito!” – disse dopo un po’ Emma a Georgie, mentre questa era intenta a studiare un modello di camicia. “E’ perché sono australiana – rispose Georgie sorridendo – e noi australiani non ci perdiamo mai d’animo!” “Ne sono contenta” – le disse l’amica. In quel momento Joy si avvicinò a Emma e nell’orecchio le sussurrò ridendo: “Secondo me Georgie è allegra perché ha una persona accanto che la sostiene sempre!”. Emma rise con lei. Georgie si girò a guardarle non capendo cosa le due stessero confabulando. Distrasse però subito l’amica chiedendole in prestito una camicia del marito per prendere le misure. Emma accettò ma, quando tornò nella stanza, le disse che non era sicura che i due uomini avessero proprio la stessa taglia. “Hai ragione – disse Georgie – forse Abel è un po’ più alto di Dick”. “Sì, cara – disse Emma – penso anche che le sue spalle siano più larghe”. Il pensiero di Georgie tornò alla sera in cui Abel era tornato a casa bagnato fradicio e a quando lei gli aveva tolto la camicia di dosso così, abbassando lo sguardo, disse: “Sì, credo proprio che sia così Emma”. E questa volta Emma vide chiaramente Georgie arrossire. “Magari stasera quando viene a prenderti controlliamo” – chiosò allegra Emma facendo l’occhiolino a Georgie. Georgie annuì sorridendo.
Più tardi, mentre erano tutte e tre intente a lavorare, Emma chiese a Georgie di parlarle del suo paese. Georgie le raccontò delle praterie sterminate, del sole, degli animali che correvano liberi nei prati, del suo amico Lupp, del calore della gente. La sua voce era allegra e nostalgica assieme. La ragazza terminò il suo racconto dicendo: “Abel e io vogliamo tornare a casa. Non appena avremo salvato Arthur, torneremo in Australia…” – e al pensiero del fratello prigioniero, la sua voce si incrinò. Cercando di farle tornare alla mente ricordi felici, Emma chiese a Georgie di parlarle di Arthur: “Cara, che tipo è l’altro tuo fratello? Somiglia ad Abel?”. Georgie la guardò e, cercando di risponderle, d’istinto disse: “No, direi proprio di no. Non si somigliano affatto”. “Come?” – disse Joy - “Ma se Abel è stato aggredito perché lo avevano scambiato per Cain?” Georgie si girò a guardare Joy – era vero, molti vedevano una grande somiglianza fisica tra i due e, forse, a pensarci bene questa c’era ma si trattava di due persone così diverse che, per chi li conosceva bene come lei, non sarebbe stato possibile in alcun modo confonderli. Cercò di spiegare tutto ciò alle sue amiche: “Sì, forse si assomigliano fisicamente, anche se Arthur è un po’ più minuto di Abel e ha i capelli ricci” - nel pensare al suo adorato fratello sul volto di Georgie comparve un tenero sorriso – “Ma Arthur è un ragazzo tanto dolce...”. In quel momento a Georgie tornarono in mente molti episodi in cui il fratello l’aveva protetta dalle ire della mamma, soprattutto nel periodo in cui Abel era lontano da casa. “E Abel? Non è dolce lui?” – si levò Joy, come sempre in difesa del suo beniamino. “Abel? No … sì … ecco… – Georgie non sapeva come rispondere - insomma… Abel è …. Abel è …. diverso”. Emma e Joy alzarono all’unisono gli occhi per guardarla. Abel era tante cose – si disse Georgie – poi, pensando al comportamento del ragazzo nelle ultime settimane e con una punta di tristezza, disse: “Sì Joy, anche Abel è una persona dolce, ma sa essere anche tanto freddo”. E con queste parole Georgie chiuse la conversazione. Joy ed Emma decisero di non chiederle più niente perchè non volevano metterla in difficoltà.
Grazie alle domande delle amiche, quel pomeriggio la ragazza ripensò molto ad Arthur ma – nei suoi ricordi - la figura di Arthur compariva sempre in secondo piano, sfuocata, come oscurata dall’intensità di quella del fratello. Ripensò anche alle parole pronunciate dallo zio Kevin riguardo ad Arthur: “Anche Arthur è innamorato di te, mia cara. Chi sceglierai tra i due?”. Scegliere? E come avrebbe mai potuto scegliere? Erano i suoi fratelli quelli! Come avrebbe mai potuto pensare a un coinvolgimento amoroso con loro? Anche se Arthur l’aveva salvata da morte certa nelle acque del fiume ed era un ragazzo dolcissimo, ci era cresciuta assieme come una sorella e non avrebbe mai potuto vederlo in nessun altro modo. E Abel? Abel era il suo fratello maggiore, quello che le aveva insegnato a cavalcare e ad arrampicarsi sugli alberi. Le immagini di loro due da bambini che scherzavano felici assieme erano impresse nella sua memoria. Come avrebbe potuto vedere anche lui diversamente? Eppure, al pensiero del ragazzo, Georgie chiuse gli occhi e istintivamente ricordò il calore del suo abbraccio e l’incontro con le sue labbra morbide. Scosse la testa: perché con Abel era sempre tutto così difficile? Riaprì subito gli occhi e si disse – “No, anche Abel è mio fratello! E non mi importa se lui ha sempre saputo che non ero sua sorella, per me era e resta il mio fratellone e non va bene pensare a lui come pensavo a Lowell!”. Detto questo si mise a lavorare ancora più alacremente.
Il pomeriggio volò via veloce tanto che quando Dick giunse a casa, tutte e tre non si erano rese conto che fosse già così tardi. “Hey!” – disse Dick entrando in casa stupito del silenzio – “Tutto bene?” La moglie alzò gli occhi dal suo lavoro e gli corse incontro, felice di comunicargli la novita del giorno. Dick esultò. Poco dopo si sentì bussare alla porta, era Abel che andava a prendere Georgie. Emma, strizzando di nascosto l’occhio a Georgie, con la scusa di ringraziare il ragazzo per aver trovato una nuova sede per la ditta, praticamente lo obbligò ad entrare e a levarsi il mantello. Abel si sentì osservato ma non capì bene il perché, fu però immediatamente distratto dai ringraziamenti che si levarono corali e ai quali rispose dicendo che gli era sembrata una buona opportunità. A parte queste parole, Abel rimase in piedi, in silenzio, con il mantello in mano. Poi però, quando Dick, preoccupato, cominciò a rendersi conto di tutto il materiale che andava portato nella nuova sede, gli disse: “Se vuoi posso aiutarti io”. “Davvero lo faresti? Grazie mille!” – accettò molto volentieri l’uomo. Emma notò subito che, nonostante le parole di Abel di fatto costituissero un’offerta d’aiuto, il suo tono era distaccato e le venne in mente il commento che Georgie aveva fatto quella mattina. Emma si chiese cosa effettivamente fosse successo tra loro e si ripromise che avrebbe in ogni modo cercato di aiutare l’amica, che sembrava soffrire della freddezza del ragazzo. Nel frattempo, Dick e Abel presero accordi sul trasloco prossimo venturo, dopodichè Joy e i due ragazzi si congedarono.
Guardandoli andare via, Emma disse: “Chissà se Georgie riuscirà prima o poi a fare chiarezza dentro di sé?”. Dick la guardò con fare interrogativo: “Chiarezza su cosa?”. “Sui sentimenti che prova per Abel!” – rispose Emma come se si trattasse della risposta più ovvia. “Di quali sentimenti parli, scusa?” – chiese ancora Dick che non ci stava capendo niente. “Secondo me, Georgie sotto sotto è innamorata di Abel, ma non riesce ad ammetterlo a se stessa” “Innamorata di Abel? Ma se è suo fratello!?” – disse stupito Dick. “Di fatto non lo è” – replicò Emma. “Sì, ma sono cresciuti assieme come fratelli” – disse sempre più perplesso Dick, grattandosi la testa. “Ah, … hai ancora molto da imparare sulle donne, caro Dick!” – sospirò Emma, chiudendo la porta di casa.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


La mattina del trasloco splendeva un bel sole e si sentiva nell’aria l’arrivo della primavera. Abel si alzò abbastanza presto e si preparò il caffè. Poi, con la tazza in mano, aprì la finestra per sentire sulla pelle i primi raggi di sole dopo quell’interminabile inverno. Il suo pensiero volò immediatamente al fratello che, rinchiuso in quell’orribile prigione, non avrebbe potuto godere di quel ritrovato calore: “Oh, Arthur, i giorni continuano a passare invano senza che io riesca a salvarti – si disse Abel, intavolando con il fratello un ideale dialogo - So che sei ancora vivo dalle poche notizie che leggo sui giornali, perché ancora ti portano agli incontri dell’alta società, nonostante che la tua salute continui a peggiorare. Per fortuna, la figlia di Dangering sembra tenerci davvero tanto a te e ciò mi fa sperare che tu sia tenuto ancora in vita. Ma per quanto ancora? Per quanto ancora il Duca permetterà che tu viva, tu che rappresenti una così grave minaccia per lui? – Abel scosse la testa - Ti giuro, fratello mio, che verrò a salvarti, fosse anche l’ultima cosa che faccio, perchè non sopporto di saperti prigioniero mentre il mondo rinasce a nuova vita, mentre io mi sveglio tutte le mattine nel mio letto”. Abel appoggiò la tazza del caffè sul davanzale della finestra. “Come sai se hai letto la mia lettera, qui con me c’è anche Georgie ed è così bello vederla ogni mattina: è una presenza che porta la luce in questa casa, che porta la luce nella mia esistenza, anche se … anche se … quello sguardo … ”- Abel sospirò – “Oh Georgie, non faccio che pensare al terrore che ho letto nei tuoi occhi la sera del ballo. Che cosa ti ha spaventato? Sembrava proprio che tu avessi paura di me. E perché mai? Lo sai che non ti farei mai del male. Vorrei potertelo chiedere, ma so che non mi risponderesti, forse piangeresti di nuovo ed io non voglio che tu pianga. Ho promesso che ti avrei protetto, non che ti avrei fatto soffrire. E ogni giorno, ti assicuro che cerco di mantenere fede alle mie promesse, cerco di starti accanto senza mostrare mai quello che provo per te, ma è davvero dura – Abel chinò il capo – Arthur, Georgie, spero tanto di avere la forza di andare avanti e di non deludervi, è solo che ogni tanto sono così stanco, ma vi assicuro che continuerò a fare tutto quello che posso per proteggervi”.
In quel momento Georgie entrò in salotto. I raggi di sole illuminavano la stanza e nell’aria c’era un buon profumo di caffè. La ragazza sorrise ma il suo sorriso si spense immediatamente quando vide la figura del fratello stagliarsi contro la finestra – “Oh Abel, te ne stai lì in piedi con le mani appoggiate al davanzale, il tuo capo è chino e le tue spalle sono come gravate da un immenso peso. Vorrei aiutarti a portare quel peso, ma non so come posso fare, se non riesco neanche ad avvicinarmi a te … – si disse Georgie, abbassando lo sguardo per il senso di colpa – Non appena ti accorgi della mia presenza, ti ricomponi e ti giri a salutarmi cercando, come sempre, di nascondermi le tue angosce. Faccio anch’io finta di niente mentre ti auguro il buongiorno, poi ti dico allegra: ‘C’è il sole oggi!’. ‘Siamo fortunati, così le stoffe non si bagneranno’ - mi rispondi con un sorriso, ma i tuoi occhi non ridono. Quanto vorrei tornare a veder ridere i tuoi occhi, Abel! ‘C’è del caffè appena fatto se lo vuoi’ – mi dici indicando il tavolo. ‘Sì, grazie’ – ti rispondo, sempre cercando di sembrare allegra. Allora prendi una tazza per me e mi versi il caffè. Osservo le tue mani mentre lo fai. Le tue mani sono come te, Abel: belle, grandi, forti e delicate. Una volta versato il caffè, non mi porgi la tazza, me la avvicini soltanto, non perché tu non sia gentile, ma perché da quel giorno stai accuratamente evitando ogni contatto con me. Ti ho fatto male Abel, tanto male lo so, lo leggo nei tuoi occhi, anche se fai di tutto per celare i tuoi sentimenti. Mi dispiace, mi dispiace immensamente. ‘Vado a prepararmi’ – mi dici mentre ti allontani. Annuisco. Vorrei fermarti, vorrei parlarti, vorrei spiegarti ma non so come fare. So soltanto che ho tanta paura di avvicinarmi a te e non so perché. Sono certa che non mi faresti mai del male, nonostante ciò ho paura. Però mi sforzo, ti chiamo: ‘Abel’. Ti giri a guardarmi. Vorrei tanto riuscire a esprimere la mia gratitudine per tutto quello che fai per me. Riesco solo a dirti: ‘Grazie per il caffè’. Mi sorridi brevemente poi ti allontani. Abel scusami, scusami davvero. Non mi sto comportando neanche da brava sorella con te”.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Durante il trasloco i due uomini lavorarono alacremente non soltanto per spostare tutte le cose, ma anche per organizzare la stanza del signor Allen e, in quelle ore, Emma colse l’occasione per studiare da vicino il comportamento di Abel. La giovane donna si rese allora conto che più che freddo, il ragazzo le sembrava frenato, contenuto, come se mantenesse sempre un grande controllo su tutto ciò che diceva e faceva. Emma si rese anche conto, dal modo amorevole in cui lui guardava Georgie ogniqualvolta lei era distratta, che si trattava di una barriera costruita da Abel più per proteggere la sorella che per ferirla. “Certo che per Abel vivere con Georgie non deve essere per niente facile – pensò la donna – se ne è così innamorato come sostiene Joy. Per quanto mi riguarda, invece, da quando vive con lui, sono molto più tranquilla”.
Verso la fine della mattina la stessa Emma proruppe in una sorta di chiamata alle armi indirizzata alle altre fanciulle: “Forza, è ora di iniziare a preoccuparsi del pranzo, perché credo proprio che Dick e Abel avranno una fame da lupi oggi!”. “Possiamo andare al mercato a comprare quello che ci serve e poi a casa tua Emma a preparare il tutto” - suggerì Joy. Fu allora che Georgie si inserì nel discorso: “Forse è meglio se andiamo a casa nostra, è più vicina … cioè … volevo dire … a casa di Abel”, si corresse immediatamente la ragazza, vergognandosi dello sbaglio commesso.
Abel, che in quel momento stava entrando nella stanza, fece finta di non aver sentito per non metterla in imbarazzo ma, con il volto nascosto dietro il manichino che stava trasportando, lasciò che le sue labbra si incurvassero in un sorriso: le parole della sorella testimoniavano infatti che, nonostante la tensione e l’imbarazzo, Georgie si sentiva ancora a casa con lui.
Senza discutere ulteriormente, le tre ragazze decisero che avrebbero seguito le indicazioni di Georgie per cui, dopo aver fatto la spesa al mercato, si recarono a casa di Abel. Quando entrarono, Emma fece i complimenti a Georgie perché si trattava di una casina davvero deliziosa dove, a detta della donna, “si notava proprio il tocco raffinato della sua mano!”. Effettivamente, da quando si era trasferita, Georgie aveva cercato di rendere meno spartana la casa, ingentilendola con fiori, cuscini e tendine. Abel non aveva protestato anzi, in cuor suo, ne era stato molto felice perché Georgie aveva portato calore ed eleganza in quella casa, così come aveva fatto nella sua cameretta da bambina. A Georgie i complimenti di Emma fecero molto piacere perché era vero che lì, in quel piccolo appartamento londinese, lei si sentiva per la prima volta davvero di nuovo a casa.
Più tardi, mentre stavano cucinando, Emma disse: “Certo che è stata proprio una fortuna che tuo fratello abbia deciso di stabilirsi a Londra invece di imbarcarsi di nuovo, così non sei rimasta da sola”. “Hai ragione, Emma, è stata proprio una fortuna” – rispose Georgie anche se, dentro di sé, sapeva benissimo che non si trattava di un caso bensì di una scelta che Abel aveva compiuto per mantenere fede alle promesse che le aveva fatto nella serra dei Barnes. Quel giorno, infatti, il fratello le aveva promesso che non l’avrebbe lasciata da sola, ma che sarebbe rimasto a Londra per vegliare su di lei. Georgie sospirò e, ripensando a quel giorno, si ricordò anche che Abel, nonostante lei lo avesse appena respinto, le era rimasto accanto mentre affrontava Elise. Georgie sospirò di nuovo: “E io che mi sono pure appoggiata a lui in quel momento! Che egoista sono stata, non ho minimamente pensato a quello che doveva provare. E pensare che, dopo tutto ciò, mi ha aiutato a fuggire con Lowell e poi mi ha accolto a casa sua”. Tali pensieri fecero commuovere la ragazza che si disse per l’ennesima volta che Abel non le avrebbe mai fatto del male in vita sua e che era necessario che lei mettesse da parte l’irrazionale paura che la bloccava dalla sera del ballo per dimostrare al fratello la sua profonda gratitudine. Appigliandosi al suo innato pragmatico ottimismo si impegnò con se stessa a finire di cucire la camicia nottetempo e a consegnargliela l’indomani. Dopodichè continuò con rinnovata energia a preparare i panini.
Quando tornarono a casa del sig. Allen, le ragazze trovarono Dick e Abel intenti a trasportare un enorme mobile che l’ingegnere aveva trovato nella sua cantina e che pensava potesse proprio fare al caso loro. Effettivamente, la sua era stata una buona idea, come sottolineò entusiasta Emma, perché avrebbe permesso di tenere in ordine tutto il materiale di cui avevano bisogno. “Sì, sì, proprio una buona idea, ma pesante, troppo pesante!” – disse Dick, lamentandosi per lo sforzo fatto. Abel, che era ancora impegnato a sistemare il mobile, non si unì ai suoi lamenti. “Quante storie fai Dick!” – disse Emma avvicinandosi a lui e porgendogli da bere. “Parli bene perché non sei tu che hai dovuto trascinare su per le scale questa montagna!”. “Suvvia Dick, smetti di lamentarti. Ti siamo tutte grate!” - disse Emma mentre stampava un bacio sulla guancia del marito per addolcire un po’ i suoi borbottii. L’attenzione di Georgie invece si concentrò su Abel: “Sei ancora lì in ginocchio a cercare di riparare lo sportello del mobile. Alzi lo sguardo e vedi Emma che ha dato a Dick un bicchiere di limonata fresca. Probabilmente hai sete anche te ma non ti aspetti che qualcuno ti porti da bere. Ti giri, infatti, a guardare dove sono i bicchieri poi però abbassi di nuovo il volto e torni a concentrarti sul tuo lavoro. Solo quando hai finito di aggiustare lo sportello, metti una mano in terra e ti alzi. Hai ancora il respiro un po’ affaticato per lo sforzo di aver trasportato il mobile, ma non dici niente. E anche se stare vicino a te da quella sera mi fa come tremare le gambe, riesco a opporre resistenza alla forza che mi ordina di starti lontana e vado a prenderti da bere. Quando mi avvicino, sul tuo viso vedo dipingersi un’espressione sorpresa perché sono in piedi davanti a te e ti sto porgendo un bicchiere. Lo prendi. Le tue mani sfiorano le mie e io non mi ritraggo, anzi resto ferma lì per alcuni secondi senza lasciare andare il bicchiere. Mi guardi. Ti sorrido. La tua espressione resta seria mentre mi ringrazi poi abbassi lo sguardo. Mi sembra impossibile ma ho come l’impressione che tu sia in imbarazzo”.
Ed effettivamente, un po’ in imbarazzo Abel lo era. Gli succedeva tutte le volte che Georgie lo sfiorava, a maggior ragione dopo la sera del ballo quando una cortina impenetrabile sembrava essere caduta tra loro. Cercando, come sempre, di non far trasparire i suoi pensieri, Abel bevve la limonata tutta d’un fiato, poi chiuse gli occhi e si asciugò il sudore con la manica della camicia. A quel punto Georgie gli disse sorridendo: “Ci sono dei buonissimi panini, se hai fame”. “Grazie – rispose lui – ma preferisco finire di mettere a posto qui prima di mangiare”. Poi appoggiò il bicchiere sul mobile e si inginocchiò di nuovo. “Abel?” – lo chiamò Georgie. Il ragazzo si girò a guardarla. “Grazie per il tuo aiuto” – disse lei. Abel la squadrò, poi riabbassò lo sguardo corrugando la fronte perché non riusciva proprio a comprendere il perché di quel cambiamento nell’atteggiamento della sorella. Si girò di nuovo verso di lei e annuì. Georgie prese il bicchiere e si allontanò. L’espressione dubbiosa che aveva letto sul volto del fratello le fece capire che, per conquistare di nuovo la sua piena fiducia, avrebbe dovuto essere del tutto sincera con lui. Da lontano Emma, che aveva intenzionalmente evitato di portare da bere ad Abel, sorrise.
Quella sera, tornati a casa dopo il trasloco, Georgie ringraziò nuovamente il fratello, il quale le rispose quasi divertito: “Non ti sembra di avermi già ringraziato abbastanza?”. “No”- rispose prontamente la ragazza afferrandogli al contempo una mano. Sorpreso da quel deciso contatto fisico, il ragazzo si schernì: “Sono tutto sporco e sudato, Georgie”. “Abel – continuò la ragazza incurante del commento di lui - non ti ho mai ringraziato abbastanza per tutto quello che hai fatto per me”. Il ragazzo si fermò a guardarla, c’era qualcosa di diverso in lei, non sapeva dire cosa, ma gli sembrava che i suoi occhi avessero un’espressione dolce in quel momento. Abel non riusciva a capire. Che cosa stava succedendo? Non aveva più paura di lui? Cercando di non essere scortese, le disse: “Lo faccio con piacere, Georgie. Ora però lasciami andare perchè ho davvero bisogno di fare un bagno”. Georgie sorrise e lasciò andare la sua mano.
Una volta nella vasca, Abel sentì dentro di sé qualcosa sciogliersi, come se quel bagno caldo stesse lavando via oltre al sudore e alla stanchezza, anche un po’ dell'amarezza che lo aveva attanagliato nell’ultimo periodo. E quella sera, a cena, si parlarono di nuovo.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Scricchiolii…
 
Il mattino seguente Abel si svegliò un po’ più tardi del solito e, aprendo gli occhi, sentì dei rumori attutiti provenire dalla cucina. Richiuse gli occhi per assaporare quel momento: i suoni in lontananza gli riportavano, infatti, alla mente le mattine di festa quando sua madre si alzava di buonóra per preparare la colazione per tutta la famiglia. Ebbe nostalgia per quei lontani ricordi e avvertì dentro di sé un profondo desiderio di allentare la tensione, di lasciarsi andare, di vivere serenamente. Poi un’amara piega di consapevolezza si stampò sulle sue labbra e, sospirando, si alzò dal letto.
Infilandosi la casacca del pigiama, Abel si affacciò dal separè che divideva la sua ‘camera’ dal resto del salotto e si fermò a contemplare Georgie che era intenta a preparare la colazione. La ragazza gli dava le spalle ed era avvolta dalla calda luce del sole che illuminava la stanza. I suoi capelli, che erano tornati a scendere oltre le spalle, sembravano brillare e la sua figura flessuosa era accentuata dal grazioso grembiule a fiori che lei stessa aveva cucito. Abel la guardò sentendo un groppo formarsi nella sua gola perché quel quieto risveglio domenicale ridestò prepotentemente in lui i mai sopiti sogni di una vita condivisa. Sospirò di nuovo.
Udendo del movimento, la ragazza si girò e il suo volto si aprì a un sorriso quando si accorse che il fratello era in piedi. “Buongiorno Abel” – gli disse allegra - “Ti ho per caso svegliato?”- aggiunse poi con una punta di preoccupazione. “No – le rispose lui – non mi hai svegliato, stai tranquilla. Stavo dormendo piuttosto profondamente”. “Sarai stato stanco per il trasloco di ieri” – replicò Georgie dolcemente. “Mi sa che sono un po’ fuori allenamento” – le rispose Abel stiracchiandosi. Georgie non credeva che ciò fosse vero ma non glielo disse, lo invitò invece ad accomodarsi: “Mettiti pure a sedere, la colazione è pronta”. “Grazie” – le disse Abel sedendosi.
La tavola che Georgie aveva imbandito era deliziosa e ricca di cose buone ma, soprattutto, Georgie aveva cucinato delle calde frittelline di cui Abel era tanto goloso fin da bambino. Iniziarono a mangiare. In onore al clima di rinnovato dialogo inaugurato la sera precedente, Abel volle farle un complimento: “Sono buone queste frittelle. Mi piacciono molto”. “Sì, lo so” – rispose Georgie. Abel la guardò perplesso. “Volevo dire, me lo ricordo” – aggiunse Georgie non alzando gli occhi dal tavolo. Il cercare di essere sincera con lui e di non allontanarlo le costava ancora molta fatica: si trattava di una strenua e continua lotta con una parte di sé che lanciava costanti segnali di pericolo. Una lotta che però aveva deciso di intraprendere per mostrare davvero al fratello la sua profonda gratitudine. Nell’udire le parole di Georgie, Abel sentì la monumentale diga che aveva eretto per tenere a freno i suoi sentimenti scricchiolare. Ringraziò la sorella per avergli preparato le frittelle, dopodichè rimase in silenzio fino alla fine della colazione: un silenzio commosso. 
Non appena finirono di mangiare, Georgie chiese al fratello se quel giorno dovesse lavorare. “Perché?” – le rispose Abel ben conscio del fatto che nelle settimane addietro si era trincerato dietro al suo lavoro per mantenere distanza tra loro. “Ecco … – cominciò lei – … è che sembra essere una bella giornata di sole e mi chiedevo se avevi piacere di fare una passeggiata con me. Sai, mi manca così tanto camminare nei prati …”. Abel la osservò, era quasi titubante mentre gli faceva questa richiesta. Pensare che lui avrebbe dato qualsiasi cosa pur di passare del tempo assieme! “Va bene, andiamo a fare una passeggiata” – le disse alzandosi dalla sedia. “Aspetta!” – disse Georgie d’impulso. Abel si bloccò. “Aspettami qui, torno subito” – disse la ragazza correndo verso la sua camera. Abel restò fermo ad aspettarla. Dopo un attimo, Georgie era di nuovo di fronte a lui, con in mano un pacco dall’enorme fiocco colorato. Sorridendo, gli porse il dono.
Abel guardò la sorella con fare interrogativo. Georgie gli rispose che si trattava di un regalo per lui. “Un regalo per me? E perché mai?” – disse Abel. “Suvvia, aprilo senza fare storie” – disse Georgie impaziente. Abel aprì il pacco e vi trovò dentro una bella camicia color carta zucchero, uno dei suoi colori preferiti. Il ragazzo rimase senza parole. Proprio non se lo aspettava e poi … era così tanto tempo che non riceveva un regalo ... “Spero che sia della misura giusta” - disse Georgie mordendosi il labbro in attesa di una sua risposta. Chiaramente Georgie voleva fare pace con lui e, con ogni probabilità, avrebbe voluto tornare ad essere la sorella affettuosa che era sempre stata. Abel si ricordò, infatti, che - quando era rientrato dal suo lungo viaggio in mare - Georgie lo aveva accolto con una ghirlanda di fiori e con un pigiama da lei cucito per l’occasione. L’animo del ragazzo fu travolto da una nuova ondata di emozione che si abbattè con violenza sulle sue barriere interiori forzando una sottile crepa che vi si era creata, ma cercò di rimanere saldo perché non voleva farla di nuovo spaventare mostrandole i suoi sentimenti, non voleva farla scappare di nuovo. Si chiese però se questa nuova fraterna vicinanza non sarebbe stata per lui quasi peggio da sopportare della fredda distanza delle lunghe settimane precedenti. Si rispose che ce l’avrebbe fatta a resistere, l’avrebbe fatta avvicinare a sé cercando di non vacillare perché voleva davvero che lei fosse felice. “Grazie, è bellissima” – le disse guardandola negli occhi. Georgie sorrise, ma non ce la fece a reggere per molto lo sguardo del fratello. Gli occhi di Abel, infatti, non erano in grado di celare del tutto la sua commozione. “Vado a prepararmi” – disse Georgie allontanandosi perché sentiva di non riuscire a stargli più vicina di così.
Più tardi, Abel si stava vestendo quando udì un tonfo e un urlo soffocato provenire dalla camera da letto. Il ragazzo si precipitò nella stanza, dove trovò la sorella seduta in terra, sommersa di vestiti e di biancheria da casa. “Georgie, stai bene?” – le chiese preoccupato. “Sì, grazie, fortunatamente ho la testa dura!” – gli rispose lei massaggiandosi il capo. Il ragazzo si tranquillizzò poi, vedendo la buffa espressione dipinta sul viso della sorella, non ce la fece a trattenersi e - pensando che a volte Georgie era proprio maldestra – sorrise dapprima in maniera contenuta, poi sempre più apertamente. Se ne scusò però immediatamente mentre le porgeva una mano per aiutarla ad alzarsi. “Il sorriso di Abel è meraviglioso e i suoi occhi … i suoi occhi stanno ridendo con lui…” – si disse Georgie felice anche se indolenzita, mentre afferrava la sua mano.
Una volta in piedi, Georgie notò che Abel aveva indosso la camicia che lei gli aveva cucito, di cui però non aveva avuto modo di agganciare che pochi bottoni. Trovandosi così vicina a lui dopo tanto tempo, Georgie avvertì di nuovo il familiare calore del suo corpo e respirò il suo odore: il profumo di Abel, che lei conosceva così bene, era ora mischiato a quello del sapone perché il fratello era da poco uscito dal bagno. Lo sguardo di Georgie si incantò sul suo torace. Abel, pensando che stesse osservando il regalo che gli aveva fatto, le chiese sorridente: “Mi sta bene?”. Come imbambolata, la ragazza annuì. Facendosi più serio, il ragazzo le disse: “Non era necessario ma ti ringrazio per il regalo, mi ha fatto molto piacere. E poi, sei diventata davvero molto brava a cucire”. La voce di Abel era calda e molto dolce e, quando il ragazzo le parlò, Georgie sentì un sentimento riempirle prepotentemente il petto: un sentimento che non seppe definire ma che rese il suo respiro molto denso. “Sono contenta che ti piaccia” – rispose lei, sovrastata dall’emozione.
“Allora, che cosa volevi prendere?”- le chiese Abel riscuotendola dai suoi pensieri. “Il cestino da pic-nic” – rispose Georgie indicando la cesta di vimini che troneggiava sopra al mobile. Abel con un solo gesto la prese e gliela porse. “Avresti potuto chiamarmi” – le disse. “Non volevo disturbarti” – rispose lei sincera. “Tu non mi disturbi mai” – le disse Abel ancora più sincero, dopodichè si chinò per raccogliere la biancheria che era caduta dall’armadio. Un po’ scossa, e non solo per la caduta, Georgie si inginocchiò accanto a lui per aiutarlo. 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Scusate l’enorme ritardo con cui posto il capitolo, ma il lavoro mi ha portato per un po’ fuori casa e, al ritorno, prole e famiglia hanno richiesto il loro giusto e piacevole obolo… A breve il seguito : )
 
Quel giorno Abel portò Georgie a visitare uno dei parchi cittadini che fino a pochi anni prima era riservato alla sola nobiltà, ma che la Regina aveva deciso di aprire a tutta la cittadinanza. Georgie rimase incantata dalla natura che vi si poteva osservare: immensi prati, alberi e persino un lago. Si incamminarono lungo i sentieri di questa oasi verde e Georgie quasi dimenticò di trovarsi in città. Infatti, rispetto allo splendido giardino della casa di Lowell e quello altrettanto bello di casa Barnes, in quel parco senza recinzioni né cancelli si respirava un’atmosfera di libertà che lontanamente le ricordava le vaste e sconfinate praterie della sua infanzia. La ragazza respirò l’aria nuova a pieni polmoni poi sorrise e si diresse quasi correndo verso il lago. Abel la seguì, osservandola da lontano.
Una volta vicino all’acqua, Georgie si girò entusiasta a chiamare il fratello: “Vieni a vedere Abel, ci sono delle anatre! E ci sono anche i loro piccolini!” - continuò la ragazza battendo le mani per la felicità. Giunto accanto a lei, Abel aprì il cestino da pic-nic e tirò fuori una fetta di pane che sbriciolò lanciando alcune briciole nell’acqua. Dopodichè si inginocchiò e aspettò che le anatre venissero a beccare direttamente dal suo palmo. Georgie rimase a bocca aperta. “Sono abituate alla presenza degli uomini”– le disse Abel, poi prese una mano della sorella, che si era chinata accanto a lui, e vi lasciò cadere le restanti briciole. Le anatre si avvicinarono a lei e mangiarono dalla sua mano mentre attorno zampettavano i piccoli anatroccoli dal piumaggio ancora vano.
Abel restò a contemplare Georgie che, emozionata, dava da mangiare agli animali lì presenti. Era felice di vederla così contenta perché pensava che sua sorella si meritasse proprio un momento di serenità. La vita, infatti, non era stata per niente gentile con lei: aveva perso la sua famiglia di origine e anche il suo padre adottivo; sua madre non l’aveva mai accettata ed era arrivata a cacciarla violentemente via di casa; si era dovuta separare dall’uomo che amava per lasciarlo nelle mani della sua rivale in amore e ora viveva con lui, anche se con ogni probabilità avrebbe preferito essere altrove. In tutto ciò, Georgie non aveva mai perso la sua spontaneità e il suo buon carattere e lui la amava anche per questo.
Nel preciso istante in cui Abel formulava tali pensieri, Georgie si girò verso di lui con un sorriso raggiante e, per pochi, soltanto pochi secondi, Abel contemplò incantato il suo sorriso. Per il ragazzo era un’impresa ardua cercare di non essere freddo e scostante con lei, lasciando invece trapelare la tenerezza che provava, soltanto però questa emozione, mentre l’amore e la passione restavano a combattere e a dibattersi dentro di lui. Ma Abel ci stava provando, ci stava davvero provando con tutto se stesso, così distolse immediatamente lo sguardo e le disse: “Cerchiamo un posto dove sederci?”.
Georgie accettò e, incamminandosi dietro al fratello, si sentì fiera di sé perché - per la prima volta da quando lui le aveva confessato il suo amore - era riuscita a stargli accanto senza aver voglia di fuggire, anche se i suoi sentimenti erano ancora contrastanti. Da un lato, infatti, Abel era sempre stato per lei la figura maschile di riferimento, l’eroe bello e invincibile a cui paragonare ogni altro uomo; dall’altro, il pensiero di un coinvolgimento amoroso con lui la atterriva. Ma ora, avendo pur con sforzo messo temporaneamente a tacere i suoi timori, voleva conoscerlo, sapere davvero che tipo di uomo fosse suo fratello. Abel, infatti, parlava pochissimo e una vena di tristezza sembrava non abbandonarlo mai. La ragazza sospirò. Quali erano davvero i suoi pensieri? E i suoi sentimenti? Come stava affrontando questo periodo così tremendo? Georgie non se lo era mai chiesta, impegnata com’era a fuggire da lui. Ripensò allora all’espressione con cui lui l’aveva guardata poco prima sulle rive del lago: uno sguardo colmo di tenerezza che le aveva riempito il cuore come quella stessa mattina quando, nel marasma di biancheria e lenzuola, si era lasciata avvolgere dalla sua dolcezza e dal suo calore. Georgie chiuse per un attimo gli occhi per riassaporare quelle sensazioni.
Fu lo stesso Abel a riportarla alla realtà quando le chiese: “Ti piace qui?” – indicandole uno spiazzo erboso all’ombra delle grandi fronde di un albero. Georgie annuì sorridendo. Stesero allora la bianca tovaglia sull’erba e si sedettero. Poi, mentre la ragazza apriva il cestino con le vettovaglie, Abel si mise a osservare le persone che in quella giornata di sole affollavano il parco. Era incredibile – si disse – come gli inglesi adorassero stare all’aria aperta pur non essendo stati benedetti da un clima favorevole. Sorrise tra sé e sé poi, rivolgendosi a Georgie, chiese: “Posso aiutarti?”. La ragazza lo guardò e questa volta non rifiutò l’offerta di aiuto.
Il sole risplendeva, il che era quasi una rarità e nel parco c’erano persone di ogni sorta: donne, uomini, anziani, bambini, nobili e meno nobili. E tutti erano lì per godere di quegli inaspettati ma tanto desiderati raggi di sole. Georgie e Abel iniziarono a consumare in silenzio il loro pasto poi, verso la fine, Georgie si fece coraggio e chiese ad Abel se quella città gli piacesse. Abel rispose in maniera telegrafica: “Sì, Georgie, questa città tutto sommato mi piace”. Georgie, non contenta, continuò con le domande: “E’ la prima volta che vieni qui?”. “No, ci ero già stato in passato ma solo di passaggio” – le rispose lui conciso. Non ancora paga, Georgie decise di chiedergli di raccontarle la sua vita da marinaio. Abel si girò a guardarla, stupito per quella domanda così diretta e personale. Una domanda che tra l’altro lo metteva in difficoltà perché lui della sua esperienza in mare non ne aveva mai parlato ad anima viva. Soltanto di ritorno dal suo viaggio aveva laconicamente fatto cenno ad Arthur delle tappe che lo avevano portato fino in Inghilterra, ma il pensiero del fratello si era subito concentrato sulla nostalgia che lui avrebbe provato lontano da casa e così Abel non aveva proseguito il suo racconto. Quindi, di fatto, non aveva mai raccontato a nessuno che cosa era successo in quegli anni lontano da casa: anni in cui aveva affrontato un lavoro duro, aveva imparato non senza difficoltà a farsi rispettare, aveva conosciuto altre donne oltre a Jessica, in poche parole, anni in cui era diventato un uomo. E ora era proprio Georgie a chiederglielo, era proprio Georgie che voleva conoscere quella parte della sua vita.
Abel la guardò combattuto, indeciso se risponderle o meno poi Georgie, con un gesto inconscio, avvicinò la sua mano a quella del fratello. Abel sorrise nel vedere le delicate dita di Georgie che si intrecciavano alle sue: “Non è cambiato nulla da quando eravamo bambini – pensò – anche allora lo faceva sempre quando insisteva perché le raccontassi qualcosa …”. Abel decise allora che le avrebbe risposto, ma ci volle un po’ prima che iniziasse a parlare, non solo per lasciare che ricordi ormai lontani riaffiorassero, quanto per riuscire a trovare dentro di sé la giusta prospettiva per parlarle di un periodo così complesso. Periodo in cui le novità, il piacere della scoperta, il desiderio di assecondare la propria natura indomita si scontravano con la bruciante nostalgia di lei. Ci volle un po’, ma alla fine Abel iniziò a parlare e le raccontò dei luoghi che aveva visitato, delle città, dei loro colori, dei loro sapori, dell’odore del mare, della vita di mare.
La sua voce era calma e pacata e il suo racconto lento perché, oltre a scegliere le parole, Abel stava cercando di tenere a freno le forti emozioni che il rinvangare quei ricordi gli suscitava: ricordi spesso duri da affrontare, ricordi che non voleva assolutamente condividere con lei. Abel se ne stava seduto con le spalle appoggiate al tronco dell’albero, le gambe piegate davanti a sé e le braccia che le circondavano. Una posizione anomala per lui che però in quel momento gli dava la forza di continuare a parlare. Georgie ascoltava in silenzio la voce calda e profonda di Abel che la portava a visitare il mondo e, in parte, la sua anima.
Abel parlò a lungo poi, tutto a un tratto, un forte rumore lo distrasse. Poco distante da loro, infatti, un bambino stava disperandosi perché il suo aquilone si era incastrato nella chioma di un albero. Abel interruppe il suo racconto e, scusandosi con Georgie, si alzò. Ancora memore di anni e anni di scalate infantili, il ragazzo si arrampicò agilmente sull’albero e recuperò l’oggetto tanto desiderato. Una volta sceso, sorridendo, lo porse al bambino e gli suggerì di legarselo al polso per evitare che ciò accadesse di nuovo. Il bambino lo guardò ammirato e annuì.
Georgie osservò la scena da lontano e nel ragazzino rivide se stessa da bambina mentre contemplava l’eroe della sua infanzia. Guardò invece con occhi nuovi Abel mentre tornava da lei e riuscì così a vedere la persona oltre all’eroe, l’uomo oltre al fratello: un uomo forte e coraggioso che da anni combatteva dentro di sè una guerra silenziosa per tenere a freno i suoi sentimenti; un uomo maturo e generoso che vegliava su di loro senza condividere mai le sue preoccupazioni.
Quando Abel si sedette di nuovo accanto a lei, Georgie gli porse da bere: “Ho pensato che, dopo aver parlato tanto, avresti potuto avere sete”. Abel le sorrise e la ringraziò. “Quel bambino chiaramente non è abituato a salire sugli alberi, noi invece da piccoli … Ti ricordi Abel?” Il ragazzo annuì. “Mi manca l’Australia, non vedo l’ora di tornarci. Qui il sole non splende mai e tutto è così freddo” – disse Georgie di getto. “In realtà tu sei nata qui Georgie e qui è dove vive tuo padre” – le disse Abel esplorativo. “Ti sbagli, Abel, la mia casa è con voi: con te e con Arthur, in Australia” – disse Georgie. Abel sentì il suo stomaco stringersi al pensiero del fratello rinchiuso in quella maledetta prigione. In quel momento, si levò una folata di vento un po' più fredda e dei brividi serpeggiarono sulla pelle della ragazza. Abel se ne accorse, si tolse il gilet e delicatamente lo appoggiò sulle spalle della sorella, poi gentilmente le disse: “Torniamo a casa Georgie?”. “Sì, torniamo a casa Abel” – gli rispose lei grata.
Quella sera, prima di andare a dormire, Georgie - in camicia da notte e sul limitare della porta - rimase a osservare Abel per un po'. Il ragazzo si trovava a sedere sul divano con un libro in mano, ma il suo sguardo era perso nel vuoto. Georgie si disse che avrebbe tanto voluto che lui si aprisse spontaneamente con lei poi augurò al fratello la buonanotte e lo ringraziò per la bella giornata trascorsa assieme. Nell’udire la voce di Georgie, Abel si girò a guardarla e le sorrise dolcemente, dopo di che tornò a fissare il libro aperto davanti a lui.
Nei giorni che seguirono, i due ragazzi godettero del clima dolce che si era creato in casa. In particolare, Abel sentiva che la luminosa presenza di Georgie era come un balsamo per la sua anima travagliata. Per paura che tutto questo svanisse, il ragazzo non si chiese e non le chiese il perché del suo mutamento, si limitò ad assaporare il rinnovato calore della sua vicinanza. Continuò, però, a parlare molto poco e, soprattutto, continuò a non condividere con lei i suoi pensieri e i suoi stati d’animo.
 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Back to the manga!
 
Don’t get too close/ it’s dark inside/ it’s where my demons are/
 it’s where my demons are […]”
(Demons, Imagine Dragons)

 
Alcune settimane dopo, un tardo pomeriggio, Abel entrò nella stanza in cui Emma, Georgie e Joy stavano cucendo sbandierando una lettera. Si trattava di un messaggio di Arthur che Didley-doo gli aveva appena consegnato. Essendo passato così tanto tempo da quando si era recato al castello dei Dangering, Abel aveva ormai perso la speranza di ricevere una risposta dal fratello ma ora, con le mani leggermente tremanti, apriva trepidante assieme a Georgie quel foglio di carta spiegazzato. Una volta aperto, gli occhi dei due ragazzi accarezzarono commossi le righe vergate dalla familiare grafia di Arthur, poi Abel iniziò a leggere a voce bassa:
 
Cara Georgie e caro Abel,
la mamma è morta subito dopo che siete partiti per l’Inghilterra… Ha lasciato detto che chiede perdono a Georgie con tutto il suo cuore e che grazie a noi tre figli la sua vita è stata felice… Cara Georgie, tuo padre è innocente, a quanto pare per colpa del Duca Dangering è caduto in disgrazia.
Vi prego dimenticatevi di me. Vi amerò per sempre.
 
Vostro fratello A.
 
Da lontano, Emma e Joy videro Abel progressivamente sbiancare durante la lettura della lettera e Georgie iniziare a piangere, dopo di che li videro uscire di casa senza che dicessero loro parola alcuna. Una singhiozzante Georgie aveva, infatti, chiesto ad Abel di accompagnarla alla più vicina chiesa e il ragazzo l’aveva accontentata.
Non appena giunti in chiesa, Georgie accese una candela per mamma Mary e si mise in ginocchio a pregare. Abel restò invece in piedi accanto a lei con lo sguardo fisso sul pavimento. Quando Georgie ebbe finito di pregare e si rialzò, Abel guardò con apprensione il suo volto rigato di lacrime. Il ragazzo mise allora sotto chiave tutto il suo dolore e cercò di consolarla sottolineando le buone notizie che Arthur le aveva dato, ovvero, l’amore filiale che sua madre nonostante tutto aveva provato per lei e il fatto che il suo vero padre, il Conte Gerard, fosse innocente. Le parole di Abel scaldarono il cuore di Georgie che smise di piangere e timidamente gli sorrise. Abel le rispose con un sorriso appena accennato poi la guidò verso casa del sig. Allen.
Quando entrarono, Emma e Joy, preoccupate, andarono subito incontro a Georgie per chiederle cosa fosse successo mentre Abel, in silenzio, si defilò. Emma si offrì poi di preparare del tè. Georgie accettò con piacere l’offerta poi, girandosi per chiedere al fratello cosa ne pensasse, si rese conto che lui non era più accanto a lei. “Dov’è andato a finire Abel?” – si chiese la ragazza preoccupata perché il ragazzo, a parte le parole confortanti pronunciate per lei in chiesa, non aveva detto niente sulla lettera né sulle notizie in essa contenute: non un cenno, non una parola sul suo stato d’animo. Desiderosa di aiutarlo, Georgie andò a cercarlo.
Abel si era allontanato perché sentiva il bisogno di stare da solo: le parole di Arthur gli avevano fatto montare dentro un’ansia che non riusciva a contenere. Che cosa aveva voluto dire il fratello con la frase “dimenticatevi di me”? Quale terribile progetto aveva in mente? Rifugiatosi nel suo studio, senza accendere la luce, il ragazzo si mise a sedere alla scrivania, mentre dense lacrime iniziarono a solcargli le guance senza che lui riuscisse a fermarle. Abel era allarmato che quelle parole significassero che suo fratello stava per compiere un gesto suicida ed era devastato al pensiero di non poter far nulla per salvarlo. In quel contesto anche la terribile benché non inaspettata notizia della morte di sua madre era passata in secondo piano. Nel profondo di sé, infatti, Abel sapeva da sempre che doveva essere successo qualcosa di irreparabile a casa, altrimenti mai e poi mai Arthur avrebbe lasciato la sua amata fattoria, ma ora che tutti i suoi peggiori incubi stavano diventando realtà, sentiva un groppo alla gola che gli impediva di respirare.
Rabbia, disperazione e senso di colpa iniziarono ad alternarsi dentro di lui lasciandolo senza fiato. Pur vergognandosene profondamente, infatti, Abel d’istinto provò rabbia nei confronti di sua madre che aveva sempre cercato di allontanare Georgie da lui fino a cacciarla di casa. Poi sentì compassione per lei: si era pentita di come si era comportata ed era morta senza perdono. Provò rabbia anche per Arthur, per tutte le volte in cui lo aveva fermato con il ricatto della felicità familiare. Poi lo pensò da solo al capezzale della mamma, lui - un essere così fragile – e il peso della responsabilità che era caduto sulle sue spalle da piccolo, quando era morto suo padre, tornò a schiacciarlo con tutta la sua forza. Era stata tutta colpa sua e del suo egoismo: se fosse rimasto a casa, Arthur non sarebbe finito in quell’inferno e la mamma non sarebbe morta. Per di più, come fratello maggiore, non era stato ancora in grado di salvarlo e ora… quelle sue parole gli facevano temere il peggio. Abel sentì forte la voglia di vomitare.
In quel momento Georgie si affacciò nello studio per cercarlo. Lo chiamò ma non ricevette risposta. Piano piano, gli occhi di Georgie si abituarono all’oscurità e riuscirono così a scorgere la figura solitaria alla scrivania. Georgie si avvicinò lentamente e vide che Abel se ne stava lì seduto al buio, con le braccia conserte a soffocare i singhiozzi. “Abel, sta piangendo?” – si chiese sbalordita la ragazza. “E’ così che riesci a sopportare il tuo dolore, Abel? – si chiese Georgie mentre si avvicinava a lui – soffrendo da solo?”. Intenerita Georgie posò la sua mano sulla schiena di Abel per confortarlo, poi si fece coraggio e circondò con le braccia le spalle tremanti del ragazzo. Dapprima Abel rimase agghiacciato per quel contatto fisico così avvolgente e inaspettato, poi cercò di allontanarla: “Non è necessario che tu sia gentile con me, Georgie” – le disse duro mentre si asciugava le lacrime. Odiava essere compatito, figurarsi se poteva sopportare la pietà di Georgie. Specie in quel momento in cui sentiva, per la prima volta in vita sua, che non ce l’avrebbe fatta emotivamente a prendersi cura di lei. “Lasciami da solo, Georgie, ti prego” – la supplicò con voce soffocata. “No – disse lei – non voglio che tu stia qui da solo a tormentarti. Possiamo condividere il nostro dolore, anche io soffro moltissimo per la morte della mamma e per non poter salvare subito Arthur. Per una volta Abel, appoggiati tu a me” – gli disse Georgie dolcemente.
Nell’udire le accoglienti parole di Georgie, la crepa che settimane addietro si era creata nella diga interiore di Abel divenne una falla e così, incredibilmente, il ragazzo - prostrato dal dolore - posò il capo sul grembo di Georgie e lì, stretto fra le sue braccia, si lasciò andare, piangendo calde lacrime di disperazione. Poi, tra un singhiozzo e l’altro, Abel si sfogò: “Arthur è finito in un inferno eppure riesce ad avere parole d’amore per questo suo fratello egoista. E’ il mio unico fratello e io non posso fare niente per lui…”. Georgie era straziata nel vederlo in quelle condizioni, allo stesso tempo non riusciva proprio a capire come mai Abel si rimproverasse così duramente per quello che era successo al fratello. In fin dei conti, non era colpa sua se Arthur era stato catturato dai Dangering e se lo tenevano prigioniero, ma non volle contraddirlo. Si limitò ad abbracciarlo e a confortarlo: “Non ci arrenderemo Abel, ci deve essere un modo per tirarlo fuori di lì”.
Quando smise di piangere, ancora a capo basso, Abel si asciugò le lacrime poi chiese scusa a Georgie per essersi sfogato con lei. La ragazza gli sorrise dolcemente e cominciò a dirgli: “Abel, è normale …”, ma non fece in tempo a terminare la frase, che Abel – sorridendo mestamente - le disse: “Sì, lo so. E’ normale tra fratelli ma scusami lo stesso”. La ragazza scosse la testa perché in realtà avrebbe voluto dirgli che era normale per due persone che si volevano bene, ma non trovò dentro di sè il coraggio necessario per farlo, così lasciò che Abel si alzasse e si allontanasse da lei.
Oltre ad essere scosso, il ragazzo in quel momento si sentiva profondamente in imbarazzo perché non avrebbe mai e poi mai voluto farsi vedere in quello stato da Georgie, purtroppo però lei era entrata nello studio proprio nel momento peggiore e lui non era stato in grado di trattenersi… Georgie lo guardò allontanarsi affranta, perché – da quella piccola breccia – aveva appena intravisto il tumulto che si agitava nell’animo del ragazzo. Georgie si chiese quante volte Abel, nei mesi precedenti, avesse versato amare lacrime in solitudine e si disse che da allora in poi non lo avrebbe più lasciato solo ad affrontare quell’inferno, così come lui non aveva mai lasciato da sola lei.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


“Non credo che Abel scenderà a prendere il thè” – disse Georgie mentre entrava nella stanza dove Joy ed Emma la aspettavano. La giovane donna, nel vedere la ragazza così triste e preoccupata, le andò incontro e, porgendole una tazza, le disse: “Devi avere un po’ di pazienza, Georgie, Abel ha appena saputo che sua madre è morta”. “Sì, lo so… è solo che vorrei tanto poterlo aiutare” – disse Georgie stringendo nervosamente la tazza. “Vedrai che si farà aiutare” – cercò di tranquillizzarla Emma, convinta che il ragazzo non avrebbe tenuto Georgie lontano da sé a lungo. E, infatti, non dovettero aspettare molto perché, una volta calmatosi e sciacquatosi il viso, Abel decise di scendere a bere quel thè che gli era stato offerto. Il ragazzo si era, infatti, accorto che Georgie era molto in pena per lui e non voleva farla preoccupare ulteriormente. Pertanto, si recò appena possibile nella stanza al pian terreno che fungeva da studio di sartoria.
Quando entrò, Joy lo accolse festosa: “Allora sei venuto fratellone!”. Nell’udire le parole della ragazzina, Georgie sentì il cuore andarle in gola: “Abel” – disse girandosi a guardarlo. Il ragazzo era ancora pallido e visibilmente scosso ma, cercando di sembrare il più sereno possibile, chiese: “C’è ancora un po’ di thè per me?”. “Certamente” – gli disse accogliente Emma, versandogli la calda bevanda. “Grazie” – le rispose Abel e, in silenzio, si sedette a bere.
Georgie lo osservò da lontano per non infastidirlo poi, quando si accorse che era in procinto di finire, gli si avvicinò e, poggiandogli dolcemente una mano sulla spalla, gli disse: “Andiamo a casa Abel?”. Abel alzò la testa e, annuendo, le rispose: “Sì, andiamo a casa”. Emma osservò i due mentre si allontanavano e pensò che, nonostante Abel e Georgie non fossero una coppia, di fatto si comportavano come tale.
Passarono i giorni e, in quei giorni, Georgie continuò a vegliare su Abel, cogliendo ogni occasione per prendersi cura di lui. Abel, pur apprezzando molto la gentilezza con cui Georgie lo trattava, pensò con rammarico e non senza una punta di vergogna, che doveva aver fatto proprio pena a sua sorella se ora lei lo accudiva così amorevolmente. In realtà, Georgie non provava affatto pena nei confronti di Abel, o meglio, il vederlo così chiuso nel suo dolore per Arthur la faceva stare male ma il sentimento che sentiva nel suo cuore ogniqualvolta lo guardava non era pietà bensì un forte sentimento di dolcezza che non sapeva definire, perché non lo aveva mai provato prima, neanche per Lowell. Inoltre, la disperazione che aveva letto negli occhi di Abel le aveva fatto abbandonare del tutto il timore di avvicinarsi a lui, come ciò che accadde poche sere dopo l’arrivo della lettera di Arthur testimoniò.
La giornata era stata molto lunga e nervosa perché quella mattina Joy, grazie alle sue conoscenze al porto, era riuscita a sapere che il flusso di navi con carichi per il Duca Dangering si era intensificato nelle ultime settimane. La notizia non era stata interpretata da Abel come un buon segnale e lo aveva reso taciturno e pensieroso per tutto il giorno. Anche quella sera a cena, il ragazzo non aveva proferito che poche parole e ora si trovava in piedi davanti alla finestra a osservare distrattamente le sparute carrozze che transitavano nella strada di fronte a casa loro. La sua espressione era assorta e assente al tempo stesso e Georgie, che stava cucendo accanto al camino, era molto preoccupata per lui.
Dopo aver alzato ripetutamente la testa dal suo lavoro per osservarlo, la ragazza si decise a interrompere quell’opprimente silenzio chiamandolo: “Abel?”. Il ragazzo smise di guardare fuori dalla finestra e si girò verso di lei. Georgie allora si alzò e, avvicinatasi a lui, posò una mano sul suo braccio, dicendogli: “Vedrai che troveremo un modo per salvare Arthur”. Abel in silenzio annuì. Georgie allora gli prese una mano e la strinse commossa tra le sue perché voleva consolarlo come lui aveva sempre fatto con lei e, per fargli coraggio, continuò: “Abel, devi avere fiducia: riusciremo a salvarlo e a far pagare a Dangering tutti i suoi crimini. Tu ed io assieme”.
Nel piglio combattivo della splendida ragazza che gli si parava di fronte, Abel rivide tracce della bambina che era cresciuta insieme con lui così, nostalgicamente, le sorrise. Georgie, che guardava trepidante Abel, lo vide sorridere e sentì il cuore iniziare a batterle velocemente. Il cuore però le battè ancor più velocemente quando il ragazzo, commosso per tutte quelle manifestazioni di affetto, trovò il coraggio di fare una cosa che non aveva più fatto da quando, oltre un anno prima, l’aveva rincontrata a Londra: l’abbracciò. Questa volta, la ragazza non fuggì né si spaventò, al contrario chiuse gli occhi e si lasciò andare, godendosi l’abbraccio caldo e avvolgente di Abel. Si trattò di un abbraccio fraterno e consolatorio, tuttavia Georgie, trovandosi di nuovo stretta al suo petto dopo tanto tempo, sentì quell’emozione sconosciuta invaderle prepotentemente l’anima.
L’abbraccio non durò molto perché Abel, non volendo imporle la sua vicinanza, si staccò quasi subito da lei poi, cercando il contatto con i suoi occhi, dolcemente le disse: “Ti ringrazio molto per le tue parole, Georgie”. Ancora con il cuore in gola, la ragazza lo guardò e, per la prima volta in vita sua, non vide traccia del fratello, vide solo l’uomo che aveva imparato a conoscere, l’uomo la cui forza e la cui bontà le riempivano il cuore. Poi incrociò lo sguardo di Abel e le gambe iniziarono a tremarle perché quei profondi occhi blu che la guardavano con dolce e bruciante intensità erano i più belli che lei avesse mai visto, così belli da levarle il fiato.
Abel la vide trasalire e, temendo di aver osato troppo abbracciandola, decise di allontanarsi, per cui – dopo averla nuovamente ringraziata - le augurò la buonanotte e si ritirò nella sua ‘stanza’. Disorientata dalle emozioni che aveva appena provato, Georgie rimase in piedi accanto alla finestra per alcuni minuti, poi andò a dormire, ancora avvolta dal calore del corpo di Abel.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


La mattina seguente Georgie doveva uscire per andare a fare delle consegne a una sartoria e Abel si offrì di accompagnarla perchè riteneva che fosse pericoloso per lei addentrarsi da sola nelle strade della città dove si trovava il loro nuovo cliente. Georgie fu contenta che Abel la accompagnasse e che fosse sempre protettivo nei suoi confronti. Così, senza parlare, per paura che le parole potessero aggiungere difficoltà tra loro, si incamminò al suo fianco.
Sulla via del ritorno, Abel e Georgie si imbatterono in un nugolo di bambini schiamazzanti e, rapiti dalle loro risate cristalline, si fermarono per un attimo ad osservarli quando un rotolante oggetto metallico distolse la loro attenzione, andando a concludere la propria corsa davanti ai piedi di Georgie.
La ragazza si chinò a raccoglierlo e rimase come pietrificata perché le sembrò di aver visto un fantasma: quello era il suo braccialetto, il monile che aveva portato al braccio fin da quando era piccola, l’unica traccia della sua famiglia da cui si era separata nel vano tentativo di salvare Lowell! Alzò gli occhi per guardare a chi fosse caduto l’oggetto e vide un uomo distinto sulla quarantina che la stava osservando allibito e commosso.
Abel, pur avendo riconosciuto in quel bracciale lo spettro che lo tormentava sin dalla sua infanzia, parlò rivolgendosi allo sconosciuto: “Mi scusi, è suo questo braccialetto? Se fosse possibile, vorrei che ce lo cedesse, perché lei...”. Georgie, imbarazzata, provò a fermarlo: “Abel!”. Abel, che in tutti quei mesi non le aveva mai chiesto niente, replicò un po’ amareggiato: “Credevi forse che non me ne fossi accorto, Georgie?”. Lo sconosciuto parlò: “E’ così, hai ragione, quel bracciale appartiene a una fanciulla di nome Georgie. Mia figlia di nome Georgie e io la sto cercando da sempre” e aprì le braccia per accoglierla.
L’emozione che provò Georgie fu così intensa da bloccare ogni suo movimento poi però, la ragazza riuscì a trovare dentro di sé la forza di tuffarsi nell’abbraccio di suo padre: quel padre che, quando aveva venduto il braccialetto, si era rassegnata a non trovare mai più. Intanto, il Conte continuava a parlarle: “Georgie, sei l’immagine vivente di tua madre e il tuo modo di piangere è lo stesso di quando eri bambina. Ora fammi vedere un tuo sorriso”. Georgie alzò gli occhi per guardarlo e sorrise, poi si ributtò tra le sue braccia, continuando a ripetere la parola “papà” come a convincersi che non si trattasse di un sogno.
Abel osservò la scena in disparte, felice che Georgie avesse finalmente ritrovato quel padre che aveva desiderato incontrare a tal punto da affrontare un pericoloso viaggio in mare.
Dopo un po’, il padre di Georgie alzò gli occhi e osservò la persona che accompagnava sua figlia, anche Georgie si riscosse e, asciugandosi le lacrime, disse: “Papà, lui è Abel, mio … mio …”. Il Conte Gerard vide sua figlia esitare, ma Abel la tolse subito dagli impicci, “Conte Gerard, fu mio padre a raccogliere Georgie dalle braccia di sua moglie”. “Abel, non so davvero come ringraziare te e la tua famiglia per aver salvato e cresciuto mia figlia” – disse il Conte continuando ad abbracciare protettivamente Georgie. Abel rispose con un sobrio sorriso, mentre dentro di sé pensava che ben poco era rimasto ormai di quella famiglia.
Subito dopo, il Conte Wilson, caro amico del padre di Georgie, nel timore di veder comparire da un momento all’altro gli scagnozzi di Dangering, si avvicinò al Conte: “Scusa se mi intrometto Fritz, ma non pensi che sarebbe meglio continuare l’incontro a casa mia? Restare qui è pericoloso sia per te che per Georgie”. Il Conte acconsentì.
Quel giorno, seduti su uno dei divani della casa del Conte Wilson, padre e figlia parlarono a lungo perché avevano tante cose da dirsi. In particolare, il Conte Gerard raccontò del gruppo di giovani nobili che aveva guidato per sfidare il potere del Duca Dangering e di come fosse stato incastrato. Raccontò anche di quando aveva visto il cadavere di sua moglie e di come il desiderio di ritrovare la figlia lo avesse tenuto in vita. Infine, si offrì di aiutare Abel a salvare il fratello in nome della gratitudine che lo legava alla sua famiglia.
Abel, che fino a quel momento aveva assistito in silenzio all’incontro, parlò: “La ringrazio, ma fino ad ora non c’è stato modo di sottrarlo al severo controllo dei suoi guardiani”. Il ragazzo chiarì anche il dubbio che da sempre attanagliava il Conte Gerard sulla fonte dei guadagni di Dangering: “Probabilmente i soldi di Dangering derivano da un traffico clandestino di droga”. “Un traffico di droga?”- Gerard non ci aveva mai pensato. Abel continuò: “Se salviamo Arthur forse potremmo partire da lì per distruggerlo”. “E’ una buona idea” – disse Gerard. “Vi aiuterò anche io” – si offrì il Conte Wilson. Il Conte pensò compiaciuto che Abel fosse proprio un ragazzo sveglio e intelligente poi, cambiando discorso, si rivolse alla figlia e, tornando ad abbracciarla, le chiese commosso: “E ora Georgie che farai? Ti trasferirai qui da me? Verrai a vivere con tuo padre?”. Georgie in quel momento stava dando le spalle ad Abel, il Conte Gerard invece vedeva benissimo il ragazzo e si accorse che, alle sue domande, questi abbassò lo sguardo quasi sobbalzando. Si trattò di un attimo perché Abel si ricompose immediatamente, ma al Conte Gerard non sfuggì e gli sembrò molto strano. Ancora più strano fu però l’irrigidimento che sentì nelle braccia di sua figlia e il suo girarsi istantaneamente a guardare Abel, come a cercare il suo consenso. Il Conte Gerard poteva immaginare che i due ragazzi fossero molto uniti, d’altronde erano cresciuti assieme, ma il modo in cui Georgie chiese implicitamente ad Abel la sua approvazione ricordò al Conte il rapporto che si ha con un compagno di vita, piuttosto che con un fratello. In fin dei conti – si disse il Conte - Georgie stava andando a vivere con il padre che aveva finalmente ritrovato. Era la scelta più logica e naturale che si potesse immaginare.
Abel la guardò dolcemente e le sorrise, anche se dentro di sé avvertiva un terremoto. Georgie si rigirò verso suo padre e il Conte non riuscì a capire dall’espressione della figlia se la reazione del ragazzo l’avesse sollevata o delusa. Dal canto suo, invece, il Conte apprezzò molto il comportamento di Abel, che aveva lasciato Georgie libera di decidere.
“Sì, papà verrò a vivere con te” – disse la ragazza pur non pienamente convinta. “Ne sono molto felice cara. Domenica mattina manderò una carrozza a prenderti”, disse il Conte carezzando i capelli della figlia.
Più tardi quella sera, sulla carrozza che li riportava a casa, regnava il silenzio. Erano entrambi molto stanchi e, al contempo, inquieti: Abel aveva lo sguardo perso al di là del finestrino, mentre Georgie si contemplava le mani che, nervosamente, stringevano la stoffa del suo abito. A un tratto la ragazza, quasi timorosa, lo chiamò: “Abel?”. “Dimmi” – le rispose lui, girandosi a guardarla. Poi, vedendo la sua espressione triste, le chiese: “C’è qualcosa che ti preoccupa?”. Georgie annuì, non riuscendo però a staccare gli occhi dalle proprie mani. Abel allora si alzò e si mise a sedere accanto a lei. “Che cosa c’è, Georgie?” – le chiese dolcemente – “Non sei felice di aver finalmente ritrovato tuo padre?”. “Sì, sì è che … è che sono preoccupata di lasciarti da solo”– disse lei titubante. “Preoccupata di lasciarmi da solo?” – ripetè lui stupito. “Sì” – confermò lei. “Georgie ma non devi preoccuparti per me, sono anni che vivo da solo, ricordi?” – rispose Abel, cercando di sdrammatizzare perché voleva che lei si sentisse libera di scegliere ciò che davvero preferiva. Georgie sorrise tristemente e annuì. “Vedrai andrà tutto bene – aggiunse Abel con dolcezza – potrai finalmente stare con tuo padre e, una volta incastrato Dangering, potrai avere la vita che avresti sempre dovuto vivere e che ti è stata ingiustamente sottratta quando eri piccola”. Abel si sentiva morire dentro mentre le diceva queste parole, ma cercò con tutto se stesso di rassicurarla. Georgie si aggrappò con entrambe le mani al suo braccio e annuì di nuovo. Allora Abel la abbracciò fraternamente e così Georgie, sfinita dalle intense emozioni di quel giorno, riuscì finalmente a calmarsi. La ragazza appoggiò poi la testa sulla spalla di Abel e, come anni prima di ritorno dalla festa di Becky, si addormentò con le mani intrecciate alle sue. Se però Georgie avesse visto l’espressione che si dipinse sul volto del ragazzo non appena lei chiuse gli occhi, forse la sua tranquillità sarebbe svanita del tutto.

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Quella domenica Georgie e Abel si svegliarono molto presto e consumarono la loro colazione in silenzio. L’atmosfera era carica di emozione, come lo era stata da quando - pochi giorni prima - avevano incontrato il Conte Gerard.
Abel era sinceramente felice che Georgie avesse realizzato il sogno di ritrovare la sua famiglia, allo stesso tempo però vedeva materializzarsi l’ennesimo suo incubo ed era l’incubo che lo aveva ossessionato da quando era ancora un bambino. Era ovvio e naturale che lei volesse andare a vivere con suo padre, che cosa avrebbe mai potuto fare lui per trattenerla? Che cosa avrebbe mai potuto dirle che lei non sapesse già? Forse che la amava? Una piega amara sottolineava queste sue riflessioni e solo un pensiero sembrava attenuare un po’ la sua angoscia: che lui, forzosamente sollevato dalla promessa che le aveva fatto di prendersi cura di lei, avrebbe potuto concentrare tutte le sue forze sul salvataggio di Arthur.
Anche Georgie però non era serena perché combattuta tra la felicità di aver finalmente ritrovato il suo amato padre, il desiderio di andare a vivere con lui e la sensazione di dolore che le procurava il pensiero di allontanarsi da Abel. Perché provava questo dolore? Con questa domanda nel cuore, Georgie osservò Abel trasportare per le scale il baule con le sue cose poiché era giunta l’ora concordata per l’arrivo della carrozza.
Una volta in strada, il ragazzo con l’aiuto del cocchiere sistemò il bagaglio poi si parò davanti a lei. Il suo silenzio, la sua postura granitica e il suo sguardo impenetrabile - così diverso da quello che le aveva riservato nelle ultime settimane - la intimidirono. In realtà, il ragazzo stava solo cercando di non crollare: sapeva che era la scelta giusta per lei, ma in quel momento il suo cuore stava sanguinando. Così, a dispetto di tutte le parole confortanti che era riuscito a rivolgerle nei giorni precedenti, non era più in grado di dire niente, si sentiva svuotato. Le porse, quindi, una mano per favorire la sua salita in carrozza, dopo di che le sorrise accarezzandole fugacemente il volto e si distaccò da lei.
Commossa, Georgie lo salutò, poi però rimase immobile sul predellino senza riuscire ad entrare in quella carrozza: una sensazione di impotenza che aveva sperimentato già altre volte in vita sua, almeno tutte le volte in cui si era allontanata da lui per scappare con Lowell.
“Posso partire milady?” – le chiese cortesemente il cocchiere.
“Sì certo” – rispose Georgie con un nodo alla gola, poi sorrise ad Abel e si accomodò nell’abitacolo. Lo sguardo di Abel continuava ad essere glaciale. A Georgie si strinse il cuore.
Quando la carrozza partì, la ragazza si girò a guardare dal finestrino sul retro perché voleva vedere il suo volto ancora una volta ma il ragazzo le dava ormai le spalle e camminava a passo veloce in direzione opposta alla sua: Abel aveva fatto una grande violenza a se stesso rimanendo ad osservare la partenza della ragazza e, non appena lei aveva chiuso lo sportello, si era incamminato spinto dall’urgenza di mettere più distanza possibile tra sé e quella carrozza.
Il ragazzo, non sopportando l’idea di rientrare immediatamente in quella casa vuota, iniziò quindi a vagare senza meta per la città e vagò incessantemente fino a quando - senza deciderlo razionalmente - si ritrovò in quel parco che, settimane addietro, lo aveva visto assieme a Georgie. Abel cercò subito l’albero sotto cui si erano accomodati quel giorno e si sedette, mettendosi a guardare distrattamente le persone attorno a lui. Tuttavia, per la prima volta nella sua vita, balzarono fulminee ai suoi occhi le grandi differenze che intercorrevano tra i nobili e i cosiddetti ‘plebei’ e ciò acuì la sua tristezza.
Il ragazzo sospirò: non si era mai particolarmente curato della divisione in classi, se non quelle due volte in cui la fidanzata di Lowell gli aveva sbattuto in faccia la sua inferiorità di rango etichettandolo come un “contadino” e per giunta “rozzo e maleducato”. Ma Abel non si sentiva particolarmente rozzo né particolarmente maleducato e, in realtà, non si era mai sentito neanche un contadino, anche se non ci aveva mai pensato tanto. Ora che ci rifletteva, se avesse dovuto dare una definizione di sé, avrebbe detto che era un uomo che amava la sua professione. In questo, si sentiva molto affine all’ingegner Allen come anche alla stessa Georgie, che adorava ideare e cucire vestiti e che aveva messo su la sua bella impresa di sartoria. Scosse la testa, chissà se Georgie avrebbe continuato a coltivare la sua passione ora che stava per tornare a far parte del suo mondo: il mondo dei nobili, il mondo di Elise, il mondo di Lowell.
Abel sorrise mestamente. E lui cosa avrebbe fatto? Una volta salvato Arthur probabilmente avrebbe potuto continuare a lavorare per il sig. Allen e, in futuro, avrebbe potuto davvero comprare quella piccola nave per andare a giro a vedere il mondo, come aveva proposto a Georgie. Forse ce l’avrebbe fatta ad acquistarla e sarebbe partito. Una sola certezza aveva: che sarebbe stato da solo. Il ragazzo sospirò e, scuotendo il capo, rifletté sul fatto che forse essere solo doveva essere proprio il suo destino, poi – finalmente stanco - si avviò verso casa.
Quando rientrò nel suo appartamento, dopo aver vagato per tutto il giorno, Abel trovò ad accoglierlo un salotto buio e silenzioso. Il ragazzo osservò sconsolato la stanza poi, tutto a un tratto, sentì lo stomaco brontolare e si ricordò che non aveva mangiato niente dalla mattina. Si avvicinò quindi alla cucina per prendere un frutto quando scorse sulla tavola un piatto coperto da un tovagliolo. Sollevando il lembo di stoffa Abel vide dei sandwiches e un biglietto con la grafia tondeggiante di Georgie:
 
Caro Abel,
ti ringrazio tanto per avermi accolto in casa tua per tutti questi mesi.
 
Con affetto,
Georgie
 
Con un sorriso amaro stampato sul volto, Abel si sedette e iniziò a mangiare ma non arrivò neanche al terzo boccone che sentì delle lacrime affacciarsi ai suoi occhi. Le asciugò immediatamente quasi con rabbia perché non voleva piangersi addosso. E quella sera, seduto a quel tavolo in quella casa vuota, Abel avrebbe pianto per sé: perché in Australia non c’era più nessuno ad aspettarlo; per la terribile sorte del fratello di cui si sentiva responsabile; ma soprattutto perché Georgie gli era di nuovo scivolata tra le braccia e questa volta per tornare a far parte del suo mondo di origine, un mondo così distante dal suo.
Non volendo però cedere all’autocommiserazione, il ragazzo ricacciò in gola tutte le lacrime dicendosi che non era la prima volta che si trovava da solo e che ce l’avrebbe fatta, come sempre. Si chiese, però quanto dolore ancora avrebbe potuto sopportare perché sentiva che il suo cuore, ormai dilaniato, non sarebbe stato in grado di reggerne di più. Lentamente finì di mangiare poi, ancora vestito, si buttò sul letto del salotto, dove rimase a fissare il soffitto a lungo fino a sprofondare in un sonno senza sogni.
Dall’altro capo della città intanto il conte Gerard aveva notato che la figlia non era del tutto felice quella sera a cena, ma si era detto che forse si trattava della novità, dell’imbarazzo, in fin dei conti si conoscevano appena, ma il suo istinto di padre gli suggeriva che c’era dell’altro. Decise così di parlare con lei:“Che cosa ti preoccupa figlia mia?”. “Sono preoccupata per Abel” – gli rispose sincera la ragazza. “Per Abel? E come mai?” – le chiese il Conte. “Perché è rimasto da solo” – disse Georgie quasi stupita, come se la sua fosse la risposta più naturale del mondo. “Mia cara, ma a quanto ho capito, sono anni che Abel vive da solo. E poi, senza la sorella che vive con lui probabilmente, una volta liberato Arthur, potrà anche dedicarsi a cercare una donna con cui costruire un avvenire, non credi?” – disse il Conte Gerard sorridendo nel vano tentativo di far pesare meno a Georgie il suo trasferimento. E invece, le sue parole sortirono proprio l’effetto contrario. Georgie si girò a guardare il padre sgranando gli occhi. L’idea che Abel potesse desiderare di avere accanto un’altra donna era una prospettiva che non aveva mai considerato, perché – egoisticamente - aveva sempre pensato che Abel, il suo Abel, fosse lì per lei, sempre pronto a proteggerla con amore.
Quella notte neanche Georgie riuscì a prendere sonno facilmente, le tornavano in mente molti episodi della sua vita negli ultimi mesi e le mancavano da morire i loro piccoli gesti quotidiani, le mancava da morire lui. In quella grande e sfarzosa casa non si sentiva a suo agio, sarebbe volentieri tornata da Abel, ma una parte di lei voleva davvero conoscere quel padre che aveva appena ritrovato, voleva davvero provare che cosa significasse vivere con il suo vero genitore.

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


“Brother’s Keeper” (Genesis 4: 9)
 
Da quando Georgie era andata via, Abel trascorreva le giornate nello studio del sig. Allen perché la sua casa, così vuota e silenziosa, gli metteva angoscia. Anche Emma e Joy sentivano molto la mancanza di Georgie dato che la ragazza si era presa un periodo di riposo dal lavoro da trascorrere con suo padre; al contempo, erano molto preoccupate per Abel che se ne stava chiuso nel suo studio a lavorare fino a tardi ogni sera. Emma lo aveva invitato a mangiare a casa sua diverse volte, ma Abel aveva sempre declinato l’invito dicendo che voleva finire il progetto della sua nave. E alla fine ci era riuscito.
Una di quelle sere, infatti, ormai a notte inoltrata, il sig. Allen si stava avviando verso la sua camera da letto quando vide della luce trapelare dalla porta della stanza di Abel. Stupito, bussò. “Che ci fai ancora qui a quest’ora, ragazzo mio?” – gli disse bonariamente affacciandosi alla porta. “Sto lavorando all’ultimo disegno” – rispose Abel soddisfatto. “Ma non c’era urgenza di finire il progetto Abel, potevi anche lavorare con più calma. E poi, figliolo, hai almeno cenato?”. “No, non ho cenato ma non importa, grazie” – gli rispose Abel serenamente. Ed era vero: Abel non si curava dei morsi della fame, non si curava della stanchezza, voleva solo portare a termine quel progetto, prima di … prima di … non sapeva neanche lui prima di cosa, ma sentiva di non avere molto tempo a disposizione. Come se dentro di lui fosse scattato un conto alla rovescia.
“Ah, dimenticavo!” – disse Allen – “Se vuoi, puoi scegliere il nome della nave”. Nell’udire quelle parole Abel arrossì visibilmente. Allen lo guardò stupito poi si accorse che sulle ultime tavole già compariva un nome: Lady Georgie. E molte cose si chiarirono nella testa di Allen che si avvicinò paternamente ad Abel e, mettendogli una mano sulla spalla, gli disse: “Mi raccomando figliolo, dopo aver completato questo disegno torna a casa e vai a dormire. Si vede proprio che hai bisogno di riposo”. “Va bene” – gli rispose il ragazzo, grato all’ingegnere per tutte le sue attenzioni.
L’ordigno, il cui scoppio dentro di sé Abel inconsciamente aspettava, esplose di lì a poco quando, una bella mattina di sole, il ragazzo lesse sul giornale che il fidanzamento della Duchessa Maria Dangering era stato annullato. Abel stava sorseggiando il caffè nel pub della signora Baker, dove era tornato a consumare alcuni suoi pasti, e il sangue gli si gelò nelle vene: questa era la notizia che non avrebbe mai voluto leggere perché era il segnale - in un certo senso preannunciato dall’intensificarsi dei loschi traffici di Dangering -  che il Duca stava stringendo le maglie del suo intrigo e che il tempo a loro disposizione per salvare Arthur stava scadendo, se non si era addirittura già esaurito.
Matilda e sua madre videro Abel alzarsi dal tavolo pur non avendo finito la sua colazione, avvicinarsi serio al bancone per pagare e salutarle, sempre in modo gentile, ma senza la cordialità con cui era solito congedarsi. Preoccupate, si scambiarono uno sguardo, perché il ragazzo aveva tutta l’aria di aver appena ricevuto una cattiva notizia ma, non avendo sufficiente confidenza con lui, non gli chiesero niente.
Una volta uscito dal pub, Abel si diresse verso il suo ufficio e, nel tragitto, decise che quel pomeriggio si sarebbe recato a parlare con il Conte Gerard. Non avendo però il tempo di annunciare la sua visita, sperò che la lettura del giornale rendesse la sua presenza non del tutto inattesa. E, in effetti, non solo il Conte Gerard lo stava aspettando, ma lui e gli altri si erano anche già mossi.
La prima persona che Abel incrociò quando entrò nel vestibolo, dopo che il maggiordomo gli aprì la porta, fu Georgie che da ore si aggirava per la casa con la segreta speranza di vederlo arrivare. L’atmosfera si fece immediatamente densa: erano passati tanti giorni ormai da quando lei era andata a vivere con suo padre e Georgie sentì il cuore andarle in gola non appena scorse la sua figura. Dalla felicità avrebbe voluto corrergli incontro e abbracciarlo ma Abel le sembrò freddo e distaccato. In realtà, il ragazzo era stanco per le interminabili nottate passate a lavorare e terribilmente angosciato per Arthur, inoltre stava osservando con un velo di malinconia gli abiti che Georgie indossava: così diversi dal solito e molto più consoni al suo ritrovato rango sociale. “Come stai?” – le chiese Abel con voce neutra, anche se avrebbe tanto voluto lasciarsi andare con lei per trovare un po' di conforto. “Bene, grazie. E tu Abel?” – disse Georgie, la cui voce recava tracce di preoccupazione. La ragazza si era accorta – infatti – che sotto gli occhi di Abel erano comparse di nuovo delle ombreggiature, in più il ragazzo le sembrava anche dimagrito. “Bene” – tagliò corto Abel che si era accorto dello sguardo di Georgie e non voleva certo suscitare di nuovo la sua pietà. In quel momento, il Conte si affacciò e fece loro strada verso uno dei salotti.
Non appena si sedettero, Georgie si offrì di preparare del tè. Il Conte Gerard la guardò stupito: “Ma cara – le disse gentilmente – per queste cose c’è la servitù”. Georgie abbassò il capo vergognandosi un po’, anche se non capiva che male ci fosse, visto che aveva sempre cucinato in vita sua. Tuttavia, non volle contraddire il padre. Sorridendo il Conte Wilson chiamò la cameriera. Anche Abel incurvò leggermente le labbra pensando che Georgie era comunque cresciuta in una casa di contadini e che forse le ci sarebbe voluto del tempo per abituarsi a quella ritrovata vita da nobile.
Più tardi, mentre sorseggiavano il tè, Abel disse sorpreso: “Un passaggio segreto?”. “Me lo ha detto Maria. Pare che colleghi la prigione sotterranea con i campi fuori dal castello” – gli spiegò Georgie. “Sì, è possibile – chiarì il Conte Gerard – Nei palazzi dei nobili ci sono numerosi passaggi segreti”.
Quella mattina, infatti, dopo aver letto del fidanzamento annullato, Georgie si era nuovamente recata dalla figlia del Duca, con la quale aveva da alcuni giorni preso contatti sotto le mentite spoglie di un fantomatico amico di infanzia di Cain. Aveva così appreso dalla voce di una disperata e innamorata Maria, che la malattia del ragazzo era peggiorata a tal punto da richiedere una quarantena. Solo che Cain era stato rinchiuso in una segreta sotterranea del castello e non condotto da un medico, per cui la ragazza aveva smesso di credere alle storie che le venivano raccontate da suo fratello Irwin e voleva in tutti i modi salvare il ragazzo di cui era tanto innamorata. Si era così offerta di aiutare nella sua missione di salvataggio quell’amico provvidenzialmente piovuto dal cielo.
Le notizie appena fornitegli da Georgie - di cui Abel riconobbe e apprezzò l’intraprendenza e il coraggio - fecero intravedere al ragazzo una concreta possibilità di salvare il fratello così, parzialmente sollevato, disse: “Una volta saputo dove è il passaggio, posso andare anche da solo”. “No, è troppo pericoloso” – cercò di dissuaderlo il Conte Gerard. Abel, che odiava sentirsi impedito nei movimenti, avvertì che l’unica possibilità di agire gli veniva inibita, per cui si spazientì: “Sono cosciente del pericolo… ma so di poterlo affrontare”. “Voglio venire anch’io con te” – proruppe Georgie che non voleva lasciare da solo il ragazzo. Il Conte Gerard cercò di far ragionare entrambi: “Aspettate un attimo tutti e due! Sto cercando di farvi capire che sarete in pericolo dopo averlo salvato”. I due ragazzi lo guardarono esterrefatti perché non si erano mai posti il problema di cosa sarebbe potuto accadere dopo. Il Conte continuò: “L’unico motivo per cui Arthur è ancora vivo, pur essendo al corrente dei segreti di Dangering, è perchè vive nel suo palazzo. Se dovesse riuscire a fuggire, Dangering lo farebbe cercare e uccidere e se mobilitasse tutti i suoi scagnozzi qui a Londra, troverebbe me o Georgie molto facilmente. Dobbiamo cercare di guadagnare tempo… e l’unico modo è ingannarli facendo loro credere che Arthur sia ancora nelle loro mani. Prima si accorgono che è fuggito e più forte è il pericolo di essere ammazzati tutti quanti”. Il monologo del Conte lasciò i due ragazzi senza parole, perché si resero entrambi conto che aveva ragione.
Le parole del Conte continuarono a tormentare Abel anche una volta che egli tornò a casa. “Come posso salvare Arthur e proteggere Georgie allo stesso tempo?” - tornò ossessivamente a chiedersi il ragazzo fino a quando, dopo una lunga, penosa e infruttuosa riflessione che durò per gran parte della notte, si decise ad andare a dormire. Mentre si toglieva la camicia, però, la vista della cicatrice sul suo braccio fece balenare fulminea nella sua testa un’idea: avrebbe potuto sostituirsi lui ad Arthur nella prigione per dare a tutti gli altri il tempo di raggiungere il porto e di imbarcarsi per l’Australia! Una volta passata l’ora prevista per la partenza della nave, sarebbe uscito dalla cella utilizzando il passaggio segreto e sarebbe rimasto a Londra a sovrintendere alla costruzione della nave da lui progettata...
Il pensiero di questo piano ebbe un doppio effetto su Abel: da un lato, essendo un uomo di azione, si sentì sollevato perché poteva finalmente muoversi, agire; dall’altro sentì il proprio stomaco chiudersi. Nel profondo di sé era ben cosciente, infatti, che, data l’enorme quantità di variabili in campo, la probabilità che lui da quel passaggio non sarebbe mai più riuscito a uscire era altissima. Sapeva bene, inoltre, ciò a cui sarebbe andato incontro e una parte di lui ne aveva paura, molta paura: paura di finire prigioniero e di essere torturato o, peggio ancora, di essere scoperto e ucciso.
Solo respirando profondamente Abel riuscì a calmarsi, poi il pensiero che il suo sacrificio avrebbe potuto mettere fine a quel lungo periodo di sofferenza e avrebbe permesso agli altri di cominciare di nuovo a vivere lo sollevò. Il Conte Gerard sarebbe potuto essere riabilitato, Arthur sarebbe stato di nuovo libero ma, soprattutto, Georgie sarebbe stata salva e avrebbe avuto la possibilità di vivere serena con il padre che aveva finalmente ritrovato. Accanto a lei ci sarebbe stato anche Arthur che la amava e che l’aveva salvata tanto tempo addietro. Per quanto riguardava lui, il sapere Georgie e Arthur al sicuro, lo avrebbe aiutato ad affrontare con coraggio tutto ciò che di terribile sarebbe potuto succedergli, inclusa la morte.
Abel decise infine che l’indomani sarebbe tornato a parlare con il Conte Gerard per definire i dettagli del piano, in modo da portare a termine la sua missione il prima possibile. Non appena formulati questi pensieri, il ragazzo sentì il bisogno di bere qualcosa di forte: essendo giovane, aveva sempre pensato di avere davanti a sé una vita da vivere. La sua mano tremò visibilmente mentre si versava da bere, tuttavia, senza piangere neanche una lacrima, Abel decise che, per il bene di Arthur e di Georgie, sarebbe andato incontro al suo destino, qualunque esso fosse stato. Tornò però a dormire nella sua camera alla ricerca di un po' di conforto in quella terribile notte solitaria perché in quella stanza sentiva ancora accanto a sé la presenza della ragazza. Il pensiero che lo tormentava di più – infatti - era che, se le cose si fossero messe male per lui, sarebbe morto senza poterla più rivedere. Fortunatamente, il sonno dei giusti rese molto pesanti le palpebre di Abel.

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


La mattina seguente Abel si svegliò rinfrancato: aveva dormito più a lungo del solito e aveva sognato suo padre che - da lontano - gli sorrideva. Ancora sdraiato nel suo letto, il ragazzo aveva ripensato alla sua fattoria e alla sua cara Australia, che aveva lasciato senza alcuna remora per seguire Georgie e che forse non avrebbe mai più rivisto. Al contempo però conforto gli venne dal pensiero che il sole della sua amata terra avrebbe di sicuro aiutato il fratello a guarire da tutte le sue ferite. “Coraggio Arthur, resisti – si disse Abel - tra poco verrò a salvarti” e con queste parole nel cuore si fece forza per affrontare la lunga giornata che aveva davanti a sé e, più ampiamente, il destino che si profilava per lui all'orizzonte. Abel, infatti, aveva in programma di passare dal porto per supervisionare l’inizio dei lavori di costruzione della nave da lui progettata ma, soprattutto, era sua intenzione comunicare al Conte Gerard l’esito delle sue riflessioni notturne e, di conseguenza, organizzare con lui la spedizione di salvataggio.
Più tardi, quella stessa giornata, nella residenza del Conte Wilson, risuonarono però queste parole: “Sono contrario a che tu resti nella cella al posto di tuo fratello. Se tu non riuscissi a fuggire, ricadresti nel suo stesso inferno”. Era la voce del Conte Gerard, a cui Abel aveva appena finito di illustrare il suo piano. “Sono certo di potercela fare” – rispose Abel nel tentativo di convincerlo. “Abel, cerca di ragionare, si tratta praticamente di un suicidio” – si inserì nella conversazione il Conte Wilson. “No, se riesco a uscire” – gli rispose Abel impuntandosi.
Di fronte alla sua ostinazione, Wilson e Gerard si guardarono sconsolati. Il ragazzo cercò allora di cambiare tono e di spiegare loro le sue ragioni: “In qualità di fratello maggiore, ho il dovere di salvare Arthur”. Ed era vero, la cosa più importante per Abel in quel momento era salvare il fratello e proteggere Georgie, più importante ancora della sua stessa vita. I due uomini provarono un enorme rispetto per lui così, al termine di quella che era stata una lunga discussione, accondiscesero a portare a compimento il suo piano.
Tuttavia, finito di organizzare la spedizione, il Conte Gerard cercò per l’ennesima volta di dissuadere il ragazzo: “Ripensaci figliolo, non farlo … se dovesse accaderti qualcosa, mia figlia ne soffrirebbe enormemente. E non solo lei …, anche io ti sono affezionato come fossi mio figlio”. “Conte Gerard … - disse Abel guardandolo commosso, poi aggiunse cercando di mascherare il nodo che sentiva in gola - in questo modo Georgie sarà finalmente fuori pericolo”. Il padre della ragazza non potè che convenire dentro di sé che Abel aveva ragione. “Conte Gerard – continuò il ragazzo - se non le dispiace, vorrei comunicare personalmente a Georgie la mia decisione” – il Conte annuì sperando ardentemente che sua figlia fosse in grado di fargli cambiare idea.
Georgie si trovava in giardino: era una giornata in cui nuvole e sole si alternavano nel cielo, ma la ragazza aveva comunque deciso di stare all’aria aperta per contenere l’ansia che le attanagliava l’animo. Aveva, infatti, ancora impressa nella mente l’espressione disperata del volto di Abel una volta ascoltato suo padre e ancora echeggiavano dentro di lei le sue parole: “Ma allora … allora come possiamo fare? Anche con l’aiuto di Maria … anche sapendo del passaggio segreto… se le cose stanno così non potremo mai salvarlo...”. Georgie avrebbe tanto voluto essere con lui per confortarlo, per non lasciarlo da solo ad affrontare i suoi peggiori incubi.
Da lontano intanto Abel aveva scorto la figura della ragazza seduta su un’elegante altalena che pendeva da un maestoso albero di quell'incantevole giardino fiorito e si era preso del tempo per ammirarla: era un fiore splendido e delicato, la sua Georgie, il bocciolo più bello di quel giardino di primavera. Un fiore delicato, ma anche forte e tenace che, con la sua freschezza, la sua dolcezza e la sua allegria aveva conquistato il suo cuore sin da bambino.
D’un tratto tra le nuvole si fecero prepotentemente strada dei raggi di sole. La ragazza alzò gli occhi nel vedere quella luce abbagliante e pensò alla terra in cui era cresciuta. Sentì forte il desiderio di correre di nuovo libera nei prati, come quando era bambina e di tornare a ridere spensierata. Forse, una volta salvato Arthur - si disse - riusciremo a ridere di nuovo tutti assieme come una volta. E la ragazza sorrise di nostalgia vedendo scorrere davanti ai suoi occhi le immagini di loro tre da piccoli, su cui però si imposero con forza i ricordi della sera precedente. Georgie desiderò allora con tutta se stessa che il sole della loro infanzia potesse riuscire a far dimenticare ad Arthur - una volta salvato - tutte le sofferenze subìte come anche a cancellare la maschera di tristezza che la solitudine e il peso delle responsabilità avevano stampato sul volto di Abel. “Oh Abel” - sospirò Georgie che, da tempo ormai, non riusciva a pensare al ragazzo che era stato suo fratello, senza che il cuore le fosse invaso da un sentimento di dolcezza e di struggente trepidazione.
In quel momento, una voce profonda e avvolgente la sorprese: “Hai bisogno di un aiuto per toccare il cielo?”. “Abel!” – quasi gridò Georgie, girandosi di scatto. Il ragazzo si trovava in piedi dietro di lei e le stava sorridendo. Georgie sentì il battito del suo cuore accelerare nell’ammirare il volto bello e fiero del ragazzo.
“Ti è sempre piaciuto andare sull’altalena, non è vero?” – le disse Abel dolcemente. Georgie sorrise annuendo. In risposta, Abel iniziò a spingerla, prima delicatamente poi sempre più velocemente. E Georgie si lasciò andare, godendosi quel momento di serenità con Abel che, come quando erano bambini, la stava davvero aiutando a sfiorare il cielo. Dopo un po’ il ragazzo smise di spingerla e si appoggiò con la schiena al vicino albero per contemplarla perché voleva imprimere dentro di sé quelle immagini ridenti di lei: i suoi riccioli biondi che si muovevano al vento, la sua figura delicata che volteggiava nell’aria, il suo sorriso cristallino.
Cullata da quel movimento ondeggiante che tanto le piaceva, Georgie ripensò a quando suo fratello, da piccolo, le aveva costruito un’altalena per distrarla dal dolore della morte del padre. Si girò così a guardare con tenerezza il ragazzo e si accorse che la sua espressione si era fatta seria ma, non appena Abel incrociò nuovamente il suo sguardo, tornò a sorriderle. Georgie ricambiò il suo sorriso. Lentamente, l’altalena rallentò la sua corsa.
Quando l’altalena si fermò, Georgie chiamò Abel a sè. Il ragazzo le si avvicinò, afferrando con la mano una delle corde dell’altalena poi chinò il suo volto per guardarla negli occhi. Georgie sostenne il suo sguardo con difficoltà ma, ancora accaldata, trovò il coraggio di confessargli - entusiasta e timorosa assieme - i suoi più profondi desideri: “Abel, non vedo l’ora di tornare a casa. Non riesco ancora a credere che fra poco tempo saremo in viaggio per l’Australia. Sono certa che lì potremo tornare tutti a essere felici”. Nell’udire quelle parole piene di speranza, Abel istintivamente serrò la mascella e strinse forte la corda dell’altalena poi abbassò lo sguardo. E se il doloroso pensiero di ciò che doveva dirle non lo avesse indotto a chinare istintivamente il capo per mascherare le sue emozioni, Abel forse si sarebbe accorto che lo sguardo di Georgie si era brevemente posato sulle sue labbra e che quella implicita carezza era stata seguita da un improvviso rossore.
Riacquistata una parvenza di calma, Abel tornò a guardare Georgie poi, porgendole una mano per aiutarla a scendere dall’altalena, le disse: “Georgie, ti devo parlare”, e la guidò verso la più vicina panchina. La ragazza però non si sedette perché il brivido che serpeggiava lungo tutta la sua schiena - generato dalla criptica espressione dipinta sul volto del giovane - non la rendeva per niente tranquilla.
Georgie – cominciò Abel, in piedi di fronte a lei - io non salirò su quella nave con voi. Resterò al posto di Arthur nella sua cella finchè la nave non sarà partita e poi, quando riuscirò a scappare, resterò qui per vedere costruire la mia nave”. Georgie sentì il terreno crollarle sotto i piedi: che cosa stava succedendo? Abel non voleva tornare in Australia? Abel aveva intenzione di sostituirsi ad Arthur nella prigione? Una sensazione di panico attanagliò la sua gola tanto che, a stento, riuscì a sentire le parole che Abel le disse subito dopo: “Se riusciremo a salvare Arthur, potremo provare l’innocenza di tuo padre e allora sarà la fine dello ambizioni di Dangering”. Dopo alcuni secondi di raggelato silenzio, ancora sbigottita e incredula, con voce incrinata riuscì a chiedergli: “Davvero a te sta bene così?”, mentre le lacrime iniziavano a rigarle il volto. Abel guardò la ragazza e sfiorò teneramente il suo viso con una mano per asciugarle le lacrime.
“Georgie, mi chiedi se mi sta bene così… – disse Abel dentro di sè – … amore mio, io vorrei poter vivere la mia vita e vorrei viverla con te. Vorrei sposarti, girare il mondo assieme a te, avere dei figli con te, vorrei starti accanto e renderti felice fino al mio ultimo respiro, ma se con il mio sacrificio posso proteggerti e far sì che tu possa ricominciare a vivere, allora sì… a me sta bene così”. Il ragazzo non pronunciò però alcuna di queste parole, si limitò ad annuire con il capo e a rispondere più genericamente: “Io devo restare Georgie, altrimenti tutti verremmo ripresi prima ancora di raggiungere il porto. E’ la soluzione migliore ”.
La ragazza scoppiò allora in un pianto dirotto e gli si gettò tra le braccia. “Non piangere Georgie – le disse Abel accarezzandole il capo – vedrai che presto questo lungo periodo di sofferenza finirà e tu sarai di nuovo al sicuro, in viaggio per l’Australia e potrai tornare a vivere e ad essere felice. Questi brutti ricordi saranno lontani”. Ma Georgie non gli credeva e continuava a piangere disperata, con i pugni serrati sul suo petto. “E’ sempre stato cosìqualsiasi cosa succedesse c’era sempre Abel a proteggere me e Arthur … – pensava con terrore la ragazza tra i singhiozzi – Abel si è sempre messo in pericolo per difendere noi … anche adesso… ma stavolta… stavolta …. Abel che prende il posto di Arthur … Abel che scambia la sua vita con quella di Arthur…”.
“Ti preoccupi troppo – cercava di rassicurarla Abel – Non piangere, vedrai che andrà tutto bene”. Georgie alzò gli occhi per guardarlo, Abel le stava sorridendo dolcemente. “Ho solo un favore da chiederti, Georgie – le disse il ragazzo – una volta in Australia, porteresti dei fiori sulla tomba dei miei genitori da parte mia?”. Georgie annuì d’istinto, poi però si rese conto delle implicazioni di quanto Abel le aveva appena chiesto: “… ma Abel … potrai portare tu stesso i fiori sulle loro tombe quando ci raggiungerai in Australia, una volta costruita la tua nave… non è vero?” – replicò angosciata Georgie, che in realtà gli stava chiedendo altro. “Può darsi, Georgie, può darsi” – le rispose Abel continuando ad accarezzarle i capelli. Si trattava di una promessa che dentro di sé non era certo di poter mantenere. Tuttavia, se gli fosse successo qualcosa, una parte di lui sarebbe comunque vissuta in Georgie perché questa volta l’avrebbe protetta e l’avrebbe salvata. Lei insistette: “Promettimelo Abel, promettimi che tornerai da me…”. Abel pensò: “Amore mio, non so neanche per quanto tempo ancora vedrò sorgere il sole, come faccio a prometterti che tornerò in Australia?”. Però le disse: “Te lo prometto, ovunque e comunque io tornerò da te”. La ragazza sembrò calmarsi un poco. Dentro di sé Abel si stupì di essere ancora in grado di trovare le parole giuste per consolarla quando il suo cuore era dilaniato, quando neanche lui nel profondo ci credeva.
Georgie tornò a rifugiarsi tra le braccia del ragazzo, che la strinse a sé appoggiando il volto sui suoi capelli. Non avrebbe mai voluto lasciarla andare: entrambi sapevano che quello sarebbe potuto essere il loro ultimo abbraccio. Anche Georgie, infatti, stringeva con la mano il braccio di Abel e non voleva staccarsi da lui. Il panico cresceva dentro di lei di minuto in minuto e il pensiero che in quella cella lui sarebbe anche potuto morire, le straziava il cuore.
In lontananza cominciò a tuonare. 

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Messaggio del 15-01-2015

Cari lettori/lettrici, poiché mi sono giunti numerosi messaggi di under-18 che mi chiedono di abbassare nuovamente il rating della storia per poter tornare a leggerla, questo capitolo è stato censurato. E’ possibile leggere la sua versione integrale nella storia “Così vicini, così lontani – la trilogia” sempre su questo fandom.

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Cari lettori, per celebrare questo anno assieme (lo so, sono lenta e non aggiorno con la rapidità e assiduità che vorrei…), pubblico finalmente il capitolo “what if”, ovvero, ciò che avrebbe dovuto fare la nostra cara stordita invece di lasciare che quel povero figliolo scendesse in quel cuniculo buio per non uscirne mai più.
Spero proprio che vi piaccia perché è la prima volta che mi cimento in qualcosa di non angst (vedi i capitoli precedenti). Ogni tipo di commento - purchè educato - è ben accetto.
Un abbraccio a tutti voi e buona lettura!
 
PS. L’incontro è dedicato a Karmilla che lo ha atteso tanto ; )
 
Jubilee Street  - Nick Cave and the Bad Seeds
Questa canzone a mio parere crea la giusta atmosfera per la lettura della prima parte del capitolo,
parole a parte (o meglio, questa è la canzone che ha accompagnato la sua stesura)
 
Più tardi, quella sera Georgie vide Abel allontanarsi sotto la pioggia nel suo lungo mantello blu e le si strinse il cuore. Lo aveva implorato di trascorrere quell’ultima sera prima del salvataggio di Arthur lì con lei nella casa con suo padre, ma lui era voluto tornare nel suo appartamento. Abel preferiva stare da solo in quella che sarebbe potuta essere la sua ultima sera di libertà perché sapeva che, se fosse rimasto lì con lei, tutta la sua sicurezza avrebbe vacillato. Respirò a fondo per scacciare i brutti pensieri che si andavano formando nella sua testa, poi gettò un ultimo sguardo alla residenza del Conte Wilson e salì sulla carrozza.
Georgie guardò la carrozza andare via nella notte. “Vedrai, di sicuro ce la faremo”, le aveva detto Abel uscendo di casa e si era chinato su di lei per darle un bacio sulla guancia. Georgie si toccò il volto, dove ancora aleggiava il profumo di Abel e un pensiero balbettante si fece strada prepotentemente nel suo cuore e nella sua mente: “Se tu dovessi morire in quella cella io… io … come potrei mai tornare ad essere felice? Abel … io … io non voglio perderti… Abel, io ti… io ti … ”. Poi la ragazza iniziò a singhiozzare. Il Conte Gerard si avvicinò allora alla figlia e mettendole una mano sulla spalla dentro di sé penso: “Sophia, … la nostra bambina sta scoprendo l’amore in mezzo a tutta questa sofferenza”.
Dalla carrozza che lo riportava a casa, Abel vide sfilare le buie strade di una Londra plumbea e carica di pioggia. Pensò ad Arthur, presto sarebbero andati a prenderlo e lo avrebbero salvato dall’inferno in cui si trovava e questo pensiero alleggerì un po’ il suo cuore.
Giunto a casa, il ragazzo cominciò a mettere nel baule tutte le sue cose. Non sapeva cosa sarebbe successo il giorno seguente e voleva lasciare tutto in ordine, in caso di un suo mancato ritorno. Nello svuotare i cassetti, si trovò tra le mani la scatola di fiammiferi che aveva comprato da Joy la prima volta che l’aveva incontrata. Sorrise. Poi andò nel soggiorno e si versò del liquore. Con il bicchiere ancora in mano, si avvicinò allo scrittoio e finì di scrivere una lettera per il sig. Allen, poi cominciò a radunare tutti i suoi appunti e i suoi libri. Si ricordò allora delle lunghe ore passate a studiare i volumi che gli aveva dato l’ingegnere e pensò che l’aggressione che aveva subìto lo aveva portato ad uno degli incontri migliori della sua vita, quello con il sig. Allen: una persona che lo aveva accolto e aveva creduto in lui. Certo, da parte sua aveva dovuto studiare molto e tanto avrebbe dovuto studiare in futuro, ma poteva fare il lavoro della sua vita e vivere più che dignitosamente di quello. Meglio ancora, poteva dare forma alla sua passione per il mare e per la navigazione. E presto avrebbe anche visto la luce la prima nave interamente progettata da lui. Presto sì… ma, forse, per lui sarebbe stato tardi. Forse non l’avrebbe mai vista… Sospirò. Era fiducioso, coraggioso e un ottimista di natura, ma non era stupido, sapeva bene che tante, troppe cose sarebbero potute andare male la sera seguente e in quel caso lui non avrebbe avuto via d’uscita, il suo destino sarebbe stato segnato per sempre.
Abel scosse la testa per rimuovere quei pensieri, poi si mise a fissare il fuoco scoppiettare nel camino. Era disposto a sacrificare la sua stessa vita per salvare quella di Arthur, ma era difficile mettere a tacere il suo cuore: la sua passione per la vita, per il mare ma, sopra ad ogni cosa, il suo immenso e indomito amore per Georgie. Poi chiuse gli occhi: avrebbe voluto almeno poter salvare in qualche modo il suo amore per lei … In quel momento, Abel sentì bussare alla porta e si girò preoccupato, chiedendosi chi potesse essere a quell’ora tarda, mentre fuori imperversava una tempesta.
Quando Abel aprì la porta, si trovò davanti Georgie, avvolta nel mantello grondante di pioggia e con gli occhi gonfi di lacrime. Sorpreso e al contempo impensierito, il ragazzo le chiese: “Che cosa è successo?”. Georgie non gli diede il tempo di aggiungere altro che gli si gettò addosso piangendo. “Non voglio che tu lo faccia, Abel. Non restare in quella cella. Sali anche tu con noi su quella nave” – gli urlò tra i singhiozzi. Abel cercò di calmarla: “Ne abbiamo già parlato, Georgie. Non rendermi le cose più difficili di quanto già non lo siano. Ti prego”. Mentre parlava, Abel le levò premurosamente il mantello e la fece accomodare sul divano. La ragazza non smetteva di piangere e lui continuò: “Georgie devi essere forte per Arthur”. “Io non salirò su quella nave lasciandoti qui” – incalzò lei ostinata. Cercando di convincerla e forse anche di convincere se stesso, le ripetè quanto le aveva detto poche ore prima: “Se non restassi io in quella cella, verremmo tutti catturati prima ancora di arrivare al porto. E’ il modo migliore perché si salvino tutti”. “Tutti ma non tu, Abel” – disse lei con voce rotta dal pianto – “E poi, mi hai promesso che saresti stato per sempre al mio fianco”. Abel fece finta di ignorarla, ma Georgie non voleva essere ignorata e, soprattutto, questa volta non voleva commettere lo stesso errore di quando – anni prima – all’ombra degli eucalyptus non aveva trovato le parole giuste per fermarlo.
“Georgie, tu devi pensare ad Arthur – continuò Abel - E’ stato lui a salvarti dal fiume in cui eri caduta, ricordi? Adesso tocca a noi salvarlo e tuo è il compito di riportarlo alla vita. Non resterai da sola, ci sarà tuo padre a proteggerti e Arthur ti starà per sempre accanto” – continuò Abel accarezzandole il viso. La ragazza mise una mano su quella di Abel, poi tutta d’un fiato e con lo sguardo dritto nei suoi occhi, gli disse: “Io sarò da sola se tu non sarai con me”. Abel si fermò a guardarla stupito. Georgie proseguì con voce ferma, nonostante le lacrime: “Io non voglio separarmi da te, Abel. Voglio tornare in Australia con te. Io voglio vivere tutta la mia vita assieme a te. Io ti amo Abel e non come una sorella”.
Abel rimase senza parole, tale – infatti - fu la sorpresa per lui che per alcuni interminabili secondi non riuscì né a parlare né quasi a respirare certo che, se non fosse stato seduto, avrebbe di sicuro vacillato. Quando finalmente si riprese, strinse forte a sé la ragazza, invocando il suo nome: aveva paura che si trattasse di un sogno e che lei svanisse da un momento all’altro, ma Georgie era lì tra le sue braccia con le mani aggrappate alla stoffa della sua camicia e continuava a ripetergli ossessivamente che lo amava. Abel si convinse allora di non star farneticando e cominciò ad accarezzarle dolcemente il volto con la mano tremante d’emozione: “Oh Georgie, ti amo anche io, da tutta una vita”- le disse commosso, continuando a carezzare il volto bellissimo e delicato della ragazza.
Nell’udire le parole di Abel, Georgie si calmò un po’: la paura di perderlo l’aveva spinta a superare tutte le sue remore nel confessargli il suo amore ma tanto era stato il timore che i sentimenti del ragazzo, dopo tanti rifiuti e in mezzo a tanta sofferenza, si fossero spenti. E invece Abel – per lunghi anni suo fratello e il suo eroe, l’uomo disposto a sacrificare la vita per la sua salvezza e la sua felicità - la amava ancora, la amava da sempre e ora si trovava lì davanti a lei, pronto a donarle quell’amore così gelosamente custodito per anni.
La ragazza si distaccò leggermente da lui e trovò dentro di sé il coraggio di guardarlo nuovamente negli occhi e si accorse che questi erano velati di commozione. Timidamente allora Georgie gli sorrise. Abel ricambiò il suo sorriso poi lentamente iniziò ad avvicinarsi a lei, incorniciando con le mani il suo volto – come tanti anni addietro. Georgie sentì il cuore iniziare a batterle all’impazzata e le guance andarle in fiamme mentre il suo sguardo si posava sulle labbra di lui, con una richiesta implicita. Abel se ne accorse e, sorridendo, si chinò su di lei per baciarla.
Georgie sentì una scarica nel basso ventre quando le sue labbra incontrarono quelle di Abel: all’inizio il contatto fu casto e molto delicato poi, quando la ragazza con un leggero gemito dischiuse la bocca - dolcemente, ma inesorabilmente - Abel approfondì il suo bacio. Fu un bacio lento, intimo e profondo, che avvolse Georgie in un turbinìo di sensazioni mai provate prima di allora. Al termine del bacio, Abel non si staccò totalmente da lei ma restò per un po’ con le labbra sulle sue, respirando lentamente poi iniziò a baciarle teneramente il volto e il collo, inspirando a pieni polmoni il profumo dei suoi capelli e della sua pelle. Il respiro di Abel, unito alla sensualità delle sue labbra così calde e morbide, mandarono in estasi la ragazza che, inebriata dai suoi dolci e al contempo passionali assalti, sentì crescere nel proprio corpo un desiderio sconosciuto. Dopo un tempo che a entrambi parve infinito, Abel si fermò e rimase a guardarla con amore e venerazione. In quel momento, Georgie gli disse in un soffio – “Tienimi qui con te stanotte, Abel”. Abel non credette alle sue orecchie, poi un po’ di sano pragmatismo lo riscosse e delicatamente le chiese: “Non staranno in pena per te, Georgie?”. Lei, arrossendo, gli confessò: “Ho già mandato via la carrozza dicendo che sarei rimasta qui”. Abel si emozionò e la strinse forte a sé. “Questo deve essere un sogno” – pensò, poi prese nuovamente il suo viso tra le mani e le disse: “Sarò felice di tenerti qui con me, stanotte”.
Abel desiderava ardentemente fare l’amore con lei, lo desiderava da tutta una vita, ma non voleva metterle fretta. Sapeva anche che, se fosse rimasto lì con lei e avesse continuato a baciarla, non ce l’avrebbe fatta a trattenersi, per cui si alzò e andò in camera da letto per riscaldare la stanza. Fu Georgie a seguirlo questa volta. Sentiva forte dentro di sé il desiderio di averlo accanto: voleva che lui la baciasse e la tenesse stretta tra le braccia, voleva sentire il calore del suo corpo su di sé. Era forse questo il desiderio di cui le aveva parlato Emma? Lei non aveva mai provato questo tipo di sensazione con Lowell, ma con Abel era tutto diverso … avrebbe voluto che lui non si staccasse mai da lei.
Georgie lo seguì nella stanza da letto e lo trovò intento a ravvivare il fuoco nel camino. Si chinò su di lui per baciarlo dolcemente sul collo, dopo di che gli sussurrò: “Abel, stringimi forte, ti prego”. Abel sentì il fiato caldo di lei sul collo, i suoi baci, le sue parole e lasciò finalmente andare tutti i suoi freni inibitori. Si alzò in piedi e la tirò a sé facendo aderire i loro corpi, poi le mise una mano dietro la nuca e prese a baciarla con passione.
Lei rispose attivamente ai suoi baci e così lui iniziò piano a spogliarla, slacciandole il vestito e facendolo cadere ai suoi piedi. Come risposta, lei iniziò ad aprirgli la camicia. Quando Abel sentì le sue mani delicate sulla pelle, pensò che sarebbe esploso da un momento all’altro, ma Georgie non gli diede tregua e cominciò a carezzargli il petto. “Oh, Georgie …” – sussurrò lui, in preda alla passione. La sua mano si fece più audace e iniziò ad aprirle il corsetto, scoprendole il seno. Poi, si fermò a guardarla estasiato e, con gli occhi umidi, le disse: “Sei una meraviglia”. Georgie arrossì e sorrise imbarazzata. A quel punto, lui si sfilò del tutto la camicia, prese in braccio la ragazza e la fece distendere sul letto, iniziando ad accarezzare piano le sue forme. Quando Abel cominciò a baciarle i seni, Georgie sentì il suo corpo andare in fiamme. Avrebbe voluto che quel momento magico non finisse mai, ma sapeva che doveva parlargli. “Abel”- disse piano. “Dimmi” – rispose lui alzando il volto per guardarla. Georgie si perse per un attimo nei suoi intensi occhi blu, poi iniziò a balbettare: “Abel, io … ecco … io non ho mai … ecco … per me è la prima volta”. “La prima volta? – ripeté incredulo lui – Pensavo che con Lowell …” “No, no con Lowell non è mai successo niente… Non mi sentivo a mio agio. Tante volte ho anche fatto finta di dormire…” - gli confessò vergognosa. Abel rimase senza parole e ripensò a quanto si era dannato l’anima al pensiero di loro due assieme e ora invece Georgie era lì tra le sue braccia, tremante di passione per lui e gli stava confessando di non aver mai fatto l’amore in vita sua.
Era felice e intenerito allo stesso tempo: Georgie aveva scelto lui per quel passo così fondamentale nella vita di una donna. Abel si sentì gratificato e, al contempo, investito di una grossa responsabilità. Voleva, infatti, che fosse per la ragazza un momento bello e - per quanto possibile - non traumatico per cui, pur con sforzo, si staccò da lei e, mettendosi a sedere, un po’ imbarazzato, le chiese se sapeva di cosa si trattasse. Georgie, anche lei seduta, annuì arrossendo fino alla punta dei capelli. Allora Abel la abbracciò e sorrise: Georgie era così minuta lì tra le sue braccia, così delicata e fragile rispetto a lui.
Il contatto con il torace nudo del ragazzo - solido e vellutato - diede origine a un brivido che percorse tutta la schiena di Georgie. Abel, sentendo la ragazza tremare, pensò che si trattasse di timore, così le prese una mano e baciandola dolcemente, le disse: “Georgie, se tu non vuoi, io mi fermo. Possiamo anche soltanto dormire assieme per stanotte”. Georgie si sentiva piccola tra le braccia forti e avvolgenti di Abel, ma non aveva alcuna paura perché si fidava ciecamente di lui. “No – rispose lei abbassando lo sguardo – io non voglio che tu ti fermi”. Sentendole proferire queste parole, il desiderio di Abel tornò a incendiarsi. “Oh, amore mio…” – le disse e riprese a baciarla: una serie interminabile di baci appassionati sul viso e sul collo. Poi, guardandola intensamente negli occhi, la fece distendere sotto di sé e la liberò degli ultimi vestiti rimasti.
[...] Georgie lo guardò negli occhi e con una sicurezza che neanche lei credeva di possedere, gli rispose: “Sarei felice di portare in grembo un figlio tuo, Abel”. Di fronte a questa pura manifestazione di accoglienza, Abel capitolò [...] Georgie [...] lo guidò verso il suo petto, dove lui si rifugiò stremato e ancora incredulo. Abel – infatti - non riusciva ancora a credere che la fanciulla che aveva visto crescere e che amava da sempre, fosse appena diventata donna tra le sue braccia. 

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Messaggio del 15-01-2015

Cari lettori/lettrici, poiché mi sono giunti numerosi messaggi di under-18 che mi chiedono di abbassare nuovamente il rating della storia per poter tornare a leggerla, questo capitolo è stato censurato. E’ possibile leggere la sua versione integrale nella storia “Così vicini, così lontani – la trilogia” sempre su questo fandom.

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Abel giaceva con il capo appoggiato sul seno di Georgie mentre la ragazza accarezzava lentamente i suoi folti capelli scuri. D’un tratto, Georgie sentì il petto del ragazzo iniziare a sussultare e si intenerì perchè sapeva che anni di rabbia e di dolore andavano lentamente sciogliendosi dentro di lui.
Il cuore di Abel era, infatti, in tumulto poiché se, da un lato, il sogno più grande della sua vita si era appena avverato; dall’altro questa inaspettata felicità non riusciva a silenziare del tutto il timore per la sicurezza della ragazza.  “Amore mio, come farò a proteggerti adesso?” – continuava a ripetersi Abel temendo che, se avesse accondisceso alla richiesta di Georgie, questa si sarebbe trovata poi in pericolo. Tuttavia, l’amore e la passione per lei prevalsero e, pur sentendosi in colpa, Abel si tirò su e le disse: “Non ti lascerò da sola Georgie. Mi imbarcherò con te su quella nave”. Georgie guardò il volto rigato dalle lacrime di Abel e gli sorrise commossa: amava da impazzire quest'uomo così dolce e forte allo stesso tempo.
Abel la strinse forte a sè, le baciò dolcemente i capelli poi si offrì di prepararle un bagno caldo. “Ti accompagno” - disse di getto lei alzandosi per seguirlo ma, quando vide del sangue sulle proprie gambe, si allarmò: “Abel, che è successo?”. Il giovane cercò di rassicurarla: “Tesoro, è normale che sia così la prima volta”. La ragazza sembrò calmarsi un po’, così Abel le porse una coperta e, rivestendosi, le disse: “Aspettami qui, ti chiamo quando è pronto”. Lei lo ringraziò e il volto di Abel si aprì a un sorriso che a Georgie parve celestiale.
La ragazza restò così sul letto ad aspettare e ripensò a tutto quello che era appena successo: aveva condiviso con Abel l’esperienza più intima di tutta la sua vita e al solo pensiero del contatto con il suo corpo, si sentiva avvampare. Certo, aveva una familiarità atavica con lui, ma non una familiarità come quella che aveva appena sperimentato e per la quale provava ancora imbarazzo.
Dopo un po’ Abel tornò nella stanza e le disse: “E’ tutto pronto”. Georgie annuì e Abel si avvicinò a lei, prendendola tra le braccia come una sposa e a Georgie tornarono in mente tutte le volte in cui in passato lui l’aveva presa tra le braccia, sempre con lo stesso amore, sempre con la stessa dolcezza e si disse che era davvero fortunata ad avere un uomo così accanto.
Abel la condusse nella stanza da bagno, illuminata da candele, dove troneggiava una vasca riempita con acqua fumante. Georgie rimase senza parole. Abel la posò dolcemente a terra poi, scostandole i capelli dagli occhi, le chiese come si sentisse. Lei abbassò leggermente il capo prima di rispondere perché in realtà provava ancora del fastidio, poi rispose non troppo convinta: “Sto bene…”. Abel le prese il volto tra le mani e la guardò con amore: “Mi dispiace molto se ti ho fatto male, Georgie”. “No, tu sei stato dolcissimo, è che…”. Abel finì la frase per lei: “E’ che la prima volta non è poi così piacevole, vero? – le disse baciandola sulla fronte - Prenditi pure tutto il tempo di cui hai bisogno, io ti aspetto di là”. “No! – disse lei d’impeto afferrandogli il braccio – resta con me, per favore”. Abel, piacevolmente sorpreso, accettò.
Prima di immergersi nell’acqua, Georgie si tirò su i capelli per non bagnarli, ma un ricciolo impertinente sfuggì al suo controllo. Abel, che si era inginocchiato accanto alla vasca, cominciò a giocarci. Lei sorrise. “Ti ho mai detto che sei splendida?”, le disse lui in un soffio. Georgie avvampò nel sentire la sensuale voce di Abel, poi si girò a guardarlo e quasi rimase senza fiato: Abel era bellissimo, con il viso appoggiato sulle braccia nude, gli occhi che gli brillavano e le guance leggermente arrossate.
Georgie gli accarezzò allora il volto dicendogli dolcemente: “Mi dispiace per averti fatto soffrire così tanto in passato”. Abel cercò di sdrammatizzare: “Non preoccuparti, è tutto a posto” – le disse continuando a giocare con i suoi capelli. “No – continuò lei – voglio davvero che tu sappia quanto mi dispiace”. Il volto di Abel si fece più serio. “E’ che ero spaventata, non riuscivo a capire quali fossero davvero i miei sentimenti”. “Capisco – disse lui – in fondo io ho sempre saputo che non eri mia sorella, mentre tu …”. Georgie lo interruppe, ma abbassò il volto mentre gli diceva queste cose, perché se ne vergognava ancora tremendamente: “No Abel, io non riuscivo a capire davvero quali fossero i miei sentimenti prima ancora di sapere che non ero tua sorella…”. Abel si ammutolì per lo stupore e Georgie continuò, sempre a capo basso: “Gli occhi con cui guardavo te erano diversi rispetto a quelli con cui guardavo Arthur, ma ho sempre pensato che fosse perché eri il mio fratellone e che, per questo, cercavo sempre le tue attenzioni ed ero gelosa di te”. Abel aggrottò la fronte, stava cercando di capire la reale portata di quello che Georgie gli voleva dire. “Quando mi dicesti che saresti partito per fare il marinaio, non trovai le parole adatte per fermarti, ma devi sapere che quel giorno il mio cuore era dilaniato”. “Tu avresti voluto fermarmi?” – le chiese Abel esterrefatto. “Sì, Abel - disse Georgie - ma non ci sono riuscita, perdonami. Per lungo tempo non sono neanche riuscita a capire come mai non avevo rifiutato il tuo bacio a casa dello zio Kevin, nonostante che ti avessi ritenuto fino ad allora mio fratello. I tuoi sentimenti mi facevano paura, perché in realtà avevo paura di ciò che io nel profondo sentivo per te. Mi spiace Abel, ma la scelta di scappare mi è sembrata l’unica opzione possibile”.
Mentre diceva queste cose Georgie posò una mano sul braccio di Abel. Il ragazzo vide che Georgie stava piangendo, così le asciugò dolcemente le lacrime. “Ho sbagliato a baciarti quel giorno, Georgie. Eri troppo confusa. Non sai quante volte me ne sono pentito…” – disse Abel con tono mesto, ma Georgie nuovamente lo interruppe: “No, non hai sbagliato Abel, se tu non l’avessi fatto, non avrei saputo che mi amavi, anche se una parte di me lo sapeva da sempre. Solo che io non ero pronta ad accettare i miei di sentimenti: ero molto confusa e mi sembravano sbagliati perché ti vedevo ancora come un fratello. E poi, le parole che mi disse lo zio Kevin subito dopo mi confusero ancora di più”. Abel la guardò con fare interrogativo: “Quando te ne andasti, gli confessai quello che mi avevi detto per chiedergli un consiglio e per cercare di fare luce dentro di me. Lo zio invece mi parlò dei sentimenti di Arthur e mi disse che erano sinceri e privi di interesse, al contrario del tuo amore che era passionale, egoista e possessivo. Mi fece presente anche che era stato Arthur a salvarmi e che, se avessi scelto te, Arthur ci sarebbe rimasto male”. Abel si sentì ferito dalle parole dello zio e abbassò lo sguardo per nasconderlo, ma la ragazza, che aveva letto i suoi occhi, continuò a parlargli: “Lo zio si sbagliava su di te Abel, il tuo amore non è né egoista né possessivo. Certo, sei una persona forte e passionale, ma hai un cuore grande e generoso. Hai sempre rispettato le mie scelte e mi hai protetto anche quando ciò doveva farti soffrire enormemente. In questi mesi in cui ti ho vissuto accanto, ho avuto l’opportunità di conoscerti come uomo e so che saresti pronto a sacrificare la tua stessa vita per le persone che ami. Non potrei desiderare di avere accanto una persona migliore”. Mentre parlava, Georgie iniziò ad accarezzare il suo volto, “Abel io ti amo, ti amo da impazzire e ti chiedo ancora scusa per essermene accorta così tardi…” – disse Georgie singhiozzando. Anche Abel aveva gli occhi umidi e un groppo alla gola, ma non pianse. Le appoggiò invece con delicatezza l’indice sulla bocca per zittirla, poi guardandola con amore, le disse: “Ssst …, tesoro mio, non piangere, non è tardi”, anche se in cuor suo continuava a essere molto preoccupato per quello che sarebbe potuto accadere la sera seguente. Georgie annuì e si avvicinò a lui per baciarlo. Il sapore delle labbra di Abel si mischiò con quello delle sue lacrime e Georgie si calmò.
Abel prese allora ad accarezzarle il collo e la schiena per farla rilassare. Ancora risuonavano nella sua testa le parole dello zio Kevin e si disse che era stato un vero e proprio miracolo che lui e Georgie si fossero finalmente trovati, perché il loro percorso era stato davvero complesso e accidentato. Non riusciva ancora a credere a quello che Georgie gli aveva confessato riguardo agli strani sentimenti che provava per lui anche quando lo credeva suo fratello. Era vero, il loro rapporto era sempre stato speciale, esclusivo e intenso; si erano sempre cercati ed erano sempre stati bene assieme, ma tutto aveva congiurato contro di loro. Pensò anche che il granello di speranza che aveva sempre albergato in lui e a cui non aveva mai rinunciato, non era stata una mera illusione, ma segnali che era riuscito nonostante tutto a cogliere e a cui si era aggrappato con tutta l’ostinazione che lo contraddistingueva. Mentre era intento a pensare, Abel continuò ad accarezzare Georgie che, nel frattempo, si era girata e aveva reclinato il capo, appoggiandolo sulla spalla del ragazzo e si stava godendo le sue attenzioni.
Dopo molto tempo e molte carezze, le mani di Abel raggiunsero il basso ventre e lì il ragazzo si fermò con l’intenzione di non andare oltre. Quando Abel smise di accarezzarla, Georgie si girò verso di lui. A quei due grandi occhi verdi che lo guardavano con tanto amore, ma anche con malcelato desiderio, Abel rispose continuando le sue carezze. Il ragazzo, infatti, riprese ad accarezzarla scendendo oltre l’addome e lì, delicatamente ma inesorabilmente, concentrò le sue attenzioni. Grazie alle lente e sapienti carezze di Abel, Georgie iniziò a gemere sempre più intensamente, poi si girò a guardarlo. A quel punto Abel la tirò fuori dall’acqua, la avvolse in un telo e, tenendola sollevata da terra, la appoggiò contro il muro, poi iniziò a baciarla senza darle respiro.
Georgie non aveva mai visto Abel così, neanche quando prima avevano fatto l’amore, ma l’uomo che aveva davanti a sé, così focoso e appassionato, la fece incendiare ancora di più. Così, quando sentì il corpo di Abel premere chiaramente contro il suo, Georgie si aggrappò alle sue spalle per stringersi il più possibile a lui. Abel smise di baciarla per guardarla in viso e Georgie pensò che non esistesse al mondo uomo più bello. “Georgie…?” – chiese il ragazzo tra un respiro affannato e l’altro. Lei gli rispose con un sorriso. Abel allora la prese in braccio e la portò sul letto. [...] Quando anche questa seconda marea si placò, Abel – ancora ansimante - si staccò da lei per rotolare al suo fianco. Fu Georgie a cercarlo, rannicchiandosi accanto a lui e poggiando il capo sulla sua spalla. Nel sentire Georgie di nuovo vicina a sè, Abel sorrise poi, con l’intero suo corpo, la racchiuse in un abbraccio. I due si addormentarono così l’uno tra le braccia dell’altro, languidamente illuminati dalla calda luce del camino.

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


Messaggio del 15-01-2015

Cari lettori/lettrici, poiché mi sono giunti numerosi messaggi di under-18 che mi chiedono di abbassare nuovamente il rating della storia per poter tornare a leggerla, questo capitolo è stato censurato. E’ possibile leggere la sua versione integrale nella storia “Così vicini, così lontani – la trilogia” sempre su questo fandom.

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Cari lettori,
scusate la latitanza, ma il lavoro mi ha nuovamente trascinato più volte via di casa per cui non mi sono potuta dedicare alla mia fic quanto avrei voluto : (
L’unica cosa che mi ha consolato è che ho lasciato voi senza “cliffhanger” e i due piccioncini languidamente abbracciati, per cui spero tanto che vogliate perdonarmi per la lunga attesa.
Per quanto riguarda la storia, con questo capitolo si chiude la trilogia dedicata alla notte di amore di Abel e Georgie, quindi non fate l’abitudine a cotanto tripudio di passione e felicità ; P Scherzi a parte, dal prossimo capitolo i due ragazzi dovranno forzatamente uscire dal loro nido d’amore per andare a salvare Arthur e non saranno tutte rose e fiori… Ora, però, lasciamo che indugino ancora un po’ in questi preziosi e lungamente attesi attimi.
 
Kiss me a lot/ Kiss me a lot /
Kiss me all over my face/
Kiss me a lot/ Kiss me a lot/
Kiss me all over the place/
Kiss me a lot/ Kiss me a lot/  
 And when you kiss me/
Kiss me all over again […]”
 
(Kiss me a lot, Morrissey)
 
 
Quella mattina Georgie si risvegliò nella camera che l’aveva accolta nei mesi precedenti, ma questa volta non era da sola, accanto a lei dormiva Abel, ancora nudo e beatamente adagiato sul letto, con il lenzuolo e le coperte che lo coprivano fino all’addome.
Georgie si alzò facendo attenzione a non destare il ragazzo e, dopo aver indossato la casacca del suo pigiama e ravvivato il fuoco nel caminetto, si mise a sedere sul letto per osservarlo. L’espressione dipinta sul volto di Abel era serena. Georgie decise che non lo avrebbe svegliato, desiderava infatti che Abel si godesse quel momento di pace dopo tanta sofferenza. Gli scostò però i capelli dal volto e si mise ad ammirarlo: era così bello. Cominciò allora ad accarezzare il suo volto perfetto, sfiorando con un dito quelle labbra che l’avevano baciata tanto appassionatamente poi spostò le mani sulle sue larghe spalle e sul suo petto, fino a scendere lungo tutto l’addome. La sua pelle era calda e vellutata e i suoi muscoli scolpiti.
La fanciulla si portò le mani al petto per scoprire come la sola vicinanza del ragazzo le facesse battere forte il cuore nonostante che lui, in quel momento, stesse solo placidamente dormendo. Ripensò allora alla notte appena trascorsa e ammise a se stessa che non avrebbe davvero mai potuto condividere quelle esperienze con nessun altro uomo perché Abel era la persona più importante della sua vita e ora che finalmente lo aveva riconosciuto, era felice di poterlo baciare e accarezzare liberamente, senza le remore e i sensi di colpa che l’avevano accompagnata per tutta la vita.
Come aveva potuto ignorare i propri sentimenti per così tanto tempo? – si chiese poi Georgie che ripensò a quando si erano incontrati a Londra, dopo che lui le aveva dichiarato il suo amore e a come, alla sua vista, i prati dell’Australia, il vento e i suoi raggi di sole le fossero scoppiati dentro al cuore. Pensò anche a come, per la felicità, gli si fosse gettata tra le braccia, certa che lui l’avrebbe accolta, come sempre. Davanti ai suoi occhi si parò poi di colpo lo sguardo disperato e, al contempo, bruciante di passione che Abel le aveva rivolto mentre lei stava salendo frettolosamente sulla carrozza per fuggire con Lowell. Uno sguardo che l’aveva incatenata perché parlava direttamente alla parte più nascosta del suo cuore. Una parte di sé che, in quel momento, non era stata pronta ad ascoltare. Così come non aveva ascoltato fino in fondo ciò che Abel le aveva detto quello stesso giorno nella serra.
Ah, se solo lo avesse ascoltato davvero quel giorno! Se solo avesse avuto il coraggio di rimanere tra le sue braccia: quanta sofferenza gli avrebbe risparmiato – pensò sfiorando con una mano la cicatrice sul braccio di lui – e quanta sofferenza avrebbe risparmiato anche a se stessa!
Per fortuna era riuscita a farlo desistere dal suo malsano proposito di prendere il posto di Arthur e ora si trovava lì con lei, al sicuro, ma Georgie sentiva ancora viva dentro di sé l’angoscia di pensarlo in quella prigione: un’angoscia terribile che le aveva attanagliato la gola nell’attimo stesso in cui lui le aveva comunicato la sua decisione di restare nella cella al posto di Arthur. Una decisione fatale che avrebbe potuto portarlo via da lei per sempre. Georgie invece desiderava con tutta se stessa che Abel stesse sempre con lei, che la abbracciasse, che la baciasse, che le parlasse con la sua voce calda e suadente che le faceva vibrare le corde più intime. Georgie lo voleva tutto per sé, per la vita intera e finalmente aveva trovato dentro di sé il coraggio di ammetterlo…
Come richiamato dai pensieri della ragazza, Abel aprì lentamente gli occhi e la prima cosa che vide fu la figura di Georgie seduta accanto a lui, con indosso la casacca del suo pigiama. Illuminata dalla luce del camino e dalla tenue luce del primo mattino, la fanciulla sembrava risplendere. Per Abel fu un momento di pura estasi: il risveglio che il ragazzo aveva desiderato per tutta la vita finalmente si stava concretizzando. Abel sorrise di gioia nel sentire la mano di Georgie che lo accarezzava delicatamente e trattenne tutta la sua commozione, al contempo, però, si accorse che Georgie era terribilmente assorta nei suoi pensieri. Temendo di disturbarla, Abel decise di palesare la sua presenza con discrezione: “Sei carina con il mio pigiama” – le disse a voce bassa e con un sorriso.
Georgie sobbalzò nell’udire la voce di Abel, per quanto attutita, e - come colta in flagrante - smise immediatamente di accarezzare la cicatrice sul suo braccio. “Non mi dai fastidio” – le disse allora Abel per tranquillizzarla. “Non ti fa male?” – gli chiese titubante Georgie, che si sentiva in colpa ogniqualvolta vedeva il segno di quell’antica ferita. “No, ora non più” – le rispose Abel, ancora deliziosamente stropicciato dal sonno e con il rarissimo sguardo sereno di quando era ancora un bambino. “Ma… non avevi paura?” – insistette, sempre titubante, Georgie. Abel, che non le aveva mai parlato della sua aggressione, immaginò che Joy avesse raccontato l’accaduto a Georgie. Inoltre, non aveva alcuna voglia di parlare di un evento che sentiva così lontano rispetto alla felicità di quel momento, tuttavia - ancora rilassato e abbandonato nel letto – le rispose: “Sì ero quasi certo che mi avrebbero ammazzato, per fortuna c’era Joy con me”. Georgie tornò ad accarezzare il suo braccio, dopodiché come se non fosse paga di ricevere risposte gli chiese, mordendosi leggermente il labbro inferiore: “E non avevi paura di restare in quella cella al posto di Arthur?”. Abel, che dovette fare uno sforzo per seguire il rimbalzare dei pensieri di Georgie, la vide molto triste, così si tirò su e – carezzandole dolcemente i capelli – le rispose: “Certo che avevo paura, Georgie, non sono un incosciente, ma il pensiero che tu e Arthur sareste stati al sicuro mi dava il coraggio di affrontare la situazione”.  “Oh, Abel, invece il pensiero di te in quella segreta mi distruggeva: avrebbero potuto scoprirti, avrebbero potuto ucciderti” – disse la ragazza la cui voce tremolante rivelava tutta la sua angoscia. Abel non capiva perché Georgie fosse così triste quella mattina, soprattutto dopo la meravigliosa notte che avevano appena trascorso tuttavia, per cercare di tranquillizzarla, la prese tra le braccia e - quasi cullandola - le disse con dolcezza: “Tesoro mio non angosciarti con questi brutti pensieri, stai tranquilla, sono qui con te…”. Georgie si aggrappò ad Abel con tutta la forza che aveva come a non volerlo lasciare andare e, avvolta dal calore delle sue braccia, sembrò rasserenarsi un po’.
I due ragazzi rimasero abbracciati in silenzio per alcuni minuti quando Georgie, accarezzando il petto di Abel, ma senza alzare il capo, a voce bassa gli chiese: “Abel, tante altre donne si sono risvegliate così tra le tue braccia?”. Era come se la ragazza stesse cercando di liberarsi di tutti i dubbi e di tutti i timori più o meno consci che la avevano afflitta nei mesi e negli anni precedenti. Un attonito Abel le rispose un po’ imbarazzato: “Davvero lo vuoi sapere Georgie?” Georgie abbassò lo sguardo e scosse il capo. Abel allora sospirò poi le disse: “Georgie, tesoro, tu sei l’unica che io abbia mai amato in vita mia”. Sul viso della ragazza comparve un tenue sorriso. Si sentiva una stupida perché sapeva benissimo di essere stata lei a tenere Abel a distanza per tutti quegli anni, tuttavia il pensiero che altre donne avessero condiviso un’intimità con lui la faceva stare male: chissà quante saranno state – pensò tra sé e sé – perché Abel non soltanto era incredibilmente bello, era anche dotato di un fascino immenso e, sin da ragazzo, le aveva sempre avute tutte ai suoi piedi. Tutte tranne lei… No, non era vero, tutte compreso lei, perché in realtà lei lo aveva sempre amato ma, purtroppo, l’immagine di lui come fratello l’aveva perseguitata per anni, fino a quando la paura di perderlo le aveva finalmente dato il coraggio di dichiarargli il suo amore e di lasciarsi amare da lui.
Nel vederla così turbata, Abel si sentì stringere il cuore così, ormai definitivamente sveglio, si staccò da lei, le prese il volto in una mano e le disse: “Georgie, guardami, ti prego”. La ragazza alzò lo sguardo, andando a incontrare i suoi intensi e profondi occhi. “Sì, ho avuto altre esperienze prima di te, ma credimi se ti dico che stanotte ho fatto l’amore per la prima volta in vita mia”– le disse il giovane con una sincerità disarmante.
Le parole di Abel fecero sciogliere tutta la tensione di Georgie che, emozionata, sorrise. Abel delicatamente accarezzò gli angoli di quel sorriso poi, continuò a parlarle: “Sin da quando ero un bambino ogni mio pensiero è sempre stato per te, ogni mio sguardo per te, ci sei sempre stata solo tu nel mio cuore … ”. Georgie lo ascoltava emozionata, sapeva che Abel la amava da sempre, ma sentirgli dire queste parole le faceva bene anche perché, dal momento in cui gli aveva dichiarato il suo amore, le era venuta una paura folle di perderlo, paura che qualcuno o qualcosa glielo potesse portare via. Abel proseguì nel suo discorso: “… amore mio, so che ti ho già chiesto questa cosa in passato e che probabilmente questo non è il modo né il momento migliore per chiedertelo di nuovo …”.  La ragazza capì subito cosa Abel volesse dirle e non gli dette il tempo di finire che, pur arrossendo fino alla punta dei capelli, gli rispose abbracciandolo con impeto: “Sì, voglio diventare tua moglie Abel, ne sarei onorata e non c’è momento migliore di questo per chiedermelo!”. Poi, temendo di essere stata troppo energica e impulsiva, la ragazza si distaccò da Abel in attesa della sua reazione.
Il ragazzo restò impietrito: avrebbe voluto parlarle, avrebbe voluto comunicarle la sua immensa gioia, ma le parole gli morivano in gola. Riuscì, però, a sorriderle prima che la commozione avesse il sopravvento su di lui; non riusciva, infatti, ancora a credere di aver coronato il sogno più grande della sua vita.
Georgie vide Abel commuoversi e abbassare lo sguardo per pudore. E questa volta fu lei che, intenerita, si mise in ginocchio sul letto e prese tra le mani il suo viso. Gli occhi color giada della ragazza fissarono poi a lungo Abel in un silenzio carico di emozione, come a voler imprimere nella sua mente ogni dettaglio di quel volto così bello e così caro. Abel la guardò senza riuscire ancora parlare così Georgie, lentamente, si avvicinò e lo baciò: prima sulle guance salate di lacrime, poi sulle labbra morbide, mentre le sue mani dal volto si spostavano dietro al collo per stringerlo sempre più a sé. Abel non si mosse e chiuse gli occhi: era meraviglioso farsi baciare e coccolare da lei. Georgie sorrise: era felice che Abel si stesse finalmente lasciando andare. Poi Georgie spostò le mani sul petto del ragazzo e, delicatamente, lo spinse per farlo distendere. Abel assecondò la richiesta di Georgie, trovandosi così nuovamente sdraiato sul letto. La ragazza si chinò allora su di lui e tornò a baciarlo sulle labbra e su tutto il volto. Abel chiuse gli occhi e deglutì poi, sospirando, si abbandonò ai baci e alle carezze di Georgie.
La ragazza cominciò allora a tracciare una scia di baci lungo il collo di Abel e sul suo petto, mentre con una mano gli accarezzava il volto. Abel mise una sua mano su quella delicata di Georgie e sorrise dolcemente: non c’erano demoni nel suo cuore in quel momento, soltanto un’incommensurabile felicità. Poi aprì gli occhi.
I due ragazzi si guardarono e Abel fece come per alzarsi, ma Georgie gli rispose arricciando il suo delicato nasino e sospingendolo di nuovo verso il letto e lentamente riprese a baciarlo [...] Georgie [...], ebbra di felicità, desiderò ardentemente che il tempo si fermasse lì.
Sudati e accaldati Georgie ed Abel rimasero distesi l’uno accanto all’altra per godere ancora un po’ di quegli attimi di felicità, poi Abel si girò su un fianco e prese ad accarezzare dolcemente il volto della ragazza. D’un tratto, il fantasma di Dangering proiettò una lunga ombra minacciosa sul loro nido di amore, lambendone i confini perché Abel al pensiero di ciò che li attendeva fuori da quella accogliente camera, si fece serio e disse: “Promettimi una cosa, Georgie. Promettimi che qualunque cosa possa accadere stanotte tu penserai a salvarti”. Georgie lo guardò stupita, non capiva che cosa Abel volesse dire: certo che avrebbe pensato a salvarsi! “Georgie, promettimelo ti prego” – la incalzò con voce dura il ragazzo. Georgie era così felice, che la spedizione per il salvataggio di Arthur le sembrava lontana, parte di un mondo remoto e alieno che in quel momento egoisticamente avrebbe preferito che non esistesse mentre Abel, evidentemente, lo aveva sempre ben presente ed era preoccupato per tutti loro. Georgie si sentì un po’ in colpa per questo suo egoismo e il suo sguardo lo rivelò. Abel allora tornò a essere dolce con lei, “Georgie, amore mio, è solo che io non voglio che ti succeda niente di male” – le disse mentre le posava un bacio sulla fronte. Lei allora annuì e, sorridendo, gli disse: “Va bene, te lo prometto”, poi appoggiò il capo sul suo petto mentre il suo braccio cingeva il torace di Abel in un abbraccio possessivo. Anche Abel la abbracciò, cercando di tenere sotto controllo l’ansia che gli stava montando dentro. 

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Cari lettori,
mi auguro che il nuovo anno sia iniziato per tutti voi nel migliore dei modi  : )
Di seguito trovate un capitolo ponte che ci traghetta verso il salvataggio di Arthur.
A breve il prossimo aggiornamento …
Un abbraccio,
Rebecca
 
Quella mattina, Abel finì di mettere dentro il baule i suoi libri e i suoi appunti, attività che la sera prima era stata interrotta dall’irrompere inaspettato di Georgie. In ginocchio, si fermò per alcuni minuti a contemplare il progetto della sua nave, quando sentì la mano di Georgie poggiarsi delicata sulla sua spalla: “Abel?”. Il ragazzo alzò il capo per guardarla. “Mi dispiace che tu non possa seguire i lavori di costruzione della nave che hai progettato” – gli disse Georgie. Il ragazzo si alzò in piedi e, appoggiando le mani sulle spalle della ragazza, le disse: “Non preoccuparti amore mio, ne progetterò un’altra e sarà ancora più bella di questa”. Georgie sorrise intrecciando la sua piccola mano a quella di Abel. “Certo Abel, sarà sicuramente più bella” – annuì poi, stringendogli la mano, gli chiese: “Hai fame Abel? Ti va di fare colazione?”. “Sì, scusa, ho finito. Usciamo subito” – le rispose Abel muovendosi per chiudere il baule. “Non c’è bisogno di uscire, ho preparato tutto io”. Abel la guardò stupito perché era ben cosciente dello stato della sua dispensa. “Non guardarmi così Abel, lo sai che sono una brava cuoca!” – disse Georgie trascinando Abel con sé verso la cucina. “Beh – disse sorpreso il ragazzo quando vide ciò che Georgie aveva cucinato – hai compiuto davvero un piccolo miracolo!”. Georgie sorrise e Abel la ammirò: era splendente e piena di vita e gli stava dimostrando tutto il suo amore. Abel la attirò a sé e la abbracciò, poi la guardò negli occhi e le disse: “Ti amo Georgie e non mi stancherò mai di ripetertelo”. Georgie, felice, si tuffò di nuovo tra quelle braccia che erano la sua casa. Avvolto dal calore di quell’abbraccio, Abel ebbe un attimo di cedimento e si chiese per quale assurda ragione la mattina più felice della sua vita dovesse coincidere con quella difficile giornata, perché non gli fosse dato godere di quei preziosi momenti scevro dall’angoscia del pericolo che li attendeva. Scosse però immediatamente la testa per scacciare quel pensiero: come poteva lamentarsi lui che era lì con Georgie, la sua futura moglie, mentre suo fratello si trovava ancora nelle grinfie del Duca Dangering? Era davvero un egoista!
Abel sospirò poi, iniziando a pianificare quella lunga giornata, disse a Georgie che – prima di tornare alla residenza del Conte Wilson - avrebbe voluto recarsi dal sig. Allen per metterlo al corrente della situazione e delle sue decisioni. Georgie acconsentì, anche perché ciò le avrebbe permesso di rivedere Joy e la sua cara amica Emma.
E, infatti, poco dopo, quella stessa mattina Georgie e Abel salutarono il piccolo appartamento che li aveva accolti per tanto tempo e si incamminarono verso lo studio navale dell’ingegner Allen. Durante la passeggiata Georgie non lasciò mai la mano di Abel mentre, con nostalgia, osservava quei luoghi che ormai erano divenuti parte della sua vita, parte di una quotidianità che aveva condiviso con Abel nel corso di quei lunghi mesi. Georgie si girò allora a guardare Abel e pensò con commozione che era appena cominciato un nuovo capitolo della loro vita, un capitolo che avrebbero costruito assieme come marito e moglie. Del rossore si affacciò sulle sue guance. Abel non si accorse dello sguardo di Georgie perché la sua mente era occupata da pensieri molto meno piacevoli e sereni.
Quando entrarono nel palazzo del sig. Allen, Georgie si precipitò immediatamente nel laboratorio di sartoria, dove Emma e Joy la accolsero calorosamente poi, sorprese di vederla, le chiesero come mai si trovasse lì così di prima mattina e con quei vestiti così eleganti. Georgie arrossì visibilmente. Emma e Joy si accorsero allora che vicino alla porta si trovava Abel, che osservava in un sereno silenzio i saluti delle tre amiche. “Fratellone!” – gridò Joy correndogli incontro per salutarlo. Approfittando di quel momento, Emma guardò Georgie negli occhi con chiaro fare indagatore. Georgie annuì delicatamente. Allora l’amica la abbracciò: “Sono tanto felice per voi!” – le disse commossa.
Abel sorrise tra sé e sé e si allontanò per andare a parlare con il sig. Allen, al quale raccontò finalmente tutta la sua storia. Il sig. Allen si mostrò come sempre una persona di grande valore e comprensione perché, non solo offrì ad Abel l’opportunità di aprire una filiale della sua compagnia a Sydney in quanto – a detta sua – “non voleva perdere il più fidato e brillante collaboratore che avesse mai trovato nella sua lunga carriera”, ma offrì tutto il suo aiuto e la sua stessa casa come base d’appoggio per la spedizione di salvataggio. Abel ringraziò calorosamente quell’uomo che si era comportato con lui al pari di un padre.
Nel frattempo, Georgie – circondata da Emma e Joy – aveva cominciato a raccontare loro dell’evoluzione del suo rapporto con Abel. Joy, che dapprima non aveva capito che cosa fosse successo tra i due ragazzi, inizialmente provò una punta di gelosia nei confronti dell’amica, che però si dissipò subito lasciando spazio alla felicità per lei e per il suo caro “fratellone” che era finalmente riuscito a coronare il suo sogno d’amore.
Emma cominciò a scherzare sul fatto che presto avrebbero fatto crescere assieme i loro figli, quando Georgie - imbarazzata per l’argomento toccato dall’amica - cambiò discorso e parlò loro del piano di salvataggio di Arthur e della loro intenzione di tornare in Australia. Emma e Joy si offrirono entrambe di aiutare Georgie a salvare suo fratello, pur dispiaciute che presto l’amica le avrebbe lasciate. “Dick potrebbe venire con voi e potrebbe portare il suo carro, di sicuro il carro di uno spazzacamino si noterebbe meno di una carrozza nobiliare” – propose Emma. “Mi sembra davvero un’ottima idea” – si intromise da lontano Abel, che aveva finito il suo colloquio con il sig. Allen ed era sceso a prendere Georgie. “Ed io potrei preparare la cena per tutti voi!” – continuò Emma. “Ma Emma – disse stupita Georgie all’amica – non andiamo mica a fare un pic-nic”. “Sì, però a un certo punto dovrete pur mangiare, no?” – chiosò imperterrita la giovane donna. Una risata collettiva alleggerì l’atmosfera.
Poco dopo, Georgie e Abel si congedarono per recarsi alla residenza del Conte Wilson. Nella carrozza che li allontanava da quello che era stato per tanti mesi il loro piccolo mondo, i due ragazzi stavano abbracciati e in silenzio. Nessuno dei due osava, infatti, esternare all’altro le proprie preoccupazioni per non rovinare la quiete di quel dolce momento.
Giunti nei pressi della residenza Wilson, Abel comunicò a Georgie che desiderava parlare con suo padre da solo. Sul volto di Georgie si dipinse un’espressione di delusione, Abel allora prese il volto di Georgie tra le mani e le disse: “Tesoro mio, non ho intenzione di escluderti, voglio soltanto chiedere a tuo padre il permesso di sposarti”. Georgie, abituata ad essere indipendente, si rese conto che lei non ci aveva minimamente pensato, perché sposare Abel era una sua scelta e di nessun altro, ma con ogni probabilità Abel aveva ragione. Georgie annuì, allora Abel le sorrise con dolcezza e le posò un delicato bacio sulle labbra. Georgie chiuse gli occhi per assaporare quel momento di intimità.
Dopo pochi secondi, la carrozza si fermò. Una volta scesi, Georgie si precipitò incontro al padre che si era affacciato al portone, mentre Abel fece un grosso respiro: dentro di sé sapeva che da allora in poi gli eventi si sarebbero susseguiti in maniera vorticosa. Chiuse brevemente gli occhi e pregò che tutti loro ne uscissero vivi e forti, ora che aveva promesso a Georgie che non sarebbe rimasto nella cella al posto di Arthur per proteggerli.
Il Conte Gerard accolse Georgie a braccia aperte: capì subito che cosa era successo tra i due ragazzi e fu felice di vedere sua figlia così raggiante. La vide allo stesso tempo cambiata, cresciuta rispetto a quando, appena poche settimane prima, si erano incontrati. Il Conte Gerard spostò poi il suo sguardo verso Abel, che si era fermato a pochi passi da loro per non intromettersi in quell’abbraccio filiale. Il Conte Gerard pensò che Abel fosse un giovane uomo molto maturo e responsabile al quale affidava volentieri la vita di sua figlia perché aveva sempre protetto e custodito Georgie e perché sicuramente era la persona che meglio al mondo la conosceva. Perciò, quando Abel si fece avanti chiendogli di parlare, il Conte Gerard accettò con piena consapevolezza.
Una volta da soli, il Conte Gerard parlò per primo: “Tu e Georgie avete la mia benedizione”. Abel lo guardò ammutolito, non pensava davvero che sarebbe stato tutto così facile e veloce. Il Conte Gerard continuò: “Per quanto possa farmi male come padre, Georgie non è cresciuta con me. Georgie è cresciuta in un ambiente totalmente diverso dal mio, è cresciuta nel tuo mondo e ora è una giovane donna forte e indipendente che ha scelto te come compagno di vita. So che ti ama profondamente, lo vedo. Ed io stesso ti stimo e ti voglio bene come se tu fossi mio figlio, per cui avete la mia benedizione”. Abel, commosso, ringraziò il Conte Gerard, che aggiunse: “E sono anche molto felice che sia riuscita a convincerti a desistere del tuo folle piano”.
Abel abbassò lo sguardo e sospirò, poi confessò al padre di Georgie i suoi timori: “Conte Gerard, fino a ieri la morte non mi spaventava. Non mi fraintenda, sono pronto oggi come lo ero ieri a dare la vita per salvare mio fratello e per proteggere sua figlia, ma desidero da sempre e con tutto me stesso vivere a fianco di Georgie e renderla felice. E vorrei tanto che proteggere e sposare sua figlia non fossero degli obiettivi tanto confliggenti”.
Il Conte Gerard non sapeva cosa rispondere ad Abel perché era cosciente che il ragazzo avesse del tutto ragione. “Conte Gerard – continuò Abel – mi promette che qualsiasi cosa accada lei porterà Georgie e Arthur in salvo in Australia?” “Sì figliolo – disse il Conte guardando seriamente il futuro genero negli occhi – ti prometto che riporterò Arthur e Georgie a casa loro, in Australia”. Parzialmente sollevato, Abel ringraziò di nuovo il Conte, anche se il suo sguardo continuava ad essere preoccupato. Più tardi, tutti assieme si misero a organizzare nuovamente la spedizione per il salvataggio di Arthur. 

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


Cari lettori,
vi ringrazio davvero tanto per la dedizione con cui seguite la mia storia. Proprio non immaginavo che - dopo tutto questo tempo - un capitolo così poco ‘catchy’ come quello precedente ricevesse un tale numero di visualizzazioni. Grazie infinite quindi a tutti voi per il vostro continuo apprezzamento e per il vostro affetto!
Veniamo ora al nuovo capitolo: siamo finalmente giunti al salvataggio del povero Arthur, un momento duro e difficile in cui tutti i nostri protagonisti rischiano in prima persona per trarre in salvo il malcapitato dalle grinfie della famiglia Dangering. Come vedrete leggendolo, mi sono ispirata sia all’anime sia al manga. Vi avverto già da ora che non sarà un capitolo ‘leggero’.
Buona lettura e, se vi va, fatemi sapere che cosa ne pensate : )
Un grande abbraccio,
Rebecca
 
Era una notte fredda e umida e una fitta coltre di nebbia avvolgeva tutto il paesaggio. Dick aveva lasciato il carro fuori dalle mura del castello del Duca Dangering e ora si trovava assieme ad Abel, Georgie e al Conte Gerard nei pressi del vecchio pozzo che – seguendo le indicazioni di Maria – doveva costituire il passaggio segreto che dal parco conduceva direttamente alla prigione.
Sei sicura che Maria verrà a mezzanotte?” – chiese Abel a Georgie. La ragazza annuì. “Speriamo di poterci fidare di lei” – pensò ad alta voce un dubbioso Abel, che non nutriva molta fiducia nei membri della famiglia Dangering e che, tuttavia, era ora costretto a fidarsi. “E’ mezzanotte” – disse il Conte Gerard guardando il suo orologio da taschino. Un silenzio di ghiaccio calò su tutti loro: era arrivato finalmente il momento di agire.
Abel si mosse per primo lanciando la scala dentro al pozzo poi, rivolgendosi al Conte, disse: “Mi passi la lampada, faccio strada io”. Georgie, in preda alla tensione, si avvicinò ad Abel che stava per saltare nel pozzo e lo fermò appoggiandogli una mano sul braccio: “Abel, fai attenzione” – gli disse con la voce colma di emozione. “Non ti preoccupare” – le rispose Abel sorridendole dolcemente, poi cominciò a scendere nel pozzo, seguito dal Conte Gerard. Georgie, in ansia per Abel e per suo padre, si strinse a Dick.
Il pozzo e la caverna che conducevano alla prigione erano buie e molto umide. Il Conte Gerard e Abel procedettero molto lentamente per non scivolare fino a quando non si trovarono di fronte ad un vicolo cieco. “Conte Gerard, c’è una scala” – disse Abel. “Allora la cella deve essere sopra quella pietra”- rispose il Conte.
Abel spostò la pesante pietra che ostacolava il loro cammino e si affacciò per primo in quell’orrida e fredda segreta. Il cuore gli si strinse nello scorgere suo fratello disteso su un duro giaciglio, vestito di abiti leggeri e malmessi. Corse subito da lui. “Com’è debole” – pensò mentre lo tirava a sé. “Il polso è debole” – disse il Conte Gerard – “e il suo corpo è devastato: temo che non abbia mangiato per giorni… hanno solo continuato a drogarlo. E’ davvero un miracolo che respiri ancora”. “Maledetti!” – pensò Abel mentre un nodo di rabbia mista a pena gli stringeva la gola alla vista di suo fratello così magro, emaciato e febbricitante.
Un rumore improvviso distolse la loro attenzione: si trattava del guardiano che, pesantemente addormentato a causa del sonnifero somministratogli da Maria, era caduto a terra. Tuttavia, quel rumore fu come una sveglia per i due. “Presto, andiamo via” – disse il Conte Gerard. “D’accordo”- disse Abel, issando il fratello sulle proprie spalle. “Arthur, ti prego, resta vivo…” – pensò mentre percorreva a ritroso quella buia e umida galleria.
Nello stesso momento, Georgie – che attendeva con impazienza il ritorno dei due – sentì un friuscìo alle sue spalle. Spaventata, si girò di soprassalto solo per scoprire una titubante Maria. La ragazza aveva con sé una valigia. “Maria?” – chiese Georgie stupita. “Portatemi con voi, vi prego”- chiese accorata la giovane Duchessa. Maria era intenzionata ad abbandonare la sua famiglia per amore di Cain e forse anche perché non era più in grado – essendo un’anima così sensibile - di vivere con una famiglia che l’aveva ingannata da sempre, una famiglia che avrebbe sicuramente ucciso Cain e che chissà cos’altro le stava nascondendo. “Vi prego…” – ripetè la ragazza sempre più accorata.
Georgie capì la disperazione della ragazza perché l’aveva vissuta sulla propria pelle e non se la sentì di respingerla, fece anzi un passo decisivo per metterla a suo agio: si levò il cappello e le parlò, rivelandole la sua identità e raccontandole molto brevemente la sua storia. La giovane ascoltò con attenzione il racconto di Georgie e, mentre scopriva con orrore tutto il dolore che suo padre aveva causato a Cain e alla famiglia Gerard, si convinse sempre di più che la difficile (e fino a pochi giorni prima per lei impensabile) scelta di abbandonare la sua casa natìa fosse l’unica soluzione possibile.
Un rumore interruppe quella conversazione: il Conte Gerard era uscito dal pozzo e stava aiutando Abel a far uscire Arthur. “Cain…” – disse Maria piangente alla vista dello stato pietoso in cui si trovava il suo amato. “Che ci fa lei qui?” – domandò severo Abel puntando il suo sguardo su Maria, non appena ebbe messo entrambi i piedi a terra. La ragazza, intimidita dal tono usato dal ragazzo, si strinse a Georgie. “Quello deve essere il fratello di Cain… – pensò la giovane Duchessa Dangering - … gli somiglia tanto, ma i suoi occhi sono così diversi da quelli del mio dolce Cain”.
Georgie, che sapeva bene cosa volesse dire sentirsi crollare il mondo addosso e che sapeva anche bene quanto duro e assertivo potesse essere Abel quando ci si metteva, gli tenne testa: “Maria vuole venire con noi, Abel. Ama Arthur e vuole stare con lui, non possiamo lasciarla qui. Sai che cosa succederà quando scopriranno che lo ha aiutato a fuggire? E poi lei ora sa che cosa hanno fatto suo padre e suo fratello”.
Abel guardò Georgie in silenzio poi, sospirando, portò lo sguardo verso il Conte Gerard per capire quale fosse la sua opinione in merito. Il Conte fece un cenno di assenso. “Va bene, andiamo” – disse Abel, pensando che gli uomini di Dangering sarebbero stati alle loro calcagna con ancora più ferocia una volta scoperto che la preziosa figlia del Duca era fuggita. Scuotendo la testa, Abel continuò a pregare in silenzio che tutti riuscissero a raggiungere il porto per imbarcarsi per l’Australia. Come in una lenta processione, si avviarono tutti verso il carro.
Nel frattempo, il giovane Duca Irwin, mentre si aggirava nella sua stanza per scacciare i foschi pensieri che affollavano la sua insonne notte, si avvicinò alla finestra: “Che cosa starai facendo ora Cain, lì in quella prigione?” - pensò, quando la sua attenzione fu catturata da una flebile luce in lontananza. “Che cosa è quella luce? C’è forse qualcuno al vecchio pozzo?” - si chiese decisamente allarmato.
Una volta raggiunto il carro, Dick lo lanciò a folle velocità per cercare di raggiungere al più presto casa del sig. Allen, dove avrebbero atteso l’ora per imbarcarsi per l’Australia. Il Conte Gerard sedeva accanto a lui, mentre dietro c’erano Abel e Georgie, che teneva Arthur stretto a sè, pregando con tutta se stessa che non morisse.
Maria stava seduta in disparte con gli occhi bassi: si sentiva in colpa per tutto il male che la sua famiglia aveva fatto a Cain e anche a tutte queste altre persone. Un’interminabile serie di domande occupava la sua testa: “Come aveva fatto a non rendersi conto di quanto era successo in questi lunghi mesi sotto i suoi occhi? Che cosa avrebbe pensato Cain di lei? Aveva fatto bene a lasciare la sua casa, la sua famiglia per questo suo amore? Cain l’avrebbe mai ricambiata, oppure l’avrebbe per sempre associata ai ricordi più brutti della sua vita?”. La notte e il silenzio degli altri sul carro accompagnavano la sua girandola di pensieri.
Non visto, Abel osservò per un po’ Maria, chiedendosi se il fatto di avere accanto a sé la giovane Dangering non avrebbe potuto essere una cosa positiva per suo fratello: in fin dei conti questa fanciulla amava Arthur a tal punto da lasciarsi alle spalle la sua famiglia e la sua intera vita per lui. E la sua presenza doveva aver sicuramente rappresentato per suo fratello l’unico barlume di luce nei suoi lunghi mesi di prigionia. “Dick, rallenta un po’ per diminuire gli scossoni” – disse ad un tratto il Conte Gerard, preoccupato che questi potessero nuocere al giovane Buttman che già versava in condizioni disperate. “D’accordo” – rispose Dick. Il silenzio tornò a regnare tra loro, interrotto solo dai rumori delle ruote sulla strada.
Quando ormai già stavano costeggiando il Tamigi ed erano quindi in prossimità della casa del sig. Allen, il carro arrestò bruscamente la sua corsa. “Scusate, sono andato a finire nel canale di scolo” – disse Dick allarmato. Il Conte Gerard e Abel scesero dal carro per aiutare Dick. Lo scossone però aveva risvegliato Arthur. Georgie se ne accorse e si rivolse sorridente al fratello, chiamandolo per nome: “Arthur”. Ma Arthur la guardava come se non la riconoscesse, il suo era uno sguardo allucinato e spaventato. Georgie continuò: “Arthur, sono io… Georgie, ora sei salvo stai tranquillo”. Arthur iniziò a urlare, come impazzito e cadde dal carro. Gli altri gli si fecero incontro. “State lontani da me, non mi toccate” – urlò il ragazzo. Ciò che Arthur vedeva erano dei mostri, degli enormi, abnormi mostri che cercavano di afferrarlo. La testa gli scoppiava dal dolore. “Arthur” – provò a chiamarlo suo fratello. “Non vi avvicinare” – urlò ancora più forte Arthur – “non mi toccate”. “Sta avendo un’allucinazione” – disse il Conte Gerard. “Che facciamo, lo teniamo fermo?”- chiese Dick, ma non fecero in tempo a fare niente che Arthur scavalcò il parapetto: meglio morire che lasciarsi divorare da quei mostri che lo attorniavano!
“Nooooo!”- gridò Abel e si gettò immediatamente nel fiume dietro al fratello.
L’acqua del Tamigi era gelida e Abel si sentì come bucare la pelle da centinaia di spilli ma, senza pensarci su, cominciò subito a nuotare. Era un nuotatore esperto per cui impiegò poche bracciate per raggiungere Arthur e, quando lo afferrò, si accorse che era in stato d’incoscienza. Con molta fatica, poiché la forte corrente del fiume li spingeva verso il porto, Abel riuscì ad arrivare alla banchina, dove trovò Georgie e suo padre ad aspettarli. Il Conte Gerard e Abel portarono Arthur fino al carro, una volta lì Maria e Georgie avvolsero Arthur con l’unica coperta presente.
Arthur continuava a tremare, così Abel disse a Georgie di mettergli addosso anche il suo mantello. “Ma Abel”- disse Georgie – “sei completamente bagnato e fa molto freddo”. “Non preoccuparti per me” – disse lui un po’ bruscamente. Tirava un vento gelido quella notte e anche Abel era scosso da brividi di freddo, ma pensò che Arthur avesse molto più bisogno di cure di lui in quel momento. Aspettando che Dick e il Conte Gerard finissero di sistemare la ruota, Abel si appoggiò con la schiena al retro del carro per riprendere fiato, le braccia conserte per non disperdere il poco calore che aveva in corpo. Georgie gli si fece subito vicino nel tentativo di dargi un po’ di conforto. “Ce l’abbiamo fatta!” – disse euforico Dick, dopo aver rimesso la ruota in carreggiata.
In quel preciso momento risuonò nella notte il rumore di zoccoli al galoppo: Irwin Dangering stava correndo verso di loro a grande velocità. Il terrore si affacciò agli occhi di Georgie che si strinse ad Abel, ma non potè fare nient’altro perché, in pochi secondi, Irwin li raggiunse. Una volta nei pressi del carro, il giovane Dangering, con un agile e rapido movimento, scese dal cavallo, poi puntò la pistola dritta in faccia ad Abel, gridando: “Non crederai mica di sfuggirmi così facilmente, Cain!”.
Abel sostenne impassibile il suo sguardo e Irwin si rese presto conto che il ragazzo davanti a lui non era Cain, anche se gli somigliava parecchio. Si fermò quindi per un attimo a osservare la scena e vide che più in là c’erano il Conte Gerard assieme ad un altro uomo, sua sorella Maria sul carro accanto a Cain e, di fianco a questo misterioso ragazzo, Georgie - la figlia del Conte Gerard.
Un lampo balenò nella sua mente: lui doveva essere il fratello di Georgie e, quindi, anche lo stesso Cain (che aveva un leggero accento australiano) probabilmente lo era. “Abel” – disse preoccupata Georgie rendendo così certezza le elucubrazioni di Irwin. Dunque, era lui il ragazzo di cui le aveva parlato sua cugina Elise, quello che l’aveva mandata più volte su tutte le furie per il suo comportamento altero e sprezzante delle regole. Adesso avrebbe pensato lui a metterlo in riga! Senza contare che questo Abel gli aveva portato via il suo adorato Cain, anche se – si disse Irwin fra sé e sé quasi compiaciuto – sarebbe stato meglio avere entrambi a disposizione: come suo fratello, infatti, anche il giovane davanti a lui era molto bello. Inoltre, aveva uno sguardo blu davvero magnetico.
“Abel” – ripeté Georgie, con la stessa aria angosciata, interrompendo i pensieri di Irwin che si girò a guardarla con sufficienza, poi le parlò con tono sarcastico: “Sei preoccupata per il tuo bel fratello, contessina?”. “Lasciala stare” – disse Abel con voce greve. “Perché dovrei?- rispose Irwin, spostando la mira della pistola da Abel a Georgie – adesso posso in un solo colpo vendicarmi di chi ha fatto soffrire mia cugina Elise portandole via il suo adorato Lowell e liberare mio padre da un fardello”.
Irwin sorrise malignamente poi si rivolse a sua sorella Maria, dicendole duramente: “Con te faremo i conti dopo” - dopodiche, come a sancire una promessa, Irwin, che non aveva alcuna voglia di perdere tempo con i componenti della famiglia Gerard, ma voleva solo riavere con sé Cain e Maria, caricò la pistola e premette il dito sul grilletto: uno sparo echeggiò nella notte.
Georgie credette di essere in procinto di morire quando si trovò a terra con addosso il corpo di Abel, che si era gettato su di lei per proteggerla. La pallottola li aveva schivati entrambi, ferendo solo di striscio Abel ad un braccio. Il ragazzo si alzò allora di scatto e, prima che Irwin potesse fare un’altra mossa, lo affrontò in un feroce corpo a corpo che li condusse lontano dal carro. Abel in quel momento si augurò che Irwing fosse venuto da solo, in tal modo – pensò - avrebbe forse potuto fermarlo e salvare così Georgie e gli altri.
Anche Georgie si alzò subito in piedi e sarebbe istintivamente corsa dietro ad Abel e Irwin se suo padre non l’avesse fermata. “Dobbiamo andare subito via da qui Georgie”- disse il Conte Gerard a sua figlia. “No, non voglio” – protestò la ragazza guardando in direzione di dove si erano allontanati i due. “E’ troppo pericoloso restare qua. Sono certo che anche Abel preferirebbe così”. “No, non voglio andarmene. Non voglio lasciare Abel!” – si ostinò Georgie piangendo. Molto faticosamente suo padre riuscì a convincerla a salire sul carro. “Georgie, non siamo tanto distanti da casa del sig. Allen, Abel può raggiungerci a piedi facilmente” - disse Dick, cercando di consolare la ragazza. Poi fece partire il carro. Georgie, con la paura che le attanagliava il cuore, osservò con sguardo allucinato la strada iniziare a scorrere sotto i suoi occhi. Anche il Conte era molto preoccupato per Abel, ma non poteva rischiare la vita di tutti. Tra l’altro era quello che aveva promesso al suo futuro genero: mettere in salvo Arthur e Georgie. Sarebbe tornato lui a cercarlo una volta lasciati gli altri a casa dell’ingegner Allen.
Nel frattempo, Abel e Irwin continuavano a lottare accanitamente. La lotta durò per diversi minuti fino a quando Abel non riuscì a sfilare la pistola dalle mani dell’uomo e a gettarla nel fiume. Il ragazzo abbassò per un attimo la guardia per rivolgere il suo sguardo verso il Tamigi perché voleva sincerarsi che la pistola fosse effettivamente caduta nel fiume e che, quindi, tutti gli altri fossero davvero fuori pericolo. Non fece però in tempo a tirare un sospiro di sollievo che sentì una fitta lacerante all’addome: Irwin aveva sfoderato il suo pugnale d’argento e, con esso, lo aveva trafitto.
Abel rimase per alcuni secondi come sospeso, con il respiro rotto dal dolore lancinante. La sua momentanea immobilità favorì Irwin, che strinse il ragazzo a sé con l’intento di affondare tutta la lunga e spessa lama nella sua carne. “Questo è per aver osato portarmi via il mio adorato Cain…” – sibilò il giovane Dangering una volta che il pugnale ebbe terminato la sua inesorabile corsa. Annebbiato dal dolore, Abel appoggiò la testa sulla spalla del suo assalitore quasi abbandonandosi a quell’abbraccio che voleva essere mortale. Irwin sogghignò impietoso poi, senza dare ad Abel respiro alcuno, rigirò con forza l’arma nella sua ferita: “… e questo è per avermi impedito di uccidere la Contessina Gerard”. Quando il pugnale lacerò nel profondo il suo corpo, Abel emise un urlo straziante, che fu però presto smorzato dall’intenso sapore metallico che gli invase la bocca. Irwin sorrise compiaciuto nel sentire Abel gridare e, subito dopo, tossire come soffocato dal suo stesso sangue.
Sempre tenendo il ragazzo stretto a sé, Irwin estrasse violentemente il pugnale dal suo addome poi, sentendo il sangue iniziare a sgorgare generoso, con voce suadente gli disse: “Bene, ora che ho sistemato te, posso tornare a occuparmi dei tuoi fratelli”. Il giovane Duca stava per sciogliere il ragazzo dall’abbraccio quando il suo sguardo si fermò sulle belle labbra insanguinate di un ansimante Abel. Irwin ebbe un attimo di esitazione.
La minaccia nei confronti di Arthur e Georgie diede ad Abel la forza di riscuotersi e di sollevare la testa giusto in tempo per accorgersi che Irwin stava avvicinandosi a lui con fare ambiguo e mellifluo, come se volesse baciarlo. Pur stremato, Abel approfittò lucidamente di quel momento di distrazione del suo aggressore per provare a liberarsi e, concentrando tutte le energie che gli erano rimaste in quell’unico gesto, allontanò Irwin da sé. La spinta di Abel fu molto intensa e Irwin, colto di sorpresa, indietreggiò e – trovandosi al limitare del marciapiede – cadde all’indietro, battendo violentemente la testa e perdendo conoscenza.
Finalmente libero, Abel si portò le mani al ventre e, barcollando, si avvicinò al muretto che costeggiava il fiume per accompagnare i suoi passi nel tentativo di raggiungere gli altri. Rivolse allora il suo sguardo verso il luogo dove avrebbe dovuto trovarsi il carro, ma non vide nessuno. Chiuse gli occhi sospirando, ma allo stesso tempo ringraziò il padre di Georgie per aver mantenuto la sua promessa e sperò che gli altri si trovassero ormai al sicuro, lontano da lì. Poi, anche se era rimasto da solo, Abel provò comunque ad allontanarsi da quel luogo: facendosi forza, si incamminò molto lentamente in direzione della casa del sig. Allen. Dopo diversi faticosissimi passi però le gambe gli cedettero e cadde a terra in ginocchio. Esausto, si appoggiò al vicino muretto con le mani strette sull’addome nel tentativo di contenere la copiosa fuoriuscita di sangue. Il dolore intenso gli annebbiava la vista e il suo corpo era scosso da brividi di freddo. Con il fiato spezzato, Abel mormorò: “Arthur, ti affido Georgie, guarisci presto e vivi assieme a lei in Australia sotto i raggi del sole. Tornate a far vivere i nostri giorni felici”. Poi il ragazzo, sfinito, chinò il capo mentre una lacrima solitaria - nascosta tra le gelide gocce d’acqua che cadevano dai suoi capelli - prese a solcargli la guancia sporca di sangue.

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


Cari lettori,
mi scuso enormemente per la mia lunghissima (e non volontaria) assenza, che vi ha lasciato sospesi in un momento così delicato della storia. E mi scuso anche con i miei personaggi per averli abbandonati in una situazione così disperata : (
 
Ben lieta di ritrovarvi, auguro a tutti voi una buona lettura.
Rebecca
 
Abel sentiva le sue palpebre farsi sempre più pesanti e, con il fluire via del sangue, il gelo attanagliargli le membra. Il suo corpo tremava sensibilmente e il dolore acuto gli rendeva il respirare molto faticoso. Tutto a un tratto, un rumore di passi che si avvicinavano svelti e una voce che lo chiamava si fecero breccia nel ronzio sempre più forte che risuonava nella sua testa. “Georgie?” – sussurrò incredulo e preoccupato. La ragazza - in preda all’angoscia – era, infatti, scesa dal carro sul quale suo padre era riuscito faticosamente a farla salire e, sprezzante del pericolo, era corsa in direzione del suo amato. Da lontano, Georgie aveva visto Abel accasciato lungo il muretto, ma solo mentre si avvicinava si era accorta del sangue che si trovava in terra e di quello che ricopriva le mani del ragazzo. “O mio Dio, Abel è ferito” – aveva pensato atterrita.
“Georgie ... che ci fai qui? ... è pericoloso...” – disse Abel allarmato, una volta che la fanciulla gli fu vicina. Georgie non gli rispose, ma si inginocchiò accanto a lui: vide allora l’espressione stremata del suo volto e il rivolo vermiglio che usciva dalle sue labbra. Un moto di commozione la spinse ad abbracciarlo e fu in quel momento che, con orrore, si rese conto di quanto rapidamente i vestiti di Abel, ancora bagnati dalle fredde acque del Tamigi, si andassero impregnando dei fiotti caldi del suo sangue. "No, ti prego, no ..." - disse affranta la ragazza.
Abel trasse breve conforto dall’abbraccio della sua Georgie, perché la preoccupazione per lei ebbe subito la meglio. Con fatica, il ragazzo tornò a parlarle: “E' pericoloso stare qui ... vai via …”. Le sue parole erano intervallate da colpi di tosse, che nuova linfa aggiungevano al suddetto rivolo. “Abel non credere neanche per un attimo che io possa abbandonarti” – rispose risoluta lei. I loro sguardi si incrociarono, restando incatenati. Con sforzo, Abel sollevò una mano e le sfiorò il volto. “No … ascoltami amore mio … io non sono in grado di proteggerti ora …” – cercò poi di insistere il ragazzo con il poco fiato che aveva in corpo, mentre continuava a tremare e a tossire. Georgie strinse la mano insanguinata di Abel, poggiandola sul proprio viso poi, piangendo e scuotendo la testa, continuò: “Oh, Abel, io ti amo, come posso lasciarti qui ferito?”. Quando tornò a guardarlo in volto, vide che Abel si stava sforzando di restare cosciente. “Arthur?” – le chiese il giovane, cercando di tenere gli occhi aperti. “E’ al sicuro” – rispose la ragazza. Abel le sorrise dolcemente, poi prese a tremare con maggiore intensità e chinò il capo. Disperata, Georgie lo afferrò per le spalle e prese a implorarlo: “Abel, ti prego, resta con me…. non mi lasciare, amore mio”. Abel alzò di nuovo il volto e la guardò commosso poi, con voce rotta, le disse: “Torna in Australia, Georgie ... ricordati la tua promessa …". Georgie vide allora i suoi meravigliosi occhi blu chiudersi e lo sentì accasciarsi tra le sue braccia. Per la ragazza fu come se il mondo le fosse crollato sotto i piedi. Cominciò, quindi, a urlare nel vano tentativo di risvegliarlo: “Abel, apri gli occhi. Parlami, parlami ancora una volta…”.
Georgie era così affranta che non si era neanche accorta del rumore di ruote che si avvicinavano veloci. Dopo pochi minuti, infatti, erano giunti sul luogo anche il Conte Gerard e Dick i quali, una volta assicuratisi che Arthur fosse in buone mani, erano tornati indietro a cercare Georgie e Abel. E li avevano trovati quasi subito: accasciati a terra, lungo il Tamigi, con la ragazza china sul corpo di un inerte Abel. Vicino a loro, Irwin privo di sensi.
Al Conte Gerard sembrò di rivivere un incubo, ma sapeva che era il momento di agire. Per prima cosa, quindi, disse a Dick di cercare una corda poi si avvicinò alla figlia, che lo implorò piangendo: “Oh papà, salvalo ti prego!”. Fritz le sorrise per darle fiducia, poi guardò Abel che giaceva esanime in un lago di sangue e sospirò rassegnato, pur pregando con tutto se stesso che a sua figlia fosse risparmiato il dolore per la perdita della persona amata. In quel momento tornò Dick e, insieme, legarono Irwin al lampione più vicino.
Successivamente, il Conte Gerard e Dick caricarono Abel sul carro, dopo avergli stretto attorno alla vita un pezzo di mantello tagliato con il pugnale di Irwin nel tentativo di fermare l’emorragia. La fuoriuscita del sangue, sebbene molto attenuata dalla fasciatura, non sembrava però avere intenzione di cessare e Georgie, che teneva stretta la mano di Abel, la sentiva farsi sempre più fredda. "Presto, corriamo a casa del sig. Allen" - esortava concitata la ragazza.
Arrivarono velocemente a destinazione. Una volta lì Dick e il Conte Gerard trasportarono Abel all’interno, adagiandolo sul letto di una delle tante stanze degli ospiti. Il signor Allen vedendo le sue condizioni disse allarmato: “Che cosa è successo al mio ragazzo?”. Il Conte Gerard gli raccontò brevemente l’accaduto e lo implorò di chiamare il medico che era da poco arrivato e che stava visitando Arthur. Emma andò invece da Georgie che aveva uno sguardo spettrale e si offrì di prepararle un tè e di lavare via il sangue dalle sue mani, ma Georgie si rifiutò categoricamente. In quel mentre, il dottore - un amico del sig. Allen - entrò nella stanza di Abel. Senza proferire parola alcuna, Georgie restò seduta ad ‘attendere il verdetto’, fissando con sguardo assente le sue mani e il vestito, ancora sporchi del sangue di Abel.
Dopo molto tempo il dottore uscì dalla stanza seguito dal signor Allen e dal Conte Gerard: avevano tutti un’espressione molto seria. Georgie andò subito loro incontro. All’implicita domanda contenuta nello sguardo disperato della ragazza, il dottore rispose: “La ferita è molto profonda e ha perso tanto sangue, ma il ragazzo sembra avere una tempra forte e questo ci dà un po’ di speranza. Se nei prossimi giorni non si svilupperà un’infezione, ci sono delle probabilità che sopravviva. E’ necessario però che la febbre si abbassi, quindi, cercate di idratarlo il più possibile. Un’ultima cosa, la ferita gli provocherà sicuramente molto dolore per cui dategli della morfina all’occorrenza e, mi raccomando, è fondamentale che non si muova, altrimenti la sutura potrebbe riaprirsi e ciò sarebbe molto pericoloso. Tornerò domani a controllare ma, se ci fossero degli sviluppi, tenetemi aggiornato”.
“Grazie dottore”- disse Georgie commossa e si precipitò nella stanza dove si trovava Abel. In un angolo, ammucchiati, c’erano la sua camicia, le lenzuola dell’operazione e dei catini pieni di acqua insanguinata. Il ragazzo era sdraiato sul letto con l’addome e la spalla sinistra coperti da ampie fasciature. Sul suo bel volto, ora pallido, erano sparsi dei capelli.
A Georgie si strinse il cuore: il suo Abel si trovava in quel letto a lottare tra la vita e la morte perché si era sacrificato per salvare tutti loro, per salvare lei... Si avvicinò a lui lentamente, gli spostò i capelli dal volto e gli sfiorò una mano: era bollente. Prese allora un fazzoletto, lo intinse in una ciotola di acqua pulita e glielo passò sulle labbra per dargli sollievo. Il respiro affannato del ragazzo sembrò calmarsi un poco. Georgie si sedette accanto a lui e lo vegliò a lungo.

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


Cari lettori,
che dire? Ormai sono imperdonabile, ma vi assicuro che mi siete mancati immensamente in questi lunghi mesi.
 
A brevissimo il nuovo capitolo e anche l’epilogo di questa lunga e (da me) tanto amata storia : )
 
Buona estate e buona lettura a tutti voi,
Rebecca
 
 
You are the hole in my head
You are the space in my bed
You are the silence in between
What I thought and what I said
 
You are the night time fear
You are the morning when it’s clear
When it’s over you’re the start
You're my head, you're my heart
 
No light, no light in your bright blue eyes […]
 
(No Light, No Light – Florence and the Machine)
 
Georgie sentì una mano posarsi sulla sua spalla, doveva essersi appisolata perché non si era accorta che qualcuno era entrato nella stanza. Alzò gli occhi e vide suo padre che le sorrideva: “Vai a riposare, bambina mia – le disse dolcemente – prenderò io il tuo posto qui…”. Georgie annuì sollevata: sapeva che poteva contare su quel padre che da così poco tempo aveva ritrovato e con cui però sentiva già di formare una vera famiglia. “Grazie” – gli rispose sussurrando, poi si girò ad accarezzare con lo sguardo il suo amato Abel e lasciò la stanza in silenzio.
Più tardi, dopo essersi liberata dei suoi abiti e dopo aver lavato via tutto il sangue, Georgie si rigirava nel letto senza riuscire a prendere sonno nonostante l’immensa stanchezza. Con un groppo alla gola ripensava a tutto ciò che era successo nelle ultime concitate ore: ripensava al salvataggio in extremis di suo fratello Arthur, che avrebbe di sicuro perso la vita se fosse rimasto qualche giorno ancora nelle grinfie del Duca Dangering e di suo figlio Irwin; e ripensava ad Abel, colui che un tempo era stato suo fratello e le tornavano in mente i momenti condivisi con lui appena poche ore prima. Desiderò come non mai che il ragazzo fosse lì con lei e che la tenesse stretta fra le sue braccia: “Oh, Abel, ti prego, non mi lasciare … non potrei vivere senza di te, la mia vita non avrebbe più senso…”. La ragazza pianse a lungo con il volto schiacciato sul morbido cuscino di piume, in quel letto per lei troppo grande e troppo freddo, poi finalmente, con le prime luci dell’alba, riuscì a prendere sonno.
Il giorno dopo Georgie si levò molto tardi. Entrando in cucina per cercare da mangiare, vi trovò Emma davanti ad un giornale aperto. La giovane donna la accolse con un grande sorriso e si offrì di prepararle qualcosa. Georgie si rese conto che era assente il consueto personale di servizio di casa Allen, così accettò la proposta di Emma. Mettendosi a sedere, lo sguardo le cadde sulle scarne ma cubitali righe del giornale davanti a lei che raccontavano, con toni sensazionalistici, del ritrovamento lungo il Tamigi del giovane Duca Irwin Dangering in condizioni disperate. Non si parlava, invece, né della fuga di Cain né tantomeno di quella di Maria. A Georgie si chiuse lo stomaco, perché si rese conto del pericolo che incombeva su tutti loro, rinchiusi in quella casa, unico rifugio contro lo strapotere del perfido Duca.
Sorseggiando lentamente la tazza di latte che Emma le aveva porto, Georgie chiese dove fossero tutti. La donna le rispose che Maria si trovava ancora nella sua stanza, mentre suo padre e Dick erano usciti di prima mattina per incontrare il Conte Wilson. Joy stava vegliando Abel, mentre il sig. Allen si trovava di sopra con il dottore perché Arthur si era da poco risvegliato.
 “Arthur si è risvegliato?”, ripetè Georgie, che voleva correre immediatamente da lui, ma Emma la fermò, dicendole con tatto: “Georgie, capisco la tua voglia di vedere tuo fratello, ma devi parlare prima con il dottore, perché Arthur è molto debole”. Georgie annuì. Finì quindi di mangiare, poi si recò al piano superiore.
Mentre attraversava il lungo corridoio che portava alla camera di Arthur, Georgie sperava con tutta se stessa di poter finalmente riabbracciare il suo adorato fratello. Per cui, quando incrociò il dottore che usciva dalla stanza e questi le fece segno di entrare a visitare il paziente, il cuore le traboccò di felicità.
Emozionata, Georgie aprì delicatamente la porta e si addentrò nella camera dove pesanti tende lasciavano appena intravedere la luce del giorno. Suo fratello si trovava seduto sul letto con il capo basso ma, quando avvertì il rumore dei passi, alzò il volto e questo gli si illuminò alla vista della ragazza: “Georgie…”- sussurrò Arthur.
La ragazza avanzava lentamente, commossa e scioccata al tempo stesso. Il rendersi conto di quanto la prigionia e le sostanze che gli avevano iniettato, avessero mutato l’aspetto del suo caro fratello, le faceva male al cuore. Arthur, infatti, era molto magro, pallido, e con evidenti occhiaie. Certo, lo avevano salvato da morte sicura, ma nei lunghi mesi in cui era stato prigioniero, Arthur aveva visto l’inferno e ora quell’inferno si leggeva nei suoi occhi spenti. La vista di Georgie riuscì però a disegnare sul volto del ragazzo, un familiare dolce sorriso.
Georgie si sedette accanto a lui e gli prese una mano. Arthur la ammirava senza parlare, non riusciva a credere che fosse lì seduta davanti a lui, che fosse vera e non una proiezione della sua mente malata. Era sempre più bella e il ragazzo non riusciva a trovare dentro di sé le parole per comunicarle tutto ciò che sentiva: amore, affetto, vergogna di sé. Con la mano libera, le accarezzò il volto: “Georgie, sei davvero tu?”. “Sì, Arthur” – le rispose lei – “sono qui con te e non devi temere più niente, sei in salvo ormai”. Arthur tornò a sorriderle, questa volta più debolmente perché la testa aveva ripreso a dolergli. Georgie lo abbracciò. “Sì, ora che sei qui con me, Georgie, riuscirò forse a guarire. Con il tuo aiuto, riuscirò forse a tornare la persona che ero” – pensò Arthur, mentre stringeva a sé la ragazza. Confortato dal tanto desiderato abbraccio di Georgie, Arthur non chiese notizie di Abel.
Passarono diversi giorni e Abel non accennava a riprendere conoscenza, anche se la febbre si era abbassata notevolmente. Il dottore andava a visitarlo quotidianamente, ma non si pronunciava in merito al decorso della sua malattia. Dal canto suo, Georgie dormiva poco e trascorreva lunghi periodi al capezzale del ragazzo, portando spesso con sé anche i vestiti da cucire per lasciarlo il meno possibile da solo. Suo padre, Emma e Joy erano molto preoccupati per lei, anche perché la ragazza – che cercava nonostante tutto di essere sempre sorridente – era di fatto angosciata e sembrava essere sempre più stanca.
Una mattina, durante una delle quotidiane visite del dottore, Georgie ed Emma si trovavano nel laboratorio di sartoria intente a finire una delle ennesime ordinazioni che stavano piovendo loro addosso, grazie al successo che gli abiti ideati da Georgie stavano riscuotendo tra le giovani donne della nobiltà. Il loro lavoro era molto importante perché permetteva ad Emma di entrare e uscire dai palazzi nobiliari ed acquisire così informazioni sui loschi traffici di Dangering e sulla rete. Georgie si dedicava anima e corpo alle sue creazioni, perché era il suo modo di aiutare suo padre ed il conte Wilson nella ricerca di prove per incriminare il malefico Duca Dangering.
Emma approfittò di un momento di tranquillità per dire a Georgie: “Georgie ti stai affaticando troppo. Hai una brutta cera”. Georgie rispose dicendole che erano alcuni giorni che aveva la nausea e che non riusciva a mangiare niente. Emma, ridendo, le disse: “Parli proprio come una che aspetta un bambino, sai?” “Un bambino?” – pensò Georgie – “Non può essere…”. Poi, di colpo, le tornarono in mente le parole di Abel quella notte: “Georgie, tesoro, se continuo potresti rimanere incinta”. La ragazza arrossì, poi sorridendo dolcemente tra sé e sé pensò: “Però… se così fosse, Abel … un bambino nostro…”. L’amica, osservando lo sguardo sognante di Georgie capì di non essere andata tanto lontana dal vero…
Qualche giorno più tardi, Emma e Joy stavano parlando tra loro, mentre erano intente a cucire. “Georgie dovrebbe cercare di riposare un po’” – disse Joy di punto in bianco – “Passa quasi tutto il suo tempo al capezzale di Abel”.  “Io la capisco Joy” – le rispose con saggezza Emma – “Anche io farei come lei al suo posto”. Joy la fissò con sguardo interrogativo. “Sì, Joy, se perdessi mio marito, il resto del mondo non avrebbe più importanza per me. Georgie è appena riuscita a confessare ad Abel il suo amore e ora rischia di perderlo per sempre, poverina… Senza contare il suo stato!”.
“Il suo stato?” – chiese Joy.
“Ma certo Joy, non hai visto come è stanca e tutte le sue nausee mattutine… Secondo me è incinta”.
“Incinta?” – quasi strillò Joy. “Shhh” – le disse Emma – “Non è necessario che lo sappiano tutti in questa casa”. Joy annuì: “Scusa, hai ragione”, poi aggiunse: “Povero il mio fratellone, chissà come sarebbe felice di sapere che Georgie aspetta un bambino da lui!”.
Con un sospiro congiunto e complice, le due ripresero a lavorare alacremente, non conscie della bomba che avevano appena innescato. Dietro la porta dello studio, infatti, si trovava casualmente Arthur che era uscito dalla sua camera e, lentamente, si stava recando a cercare Georgie.
Abel e Georgie assieme? Georgie incinta di Abel? - ad Arthur sembrò che il mondo gli crollasse sotto i piedi. Come aveva osato suo fratello tradirlo in questo modo? Come aveva osato approfittare della sua prigionia per prendersi Georgie? E lei, come aveva potuto scegliere Abel? E arrivare addirittura a fare l’amore con lui? E poi, che fine aveva fatto Lowell? E perché lei non glielo aveva detto?
Arthur sentiva una rabbia immensa montare dentro di lui: era stato tradito dalle persone che amava di più e odiava se stesso per essere finito prigioniero del Duca, per non essere riuscito a fuggire. Più di ogni altra cosa però odiava suo fratello, che si era approfittato della sua assenza per concupire Georgie, come da sempre avrebbe voluto fare…
Il ragazzo tornò con fatica nella sua stanza e lì dette sfogo a tutta la sua frustrazione piangendo. Si sentiva debole e impotente. Le tempie gli martellavano furiosamente e i lenti miglioramenti degli ultimi giorni sembravano essersi vanificati. Gli mancava quasi il respiro dalla rabbia… Dove si trovava Abel ora? Doveva parlargli, doveva assolutamente dirgli tutto quello che pensava di lui: che era un egoista, che aveva fatto morire sua madre e che lo aveva lasciato da solo a seppellirla.
E Georgie, perché non andava mai a trovarlo? Non aveva tempo per lui, lui era sempre stato il secondo. Georgie aveva tempo e occhi solo per Abel, era sempre stato così… La testa prese a girargli e i mostri che ormai conosceva bene, tornarono a fargli visita. Fortunatamente, di lì a poco anche il dottore tornò a fargli visita e, trovandolo così sconvolto, decise di somministrargli una dose di sedativo per calmarlo.
Il dottore non riusciva a capire come mai il ragazzo fosse improvvisamente peggiorato, dopo che negli ultimi giorni, pur con le dovute difficoltà, stava lentamente migliorando. Preoccupato, ne parlò con il Conte Gerard, poi si recò dall’altro suo paziente che, per fortuna, dopo tanto tempo stava finalmente dando segni di miglioramento. 

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


Come promesso, il nuovo capitolo…
 
 “Crudele è il conflitto tra fratelli”
Aristotele
 
Quando il dottore bussò alla porta della stanza del Conte Gerard, Fritz stava ancora ripensando a ciò che sua figlia gli aveva confessato alcuni giorni addietro: Georgie aspettava un bambino e presto sarebbe diventato nonno. La notizia era stata per lui un fulmine a ciel sereno, nonostante ciò il Conte aveva cercato di essere il più solido possibile per aiutare sua figlia a superare quel delicato momento: non era tanto, infatti, la gravidanza a preoccupare Georgie, anzi di quella la ragazza sembrava più che felice, quanto che Abel non avesse ancora ripreso conoscenza. E da quel giorno il Conte pregava dentro se stesso con ancora più ardore che Abel si risvegliasse, non soltanto per vivere la sua vita accanto a Georgie, quanto per avere la fortuna – che lui non aveva avuto – di veder crescere il loro bambino.
Il bussare alla porta riscosse Fritz dai suoi pensieri. Altri pensieri però gli vennero dal colloquio con il dottore. Mentre da un lato, infatti, migliori sembravano essere finalmente le notizie riguardanti Abel, negative erano quelle legate a suo fratello Arthur. Il dottore non riusciva a capacitarsi dell’inspiegabile e così repentino peggioramento del ragazzo. Ipotizzò che qualche evento fosse occorso di cui loro non erano al corrente. Il Conte Gerard disse che gli avrebbe fatto visita per parlare con lui non appena fosse cessato l’effetto del sedativo somministratogli. Rasserenato, il dottore si accomiatò.
Come promesso, di lì a poche ore il Conte si recò nella stanza di Arthur.
“Dov’è mio fratello?” – fu la prima domanda che il ragazzo gli rivolse quando si trovarono faccia a faccia. Il Conte vide che il ragazzo era più stravolto del solito e una strana espressione aleggiava sul suo volto. La sua voce era molto fredda.
Immaginando che il suo peggioramento fosse stato determinato dall’apprendere fortuitamente notizie sullo stato del fratello, Fritz non volle farlo preoccupare ulteriormente, per cui gli raccontò che il fratello era stato ferito durante il suo salvataggio, senza riferire dell’effettiva gravità della situazione.
“Un eroe” – pensò Arthur – “Ora è anche un eroe…”. L’espressione di Arthur sembrò al Conte impenetrabile, molto diversa da quella mite, ma forte a cui il ragazzo lo aveva abituato. Dopodichè Arthur chiese dove, di preciso, si trovasse Abel in quel momento. Chiese anche dove fosse Georgie. Quest’ultima domanda suonò molto strana all’orecchio del padre della ragazza.
Con pazienza, il Conte si trattenne per diverso tempo nella stanza nel tentativo di far parlare con Arthur, ma i risultati furono purtroppo molto scarsi. Si congedò allora da lui, non senza avergli prima somministrato altri sedativi, come da ordine del medico.
Quella notte lentamente Abel aprì gli occhi. Non capiva dove si trovava. Sentiva la testa vuota e il corpo dolorante. Provò ad alzarsi, ma un fortissimo dolore all’addome lo fermò. Si distese nuovamente sul letto e a poco a poco ricordò il salvataggio di Arthur nel fiume e la lotta con Irwin. Si domandò per prima cosa se Georgie stesse bene e si guardò attorno per cercarla. Distinse allora una figura accanto al letto e vide nella tenue luce della stanza due occhi azzurri che lo fissavano gelidi. “Arthur?” – disse Abel – “Arthur sei tu?” Arthur restò immobile e non rispose. Abel provò di nuovo a tirarsi su e, con grande difficoltà, ce la fece. Il volto gli si illuminò: “Oh Arthur, fratello mio, sei salvo!” – disse con gioia.
La risposta di Arthur fu molto dura: “Vuoi forse che ti ringrazi per questo?”. Abel non capì bene che cosa Arthur intendesse dire, ma rispose ugualmente: “No, certo che no, sei mio fratello non voglio che tu mi ringrazi”. “Bene, perché non lo farò” – disse Arthur con un insolito tono aspro – “Non ti ringrazierò certo per aver distrutto la nostra famiglia e la mia vita. E neanche per esserti preso Georgie. Sei contento ora, Abel?”.
Abel trasalì, che cosa stava dicendo Arthur? Perché era così arrabbiato con lui? Provò a parlare di nuovo con il fratello: “Arthur, fratello mio…”, ma non riuscì a finire la frase perché Arthur lo gelò dicendogli: “Non chiamarmi più Arthur: io per te Abel ormai sono solo Cain!”. E, dopo aver proferito queste agghiaccianti parole, si incamminò verso la porta.
Per Abel fu come essere pugnalato una seconda volta e stavolta dal suo adorato fratello per cui era stato pronto a sacrificare la vita. “Che stai dicendo Arthur?” – gli chiese allibito Abel mentre, facendosi forza, scese dal letto per seguirlo. Il dolore acuto all’addome e la debolezza lo costrinsero però ad appoggiarsi al muro per non cadere. “Arthur, aspetta…” – continuò Abel nel tentativo di fermare il fratello.
Nel frattempo Georgie, che era distesa nel suo letto in una stanza vicina a quella di Abel, non riusciva a prendere sonno. Si sentiva in colpa per non essere con lui, solo che aveva un tale bisogno di dormire, ed Emma e Joy avevano insistito così tanto perché si riposasse… Tutto ad un tratto sentì dei rumori nel silenzio della notte e una voce familiare che invocava il nome di Arthur. Abel? Possibile che Abel si fosse risvegliato dopo tutti questi giorni e che Arthur si trovasse con lui? Georgie non perse tempo e, con il cuore in gola, scese dal letto e corse verso la camera di Abel. Quando arrivò, trovò suo padre in piedi davanti alla porta socchiusa della stanza. Il padre fece cenno a Georgie di non entrare. La ragazza lo guardò stupita, ma accettò senza discutere il suo consiglio.
“Ti ho detto che non devi più chiamarmi così” – urlò freddo Arthur, squadrando il fratello da capo a piedi. E anche se l’Abel che si trovava davanti a lui era più magro del solito e visibilmente sofferente, Arthur si rese conto che la bellezza ombrosa del fratello non ne risultava minimamente scalfita.
Il ragazzo scosse la testa con rabbia: Abel avrebbe potuto avere tutte le donne del mondo, perché si era preso proprio quella che anche lui amava? Perché, dopo che aveva egoisticamente abbandonato la sua casa e la sua famiglia, Abel era stato ricompensato dall’amore di Georgie? E poi, come era riuscito a sedurla? Con i suoi occhi blu e la sua voce profonda? Chissà che cosa aveva architettato per portarla via da Lowell! Chissà come doveva esserle stato addosso per farla cedere! Perché Abel era sempre stato possessivo e, fin da piccolo, aveva pensato che Georgie fosse di sua proprietà e non aveva mai lasciato spazio a nessuno, soprattutto a lui! Perfino il giorno in cui, rischiando la sua stessa vita, aveva salvato Georgie dal fiume, Abel con il suo arrivo gli aveva rubato la scena. La sua sola presenza lo aveva sempre oscurato! E ora che Georgie aveva davvero scelto lui, il solo pensiero della ragazza tra le braccia del fratello lo faceva letteralmente esplodere.
Con queste parole che rimbombavano assordantemente nella sua testa, e che silenziavano del tutto quelle che suo fratello stava pronunciando in quel momento, Arthur si gettò contro Abel, spingendolo violentemente contro il muro al quale era appoggiato. Ad Abel mancò il fiato per il colpo.
Georgie sentì il forte rumore e si preoccupò, sarebbe voluta entrare a sedare il litigio, ma suo padre la fermò nuovamente: “Devono chiarire tra loro, figliola e poi Abel sa quello che fa”. Georgie non ne era poi così convinta, conosceva Abel da sempre e sapeva che tendeva ad approfittare di se stesso, per cui era molto preoccupata.
In realtà in quel momento Abel era semplicemente esterrefatto: non avrebbe mai pensato che Arthur gli si sarebbe scagliato contro con una tale violenza, non perché non lo avesse mai fatto in vita sua, era già successo quando avevano litigato quel maledetto giorno in Australia, quanto perché questa volta lui era ferito e a fatica riusciva a reggersi sulle gambe. E invece, incurante del suo stato, Arthur - in preda ad una rabbia allucinata - dopo essersi avventato sul fratello, continuò a tenerlo schiacciato contro il muro, gridandogli contro tutto il rancore accumulato negli anni: “E’ colpa tua se la nostra famiglia è stata distrutta. E’ colpa tua se la mamma è morta…”. Nel profondo di sé Abel si sentiva da sempre responsabile per ciò che era accaduto ad Arthur e per la morte di sua madre, perciò accettò lo sfogo del fratello senza reagire, come a espiare una colpa. Serrò la mascella cercando di ignorare il dolore all’addome, che era stato reso ancora più intenso dal colpo che aveva appena ricevuto, e ascoltò senza fiatare la lunga e urlata litania di accuse.
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Abel restò in silenzio, con il capo abbassato e il volto contratto, fino a quando Arthur non iniziò a parlare di Georgie: “E’ colpa tua e del tuo egoismo se Georgie è fuggita, se Georgie ha lasciato il suo grande amore, se Georgie ora è … ora è addirittura …”. Arthur non riusciva a toccare l’argomento della gravidanza della ragazza, ma espresse tutto il sommo disprezzo che in quel momento nutriva per il fratello con lo sguardo.
Fu allora che, raccolte le poche forze che aveva, Abel afferrò Arthur per i polsi e con voce calma, ma molto dura, gli disse: “Non è una colpa l’aver sempre amato la donna che presto diventerà mia moglie”. Arthur distolse lo sguardo in segno di sdegno. Abel lo incalzò: “I tuoi sogni non sono mai stati i miei sogni, Arthur. Hai ragione quando dici che non ce la facevo più a vivere nell’inganno, ma non sono stato io a rivelare a Georgie la sua vera identità”.
“Non lo hai fatto perché ti ho fermato io, ricordi? Litigammo, proprio come ora. Hai smesso di essere mio fratello quel giorno, lo sai”. – disse Arthur con aria di sfida.
“Sono andato al porto quella sera Arthur, non da Georgie. Andai al porto per provare nuovamente a dimenticarla e non mi perdonerò mai per non essere stato accanto a lei in un momento così difficile” – disse Abel, sforzandosi di continuare a parlare, nonostante il dolore lancinante proveniente dalla profonda ferita nel suo addome. “E’ colpa tua se la mamma l’ha cacciata di casa. L’ha cacciata per allontanarla da te, la mamma è morta per colpa tua …”- continuò ad attaccarlo duramente Arthur. “La mamma non aveva alcun diritto di intromettersi. Ero un uomo Arthur, non un ragazzino, avrei cercato comunque e dovunque la donna che amo. L’unica persona che aveva il potere di allontanarmi da sé era Georgie” – gli rispose Abel risoluto.
Georgie non aveva mai sentito Abel parlare di queste cose: non si era mai aperto con lei. Inoltre, la ragazza non si immaginava neanche lontanamente la pressione a cui lui era stato sottoposto nel corso degli anni. Ricordò in quel momento un episodio che le era parso molto strano, ma al quale aveva dato poco peso all’epoca: quando Abel era tornato dal suo giro attorno al mondo e lei era andata a prenderlo, Arthur si era precipitato a cercarli, come non avesse avuto piacere a lasciarli da soli. Ricordò anche che, quando i due ragazzi si erano incontrati, si erano salutati freddamente: non un abbraccio, non una fraterna pacca sulle spalle.
Georgie sapeva, infine, che Abel e Arthur avevano litigato per colpa sua, glielo aveva sbattuto in faccia mamma Mary quella maledetta notte, ma non pensava che fossero arrivati a quel punto con le parole e, con commozione, la ragazza pensò che, nonostante tutto, Abel era stato pronto ad immolarsi per Arthur. Georgie amò ancora di più il suo futuro marito, amò la sua maturità e la sua generosità.
Qualcosa cominciò ad incrinarsi in Arthur, che lasciò la presa sul fratello, e indietreggiò. La voce di Abel gli risuonava nelle orecchie ed era una voce che continuava a ripetergli: “Non è colpa tua se sei stato catturato dai Dangering. Non è colpa tua se hai dovuto sopportare tutti quei soprusi. Sei stato forte, sei stato coraggioso a resistere, ma ora devi andare avanti. Devi costruire, non rimpiangere, Arthur. Noi tutti dobbiamo andare avanti e ti saremo accanto”. Arthur sentì le gambe iniziare a tremargli, così si inginocchiò e iniziò a prendere a pugni il pavimento. “C’è una ragazza bella e brava di là che ti ama profondamente, - continuò imperterrito Abel - ti è stata accanto nel momenti più difficili e ha anche lasciato la sua famiglia per te. Sei proprio sicuro che ti sia indifferente?”.
Per Arthur fu un momento di spaesamento: Maria? Possibile che Maria avesse lasciato la sua famiglia per lui? Il ragazzo sentì un groppo alla gola, che cominciò a sciogliersi, trasformandosi in un pianto liberatorio.
Il sudore freddo prese a colare dalle tempie di Abel, mentre il dolore all’addome si faceva insopportabile, nonostante ciò il ragazzo strinse i denti e si inginocchiò accanto al fratello. Arthur sentì il blocco di rabbia andare in frantumi. Sollevò allora gli occhi e guardò il volto del fratello, così adulto e così provato e in esso vi rintracciò molti dei tratti che erano stati del loro amato padre. “Grazie Abel” – disse infine Arthur con la dolce e soave voce di un tempo, poi abbracciò il fratello. Abel sorrise affaticato, ricambiando l’abbraccio.
In quel momento, la porta si spalancò ed entrò Georgie trafelata e preoccupata, ma, vedendo i due ragazzi abbracciati, si calmò. Abel alzò il volto e i loro sguardi si incrociarono carichi di emozione. Anche Arthur si girò verso la sorella e si accorse dell’amore con cui lei guardava Abel e finalmente capì che non c’era spazio alcuno tra loro due e che probabilmente non ce ne era mai stato. Sciolse così Abel dall’abbraccio, lasciandolo libero di raggiungerla e lo aiutò ad alzarsi.
Una volta in piedi, Abel – anche se stremato e barcollante – aprì le braccia e Georgie volò letteralmente da lui: non le sembrava vero, infatti, di essere nuovamente stretta in un suo abbraccio. Abel la accolse, posando il capo sui suoi capelli. Georgie cominciò a singhiozzare: “Oh, Abel! Ho avuto così paura di perderti!”. “Non piangere tesoro, sono qui” – le disse teneramente Abel, accarezzadole la schiena.
Poco a poco Georgie si calmò, alzò il volto per guardarlo e, nonostante tutto ciò che c’era stato tra loro, arrossì nel vedere i profondi occhi blu del ragazzo che la fissavano, occhi che aveva temuto di non rivedere mai più. Si fece coraggio e, alzandosi sulla punta di piedi, andò a cercare le labbra del ragazzo per un bacio dolce e quasi fraterno. I due rimasero stretti in un abbraccio commosso, fino a quando Georgie non si staccò delicatamente da Abel e, posando una mano di lui sul suo grembo, gli disse con infinito amore: “Torniamo a casa Abel, tu, io e il nostro bambino…”.
Abel, sopraffatto dallo stupore e dall’emozione, balbettò: “Un bambino… Georgie? … Il nostro bambino?”. Georgie gli sorrise annuendo.
La commozione (assieme alla sofferenza fisica e alla grande stanchezza emotiva) ebbero la meglio su di lui così Abel, stringendo forte al petto la sua Georgie, iniziò a piangere sommessamente: un pianto di gioia, un pianto di liberazione, un pianto – finalmente – di condivisione. Era felice come poche volte lo era stato in vita sua: Georgie lo amava ed aspettava un figlio da lui. E poi erano salvi, erano tutti salvi! Non avrebbe potuto desiderare niente di più! Anche Georgie piangeva felice tenendo il ragazzo stretto a sé, come a non volersi staccare da lui mai più. Tra le lacrime Abel sorrise e, accarezzando delicatamente il ventre della fanciulla, le disse: “Sì, amore mio, torniamo a casa”. Poi, volgendo il capo verso il fratello, aggiunse: “Torniamo tutti a casa”. Un ancora scosso Arthur, confortato dalla solida stretta del Conte sulla sua spalla, annuì, seguito dallo stesso Gerard.

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 - Epilogo ***


Cari lettori,
vi ringrazio infinitamente per aver seguito con affetto e continuità per oltre due anni questa mia storia: grazie a tutti coloro che hanno recensito (in particolare a Karmilla per il suo assiduo e prezioso appoggio) perché, con i vostri commenti, mi avete aiutato più di una volta a riflettere e a mettere a fuoco alcuni passaggi fondamentali e grazie anche ai tanti di voi che l’hanno seguita in maniera silenziosa, costante e - incredibile a dirsi - sempre più numerosa (*^.^*) !
Sono davvero contenta di aver deciso di condividere con voi questa rilettura del manga che, altrimenti, sarebbe stato soltanto un esperimento individuale. Per quanto mi riguarda si è trattato di dare forma e sostanza ad un magma altamente familiare: da anni, infatti, questa storia e i suoi personaggi sono entrati a far parte del mio immaginario personale e a tratti, forse, anche del mio stesso carattere.
Come avete avuto modo di vedere, il mio approccio è sempre stato di tipo filologico, un tentativo, cioè di dare compimento a elementi già presenti nel testo originario, soprattutto nel manga. Più in dettaglio, la mia rilettura si è concentrata sulla descrizione del (lungo) processo di presa di coscienza di Georgie ma, soprattutto, sul personaggio di Abel di cui, come ho scritto tempo fa in risposta ad una recensione di Gratia, penso di essermi ‘innamorata’ in tenera età grazie all'anime.
In particolare, già allora, mi aveva affascinato il periodo londinese post-rifiuto del ragazzo che lo vede adulto, maturo, intelligente e generoso, ma (purtroppo per lui) anche sempre triste e sofferente. Quando ho letto il manga dopo tanti anni dalla visione dell’anime, mi sono resa conto di quanto questa fase, che nel cartone appariva minoritaria, in realtà esprimesse l’essenza stessa del personaggio ed il suo ‘compimento’. Ne sono stata ovviamente più che felice, anche se della sublimazione quasi 'cristologica' di Abel (dalla prima tavola della scena della cella fino alla sua morte) ne avrei fatto volentieri a meno (T_T).
C’è da dire però che il creatore della storia, Izawa, aveva scelto per questo personaggio (che, da interviste varie, sembra essere il suo preferito) un nome biblico, che preannuncia (aihmè) sventura.
So bene anche che la mia storia non è stata sempre allegra, perché sia il manga sia l’anime da cui trae origine di fatto non lo sono (vedi sopra): è una storia di sopravvissuti (Georgie, Arthur, il Conte Gerard…) ma, almeno qui, sopravvivono tutti e si avviano tutti verso un futuro decisamente più sereno (^_^).
 
Vi auguro, quindi, una buona lettura di questo breve ma dolce epilogo.
 
Concludo qui il mio chilometrico commento/dedica rinnovandovi il mio più sincero ringraziamento per la vostra pazienza e per il vostro affetto.
 
Un augurio di Buon Natale a tutti voi,
Rebecca
 
PS. Ovviamente, se qualcuno di voi vorrà tornare a lasciare un commento/saluto mi farà molto, molto piacere (^_~)
 
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“Give your all to me
I''l give my all to you
You're my end and my beginning
Even when I lose I'm winning
'Cause I give you all of me
And you give me all of you […]”
 
All of Me - John Legend
 
Abel si aggirava da ore nella stanza davanti a quella in cui ora si trovava Georgie, l’ampia falcata delle sue gambe gli faceva percorrere in pochi passi tutta l’ampiezza della lussuosa stanza, conferendogli l’aspetto di un animale in gabbia. Il Conte Gerard si era ritirato nelle sue stanze a dipingere e Abel non si capacitava di come il suocero riuscisse a mantenere una tale calma in quelle lunghe ore di attesa, ma forse – pensò il ragazzo - il suo aplomb era da ricondurre alle sue ascendenze nobiliari. Dal canto suo, invece, Abel non riusciva proprio a stare fermo. Una mano si poggiò d’un tratto sulla sua spalla: “Stai tranquillo Abel, andrà tutto bene. Il bambino nascerà sano e forte e Georgie starà bene”. Era la voce di Arthur che cercava di tranquillizzarlo.
Abel annuì accennando un sorriso, poi tornò a fissare, senza vederlo, il giardino della tenuta Gerard. Arthur si mise in silenzio al suo fianco, così – lentamente - Abel spostò il suo sguardo verso il fratello e lo osservò con affetto e soddisfazione quasi paterna: dopo la crisi iniziale, infatti, il loro rapporto era decisamente migliorato. Arthur si era mostrato forte, aveva imboccato un difficile ma fruttuoso percorso di guarigione e di progressiva accettazione dell’amore tra lui e Georgie. Amore che era sfociato, pochi mesi prima, in un matrimonio tenutosi in gran segreto nella cappella privata della residenza del Conte Wilson.
Abel sorrise internamente al ricordo di quella cerimonia, così intima e sentita, cui avevano partecipato soltanto gli stretti amici della coppia perchè aveva avuto luogo in un momento ancora altamente rischioso per tutti loro. E si emozionò nuovamente nel ricordare Georgie, bella ed elegante nel vestito da lei confezionato per la cerimonia, mentre avanzava emozionata verso l’altare al braccio di suo padre. Anche un brivido percorse però la sua schiena al ricordo della paura strisciante per il pericolo che incombeva su tutti loro, terrore che neanche la profonda e incommensurabile gioia che aveva provato in quei momenti era riuscito a silenziare. Il pericolo, infatti, quella volta avrebbe potuto nuocere anche al piccolo che cresceva nel grembo di Georgie.
Abel si commosse, come sempre, al pensiero che, dentro la persona che amava, stava crescendo una creatura che era parte di entrambi, un piccolo essere frutto dal loro amore. E fu felice e sollevato come non mai nel pensare che, fortunatamente, erano stati in grado di smascherare i traffici di Dangering e di liberare tutti loro dal pericolo prima della sua nascita. Certo, erano iniziati momenti ancora più difficili per Maria, la figlia del Duca che viveva con loro, poiché il padre era stato processato e giustiziato, e lei non era potuta andare neanche a trovarlo prima della sua morte. Tuttavia Arthur le era stato accanto, ricambiando la dedizione con cui lei lo aveva accudito durante la sua prigionia e nei mesi successivi alla sua liberazione, a testimonianza del crescente sentimento di amore verso la ragazza che, secondo Abel, stava maturando nel fratello.
Era stato, infine, possibile rendere giustizia al nome del Conte Gerard, che era stato riabilitato e aveva così potuto riacquistare il suo titolo. “Contessa” – pensò Abel - “Georgie ora è una Contessa a tutti gli effetti” e rise fra sé e sé, perché proprio non ce la vedeva la sua cara mogliettina nei panni di una dama. E forse – si disse il ragazzo – non ci si sarebbe mai vista neanche lei, perchè fino all’ultimo minuto della sua gravidanza aveva voluto continuare a lavorare alla creazione dei suoi vestiti, mentre lui era intento, una volta ristabilitosi dalla lunga convalescenza, a progettare navi.
D’un tratto si spalancò la porta e uscì una cameriera, che proclamò felice: “E’ nato ed è un bambino bellissimo, sano e forte. Complimenti! E anche la Contessa sua moglie sta bene. Può entrare a trovarla”. Arthur ringraziò la cameriera al posto del fratello, che era rimasto senza parole e quasi lo spinse verso la camera.
“Georgie?” – chiamò piano, una volta sulla porta. La ragazza, che era a sedere sul letto e teneva stretto tra le braccia un fagottino avvolto in una coperta piena di merletti, anche se stanchissima, gli sorrise raggiante. Per Abel fu una visione celestiale. “Come stai?” – le chiese prima ancora di avvicinarsi al piccolo. “Bene” – rispose lei sorridendo mentre, con orgoglio, spostava la copertina per far vedere il piccolo a suo padre. “Ti presento il nostro bambino”. Abel aveva un groppo alla gola mentre contemplava quella creatura così semplicemente perfetta. Georgie gli porse il bambino e guardò il marito, così alto e imponente, prendere delicatamente tra le mani il prezioso frutto del loro amore, mentre il suo volto si illuminava di un dolcissimo sorriso.
In quel momento si udì bussare alla porta. Come stai bambina mia?”, disse il Conte entrando nella stanza. “Bene papà, grazie”, rispose felice la ragazza. Anche Abel sorrise e si avvicinò soddisfatto al suocero per mostrargli il piccolo che aveva in braccio. “Complimenti, è proprio un bambino splendido”- disse commosso il giovane neo-nonno, che chiese: “Avete già deciso come chiamarlo?”. Abel scosse la testa in segno di diniego, mentre Georgie rispose enfatica alla domanda di suo padre: “Si chiamerà Abel jr!”. “Abel jr?” – proruppe incredulo il portatore primigenio del nome. “Sì, caro – rispose decisa la mamma del pargoletto – si chiamerà così perché è uguale a te, Abel, non lo vedi? Ha i tuoi stessi occhi!”. Abel alzò dubbioso un sopracciglio mentre scrutava il volto del piccolino che dormiva beato tra le sue braccia, chiedendosi come facesse Georgie a vedere somiglianze di sorta in un essere così minuscolo. “Ma Georgie…” – cercò poi di articolare il suo pensiero. “Niente ma!” – rispose risoluta la giovane. “Figlio mio, Georgie è molto testarda, non credo proprio che ti convenga discutere” – disse ridendo il Conte al ragazzo ancora attonito. “No, credo proprio di no!” – rispose Abel sospirando. Georgie e suo padre si scambiarono uno sguardo complice e divertito. Negli anni, Abel si rese conto di quanto sua moglie avesse avuto ragione in quel momento perchè il loro primogenito, fatto salvo i capelli ondulati e un innato buon umore ereditati dalla madre, era davvero la sua copia.
La gioia di quel momento fu ravvivata dalle visite che ricevettero i neo-genitori. Poco dopo, infatti, si recarono a far loro visita i membri della ristretta comunità con cui condividevano i loro giorni, ora sereni: non soltanto Arthur e Maria, ma anche il sig. Allen, Joy, Emma, Dick e la famiglia del visconte Barnes, tutti ugualmente desiderosi di manifestare la loro partecipazione ad un evento così felice. Il neonato ricevette anche seduta stante due richieste di matrimonio da Catherine e da Joy che, in una risata generale e nel più totale imbarazzo di Abel, lo invitarono a crescere velocemente per poter diventare così il loro marito perché era già bello come il suo papà.
Georgie guardò quella ‘famiglia allargata’ raccolta attorno alla culla del piccolo, un nucleo dove trovava spazio la sua famiglia di origine, la sua famiglia adottiva, la sua nuova famiglia ed i suoi nuovi amici e si sentì invasa da una profonda felicità. E quando, quella sera, dopo aver allattato il suo bambino, sfinita ma soddisfatta, trovò finalmente rifugio tra le accoglienti braccia di Abel, chiuse gli occhi pensando che il suo mondo era da sempre racchiuso nel protettivo, amorevole e sensuale abbraccio dell’uomo che la amava sin da quando era lei stessa una bambina.

FINE

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