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Due ben',
caro amor mio,
concesse a noi la
sorte;
un bacio ed un addio,
un talamo e una fossa,
amore e morte; I tuoi baci, Mario
Rapisardi
CAPITOLO I
L’abbagliante luce di un raggio di sole
che le sfiorava
il viso riuscì a destarla dal torpore in cui si trovava.
Aprì i grandi occhi blu scuro trovandosi sotto un cielo
color
cobalto e privo di nuvole. Era sdraiata su quello che evidentemente era
il tetto di un edificio. Si mise in piedi, confusa, e senza avere la
benché minima idea di dove si trovava. Non era il Seireitei.
Era
il mondo degli umani e in breve riconobbe il panorama che aveva di
fronte. Conosceva quella città, in fondo ci aveva vissuto.
Un
senso di nostalgia l’avvolse e la tristezza si
impossessò
di lei al solo ricordo di quei giorni passati e che non sarebbero
più tornati, ma… perché era
lì? D’un
tratto, percepì qualcosa. Un brivido corse lungo la sua
schiena
e l’istinto la costrinse a voltarsi. Su, nel cielo che tanto
sereno era stato fino a qualche istante prima, era apparso uno
squarcio. Da quella nera fenditura, orde di Hollow avevano preso a
venir fuori. Stavano attaccando la città. Era atterrita, mai
nella sua vita ne aveva visti così tanti. Immediatamente
portò la mano al fianco sinistro, pronta ad afferrare la
spada e
a far del suo meglio per difendere la città. Le sue dita,
però, non sfiorarono affatto l’impugnatura della
zanpakuto. Girò il capo corvino di scatto e incredula
dovette
constatare che non aveva con sé la sua spada. Le urla
strazianti
degli abitanti invasero le sue orecchie. Il cielo e le strade si
tinsero di rosso e il suo cuore smise quasi di battere quando in
quell’inferno riconobbe lui. Privo di sensi e con una ferita
che
gli squarciava una spalla, se ne stava in completa balia di un Hollow.
Era disarmata, era sola… le lacrime le riempirono gli occhi
e la
sua voce che nominava il suo nome sembrò perforarle i
timpani.
L’Hollow stava per infliggergli il colpo mortale e lei si era
mossa senza più il completo controllo del suo corpo, senza
speranza, ma senza la forza di lasciarlo morire:
“ICHIIIGOOOOO!!!!”
“Rukia-san, Rukia-san”
La porta della stanza di Rukia si aprì
di scatto.
Kuchiki Rukia era seduta sul suo futon a guardare un punto impreciso
della stanza, madida di sudore, con il fiato corto e con un nome sulle
labbra: “Ichigo”. Era un sogno, pensò
Rukia mentre
riprendeva coscienza di se stessa. Portò una mano alla
testa,
dolente e ancora confusa. Che brutti scherzi le giocava ancora il suo
cuore.
“Rukia-san, state bene?”
Una giovane donna si era avvicinata a Rukia con
la preoccupazione dipinta sul viso e con gli occhi verdi colmi
d’ansia.
“Va tutto bene, Misaki, era solo un
sogno”
rispose Rukia abbozzando con difficoltà un sorriso che mal
celava il suo stato d’animo. Misaki parve accorgersene e,
solo
dopo le continue rassicurazioni di Rukia, la donna lasciò la
stanza. Rimasta sola, Rukia non aveva proprio voglia di tornare a
dormire, non se dormire significava rivivere per l’ennesima
volta
quel sogno. Levò via le coperte e fece scorrere la porta che
dava in uno dei giardini interni della villa di famiglia. Si sedette
osservando con poca attenzione la luna che si specchiava nel piccolo
cerchio d’acqua del laghetto di carpe koi. Poi chiuse gli
occhi
e, stringendo le ginocchia al petto, iniziò a piangere e se
mai
qualcuno fosse stato lì a vegliare su di lei avrebbe potuto
confermare che ella pianse per tutta la notte.
Quando il mattino giunse, Rukia indossava
già la sua
fascia da tenente e una maschera di finta indifferenza con cui ormai
aveva imparato a mostrarsi. Che le credessero o meno, questo inganno
era riuscito a mettere fine agli sguardi di compassione con cui in
molti, conoscenti e non, avevano preso a guardarla. Non riusciva a
tollerarli, era come se tutti nel Seireitei fossero spinti da buone
intenzioni e la invitassero ad andare avanti. Ma come poteva andare
avanti se tutto quello che il suo cuore desiderava era rimasto
indietro? Persino dopo tutto quel tempo, persino con quella maschera,
Rukia non riusciva a vivere un singolo giorno. Meccanicamente,
esattamente come faceva a fine di ogni giornata, si recava nello studio
di suo fratello per fare rapporto. Lo aggiornava sui pattugliamenti,
sulle missioni svolte, sui problemi presenti e gli consegnava le
scartoffie che la burocrazia della soul society pretendeva che
venissero viste e firmate dal capitano della VI divisione. Finito
ciò, meccanicamente, come ogni giorno, Rukia si sarebbe
ritirata
nella sua stanza e si sarebbe lasciata andare ad un sogno ce non
sarebbe stato di certo ristoratore.
“Manca solo il rapporto della squadra
di Saito-san. Non
sono ancora rientrati. Ho già inviato una squadra di
supporto
nel caso fosse accaduto qualcosa o ci fossero delle
difficoltà” disse Rukia finendo così i
propri
doveri per quella giornata. Byakuya stava seduto alla sua scrivania,
impegnato in chissà quale documento, e non la
guardò
nemmeno.
“E’ tutto. Con permesso,
capitano” disse e fece per andarsene.
“Aspetta”
Rukia dovette ritirare la mano che già
stava spingendo
la porta e si volse. Byakuya la stava fissando. La luce delle candele
rendeva profondi e impenetrabili quegli occhi scuri dai riflessi color
malva che da sempre riuscivano a metterla in suggestione.
“Forse dovresti prenderti qualche
giorno di permesso” le disse.
Rukia sembrò confusa “Non
capisco”
“Non servi a niente se prima non ti
prendi cura di te stessa”
“Io sto benissimo”
ribatté lei, ma quello
sguardo screziato d’ametista si fece più severo,
rimproverandola per quelle parole.
“Menti pure a chi vuoi, ma non osare
prenderti gioco di
me. Come puoi dire di stare bene se la notte non riesci nemmeno a
dormire?”
Rukia era stizzita “E’ stata
Misaki a dirtelo, vero?”
“E’ solo preoccupata per
te”
“Smettetela di essere tutti preoccupati
per me!!!”
Aveva urlato invasa dalla rabbia e dalla
frustrazione che
generalmente riusciva a controllare. Byakuya continuò a
scrutarla. Rukia sapeva fino a dove quegli occhi potevano arrivare e
non voleva che lo facessero. Stava per andarsene, ma suo fratello
parlò ancora:
“Non è stata colpa
tua”
Rukia strinse i pugni. Quelle erano le parole che
odiava,
quelle che non tollerava che le venissero rivolte, quelle che secondo
alcuni potevano farla sentire meglio.
“Ora sei tu che ti prendi gioco di me,
nii-sama”
disse e pretendendo di essere lasciata in pace, andò via
portando con sé il suo dolore, unico abitante del suo cuore
spezzato.
Non so pensarci.
Eppure mi ritorna
più
e più insistente all'anima
quel suo
fugace sguardo di commiato. Amore, Vincenzo
Cardarelli
Camminava
seria e imperscrutabile sotto il portico di legno che dalla sua stanza
l’avrebbe condotta al vialetto principale dove si trovava
l’imponente portone di villa Kuchiki. Rukia era pronta ad
affrontare un’altra giornata.
“Rukia-san”
Dietro l’angolo apparve Misaki. Con il capo abbassato e i
lunghi capelli biondi ad incorniciarle il viso, Misaki se ne stava
immobile, come se la mortificazione per qualcosa che aveva fatto
schiacciasse le sue parole e i suoi movimenti. Forse, pensò
Rukia, la sera prima Misaki doveva aver udito la conversazione tra lei
e Byakuya e, se così era, non doveva essere sfuggito alla
donna il tono usato da Rukia quando aveva capito che era stata proprio
Misaki a parlare con suo fratello. Rukia si dispiacque per lei. Misaki
era una brava persona e non si meritava un trattamento simile.
Distese le labbra in un sorriso “Va tutto bene,
Misaki, ti prego di accettare le mie scuse” le disse.
Misaki parve sorpresa e alzò il capo verso Rukia
“Devo la vita alla vostra famiglia, Rukia-san, se in qualche
modo vi ho offeso vi chiedo perdono, ma l’ho fatto per il
vostro bene”
“Lo so” bisbigliò Rukia mantenendo
ancora per poco quel sorriso “Sto bene, grazie
Misaki” e la superò. Continuò a
camminare fino a percorrere la strada che affiancava le mura che
circondavano la sua casa. Tra tutti Byakuya era stato l’unico
a capire come trattarla. In linea di massima, suo fratello non aveva
cambiato atteggiamento nei suoi riguardi e solo raramente affrontavano
conversazioni come quella avuta la sera prima. “Non
è stata colpa tua” … come potevano
pensare che quelle parole fossero di conforto? Era colpa sua!
Se non fosse stato per lei, lui sarebbe …
“Rukia!!”
Fermò i suoi passi e si voltò sapendo
già chi avrebbe visto dato che ne aveva riconosciuto la
voce. La chioma rossa di Renji risaltava nel chiarore del mattino
mentre le andava incontro.
“Stavo venendo a trovarti” le disse “
è un pezzo che non ci vediamo”
Renji … il ricordo del viso di Renji ricoperto di sangue,
che urlava disperato, mentre lei affrontava il suo destino. Un destino
che in un attimo si era rassegnata ad accettare se questo significava
salvare le loro vite; un destino che invece non aveva nemmeno sfiorato
perché lui si era messo in mezzo. L’aveva
strappata ad esso e ne aveva pagato il prezzo più alto. E
Renji era lì, lui aveva visto tutto e, soprattutto, sapeva
che la colpa era sua.
“Siamo sommersi di lavoro, è normale avere poco
tempo per noi stessi” rispose lei evitando di guardarlo negli
occhi, “è stato bello vederti, Renji, ma adesso
devo andare” ma non andò da nessuna parte
perché Renji la trattenne.
“Aspetta! Ormai incontrarci è raro.
Perché non prendiamo un giorno di riposo?
Rukia lo guardò diffidente “Non siamo
più dei bambini, Renji, abbiamo delle
responsabilità. La fascia che porti al braccio sinistro
dovrebbe ricordartelo”.
Un ghigno decorò il viso di Renji e con le sopracciglia
corrucciate si chinò verso Rukia “ Ehi, vacci
piano. Sono tenente da molto più tempo di te e conosco bene
i miei doveri, non c’è bisogno che venga tu a
farmi la ramanzina”.
Rukia incrociò le braccia al petto e gli restituì
lo sguardo “Sono contenta che tu te ne renda conto, quindi
non mi resta che augurarti buona giornata” e trionfante gli
diede le spalle accingendosi a fare i primi passi, ma Renji la
superò e si mise davanti a lei sbarrandole la strada.
“E dai aspetta, ho un’idea: e se mi facessi
compagnia in un posto? Riguarda il gotei 13, ovviamente, ed
è una mia iniziativa. Mi farebbe piacere se venissi con me.
Lavoreresti e allo stesso tempo staremmo un po’ insieme, che
ne dici?” la guardava speranzoso e Rukia non
riuscì a dire di no al suo vecchio amico.
“E dove sarebbe questo posto?”
Renji rise “ vedrai, ti piacerà”
In poco tempo arrivarono all’accademia di shinigami,
dove giovani reclute che ambivano al ruolo di shinigami del
gotei 13 venivano addestrate.
“Che ci facciamo qui?” chiese Rukia perplessa, ma
Renji la ignorò cingendo con un braccio le piccole spalle di
lei.
“Quanti ricordi, eh? Certo che ne abbiamo fatta di
strada!”
Per quanto non capisse cosa stessero facendo lì e
perché Renji l’avesse portata con sé,
Rukia non poté evitare di sorridere e di lasciarsi andare ai
ricordi.
“Su, entriamo”
“Vuoi dirmi che ci facciamo qui?” insistette lei
mentre percorrevano quelle sale e quei corridoi tanto familiari.
L’espressione sul volto di Renji cambiò
“Ho un piccolo progetto” iniziò a
spiegare “l’addestramento in accademia dura 6 anni,
giusto? I margini di tempo non mi hanno mai convinto perché
credo che tutto in fondo dipenda dalle singole capacità.
Quanti ne abbiamo visti morire perché ancora inesperti?
Oppure quanti talenti sono andati sprecati per anni tra queste mura
perché il regolamento imponeva che terminassero i 6 anni di
addestramento?” Rukia lo guardava interdetta e lo
lasciò proseguire “Quello che voglio offrire a
questi cadetti è il nostro aiuto. Li supervisioneremo e
saremo noi a seguire i migliori da allenare personalmente nel gotei 13.
Sai bene quanto me che l’accademia dà
un’istruzione limitata rispetto a quello che
c’è la fuori. Chi vedremo ancora inesperto
rimarrà in accademia anche se ha terminato i 6 anni o quanto
meno gli verrà affidato un lavoro d’ufficio, ma
mai uno sul campo. Lo trovo un metodo molto più
efficiente”
Rukia si fece pensierosa e si ritrovò ad analizzare le
parole di Renji.
“Kioko-sensei” esclamò Renji entusiasta
e Rukia sollevò lo sguardo sulla donna dai lunghi capelli
neri che si avvicinava a loro. Era una delle insegnati
dell’accademia. Renji la presentò a Rukia e
quest’ultima notò il lieve rossore sulle gote
dell’amico che evidentemente doveva provare qualcosa per
quell’affascinante donna. Si ritrovarono nell’ampio
corridoio dove un viavai di studenti facevano da sfondo a loro che
parlavano proprio del futuro di quei giovani. Kioko-sensei sembrava
entusiasta dell’iniziativa e informava Renji di
come il Consiglio dell’accademia approvasse il suo progetto e
gli dava carta bianca e la completa libertà di iniziare
quando voleva. Renji sembrava scoppiare di felicità.
“Grazie mille, Kioko-sensei, non vi deluderemo” poi
prese Rukia e la tirò a sé “Rukia
tirerà su degli eccellenti shinigami. Faremo un ottimo
lavoro, garantito!”
Rukia sussultò. Maledetto Renji, pensò mentre
Kioko-sensei la guardava colma di ammirazione.
“Renji, ma cosa?”
Quando aveva dato il suo consenso? E quando Renji le aveva chiesto di
partecipare a questo progetto? Rukia era stata incastrata e distolse lo
sguardo verso il caotico viavai di studenti e in quel momento il suo
cuore mancò un battito…
I capelli biondo scuro, quasi arancione, spiccarono immediatamente ai
suoi occhi increduli. Gli occhi marroni, grandi e determinati, non la
guardarono neppure mentre lei non riusciva a distogliere lo sguardo da
quella figura slanciata che, come se niente fosse, si trovava
lì’ a pochi passi da lei.
“Ichigo?” bisbigliò mentre quel ragazzo
usciva dal suo campo visivo. Si divincolò da Renji e si
voltò alla ricerca di quello che altri non poteva essere se
non Ichigo, ma non lo vide più.
“Rukia, che succede?”
Rimase ancora qualche secondo a scrutare quel corridoio
“Niente” disse in fine. Evidentemente,
pensò, il suo cuore si prendeva gioco di lei anche da
sveglia.
[...] e assaporare, flebile e
inattesa, la speranza di riaverti. E.P.M.
Quella
notte, di dormire Rukia non voleva proprio saperne. Un pensiero fisso
tormentava la sua mente al punto da farle sembrare di impazzire. Si
tirò su dal letto, indossò i suoi abiti e
impaziente
aprì la porta per uscire. Non poteva più
attendere,
doveva raggiungere il mondo degli umani. Furtiva arrivò al
portale e, assicuratasi di non essere vista o seguita, si
affrettò ad oltrepassarlo. Questo ebbe in lei uno strano
effetto, era qualcosa di troppo complesso per poterlo spiegare, ma
abbastanza intenso da farle salire il cuore in gola. Tralasciando i
suoi incubi, raramente aveva più messo piede nella
città
di Karakura. La città, sotto la placida luna della sera,
riposava tranquilla. Leggiadra ed invisibile ad occhio umano, Rukia si
spostò da un edificio all’altro con il cuore in
subbuglio.
Si fermò solo quando arrivò in
prossimità di una
casa. Era modesta, praticamente identica a quelle di tutto il vicinato,
su due elevazioni, oscurata dalle tenebre della notte, ma illuminata
dal significato che aveva per lei: quella era la casa di Ichigo. Non
seppe nemmeno quantificare il tempo che trascorse ad osservare
quell’edificio in silenzio, immobile, praticamente come se
stesse
aspettando qualcosa e d’un tratto provò proprio ad
essere
franca con sé stessa: cosa stava aspettando in
realtà?
Quale segno o quale indizio pensava di trovare? Era davvero Ichigo
quello visto all’Accademia? Era assurdo… e in un
attimo di
lucidità si rese conto di come fosse disperata se un
semplice
scherzo della mente era bastato per condurla fin lì. Si
coprì il volto con le mani e in breve fu scossa dal pianto.
“E’ bello rivederti,
Kuchiki-kun”
Pensando d’essere sola, Rukia
trasalì
nell’udire quella voce. Il cappello a strisce di Urahara
nascondeva come sempre parte del suo viso, ma un sorriso di conforto fu
ben in vista a Rukia che con l’orlo della manica cercava di
asciugarsi le lacrime. Non disse niente e tornò a guardare
l’abitazione.
“Non riuscivo a credere che quello che
stavo percependo
fosse proprio il tuo reiatsu, Kuchiki-kun”
continuò
avvicinandosi a Rukia e unendosi a lei in quella sorta di veglia,
avvolti da quella calma surreale che solo la notte sa dare.
“Stanno bene?”
Urahara portò le mani dietro la
schiena “Sono
sicuro di sì, la Soul Society ha disposto per loro una
sorveglianza costante, ma non so dirti altro. Hanno lasciato la
città almeno un decennio fa.”
Urahara non disse altro, ma Rukia sentiva come
quella frase
sarebbe dovuta continuare “…ormai non avevano
alcun motivo
per restare”. I volti di Karin e di Yuzu apparvero nitidi
nella
sua mente, così come nitido era il ricordo sia della
disperazione del pianto di Yuzu che della rabbia straziante di Karin
che inveiva contro l’intero seireitei per aver coinvolto
Ichigo
fino a quel punto. Rukia fu avvolta da un senso di amarezza e il
tormento si riaccese vivo in lei al pensiero d’aver rovinato
la
vita a quelle due ragazze che prive anche del fratello non avevano
più una famiglia.
Spostò gli occhi sulla sinistra della
casa,
esattamente verso la finestra del primo piano e dovette ricacciare
indietro le lacrime che tornavano a riempirle gli occhi
“Ieri…” tentennò
“mi è sembrato
di vederlo” confessò.
Urarhara abbassò il capo:
“Capisco cosa vuoi
dire” disse ma percependo già il suo scetticismo
Rukia non
lo lasciò continuare.
“Potrei giurare d’averlo
visto” ribattè con voce ferma.
Se Urahara non avesse indossato il suo cappello,
Rukia
avrebbe potuto notare come lo sguardo di lui fosse cambiato
“Kuchiki-kun, a volte desiderare qualcosa può
…” ma anche qui dovette fermarsi preso
com’era a non
poter ignorare il modo in cui Rukia adesso lo guardava.
“Pensi che stia impazzendo,
è
così?” chiese lei e voltandosi tornò a
guardare la
casa che era appartenuta a Kurosaki Ichigo “anche io mi sono
già data della pazza” ammise con un sorriso amaro.
Com’era stata stupida.
Urahara portò una mano al cappello e
con gesti
abitudinari se lo sistemò meglio sul capo biondo
“Non
è detto.”
Rukia si voltò di scatto. Conosceva
Urahara, conosceva
quel tono di voce e soprattutto conosceva
l’intensità di
quello sguardo “Cosa stai cercando di dirmi?”
chiese
all’istante e con gli occhi lucidi.
Mantenendo quello sguardo e la serietà
infrangibile
sul suo voltò, Urahara rispose “Kuchiki-kun,
conosci il
legame che esiste tra la Soul Society e il mondo degli umani, non
è così? Le anime degli umani provengono dalla
soul
society e quando un umano muore la sua anima ritorna a far parte della
soul society. Come puoi vedere i due mondi si trovano in perfetto
equilibrio, un equilibrio che deve essere preservato. È per
questo che esistono gli shinigami. Quando un’anima si
trasforma
in hollow a causa del suo attaccamento alla vita terrena, gli shinigami
devono purificarla così che l’anima possa fare
ritorno
alla soul society”.
Rukia, nell’udire quella spiegazione,
continuò a
guardarlo fisso iniziando a capire dove egli volesse arrivare
“Vuoi dire che… “
“Quello che sto cercando di dirti
è che dopo la
sua morte, l’anima di Kurosaki Ichigo deve essere tornata
alla
soul society come qualsiasi altra anima di un essere umano e, tenendo
conto dell’intensità del suo spirito, non
escluderei che
abbia mantenuto esattamente le sue sembianze”
Per la prima volta, dopo quasi
vent’anni, il sorgere
del sole portò qualcosa di diverso in Kuchiki Rukia. Glielo
si
leggeva negli occhi e benché ella stessa sapesse come tutto
potesse andare in fumo perché solo un’ipotesi,
Rukia non
se la sentiva di lasciar andare quella speranza che finalmente le dava
una ragione per andare avanti. Si affrettò così
ad uscire
di casa, impaziente di trovare le risposte che cercava e sarebbe andata
via all’istante se una sagoma, minuta e discreta, non fosse
entrata con discrezione nel suo campo visivo. Si fermò.
Misaki
la guardava con quell’aria di sincera preoccupazione con cui,
per
quanto Rukia ricordasse, l’aveva sempre guardata. Misaki non
disse nulla, come se fosse vittima dell’indecisione, e solo
dopo
alcuni secondi trovò il coraggio di parlare
“Rukia-san” disse facendo qualche passo avanti
“non
dirò niente a vostro fratello, ma… qualunque cosa
vi
abbia spinto fin lì, se riesce a farvi star meglio, allora
fatelo ma vi prego di fare attenzione” e senza dar a Rukia
modo
di ribattere, si piegò leggermente in avanti come segno di
rispetto e si congedò.
Rukia avrebbe voluto fermarla, ma il pensiero
costante di
Ichigo la spinse al di là dell’antico portone
dell’ingresso principale senza voltarsi indietro. Qualcosa
delle
parole di Misaki però la fece riflettere. Si,
c’era
qualcosa che la faceva star meglio, ma non si trovava nel mondo degli
umani come Misaki credeva, era lì nella soul society,
c’era da tempo, accanto a lei e lei stava correndo verso di
lui
perché ingiustamente e per troppo tempo erano stati
separati.
Quando raggiunse il padiglione della tredicesima
divisione,
Rukia aveva il fiato corto. Per un attimo i suoi occhi blu scuro si
soffermarono sull’insegna su cui spiccava il bucaneve, scelto
come stemma delle tredicesima brigata e simbolo di speranza. Che
ironia, pensò. Di speranza ne aveva proprio bisogno e il
destino
aveva voluto che lei ricominciasse proprio dalla brigata che anni prima
aveva dovuto lasciare. Sorrise ed entrò alla ricerca di
Renji.
Lo trovò quasi subito e Renji, esattamente come la maggior
parte
degli ex compagni di brigata di Rukia, non nascose un certo stupore nel
vederla da quelle parti. Adesso era Renji il tenente della tredicesima
brigata, lo era diventato per esaudire una richiesta di Byakuya che,
dopo quello accaduto a Ichigo e lo stato in cui Rukia era caduta,
preferiva averla sotto la sua stretta e personale sorveglianza non solo
nel seireitei ma anche nel gotei 13.
Confuso, Renji vide Rukia avvicinarsi con
decisione verso di lui.
“Renji, sebbene tu non me ne abbia
parlato nè tantomeno chiesto…”
iniziò lei.
Renji però la interruppe e assumendo
un’aria
mortificata iniziò a scusarsi “è vero,
hai ragione!
Prima avrei dovuto chiederti se volevi affiancarmi nel mio progetto per
l’accademia e invece ti ci ho trascinato senza sapere il tuo
parere” ma questa volta fu Rukia a non lasciarlo continuare.
“Non mi hai lascito finire. In
realtà sono
contenta che tu l’abbia fatto e sono venuta a dirti che hai
la
mia completa disponibilità”
E, avrebbe voluto aggiungere, la mia assoluta
riconoscenza.
L’Accademia risplendeva di una luce completamente nuova per
quei grandi occhi dello stesso colore del cielo notturno che
caratterizzavano così tanto il viso di Kuchiki Rukia.
L’idea di incontrare nuovamente Ichigo era stata come una
scarica di adrenalina per lei che lentamente, lo sentiva, si stava
spegnendo in quel mondo che privo di lui ormai aveva perso ogni
significato. In quei giorni, però, le cose erano cambiate,
lei stessa era cambiata. Seppur in modo così indiretto,
pensò sorridendo dolcemente, Ichigo la stava salvando
un’altra volta. Si era buttata a capo fitto in quel progetto
con grande felicità di Renji, che però ignorava
cosa in realtà spronasse così tanto Rukia, e che
attribuiva a sé stesso il merito per aver introdotto Rukia
in qualcosa che riusciva a farle tornare in qualche modo la voglia di
vivere. Lo stesso Byakuya, la cui diffidenza per il progetto di Renji
era stata pienamente espressa con uno sguardo di sufficienza mista a
un’aria di altezzosità che chiaramente esponeva
l’inutilità che quel progetto aveva, fu sorpreso
di constatare come in realtà quel lavoro extra avesse
portato un visibile miglioramento in Rukia.
“Non sarà niente di così gravoso,
capitano” l’aveva rassicurato Abarai Renji mettendo
avanti le mani sotto lo sguardo tagliente di Byakuya che sembrava
pronto a sbatterlo fuori dal suo studio, ma Renji continuò a
perorare la sua causa “al contrario, credo che
sarà un lavoro ben più leggero e nettamente
piacevole rispetto a quello che fa ora”.
Gli occhi dai riflessi ametista di Byakuya si erano ridotti a due
fessure “Questo è il gotei 13, Renji, non un parco
giochi e Rukia non è uno shinigami qualsiasi! Ricopre il
ruolo di tenente al suo interno”
“Non era quello che volevo dire, capitano” aveva
provato a scusarsi “Volevo solo trovare un espediente per
distrarla, dopo tutto … Rukia…” Renji
aveva abbassato lo sguardo, quasi afflitto più per
l’amica che per un dispiacere personale.
Superato quel primo momento, però, Byakuya aveva
effettivamente visto le buone intenzioni del suo precedente tenente e,
dopo un profondo respiro, aveva dato il suo consenso a Renji per
coinvolgere Rukia in quella sua idea che riguardava
l’Accademia.
Effettivamente Rukia si dirigeva all’Accademia con
un’espressione sul viso che Byakuya non le vedeva da tempo.
Si trattava della determinazione che da sempre aveva brillato nei
grandi occhi di Rukia e che da quasi un ventennio sembrava essere
sparita. E quella determinazione cresceva con l’attesa del
momento in cui avrebbe nuovamente incontrato lo sguardo rassicurante di
Ichigo. Eppure, i giorni continuavano a susseguirsi e Rukia non aveva
più rivisto Ichigo dopo quell’unica e fugace volta.
“Hado no33 hakuouki! AHHH!!” *
I pensieri di Rukia furono interrotti da un’esplosione che un
giovane studente aveva scaturito a causa della sua inesperienza
nell’usare il kido.
“Saito!” Rukia aveva gridato il nome del ragazzo
che con il viso contorto in una smorfia di dolore tentava di nascondere
alla vista dei due supervisori la ferita che si era procurato da solo
alla mano destra. Renji era arrivato prima di Rukia e stava
già soccorrendo il ragazzo sulla cui mano era apparsa
un’abrasione che si estendeva fin oltre il polso.
“Devi essere medicato, accompagnatelo in
infermeria,” aveva detto Rukia ad alcuni studenti che si
erano avvicinati, poi era tornata a guardare il ragazzo,
“forse il kido non fa per te”
Quelle parole sembrarono bruciare più della ferita che si
era procurato perché il giovane guardò Rukia
preoccupato “Kuchiki-sensei, so fare di meglio! Datemi
un’altra possibilità!”
supplicò mentre un altro studente lo spronava ad avviarsi
verso l’infermeria, ma il ragazzo sembrava intenzionato a non
volersi schiodare da lì se prima Rukia non gli avesse
concesso la possibilità che egli desiderava.
“Saito, il kido può salvarti la vita, ma se non lo
sai controllare allora ti si ritorcerà contro. Sono sicura
che imparerai… ci vorrà solo un po’ di
tempo”
Saito sgranò gli occhi e Rukia non seppe decifrare se lo
fece per il dolore o perché con quelle parole veniva
automaticamente eliminato dalla lista dei potenziali studenti che
avrebbero avuto l’opportunità d’essere
addestrati direttamente dai tenenti del gotei 13.
“Kuchiki-sensei” supplicò ancora il
ragazzo “vi prego, so fare di meglio” era un
sguardo fermo e determinato quello con cui adesso la guardava. Rukia
capì che quello che quel ragazzo cercava non era vana gloria
o puro compiacimento d’essere classificato superiore alla
media, c’era dell’altro. Saito sembrava essere
spinto da qualcosa di molto più importante, quello sguardo
sembrava avere uno scopo ben preciso e alla fine Rukia non se la
sentì di fare da ostacolo.
Mise una mano sulla spalla del giovane e disse “Va bene. A
fine giornata verrò a vedere come stai e se ti
riterrò in grado di continuare, allora avrai la tua seconda
possibilità”
Il viso di Saito si illuminò e, con un sorriso colmo di
riconoscenza, si decise a dirigersi verso l’infermeria.
Renji le si avvicinò “Pensi d’aver fatto
la cosa giusta”
Rukia intanto continuava a guardare la sagoma che si allontanava
“Credo di si”
Renji sospirò “Sai che non dovremmo fare
favoritismi, vero? Avremmo dovuto dare una seconda chance anche ad
altri studenti che forse lo meritavano più di lui”
“Non si tratta di favoritismo” si difese Rukia
“C’è qualcosa in quel ragazzo per cui
vale la pena tentare. Non so spiegartelo, ma sembra uno dei pochi ad
avere una valida motivazione per diventare un ottimo shinigami. In
fondo siamo qui anche per questo, no? Scovare dei diamanti allo stato
grezzo da poter far brillare”
Renji sembrò stupito e guardò l’amica
con una strana espressione che imbarazzò Rukia.
“Perché mi guardi in quel modo?”
“Sei diventata profonda” rispose Renji
accarezzandole il capo corvino con affetto.
Rukia mise il broncio e con le guance ancora arrossate
allontanò la mano di Renji ammonendolo per aver fatto
qualcosa del genere davanti agli studenti che tenevano gli occhi fissi
su di loro.
“Abbiamo ancora del lavoro da fare” disse lei
riferendosi al gruppo di aspiranti shinigami che attendeva
d’essere messo alla prova dai due tenenti.
Renji sorrise, era contento di vedere Rukia in quel modo.
Il sole stava già tramontando quando l’ultimo
gruppo di studenti stava lasciando il cortile in cui Renji e Rukia
osservavano le capacità da shinigami di quei ragazzi. Ne
analizzavano essenzialmente la capacità con la spada e
l’abilità nell’usare il kido come prima
cosa, ma Renji e Rukia puntavano a mettere alla prova le
capacità cognitive, i riflessi, i loro nervi saldi e
l’inventiva che in uno scontro svolgono una grande
importanza. Una figura, però, procedeva nel verso opposto a
quello degli studenti. Slanciata ed elegante, Kioko-sensei si dirigeva
verso Rukia e Renji con quel sorriso gentile che la contraddistingueva.
Renji arrossì non appena i suoi occhi scorsero la bella
shinigami e questa volta toccò a Rukia ridere e prendersi la
propria rivincita sull’amico che si era preso proprio una
bella cotta.
“Com’è andata oggi?” volle
sapere Kioko-sensei sorridendo ad entrambi.
Renji aveva abbandonato l’aria da duro e sembrava essere
entrato in quella fase di timidezza che difficilmente
l’avrebbe aiutato a compiere una conversazione decente. Rukia
se ne accorse e decise di rispondere lei.
“Non benissimo” confessò
“è stato un gruppo un po’ deludente.
Solo uno studente sembra avere qualche
possibilità” e volse il capo verso una minuta
studentessa dall’incarnato pallido e due grandi occhi grigi
un po’ arroganti che li stava salutando con un lieve inchino
per poi raggiungere gli altri studenti.
“Quella è Shizumi-san!” la riconobbe
Kioko “è molto brava nel padroneggiare il kido.
Sono proprio curiosa di vedere che forma rilascerà la sua
spada una volta nel Gotei 13. È una giovane davvero
promettente e ha molta fiducia in sé stessa”
Rukia approvò “A parte lei, nessun altro
però oggi”
Kioko sembrò dispiaciuta “è un vero
peccato, avete iniziato la selezione partendo dalle ultime classi,
credevo che ne avreste trovati in tanti ad essere pronti a lasciare
l’Accademia prima del tempo” si fece pensierosa
“se le cose vanno così, allora potrebbe essere
anche peggio con gli studenti dei primi anni”
Renji, il cui cuore innamorato sembrava non tollerare il dispiacere sul
viso di porcellana di Kioko, si affrettò ad aggiungere
“Non è detto! Rukia, non manca ancora uno studente
da mettere alla prova?”
Rukia lo guardò interrogativa, si era già
dimenticata del giovane a cui aveva promesso una seconda chance, e poi,
ricordatesene, aveva guardato Renji così come si guarda un
folle. Davvero voleva che lei desse corda ad un ragazzino che non
capiva nemmeno il pericolo per la propria vita?
“Non dirai sul serio?”
“Gliel’hai promesso, Rukia. E poi non sei stata tu
a dire che quel ragazzo aveva qualcosa di particolare nello sguardo?
Uno scopo e una risolutezza che non si incontrano tutti i giorni in
qualcuno della sua età?”
Rukia non disse niente all’inizio, poi aggiunse
“è ferito, vuoi dargli un’altra
delusione?”
Questa volta però a rispondere fu Kioko “allora
fatelo partecipare alla selezione di dopodomani. Avrà tutto
il tempo di riprendersi”
Renji guardò Kioko come se avesse risolto chissà
quale matassa e sorridente invitò Rukia ad andare in
infermeria a portare personalmente la notizia a quel giovane speranzoso.
Sbuffando per quel contrattempo in cui lei stessa si era cacciata,
Rukia raggiunse l’infermeria e si lasciò
accompagnare dallo shinigami della quarta divisione assegnato a quella
struttura verso il paziente che lei cercava. La condusse in una sala
dove i letti dei malati erano separati da delle tende. Tranne un paio,
la maggior parte erano vuoti. Quando Rukia scorse il viso di Saito, che
vedendola arrivare a sua volta le sorrideva felice, non diede
importanza alla persona davanti a Saito che le dava le spalle. Quanto
meno, non lo fece fino a che quella persona non si decise a voltarsi.
In quell’istante, il tempo parve scorrere lentamente e Rukia
non riuscì a fare un altro passo: quella persona, altri non
era che Ichigo.
*Hado no33 hakuouki:
Il kido è una forma di magia usata dagli Shinigami. L'Hado
(incantesimo offensivo) #33 è un kido di attacco
che consiste nella creazione di una massa spirituale blu che viene
spedita contro il bersaglio.
Desidero ringraziare di cuore tutti quelli che leggono, seguono e
commentano questa fanfiction. Non so dirvi cosa significhi per me il
fatto che spendiate del tempo per farlo. Grazie! Al prossimo capitolo.
Non
riusciva a muovere un solo muscolo. Era completamente rapita da quello che i
suoi occhi vedevano, che il suo cuore desiderava e che la sua mente
difficilmente era disposta ad accettare: Kurosaki Ichigo era lì, a qualche
passo da lei. Per quei brevi secondi, nella stanza non esistette nessun altro
per Rukia che chissà quante volte aveva immaginato quel momento e che adesso
non sapeva cosa fare. Un suono ovattato giunse alla sue orecchie riuscendo a
riportarla alla lucidità. Era Saito che sorridente ed entusiasta la chiamava
per nome.
“Kuchiki-sensei!
Grazie per essere venuta!” esclamò il ragazzo voltandosi raggiante verso di
lei.
Tornò
in sé e guardò Saito che forse era troppo felice per accorgersi della confusione
dipinta sul viso di Rukia.
“Lasciate
che vi presenti mio fratello” continuò Saito con lo stesso entusiasmo e Rukia
dovette riportare lo sguardo su quel ragazzo che aveva il volto di Ichigo
“Keichi, questa è Kuchiki-sensei”
Il
ragazzo che le veniva presentato indossava l’uniforme dell’Accademia. Con
rispetto fece un breve inchino e poi allungò la mano verso di lei con quel
sorriso che Rukia conosceva così bene. Strinse la mano che gli stava porgendo e
sentire nuovamente quel tocco e quel calore fu come una scossa per lei.
Frastornata da quella cascata di emozioni, Rukia cercò di evitare lo sguardo di
quel giovane che diceva di chiamarsi Keichi.
“E’
un onore fare la vostra conoscenza, Kuchiki-sensei” disse Keichi e Rukia poté
constatare come non solo l’aspetto e le espressioni del viso, ma anche la voce
era esattamente come quella di Ichigo “Spero che mio fratello non vi abbia dato
dei problemi” guardò affettuosoSaito e
aggiunse “si è già messo nei guai, vedo”
Saito,
sentendo il suo orgoglio ferito, ritrasse a sé la mano fasciata e fulminando
con lo sguardo il fratello guardò Rukia che stava vivendo quella scena come se
si trovasse in un sogno.
“Fa
poco lo spiritoso, fratello, entrerò nel Gotei 13 prima di te, vero
Kuchiki-sensei? È venuta qui per dirmi che posso rifare la prova, non è così?”
Keichi
rise per quello che Saito aveva detto e Rukia rimase silenziosamente a fissarlo
mentre si prendeva gioco del povero Saito esattamente come avrebbe fatto
qualsiasi fratello. Guardava Keichi, che per lei altri non era che Ichigo, e
aspettava che da un momento all’altro quel giovane l’avrebbe avvicinata a sé e
sussurrando il suo nome l’avrebbe abbracciata. Non ci sarebbe stato bisogno di
aggiungere altro, quel semplice gesto sarebbe valso più di mille parole e quel
contatto avrebbe colmato anni di lacrime e solitudine. Ma la persona che aveva
davanti, sebbene all’apparenza sembrasse Ichigo, sembrava vederla per la prima
volta. Quella sorta di distanza le fece male.
“Di
sicuro sei riuscito ad entrare prima di me in una infermeria. Ah ahah!” lo schernì Keichi.
Intanto,
lo shinigami della quarta divisione, responsabile di quella struttura, la
riportò nuovamente alla realtà assicurandole che effettivamente il ragazzo
sarebbe completamente guarito in un paio di giorni. A Rukia non restò che
acconsentire e tornando a guardare Saito che continuava a inondarla di
ringraziamenti, non riuscì a trattenersi nel lanciare furtiva ancora qualche
sguardo fugace a Keichi. Voleva uscire da quella stanza, restare da sola e fare
ordine nei suoi pensieri e nel suo cuore.
“E’
stato un piacere, Kuchiki-sensei. A presto” la salutò Keichi e Rukia ammise
d’aver forse trattenuto troppo il suo sguardo sul volto del giovane che le
sorrise ancora ignorando d’aver fatto riprendere a battere il cuore di quella
piccola shinigami.
Quando
Rukia fu fuori dall’edificio, fu come se il suo fisico si sentisse libero di
cedere finalmente a quello stress emotivo a cui era stato sottoposto. Le gambe
iniziarono a tremarle e si appoggiò al muro riuscendo a compiere ancora qualche
passo, infine cedette e si lasciò scivolare fino al suolo. Poggiò la testa al
muro e respirò a pieni polmoni sentendosi stranamente debole. L’ultima cosa che
udì prima di perdere conoscenza fu la voce di Renji che accorreva per
soccorrerla, ma quello che i suoi occhi videro prima che la vista le si
oscurasse del tutto fu ancora una volta il volto di Ichigo.
Quando
Rukia riprese conoscenza, le mani delicate di Misaki avevano appena posto sulla
sua fronte un panno umido. Lentamente aprì gli occhi e fu accolta dal sospiro
di sollievo della donna che esternava la sua felicità nel vedere che le sue
condizioni stavano migliorando. Rukia era a casa. Portò una mano alla testa e
riuscì a mettersi seduta dopo le continue insistenze di Misaki nel restare
sdraiata.
“Siete
svenuta, Rukia-san, dovete riposare”
Ma
Rukia ignorò le sue premure e si mise in piedi, pretendendo di sapere se quello
che ricordava era davvero accaduto “Devo andare in Accademia…” sussurrò “devo
vedere Renji!” si, Renji l’avrebbe aiutata a trovare quel Keichi, anche lui
sarebbe rimasto di stucco nel vedere come quello studente fosse identico a
Ichigo e insieme avrebbero capito perché non ricordava niente di loro. Per
tutti quegli anni aveva vissuto silenziosamente come Keichi, ma lei avrebbe
fatto ritornare Ichigo. Si mise in piedi e superò Misaki che impotente non
riuscì a fermarla, ma Rukia non andò molto lontano perché a sbarrarle la porta
trovò suo fratello. Lo sguardo severo con cui Byakuya la stava fissando fece
vacillare la determinazione di Rukia per alcuni secondi.
“Nii-sama?”
sussurrò.
L’espressione
di rimprovero assunta da Kuchiki Byakuya riempì il silenzio che si pose tra di
loro. Rukia non disse niente, ricambiava il suo sguardo e attendeva che egli
parlasse.
“Non
uscirai da questa casa fino a mio nuovo ordine” le disse con tono marziale e
uccise sul nascere qualsiasi protesta di Rukia aggiungendo “è il tuo capitano
che te lo ordina” e senza darle modo di poter ribattere, Byakuya le diede le
spalle e andò via.
“Voglio
vedere Renji” gli urlò dietro Rukia che ancora non voleva desistere.
Byakuya
si volse lentamente, quel tanto da permettere ai suoi freddi e severi occhi di
trafiggere la fragile figura di Rukia “Non hai alcun motivo per vedere Abarai
Renji. Non avrei mai dovuto acconsentire alla sua folle idea” fece una pausa
“sei troppo debole”
Rukia
risentì il colpo di quelle parole e stremata, delusa e dispiaciuta si accasciò
sul pavimento di legno e Misaki la esortò a tornare a letto.
Quando
le tenebre della notte giunsero, Rukia sgattaiolò fuori dalla sua residenza.
Prima di raggiungere il portale non si accorse di essere seguita e un timido
paio di occhi verdi la videro svanire verso il mondo degli umani.
Raggiunta
Karakura, Rukia si diresse verso casa di Ichigo e attese. Nel giro di pochi
minuti, la figura di Urahara le fu affianco accompagnata dalla sua solita aria
di mistero.
“Ultimamente
ci incontriamo spesso, Kuchiki-kun” le disse cercando di decifrare
l’espressione di lei da sotto la visiera del cappello.
“L’ho
rivisto” bisbigliò Rukia, serrò i pugni e la voce quasi le tremò quando disse
“devi aiutarmi” e guardò Urahara con un’espressione
che rendeva chiara la sua disperazione “Perché non si ricorda di me?” e gli
occhi le si riempirono di lacrime.
Urahara
abbassò lo sguardo e si sistemò meglio il cappello “Te l’ho già detto,
Kuchiki-kun, l’anima di Kurosaki Ichigo non solo è ritornata alla soul society,
ma è rinata. Sebbene ne abbia mantenuto l’aspetto, devi accettare che chiunque
tu abbia visto adesso è un’altra persona. I ricordi di Ichigo, questo giovane
li ignora completamente. So che è un’amara consolazione, ma non puoi farci
niente”
Eppure
Rukia non sembrava disposta a mollare e Urahara parve capirlo “Hai detto che lo
spirito di Ichigo era così forte d’aver mantenuto il suo aspetto da umano,
perché questo non dovrebbe valere anche per i suoi ricordi?” chiese lei quasi
con rabbia “in una parte di quel… di quel Keichi ci deve essere ancora Ichigo!
Anche tu sai che è così, non è vero Urahara?” gli urlò contro e con le lacrime
che le rigavano il viso.
Urahara
le si avvicinò e da sotto la visiera del suo cappello, Rukia poté scorgere i
penetranti occhi grigi di quell’uomo dai mille segreti.
“Sei
davvero disposta, Kuchiki-kun, a far rivivere a Ichigo
tutto quello che ha passato? Le battaglie, il dolore e le perdite che ha dovuto
subire solo per il tuo egoismo?”
Rukia
sgranò gli occhi. Quelle parole l’aveva ferita più di quanto qualsiasi lama
avrebbe potuto fare. Urahara si allontanò da lei e,
dandole il tempo di metabolizzare quello che le aveva appena detto, fece una
breve pausa e aggiunse “A te la scelta, Kuchiki-kun” e senza aggiungere altro
sparì nella notte di Karakura lasciando Rukia in preda allo shock e allo
sconforto.