Amore e Morte

di Nothingness
(/viewuser.php?uid=540906)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Capitolo Roby Bleach



Due ben', caro amor mio,
concesse a noi la sorte;
un bacio ed un addio,
un talamo e una fossa, amore e morte;
I tuoi baci, Mario Rapisardi






CAPITOLO I






L’abbagliante luce di un raggio di sole che le sfiorava il viso riuscì a destarla dal torpore in cui si trovava. Aprì i grandi occhi blu scuro trovandosi sotto un cielo color cobalto e privo di nuvole. Era sdraiata su quello che evidentemente era il tetto di un edificio. Si mise in piedi, confusa, e senza avere la benché minima idea di dove si trovava. Non era il Seireitei. Era il mondo degli umani e in breve riconobbe il panorama che aveva di fronte. Conosceva quella città, in fondo ci aveva vissuto. Un senso di nostalgia l’avvolse e la tristezza si impossessò di lei al solo ricordo di quei giorni passati e che non sarebbero più tornati, ma… perché era lì? D’un tratto, percepì qualcosa. Un brivido corse lungo la sua schiena e l’istinto la costrinse a voltarsi. Su, nel cielo che tanto sereno era stato fino a qualche istante prima, era apparso uno squarcio. Da quella nera fenditura, orde di Hollow avevano preso a venir fuori. Stavano attaccando la città. Era atterrita, mai nella sua vita ne aveva visti così tanti. Immediatamente portò la mano al fianco sinistro, pronta ad afferrare la spada e a far del suo meglio per difendere la città. Le sue dita, però, non sfiorarono affatto l’impugnatura della zanpakuto. Girò il capo corvino di scatto e incredula dovette constatare che non aveva con sé la sua spada. Le urla strazianti degli abitanti invasero le sue orecchie. Il cielo e le strade si tinsero di rosso e il suo cuore smise quasi di battere quando in quell’inferno riconobbe lui. Privo di sensi e con una ferita che gli squarciava una spalla, se ne stava in completa balia di un Hollow. Era disarmata, era sola… le lacrime le riempirono gli occhi e la sua voce che nominava il suo nome sembrò perforarle i timpani. L’Hollow stava per infliggergli il colpo mortale e lei si era mossa senza più il completo controllo del suo corpo, senza speranza, ma senza la forza di lasciarlo morire: “ICHIIIGOOOOO!!!!”
“Rukia-san, Rukia-san”
La porta della stanza di Rukia si aprì di scatto. Kuchiki Rukia era seduta sul suo futon a guardare un punto impreciso della stanza, madida di sudore, con il fiato corto e con un nome sulle labbra: “Ichigo”. Era un sogno, pensò Rukia mentre riprendeva coscienza di se stessa. Portò una mano alla testa, dolente e ancora confusa. Che brutti scherzi le giocava ancora il suo cuore.
“Rukia-san, state bene?”
Una giovane donna si era avvicinata a Rukia con la preoccupazione dipinta sul viso e con gli occhi verdi colmi d’ansia.
“Va tutto bene, Misaki, era solo un sogno” rispose Rukia abbozzando con difficoltà un sorriso che mal celava il suo stato d’animo. Misaki parve accorgersene e, solo dopo le continue rassicurazioni di Rukia, la donna lasciò la stanza. Rimasta sola, Rukia non aveva proprio voglia di tornare a dormire, non se dormire significava rivivere per l’ennesima volta quel sogno. Levò via le coperte e fece scorrere la porta che dava in uno dei giardini interni della villa di famiglia. Si sedette osservando con poca attenzione la luna che si specchiava nel piccolo cerchio d’acqua del laghetto di carpe koi. Poi chiuse gli occhi e, stringendo le ginocchia al petto, iniziò a piangere e se mai qualcuno fosse stato lì a vegliare su di lei avrebbe potuto confermare che ella pianse per tutta la notte.
Quando il mattino giunse, Rukia indossava già la sua fascia da tenente e una maschera di finta indifferenza con cui ormai aveva imparato a mostrarsi. Che le credessero o meno, questo inganno era riuscito a mettere fine agli sguardi di compassione con cui in molti, conoscenti e non, avevano preso a guardarla. Non riusciva a tollerarli, era come se tutti nel Seireitei fossero spinti da buone intenzioni e la invitassero ad andare avanti. Ma come poteva andare avanti se tutto quello che il suo cuore desiderava era rimasto indietro? Persino dopo tutto quel tempo, persino con quella maschera, Rukia non riusciva a vivere un singolo giorno. Meccanicamente, esattamente come faceva a fine di ogni giornata, si recava nello studio di suo fratello per fare rapporto. Lo aggiornava sui pattugliamenti, sulle missioni svolte, sui problemi presenti e gli consegnava le scartoffie che la burocrazia della soul society pretendeva che venissero viste e firmate dal capitano della VI divisione. Finito ciò, meccanicamente, come ogni giorno, Rukia si sarebbe ritirata nella sua stanza e si sarebbe lasciata andare ad un sogno ce non sarebbe stato di certo ristoratore.
“Manca solo il rapporto della squadra di Saito-san. Non sono ancora rientrati. Ho già inviato una squadra di supporto nel caso fosse accaduto qualcosa o ci fossero delle difficoltà” disse Rukia finendo così i propri doveri per quella giornata. Byakuya stava seduto alla sua scrivania, impegnato in chissà quale documento, e non la guardò nemmeno.
“E’ tutto. Con permesso, capitano” disse e fece per andarsene.
“Aspetta”
Rukia dovette ritirare la mano che già stava spingendo la porta e si volse. Byakuya la stava fissando. La luce delle candele rendeva profondi e impenetrabili quegli occhi scuri dai riflessi color malva che da sempre riuscivano a metterla in suggestione.
“Forse dovresti prenderti qualche giorno di permesso” le disse.
Rukia sembrò confusa “Non capisco”
“Non servi a niente se prima non ti prendi cura di te stessa”
“Io sto benissimo” ribatté lei, ma quello sguardo screziato d’ametista si fece più severo, rimproverandola per quelle parole.
“Menti pure a chi vuoi, ma non osare prenderti gioco di me. Come puoi dire di stare bene se la notte non riesci nemmeno a dormire?”
Rukia era stizzita “E’ stata Misaki a dirtelo, vero?”
“E’ solo preoccupata per te”
“Smettetela di essere tutti preoccupati per me!!!”
Aveva urlato invasa dalla rabbia e dalla frustrazione che generalmente riusciva a controllare. Byakuya continuò a scrutarla. Rukia sapeva fino a dove quegli occhi potevano arrivare e non voleva che lo facessero. Stava per andarsene, ma suo fratello parlò ancora:
“Non è stata colpa tua”
Rukia strinse i pugni. Quelle erano le parole che odiava, quelle che non tollerava che le venissero rivolte, quelle che secondo alcuni potevano farla sentire meglio.
“Ora sei tu che ti prendi gioco di me, nii-sama” disse e pretendendo di essere lasciata in pace, andò via portando con sé il suo dolore, unico abitante del suo cuore spezzato.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Cap II ROby




CAPITOLO II


Non so pensarci. Eppure mi ritorna
più e più insistente all'anima
quel suo fugace sguardo di commiato.
Amore, Vincenzo Cardarelli



Camminava seria e imperscrutabile sotto il portico di legno che dalla sua stanza l’avrebbe condotta al vialetto principale dove si trovava l’imponente portone di villa Kuchiki. Rukia era pronta ad affrontare un’altra giornata.
“Rukia-san”
Dietro l’angolo apparve Misaki. Con il capo abbassato e i lunghi capelli biondi ad incorniciarle il viso, Misaki se ne stava immobile, come se la mortificazione per qualcosa che aveva fatto schiacciasse le sue parole e i suoi movimenti. Forse, pensò Rukia, la sera prima Misaki doveva aver udito la conversazione tra lei e Byakuya e, se così era, non doveva essere sfuggito alla donna il tono usato da Rukia quando aveva capito che era stata proprio Misaki a parlare con suo fratello. Rukia si dispiacque per lei. Misaki era una brava persona e non si meritava un trattamento simile.
Distese  le labbra in un sorriso “Va tutto bene, Misaki, ti prego di accettare le mie scuse” le disse.
Misaki parve sorpresa e alzò il capo verso Rukia “Devo la vita alla vostra famiglia, Rukia-san, se in qualche modo vi ho offeso vi chiedo perdono, ma l’ho fatto per il vostro bene”
“Lo so” bisbigliò Rukia mantenendo ancora per poco quel sorriso “Sto bene, grazie Misaki” e la superò. Continuò a camminare fino a percorrere la strada che affiancava le mura che circondavano la sua casa. Tra tutti Byakuya era stato l’unico a capire come trattarla. In linea di massima, suo fratello non aveva cambiato atteggiamento nei suoi riguardi e solo raramente affrontavano conversazioni come quella avuta la sera prima. “Non è stata colpa tua” … come potevano pensare che quelle parole fossero di conforto?  Era colpa sua! Se non fosse stato per lei, lui sarebbe …
“Rukia!!”
Fermò i suoi passi e si voltò sapendo già chi avrebbe visto dato che ne aveva riconosciuto la voce. La chioma rossa di Renji risaltava nel chiarore del mattino mentre le andava incontro.
“Stavo venendo a trovarti” le disse “ è un pezzo che non ci vediamo”
Renji … il ricordo del viso di Renji ricoperto di sangue, che urlava disperato, mentre lei affrontava il suo destino. Un destino che in un attimo si era rassegnata ad accettare se questo significava salvare le loro vite; un destino che invece non aveva nemmeno sfiorato perché lui si era messo in mezzo. L’aveva strappata ad esso e ne aveva pagato il prezzo più alto. E Renji era lì, lui aveva visto tutto e, soprattutto, sapeva che la colpa era sua.
“Siamo sommersi di lavoro, è normale avere poco tempo per noi stessi” rispose lei evitando di guardarlo negli occhi, “è stato bello vederti, Renji, ma adesso devo andare” ma non andò da nessuna parte perché Renji la trattenne.
“Aspetta! Ormai incontrarci è raro. Perché non prendiamo un giorno di riposo?
Rukia lo guardò diffidente “Non siamo più dei bambini, Renji, abbiamo delle responsabilità. La fascia che porti al braccio sinistro dovrebbe ricordartelo”.
Un ghigno decorò il viso di Renji e con le sopracciglia corrucciate si chinò verso Rukia “ Ehi, vacci piano. Sono tenente da molto più tempo di te e conosco bene i miei doveri, non c’è bisogno che venga tu a farmi la ramanzina”.
Rukia incrociò le braccia al petto e gli restituì lo sguardo “Sono contenta che tu te ne renda conto, quindi non mi resta che augurarti buona giornata” e trionfante gli diede le spalle accingendosi a fare i primi passi, ma Renji la superò e si mise davanti a lei sbarrandole la strada.
“E dai aspetta, ho un’idea: e se mi facessi compagnia in un posto? Riguarda il gotei 13, ovviamente, ed è una mia iniziativa. Mi farebbe piacere se venissi con me. Lavoreresti e allo stesso tempo staremmo un po’ insieme, che ne dici?” la guardava speranzoso e Rukia non riuscì a dire di no al suo vecchio amico.
“E dove sarebbe questo posto?”
Renji rise “ vedrai, ti piacerà”
In poco tempo arrivarono all’accademia di shinigami, dove  giovani reclute che ambivano al ruolo di shinigami del gotei 13 venivano addestrate.
“Che ci facciamo qui?” chiese Rukia perplessa, ma Renji la ignorò cingendo con un braccio le piccole spalle di lei.
“Quanti ricordi, eh? Certo che ne abbiamo fatta di strada!”
Per quanto non capisse cosa stessero facendo lì e perché Renji l’avesse portata con sé, Rukia non poté evitare di sorridere e di lasciarsi andare ai ricordi.
“Su, entriamo”
“Vuoi dirmi che ci facciamo qui?” insistette lei mentre percorrevano quelle sale e quei corridoi tanto familiari.
L’espressione sul volto di Renji cambiò “Ho un piccolo progetto” iniziò a spiegare “l’addestramento in accademia dura 6 anni, giusto? I margini di tempo non mi hanno mai convinto perché credo che tutto in fondo dipenda dalle singole capacità. Quanti ne abbiamo visti morire perché ancora inesperti? Oppure quanti talenti sono andati sprecati per anni tra queste mura perché il regolamento imponeva che terminassero i 6 anni di addestramento?” Rukia lo guardava interdetta e lo lasciò proseguire “Quello che voglio offrire a questi cadetti è il nostro aiuto. Li supervisioneremo e saremo noi a seguire i migliori da allenare personalmente nel gotei 13. Sai bene quanto me che l’accademia dà un’istruzione limitata rispetto a quello che c’è la fuori. Chi vedremo ancora inesperto rimarrà in accademia anche se ha terminato i 6 anni o quanto meno gli verrà affidato un lavoro d’ufficio, ma mai uno sul campo. Lo trovo un metodo molto più efficiente”
Rukia si fece pensierosa e si ritrovò ad analizzare le parole di Renji.
“Kioko-sensei” esclamò Renji entusiasta e Rukia sollevò lo sguardo sulla donna dai lunghi capelli neri che si avvicinava a loro. Era una delle insegnati dell’accademia. Renji la presentò a Rukia e quest’ultima notò il lieve rossore sulle gote dell’amico che evidentemente doveva provare qualcosa per quell’affascinante donna. Si ritrovarono nell’ampio corridoio dove un viavai di studenti facevano da sfondo a loro che parlavano proprio del futuro di quei giovani. Kioko-sensei sembrava entusiasta dell’iniziativa  e informava Renji di come il Consiglio dell’accademia approvasse il suo progetto e gli dava carta bianca e la completa libertà di iniziare quando voleva. Renji sembrava scoppiare di felicità.
“Grazie mille, Kioko-sensei, non vi deluderemo” poi prese Rukia e la tirò a sé “Rukia tirerà su degli eccellenti shinigami. Faremo un ottimo lavoro, garantito!”
Rukia sussultò. Maledetto Renji, pensò mentre Kioko-sensei la guardava colma di ammirazione.
“Renji, ma cosa?”
Quando aveva dato il suo consenso? E quando Renji le aveva chiesto di partecipare a questo progetto? Rukia era stata incastrata e distolse lo sguardo verso il caotico viavai di studenti e in quel momento il suo cuore mancò un battito…
I capelli biondo scuro, quasi arancione, spiccarono immediatamente ai suoi occhi increduli. Gli occhi marroni, grandi e determinati, non la guardarono neppure mentre lei non riusciva a distogliere lo sguardo da quella figura slanciata che, come se niente fosse, si trovava lì’ a pochi passi da lei.
“Ichigo?” bisbigliò mentre quel ragazzo usciva dal suo campo visivo. Si divincolò da Renji e si voltò alla ricerca di quello che altri non poteva essere se non Ichigo, ma non lo vide più.
“Rukia, che succede?”
Rimase ancora qualche secondo a scrutare quel corridoio “Niente” disse in fine. Evidentemente, pensò, il suo cuore si prendeva gioco di lei anche da sveglia.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Cap III Bleach




CAPITOLO III




[...] e assaporare, flebile e inattesa, la speranza di riaverti.
E.P.M.





Quella notte, di dormire Rukia non voleva proprio saperne. Un pensiero fisso tormentava la sua mente al punto da farle sembrare di impazzire. Si tirò su dal letto, indossò i suoi abiti e impaziente aprì la porta per uscire. Non poteva più attendere, doveva raggiungere il mondo degli umani. Furtiva arrivò al portale e, assicuratasi di non essere vista o seguita, si affrettò ad oltrepassarlo. Questo ebbe in lei uno strano effetto, era qualcosa di troppo complesso per poterlo spiegare, ma abbastanza intenso da farle salire il cuore in gola. Tralasciando i suoi incubi, raramente aveva più messo piede nella città di Karakura. La città, sotto la placida luna della sera, riposava tranquilla. Leggiadra ed invisibile ad occhio umano, Rukia si spostò da un edificio all’altro con il cuore in subbuglio. Si fermò solo quando arrivò in prossimità di una casa. Era modesta, praticamente identica a quelle di tutto il vicinato, su due elevazioni, oscurata dalle tenebre della notte, ma illuminata dal significato che aveva per lei: quella era la casa di Ichigo. Non seppe nemmeno quantificare il tempo che trascorse ad osservare quell’edificio in silenzio, immobile, praticamente come se stesse aspettando qualcosa e d’un tratto provò proprio ad essere franca con sé stessa: cosa stava aspettando in realtà? Quale segno o quale indizio pensava di trovare? Era davvero Ichigo quello visto all’Accademia? Era assurdo… e in un attimo di lucidità si rese conto di come fosse disperata se un semplice scherzo della mente era bastato per condurla fin lì. Si coprì il volto con le mani e in breve fu scossa dal pianto.
“E’ bello rivederti, Kuchiki-kun”
Pensando d’essere sola, Rukia trasalì nell’udire quella voce. Il cappello a strisce di Urahara nascondeva come sempre parte del suo viso, ma un sorriso di conforto fu ben in vista a Rukia che con l’orlo della manica cercava di asciugarsi le lacrime. Non disse niente e tornò a guardare l’abitazione.
“Non riuscivo a credere che quello che stavo percependo fosse proprio il tuo reiatsu, Kuchiki-kun” continuò avvicinandosi a Rukia e unendosi a lei in quella sorta di veglia, avvolti da quella calma surreale che solo la notte sa dare.
“Stanno bene?”
Urahara portò le mani dietro la schiena “Sono sicuro di sì, la Soul Society ha disposto per loro una sorveglianza costante, ma non so dirti altro. Hanno lasciato la città almeno un decennio fa.”
Urahara non disse altro, ma Rukia sentiva come quella frase sarebbe dovuta continuare “…ormai non avevano alcun motivo per restare”. I volti di Karin e di Yuzu apparvero nitidi nella sua mente, così come nitido era il ricordo sia della disperazione del pianto di Yuzu che della rabbia straziante di Karin che inveiva contro l’intero seireitei per aver coinvolto Ichigo fino a quel punto. Rukia fu avvolta da un senso di amarezza e il tormento si riaccese vivo in lei al pensiero d’aver rovinato la vita a quelle due ragazze che prive anche del fratello non avevano più una famiglia.
Spostò gli occhi sulla sinistra della casa, esattamente verso la finestra del primo piano e dovette ricacciare indietro le lacrime che tornavano a riempirle gli occhi “Ieri…” tentennò “mi è sembrato di vederlo” confessò.
Urarhara abbassò il capo: “Capisco cosa vuoi dire” disse ma percependo già il suo scetticismo Rukia non lo lasciò continuare.
“Potrei giurare d’averlo visto” ribattè con voce ferma.
Se Urahara non avesse indossato il suo cappello, Rukia avrebbe potuto notare come lo sguardo di lui fosse cambiato “Kuchiki-kun, a volte desiderare qualcosa può …” ma anche qui dovette fermarsi preso com’era a non poter ignorare il modo in cui Rukia adesso lo guardava.
“Pensi che stia impazzendo, è così?” chiese lei e voltandosi tornò a guardare la casa che era appartenuta a Kurosaki Ichigo “anche io mi sono già data della pazza” ammise con un sorriso amaro.
Com’era stata stupida.
Urahara portò una mano al cappello e con gesti abitudinari se lo sistemò meglio sul capo biondo “Non è detto.”
Rukia si voltò di scatto. Conosceva Urahara, conosceva quel tono di voce e soprattutto conosceva l’intensità di quello sguardo “Cosa stai cercando di dirmi?” chiese all’istante e con gli occhi lucidi.
Mantenendo quello sguardo e la serietà infrangibile sul suo voltò, Urahara rispose “Kuchiki-kun, conosci il legame che esiste tra la Soul Society e il mondo degli umani, non è così? Le anime degli umani provengono dalla soul society e quando un umano muore la sua anima ritorna a far parte della soul society. Come puoi vedere i due mondi si trovano in perfetto equilibrio, un equilibrio che deve essere preservato. È per questo che esistono gli shinigami. Quando un’anima si trasforma in hollow a causa del suo attaccamento alla vita terrena, gli shinigami devono purificarla così che l’anima possa fare ritorno alla soul society”.
Rukia, nell’udire quella spiegazione, continuò a guardarlo fisso iniziando a capire dove egli volesse arrivare “Vuoi dire che… “
“Quello che sto cercando di dirti è che dopo la sua morte, l’anima di Kurosaki Ichigo deve essere tornata alla soul society come qualsiasi altra anima di un essere umano e, tenendo conto dell’intensità del suo spirito, non escluderei che abbia mantenuto esattamente le sue sembianze”

Per la prima volta, dopo quasi vent’anni, il sorgere del sole portò qualcosa di diverso in Kuchiki Rukia. Glielo si leggeva negli occhi e benché ella stessa sapesse come tutto potesse andare in fumo perché solo un’ipotesi, Rukia non se la sentiva di lasciar andare quella speranza che finalmente le dava una ragione per andare avanti. Si affrettò così ad uscire di casa, impaziente di trovare le risposte che cercava e sarebbe andata via all’istante se una sagoma, minuta e discreta, non fosse entrata con discrezione nel suo campo visivo. Si fermò. Misaki la guardava con quell’aria di sincera preoccupazione con cui, per quanto Rukia ricordasse, l’aveva sempre guardata. Misaki non disse nulla, come se fosse vittima dell’indecisione, e solo dopo alcuni secondi trovò il coraggio di parlare “Rukia-san” disse facendo qualche passo avanti “non dirò niente a vostro fratello, ma… qualunque cosa vi abbia spinto fin lì, se riesce a farvi star meglio, allora fatelo ma vi prego di fare attenzione” e senza dar a Rukia modo di ribattere, si piegò leggermente in avanti come segno di rispetto e si congedò.
Rukia avrebbe voluto fermarla, ma il pensiero costante di Ichigo la spinse al di là dell’antico portone dell’ingresso principale senza voltarsi indietro. Qualcosa delle parole di Misaki però la fece riflettere. Si, c’era qualcosa che la faceva star meglio, ma non si trovava nel mondo degli umani come Misaki credeva, era lì nella soul society, c’era da tempo, accanto a lei e lei stava correndo verso di lui perché ingiustamente e per troppo tempo erano stati separati.
Quando raggiunse il padiglione della tredicesima divisione, Rukia aveva il fiato corto. Per un attimo i suoi occhi blu scuro si soffermarono sull’insegna su cui spiccava il bucaneve, scelto come stemma delle tredicesima brigata e simbolo di speranza. Che ironia, pensò. Di speranza ne aveva proprio bisogno e il destino aveva voluto che lei ricominciasse proprio dalla brigata che anni prima aveva dovuto lasciare. Sorrise ed entrò alla ricerca di Renji. Lo trovò quasi subito e Renji, esattamente come la maggior parte degli ex compagni di brigata di Rukia, non nascose un certo stupore nel vederla da quelle parti. Adesso era Renji il tenente della tredicesima brigata, lo era diventato per esaudire una richiesta di Byakuya che, dopo quello accaduto a Ichigo e lo stato in cui Rukia era caduta, preferiva averla sotto la sua stretta e personale sorveglianza non solo nel seireitei ma anche nel gotei 13.
Confuso, Renji vide Rukia avvicinarsi con decisione verso di lui.
“Renji, sebbene tu non me ne abbia parlato nè tantomeno chiesto…” iniziò lei.
Renji però la interruppe e assumendo un’aria mortificata iniziò a scusarsi “è vero, hai ragione! Prima avrei dovuto chiederti se volevi affiancarmi nel mio progetto per l’accademia e invece ti ci ho trascinato senza sapere il tuo parere” ma questa volta fu Rukia a non lasciarlo continuare.
“Non mi hai lascito finire. In realtà sono contenta che tu l’abbia fatto e sono venuta a dirti che hai la mia completa disponibilità”
E, avrebbe voluto aggiungere, la mia assoluta riconoscenza.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo IV ***







CAPITOLO IV








L’Accademia risplendeva di una luce completamente nuova per quei grandi occhi dello stesso colore del cielo notturno che caratterizzavano così tanto il viso di Kuchiki Rukia. L’idea di incontrare nuovamente Ichigo era stata come una scarica di adrenalina per lei che lentamente, lo sentiva, si stava spegnendo in quel mondo che privo di lui ormai aveva perso ogni significato. In quei giorni, però, le cose erano cambiate, lei stessa era cambiata. Seppur in modo così indiretto, pensò sorridendo dolcemente, Ichigo la stava salvando un’altra volta. Si era buttata a capo fitto in quel progetto con grande felicità di Renji, che però ignorava cosa in realtà spronasse così tanto Rukia, e che attribuiva a sé stesso il merito per aver introdotto Rukia in qualcosa che riusciva a farle tornare in qualche modo la voglia di vivere. Lo stesso Byakuya, la cui diffidenza per il progetto di Renji era stata pienamente espressa con uno sguardo di sufficienza mista a un’aria di altezzosità che chiaramente esponeva l’inutilità che quel progetto aveva, fu sorpreso di constatare come in realtà quel lavoro extra avesse portato un visibile miglioramento in Rukia.
“Non sarà niente di così gravoso, capitano” l’aveva rassicurato Abarai Renji mettendo avanti le mani sotto lo sguardo tagliente di Byakuya che sembrava pronto a sbatterlo fuori dal suo studio, ma Renji continuò a perorare la sua causa “al contrario, credo che sarà un lavoro ben più leggero e nettamente piacevole rispetto a quello che fa ora”.
Gli occhi dai riflessi ametista di Byakuya si erano ridotti a due fessure “Questo è il gotei 13, Renji, non un parco giochi e Rukia non è uno shinigami qualsiasi! Ricopre il ruolo di tenente al suo interno”
“Non era quello che volevo dire, capitano” aveva provato a scusarsi “Volevo solo trovare un espediente per distrarla, dopo tutto … Rukia…” Renji aveva abbassato lo sguardo, quasi afflitto più per l’amica che per un dispiacere personale.
Superato quel primo momento, però, Byakuya aveva effettivamente visto le buone intenzioni del suo precedente tenente e, dopo un profondo respiro, aveva dato il suo consenso a Renji per coinvolgere Rukia in quella sua idea che riguardava l’Accademia.
Effettivamente Rukia si dirigeva all’Accademia con un’espressione sul viso che Byakuya non le vedeva da tempo. Si trattava della determinazione che da sempre aveva brillato nei grandi occhi di Rukia e che da quasi un ventennio sembrava essere sparita. E quella determinazione cresceva con l’attesa del momento in cui avrebbe nuovamente incontrato lo sguardo rassicurante di Ichigo. Eppure, i giorni continuavano a susseguirsi e Rukia non aveva più rivisto Ichigo dopo quell’unica e fugace volta.
“Hado no33 hakuouki! AHHH!!” *
I pensieri di Rukia furono interrotti da un’esplosione che un giovane studente aveva scaturito a causa della sua inesperienza nell’usare il kido.
“Saito!” Rukia aveva gridato il nome del ragazzo che con il viso contorto in una smorfia di dolore tentava di nascondere alla vista dei due supervisori la ferita che si era procurato da solo alla mano destra. Renji era arrivato prima di Rukia e stava già soccorrendo il ragazzo sulla cui mano era apparsa un’abrasione che si estendeva fin oltre il polso.
“Devi essere medicato, accompagnatelo in infermeria,” aveva detto Rukia ad alcuni studenti che si erano avvicinati, poi era tornata a guardare il ragazzo, “forse il kido non fa per te”
Quelle parole sembrarono bruciare più della ferita che si era procurato perché il giovane guardò Rukia preoccupato “Kuchiki-sensei, so fare di meglio! Datemi un’altra possibilità!” supplicò mentre un altro studente lo spronava ad avviarsi verso l’infermeria, ma il ragazzo sembrava intenzionato a non volersi schiodare da lì se prima Rukia non gli avesse concesso la possibilità che egli desiderava.
“Saito, il kido può salvarti la vita, ma se non lo sai controllare allora ti si ritorcerà contro. Sono sicura che imparerai… ci vorrà solo un po’ di tempo”
Saito sgranò gli occhi e Rukia non seppe decifrare se lo fece per il dolore o perché con quelle parole veniva automaticamente eliminato dalla lista dei potenziali studenti che avrebbero avuto l’opportunità d’essere addestrati direttamente dai tenenti del gotei 13.
“Kuchiki-sensei” supplicò ancora il ragazzo “vi prego, so fare di meglio” era un sguardo fermo e determinato quello con cui adesso la guardava. Rukia capì che quello che quel ragazzo cercava non era vana gloria o puro compiacimento d’essere classificato superiore alla media, c’era dell’altro. Saito sembrava essere spinto da qualcosa di molto più importante, quello sguardo sembrava avere uno scopo ben preciso e alla fine Rukia non se la sentì di fare da ostacolo.
Mise una mano sulla spalla del giovane e disse “Va bene. A fine giornata verrò a vedere come stai e se ti riterrò in grado di continuare, allora avrai la tua seconda possibilità”
Il viso di Saito si illuminò e, con un sorriso colmo di riconoscenza, si decise a dirigersi verso l’infermeria.
Renji le si avvicinò “Pensi d’aver fatto la cosa giusta”
Rukia intanto continuava a guardare la sagoma che si allontanava “Credo di si”
Renji sospirò “Sai che non dovremmo fare favoritismi, vero? Avremmo dovuto dare una seconda chance anche ad altri studenti che forse lo meritavano più di lui”
“Non si tratta di favoritismo” si difese Rukia “C’è qualcosa in quel ragazzo per cui vale la pena tentare. Non so spiegartelo, ma sembra uno dei pochi ad avere una valida motivazione per diventare un ottimo shinigami. In fondo siamo qui anche per questo, no? Scovare dei diamanti allo stato grezzo da poter far brillare”
Renji sembrò stupito e guardò l’amica con una strana espressione che imbarazzò Rukia.
“Perché mi guardi in quel modo?”
“Sei diventata profonda” rispose Renji accarezzandole il capo corvino con affetto.
Rukia mise il broncio e con le guance ancora arrossate allontanò la mano di Renji ammonendolo per aver fatto qualcosa del genere davanti agli studenti che tenevano gli occhi fissi su di loro.
“Abbiamo ancora del lavoro da fare” disse lei riferendosi al gruppo di aspiranti shinigami che attendeva d’essere messo alla prova dai due tenenti.
Renji sorrise, era contento di vedere Rukia in quel modo.



Il sole stava già tramontando quando l’ultimo gruppo di studenti stava lasciando il cortile in cui Renji e Rukia osservavano le capacità da shinigami di quei ragazzi. Ne analizzavano essenzialmente la capacità con la spada e l’abilità nell’usare il kido come prima cosa, ma Renji e Rukia puntavano a mettere alla prova le capacità cognitive, i riflessi, i loro nervi saldi e l’inventiva che in uno scontro svolgono una grande importanza. Una figura, però, procedeva nel verso opposto a quello degli studenti. Slanciata ed elegante, Kioko-sensei si dirigeva verso Rukia e Renji con quel sorriso gentile che la contraddistingueva. Renji arrossì non appena i suoi occhi scorsero la bella shinigami e questa volta toccò a Rukia ridere e prendersi la propria rivincita sull’amico che si era preso proprio una bella cotta.
“Com’è andata oggi?” volle sapere Kioko-sensei sorridendo ad entrambi.
Renji aveva abbandonato l’aria da duro e sembrava essere entrato in quella fase di timidezza che difficilmente l’avrebbe aiutato a compiere una conversazione decente. Rukia se ne accorse e decise di rispondere lei.
“Non benissimo” confessò “è stato un gruppo un po’ deludente. Solo uno studente sembra avere qualche possibilità” e volse il capo verso una minuta studentessa dall’incarnato pallido e due grandi occhi grigi un po’ arroganti che li stava salutando con un lieve inchino per poi raggiungere gli altri studenti.
“Quella è Shizumi-san!” la riconobbe Kioko “è molto brava nel padroneggiare il kido. Sono proprio curiosa di vedere che forma rilascerà la sua spada una volta nel Gotei 13. È una giovane davvero promettente e ha molta fiducia in sé stessa”
Rukia approvò “A parte lei, nessun altro però oggi”
Kioko sembrò dispiaciuta “è un vero peccato, avete iniziato la selezione partendo dalle ultime classi, credevo che ne avreste trovati in tanti ad essere pronti a lasciare l’Accademia prima del tempo” si fece pensierosa “se le cose vanno così, allora potrebbe essere anche peggio con gli studenti dei primi anni”
Renji, il cui cuore innamorato sembrava non tollerare il dispiacere sul viso di porcellana di Kioko, si affrettò ad aggiungere “Non è detto! Rukia, non manca ancora uno studente da mettere alla prova?”
Rukia lo guardò interrogativa, si era già dimenticata del giovane a cui aveva promesso una seconda chance, e poi, ricordatesene, aveva guardato Renji così come si guarda un folle. Davvero voleva che lei desse corda ad un ragazzino che non capiva nemmeno il pericolo per la propria vita?
“Non dirai sul serio?”
“Gliel’hai promesso, Rukia. E poi non sei stata tu a dire che quel ragazzo aveva qualcosa di particolare nello sguardo? Uno scopo e una risolutezza che non si incontrano tutti i giorni in qualcuno della sua età?”
Rukia non disse niente all’inizio, poi aggiunse “è ferito, vuoi dargli un’altra delusione?”
Questa volta però a rispondere fu Kioko “allora fatelo partecipare alla selezione di dopodomani. Avrà tutto il tempo di riprendersi”
Renji guardò Kioko come se avesse risolto chissà quale matassa e sorridente invitò Rukia ad andare in infermeria a portare personalmente la notizia a quel giovane speranzoso.
Sbuffando per quel contrattempo in cui lei stessa si era cacciata, Rukia raggiunse l’infermeria e si lasciò accompagnare dallo shinigami della quarta divisione assegnato a quella struttura verso il paziente che lei cercava. La condusse in una sala dove i letti dei malati erano separati da delle tende. Tranne un paio, la maggior parte erano vuoti. Quando Rukia scorse il viso di Saito, che vedendola arrivare a sua volta le sorrideva felice, non diede importanza alla persona davanti a Saito che le dava le spalle. Quanto meno, non lo fece fino a che quella persona non si decise a voltarsi. In quell’istante, il tempo parve scorrere lentamente e Rukia non riuscì a fare un altro passo: quella persona, altri non era che Ichigo.





---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
*Hado no33 hakuouki: Il kido è una forma di magia usata dagli Shinigami. L'Hado (incantesimo offensivo)  #33 è un kido di attacco che consiste nella creazione di una massa spirituale blu che viene spedita contro il bersaglio.



Desidero ringraziare di cuore tutti quelli che leggono, seguono e commentano questa fanfiction. Non so dirvi cosa significhi per me il fatto che spendiate del tempo per farlo. Grazie! Al prossimo capitolo.


Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo V ***


 

 

 

CAPITOLO V

 

 

 

 

Non riusciva a muovere un solo muscolo. Era completamente rapita da quello che i suoi occhi vedevano, che il suo cuore desiderava e che la sua mente difficilmente era disposta ad accettare: Kurosaki Ichigo era lì, a qualche passo da lei. Per quei brevi secondi, nella stanza non esistette nessun altro per Rukia che chissà quante volte aveva immaginato quel momento e che adesso non sapeva cosa fare. Un suono ovattato giunse alla sue orecchie riuscendo a riportarla alla lucidità. Era Saito che sorridente ed entusiasta la chiamava per nome.

“Kuchiki-sensei! Grazie per essere venuta!” esclamò il ragazzo voltandosi raggiante verso di lei.

Tornò in sé e guardò Saito che forse era troppo felice per accorgersi della confusione dipinta sul viso di Rukia.

“Lasciate che vi presenti mio fratello” continuò Saito con lo stesso entusiasmo e Rukia dovette riportare lo sguardo su quel ragazzo che aveva il volto di Ichigo “Keichi, questa è Kuchiki-sensei”

Il ragazzo che le veniva presentato indossava l’uniforme dell’Accademia. Con rispetto fece un breve inchino e poi allungò la mano verso di lei con quel sorriso che Rukia conosceva così bene. Strinse la mano che gli stava porgendo e sentire nuovamente quel tocco e quel calore fu come una scossa per lei. Frastornata da quella cascata di emozioni, Rukia cercò di evitare lo sguardo di quel giovane che diceva di chiamarsi Keichi.

“E’ un onore fare la vostra conoscenza, Kuchiki-sensei” disse Keichi e Rukia poté constatare come non solo l’aspetto e le espressioni del viso, ma anche la voce era esattamente come quella di Ichigo “Spero che mio fratello non vi abbia dato dei problemi” guardò affettuoso  Saito e aggiunse “si è già messo nei guai, vedo”

Saito, sentendo il suo orgoglio ferito, ritrasse a sé la mano fasciata e fulminando con lo sguardo il fratello guardò Rukia che stava vivendo quella scena come se si trovasse in un sogno.

“Fa poco lo spiritoso, fratello, entrerò nel Gotei 13 prima di te, vero Kuchiki-sensei? È venuta qui per dirmi che posso rifare la prova, non è così?”

Keichi rise per quello che Saito aveva detto e Rukia rimase silenziosamente a fissarlo mentre si prendeva gioco del povero Saito esattamente come avrebbe fatto qualsiasi fratello. Guardava Keichi, che per lei altri non era che Ichigo, e aspettava che da un momento all’altro quel giovane l’avrebbe avvicinata a sé e sussurrando il suo nome l’avrebbe abbracciata. Non ci sarebbe stato bisogno di aggiungere altro, quel semplice gesto sarebbe valso più di mille parole e quel contatto avrebbe colmato anni di lacrime e solitudine. Ma la persona che aveva davanti, sebbene all’apparenza sembrasse Ichigo, sembrava vederla per la prima volta. Quella sorta di distanza le fece male.

“Di sicuro sei riuscito ad entrare prima di me in una infermeria. Ah ah ah!” lo schernì Keichi.

Intanto, lo shinigami della quarta divisione, responsabile di quella struttura, la riportò nuovamente alla realtà assicurandole che effettivamente il ragazzo sarebbe completamente guarito in un paio di giorni. A Rukia non restò che acconsentire e tornando a guardare Saito che continuava a inondarla di ringraziamenti, non riuscì a trattenersi nel lanciare furtiva ancora qualche sguardo fugace a Keichi. Voleva uscire da quella stanza, restare da sola e fare ordine nei suoi pensieri e nel suo cuore.

“E’ stato un piacere, Kuchiki-sensei. A presto” la salutò Keichi e Rukia ammise d’aver forse trattenuto troppo il suo sguardo sul volto del giovane che le sorrise ancora ignorando d’aver fatto riprendere a battere il cuore di quella piccola shinigami.

Quando Rukia fu fuori dall’edificio, fu come se il suo fisico si sentisse libero di cedere finalmente a quello stress emotivo a cui era stato sottoposto. Le gambe iniziarono a tremarle e si appoggiò al muro riuscendo a compiere ancora qualche passo, infine cedette e si lasciò scivolare fino al suolo. Poggiò la testa al muro e respirò a pieni polmoni sentendosi stranamente debole. L’ultima cosa che udì prima di perdere conoscenza fu la voce di Renji che accorreva per soccorrerla, ma quello che i suoi occhi videro prima che la vista le si oscurasse del tutto fu ancora una volta il volto di Ichigo.

 

Quando Rukia riprese conoscenza, le mani delicate di Misaki avevano appena posto sulla sua fronte un panno umido. Lentamente aprì gli occhi e fu accolta dal sospiro di sollievo della donna che esternava la sua felicità nel vedere che le sue condizioni stavano migliorando. Rukia era a casa. Portò una mano alla testa e riuscì a mettersi seduta dopo le continue insistenze di Misaki nel restare sdraiata.

“Siete svenuta, Rukia-san, dovete riposare”

Ma Rukia ignorò le sue premure e si mise in piedi, pretendendo di sapere se quello che ricordava era davvero accaduto “Devo andare in Accademia…” sussurrò “devo vedere Renji!” si, Renji l’avrebbe aiutata a trovare quel Keichi, anche lui sarebbe rimasto di stucco nel vedere come quello studente fosse identico a Ichigo e insieme avrebbero capito perché non ricordava niente di loro. Per tutti quegli anni aveva vissuto silenziosamente come Keichi, ma lei avrebbe fatto ritornare Ichigo. Si mise in piedi e superò Misaki che impotente non riuscì a fermarla, ma Rukia non andò molto lontano perché a sbarrarle la porta trovò suo fratello. Lo sguardo severo con cui Byakuya la stava fissando fece vacillare la determinazione di Rukia per alcuni secondi.

“Nii-sama?” sussurrò.

L’espressione di rimprovero assunta da Kuchiki Byakuya riempì il silenzio che si pose tra di loro. Rukia non disse niente, ricambiava il suo sguardo e attendeva che egli parlasse.

“Non uscirai da questa casa fino a mio nuovo ordine” le disse con tono marziale e uccise sul nascere qualsiasi protesta di Rukia aggiungendo “è il tuo capitano che te lo ordina” e senza darle modo di poter ribattere, Byakuya le diede le spalle e andò via.

“Voglio vedere Renji” gli urlò dietro Rukia che ancora non voleva desistere.

Byakuya si volse lentamente, quel tanto da permettere ai suoi freddi e severi occhi di trafiggere la fragile figura di Rukia “Non hai alcun motivo per vedere Abarai Renji. Non avrei mai dovuto acconsentire alla sua folle idea” fece una pausa “sei troppo debole”

Rukia risentì il colpo di quelle parole e stremata, delusa e dispiaciuta si accasciò sul pavimento di legno e Misaki la esortò a tornare a letto.

Quando le tenebre della notte giunsero, Rukia sgattaiolò fuori dalla sua residenza. Prima di raggiungere il portale non si accorse di essere seguita e un timido paio di occhi verdi la videro svanire verso il mondo degli umani.

Raggiunta Karakura, Rukia si diresse verso casa di Ichigo e attese. Nel giro di pochi minuti, la figura di Urahara le fu affianco accompagnata dalla sua solita aria di mistero.

“Ultimamente ci incontriamo spesso, Kuchiki-kun” le disse cercando di decifrare l’espressione di lei da sotto la visiera del cappello.

“L’ho rivisto” bisbigliò Rukia, serrò i pugni e la voce quasi le tremò quando disse “devi aiutarmi” e guardò Urahara con un’espressione che rendeva chiara la sua disperazione “Perché non si ricorda di me?” e gli occhi le si riempirono di lacrime.

Urahara abbassò lo sguardo e si sistemò meglio il cappello “Te l’ho già detto, Kuchiki-kun, l’anima di Kurosaki Ichigo non solo è ritornata alla soul society, ma è rinata. Sebbene ne abbia mantenuto l’aspetto, devi accettare che chiunque tu abbia visto adesso è un’altra persona. I ricordi di Ichigo, questo giovane li ignora completamente. So che è un’amara consolazione, ma non puoi farci niente”

Eppure Rukia non sembrava disposta a mollare e Urahara parve capirlo “Hai detto che lo spirito di Ichigo era così forte d’aver mantenuto il suo aspetto da umano, perché questo non dovrebbe valere anche per i suoi ricordi?” chiese lei quasi con rabbia “in una parte di quel… di quel Keichi ci deve essere ancora Ichigo! Anche tu sai che è così, non è vero Urahara?” gli urlò contro e con le lacrime che le rigavano il viso.

Urahara le si avvicinò e da sotto la visiera del suo cappello, Rukia poté scorgere i penetranti occhi grigi di quell’uomo dai mille segreti.

“Sei davvero disposta, Kuchiki-kun, a far rivivere a Ichigo tutto quello che ha passato? Le battaglie, il dolore e le perdite che ha dovuto subire solo per il tuo egoismo?”

Rukia sgranò gli occhi. Quelle parole l’aveva ferita più di quanto qualsiasi lama avrebbe potuto fare. Urahara si allontanò da lei e, dandole il tempo di metabolizzare quello che le aveva appena detto, fece una breve pausa e aggiunse “A te la scelta, Kuchiki-kun” e senza aggiungere altro sparì nella notte di Karakura lasciando Rukia in preda allo shock e allo sconforto.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2184594