Incontro...

di Summer9
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incontro... ***
Capitolo 2: *** Perchè mi odi? ***
Capitolo 3: *** Andrà tutto bene... ***
Capitolo 4: *** Non lasciarmi ***
Capitolo 5: *** Esci subito di qua! ***



Capitolo 1
*** Incontro... ***


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Incontro…

 

Un mio primo esperimento di Song fic…è la breve storia di un incontro tra due nostre conoscenze dopo la battaglia crudele tra bene e male, dopo che non si erano più visti per troppo tempo, raccontata attraverso le parole di una canzone di Guccini che forse in pochi conosceranno ma che si presta a descrivere questo ipotetico futuro di due anime che probabilmente erano da sempre destinate a perdersi dalla prima volta che i loro occhi di bambini si erano incontrati sul rosso e sfavillante espresso di Hogwarts…

 

A Londra era una delle solite gelide serate nebbiose, nelle quali le persone, snob o meno, non riuscivano materialmente a guardare al di là del proprio naso…

Era una giornata di Gennaio, precisamente il 9, giorno di compleanno di Hermione…Harry camminava sconsolato per i dedali della metropolitana babbana e pensava alla sua amica che non vedeva da un tempro imprecisato, dieci anni, forse di più, da quando Voldemort aveva finalmente liberato il mondo dalla sua presenza indegna…non avrebbe mai pensato che sarebbe potuto capitare, ma dopo averlo ucciso era stato come se si fosse svuotato, nulla di umano era più rimasto in lui, nulla del vecchio Harry, nemmeno l’ombra di quello che era stato e che non sarebbe tornato mai…e così, dopo aver visto il suo eterno nemico, la sua nemesi, il suo opposto, colui che non voleva ma che si stava avvicinando ad essere, cadere al suolo esanime sotto il colpo di un suo incantesimo, si smaterializzò e scomparì per sempre dalle vite dei suoi più cari amici, con l’idea di non farne più ritorno…

Quel giorno però, quella triste serata di un mese di gennaio uguale a tanti altri, lui aveva fatto ritorno a Londra, un po’ per bisogno, un po’ perché non pensava assolutamente che nelle esatte ventiquattro ore che avrebbe trascorso nella sua città natale avrebbe rincontrato i suoi vecchi amici di sempre…

Ma il destino quando vuole è crudele, o forse solo molto molto intricato e quel giorno, il nove gennaio di molti anni dopo il loro ultimo incontro, mentre scendeva le scale di una ormai logora metropolitana scorse qualcuno, qualcuno che tra le tante facce riusciva a riconoscere…

E correndo mi incontrò lungo le scale, quasi nulla mi sembrò cambiato in lei,
la tristezza poi ci avvolse come miele per il tempo scivolato su noi due.
Il sole che calava già rosseggiava la città
già nostra e ora straniera e incredibile e fredda:
come un istante "deja vu", ombra della gioventù, ci circondava la nebbia...

Già, la cara e vecchia Hermione, dimentica ormai dei tempi di sofferenza ed incomprensione che le aveva fatto passare la scomparsa di quell’amico che forse più di Ron significava tutto per lei, appena lo vide gli si precipitò incontro, le lacrime che scorrevano libere sulle guance, sul viso un sorriso spento dipinto nei suoi occhi castani che esprimevano nei tempi bui speranza e conforto e che ormai facevano trasparire solo tristezza…

Quella tristezza che come il miele più amaro e pesante li avvolse quasi a voler fermare quel momento, quasi a voler dire “Basta, stare lontani non serve più a nulla, non fatevi uccidere, per orgoglio, dalla solitudine”…

…ma il sole stava già calando all’orizzonte di quella giornata vacua, identica a tante altre, colorando con un rosso sanguigno la città che mille volte avevano percorso insieme e che solo in quell’istante mostrava a loro quanto fosse straniera, quanto in realtà non ne conoscessero nemmeno una minima parte, come d’altronde  non comprendevano i loro sentimenti, la loro fine, il loro destino e il motivo dell’inizio di quell’amicizia che inevitabilmente si sarebbe spenta…

 

Fu come un deja vu, quell’abbraccio, ricordò a entrambi cos’erano stati nel passato, cosa avrebbero voluto essere, cosa era ormai irraggiungibile per loro, ma era tutto nelle loro menti, era tutto il desiderio sfocato di qualcosa che era precluso, lontano, inavvicinabile….era la nebbia che, cinica, li avvolgeva con i suoi fumi incantatori, per irretire i loro sensi e far volare i loro cuori in una dimensione che non osavano nemmeno percepire nel breve momento che si mostrava loro tra l’umido battere delle ciglia e il sospiro di un cuore abbandonato, che per troppo tempo aveva sanguinato senza sosta…

Auto ferme ci guardavano in silenzio, vecchi muri proponevan nuovi eroi,
dieci anni da narrare l'uno all' altro, ma le frasi rimanevan dentro in noi:
"Cosa fai ora? Ti ricordi? Eran belli i nostri tempi,
ti ho scritto è un anno, mi han detto che eri ancor via".
E poi la cena a casa sua, la mia nuova cortesia, stoviglie color nostalgia...

 

E poi nelle perdute strade di quella città così vuota si trovarono a camminare fianco a fianco, in silenzio…

Le auto ferme li osservavano mute con sguardi severi ed accusatori, mentre i muri alti e grigi e freddi, con la loro severa imponenza e la loro crudele potenza li chiudevano come fossero in una prigione, mentre gli occhi degli eroi delle nuove generazioni, come le auto abbandonate, li guardavano con biasimo…con sdegno…lui per la sua vigliaccheria, per la sua fuga senza senso, lei per la sua indecisione, per la sua poca determinazione…entrambi perché non ammettevano quello che realmente provavano…

 

Ridicoli i tentativi di parola…aprivano in gesti semplici le labbra per articolare quelle casualistiche frasi solite della fredda formalità tipica dell’incontro di due estranei

“Allora, cosa fai adesso?” domandò lei con voce ipocrita, mentre l’essenza della sua anima stracciata gridava il suo dolore, represso da troppo per essere ancora provato ‘Perché mi hai abbandonato, perché te ne sei andato? Cosa ti abbiamo fatto, guardami ora e prova a mentirmi di nuovo se ci riesci, ascolterò le tue parole fino a farmi sanguinare le orecchie per colpa della menzogna’.

Nessuna risposta…forse lui si accorgeva dell’urlo tacito delle sue stanche membra e voleva solo farla finita con quella farsa, ma la parola fine sembrava essersi persa nei meandri delle sue corde vocali dimenticate dall’alba dei tempi nuovi che gli avevano portato via l’identità…così lei continuava imperterrita quel suo discorso effimero, mentre ad ogni suo fiato il cuore dell’amico ne riceveva una pugnalata sempre più profonda, sempre più lacerante…

“Ti ricordi Hogwarts vero? Quanto mi manca…non siamo più quelli che…oh non importa…sai ti ho scritto, un anno fa, quando Silente mi ha detto che eri ancora via”…

Lettere vuote, senza senso, perse nel brutale vento della follia che tutto cancella, che niente vuole salvare…

Ma nulla cambiò quel suo ridicolo atteggiamento di chi non vuol vedere l’evidenza, nulla la fece desistere dal suo tentativo di comportarsi come se niente fosse successo e la sera dopo, la sera di un giorno opaco, di un giorno cancellato, lui cenò a casa sua…

 

L’atmosfera era asettica mentre lui sfoggiava quel suo perbenista atteggiamento cortese derivato dagli esasperati tentativi di lei di non far salire in superficie ciò che avrebbe mostrato i segni della sconfitta che avevano dovuto affrontare, nonostante tutto, nonostante il male fosse stato debellato per sempre da quel mondo che per molti era tornato ad essere tanto bello…con una flemma velata Hermione apparecchiò un piccolo tavolo rotondo, mentre le stoviglie che si assestavano tintinnando sul tavolo si tingevano improvvisamente di un colore misto nostalgia e malinconia.

E le frasi, quasi fossimo due vecchi, rincorrevan solo il tempo dietro a noi,
per la prima volta vidi quegli specchi, capii i quadri, i soprammobili ed i suoi.
I nostri miti morti ormai, la scoperta di Hemingway,
il sentirsi nuovi, le cose sognate e ora viste:
la mia America e la sua diventate nella via la nostra città tanto triste...

 

E ancora quella volta, come fosse ormai un rituale troppo rischioso da interrompere, i loro discorsi vuoti, senza senso, rincorrevano i tempi passati, rincorrevano le loro avventure a scuola, i loro ricordi che sempre più cercavano di farsi dimenticare, testardi e sordi ai richiami di lei, troppo  attenta a perdersi in inutili minuzie per notare che, se il corpo di Harry era lì, la sua mente vagava errante nei pensieri tortuosi che i suoi astratti discorsi facevano nascere in una mente troppo provata dalla solitudine e dal vuoto…

Il suo sguardo vagava per le pareti della casa, osservando scrupoloso gli specchi, i quadri, i soprammobili e per la prima volta comprese, comprese perché lei non voleva  lasciarsi scappare quell’attimo di vita che sembrava ricomparire sorgendo da uno squarcio buio nel terreno…Comprese la sua solitudine, la sua tristezza, comprese quanto potesse essere vuota la sua esistenza dopo aver perso chi l’amava, dopo aver perso tutto…comprese le angosce di un corpo solitario abbandonato persino dalla propria anima…solo carne, solo ossa…non più le pulsazioni dell’essenza del suo essere…

Comprese come poteva sentirsi dopo che tutte le loro speranze, dopo che tutte le loro illusioni sul futuro erano crollate con il solo soffio di una brezza di marzo con la quale lui si era smaterializzato da quel luogo di infami e puri che sanguinavano sporcando lo stesso terreno immacolato…

Come lui si sentiva diversa, strana, cambiata, vedeva tutto ciò che negli ultimi anni prima della battaglia finale aveva tormentato i suoi sogni: morte, distruzione, devastazione, fiumi di sangue, valli di lacrime, gridi acuti di disperazione e di arresa che salivano al cielo saturandolo di angosce e paure…capiva finalmente come lei aveva reagito nel vedere trasformare la loro America tanto agognata in un supplizio di anime e corpi sfigurati dall’odio dei buoni e dei malvagi, il loro paradiso che mano a mano si allontanava nella via con un cenno lento e traditore della mano…

Carte e vento volan via nella stazione, freddo e luci accesi forse per noi lì
ed infine, in breve, la sua situazione uguale quasi a tanti nostri film:
come in un libro scritto male, lui s' era ucciso per Natale,
ma il triste racconto sembrava assorbito dal buio:
povera amica che narravi dieci anni in poche frasi ed io i miei in un solo saluto...

 

Nonostante tutto, nonostante le comprensioni, nonostante le ferite ancora aperte, nonostante le parole che volevano esplodere dalle loro bocche ma che morivano nei loro cuori spenti da troppo tempo, nonostante l’amore, il giorno seguente lei lo accompagnò alla stazione, aveva capito che non avrebbe potuto fermarlo, che sarebbe andato via lo stesso, ma quella volta voleva dargli l’addio, forse quel piccolo gesto cerimoniale le avrebbe permesso di rinascere…

Ma, mentre le carte abbandonate volavano scrosciando mosse dal vento, sul grigio pavimento della stazione, mentre le mille luci dei lampioni e delle insegne sembravano splendere esclusivamente per loro, fiumi di sensazioni inconsulte scapparono sfuggevoli dalle labbra di lei, parlò, sinceramente, come non era riuscita mai a fare in quei pochi giorni in cui si erano visti ed in breve gli vomitò addosso tutto quello che non aveva avuto nemmeno il coraggio di pensare, in precedenza…

La sua tristezza, il vuoto dentro di lei, le sue paure…lo assordò, lo fece sanguinare, lo trafisse mentre gli raccontava cosa aveva provato e cosa provava tutt’ora per la morte di Ron, che gli riassunse in poche frasi…

Mentre l’ascoltava Harry si trovò a pensare quanto quella situazione fosse simile a tanti film babbani, o solo a tanti libri scritti male: il suo vecchio amico, colui che per primo gli aveva offerto una nuova famiglia, il Natale di due anni successivi alla sua scomparsa si era ucciso con una pozione dal nome sconosciuto, troppo provato dalle morti di quasi tutti quelli che nella sua vita aveva amato: la piccola Gin, i forti ed affidabili Bille Charlie, gli allegri gemelli, gli onnipresenti genitori, il traditore Percy, coronate, dulcis in fundo, dalla scomparsa di colui che forse avrebbe potuto consolarlo, aiutarlo a continuare a vivere, lui…

E tutti se n’erano andati per colpa di Voldemort…

E lui non poteva più vendicarli…

Era troppo…

Veramente troppo…

Ma niente di tutto ciò riusciva a colpirlo, il racconto era talmente oscuro che si confondeva, che veniva assorbito dal buio prima che potesse toccare la parte ancora sensibile del suo spirito fragile e la compativa, compativa il suo assurdo tentativo di narrare tutto in poche frasi, in quegli ultimi disperati cinque minuti, mentre a lui era sufficiente un solo saluto per spiegare cos’era stato in tutti quegli anni di separazione…

E pensavo dondolato dal vagone "cara amica il tempo prende il tempo dà...
noi corriamo sempre in una direzione, ma qual sia e che senso abbia chi lo sa...
restano i sogni senza tempo, le impressioni di un momento,
le luci nel buio di case intraviste da un treno:
siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno..."

 

E così poco dopo il moro, dondolato dai bruschi movimenti del vagone in corsa ripensava a quegli inutili giorni trascorsi a rivangare un passato che non gli apparteneva più, che aveva dovuto rinnegare per continuare a vivere, che aveva quasi dimenticato…

Ma le sue riflessioni in un modo o nell’altro riguardavano sempre Hermione, la cara vecchia Hermione che probabilmente ancora si trovava sugli alti gradini della stazione a piangere lacrime non viste per l’occasione persa, per la fine di tutto quello che aveva ancora sperato di recuperare e che lui le aveva sottratto di nuovo…

Ma non poteva fare altrimenti, non sarebbe sopravvissuto nel suo passato, i ricordi, i vecchi e nostalgici episodi dell’antica routine lo avrebbero a poco a poco cancellato fino a farlo scomparire nel vuoto del suo corpo freddo e rigido…

E così, le uniche parole che continuavano a ricomparirgli iridescenti sulle palpebre dei suoi verdi occhi socchiusi erano, "Cara amica il tempo prende il tempo dà...noi corriamo sempre in una direzione, ma qual sia e che senso abbia chi lo sa?...restano i sogni senza tempo, le impressioni di un momento,le luci nel buio di case intraviste da un treno: siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno..."

Si, perché era quella l’unica verità: loro avrebbero continuato la solitaria ricerca della pace eterna che forse non avrebbero mai trovato, correndo sempre la stessa direzione sconosciuta tastando il terreno umido con mani insicure poste come guida dei loro occhi ormai cechi alla vita, senza rendersi conto che non aveva nessun senso quello che stavano facendo…

Senza rendersi conto che quello che contava erano i sogni senza tempo, che non sarebbero mai morti nelle loro speranze ormai arrese, le impressioni che l’attimo creava nelle loro menti confuse e invecchiate dall’odio e dalla solitudine, le luci nel buio di case intraviste da un treno, come stessero ad indicare che esiste ancora qualcosa da qualche parte, anche se non riesci a scorgerlo, per cui vale la pena vivere…

Forse nemmeno lei, come lui, si sarebbe mai accorta che non erano presenze eterne, che presto sarebbero scomparse perennemente dalla terra, senza lasciare il segno del loro passaggio che, nonostante tutto, aveva fatto tanto poco per quel loro mondo che aveva ancora molta strada da fare, poiché una volta andati sarebbero rimaste solo frasi vuote, senza corpo, senza riferimento, nella testa di chi ancora aveva un leggero tremito al sentir sussurrare i loro nomi ormai così insignificanti per tutti…

Sarebbe rimasto solo un cuore, spezzato, sanguinante, ferito, pulsante, lacerato, pieno dei simboli di un amore che non aveva mai avuto la possibilità di esprimersi perché oppresso dalle dolci tentazioni del male che offriva molte più semplici soluzioni di un qualcosa per cui avrebbero dovuto lottare, di un qualcosa che non può avere definizione perché non è mai nato…

 

 

Spero vi sia piaciuto, anche se mi rendo conto che può suonare un po’ oscuro ed incomprensibile, poiché totalmente slegato da qualsiasi storia…ma se avete letto bene la mia descrizione sapete che...Potrebbe essere l’inizio di una storia…Potrebbe esserne la fine…Potrebbe essere un semplice incontro…e potrebbe dipendere semplicemente da voi…

 

Commentate…

             Summer9!

 

 

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Capitolo 2
*** Perchè mi odi? ***


Perché mi odi

Perché mi odi?

 

Averla vista dopotutto lasciò ad Harry un vuoto incolmabile…

Cosa significava? Perché ora, dopo tanto tempo, dopo che finalmente aveva ricominciato a vivere, lei tornava a disturbare quella pace che tanto si davano la pena di cercare? Perché insisteva a rovinare il suo personale paradiso…perché con quel suo ipocrita voler rovinare tutto era riuscita ad insinuare nella sua mente un tarlo che ogni giorno di più lambiva il suo cervello con desideri fittizi, con bramosie inutili?

Cosa diavolo voleva da lui? Perché aveva insistito così tanto da obbligarlo a rituffarsi in un passato che era troppo complicato ricordare? Perché invece di andare avanti voleva tornare indietro? Perché ora aveva deciso di voler tornare sua amica? Dannazione, non poteva allontanarlo e poi cercare a tutti i costi di riavvicinarlo come fosse un giocattolo! Non ne aveva il diritto…non dopo ciò che aveva fatto, non dopo come si era comportata…

Quante volte in quei dieci anni di solitudine aveva chiuso gli occhi e aveva rivisto l’espressione di disgusto che gli aveva riservato quando le aveva rivelato che…no!

Quello non importava…ma lei lo aveva tradito, l’aveva spinto a vivere solo per il suo destino, solo per quella stupida profezia, solo per uccidere chi, per l’ennesima volta, gli aveva fatto del male!

Lo aveva isolato da tutto il suo mondo, da tutta la sua famiglia, lo aveva portato ad odiare Hogwarts, l’unico luogo che in vita sua fosse mai riuscito a chiamare casa…si, perché da tutti meno che da lei si sarebbe mai aspettato quella reazione eppure…eppure dopo che lui le aveva rivelato come fosse successo, come ce l’avessero costretto, come si fosse ritrovato bloccato da due morse che lo stringevano in una dolorosa inevitabilità, lei lo aveva guardato storto, quella stessa espressione che insieme avevano riservato a tanti di cui ora condivideva la sorte, e l’aveva disprezzato, sdegnato, accusato di essere un debole…

Come poteva? Come poteva ora pretendere che lui facesse finta di nulla? Che lui la guardasse e ancora come nei tempi che ormai nella sua memoria erano remoti e faticosamente cancellati,  tornasse ad amarla come una sorella, ad essere per lei quel solido pilastro di coraggio e fermezza che era sempre stato? Come poteva tornare ad essere quella stessa persona che lei aveva fatto scomparire per sempre?

Come osava guardarlo ancora negli occhi e pretendere che lui le dicesse

“Grazie…è tutto finito, andiamo a casa”

Quale casa? Quella che lei gli aveva distrutto con i suoi assurdi pregiudizi?

Quella dove le foto e gli antichi cimeli gli avrebbero ricordato tutti quelli che nonostante tutto, nonostante sapessero, lo avevano amato e ora erano a patire pene nell’Ade?

Oppure quella dove aveva passato anni d’inferno, odiato e ripudiato da chi aveva il suo stesso sangue e non lo reputava degno nemmeno di baciare il pavimento che insudiciavano con i loro piedi impregnati di menzogna ed alterigia?

O la sua? La casa dove abitava colei che per prima, dopo averlo sostenuto ed incoraggiato negli anni in cui ancora il suo cuore era capace di rinunce, l’aveva abbandonato ai primi segni di un cedimento?

L’aveva umiliato, l’aveva costretto nell’ombra, nel fango paludoso delle sue stesse remore, dopo che lui, in tutti quegli anni di periodi bui e pericoli mortali l’aveva difesa rischiando la vita, rischiando tutto quello che lui, diversamente dagli altri, aveva dovuto conquistarsi con sudore della fronte già troppo provata da mille incantesimi e lancinanti estenuazioni: una famiglia, l’amore di persone care, il sorriso di qualcuno per cui conti qualcosa e che è felice di sapere che ancora sopravvivi…

Con il suo disgusto Hermione l’aveva costretto a fuggire da chi ancora lo amava…si, perché lui aveva resistito fino a che nella sua vita c’era ancora qualcosa per cui riscattarsi…lui pensava, certo, ho fatto un grande sbaglio, qualcosa di imperdonabile, qualcosa che come un peccato indelebile aleggerà anche sulla mia anima dopo la morte, ma tutto sembrerà più tenue, più comprensibile, se avrò ancora la possibilità di salvare il mondo da Voldemort…

Ma dopo? Dopo cosa avrebbe fatto?

Non ci aveva mai pensato, mai aveva voluto proiettarsi così avanti nel futuro, era troppa la paura di concretizzare ciò che già aleggiava come velata minaccia nei suoi pensieri…tirava avanti giorno per giorno, chiuso nel suo silenzio carico di urla mai espresse, nella speranza che il giorno in cui Bene e Male si sarebbero dovuti scontrare un’ultima volta che avrebbe sancito la fine di uno o dell’altro non sarebbe mai arrivata, permettendogli di vivere nella nebbia delle mille scusanti che doveva utilizzare per non odiarsi, perché era quello dopotutto il male peggiore che gli aveva fatto il suo voltargli le spalle…

Hermione in fondo era sempre stata la più saggia, la più accorta fra loro, quella su cui avrebbe potuto sempre contare per la fredda razionalità, colei che, con poche frasi e un freddo gesto d’affetto era riuscita a fargli accettare la morte di Sirius e lui era certo che solo lei sarebbe riuscita a convincerlo che, malgrado quello che erra successo, tutto era ancora recuperabile e nulla perduto… Finché lei sarebbe stata lì per lui ad ascoltare le sue parole di sconforto e ad offrirgliene alcune di comprensione, dimenticare il male fatto a sé e agli altri sarebbe stato semplice…

Ma quando l’aveva rinnegato…tutto gli era crollato addosso, nel solo istante in cui un angolo della sua bocca rosea si era storto verso il basso, nel preludio delle sue parole di odio e abnegazione, era stato come se persino le grigie pietre dei muri di Hogwarts fossero crollati addosso al suo corpo momentaneamente inerte, scavando la tomba a quel corpo vuoto, a quel corpo la cui anima si era dissolta alla sola vista del rifiuto di Hermione..

Come poteva lei ora pretendere che dimenticasse tutto ciò? Come poteva solo sperare che rinunciasse di nuovo alla normalità da poco riacquistata solo perché il peso della solitudine aveva iniziato a schiacciare inesorabilmente anche le sue esili spalle?

Non riusciva a capire dove trovasse il coraggio per rivolgergli ancora la parola…ma non importava, non importava perché ormai aveva capito la lezione e non sarebbe mai più tornato a Londra, avrebbe dimenticato anche l’esistenza di quella città, come aveva dimenticato il suo passato e il suo viso incorniciato da ricci capelli bruni…perché il suo cuore e la sua cicatrice smettessero per sempre di sanguinare…

Lentamente passeggiava sulle sponde di un lago reso incandescente dal tramonto, mentre un vento pungente faceva frusciare le foglie di enormi alberi sempreverdi le cui ombre si stagliavano sulla pianura scozzese, coprendo e mimetizzando la sua figura di nero vestita.

Camminò, camminò a lungo fino a che le sue stanche membra non s’intorpidirono, fino a che non riconobbe più gli scuri luoghi che percorreva illuminato da una luna pallida e crudele, che spesso scompariva dietro nere nubi, che oscuravano il cielo già grigio di quella rigida notte d’inverno.

Ululati tristi di lupi persi nell’oscurità di una foresta inospitale facevano da sfondo alla scena, mentre lo strisciare di malefici serpenti tra le foglie secche e ruvide, cadute al suolo in una spirale di morte, facevano salire brividi di tensione e paura sulla schiena del moro che si sedette sulla riva del lago, lontano dall’acqua quel tanto che bastava perché le onde scroscianti non lambissero le sue estremità già troppo provate dal freddo.

Sconsolato ed afflitto appoggiò la testa alle ginocchia, proteggendosi dalle stesse con le mani pallide e congelate che, con le braccia, cingevano i polpacci sfiniti coperti da un leggero paio di Jeans logori  e strappati…

Lontani canti di sirene incantatrici confondevano la sua mente e presto entrò in quella dimensione dei sogni celestiali tanto agognata e mai raggiunta…

Non seppe mai quante ore trascorse tra le braccia di Morfeo, perché quando si destò, il buio avvolgeva ancora tutto con forza e prepotenza.

Stiracchiandosi leggermente gli arti si alzò in piedi e, quando si osservò un poco per vedere in quale stato fossero ridotti lui ed i suoi vestiti notò macchie umide sui pantaloni e, sfiorandosi i dorsi delle mani sentì leggere gocce, amare al gusto, che scendevano solleticanti sui suoi polsi…

Doveva aver pianto…sorrise…

Si incamminò verso casa, di nuovo felice, nonostante tutto…aveva pianto di nuovo…dopo dieci, lunghi, strazianti anni nei quali nemmeno il più profondo dolore fisico inflittosi a quello scopo aveva sortito l’effetto sperato, i suoi occhi, un tempo verdi smeraldo e ora opachi e quasi neri, avevano di nuovo stillato lacrime di dolore o gioia e bagnato il suo viso arido e sempre corrugato…

 

Con un gesto rapido della bacchetta aprì la porta della sua grande casa vuota e vi entrò rabbrividendo.

Con passi stentati cercò di raggiungere al buio l’interruttore più vicino, ma la sua vista era sfocata e tutte le cose intorno gli apparivano differenti, estranee, come se non fosse mai stato in vita sua in quell’edificio.

Barcollando attraversò l’ampia sala, inciampando in ogni mobile possibile del quale aveva dimenticato ormai la posizione, più volte si ritrovò sul pavimento, carponi, mentre gocce di sudore freddo cadevano con rumori assordanti per terra.

Ogni volta sempre più faticosamente recuperava la posizione eretta e, passandosi la mano tra i capelli perché non gli cadessero davanti agli occhi contribuendo a peggiorare la sua vista già sommaria, avanzava un po’ di più verso la parete opposta, dove sapeva per certo esserci il magico bottone che finalmente avrebbe acceso la luce.

Finalmente le sue mani sudate e scivolose entrarono in contatto con la parete fredda e umida, ora doveva solo localizzare il punto preciso, ma di nuovo la sua mente confusa non gli permetteva di focalizzare con esattezza la posizione delle cose nella stanza.

-Maledizione…che cavolo mi succede?- pensò tra sé e sé mentre tastava il muro a tentoni alla ricerca dell’interruttore introvabile.

Mano a mano che aveva setacciato una zona della parete si spostava leggermente alla sua sinistra per vagliare fasce non ancora controllate, invano…

Fu decisamente molto tempo dopo, quando stanco di cercare decise di raggiungere al buio la camera, che, inciampando in un tappeto persiano del quale non rammentava l’esistenza, si scontrò contro il tramezzo, centrando in pieno il pulsante che, con un clac allegro, illuminò la stanza e permise a ragazzo di raggiungere il divano senza più esitazioni.

Quando finalmente fu sprofondato nel morbido puof, fu scosso da forti tremiti e sentì che un dolore fortissimo cominciava a pulsargli in testa, premendo con tutta la sua forza contro le sue tempie.

Oltre ai contorni sfocati ora Harry vedeva anche tante piccole macchie di un blu acceso davanti ai suoi occhi che tentò inutilmente di mandare via sventolando debolmente le mani davanti al suo viso.

Spaventato, poiché non capiva cosa gli stesse succedendo, si portò i palmi agli occhi e comprese di essere rimasto senza occhiali, si guardò intorno e vide sul pavimento un oggetto confuso che ne ricordava vagamente la forma, avrebbero potuto essere là, ma data la vista impedita non poteva esserne certo con precisione e decise che andare a controllare da vicino non sarebbe stata una mossa arguta…

Arreso, si stese affondando la testa nei candidi cuscini color panna, coprendo il suo corpo, sconquassato da potenti convulsioni, con un piumino che teneva sempre a portata di mano accanto al sofà e, sperando che l’indomani tutto sarebbe passato, cercò di calmarsi e addormentarsi.

Aveva però sentito suonare le sei dai cupi rintocchi del suo orologio a pendolo, quando finalmente il tremore gli dette una piccola tregua e riuscì ad abbandonarsi addormentato sullo stretto divano.

Fu un sonno agitato, pieno di sogni spaventosi ed immagini raccapriccianti quello in cui cadde il ragazzo ormai fatto uomo e, oserei dire per fortuna, nessuno fu lì con lui ad ascoltare i lamenti di paura e rimpianto che uscivano dalla sua bocca contorta dal dolore e dalla sofferenza, espressi con una voce che aveva dell’oltretomba, che come rombo di mille leoni ruggenti usciva dalle sue labbra con rabbia e frustrazione, riempiendo la casa sempre vuota, degli strepiti desolanti che sempre aveva represso fino a che nel sonno i suoi istinti ed il suo inconscio più remoto erano finalmente riusciti a liberare dalle prigioni in cui lui li aveva costretti, per non sentire mai più le pene che la solitudine eterna gli stava facendo vivere.

Nemmeno due ore  e mezza dopo qualcosa lo destò.

Ancora con gli occhi impastati dal sonno si mise a sedere per accertarsi di cosa fosse stato.

Con lentezza sollevò le palpebre stanche che liberarono dai suoi occhi fiumi di lacrime nuove che come prima lo resero felice, anche se stavolta sentiva maggiormente dentro di sé il peso di quella tristezza troppo invadente, troppo evidente.

Stropicciandosi leggermente il viso finalmente riuscì a levarsi dalle iridi quella patina opaca che precedentemente non gli aveva permesso di notare la vera essenza delle cose e scoprì cosa aveva disturbato il suo dormire che, dopotutto, non era stato così ristoratore.

Dinnanzi a lui si stagliava, sullo schienale del mobile, Edvige, più vecchia e stanca che mai, ma ancora fiera e altera nel suo portamento che, come ogni mattina, gli becchettò dolcemente il dito indice da lui offertole, per poi sistemarsi sulla sua spalla mentre eseguiva una attenta toelettatura.

D’impeto, ma con garbo però, Harry la allontanò da sé: sentiva che le sue unghie, che un tempo non sentiva nemmeno, quasi lo sfiorassero solamente, penetravano taglienti nelle sue carni  e il suo peso era eccessivo, tanto da non farlo riuscire a respirare.

La tenue luce della lampadina ormai non si distingueva più immersa in quella molto più potente del sole che risplendeva in cielo e quasi suonava fastidiosa nella pacatezza dei raggi luminosi filtrati dalle bianche nubi simili a panna montata.

Tremiti e convulsioni erano scomparsi e del malore rimanevano solo i brividi potenti che da dentro le sue ossa si espandevano per tutto il corpo congelando ogni sua più piccola cellula.

Flebilmente, aiutandosi con le braccia cedevoli, si mise in piedi e raggiunse il tavolo, non prima di aver raccolto quelli che, aveva visto giusto, erano i suoi occhiali.

Stava per sedersi, quando sentì una forte fitta allo stomaco.

Per non cadere, vinto dal dolore, si appoggiò con un arto alla sedia, mentre con l’altro si teneva stretto la parte dolente.

Improvviso com’era venuto l’acuto dolore scomparve e gli permise di sistemarsi sulla suddetta, per consumare una povera colazione, consistente in una tazza di freddo caffè abbandonato la sera precedente prima di uscire.

Finito anche l’ultimo gocciò del liquido rappreso e amaro udì un leggero picchiettare alla finestra, dove scorse un maestoso gufo bruno che attendeva fiero, la testa alta e il petto gonfiato, che fosse fatto entrare, mentre teneva in evidenza la lettera portata a destinazione tenendo levata la zampa a cui essa era legata.

Maledicendolo perché lo costringeva a muoversi di nuovo, lo raggiunse zoppicante, aprendo la finestra e facendo penetrare, con lui, una ventata di forte vento diaccio che lo attraversò spietato, facendolo scuotere di nuovo, per un attimo interminabile, dai forti tremiti di quella notte.

Sempre rivolgendogli uno sguardo assassino, che in realtà, nelle sue condizioni, ben poco avrebbe potuto incutere timore anche ad un piccolo fanciullo, lo seguì di nuovo al tavolo accanto al quale rimase in piedi, mente sfilava dall’elegante rotolo di cuoio l’epistola di cui, senza alcun dubbio, lui era il destinatario.

Sul retro della pergamena infatti vi era scritto il suo nome, con un ordinato carattere e in grandi lettere, l’unica cosa che lo colpì fu l’indirizzo:

 

Per Harry Potter

Ovunque lui sia

Trovalo!

 

Leggermente stupito e un poco anche in apprensione voltò, con la maggiore lentezza in grado di utilizzare, il ruvido foglio che sentiva leggermente inumidito al tatto.

Cominciò a leggere e, mano a mano che le righe rimanenti diminuivano, la sua espressione si fece più stupita ed arrabbiata

 

Caro Harry,

come va? Spero bene…volevo scriverti riguardo al nostro ultimo incontro, mi ha fatto davvero piacere rivederti e spero che tornerai presto a trovarmi…

No, chi voglio far ridere, è stato terribile rivederti, non posso più mentire ad entrambi così spudoratamente, sei stato così freddo, così lontano, per tutto il tempo, non eri più tu, non sono riuscita a capirti, non ti leggevo più come al solito nel cuore come entrambi sapevamo fare bene ad Hogwarts e non capisco perché…ma d'altronde sono molte le cose che non capisco: la tua scomparsa, il  tuo ostinato silenzio, il testardo rifiuto a non voler mai rispondere a nessuna mia lettera…

Ma non importa, posso accettarlo…

O forse no, forse sto di nuovo mentendo a me stessa e a te, ma infondo cosa cambierà? Sarà l’ennesimo inchiostro sprecato in parole vuote che non ti prenderai la briga di leggere…

Di nuovo, non importa, io ci provo lo stesso…

Sai, quando te ne sei andato ancora, quando dal finestrino della stazione mi guardavi insensibile lanciarti il mio addio, ho pensato

“Basta, è finita per sempre, ora l’ho rivisto un’ultima volta, gli ho parlato un’ultima volta, posso rimettermi il cuore in pace, posso finalmente accettare che se ne sia andato anche se vorrei diversamente…”

Ma poi ho riflettuto

“Perché? Perché Harry? Rimaniamo solo noi, le ultime speranze di vita di un mondo che a tutti i costi hai voluto cancellare…non abbandoniamo la speranza che tutto potrebbe continuare, che tutto non ha davvero fine oggi…”

Non so nemmeno perché ci sto provando di nuovo, quante volte hai letto queste mie lettere bagnate dalle lacrime dei rimpianti? Quante volte hai rifiutato le mie parole trattandole come carta straccia? Non le conto più ormai…ma quando ti ho visto ancora…qualcosa che da tempo mi aveva abbandonato si è riacceso in me e ho pensato che per te fosse stato lo stesso…

Ma ogni giorno di più la speranza si affievolisce e non posso aspettare senza far nulla che tu te ne accorga…

Sono solo parole senza senso? Tutte puttanate? Tutte ipocrisie? E’ forse questo che stai pensando? Forse si, vero? Ma perché Harry? Prova a guardare al di là di tutto!
Ci riesci? Perché no? Perché ti ostini?

Perché mi odi Harry?

 

La lettera finiva così, con quella frase sbavata da un pianto ormai dirotto.

Di nuovo una rabbia ingenua e pura assalì Harry.

Come si permetteva di fargli una predica? Lei! Lei che lo aveva rinnegato, lei che per prima lo aveva odiato e che ora pretendeva di non subire lo stesso trattamento!

Come poteva pretendere di travestire le sue menzognere frasi mascherandone la falsità con l’ammissione dell’ipocrisia? Come poteva lei insistere di nuovo con l’affondare quel lungo coltello che teneva dalla parte del manico e che non era il suo cuore che lacerava ogni volta sempre più profondamente e senza rimedio?

Il moro con capiva come Hermione avesse potuto dimenticare tutto il male che gli aveva fatto…come? Come aveva potuto dimenticare di avergli voltato le spalle per lasciarlo andare da solo verso l’infamia e la disperazione? Come aveva potuto dimenticare di averlo abbandonato per un errore che con il suo aiuto nulla avrebbe cambiato nella sua vita?

Eppure…eppure nulla in lei, nelle sue parole, nei suoi gesti, nei suoi significati, dava a vedere che ne fosse dispiaciuta, che se ne sentisse in colpa o, semplicemente, che se ne rammentasse…

Con uno scatto colmo d’ira stracciò violentemente la lettera e la gettò con forza, più di quanta se ne sentisse addosso, nel cestino non molto distante da lui, agitando con quel gesto impetuoso il gufo dell’amica.

Il capo cominciò a girargli per la delusione e la confusione.

Quasi a volerlo fermare il moro appoggiò sulla fronte una mano, che però non entrò in contatto con la pelle ruvida del vecchio sfregio, ma con un liquido umido ed appiccicoso che scambiò per sudore.

Quando però osservò il suo palmo bagnato vide che grondava rosse gocce dense e calde: la sua cicatrice stava sanguinando.

Terrorizzato cercò di raggiungere lo specchio all’altra estremità della sala, ma, appena ne ebbe raggiunto la metà, una vertigine gli fece vorticare prepotentemente il capo un’ultima volta, fino a che, stremato, cadde a terra senza respiro…

 

Cosa avrà fatto Herm ad Harry di così tanto grave da provocare così tanto risentimento nel suo migliore amico? Cosa sarà successo e cosa succederà al moro caduto forse esanime sul pavimento? Lo scoprirete nella prossima punta…ahem, sto scherzando, sto scherzando, lo giuro…

Allora, come mi avete chiesto l’ho continuata, nonostante io avessi deciso di lasciarla come one-shot malgrado la mia insinuazione alla fine del primo capitolo.

Ora però voi non potete non lasciarmi di nuovo almeno un piccolo commentino a questo capitolo, perché, vi avviso, senza recensioni la storia nn va avanti, nn tanto x ripicca, intendiamoci, ma perché quelle sono il motore della mia fantasia…perciò, per prima cosa, vi ringrazio davvero caldamente delle vostre frasi incoraggianti che mi hanno appagato tantissimo…

 

Gius: come ho detto, accontentata, ecco il continuo…sperò di trovarci una tua recensione…anche se mi stupisce alquanto che tu abbia apprezzato tanto la mia storia, da darle addirittura un 10 immeritato a mio parere e, quindi, a maggior ragione, spero che tu continui a seguirla… sii sincera però e dimmelo subito se pensi che stia prendendo una piega noiosa invece di smettere di colpo di recensire…ci tengo davvero molto, anche perché x un scrittore (parolona grossa) di fan fic nn vedere la sua storia se nn apprezzata, nemmeno recensita, è davvero triste…grazie x l’incoraggiamento che è stato davvero determinante per la mia ispirazione(chi nn vorrebbe beccarsi un altro 10?)…un bacioz…Summer9

 

Raissa_2: Come anche tu mi hai chiesto ecco il secondo capitolo…hai pienamente ragione, è una storia molto triste ed ho fatto un’ecatombe(tutti morti tranne loro due), ma nella mia visione della cosa non è Harry l’idiota, è lei che non vuole rendersi conto del male che gli ha fatto, facendo finta di nulla, come credo che si spieghi meglio in questo chap…ribadisco che anche la tua recensione mi ha fatto un immenso piacere e spero che anche tu continuerai a seguirmi e mi dirai sinceramente che ne pensi della trama, anche se questo significa sentirsi dire che è noiosa, ma preferisco aggiustare il tiro sotto vostro consiglio che non vedere più i vostri commenti perché il mio stile (quale? ndH, spiritoso…faresti maglio a tacere nelle tue condizioni harryno caro, nn trovi? NdS)  è calato paurosamente…cmq un bacioz anche a te…Summer9

 

Come vedete verso la fine sono passata un po’ più dall’introspezione alla narrazione, perché pensavo che stare sempre sullo stesso tono cupo appesantisse molto…voi che dite?

Summer9!!!

 

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Capitolo 3
*** Andrà tutto bene... ***


Andrà tutto bene…

Appunto: “…” parlato

             _…_ pensato

Buona lettura!!!

Andrà tutto bene…

 

Le sue palpebre ancora molto pesanti si aprirono faticosamente, quasi una forza oscura impedisse che vedessero di nuovo quel mondo che così poco gli aveva dato per essere felice.

Piano, come se quell’impercettibile movimento fosse ancora troppo doloroso, presero a sbattere per rendere più nitida l’immagine, anche se i suoi occhi sembrava non volessero saperne di vedere ancora ciò che gli stava intorno…perché? Era così bello pensare che finalmente fosse tutto finito, invece si trovava di nuovo sveglio, nel suo letto, ad osservare con quei suoi occhi ormai opachi il soffitto che tante notti insonni ed inutili aveva ospitato il suo sguardo vacuo e dimenticato da chi l’aveva tradito.

Ma più tutto si focalizzava, più tutto diventava nitido e semplice, più si rendeva conto che quello non era il suo soffitto e quello non era il suo letto, che tante notti aveva tremato al suo dibattersi frenetico a incubi che tormentavano il suo cuore forse troppo debole.

Lentamente cercò di sedersi e sulla sua pelle le lenzuola scivolarono ruvide, come se mille volte altrettante persone come lui le avessero usate come protezione dal gelido e sferzante vento della tristezza.

Intorno a lui, nel buio del primo mattino, qualcosa frusciava setoso, si guardò intorno e non vide nulla….com’era possibile? Eppure qualcosa bloccava la sua visuale, si sentiva come intrappolato in una prigione di veli che sibilanti ma invincibili lo costringevano in una realtà di buio eterno.

Possibile fosse tutto sempre così mero per lui, come la predizione di un destino sfuggevole e goliardo? Possibile che in nulla trovasse spiegazione plausibile con la percezione dei suoi sensi ormai perduti?

Forse, semplicemente, aveva deciso che la realtà era contata troppo per lui nel passato, e che adesso era ora di vivere solo in balia della fredda logicità dell’illusione.

Nemmeno lui lo sapeva, nemmeno lui riusciva più a capacitarsi di quali fossero le sue aspirazioni più inconsce, ma, straordinariamente, non gli importava, per quello che avrebbe perso se il suo respiro non fosse mai tornato in superficie riteneva opzione molto più auspicabile rimanere per sempre incatenato da vincoli invisibili, che non emettevano rumore di forti e assordanti clangori se anche lui si muoveva in quel carcere di scabri panni.

Convinto di quella scelta si stese di nuovo protetto dal calore di quelle coperte estranee e chiuse gli occhi, cercando il sonno conciliante, ma, più si ostinava a voler far calare di nuovo l’oscurità sulla sua mente, più una luce fastidiosa che gli bruciava le iridi si insinuava alla sua vista.

Imperterrito, le mani a coprire gli occhi, cercava di scacciare quella luce di cui non capiva la provenienza, ma, per quanto fosse un mago potente, più dello stesso Voldemort, che per secoli bui aveva terrorizzato maghi e streghe dei più valorosi, nemmeno a lui spettava il potere di bloccare l’avanzare del giorno e, ben presto, uno spietato sole di mezzodì gli rivelò ciò che in precedenza aveva scambiato per luogo di dannazione per le anime in pena.

Finalmente Harry si accorse che non si trovava in un qualche posto fantastico raggiunto dopo la sua dipartita, ma semplicemente in un’impersonale camera d’ospedale.

Per la seconda volta si mise a sedere e con uno scatto secco delle braccia scostò la nera tenda che fungeva da separè per il suo letto.

In questo modo però la luce fu libera di raggiungerlo con più forza, accecandolo: si protesse coprendosi il volto con l’avambraccio destro, che sfiorò la superficie liscia di una benda che gli circondava il capo.

Quando l’effetto del sole finalmente cessò il moro prese a tastarsi la fasciatura con entrambe le mani.

Cosa diamine ci faceva ricoverato lì, dolorante e medicato?

E perché si trovava in una stanza da solo, senza altri pazienti?

In cerca di risposte si alzò a fatica dal letto, sul quale ricadde immediatamente in seguito ad un forte giramento del capo.

Intestardito dalla confusione si rimise in posizione eretta, questa volta con maggior flemma e a passi stentati cominciò a vagare per l’edificio, fino a che non raggiunse una zona brulicante di persone.

Era assurdo, ma sembrava che fosse stato appositamente assegnato ad un’ala deserta, infatti, quello da dove proveniva, era l’unico luogo dove non vi era la presenza di anima viva, eccettuato lui.

Aveva appena individuato un’infermiera carina e dall’aspetto affabile alla quale volentieri avrebbe chiesto spiegazioni, quando si ripresentò una fitta dolorosa allo stomaco e finì carponi al suolo, sostenendosi con un arto tremulo, mentre l’altro, sempre malfermo, afferrava la parte pulsante.

Improvvisamente una donna con la forza dell’uragano lo afferrò fortemente per le spalle, sollevandolo, mentre un conato potente minacciava un’imminente bisogno di una visita al bagno.

“Io…io credo di star per vomitare” “Ma certo signor Potter, lei non dovrebbe assolutamente essere qui, non dovrebbe assolutamente alzarsi dal suo letto, per qualunque cosa basta semplicemente che prema il campanello di assistenza” “Qua-qua-quale? Io non ho visto nulla…io…io non so nemmeno dove sono, perché sono solo?” “Calma, calma” ripeteva allarmata la giovane mentre, sorreggendolo con la sola forza delle sue braccia, lo riaccompagnava nella sua camera.

“Lei ora deve solo riposarsi e dormire, non si deve preoccupare di null’altro” “AL DIAVOLO!” sbraitò d’un tratto liberandosi dalla stretta poderosa di lei con una forza di cui non si capacitava l’esistenza al momento.

“Si calmi lei! Io voglio sapere dove mi trovo e perché mi trovo qui! Cosa mi è successo? Non mi ricordo nulla!” con un’espressione preoccupata che le deformava il volto la donna cercava cautamente di riavvicinarsi all’uomo che non sarebbe riuscito a reggersi da solo per molto tempo ancora e, nel frattempo, gli parlava con la voce più suadente e convincente che fosse riuscita a trovare nel suo repertorio.

“Senta, io non so nulla, ho cominciato a lavorare oggi, alle sei, mi hanno semplicemente detto di non lasciarla mai alzare se non per casi eccezionali e di darle due volte al giorno una pozione ricostituente, tutto qui” ora era riuscita a ristabilire un contatto con lui e adagio, senza fare gesti inconsulti che lo avrebbero innervosito, lo stava pian piano riportando nella sua stanza “D-d’accordo, ma non sa cosa mi sia successo? Chi mi ha portato qui? Non…la  mia memoria fa un po’ cilecca ultimamente…” “E’ normale, un trauma spesso è seguito da vuoti di memoria, ma tutto tornerà alla luce con il tempo, dopotutto è qui solo da due giorni” “Due giorni?” sentendo il suono più docile ed arrendevole delle parole di lui il suo animo si acquietò un po’ e, con un sorriso conciliante annuì alla sua domanda “Ho dormito tutto questo tempo?” di nuovo un cenno con il capo “E…davvero non sa chi mi ha accompagnato?” “Mi spiace, in questo non posso davvero esserle utile” il moro sospirò, definitivamente arreso.

Finalmente, passo dopo passo la donna, che Harry scoprì chiamarsi Julia, lo ricondusse al caldo di quelle ruvide coperte e lo pregò di non fare più gesti tanto azzardati.

“E si ricordi” aggiunse quando fu sullo stipite della porta, ruotando leggermente il capo per accertassi che la stesse ascoltando “Per qualunque, ripeto, qualunque cosa, prema quel grosso pulsante blu e io o una mia collega saremo subito da lei, più tardi nel pomeriggio invece la visiteranno i medimaghi” concluse prima di sparire alla sua vista mentre un sordo rumore di tacchi che scompariva assorbito nella lontananza preannunciava ad Harry il silenzio della solitudine.

E così era al San Mungo, reparto malattie e ferite magiche.

Perfetto.

Proprio quello che ci voleva per apportare una ventata di allegria alla sua vita.

Seduto sul ciglio del letto cigolante fissava inebetito il panorama invernale che risplendeva dalla finestra, chiusa, perché il vento freddo di gennaio inoltrato non peggiorasse la sua già precaria salute.

Era quasi accecato dalla purezza di quel paesaggio innevato che gli esseri umani stavano distruggendo dall’interno, come fossero un cancro, avidi dei frutti che la terra fin troppo generosa offriva loro su di un piatto d’argento.

Spesso come allora si era perso a rimirare i dolci pendii delle chiome sempreverdi dei pini che ospitavano la neve soffice come se il peso della gravità fosse annullato su di loro, la città immersa in quell’immacolato candore che la rendeva eterea ed impossibile, il cielo plumbeo ma magico, ingombro di nuvole di panna che piangevano lacrime di soffice latte.

Osservava la neve e rimpiangeva il tocco soffice dei suoi fiocchi che si scioglievano solleticanti sulla sua pelle, rimpiangeva la gioia che una volta provava quando al suo risveglio dalle finestre di Hogwarts ne vedeva il campo ricoperto ed aspettava impaziente il week-end per potervisi divertire con i suoi amici, ma, allo stesso tempo, odiava quegli allegri cristalli ghiacciati che, scendendo in giocose spirali si prendevano gioco di lui, come quel giorno, quell’infausto giorno che spesso sperava cancellato nel suo cuore ma che ogni anno di più, in quel periodo, faceva sentire il peso della sua presenza indesiderata.

Era infatti verso la fine del primo mese del settimo anno che Hermione lo aveva abbandonato, lasciandolo precipitare nel anfratto dello smarrimento, era un giorno di Gennaio quando, mentre la neve calava scherzosa dal cielo tingendo tutto di magia e morigerata atmosfera, lei si era voltata, allontanandosi, per non fare mai più ritorno nella sua vita che, con quel gesto di indifferenza, aveva anche condannato ad una inconscio ma profondo, eterno, tormento.

Scosse il capo –No!- quello era essere melodrammatico, troppe volte si era ripromesso di ricominciare a vivere e troppe volte si era permesso di cadere di nuovo nel baratro dell’autocommiserazione; certo, quella era la via più facile, ma non la migliore.

Quanto era difficile però tornare a camminare eretti dopo essere stati assuefatti dalla comodità della quadrupedia!?! Lui lo sapeva bene, lui, che tante volte aveva tentato, fallendo miseramente.

Ma forse, rifletté, quella era la sua ultima possibilità, forse il bisogno di tornare a Londra, l’irrazionale dirigersi verso i luoghi più frequentati dalla donna, era una necessità di vedere da cosa era fuggito per avere un impulso a non incorrere nel destino cui lo aveva condannato con il suo disgusto.

-Forse…- si disse, ma al momento non aveva molta voglia di pensarci.

Sconsolato, disubbidendo agli ordini della giovane infermiera, si diresse verso la finestra e, dopo aver appoggiato la mano sul vetro, per vedere se poteva sentirlo ancora freddo al tatto, per accertare se anche il suo corpo, come il suo animo, non avesse perso del tutto a sensibilità, tirò una cordicella grigia, facendo così abbassare le tapparelle: troppe memorie indesiderate portava alla sua mente quel paesaggio invernale così innocente eppure così sadico.

Stancamente, voltando le spalle a ciò che voleva sparisse per sempre dalla sua vita, si distese di nuovo sul duro giaciglio dove, chiudendo gli occhi affaticati cercò di farsi tornare in mente quello che era successo due giorni prima, cercò di capire come fosse arrivato lì e se ci fosse qualcuno che sapeva dove fosse o, almeno, cosa gli fosse successo.

Inizialmente però il tentativo sembrò portare solo una potente emicrania.

Ma lui era testardo e, impegnandosi, non con poca fatica, riuscì a far sì che qualche immagine cominciasse a delinearsi sulle palpebre che facevano da schermo ai suoi pensieri.

Raggiunta questa meta non fu fortunatamente complicato mettere in ordine i tasselli mancanti…

Non aveva capito quanto fosse stato realmente svenuto, ma rammentava che al suo risveglio in casa c’erano ancora solo lui ed i due volatili che si contendevano, in una lotta di versi, la gabbia di Edvige per un sonnellino pomeridiano.

Successivamente si era alzato, maledicendo i pigolii(scusate la mia ignoranza ma al momento mi sfugge il verso dei rapaci ndS) acuti emessi dai becchi adunchi di quelli che, in quel  momento, si sentiva solamente di definire uccellacci ed era corso subito in bagno, memore della cicatrice sanguinante che non era stata mai un buon segno.

Mentre attraversava la casa il suo corpo veniva alternativamente scosso da brividi di febbre e tremori alle articolazioni che sentiva deboli sotto di lui e le sue tempie pulsavano sempre più forte, rendendo la sua testa pesante e la sua vista confusa.

Quando aveva finalmente raggiunto lo specchio aveva notato che l’emorragia si era fermata, ma che sul suo volto campeggiava un terreo, nonché allarmante pallore; subito si era rinfrescato il viso per tornare un poco lucido e levarsi il fastidioso sangue rappreso.

Ben presto però a tutto ciò si era aggiunto una forte nausea unita ad un vuoto allo stomaco.

Aveva allora deciso di mangiare, che alternative aveva? Si sentiva debilitato e la febbre stava invadendo le sue membra come un’infezione invincibile, non poteva affrontarla in quelle condizioni.

 Non era stata purtroppo, tuttavia, un’ottima idea: di forze, come già detto, ne aveva ben poche e cucinare gli levò la scarsa linfa vitale rimastagli che non riuscì a sostituire con il cibo poiché fu prontamente restituito al mondo.

Quello che era seguito lo ricordava come lontano e avvolto da nebbia.

La malattia, come i fumi dell’alcol, lo aveva irretito e stordito, tutto ai suoi occhi si presentava come avvolto da un alone che lo rendeva sfocato e soffice, quasi impalpabile.

Gli sembrava di essere entrato in un mondo di sogno, come nelle fantasie dei bambini che spesso si immaginano una realtà tutta costituita da zucchero filato o altri elementi non dissimili.

Sentiva la lucidità scemare a poco a poco mentre tutto nella sua mente suonava distorto ed improbabile, come il giorno precedente tutto quello che la casa ospitava o, più precisamente, la casa stessa, divenne a lui estranea.

Vagare senza meta per i dedali ormai sconosciuti di quell’edificio era a quel punto improponibile.

Aveva quindi tutto il raziocinio rimasto e le sue riserve di ossigeno per raggiungere la camera da letto, unica stanza di cui ricordava l’ubicazione e si era immerso nelle morbide coltri di seta e piuma del suo letto e si addormentandosi…

Sentiva qualcuno fissarlo intensamente…

Infastidito da quella sensazione cominciò a destarsi…

Il capo gli doleva ancora un po’, ma l’urto del vomito era totalmente scomparso…

Ancora con la vista confusa si mise seduto e poi a tentoni cercò sul comodino spigoloso gli occhiali, non c’erano.

Aprì un cassetto: probabilmente i medimaghi ve li avevano messi dentro, pensò, ma non li trovò nemmeno lì.

Non poteva fare altro, così si voltò nel tentativo molto improbabile di capire chi avesse davanti, mentre si chiedeva come avesse fatto prima ad attraversale l’ospedale senza l’ausilio di quello strumento per lui indispensabile.

Fu grande lo stupore quando si accorse chi stava seduto al suo capezzale su di una alquanto scomoda sedia di plastica.

Quella sagoma di chioma ricciuta poteva riconoscerla in mezzo a milioni di altre a cento metri, persino senza occhiali (come quella di Mary Poppino per intenderci ;-) ndS ahem… ndTutti si, lo so, la battuta nn era delle migliori, ma concedetemene la licenza, nn ho uno spirito dell’umorismo molto spiccato ndS).

La ragazza gli porse gli occhiali con gentilezza e, quando finalmente li ebbe indossati, gli regalò uno dei suoi soliti solari sorrisi.

“Lo sapevo di beccarti ancora mentre dormivi!!! Non ti sembra di aver riposato abbastanza? E’ da quando ti ho portato qui che non fai altro, vorrei anche parlarti io, soprattutto riguardo ad una certa lettera” gli disse e, mentre il suo tono diventava maggiormente grave e serio il viso di Harry si adombrava sempre di più.

“Io non…non so se ne ho ancora la forza, di affrontare tutto questo di nuovo, intendo…” “Non ti preoccupare, andrà tutto bene” “Lo spero” affermò allora lui tristemente.

La ragazza, con sguardo altrettanto mesto, annuì come segno di incoraggiamento e, sporgendosi verso il letto, lo abbracciò, tenendolo stretto, fino a che non sentì le lacrime amare del moro impregnare la sua maglietta…

Finalmente, anche se non felice, Harry non si sentì più solo…

 

Okkei, lo so…il ritmo di questo capitolo è stato ancora lentissimo e so ke nn è successo ancora molto, ma m servivano assolutamente dei capitoli di introduzione per…bè, credo che nel prossimo si capirà dove volevo andare a parare cn questa storia di Harry che sta male…

Domanda da un milione di dollari: chi è la ragazza riccia?

Avete notato che nn ho detto il nome? Potrebbe nn essere Herm, ma potrei aver semplicemente evitato di chiamarla x nome x farvi venire il dubbio…voi ke dite? E poi, se è lei, com’è che Harry si comporta così diversamente?

Ma passiamo alle risposte dei vostri stupendissimi commenti:

 

Serena: sn contenta che tu abbia deciso di recensirmi anke se nn lo fai mai e, sperando nn sia sl x la mia poco velata minaccia che senza recensioni la storia nn va avanti, ti ringrazio anche x il nove!!!! Se tutti i miei prof fossero di manica larga cm voi sarebbe una manna!!!! Spero che continuerai a dirmi che ne pensi della mia storiella!!!! Grazie 1000 x questa rec e in anticipo! Un baciox!

 

Raissa_2: grazie x la tua recensione, ti assicuro che nn hai compromesso il tuo commento cn parole senza senso, ho capito benissimo cosa volevi dire e ti ringrazio x il tuo sforzo, davvero!!!

Come ho già detto anche questo capitolo è un po’ lento, ma dal prossimo sn abbastanza sicura di poter entrare nel vivo della narrazione, cominciando a svelare poco per volta quello che è successo tra Harry ed Herm che si, in parte centra cn la storia di Ron, ma è una storia che si perde ancora tra le vecchie ma solide mura del castello di Hogwarts.

Sxo che nn ti abbia annoiato molto il ritmo lento e so ke tenervi sulle spine cn quello che è succ tra i due è un po’ sadico, ma m piace la suspance e poi la trama è basata in gran parte su quella cosa, se la svelo subito poi come continuo?

E poi, la ragazza misteriosa? Chi è mai?

Fammi sap ke ne pensi…un bacioz!!!

 

Gius: bene, è bello sapere che la mia storia ti piace molto e che pensi che io abbia stile, m incoraggia davvero parecchio…quindi, sxiamo sl che il tuo computer nn sia in vena di scherzi giusto?

Cm ho detto anche a Raissa cn questo chap nn si scopre gran che di più, né si va avanti d molto cn la narrazione, ma sarà un introduzione molto importante x…qualcosa che,ripeto, nn posso dire ora.

Cmq, x precisare, io nn è tanto che nn credo che la storia nn meriti, ho sl paura che nn piaccia, anche se forse, effettivamente, è la stessa cosa, ma cinque recensioni per soli due capitolo x me sn già un bel traguardo, contando anche che tu mi hai dato 10 e Serena 9, xciò, x quanto possa buttarmi giù, questi giudizi mi lusingano molto…

Thanksissimo x il commentuzzo!!!! Un bacioz!!!

 

X tutti: alla prossima!!!!!

 

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Capitolo 4
*** Non lasciarmi ***


Non lasciarmi…

Non lasciarmi…

 

“Allora? Come sta oggi Signor Potter?” “Mnh? Oh, salve Julia, molto meglio grazie, ma faccio ancora un po’ fatica ad alzarmi” “Le credo, si era preso proprio una bella polmonite, come avrà fatto poi, uno con un fisico così robusto, ad ammalarsi così gravemente?” a quella domanda le guance del moro si colorirono un poco e il suo capo si abbassò istintivamente per la vergogna, facendo preoccupare la donna

“Mi scusi se ho detto qualcosa che l’ha turbata” disse prontamente, per riparare ogni errore eventualmente commesso “No, non si preoccupi, il fatto è che mi sono ammalato perché ho passato un’intera notte, senza nemmeno un mantello, sulla riva di un lago, vicino casa mia, deve aver anche piovuto ad un certo punto, ma mi ero addormentato” il suo tono si era abbassato sempre di più mentre confessava come, stupidamente, si era esposto alle intemperie invernali con leggeri vestiti primaverili

“Be’, ora capisco il suo rossore! Le sembra il caso di comportarsi così? Si rende conto che ha rischiato la vita? Ci è andato di mezzo altresì il fegato, mi scusi per il linguaggio, ma avrebbe potuto anche rimanerci secco” “Quante volte le devo ripetere che può darmi del tu?” le domandò divertito alla sua spropositata reazione,  glissando sulla sua critica “Be’, allora anche tu puoi chiamarmi solo Julia se vuoi, ma non stavamo parlando di questo o sbaglio?” “No infatti…” rispose, lasciando cadere il resto della frase “Lei è testardo, lo sa?” “Tu…” “Ora non rivolti la frittata, stavo dicendo che lei…” No, ho capito, ma “Tu sei testardo” e non “Lei è testardo” e, comunque, lo so” “Non credo che imparerò mai” “No, infatti…”

“Buongiorno signor Potter” “Salve signor Carter” salutò allegramente il medimago appena entrato.

Era un giovane uomo dal volto gioviale, non molto alto aveva però un bel fisico, fini lineamenti ed una carnagione ambrata che risplendeva anche al flebile sole di gennaio, più volte il moro si era trovato a pensare che se non fosse stato fermamente etero ci avrebbe fatto un pensierino, era veramente un bell’uomo.

“Allora come andiamo?” “Ho già informato Julia che il mio stato di salute sta migliorando, anche se fatico ancora a reggermi con fermezza sulle gambe, causa giramenti di testa e forti nausee” “Capisco…” disse a bassa voce, quasi tra sé e sé, mentre scarabocchiava qualcosa su di un taccuino un po’ stropicciato “D’altronde come l’ho già informata oltre alla polmonite, il colpo di freddo le ha provocato un’infiammazione alle reni e al fegato, ci vorrà non poco prima che torni in perfetta forma, nonostante tutto le porto buone notizie” “Ah si? E quali? Che forse uscirò di qui per giugno?” “Non scherzi, no, verso metà di settimana prossima sarà libero di andarsene, anche se dovrà assumere due volte al giorno un particolare pozione ricostituente e stare ancora in assoluto riposo per non meno di due settimane, se vive da solo dovrà trasferirsi od ospitare qualcuno” “D’accordo!” esclamò Harry tutto d’un tratto gioviale ed estasiato al solo pensiero di uscire da quel posto: per quanto non riuscisse a trovare la felicità da nessuna parte e con nessun,o nemmeno per lui rimanere rinchiuso in un’impersonale stanza di ospedale era un’esperienza che si sarebbe potuta descrivere piacevole.

Sorrise con un cenno del capo mentre il dottore usciva portando con sé la donna che aveva finito il turno lavorativo e doveva tornare a casa.

Era ancora nell’ala isolata dell’edificio ed ogni volta il plumbeo silenzio che calava quando qualcuno se ne andava e lo lasciava solo, pesava sempre di più.

Si coprì un po’ di più, accomodandosi alla meno peggio su quello scomodo letto e s’immerse nella lettura di un libro che Julia gli aveva consigliato e che aveva trovato interessantissimo e intanto le ore passavano e il sole si faceva sempre più basso, come le ombre proiettate dagli oggetti, che presto sparirono e furono rimpiazzate da quelle più inconsistenti create dalla tenue luce di consumate candele.

Il suo orologio da polso, quello che aveva fatto aggiustare dopo che si era bloccato durante l’ultima prova del torneo tremaghi, segnava ormai le ventitre meno un quarto quando il picchiettare acuto dei suoi tacchi riempì rimbombante il corridoio vuoto.

La ragazza riccia comparve dalla porta in penombra con un sorriso solare, ma dipinto di colpa, stampato sul volto.

“Ciao piccolo…” esordì sommessamente “Quante volte ti ho detto di non chiamarmi così?” la rimbeccò fingendosi offeso “Sei in ritardo” “Lo so, ma la riunione è durata molto, lo sai quanto mi occupi l’A.E.F.A ultimamente…” cominciò a scusarsi precipitosamente, dilagando con scuse inutili “Ehi, calma, stavo scherzando, non sto mica per morire, non c’è alcun bisogno che tu venga al mio capezzale ogni giorno come un musulmano compie il pellegrinaggio alla Mecca” “Allora perché…?” “Sai quanto mi diverto a darti fastidio” “Brutto…” “Ehi, non oserai offendere un povero malato come me?” “Povero malato dei miei stivali!” esclamò allora indignata “Primo, se non ti avessi trovato saresti belle che morto, perciò ora vanto dei diritti sulla tua inutile vita, secondo, te la sei anche un po’ cercata se permetti, tze, prendere una tintarella di luna in pieno Gennaio è un’idea piuttosto malsana, persino per un pazzo come te” continuò con il solito tono giocoso, senza accorgersi che tornare sull’argomento aveva adombrato Harry.

“Lo so” assentì voltandosi per non guardare i suoi occhi mentre si preoccupava per quello che le stava dicendo “Ma averla rivista mi ha sconvolto” un misto di gelosia e pena per il ragazzo investì furioso il cuore della ragazza, la cui voce s’incrinò mentre cercava invece di essere forte anche per lui

“N-non devi prenderla così, sai che a lei non importa, che ti vuole bene come allora” “Come allora? Come quando mi ha detto “E adesso come farò Harry, come farò a guardarti negli occhi e non provare disgusto?”, devo fare i salti di gioia se i suoi sentimenti sono rimasti tali e quali ad allora…” “Smettila di compatirti così” “No, la verità è che non capisco, non capisco come, nonostante abbia deciso di cancellarla per sempre dalla mia vita, di odiarla, di fare in modo che le sue parole non abbiano l’effetto del fuoco sulle mie piaghe ancora tiepide, il solo vederla mi sia bastato per mettere di nuovo in crisi una vita che dopo dieci anni di inferno avevo ricominciato a ricostruire con successo” “Non lo so, non lo so nemmeno io, forse, forse Harry, non lo voglio nemmeno sapere” le sue parole erano intrise di rabbia e schioccavano come colpi di frusta nelle orecchie del moro.

“Cosa stai dicendo?” i discorsi della donna erano vaneggianti e suonavano molto più distorti nella mente già annebbiata e intontita di lui.

Sospirò, sapeva che avrebbe dovuto aiutarlo ad uscirne prima o poi da quella scabrosa situazione, ma in cuor suo sempre aveva sperato che lei gli sarebbe bastata, che non l’avrebbe fatto più pensare a quella maledetta Hermione che lei, a conti fatti, non aveva mai nemmeno visto

“Scusa, scusa hai ragione, non ho il diritto di arrabbiarmi, sapevo che nel momento stesso in cui sono entrata nella tua vita stavo entrando anche nel tuo personale  e già precario vaso di Pandora, sapevo che presto si sarebbe aperto e che ti sarei dovuta restare vicino, non posso permettermi il lusso della gelosia e dell’ira ora” disse con tono dolce, quasi accondiscendente “E’ ora di affrontare per l’ultima volta il passato, ma devi stare attento a non perderti per i labirinti oscuri dei vecchi rimpianti e dei vecchi dolori, perché allora io, io non potrò fare più nulla per portarti indietro” “Grazie” “Di niente, te l’ho promesso, non ti lacerò mai” “E’ per questo che ti ringrazio” precisò mestamente “Be’…va bene” disse imbarazzata, alzandosi di scatto e voltandosi, perché lui non potesse scorgere quella lacrima traditrice che le bagnava la pelle bianchissima.

Quando si fu ripresa lo guardò di nuovo e parlò

“Ora quindi è venuto il momento di parlare di quella lettera che ho trovato stracciata nel cestino…le hai risposto?” “No e non lo farò” “Bambino sciocco, devi affrontarla se vuoi che tutto finisca” “Lo so, ma cosa potrei dirle? Sarebbero troppo dure le mie parole, persino attutite dalle fibre della carta che tutto rende più lieve e lontano, come appartenente ad un’altra realtà” “Forse, ma in ogni caso non sarebbe nemmeno giusto dirle così ciò che provi, ha il dovere di ascoltare il tuo disprezzo, le tue sofferenze, la tua solitudine, ha il dovere di guardare in silenzio nei tuoi occhi verdi leggendovi l’odio e la freddezza mentre ascolta la verità, mentre le dirai ciò che ti ha fatto, mentre taglierai definitivamente gli esili fili che con la forza della disperazione ti tengono attaccato al tuo passato senza permetterti di raggiungere il tanto agognato futuro che più di tutti ti meriti, per averci salvato da Voldemort” “Se anche fosse vero, se anche meritasse di soffrire almeno un quarto di quanto l’ho fatto io, un quarto che con assoluta certezza le sarebbe ormai fatale, come farlo?” “Che ne dici di offrirle una piccola vacanza di quattordici giorni in Bulgaria?” “COSA?”

 

***

Harry camminava avanti indietro nella stanza dell’ospedale che aveva scoperto essere isolata dal resto della costruzione perché preposta alla degenza di quei pazienti che disturbavano gli altri degenti.

“Come?” aveva chiesto lui quando lo avevano informato di questo particolare “Non mi sembra che una persona svenuta possa essere così di grande fastidio e poi comunque anche quando mi sono ripreso me ne sono stato buono buono a letto senza dare problemi, esigo sapere il motivo di questo trattamento sgarbato” aveva aggiunto offeso, subito dopo, voltando le spalle a Julia che immediatamente aveva risposto “No, lei è una persona davvero cara signor…” “Dammi del tu per la miseria” “Okkei Harry, sei veramente tranquillo, ma di notte…be’, io non so cosa sogni e personalmente sono molto più contenta di essere all’oscuro dei tuoi incubi, perché devono essere terrificanti…ma, stavo dicendo, di notte, quando dormi, urli e ti dimeni come se il demonio ogni volta si impossessasse del tuo corpo, i tuoi strilli di rabbia e di dolore farebbero rabbrividire il più truce mangiamorte, per non parlare del modo in cui si contorce il tuo corpo è…spaventoso” la sua voce si era rotta e pesanti lacrime di paura e dispiacere cadevano con tonfi attutiti dalla stoffa ad inzupparle la divisa sformata.

Solo in quel momento il moro aveva capito…ogni volta che la luna si alzava in cielo e pallida illuminava ancora la terra e i suoi occhi si concedevano il riposo del sonno, dopo aver visto di nuovo negli occhi di troppe persone la felicità a lui preclusa, lui lo sognava, lui lo riviveva, riviveva ciò per cui la sua ex-migliore amica quando lo guardava negli occhi si costringeva repentinamente ad abbassare lo sguardo, perché lui non capisse cosa era celato dietro il castano delle sue iridi profonde.

“Okkei…” aveva detto solo, cupamente, e la donna aveva compreso che lui quelle cose non le poteva affrontare ance alla luce del giorno, o lo avrebbero annientato, ed era scomparsa dietro la porta della camera, la stessa dalla quale ora lui aspettava che entrasse Annik.

Come al solito era in ritardo, ma non riusciva mai ad arrabbiarsi per quel suo difetto, poiché, dopotutto, senza quella sua peculiarità probabilmente quel giorno non l’avrebbe conosciuta e probabilmente il loro rapporto non sarebbe diventato quello che era a quel tempo.

Lo ricordava perfettamente quel giorno, ogni più piccolo particolare di quello che era successo, la perfetta disposizione delle cose nella stanza, la precisa successione degli eventi, tutto era fissato con ordine nei suoi pensieri e spesso, soprattutto in quei giorni vuoti ed inutili trascorsi in ospedale, si era ritrovato piacevolmente ad analizzarne uno per uno, nel ricordo di colei che lo aveva aiutato a non rinunciare per sempre alla vita.

Annik era una metamorfomagus, esattamente come Ninfadora, e, pertanto, possedeva la capacità di far assumere alle proprie parti del corpo la forma desiderata e quella volta, un mattino di settembre del suo primo giorno di lavoro, non aveva certo deciso di passare inosservata.

Ricordava ancora lo stupore dipinto sul suo volto, quando l’aveva vista, subito aveva pensato che dovesse essere per forza di cose almeno mezza veela.

Lui era tranquillo, nel suo ufficio, in attesa di incontrare per la prima volta i suoi piccoli “colleghi” e, mentre stava bevendo un sorso del suo solito caffè mattutino, amaro e bollente e leggendo il giornale, con un sorriso indignato alla notizia dell’ennesimo attacco di mangiamorte che tentavano di tenere alto il nome del loro Signore anche dopo la sua caduta, la porta di legno che preservava dal resto dell’edificio la sua piccola intimità si era spalancata, lasciando entrare per un attimo il brusio di mille voci allegre e una donna, che subito l’aveva richiusa dietro di sé, appoggiandovisi poi di schiena, sospirando.

Non si era accorta immediatamente della presenza di un uomo sconosciuto che la guardava basito e, mentre stava appendendo meticolosamente mantello e sciarpa alla gruccia di fronte alla scrivania, aveva iniziato un piccolo monologo a mezza voce dando ad Harry, non solo la possibilità di ascoltare le sue frasi sconnesse, ma anche di ammirarla in tutta la sua bellezza.

“Possibile che non ne faccia una giusta?” si era rimproverata e lui si era soffermato sui suoi capelli lisci e lucenti, neri come la pece, che scendevano leggiadri sulle sue spalle esili.

“Arrivo sempre in ritardo, mi licenzierà una volta o l’altra” aveva continuato mentre cercava assorta qualcosa nella sua valigetta e lui aveva fatto scivolare i suoi occhi sui fianchi di lei, sinuosi e snelli e sulle sue gambe, lunghe e magre, ma scolpite sotto la corta gonna blu notte che indossava.

“E poi non riesco mai ad organizzare il lavoro prima di cominciare, perdo sempre minuti preziosi…” seguitava a lamentarsi mentre, voltatasi, continuava l’estenuante ricerca nella ventiquattrore dove tutto era riposto spiegazzato ed in disordine ed il moro, sempre più incuriosito anche dalla sua sbadataggine, si soffermava sui seni torniti, sull’addome piatto e sul viso dai fini lineamenti e dagli occhi ancora più scuri dei capelli “Finalmente l’ho trovato!” aveva esclamato allora lei, alzando un foglio come fosse un trofeo, mentre lui finiva di giudicare, tra sé e sé, come stesse bene con quei vestiti babbani sotto la tunica nera tipica del mondo magico aperta sul davanti.

Solo allora, quando si era diretta alla scrivania per riordinare gli appunti, si era accorta che c’era un intruso nel suo ufficio, o era lei l’intrusa?

“Oh ciao!” aveva esclamato come fosse la cosa più normale del mondo e dopo essersi presentata ( “Io sono Annik Zabini e

 tu? Cosa? Harry Potter? Non pensavo ti avrei mai conosciuto…piacere, veramente molto piacere!”) gli aveva chiesto incuriosita
”Ti spiacerebbe dirmi che ci fai nel mio ufficio?” “Spiacente di contraddirti, ma è il mio, il tuo deve essere di fronte, mi pare di avere scorto un cognome che iniziasse con la zeta” “Oddio scusami, ma, come avrai certo capito dalle mie parole” aveva detto arrossendo mentre diventava consapevole del fatto che per tutto quel tempo lui aveva ascoltato in silenzio i suoi sproloqui “Sono un poco sbadata e devo aver sbagliato stanza” ‘Un poco?’ avrebbe voluto scherzare lui, ma aveva detto solo “Non importa, il primo giorno è difficile per tutti” “In realtà è già il secondo anno che lavoro qui e non è mai cambiato nulla” aveva insistito lei, creando così un’atmosfera tesa e silenziosa: lui non la conosceva e non sapeva se desiderasse che lui si dicesse d’accordo con lei o continuasse a trovarle scuse per la sua inavvedutezza.

Allora, dopo qualche imbarazzato istante nel quale lei si era rimirata le decolté nere e lucide e lui si era guardato intorno nervoso, se n’era uscito dicendole “Ti va di prendere un caffè con me questo pomeriggio? Sono nuovo di qui e mi piacerebbe conoscere qualcuno” “Perché no?” aveva accettato, lieta che lui avesse finalmente rotto il silenzio, ed era uscita velocemente dalla stanza, urlando allegra, “Alle cinque e mezza nel mio ufficio, mi sembra giusto che lo veda come io ho visto il tuo”.

E così era iniziata la loro amicizia: con uno sbaglio di porta e una proposta d’appuntamento lanciata perché null’altro aveva da dire.

Mai, quel giorno, avrebbe creduto che le cose si sarebbero evolute in quel modo e ancora sorrideva al pensiero di quell’incontro così assurdo e di quel suo coraggio così spudorato nell’invitarla ad uscire, che mai aveva avuto con le donne.

Di nuovo il rumore inconfondibile sei suoi tacchi risuonò in lontananza e, poco dopo, dalla porta color cachi spuntò lei che quel giorno indossava dei jeans aderenti a vita bassa ed un cappotto pesante che le scendeva poco sotto i fianchi ed aveva i capelli, sempre neri come la notte(il colore era l’unica caratteristica che non cambiava mai) raccolti in un’alta coda di cavallo e lasciati scendere in boccoli morbidi sul pelo del cappuccio.

“Ehi, finalmente il mio ragazzo si è ripreso, ma non dovresti affaticarti così, siediti intanto che io preparo tutto” “Tutto?” “Si, mando subito le valige a casa, viaggiare via camino in due già sarà un’impresa, figurati se ci portiamo appresso anche i bagagli” “Ma che farnetichi? Ci smaterializzeremo!” “Che scherzi? Sei ancora così debole che rischi di dimenticarti per strada un pezzo, non sia mai che mi arrivi e scopri di aver lasciato al San Mungo un braccio o i tuoi begl’occhi verdi” lo prese in giro passando una mano nei suoi capelli sempre spettinati “Ma io…” “Harry James Potter!!!” disse allora lei mettendo le mani sui fianchi cominciando a picchettare la punta del piede nervosamente “D’accordo, d’accordo, ho capito l’antifona” si arrese il moro prima di eclissarsi in bagno per un’ultima sistemata prima della partenza.

Quando ne uscì Annik rise palesemente del suo inutile tentativo di domare quei ciuffi ribelli con l’acqua ed un po’ di gel

“Non ci rinuncerai mai vero?” “Hai dei dubbi in proposito?” “No, già…” assentì tra una risatina e l’altra e, prendendolo a braccetto, lo condusse verso il camino che si trovava nella stanza accanto, dove vi trovarono anche Julia ed il medimago che li vollero salutare.

Dopo gli usuali e cordiali ringraziamenti insieme si gettarono nelle alte e solleticanti fiamme luminescenti, prendendo a vorticare sempre più velocemente quando la ragazza ebbe scandito ad alta voce l’indirizzo dell’abitazione del moro in Bulgaria.

Quando tutto si fermò ed Harry poggiò il piede a terra stentò a reggersi, affaticato dallo sbatacchiamento del viaggio e, gravando pesantemente sull’amica, si appoggiò totalmente a lei che, non molto forte, lo accompagnò con enorme fatica al divano, dove si sedette per riprendere a respirare regolarmente.

“Devi smetterla sai di prendermi come una stampella vivente o un giorno o l’altro ci troveremo tutti e due a terra uno sopra l’altra” “Non sarebbe questa grave tragedia” “Smettila!” lo redarguì lei, alzandosi in fretta e correndo al piano superiore per sistemare i vestiti che gli aveva portato per la sua degenza in ospedale e che ora erano quasi tutti sgualciti o sporchi.

Era ancora accomodato sul sofà quando sentì la sua voce provenire dalla stanza, attutita dalle spesse mura che li separavano

“Sai, non credere che questa situazione durerà a lungo, appena sarai guarito tutto tornerà come prima e non sarò più la tua servetta personale capito? Vedi di non prendere il vizio!” il tono era scherzoso, ma l’uomo sapeva fin troppo bene quanto lei odiasse svolgere i lavori di caso e quanto quindi dovesse risultarle sgradito, nonostante tutto, il compito di tenerlo costantemente sotto controllo.

“Non preoccuparti” rispose prontamente a tono “Non ho intenzione di mangiare per molto pranzi riscaldati e bruciacchiati ed indossare vestiti talmente inamidati che sembrano cartone!” “Ah ah, spiritoso” ribattè lei e la sua voce suonò più vicina.

Era infatti tornata di sotto e ora lo stava raggiungendo per accompagnarlo nella stanza da letto.

“Forza e coraggio, alzati e vieni a letto, il dottore a detto che devi riposare” “Come?” continuò lui in tono scherzoso “Non vorrai abusare di un povero malato ed indifeso?!?” esclamò falsamente indignato “Ma smettila di fare il cretino, sai benissimo che anche in queste condizioni ti basterebbe un dito per sbattermi contro il muro” si lamento allora lei consapevole della sua debolezza…

La camera era buia e vi aleggiava un fastidioso odore di chiuso: era un po’ in effetti che non vi entrava, da quando per le vacanze di Natale aveva deciso di andare alla casetta in Scozia che Sirius gli aveva lasciato in eredità (l’aveva acquistata perché la reputava un luogo adatto a nascondersi quando le autorità magiche lo stavano cercando perché lo credevano ancora colpevole dell’assassinio fasullo di codaliscia).

Dopo una discreta rampa di scale le sue gambe tremavano e, conscio che da un momento all’altro sarebbe caduto rovinosamente a terra se non avesse messo qualcosa tra sé ed il pavimento, si accasciò sul morbido materasso, tirando con sé l’amica, che finì per crollargli addosso.

“Vedi, lo sapevo che avevi un secondo fine” disse in tono seducente “Bè, d'altronde come potrei stare fianco a fianco di un fascinoso moretto senza saltargli addosso?” chiese lei sorniona, reggendo il gioco “Eh non lo so…” finse di vantarsi lui e, mentre si perdeva nella nera profondità dei suoi occhi, posò le sue labbra sulle sue e la coinvolse in un appassionato bacio.

“Non lasciarmi” “Come Harry?” “Non andare via” “Non temere, lei saprà prendersi cura di te” “Oh non ne dubito, non è una sprovveduta, ma non so se reggerò quattordici giorni solo in sua compagnia” “Ma devi affrontare i tuoi problemi, non puoi permetterti di continuare a vivere con certi scheletri nell’armadio” “Hai ragione…hai sempre ragione…è per questo forse che ti amo…” disse lui un po’ malinconico, al pensiero che il mattino dopo l’avrebbe lasciato solo ad affrontarla “Forse, dal canto mio ti amo per quel tuo fascino misterioso che mi ha colpito dal primo giorno, quando mi hai offerto con nonscalanse(sempre ke s scriva così…ndS) quel caffè dopo il lavoro “Adulatrice” la prese in giro infilando le mani sotto la sua maglietta per slacciarle il reggiseno” “Harry, Harry, Harry, il medico non ne ha parlato, ma non credo che tu sia in condizioni di fare certe cose” lo rimproverò fremendo al suo tocco.
Come se neanche l’avesse ascoltata lui la baciò di nuovo, stavolta con più passione, in un gesto travolgente, e tutte le sue difese caddero, una ad una: dopotutto era lui quello che stava male ed era abbastanza adulto per decidere cosa poteva o non poteva fare…

 

Bè…come vedete il caro Harry non è un automa e non si è inequivocabilmente vietato certi piaceri della vita dopo l’abbandono della cara Hermione, ma dopotutto come biasimarlo? Siamo fatti di carne, prima di tutto…

La ragazza misteriosa è la bella Annik…non vi dice nulla il suo cognome? Sarà sl una coincidenza o è davvero parente dell’ex serpeverde Blasie Zabini? Bel mistero, soprattutto se si conta che di certo nn ci sono sl loro di Zaini nel mondo, ma che cmq nn è in cognome così poi diffuso…ma forse devo smetterla con queste domande e asserzioni che sicuramente vi saranno già balzate alla mente e passare ai ringraziamenti…

 

Raissa_2: sn contenta che nn ti abbia disturbato la “lentezza del capitolo” e che tu l’abbia apprezzato!!! Cm vedi in questo succedono e si scoprono molte più cose, anche se cn il passare del tempo c saranno tante altre novità, alcune delle quali sn già ben delineate nel mio cervellino bacato!!!

Mi spiace ma nn c hai azzeccato, Ginny nn si è fatta la permanente, anche xkè ha pensato ke nn valesse la pena di tornare dal regno dei morti per andare dal coiffeur(t ricordi l’ecatombe del primo cap no? Nella guerra contro Voldemort sn morti tutti…), cmq avrebbe anche potuto essere un’idea originale, devo ammettere che un pensierino ce l’ho fatto.

In ogni caso fammi sap ke ne pensi di questo chap, un bacioz!!!!

 

Gius: nn importa se la rec è stata breve, xkè ho apprezzato veramente il fatto che, nonostante tu fossi stanca, ti sia impegnata lo stesso a scrivere qualcosa, quindi grazie 1000!!!! Lo so che la storia deve piacere a me e nn agli altri, ma x me le opinioni sn importanti e cmq, a me piace quello che scrivo almeno in parte o nn troverei il coraggio di pubblicarlo è sl ke m demoralizzo molto facilmente…cmq questo chap cm t è sembrato? Un bacioz!!!!!

 

Marta: wow!!!! Un’altra lettrice! Che bello!!!! Mi ha inorgoglito molto il 10 e spero che continuerai a farmi sapere  cosa ne pensi della fic!!!! Un bacioz anche a te!!!!

 

Un saluto a tutti e commentate che così m fate scrivere + velocemente!!!!

A settimana prossima e buon Halloween!!! Sxo che il vostro si prospetti bello cm il mio!!!

Summer9!!!

 

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Capitolo 5
*** Esci subito di qua! ***


Esci subito di qua

Esci subito di qua!

 

Il fastidioso trillo di una sveglia invase la camera e Harry, innervosito per essere stato destato così di colpo, prese quel “Dannato aggeggio” e lo lanciò contro il muro, dove con uno schianto, si ruppe in mille pezzi che caddero al suolo con ancora più strepito del tintinnio meccanico.

Accanto a lui la donna, già sveglia, stava ridacchiando sommessamente alla vista della reazione spropositata del moro che, vedendola sogghignare se la prese con lei

“Ma che ora sono?!?!” “Mpfh…le sei” “COSA? E perché mai mi hai svegliato così presto?” “Tu hai voluto che restassi qui caro mio, ma io, a differenza di te, devo andare a lavoro, già non avrei dovuto passare la notte fuori, era il mio turno di sorveglianza, se in più tardo come al solito è la buona volta che Goy mi licenzia” “D’accordo…quando arriverà lei?” chiese allora pronunciando quell’ultima parola con un tono leggermente equivoco.

Annik sbuffò “Cavoli Harry, non sarà certo in questo modo che affronterete i vostri problemi” “Non per essere pignolo, ma vorrei sottolineare che io non avevo la minima attenzione di farlo, ma qualcuno mi ha tirato un colpo molto basso invitandola prima di chiedermene il permesso” piccata da quell’osservazione a cui non sapeva come rispondere, la donna si alzò dal letto con un gesto stizzito, mostrandosi a lui in tutta la sua bella, conturbante ed irosa nudità

“Bè’, forse il sotterfugio non è certo il modo migliore di agire, ma ammetti che se non mi fossi comportata così staresti ancora nel letto a crogiolarti pensando al torto che ti ha fatto, invece di cercare di buttarti tutto definitivamente alle spalle” il volto dell’uomo si colorì di rosso, era consapevole del fatto che lei aveva ragione, che si stava comportando da bambino immaturo, ma, troppo orgoglioso, non voleva darlo a vedere e le diede così le spalle, coprendosi interamente con le lenzuola.

“Mmmmmh!!! Quando fai così non ti sopporto, stupido testardo!” sbottò lei ed entrò in una porta sita nella parete di fronte al letto che la condusse nel bagno da dove, non molto dopo, provenne il rilassante ed inconfondibile rumore dell’acqua che, scrosciante, scorreva dal rubinetto della doccia.

Allora Harry si stese a pancia in giù e, inforcando gli occhiali, rilfettè sconsolato su come avrebbe dovuto comportarsi con Hermione.

Avrebbe dovuto far finta di nulla e aspettare che le cose venissero a galla da sole, una ad una, oppure affrontare subito l’argomento e vedere come avrebbe reagito lei?

Era difficile capire quale fosse la cosa migliore, ma soprattutto era difficile capire cosa volesse lui realmente, se davvero si sentisse tutto questo coraggio di rivivere certe cose, certe delusioni.

Un cigolio fastidioso del rubinetto che si chiudeva annunciò che Annik aveva finito di lavarsi, infatti, poco dopo, rientrò nella stanza avvolta da un candido asciugamano, mentre i capelli ancora umidi le circondavano disordinati il volto su cui campeggiava un’espressione decisa

“Ascolta, so di averti giocato un brutto scherzetto che forse non avevo il diritto di mettere a segno, ma ormai quel che è fatto è fatto e non puoi sprecare questa occasione, anche perché sarà l’ultima, non puoi continuare così in eterno, se non ti deciderai ora che tutto ti è offerto su di un piatto d’argento dovrai arrenderti e rinunciare per sempre, le occasioni che ti offre al vita non sono infinite, per quanto lei ti possa sembrare sciocca e traditrice presto si stancherà di correrti dietro e allora, per quanto tu desidererai porre fine alle angosce che ti tormentano, lei non sarà più disponibile a ripercorrere con una corsa furiosa ed inutile il suo passato” “Ma nemmeno ora sembra che lei sia disposta a farlo, sembra che non le importi nulla” a queste parole lei lo guardò in tralice e poi, mentre cercava di entrare in un abito un po’ stropicciato, disse, stanca di quelle continue ed assurde asserzioni

“Io non so più come fartelo entrare in testa, ma prova a pensarci, se lei non volesse davvero cambiare le cose, per quale anomalo motivo avrebbe accettato di farti da balia per due settimane?” “Ma quando l’ho vista, a Londra lei…” “Ha evitato l’argomento, lo so, ma forse le occorre del tempo, forse ha solo bisogno di vedere che, nonostante la tua rabbia,tu sei pronto ad ascoltare le sue ragioni, per quanto non ce ne possano essere al trattamento che ti ha riservato” “Sono veramente stanco di dirti che hai ragione” la prese in giro come la sera precedente “Piantala di motteggiare” lo riprese lei, ma dal suo tono traspariva un sottofondo altrettanto scherzoso e, dopo che si fu allacciata l’ultimo bottone della giacca prese il suo cuscino e glielo lanciò in faccia

“Alzati pigrone, che rifaccio il letto prima che arrivi, vorrei risparmiarle almeno quest’onere!”

 

Erano ormai le sette e trenta e Annik si era appena smaterializzata, dopo aver schioccato un giocoso bacio sulle labbra imbronciate di Harry, che ora se ne stava sdraiato sul divano aspettando l’ormai inevitabile arrivo della bella brunetta che era stato fissato alle otto.

Le lancette di un grande orologio a pendolo scandivano inesorabili i minuti ed i battiti del cuore del moro che compitavano il ritmo della sua agitazione.

Quella che per  molti altri sarebbe potuta sembrare un’eternità, per l’uomo trascorse forse troppo velocemente e, quando ancora l’ultimo rintocco dell’orologio si stava spegnendo assorbito dalla casa un tremulo bussare giunse alle orecchie di Harry.

“Chi è?” chiese confondendola un poco, come se si aspettasse altre visite, infatti la sua voce risuonò incerta

“Sono io…ehm, Hermione” “Oh” esclamò fingendosi stupito “Prego, entra pure, la porta è aperta” la invitò.

I cardini cigolarono e il pesante uscio nero d’ebano si spalancò, illuminando la stanza dove ancora tutte le tende erano tirate e le persiane accostate.

Appena lo richiuse alle sue spalle l’imbarazzo calò su di loro. La donna in silenzio appoggiò le borse accanto al divano e, con un disagio sempre più crescente, sistemò giacca e sciarpa all’attaccapanni, cercando di farlo il più lentamente possibile.

Ma il padrone di casa non accennava a parlare, semplicemente, cercava di posare il suo sguardo su tutto meno che lei, per celare l’apprensione che provava in quel momento: non voleva darle a vedere quanto fosse ancora importante per lui, non poteva permettersi di parlarle con certe carte scoperte.

Hermione stava in piedi poco distante da lui, mentre, stropicciandosi le mani, decideva se fosse il caso o meno di dare vita ad una conversazione, lui, dal canto suo, sembrava non averne la minima intenzione.

Ma qualcuno doveva pur farlo.

E così lei parlò.

“Ehm…” si schiarì la voce, come a far notare la sua presenza “Hai-hai già mangiato Harry?” passarono non pochi secondi prima che si sentì sicuro di poter rispondere senza che la sua voce tremasse di rabbia

“No, non ancora, tu?” “Nemmeno io, ti-ti preparo la colazione? Cosa prendi di solito?” “Mi faresti un favore, anche se io bevo solo caffè” “Ma non puoi non mangiare nulla, ascolta, anche io ho fame, preparo uova e pancetta con del succo di arancia e mangeremo insieme in cucina…allora?” tentò di essere gentile e servizievole.

La risposta dell’uomo non fu certo a tono: biascicò un indelicato “Non c’è alternativa giusto?”.

Un po’ offesa dall’osservazione se ne andò corrucciata, lasciando solo il moro a darsi dello stupido: doveva cercare un dialogo, risolvere la situazione, e trattarla male non era certo la via migliore.

Con fatica si alzò e la raggiunse nell’altra stanza, per farle una silenziosa, tesa compagnia.

Ma per quel giorno forse era il massimo che avrebbero potuto raggiungere.

Infatti con il passare del tempo simili situazioni si ripetevano: lei si rivolgeva a lui in tono affabile e disponibile e, come ringraziamento spesso e volentieri riceveva frasi scontrose ed offensive, sulle quali poi Harry rimuginava, dandosi dell’idiota per il suo comportamento irrazionale.

Ma era difficile controllarsi, era difficile comportarsi come nulla fosse per creare l’atmosfera giusta perché si lasciassero andare e, quella notte, chiusero gli occhi consapevoli che per il momento entrambi stavano facendo solo tanti, inutili, faticosi e laceranti passi indietro.  

 

Il mattino giunse quasi inaspettato e, quando Hermione irruppe nella stanza da letto per svegliarlo aprendo i vari tendaggio Harry si stupì vedendola, come fosse stato ancora convinto che da quella porta sarebbe entrata Annik.

La luce di un sole stranamente splendente riempì la camera mentre l’uomo si alzava stiracchiandosi gli arti rattrappiti e farfugliando uno stentato buongiorno.

“Buongiorno anche a te!” scattò invece lei, gioviale.

Evidentemente aveva deciso di seguire una linea d’azione differente rispetto al giorno prima: lei l’avrebbe trattato bene, cordialmente, indifferentemente dall’atteggiamento che le avrebbe riservato, sperando che questo l’avrebbe convinto della sua buona fede e che si sarebbe lasciato andare con lei.

Ovviamente come in tutte le cose i risultati si sarebbero visti lungo andare e non si aspettava minimamente che lui la trattasse meglio da subito.

Infatti, senza più degnarla di una parola Harry la lasciò sola a sistemare le cose, mentre lentamente scendeva in cucina dove, con tutta sicurezza, avrebbero mangiato ancora insieme.

Perché si comportasse così non lo sapeva nemmeno lui, ma agire in quel determinato modo non lo faceva soffrire, sentiva che se le si fosse avvicinato ancora troppo non sarebbe più riuscito a parlare con lei e doveva farlo.

Non molto dopo la brunetta lo raggiunse e, sempre con la stessa aria felice, si mise canticchiando ai fornelli.

D’altro canto non comprendeva nemmeno come per lei tutto potesse essere così semplice, quando, solo il giorno prima, non riusciva neanche a rivolgergli la parola senza balbettare.

Quella cosa lo innervosiva. Lo faceva agitare quel suo ostinato atteggiamento ipocrita.

Perché? Perché fingere che tutto quello fosse la cosa più naturale del mondo? Come poteva esserlo convivere dopo dieci anni di separazione? Era come se non si conoscessero più, per fare un esempio nessuno dei due sapeva che lavoro facesse l’altro, erano forse cose elementari, ma infondo facevano parte della loro nuova vita, del loro nuovo essere e, esserne all’oscuro, portava la conseguenza di non conoscersi più, eppure…eppure appena aveva avuto l’occasione di stare un po’ con lui l’aveva colta al volo, nonostante le avesse fatto capire, quando si erano incontrati a Londra, che lui non aveva più intenzione di rincorrere il loro passato.

Ma forse…forse dopotutto Hermione sapeva meglio di lui che non si poteva andare avanti senza aver chiuso i conti con quello che c’è dietro di te e lei voleva farlo, anche se avesse significato che con quella visita la porta di Harry sarebbe rimasta chiusa per sempre per lei.

“Come va?” gli domandò distraendolo dai suoi pensieri.

Avevano appena finito di far colazione ed si erano sistemati sul divano lei, ad un capo, lui, dall’altro, con non pochi centimetri di distanza.

“Mi sento ancora come se avessi tutte le ossa rotte, ma per il resto va tutto bene” disse secco

“Già…bè, sono contenta…sai, anche a me è successa una cosa simile dopo che Ron…” lasciò cadere la frase, mentre il suo tono si abbassava e la voce diventava sempre più rauca.

“Ah…e…com’è successo?”  “Be, sono stata anche io fuori tutta la notte senza…” “No scusa, non intendevo quello, lui, come ha fatto a…bè, hai capito” concluse.

Parlarne gli faceva male, ma non poteva pensare di non sapere nulla della morte del suo migliore amico, ora che ci pensava gli sembrava anche molto strano che Silente non gli avesse fornito nessun particolare, se non la notizia in sé, ma forse lui aveva capito meglio di entrambi che avrebbe dovuto parlarne con lei, nonostante tutto infatti anche quello era un evento del loro passato che avrebbero dovuto superare insieme.

“Non credo che abbia sofferto sai?” esordì e le sue parole erano già bagnate da lacrime amare

“Bene” disse lui deglutendo, per riempire il silenzio di quella frase lasciata in sospeso.

Lo guardò fisso in quei meravigliosi, ma ormai spenti occhi verdi, cominciò a raccontare

“Era Natale, come ti ho già detto, il primo che trascorrevamo insieme e sembrava che tutto andasse a gonfie vele, sembrava felice, non parlava più di quanto gli mancassi, non passava più ore chiuso nel suo studio a guardare i vecchi album di foto, non mi coinvolgeva più in discussioni sul duello con Voldemort per analizzarlo e capire se fosse successo in quel momento qualcosa che ti aveva spinto ad andartene, finalmente sembrava che gli bastassi solo io, che avesse accettato la nostra vita insieme, ma forse nascondeva solo la decisione di farla finita…non so, non so se l’abbia premeditato o se è solo successo…” sospirò, voltandosi, non voleva che continuasse a vedere le lacrime che impertinenti le rigavano il volto dalla pelle ambrata.

“…comune quel giorno di otto anni fa entrai in casa, di ritorno da un giro di negozi per gli ultimi acquisti di Natale e compresi subito che qualcosa non andava: c’era troppo silenzio.

Non il rumore della televisione che io gli avevo fatto conoscere, non come al solito il suo chiacchierare con un amico al telefono che finalmente aveva imparato ad utilizzare senza urlare, non lo scroscio d’acqua dal lavandino o dalla doccia…corsi subito all’impazzata in camera da letto e, quando spalancai la porta, desiderai di non averlo mai fatto”

Ora i suoi singhiozzi erano fin troppo marcati perché potesse nasconderli a lui semplicemente voltandosi.

“Lui-lui era là…sul letto, come dormisse, ma dalla sua bocca usciva un rivolo di sangue e sul pavimento giacevano i resti di una pozione blu-grigiastra tra le schegge del boccetto di vetro che la conteneva” ormai il pianto era dirotto e il racconto l’aveva colpito talmente che Harry non riuscì più a rimanere indifferente alla sua sofferenza che ora condivideva.

Così, si avvicinò e la strinse a sé, accarezzandole i capelli, mentre lei affondava il viso nel suo petto, bagnando in quel modo la maglia del suo pigiama.

In quel momento la cosa sembrava idilliaca, sembrava quasi sicuro che tra i due si fosse tutto sistemato, ma quando Hermione si riebbe un po’, cercò di svincolarsi dall’abbraccio e, quando la sua mano sfiorò il braccio destro di lui, lo allontanò di scatto, come se fosse stata scottata da quel tocco.

Improvvisamente da pieno di compassione e mestizia il viso del moro si adombrò di rabbia e i suoi occhi presero a lampeggiare come i lampi nel cielo durante un temporale primaverile.

“Come osi?” “Harry io, non volevo, mi ero ripromessa di non pensarci, di fare come nulla fosse ma…” “Non ci riesci?” chiese lui ridacchiando, ma la risata uscì tetra e grave

“Non è quello è solo che…” “E’ SOLO CHE COSA?” sbraitò allora lui “CREDI DAVVERO DI POTERTI PERMETTERE DI…” era così arrabbiato che non riusciva  nemmeno a trovare le parole atte ad esprimere il suo sentimento “…non lo so Hermione…” riprese sconsolato “…non so che pensare, tu dici che vuoi che io guardi al di là di tutto, che dimentichi in nome di quello che eravamo, di quello che avremmo potuto diventare, di quello che avrebbero potuto diventare tutti quelli che sono morti, ma non posso farlo, non senza la certezza che tu abbia accettato…” non poteva dirlo ad alta voce, non aveva mai pronunciato parole per descrivere ciò che li aveva fatti litigare e non le avrebbe pronunciate in quel momento “…bè, sai cosa”

“Io non so se ci riuscirò mai, ma devi rispettare i miei limiti…” azzardò lei, con la voce simile allo squittio di un topo indifeso

“COSA?” riprese ad urlare “NON CI CREDO! Non posso credere che tu mi stia chiedendo una cosa simile…è assurdo, io…io l’ho fatto per te…e ora tu pretendi che io mi arrenda? Che mi faccia andar bene che per quello ho perso il tuo rispetto? No, non lo accetto”

“Adesso non cercare di far passare i tuoi errori come un gesto altruistico caro mio, sappi che non attacca con  me!” “Cos-cosa?” domandò a mezza voce: era allibito.

“Io ho accettato che succedesse solo perché tu avessi salva la vita” “Smettila di nasconderti dietro gesti eroici, te l’ho sempre detto che tu hai questa spiccata tendenza a voler sempre essere il salvatore del mondo, ma non puoi camuffare i tuoi sbagli per via di questa tua attitudine”.

Per un breve istante Harry rimase ammutolito: non poteva credere che quelle frasi maligne ed accusatrici uscissero dalla bocca di quella che insisteva col dire “Siamo sempre stati come fratelli, perché non ci amiamo più ora?”.

“E’ assurdo, tu non puoi rinfacciarmi in questo modo qualcosa che ho fatto perché ancora tutt’oggi il tuo cuore potesse battere forte nel tuo petto”

“Non m’imbambolerai con le tue frasi ad effetto, non più, tutto ciò non funziona più, non ha  mai funzionato in realtà” resisteva imperterrita Hermione.

Il moro era esacerbato, non sapeva più come ribattere, non capiva come una ragazza intelligente come lei non potesse vedere al di là del proprio pregiudizio.

Furioso prese le sue valigie ancora intatte e le lanciò fuori dalla porta e poi la fissò collerico

“E adesso esci fuori di qui e non farti più vedere a meno che…”

“A meno che cosa Harry?” domandò lei testarda

“ A MENO CHE TU NON ABBIA FINITO CON QUESTA FARSA CHE TI SERVE SOLO PER NON SENTIRE I TUOI SENSI DI COLPA E ORA FUORI DA CASA MIA”  concluse indicando l’uscio con il braccio destro, mostrando quindi il motivo per cui la loro amicizia si era, forse definitivamente, incrinata…

 

Mentre discutevano era giunta la pausa pranzo e Annik aveva deciso di fare una capatina per vedere come i due se la stessero cavando.

Rimase non poco basita quando si materializzò sulla soglia e si vide sfrecciare accanto la bella brunetta con fare stizzito, mentre la figura di Harry si stagliava imponente e rabbiosa dal salone in penombra, con il braccio teso ad indicare l’uscita e l’errore più grande della sua vita.

 

Allora???? Che ne dite??? Quale sarà mai questo colossale errore?

Lo so, la sto tirando per le lunghe, perché cavolo hanno litigato? Bè, penso che un po’ ormai già si capisca, perché ho disseminato piccoli ma chiari indizi dai quali secondo me si puo già trarre una conclusione, ma cmq nel prossimo chappolo forse tutto sarà un pokito + chiaro….ki lo sa?

Xciò se siete almeno un briciolo curiosi recensite questo chap e in un baleno lo saprete…(sapete quanto x me sia importante il vostro parere xciò….COMMENTATE please, se volete il 6° chappolo…^__^ devil smile(ke nn è poi molto devil…ahem…)

Un baciox a tutti e un grazie specialissimo a Gius che ha avuto la pazienza di commentare anche lo scorso capitolo: come vedi la bella brunetta nn è durata per molto, un paio di giorni neanche ed ecco che succede il gran casino, spero di essere riuscita nel dialoghetto finale a far capire quanto fossero assurde le sue affermazioni e quanto Harryno caro ci rimanesse male…fammi sap ke ne pensi…bacioz!!!!!!

 

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