Fires of midnight

di Black Spirit
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fires of midnight ***
Capitolo 2: *** Uno e dodici ***
Capitolo 3: *** Capelli rossi ***
Capitolo 4: *** Raccontami tutto ***
Capitolo 5: *** Fuochi d'artificio ***
Capitolo 6: *** No Boundaries ***
Capitolo 7: *** Ti aspetterò ***
Capitolo 8: *** Addio, amore mio ***



Capitolo 1
*** Fires of midnight ***


“D-Dove sono?”

Apro lentamente gli occhi e metto a fuoco un lungo corridoio con almeno una decina di porte, sto per alzarmi ma qualcuno mi spinge per terra.

“Non alzarti, non sei ancora totalmente guarito”

Mi giro verso quella voce.
E vedo una ragazza dai i capelli neri con delle ciocche blu, la pelle chiara, un trucco scuro abbastanza pesante, vestita in modo semplice con una maglia nera e dei pantaloni dello stesso colore.

Una ragazza incredibilmente bella.

Ma con un espressione dura quella di chi ha tutto sulle proprie spalle.

“Chi sei?”
Mi guarda con un aria severa come se la stessi prendendo in giro ma poi mi risponde lo stesso.

Sembra che le stia antipatico.

“Gwen, sono una dodici”

La guardo senza capire.

Che cosa vuol dire che è una dodici?
Mentre io cerco di comprendere quelle strane parole lei inizia a perquisirmi o almeno è quello che credo stia facendo passandomi le mani ovunque e premendo in alcuni punti, finché non mi alza la maglia per controllarmi l'avambraccio con l'aria di chi l'ha fatto cento volte e li trova c'è un tatuaggio che non ho mai saputo di avere.
“Che ci fa quel numero uno tatuato sulla mia pelle?”
Quasi urlo per la sorpresa e lei ne sembra infastidita.

Cavolo non volevo farla arrabbiare.

Di nuovo.

“Alzati ti porto nel tuo dormitorio, li ti spiegherò come funzionano le cose qui quindi non fare domande per ora”
Mi porge la mano e mi aiuta ad alzarmi.

Forse non mi odia così tanto.

Mi fissa per un minuto.

Poi inizia a camminare facendomi segno di seguirla.

È veloce.

Ma non era un problema.

Ero sempre stato una persona atletica.

E quindi per me seguirla non era un gran problema.

“Come sei morto?”
Sgrano gli occhi e mi giro verso di lei che mi fissa quasi curiosa.

“M-Morto?”
Lei sbuffa e mi guarda infastidita.

Di nuovo.

“Il modo in cui sei finito qui?”

La guardo per un paio di minuti.

E in lei sembra scattare qualcosa.

“Non te lo ricordi davvero eh?”

Mi guarda infastidita.

Di nuovo.

Si ferma.
“Vieni qui”

Si avvicina a me e mi bacia.

Un bel bacio ma si allontana troppo presto per i miei gusti.

Si stacca da me dopo meno di una frazione di secondo e si pulisce la bocca quasi disgustata da quello che ha appena fatto.

Ed infastidita.

Di nuovo.

Mentre io resto imbambolato lì con le labbra che mi pizzicano.

Wow, bacia bene.

Bacia veramente molto bene.

“A cosa devo questo bacio?”

Lei mi fissa e inizia a contare con lei dita.

Uno.

Due.
Tre.

Delle immagini sconnesse iniziano ad apparirmi in mente.

Chiudo gli occhi e mi lascio trasportare sperando che finisca presto.

Quando li riapro sento che potrei scoppiare in lacrime da un momento all'altro.

Ma non lo faccio.

Non davanti a lei.

Non davanti a qualcuno.

Ghigno.

Ora so.

So chi mi ha ucciso.

So come mi ha ucciso.

So perché mi ha ucciso.

Lei mi guarda e poi mi fa cenno di seguirla, deve averlo visto accadere milioni di volte eppure sembra comunque scossa.

Comunque triste.

Come se avesse appena visto quello che ho visto io.

E chissà forse l'ha fatto.

Non so di cosa sia capace.

Forse mi legge nel pensiero...

Spero di no.

Camminiamo in silenzio per un po' finché io non prendo coraggio e dico una parola che mi da una fitta al cuore.

Nonostante la mia forza.

Sento una fitta al petto.

“Omicidio”

Lei mi guarda sorpresa.

Probabilmente non ne arrivano tanti come me qui.

A proposito.

Qui dove?

Dove siamo?

Ha detto che me lo avrebbe detto quindi non devo fare altro che aspettare.

E lo farò anche se la curiosità mi divora vivo.

Prendo coraggio e le dico cosa mi è successo in poche parole.

“La mia ragazza...”

Lei mi guarda ancora e per un momento mi stringe una mano.

Mi da un po' di sostegno.

Mi dimostra che mi è accanto.

Che nonostante tutto forse non mi odia.

“Incidente”

Per un momento mi è accanto.

Ma poi torna dura.

Poi torna se stessa.

Continuiamo a camminare fino a una porta con la scritta “Uno” la guardo per un attimo e lei mi fa segno di entrare. Attraverso la porta e vedo un altro corridoio ancora più lungo di quello dove ci troviamo.

“Come ti chiami?”
La fisso per un attimo prima di rispondere non capisco perché me lo chieda solo ora.

“Duncan”

Lei alza gli occhi al cielo.

L'ho infastidita.

Di nuovo.
“Il cognome?”
La fisso sorpreso.

Perché vuole solo ora queste informazioni che a me sembrano così importanti?

Ma le rispondo lo stesso.

A lei sento di non dover nascondere niente.
Sento di non poterlo fare.

E in fondo non voglio nemmeno farlo.

“Nelson”

Lei inizia a guardare le porte e io capisco perché voleva sapere il mio nome, sulle porte ci sono delle targhette con dei nomi scritti sopra.

Che ti aspettavi, Duncan?

Che lei si interessasse a te?
Illuso.

È troppo bella per te.

E poi non sai nemmeno chi è!

Razza di idiota non sai nemmeno dove sei!

Invece di interessarti a una ragazza dovresti pensare a scoprire dove sei per prima cosa non a come lei sia...

Lei sia bella.

Gwen mi risveglia da questa mia specie di trans con una semplice frase.

E mi viene da sorride ma non lo faccio.

Insomma se sorridessi in un momento del genere mi prenderebbe per pazzo.

Certo mi hanno sempre ritenuti tutti un po' pazzo ma non a questo livello.

Insomma chi sorriderebbe in un momento del genere?

Mmh..

Io.
“Duncan Nelson questa è la tua stanza”

Si appoggia con un ghigno sul viso al muro di mattoni rossi davanti a una porta verde scuro e io inizio a guardare quella semplice lastra di legno sorpreso.

È identica a quella della mia camera.

La apro e rimango di stucco.

Quella è la mia camera.

Non una fedele copia.

Proprio la mia.

Quella dove ho vissuto per tutta la mia vita.

Quella dove mi sono tinto i capelli per la prima volta.

Quella dove sono morto...

“C-Come può essere?”
Lei mi guarda e fa un mezzo sorriso.

Devo sembrarle così stupido.

Ma insomma è lei che mi deve spiegare perché sono qui e se non lo fa ho il diritto di chiedere.

“Qui le cose funzionano così, abituati perché non ci sarà sempre un perché alle tue domande”

La guardo e le faccio segno di entrare, lei dopo avermi mandato uno sguardo a metà fra il sospettoso e il penoso entra nella stanza, nella mia stanza, e si siede sulla sedia vicino alla scrivania che come al solito è stracolma di libri, fogli, disegni, canzoni e altre milioni di cose di tutti i tipi.

“Qui dove?”

Lei sospira.

Sembra rassegnarsi a dovermi dire in che posto siamo e la cosa sembra non farle per niente piacere ed io non posso fare a meno di chiedermi il motivo.

“È il momento che io ti spieghi un paio di cose temo, siediti. Ci vorrà un bel po' per raccontarti tutta la storia”

Mi siedo accanto a lei e aspetto che inizi a parlare ma quando lo fa, tira fuori l'argomento sbagliato.

Un argomento che non mi aspettavo.

Un argomento che mi punge nel vivo.

Un argomento che mi fa male al cuore.

“Perché ti ha ucciso?”

Sgrano gli occhi sorpreso e terribilmente ferito dalla strana domanda della giovane ragazza davanti a me ma rispondo lo stesso.

Non so perché ma mi fido di lei.
Non so perché ma lei mi ispira una grande fiducia.

“L'ho lasciata perché non la amavo più visto che lei non era più la ragazza che amavo e lei... Lei non l'ha presa molto bene”

Gwen annuisce e fa un mezzo sorriso.

Ma distoglie lo sguardo.

La sento sussurrare una parola.
Una parola che mi colpisce.

“Tipico”
Ma dopo pochi minuti torna dura e guardandomi negli occhi fa un altra domanda.

Più dolorosa della precedente anche se lo ritenevo impossibile.

“Chi sono le persone più care che hai? Quelle che verranno distrutte dalla tua morte?”

Perché tutte queste domande?

Perché sembra così insensibile al dolore che sono sicuro trasparisce dal mio volto?

Perché non mi spiega niente?
“Mia madre, mia sorella e il mio migliore amico”

Lei annuisce di nuovo e continua a guardarmi negli occhi.

Io la guardo.

Sembra non provare nulla.

Inizio a dubitare che ne sia capace.

Ma allo stesso tempo sono sicuro che ne sia più che capace.

“Bene quindi sono loro le persone a cui apparirai d'ora in poi”

Sgrano gli occhi alla notizia.

“C-Cosa? Da quando i morti possono apparire alla gente?”

Lei mi sorride.

Un sorriso amaro.

Amaro ma vero.

“Tu non sei un morto qualsiasi”
La guardo negli occhi cercando di capire.

“Allora cosa sono?”

Lei continua a sorridere.

Sembra quasi divertita.

“Sei un fuoco di mezzanotte”

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Capitolo 2
*** Uno e dodici ***


“Sono un cosa?”

Lei alza gli occhi al cielo.

L'ho infastidita.

Di nuovo.

Dovrei iniziare a contare le volte in cui lo faccio oppure lei dovrebbe iniziare a fare l'abitudine.

Mmh no non lo farebbe mai.

Probabilmente se le contassi per davvero stabilirei un qualche tipo di strano record.

A meno che non faccia così con tutti cosa possibile.

La conosco da nemmeno un paio d'ore e già dopo avermi sentito parlare un paio di volte avrà alzato gli occhi al cielo almeno una decina di volte, se non di più.

Forse le sto proprio antipatico...
Oppure odia dover fare tutto questo?

Forse lei semplicemente odia il fatto di essere morta?

Già per quanto ne so io lei poteva avere una vita stupenda.

Poteva anche essere sul punto di sposarsi.

Per quanto ne so io lei poteva essere qualsiasi cosa.

Un'artista.

Una maestra.

Una scrittrice.

Una sorella.

Una figlia.

Una fidanzata.

Forse una moglie.

O chissà addirittura una madre.

E ora non lo è più e deve occuparsi di uno come me.

Chiunque sarebbe infastidito da una cosa del genere.

Persino io.

“Sei un fuoco di mezzanotte...”

Sospira.

Sembra...

Triste?

Allora avevo ragione.

È capace di provare dei sentimenti!

Che pensiero stupido Duncan tutti ne sono capaci quindi ovviamente pure lei ne è capace.

Solo perché non è stata entusiasta di conoscerti non vuol dire che sia una persona incapace di provare delle emozioni.

Forse non dovrei giudicarla così in fretta in fin dei conti io non so un bel niente di lei.

E vorrei tanto scoprire di più se solo Gwen me lo permettesse.

Se solo mi lasciasse entrare.

Se solo si confidasse con me.

Se solo...

“Tu sei un fuoco di mezzanotte proprio come me, Duncan”

Sorrido.

Mi ha chiamato per nome.

Lei mi guarda come se fossi un pazzo.

Cosa che probabilmente sono.

Però...

Non posso fare a meno di pensare che questo vuol dire che noi abbiamo almeno qualcosa in comune.

Che non siamo completamente diversi.
Però c'è una cosa che non ho ancora capito...

Una delle tante.

Ma questa dovrebbe dirmela.

“Cos'è un fuoco di mezzanotte?”

Gwen mi fissa per un minuto poi inizia a parlare con l'aria di chi preferirebbe farsi investire da un autobus.

Cosa che forse è successa...

In fin dei conti ha detto di essere morta in un incidente.

Ma non ha aggiunto altro.

Proprio come ho fatto io per la mia morte d'altronde.

Mi guarda negli occhi.

E prende a due mani il coraggio.

“I fuochi di mezzanotte sono gli spiriti che possono tornare sulla Terra e apparire agli esseri umani che hanno influenzato la loro vita in modo positivo”

Cosa?
Quindi io sarei una specie di fantasma?
“P-Puoi ripetere?”

Mi sento come se mi sia appena crollato l'intero mondo addosso.

Sono morto.

Sono morto ma posso tornare sulla Terra.

Sono morto ma posso tornare sulla Terra ed apparire alle persone.

Tutto questo inizia a sembrarmi solo un brutto scherzo di cattivo gusto.

Però le immagini che ho visto prima non mentivano.

Io sono veramente morto.

E Gwen è l'unica che può spiegarmi cosa fare.

“Tu ora sei uno spirito, uno spettro, un fantasma, un morto che cammina. Insomma chiamalo come vuoi ma d'ora in poi tu potrai tornare indietro nel mondo dei vivi ed apparire alle persone che ti amavano veramente quando eri ancora un essere vivente”
Mi sta prendendo in giro vero?
Insomma una cosa del genere non è possibile!

Sto per parlare ma lei mi fa segno di stare zitto.

E io ubbidisco come un bravo cagnolino.

Cavolo mi do fastidio da solo in questo momento.

“So che ora hai delle domande o che forse nemmeno mi credi ma prima di chiedere qualcosa potresti farmi finire di parlare per favore?”

Mi manda un occhiata infastidita che mi azzittisce subito.

Già si vede che inizio a darle sui nervi quindi è meglio stare zitto e lasciarla parlare prima che se ne vada senza dirmi più niente.

E io questo non posso permetterlo.

Insomma io la voglio accanto a me.

No non è che la voglio accanto a me è che voglio delle informazioni su dove sono e cosa sono ecco tutto.

Mento a me stesso e ne sono consapevole.

Ma per ora è meglio così.

Non posso gestire tutto questo in una sola volta.

Già innamorarsi è pericoloso.

Ma innamorarsi di una che sembra avere poteri illimitati e odiarti è puro masochismo.

Anche se lo trovo quasi divertente.

Innamorarsi per la prima volta solo dopo la morte.

Fa tanto film horror.

E a me sono sempre piaciuti i film horror.

Chissà se piacciono anche a lei?

Non pensarci per ora Duncan.

Limitati ad ascoltare quello che ha da dirti.

La guardo mentre fa un altro sospiro e inizia a parlare.

“Noi non duriamo a lungo, come il fuoco vero ci spegniamo. Possiamo bruciare solo per dodici mesi proprio per questo siamo divisi in gruppi da uno a dodici. Ogni gruppo ha il suo corridoi e ogni fuoco ha la sua porta, con scritto il suo nome, dove appare il luogo dove si sentirebbe più al sicuro nel momento in cui la apre, ogni gruppo ha delle caratteristiche e dei compiti, gli uno come te per esempio sono i fuochi giovani che hanno ancora tempo per bruciare e la loro energia è la più forte che ci sia per questo danno vita a tutto l'impianto mentre i dodici come me sono quelli che presto si spegneranno e che si occupano di addestrare gli uno...”

Lei distoglie lo sguardo e cerca di prendere coraggio per dire qualcos'altro.

Qualcosa che sembra ferirla nel profondo.

Qualcosa che non sente la forza di rivelare.

Qualcos che però sta per dirmi lo stesso.

“Io qui sono l'unica dodici non ne sono più ammessi altri, quando qualcuno supera gli undici mesi viene mandato via, in un altro gruppo quindi sarò io ad addestrarti. Tu sei l'unico uno che necessita ancora di un addestramento tutti gli altri hanno già completato il loro”

La guardo cercando di invogliarla con lo sguardo a dirmi altro ma lei non lo fa e io allora passo alla parola nonostante sappia di correre il rischio di farla infuriare, la curiosità ha la meglio su di me.

“Esattamente... Da quanto tempo sei in questo posto?”

Lei alza lo sguardo e mi risponde con uno sguardo di sfida negli occhi.

Quello stesso sguardo che io ho avuto stampato in faccia per tutta la mia breve e scapestrata vita e che quindi so bene è solo una maschera per nascondere il dolore che lei sembra provare da così tanto tempo.

“Sono qui da quasi due anni ormai, mese più mese meno”

La guardo sorpreso.

Da quel che mi ha appena detto lei dovrebbe essere già stata mandata via.

Lei dovrebbe essersi...

Già spenta.

“Non fare domande perché non ti risponderò. Ora preparati, il tuo allenamento inizierà fra un ora, se hai bisogno di vestiti vai all'armadio e visualizza cosa vuoi indossare, quello apparirà dentro. Quando sei pronto torna nel corridoio dove ti ho trovato prima , vai alla porta dodici e bussa almeno due volte. Non aprire per nessun motivo la porta se non vuoi che ti capiti qualcosa di brutto e che io te la faccia pagare molto ma molto cara, chiaro?”

Si alza e va verso la porta per andarsene.

Senza nemmeno aspettare che io le risponda.

Probabilmente pensa che non sarei così folle da fare l'esatto contrario di quello che mi ha detto.

Pensa forse che io sia un bravo ragazzo?

Illusa.

E comunque...

Ha appena detto non fare domande?
Bene allora passerò ai fatti.

Ghigno.

Mi alzo, le vado incontro bloccandola e...

E la abbraccio.

La stringo forte al mio petto muscoloso.

E sento quanto sia piccola e indifesa anche se solo per un secondo la sento vicina.

Non so perché ma sento che ne ha bisogno.

Che ne abbiamo bisogno entrambi.

Anche se forse ci rimetterò un braccio o una gamba ma ne vale la pena solo per poterla stringere a me.

Solo per sentirla accanto.

Ma dopo meno di tre secondi quel piccolo angolo di paradiso scompare e io sono già a terra con una terribile fitta allo stomaco mentre lei è scomparsa nel nulla.

Come ha fatto?

Come ha fatto a mettermi al tappeto?

Insomma non sembra essere abbastanza forte per farlo.
Senza contare che non mi ha nemmeno toccato e la porta non l'ha proprio sfiorata...

Di cosa è capace quella ragazza?

In che guai mi mi sto andando a ficcare per lei?

Sorrido.

Non vedo l'ora di scoprirlo.

Non vedo l'ora di andare al mio allenamento e di aprire quella porta senza bussare.

Anche se so che la farò infuriare.

E la cosa mi diverte molto più di quanto dovrebbe essere lecito.

Ma come dicevo sempre da vivo.

Meglio rischiare oggi che pentirsi domani.

E io non mi sono mai pentito di niente in tutta la mia vita.

Nemmeno di essere stato ucciso da Courtney.

Perché così ho conosciuto lei.

Lei che mi fa venire i brividi con una sola parola.

Lei che è così fredda con me.

Lei che allo stesso tempo è così fragile.

Lei che è la ragazza che sono sicuro di amare.

Lei che si chiama Gwen.

E che fra poco mi verrà apparire alla sua porta.

Ovviamente...

Senza bussare.

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Capitolo 3
*** Capelli rossi ***


Ok, andiamo.

Mi avviai verso la porta, deciso ad andare alla stanza di Gwen con la mia solita e beneamata aria spavalda ma per mia grande fortuna quando avevo già la mano sul pomello della porta e stavo per uscire dalla mia stanza mi venne un atroce, spaventoso dubbio che mi paralizzò letteralmente sul posto e mi tolse la forza di fare anche un altro singolo, lentissimo passo...

Courtney mi aveva accoltellato almeno più di una decina di volte prima che smettessi di contare e anche addirittura la forza di formulare un pensiero coerente...

Se mi fossero rimaste le cicatrici di tutto quello che mi era accaduto?

Usando tutta la forza di volontà di cui ero capace mi levai lentamente la maglietta, manco fossi appena diventato uno spogliarellista, che notai essere completamente imbevuta del mio stesso sangue che era persino riuscito a cambiarne il colore e mi bloccai così, con la maglietta ancora fra le mani e cercando di convincermi a guardare...

Se mi fossero davvero rimasti i segni delle coltellate sarei ridotto a veramente malissimo.

Ah, siamo sinceri sarei ridotto a un colabrodo se mi fossero davvero rimasti i segni!

Ok Duncan...

Sei un ragazzo grande, forte e vaccinato, non sei mai stato un vigliacco e non devi assolutamente permetterti di iniziare adesso, chiaro?

Forza fai un bel respiro e abbassa lo sguardo.

Ora!

Lo feci e l'unica cosa che riusci a vedere fu semplicemente...

Niente.

Non c'era nulla come se non fossi mai morto, come se Courtney non mi avesse mai pugnalato, come se non fossi mai arrivato lì.

Ecco cosa intendeva Gwen con “Devi ancora finire di guarire”...

Bene, ecco qualcos'altro da aggiungere alla mia lunghissima, interminabile lista delle “Cose che devo chiedere a Gwen”: come fanno a non esserci nemmeno le cicatrici?

Certamente, non posso mica rimettere quei maledetti vestiti imbevuti del mio stesso sangue senza contare che in fin dei conti fare una bella doccia mi farebbe bene...

Mi diressi verso la porta del bagno e feci una doccia calda che mi tolse di dosso tutto quello stupido liquido rosso che avevo praticamente ovunque sul mio corpo facendo finalmente tornare a contatto con la luce la mia povera pelle completamente stremata e dopo quello che mi era capitato molto più chiara di quanto mi ricordarsi, mostrando quello che non mi sarei mai aspettato di vedere sulla mia pelle o che per lo meno non credevo possibile proprio ora.

Il mio nuovo tatuaggio, l'uno che mi era apparso sull'avambraccio aveva fatto posto ad un suo degno compagno.

Quattro lettere.

Quattro lettere che formavano un bellissimo nome.

Quattro lettere che formavano un bellissimo nome che non mi sarei aspettato di vedere proprio sulla mia pelle.

Il nome di Gwen.

Ma che diavolo ci fa lì?

Perfetto, qualcos'altro da chiedere insieme al motivo di questo mio repentivo cambio di colore.

Scacciai il pensiero e uscì dalla doccia frettolosamente con addosso solo un semplice asciugamano e mi diressi tranquillo verso il mio armadio.

Vuoto.

Ok, cosa aveva detto Gwen?

Visualizza dei vestiti ed essi appariranno nell'armadio.

Mi concentrai come mai in vita mia ma purtroppo per me non ci riuscì un granché bene.

Riprovai e riprovai ancora.

Ma dopo quattro tentativi tragicamente falliti, diedi un fortissimo calcio all'armadio e rinunciai a procurami dei vestiti puliti.

Invece presi i vestiti sporchi di sangue rappreso e li infilai nel lavandino del bagno lasciando scorrere l'acqua bollente finché non tornarono al loro colorito originale.

Più o meno.

Allora li presi e me li misi addosso velocemente per non sentire il freddo che l'acqua trasmetteva nonostante fossero completamente bagnati.

Tanto che vuoi che mi succeda?
Al massimo mi prenderò un raffreddore.

Ghignai al pensiero di un morto col raffreddore e mi diressi velocemente verso la stanza dei dodici, anzi della dodici.

Feci un respiro profondo e nonostante le numerose e preoccupanti raccomandazioni, anzi forse è meglio dire minacce, della ragazza che occupava la camera decisi di entrare senza bussare solo per indispettirla un po'...

Chissà come reagirà.

Quasi sicuramente si arrabbierà...

O peggio.

La scena che mi si parò davanti era incredibile anzi forse è meglio dire spaventosamente irreale e per me orribile.

C'era Gwen, la ragazza che cercava di dimostrarmi in tutti i modi possibili di non avere la capacità di provare alcun tipo di sentimento con le lacrime agli occhi mentre stringeva a se con una forza che non credevo potesse mai avere, un ragazzo dai capelli rossi e il viso tempestato di lentigini che piangeva distrutto da chissà quale terribile, spaventoso dolore, che stringeva a se con una forza veramente incredibile la giovane dai capelli scuri e che mi dava profondamente sui nervi perché sapevo che io non avrei mai potuto stringerla così.

Lei non me lo avrebbe mai permesso.

Ma non era quella la cosa che mi faceva pensare di più per ora.

C'era un altra cosa che mi stupiva o forse è meglio dire spaventava e allo stesso tempo mi incuriosiva incredibilmente...

Quel ragazzo coi capelli rossi e le lentiggini aveva tutta l'aria di essere vivo e vegeto.

Quindi Gwen è ancora qui...

Perché deve apparire a questo ragazzo?

Lei è ancora qui solo per...
Per lui?

Sentì un colpo al cuore terribilmente simile alle coltellate che mi erano state recentemente inflitte dalla giovane ispanica.

Ma questo faceva ancora più male.

Questo era un dolore terribilmente più forte di quello provato prima.

Molto più profondo.

Molto più...
Distruttivo.

Ma non potevo fare niente.

Io non sapevo ancora apparire ai vivi.

Anzi io non potevo apparire ai vivi.

Soprattutto non a quel vivo.

Lui non era un mio caro e da quel che lei mi aveva detto potevo apparire solo alle persone che mi amavano.

Quindi dovevo andarmene.

E dovevo farlo in fretta...

Perché se mi fossi avvicinato troppo lei mi avrebbe visto.

E se lei mi avesse visto mi avrebbe odiato.

Più di prima...

In fondo che diritto avevo io di spiarla?

Di entrare in camera sua?

Di guardare un momento così privato della sua esistenza?

Chi ero io per lei?

Nessuno.

Ecco chi.

Solo un tizio di cui si doveva occupare perché non aveva nessun altra scelta.

Solo un enorme fardello.

Bene questo fardello si sarebbe tolto in fretta dai piedi.

Mi diressi verso la porta il più velocemente che potevo ma non feci in tempo perché lei mi aveva visto ed era arrabbiata, decisamente molto, molto ma molto arrabbiata.

Lei si alzo e tutto scomparve in un enorme vortice e mi ritrovai in una stanza incredibilmente bella e allo stesso tempo sobria che identificai come quella di Gwen.

Ma purtroppo per me non ebbi molto tempo per pensare a dove mi trovavo o guardare l'arredo perché lei mi aveva già sbattuto al muro, tenendomi per la maglia e mi guardava con uno sguardo omicida.

“Cos'è che non hai capito nella frase se apri la porta senza bussare te la farò pagare veramente molto cara razza di brutto idiota?”

La guardai con l'aria di sfida che mi riusciva incredibilmente bene dal giorno in cui ero nato e risposi senza nessuna paura o quasi di quello che a poco mi sarebbe successo, tanto ormai stavo già male di mio.

“Niente, semplicemente non avevo la minima voglia di fare come avevi detto, bellezza”

La feci arrabbiare ancora di più come era logico che accadesse in fin dei conti l'ho chiamata bellezza.

“Razza di maledetto deficiente non farlo mai più se vuoi continuare a camminare sulle tue gambe, chiaro Duncan?”

Ghignai in modo spavaldo come amavo fare con tutte le persone con un minimo di autorità.

No, non doveva sapere quanto soffrivo.

Nessuno doveva saperlo.

Non io.

Non il ragazzo forte e senza paura che ero sempre stato.

Non oggi.

Ne mai.

“Se no che mi fai di bello, sentiamo tesorino!”

Mi viene voglia di ridere al pensiero che in un certo senso le avevo appena detto “Ti amo” anche se dentro a un altra parola e che lei nemmeno lo sapeva.

Ma Gwen non lo trovava divertente come me purtroppo.

“Sai solo perché sei morto non vuol dire che tu non possa soffrire. E io sono terribilmente anzi incredibilmente brava a far soffrire le persone, sopratutto i punk pieni di se”

Detto questo mi diede un pugno allo stomaco che mi tolse il fiato.

Di nuovo.

Dopo aver boccheggiato per un paio di secondi riuscì finalmente a riprendere la capacità di parola e a risponderle.

“Va bene come vuoi tu Gwen, ora però puoi gentilmente rimettermi giù cara la mia donna tutta muscoli?”

Lei alza gli occhi al cielo e mi lascia cadere poco gentilmente per terra ma io riesco ad atterrare in piedi facilmente.

“Contento?”

La ragazza si sedette a gambe incrociate sul letto dalla trapunta bianca in pizzo e mi fece segno di sedermi davanti a lei.

“Entusiasta”

Mi sedetti su una sedia nera lucida proprio davanti al letto.

“Perfetto ora spiegami una cosa. Perché sei completamente bagnato?”

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Capitolo 4
*** Raccontami tutto ***


Dopo che la giovane e imbronciata, o forse è meglio dire arrabbiata, ragazza davanti a me ha finalmente finito di urlarmi contro con tutto il fiato che aveva in corpo e una rabbia che non credevo nemmeno umanamente possibile.

Si è accorta che sono praticamente bagnato fino al midollo osseo mi ha obbligato minacciandomi di buttarmi fuori a calci, o peggio, perché le stavo inzuppando il morbidissimo tappeto che sembrava essere un insieme di pezzi di altri tappeti di colori diversi, ad ammettere a denti stretti che...

“Non sono riuscito a procurarmi da solo dei vestiti usando quello stupidissimo armadio ok?”

Lei fece un mezzo sorriso, cosa che in qualche modo mi riscaldò profondamente il cuore e si diresse ridacchiando fra se e se, probabilmente per il mio orgoglio che sapeva di star ferendo profondamente facendo facilmente quello che io non ero stato capace di fare, verso il suo enorme armadio in legno e così mentre lei camminava tranquilla in un certo senso felice io potei tranquillamente osservare la stanza che lei non mi aveva dato il tempo di guardare prima.

Era veramente molto bella...

Come la sua padrona.

Duncan no!
Non fare lo sdolcinato, ok?

Vuoi vedere la sua stanza?
Bene guarda la sua stanza ma ti azzardare a pensare a quanto sia bella la proprietaria, ok?

Ok.

Focalizzai la mia attenzione sulla sua bella camera e cercai di coglierne anche il minimo e più piccolo particolare.

Le pareti erano state dipinte di un incredibile tonalità di viola, che notai subito che se veniva colpita dalla luce giusta nel momento giusto diventava di un colore veramente speciale a metà fra il blu e il viola stesso; non ero capace con la mia poca conoscenza in questo campo di dire quale esso fosse, non ero abbastanza esperto di colori come lei sembrava essere visto che era riuscita a trovare quello.

L'arredamento era quasi tutto in legno di ciliegio, che riconobbi solo perché era anche quello che era stato usato per la mia stanza, tranne una scrivania con il ripiano in vetro fatta in modo molto particolare e simile al tappeto, era un insieme di pezzi di vetro di tantissimi colori diversi attaccati l'uno con l'altro e sopra c'era un enorme quantità di materiale da disegno di tutti i tipi immaginabili che erano stati impilati uno sopra l'altro in equilibrio precario e un bellissimo computer portatile nero e lucido come i suoi capelli, il letto era su una base in legno con sopra un enorme trapunta bianca ricamata e degli enormi cuscini dall'aria molto morbida dello stesso colore della trapunta ma con varie fantasie di linee che formavano varie immagini diverse ma tutte rigorosamente nere, in un angolo della sua enorme stanza vicino a una gigantesca anzi forse è meglio dire enorme finestra che dava su un cielo di un azzurro incredibile, con delle tende di un bellissimo verde foresta con sopra dei disegnini neri simili a quelli dei cuscini che rappresentavano tutti delle piccole foglie, c'era un enorme, anzi gigantesco, cavalletto con sopra uno stupendo dipinto che però era stato lasciato a metà dove si riuscivano a distinguere solo dei bellissimi occhi di un verde molto intenso e degli spettinati capelli scuri che arrivavano fino al collo, ma era un altra la cosa che mi aveva colpito di più in quella stupenda o forse è meglio dire incredibile camera...
Una delle pareti era completamente, interamente ricoperta da foto, testi di canzoni, disegni, immagini e fogli vari incollate una sopra l'altra con del nastro adesivo trasparente che arrivavano fino al soffitto coprendo completamente il muro.

Mi avvicinai alla parete in questione e notai subito una foto di Gwen insieme al ragazzo dai capelli rossi, erano al mare Gwen aveva una pinna da squalo attaccata alla schiena e rideva come non mai nel suo bel bikini nero mentre il ragazzo la schizzava con l'aria a metà fra quella di chi ha appena avuto un infarto e quella di uno che si diverte un mondo, accanto c'era la copertina di un film “Lo squalo”; passai a un altra foto che raffigurava i due ragazzi insieme, era un immagine con Gwen tranquillamente addormentata sulla spalla di lui e il ragazzo che la guardava con aria amorevole, sotto c'era la copertina del film “Saw”; guardai la foto che c'era subito dopo, lì c'era Gwen in toga nera con in mano quella che sembrava essere una laurea e il ragazzo la teneva in braccio come se nulla fosse con una toga uguale alla sua e un sorriso che gli arrivava da un orecchio all'altro, sorridevano tutti e due felici di una felicità che speravo di vedere dal vivo un giorno sul viso della giovane ragazza...

Avrei potuto continuare per ore e ore a guardare quelle foto ma qualcuno mi aveva interrotto.

“Questi dovrebbero starti abbastanza bene, sono i vestiti che uso per dipingere quindi sono un pochino macchiati, puoi cambiarti qui e mettere i vestiti bagnati... Per me li puoi buttare dalla finestra ma se ci tieni puoi tenerli in mano, ora cambiati. Non guarderò”

Feci come mi ha detto ed indossai la maglietta nera con delle macchie di vernice azzurra sui pettorali e i jeans blu scuro pieni di strappi che lei mi aveva appena dato, quando mi girai a guardarla vidi che osservava le foto come avevo fatto io pochi minuti prima.

“Come si chiama?”
Sembrò cadere dalle nuvole ma quando mi aspettavo di essere buttato fuori a calci il più velocemente possibile lei mi rispose.

“Scott... Mio marito si chiama Scott”

M-Marito?
Ha detto proprio marito?

Segui il suo sguardo e vidi una foto di lei e del giovane dai capelli rossi.

Lei in un bellissimo abito bianco.

Lui in smoking.

Mentre si baciavano.

La foto del loro matrimonio.

Solo in quel momento notai l'anello d'oro che portava al dito.

Gwen.

Gwen è sposata.

Ma la cosa incredibile in quel momento non era che fosse sposata ma che stava piangendo.

Senza pensarci nemmeno la strinsi forte a me e anche se all'inizio si dimenava alla fine si lasciò andare piangendo disperata e inzuppandomi la maglietta con le sue lacrime.

La trascinai verso il letto e la feci sedere in modo che iniziasse a calmarsi almeno un po'.

Pianse per quella che mi sembrò un eternità in cui mi sentii esplodere perché non potevo aiutarla.

Perché non ero io suo marito.

Perché non ero io la persona di cui aveva bisogno in quel momento.

Perché non ero Scott.

Dopo un po' si ricompose e si mise seduta a gambe incrociate.

La scrutai per un po' e poi le feci una domanda.

“Gwen... Te la senti di parlarmene?”

Lei annuii.

“Ok. Raccontami tutto”

La ragazza fece un profondo sospiro e cominciò a parlare lentamente.

“Prima di finire in questo posto io avevo una bella vita. Io e Scott eravamo felicemente sposati da due anni, ci eravamo conosciuti al liceo, lui era un ragazzo problematico e scorbutico ma nel profondo con un cuore d'oro e io ero la dark asociale che aspirava a una borsa di studio per il college e che sembrava vivesse nel laboratorio d'arte. Un giorno la preside ci convocò entrambi nel suo ufficio e mi chiese di diventare la tutor privata di Scott, io rifiutai ma lei mi disse che mi avrebbe fatta bocciare se non lo avessi fatto... Quindi io e Scott iniziammo a vederci ogni giorno per le ripetizioni. All'inizio studiavamo e basta ma poi iniziammo a parlare e diventammo amici. Quando Scott e io ci diplomammo lui mi bacio per la gioia... E da quel momento non ci siamo più separati”

Una lacrima le rigò il viso ma lei la raccolse quasi subito.

“Ti ho detto che sono morta in un incidente, giusto?”

Io annuii.

“Non ti ho detto che tipo di incidente però... Io sono morta per salvare mio marito, per salvare Scott. Stava per venire investito da un auto e io... Ho preso il suo posto. L'ho spinto via ma non ho fatto in tempo a spostarmi a mia volta... Sono morta dopo meno di tre mesi di coma. Lui veniva a trovarmi ogni giorno in ospedale... Ogni giorno veniva a piangere per me e ogni giorno io non potevo fare altro che guardarlo e piangere a mia volta. Piangevo per lui, piangevo per me...”

Abbassò lo sguardo ma continuò a parlare lo stesso.

“E piangevo per nostro figlio”

Sospirò ancora ma riprese quasi subito a parlare.

“Non sapevo di essere incinta quando ho avuto l'incidente. Lo scoprirono i medici solo quando arrivai in ospedale ma era troppo tardi e per questo anche se era poco probabile che mi risvegliassi mi indussero un coma farmacologico. Ma non basto morì lo stesso e mi portai via mio figlio”

Rimasi di sasso.

La guardai per un minuto poi la strinsi ancora me.

Questa volta più forte.

Ma non per darle conforto o almeno non solo per questo.

Questa volta volevo prendere forza io stesso

Perché stavo per fare qualcosa di veramente doloroso per me e per lei.

Perché io sapevo chi c'era al volante dell'auto che l'aveva portata via dalla sua vita.

Che l'aveva portata via da suo marito.

Che l'aveva portata via da suo figlio.

Dal suo mondo.

“Posso... Posso raccontarti una cosa Gwen?”

Lei mi guardò per un po' e alla fine annuii.

“Io so chi c'era al volante di quella macchina. C'era.. C'era mia sorella...”

Sospirai a mia volta ma prima che lei mi interrompesse avevo già ripreso a parlare.

“Si chiamava Isabella ma noi la chiamavamo Izzy, soffriva di seri disturbi mentali ma noi non lo sapevamo o non volevamo ammetterlo... Quel giorno avevamo avuto un brutto litigio e lei se ne era andata via in macchina anche se non aveva ancora avuto la patente... Ed ha avuto un incidente. Il tuo incidente. Si è costituita quando ha saputo che eri morta... È finita in prigione e si è suicidata un mese dopo... Sappi che non ti chiedo di perdonarla, ti chiedo solo di non odiarla perché non sapeva nemmeno quello che faceva”

Detto questo iniziai a piangere anche io e sta volta fu lei a stringere me.

Forse in fin dei conti non mi odiava.

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Capitolo 5
*** Fuochi d'artificio ***


Mi aveva consolato.

Gwen mi aveva consolato.

Nonostante piangessi per la morte della giovane donna che l'aveva uccisa, che l'aveva strappata alla vita che lei tanto amava, che l'aveva strappata alla persona che tanto amava, lei mi aveva consolato comunque.

E alla fine si era addormentata dolcemente sulla mia spalla.

Io l'avevo messa a letto e stavo per andarmene in camera mia quando un pensiero mi aveva assalito anzi attaccato.

E io che avevo fatto di buono per lei?
Niente.

Assolutamente niente.

Non le avevo detto nessuna parola di conforto mentre lei lo aveva fatto per me.

Non l'avevo aiutata in nessun modo mentre lei lo aveva fatto per me.

Non avevo fatto niente.

La cosa doveva venire cambiata in un modo o nell'altro.

Ma come?

Dovevo fare qualcosa per tirarle su il morale...

Ma cosa si può fare per qualcuno che ha perso tutto, compresa la vita stessa?

Mi misi a girare per la stanza alla ricerca di qualcosa che sembrasse tanto importante, tanto amato, tanto speciale che sarebbe riuscito a renderla felice anche solo per un momento.

E il mio sguardo si posò sul muro ricoperto d'immagini che tanto mi era piaciuto e che tanto avevo osservato.

Lì c'erano tutti i suoi ricordi, tutto ciò a cui teneva, tutto ciò che le piaceva era il posto perfetto per trovare qualcosa con cui farla sorridere, con cui renderla felice.

Mi misi a osservare le varie foto e a guardarle ad una per una.

C'era quella con lei e Scott, vestiti per andare a un gran ballo con lei in un bellissimo abito scuro con delle righe di tessuto bianco che esaltava benissimo le sue forme e lui in camicia bianca e pantaloni neri, in un enorme prato verde mentre si baciavano sotto un bellissimo cielo pieno di stelle.

Doveva essere la loro festa per il diploma, quello di cui mi aveva tanto parlato, quello in cui si erano messi insieme.

No, troppo sdolcinato.

C'era quella con lei con un bel vestito rosso a maniche corte che arrivava fino al ginocchio che sorrideva accanto a uno stupendo quadro raffigurante due mani intrecciate, guarda caso una pallidissima e una ricoperta di lentiggini e con in mano un grosso trofeo dorato.

Probabilmente aveva vinto una qualche competizione d'arte.

No, troppo difficile da riprodurre.

C'era quella con lei di molti anni più piccola era una bambina con la pelle chiarissima i capelli lunghi e scuri raccolti in una semplice treccia spettinata, vestita con una salopette di jeans blu e una maglietta senza maniche scura, arrampicata su un albero di mele insieme a una ragazzina dai capelli biondi e gli occhi azzurri con la stessa salopette della prima ma con un maglietta senza maniche azzurra, entrambe sorridenti con una mela in mano.

Doveva essere insieme a una sua amica d'infanzia...

No, troppo infantile.

C'era quella con Scott in smoking e lei con un bellissimo abito nero stretto in vita che si allargava subito dopo tempestato di brillanti su un lato, lui era in ginocchio con in mano uno stupendo anello di brillanti, l'anello che avevo notato prima al dito di Gwen insieme a quello d'oro, lui sorrideva e lei era in lacrime commossa ma felice.

La loro proposta di matrimonio...

No, non posso mica chiederle di sposarmi!
Mi lasciai cadere sul morbido tappeto e da quella prospettiva notai un immagine diversa dalle altre.

La presi e notai che era una cartolina, la girai e lessi il messaggio scritto sul retro.

Cara Gwen il Giappone è un posto incredibile!

Ma vorremmo tanto che ci foste anche tu e Scott qui con noi.

Ok, lo so che dovete organizzare il matrimonio ma perché non prendervi una piccola vacanza?
Noi saremmo più che felici di passare le restanti due settimane qui con voi!
Pensaci prima di dirmi subito no, ok?
Ci manchi, streghetta.
Un bacio,
Brigette e Geoff”

 

Girai la cartolina e guardai di nuovo l'immagine.

Si, era perfetto.

Presi un pezzo di carta dalla sua scrivania e con la prima cosa che mi capitò in mano, un gessetto arancione, le scrissi un breve messaggio.

Vieni in camera mia alle otto.

Duncan
P.S. Ho preso in ostaggio i tuoi vestiti se vuoi rivederli devi venire per forza”

Glielo lasciai sul cuscino e andai in tutta fretta alla mia camera, feci una doccia veloce e mi tinsi per bene la cresta ormai sbiadita, andai verso l'armadio e mi concentrai, lo aprì ma niente.

Guardai l'ora, le sette e mezza.

Cavolo non ho tempo da perdere!

Ci provai di nuovo e questa volta funzionò e riuscì a trovarmi davanti ciò che volevo.

Indossai velocemente la maglietta nera col teschio e i jeans lunghi che avevo fatto apparire e subito dopo infilai le mie fedeli Converse rosse.

Le sette e quaranta.

Preparai quel poco che mi sarebbe servito per la “sorpresa”.

Le sette e cinquantacinque.

Uscì e inizia ad aspettare Gwen.

Passarono i cinque minuti mancanti e lei arrivò, indossava una maglietta nera a mezza manica aperta sulla schiena e dei pantaloni dello stesso colore, insieme a un paio di ballerine di pelle nera.

Non sorrideva.

“Dammi i miei vestiti, Duncan”
Ghignai.

“Tutto a tempo debito, ora vieni con me”

Andai verso la porta e mi concentrai.

Dovevo riuscirci al primo colpo.

Feci un respiro profondo e aprì la porta.

E funzionò.

Ci ritrovammo su una spiaggia, la spiaggia della cartolina.

“Che ci facciamo qui?”

Le sorrisi.

“Non la riconosci?”

Lei si guardò intorno e la sua espressione non cambiò.

“No”

Un po' deluso le feci segno di avvicinarsi e lei lo fece.

“Aspetta e vedrai allora”

Dopo un paio di minuti iniziarono i fuochi d'artificio e lei capì.

La sua espressione si illuminò e la sentì sussurrare due nomi.

“Brigette e Geoff...”

La vidi sorridere.

Non il sorriso che aveva con Scott.

Ma qualcosa di simile.

Il sorriso della foto sull'albero.

Il sorriso della foto nella mostra d'arte.

Il sorriso che per la prima volta riservava a me.

Mentre lei guardava felice il cielo io presi il borsone che avevo preparato poco prima e stesi la coperta rossa che avevo portato con me, mi sedetti tranquillamente e poco dopo lo fece anche lei.

Restammo ad osservare i fuochi per un po'.

Finché io non presi il coraggio a due mani e iniziai a parlare cercando in tutti i modi possibili di non piangere e stringendo con tutta la forza che avevo i palmi che iniziavano a farmi sanguinare i palmi.

“Ho una cosa da raccontarti...”
Lei si girò verso di me e mi guardò negli occhi.

“Parla”

Le feci un mezzo sorriso.

“Tu mi hai detto come sei morta. È il momento che io ti racconti come sono morto”

Lei mi fece segno di continuare a parlare.

“Io e Courtney ci eravamo conosciuti un anno fa. Lei era il mio capo e cercava di rendermi in tutti i modi una persona migliore, la cosa mi piaceva e alla fine mi innamorai di lei. Stavamo insieme già da nove mesi quando lei iniziò a cambiare, diventava più fredda, più dura, più crudele, diventava una persona diversa. Io alla fine decisi di lasciarla, ma quando lo feci a lei... La cosa non piacque. Iniziò a urlare a dire che non dovevo permettermi di parlarle in quel modo, che io non ero niente in confronto a lei, che non dovevo permettermi di parlare. Stavo per andarmene ma lei mi colpì alla testa e io svenni, mi risvegliai ore dopo nel suo appartamento legato mani e piedi al suo letto. Lei disse che ora l'avrei pagata cara, che avevo fatto la cosa sbagliata, che avevo giocato con la persona sbagliata e prese un enorme coltello. Courtney studiava medicina conosceva i punti vitali di una persona e sapeva quali avrebbe potuto ferire senza uccidermi... Li colì tutte le volte che pote, poi mi ricuciva le ferite solo per riaprirle subito dopo. Durò per giorni, che diventarano settimane, finché lei non mi riportò a casa mia, nella mia stanza e mi disse che ora era lei a mollarmi, che ora era lei ad essersi stancata di me. Mi disse questo e poi mi pugnalò per l'ultima volta. Mi pugnalò al cuore proprio come avevo fatto io con lei”

Avevo finito il mio racconto e sentivo un peso enorme sollevarsi dal mio petto e semplicemente sparire.

Gwen mi fissò con gli occhi sbarrati per almeno dieci minuti.

Poi senza dirmi niente mi strinse a se come avevo fatto io con lei poco tempo prima.

E io iniziai a piangere.

Nonostante mi fossi ripromesso di non farlo piansi.

Piansi e tutto il dolore accumulato fluì via insieme alle mie lacrime.

Piansi e Gwen mi lasciò piangere, stringendomi a se con forza e piangendo insieme a me.

Quando finalmente smisi lei mi lasciò andare.

Mi guardò negli occhi e poi fece una cosa che mi spiazzò.

Fece una cosa che mi rese più felice che mai ma che mi fece sentire in colpa come non mai.

Lei mi baciò.

Io chiusi gli occhi e assaporai quel bacio.

Ne assaporai ogni momento ma quando riaprì gli occhi lei era sparita.

Era sparita sussurrando una semplice frase.

“Domani inizierà il tuo allenamento, si pronto”

Era sparita lasciandomi lì con i fuochi d'artificio che iniziavano a scemare.

Era sparita lasciandomi lì.

Lasciandomi lì.

Lasciandomi lì con i miei sensi di colpa.

Lasciandomi lì con i miei sensi di colpa e le mie farfalle nello stomaco...
Farfalle che era la prima volta che sentivo.

Farfalle di cui sapevo bene il significato.

Farfalle che solo Gwen era riuscita a causare.

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Capitolo 6
*** No Boundaries ***


Le persone normali ti dicono un orario quando parlano di allenamenti così tu sai a che ora devi essere sveglio.

Ma Gwen no.

Così io avevo dato per scontato che prima delle otto come minimo non avrei nemmeno dovuto nemmeno pensare di alzarmi.

Grosso errore.

Alle sei esatte lei venne a bussare con forza alla mia porta mentre io ero ancora disperso nel mondo dei sogni.

“Duncan hai tre secondi di tempo per alzarti prima che io entri”

Aprì un occhi e cercai di ricordare almeno come mi chiamassi o dove mi trovassi prima di darle una vera risposta.

“Uno”
Qualcosa mi disse che la ragazza appena oltre la soglia della mia stanza faceva sul serio quindi mi obbligai a darle una risposta le cui parole avessero un qualche senso logico.
“Ok, ok. Mi sto alzando, calmati!”
Andai ad aprirle la porta e me la trovai davanti fresca e riposata come una rosa nonostante ci fossimo salutati meno di sei ore prima...

E bellissima ovviamente.

Anzi forse avrei dovuto dire logicamente.

“Sei in ritardo”

Sbuffai e le feci segno di entrare nella mia stanza senza nemmeno pensare, per fortuna, che ero in mutande.

“Sei tu che non mi hai detto a che ora ci dovevamo vedere e ora di grazia ti potresti girare così almeno mi vesto? Oppure preferisci goderti lo spettacolo di me mezzo nudo?”
Questa volta fu lei a sbuffare ma fece come le avevo chiesto.

“Mettiti qualcosa di adatto a fare sport”

Feci come chiesto ed indossai dei pantaloni rossi, lunghi fino al ginocchio che avevo sempre usato per correre e una maglietta bianca senza maniche insieme a delle semplici scarpe da corsa bianche, solo in quel momento notai che non era vestita come al solito ma che invece indossava una maglia aderente senza maniche come la mia ma nera e dei pantaloncini larghi stretti in vita da un elastico bianchi e neri che a stento le coprivano le cosce incredibilmente bianche insieme a delle scarpe molto simili alle mie ma più pulite.

Era strano come nonostante dentro di me ci fosse più imbarazzo di quanto credessi anche solo minimante possibile riuscissi a sentirmi completamente a mio agio insieme a lei.

“Sono pronto. Dove andiamo di bello?”
Mi fece segno di seguirla e ci incamminammo verso la sua stanza ma quando aprì la porta davanti a noi non c'era la sua camera da letto ma un attrezzatissima palestra all'avanguardia con dentro ogni singolo attrezzo sportivo conosciuto all'essere umano, pavimenti in legno di ciliegio, pareti a dir poco bianchissime tranne una che era fatta completamente in vetro e che dava su un mare di un blu stupendo.

“Dove siamo?”
La vidi sorridere amaramente segno che dovunque ci trovassi c'entrava col suo passato.

“Questa era la palestra di casa mia”
Mi guardai intorno sorpreso da tutto quel lusso nella casa di una giovane coppia.

Tutto questo era stato suo?

“Prima che tu me lo chieda, sì io e Scott eravamo molto ricchi. Io ero un artista famosa e lui er... È uno dei migliori architetti di tutto il Canada”

Quella pausa nel discorso...

Quella correzione all'ultimo minuto...

Doveva esserle costato molto usare il passato con se stessa ed il presente con Scott.

Stavo per metterle una mano sulla spalla per darle almeno un po' del conforto di cui ero più che certo che avesse bisogno come non mai ma lei non me ne diede il tempo, troppo dura per lasciarsi consolare di nuovo.

“Inizieremo con un ora di corsa, sali sull'attrezzo e io lo imposterò”
Feci come mi era stato detto e mentre io iniziavo a correre su quel marchingegno infernale che sembrava non avere intenzione di darmi una mano lei andò in un angolo della stanza e subito dopo che avette premuto un paio di tasti su una specie di mostro elettronico che assomigliava molto lontanamente a uno stereo iniziò a diffondersi della musica, per mia fortuna della buona musica, per tutta la stanza e io iniziai a correre.

Mi fece allenare per quelle che sembravano ore ma forse furono interi giorni.

Non ne avevo idea, finché non mi disse che avevamo finito e mi indicò la porta.

Ma lì io non c'ero più perché avevo visto ciò che non immaginavo possibile.

E così sulle note di una canzone che non conoscevo mi avvicinai a lei e le afferrai il braccio.

 

Seconds, hours, so many days

Secondi, ore, così tanti giorni
You know what you want

Sai quello che vuoi
But how long can you wait?

Ma quanto puoi aspettare?
Every moment lasts forever

Ogni momento dura per sempre
When you feel you lost your way

Quanto senti di aver perso la tua strada

 

“Cosa ci fa il nome di mia sorella sul tuo braccio?”

Lei non si girò non fece niente, si limitò a scrollarsi la mia mano di dosso e ripetermi di andarmene.

 

And what if my chances were already gone?

E se le mie opportunità fossero già passate?
I started believing that I could be wrong

Ho iniziato a credere che potevo aver sbagliato
But you give me one good reason

Ma tu mi dai una buona ragione
To fight and never walk away

per combattere e non scappare mai
So here I am still holding on

Così sono ancora qui che tengo duro
 

Lì io non ci vidi più.

La presi per le spalle e la sbattei al muro.

“Gwen dimmi cosa ci fa il nome di mia sorella sul tuo braccio!”

 

With every step you climb another mountain

Con ogni passo scali un'altra montagna
Every breath it's harder to believe

Ogni respiro è più difficile da credere
You'll make it through the pain

Ce la farai attraverso il dolore
Weather the hurricanes

Supererai gli uragani
To get to that one thing

Per ottenere quell'unica cosa

 

Non ebbi il tempo di guardarla negli occhi che già ero stato catapultato via, lontano da lei senza che lei mi avesse toccato.

“Non farlo mai più”

La caduta mi aveva fatto male ma non mi importava.

Volevo delle risposte.

 

Just when you think the road is going nowhere

Quando pensi che la strada non stia andando da nessuna parte
Just when you almost gave up on your dreams

Quando hai quasi abbandonato i tuoi sogni
They take you by the hand

Ti prendono per mano
And show you that you can

E ti mostrano che puoi
There are no boundaries

Non ci sono limiti
There are no boundaries

Non ci sono limiti

 

“Dimmelo”

Lei mi guardò con uno strano miscuglio di tristezza e dolore negli occhi, sfidandomi e allo stesso tempo implorandomi di dirlo ancora.
“Dimmelo...”

Mi avvicinai a lei e caddi in ginocchio.

“Ti prego”

 

I fought to the limit to stand on the edge

Ho combattuto al limite per rimanere in piedi sul margine
What if today is as good it gets?

E se prendessi l'oggi per buono?
Don't know where the future's headed

Non so dove il futuro porta
But nothing's gonna bring me down

Ma niente mi fermerà

 

“L'ho addestrata io”

La guardai sapeva che non capivo di cosa stava parlando ma sembrava che le costasse andare avanti.

“Il suo nome è sul mio braccio insieme a tanti altri perché li ho addestrati tutti io.”

Mi avvicinò il braccio al viso.

“Vedi? Tutti questi nomi... Se li guardi bene ti accorgi anche che ne formano un altro messi tutti insieme... Il nome di colui che ha addestrato me... Se mai tu arrivassi ad addestrare quante persone ho addestrato io da quando sono diventata una dodici succederebbe anche a te ma per ora ti limiterai ad avere il mio nome sul braccio”

 

I've jumped every bridge

Ho saltato ogni ponte
I've run every line

Ho seguito ogni linea
I've risked being saved but I always knew why

Ho rischiato di essere salvato, ma ho sempre saputo il motivo
I always knew why

Ho sempre saputo il motivo

So here I am still holding on

Così sono ancora qui che tengo duro

With every step you climb another mountain

Con ogni passo scali un'altra montagna
Every breath it's harder to believe

Ogni respiro è più difficile da credere
You'll make it through the pain

Ce la farai attraverso il dolore
Weather the hurricanes

Supererai gli uragani
To get to that one thing

Per ottenere quell'unica cosa

Just when you think the road is going nowhere

Quando pensi che la strada non stia andando da nessuna parte
Just when you almost gave up on your dreams

Quando hai quasi abbandonato i tuoi sogni
They take you by the hand

Ti prendono per mano

And show you that you can

E ti mostrano che puoi

 

Guardai con attenzione il suo braccio e così lo notai.

C'erano un infinità di nomi, alcuni più grandi altri più piccoli, e tutti insieme formavano un unico nome.

“Trent”

 

You can go higher, you can go deeper

Puoi arrivare più in alto, puoi scendere più in basso
There are no boundaries above and beneath you

Non ci sono limiti sopra e sotto di te
Between you and your dreams

Tra te e i tuoi sogni

 

Dicendo quel nome sembrò che avessi fatto scattare un qualche interruttore dentro di lei, si alzò e senza guardarsi indietro nemmeno una volta aprì la porta e mi fece segno di uscire.

Mi avviai verso l'uscita ma prima di varcare la soglia le feci un ultima domanda.

“Chi era Trent per te?”

 

With every step you climb another mountain

Con ogni passo scali un'altra montagna
Every breath it's harder to believe

Ogni respiro è più difficile da credere
You'll make it through the pain

Ce la farai attraverso il dolore
Weather the hurricanes

Supererai gli uragani
To get to that one thing

Per ottenere quell'unica cosa

 

Mi guardò per un attimo negli occhi e poi rispose.

Meno di un sussurro ma rispose.

“Lui era il mio limite”
Chiuse la porta e io rimasi lì.

Dopo pochi secondi mi girai ma invece di andarmene appoggiai la schiena alla porta e mi lasciai cadere a terra mentre le lacrime che avevo trattenuto fino ad allora iniziavano a rigarmi il viso e il pensiero di Izzy tornava a tormentarmi.
Non potevo saperlo ma dall'altra parte della porta Gwen faceva la stessa cosa ma con un unica differenza lei non piangeva perché sentiva la mancanza di qualcuno lei piangeva perché le faceva male ricordare una persona di cui sapeva non avrebbe dovuto sentire la mancanza.

 

Just when you think the road is going nowhere
Quando pensi che la strada non stia andando da nessuna parte
Just when you almost gave up on your dreams

Quando hai quasi abbandonato i tuoi sogni
They take you by the hand

Ti prendono per mano
And show you that you can

E ti mostrano che puoi
There are no boundaries.

Non ci sono limiti.

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Capitolo 7
*** Ti aspetterò ***


I miei allenamenti con Gwen andavano avanti ormai da una settimana e non avevamo più parlato di quello che era successo nella palestra.

Non avevamo più parlato di Trent.

Non avevamo più parlato di colui che lei definiva il suo limite.

Fino a quel giorno.

Quel maledetto giorno.

Stavo andando in camera sua come al solito per allenarci ma quella volta feci un errore.

Un grosso errore.

Un solo stupido errore.

Mi dimenticai di bussare.

E così non appena aprì la porta della sua stanza finì catapultato in una specie di uragano di colori che mi trascinò in un posto che non conoscevo.

Una stanza a me estranea dove c'erano un ragazzo e una ragazza di spalle che parlavano tranquillamente l'uno con l'altra.

Il ragazzo...

Quel ragazzo io lo conoscevo.

Quel viso io lo conoscevo.

Il ragazzo era quello del dipinto nella stanza di Gwen.

Non feci in tempo a riconoscerlo che la ragazza insieme a lui si era già voltata rivelando la sua identità.

E io quella ragazza la conoscevo.

Perché quella ragazza era Gwen.

“Gwen! Gwen vuoi spiegarmi che diavolo ci faccio qui?”
Urlai davanti a lei con tutto il fiato che avevo in corpo ma le mie domande non trovarono nessuna risposta perché era come se lei non mi sentisse.

Anzi era come se nemmeno mi vedesse purtroppo per me.

Purtroppo per me era come se loro non mi sentissero.

E così finalmente capì.

Quella Gwen così diversa...

Così felice.

Quel ragazzo che lei diceva essere scomparso.

Quella stanza sconosciuta.

Il fatto che loro non mi vedessero né sentissero...

Chissà come, chissà perché ma ero finito nei suoi ricordi.

Allora non mi resta altro che godermi la scena...

E prestare attenzione.

“Gwen devo dirti una cosa molto importante”

Era stato quel ragazzo, quel Trent, ed era stata una Gwen completamente diversa a rispondergli.

“Dimmi pure”
Lo sguardo negli occhi del ragazzo era così triste e così pieno di rimorso segno che stava per darle una cattiva notizia.

E in quel momento sentì di dover proteggere Gwen.

Una protezione che in quel, in quello stato non potevo darle.

“Il mio tempo qui sta per finire... Presto purtroppo dovrò andare avanti e quindi dovrò andarmene da qui”

La notizia sembrò colpirla nel profondo.

Così nel profondo che fu capace di pronunciare solo una parola.

Solo una parola uscì dalle sue labbra.

“No”

Il ragazzo la strinse a se con una forza tale che sembrò essere sul punto di spezzarla in due come si fa con un ramo secco ma la cosa non avvenne.

Però successe qualcosa che trovai ancora peggiore.

Qualcosa che non mi aspettavo di vedere mai in tutta la mia intera vita.

Gwen iniziò a piangere.

Lacrime di una disperazione così nera che finivano sulla maglia di lui inzuppandola.

“Gwen... Gwen non piangere ti prego. Puoi venire con me se vuoi. Devi solo lasciarti alle spalle la tua vita umana, devi solo andare avanti”

Lei lo guardò con gli occhi ancora piene di lacrime e con un grosso dubbio nel cuore.

“Ma... Ma Scott... Io non posso lasciarlo... Lui ha bisogno di me...”

Lui la interrompette prima che potesse finire di parlare.

“Se continui ad apparire a Scott lui non potrà mai andare avanti senza di te lo sai bene”

Lei lo guarda con una nuova luce negli occhi.

Una luce che non avevo mai visto.

“Ok verrò con te...”

Nemmeno il tempo che lei dicesse queste parole e io venni trasportato via, spettatore di un nuovo ricordo.

Qui ci sono sempre Trent e Gwen che stringendosi per mano con una forza incredibile vanno verso una specie di portale ma quando sono ormai a metà strada appare qualcosa.

Un immagine.

Un immagine che ritrae Scott che urla disperato con una pistola in mano.

Appena lo vede la ragazza lascia la mano di Trent.

“I-Io devo andare da lui”

La ragazza inizia a correre per tornare indietro ma il ragazzo la ferma afferrandole un braccio.

“Se vai ora forse non ci vedremo mai più”

Lei lo guarda per un attimo prima di rispondere.

“Invece ci rivedremo solo che ci vorrà un po' più del previsto”

Lui le sorride e lei ricambia il sorriso.

“Ti aspetterò allora ma non tardare troppo, ti amo Gwen”

Lei sembra incerta su cosa dire ma alla fine lo dice.

“Ti amo anche io Trent”
All'improvviso vengo di nuovo trasportato in un altro ricordo, uno ancora più triste, senza avere nemmeno il tempo di prendere fiato mi ritrovo nella stanza di Gwen a guardarla mentre legge qualcosa, una lettera penso.

Mi avvicino e riesco a leggere il testo del documento.

Visto il suo caso signorina,

Ci vediamo costretti a mantenerla come dodici in modo permanente finché suo marito non riuscirà a superare la sua morte o finché lui non morirà per cause naturali.

Sentite scuse per lo stato in cui la dovremo permanere ma non c'è altra scelta.

Ci è anche stato richiesto di recapitarle un messaggio da colui che è stato il suo addestratore il testo del messaggio è: “Io ti aspetterò lo stesso anche se ci vorrà un po' più del previsto”.

Purtroppo temiamo che costui non potrà rispettare la sua promessa visto che ci duole informarla che quando costui è stato messo a conoscenza di ciò che purtroppo le era accaduto è scappato in un luogo che non ci è concesso riferirle e purtroppo è tuttora disperso.

Sentite condoglianze.

 

 

Appena ho finito di leggere sento qualcuno afferrarmi con forza per un braccio e trascinarmi via da quella scena.

“Non dovresti essere qui”

Quella voce...

Io conosco quella voce...

È la voce di Gwen.

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Capitolo 8
*** Addio, amore mio ***


Ora mi uccide.

“Perché sei qui?”
È infuriata.

Si sente dalla sua voce.

Si legge nei suoi occhi.

E come darle torto?
Sono entrato nei suoi ricordi.

Senza permesso.

E non me ne sono andato.

Certo non sapevo come andarmene ma non penso che le importerà molto di questa attenuante.

“Io... Io sono entrato e sono finito qui”
Mi guarda come se volesse vedermi evaporare all'istante.

E forse lo vuole.

E forse ne è pure capace.

All'improvviso la stanza comincia a girare su se stessa finché non ritorniamo nella sua camera.

“Fuori”
Meno di un sussurro ma lo sento.

Sto per uscire ma mi blocco.

“No”

Mi guarda con una rabbia folle.

“Ho detto fuori”

Questa volta urla.

Ma io la ignoro.
Invece mi avvicino lentamente a lei.

“E io ho detto no”

La prendo fra le mie braccia.

E la stringo forte.

Ne ha bisogno.

Quel Trent doveva essere importante per lei.

Ed è scomparso.

Per sempre.

“Fuori”

Lo dice piano.

Ma sa che la sento.

E sa che non lo farò.

E nel frattempo comincia a piangere.

“Fuori. Fuori. Fuori”

La stringo più forte.

“Non ti lascio così”
Smette di parlare.

Si limita a piangere.

Tante lacrime.

Troppe.

Finché non succede qualcosa.

Si irrigidisce.

La guardo per capire che succede.

Nei suoi occhi c'è il panico.

“No. No. Un'altra volta no”

Si alza.

“Che succede?”

Si gira verso di me.

“Scott a bisogno di me”
Scott.

Suo marito.

Ovvio.

“Allora io devo...”
Lascio la frase in sospeso perché non so cosa fare.

Non so cosa voglia.

“Tu devi venire con me”
La guardo sorpreso.

Mi vuole con se per vedere suo marito?

“È ora che impari a mostrarti”

Ora capisco.

È solo una lezione.

Mi porge la mano e io l'afferro.

La stanza gira ancora.

Quando si ferma ci troviamo in un soggiorno riccamente ammobiliato con televisore al plasma, divani, poltrone, addirittura un angolo bar e una parete in vetro che da sul mare.

La casa di Gwen.

Su uno dei divani c'è l'uomo dai capelli rossi che ormai ho imparato a riconoscere con in mano una bottiglia di quella che sembrerebbe vodka, bottiglia che ormai è mezza vuota.

È molto diverso dalle foto in cui l'ho visto.

Lì era felice.

Sorrideva.

Ora...

Indossa una maglia e dei pantaloni logori e sporchi.

Ha una barba ispida e i capelli sono sudici.

E piange.

Un pianto silenzioso e sommesso.

Un pianto che distrugge chiunque lo guardi.

“Scott...”
L'uomo alza la testa all'improvviso e appena la vede corre verso la donna al mio fianco che mi ha già lasciato la mano.

Corre verso il fantasma di sua moglie.

“Gwen! Gwen sei tornata!”
La bacia e io provo un moto d'invidia.

Io non la potrò mai baciare come fa lui.

“Mi avevano detto che era impossibile, che ero pazzo, che ero ubriaco ma non importa. L'importante è che tu sia qui Gwen”

Lei ricambia la stretta piangendo a sua volta.

Ma c'è qualcosa che non va.

Sembra...

Triste.

“Non dovrei tornare e tu lo sai”

Lo sguardo di lui diventa triste quanto quello di lei.

Si separano e si guardano negli occhi.

“Ma ti amo e non posso lasciarti in questo stato”

Lui si siede e lei fa lo stesso.

“Non ce la faccio senza di te, ci ho provato ma è troppo difficile”

Lei lo guarda amorevole e gli mette una mano sulla guancia.

Inizia ad accarezzarlo gentilmente come si farebbe con un animale ferito.

Che in fin dei conti è ciò che è Scott in questo momento.

Un animale ferito dalla morte della persona che ama di più al mondo.

“Tu ce la puoi fare Scott, ricorda la promessa che mi hai fatto”

Gli occhi di lui si riempiono di lacrime.

Ora sembra ancora più triste.

“È così difficile da mantenere”

Lei lo bacia dolcemente e a me si stringe il cuore.

“Ma tu ci riuscirai, ok?”

Lui la guarda e le sorride.

“Ok”

Lei si alza e torna verso di me.

“Ora devo tornare Scott”

Lui la guarda come paralizzato.

“No, non andare”

Lei sembra soffrire ma mi prende la mano.

“Devo”

Gli sorride.

“Addio, amore mio”

La stanza inizia a ruotare ancora.

Ho ancora nelle orecchie l'urlo disperato di Scott quando ci ritroviamo nella camera di Gwen.

Lei ha l'aria distrutta.
In fondo è normale dopo ciò che ha dovuto fare...

“Gwen...”
Le metto una mano sulla spalla ma lei si ritrae come scottata dal contatto con la mia pelle.

“Domande?”

Sono confuso ma so che devo cominciare da cose semplici.

Darle il tempo di assimilare ciò che è successo.

“Perché non mi vedeva?”

Lei non si gira.

Non mi guarda.

Resta seduta sul letto.

Ferma e immobile.

Ma risponde.

“Non lo conoscevi in vita non puoi apparirgli senza contare che non sai ancora come si fa”

Domanda facile per lei suppongo.

“Come si fa ad apparire?”
Continua a non guardarmi.

Continua a non muoversi.

Ma continua a rispondere.

“Devi concentrarti sul ricordo più bello che hai con quella persona e desiderare ardentemente che ti veda, se il ricordo è abbastanza potente apparirai”

Noto qualcosa.

Qualcosa che non vorrei vedere.

Sta piangendo ancora.

Mi avvicino e la stringo fortissimo.

Probabilmente le sto togliendo il respiro ma non mi importa.

“Mi dispiace tanto”

Lei continua a non guardarmi.
“Non te lo meritavi. Non ve lo meritavate”
Non si muove ma piange di meno.

“Il destino è crudele. Ci toglie le persone che amiamo e noi ci ritroviamo a dover andare avanti senza di loro anche se continueranno a mancarci per sempre”

Ha smesso di piangere.

“Ma non per questo dobbiamo arrenderci”

Inizia a girarsi verso di me.

Ha gli occhi gonfi e rossi e sembra così fragile...

Come se fosse sul punto di crollare in pezzi.

E forse è così...

“Come si fa?”

La guardo negli occhi e nel frattempo le asciugo le lacrime con la mano.

“Si ricorda nel proprio cuore quella persona ma non si permette al dolore di controllarci”

Lei si abbandona sul mio petto e io mi sento in pace.

Sento di averla aiutata almeno un po'.

Ma so che non cambierà niente.

Lei sentirà ancora la sua mancanza.

Lui sentirà ancora la sua.

E aspetteranno.

Aspetteranno di rivedersi.

Di riabbracciarsi.

Aspetteranno fino alla fine.

E io?
Probabilmente alla fine io scomparirò dalla sua vita.

E lei si dimenticherà di me.

Sarò solo uno dei tanti che ha allenato.

Uno dei nomi sul suo braccio.

Niente di più.

Ma per ora sono qui.

Sono con lei.

E non ho intenzione di lasciarla soffrire.

“Gwen che promessa ti ha fatto Scott?”
Lei non risponde e non sembra intenzionata a farlo così la faccio coricare sotto le coperte ed inizio ad andarmene.

Quando arrivo alla porta però sento la sua voce.

“Ha promesso di vivere anche per me”

Mi giro verso di lei e vedo che mi guarda.

Restiamo così per quelle che mi sembrano ore ma forse sono solo secondi.

Mi fa segno di tornare accanto a lei.

DI non lasciarla sola.

E io lo faccio.

Mi metto accanto a lei nel letto.

E la stringo ancora fra le mia braccia.

E lei si lascia stringere.

“Duncan puoi restare qui con me?”

Io le sorrido e le do un bacio in fronte.

“Per sempre, principessa

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