Anyway the wind blows.

di Gwilym
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Bronzo di Riace ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

 

-Un caffè amaro.- , chiese Hana, mentre si avvolgeva con più cura la sciarpa intorno al collo.
-Sicura di non voler provare qualcosa di più dolce, me ad esempio?- , la ragazza scrutò attentamente il ragazzo  che le porgeva il caffè dal retro del bancone con un sorriso da abete. Poi lasciò i soldi sul bancone e afferrò il bicchiere con il caffè ancora fumante.
-Patetico, tentativo patetico…- , mormorò poi, fissandolo ancora per qualche secondo. Era un moretto dallo sguardo castano sicuro di sé, il suo sorriso, però, si stava spegnendo sempre di più.
-Potresti anche goderti la vita per una volta, piccola.-, sbuffò il ragazzo.
Per un secondo gli istinti lupeschi della ragazza tentarono di prendere il sopravvento, ma Hana ormai sapeva come gestirli.
-Tu potresti essere più saggio, ed evitare di chiamarmi “piccola”-, gli suggerì infine la ragazza, mentre con la mano libera dal caffè stritolava con forza quella del moro. Questo ritrasse la mano con una smorfia di dolore e poi con uno sguardo sconvolto. Hana girò i tacchi e uscì fuori dal negozio, era andata meglio del solito, pensò, o meglio di quella volta in cui aveva scaraventato il bibliotecario contro gli scaffali quando questo aveva tentato di palparla.
 Il freddo di Beacon Hills d’ inverno la avvolse improvvisamente mentre a grandi passi camminava verso la Beacon Hills High School.
Era ormai passato qualche anno da quando aveva preso il diploma in quella stessa scuola. La sua vita allora era quella di un adolescente piena di sogni e ambizioni: andare al college, laurearsi in medicina, trovare una cura per l’Alzheimer e una per il cancro e poi ancora vivere a New York con le sue amiche. Le cose però erano andate diversamente, la sua vita era stata stravolta in un attimo. Era successo tutto in una notte di luna piena, l’ultima notte da umana della sua vita. Hana ricordava ancora il cielo limpido, il prato verde e gli alberi tutt’ intorno, lei distesa su una tovaglia insieme al suo amico Andrew, l’amico di una vita, lei contava le stelle ed Andrew di tanto in tanto le faceva notare qualche costellazione. Poi il ragazzo diventò improvvisamente serio.
-Hana, devo dirti una cosa.-, disse questo –so che è egoista dirlo una settimana prima che tu parta per New York ma, devi saperlo.-. la ragazza provò a replicare ma Andrew la interruppe.
-No ti prego, non…non dire nulla o non avrò più coraggio. Hana io… ti amo, ti ho sempre amata… io lo so che…- Hana però non prestava più attenzione al ragazzo, ma alla figura dagli occhi rossi alle sue spalle.
-Ah l’amour…- disse la bestia. Quello che successe poi era confuso, ricordava solo urla, ululati e due paia di occhi: un paio rossi e un paio azzurri. Poi si era svegliata il giorno dopo, nella sua camera, quella della casa in cui era cresciuta. Sua madre e suo padre seduti vicino a lei la guardavano con un sguardo preoccupato. Andrew era morto e lei era viva per miracolo. Le spiegarono che erano stati aggrediti da due lupi mannari, che uno di loro era un’ Alpha, il capo del branco, che lei era stata morsa, se era stato l’Alpha probabilmente sarebbe diventata una di loro. Lo dicevano con disgusto, come se avessero preferito che morisse. Poi Hana capì, la sua era una famiglia di cacciatori, loro uccidevano i licantropi, i suoi uccidevano i licantropi, l’avrebbero uccisa se necessario. Sperò che nulla accadesse, che magari quello fosse solo un incubo ma poi successe: la notte di luna piena successiva, non ricordava molto, solo un insana e insaziabile voglia di uccidere. Era un licantropo. Quando i genitori capirono quello che Hana era diventata sua madre le poggiò una mano sulla spalla e le disse: -Andrà tutto bene, ti saremo accanto sempre.- poi le disse di uscire, mentre loro pensavano a una soluzione. La ragazza passò l’intera giornata a camminare senza una meta, pensò a lei, a tutti i suoi sensi più acuti del solito, poi pensò ad Andrew, al fatto che non era neanche riuscita ad andare al suo funerale. Andrew aveva una vita, dei progetti, perché la gente passava una vita a fare progetti se poi un istante ti portava via così giovane? pensò.
Quando il sole lasciò spazio alla luna Hana decise che era ora di tornare a casa ed affrontare il presente, non sapeva che quello che avrebbe dovuto affrontare però sarebbe stata ancora morte. In casa trovo i suoi genitori, entrambi impiccati, che penzolavano sul soffitto. Quell’immagine non gli sarebbe più uscita dalla mente. Il sangue sul pavimento, i loro corpi bianchi e freddi. Lo shock fu così forte che passarono ore prima che la ragazza fosse capace di prendere il telefono e comporre il numero del 911.

Il cammino di Hana si interruppe quando una camaro nera gli tagliò la strada fermandosi davanti all’ingresso della Beacon Hills High School. La ragazza percepì all’istante l’odore di Alpha ormai familiare di Derek Hale.
Ecco qui l’Alpha dei teenagers  pensò che persona triste.
Derek era l’unico Alpha rimasto in città, dopo la morte di suo zio. Questo era tutto quello che sapeva su di lui. Non aveva mai fatto parte di un branco e neanche le interessavano le faccende da lupi.
-Puntuale come un orologio svizzero, sorellina!-   Hana distolse lo sguardo dai tre ragazzi che entravano nella camaro guardando dritta davanti a sé. Rivide il viso che conosceva a memoria, due occhi verdi e grandi come i suoi, labbra carnose, fronte leggermente spaziosa, tutto incorniciato da dei boccoli dorati.
-Sai che ho sedici anni e sono capace di tornare a casa da solo vero?- fece notare il ragazzo. I suoi occhi penetranti gli ricordarono quelli del ragazzino di tredici anni, di ritorno dall’Inghilterra a cui aveva dovuto spiegare che i suoi genitori non c’erano più. Non disse nulla per un mese, restava in silenzio in un angolo a leggere manga tutto il giorno, fino a quando le si era avvicinato,
 -Morirai anche tu e mi lascerai solo?- le aveva chiesto.
-Non permetterei neanche alla morte di dividerci.-  le aveva risposto lei abbracciandolo.


-Lo so, ma preferisco tenerti sott’occhio.-
-Non sono un mica un criminale.-
-No ma sei Jamie, e questo fa di te una persona che deve essere tenuta sotto controllo.-  disse Hana mentre infilava le mani nelle tasche della giacca. –E adesso hai intenzione di andare a casa o vuoi accamparti qui per stasera?-
-Idea affascinante, tu potresti cacciare un bel cerbiatto con le due doti lupesche!- un sorriso balenò sul viso del ragazzo, ma svanì subito non appena incontrò lo sguardo della sorella.
- Va bene, ok. Andiamo a casa…  se quello sguardo potesse uccidere, mieteresti molte vittime comunque.- sbottò Jamie passandosi una mano nel ciuffo ribelle di capelli. –E comunque non mi andava del cerbiatto stasera.-
Hana non replicò. Ma si voltò di scatto verso l’odore di Derek Hale, vide un giovane con una zazzera nera, gli occhi verdi e una barba incolta avvicinarsi a lei. Indossava la sua giacca di pelle, indumento che solitamente indossavano anche i suoi marmocchi/beta, un giorno ci faranno scrivere sopra Derek’s Pack o qualcosa del genere aveva pensato una volta lei.
-Sei tu Hana, Hana Marie Parker?-, domandò il ragazzo con uno sguardo gelido.
-Sì, sono io.-, replicò la ragazza sostenendo lo sguardo, come conosceva il suo nome intero?
-Io sono Derek, Derek Hale, sono Alpha di…-, provò a dire, ma lei lo interruppe.
-Si lo so chi sei, e anche se non lo sapessi la tua puzza da Alpha si sente a un chilometro di distanza, dovresti imparare a nasconderla. Comunque taglia corto, non ho tempo da perdere.- , Derek la guardò a metà tra il divertito e l’infastidito.
-Puzza da Alpha?-, ripeté incredulo, poi scrollò la testa e disse: -Beh il mio branco ha bisogno di un aiuto, del tuo aiuto.-.
-Non mi interessa aiutarti.-. tagliò corto lei.
-Oh invece ti interessa.-.
-Non credo proprio.-. insistette lei.
Prima che il giovane Alpha potesse intervenire Jamie si intromise –Credo che mia sorella sia stata piuttosto chiara, gira i tacchi grazie.-. disse. La ragazza lanciò uno sguardo truce al fratello, non aveva bisogno di essere aiutata.
-Come preferite.- disse infine Derek  –Io ci ho provato…- aggiunse poi e si allontanò da loro a grandi passi ritornando verso la sua costosa macchina.


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Capitolo 2
*** Bronzo di Riace ***


Bronzo di Riace

 

– Quindi non hai idea di cosa volesse Derek da te? – domandò ancora Jamie.
– Non, e non mi interessa. I licantropi portano solo guai. – ribattei  facendo spallucce.
Avevamo ormai raggiunto casa, un appartamento non molto lontano dalla scuola di Jamie. Eravamo fermi fuori la porta di casa, mentre cercavo le chiavi di casa nella mia borsa.
– Anche quelli che somigliano a un bronzo di Riace? –.
– James! Soprattutto, dei bronzi di Riace. –
– Che c’è? Non chiamarmi James, sai che odio quando lo fai!- sbuffò, poi afferrò la mia borsa – Ci diamo una mossa Mary Poppins? Cosa ci nascondi in questa borsa? –
– Degli strumenti di tortura che potrei anche usare se mi strappi di nuovo la borsa! – urlai strappando la borsa dalle grinfie di mio fratello ed estraendo con fierezza le chiavi.
– Ecco visto? Se la smettessi di distrarmi con i tuoi apprezzamenti su Derek, avrei fatto anche prima! Non è che c’è qualcosa che devi dirmi a proposito delle tue tendenze sessuali?– domandai poi entrando in casa mentre Jamie alle mie spalle mi seguiva e richiudeva la porta. Il colore dominante dell’appartamento in cui io e mio fratello vivevano era il bianco. Tutto bianco: i mobili, le sedie, il bancone dove facevano colazione, il divano.
– No, preferisco ancora le patate ai cetrioli. –
– James! –
– Che c’è? Tu metti in dubbio la mia sessualità! –
– Essere gay non sarebbe un crimine. –
– Sono d’accordo, ma io non lo sono. –
Sbuffai esasperata, la conversazione aveva preso una piega imbarazzante. Cercai di cambiare discorso mentre poggiavo la borsa sul bancone e aprivo i mobili in cerca di cibo – Cosa hai fatto di interessante? –
– Solite cose da adolescente. – rispose secco Jamie. – Lezioni, ho spezzato qualche cuore, ho mangiato, ho studiato in biblioteca. –
– Wow. – esclamai fissando i mobili. Non c’era cibo.
– No, non ho giocato a WoW oggi. In realtà non ci gioco da un po’. –
– Non parlavo di World of Warcraft idiota, siamo senza cibo. –
Jamie per tutta risposta fece spallucce – Ordiniamo una pizza, – propose afferrando il telefono e porgendomelo – Per me formaggio e salame, veloce però devo chiamare Grace. –
– Grace? Chi sarebbe Grace?  –
– Una biondina niente male, frequentiamo lo stesso corso di biologia. Voglio invitarla al ballo di Natale. –
– Ancora quello squallido ballo? – . Lo ricordavo bene il ballo di Natale, c’ero stata anche più volte quando frequentava il liceo, un ballo in cui tutti si vestivano come se venissero direttamente dal ‘800. Una volta mi piaceva, adesso lo trovavo ridicolo.
– Sì, alle ragazze piace, e poi io sono molto sexy con il frac. –  Sorrisi. Jamie era l’unico capace di strapparmi un sorriso. Decisi di non rispondergli e di concentrarmi sulla cena.
Ordinai due pizze e due porzioni di patatine fritte. Poi, dopo aver riagganciato andai verso il bagno.
– Vado a farmi una doccia. – annunciai mentre aprivo la porta del bagno. Mi voltai per controllare  Jaime e lo vide straiato sul divano mentre faceva zapping cercando qualcosa in TV. Entrai  nel bagno e mi specchiai, vidi una ragazza esile e dai capelli color nocciola, gli occhi verdi e grandi come quelli di mio fratello, a differenza di questo però non vantavo un’ alta statura. Mi voltai verso la doccia e mi ci infilai meccanicamente.
Fu proprio mentre me ne stavo sotto il getto caldo e confortante della doccia che avvertii qualcosa di strano, ansia e paura si impossessarono di me. Sentivo il mio cuore aumentare i battiti e non capivo cosa mi succedesse, non avevo paura di niente io. Uscii dalla doccia con il cuore in gola avvolgendomi in un asciugamano. Fissai attentamente la stanza e rimasi di sasso. Le pareti erano imbrattate, scritte rosse si estendevano su ogni centimetro della stanza. Tre parole che conoscevo molto bene si alternavano HANA MARIE PARKER. Perché il mio nome era scritto ovunque? E quello era rossetto o pittura giusto? Non poteva essere sangue.
Mi avvicinai alla piccola finestra del bagno. Era sigillata benissimo, nessun segno di effrazione.  Forse qualcuno si era introdotto in casa prima che io e Jamie arrivassimo. E allora perché non mi ero accorta di niente? I miei sensi da lupo mi avrebbero avvertita. Aprii la finestra e fissai la città, non c’era niente di strano, solo il chiacchiericcio delle persone in strada e qualche macchina che passava. Respirai a fondo poi richiusi la finestra. Quando mi voltai di nuovo verso la stanza mi accorsi che quelle scritte erano sparite. Tutte. La stanza era linda e pinta. Un’allucinazione? Stavo diventando pazza? In effetti quando ero entrata nel bagno quelle scritte non c’erano. Nessuno avrebbe potuto scrivere così velocemente su tutta la parete o forse sì? E cancellare in un attimo?
Sentii un improvvisa esigenza di uscire fuori da quella stanza. Spalancai la porta e guardai fuori. Sentii il rumore della TV, davano una puntata di Dr. House e vidi Jamie seduto sul divano intento a parlare a telefono. Mi infilai nella sua stanza velocemente e lì mi vestii. Mentre tornavo in cucina riflettei ancora su quello che mi era successo. Ero sicura di non star diventando pazza, ma chi poteva aver fatto una cosa del genere? Chi conosceva il mio nome completo? Non era certo una cosa che dicevo a chiunque.

 Poi mi si accese una lampadina. Derek. Lui conosceva il mio nome, era opera sua? Era un modo per costringermi a chiedere il suo aiuto? Cosa voleva Derek da me?
Mi accasciai sul divano di fianco a mio fratello.
– Ah finalmente hai finito? Vorrei darmi una pulita anch’io! – disse Jamie mentre riagganciava la chiamata. – Che hai? – domandò poi preoccupato. Era così evidente? Non lasciavo mai che le mie emozioni fossero evidenti.
– Mal di testa. – mentii. – dai muoviti, va a farti la doccia prima che arrivino le pizze!- lo incitai poi.
Mi si avvicinò e mi stampò un bacio sulla fronte – Un bacio sulla bua! – mi disse sorridendo, poi si diresse verso il bagno e ci si chiuse dentro. Fu proprio in quel momento che il mio telefono iniziò a squillare. Estrassi pigramente dalla tasca mentre House in TV diagnosticava il Lupus ad un paziente. – Non è mai il Lupus House, non perdere tempo. – commentai prima di accettare la chiamata, neanche guardai lo schermo.
–Chi va là? –
– Emh, Hana, sono Derek. –
– Come hai avuto il mio numero? – risposi cercando di non far trapelare ansia. Che i miei sospetti su Derek fossero fondati?
– Una tua collega nella paninoteca in cui lavori... – Quale collega? Come conosci il posto in cui lavoro? C’erano tante domande sensate che solitamente avrei fatto, ma non in quel momento. Ne avevo solo una più importante di tutte.

– Sei stato tu, vero? –
– Io? A fare cosa? –
– Quelle scritte…– un brivido di terrore mi percorse la schiena, quella sensazione di ansia si stava rimpossessando di me.
– Quali scritte? Hana cos’hai visto? – sembrava sincero, ma lo era davvero? Non potevo sentire i suoi battiti per verificarlo. A Derek cosa interessava allora quello che avevo visto? Ci conoscevamo appena.
– Cosa vuoi allora? –
– Parlarti, c’è qualcosa che ti riguarda da vicino, che tu lo voglia o no. – la sua voce sembrava ansiosa.
– A te cosa importa di me e di ciò che mi riguarda? –
– Niente, hai ragione. Ma mi importa del mio branco e della loro sicurezza. Ti racconterò tutto a quattrocchi, incontriamoci, domani. –
– D’accordo, – risposi d’impulso. – ma non ti assicuro di essere collaborativa. – aggiunsi.
– A domani. – disse Derek, riagganciai subito e poggiai sul divano il cellulare. Quella si sarebbe rivelata una scelta saggia? O mi stavo - letteralmente -  gettando tra le fauci del lupo? Avevo come l’impressione che Derek sapesse tutto ciò che mi interessava sapere su quelle scritte.
La porta di casa suonò poco dopo la chiamata. Jamie uscì di corsa dal bagno urlando che avrebbe aperto lui.
Quando mi voltai , però, notai che l’unico ‘indumento’ che usava era un asciugamano avvolta intorno ai fianchi.
– James! – gli urlai contro precipitandomi verso la porta. La ragazza alla porta era diventata rossa come i cartoni di pizza che teneva in mano.
–L-le vostre p-pizze – disse lei abbassando lo sguardo e porgendo le pizze, le diedi una banconota da venti dollari. – Tieni il resto. – le disse Jamie facendole l’occhiolino. La ragazza sgusciò via in un attimo e io richiusi la porta.
– Mio fratello è senza pudore. – sbuffai mentre appoggiavo i cartoni di pizza e ne aprivo uno. Poi tornai a osservarlo. –Aspetta, aspetta… ti sei depilato il petto Jamie? – domandai perplessa.
– Già, adesso sembro anch’io un bronzo di Riace non trovi? –
– Piantala e va a vestirti! –
– A proposito di bronzi di Riace, ci ho pensato, questo Derek non frequentava il tuo stesso anno al liceo? –
– Oh, sì. Stesso corso di chimica se non sbaglio. Era piuttosto inutile come partner per i progetti – dissi facendo spallucce. – Non faceva altro che parlare della sua ragazza, scriveva continuamente il suo nome ovunque. –
– Era una cosa seria? Stanno ancora insieme? –
– Nah, è morta. Quando frequentavo il terzo anno mi sembra. Mai immischiarsi in faccende amorose, o in qualsiasi altra faccenda, con un licantropo. –
– Oh, quindi dovrei starti alla larga? – a volte dimenticavo completamente di essere una di loro un lupo mannaro, un mostro.
– Io sono innocua, hey non vedi l’areola? – dissi indicando un punto vuoto sopra la mia testa.
– Certo, innocua come Lucifero. – rispose lui sorridendo. – io vado a rendermi presentabile, inizio a sentire freddo. – aggiunse poi.
– Jamie…– dissi mentre lui si fermava a un passo dalla porta.
– Cosa? –
– Conosci i componenti del branco di Derek? –
– Mmmh sì, sono forti. –
– Tienili d’occhio a scuola. Voglio sapere se fanno qualcosa di strano. –
– Fanno sempre qualcosa di strano, sono lupi. –
– Beh tu fammi un resoconto dettagliato dei loro ‘comportamenti da lupo’. –
Se Derek stava tramando qualcosa contro di me, i suoi beta avrebbero fatto sicuramente un passo falso, prima o poi. Dopo tutto erano adolescenti, tutti gli adolescenti facevano passi falsi.
Verso mezzanotte la pizza era finita, e Jamie dormiva già profondamente. Mi avviai a grandi passi verso la libreria in salotto e estrassi un libro a caso, la lettura mi aiutava sempre a prendere sonno, guardai la copertina : ORGOGLIO E PREGIUDIZIO. L’ultima volta in cui avevo letto quel libro il mio corpo vantava parecchi brufoli.
Entrai nella mia stanza e mi stesi sul letto, aprì la prima pagina ma la mia lettura si interrupe dopo pochi secondi.
Un odore piuttosto conosciuto si insinuò nella stanza. Chiusi di scatto il libro e mi voltai verso la finestra.
– Potrei denunciarti per stolking dopo questa, Hale. – Derek se ne stava seduto sulla finestra davanti a me.
– Avevo detto di incontrarci domani, beh è domani. E poi non avevano fissato né data né ora.Buon istinto, comunque. – replicò in sua difesa indicando la sveglia che segnava le 00.12 .
– Dammi un buon motivo per non cacciarti da qui a calci, in questo preciso istante. –
– Non puoi, non sei abbastanza forte, e comunque quello che ho da dirti non può aspettare oltre. –
Volevo ribattere nei miei toni acidi ma qualcosa me lo impedii, una voce si stava insinuando nella mia mente, cantilenava in modo agghiacciante HANA MARIE PARKER SEI MIA. Portai le mani alle orecchie sperando di non sentire oltre quel suono, poi mi resi conto che quella voce era nella mia testa, non c’era modo di farla smettere. Rivolsi il mio sguardo a Derek, era lui? Come riusciva a insinuarsi nella mia mente in quel modo? Cosa voleva da me? Il suo sguardo era preoccupato, stava dicendo qualcosa, ne ero sicura, ma non sentivo nulla
Il mio respirò diventava sempre più affannato, la mia vista sempre più offuscata, fino a che il buio non mi avvolse completamente.

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