You think I’m pretty without any make up on.

di MrsCrowley
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** You think I’m pretty without any make up on. ***
Capitolo 2: *** E ripensi all'Oriente, ai fiori d'arancia e alle candele ***
Capitolo 3: *** You can stay with me for ever, or you can stay with me for now. ***



Capitolo 1
*** You think I’m pretty without any make up on. ***


You think I’m pretty without any make up on.

''A te che sei la miglior cosa che mi sia successa,
che cambi tutti i giorni e resti sempre la stessa''.


 
Aredhel. Solo i tuoi genitori avrebbero potuto darti un nome del genere, così in fissa con la cultura elfica e con tutto quello che aveva a che fare con la magia.
Ti eri sempre vergognata del tuo nome, di questa stramberia dei tuoi genitori, di essere quella diversa per tutti.
Non bastavano le lentiggini che ti imporporavano le guance, non bastavano gli occhi che cambiavano colore in base all’umore e quelle orecchie leggermente appuntite che uno scherzo della natura ti aveva donato. No. I tuoi adorabili genitori avevano avuto la fantastica idea di infierire.
A volte avresti soltanto voluto menarli, urlare loro contro e vedere come l’avrebbero presa, dare sfogo di tutti i tuoi più adorati francesismi.
Avevi odiato il tuo essere diversa, fino a quando non era avevi iniziato ad usare questa diversità come scudo tra te e il resto del mondo.
Poi però era una successa una cosa che ti aveva cambiata, sebbene nessuno se ne sarebbe accorto. Eri cambiata dentro, ma fuori no.
Era successo però, e solo questo ti mandava in crisi con te stessa. Succede a tutti, prima o poi, e quanto meno lo ammetti tanto più ci finirai dentro prima o poi.
Era un giorno come un altro, uno di quei noiosi giorni di scuola dove alzi lo sguardo verso la finestra e il sole ride di te, del tuo stare seduta in quell’aula salamastra dall’aria satura, con quei compagni idioti che continuano a guardare la prof pendendo dalle sue labbra.
La stessa prof esaurita e dai capelli platinati a cui tu lanceresti volentieri il dizionario di greco, la stupida materia che insegna con devozione quasi ardente, neanche il Papa quando legge la Bibbia davanti a tutta piazza San Pietro.
Quello almeno lo fa per scena, per far avvicinare i fedeli bigotti che si lasciano abbindolare, questa è partita di brutto invece. E’bionda, non è colpa sua, ti ritrovi a pensare cercando di mantenere quel poco di calma che hai.
Il tuo errore era stato quello di guardare l’orologio mentre lei spiegava perché era importante studiare la sua materia del piffero.
Avevi guardato l’orologio notando che tra mezz’ora sarebbe suonata la ricreazione, e saresti uscita a respirare aria fresca per placare i tuoi bollenti spiriti.
Maligna, la bionda aveva notato il tuo gesto, e scuotendo la testa aveva interrotto la sua lezione, gli occhietti piccoli ridotti a due fessure che ti osservavano. T
Tu avevi retto il suo sguardo senza fare una piega, e con quel sorrisetto lezioso lei aveva gracchiato all’intera classe:
-“Ma forse Aredhel preferirebbe studiare la lingua delle fate, invece del greco?” aveva chiesto. Fate? Se aveva voluto scherzare sul Tuo nome, allora doveva sapere che era di origine elfica, e le fate non avevano nessun ruolo in questo.
Ma era bionda, tinta per lo più, e non ne valeva neanche la pena parlare con lei.
Mantenere la calma era un’impresa così impossibile che tutto quello che avevi fatto era stato uscire per prendere un caffè, dicendo di dover andare in bagno.

La tua classe però si era spostata al piano superiore, e adesso mancava anche la macchinetta del caffè su questo piano di idioti.
Cazzo facevano ‘sti stronzi segaioli del corso “in” a vivere senza caffè?
Scoraggiata eri andata in bagno, trattenendo ancora una volta tutte quelle dolci bestemmie che cercavano di salire dalle tua labbra acide come un limone. Le avevi morse fino a farti male, evitando di utilizzare tutti quei termini che accuratamente nel corso degli anni avevi imparato così bene.
Apri la porta del bagno sovrappensiero, per fortuna che è totalmente vuoto. I frocetti sono attenti alla lezione di qualche disperato professore.
Ti guardi nello specchio, al tuo piano non c’era, al tuo piano la gente usciva dalla classe per iniettarsi nel corpo sana caffeina, non per guardarsi.
Il tuo volto pallido è di plastica, la matita nera è quasi tutta scolata, hai caldo fasciata in quella maglietta dei Black Sabbath molto più grande di te.
Ti guardi con una smorfia e la porta si apre. Alzi appena la testa, per vedere chi è entrato.
Qualche ochetta del cazzo venuta a rifarsi il trucco, pensi stanca di quella scuola dove si fa il sabato fascista e poi sono tutti comunisti, di quella scuola dove si parla per luogo comune senza conoscere, senza sapere.

Resti stupita invece nel notare che è entrata una persona che non conosci, tu che cataloghi tutti per liste e che trovi orribili difetti anche per le persone più belle.
A lei non riesci a trovare un difetto, ti concentri solo sui suoi occhi, gli occhi di Caronte, gli occhi di qualcuno che sembra disperato come te.
Caron dimonio, con gli occhi di bragia.
Non la conosci, ma segui il suo sguardo di brace che ti perfora la schiena e si sofferma con tono soddisfatto sulla tua maglietta.
Ne guardi la collana appesa al collo, e sorridi. I Doni della Morte, la tua infanzia appesa al collo, mica male come inizio. Fortuna che non sei una sentimentale, che non credi nell’amicizia e nel sentimento. Fortuna che la cosa più carina che hai detto a qualcuno non è stato “ti amo” ma “okay scopiamo”.
Non vi parlate, ma tu ti giri, guardandola interrogativa.
Non ti da fastidio la sua presenza, e voltando le spalle allo specchio hai lasciato appeso ad esso tutte le tue paure, le tue fobie, le tue maschere e il tuo bisogno ossessivo di distruggere qualsiasi cosa di buono esista in te.
Senti che con il passare degli anni ripenserai a quello sguardo animato e sorriderai, e il perché è così semplice che nemmeno te ne accorgi.
Ohana significa famiglia e famiglia vuol dire che nessuno viene abbandonato o dimenticato.
Questo te lo scriverà lei una sera, mesi dopo il vostro incontro, quando tu proverai a dirle quanto ti fa stare bene. All'epoca non potevi saperlo però.

All'epoca tutto quello che potevi sapere era che per una volta non stavi mettendo in fila tutti i santi del calendario con gli angeli in colonna, per una volta te ti sentivi per davvero a casa.
Ti ricordavi di quella canzone dei Cure, quella che faceva “quando sto da solo con te mi fai sentire come fossi di nuovo a casa”.
Ci pensi e quasi le tue labbra si illuminano di un sorriso, un sorriso appena accennato e quasi sinistro, il sorriso che solo la bambina di Charlie Manson potrebbe avere. E lei è ancora lì che ti guarda fissa, imperscrutabile.
Caron dimonio, con gli occhi di bragia.
Lei è sempre lì accanto a te che ti guarda come se fossi davvero una cosa preziosa e importante. 
I suoi occhi sono l'unica costante della tua vita, la sua mano l'unica a cui permetti di stringere la tua, le sue orecchie le uniche a cui hai sussurrato un ''ti voglio bene''.
Caron dimonio, con gli occhi di bragia.

 

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Capitolo 2
*** E ripensi all'Oriente, ai fiori d'arancia e alle candele ***


Quello però era solo un primo incontro, e di sicuro tu non avevi intenzione di ripetere così presto l’esperienza mistica appena provata.
Eri uscita dal bagno, avevi interrotto quel contatto tra i vostri occhi che si cercavano, tra le vostre menti che sembravano quasi sfiorarsi.
Eri uscita, eri scappata via ma non avevi potuto fare a meno di passarle accanto, in quello spazio così stretto, di sentire il profumo della sua pelle, di guardarla di profilo, di lasciare che l’odore d’oriente del suo corpo ti arrivasse alla gola.
La tua attrazione per il misticismo era saltata fuori quasi all’improvviso, e ritornando in classe non riuscivi a fare a meno di pensare ai fiori d’arancio, le candele accese, il rilassamento dei sensi.
Eri tornata in classe quasi sorridente, nonostante dentro ci fosse la professoressa che meno sopportavi al mondo.
Ti eri lasciata scivolare accanto alla tua compagna di banco con quell’espressione indecifrabile, un sorriso misto ad un pizzico di segreto, imperscrutabile, la stessa espressione della Gioconda di Leonardo.
La tua compagna ti aveva guardata accigliata, quasi come se stentasse a riconoscerti, e al tempo stesso aveva sulle labbra il sorriso di chi aveva capito tutto.
Lei per te non era solo una compagna di banco, era una compagna di vita per lo più, quella a cui avresti affidato tutto, anche te stessa se necessario.
A modo tuo le volevi bene, ma eri come sempre troppo problematica per dimostralo: fortuna che ti capiva, ti capiva dal colore dei tuoi occhi e da quei sorrisi strani che facevi, ti capiva senza che aprissi bocca.
-“Marco?” sussurrò, fregandosene anche lei del greco e guardandoti interrogativa, come un poliziotto intenzionato a farti subire un interrogatorio pesante e stressante.
-“Si fottesse” rispondesti meccanicamente, ignorando il pensiero di quel ragazzo.
Come aveva anche solo potuto pensare che il tuo umore potesse essere legato a lui, stupido essere invertebrato che a stento è in grado di dire due parole di senso compiuto?
-“Un poco ti piace” ti aveva accusata con ferrea sicurezza, ignorando il modo teatrale in cui roteavi gli occhi.
-“E poi è dolce, adiamo… ti ha portata in braccio in classe stamattina, lo abbiamo visto tutti!”
Tutto quello che fosti in grado di fare fu alzare le spalle, con indifferenza assoluta.
Sì, ti eri lasciata prendere in braccio come una principessa, e allora?
Questo non significava che provavi qualche sorta di avverso sentimento nei confronti di quel ragazzo.
-“Rompicoglioni” avevi boccheggiato, sorridendo però.
-“Ho colto nel segno?” la sua risposta, piccata.
-“Ascoltami bene: io non provo niente per quel ragazzo. Tutt’al più che sai che è fratello di suo fratello…” ti esasperavano tutte quelle domande a cui non sapevi dare una risposta precisa.
Marco non ti piaceva, non davvero, era solo un ripiego momentaneo.
Ti faceva stare bene, ti faceva sorridere e si vedeva lontano un miglio che lui stravedeva per te.
Appagava il tuo desiderio infantile di essere il centro del mondo, ti guardava con quegli occhi grandi come se fossi la sola cosa davvero preziosa, bella e importante.
E tu sapevi di esserlo a modo tuo, lo hai sempre saputo, ma adoravi sentirtelo ripetere.
Era un toccasana per il tuo ego, per la tua sete di vendetta, per tutti i progetti di stronzaggine che la tua mente riusciva a rielaborare.
Sì, perché lui era il fratello del ragazzo che ti aveva spezzato il cuore, ammesso che tu ne avessi uno.
Era il fratello del ragazzo che ti aveva insegnato che la nobile arte del cinismo va usata su tutti, non solo su chi ti ferisce.
Doveva pagare una colpa non sua, Marco, ma a te non interessava molto di fargli del male, nulla era più importante nel caos totale del tuo cervello.
-“Oh, che ragionamento intelligente… Non avrei mai detto che era il fratello di suo fratello, grazie per avermi illuminata” la risposta secca ti giunge nell’orecchio, avevi perso il filo del discorso, guardavi la lavagna con aria assente, persa nei tuoi diecimila pensieri.
-“Che vuoi che ti dica?” Non avevi niente da dire a riguardo, non avevi un pensiero critico su questa cosa, lasciavi che la realtà dei fatti ti soggiogasse poco alla volta.
Non avevi neanche voglia di uscirne fuori, ti eri abituata all’abitudine, oramai.
-“E per domani traducete due versione, fate l’esercizio di sintassi, portate il vocabolario di latino e commentate le Catilinarie in greco” concluse la professoressa, mentre il trillo della campanella faceva tirare un sospiro di sollievo a tutti e tu ti alzavi come una molla, pronta per scendere in cortile.
Il tuo solo quarto d’ora di vita in tutte quelle ore scolastiche.
I tuoi amici ti spintonano, ti prendono in giro, si prendono in giro tra di loro e chiacchierano, ma tu sei assente.
Hai la mente altrove e loro se ne accorgono, ma non fanno domande.
Come ad ogni ricreazione, Marco ti rapisce, ti abbraccia, ti porta dove stanno i tuoi amici.
Stai quasi per ribellarti, vuoi andare via, vuoi tornare dai tuoi amici, ma poi noti qualcosa che ti fa cambiare idea.
O meglio qualcuno.
La ragazza di prima è tra i suoi amici, una nota stonata in tutta quella Babilionia di gente che ti è altamente sul cazzo.
Se frequenta tizi del genere, è evidente che ti eri sbagliata su di lei.
Eppure la sua pelle profuma ancora d’Oriente, e i tuoi occhi cercano ancora i suoi, per una frazione di secondo.
Marco è contento che tu non sia scappata via, è contento che almeno per quel giorno non dai cenni d’insofferenza.
-“Giornata fortunata?” ti chiede,  o forse se lo chiede ad alta voce.
Alzi le spalle, alzi sempre le spalle, non ti sprechi ad aprire bocca.
La gente non è abbastanza meritevole da farti fare questo sforzo.
Marco ti trascina via, lontano dai suoi amici che iniziano a fare i cretini, lontano anche da quella ragazza di cui non sai il nome.
Senti il suo sguardo perforarti la schiena, mentre la mano del ragazzo cerca la tua.
Sapientemente gliela neghi quasi per caso, fingendo di non aver capito le sue intenzioni, pensando che è davvero ritardato se spera di poter attaccare bottone così facilmente.
Ti parla, ti parla della sua musica e tu fai finta di ascoltarlo, annuisci sempre, pensando che il suo ego è forse un poco troppo montano ma aggiungendo qualche complimento sparso qua e là, per non destare il sospetto.
Ti chiede se un giorno vuoi andare a casa sua a sentirlo suonare dal vivo e tu cogli la palla al balzo.
-“Solo suonare?” chiedi melliflua, lasciando che il suo sguardo interrogativo percorra la tua figura, alla ricerca di un segnale di tradimento, come se si aspettasse di sentirsi dire che stai scherzando, ovviamente.
Ma tu non stai scherzando, del resto è per quello che ti sei sorbita le sue interminabili chiacchiere sulla sua bravura, la sua chitarra, la sua passione.
-“Che vuoi dire?” chiede, quasi sconvolto.
Ritardato come sempre.
Tu sospiri, e la campanella suona sul momento cruciale, ne sei quasi felice.
Non puoi di certo spiegargli la storia dell’ape e del fiore, è un compito che non spetta di certo a te.
Alzi gli occhi al cielo e sorridi, poi gli fai cenno di salire le scale, insieme.
“Che onore” ti fa notare lui, di solito lo abbandoni sempre sulle scale, e invece stavolta no.
Oggi è davvero il suo giorno propizio, può urlarlo forte.
Un’altra ora soltanto e poi finalmente esci fuori da quelle pareti grigie, una noiosa ora di inglese e poi sei libera anche tu.
Te lo ripeti come un mantra, tra un’ora andrai in villa con una tua amica, tra un’ora sarai fuori da quel mondo assurdo.
E poi, ora che ci pensi è sabato, quindi…
Non potresti davvero chiedere di meglio.
L’ora passa veloce, tu disegni ghirigori sul banco, e raccogli le tue cose appena il professore finisce di spiegare, sei la prima ad uscire dalla classe e lasci che gli altri ti ricorrano, hai fretta.
Hai sempre fretta, hai fretta di vivere, di crescere, di fare del male a chi ne ha fatto a te, di vendicarti, di andare via, di sentirti libera.
Hai anche fretta di respirare a volte.
La villa è quasi deserta, e tu ti siedi e parli, parli a questa tua amica, parli di fantasmi e di horror, parli di Bloody Mary, parli di esorcismi, degli argomenti che conosci meglio e che più ti interessano.
Forse le uniche cose che catturino per davvero la tua attenzione.
Ti interrompi quando la ragazza che hai incontrato in bagno si posiziona davanti a voi, e saluta la tua amica.
Poi si presenta, sorridente, si butta quasi sopra di te.
Ti dice che ama la tua maglietta, e anche quella che avevi l’altro giorno.
Ti dice che le sei sempre piaciuta, ti guardava ogni tanto in cortile e a pelle le eri simpatica.
Vorresti correggerla e dirle che non si tratta di simpatia, ma di empatia, vorresti consigliarle di leggere Freud ma non lo fai, la lasci parlare, la lasci fare.
Ti fa ridere un poco questo suo atteggiamento, ma non sarcasticamente come tuo solito.
La trovi quasi dolce, in maniera un poco inquietante, come te quando cerchi di esserlo, fa paura.
-“Bella collana” la freni, strizzandole l’occhio.
-“Anche la tua” risponde complice guardando il tuo pentacolo.
Poi si gira, e i vostri occhi si posano sulle stesse due persone.
È un istante, e tu vorresti essere dotata del dono dell’invisibilità, ma sai che non è possibile.
Due ragazzi sono a pochi metri da voi, due ragazzi che conosci bene ma che non vorresti mai vedere insieme.
-“Ciao Marco!” saluta lei, e tu vorresti prenderla a sprangate.
Che cazzo ha al posto della testa?
Alzi gli occhi verso di loro, furente.
Entrambi ti fissano, entrambi vorrebbero avvicinarsi.
Marco non lo vedi da mezz’ora, quell’altro essere anche noto come suo fratello invece non lo vedi da due mesi.
E sarebbe stato meglio non vederlo.
Perché lui ti guarda, stupito di vederti, come se fosse impreparato, come se non avesse messo il suo abito migliore e se ne stesse pentendo amaramente.
Ti guarda interrogativo quando tu guardi suo fratello, come se si chiedesse se vi conoscete o meno.
Avanzano entrambi verso di te e tu li vedi come fossero la Morte che avanza con un’ascia.
Sei sbiancata, sei diventata dello stesso colore del fondotinta usato da Manson.
Alzi la mano a metà tra un cenno di saluto e un ordine di fermarsi dove sono, e loro capiscono.
Capiscono che si trovano di fronte a un triangolo, o forse sono troppo idioti per capirlo.
Il sospetto che tu stia giocando sporco lo hanno, lo leggi nei loro occhi.
Sorridi, e concentri la tua attenzione sulla ragazza sconosciuta che ti ha messo nei casini.
La odi, mentre due secondi fa l’adoravi.
Amo et odi.
Odi et amo.
Eppure quando vi salutate hai la sensazione che ti manchi qualcosa.
Per questo nel pomeriggio chiedi il suo numero, vuoi inviarle un messaggio, ma fissi lo schermo indecisa.
Cosa potresti scriverle infondo?
Ciao, sono la ragazza della villa, Aredhel. È stupido se ti dico che anche io sento quell’empatia di cui parlavi stamattina?’
Glielo scrivi, sfacciata, e ripensi all’Oriente, i fiori d’arancia e le candele.

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Capitolo 3
*** You can stay with me for ever, or you can stay with me for now. ***


Sempre a te, solo a te, solo per te.
 
Sei seduta su di un prato, l’erba fresca bagna appena i tuoi pantaloni, ma per fortuna sono neri, come ogni cosa dentro di te.
Il nero si allarga a dismisura, a macchia d’olio, il nero è diventato una delle poche cose ad essere costanti nella tua vita.
Eppure qualcosa da salvare ancora la trovi, in tutto questo oblio ancora c’è qualcosa per cui ti alzi la mattina alle sei, metti i piedi nelle ciabatte e vai avanti senza troppe bestemmie.
Fai colazione con il tuo caffè immancabile, e ti sbrighi per prendere il pullman sempre in ritardo, quello stesso pullman così pieno che neanche gli ebrei ai campi di concentramento viaggiavano in quelle condizioni.
Quello stesso pullman dove un autista un poco esaurito guida spericolatamente, guida veloce come se dentro all’autobus non ci fosse nessuno, che rischia di fare due incidenti al giorno in media e se la ride al telefono con i compari, come se fossimo bestie.
A volte vorresti ricordare ai gentili signori di FSE,che Forse Siamo Esseri umani, noi ragazzi che viaggiamo ogni mattina e ogni mattina incrociamo le dita per arrivare sani e salvi a scuola.
Davvero, non lo sai neanche tu dove trovi la forza per andare avanti in tutto quel nero che hai intorno, in tutto l’acido che ti corrode dentro.
Eppure da qualche parte la trovi, quella forza.
Forse sono gli occhi di quella persona che poggia insieme a te la schiena contro quel grande albero, quell’albero che nella sua vita chissà quante cose ha visto, quell’albero che è scampato ai ragazzini che incidono le loro iniziali sulle cortecce, a quegli amori così finiti e diffusi.
È scampato a quel tipo di amore, o forse si è negato ad esso, ma non si sta negando a quell’amore reale che lega le vostre menti.
Con la schiena poggiata contro la corteccia dell’albero, riesci quasi a sentire la sua schiena, il suo essere, lo senti scorrere attraverso la linfa di quest’albero sul quale tutte e due vi poggiate.
State cercando un appiglio, qualcosa che vi aiuti, state cercando qualcosa più grande di voi.
Il cielo è grigio all’orizzonte e il vento soffia forte, eppure tu non riesci a sentire il freddo.
È per istinto che ti avvicini a lei, è per istinti che lei allunga la tua mano per cercare la tua.
È per istinti che le poggi la testa su una spalla e chiudi gli occhi, ti lasci cullare da quel momento, e vorresti che durasse per sempre, che nulla lo spezzasse.
Restare in silenzio, lasciare che siano le vostre anime a parlare, lasciare che le menti si accarezzino piano, poco alla volta, fino ad aggrovigliarsi l’una nell’altra.
Fino a non riuscire più a distinguere dove inizi una e dove finisca l’altra.
Hai sempre pensato che riuscire ad essere una cosa sola con un’altra persona fosse pressoché impossibile.
In questo giorno autunnale però ti devi ricredere, non puoi farne a meno.
Non puoi farne a meno perché tu sei convinta di essere una cosa sola, con lei.
E a dimostrarlo è il fatto che quando pensi a un futuro senza di lei sorridi, perché sai che non è possibile.
Resterebbe dentro di te, qualsiasi cosa la vita possa decidere di far succedere tra di voi.
Ti conosci, sai di essere una persona difficile e lunatica, sai di sbagliare ripetutamente e sai anche che lei accetterà e perdonerà i tuoi sbagli, ma ogni tanto ti prende il dubbio che possa andare via.
Ogni tanto torni alla realtà e ti rendi conto che una cosa del genere è troppo bella perché possa andare avanti, ed è troppo oltre ogni canone perché tu sappia gestirla e definirne i limiti.
Lei non ha bisogno di chiederti a cosa stai pensando in questo momento, lo capisce dal ritmo del tuo battito cardiaco e dai tuoi respiri irregolari, lo capisce dalla morbidezza con cui hai lasciato che la tua testa si abbandonasse su di lei.
E tu sai che lei lo ha capito, lo sai dal modo in cui accarezza i tuoi riccioli, dalla tenerezza con cui cerca lenta la tua mano, e dalla rassegnazione con cui ti lascia giocare con le sue nocche.
Sai anche che ha la tua stessa identica paura, lo sai senza bisogno che lei te lo dica, sai che anche lei ha paura di svegliarsi un domani e scoprire che tutto è finito, e scoprire che il nero è tornato e che stavolta nessuno può darle una mano a combatterlo.
Il nero ti piace, ti da forza e sicurezza, ti culla e ti protegge, ma il nero non ti può bastare adesso che sai cosa significa avere qualcosa di più prezioso, qualcosa in grado di darti ancora più forte.
Niente e nessuno potrà più bastarti adesso che sai cosa significa avere una persona come lei accanto.
Non una semplice persona, neppure qualcuno che le somigli, ma lei in carne ed ossa.
È tutto quello che vuoi, l’unica per cui hai imparato a metterti in gioco.
Hai coniato il vero ‘amare’, lo hai fatto in funzione di lei, per merito o colpa sua, ancora non hai deciso.
Non hai ancora deciso se sia una cosa bella o meno, non hai ancora capito se questa debolezza che dimostri nei suoi confronti ti piaccia o se invece vorresti redimerla.
Se anche volessi però, non puoi tornare indietro e lo sai bene.
Non ci riusciresti, non sapresti stare neanche un secondo senza pensare ai suoi occhi e alla luce propria di cui brillano.
-“Sembri quasi dolce” ti sfotte lei, dal suo tono riesci a percepire un sorriso, ma ancora non vuoi aprire gli occhi, persa in quel languore.
-“Ti piacerebbe!” la canzoni, ma hai fatto la scelta sbagliata.
Lei ti scosta con delicatezza i capelli dal viso, e tu la lasci fare, non intuendo le sue intenzioni.
Nella tua ingenuità, ti era sembrata quasi una carezza, e invece le sue labbra soffiano sul tuo collo, e prima ancora che tu possa sorriderne i suoi denti affondano nella tua pelle.
Non è un morso giocoso, come i soliti che vi scambiate, è un morso di rabbia, amore e appartenenza.
È bisogno di possesso e sicurezza, quello stesso impulso che provi tu ogni volta, di morderla fino a farle male non per sadismo, ma per bisogno di sentire che è davvero tua, che non si tira indietro neanche di fronte al dolore.
È un bisogno di sentire in bocca il suo sapore, di sentire il suo profumo sulla lingua, di percepire nello stomaco la sua essenza.
Ne sei più che sicura, che anche lei ti morde per questo.
-“Dicono che il morso sia la massima espressione dell’erotismo, sai?” le chiedi massaggiandoti il collo, sotto le dita riesci a sentire i due buchi che hanno lasciato i suoi denti.
È una piccola assassine, e tu la guardi trucemente, aprendo gli occhi soltanto perché vuoi incontrare i suoi.
-“Io dico che il morso sia la massima espressione dell’amore” ribatte, non è passato neanche un anno da quando vi conoscete.
Neanche un anno, eppure fin dal primo giorno lo avete capito entrambe che eravate destinate a trovarvi, che eravate destinate a diventare quello che siete.
Con lei, sai di essere.
Essere, non esistere, non semplicemente esistere.
Una delle cose più belle che ti abbia regalato è questa consapevolezza, è forse il dono più bello che una persona ti possa fare, insegnarti ad essere per davvero.
-“Quindi vuoi dire che un poco mi ami?” le chiedi, cadendo nel romanticismo più assoluto, ci manca soltanto che adesso vi guardiate negli occhi profondamente, come nei film stucchevoli che hai sempre evitato di guardare, con grande accuratezza.
-“Certo che no, che te lo fa pensare?” il suo tono è duro, asciutto, canzonatorio.
È una brava attrice, ma non ci caschi, e se lo fai non lo dai a vedere.
Ti getta smpre nello sconforto ogni volta che dice di non amarti, o quando dice di volere più bene a qualcun altro, ti fa sentire abbandonata all’improvviso.
La tua non è gelosia, non è qualcosa di razionale, è un sentimento che va ben oltre: è anche più del bisogno di possesso, della voglia inspiegabile di morderla per farla gridare che sì, ti ama e ama solo te.
-“Meglio, perché nemmeno io ti amo” le rispondi, stai al gioco e speri dentro di te che sia solo un gioco.
Magari un giorno scoprirai che lei non ha mai scherzato, e se tu fossi credente pregheresti perché quel giorno non arrivi mai.
Invece sei solo una piccola masochista, e se la verità è quella tu vuoi che quel giorno sia oggi, e non preghi nessuno perché questo avvenga, lo vuoi e basta, lo vuoi e ti basta volerlo.
-“Non ti crede nessuno” dice sorridendo, lei non sembra farsi problemi quando le dici queste cose, a volte è come se non le importasse molto e forse è così.
Forse a lei non importa quello che provi tu, forse a lei basta quello che prova lei.
O magari è solo un’attrice migliore di te, o ancora una persona più sana di mente di te.
-“Nessuno può dire niente, nessuno sa davvero quello che provo per te” glielo dici e sei sincera, glielo dici e non riesci neanche a guardarle negli occhi, le fissi i lobi delle orecchie e pensi ai cento uno modi per vendicarti del suo morso.
Hai deciso che il lobo sinistro è il prescelto, non t’interessa se ha l’orecchino e se potenzialmente rischi di pungerti, non t’interessa se è così piccolo e magro che c’è poca carne da stringere sotto i denti.
Sai che dietro i lobi profuma ancora di più, c’è il suo vero profumo, quello della sua essenza, quello che sa di misticismo e di Oriente, di fiori e di candele, di tende arancioni abbassate che riparano da un sole infuocato.
Se dovessi descriverla con un colore, forse sarebbe l’arancione, un arancione mistico e Orientale, quello delle tuniche dei monaci buddhisti, quello del profumo di fiori che sprigiona la sua pelle, quello della cera di candele che esistono solo nella tua mente e bruciano solo per lei.
-“E cosa provi per me?”
Curiosa. Egocentrica. Con tanto bisogno di affetto e di sentirsi ripetere più volte al secondo che è la tua vita.
Forse la vizi un poco troppo, ma davanti a quei suoi occhi grandi non riesci a dire di no.
Ti potrebbe chiedere qualsiasi cosa, ma se ti guarda in quel modo la risposta è affermativa è assicurata.
-“Tante cose, ma è troppo complicato da spiegare” sei evasiva, e non perché tu non voglia dirglielo.
Non sai neanche tu cos’è che provi, non conosci bene questo sentimento che ti scorre dentro, sai che è la cosa più bella e assurda che potresti provare, e che è la cosa più vera che possa esistere.
-“Che stupida sei!” sbotta incrociando le braccia al petto e guardandoti male.
Ti guarda male, e a te viene in mente quel passo dei Baustelle che tanto ti piace, quello che ti evoca un’immagine quasi trascendente in testa.
“Arrivi e dici dolcemente ‘che vecchio stupido che sei’, ed accarezzi con la mente le rughe che ti regalai”.
È quasi come se ti stesse accarezzando con la mente, lo riesci a sentire, percepisci la vibrazione.
-“Non saprei da dove partire” provi a giustificarti, con un mezzo sorriso.
-“Perché per te partire dal principio è così impossibile?” chiede scuotendo la testa, i suoi capelli corti ti accarezzano le spalle per qualche secondo, e tu sorridi istintivamente, ti piace starle così vicina.
È una prerogativa che ha solo lei, un diritto che hai concesso solo a lei, quello di poterti stare così vicina, a suo piacimento e senza chiedere nessun permesso.
-“Perché ci tieni così tanto a saperlo?” chiedi di rimando, ma non trovi nessuna risposta.
Ti guarda e sorride, sa già di aver vinto, sa che ti sei arresa, sa che le dirai tutto, tutto quello che vuole sentirsi dire e quello che neanche tu sai ancora con precisione di provare.
-“Io so che tu sei per me l’unica cosa per cui valga davvero la pena andare avanti. Non so bene come spiegarti questo concetto, ma so che se dovessi perdere te, non saprei più trovare un senso a quello che mi circondano.
 So che se per qualche assurda ragione ci perderemo, nessun altro potrebbe prendere il tuo posto, mai” non sai bene da dove iniziare, vorresti che sapesse già tutto senza dire mezza parola, vorresti che fosse a conoscenza di ogni cosa, e invece non lo è, finge di non esserlo, e tu la vuoi compiacere, come al solito.
-“Perché? Ci sono così tante persone al mondo, perché io?” chiede, e io lo so che quella è la domanda che si pone ogni santo giorno, che è quella che a volte anche tu ti poni.
Perché tra tutte le persone al mondo proprio lei? Cosa hai visto in questa ragazza che nessun altro ha saputo darti? Che cos’ha lei più di tutti gli altri?
-“Perché forse eravamo destinate ad incontrarci, perché certe cose non le puoi decidere. Forse ci eravamo già conosciute in una vita parallela, e ci stavamo cercando, volevamo ritrovarci. Forse in ogni vita ci cerchiamo fin quando non ci ritroviamo, per sentirci complete”  
Lo pensi davvero, questa è la sola e unica risposta che ti sai dire, la sola cosa sensata che la tua mente ingarbugliata riesce a partorire.
-“Ti ho dovuta cercare, ma finalmente ti ho trovato, il mio pezzo mancante del puzzle. Ora sono completa” le dici, il suo silenzio è familiare, sa di quiete dopo la tempesta, è un silenzio che aspetta di essere cullato e colmato dalle parole, dalle tue parole, da te.
È il silenzio di chi ascolta aggrappandosi ad ogni sillaba, di chi ad ogni suono che esce dalle tue labbra risale in superficie, è il solo silenzio di cui ho bisogno per poter dire cose di questo tipo.
Non sono le solite idiozie tra innamorati, non sono le solite cose che si dicono per convenzione, per abitudine, le frasi fatte e rifatte e ascoltate mille volte, quelle delle canzoni una uguale all’altra.
Sono le frasi che ti vengono spontanee dal cuore ogni volta che la guardi, quelle frasi che ti fa paura dire, ti fa paura sapere che anche una sociopatica come te è arrivata a provare qualcosa di così forte.
-“Io ho paura, di tutto questo. Ho paura di te, di noi. Accettare una presenza significa anche renderci conto che un domani potrebbe trasformarsi in un’assenza, bisogna essere preparati. Io ho paura di legarmi per questo, Ana. Oggi siamo amici, e domani? Domani cosa saremo?”
Forse la sente la disperazione, il bisogno di sapere, la voglia di certezza, il tono di necessità con cui dici queste parole, forse lo sente quanto vengono dal cuore.
Ti accarezza piano la mano, allungandola di nuovo verso la tua, stringendola con tenerezza e girandosela tra le sue, questi piccoli riflessi spontanei che ha, che ti fanno sempre stringere il cuore.
-“Amore fra cinque anni dove andrò? E tu chi sarai e chi saremo noi?” canticchia lei, piano, con un leggero sorriso dipinto sulle labbra.
Il suo sguardo e il movimento leggero della sua testa ti incitano a continuare, ad andare avanti, a parlare fin quando non ce la faccio più, fin quando per te diventerà troppo anche solo pensare di andare avanti.
-“Io tipo la mia vita senza te non me la saprei immaginare” ti dice piano, te lo dice come se mi volesse rassicurare, come se volesse farti capire che anche lei è sulla tua stessa barca.
Ci state troppo dentro, fino al collo.
-“Io sto male anche se mi rispondi più distaccata. Ho sotto la pelle la paura di perderti, la paura che qualcosa ci possa allontanare.”
Glielo sussurri piano, lasci che la tua voce accarezzi appena queste parole, e poi ti tuffo tra le sue braccia, l’unico porto sicuro che hai in questo mare burrascoso che è la tua vita.
-“Non sapevo che nascondessi anche tu un lato così dolce” ti canzona, e tu sorridi.
-“Non sono tanto dolce. A volte provo a dire qualcosa di dolce, ma finisce che dico cose contorte e gli altri non le capiscono, solo tu riesci a cogliere la sfumatura.”
Prende un largo sospiro, largo quanto il sorriso che ti regala dopo le parole che hai appena detto.
-“Sappi che io ci sarò comunque, dovesse succedere il diluvio universale tra di noi, ci salveremo, ti salverò, ci salverò. Io non riuscirei ad andare via da te. E neanche tu riusciresti a farlo, vero?”
E te lo chiede anche, te lo chiede con quel tono solenne e d’importanza, te lo chiede come se lei davvero non lo sapesse, sembra che abbia qualche dubbio a riguardo.
Non sai neanche che cosa risponderle, ma ancora una volta è lei a parlare.
-“Io ci tengo a te. Sei la parte più bella di te, allontanarti sarebbe come uccidere l’unica parte buona di me”
E’una risposta così semplice, alle tue orecchie suona così bene che te la ripeti come un mantra, ne sei sicura che te lo ripeterai giorno e notte, ogni santa volta che avrai qualche dubbio su qualsiasi cosa, ogni santa volta che non starai bene, ogni secondo perché tu ne hai bisogno ogni secondo.
-“C’è chi ha definito il nostro amore, ma io dico che è molto di più. E’qualcosa che ancora nessuno ha scoperto e che stiamo inventando noi. Non mi ero mai sentita così prima, fondamentalmente perché non avevo mai permesso a nessuno di conoscermi, prima di te. Io non riesco nemmeno a dirtelo quanto ci tengo a te e quanto mi faccia paura tutto questo, quanto mi destabilizzi davvero anche solo una piccola discussione, anche una parola detta scherzando.”
Glielo dici tutto d’un fiato, e stavolta la guardi negli occhi mentre parli, riesci a trovare la forza di farlo, riesci a poggiare il mento sulla sua spalla puntellandoti su di essa e fissandola negli occhi, in quegli occhi così grandi e che sembrano volerti risucchiare da un istante all’altro.
Ti stringe forte, ti stringe così forte che senti le sue unghie premere contro le tue ossa, ti fa quasi male ma non ti lamenti, è un dolore piacevole, è un dolore intenso, è un dolore che proveresti anche per tutta la vita.
-“E tu credi che sia amore il nostro?” lo chiede con una vocina che quasi non riconosco, quasi non è la sua.
-“Indubbiamente” la risposta è decisa, è la sola che potevi darle del resto.
-“Mmmh” Lo sa che odio i suoi monosillabi, lo ha sempre saputo.
-“Ana, quando ti dico che sei la mia vita io lo intendo per davvero, è qualcosa che va oltre me. Non sei mia amica, non sei la mia migliore amica, te l’ho sempre detto. Sei tutto, sei anche più di semplice amore per me. L’amore è qualcosa di effimero, che dura il tempo che può.
L’amore con il tempo può passare o trasformarsi, quello che provo io per te non può neanche crescere, visto quanto è enorme. Quello che provo io per te è la cosa più vera che esista. Non è innamoramento, non è qualcosa di così semplice, magari si potesse ridurre ad un concetto così facilmente esprimibile”
Parli troppo, dici più di quanto dovresti ma lo sai che tanto lei ti capisce.
Lo sai che non può farne a meno e glielo leggi nello sguardo tutto ciò.
-“Credo sia la cosa più strana, affascinante e vera che mi abbiano mai detto.” risponde con un sorriso arcuato, leggero, che le brilla negli occhi.
-“E ti ci rispecchi?” chiedi tu, trattenendo quasi il respiro.
-“Non avrei saputo dirlo con parole migliori. E’amore di sicuro, ma è un amore strano il nostro” ammette, e abbassa la testa.
Abbassa la testa non per vergogna, ma per paura. Lo riesci a capire, riesci a capire che tutto questo la spaventa quanto spaventa te, che tutto questo è più grande di voi due messe insieme.
-“E’un amore spirituale, credo” dici a labbra strette.
-“Tu non credi nello spirito!” quasi ti accusa e tu ne ridi.
-“Non hai capito, idiota” dici scuotendo la testa, ma sai che ha capito, sta solo facendo la pagliaccia.
-“Cos’è un amore spirituale?” chiede tornando seria.
-“E’amore vero, ma di quelli che non si possono esprimere, non è l’amore che puoi comunicare con un bacio o una carezza, con una parola dolce, con una sorpresa. È qualcosa che parte dalla mente, non dal cuore, e che ti possiede tutta, che ti scoppia dentro e tu non lo puoi controllare”
Non ne sei del tutto sicura, non sai se la definizione sia giusta, ma è quella che più si avvicina alla realtà delle cose, sebbene imperfetta.
-“E questo cosa significa?”
Se si aspetta una risposta da te, allora ha davvero sbagliato strada.
-“Non ne ho idea, ma a me va bene così. A me va bene vivere le cose giorno dopo giorno, comunque vada. Non mi interessa se sei un’amica, la mia migliore amica o la mia ragazza, mi interessa che tu sia mia”
Lo capisci che è arrivato il culmine, lo capisci perché più avanti di così non sai andare.
-“Tua, sempre.”
Ha un tono solenne, annuisci piano. Suonano bene, quelle parole.
-“E non te lo chiedo neanche se vuoi essere mia sempre, non ti lascio scelta.”
Non mi ha mai lasciato scelta, fin dal primo giorno in cui i nostri occhi si sono incontrati in quello specchio, lame affilate di uno stesso coltello.
-“Lo sai che sono tua, tanto” le rispondi, con dolcezza.
-“Ti meriti un bacio, sei stata particolarmente brava oggi” ti prende in giro, dandoti un buffetto sulla guancia, piano.
Tu ti avvicini a lei, e le dai un bacio sul collo, poi pian piano sali su, riempiendola di baci.
E alla fine la mordi, sul lobo sinistro, e lei ti stringe la schiena, come se ti stesse chiedendo di più.
-“Mi aspettavo questa dolce vendetta” sussurra, attorcigliando un tuo ricciolo nel suo dito.

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