La versione di Catilina

di Matteo Il Censore
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo: Quo usque tandem ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo: Pistoia ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo: Quo usque tandem ***


Una leggera penombra avvolge la curia, gli scranni dei senatori, ancora vuoti, fanno presagire la futura decadenza di Roma, ma che importa ora, in questa pallida mattina? Oggi è solo un giorno di novembre, un giorno di Novembre del 67 a.C.
Queste pareti ancora non lo sanno - e come potrebbero? - ma per secoli e secoli saranno nell'immaginario di tante persone. Questa fioca luce, che entra da finestroni squadrati, sarà inseguita in idee di grandezza, in ideali puri (o presunti tali) o come esempio di virtù ormai persa fra le pagine di un libro antico. Oggi, però, il futuro è lontano, oggi viviamo nella Storia ed i respiri di chi l'ha vissuta condensano ancora la fredda aria autunnale. Pare di vederle, queste piccole nuvolette di vapore, che oggi accomunano il più umile degli schiavi ed il più brillante degli oratori.
Mentre osserviamo un inserviente pulire la sala prima della riunione del Senato, fuori da questi muri si sono già compiuti e si compieranno alcuni degli atti più controversi della storia romana, alcuni degli attimi più caotici della Repubblica, o forse i soli tentativi di rivoluzionare un organismo corrotto. Le frasi che saranno pronunciate finiranno, secoli dopo, a infierire su qualche studente del liceo intento a tradurre una versione.
Chi si ricorderà di questo inserviente? Nessuno probabilmente. Ma egli è un tassello della storia al pari di tutti noi ed il suo nome, come per tanti altri, sarà ricordato solo dallo sporco terriccio nel quale troverà riposo dopo una vita insignificante. Se gli andrà bene. Ed ecco che, mentre ci dilungavamo, comincia già a entrare qualcuno. I nomi di queste persone, a differenza di quello del giovane appena citato, saranno ricordati sino alla fine dei tempi. Resteranno incisi in quella stele tombale - marmorea, sì, ma pur sempre riservata ai morti - che chiamano Destino.
È strano osservare i senatori alla vigilia del comizio di oggi, vedere con quanta plasticità prendono posto, ormai abituati all'oziosità di una delle oligarchie più durature del mondo.
Qualcuno è visibilmente teso, altri conversano amabilmente. Il respiro affannoso di qualcuno rabbuiato in volto mal cela l'emozione e l'ansia.
Ascolta! Sentimo il rumore di passi lungo il corridoio e un'eco che si avvicina sempre di più. Si staglia un'ombra nera contro la luce che filtra dalla porta. Ci appare un uomo fisicamente prestante e dai linemaenti decisi, scolpiti e incisi nella carne, dalla fronte alta, spaziosa e solenne, segno di una nobiltà lontana e di una gens fra le più importanti. I suoi capelli sono neri, di un nero corvino, non sono molto curati, forse sintomo di decadenza. I suoi occhi brillano di una luce intensa, fulgono di sicurezza e di sensazioni torbide, che non possono essere trasmesse con delle parole.
Prende posto fra le panche, apparentemente imperturbabile, ma si siede affettatamente, non è lieto.
È Lucio Sergio Catilina e di lui si parlerà ancora e per molto. L'uomo che avrebbe fatto tremare la Repubblica conservatrice è seduto qui, così vicino a noi da sembrare intento a fissarci. Che possa l'antico percepire il futuro?
Si stiracchia impercettibilmente e fissa l'aula con un sorriso cupo, inquieto ma sprezzante.
Ormai l'ora è scoccata e ci sono tutti quanti, si inizia a vociferare e si fanno congetture.
Quand'ecco il rumore d'un passo svelto e concitato. Di nuovo ci appare una sagoma oscura sulla porta, ma essa non indugia. Indossa una corazza al di sotto della toga, i suoi linemaneti sono più morbidi e le sue membra non sono più nel pieno del loro vigore, tuttavia la sua figura ci incute rispetto. È Marco Tullio Cicerone. Il principe degli oratori non sembra poi la statua immobile di qualche museo, respira e non ostenta certo sicurezza - il suo consolato non è stato nulla di speciale.
La sua entrata è scenica, tutti immediatamente si girano a guardarlo, il suo volto parla da solo: è avvenuto qualcosa!
Gli altri ancora non lo sanno ma questa notte una donna, Fulvia, l'amante di uno dei congiurati lo ha informato della congiura ordita da Catilina, pagando con la vita l'avvertimento. L'arpinate è scampato per un soffio a un attacco notturno alla sua modesta casa e si è salvato solo grazie all'intervento dell'ordine equestre, guidato da Attico, l'amico di una vita. E' stato informato che fra la folla di clienti si sarebbero celati i suoi due aguzzini. E lo spavaldo difensore della legge è uscito, nascosto e (ci piace immaginare) tremante, dalla porta sul retro. Eppure adesso anche lui sembra rivolgere gli occhi verso ciò che lo seguirà, come se non fosse stato così vicino alla morte da percepirne il puzzo sulfureo.
Intorno a noi l'atmosfera è cambiata, i visi sono preoccupati e Catilina deglutisce, Cicerone non dovrebbe essere lì.
L'homo novus inizia imperterrito un'orazione che risuonerà ancora e ancora. La sua voce, malgrado la figura, è sicura, distesa, lenta. Pare che a parlare non sia il console.
- Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?*- esordisce. Il tempo si ferma, tutti ormai temevano per la loro vita: Catilina era il padrone delle strade e si mormorava di piani sovversivi. Nessuna prova, tuttavia, era stata trovata.
L'Arpinate riprende - Fino a quando abuserai ancora della nostra pazienza, Catilina? Per quanto tempo ancora questo tuo furore ci befferà? A quale limite ... -
Non può proseguire, si interrompe. Catilina lo squadra con occhi di fuoco e con malcelata rabbia. Apre e chiude ritmicamente la mano, i muscoli tesi, i denti digrignati.
Il celebre avvocato continua ma le sue parole non giungono a Catilina, che non presta più ascolto a quel discorso così ben costruito ma che non sembra trasmettere niente.
Si alza di scatto, cercando lungo il fianco una spada che non porta. Si guarda intorno, cerca l'appogio di coloro che prima erano tanto spavaldi e sicuri, ma invano. Cicerone ha già fatto arrestare - secondo alcuni con prove false ** - i suoi principali alleati, fra cui il pretore Lentulo Sura. Procede verso la porta, sa che così facendo darà un fondo di verità alle accuse a lui rivolte. Non importa se non è riuscito nei suoi intenti nell'ombra lo farà alla luce del sole e con un'arma in pugno. La via legale è fallita e per due volte Cicerone, con i sotterfugi di cui la politica abbonda con il benestare della Storia ufficiale, gli ha precluso il consolato. Scende fieramente le scale, gradino dopo gradino e guarda a settentrione, verso l'Etruria, dove l'attende la prova con il destino.
Mormora fra i denti: - La Repubblica ha due corpi: uno fragile, con una testa malferma; l'altro vigoroso, ma senza testa affatto. So quale preferisco e la testa non gli mancherà, finché vivo!


NOTE dell'autore
* Fino a quando abuserai della nostra pazienza?
** Secondo la tesi riportata anche nel romanzo Imperium di Harris. Nelle pagine dello storico inglese, le lettere con cui vengono inchiodati e condannati i congiurati sono false, commissionate da Cicerone ad un suo schiavo e consegnate a casa di Crasso. Su ognuna è scritto uno dei nomi di quelli che Cicerone presumeva essere i congiurati, secondo quanto gli aveva detto il compagno di consolato Ibrida, inizialmente facente parte egli stesso del movimento sovversivo

29/09/2013: mi scuso se non ho dedicato il tempo che si meritava a questo mio primo e acerbo scritto. Oggi l'ho sistemato, aggiungendo qualche passaggio a mio avviso significativo. Presto completerò l'opera, arrivando direttamente alla battaglia decisiva. Ma che stavolta gli eventi cambino? Per saperlo scrivi una bella recensione e attendi, amico mio.
(so di non avere le competenze storiche necessarie, ma mia intenzione è sviluppare la figura di Catilina, andando oltre alla sua fine ufficiale, verso eventi che la storia non ha conosciuto).

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo: Pistoia ***


Quando ci raccontano ciò che è stato, quando le parole di un vecchio stanco colmano - ovunque e, mi piace pensare, in ogni epoca - una stanza buia, ecco che i giorni lontani tornano alla luce e rivivono attraverso quella voce incerta, forse stentorea. Il tempo passa e nell'istante medesimo in cui m'accingo a mettere parole in fila anche il mio tempo si avvicina, seppur lentamente, alla sua cessazione. E' compito di noi che ancora possiamo godere i nostri giorni sotto al sole non sprecarli e rammentare ciò che ci ha preceduto, perchè in quello che è venuto prima di noi affondiamo le nostre radici.Nel momento in cui ci viene narrato qualcosa di molto lontano da noi, solitamente se ne trascurano i dettagli e sembra quasi di assistere alla narrazione di una favola come un'altra. In realtà così facendo, riviviamo tempi antichi, percepiamo odori celati, muoviamo passi incerti attraverso quello che fino a poco prima era oblio.



Anno 694° (62 a.C) ab urbe condita, Pistoia, mattino
Dolce cade la neve, lieve avvolge ogni cosa e addolcisce anche le forme più aspre. Una coltre bianca, pura, non può durare a lungo: presto il ghiaccio vi si insinua, presto il calpestio delle genti la lorda, il fango ed il terriccio non tardano a terminare il lavoro. Quale metafora migliore della Repubblica per la quale morì Lucrezia.
Fa freddo, troppo freddo verrebbe da dire. A nessuno il Fato concede di scegliere il clima per il proprio ultimo giorno, per le ore fatali di un'intera esistenza. Lentulo Sura, pretore urbano, strangolato in carcere assieme ad altri1 congiurati come i più vili dei criminali. Nessun processo, nessuna pietà.
Catilina aveva cercato con un esercito di disperati, per un totale di due legioni, di andare verso nord, dirigendosi verso la Gallia. Ma a Bologna aveva trovato una sorpresa inattesa ad aspettarlo: la strada sbarrata da Quinto Metello Celere. Ha dunque dovuto ripiegare e ha posto il campo a Pistoia, scegliendo di affrontare l'esercito consolare di Ibrida. Crede di essersi preparato a combattere il meno aspro fra i due avversari ma si sbaglia: per ordine di Cicerone il comando dell'esercito è stato assunto da Petreio, che disponde di tre legioni regolari e armate come si deve, oltre alla coorti scelte.
Non sappiamo come siano trascorse quelle ore ma colui che aveva fatto tremare Roma doveva aver ormai intuito il proprio destino. Eccolo, in piedi, con gli occhi implacabili contornati da occhiaie delle notti insonni, la spada pende al suo fianco e questi abiti sembrano essergli più adatti della tonaca da senatore. Sta parlando con un giovane attendente militare, batte una pacca sulla spalla a chiunque gli si avvicini, la sua voce è decisa, anche se resa roca dal freddo e interrotta da qualche colpo di tosse. La battaglia non è persa sino a quando all'ultimo uomo resta la forza di reggere il proprio gladio. Quando, tuttavia, ci si trova a portare sulle spalle la responsabilità delle proprie azioni e ci si rende conto di quante persone ora pagheranno per aver riposto la loro fiducia nella persona sbagliata, beh, è in casi come questo che il sapore metallico della sconfitta fa capolino nella nostra bocca. Qualora oggi la Sorte gli arridesse non sarebbe lo stesso una vittoria.
Manca poco allo scontro, Ibrida si è dato malato e Petreio si predispone alla battaglia. Anche l'esercito, se così lo possiamo chiamare, dei congiurati prende posizione, stanco e lento. Quando manca poco alla parte conclusiva della parabola di un'esistenza anche il gesto più insignificante diventa basilare, si cerca di guadagnare tutto il tempo possibile. Si prova ad allontanare, anche se di pochi istanti soltanto, lo scontro imminente. Ogni secondo di vita che rimane è prezioso nettare. E questa è l'ultima volta che viene assaporato.

Catilina prende posizione di fronte alle sue schiere, il vigore riprende a scorrergli nelle vene. Il cuore pulsa pesante nel petto, ne può sentire l'urto in gola. Alza il braccio muscoloso e cala il silenzio.
- Soldati! - comincia con la voce potente, che raggiunge anche le ultime file delle sue legioni.
- So benissimo che le parole del comandante non bastano a creare il coraggio e che esse non sono in grado di rendere forte e ardito un esercito che non lo sia.
Tutta l'audacia che la natura o l' educazione hanno posto nel cuore di ciascuno di noi appare evidente in combattimento  e solo nello scontro essa traspare.
Due eserciti nemici, uno da Roma, l'altro dalla Gallia, ci sbarrano il passo. Rimanere ancora in queste posizioni ci è reso impossibile dalla mancanza di grano e di tutto il resto, ovunque si voglia andare dobbiamo aprirci la via con le armi.
Per questo, dunque, vi esorto a star forti e preparati e, quando verrà il momento della battaglia, ricordatevi che ricchezza, onore, gloria, e insieme la libertà e la patria li tenete voi...
Nelle vostre mani! -
Un sussulto pervade il suo esercito, che accoglie a testa bassa ogni parola del suo condottiero. Eppure alla fine di ogni frase qualcuno risolleva il mento, a rinnovare la perenne sfida con gli dei. Alla conclusione di ogni esortazione qualcuno guarda dritto davanti a sè e sente dentro rinascere un antico furore mai pago: la consapevolezza che, per quanto piccoli e umili, il destino del mondo - o di quello che chiamiamo così - dipenda da noi. E che cos'è la morte se non il giusto prezzo per saldare questo patto? A che cosa serve una vita lunga, passiva e tranquilla quando non ci si è mai mossi per riscattare la propria condizione? E per che cosa abbiamo vissuto se non siamo disposti a morire per il nostro ideale?
Ora, non credo proprio che questi fossero i pensieri di quella massa di ladri, disperati ed assassini di cui Catilina aveva fatto il proprio esercito. Ma forse adesso, adesso che sono vicini alla fine hanno davvero l'opportunità di sovvertire l'ordine delle cose e l'immobilità sociale. Forse solo in questa giornata potranno conoscere qualcosa riservato agli eroi cantati dai poeti e non ci importa da dove provengano o di che crimini si siano macchiati. Anche all'animo più immondo si da la possibilità di redenzione.
- Se si vince tutto diventa sicuro: abbondanza di vettovaglie, accoglienza aperta da colonie e municipi. Se la paura ci farà ripiegare tutto ci diventerà contrario: nessun luogo, nessun amico proteggerà colui che non seppe farlo per primo con le armi.
I nostri nemici non si trovano a combattere nella necessità in cui lo facciamo noi. Noi lottiamo per la Patria, per la Libertà, per la Vita, per essi è completamente indifferente combattere per lo strapotere di pochi! -
Grida di sdegno e insulti si levano dalla moltitudine di lance e spade.
- E dunque piombate loro addosso tanto più audacemente memori dell'antica virtù. Molti di voi avrebbero potuto trascinare la vita in un esilio infamante, altri dopo la perdita dei loro beni avrebbero potuto attendere in Roma l'elemosina altrui, ma l'una e l'altra soluzione giudicaste disonorevole e intollerabile per un vero uomo, perciò avete scelto di seguir questa! -
Urla di assenso vengono udite anche a distanza, dalle legioni "ufficiali". Lasciare questa terra è forse meno amaro quando lo si fa con onore? Credo che il modo in cui abbandoniamo questo mondo ci accomuni tutti, ma ritengo anche che la riscossa non sia preclusa in extremis. Per molti di quelli che oggi moriranno sarà la giusta punizione per le nefandezze commesse. Per altri credo si fosse trattato di molto di più.
- Ma occorre audacia per uscirne: solo chi vince cambia la guerra con la pace.
Sperare di salvarsi con la fuga, distogliere dal nemico le armi che ci proteggono, è il colmo della follia! In un combattimento il pericolo maggiore è sempre per chi maggiormente teme: l'audacia è come un baluardo. E quando io guardo a voi, o soldati, quando considero il vostro passato, l'animo mio si riempie di speranza nella vittoria. -
Il suo nome viene acclamato e scandito come per i generali vittoriosi, il cielo plumbeo seguita a irridere le loro speranze.
- Se la fortuna si sarà opposta maligna al nostro valore, non fatevi ammazzare invendicati, e neppure, una volta catturati, non fatevi trucidare come bestie piuttosto che lasciare ai nemici una vittoria cruenta e luttuosa combattendo alla maniera degli eroi! -
Il discorso, semplice e diretto fece la sua parte ed un sorriso amaro si dipinse sul volto di Catilina. E mentre si sentono i segnali di tromba i due eserciti si vengono incontro, nel freddo abbraccio della Morte.



Campo di battaglia di Pistoia, sera
La battaglia è infuriata per tutta la giornata e le truppe ufficiali hanno faticato non poco per aver ragione dei ribelli. I congiurati si sono battuti con estremo valore e nessuno di loro è strato trovato con ferite sulla parte posteriore del corpo. Tutti sono morti affrontando il nemico. L'esito della battaglia è stato estremamente incerto, Petreio ha dovuto far intervenire le coorti scelte per piegare la fiera resistenza. E Catilina, sembravamo quasi esserci dimenticati di lui. Lucio Sergio Catilina, e come potremmo! Ha combattuto incessantemente tutta la giornata, mulinando la spada e mietendo centinaia di soldati nemici. Quando ha capito quale sorte sarebbe toccata ai suoi soldati si è lanciato in una estrema devotio 2 . L' hanno trovato poco fa, sepolto sotto una pila di cadaveri nemici. Respirava ancora.
Lo hanno gettato in un fiume assieme a molti dei suoi, morto per le ferite riportate. Adesso il suo corpo attende, nella luce crepuscolare, che qualche ufficiale minore venga a mozzargli la testa, per poi esporla nel Foro.

Un giovane tribuno3 con il volto sporco di terriccio e le membra rese pesanti dalla stanchezza riceve l'ordine, il privilegio secondo il suo comandante, di portare a termine questo ingrato compito.  Percorre il sentiero in discesa che porta, dopo aver attraversato un piccolo bosco che nasconde quel posto alla vista del resto del campo, al luogo dove è statto buttato il corpo del nemico principale dello stato. Mentre attraversa la piccola selva osserva rapito il gioco che fa la luce, trapelando negli spazi liberi lasciati da rami e foglie. Ed ecco che la vegetazione si apre per lasciar spazio alla riva del fiume. Adesso lo vede, sdraiato che sembra dorma su d'una pietra leggermente sopraelevata. Lo hanno scaraventato lì in fretta e la sua posizione è innaturale, scomposta. Un sorriso troneggia sul suo volto livido e sconfitto. Le membra sono irriconoscibili, le ferite hanno straziato quel corpo un tempo atletico e slanciato.
Deglutisce e suda freddo, non è un dovere che avrebbe voluto assolvere.
Finalmente si decide. Mormora il nome della mamma e chiude gli occhi mentre stringe l'impugnatura del pugnale che gli hanno dato avvicinandosi al collo del comandante, che sembra quasi sorridere, immobile nella compostezza riservata ai morti.
- E' solo un morto... che cosa ti può fare? - pensa fra sè.
La lama sta per affondare nella carne del principe della congiura. Il mandante ha gli occhi chiusi e si prepara a, con un colpo deciso e netto malgrado le mani che gli tremano, recidere quella testa che dovrà essere esposta di fronte a tutti.
Una mano si muove rapidissima e percepisce una forte stretta sul polso. Il coltello, prima che se ne renda conto, cambia direzione e gli viene piantato nel petto. Sente un'altra mano, altrettanto fredda che gli copre la bocca, soffocandogli il grido disperato.

Respirava ancora.

Note

1: Cetego, Statilio, Cepario, Volturcio e Gabinio Capitone
2: atto tipico dei comandanti romani che, in caso di esito sfavorevole della battaglia, pregavano gli dei e si lanciavano nel mezzo dei nemici cercando di ottenere almeno la salvezza dei propri soldati in cambio della vita.
3: Il tribuno, oltre ad essere il magistrato eletto dalla plebe, era anche una carica militare e corrispondeva, grossomodo, agli odierni sottufficiali. Da qui in poi comincia la parte di pura invenzione storica. Catilina, nella realtà, non sopravvisse alla battaglia di Pistoia.

Angolo dell'Autore

Ho provato a introdurre qualche miglioria grafica e spero l'abbiate apprezzata. Ho scritto questa storia di getto e la ricontrollerò nelle prossime ore, per eleminare eventuali errori grammaticali e / o di battitura. Ciò che mi premeva era proseguire in questa opera che è uscita del tutto dai suoi intenti originali. Con questo capitolo cessa la sua dimensione storica e si lascia spazio all'inventiva e al "What if?" per cui l'avevo concepita. Ieri ho sistemato sintatticamente e nella forma il primo capitolo della saga, mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensate e vi consiglio di leggerlo. Al prossimo capitolo, vedrete che saprò stupirvi.

Mi farebbe piacere sapere che cosa pensi del mio racconto: fammi contento con una bella recensione.

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