La caduta di una stella

di maiscia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'alba di una stella ***
Capitolo 2: *** Primi incontri ***
Capitolo 3: *** Un uomo di nome Arthur ***
Capitolo 4: *** Il nome e la partenza ***
Capitolo 5: *** Tracce da seguire e segreti spiacevoli ***
Capitolo 6: *** Complicazioni ***
Capitolo 7: *** Un nuovo amico ***
Capitolo 8: *** Brutte sorprese ***
Capitolo 9: *** Il principe solitario ***
Capitolo 10: *** Tempesta imminente ***
Capitolo 11: *** Uno strano pozzo ***
Capitolo 12: *** Preparazione ***



Capitolo 1
*** L'alba di una stella ***


In un tempo indefinito quale era quello dello spazio aperto,allora come adesso, le stelle illuminavano l'abisso oscuro in cui nascevano trasmettendogli calore e in casi particolari (ad esempio il nostro) permettevano la vita sui pianeti. Esse erano magnifiche e lucenti, fatte di pura energia e gli abitanti dei pianeti vicini le ammiravano e le contemplavano;ma non erano molto interessate alle forme di vita che prosperavano intorno a loro: si limitavano a scrutarle dall'alto con aria indifferente chiedendosi per quali motivi quegli esseri minuscoli le osservassero, le additassero,le studiassero con strani marchingegni, le dessero dei nomi (orribili secondo dei loro pareri).Se si potesse attribuire alle stelle una personificazione assomiglierebbero molto a donne di folgorante bellezza vanitose piene di capricci e di difetti; perché in fondo in fondo, senza dare nell'occhio, godevano delle attenzioni a cui venivano riservate: ebbene sì, c'era una gran civetteria dietro a tutto ciò! Non che tra loro ci fosse qualche tipo di contatto, ognuna mal celava riservatezza e impudenza e la diceva lunga sul loro carattere. Detto ciò verrebbe da chiedersi: le stelle di cos' avevano paura? Due sono le risposte: la loro morte e la loro distruzione. Se la prima arrivava dopo milioni di anni ed era consapevole,la seconda giungeva improvvisa e dolorosa. La causa era un'entità sconosciuta che veniva nominata in svariati modi: mostro,divoratore, distruttore, odio ... stava di fatto che vagava nell'universo per nutrirsi dell'energia pura emanata dalle stelle, divorandole a una a una senza fermarsi mai e senza risparmiarne nessuna. Quali scopi avesse infine l'entità era chiaro, ovvero la morte fine a se stessa, in tutte le sue forme poiché se era vero che il suo nutrimento principale era la luce stellare essa non era l'unico; per un suo capriccio era capace di tenere sotto tiro gli abitanti di alcuni pianeti per soggiogarli e dominarli come gli pareva, assumendo qualunque sembianza pur di non svelarsi. Tanto malvagio e infido era e quante insidie celava al di sotto delle sue maschere! Però le stelle erano, a discapito di tutto, coraggiose e intelligenti nei momenti di bisogno; infatti non poche di loro avevano affermato di essere riuscite ad allontanarlo grazie all'intensità con cui emanavano la propria luce: lo rendevano cieco e vulnerabile e così era costretto a rintanarsi negli angoli più bui e freddi dello spazio fino a che non gli si fosse ripresentata una nuova occasione. Ed è proprio in quel tempo imprecisato che accadde. Una stella, diversa da tutte le altre, stava nascendo in un sistema solare di una certa galassia: all'interno di una luce accecante la neo-stella aveva assunto la forma di una bambina dai lunghi capelli neri; aveva una bocca per mangiare, orecchie per sentire, occhi per vedere e naso per respirare; labbra ben disegnate, chiazze rosse sulle guance e arti ben proporzionati completavano la figura somigliante in tutto per tutto a un essere umano. Non respirava sebbene avesse le labbra socchiuse e le narici aperte però stava dormendo e sognava. Galleggiava in un vuoto senza fine mentre la trapassavano sottili nebbioline color ocra che prendevano strane forme: forme che la stella non conosceva ma che la divertivano parecchio. Si sentiva bene, non temeva niente, non conosceva il dolore, conscia solo di essere sospesa lì nel suo mondo silenzioso. -Sei nata nel posto sbagliato, piccola stella … Svegliati!- il silenzio fu interrotto da una voce senza tempo che la strappò dai suoi sogni per portarla nella realtà. Sbarrò gli occhi dalla sorpresa, quell'unica parte del suo corpo anormale, pervasa da infinite pagliuzze dorate che componevano un mosaico scintillante.- Chi sei tu?- domandò al suo interlocutore fissandolo direttamente negli occhi. L'altro rimase sbalordito dalla sua ingenuità, non se lo aspettava proprio da una stella; da quando l'aveva osservata dal suo nascondiglio in posizione fetale credeva di essere diventato matto a furia di girovagare per gli spazi bui senza mangiare. La stava infatti cercando poiché aveva intravisto i suoi primi raggi da lontano e giunto lì aveva compreso l'enormità della sua scoperta.-"Non è stato un viaggio a vuoto dopotutto. Questa stella è speciale."- meditò il mostro tra sé e sé sorridendo e mostrando i suoi denti lunghi e affilati alla stella che non batté ciglio.-" Voglio divertirmi un po’, tanto non ci sarà nemmeno bisogno di trasformarmi, povera ingenua!"- Ben svegliata, piccola creatura pura e lucente! Una giusta domanda la tua, eh, eh ... Io sono un viaggiatore!- esclamò con una voce possibilmente piacente, piegandosi in un inchino profondo. - (Ovviamente tra loro parlavano telepaticamente data la mancanza di aria.)-Oh ... s-salve!-rispose lei inchinandosi a sua volta.- Siete stato voi a chiamarmi, signore?- Il mostro si guardò intorno trattenendo una risata alla parola "signore".- Vedi qualcun'altro in giro, forse?- N .. no. - balbettò la stella imbarazzata guardandosi attorno.-Dove mi trovo?-Sei nello spazio.- rispose con ovvietà.-Oh ... giusto! E' che mi sono svegliata solo adesso e ho la testa un po’ confusa ...- "Parla proprio come un umano."- constatò tra sé il mostro.- Fra poco ti si schiariranno le idee, vedrai.- disse preoccupato che potesse riconoscerlo.-"Non c'è galassia in questo universo che non mi conosca, dannazione! Le stelle sono consce di ciò che è bene e ciò che è male fin dalla nascita."-Ma lei con innocenza dopo una riflessione:-Io sono una stella.-"O forse no?"-E' esatto ed è per questo che io sono qui,il tuo calore mi ha attirato a te ed è così piacevole sentirlo.- parlava con voce gentile cercando di potersi avvicinare di più alla sua preda.-Sei un viaggiatore giusto? Avrai visitato tantissimi luoghi.-Sì, è vero inoltre non mi fermo mai nello stesso posto o almeno dopo che mi sono nutrito.- Dev'essere così bello potersi muovere in libertà senza stare nello stesso luogo.-Oh, altroché. La sopravvivenza è un bisogno che sento di continuo e migliaia come te ne sono coinvolte.-Non capisco.- Non c'è nulla da capire.- e l'afferrò per stritolarla tra le mani.-Ahhh!- urlò la stella aprendo la bocca ad un suono muto.-Perché?- riuscì solo a chiedere guardandolo ancora negli occhi e vedendo in essi emozioni che lei non conosceva affatto.-Sciocca, un agnello come te non può comprendere le ragioni di un lupo!-E percorso da un desiderio violento il mostro trafisse il suo piccolo petto da cui fuoriuscì lentamente un sangue denso e scarlatto che volteggiò nel vuoto. Il dolore fu tale che la stella ne rimase pietrificata.-"Ah, perché ho aperto gli occhi? Non mi sarei mai dovuta svegliare!"- pensò con rammarico desiderando che la morte sopraggiungesse in fretta. L’oscurità arrivò ma una luce la rischiarò: era il suo cuore ed era uscito dal suo petto.-No ... la mia luce ... non la voglio perdere!- urlò disperata tra le mani del suo carnefice.-Eh, eh ... finalmente si mangia!- esultò il mostro fissando anche lui quel piccolo oggetto dorato; pasti del genere non gli erano mai capitati e ruggiva dalla fame. Però non riuscì ad afferralo perché emanava troppa luce e nonostante ritentasse ancora fu inutile e finì col bruciarsi gli occhi.-Brucia, brucia!- si lamentò il mostro lasciando la sua preda e scappando via urlando dalla rabbia. Ci fu poi silenzio e un buio freddo, senza luce. La stella gemente fu troppo lontana per poter afferrare il proprio cuore; infatti una misteriosa forza stava trascinando entrambi verso un pianeta vicino.-No, l'ho perduto ... e adesso dove finirò?- Prima di perdere i sensi vide il suo corpo scendere in picchiata verso una terra coperta di bianco.

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Capitolo 2
*** Primi incontri ***


-Guardate, guardate, una stella cadente!- esclamò a gran voce un bambino puntando il dito verso l’alto. Siamo in inverno e in questa zona della Terra la neve cadeva a gran fiocchi, ricoprendo le case, le strade, le città, le intere terre soggiogate dai grandi re i quali si rintanavano nei loro palazzi al caldo, al riparo dal freddo. Per i bambini invece era così divertente uscire fuori per le strade e le piazze per giocare con la neve. Basta davvero poco  renderli felici, tutto sta nel farli divertire. – Che bella!- Com’è grande!-Come brilla!- Tutti bambini di quella piazzola si radunarono vicino al bambino per osservare meglio, ma di lì a poco si stancarono e se ne andarono.-Ehi, dove andate?- ribatté il bambino di prima che aveva riunito gli altri. Aveva le guance rosse e un grande sorriso sulle labbra.- Dai, vieni a giocare, lascia perdere.- intimava uno degli altri riprendendo a giocare.- No! .-ma  lui mise il broncio e rimase a guardare a naso in su, col fiato sospeso dall’emozione.- “E’ … bellissima! Come vorrei che passasse sempre di qui.”
-Una stella cadente, in questo periodo dell’anno … che strano … - mormorò un uomo osservando quella stella andare giù sempre di più. Non era tanto grande ma era come se precipitasse sul … -  Precipita!- urlò lui vedendo l’ultima scintilla e poi un gran boato che generò un vento impetuoso che lo fece ruzzolare per terra.- Non è possibile!- Stupito quanto mai, si rialzò in piedi, scrollandosi la neve di dosso. Rimase perplesso per qualche minuto, prima di decidere sul da farsi.-Devo andare assolutamente a vedere, spero, non sia pericoloso.- E si incamminò tra la neve. Intanto si stava elevando una tempesta.
A qualche centinaio di metri più in là, nel frattempo era caduta la stella, aveva sciolto la neve attorno a lei, lasciando un cerchio di terra umida e lì rimaneva inerte. La tempesta che era iniziata poco fa si placò e la neve ricominciava scendere lenta. Un figura alta ed esile si avvicinò alla stella.-Sveglia … - mormorò gentilmente abbassandosi e sfiorandole con le dita i capelli, proprio come aveva fatto quel mostro … - No, vattene!-Provò ad urlare ma non ci riuscì o meglio non riusciva ad articolare le parole. Insomma non poteva parlare perché non sapeva come fare. Non era la bestia. Una pallida e bellissima donna la osservava sorridendo dolcemente. Aveva lunghi capelli color cenere, su cui poggiava una coroncina di gemme bianche e argentate; aveva indosso un lungo manto blu chiaro che ricopriva le sue spalle scoperte e che ricadeva su un abito lisco e bianco, impreziosito sul corpetto di diamantini come del resto le maniche piene di ricami staccate dall’abito. Infine al dito medio sinistro aveva un grande anello con una gemma celeste incastonata. Stavolta la piccola rimase davvero colpita. –Oh, piccola non sei ancora capace di parlare.–“Sei così bella, chi sei?”- si domandò.-Ti sento e ti risponderò- sentenziò lei accarezzandole una guancia. – Io sono una regina, sono l’ Inverno e passeggio per il mio regno osservando la mia creazione, piccola stella. Li vedi questi fiocchi che cadono? E’ opera mia. E le tempeste, il freddo, il gelo sono merito mio per quanto l’uomo li possa detestare.- “Che bel regno che hai, ma è così freddo e stai solo tu a lodarti della tua opera.”- Ma non durerà per molto.- ribatté l’altra.- Verrà un’altra regina infatti che prenderà il mio posto per un altro periodo di tempo e io tornerò per ricominciare il mio lavoro da capo. -“ Non è stancante per te?”-Oh, altro che, ma io rispetto le leggi della natura e questo mi basta dato che sono una regina e rispetto sempre i miei doveri.- “Capisco … io invece … non ho più un cuore …. Non so dove sia, me l’hanno strappato con la forza e sono caduta”.- Povera te. – “Povera me.” - ripeté lei piangendo un po’.- Non piangere, dormi piuttosto, io devo andare. Se avessi mai bisogno della mia compagnia, vieni pure a trovarmi. Abito agli estremi della Terra, lì dove affondano le mie radici. Arrivederci piccola stella.- “Arrivederci, regina.”- e salutandola cordialmente il gelo l’addormentò.
-“Eccola …” - pensò l’uomo avendo raggiunto finalmente il punto della caduta. .- “C’è una bambina, devo salvarla!”- si precipitò quindi a raccoglierla: era congelata, ma si sentiva ancora il lieve calore della sua pelle. – “Che brutta ferita …” –pensò l’uomo sfiorando quell’ incavo vuoto.- E’ morta ….- affermò con rammarico, ma si dovette ricredere sentendo il respiro regolare della piccola.-“Non è possibile, eppure è ancora viva. La porterò con me.”- E tenendola in braccio si diresse verso casa a passo veloce, ignorando la fatica e il freddo. –“… sarà lei quella stella che ho visto cadere poco fa?”

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Capitolo 3
*** Un uomo di nome Arthur ***


-“Com’è caldo … mi sento rinascere. Sto sognando, forse era tutto un sogno, devo solo svegliarmi e … - Aprì gli occhi e si accorse di essere immersa nell’acqua. –“Ma cosa … ?”- Ti sei svegliata.-rispose l’ uomo che stava sfregando la sua testa con un panno intriso di aromi.-Chiudi gli occhi. - Sorrise. Non lo faceva da tanto tempo. La stella, intontita, continuava a farsi lavare.-Mi chiamo Arthur.- parlava con voce rauca e bassa, quasi per non farsi sentire. Mentre si asciugava si toccò il petto e premendo provava fitte di dolore.- Non toccarti, può portare a infezione.- Si alzò e prese dalla dispensa un piccolo scrigno con dentro alcune erbe mediche. Con quelle preparò un unguento e lo spalmò delicatamente sulla ferita della stella.- Attenta, brucia.-La stella gemette dal dolore.- Ti allevierà il dolore.- Dopodiché prese alcune bende e  le avvolse attorno alla ferita. Poi la vestì con una piccola camicia da notte.- “Com’è piccola.”-osservò lei. La prese e la poggiò sul suo letto.- Riposati, sei ancora troppo debole. Sei al sicuro adesso.- Prese delle altre coperte per farla stare più calda. –Per ora riposati.-Poi si allontanò verso un’altra stanza.
L’abitazione era fatiscente e sul punto di rompersi se non ci fossero state le travi in legno che mantenevano ancora la casa in piedi. I muri erano grigiastri con appesi tantissimi orologi di tutti i tipi e di tutte le forme; c’era una piccola cucina e una piccola camera da letto che era unita ad un’ altra stanza piena di oggetti in legno mal costruiti, di centinaia di carte contenenti progetti, strappate e dimenticate nella polvere. Se non fosse per l’uomo che vi abitava e per l’odore di cibo  che si sollevava dalla piccola cucina sarebbe sembrata disabitata.
-Ti sei già svegliata?- si sorprese Arthur vedendola qualche ora dopo già in piedi.- Annuì facendo un piccolo inchino.- Non devi ringraziarmi. Piuttosto, cos’ è successo alla tua voce?- La piccola mise una mano intorno al collo per indicare di non poter parlare.- Sei muta?- negò scuotendo la testa. - Allora … non sai come fare?- Annuì decisa. Lui si massaggiò il mento, pensieroso.- Ti insegnerò, allora.- Lei sorrise e Arthur ricambiò.
Passò qualche giorno e la piccola stella aveva già imparato l’alfabeto.- Ripeti per l’ultima volta, ci riesci?- Arthur si reggeva la testa col gomito che aveva appoggiato sul tavolo; di fronte a se aveva un piccolo libro polveroso che elencava l’alfabeto. – Leggi.- ordinò alla ragazzina porgendogli il libro. Lei lo prese: sembrava sul punto di sbriciolarsi, tanto che era vecchio. –A …. B … C … D …. – e via di seguito fino a completare l’elenco. –Brava, impari in fretta. Adesso prova a chiamarmi per nome … Ar- thur.- Le insegnava come un padre premuroso, senza fretta, ma con toni decisi.-A –r …. – pronunciò la piccola ma ne uscì un mugolio.- Riprova, ascoltami: Ar-thur.- Prese un respiro profondo.- Ar-thur. Arthur. Tu sei Arthur.- Bravissima.- si complimentò lui carezzandole una guancia.- Non sarà difficile imparare il resto …. Eppure mi capisci perfettamente, anche se non sai parlare, ma dimmi, poiché credo che ancora tutto ciò sia un sogno … sei …  caduta dal cielo … ?- Sssiii. –sussurrò, simile ad un serpente.- So-no una … stel – la.- sillabò. Nel dirlo aveva un tono malinconico. –Impossibile … No! Deve essere un sogno!- esplose tutt’un tratto, alzandosi e prendendo il volto fra le sue mani. Le sfiorò i capelli, le labbra, le braccia e il minuto petto.- Il tuo aspetto è di un umano, hai calore …. Ma non hai un cuore …. Non so se crederti o meno … è difficile, non puoi essere reale! – pronunciava a fatica le parole. Sospirò e tornandosi a sedere si mise la testa fra le mani e sprofondò nel silenzio. Come se da un momento all’altro dovesse ridestarsi da un sogno. – … io …. Ho … Un cuo-re …. ma …. – si rabbuiò in volto.-Sparisci, non esisti! – urlò a pieni polmoni. Il tono di voce tremava. –“Perché? Perché ora mi tratti  così?”– u – u – u – ugh …. – riuscì solo a mugolare. Piangeva.- “Non posso restare qui, gli faccio male ma non so il perché.”- perciò si alzò e corse via, fuori nella neve. Si sarebbe allontanata da lui. Nessun segno da parte di Arthur che rimaneva immobile, inerte.-“E’ tutto un sogno, è tutto un sogno!- si ripeteva. –“Adesso mi sveglio, adesso mi sveglio!”- Si alzò in piedi con ancora gli occhi chiusi. Lì riaprì.- Ma … che mi è successo? Che sto facendo?- Uscì fuori alla svelta, raggiungendo la piccola  che era intanto crollata al suolo. Si era sforzata troppo. –Che ho fatto? Riprenditi!- Ma lei non dava segni di vita. Aveva il volto pallidissimo. – Svegliati! Ti prego! - adesso la scuoteva. Non si mosse di un millimetro. Qualcosa allora si ruppe in lui. Il respiro era mozzato e il suo cuore batteva forte. La strinse a sé riempiendola di calore. –“E’ così fragile, piccola … non volevo farle del male …. Sono un mostro, un egoista!”- L’aveva circondata tra le sue forti braccia ed era tornato subito indietro, nella casa. Si mise sul letto. Non sapeva che fare, provava qualcosa che non provava da tanto tempo: paura.- Perdonami, giuro che ti terrò con me, ma tu ascoltami. Non lasciarti andare!- “Oh, e adesso che ti prende? La tieni con te. Non ne sei capace. Non sei più quello di prima.”- riecheggiò una voce nella sua testa. Fremé, attonito.-Chi sei, dove diamine … -girò la testa in più direzioni. –“Sono qui, dentro di te … eh,eh … la piccola è una stella e morirà a breve. Lasciala al freddo e spariranno le sue tracce.”- Lasciami stare, lei non morirà!- rispose stringendola con più foga. –“Non ce la farà mai, le ho strappato il cuore e le rimane poco da vivere. Lasciala fuori e consegnala a me!” – un vento impetuoso si abbatté sulla casa, le mura tremavano e il vento ululava. Si spense il fuoco del camino. Lui non si mosse.-“Rispondimi!”- “Vattene mostro! Tu non gli farai del male!”-La voce della stella irruppe nei pensieri di Arthur.-“ E non avrai nemmeno me!”- concluse illuminandosi e riprendendo colore. Il vento cessò e così anche la voce che era svanita. Arthur la guardò. La stella aprì gli occhi, ancora irradiata della luce che emanava il suo corpo, così calda e confortante. I suoi occhi scintillavano in quella oscurità e fissavano con gioia quelli dell’uomo. Venne preso da una profonda nostalgia.- Piccola stella, perdonami. –sussurrò solamente baciandola sulla fronte.- Mi sono abbandonato all’incertezza e al dubbio pur di non vedere il vero.-“Non provare dubbio e credimi, sono reale.”- La sua luce si spense. Lui si slacciò da lei, in silenzio. E rimasero così a osservarsi e a meditare. – Chi era quella voce? Dov’è il tuo cuore? – Ma non poté rispondere poiché non conosceva le risposte. 

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Capitolo 4
*** Il nome e la partenza ***


-Potrei giurare su Dio che quello fosse l’Odio. - affermò Arthur accendendosi una sigaretta e fissando la distesa di neve dalla finestra.- L’O-dio?-chiese la piccola stella curiosa.-“Già il nome suona male. Non mi piace per niente.”- Si … quel tarlo che mi ha logorato per anni e anni il mio cuore e il mio cervello, quel mostro che ti strappato il cuore e te l’ha scagliato chissà dove. Non è nel tuo interesse saperne di più sul mostro. Hai detto che il tuo cuore è sulla Terra da qualche parte, giusto … piccola stella?- I fatti risalivano al giorno prima ed erano accadute talmente di quelle cose … si succedevano l’un l’altro con durezza e senza nulla di positivo. Ma non per Arthur che aveva ritrovato quella pace tanto desiderata. Si era avverato il suo più grande desiderio. Forse aveva trovato qualcuno su cui poter provare il dolce affetto paterno, perso nella neve, nel sangue. – S-Si ma non so do-ve. A-a-a che stai ….. pen-san-do?- La piccola stella per il momento stava bene, anzi, era rinvigorita come se quell’unica notte passata a dormire tra le braccia (e solo tra le braccia) di quell’uomo così ferito e pieno di rancore che si celava dietro i suoi occhi, le fosse bastata. Sorrideva tra sé e sé. Non sapeva che cos’era quel sentimento, ma le piaceva un sacco. La faceva stare bene, la tranquillizzava e sarebbe stato brutto per lei stare lontana da quella persona alla quale voleva rimanere attaccata, non avendone altre. Arthur a quella domanda si alzò, spense la sigaretta e si spostò nell’altra stanza (quella che ho già accennato sopra) unita alla piccola camera da letto. Tra tanti degli oggetti sotterrati dalla polvere ne prese uno: era un dado intagliato molto bene, ancora liscio, con ancora incise una lettera dell’alfabeto che aveva perso, ahimè, il suo colore vivace, accennando a un semplice rosso. – Ti piacerebbe avere un nome?- Lo roteò per un po’ tra le mai, poi lo lanciò alla piccola. Lei lo strinse tra le mani. - Dav – ve – ro ? Puoi … dar-mi un no-me?- La vide un po’ esitante e si sentì un po’ deluso.-Sempre che tu sia d’accordo …. Altrimenti … - cominciò ma non ebbe il tempo di completare che subito lei l’abbracciò.- Si, vo-glio un no-me! Un nome!-Il suo sguardo era acceso come non mai. – Va bene …. Ma …. Prima voglio che tu impari per bene a parlare, giusto perché tu sia motivata. – Si … si!- saltellava per la stanza in preda alla gioia.- Un no-me! Un no-me! Gra- zie, pa-pa … !- le sfuggì dalla bocca, per l’ esultanza. Due semplici sillabe. Per Arthur un altro tuffo al cuore. Papà. Un nome doloroso da ricordare. –“ Non ne sei capace. Non sei più quello di prima.”- rievocò alla mente quella frase detta dall’Odio. - “Io ne sarò capace, invece!”- rispose quindi sedendosi su una delle sedie impolverate.-“ Proverò, almeno … “- aggiunse.  – De-vo, im-pa-ra-re! Impa-rare, imparare!-
-Su forza, muoviti che il tempo non aspetta!- esclamò Arthur sull’uscio di casa. Della sua vecchia casa. Finalmente.- Devo indossare ancora gli stivaletti!- si lamentò lei nel tentativo disperato di calzare le scarpe calde e morbide. Aveva dei vestiti tutti suoi, anche se non erano per le bambine come lei: una giacchetta marrone calda con sotto una camicia appena ingiallita dal tempo ma ancora resistente; poi un paio di pantaloni che le andavano lunghi e stretti alla vita da una cintura di cuoio, data la sua piccolezza, un paio di stivaletti e per finire un cappello imbottito di piume che teneva al caldo la testa e le orecchie. A completare un enorme sciarpa pesante che l’avvolgeva. Arthur scosse il capo al vento.- Dovrò comprarti dei bei vestiti appena arriveremo in città, mi dispiace averti dato solo questi in prestito.- Perché? A me piacciono, mi fanno tenere al caldo, va bene così. - Sarà … -disse scettico e chiudendo la porta d’ingresso  si avviarono di prima mattina tra la neve verso una nuova meta. Era passato un mese Il vento soffiava gelido su di loro ma non faticavano a proseguire: avanzavano rapidi e silenziosi, ognuno in balia dei propri pensieri. Ed ecco, a quel punto, lei realizzò la figura che le stava di fianco:Arthur. Agli inizi che non capiva, trascurava i particolari dell’imponente figura che aveva preso la decisione di tenerla con sé e di aiutarla; il suo volto oscurato da pensieri tutt’altro che piacevoli rendeva i suoi tratti duri, con quella barba trascurata, con quei piccoli occhi  nascosti dai capelli neri ondeggianti e non troppo lunghi;  le sue mani erano grosse e tozze, ma avevano quella delicatezza quando l’accarezzavano o l’abbracciavano, senza pari. Le cose che la intimorivano di lui erano quello strano arnese con cui non perdeva mai tempo a stringere tra le sue dita e quella fasciatura sull’occhio sinistro, una ferita di sicuro legata a un ricordo doloroso. Non aveva chiesto di raccontargli qualcosa su di lui, temeva di ferirlo e di allontanarlo; ma si sa, la curiosità è così che va crescendo, la si può anche celare dietro alla riservatezza, però un giorno avrebbe prevalso. –“Meglio lasciar perdere, diamo tempo al tempo.”- in quei altri giorni trascorsi prima di partire oltre a parlare aveva imparato anche a leggere e molto bene, non avendo nient’altro da fare; lesse vecchie favole, piccole poesie,racconti per bambini e le pareva molto strano da Arthur, tenere quelle cose in casa, libri, giocattoli … -“Che ci sia di mezzo un altro bambino?”- Ma non poteva saperlo, poiché molte cose non conosceva e questo bastava a farla andare avanti. Dopo due ore e mezza di marcia sostenuta ecco il fumo sollevarsi da alcune casette lì in fondo ad una discesa.- Resisti, Zella. Ci siamo. Zella. Il suo nome. Era il regalo più bello fattole da lui. Tanto prezioso quanto importante, poiché dietro a questo nome lei si sarebbe identificata come una persona … anche se non reale. Sapeva comunque che tutta quella gioia non sarebbe durata a lungo.
Il gelo ghiaccia i sentimenti,
fa cadere i vittoriosi ed i potenti.
Nulla potrà mai fermare questa neve,
che fa provar dolore a chi la teme.
Il vento soffia su colline e su pianure,
si impone sulle sue più grandi alture!
E grida:” Fuggite via! Fuggite via!”
Nulla potrà mai fermare questo inverno,
che sembra divorare questo giorno,
voi che siete tutti al caldo ed al sicuro
felici, uniti dall’ amore puro.
Ricordate che non durerà per sempre
Poiché  io qui troneggerò con cuore inerte,
e canterò a voce alta
all’infinito, all’infinito, all’infinito ….
Addio a te che insegui la tua luce,
cammina, corri sempre più veloce,
ma se il tuo cuore non trovassi più ormai
tornerai, sì, da me a grandi passi,
e canteremo a voce alta
all’infinito, all’infinito, all’ infinito …
Con un canto velato di tristezza, la regina rivolgeva alla piccola il suo avvertimento. La guardava. Guardava con che coraggio sarebbe andata avanti, con quali motivi dettati dalla mente sarebbe riuscita a risalire, creatura dei cieli, piccola stella inconscia del proprio triste destino. Gli uomini non sono attenti a esseri indifesi come lei, basta una distrazione perché lei cada …. 

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Capitolo 5
*** Tracce da seguire e segreti spiacevoli ***


Scesi a valle, percorsero il piccolo paesello deserto data la tempesta che si stava per l’ennesima volta elevando. Il vento ululava spaventosamente abbattendosi sulle case e su quelle poche persone che, resesi conto del tempaccio facevano dietro front. –Dove stiamo andando?In una locanda, al riparo.- Cos’è una locanda?-Lo capirai.-E dopo qualche passo arrivarono davanti a un edificio molto più grande degli altri ma interamente fatto in legno come anche le case, del resto. Arthur aprì la porta principale che cigolò, seguito dallo scricchiolare delle assi di legno che rivestivano il pavimento. L’interno era affollatissimo di gente, c’era chi chiacchierava, chi rideva fragorosamente, chi mangiava e beveva facendo lo stesso baccano. Insomma uno schiamazzo continuo. Arthur la tirò a sé.-Tienimi la mano e stammi vicino.- le sussurrò. L’uomo avanzò a fatica con Zella verso il bancone e vi arrivò battendo un pugno sul piano per farsi sentire. L’oste, immenso e dalle guance rubiconde, era impegnato nel versare birra ad altri clienti e fece loro un breve cenno con la mano.-Arrivo subito.- urlò lui e subito dopo fu già davanti a loro.-Allora in che posso servirvi?- disse pulendosi le mani con uno straccio. Arthur tolse dal viso la sciarpa e alzò il cappello che nascondeva il solito sguardo freddo.-Vorremo qualcosa da mangiare e una stanza con due letti per la notte.-Subito signo …. – ma si interruppe avendolo guardato meglio in viso e le sue guancie tanto rubiconde sembrarono sbiancare dalla paura.-Non è possibile … - borbottò sorpreso, riconoscendolo.- … Arthur Methel !- Fa silenzio!- sussurrò l’altro portando una mano al fucile il quale teneva nascosto nel pesante giaccone. L’oste rabbrividì, Zella lo guardava confusa.- Non fiatare, sono solo di passaggio. Nessuno devo sapere che sono qui.- Il suo tono duro e rauco non fece indugiare oltre l’oste che cercava di apparire rilassato.-E sia,- rispose infine sospirando,- ma io te dopo faremo due chiacchiere!- nonostante la paura era come arrabbiato ma non volendo ovviamente attirare attenzione, si allontanò borbottando.- Troviamo un posto a sederci, Zella.- si rivolse poi a lei con tono pacato. Lei annuì, incerta.- Ma con tutta questa gente, dove possiamo sederci?- Fidati.- la rassicurò e scostandosi dalla gente che veniva avanti e indietro dal bancone per miracolo trovarono una tavola semi occupata con due posti a sedere liberi.- Ci siamo, puoi rilassarti, ora.- sospirò Arthur stanco sedendosi. –Che stanchezza! Ho una fame tremenda!- esclamò Zella togliendosi il cappello e la sciarpa, liberando il lunghi capelli neri che si riversarono fin giù, a qualche centimetro dal pavimento.- Che impiccio sono talmente lunghi … - Vuoi tagliarli?- chiese l’uomo stando di fronte a lei, coperto dal cappello che ne frattempo si era rimesso. –Quasi, quasi … -sembrò pensarci su. - Ehi, amico mio, hai sentito cosa è successo qualche settimana fa?- Due uomini che affiancavano i primi, discutevano animatamente.-Si, si ma è tutto molto strano: pare che sia passata una stella cadente nella zona ovest a centinaia di metri da qui.- Arthur e Zella drizzarono le orecchie: stavano parlando di lei, cosa che era logico che succedesse, dato il suo passaggio nel cielo e il gran boato che aveva prodotto nell’impatto con la Terra.- Non siamo nel giusto periodo dell’anno. - Confermò l’altro fumando una pipa. - E senti questa: alcuni testimoni hanno giurato di averla vista cadere proprio in quella zona pianeggiante semi deserta. Ha prodotto una grande esplosione ma i pochi che si sono avventurati a vedere non hanno trovato niente, solo un enorme buco vuoto. – Insomma un buco nell’acqua.- scherzò l’ascoltatore ridendo.- Oh, ma non era la sola, -continuò l’uomo aspirando un po’ di tabacco.- perché dalla parte opposta, ad ovest ne è passata una seconda, più piccola, ma molto più luminosa … -Cosa!?- gridarono all’unisono Zella e Arthur.- Esatto. Io abito nei pressi della grande Città ad ovest, l’ho vista cadere proprio lì. Dio, quant’era luminosa! E comportandomi da buon astronomo sono andato infatti a cercarla ma … niente. Nessuno ha visto cadere una stella. Mph, perbacco! La gente di città è tanto presa dalle loro faccende che anche se il cielo cascasse non se ne accorgerebbero. Peccato … - e continuò a lamentarsi così per diversi minuti sbuffando dalla pipa. – Dacci un taglio adesso, Andrè, così li annoierai a morte.- lo fermò l’altro nel tentativo di calmarlo.- Pazienza.- si ridiede allora contegno Andrè.- Piuttosto …. Chi siete voi? Vi vedo nuovi di qui.- Siamo solo di passaggio.- tagliò corto Arthur evitando lo sguardo interrogativo dell’uomo. - Mi dispiace, lui è fatto così. – rispose prontamente Zella.- Piacere mi chiamo Zella.- Piacere mio, piccola, sono Andrè Plicati astronomo di mestiere …. – e chiacchierone di professione.- scherzò l’amico battendo la mano sul tavolo e scoppiando in una risata.- Ignoralo, hai un bellissimo nome Zella. Dimmi tu e tuo padre dove avete intenzione di andare?- Oh, ma lui non è …. – Siamo diretti in città.- la zittì Arthur intromettendosi.- Andrè sgranò gli occhi.- Ma come siamo freddi, signore.- Ho i miei buoni motivi.- disse con calma.- E quali sarebbero?- Dovette fare un grande sforzo per contenersi e non arrabbiarsi.- Ecco a voi due porzioni di carne col sugo, mi scuso per l’attesa.-li interruppe l’oste poggiando oltre ai piatti due pezzi di pane, un boccale di birra e uno di acqua.- Che sete!- esclamò Zella avventandosi sull’acqua con avidità, scolandolo quasi tutto. Poi attaccò alla carne ma con le buone maniere, avendo imparato anche quelle. – Dovevi avere molta fame. - commentò Andrè sorridendo. L’oste si avvicinò all’orecchio di Arthur.- Dopo mangiato raggiungimi sopra nel corridoio. Ti darò 5 minuti di tempo per spiegarmi quest’assurdità e darmi un buon motivo per non buttarti a calci fuori.- Annuì sommessamente e dopo che l’oste si allontanò attaccò anche lui a mangiare.- Sono proprio curioso di sapere chi è lei.- riprese l’uomo poggiando la pipa sul tavolo.- Non è nel suo interesse sapere chi sono.- Potrebbe essere un malintenzionato, sa? Ne girano così tanti oggi come oggi … -No, vi sbagliate! Non è cattivo come sembra!- disse Zella prendendo le sue difese. – Stiamo viaggiando per causa mia, - Zella … - mormorò l’uomo ma lei continuò. - …. Lui mi sta aiutando a trovare …. Una cosa molto importante per me. - indugiò sull’ultima frase non essendo abituata a mentire.- E si trova a quanto pare in questa città … è stato Arthur a trovarmi tra la neve qualche settimana fa e mi ha accudito … - le sfuggì di bocca e accorgendosi dell’errore che aveva commesso.- Tra la neve …. Qualche settimana fa …. – ripeté l’uomo confuso. – Non capisco cosa vuoi dire con questo piccola.- C- cioè io … -provò a rimediare al pasticcio ma non sapendo cosa dire rimase in un imbarazzante silenzio.- Basta.- Arthur si alzò e scoperse il suo volto.- Eccoti accontentato.- disse con voce bassa in modo da poterlo sentire solo Andrè e il suo amico. Dopodiché si ricoprì e tornando seduto tornò a mangiare.- Che il cielo sia benedetto, l’orologiaio di corte, Arthur Methel!- Zitto o sarà lui a zittirti.- gli bisbigliò l’ amico calmandolo.- Con che coraggio torni dopo tutti questi anni di  assenza? Pensavo che fossi morto.- sbottò tremando leggermente.- Come vedi sono ancora vivo.- Vedo … -mormorò riprendendo la pipa e aspirandone un bel po’. Volse lo sguardo a Zella, muta e ancora confusa dalla reale identità di Arthur.- E chi è questa pulzella? Non ricordo che tu avessi anche una figlia.-“Anche?”- pensò Zella sempre più stupita.- Non deve sapere più niente adesso.- disse Arthur alzandosi da tavola.- la conversazione è durata anche abbastanza.- e soddisfatto di aver chiuso quel dialogo prese Zella per il braccio.- Un momento! ti consiglio di non tornare lì!- Perché?- Chiese, conoscendo benissimo la risposta.- Da quando te ne sei andato … molte cose sono cambiate, lì …. Lo zar non è più lo stesso, ha perso il lume della ragione assieme alla sua dignità. Ti prego di non tornare da lui poiché sai cosa ti aspetta ….- Ma già non ascoltava più. Si era allontanato. Voleva tenersi distaccato da ricordi spiacevoli.-“Non ne sei capace. Non sei più quello di prima.-“Ti sbagli, hai torto.”-
Chiudendo la discussione con Andrè, Arthur e Zella si diressero verso le scale dove il chiacchiericcio della gente diventava un semplice brusio. Salite le scale si trovarono in un lungo corridoio avvolto dalla penombra il cui silenzio appariva irreale, rotto di tanto in tanto dal leggero scricchiolare delle assi. Nell’angolo alla fine del corridoio aspettava, immenso, l’oste, nonché il padrone della locanda. –Aspettami qui, torno subito.- disse Arthur congedandosi da Zella e andando verso l’uomo: aveva lo sguardo perso e cupo da tante preoccupazioni, la più importante di tutti Arthur.-Hai da spiegarmi molte cose, Arthur. Ti rendi conto della disgrazia in cui ti trovi? – Non è per te né per nessun altro di voi che sono tornato; comunque non devo rendere conto a te dei miei motivi.- Motivi? E quali sarebbero, diamine?! L’ultimo ricordo che ho di te è di quando tu, passando di qui tacevi, ferendo a sangue chi osava parlarti.- Eri …. Furioso e impazzito dalla collera!- volevo solo essere lasciato in pace ma voi avete incominciato a incolparmi di ciò che non ero colpevole e mi ha fatto imbestialire! Come se già non bastasse dopo quello … -Non è ciò che hai fatto ma cosa stavi per a fare! Far del male al figlio dello zar non ti avrebbe alleviato il dolore … - E tu che ne sai del dolore?! Certo che no …. Ma ad uccidere i miei … non gli è sembrato tanto penoso! Non è per la vendetta che io ora sono qui!- Vuota il sacco, allora!- Arthur era bianco di collera e sul punto di cedere. –La prego, la smetta!- intervenne Zella sbucando alla pallida luce del giorno molto più bianca di quanto non dovrebbe essere.-“Che sta succedendo? Cos’è questa storia?”- fissava con un misto di tristezza e timore Arthur. Che cosa cercava di nasconderle? Alla fine lui cedette; cadde a terra con un tonfo essendogli mancate le forze. Era rigido e non respirava più. Ma la piccola stella non poteva capire

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Capitolo 6
*** Complicazioni ***


-Sta tranquilla, ha avuto un attacco di cuore, è passato ora: deve essersi sforzato troppo.- parole come queste facevano intendere quanto quell’uomo dalle grandi fattezze fosse così fragile che una cosa da niente lo avrebbe spezzato in mille pezzi. Ma erano, tutto sommato, parole tranquillizzanti. – Un attacco di cuore?- chiese curiosa e intimorita Zella seduta su una sedia vicino a letto su cui era steso inerte Arthur.- Si, è quando si ferma il cuore di una persona e questa non può più respirare né muoversi poiché senza un cuore nessun uomo può sopravvivere.- spiegò l’oste detergendosi la fronte dal sudore.- Meglio chiamare un medico.- pensò ,dicendolo a voce alta e si precipitò giù per le scale. In lontananza voci di disapprovo per l’uomo che doveva allontanarsi per un momento. Poi il rumore della porta di ingresso che si aprì cigolando e si chiuse sbattendo forte. Zella si avvicinò al viso dell’uomo: respirava e aveva preso il colore della pelle; il suo viso era sereno.- Meno male … - sospirò rasserenata accarezzandogli la guancia come faceva di solito.-“ Molte cose di Arthur non riesco a capire, ma non voglio che lui mi spieghi tutto per forza. Le cose verranno a suo tempo, sì! Bisogna dare tempo al tempo.”- affermò decisa. La mano scivolò sul petto.- Almeno lui ha un cuore … e il mio? Come potrò trovarlo? Dovremo andare lì in città a cercarlo? Ma …. E se ti faranno del male?- Preoccupazione. Tristezza. Capiva pian, piano cosa volessero significare. La mano di Arthur d’improvviso si mosse e strinse la sua piccola e calda.- Non preoccuparti per me …. Io …. Ti aiuterò ad ogni costo!- Era sveglio. Da quanto tempo?- Da poco.- le rispose cogliendo al volo il suo sguardo.- …. Sei … l’unica persona che ho adesso … dovrebbero uccidermi per allontanarmi da te. - disse con sarcasmo. Zella sembrò non capirlo. Arthur scoppiò a ridere.- Dovresti vedere la tua faccia sconvolta …. – Zella raggiunse l’apice dello stupore.-“ Non l’ho mai visto sorridere così.”- E rise anche lei ma durò per poco poiché Arthur non ci era abituato e si ricompose.- Come ti senti ora?- domandò la piccola sedendo sul letto.- Meglio. Non so perché ma è come se mi fossi tolto un peso … - Un peso?- ripeté Zella. –Spiegati.- Stava per rispondere ma furono interrotti dall’arrivo di due uomini: l’oste e il medico. –Ti sei svegliato, bene!- si sollevò il primo accomodando il secondo: un tipo alto, scuro in viso lo scrutò con sufficienza.-Buongiorno..- salutò cordialmente e senza spogliarsi prese una sedia e da una borsa nera e lucida tirò fuori i suoi strumenti.- … Buongiorno … -sussurrò quasi l’uomo con aria di rimprovero verso l’oste. –Non ho bisogno di un medico. – ribatté duramente Arthur.- Invece sì, dato il tuo attacco di cuore. Piccola, potresti spostarti? Grazie. Bene … -  cominciò quindi i  suoi controlli medici; lo fece spogliare in petto perché gli ascoltasse il cuore.- … mi dica mangia regolarmente? .. no? … Quante volte esce di casa? …. Il necessario uhm … Vive in un’abitazione calda? …. Non proprio? ….. Forte stress causato da … ? Oh, beh, è inutile continuare. Si ritenga fortunato della sua buona robustezza … Lei è malato di cuore.- aggiunse seccamente posando i suoi attrezzi. Cadde un silenzio pesante. Un sospiro da parte di Arthur.-“Questa non ci voleva.”- pensò rammaricato ma non poteva rinunciare alla sua promessa fatta.-Allora … devo proprio tornare in città.- concluse rivestendosi e mettendosi in piedi.- Assolutamente. Lei comunque dovrà stare al riposo almeno una notte prima di riprendere il cammino. E’ una forma leggera di malattia ma si aggraverà se si sforza oltre il limite.- lo disse con una nota di rimprovero.- Non c’è problema, allora … - concordò Arthur,- sempre che tu mi voglia far rimanere qui … - disse rivolgendosi all’oste. - Certo che si! Non sono mica un’ animale, io!- controbatté offeso l’altro.- La ringrazio per il disturbo.- Si figuri. La salute, prima di tutto.- Il suo migliore motto.- Appena arriverà in città venga a trovarmi per un altro controllo: le prescriverò un farmaco da assumere. Non voglio ritrovarmi un paziente morto stecchito. Arrivederci.-si congedò il medico uscendo a passo veloce.-Ma che figure mi fai fare!-esplose l’oste rosso in viso. - Temo di non aver altra scelta di farti rimanere …. Riposati per bene che non voglio avere problemi! -Poche chiacchiere … lasciaci soli per favore.- lo frenò Arthur lasciandolo con parole sospese.- Per oggi ne ho avuto abbastanza …. Voglio riposarmi.- aggiunse.- Tu …. – cominciò l’oste ma lasciò la frase in sospeso. Il suo sguardo cadde allora sulla piccola che per tutto il tempo era rimasta in disparte ad ascoltare senza capire.-Chi è quella bambina?- chiese avvicinandosi a lei e squadrandola dalla testa ai piedi.- … L’hanno abbandonata …. Credo di poter trovare qualcuno in città disposto ad accudirla … - mentì Arthur facendo però preoccupare enormemente la piccola che spalancò gli occhi dalla sorpresa. L’oste allora rise.- Arthur …. In tutti questi anni vedo che il tuo amore per i bambini non è cambiato.- scherzò con tono veritiero dandogli una pacca sulla spalla.- Potevi dirmelo anche prima …. –E tu ci avresti creduto?- Bè … non so, tutto ciò mi sembra ancora assurdo …. Ma sì, ti darò un po’ di fiducia. Mi auguro di non pentirmene. Bene, vi lascio.- e chiuse la porta alle sue spalle.-“Fiducia, eh?”- pensò l’uomo incrociando le braccia e sbuffando.-“Ma non sa tenere la bocca chiusa?”- E’ … vero quello che hai detto?- domandò Zella che rimaneva lì in piedi torcendosi le mani dallo sconforto. Solo in quel momento Arthur si rese conto dello sbaglio che aveva commesso.-No, stavo mentendo.- la rassicurò avvicinandosi e poggiandole una mano sulla spalla.-Cosa significa “mentendo”?-Non “mentendo” ma “mentire”. Ho detto una bugia, una falsa verità ma l’ho fatto per non suscitare sospetti.- La piccola però non accennava a calmarsi.-Dimmi … ora stai mentendo? Perché … io non capisco molte cose .. quindi … - gli occhi le pizzicavano già da un po’ per le lacrime che attendevano di scendere.- No, non fare così. Quante volte te lo devo ripetere?Io ho promesso di proteggerti. Pensi che ti avrei tenuta con me così facilmente? Non è semplice neanche per me. Proviamo entrambi dei dubbi, Zella, però voglio rassicurarti: di me ti puoi fidare.- e detto ciò la prese di peso e la posò sul letto. – Allora …. È vero quello che ha detto l’omone ?- Di cosa stai parlando?- Lei abbassò la testa.- Che … ami i bambini … è vero?- Silenzio. Arthur parve rifletterci un momento.-“A che serve nasconderlo, ormai? Il mio punto debole …” - confessò riprendendola per le braccia e alzandola in alto, all’altezza del suo viso.-Si, è vero …. Io amo i bambini! –Cogliendola alla sprovvista le diede un bacio sulla guancia per poi riposarla sul letto. Zella sorrise … e si illuminò. La sua luce scintillò per qualche minuto ma fu un momento interminabile per Arthur che la contemplava come un tesoro prezioso.- Tu scintilli ancora, quindi può esserci ancora speranza per te. – affermò accarezzandole una guancia.-“ E’ caldissima, ma è sopportabile.”- notò quando la luce scomparve.-“Anche se è una stella è pur sempre una bambina …. Peccato che non lo sia realmente. Dovrò fare molta attenzione d’ora in poi per non perderla.”- si ripromise stendendosi sul letto assieme a lei e ascoltando il rumore ovattato del silenzio unito ai leggeri scricchioli della finestra su cui il vento premeva. 

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Capitolo 7
*** Un nuovo amico ***


La mattinata era trascorsa nella noia per Zella e per Arthur. Avevano trovato dentro il cassetto di un tavolino un piccolo gioco fatto di  bastoncini  che, secondo le regole, dovevano essere sparpagliati a caso e pescati uno alla volta con un bastoncino senza toccare gli altri; vinceva chi riusciva a prenderne il maggior numero: per un’oretta impiegarono così il tempo ma, verso pomeriggio erano mortalmente annoiati. Intanto la tempesta che per tutto l’arco di tempo  aveva infuriato sul paesello andò scemando fino a che il cielo non si placò del tutto. – Voglio aprire la finestra.- disse Zella con un’ improvvisa voglia di aria fresca. Però non vi riusciva e continuava a tirare nella speranza di sbloccare la finestra. Arthur allora si alzò e con un sol colpo la aprì .- “Se avessi almeno un briciolo della sua forza ….”- si lamentò la piccola affacciandosi e sporgendosi con la testa. Ora, col vento che si era placato, l’aria risultava tiepida e immobile, e quell’aria si alternava a soffici fiocchi di neve che scendevano lenti.-Questa …. È la neve .- realizzò quasi subito, allungando la mano e raccogliendo un piccolo fiocco. Lo avvicinò a sé ma subito si sciolse e non ne rimase che un goccio d’ acqua. –“Bè, alla fine è pur sempre una stella,”- commentò tra sé Arthur spiando i suoi gesti-“quando la trovai la neve era tutta sciolta intorno a lei … se si riappropriasse del proprio cuore tornerebbe a illuminarsi e a riscaldarsi come prima.”- Detto ciò tornò ad osservarla come del resto faceva di solito da quando l’aveva incontrata. Zella guardò poi il cielo, coperto perennemente da nuvole grigie. Quanto avrebbe voluto vedere casa sua dal luogo in cui si trovava …. Anche se questo le avrebbe procurato dolore e nostalgia …. E pensare che stava così bene lassù in cielo. Non poteva sapere delle disgrazie che incombono continuamente nell’ombra e che tendono in agguato le loro vittime …. Abbassò lo sguardo ritenendosi appagata (poco) e questo cadde sulla strada innevata, ricolma di bambini come lei che giocavano nella neve. Ridevano, correvano, insomma si divertivano a modo loro. Per qualche interminabile minuto lì osservò avvertendo un strano sentimento crescere in lei: massi era una bambina e i bambini si sa …. Vogliono divertirsi.- Fammi scendere!- esclamò allora ad Arthur  con voce implorante ma velata da un urgente bisogno di smuoversi dalla noia. Esitò a rispondere: era un bene lasciarla libera per un po’?-Oh, ti prego!Prometto di non allontanarmi … - lo supplicò ancora. Ora saltellava fremeva dalla voglia di uscire fuori per giocare. Sospirò. – Fatti vedere almeno da questa finestra.- le raccomandò lanciandole l’enorme sciarpa e il cappello.-Ma se ti prendi un raffreddore non è colpa mia.- aggiunse quasi per farle cambiare idea. Come se avesse potuto!-Grazie, grazie!- lo abbracciò poi si fiondò giù per le scale. Per un paio di volte inciampò nella gente prima di ritrovarsi fuori all’aria aperta. Allargò le braccia e inspirò.-“ Già mi sento meglio!”-E correndo goffa nella neve raggiunse il gruppetto di bambini. Vide due che giocavano con la neve e se la tiravano addosso, ridendo e scherzando. –Posso giocare anch’io?- chiese timidamente ad uno dei due. L’altro la squadrò dalla testa ai piedi.-Ma sei una femmina! Non puoi giocare con noi maschi!-Già, già!- affermò il secondo incrociando le braccia.-Ah …. – Zella restò delusa.- Non fa niente. Ci sono delle bambine in giro?- chiese senza arrendersi.- No! Stanno chiuse in casa! Dicono che hanno freddo e vogliono stare al caldo! Torna a casa, femmina!-  le urlò di nuovo cacciando fuori la lingua.-Già, sennò ti copriamo di neve!Ah, ah!- Oh, si facciamolo!- concordò l’altro e stavano per tirarle una in faccia quando un bambino più alto dei due li precedette e li colpì alla testa.- Siete cattivi! Non si fanno queste cose a una bambina! Tutto bene?- domandò avvicinandosi e poggiandole una mano sulla testa.-Non ti preoccupare! Vuoi giocare con me?- la invitò sorridendo.-Si!- rispose la piccola sorridendo a sua volta.- Ehi!Non puoi giocare con una femmina! Non sa nemmeno come tirare una … - protestò il bambino precedente ma fu colpito da una altra palla di neve lanciata questa volta da Zella. – Ho capito come si fa! Adesso me la paghi!- esclamò e da lì parti una battaglia senza tregua che durò circa  un’ ora. Tutti correvano tra un riparo e l’altro per non farsi prendere di mira, alcuni formarono delle vere barriere a prova di colpi di neve. Finché non si stancarono e passarono a  giocare a nascondino e qui c’era chi era un vero esperto, soprattutto Zella che vinse più volte e dimostrò di essere una veterana.-Sei bravissima, bambina! Come ti chiami?- le chiese a un certo un punto il bambino che l’aveva aiutata.-Mi chiamo Zella.-rispose cadendo stremata a terra.- Io invece sono Alfred, piacere!- e si strinsero la mano. – Ti sei divertita?- Si, mi sono divertita tanto.- Bene..- disse soddisfatto sedendole vicino.- Dimmi, dov’è che abiti? Sei di queste parti perché non ti ho mai vista. – No, sono in viaggio con uno amico che mi ha offerto il suo aiuto. Sai, sono stata trovata nella neve.-Davvero?- si stupì Alfred.- Qualcuno ti ha rapito o ti sei persa?- …. Diciamo che mi sono persa. Il mio amico mi ha promesso di aiutarmi a tornare a casa e così ci siamo messi in cammino. - concluse lei .-Chi è il tuo amico? E’ un adulto?- chiese curioso.- Si, si chiama Arthur. E’ affacciato alla finestra lì all’osteria.- e lo indicò attirando l’ attenzione di quest’ultimo che nel frattempo fumava una sigaretta. Non le aveva staccato gli occhi di dosso per tutto il tempo.-Uh … fa paura! Se lo guardo mi si rizzano i capelli.- le confessò evitando lo sguardo di Arthur. Zella rimase perplessa.-Non capisco perché ti fa così paura ….  Lui è buono e gentile.- ribatté rialzandosi.- Bah, se lo dici tu … - scrollò lui le spalle.- Bambini, tornate dentro!- esclamò una donna sulla soglia di casa e con il loro disapprovo tornarono salutandosi ognuno nelle proprie case.-Peccato, già dobbiamo rientrare!- si lamentò Alfred rialzandosi.- Un’ultima cosa. Dov’è che sei diretta?- Ad est, in Città.- gli rispose- Lì potrò trovare ciò che cerco e tornerà come prima, almeno credo.- In Città …. Ma …. – esitò con tono incerto il bambino.- Le persone lì …. Sono cattive.-Eh? Cattive? Cosa intendi?- chiese non capendo. Ma lui scosse la testa. - Bè è semplice: non sono gentili! Sono dei gran maleducati! Guai a parlargli senza prima salutare con educazione. Già, già! Gente scortese.- Mentiva. Zella lo aveva capito ma lasciò perdere. Non era di certo la prima volta che lo sentiva … - Alfred, cosa fai ancora fuori? Entra subito!- lo rimproverò la donna sul punto di venirlo a prendere di persona.-Ohi, ohi … devo andare! Ciao, Zella!- Ciao anche a te!- Avanzò di qualche passò. Si fermò e torno indietro ricordandosi di dirle una cosa importante.- Stanotte … il cielo sarà limpido e si potranno vedere le stelle! Ti va di incontraci per guardarle assieme?- Va bene.- mormorò impercettibilmente e con questo Alfred si allontanò. Un tuffo al cuore. Le stelle, sue consanguinee Chissà che emozione avrebbe provato ad affacciarsi nel ventre materno da cui era nata ma da cui era stata strappata via con forza.-“Non vedo l’ora.”- pensò emozionata rientrando dentro anche lei. Passò qualche ora e il buio fu completo. E il cielo, limpido come l’acqua.
-Vuoi vedere il cielo? Insieme al tuo nuovo amico?- più che una domanda quello era stupore.-Si …. Io non l’ho mai visto, quindi … ah, ma che dico! Io ci sono nata, ah,ah! Insomma lo rivedrò ma da esterna, purtroppo.- Un’altra morsa che le stringeva il petto. Questa volta faceva male.- Ne sei sicura? Non soffrirai così?- Perché? Io sto bene.- disse facendo finta di nulla.- E allora, quando?- Fra poco. Devo prepararmi ad uscire fuori.-Ti accompagno.- Non c’è ne bisogno, almeno credo. Starò vicina.- lo rassicurò infilandosi le scarpe.- Tu … lo sai che sei cresciuta?- Eh, non credo, sono ancora piccola.-Non intendevo dire quello. Pian piano stai maturando e mi fa piacere.- confessò accennando a un breve sorriso.- Non fare tardi.- le raccomandò davanti alla porta della camera.-Tornerò presto.- e lo salutò scendendo di nuovo giù per le scale. Raggiunse l’atrio semi-vuoto. Probabilmente i clienti stavano già dormendo.-Esci di nuovo?- notò l’oste dietro al bancone mentre asciugava alcuni bicchieri.-Si, buonasera!- Sta attenta per la strada.- E uscì di corsa percorrendo la strada innevata.-“Brr, che freddo! Si congela!”- commentò fermandosi davanti a una casa a una quarantina di metri e sfregandosi le mani. La neve scendeva lenta e i fiocchi che le erano caduti in testa luccicavano come piccoli gioielli. Si impose di non guardare assolutamente il cielo prima di essere da Alfred anche se non stava più nella pelle per quel momento tanto atteso quanto segretamente desiderato. Bussò alla porta e le aprì una donna che si supponeva essere la madre del bambino.-Ah, sei Zella, giusto? Alfred mi ha parlato di te. Su, entra!- e la fece accomodare all’interno accompagnandola su per le scale. Entrarono in un piccolo corridoio e fece entrare la bambina nella stanza del bambino.- Zella! E’ bello che tu sia qui!- e la abbracciò con grande agitazione.- Non vedevo l’ora che arrivassi!- Anch’io!- Entrambi fremevano di gioia.-Vi lascio soli. Non rimanete troppo fuori, mi raccomando!- li avvertì la madre tornando giù.-Dai, seguimi!- disse a Zella prendendola per la mano e percorrendo un’altra rampa di scale che portò a una botola in legno.-Sei pronta? Lo vedrai proprio davanti ai tuoi occhi.- la avverti Alfred tenendo la mano sulla maniglia.- Si. - rispose deglutendo. E spingendo aprì la botola. Una sferzata di vento, il luccichio della luna e un buio sovrastante. Il cielo. Zella spalancò gli occhi: dall’emozione le si era mozzato il respiro. Una miriade di stelle popolava quel manto blu scuro e luccicavano straordinariamente tutte insieme. Sembravano tante piccole luci accese nell’oscurità; tese le orecchie ma non sentì nulla se non il lieve passaggio del vento che le raggelò il viso. Non se ne preoccupò, non pensava a nient’altro che a quel cielo così grande, così incantevole da non poterci essere parole per esprimere il sentimento provato:gioia, tristezza, dolore, nostalgia, calma …. Emozioni come queste si succedevano in lei percependone fino in fondo all’animo e assaporandone ogni attimo.-E’ bellissimo non è vero … oh … Zella?- la chiamò lui ma lei non rispose. Chiuse gli occhi. E un gran calore si diffuse in tutto il suo corpo, scaldandola e non provando più freddo, né tristezza, né dolore: pensò di essere a casa, ancora chiusa nei suoi sogni a volteggiare in vuoto caldo e soffice (se fosse stato palpabile) assistendo alle solite nebbioline color ocra che la trapassavano e prendevano forme più strane, forme che non conosceva ma che la divertivano parecchio. Poi una voce profonda e nostalgica ma di una dolcezza toccante cominciò a parlarle rassicurandola. Non capiva cosa stesse dicendo eppure le sembrava così familiare e parve che la abbracciasse teneramente accarezzandole alla testa … Delle lacrime allora le solcarono il viso e si abbandonò ad un pianto triste che non avrebbe compensato quel calore ormai scomparso e lontano come le stelle che stava ora osservando. Cadde in ginocchio a terra e rannicchiatasi su se stessa continuò sommessamente distogliendo lo sguardo da un’immagine decisamente dolorosa. –Cosa ti prende? Perché piangi? Fai piangere anche me, sai?- disse preoccupato Alfred prendendole le mani.- Non devi piangere davanti a una cosa così bella! E’ motivo di gioia per noi tutti! Per che cosa piangi?- Non voleva dirglielo. Voleva solo dimenticare tutto quanto e tornare in cielo a splendere, solamente questo e non conoscere più nulla per non soffrire. perché a quanto aveva capito, più qualcuno conosceva, più aveva motivo di stare male, per certi versi.-“Ma ho conosciuto Arthur e Alfred per causa dell’Odio. Non posso stare rimuginare sul mio dolore.”- rifletté smettendo di piangere.-“Anche perché … se non mi sbrigo a trovare il mio cuore … morirò e penso che questo sarebbe ancora più doloroso.”- Riaprì gli occhi e aiutandosi da Alfred, si rimise in piedi.-Poverina, ti manca casa tua? Non bisogna essere tristi! E’ in questi momenti che bisogna essere forti!- la consolò stringendole le mani. – Le persone così possono rimanere con i piedi per terra e non cadere nel dolore, capito?- Si … -mormorò sfregandosi il viso.-Va meglio,grazie.- Bene! Sai … sono l’unico qui in paese ad avere interesse per le stelle. Sapessi come sono stato contento di vedere sfrecciare in cielo una stella cadente quasi un mese fa!- Un mese fa … ?- si incuriosì Zella. Forse si stava riferendo a lei. –Esatto e se non sbaglio era diretta verso ovest! Peccato che fosse di passaggio …. Brillava di una luce scintillante … Proprio come i tuoi occhi!- Indicò le iridi della bambina per qualche secondo.-Un momento, posso vederli meglio?- le chiese avvicinandosi.- … Si … -mormorò perplessa mentre lui la osservava.-I tuoi occhi mi sembrano familiari … come quelli di una stella … - rifletté sgranando i suoi in uno sguardo indagatore.- Ecco … io … - Nah! Scusami mi sono lasciato prendere dal momento … - disse distogliendo lo sguardo e rivolgendolo di nuovo in cielo.- Da grande vorrei fare l’astronomo.- affermò con gli occhi che luccicavano.- Non importa se ci vorrà tempo o forse mi sarà impedito perché non posso permettermelo … Non mi arrenderò e lotterò fino alla fine per diventarlo. Proprio come mio padre … già … - bisbigliò piegando la linea delle labbra in giù.- Lui dalla guerra …. Non è più tornato.- Cos’è la guerra?- chiese Zella non capendo.- I grandi sono troppo stupidi e non vogliono condividere nulla con gli altri per paura. Sono peggio dei bambini.- disse soltanto scuotendo il capo.-Non farò lo stesso errore di mio padre … nessuno dovrà obbligarmi a fare qualcosa che non mi piace.- Un’altra sferzata di vento. Zella rivolse anche lei lo sguardo su nel cielo.-Vorrei poter farmi vedere quaggiù da mio padre … sai … lui ora è in cielo.- Beato lui.-commentò la bambina. Silenzio.- Se posso ti aiuto.- disse lei distanziandosi qualche metro da Alfred, giù di morale.- E come?- domandò non capendo cosa volesse fare. Zella chiuse gli occhi. Si concentrò più che poté. Ripensò a quei momenti di calore provati e si illuminò risplendendo nell’oscurità. I capelli svolazzavano al vento e nulla era più luminoso di quella stella, caduta per sbaglio sulla Terra.-Sei tu?- chiese Alfred guardandola splendere e non credendo ai suoi occhi. La piccola gli volse uno sguardo dolce e pieno di calore.-Si!- rispose sorridendo.- Sei una stella, che bello! Ho una stella come amica!- esclamò con voce rotta dall’emozione abbracciandola.-Mi fai male!- si lamentò Zella cercando di liberarsi dall’abbraccio.- E’ il giorno più bello della mia vita!-  affermò baciandola sulla guancia.-Vuoi sposarmi?- Che?!- sbottò lei liberatasi dall’abbraccio.- Rimani qui con me, ti prego! Ti accudirò io e starò sempre insieme a te. - le disse prendendole le mani.-No, non posso …. Scusami … devo andare!- e scappò via smettendo di illuminarsi.-“E io che volevo fargli un favore! E poi che significa” sposami”?”- Aspetta!-la rincorse Alfred ma Zella stava già aprendo la porta.-Non posso rimanere!- ribatté lei uscendo fuori e sbatté contro un uomo. - Si che puoi … io …. –ma si bloccò vedendo una figura sovrastare davanti alla soglia di casa. Era spaventoso: lo scrutava da quell’unico occhio lanciandogli uno sguardo di minaccia. –Andiamo, Zella.- borbottò Arthur trascinandola letteralmente per la via. Alfred cadde a terra: era quasi morto di paura nel guardare quell’uomo imponente che lo aveva annientato con un solo sguardo.- Arthur? Non dovevi rimanere a letto?- chiese preoccupata Zella.- Non è questo il problema … - cominciò Arthur biascicando.- Non rivelare mai ad altri la tua identità, è pericoloso! Capito?- la sgridò stringendola con più forza la mano. - Quel bambino non ti conosce né può aiutarti in qualche modo e poi l’indomani dovremo andarcene da qui.- continuò sospirando.-Ma che ti passa per la testa? Hai rischiato molto, lo sai?- Perché …. – Non voglio sentire scuse. La prossima volta ci penserò su due volte prima di lasciarti da sola!- sentenziò rientrando dentro l’osteria tenendola ancora per la mano e portandola su in camera.- Ah … - gemette l’uomo sbattendo a terra con le ginocchia e portandosi una mano al petto. Non riusciva a respirare. –Che ti prende? E’ un altro attacco!- si allarmò la piccola.- Vado a chiamare l’oste … -No, ora sto già meglio.- disse afferrandola per una braccio.-E’ passato.- aggiunse tornando a respirare.- Andiamo a dormire: dobbiamo svegliarci presto domani.-concluse sedendosi sul letto e spogliandosi. Non ci furono più parole dette né discussioni quella notte.

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Capitolo 8
*** Brutte sorprese ***


La mattina seguente i raggi del sole brillarono dalla finestra e richiamarono l’attenzione di Zella che aprì gli occhi e portò su una mano per ripararsi dai tiepidi raggi.-Alzati che andiamo a fare colazione.- disse Arthur richiamando l’attenzione della piccola. Facendo un piccolo cenno con la testa scese dal letto e si vestì più in fretta che poté, stando attenta a non incappare nello sguardo dell’uomo che anche lui cercava di evitare. Era la prima volta che Zella veniva sgridata e provava un certo disagio e pentimento per la sua piccola imprudenza.-“Dovevo stare più attenta …  Cosa sarebbe successo se si sarebbe sparsa la voce poi?”- mentre scendeva le scale rimuginava ancora su questo e nel frattempo gli altri ospiti raggiungevano man mano l’atrio con il solito e rumoroso chiacchiericcio.-Ben svegliati!- li salutò l’oste intanto che serviva ad altri la colazione.-Ehi, tutto bene?- chiese avvicinando Arthur.- Bene, bene.- rispose facendo un gesto veloce della mano come per evitare il discorso.-Il solito musone … dai che ti serve un caffè.- e gli porse una tazza fumante che sorseggiò lentamente.-Per te un po’ di latte ti ci vuole.- affermò rivolgendosi a Zella e preparandogli una calza tazza di latte.-Guarda che ti ho aggiunto anche un po’ di caffè così ha più sapore.-e gli porse la bevanda con una fetta di pane fresco che lei guardò con fare interrogativo.-Latte? Che cos’è?- chiese bisbigliando per paura di farsi sentire da Arthur.- Certo che sei strana. Bevi e sentirai com’è buona.- bevve a piccoli sorsi e gustò il sapore dolce del latte con quello amaro ma addolcito del caffè.-E’ buono!- esclamò sorridendo e addentando il pane.-Visto?- disse l’oste versando caffè ad altri.-Ora che ci penso non ti ho mai fatto mangiare un dolce.- realizzò Arthur voltandosi e guardandola negli occhi; cosa che le fece andare di traverso un boccone e dovette battersi sul petto per farlo scendere.-Un … dolce? E’ buono?- chiese allora con un po’ di imbarazzo. Arthur stava per risponderle quando d’un tratto sentì una mano battergli dietro la schiena in segno di saluto; cosa che gli fece quasi rovesciare il contenuto della tazza per terra.-Riprovaci e ti stendo a terra.- borbottò l’uomo girandosi.-Oh, scusami, non era mia intenzione … Cos’è? Abbiamo passato la notte in bianco? Guarda quella faccia … - commentò l’altro intanto che rosicchiava del pane con del burro. - Andrè … ci mancavi solo tu. - sospirò dandogli le spalle.- Non offendermi così … dopotutto siamo amici … - dichiarò offeso voltando la testa.-Ti rammendo che ora siamo in cattivi rapporti quindi non incominciare!- ribatté Arthur.-Lui è sempre in cattivi rapporti con me … che tristezza, non è vero?- bisbigliò Andrè a Zella.-Ehi!- si arrabbiò l’altro.- Ma lui è gentile con me. – Questo perché è tuo padre … -Non sono suo padre … - lo corresse Arthur avvicinandosi.- Stai cercando di farmi arrabbiare?- Non più di quanto io abbia intenzione.- Se devi dire qualcosa dimmela adesso.- In privato.- aggiunse Andrè invitandolo in un angolo a parlare.- Scusami un momento Zella.- disse congedandosi dalla piccola assai curiosa del rapporto tra i due uomini.-Sai loro sono amici.- intervenne l’oste intuendo i suoi pensieri.-O meglio lo erano … Uno è astronomo l’altro era orologiaio, non sembra ma sono più affiatati di quanto immagini.- Amici? E’ successo qualcosa tra loro?-Non sono la persona più indicata per discutere di ciò … chiedi ad Arthur.-le consigliò tornando di nuovo ai suoi clienti.-“Un’ orologiaio? Che cos’è un orologiaio?”- si chiedeva grattandosi la testa.-“E’ così strano questo pianeta … sembra che qui tutti abbiano solo ed esclusivamente problemi.”- su questo non poteva che avere ragione.-Sta attento.-lo ammonì Andrè con una nota di preoccupazione nella sua voce. Era l’unica frase che ora Zella era riuscita a sentire. Arthur chiuse gli occhi e inspirò.-Che mi tocca fare …. Mi chiedo se ci sia un modo per … - meditò per qualche istante arruffandosi i capelli e aggiungendo qualcos’altro, senza che la piccola lo sentisse. Mise il broncio. Perché lui la teneva sempre lontana dalle sue questioni personali? Ogni volta che usciva fuori qualcosa di Arthur, tendeva a nasconderla e diventava assai brusco e cupo.-“Che facendo così voglia solo proteggermi? Ha forse paura che io scoprendo la verità  ne abbia paura e scappi via lontano da lui? No, no … Non lo farei mai. Posso avere fiducia in lui, lo sento …. Questo dovrebbe chiamarsi sesto senso, se non sbaglio.”-meditò  Zella richiamando alla memoria una nuova parola che aveva appena imparato, assieme a tante altre. Si sentiva soddisfatta di ogni piccola impresa riuscita poiché ne riconosceva il buon uso fatto. La gratificava proprio tanto … -Zella!- la chiamò Arthur facendola sobbalzare.-Dobbiamo andare. Hai finito di mangiare?-Eh … si!- rispose.-Eh, ma come già ve ne andate?- si lamentò Andrè.-E pensare che ci eravamo da poco incontrati, vero vecchio amico?- Arthur era al limite:avrebbe fatto meglio a stenderlo con un pugno o con un calcio?-Togli le tue mani dalle mie spalle altrimenti …. –Oh, pardon Arthur.-e tolse via le mani temendo il peggio.-Vorrà dire che ci rivedremo in Città ammesso che tu riesca ad entrarvi. Come ti ho già detto, non ci sarà nessun benvenuto per te, all’arrivo. E mi raccomando, attento per la strada. E ora se volete scusarmi, ho delle commissioni da svolgere.-detto ciò, indossò un cappello, li salutò con un piccolo inchino e uscì fuori dall’osteria velocemente seguito poi dal compagno di viaggio che prima di andarsene sussurrò ai due “Buona fortuna.” Ne avrebbero avuto bisogno, almeno per il viaggio che si apprestavano ad affrontare.-Quanto ti devo?- chiese Arthur all’oste cercando di essere gentile. L’altro restò di stucco.-Come scusa?Tu non mi devi niente! Consideralo un regalo … - il sonoro tintinnio delle monete riversate sul bancone interruppero le parole.-Tieniti il resto. Addio.- lo salutò uscendo dall’ingresso.-Aspetta! –gli urlò appresso l’oste senza modo di fargli cambiare idea.-Dannazione, non farti scoprire da loro!- lo ammonì anche lui a più non posso suscitando la curiosità e gli occhi della gente. L’oste si irritò.-Che avete da guardare? Tornate a mangiare se non volete che vi cacci via!-  E di colpo gli sguardi tornarono sui propri piatti.
L’aria tiepida del mattino aveva attirato molta gente fuori per le strade: uomini che camminavano, discutevano per le vie a grandi passi e che preparavano carri per trasportare merci in città vicine; donne che varcavano l’uscio delle proprie case per andar a comprare da mangiare e bambini che correvano e si divertivano giocando con la neve, contenti di non andare per l’ennesimo giorno a scuola, dato il periodo delle vacanze concessogli. Insomma, già di prima mattina il paesello gremiva di gente, ognuno con il proprio daffare ed era in quel mentre che attraversavano le vie Arthur e Zella, il primo col suo solito sguardo non curante e la seconda un po’ malinconica per il suo nuovo amico che d’ora in poi non avrebbe più rivisto: Alfred. –“Come faccio adesso? Non l’ho neppure salutato …. E pensare che è il mio primo amico … ma se dovessi ritrovarmelo qui davanti a me ad Arthur non farebbe piacere …. Immagino già la faccia che farebbe: scuro in volto e con gli occhi stretti come due fessure lo caccerebbe via in malo modo … “- e mentre ci rimuginava sopra aguzzò lo sguardo in avanti e con suo grande stupore vide la sua figura correre nella sua direzione. Ma guarda un po’ se non l’aveva chiamato! – Zellaaaa!- urlò a squarciagola Alfred a braccia tese verso lei. Quando si fermò aveva il fiatone. –Non … andartene … senza …. salutarmi … -ansimò lui cercando di riprendere fiato. Ed ecco che quello sguardo apparve sul volto di Arthur, peggiore di quanto Zella avesse immaginato.- Dobbiamo andare, sbrigati!- tuonò Arthur irritato. Era parecchio scorbutico quella mattina!-Oh … subito signore! Voglio chiederti scusa per ieri sera …  le tue parole mi hanno reso felice … quindi …. Spero di rivederti presto!Ciao, ciao!- Era rosso in viso ma da come le sorrideva era felice di averla rivista, almeno per l’ultima volta. –Ciao, ciao!-lo salutò Zella mentre si allontanava. Buon viaggio!Buona fortuna!- aggiunse Alfred da lontano intanto che entrava in una viuzza ai lati della strada principale.-“Addio piccola stella, spero di rivederti presto e grazie per aver illuminato la notte per me … è un peccato non averglielo detto … quell’uomo mi da i brividi … chissà dove andranno e cosa faranno … ma sì aveva detto che andava in Città! Forse così potrò rivederla!”- pensò contento della possibilità che gli si offriva.-“Un’amica così … io non la voglio perdere!”- E risoluto andò di fretta dalla sua madre per chiedergli il piacere di portarlo il più presto possibile in Città: l’avrebbe di sicuro incontrata … -Mamma, mamma! Mi porti in Città, uno di questi giorni?- Come?!- sbottò la madre indaffarata in cucina.- Hai la zia lì che devi andare a trovare, vero? Perché non porti anche me? – Ma che ti prende, Alfred? Non ti è mai interessato andare in Città! E poi … non credo di partire più per la visita a mia sorella …. – affermò abbassando di poco lo sguardo.-Perché, ti prego è importante! Ti ricordi quella bambina che ho portato qui, Zella? E’ partita per raggiungere la Città e vorrei vederla un’altra volta … - Non puoi perché il passaggio principale per entrare è stato sbarrato agli estranei e alle località vicine.- Sbarrato?- ripeté Alfred preoccupato. La madre sospirò.- I soldati al comando dello zar stanno pattugliando la zona circostante per un possibile attacco del Nord.-spiegò la madre mentre tagliuzzava alcune carote.- Non so cosa abbia scatenato ciò ma la zona è vietata a chiunque cerchi di oltrepassarla e di entrare in Città. Coloro che vi entreranno saranno colpiti a morte.- disse tutto d’un fiato asciugandosi una piccola lacrima che le colava dal viso. - Dovresti saperlo, gli ordini dello zar sono assoluti: il tuo povero padre se ne è andato per il solo motivo di non aver eseguito gli ordini.- E alzando lo sguardo si rivolse al figlio che alla notizia rimase stordito e impaurito.-Un momento, ma la tua amica sta andando proprio in città! Oh, cielo … - Zella, no!-urlò a squarciagola il bambino uscendo per la strada e correndo a più non posso per raggiungere l’amica prima che commettesse uno sbaglio madornale.-“Finirà per farsi uccidere! Devo trovarla!”- Ma per quanto corse e per quanto si allungò al di fuori del paesello in direzione della Città tutto risultò vano: forse avevano preso una strada diversa …. – Zella, no! Torna indietro! Salvati!- la sua voce sembrò un eco diramarsi per molte miglia ma non vi fu risposta. Il vento gelido soffiava lievemente. Ed ecco che due calde lacrime solcarono il viso del piccolo a cui vi si abbandonò cadendo sconfitto a terra.-“Non la rivedrò mai più!”- pensò a malincuore avendo perso una preziosa amica.
Il sole quel giorno picchiava forte sulle teste dei due viaggiatori; l’aria era umida, il vento placato e il cielo spennellato di celeste. La neve si era parzialmente sciolta e i piedi affondavano facilmente  nel terreno intriso d’acqua. In queste condizioni i due viaggiavano, pensosi, senza, come al solito dirsi nulla: ben si intendevano però con gli sguardi che si lanciavano a volte senza farsi notare. Era estenuante non parlarsi ed ancor di più non trovare niente di cui parlare. In fondo per varie circostanze il destino li aveva uniti e insieme dovevano ritrovare al più presto il cuore di Zella. Quanto tempo le rimaneva da vivere? Dov’è che si trovava precisamente il suo cuore? E se qualcuno l’avesse trovato nel frattempo? Sarebbe stato il peggior imprevisto, una perdita mortale per la piccola. Tutte le loro domande potevano trovare risposta solo in Città. Proseguendo in una landa desolata verso il pomeriggio arrivarono presso i limiti di un piccolo bosco sempreverde: precedeva un’estesa pianura che a sua volta precedeva la Città; tra un giorno o due sarebbero arrivati a destinazione. Il bosco comprendeva una piccola e mista vegetazione. Si partiva infatti con pini dall’odore acre fino ad arrivare a cespugli e alberelli di vario genere. Nascosti, dietro a questi ultimi vi erano delle erbe speciali, in parte sepolte dalla neve ed emanavano un forte profumo.-Come va la tua ferita?- disse con tono deciso mentre con un piccolo coltello estratto dalla tasca recise alcune foglie. Ecco, così si poteva cominciare un buon discorso. –Bene, non sento dolore, ma a volte pizzica la ferita.- gli rispose Zella osservando la flora intorno a sé, la prima che avesse mai visto. Arthur a quelle parole non mostrò alcun tipo di reazione ma in cuor suo sapeva che non era cosa da poco avere una ferita così grave per un essere umano. In quel caso si trattava di una stella.- Ti chiedo scusa, avrei dovuto medicarti più volte durante questo tempo .. ma non ne ho avuto la possibilità, quelle erbe che ho utilizzato per te erano ormai finite e …. Io …. – non sapeva come continuare, come spiegare quei suoi atti da lui chiamati maldestri e irresponsabili.-“ Sarebbe potuta morire e potrebbe succedere anche adesso se non faccio un cambio di bende immediato!”- pensò amareggiato. Aveva raccolto abbastanza erbe; sfruttando la neve semi scolta e con l’aiuto delle sue mani schiacciava l’insieme cercando di ottenere un impasto molle e compatto. La sua era un’espressione velata di preoccupazione e Zella dal canto suo non poteva fare altro che seguire i suoi movimenti trattenendo il fiato.-“Si sente in colpa …. Ma sarà così grave … ?”- Si guardò in petto stringendosi nelle spalle. -Riflettendoci bene giorno dopo giorno sento affievolire le mie forze …. non posso impedirlo né attardarlo …. E la nostalgia cresce … - Hai detto qualcosa Zella?- domandò Arthur percependo un lieve brusio.-No, niente.-“Accidenti a me che parlo a voce alta! Non devo farlo preoccupare!”- I raggi poco soffusi del sole inondavano la pianura del colore arancio e il freddo cominciò a risalire. La medicina intanto era pronta: doveva far presto prima che fosse calata del tutto la sera. - Spogliati, Zella.- le ordinò Arthur girandosi con l’impasto pronto. Zella ubbidì e rabbrividendo dal freddo si tolse velocemente l’enorme sciarpa, la giacchetta e infine la camicia .-Farò presto.-la consolò con gentilezza sfilando le bende dal petto. Una volta tolte poté constatare le condizioni preoccupanti della ferita: il sangue era grumoso, la ferita orribilmente lacerata si apriva in una specie di incavo ripieno delle vecchie erbe ormai secche e inutilizzabili. Mosso dalla compassione tolse via il vecchio per far posto a quello nuovo, spalmandoglielo delicatamente all’interno e ai bordi dell’incavo. Completò il tutto con delle bende di lino (cosa avrebbe dato per poterne avere delle altre!) e rivestì in fretta la piccola. –Ho finito.- disse concludendo la medicazione e prendendole il volto far le mani: il suo corpo tremava fortemente dal freddo. Appariva molto abbattuta e sofferente e calde e grosse lacrime inondavano il suo viso contratto in una smorfia di dolore. –Va tutto bene adesso, ci sono io qui. Rilassati.- cercò di tranquillizzarla Arthur compatendola e capendo perfettamente le sofferenze che provava: anche lui aveva infatti un grosso buco, grondante di sangue, nel petto che era impossibile risanare e il suo piccolo incavo dove vi era molto tempo fa il suo occhio sinistro. Quanto avrebbe dato per riavere il suo occhio! –“Queste ferite rimarranno finché esse saranno legate ai miei ricordi …. “- L’ oscurità era quasi completa e del sole rimanevano solo dei deboli raggi rossastri. Uno spettacolo a dir poco stravagante e leggermente inquietante facevano da sfondo alla landa desolata. L’aria era fredda e immobile e piccole stelle cominciarono a far capolino nel cielo.- Stelle!-esclamò Zella indicandole col dito, intanto che aiutava Arthur a trasportare qualche ramo raccolto dagli alberi con le fronde raggiungibili. Arthur non rispose osservando semplicemente per pochi secondi quel lieto spettacolo. Gettarono la legna a terra e con dei piccoli fiammiferi accesero un modesto fuocherello. Si scaldarono e mangiarono in silenzio una razione di pane che Arthur ha avuto premura di portare con sé. Poco, insoddisfacente lo finirono presto nonostante lo masticassero lentamente; Arthur poi prese delle coperte (aveva infatti portato uno zaino consunto dove aveva potuto mettere delle cose offerte dall’oste) e coprì con una la piccola in modo che non avesse più freddo: non era facile riprendersi dal trauma del dolore infertole. In breve stanchi e assonnati, si addormentarono. Il buio inghiottiva tutto tranne per quella zona  dove il fuoco rimaneva acceso .-“Saremo protetti al buio da qualsiasi nemico?”- si chiese Arthur riaprendo gli occhi. Doveva rimanere sveglio. Doveva proteggere l’unica luce che gli era rimasta. Teneva in pugno il fucile. Il suo occhio vigilava e le sue orecchie erano tese all’ascolto. Il vento scuoteva leggermente gli alberi. All’improvviso un fruscio, proprio lì, dietro un cespuglio. Arthur scattò in piedi e in un attimo raggiunse il cespuglio. Non c’era nessuno. -Ma che diamine. .. –cominciò col dire ma un altro fruscio alle spalle lo sorprese e si ritrovò steso a terra colpito alla testa da un arma da fuoco. Non avendo perso ancora la conoscenza si voltò e un espressione di paura gli si dipinse sul volto. Un uomo  o meglio un soldato delle guardie dello zar teneva alla gola la piccola la quale riconobbe subito chi fu. Era il mostro. –Eh, eh,eh …. Ti ho trovato mia piccola stella. Non mi sfuggirai più. -sussurrò con quella solita voce rauca e guardandola con quegli occhi neri e pieni di morte. Aveva quasi voglia di piangere. Quasi.

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Capitolo 9
*** Il principe solitario ***


-“Devo rialzarmi in fretta, prima che la uccida!”- pensò Arthur tenendo una mano sulla ferita dietro la nuca e cercando di rimettersi in piedi. La testa pulsava dal dolore e gli girava dallo sforzo. –Eh,eh,eh … stavolta non riuscirai a fermarmi, morirai a breve sotto il peso del tuo stesso sforzo!-esclamò il mostro scoppiando in un’enorme risata. Zella rimase senza parole impietrita dalla paura e nella testa il rimbombo di quelle parole.-Ma guardati non puoi nemmeno reggerti in piedi! Hai gettato via i tuoi anni senza pudore non accorgendoti dell’enorme malessere che hai fatto crescere in te. Piegati al dolore e implorami di risparmiarti!-No mai!- urlò lui con un filo di voce alzandosi e ruzzolando subito a terra, rialzandosi e candendo di nuovo, sotto il peso del suo cuore che in quel momento gli giocò un brutto scherzo.- Arthur … - mormorò soffocata dalla mano dell’uomo Zella, tentando invano di liberarsi.-Eh, eh, eh … prima di fare fuori lui pensiamo invece a te, mia piccola stella … Da quanto tempo è che non ci vediamo mh?-Disse con parole spregevoli aumentando la presa sul suo sottile collo. –Non vedo l’ora di mangiarti, è questa la mia unica intenzione.- Sarebbe morta tra le sue fauci se non avesse fatto qualcosa! Zella ripensò ai due primi incontri che ebbe con il mostro: e pensare che l’avrebbe potuta uccidere fin dall’inizio se se non avesse reagito illuminandosi … -“Forse questo … potrà salvare me e Arthur!”- gli balenò in testa questa idea immersa com’era in un una specie di trans. Arthur cercava di rimanere lucido in preda a forti dolori che lo disanimavano.-“Devo reagire, devo proteggerla!”- si ripeteva tentando e riprovando ancora e ancora a rialzarsi in piedi.-Facciamola finita adesso!- esclamò il mostro emettendo la sua sentenza di morte per infliggerle il colpo di grazia. Zella allora si concentrò, si sforzò di raccogliere quelle poche energie che le erano rimaste.-“Non funziona, non ce la faccio!”-Non emetteva luce. Smise di respirare. La vista gli si appannò. Si sentì persa. Sarebbe davvero finita così, per mano dell’Odio? Non si oppose più, doveva calmarsi, allontanare la mente. Chiuse gli occhi e iniziò a rintracciare la scia l’energia che emanava il suo cuore. Come aveva fatto a non pensarci prima? Vicino com’era ne poteva usufruire! Raccolte quindi le energie si illuminò, scaraventando la bestia contro un albero vicino. Svenne. Quel calore e quella luce  non gli avevano lasciato il tempo di dire o fare altro. E la stella brillava della sua energia, recuperando le forze e sentendosi forte, sicura. Quasi come se fosse il Sole. E in fondo il Sole non era pur sempre una stella?-Zella … Zella … -biascicò Arthur perdendo i sensi, abbagliato dalla luce. –Arthur!- esclamò la piccola avvicinandosi a lui e tirandolo su. Questi allora si riprese immediatamente. Che gioia fu per Zella! Era riuscita a salvarlo passandogli parte della sua energia.-“Come sono felice, adesso tocca a me aiutarti.”- affermò decisa ed entrambi tenendosi per mano corsero fuori al boschetto attraversando la landa desolata nella notte. Zella sembrava un fulmine a quella velocità. Se qualcuno avesse potuto notarla dall’alto avrebbe intravisto solo una striscia di fuoco attraversare la neve.-“Che potenza!”- commentò Arthur strabiliato da come riuscisse a mantenere il passo. Ma non era lui, era Zella che lo stava guidando.-Dove dobbiamo andare adesso? Dimmelo non c’è tempo  o il mostro ci inseguirà!-Mantieniti verso sinistra fino a finché non incontri un alto muro. Dirigiti poi verso il primo boschetto che vedrai!- spiegò Arthur supponendo che a quella velocità avrebbero di gran lunga superato la vista delle guardie dello zar. Ma il percorso che dovevano percorrere era molto lungo e sarebbe durato per l’intera notte. Per quanto Zella avrebbe resistito?
Parallelamente a quanto stava accadendo …
Le tende azzurrine fluttuavano prese da un vortice d’aria. La serata si presentava fresca, con un cielo limpido senza nuvole dalla vista del balcone del grande palazzo.-“Una serata perfetta per guardare le stelle.”- constatò un ragazzo il cui volto nascosto dalle tende ondeggianti trapelava un mite sorriso. Per tutto il giorno, in veste di comandante delle guardie aveva marciato tutto il perimetro circostante alla Città per controlli e difesa da un presunto attacco nemico. Il che non era poco probabile.-“Almeno tre piccole armate hanno provato ad entrare senza successo.”- ricordò il ragazzo stiracchiandosi e sbadigliando. Nonostante avesse sonno non voleva perdersi quello spettacolo per nulla al mondo.-“Potrebbero togliermi tutto tranne la vista di un cielo notturno, l’unica cosa che mi da motivo di serenità, il mio prezioso tesoro che possiedo il cui valore è inestimabile.”- Appoggiato alla balconata si godevo lo spettacolo a mento in su, stranito da quel motivo di gioia. Lo facevano sentire libero, dimenticava la solitaria esistenza tra le quattro mura di cui si sentiva prigioniero.-Preferirei essere povero ma felice con persone che mi amano e mi rispettano piuttosto che essere ricco ma infelice con persone che ti disprezzano e per le quali non provi affetto.- D’un tratto, ricordandosene, trasse dalla tasca un piccolo oggetto luminoso. Scintillava nella luce della luna e delle stelle. – Com’è strano questo oggetto che ho trovato tra la neve. Credo sia una pietra preziosa … - lasciò in sospeso la frase rivolgendolo verso il cielo con il braccio teso.- … sembra davvero una stella.-concluse portandolo di nuovo a sé. Di colpo si illuminò. Bruciava tra le sue mani e vibrava come se avesse preso vita. Il ragazzo spaventato lo lasciò cadere per terra. Non smettendo di vibrare sembrò raccogliere una grande quantità di energia. La luce era fortissima e ci mancò poco che non ne fosse accecato.-Ma cosa … -Un raggio di energia partì da quel piccolo oggetto e creando un grande arco si allontanò verso un punto lontano. Qualcosa doveva averlo attratto a sé. O forse qualcuno. Ma non poteva saperlo. L’oggetto tornò normale così come si era scatenato. Confuso il ragazzo lo raccolse da terra rigirandoselo tra le mani, non trovando alcuna spiegazione. –Interessante … -riuscì solo a dire presagendo un cambiamento che stava per avvenire. Diverso dal normale.
Il mattino seguente, nel palazzo dello zar …
-Che noia starsene qui seduti senza far niente.- sbuffò Caterina sbattendo in continuazione il cucchiaino della sua tazzina da the sul tavolo. La mattinata si presentava abbastanza calda per essere nei primi mesi dell’anno: in un battito di ciglia sarebbe arrivata la primavera.-Vi ricordo mia cara contessina che non passerete l’intera mattinata a bere the. Avete compiti importanti da svolgere.- lo ammonì il principe Leon sogghignando e gustandosi una morbida brioche.-Non sono compiti così importanti …. Oggi voglio svagare, voglio fare qualcosa di diverso dal solito … oh, dammene un po’!- lo esortò Caterina allungandosi in avanti e aprendo la bocca.- Non son queste le maniere mia cara contessina …. Tieni.- la soddisfò dandole un morso della brioche le cui briciole si sparsero ben presto sulla tovaglia ricamata. La crema al suo interno era dolce e densa; soddisfatta la ragazza stava per tornare al proprio posto ma il principe, prendendole con l’altra mano il mento la attrasse a sé e guardandola intensamente negli occhi la stampò sulle labbra un dolce bacio, un bacio che sapeva di crema. –Potremmo fare qualcosa insieme … che so … fare una passeggiata in giardino o far visita ai nostri amici … - propose Leon staccatosi da lei. –Oppure rimanere qui, infilarci tra le coperte e … - optò invece maliziosa Caterina cercando di nuovo le labbra del suo fidanzato.- Se volete scambiarvi smancerie perché non vi trovate un posticino appartato?- borbottò seccato il principe, gemello di Leon, Dan. Seduto sul ripiano della finestra con una gamba penzolante, leggeva distrattamente un libro, addentando una fetta di pane imburrata alternando a un sorso di spremuta di arance.- vi ricordo inoltre che stamattina abbiamo la visita di ospiti importanti e questa sera abbiamo una festa organizzata qui a palazzo per festeggiare il compleanno di nostra venerabile madre … -aggiunse chiudendo il libro e rivolgendo lo sguardo agli altri due. –Ma non vi potete sedere normalmente?- I due si rimisero seduti al proprio posto in un lampo.- Cos’ è oggi ci siamo alzati dalla parte sbagliata del letto?-domandò la contessa versandosi un’altra tazza di tè.-Non direi … -rispose il ragazzo. –Tu sei sempre seccato di prima mattina.- disse Leon guardandolo di traverso. Dan non rispose, si limitò semplicemente a guardarlo sottecchi con un’espressione imbronciata.-Che c’è ora?-Niente.-A quel punto si alzò, mandò giù l’ultimo pezzo di pane e posando il bicchiere vuoto sul tavolo decise di spostarsi in un’altra stanza.-Se mi volete scusare, vi lascio da soli … - disse congedandosi da Leon e Caterina non sorpresi dal suo comportamento freddo e distaccato.-Che gli è preso adesso? Si arrabbia sempre per un nonnulla!- Calmati mia contessina, non dare peso alle sue parole, lui è fatto così. - spiegò brevemente il ragazzo passandosi una mano tra i capelli.-Vi conosco da appena un anno eppure di una cosa sono certa: anche se siete gemelli non vi assomigliate per niente.- affermò la ragazza alzandosi e sedendosi sulle ginocchia del ragazzo.-Lo so … io e lui siamo diversi … io futuro zar e lui mio eterno secondo. In tutto. Sono molto meglio di lui.-Sei certamente migliore di lui.- confermò Caterina prendendogli il viso tra le mani e sfiorandole le labbra. Lui ricambiò con un bacio profondo, in cui i respiri si intrecciarono.-Basta, non ne posso più!-urlò adirato Dan scaraventando il libro in mezzo al corridoio. Alcune cameriere che passavano di lì non vennero turbate da ciò; non era la prima volta che il principe si alterava in quella maniera. Quando fu di nuovo solo, calmatosi un po’ raccolse il libro da terra e si diresse verso la propria camera.-“perché mi comporto così? Non è da me. .. Ed è solo colpa di Leon!- pensò amareggiato aumentando il passo.-“ lui si crede il migliore di me e forse ha anche ragione … ha tutto ciò che desidera: la successione al trono, le preferenze di corte e dei genitori che gli prestano mille attenzioni … io invece … cos’ho? Nessun riguardo nei miei confronti, secondo a tutto, un ruolo di cui farei a meno volentieri (capitano delle guardie dello zar) e nel cuore un vuoto incolmabile per il desiderio di una fanciulla già posseduta da un altro!- Strinse a pugni le mani sforzandosi di non pensarci, di non pensare a lei, a Caterina!-“Le sue labbra rosse, i suoi occhi color ghiaccio, i suoi capelli mori, morbidi e profumati, la sua pelle quasi diafana che emana un profumo da farmi perdere la testa … “In preda al forte sentimento, all’amore non corrisposto verso la sua amata continuava imperterrito  a elencare le cose che gli attraevano di lei, quasi tutte per lo più.-“Le sue risate di scherno, il suo sorriso, simile a quello di una dea, il suo tono di voce caldo e sensuale …. Senza accorgersene andò a sbattere contrò uno dei suoi soldati.- Mi scusi capitano!-Cosa vuoi soldato?- chiese seccato dall’ avergli interrotto così bei pensieri, seppur dolorosi.-C’è un piccolo esercito che oppone a noi strenua resistenza e che non riusciamo a scacciare … - Non è con voi il mio vice per mandarli via con forza? Vi reputavo forti e non sapete mostrare tenacia?- Non è questo il problema comandante, chiedono di lei, le vogliono parlare di una questione di cui non conosco i dettagli … -Ho capito, allora raggiungerò i miei soldati al più presto.- disse deciso ma con una nota di dissenso.-“Cosa vorranno mai da me? Oggi mi è stato vietato di sorvegliare la Città. Che seccatura! Spero sia una cosa importante, non voglio che mio padre se la prenda con me!- Raggiunse in fretta la sua camera, indossò la sua divisa da capitano e impugnando le armi fu pronto per un possibile scontro. Nella distrazione dalla tasca dei suoi pantaloni scivolò fuori un oggetto luminoso. Accortosene lo raccolse da terra e ne constatò i danni.-“Devo stare attento a non romperlo. E’ molto fragile.”- pensò vedendo con sollievo che il piccolo gioiello era intatto. Lo depose in uno scrigno sulla scrivania, lo chiuse a chiave e si affrettò a raggiungere il suo cavallo..-“Quel piccolo gioiello a forma di cuore sembra pulsare di vita propria … mi piacerebbe sapere a chi appartiene …
Il vento ululava nella notte, nel completo buio del deserto innevato. –Che male … -brontolò il mostro ancora in sembianze umane, scosso dal violento attacco di energia.-Me la pagherai, maledetta!- imprecò rimettendosi in piedi e aguzzando la vista nell’oscurità. Essendo una creatura delle tenebre era facile per lui scorgere ogni essere vivente anche a chilometri di distanza. Ma non vide né sentì nulla. Il vento scuoteva i suoi capelli le cui ciocche nascondevano due occhi neri, vuoti e terribilmente penetranti.-No, impossibile che siano andati così lontano. Li troverò ad ogni costo!- E si precipitò fuori dal boschetto in preda alla rabbia e allo sgomento della perdita subita.- Non dovevo mutare in un umano così all’improvviso, senza pensarci! Ho fame!- Annusò l’aria. Il fresco e dolce profumo che emanavano le stelle lo inebriavano a tal punto da tendere le braccia verso l’alto. Perché darsi tante preoccupazioni per un’insignificante stella quando poteva mangiarne di più luminose e docili?-Nessuna stella mi è mai sfuggita fino ad ora! Come avrà fatto a usare il potere se non ha più un cuore …. ! Ah!- gli balenò in mente che lei poteva benissimo aver scoperto dove si trovava.- Ho capito, è diretta al palazzo!- Sentì montare dall’interno la rabbia, suo unico sentimento.- Quell’orbo deve conoscere un’entrata segreta o qualcosa del genere. Devo agire in fretta!-Raccolse le energie dal buio che lo circondava e diventò più forte. La sua fame lo spingevano a correre sempre più veloce, fino a diventare un lampo di fulmine, una scia di morte. –Ecco delle tracce che mi aiuteranno, eh, eh, eh …. Certe imprudenze non dovevate commetterle!- urlò seguendo con attenzione la scia di neve sciolta che Zella aveva lasciato alle sue spalle. Nella corsa non vide di aver travolto un piccolo animaletto. Straziato, morì sul colpo. Una chiazza di sangue macchiò la neve. Il mostro rallentò. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Tornò indietro. Era indeciso se agire o meno. Ma aveva troppa fame. Nel dubbio raccolse il corpicino da terra e lo scrutò con la bava alla bocca. Non era di certo come una squisita stella ma lo avrebbe appagato.-Meglio di niente.-E lo azzannò spargendo altro sangue, strappando boccone dopo boccone. –Ti pentirai di essermi andata contro, mia piccola stella .... eh, eh, eh! Sarai il cibo più prelibato da gustare quando la tua carne scenderà nella mia gola!- 

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Capitolo 10
*** Tempesta imminente ***


L’alba era vicina. La luce del giorno imminente punteggiava di un rosso arancio le teste delle guardie appisolate.-Sveglia, cialtroni!- Una guardia buttò loro in faccia della neve gelida.-Brutto stronzo! Questa me la paghi!-Esclamarono all’unisono i due afferrandolo per le braccia e scaraventandolo in un cumulo di neve.-Te la sei cercata!- ridacchiarono entrambi dandosi pacche sulle spalle.- Cos’è questo chiasso? Sull’attenti!- ordino il sostituto del Comandante delle Guardie. Come tanti piccoli soldatini le Guardie si ricomposero ottenendo una riga perfetta. - Bene! Siate sempre fieri! Non voglio che combiniate casini, sono stato chiaro?!- gracchiò il vecchio stringendo così tanto le sue esili dita sul fucile da far diventare le nocche bianche.- Ecco il vecchio corvo starnazzare come una gallina …. – bisbigliò una guardia divertito dagli atteggiamenti altezzosi  del comandate. –E non voglio insulti da parte vostra  di nessun tipo. Sono stato chiaro?! ….. Bene, sono contento comunque che abbiate svolto un ottimo servizio questa notte alla Città; come ben sapete è di fondamentale importanza proteggerla dagli attacchi del Nord ….. – Perché dobbiamo ascoltare i suoi lunghi sermoni? Allontaniamoci, dai!- disse una Guardia invitando un suo compagno a fare una cavalcata in santa pace. I due stando all’ultima riga trovarono facilmente una via di fuga. - L’hai ben detto! Tanto quel vecchio non si accorgerà di niente …  - e partirono a galoppo raggiungendo un punto tanto lontano quanto tranquillo per poter conversare.  I gruppi delle guardie che sorvegliavano l’intero perimetro della muraglia erano quattro come del resto lo erano le mura. Un gruppo per ogni muro di 5oo Guardie. Il che comprendeva un numero di 2000 uomini a cavallo al servizio del regno. Una difesa pressoché impossibile da penetrare o raggirare. Uno dei due sbadigliò. L’altro lo imitò.-Che nottataccia!- si lamentò il primo stiracchiandosi.-A chi lo dici. Non ce la facevo più. Pensa che appena chiudevo  gli occhi mi ritrovavo con la faccia nella neve. - Ah! Se ci fosse stato almeno il nostro comandante … con lui non avrei chiuso occhio nemmeno volendo.- Il suo sguardo sembra fatto di ghiaccio …. Non assomiglia per niente a suo fratello … -osservò l’altro prendendo dalla giacca una bottiglietta di vetro contenente acquavite. Ne bevve un sorso, lo offrì poi al compagno. Qualche minuto dopo ridevano e chiacchieravano ubriachi, rimanendo a stento sui cavalli. Nel frattempo un uomo in lontananza camminava a grandi falcate nella neve non preoccupandosi né di avere un cavallo né di aver lasciato per l’intera notte il suo posto di Guardia. –Ehi …. Ma chi è quel tizio …. Non lo conosco …. – biascicò singhiozzando in continuazione.-E’ … un nuovo … arrivato …. Ma non ci ho mai parlato ….- rispose l’altro scendendo goffamente dal cavallo.-Andrò a fargli un salutino … - Ah, ah, ah! Sta attento, potrebbe essere pericoloso!- lo prese in giro l’uomo, annebbiato com’era dall’alcool. L’altro rise fragorosamente.- Non c’è niente che possa farmi paura …. – E avanzò a gran passi, barcollando. Si sarebbe dovuto ricredere, dopo quell’incontro.
-Mancano 5 Guardie all’appello!- gracchiò il vecchio comandante interrompendo bruscamente il breve riposo dei soldati che, stanchi e assonnati all’estremo, si stavano concedendo un pasto frugale. – Smirnov, Ivanov, Zuznetsov, Sokolov, Lebedev, vi voglio qui a rapporto, subito!- Passarono alcuni minuti poi un quarto d’ora e infine mezz’ora. Gli altri soldati nonostante fossero stanchi dovettero cercare ma non riuscirono a trovarli.-Capitano se non ricordo male ho visto Smirnov e Ivanov allontanarsi verso quel piccolo boschetto laggiù. – Anch’io li ho visti,-confermò un’altra Guardia emettendo un enorme sbadiglio- avevano detto di aver visto, quasi al sorgere del sole, un lampo accecante dirigersi proprio lì .. -Sciocchezze!- sentenziò il vecchio scuotendo la testa.- Ehi,tu! Falli tornare nel gruppo se non vogliono essere licenziati!- Sissignore!- esclamò un soldato montando a cavallo e galoppando fino a destinazione. – E Zuznetsov, Sokolov e Lebedev? Dov’è il resto? Razza di scellerati! Non voglio soldati indisciplinati che fanno ciò che a loro pare!Sono stato chiaro?!- Si comandante …. – sospirarono all’unisono i soldati.
-Non c’è niente che possa farmi paura … - ribadì Lebedev singhiozzando e barcollando accorciando le distanze dalla persona d’interesse. Questa ad occhi bassi procedeva a grandi passi sulla neve senza turbarsi del freddo e di folate di vento che man mano aumentavano d’intensità-“ Cosa … ? Sento freddo … “- pensò Lebedev  sfregandosi le braccia per potersi scaldare. L’effetto dell’ acquavite andava diminuendo con avanzare del gelo, tanto da fargli notare una figura molto più alta di lui avvicinarsi anch’essa barcollando, affannando e coperto da un ombra all’altezza degli occhi.- Ti chiami Zuznetsov, giusto? Perché non sei con il tuo gruppo …. (singhiozzo) …. Il comandante non vuole (singhiozzo) problemi …. – lo chiamò per  nome l’uomo ormai a due passi dall’altro.- Questo dovrebbe dirlo noi a lui … (singhiozzo) … - ribatté Sokolov raggiungendo il compagno.-Ehi, che sei venuto a fare, resta a fare di guardia … - E chi sono io un soldato?- E risero entrambi. Zuznetsov tuttavia rimase in silenzio, non era affatto interessato a questi discorsi, non poteva fare a meno di ondeggiare al vento dalla stanchezza .  Il suo stomaco rumoreggiò.–“Non è il momento di pensare al cibo devo proseguire …  che fatica … “- Ehi, tutto bene amico, sembri affaticato, dove sei stato tutto sto tempo?- chiese preoccupato Lebedev dandogli una pacca sulla spalla. Ringhiando sommessamente levò la mano con riluttanza, avrebbe voluto tanto staccargliela a morsi … -Non sei in gran forma …. Bevi un po’ , ti sentirai meglio.- disse Sokolov  tirando dalla tasca l’acquavite. Con un cenno di diniego alla testa l’altro rifiutò: doveva andare avanti … Ma gli bloccò la strada Lebedev ancora assalito dall’ubriachezza. –Non mi piaci per nulla …. Non ci hai risposto neanche una volta, ma chi sei non ti ho mai visto … -Anche tu mi piaci sai … eh … - si fece sfuggire Zuznetsov questa volta attirandolo a sé. - Hai un buon profumo …. – Ma che diavolo … levati dalle …. – lo insultò sprezzante l’altro ma accorgendosene troppo tardi non vide la sua mano essere afferrata dal mostro. Non vide le sue zanne affondare nel palmo della mano e staccare un morso. Non vide il sangue sgorgare dalla ferita poiché la bestia non permise che ne cadesse neanche un solo goccio. Non poté  urlare quantomeno scappare perché era già su di lui feroce ed euforico di aver trovato una nuova preda. Non ebbe motivo di spaventarsi né di sorprendersi perché nel momento in cui si accorse di tutte queste cose era già morto. –Che spreco di forze … non mi basterà di certo un tipo come lui … - si lamentò l’ Odio leccandosi le labbra con un sorriso di trionfo. Quando poi alzò lo sguardo Sokolov stava inutilmente scappando, inciampando ripetutamente nella neve. - Eh, eh, eh … non vale la pena di stancarsi per nulla …. – commentò l’Odio sorprendendolo davanti con un ghigno disgustoso. – Non … muoverti … o … ti … sparo … -balbettò l’uomo tremante puntandogli il fucile contro. – Non ne vale la pena .- ripeté il mostro accarezzando con la punta delle dita il freddo e pungente metallo. Lo stritolò in meno di un secondo.-Le armi non possono nulla contro me. Cosa hai intenzione d fare ora?- L’uomo rispose alla domanda tentando ancora di scappare e di trovare una via d’uscita. Fulminandolo con lo sguardo lo fermò e non staccandogli gli occhi di dosso gli propose un accordo.- Se mi accompagni al tuo gruppo io ti darò salva la vita. Ci stai, Sokolov?- Va all’inferno, demonio! Non permetterò … a uno come te di …. Uccidere ancora … -Scoppiò in una fragorosa risata ma ricomponendosi gli strinse il collo fino a soffocarlo.- Non ho detto che mi avresti accompagnato volentieri. Vogliamo andare? Io … ho tanta fame …. –
-“Troppo pesanti … “- borbottò tra sé e sé Arthur trascinando faticosamente i corpi di due soldati svenuti, all’ombra di un albero di pino. Li aveva colpiti alla nuca di sorpresa e grazie al cielo russavano fragorosamente a causa dell’alcool. – Diamine … spero che dormano a lungo … pensò preoccupato rigirandosi distrattamente il fucile tra le mani. Subito dopo portò il dito sul grilletto mettendosi in posizione di attacco, appena sentì un lieve fruscio provenire dagli alberi. Vi si avvicinò con cautela pronto a colpire. Da un cespuglio sbucò un piccolo ermellino: falso allarme ma non doveva per nessun motivo abbassare la guardia; sapeva che il mostro non si sarebbe attardato a raggiungerli e ad aggredirli di sorpresa. All’arrivo di quel momento sarebbe stato pronto e lo avrebbe ucciso. Emise un altro gemito di dolore.-Dannazione, resisti stupido cuore …. – Supplicò Dio affinché non cedesse proprio ora così da proteggere il suo più prezioso tesoro.-Devo proteggerla … perché …. Lei mi ha salvato la vita. - Quando lui era stato colpito alla testa e dall’attacco di cuore e aveva sentito la sua coscienza abbandonarlo pensò di aver messo la parola “fine” , per lui e soprattutto per lei. Ma anche in situazioni come questa, estreme, Zella era riuscita a non farsi vincere dall’Odio, a reagire sebbene fosse molto debole e a non abbandonarlo lì, al suo destino per poter scappare; gli aveva dimostrato tanta forza, coraggio quanta gentilezza e generosità nei suoi confronti, virtù che lui aveva perso da tempo assieme al suo passato che aveva tentato di seppellire mille volte ma che tornava sempre a tormentarlo durante la notte senza dargli mai tregua. Questa volta l’avrebbe affrontato così da proseguire il suo viaggio di ritorno dall’ Inferno. Tra le sue mani aveva riposto tutto se stesso, le sue azioni, le sue decisioni: qualunque cosa Zella avrebbe fatto, Arthur avrebbe deciso di seguirla anche a costo di esserle un’ombra. Nel silenzio avrebbe custodito tutte queste cose, nell’ombra le avrebbe meditate e trasformate in azioni. Non smettendo di scrutare le fessure tra gli alberi, marciava tutto il perimetro del boschetto, vigile e di tanto in tanto lanciava occhiate fugaci a un incavo dietro a un albero dove dapprima aveva riposto la piccola Zella: allo spuntare dei primi raggi del sole,infatti, quando furono arrivati nei pressi della flora, Zella aveva ormai perso tutte le sue energie ed era scivolata tra le braccia di Arthur stanca e affaticata, più pallida di quanto già non fosse. L’uomo nonostante la chiamasse e la scuotesse non poté svegliarla; era caduta in un sonno profondo dal quale cercava disperata di risalirvi senza i risultati sperati. Allora Arthur non sapendo cos’altro fare, nascose la bambina in un piccolo incavo trovato per caso avvolgendola come meglio poté in un’altra coperta e spargendo su di lei poca neve e fogliame quanto bastasse per nasconderla. Non aveva altra scelta e anche se si stava pentendo del suo impaziente gesto di metterla al sicuro, il piano non permetteva altrimenti. Incerto mise una mano in tasca e vi frugò finché le dita non incontrarono un qualcosa di piccolo e freddo; lo afferrò con fare sempre più incerto e dubbioso. Non avrebbero corso in quel modo maggiori rischi? Era la stessa domanda che aveva rivolto ad Andrè dopo che aveva avuto modo di spiegargli con un tono decisamente pacato il segreto per poter accedere di nascosto nella Città.-Sai, dal momento in cui mi avevi mostrato il tuo volto all’inizio non volevo credere che fossi davvero tu …. E avevo paura …. – confessò l’amico dando un piccolo morso alla sua fetta imburrata.- … che tu ancora fuori di senno come lo eri stato dieci anni fa commettessi qualche follia …. – Su questo non ti sbagli,-lo corresse Arthur sussurrandogli debolmente,- non penso che tornare nella mia vecchia casa sia un azione ragionevole … - Non farlo!E’ troppo rischioso …  le Guardie ti scoveranno e ti fucileranno all’istante … -Non mi riconosceranno, è passato tanto di quel tempo … -Non dire cretinate!- esclamò ma accorgendosi di aver alzato la voce sminuì il tutto con accenno di tosse.- Ti sembra che io voglia scherzare …. Non lo faccio mica per me … -sbottò Arthur incrociando le braccia spazientito.- Dovevi dirmi solo questo?-aggiunse sbuffando.- Ma ti sembro il tipo … -ironizzò Andrè frugando nelle tasche alla ricerca di qualcosa. –Ecco a te. - disse con un breve sorriso porgendogli una piccola chiave.-Faresti meglio a mettertela subito in tasca ,sai, sono pochi coloro che la possiedono.- A chi l’hai fregata?- domandò scioccato infilandosela in fretta in una tasca del pantalone. – A nessuno, diciamo che è mi è stata concessa da un “amico”- Tu e le tue strambe amicizie … - commentò l’altro.-Bando alle ciance, arriviamo al sodo: è da qualche paio d’anni che il regno del Nord disturba un po’ troppo le nostre zone con il passaggio del suo esercito manesco alla ricerca di una richiesta di rappacificazione e unione nei nostri confronti. –Pensano che lo zar vorrebbe … - Non “vorrebbe” ma “deve”; con il ristabilirsi del potere economico e commerciale all’interno del regno del Nord, il re si è montato un po’ troppo la testa e ha tentato di spingersi oltre le sue possibilità: lo zar teme che se dovesse accettare la sua richiesta di unificazione ne uscirebbe sconfitto pena la cacciata fuori dal suo stesso regno.-Ma è ovvio che non voglia … -Ma il suo esercito sembra non voglia arrendersi tanto facilmente: nonostante il rifiuto dello zar pare che quel vecchio strampalato non abbia ancora intenzione di ceder piede alle sue idee. Perciò è stato istituito e costruito il “Muro”. –Che intendi con muro?- Intendo delle vere e gigantesche mura che circondano l’intera Città.-Cosa? Ma … allora …. – Più di un migliaio di Guardie sorvegliano ormai da due anni giorno e notte il nostro regno; niente passa dalla porta principale se non viene prima controllato ed esaminato. Ti sarà impossibile entrare … se non per una sola eccezione, ed è quella che ti ho consegnato proprio adesso tra le mani.-Fece una piccola pausa in cui riprese fiato.- Il passaggio non è stato distrutto ed è tutt’oggi in funzione. Te ne ricordi Arthur? Il nostro piccolo segreto tra amici, quello per cui abbiamo rischiato l’espulsione dal regno.- Arthur rimase sbigottito.- Non correremo in quel modo maggiori rischi?-Perché ora utilizzi il “noi”?-Te l’ho detto: non è per me che sto facendo questo.- Ah, giusto, è per quella bella bambina che ora ci sta osservando impaziente di sapere che complottiamo alle sue spalle … -Chiudiamola qui e  grazie per il tuo aiuto.- quel grazie fu detto biascicato.- Quando vuoi. Mi auguro di trovarti già lì al mio ritorno. Ci conto sai, vecchio amico.-
-Finalmente vi ho trovato! Dove vi eravate cacciati? Quello strampalato del comandante è su tutte le furie e mi ha mandato a cercarvi! Sokolov …. Ehi, ma dov’è Lebedev?- chiese la Guardia scrutando intorno alla ricerca del compagno.- Sokolov non aveva parole o piuttosto non riusciva ad articolare la frase che faceva muovere le sue labbra in una specie di borbottio continuo -E’ morto, mangiato vivo. -Era terrorizzato e frastornato ancora per la morte dell’amico Lebedev ; perciò continuava a fissare l’altro con occhi sbarrati senza veramente guardarlo. –Ma che diamine hai, mi rispondi?!- Ci raggiungerà a momenti.- La voce del mostro che arrivò da dietro le spalle fece sussultare Sokolov il quale cominciò a tremare spasmodicamente.- Fa freddo … tanto freddo!- si giustificò evitando il compagno e andando avanti.- E tu chi saresti?Non ti ho mai visto nel nostro gruppo né da qualche altra parte.- chiese la Guardia trovandosi di fronte a Zuznetsov. – Sono nuovo da queste parti …. Ti chiedo di scusarmi a nome di Sokolov e Lebedev: ho insistito così tanto per una bevuta a tre che li ho trascinarti fin qui.- Oh, capisco … ma non sono io colui a cui devi chiedere scusa, vallo a dire al comandante piuttosto; per questa vostra scappatella non la passerete tanto liscia.- rispose l’altro mettendosi al suo passo.- Non ce ne sarà bisogno … sono certo che capirà … - cominciò che dire meditando su quello che avrebbe dovuto compiere in seguito.- E allora?- disse dopo un po’ la Guardia. –Cosa?- Che te ne pare del tuo nuovo incarico?Insomma è dura stare in mezzo alla neve, combattere nemici, razionare sul cibo ma almeno di danaro ce ne sganciano eccome.- Sarà ma .. non sono qui per il danaro … -Ah, si? Beh, vedo che hai già fatto conoscenza con quelle due testacce dure.  Non ti conviene assecondarli nelle loro richieste.-Niente affatto … sono così docili … soprattutto Lebedev … è una persona squisita. – Ehi, Sokolov porca miseria! Non mi vomitare proprio davanti! Ho appena finito di mangiare. - lo rimproverò la Guardia disgustato vedendo l’amico piegarsi in avanti con una smorfia stomacata.-Anche io se è per questo … ma credo di aver bisogno di un dessert per completare eh, eh, eh ….- commentò il mostro aprendo la bocca in un ampio sorriso. 

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Capitolo 11
*** Uno strano pozzo ***


-Signore li ho trovati: Lebedev  ci raggiungerà al più presto!-riferì la Guardia al comandante una volta che i tre rientrarono nel loro gruppo. E il comandante come previsto lì rimproverò  ferocemente per quella mancanza che avevano commesso.- Non voglio impicci durante il lavoro, cialtroni che non siete altro! Una Guardia oltre che essere forte e scattante deve essere ben disciplinata, sono stato chiaro?!- Sissignore! – esclamarono all’unisono i due tranne Sokolov che per giusti motivi era assente alla scena.-Ubriaconi che non siete altro, volevate farla franca sotto al mio naso, ma a me non sfugge mai nulla! Alla fine di questa giornata farò il resoconto di tutte le vostre mancanze per riferirle immediatamente all’attuale comandante delle Guardie conosciuto come il  principe  Dan!- Cos’è siamo a scuola? Non la smette mai di darsi delle arie.-Sospirò una Guardia senza farsi sentire. –E di urlare ai quattro venti: e menomale che si è ritirato, questo vecchio rimbambito.- aggiunse un altro sillabando solo le parole.-  Dove diavolo è finito Lebedev, Sokolov?! – riprese poi a parlare dopo una attimo di pausa per riprendere fiato. Sokolov assorto com’era nei suoi pensieri capendo che si stava rivolgendo a lui prima di parlare deglutì rumorosamente: sentiva lo sguardo del mostro perforarlo simile ad un proiettile e la sua voce cominciò a farsi strada nella sue mente minacciandolo.-“Parla e ti divoro! Menti se vuoi avere salva la vita!”- Io …. Non so … dove è andato …. Non so … niente … non mi ha … detto niente …. Non ho visto niente … -  biascicò  stringendo i pugni e tremando ma non per il freddo.- Sei tanto ubriaco come mi vuoi far credere? Vedi di darti una rinfrescata o dovrò espellerti dal ruolo di Guardia!- Sta solo dicendo che non ha ritrovato più il suo compagno; potrebbe essersi dileguato senza farsi accorgere.- intervenne in aiuto la Guardia ancora stranito da quella faccenda.-  Zuznetsov, cos’hai da dire?-  Alzò le palpebre guardando il comandante direttamente negli occhi. L’altro per un momento si sentì raggelare e imprigionare in una morsa di ghiaccio.- Ci scusi, eravamo talmente presi dal bere che no eravamo coscienti delle nostre azioni … non credo che Lebedev  sia andato molto lontano, quando vorrà tornare lo farà. - disse tranquillamente accennando ad un breve sorriso. Però subito tornò serio mentre il suo sguardo torvo si staccò dal soggetto.-E ora se non volete che vi punisca andate a cercare quegli altri due! Sembra che anche loro si siano dati all’ubriachezza o forse sono stati tramortiti e non possono più tornare, non ne ho la più pallida idea! –Nonostante le parole imperiose e gracchianti del vecchio si intravedeva una nota di tremore fiorire sulle sue labbra. Capì di non poter controbattere le parole di poco fa e cercò di evitarle. – Mi scusi comandante,- riprese a parlare il mostro con voce tranquilla,-lasci che vada io a recuperare le altre due Guardie, posso farcela benissimo anche da solo, se mi permette di farlo.- No,no, andrai con i tuoi compagni, non voglio altre rogne per il resto della giornata, chiaro?!-  Il rombo di una tromba gli impedì di aggiungere altro. Un folto gruppo di soldati a cavallo si avvicinava con spade e fucili tratti dalle loro custodie.-l soldati del regno del Nord … - mormorò il comandante sgranando gli occhi.- Guardie, in posizioni, muoversi!- ordinò sguainando la spada e salendo a cavallo.- E va bene Zuznetsov, trova quegli altri due dispersi e chiedi loro cosa li hanno spinti ad allontanarsi … forse hanno trovato qualche intruso nel boschetto non si sa mai ma ne dubito: sfido chiunque a passare dalla porta principale e mi raccomando assoluta discrezione.- Si signore.- Su quel particolare avrebbe avuto da ridire.-E il tuo cavallo? Ti stancherai col cammino che c’è da fare.- disse preoccupato la Guardia di prima affiancato dal pallido Sokolov. –Non mi servirà. Non mi stanco mai di fare il mio lavoro. Addio. – salutò mettendosi in cammino e rivolgendo un fugace sguardo al capo delle Guardie del regno del Nord che fu contraccambiato da un’occhiata  d’intesa.-Il piano funziona a meraviglia.- affermò il mostro ormai lontano da voci e occhiate indiscrete.
-Dove mi trovo?- si chiese la piccola stella osservandosi intorno e notando con un pizzico di sollievo che l’oscurità non la stava attorniando più come prima confondendola e spaventandola. Ora era stata sostituita da un'unica luce di forma rotonda al di sopra del suoi capo. E come un uomo sfortunato le cui sventure non finiscono mai e si susseguono una dietro l’altra con sempre maggiore forza così anche Zella si rese conto di essere bloccata in un pozzo la cui altezza era spaventosa e troppo difficile da superare perfino per un uomo robusto come Arthur. –E adesso come faccio?-disse lamentandosi e strofinandosi le guancie gelate. Arthur infatti le aveva spiegato cos’era quella costruzione incontrata per caso nei pressi del paesello. –“Che cos’è quella cosa?”- gli aveva domandato la piccola intravedendola in mezzo a quella bufera. Se non fosse stata per il cigolio del vecchio secchio l’avrebbe scambiata per una strana allucinazione.-“Non è una cosa è un pozzo. E’ fatto di tante pietre ed è simile ad un contenitore perché se ti affacci giù vedrai tanta acqua quieta pronta per essere colta. La raccogli con quel secchio che vedi cigolare; la corda serve per alzarlo e abbassarlo e la carrucola è il motore della costruzione: senza di quella puoi scordarti l’acqua.”-Era la risposta più esaustiva che Arthur avesse mai dato a Zella di tutti quegli oggetti che lei non conosceva e le sembravano così eccezionali e pieni di segreti.-“ L’acqua è quel liquido che mi hai fatto bere? E’ così importante per gli uomini?”-“Sì, importantissima.” – “Ma una come me può berla?”-“Senza dubbio. Non nuoce a nessuno. O meglio …”   -Tentò di dare una spiegazione migliore ma dato che non era né il luogo né il momento migliore vi rinunciò scuotendo la testa.-“ Non vorrei mai che mi gettassero in un pozzo e mi chiudessero dentro. Sarebbe la morte peggiore.”- “Che cos’è la morte?”-“E’ un qualcosa a cui non permetterò mai di sfiorarti.”- Dopo quella frase Arthur non aveva aggiunto altro ed erano proseguiti verso la locanda. –“Che la morte sia una cosa tanto brutta? No, non devo pensare a questo adesso. Devo uscire da qui, ma come?”- Le sue gambe oltretutto erano per metà immerse nell’acqua gelata. Poi ricordò un’ altra cosa importante: i pozzi di solito come gli aveva spiegato Arthur quando gli tornò in mente venivano costruiti presso villaggi e quindi se Zella avesse urlato quanto bastava per richiamare l’attenzione di qualcuno ci sarebbe stata una speranza. Raccogliendo le poche energie e preoccupata per la sorte di Arthur cominciò ad urlare a gran voce senza fermarsi mai.-Vi prego aiutatemi sono caduta nel pozzo!- Lo ripeté così tante volte fino a che la sua voce non si affievolì e la sua gola non divenne secca. Sconfitta si sedette con le ginocchia sul petto e la testa sulle gambe  immersa quasi del tutto nel acqua nel tentativo di calmarsi e di trovare un latro modo per uscire, ma era inutile. Qualsiasi cosa avesse provato avrebbe potuto anche ritorcesi contro perciò dovette accettare pian piano il senso di impotenza che si faceva spazio dentro di sé. Voleva fare a meno di piangere e desiderava solo che qualcuno la soccorresse e più di tutti Arthur.- Guarda, guarda un intruso. Che ci fai nel mio pozzo?- domandò una voce curiosa e femminile provenire dall’entrata del pozzo.-Ti …. Prego …. Aiut- …. Ami …. – ansimò la piccola volgendo subito la testa in alto.-Sta tranquilla, ti aiuterò!- E detto ciò mise in moto la carrucola per far abbassare il secchio; cigolò per tutto il resto del percorso e fu spiacevole da sentirsi; Zella infatti si era tappata le orecchie per tanto baccano. Dopo un tempo a dir poco interminabile il secchio raggiunse la sua destinazione e visto che aveva un’ampiezza di un metro per lei non fu difficile entrarvi, così piccina che era. Nella salita tirò un sospiro di sollievo e inclinando la testa per non guardare direttamente la luce accecante  si chiedeva chi fosse la sua salvatrice. Intanto il cerchio di luce cominciò a divenire opaco e quando Zella se ne accorse era diventato completamente nero. –Che cosa, è già notte?- chiese ad alta voce e sporgendosi dal secchio spalancò gli occhi perché credeva di averli chiusi e invece … -Sei nello spazio, piccolina.- rispose la voce femminile porgendole la mano per farla scendere. Si guardò intorno: il suo luogo d’origine, uno spettacolo così immenso da mozzare il fiato anche se ovviamente non ne aveva più; poi si riscosse e stringendo una mano delicata e sottile balzò giù dal secchio mettendo piede su una superficie grigia e polverosa. Questa poi si stendeva a vista d’occhio perdendosi nel nero cielo punteggiato da tantissime luci. -Oh, oh, ma qui abbiamo una stella, così piccina poi! E’ da un decennio che ne vedevo passare da qui una, figuriamoci scovarla  nel mio pozzo! Ma dimmi, ti hanno già scoperto e dato un nome?- Zella, non capendo cosa volesse dire stava per ribattere ma uno starnuto violento la zittì: i suoi vestiti erano fradici per via dell’acqua gelida.- Oh, poverina stai tremando tutta e sei pallida come un  cadavere! Vieni con me, ti darò dei bei vestiti e ti inviterò al mio tè così potrai assaggiare i miei squisiti dolci! Che gioia ho finalmente un ospite come si deve! – squittì di gioia e trascinando quasi a forza la povera Zella stanca e con un notevole appetito. Nonostante ciò la piccola stella volle lo stesso inquadrare bene quella figure alta ed esile: le dolci curve delle sue spalle erano coperte da un lungo mantello argenteo, leggero e sottile; se avesse tirato un forte vento gliel’avrebbe di sicuro strappato via; quello stesso mantello avvolgeva l’intera figura della  donna dal volto biancastro ma curato e con un profumo simile alla dolce essenza della vaniglia; i suoi occhi di un grigio perla si posavano con gentilezza e con estrema curiosità su ciò che coglieva la sua attenzione. E in maniera particolare su Zella; quegli occhi che la fissavano indagavano fra le pieghe dei suoi abiti, le ciocche dei suoi capelli e la doratura delle sue iridi per trovare una novità degna di essere captata e divulgata. –“Che imbarazzo, perché mi fissa così?”- si chiedeva Zella accorgendosene. L’altra sorrise smettendo di fissarla e aumentando ancor di più il passo.- A-aiuto!- esclamò la piccola ormai aggrappata  al suo braccio.- Su, su! Muovi quei piedini che devo ancora ultimare i preparativi per il mio tè!- disse solo la donna correndo agilmente sulla superficie polverosa creando nubi grigie dietro di lei. Percorsero circa un centinaio di metri prima di calpestare un lungo tappeto soffice spiegato apposta.-Cosa … - accennò a dire Zella quando alzando lo sguardo vide un enorme palazzo addobbato a festa, di marmo bianco che emanava luce pura –“Oh, è la luce che ho visto dal fondo del pozzo!”- esclamò nei suoi pensieri, rapita dalle forme di quell’edificio così maestoso quanto dolce nelle sue curve scolpite nella dura pietra; nell’avanzare verso di essa, presentava un portone centrale ricco di intarsi e figure d’angeli dal volto sereno con le bocche spalancate al canto che suonavano la cetra, l’arpa, il flauto … tutti gli strumenti immaginabili, tanto erano numerose le figure, tanto spiccava da terra il portone. Sollevando ancor di più il capo si osservava un rosone decorato con particolare dovizia e con una miriade di colori tale da far contrasto al biancore dell’edificio;  alla rispettiva destra e sinistra dell’entrata più di una decina di archi sorretti da colonne di gusto classico, in particolare ioniche, si allungavano per più di una cinquantina di metri: ben lunga si presentava, simile ad una reggia che non intimoriva anzi, accoglieva a braccia aperte chiunque vi volesse entrare. –Chi sono quelle persone?- domandò Zella puntando il dito verso una delle miriadi di finestre allungate dalle cui tende si intravedevano figure dai movimenti sinuosi aprir la bocca a conversazioni celate.- Sono i miei ospiti, piccola mia. Gente che va e viene da casa mia; gente di una certa audacia e squisitezza, gente aperta e sincera ma soprattutto gente che vive, che conosce e che in cambio della mia ospitalità e dei miei dolci mi racconta tantissime storie.  - rispose la donna aprendo  una mano davanti all’edificio per poi chiuderla in pugno al termine della frase.- Grazie per la tua responsabilità, sei tanto gentile a volermi invitare al tuo tè. - affermò la piccola sentendo di potersi fidare di quella sconosciuta e si piegò in avanti in un piccolo inchino.- Per tutte le comete! Tu si che sai rivolgerti a una signora! Che educazione, che classe! E dire che le stelle son molto riservate, pignole e permalose! Ah, ho fatto proprio bene a portarti con me, sarà interessante vedere come andrà a finire.- e ridacchiò lasciando Zella nel dubbio dell’ ultima frase. – Non credo di capire … - Unastellaunastellaunastellaunastella! – Silenzio!- tuonò la donna rivolendosi alle statue d’angeli che alla vista della piccola stella aprirono le bocche in una smorfia di stupore.- Dadovevienidadovevienidadovevieni?- La incalzavano ignorando il rimprovero e sorridevano dolcemente.- Io non so da dove vengo …. Di preciso … - rispose Zella in una nota triste.- Vorrei tanto saperlo anch’io. –aggiunse abbassando lo sguardo.- Ora basta! Non siate così impertinenti con una signorina di nobili origini. Eseguite il vostro compito, adesso! -Questo bastò a farli zittire; sbuffarono e lanciando occhiate di disapprovo scesero a uno a uno dalle pareti di marmo bianco con in mano gli strumenti e si disposero ai lati del tappeto in ordine crescente, dai più piccoli putti agli angeli più maestosi. Partirono i più piccoli suonando i flauti una nota dolce e graziosa seguiti dai più grandi assieme a violini, trombe in un crescendo forte e melodioso di note, dopodiché la melodia andò a scemare per finire in un sussurro perso nel vuoto. Zella applaudì contenta e risollevata un po’ d’animo grazie a quell’orchestra che concludendo il concerto, si abbassò in un inchino per poi annunciare ad alta voce:- Benvenuta Zella, stella di nobili origini!- E tornarono dritti in piedi, irrigiditi come se appena sciolti dalla pietra fossero tornati marmorei rimanendo lì in attesa di ordini. – Conoscono il mio nome. - notò la piccola rivolgendosi la donna di fianco a lei.- Mi sembra naturale, l’hai detto pochi istanti fa .- Non è vero, non me lo ricordo!- Allora te ne sarai dimenticata.- la contraddì  scrollando le spalle ma distogliendo lo sguardo.-“Qui gatta ci cova, è un bene fidarsi?”- Arthur le aveva raccomandato di non dare confidenza agli estranei perché avrebbero potuto fraintenderla o farle del male …. Eppure la donna si era dimostrata molto gentile nei suoi confronti e incolparla di una sciocchezza simile sarebbe da scostumati: non era stata proprio lei ad averla aiutata risalendo dal pozzo? Il pozzo!-“Ma come potrò esserci finita mai là dentro? Che io stia sognando? E Arthur? Sarà preoccupato per me? Gli prenderebbe un colpo se sapesse che non sono più … - Non darti tante pene Zella, quell’ uomo ha ben altro a cui pensare ! Comunque che strano nome che ti ha dato … - Ma allora legge nel pensiero! Non mi prenda in giro e mi riporti indietro! Forse lui è -  - Ascoltami bene.- La donna ora si trovava di fronte a lei in ginocchio ad accarezzarle una guancia da cui scorreva una fievole lacrima.- Rilassati, per ora non potresti tornare neppure volendo laggiù quindi perché ora non ti calmi? Scommetto che al tuo ritorno lui sarà sano e salvo e felice di vederti sorridente, che ne dici?- La fissava con tale intensità e sicurezza ipnotica da contagiarla rispondendo con un lievissimo sì. - Lo giuri?- chiese incerta.- Lo giuro e ora basta con le chiacchiere: fra poco arriveranno tantissimi ospiti e c’è tanto da fare, uh, tanto, tanto! Il vestito, i dolci, il tè, le decorazioni, ah, quante cose, moltissime!- Non rispose poiché fu travolta dalla  fiumana di parole e ripartì in una trafelata corsa che la portò a varcare la soglia del portone che si aprì in due ante all’ immediato gesto della padrona. Evitò di guardare la piccola negli occhi nascondendo il suo nervosismo tra discorsi stupidi e insignificanti. Era curiosa, punto e basta. Ma non sopportava di dire bugie.
Bene ed eccomi qui al mio 11esimo capitolo! Mi auguro che stia piacendo a coloro che mi seguono. Potete dirmi se vale o no la pena continuare? Critiche incluse, ovviamente! 

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Capitolo 12
*** Preparazione ***


-“Arriva, lo sento.”- Il cuore prese a battergli a mille mentre sentiva i passi del mostro avvicinarsi a lui inesorabilmente. Però non riusciva ancora a vederlo; probabilmente perché la sua ansia aveva sviluppato molto più l’udito che la vista e lo poteva sentire anche a molti metri di distanza, in modo da fargli perdere completamente la testa poiché desiderava  come quell’altro di ammazzarlo: però come uccidere qualcosa di sovrannaturale che va oltre ogni tua possibilità?-Troverò un modo per farti a pezzi, vedrai.- si ripromise Arthur digrignando i denti e spostando la canna del fucile da una direzione ad un’ altra in attesa che il mostro gli saltasse addosso. La luce soffusa del primo mattino rendeva l’atmosfera irreale, quasi sognante in contrasto con l’aria gelida e pungente al solo respirarla; in più sottili strisce di nebbia zigzagavano tra gli alberi abbassando ulteriormente la vista di qualsiasi sagoma umana in vicinanza. –“Zella, ti prego, qualunque cosa tu senta … non svegliarti o quel mostro ti ammazzerà!”- Desiderò che il messaggio arrivasse alla bambina ma ciò che temette di più giunse sottoforma di risposta:- Arthur? Dove sei? Ti prego, torna da me! Lo sento, è vicino!- No!- urlò tremante di rabbia l’uomo precipitandosi sotto l’albero dove l’aveva nascosta; la sua rabbia e le sue paure lo avevano vinto e la follia lo condusse a rivelare il nascondiglio.- Non impari mai, eh?- gli rimproverò il mostro sorprendendolo di spalle e costringendolo a girarsi: digrignò i denti e gli sferrò un cazzotto in faccia tenendolo per una spalla.- Commetti sempre gli stessi errori, non cambi mai. Sei solo un testardo e un sporco scuro del Sud, non dimenticarlo!- Prese a colpire  Arthur con molta calma e con colpi così potenti da fracassargli la mascella dal dolore. L’altro in risposta reagì ferocemente: gli bloccò le braccia e gli tirò una testata mostruosa da rompersi lui stesso la testa.- Non … provare a ridirlo.- disse sputando il sangue che aveva riempito la sua bocca di un forte sapore metallico. Steso a terra senza avere intenzione di rialzarsi il mostro scoppiò in una fragorosa risata.- Alla fine ti sei rivelato per quello che sei realmente. Bel colpo, lo ammetto. Sei proprio un mostro, mi sei simile.- sentenziò spiazzando Arthur all’istante.-Eh, eh, eh … dovresti guardarti allo specchio.- e così dicendo trasse fuori dalla tasca un pezzo irregolare di specchio  grande quanto la sua mano e gli mostrò il suo volto: era un’immagina distorta e tutta insanguinata che digrignava i propri denti impaziente di fare  pezzi il proprio nemico. Disgustato l’uomo scagliò via lo specchio ma l’altro afferrò la sua mano prontamente e stritolandogliela lo avvicinò a lui sussurrando:-Peccato che tu sia due volte più debole di un moccioso e te lo dimostrerò.- Maledetto!- inveì Arthur staccandosi e puntandogli il  fucile. Purtroppo non aveva notato i due soldati che prima aveva tramortito avvicinarsi alle sue spalle e bloccargli entrambe le braccia lanciando poi l’arma in un punto lontano.- Allora, dimmi ….- cominciò il mostro rialzandosi e massaggiandosi i polsi.- Quale ricordo preferisci?-  Cosa hai fatto a questi due?- disse invece ignorando la domanda.- Controllo mentale, non sai quanto mi sia utile in certi casi. – rispose picchiettando la tempia con un dito e osservando i volti dei due privi qualunque espressione. E mettendo le mani dietro la schiena si piegò leggermente in avanti domandando ancora:- Allora?- Va all’inferno.-  Stavolta non gli rispose, gli appoggiò solo le mani sulle tempie per poi premere e mandarlo completamente  in catalessi. Delle fiamme partirono dalle mani del mostro fino ad attraversare l’intero corpo del malcapitato che prese a bruciare inerte e urlante; la vista gli si appannò ed entrò nel buio completo della sua mente e percepì chiaramente di non essere più nella fredda landa desolata ma in posto molto differente, familiare. Aprì gli occhi e ciò che vide lo sconvolse molto più di una stella umanoide cadente.                                                                                                                                                           -Papà?-                                                                                                                                                                                                       - … Klaus?-                                                             
-Puoi prestarmi attenzione adesso? Dopo potrai gironzolare quanto vuoi.- replicò seccata la donna al troppo entusiasmo che Zella stava esprimendo nell’osservare a bocca spalancata le meraviglie che quel palazzo le stava riservando a partire dal lampadario che aveva attirato la sua maggior attenzione: era un complesso di cristalli aventi la forma di prismi allungati; incastrati tra loro e in precise angolazioni permettevano alla luce che passava da alcuni fori al centro della cupola di attraversare i cristalli creando tante luci coloratissime che cospargevano l’intero salone di scintille. Per dare poi un’illuminazione uniforme vi erano affissi degli specchi in diverse posizioni delle pareti così che un altro fascio di luce dall’alto colpisse uno specchio il quale riflesso colpendo un altro specchio e così via avrebbe ricreato la luce desiderata.- Uff … è un peccato che la luce del sole sia gialla … mi ha creato un po’ d’impicci perché non sopporto un colore così … volgare. Perciò ho affisso dei filtri speciali che rendessero la luce bianca, che te ne pare? Adoro la precisione matematica e a te? Ti piace, vero?- blaterò la donna a Zella che non capendo molto del discorso si limitò a un “Certo … mmh … bellissimo!”. Era troppo sognante inoltre per darle ascolto e proseguì nella perlustrazione tornando con gli occhi in basso: il pavimento era un mosaico di pietre preziose di vari colori i quali venivano  risaltati dai raggi di luce che avevano lo stesso colore delle pietre colpite; le pareti ed il soffitto a cupola erano dipinti di un blu lapislazzulo con rientranze dorate a forma di stelle in modo da ricreare un cielo stellato –Bello però è meglio quello vero.- commentò la piccola; vi erano poi sparsi in disordine per la sala un centinaio circa di divanetti blu scuro e seduto su uno di quelli stava un bimbo con le gambe penzolanti … – Basta guardare! Uh! Così bella ma così mal conciata, bisogna togliere questi stracci che hai addosso! Però prima un bagno. Sono mortificata la sala è disordinatissima ed è necessario rimetterla in ordine … Ah! Quante cose da fare!- “Mi staccherà un braccio, me lo sento!”- pensò Zella sospirando e facendosi trascinare via per un corridoio con gli archi che aveva visto all’esterno. Nel correre la donna urtava delle donne bianche vestite di bianco che si precipitavano a riordinare il salone.- Non c’è tempo da perdere , forza!-le incitò nonostante gli urti;arrivarono a una vertiginosa scala a chiocciola e salirla fece davvero girare la testa.-Eccoci!-si arrestò infine senza neppure emettere un sospiro, al contrario della bambina che invece aveva il fiatone.-Sono … pant … viva … pant … -Suvvia, per una corsetta … -“Una corsetta?!”- sbottò in risposta nei suoi pensieri volendo essere educata anche se probabilmente non avrebbe fatto differenza. –Bene.- e batté le mani chiamando due donne bianche.- Bruciatele i vestiti e lavatela per bene!- Batté ancora le mani e ne arrivarono altre due.- Invece voi portatemi i vestiti più belli che abbiamo:c’è un ospite importante qui!- Oh, una stella, che bella!-Shh! Niente commenti, scattare! Un, due, un due … - disse lasciano la poveretta in balia delle due donne che la portarono di peso in una stanza collegata alla prima ed entrambe di un blu chiarissimo.-No, no, no!- urlò Zella venendo spogliata velocemente e gettata (delicatamente) in una vasca con acqua calda piena di schiuma da un odore delizioso:.- Vaniglia.- Al solo pronunciarlo la fame prese a tormentarla più di prima e durante il buon quarto d’ora in cui le due donne la strofinarono per bene pensò a quanti cibi potessero esistere e a quali avrebbe potuto mangiare.-Hai un corpo umano non avrai problemi ad assaggiare le mie squisitezze!- le rispose la donna senza nome e senza alcun freno alla sua lingua!- La smetta di entrare nella mia testa e mi dica almeno il suo nome!- Urlò spazientita Zella mentre venne sollevata dalla vasca e accolta tra le braccia di un morbido accappatoio.-Il mio nome è Luna e sono felice di nominarlo. Al tuo servizio.- le rispose tenendola tra le braccia.-Sono abitante di questo pianeta su cui sei capitata per via del passaggio che hai accidentalmente scoperto che collega questo posto alla Terra, così quando ne ho voglia mi vado a fare un giretto in modo da essere sempre aggiornata sugli ultimi avvenimenti. Chi sarà il futuro re? Quando avverrà la prossima guerra? Chi si alleerà con chi? Chi vincerà? Chi perderà? Chi tradirà? Io lo so già. Chi avrà un bambino? Chi comprerà quella casa o quel pezzo di terra? Chi diverrà ricco? Chi povero? Chi nasconde segreti? A me no di certo perché io lo conosco, non posso farne a meno.- Non puoi farne a meno?- No, no è la mia ossessione o meglio il mio passatempo ma si sa che col tempo non si può fare a meno di diventare troppo curiosi e allora si che sono guai. - Oh … - Per esempio venire a conoscenza di segreti davvero piccanti che potrebbero far saltare più di una testa ma la mia non di certo.- Ma non possono scoprirla?- Tranquilla mia cara stellina ho un telescopio che mi permette di osservare anche da qui tutta la Terra anche se le passeggiate sono davvero tonificanti. E a te piacciono le passeggiate?- Lei è una chiacchierona.-Uh, uh, per questo mi adorano e anche tu mi adorerai una volta indossato il vestito adatto.- Luna aveva del tutto asciugato la piccola e le stava spazzolando i lunghi capelli intrappolati in alcuni nodi. - Ahi!- Su, sta buona, vedrai come starai meglio dopo. Mmm che buon profumo hanno i tuoi capelli! Tu appartieni a un particolare genere di stelle per questo hai un visino così dolce e dei capelli così speciali.-In che senso sono speciale?- Oh lo saprai presto appena lo saprò anch’io. Sei … diversa da come mi sarei aspettata incontrando una comune stella.-Diversa?!- chiese allarmata Zella girandosi.- Come? Ho qualcosa che non va?- Assolutamente! Mi sarei già tagliata la lingua se avessi affermato una cosa simile!-E allora in cosa sono diversa?- Pazienta mia cara adesso dobbiamo scegliere un abito adatto a presentarti.- Si alzò sulle ginocchia e le due serve di prima le porsero due abiti, uno color bianco panna l’altro color celeste chiaro.- Troppo semplici ci vuole qualcosa di più elaborato!- le rimproverò la donna mandandole a scegliere altri tipi di abito.-Signora, non vorrebbe cambiarsi prima lei?- le domandò una serva che le si avvicinò.-Torna dopo mi preme per prima cosa sistemare questa bella fanciulla.- disse liquidandola con un gesto veloce della mano.-“Chissà in quanti modi mi ha chiamato da quando ci siamo incontrate.”- scherzò Zella tra sé e sé.-Piuttosto levami il mantello.-Si, signora.- Uh, che orrore troppo vistosi! Concentrate su! Colori tenui servono! Non siamo mica in estate!- E altri due vestiti dai colori sgargianti tornarono indietro.- Uff! Non so cosa darei per rinnovare il mio guardaroba: d’altronde ho solo più di 2000 vestiti!- “Oh, così tanti?”- Pensò ai panni che Arthur le diede indosso: non erano granché però avevano un buon odore; diceva di averli lavati nonostante non fossero suoi … E si pentì di aver permesso di farli bruciare. –No, no non vanno bene! Banali, ipocriti!- urlò per l’ennesima volta Luna cacciando le due serve dalla stanza.-Ci vuole qualcosa di unico per un tipo speciale come te …. –meditò camminando per la stanza e alla fine schioccò le dita.-Ci sono! Voi, portatemi quella scatola!-Ma signora … quel vestito è … -Silenzio! Non ho altra scelta.- Le due obbedirono e tornarono dopo un minuto con una scatola di legno bianca con intarsiati dei meravigliosi fiori i quali contorni brillavano di diamantini.- Dovessi un giorno incontrare la più ricca delle regine sulla Terra oppure la più bella di tutto il reame ciò non importerebbe; nessuna di loro avrà mai il privilegio, l’onore di possedere questo vestito e sia la loro bellezza che la loro ricchezza impallidiranno davanti a tale creazione.- Allora perché mi dai tale dono se è così importante?-domandò la stella.-Perché tu ne sei degna;fino ad ora mi hai dimostrato modestia ed educazione cose che approvo molto..-rispose l’altra.-Lei mi conosce appena signora.- Anche tu ti conosci appena.-Detto ciò tirò fuori dalla scatola un tessuto di seta e pieno di ricami.-E se non fosse della mia misura?- Ti starà a pennello.- sentenziò Luna facendole scivolare addosso il vestito, sottile e morbido.-Se non mi credi guardati allo specchio.- le sussurrò avvicinandola ad un rettangolo stretto e lungo e in effetti aveva proprio ragione: la parte centrale del vestito aveva una dolce scollatura ed era costituita da bianchi e intricati ricami che si modellavano in curve e il tutto scendeva verso il basso senza allargarsi ma adattandosi al movimento delle gambe; la vita era cinta da una striscia di seta bianca e semplice che teneva legata al vestito una specie di mantello bianco di seta che abbracciava anche le braccia.-Sono senza parole.-commentò Zella accarezzando il tessuto e allargando le braccia per osservarsi meglio.- Potresti dirne almeno una per farmi capire se ti piace o no. - Bellissimo.-disse tutto d’un fiato.-Ottimo e ora pensiamo ai capelli e al trucco.-“Capelli, trucco? Che vorrà mai dire?”- Ingenua, non vorrai mica presentarti davanti a un centinaio di persone senza la giusta acconciatura e un goccio di profumo?-“Uff sarà più lunga del previsto.”- pensò la ragazzina stanca. Dopo circa mezz’ora si era completamente trasformata; i suoi capelli ricadevano sulle spalle in boccoli neri sulla cui sommità poggiava un piccolo diadema di gemme bianche e fiorellini color perla; le palpebre e le labbra erano state spolverate d’argento e le guance rese del color della pesca; infine un profumo di vaniglia riempiva l’aria e le narici piacevolmente.-Uhm, mi viene voglia di strofinarmi la faccia.- si lamentò Zella arricciando il naso in continuazione e cercando i non portarsi le mani al viso.-Certo che per diventare più bella ci vuole tanto lavoro.-Ripensò con quanta cura le serve della signora la truccavano e arricciavano i suoi capelli.-Mi è scesa una lacrimuccia. Sei fantastica, chiunque ti scambierebbe per una principessa guardandoti.- constatò emozionata Luna alla fine dell’operato e anche le sue serve erano soddisfatte del loro lavoro e fecero molti complimenti alla stella che non poté non arrossire. –“Ora anche lei si sta rendendo molto più bella di quanto non lo fosse prima.”- Quella donna è solo brutta e antipatica!- contestò la voce di un bambino facendo prendere uno spavento terribile alla ragazzina al quale seguì una risatina che esplose in una grande risata.- Che hai da ridere? Chi sei?- Si stava arrabbiando.-Dai non ti arrabbiare, scherzavo. Il mio nome? Questo lo devi scoprire tu perché non me lo ricordo.- La voce proveniva dalle scale a chiocciola e Zella era determinata a scoprire a chi appartenesse.- E dato che né Luna né nessun altro sono nelle vicinanze … - lanciò alcune occhiate per poi dirigersi quatta quatta giù per le scale.- Dove sei?- domandò ancora.- Lo devi scoprire da sola.- rispose.-Sei di questo palazzo?-tentò di nuovo scesa al piano terra.-Dai vieni fuori.- sussurrò stavolta cercando di non farsi scoprire a zonzo per l’edificio.-Segui la mia voce. – disse sentendo piccoli passi scappare per il lungo corridoio. Vide un’ ombra entrare in una stanza. Malgrado i guai in cui si sarebbe cacciata se non fosse tornata indietro la piccola partì al suo inseguimento ed entrò in una sorta di cucina da cui si sollevavano caldi vapori profumati: decine di donne bianche stavano chine su lunghi tavoli di marmo bianco intenti a mescolare gli ingredienti tra loro, a lavorare la pasta, a decorare e a farcire un’ infinità di dolcetti che poi venivano messi a cuocere in cave modellate  a forni da cui si sollevavano lingue di fuoco blu.-“Che strano fuoco!”- Zella ripensò allora ad Arthur e a quanto facesse freddo in quella landa desolata; tornò a sentirsi in colpa e si ripromise di ritornare al più presto dal suo salvatore. –Sono qui, raggiungimi.- bisbigliò la voce dall’angolo della cucina intenta ad affondare un dito in una ciotola contenente una fumante crema gialla.- Mm … com’è buona!- Aveva guance rubiconde e rotonde incorniciate in una massa riccia di capelli castano scuro; due occhi acquamarina fissavano ora la ciotola ora la stella divertiti e incuriositi. – Sei un bambino.- riconobbe Zella guardando il suo piccolo corpo minuto pallido e coperto da una vestaglia simile a quella che aveva visto indosso alle statue sul portone.- Shh, parla a bassa voce. No, sono uno degli angeli sul grande portone.- negò trattenendo un sorriso. –Non è vero. Sei umano.- negò a sua volta l’altra incuriosita: non aveva mai visto un umano tanto piccolo e pallido e le guance rosse creavano un forte contrasto. - Sbagliato.- il bambino cacciò la lingua per dispetto.- E allora che ci fai qui?- Non lo so. - Non lo sai?- Tu non sei umana, hai due sfere d’oro al posto degli occhi.- la prese in giro il bambino “angelo” sghignazzando cosa che la fece infuriare.- Sei cattivo!- Non volevo offenderti era un complimento e abbassa la voce altrimenti ci scoprono.- la zittì con una mano rintanandosi sotto un tavolo.- Sono talmente indaffarate a cucinare che non si accorgeranno di noi. Comunque scusa se ti ho offeso, hai dei bei occhi.- Grazie.- rispose Zella riprendendo la calma: le aveva procurato disagio arrabbiarsi e si era sentita ribollire come magma bollente . Si chiedeva se questo avesse comportato ad appiccare un incendio.- Cosa sei tu?- Io sono una stella.- Una stella, che bello! Ma allora perché non sei in cielo e non ti illumini?- E’ una lunga storia.- disse malinconica la ragazzina portandosi le ginocchia al petto. La sensazione di vuoto e di dolore non era mai cessata era solo affievolita e la trovava molte volte insopportabile.- Oh,io so ascoltare e poi non ho niente da fare. Mi annoio a morte qua dentro e se mi portassi con te sulla Terra magari potrei recuperare la memoria … - Dici?- Secondo me sì, dai aiutami.- Zella all’ inizio non rispose ma alla fine dovette arrendersi perché le suppliche di quello scricciolo la esasperarono.- Va bene ti porterò via con me. Contento?-Sii!- Nell’esultare non si accorse di rovesciare con un gran baccano tutto il contenuto della ciotola per terra la quale andò ovviamente in frantumi.- Ops! Io me la squaglio, ciao, ciao!- Ehi! Dove vai?- Ma non lo vide più. Era sparito all’improvviso e Zella rimase interdetta ad osservare la ciotola in frantumi. Ora molti occhi la stavano fissando compresi quelli di Luna che con sguardo imperscrutabile e con un lungo sospiro disse semplicemente:-Sono pronta. Vogliamo andare prima di combinare qualche altro pasticcio?-

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