Invictus

di Illunis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cadere ***
Capitolo 2: *** Riaffiorare ***



Capitolo 1
*** Cadere ***


Titolo: Invictus

Fandom: Shingeki no Kyojin

Personaggi/Pairing: Levi/Eren, nominati altri qua e là

Genere: esiste il genere ‘sfiga’? una via di mezzo fra il drammatico e il romantico, forse, non so (fate voi)

Capitolo: 1/2

Conteggio parole: 2052

Prompt: Scaglie per la prima settimana del Genetics Fest indetto da fanfic-italia

Rating/Warning: Safe/Pg 13, Shonen-ai, Au (anche no, non so, è un disastro ecco cos’è #LOL)

Note: Non betata, quindi abbiate pietà di me. Ovviamente il titolo dovevo fregarlo da qualche parte, fate finta che non ci sia non è che non sapevo cosa mettere, no è l’unico che mi è venuto in mente senza la presenza di Levi è come il prezzemolo questo qui.

 

 

 

Tutti possono sbagliare e in quel tutti vi sono racchiusi anche quelle poche persone che credi - credevi - immortali, perfetti, e sei tanto un bambino che guarda con sognante ammirazione un genitore, il fratello maggiore, con occhi cechi davanti alla loro umana capacità di sbagliare, d'essere in torto, di morire.

Ora, in una manciata di secondi, questa certezza su di lui si sta dissolvendo, perché infine la gravità ha vinto, i fili d'acciaio che sono le vostre ali l'hanno tradito e in un tuo frenetico respiro lo vedi cadere nell'abbraccio delle tumultuose acque del fiume, vostro compagno lungo il bosco che stavate attraversando.

Non è perfetto, il tuo caporale, non è perfetto e ora è in pericolo.

Freni immediatamente le tue ali - le grida della squadra echeggiano nei tuoi sordi timpani - con nulla di diverso della volontà di salvarlo nella tua mente; l'atterrare e sganciare il modulo - troppo pesante, d'intralcio in acqua - si fa una cosa sola, un balzo e il gelo del fiume t'inghiotte.

L'ultima frase che odi è di Mikasa.

Ti raccontava della sua angoscia di perderti e di quanto sei sconsiderato, ma c'è solo una parola che viaggia fra i tuoi neuroni e ora cerchi la sua corrispondente immagine fra i neri flutti. Scuri, densi, impregnati di fango e melma ti trascinano nelle loro spire, come se avessero una loro volontà, una volontà infima, distruttrice, ti vogliono uccidere bisbiglia insensatamente il tuo istinto, e lo faranno, oh, sì, che lo faranno, con le loro lunghe dita ti strapperanno l'aria dalla gola e ti mangeranno i polmoni, lentamente, poi saliranno al tuo cervello e lo distruggeranno pezzetto per pezzetto, lentamente, con gusto. Il fiume ti divorerà come un gigante, continua a raccontarti la tua mente, vi divorerà si corregge nel scorgere Levi, ma è un attimo, le spire dell'acqua sono troppo forti, ti sbattono contro un masso e si insinuano nella tua gola mentre una smorfia di dolore si impadronisce del tuo viso. Hai bisogno d'aria, ma temi che riemergendo perderesti di vista le ali stampate sulla divisa del caporale, e lui, per quanto sia forte, non può farcela da solo; il modulo di spostamento che così tante volte l'ha salvato ora lo sta tradendo, freddo e inutile al suo fianco è l'ancora che lo legherà per sempre al letto che lo condurrà all'ultimo riposo.

No, non lo lascerai morire così... così inutilmente.

No.

Non lo lascerai morire e basta.

Levi.

Combatti contro le dita del fiume, una bracciata, due, tre, stai avanzando o meno, non lo sai, e il bianco e il blu del cappotto che disperatamente vuoi raggiungere si fa sempre più indistinto; bruciano i tuoi polmoni, è aria che anelano, tu non ne hai da dargli, non vuoi, non vuoi perderlo di vista, no, se lo farai hai come la sensazione che non lo troverai mai più. Vuoi urlare il suo nome, come se fosse un incanto: lo pronunci e lui si gira e va tutto bene, lui è forte, sconfigge la forza del fiume, ti prende per un braccio e ti strascina fuori dalle acque, ti prenderà a calci, perché sei stupido e imprudente, perché diamine l'hai seguito nel fiume?

Lui è forte, perfetto.

Invincibile.

Vero?

È così, deve essere così.

Allora perché non taglia i flutti con le sue braccia, perché non si volta, perché—

Non lo vedi più.

Scioccamente, d'istinto, allunghi una mano a spezzare la coltre di melma.

Niente, non distingui più niente. E il niente sta prendendo il posto del tuo respiro, quel niente è l'acqua torbida, quel niente è il nulla della morte, e forse sarebbe facile accettarla se questo significasse solo la tua morte.

Tu sei l'ultima speranza per l'umanità ti dice Levi con la voce dei ricordi, e lui, lui che è l'uomo più forte, lui che è il tuo caporale è lì, oltre la tua mano, oltre la coltre di melma e morte.

No.

Non moriremo.

È improvviso, veloce, come le altre volte.

L'istinto e il potere del titano ti controlla, il tuo desiderio li guida. Riempi i polmoni con boccate di fiume, non soffochi, ti scorre facilmente nel tuo corpo, come se fosse naturale la loro presenza lì, e respiri, respiri di quell'acqua, e ti diviene normale - naturale - arrivare a percepirne il gusto e a lamentarti dell'orrendo sapore; la ragione coglie la stranezza, però ora non ti preoccupi di cosa sia anormale o meno, l'ossigeno ha dato carburante alle tue cellule, il titano ti dona forza, il cuore la determinazione. Sbatti le gambe, in perfetto sincrono rompono i flutti, li domi, finché l’intuito ti insegna ad appropriarti della loro forza e arrivi a volare fra i loro corpi, adesso sono tuoi alleati, e ti conducono nelle loro profondità, dove stanno divorando la vita dal corpo di Levi.

È pallido, riesci a distinguerlo perfettamente - qualcosa deve essere cambiato anche nei tuoi occhi se riesci a vedere in quella pece - e sei certo, quasi la poi vedere, la morte sta per raccogliere la sua vita. Lo raggiungi con il suo ultimo respiro fattosi bolle che impattano sul tuo viso, l'avvolgi nel tuo abbraccio e i vostri sguardi si incontrano, ed ha così tanta energia, il tuo caporale, che riesce ancora a spalancarli, colmi di stupore.

L'istinto ti ha fatto notare che stai respirando.

Non capisci come sia possibile, è un dettaglio superfluo ora, il tuo corpo è carico d'ossigeno e Levi ne ha bisogno, la luce azzurra del cielo non penetra fin nell'abisso in cui siete e i secondi che impiegheresti a raggiungerla donerebbero il caporale alla Nera Signora.

Conosci un solo modo per salvarlo, uno solo.

Lo baci.

Collimi perfettamente le vostra labbra, le sigilli e sospingi con forza la tua calda aria lungo la sua gola, ispiri dall'acqua ed espiri in lui, con forza lo strappi dalle scheletriche dita della Signora, il blu delle sue labbra diventa rosa, il pallore scompare, i muscoli si contraggono ricchi di vita, ed ora è lui che respira attraverso te.

Colma le sue mani con il tuo viso, delicate sulle tue guance ti accarezzano, i suoi occhi così vividi e colmi di vita, ti parlano d'affetto e gratitudine come mai avevano fatto.

E tu, stupido moccioso, riesci ad imbarazzarti.

Ti dimentichi di trovarti venti metri sott'acqua, d'essere la personale bombola d'ossigeno del caporale e finisci per tentare di borbottare - cosa poi cerchi di dire non lo sai nemmeno tu - e col separare le vostra labbra. Basta un suo sguardo per ordinarti di calmarti - quel tanto per far arrivare il commento della ragione al tuo agitato Io, perché ti sei imbarazzato per qualcosa del genere? - e appena lui alza lo sguardo verso l'ossigeno che anche lui potrebbe respirare dimentichi il rossore sul tuo viso, lo stringi a te, lo liberi dal peso del modulo di spostamento, e ordini alle tue gambe di portarvi verso il chiaro azzurro del cielo.

Poche spinte e con forza squarci il velo delle acque; il respiro della terra accarezza finalmente la vostra pelle.

Ritorni a respirare dall'aria con facilità, solo un lieve ed indistinto bruciore accompagna i tuoi respiri; cali le palpebre all'accettante velo dell'acqua, t'infiammano gli occhi ma neghi a loro la totale oscurità. Le dita del fiume subdolamente tentano di trascinarvi nella bocca da cui siete appena usciti, e se non sono in grado di inghiottirvi sperano di spezzarvi contro i massi che gli deturpano il corpo, ma voi, figli di Davide, lottate contro l'ennesimo Golia, l'uno stretto all'altro lo vincete con quella forza che per la prima volta ti ritrovi a ringraziare.

È una piccola spiaggia di verde il vostro asilo, una dolce curva di un flusso violento, qui le sue mani vi sono amiche, amorevolmente vi aiutano a raggiungere la riva, vi sospingono nel fresco profumo d'erba e, sfiniti, lasciate che vi cullano le gambe dolcemente. Solo l'acuto gorgoglio delle tumultuose acque ricorda la precedente crudeltà.

Colmi gli occhi del cheto azzurro del cielo mentre lasci regolarizzare il tuo respiro, al tuo fianco Levi fa lo stesso, scorgi il profondo alzarsi delle spalle, la dura linea dei fianchi muoversi scolpita nella perlacea stoffa umida e il suo silenzioso affanno, come se reputasse una debolezza una mancanza così umana.

Un sorriso nasce sul tuo viso.

Hai come la sensazione - un intuizione - Levi è intrappolato nella leggenda della sua invincibilità a tal punto da non sopportare il mostrarsi in difficoltà, debole. Allunghi una mano, forse per confortarlo, forse per poter vedere meglio il suo viso ed essere certo che stesse bene, non lo sai, ma non arrivi a sfiorarlo.

Ti blocchi, terrorizzato.

La tua mano è palmata.

Fissi il sottile velo che congiunge le dita, scaglie argentee risalgono lungo il dorso perdendosi sulle unghie arcuate, le muovi e la membrana le segue perfettamente collegata. Corri verso il gomito e ti ritrovi a seguire l'argento di quella nuova pelle mutarsi in verde e addentrarsi sulla tua spalla e...

Non hai più le gambe.

Hai una cosa al loro posto.

Un pesce.

Hai la squamosa, viscida coda di un pesce.

« Caporale » è la prima parola che forma la tua mente, e mentre scorri la tua mano su quella viscida cosa al posto dei tuoi arti, lo ripeti come un mantra, perché per te è diventata come una filastrocca, simile a quelle che ti insegnano da bambini da recitare nel momenti di paura, quando cerchi quella forza, quel coraggio che non riesci a trovare. Ma tu di coraggio ne hai a sufficienza, per te la filastrocca del suo nome è l'ancora della salvezza, il mare piatto nella tempesta.

Sentiresti il tuo nome pronunciato da lui anche nell'ululato di un uragano.

Stacchi lo sguardo dalle argentee squame che ti ricoprono e un poco di pace ritorna in te nell'annegare nel fermo e determinato celeste dei suoi occhi.

Il suo calmati fa il resto.

Ti guarda fra lo stupore e la preoccupazione - è per questo che hai così fiducia in lui, il caporale Levi non ti ha mai temuto, mai - e poi vedere nelle perle dei suoi occhi ogni suo pensiero, considerazione e la determinazione a non lasciarti indietro, a qualsiasi costo.

« Dobbiamo raggiungere immediatamente gli altri. » l’ultima parola è un soffio che si gela sulla tua pelle imperlata d’acqua, le sue dita scorrono sui lunghi tagli che percorrono il tuo collo, simili a branchie. « Riesci a staccarti » estrae l’arma per il segnale di fumo e ferma il gesto per trovare la parola adatta per descriverla. « dalla coda? »

« Non lo so... non è mi è mai successo » tenti nervosamente di strapparti le scaglie, ti sei pur sempre trasformato come al solito quindi - ragioni - dovresti riuscire a liberarti da quel corpo non tuo, così da farlo svanire in una nuvola di vapore. « non riesco a uscirne. Non riesco… »

« Oi, Eren » ferme e forti le sue mani t’artigliano i polsi, impedendoti di dilaniarti le carni con le acuminate unghie regalateti dalla trasformazione, per ora, consiglia cerchiamo almeno d’uscire dall’acqua, forse la pelle di scaglie si dissolverà lontano dall’elemento che l’ha generata.

Ti trascini sulla riva, un po' con la tua forza un po' con il suo aiuto - forse troppo grazie a lui perché finisci disteso fra le sue braccia -, e nervoso quanto sei non t'accorgi di star sbattendo la coda sul pelo dell'acqua, solo quando Levi ti fa partecipe del suo fastidio per il suo rumore ti ricordi di possedere una coda.

La fissi e non riesci a accettare che sia una parte di te. Reputi più usuale - nell’anormale - ritrovarti imprigionato in un corpo di venti metri che in un pesce.

Ti stai ancora fissando, quando Levi da dietro di te ti chiede se ora sei in grado di ritornare come prima, e tu sei terrorizzato dall'idea di non riuscirci, ma arrivi comunque a provare un brivido per il suo caldo fiato sulla tua pelle bagnata, ed è così - fra le sue braccia - che le voci di Mikasa e Ouji vi trovano.

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Capitolo 2
*** Riaffiorare ***


Titolo: Invictus

Capitolo: 2/2
Beta: nessuno *sniff* (si accettano candidature)

Fandom: Shingeki no Kyojin

Personaggi/Paring: Levi/Eren, qualcun’altro

Conteggio parole: 1434

Prompt: Classe Sirene + Ventose + Vuoto per il Genetics fest
Rating/Warning: Safe/Pg 13, Shonen-ai, Au

(vecchie) Note: Perché annegare la gente è molto divertente, sì. (Quella immaginaria, che sia ben chiaro, eh anche se certa plebaglia...) Ovviamente se non mi metto a scrivere giusto il giorno prima della scadenza non mi diverto \o/ quindi non è betata, di nuovo #LOLdadisperazione

P.S. L'ho riletta, ma so già che ci saranno la solita marea di errori di varia natura (ma prettamente grammaticale), però se aspettavo di avere un po' di tempo per cercare una beta sarebbe arrivato novembre. Dato che è la prima volta che ho un capitolo già bello che finito in poche settimane mi sembrava un peccato non aggiornare presto per una volta \o/

[prima parte]

Sono minuscole, tonde, aggraziate diresti se non si sviluppassero lungo le tue dita. Le schiacci delicatamente e il tatto ti racconta la loro morbidezza un po’ viscida - non è una novità, ormai sei tutto viscido - e l’inganno dietro la loro innocenza. Fatichi un bel po’ per staccarti le dita che avevi congiunto, entrambe dotate di ventose.

« Dovresti imparare a calmarti. » sussulti, la tua mente aveva accantonato l’immagine di Levi nella tua stanza, in piedi, vicino al letto su cui ti hanno trasportato (ti rifiuti di ricordarti come ti hanno portato nei sotterranei), e gli chiedi come è possibile restare calmi quando ti ritrovi in un corpo di pesce.

« È per questo che non riesci a ritornare umano, Eren. » incontri i suoi occhi e forse è la tua ammirazione o è veramente così, ti sembra che la pece che li disegna sappia la risposta ad ogni domanda.

Ti si è formata una piccola certezza nei momenti in cui Hanji impazziva ad analizzarti, Armir snocciolava possibili soluzioni e Mikasa ti abbracciava fino a stritolarti, colma di preoccupazione: ogni volta che il terrore minacciava di impossessarti ti bastava alzare lo sguardo, annegare nella silenziosa tempesta delle iridi di Levi e tutto ritornava semplice, facile.

Stai calmo, credi in noi.

« Cosa dovrei fare per ritornare umano… così… così non servo a niente… » in questo stato come potrò servire per riprendere il muro di Maria?

Ritorni sui tuoi palmi, con quelle piccole ventose contratte animate da una volontà propria, almeno è questo che credi; si stanno muovendo contrarie ai tuoi desideri, quasi come se fossero bramose di voler attaccarsi a qualcosa.

Le lettere della sua risposta t’arrivano da lontano, ovattata dalla vista di quelle piccole ventose, perciò non noti quanto il tuo caporale si sia avvicinato, percepisci solo la punta del suo piede conficcata nel tuo fianco.

« Smettila di fissarti, stupido moccioso. » lo fai, soprattutto perché il corpo ti ha ordinato di dare un po’ di conforto alla parte lesa, e ti sembra strano che non ti faccia poi così male, il caporale Levi è così forte…

« Ti ho detto di restare calmo o sbaglio? »

« Sì, l’ha detto, ma—» l’ultima sillaba te la devi ingoiare, Levi sta seguendo la sua personale teoria su come inculcare dei concetti e il suo piede ha preso dimora sulle squame del tuo fianco.

« Eren. Se ti ordino di stare calmo devi restare calmo, hai capito? » si è chinato su di te, pochi respiri vi separano, ti appiattisci contro la testiera del letto, perché… non te lo sai spiegare, il caos regna sovrano nella tua calotta cranica, e sei diventato un pesce, un maledetto pesce, e di dare un po’ di tempo alla tua ragione per fare un po’ di domande a quell’insensato sentimentale di cuore non ne vedevi l’utilità. Sono altre le prerogative, ti dicevi, cosa importa se il vuoto si impossessa della tua mente al percepire il fiato del caporale sulla pelle?

« Oi, rispondi. »

Lo stai per fare, lo vuoi fare, racimoli l’aria che andrà a vibrare le corde vocali, raccogli le parole nella mente, espiri, ma nessun suono lascia le tue labbra, solo il nulla accompagna il loro muoversi.

Respira sussurra la tua mente, ne hai bisogno per vivere, ma c’è qualcosa che te lo impedisce e sottili stiletti si ficcano lungo il collo ogni volta che tenti di cogliere dell’ossigeno, ti brucia la carne della gola, arsa, secca, anela acqua t’avverte l’istinto; la ragione ride delle sue parole, hai bisogno d’aria urla, a quale pro cercare dell’acqua?

Sei diviso dalle loro idee e il terrore, secondo dopo secondo, conquista la tua mente, artigli le braccia dell’uomo che sta pronunciando il tuo nome e cerchi sul suo viso un punto fermo nella tempesta, la soluzione a tutto. Ma il tuo caporale non è onnisciente, nessuno lo è, lui è freddo e risoluto, ha imparato a far scorrere la paura sulla sua pelle senza che questa gli si insinui nelle cellule, senza cedergli il controllo. Questa volta sarà più difficile non lasciarsi prendere, Levi, il nemico è immateriale, subdolo, non basta tagliarlo per sconfiggerlo e troppe vite hanno spirato sui tuoi occhi, troppe.

Eren non sarà una di queste.

Le tue labbra s’abbelliscono di blu - è la morte che te li dipinge, attenta ti aspetta impazientemente -, il rosa del tuo viso le sta seguendo e Levi si è chinato su di te, raccoglie con lo sguardo i possibili modi per strapparti dall’imminente destino (non è ferito, non è ostruito) e… le branchie.

Sottili ferite vermiglie incise lungo il collo, che ora si stanno contraendo, aprendosi e chiudendosi spasmodicamente, nervose vibrano quasi stessero richiamando dentro di sé un qualcosa.

Eren ora è un pesce.

Ricordarselo solo in questo momento è da stupidi, si sgrida il tuo caporale, ma le sue braccia sono veloci e forti, ti strappano dalle coltri che fra poco avrebbero accolto il tuo cadavere, determinate ti stringono al suo petto e al grande cuore che occulta dietro al suo impassibile viso, ti conducono fuori dalla stanza per adagiarti nella vasca, in bagno.

Accogli le prime gocce infrante sul tuo collo con un lungo e profondo ispiro.

Il getto della vasca-doccia non è pieno, per te sono gocce date al deserto, ma Levi ha tappato la ceramica, un sottile strato di acqua ti accarezza la coda e lentamente ti sommergerà. Quel poco d’ossigeno che filtri ti permette di sopravvivere, però il terrore non ti ha abbandonato e ti aggrappi all’uomo che ti sta strappando dall’incertezza dopo la vita.

Levi vorrebbe adagiarti sul fondo cosicché le tue assetate branchie inghiottirebbero di più, ma le tue mani sono rigide attorno ai suoi bracci e le ventose stanno risucchiando la sua pelle seguendo l’istinto di non lasciare la salvezza che ti sta strappando dal gelido vuoto che ti stava consumando.

Eren sussurra la sua voce mutata in una calda carezza sulla tua guancia, Eren sospira cercando il tuo sguardo annegato nella pece delle palpebre, hai poche forze per parlare, e per comandare alle mani di lasciarlo così come ti sta chiedendo; non sai da quanto tempo - forse da sempre - lui riesca a capirti solo guardando l’increspatura fra le sopracciglia o il brillare dei tuoi testardi occhi, però capisce che è il tuo corpo sordo alle sue richieste.

Smette di chiamarti - ti senti quasi perso senza la musica della sua voce - entra nella vasca e si abbassa con te.

L’acqua è gelida, il tuo viso brucia arso dai suoi palmi che lo raccolgono per sospingerlo nel lenzuolo d’acqua che ora lambisce metà del tuo corpo, il tuo respiro si è fatto più cheto, e la mente ha sospinto il nero baratro dell’orrore e la luce dell’intelletto ha ripreso a regnare.

Ispiri ed espiri, non sei mai stato più felice di fare una cosa così ovvia, e collimi i vostri sguardi.

È Levi, il tuo caporale, ma non è nemmeno lui.

Credevi che nulla avrebbe smosso il brillare delle tenebre delle sue iridi, nulla, tanto meno l’incertezza della tua vita. Lo sai perfettamente che sono stille d’acqua quelle che stanno rigando il suo viso, non lacrime, evitare però il nascere del prepotente desiderio d’abbracciarlo non poi, è un ordine dettato da una parte di te che non credevi possedere più e come tale poi solo obbedire.

L’abbracci e ti perdi nel tepore del suo corpo, lo stringi e lacrime di frustrazione lasciano le ciglia chiuse, vorresti sommergerlo di parole di ringraziamento, vorresti dirgli quanto l’ammiri, quanto ormai sia importante per te e quanto vorresti fare per lui; sai, dopotutto che ogni suo gesto è dettato dalla tua importanza strategica - l’unica speranza per l’umanità è ormai il tuo titolo - e forse lacrimi anche un po’ di tristezza per questa certezza.

Forse lo stai stringendo troppo forte, ora l’acqua è bollente sulla vostra pelle e l’aria è densa e calda. Dischiudi le palpebre e una fitta nebbia colma la stanza.

Una coltre di vapore vi abbraccia, lentamente si separa da voi, ma perdi interesse nell’osservarla appena poi vedere il suo viso e le lettere dell’ennesimo stupido moccioso disegnate dalla sua bocca.

« Non rifarlo mai più. » ogni sillaba è un respiro sul tuo viso, vorresti con tutto te stesso aver capito cosa intende, ma chiederesti troppo al tuo provato cervello e quel cosa che magari sarebbe stato meglio lasciarlo vagare fra le tue sinapsi l’hai formato con la lingua.

« Non » t’artiglia una guancia, stritolandola « trasformarti in un pesce mai più. » stai per rispondergli che non hai nessuna intenzione di ripetere l’esperienza, anzi vorresti evitare di trasformarti in qualsiasi cosa, ma le sue labbra accarezzano le tue ed ogni cosa, per quei istanti, perde ogni importanza.

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