You Found Me

di Yoan Seiyryu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Run Rabbit Run ***
Capitolo 2: *** Are you afraid? ***
Capitolo 3: *** Memories ***
Capitolo 4: *** Lost and Insecure ***
Capitolo 5: *** Her name is Grace ***
Capitolo 6: *** A new wife ***
Capitolo 7: *** Valentine's Day ***
Capitolo 8: *** Fight ***
Capitolo 9: *** Home ***
Capitolo 10: *** Hat ***
Capitolo 11: *** Monster ***
Capitolo 12: *** The Curse ***
Capitolo 13: *** Hello, dad ***
Capitolo 14: *** The Wolf ***
Capitolo 15: *** Family ***
Capitolo 16: *** Come back ***
Capitolo 17: *** All's well that ends well ***



Capitolo 1
*** Run Rabbit Run ***







Corro, ma voglio fermarmi.
Le gambe tremano e stanno per cedere. Arranco, ma non mi arrendo. Guardo davanti a me, i rami degli alberi mi feriscono il viso. Non importa, la ferita che ho dentro è più profonda. Sanguino, ma non me ne rendo conto. Voglio girarmi ma non posso, se mi avesse seguita? Non gli darò la soddisfazione di guardarmi in viso. E’ finita, non tornerò più indietro.
Fallo funzionare, fallo funzionare, fallo funzionare!
Che ore sono? E’ l’ora del tè. Il tè, odio il tè. Qui è sempre l’ora del tè! Ed io dovrei essere a casa, dalla mia Grace, che mi aspetta per il tè. Odio, odio il tè. Il tempo è fermo e se non lo è gira troppo velocemente. Sono le cinque, ma lo sono da tanto, lo sono da troppo. Oh, una lancetta si è spostata! Ed ora torna indietro.

La sento, la cicatrice è proprio lì a ricordarmi la mia esistenza, la mia fuga. La sento bruciare, va a fuoco e forse così lui verrà a cercarmi. Se noterà il sangue, saprà dove sono. Ma perché, perché penso questo? Lui mi ha procurato quella cicatrice, da lui io non guarirò mai. Guardo avanti, non mi fermo, tornare indietro sarebbe un errore e già ne ho commessi troppi.
Non capisco dove è il sopra e dove è il sotto in questo cappello, ma qui tutto è sottosopra! Quel che dovrebbe essere sotto è sopra e quello che dovrebbe essere sopra è sotto, odio questo posto. Lo odio. L’orologio va avanti, ticchetta ma rimane fermo. Come può muoversi e al tempo stesso essere immobile? Il tempo, lo spazio, qui è tutto al contrario di ciò che si pensa.
Sento le lacrime scivolarmi sul viso ma le caccio via, non le avrà. La strada che percorro è lunga, mi distraggo e inciampo. Cado a terra e mi sento sprofondare, non riesco a rimettermi in piedi. Le gambe sono pesanti, i miei occhi rimangono a tremare sulle radici di un albero. Non lo rivedrò mai più e non dovrebbe importarmi. Provo rabbia, non dolore, perché lo odio.
Eccoli, eccoli che arrivano a comunicarmi che a breve qualcuno ci salverà. Alice, quella Alice! Sciocchezze: Alice è un’invenzione, una leggenda per farci credere che può esserci ancora speranza. Perché tutti per vivere ne abbiamo bisogno. Ma Alice non verrà, non verrà nemmeno questa volta perché lei non c’è mai stata. Poveri stolti, nessuno può fuggire dal Paese delle Meraviglie.
Non è vero, certo che non lo odio. Mi rialzo e sistemo il cappuccio rosso sulla testa, Charming mi attende e l’ho fatto aspettare anche troppo. Non mi sarei mai dovuta fermare, perché l’ho fatto? Perché sono stata attratta da quel sorriso? Ed ora non potrò più rivederlo. Ma non mi importa, no che non mi importa! Un mostro, ha detto che sono un mostro ed io non tornerò indietro.
Rimarrò qui per sempre, non c’è via di fuga. Guardo in alto e vedo il basso, le finestre sono porte e le porte sono al contrario, i miei pensieri sono diventati come questo paese. Il tè, eccolo di nuovo, l’unica salvezza. Devo lavorare, devo lavorare. Il cappello, mi serve il cappello. Perché non funziona? Voglio che funzioni! Impazzisco, impazzisco, sto scivolando via e non mi importa. Rido, non mi fermo.



 



Run Rabbit Run



 

Storybrooke, durante il sortilegio
 
Schioccò la lingua con fare annoiato mentre afferrava il vassoio che le porgeva sua nonna e lo trascinava verso il tavolo occupato da Mary Margaret, la quale era arrivata una decina di minuti in anticipo rispetto all’appuntamento che aveva preso.
Se ne stava seduta con le mani conserte, vestita con il suo maglioncino rosa che non lasciava intravedere alcuna forma ed una gonna bianca che copriva le ginocchia, senza lasciare spazio all’immaginazione.
Quando Ruby si rese conto del terribile errore che aveva commesso, si indirizzò da lei, chinandosi lentamente verso il suo orecchio per sussurrare poche ma intense parole.
“Dovresti smetterla di conciarti in questa maniera, di questo passo il Dottor Whale finirà per annoiarsi” e subito dopo si allontanò per posare il vassoio con sopra una fetta di torta al tavolo accanto.
Mary Margaret arrossì fino alla punta delle orecchie, mostrò un’espressione stizzita e sprofondò nella sedia con un senso di vergogna ampiamente accentuato.
Quando Ruby tornò da lei, appoggiò una mano sullo schienale della sedia, inclinando la testa verso il basso per attendere una risposta.
“Trovo che sia più confortevole vestirsi in modo comodo, che mettere in mostra tutto e subito” rispose Mary Margaret alzando il viso verso di lei, la quale parve accusare la frecciata che le aveva mandato.
“Non hai scusanti, sei bella e potresti rivaleggiare con tutte le donne di Storybrooke. Perché ti ostini a nasconderti dietro ad un maglioncino che non indosserebbe nemmeno mia nonna?” le chiese Ruby con un broncio.
Fece proprio questo, chiudendo le braccia in modo che potesse stringersi, quasi in un solitario abbraccio.
“E’ ciò che sono,  se il Dottor Whale non è interessato a quel che ho dentro, può scordarsi di vedermi in modi diversi da questo” rispose con fermezza, anche se capiva bene che cosa l’amica le stesse dicendo.
Ruby sospirò, alzando gli occhi al cielo.
“Riponi troppa fiducia negli uomini, se prima non li attrai con le apparenze, non cadranno mai ai tuoi piedi per scoprire cos’hai davvero da offrire” e con questa sentenza si allontanò, richiamata dalla nonna che la rimproverò per fermarsi sempre a chiacchierare invece che darsi da fare.
Intrattennero una breve discussione, come capitava ogni giorno, in fondo era diventata un’abitudine quella di cadere perennemente nell’incomprensione.
Quando tutto tornò alla normalità, Ruby continuò a sparecchiare i tavoli e a servire i clienti, nonostante il suo sguardo sorridente fosse rivolto con costanza verso Mary Margaret che era ancora in attesa. Anzi, in anticipo, come sempre. Non imparava mai che avrebbe dovuto farsi attendere, per una volta. Glielo aveva ripetuto così spesso che ormai non vi dava nemmeno conto, se non accettava i suoi consigli per conquistare un uomo, non poteva insistere.
Mary Margaret iniziava a respirare profondamente, turbata dall’idea di esser stata piantata in asso, ma quando credé di aver perso le speranze, il Dottor Whale fece il suo ingresso nella tavola calda per potersi presentare all’appuntamento.
Ruby aveva seguito tutta la scena, Mary Margaret si era alzata con imbarazzo mentre salutava la sua possibile fiamma, ma Whale non aveva l’aria di essere entusiasta, piuttosto la sua espressione rimaneva cauta e fredda.
Un vero colpo di fortuna, pensò Ruby, avere un appuntamento con il miglior dottore di Storybrooke fuori dall’orario di lavoro. Mary Margaret si meritava questo ed altro.
In un momento di pausa Ruby si affacciò ad una delle finestre per poter guardare all’esterno, vide sfrecciare un maggiolino giallo dalla parte opposta della strada, doveva trattarsi di quello della nuova arrivata, Emma Swan.
Da quel che aveva capito il sindaco di Storybrooke non sembrava apprezzare la sua presenza, visto che si era rivelata la madre naturale di Henry, ma a lei non dispiaceva affatto. Rappresentava qualcosa di nuovo ed eccitante per la solita vita della città, sicuramente avrebbe portato solo del bene averla lì. Inoltre Mary Margaret si fidava di lei, quindi poteva sentirsi al sicuro, aveva un ottimo istinto verso le persone.
Nel momento in cui fece per tornare indietro, pestò con il piede  di qualcuno subito dietro di lei e appena si voltò incontrò lo sguardo azzurro di Jefferson. Sì, era così che si chiamava anche se quella sera era arrivato in ritardo rispetto alla solita ora. Lui era uno  di quelli che abitava lontano dal centro cittadino, quasi ai margini del bosco e che arrivava al Granny’s Diner sempre a piedi. Una passeggiata notevole che non tutti avrebbero fatto con piacere.  Ruby gli sorrideva ogni volta che  lo vedeva entrare, si accomodava sempre al solito tavolo in un angolo del locale  e di tanto in tanto si accorgeva che rimaneva a fissarla per qualche istante, prima di esser scoperto e volgere la testa altrove.
“Perdonami, spero di non averti fatto male” Ruby tirò le labbra in un sorriso ammiccante.
Jefferson guardò per un istante il piede che lei continuava a tenere sul proprio, poi rialzò lo sguardo  e si strinse nelle spalle.
“Se mi liberassi di questo peso andrebbe sicuramente meglio” così sorrise.
Lentamente la ragazza spostò il piede da quello di lui, a volte era divertente stuzzicarlo, anche se non gli aveva mai dato troppo conto. Era un tipo strano, uno di quelli che sarebbe stato meglio evitare di frequentare, per questo qualche volta aveva cercato di andare oltre la semplice ordinazione.
“Ecco, ora va meglio” disse lui prima di togliere il soprabito e appoggiarlo su una sedia.
“Ruby, vuoi darti una mossa?” la voce di Granny risuonò nelle sue orecchie, era sempre la stessa storia.
“Arrivo, arrivo!” alzò gli occhi al cielo prima di dileguarsi, perdendo l’occasione di insistere in quell’accenno di conversazione.
Non appena Jefferson si voltò verso il bancone sollevò una mano in segno di saluto.
“Buonasera Granny, come sta?” domandò prima di appoggiare i gomiti sul tavolo.
Granny alzò il sopracciglio con aria più minacciosa che sarcastica.
“Sei qui per intrattenere una conversazione con me o per spiare mia nipote come al tuo solito?” incrociò le braccia al petto.
Jefferson allungò le labbra in un sorriso, conosceva sin troppo bene il caratteraccio della nonna di Ruby e non si stupiva del suo modo di fare, di certo era un modo per proteggerla.
“Sempre di ottimo umore a quanto vedo” rispose scrollando le spalle.
Ruby finse di non aver ascoltato il loro scambio di battute e andò a prendere  un nuovo vassoio con altre fette di torta. Jefferson prese ad osservare i suoi movimenti, finché non scosse lentamente la testa, rendendosi conto che la ragazza insisteva nel vestirsi in modo provocante, non che gli dispiacesse ma al contempo provava una certa amarezza.
Dopo che consegnò le ordinazioni a Mary Margaret e al Dottor Whale che parve essere più interessato a seguire lei con lo sguardo che non ad ascoltare la sua compagna, tornò da Jefferson.
Ruby appoggiò una mano sul tavolo, inclinando la testa di lato per lasciare scoperto il collo solo da una parte.
Quando gli occhi di lui vi caddero per pura curiosità, avvertì un leggero fremito percorrergli la schiena, fu costretto a serrare il pugno con vigore per evitare di perdere il controllo. Ruby possedeva una sensualità unica e riusciva sempre a scombussolarlo. Si inumidì le labbra e si schiarì la voce, per riprendere possesso dei suoi pensieri.
“Allora, visto che per poco non ti ho ucciso, cosa posso portarti?” gli domandò prima di sorridere ampiamente.
“A meno che non sia avvelenato, direi un tè rosso, quello di sempre” rispose senza esitazione.
Ruby aggrottò le sopracciglia ed incrociò le braccia al petto.
“Per quale motivo a quest’ora vuoi un tè rosso?” non che si aspettasse una risposta diversa.
“Il tè è buono a tutte le ore e quello rosso è più simile ad una tisana” vi era un motivo specifico per cui Jefferson ordinava sempre lo stesso tè, alle stesse ore del giorno in cui frequentava il Granny’s.
“Da quando ti conosco non fai che ordinare sempre la stessa cosa, ogni tanto dovresti cambiare” gli disse prima di allontanarsi verso il bancone  allungando il passo, per preparare l’acqua da bollire e l’infuso da lui richiesto.
Jefferson appoggiò il pugno della mano sotto il mento, rimanendo a fissarla per qualche istante, alla estenuante ricerca del suo sguardo chiaro.
“Per curiosità Ruby, da quanto tempo mi conosci?” una volta posta la domanda si spinse leggermente in avanti, rimanendo sulla punta della sedia di modo che potesse seguire i suoi movimenti.
Ruby si morse il labbro inferiore, cercando di riflettere sulla domanda posta. Si formò un’espressione contratta e pensierosa, era evidente che stesse tentando di scavare nella memoria ma non riuscì a tirarne fuori nulla.
“Io non credo di ricordare, so solo che è da molto tempo” rispose lievemente stranita da quella prova miseramente fallita.
Jefferson alzò gli occhi al cielo, sprofondando di nuovo sulla sedia, aveva tentato più e più volte di ritrovare in lei ricordi che non vi erano e ormai doveva arrendersi all’evidenza.
Credé che l’arrivo di quella Emma Swan avrebbe rivoluzionato l’intero mondo di Storybrooke, ma evidentemente non sarebbe bastata la sua semplice presenza.
Ruby terminò di preparare il tè rosso e consegnarlo a Jefferson, avrebbe gradito continuare a parlare con lui se non fosse stata presa più dalle chiacchiere di sua nonna che le riempivano la testa.
Fu in quel momento che Mary Margaret uscì dal Granny’s con le lacrime agli occhi, acuendo il tutto con un passo a dir poco contrariato, mentre Whale cercava di rimediare seguendola.
“E’ tutto inutile Whale” lo sbeffeggiò Jefferson prima che potesse uscire  “le donne non sono così stupide, la prossima volta prova ad ascoltare quello che ti dice Mary Margaret anziché sbavare dietro Ruby. E asciugati, stai lasciando la scia” gli rinfacciò con un fastidio che tentava di reprimere.
Whale arrestò il passo per lanciargli un’occhiata furibonda.
“Fatti gli affari tuoi, Jefferson. Non sei l’unico ad avere gli occhi per farlo” gli rimbrottò contro per poi uscire e andare alla ricerca della compagna, che sembrava scomparsa in qualche vicolo della città.
Ruby che non aveva ascoltato il loro breve scambio di battute, si ritrovò ad osservare prima l’una e poi l’altro uscire dal locale senza nemmeno salutare.
Inarcò un sopracciglio, scuotendo la testa. L’aveva detto a Mary Margaret che avrebbe dovuto chiedere a Whale di incontrarsi al Rabbit Hole invece di trascorrere la serata lì ad annoiarsi.
Lei che aveva la possibilità di godersi un’intera nottata libera, avrebbe dovuto approfittarsene.
Jefferson tornò a concentrarsi sulla sua tazza di tè rosso, gustandone il sapore anche se a volte credeva di non poterlo più sentire. Strinse leggermente la sciarpa che teneva legata al collo, per nascondere segni che avrebbe preferito dimenticare.
Dimenticare… a volte poteva solo sognarlo.
 
 
 
**
 
 
 
Foresta Incantata
 
Correva, correva follemente alla ricerca di un riparo. La coda del soprabito svolazzava veloce mentre tentava di non inciampare fra le radici selvagge che crescevano lungo il percorso. Di tanto in tanto si voltava per controllare di non essere raggiunto, poi riprendeva come se stesse tentando di spiccare il volo.
Si nascose dietro il tronco di un albero, aderendo perfettamente con la schiena, per evitare di essere scovato anche se alla fine fu tutto vano.
Grace spuntò di lato con il cappuccio ben calato sulla testa, appena affannata ma sorridente.
“Tana per papà!” esclamò saltandogli in braccio.
Jefferson la afferrò con cura, stringendola al petto e sollevandola da terra.
“Sei diventata un segugio, ormai riesci sempre a trovarmi” scherzò prima di farla girare con le gambe penzolanti che si alzavano grazie alla forza impiegata.
“Oppure stai solo invecchiando, papà” rispose Grace furbescamente ma con affetto, mentre lo stringeva al petto per non cadere.
Jefferson sgranò gli occhi, fingendosi offeso per quello che gli era stato detto.
“Ah, io sarei vecchio?” la mise immediatamente a terra, poggiando le mani sulle ginocchia per piegare la schiena e guardarla meglio negli occhi “Chi arriva ultimo a casa è la vecchia nonnetta del villaggio!”.
Non appena lo disse fuggì in gran fretta, afferrando il cesto pieno di funghi che teneva Grace, per poi correre  sulla discesa che conduceva alla loro umile dimora.
Grace spalancò le braccia, indispettita.
“Non hai dato il via, non vale!” poi scoppiò a ridere e prese ad inseguirlo, fin quando non si fermò all’improvviso, quando vide fare lo stesso dal padre che rimase ad osservare una carrozza ferma proprio davanti la casa.
“Papà, che ci fa la carrozza della Regina qui?” si avvicinò velocemente a lui, afferrandogli la mano e alzando lo sguardo su di lui per poter ricevere una risposta.
Jefferson aggrottò le sopracciglia e strinse con forza la mano della figlia, prima di inumidirsi le labbra per riflettere.
“Non ne ho idea, sicuramente ci sarà un motivo particolare” si schiarì la voce e mutò espressione da preoccupazione a falsa serenità “Grace, perché non vai a nasconderti nel bosco come facciamo sempre? Cerco di capire che cosa vuole e sarò di nuovo da te”.
Grace non parve contenta di doversi allontanare da lui, anche solo per un attimo, ma non poté fare a meno di ubbidire. Annuì appena e poi eseguì gli ordini, lasciandogli lentamente la mano.
Quando fu certo che lei si era immersa nella macchia boschiva, si adombrò in viso e si avvicinò alla casa, superando l’ingresso con fastidio e netto desiderio di togliersi da quell’impiccio il prima possibile.
Quando varcò la soglia e richiuse la porta, incrociò lo sguardo di Regina che sorrideva al suo solito modo, bella come ogni volta.
“Come ti sei ridotto, Jefferson” formò un broncio sulle labbra carnose “vorrei dirti che sei in gran forma, ma sarebbe una bugia. Hai appeso cappello al chiodo per raccogliere funghi nel bosco?”.
“Grace ha perso sua madre a causa del mio lavoro, non voglio che perda anche il padre” le rispose incrociando le braccia al petto “cosa siete venuta a fare qui? Ormai non posso più aiutarvi in alcun modo”.
“Ne dubito” disse Regina, avanzando verso di lui per poi iniziare a girare per la casa “non sai nemmeno che proposta ho da farti”.
“Che proposta può farmi una Regina che ha perso il trono in favore della sua figliastra? Non avete più potere, ormai” le rinfacciò con una certa soddisfazione.
Regina si voltò di scatto verso di lui, annullandogli completamente lo sguardo.
“Solo temporaneamente, molto presto riprenderò il mio posto e Snow White verrà schiacciata insieme al suo falso principe” gli ringhiò contro, per poi tornare perfettamente composta.
“La guerra che avete messo in atto non sembra avere buoni risultati per voi” insistette Jefferson, rischiando consapevolmente di farla adirare più del dovuto.
“E’ anche per questo che sono qui” sussurrò Regina, guardandosi intorno per poi lasciar cadere gli occhi sulle tazzine da tè lasciate su un piccolo tavolo di legno. Sorrise a mezza bocca “Tieni molto a tua figlia, non è vero?”.
Jefferson corrugò la fronte e fece un ampio passo avanti, puntandole il dito contro con fare minatorio.
“Non vi azzardate a nominare mia figlia, lei non deve essere sfiorata” sibilò con rabbia, l’avrebbe difesa fino alla fine dei suoi giorni.
Regina continuava a sorridere, conosceva il suo punto debole e se ne rallegrava, l’avrebbe incastrato ma oggi o domani non avrebbe fatto differenza.
Non fece caso al suo gesto di minaccia e continuò a vagare per la stanza, osservandosi intorno con falsa curiosità.
“Puoi rifiutare ora, ma prima o poi sarai costretto ad accettare la mia richiesta” disse Regina, fermandosi davanti al tavolino da tè per sollevare una tazzina minuscola utilizzata da Grace ogni giorno alla stessa ora.
“Per curiosità, in cosa dovrei esservi utile?” domandò lievemente infastidito dal fatto che fosse andata a sfiorare qualcosa che appartenesse alla figlia, come se avesse potuto contaminarne qualche particolare.
Regina sorrise, lasciando passare l’indice sul bordo della tazzina, saggiandone la consistenza vecchia e rovinata.
“Ho bisogno che ti occupi di una persona speciale, voglio che tu la faccia fuori in qualche modo” rispose cercando di comprendere la sua reazione, dai suoi occhi parve decisamente contrariato.
“Non sono un sicario, pagatene uno che sappia fare il proprio lavoro” sussurrò con un certo astio.
“Non posso affidarmi ad un assassino qualunque” piegò le sopracciglia con fare scontroso, abbandonando la tazzina sul tavolo per poi avvicinarsi a lui con passi lunghi ma eleganti “ho bisogno del tuo aiuto, apparentemente hai l’aria di una brava persona e questo la ingannerà, cadendo nel tranello”.
Jefferson continuava a non comprendere, ma prestò arrivò una spiegazione esaustiva. Regina voleva annullare la presenza degli amici di Snow White, così da renderla vulnerabile e sola. La forza della figliastra era tutta nella sua bontà d’animo e nell’esser circondata da valide persone che l’avrebbero seguita fino alla morte.
Regina desiderava annientare ogni essere vivente che avesse con Snow legami particolari e  aveva assoldato diversi amici o clienti per fare questo. Lui era uno di essi. Avrebbero dovuto agire lentamente, così che Snow potesse soffrire poco a poco, creando un vuoto incolmabile nel suo cuore. Ma Jefferson sapeva che Regina doveva avere anche un altro piano, se fosse andata male.
Chi doveva far fuori per suo conto? Una ragazza apparentemente innocua, una giovane del villaggio accanto al bosco che era solita indossare un lungo mantello rosso che la proteggeva dalla maledizione che possedeva.
Aveva salvato il principe James da un attacco di Re George trasformandosi in lupo e Regina conosceva la sua forza, non poteva permettere che né lei né altri rimanessero in vita.
“Uccidere non faceva parte del mio lavoro e non ho intenzione di sporcarmi le mani di sangue per voi” sibilò Jefferson prima di voltarsi dall’altra parte, raggiungere la porta e indicarle di andarsene via.
Regina ghignò, inclinando il capo da una parte.
“Se mi aiuterai potrai far avere a tua figlia un futuro migliore, non dovrai più raccogliere funghi per sopravvivere” cercò di convincerlo, ma fu piuttosto inutile.
In fondo sapeva perfettamente che non avrebbe accettato, ma che avrebbe dovuto crearsi la giusta occasione per tirarlo dalla sua parte.
Silenziosamente uscì dalla sua umile dimora, salendo a bordo della carrozza e facendo partire il cocchiere perché potessero tornare indietro.
In quel momento Grace sbucò da dietro un albero e corse verso casa, con il cappuccio che le era ricaduto sulle spalle, si fiondò all’interno con un leggero affanno.
“Papà, allora cosa ti ha detto?” domandò con il fiato corto.
Jefferson per un attimo sobbalzò quando la vide entrare in quel modo, quasi si aspettava un ritorno di Regina con tanto di vendetta pronta per lui.
Scosse lievemente la testa.
“Nulla di importante tesoro, aveva bisogno di un piccolo favore ma non ho potuto accontentarla” le sorrise dolcemente, mentre se l’avvicinava per accarezzarle la fronte e spostarle i capelli dal viso.
Grace non parve soddisfatta della sua risposta ed incrociò le braccia al petto, sollevò un sopracciglio come faceva sempre quando era poco convinta.
“E’ così? Non voglio che ti metti in affari con lei…” disse nella speranza di potersene convincere.
“Credi che metterei prima gli affari di te?” domandò retoricamente Jefferson, scuotendo la testa “Puoi stare tranquilla, non cederò ai suoi ricatti” eppure non sembrò convincere nemmeno se stesso con quelle parole. 




// Nda: 

Ed ovviamente, ecco qui una nuova long. Poteva forse mancare una crack? Visto che scrivo solo di queste e sto infettando il fandom con le mie storie, ne propongo una un pò diversa.
La Mad Wolf è una coppia complicata, estrema e trovo anche che sia difficile da rendere (almeno per me lo è stato).
La storia consta di 17 capitoli e verrà pubblicata ogni domenica (tra l'ora di pranzo e quella di cena). 
Se desiderate seguire anche spoiler, foto, soundtrack a riguardo potete iscrivervi a questo gruppo che ho creato appositamente per le mie storie che ormai sono tante xD e potete anche fare domande se volete:  https://www.facebook.com/groups/507038592717142/
 
Il banner della storia è stato creato dalla pagina: Banner_ImmaginiProfilo_Copertine. 

Ringrazio in anticipo chi seguirà la storia, a domenica prossima! 
 

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Capitolo 2
*** Are you afraid? ***


 

II 

Are you afraid?



 

Foresta Incantata
 
Il giorno del mercato era irrinunciabile. Jefferson vi portava Grace ogni giovedì alla stessa ora, non poteva mancare a quell’appuntamento settimanale, era una promessa che manteneva da quando sua moglie li aveva lasciati. Un tempo lei e Grace vi andavano insieme per comprare i pasticci di carne di cui la bambina andava pazza, Jefferson non voleva che quel rito si spezzasse poiché desiderava continuare sulla stessa strada per rendere felice sua figlia.
Per lei avrebbe sacrificato qualunque cosa, persino se stesso. Si diressero verso l’ingresso della città che sorgeva accanto al bosco, non la frequentavano spesso eccetto durante quel giorno, infatti Jefferson preferiva rimanere lontano dalle altre persone. Non aveva mai avuto grandi rapporti con qualcuno che fosse esterno alla propria famiglia, un po’ per il suo comportamento eccentrico, un po’ perché si annoiava spesso delle persone che gli giravano attorno e preferiva creare un ambiento sicuro lontano da tutti.
Grace gli teneva la mano, saltellando ogni tanto per non sporcare i lembi del vestito nelle pozzanghere che si erano formate la notte prima dopo un feroce temporale.
Jefferson era riuscito a guadagnare otto monete di rame grazie ai funghi che aveva venduto quella mattina al solito cliente del mercato, non era un bottino eccellente ma poteva accontentarsi per un po’.
“Papà, andiamo da quella parte!” esclamò Grace cercando di trascinarlo verso una delle bancarelle che aveva con sé giocattoli per lei interessanti.
“Non vuoi il tuo pasticcio di carne?” le chiese in un sorriso, stupito da quel cambio di desiderio.
Grace sollevò gli occhi al cielo, scuotendo il capo furbescamente.
“Ogni tanto bisogna cambiare le proprie abitudini: oggi niente pasticcio di carne, non prenderò nemmeno il  tè alle cinque, lo farò ad un altro orario”.
Jefferson inarcò un sopracciglio, mostrando un’espressione piuttosto sconvolta. Da quando si comportava proprio come lui?
“E per quale motivo dovresti farlo?”
“Se non si sperimenta non si saprà mai cosa ci piace davvero: è quello che dici sempre” le rivolse un sorriso caloroso, stringendogli di più la mano.
Grace era incredibilmente matura per la sua età, anche se Jefferson si ostinava a trattarla come una bambina ben più piccola. Per senso di protezione o solo per non accettare di vederla crescere. Era la sua piccola Grace e nulla sarebbe mai cambiato tra loro.
Alla fine vinse e la accontentò, conducendola al banco da cui era stata affascinata. Quando vi arrivarono sciolse la mano dalla sua e si gettò su un coniglio dall’aria buffa e dalle orecchie lunghe e bianche.
“Papà, mi piace tanto!” esclamò, lo aveva intravisto da lontano, per questo aveva cambiato idea.
Lo desiderava davvero, i suoi occhi erano illuminati dalla luce che tutti i bambini hanno a quell’età, quando vogliono qualcosa con cui giocare e divertirsi.
“Potrebbe essere il mio nuovo amico per l’ora del tè” sorrise inclinando la testa di lato per sembrare più convincente.
Jefferson si lasciò sfuggire una risata, scuotendo leggermente la testa.
“Mi hai convinto” si rivolse alla commerciante dunque, una donna anziana chiusa in un manto grigio e logoro che se ne stava dall’altra parte del bancone “quanto devo per questo?”
“Ottima scelta” mostrò loro un sorriso nero e vagamente raccapricciante, cosa che non piacque affatto a Jefferson. “Una moneta d’argento” allungò la mano per il pagamento.
Rovistò nella tasca per poter tirar fuori le otto monete di rame e mostrargliele, quasi a scusarsi di non avere quelle mancanti.
“Temo di non avere altro” disse a mezza voce, tenendo d’occhio Grace che stringeva calorosamente il coniglietto.
“Privarsi di tutti i propri averi per accontentare la propria figlia, è davvero commovente” disse la commerciante, rivolgendo un mezzo sorriso alla bambina “tuo padre deve volerti molto bene”.
“Grazie per la comprensione” disse allungandole le monete perché potesse prenderle.
“Non ho detto che l’avrei dato via ad un prezzo inferiore” le mani lunghe e irrigidite si mossero verso Grace per potersi riprendere ciò che non spettava a lei e posizionò di nuovo il coniglietto al suo posto.
Jefferson parve stupito di quel comportamento e si impuntò, rendendosi conto di quanto Grace tenesse davvero a quel giocattolo, si accontentava sempre di poco e per una volta che aveva piacere ad avere qualcosa di nuovo non poteva lasciarla senza nulla.
“Non me ne andrò di qui senza quel coniglio” l’espressione del viso si era indurita, avvertendo l’improvviso odio che provava verso quella vecchia e anche verso se stesso, per non essere all’altezza del compito di un padre.
“Papà, ti prego, non ne ho bisogno…” fu Grace a spezzare quella discussione che era nata tra i due, lo tirò per la manica della giacca di modo tale che potesse richiamare l’attenzione su di lui.
“Voglio che tu abbia quel coniglio” le sibilò con vigore, cercando di contrattare di nuovo con la commerciante che invece rimaneva ferma sulla sua posizione.
“Davvero, non mi serve. Andiamo via” insistette Grace, fino a convincerlo.
Jefferson sollevò il viso verso il resto del mercato, mordendosi l’interno della guancia, per evitare di insistere ancora o afferrare quel maledetto coniglio e portarselo via.
Se Regina non fosse andata a trovarlo qualche giorno prima in quel momento non si sarebbe sentito così sconfitto e vuoto. Lei gli aveva promesso una vita felice, in cui poter dare tutto a sua figlia. Ma aveva rifiutato e si era reso conto di quanto fosse patetico  comportarsi in quel modo. Vivere nell’umiltà dopo che aveva attraversato fasi migliori non era facile, soprattutto non sopportava l’idea di privare Grace di tutto ciò di cui potesse aver bisogno.
Si allontanarono entrambi, padre e figlia, dirigendosi lontano da quel banco che aveva condotto entrambi in un momento spiacevole. Grace si pentì di aver fatto quella richiesta senza riflettere sulla possibilità che suo padre non avesse abbastanza soldi.
Si diressero verso il banco dei pasticci di carne, tornando dunque alle abitudini consone del giovedì. Jefferson per un momento si sentì intorpidito all’idea di aver fatto della sua vita un’abitudine continua ed uscire dagli schemi era impossibile, vista la situazione che doveva mantenere sulle spalle.
Ma avrebbe trovato una soluzione, avrebbe reso felice Grace ad ogni costo.
Quando giunsero davanti al posto prestabilito, si resero conto che lì non si trovava la stessa signora che vendeva i pasticci di carne ogni giovedì. Al suo posto vi era una ragazza giovane dai lunghi capelli neri che le ricadevano davanti le spalle in morbidi boccoli. Gli occhi azzurri erano grandi ed erano così luminosi che ci si sarebbe potuto specchiare dentro.
Fu però ciò che lei indossava a scuotere Jefferson dal torpore in cui era caduto: il mantello rosso che le circondava le spalle e la schiena.
Quel mantello di cui parlava Regina e che indicava proprio la ragazza da far cadere in trappola. Dunque ora si trovava davanti ad uno scherzo del destino. La sua rovina o la soluzione?
“Buongiorno Signore!” i suoi pensieri furono interrotti dalla voce calda e forte di lei che si protese verso di loro, appoggiando le mani sul banco per fare leva con le braccia “e buongiorno anche a te, signorina” sorrise con calore alla bambina che aveva davanti.
Grace ricambiò con il medesimo sorriso, ammirando la bellezza della ragazza che non tardava ad arrivare ai loro occhi.
“Buongiorno” rispose timidamente Grace, scuotendo la mano del padre perché facesse lo stesso.
“Credevo che questo banco fosse di Granny” fu l’unica cosa sensata che uscì dalle labbra di Jefferson, indeciso se pensare ad una drastica soluzione o ad una chiacchierata normale.
La ragazza annuì solerte.
“Infatti, io sono sua nipote. Mia nonna non sta molto bene, ha preso un forte raffreddore e ho preferito che rimanesse a casa per riguardarsi. Così oggi ci sono io, vi dispiace?” spiegò e domandò ad entrambi, mostrando un finto broncio.
Grace scosse velocemente il capo, non voleva assolutamente offenderla, era così carina che non poteva fare a meno di guardarla con sincera curiosità.
“Speriamo allora che non la mangi il lupo” aggiunse Jefferson scrollando le spalle.
Quella città era spesso soggetta agli attacchi di un lupo che si aggirava durante le notti di luna piena e faceva strage degli innocenti che avevano la sfortuna di incontrarlo.
Ma Jefferson sapeva che quello stesso lupo lo aveva davanti agli occhi. Certo avrebbe risolto un problema anche per la città se l’avesse uccisa.
Lei non gradì molto quella battuta che doveva risultare divertente ma finse di sorridervi, per poi tornare assolutamente seria.
“Allora, cosa preferite assaggiare?” domandò cambiando discorso.
“I pasticci di carne, sono i miei preferiti” disse Grace intromettendosi in quello scambio di sguardi che non riuscì a percepire.
La ragazza parve mostrarsi ostile nei confronti di lui, mentre Jefferson cercava di studiarne il comportamento.
“Ottima scelta, solitamente li preparo io” le fece l’occhiolino, incartando i pasticci richiesti in un sacchetto perché fosse comodo da trasportare “visto che sembrate essere clienti speciali, vi offrirò anche una fetta di torta di mele” così facendo si affrettò a consegnarla a Grace che sgranò gli occhi con entusiasmo.
“Una scelta apparentemente pericolosa, la torta di mele” si intromise Jefferson, per saggiarne ancora la consistenza interiore. Qualcosa in lui lo spingeva a sapere e a conoscere di più di quella ragazza che era diventata una minaccia per Regina stessa.
Lei strinse gli occhi a due fessure, cercando di comprendere il motivo per cui quell’uomo pareva volerla mettere alle strette.
“Che intendete dire?” domandò, fingendo di non aver colto il riferimento.
“Sappiamo tutti che la nostra amata Snow White è stata avvelenata con una mela” si limitò a ricordarle, stringendosi nelle spalle.
“State alludendo alla possibilità che potrei aver usato una mela avvelenata per la torta?” la sua espressione si trasformò radicalmente, diventando più dura e meno dolce di come era all’inizio “In ogni caso, si può sperare sempre nel bacio del vero amore”.
Jefferson sorrise all’angolo della bocca, divertito da quella risposta e dalla pazienza che dimostrava nel non rispondergli a tono.
“Il vero amore: sciocchezze che si imparano da bambini, quando si matura ci si rende conto di quanto le storie non siano altro che storie” non avrebbe voluto dirlo davanti a Grace, ma gli sfuggì dalle labbra con sincera naturalezza.
“Una visione tetra, davvero. Però il principe James è riuscito a risvegliare Snow White con quel bacio che denigrate, quindi la vostra tesi cade inevitabilmente” si affrettò ad aggiungere, incrociando le braccia al petto in segno di sfida.
“Per quell’attimo esso era sincero, ma tra qualche anno come potremo sapere se lo stesso amore sarà vivo ancora dentro di loro?” fece ricadere la testa di lato, cercando in lei una risposta.
“Non esistono amori più veri di altri, esistono amori forti e duraturi che sono in grado di superare persino il tempo e lo spazio” disse lei, pronunciando quelle parole con sicurezza.
Peter aveva rappresentato una parte importante della sua vita, ma non avevano costruito nulla per poter creare un amore di quel tipo. Non poteva bastare un bacio rubato, un sogno nel cassetto a fare  di loro qualcosa di completo. In più vi era quel particolare che ogni volta la faceva sprofondare nell’odio verso se stessa, per avergli causato un male irreversibile.
Grace tirò la manica del padre, perché la smettesse di far innervosire quella ragazza che le piaceva tanto.
Lui comprese e scrollò le spalle, tornando ad assumere un certo contegno.
“E’ stato un piacere scambiare qualche parere con voi, ma ora dobbiamo proprio andare. Vero Grace?” si rivolse alla bambina che annuì, così lasciò alcune monete di rame sul banco ma prima di andare via aggiunse “Ovviamente porgete i nostri saluti a Granny, speriamo che si rimetta presto”.
La ragazza dal mantello rosso parve turbata da quello sguardo così strano e liquido, avrebbe voluto comprendere meglio il suo comportamento ma non era il momento per farlo.
“Grazie, riferirò. Buona giornata ad entrambi” si rivolse infine a Grace per sorriderle ulteriormente.






 
**
 
 
 
Storybrooke, durante il sortilegio

 
7:15 del mattino. Erano accadute tante cose da quando Emma Swann aveva fatto la sua rumorosa irruzione nella cittadina di Storybrooke, tra cui il risveglio di David Nolan, quello che sembrava essere l’affascinante marito di una donna decisamente fortunata ad averlo sposato, nonostante la sua memoria fosse stata intaccata e non ricordasse nulla.
Ruby aveva indagato sulla questione, soprattutto perché aveva notato in Mary Margaret un certo interesse. I due avevano tutta l’aria di essere interessati l’uno all’altra e come poteva essere diversamente? Mary Margaret aveva trascorso molto tempo in ospedale, facendo compagnia a David mentre era ancora in coma. Una storia avvincente, se solo lui non fosse già impegnato con una donna di cui non ricordava assolutamente nulla.
Come ogni giorno li aspettava da Granny’s, puntualmente alle 7:15 si presentavano lì per potersi scambiare sguardi di sottecchi, colpevoli di una passione che non avrebbero dovuto dimostrare.
“E’ così avvincente…” sussurrò Ruby tenendo i gomiti appoggiati al bancone e le mani sotto il mento.
“A cosa ti riferisci?” le domandò Granny prima di passarle un piatto con una fetta di torta da consegnare ad un tavolo.
Ruby sorrise prima di indicare con la testa Mary Margaret che si era seduta velocemente su una sedia, correndovi non appena entrata, per fingere di trovarsi lì già da un po’.
“La loro storia è avvincente, sono adorabili e al tempo stesso non possono lasciarsi sfuggire quello che provano” sospirò in modo melodrammatico, scuotendo il capo con disapprovazione.
Granny chinò gli occhiali da vista per poterla guardare da vicino e schioccò la lingua in un moto di fastidio.
“Smettila di farfugliare queste sciocchezze e finisci di servire ai tavoli” la rimproverò, senza però evitare di notare quanto Mary Margaret fosse davvero in fervente attesa della persona che desiderava incontrare, anche solo per quel breve istante.
Ruby roteò gli occhi al cielo e si strinse nelle spalle, afferrando il piatto per poterlo consegnare al cliente.
“Come sei poco romantica, nonna” così facendo si allontanò dal bancone e poté notare da quell’altra posizione gli scambi tra David e Mary Margaret, così a lungo sopiti che quasi si meravigliarono di rincontrarsi.
Ma il sorriso di Mary Margaret si spense quando si rese conto che fuori dal locale vi era Kathryn, la moglie di David, quella da cui sarebbe ritornato a casa ogni sera, giorno dopo giorno.
Si spense immediatamente, chinando la testa sulla tazza di latte caldo, rimuginando sulla situazione. David, rendendosi conto di ciò che era accaduto, uscì da Granny’s in fretta.
Ruby decise di accomodarsi al tavolo dell’amica, per poterla consolare, almeno quanto possibile.
“Proprio non riesci a togliertelo dalla testa, vero?” le domandò con calore.
Mary Margaret scosse il capo in segno di diniego, anche se non voleva darlo a vedere, si era risentita per quell’accaduto.
“So che non dovrei pensare a lui, Emma continua a ricordarmi che è un errore, ma non posso farci niente. E’ come se non potessi fare a meno di incontrarlo… puoi capirmi?” le sue parole erano veritiere e non nascondeva la profonda illusione di poter avere un futuro felice con lui. Combattuta dai sensi di colpa, qualcosa in lei era più forte di tutto ciò che aveva intorno.
“Temo di no, mi innamoro piuttosto facilmente e perdo l’entusiasmo poco dopo” sbuffò Ruby alzando le spalle  “invece cosa mi puoi dire del Dottor Whale? Non ti vedi più con lui?”
Mary Margaret sospirò, riportando le mani sulle gambe per giocare lentamente con i lembi della gonna.
“Non credo sia molto interessato a me, non sono il suo tipo, anche se continua a chiedermi di uscire” lanciò un’occhiata veloce all’orologio e si alzò subito dalla sedia “santo cielo è tardi! Devo correre a scuola, a presto Ruby!” le sorrise e si allontanò.
Ruby si inumidì le labbra rosse, colorate con il rossetto che non mancava mai di mettere. Si alzò anche lei e si avvicinò al bancone per poter dire a Granny che sarebbe tornata presto, doveva riportare il libro che Paige si era dimenticata da lei il giorno prima, per le sessioni di studio pomeridiane.
Incredibile ma vero, Ruby le dava ripetizioni di letteratura inglese per arrotondare lo stipendio e magari riuscire a mettere da parte i soldi per trasferirsi a Boston. Uscì dal locale recuperando la borsa e dirigendosi verso la scuola di Storybrooke per consegnarle ciò che le mancava. Ogni tanto si costrinse a voltarsi indietro, aveva la sensazione di essere osservata, ma non poteva esserne davvero certa, forse si trattava solo di autosuggestione.
Scrollò le spalle e si diresse verso l’entrata della scuola, sedendosi su una panchina in attesa dello scuolabus che non mancò di arrivare puntuale. Quando questo arrivò  Paige vi scese in fretta, indossando la divisa perfettamente pulita e con lo zaino sulle spalle, e si diresse verso l’entrata senza darsi un’occhiata intorno.
“Paige!” Ruby la richiamò alzandosi in piedi e facendo lo stesso con la mano per poter essere vista.
Paige si voltò verso la voce che la chiamava e quando incontrò gli occhi accesi di Ruby si precipitò verso di lei, con il peso dello zaino che la faceva oscillare da una parte all’altra.
“Ruby, cosa ci fai qui?” le domandò con un gran sorriso.
La ragazza si chinò, tirando fuori il libro per lasciare che lo prendesse.
“Sono venuta a portarti questo, dopo tutta la fatica che abbiamo fatto non vorrai andare a scuola senza compiti?” domandò retoricamente, prima di rimproverarla con lo sguardo per averlo dimenticato da Granny’s e non avervi posto attenzione.
Paige sorrise furbescamente, tirando su le spalle, come a volersi dichiarare innocente.
“Sei venuta fin qui per riportarmelo, grazie” si alzò sulla punta dei piedi per poterle sfiorare la guancia con un bacio.
Ruby se lo lasciò dare, prima di rialzarsi e posare le mani sui fianchi. La campanella della scuola suonò e a quel punto le fece segno di andare per evitare che entrasse in ritardo.
Si salutarono e Ruby rimase a guardarla mentre varcava la soglia. Paige sembrava felice e a differenza di molti altri bambini della sua stessa età non era pretenziosa e si accontentava di ciò che aveva, senza desiderare nulla di particolare. Eppure aveva un velo di tristezza negli occhi, come se avesse la consapevolezza che le mancasse qualcosa, qualcosa di importante.
Quando Ruby si voltò incontrò lo sguardo di Jefferson, circondato da occhiaie nere e profonde, come se non dormisse da giorni.
Aveva il collo coperto e vi nascondeva parte del mento, le mani erano infilate nelle tasche dei pantaloni e si incamminava verso di lei a piccoli passi.
Ruby rimase immobile, non aveva idea del motivo per cui si comportasse in quel modo, forse la sensazione di esser stata seguita era reale e non frutto della sua immaginazione.
“Tu passi molto tempo con lei” interloquì, rompendo il silenzio.
Ruby non mosse nemmeno un muscolo, altamente concentrata su di lui. Ora che lo notava più da vicino i suoi occhi erano arrossati, forse aveva pianto o forse era semplicemente molto stanco.
“Le do ripetizioni di letteratura inglese. Perché?” domandò non senza essere scostante e turbata da quell’interesse per Paige.
Jefferson sorvolò la sua figura per poter guardare la scuola ed immaginare di intravederla alla finestra.
“Sono curioso, dovresti saperlo. Mi piace porre domande e ricevere risposte, per quanto non sempre esse siano corrette” così facendo fece un passo avanti.
Ruby di rimando si costrinse a farne uno indietro.
“Come mai sei qui?” gli domandò incrociando le braccia, per potersi proteggere da ogni tipo di eventualità.
Jefferson corrugò la fronte, coprendo la distanza tra loro, per potersi fermare poco davanti a lei.
“Hai paura di me” sussurrò a denti stretti prima di avvicinarsi al suo viso e all’orecchio “in effetti non hai tutti i torti ad averne” un sorriso si delineò sulle labbra quando ritornò al suo posto.
Ruby aggrottò le sopracciglia, questa volta non si tirò indietro ma rimase imperterrita a fissare i suoi occhi chiari e freddi.
“Sei davvero strano, Jefferson” sciolse l’intreccio delle braccia e gli si affiancò “accompagnami da Granny’s, non mi piace la solitudine”.
Lui non sembrò affatto stupito da quella proposta, magari avrebbe potuto avere maggiori informazioni su Paige, desiderava sapere oltremodo se stava bene e se la nuova famiglia la trattava con ogni riguardo.
“Alcuni credono che io sia matto e la solitudine al contrario non mi dispiace. Mi dà il tempo per riflettere” accolse l’offerta di riaccompagnarla al locale di Granny e si incamminarono insieme sulla strada che li avrebbe condotti fin lì.
Ruby avvertiva una sua stranezza di fondo, accompagnata da un’incomparabile tristezza. Doveva aver perso molto, ma non aveva ancora idea di cosa. C’era qualcosa in lui di particolare e di diverso da tutti gli altri e questo la affascinava.
“Si può riflettere anche nei momenti adatti, lasciando lo spazio giusto  per gli amici. Una sera di queste dovresti venire al Rabbit Hole, ci si diverte sempre” tentò di invitarlo, anche se forse in modo leggermente maldestro.
Jefferson lasciò sfuggire una risata dalle labbra.
“Non avresti potuto scegliere luogo più adatto per introdurmi alla tua cerchia di amici. Non so se verrò, ma grazie per l’invito” le parole crebbero di tonalità, per poi sprofondare nella rudezza di suoni bassi e gravi.
Ruby non aveva compreso l’allusione che aveva fatto, a volte Jefferson si comportava davvero in modo strano e non aveva idea del motivo.
Non ebbe tempo di pensarci, perché all’improvviso lui arrestò il passo, appoggiando frettolosamente una mano sulla fronte.
“Va tutto bene?” Ruby si parò davanti a lui per controllare la situazione.
“Tranquilla, è il solito giro di testa che…” si appoggiò con una mano al tronco di un albero che vi era sulla via del ritorno, ma non bastò, perché crollò a terra come un peso morto.
Jefferson!
Il suo nome fu ripetuto ampiamente e più volte dalle labbra di lei, che preoccupata si chinò per tentare di risvegliarlo. Era evidentemente svenuto e la sua espressione era contratta.
In quel momento la macchina di Robert Locksley si fermò sul ciglio della strada, aveva intravisto la scena e di conseguenza aveva ingranato la marcia per poter raggiungere in fretta i due.
Abbassò il finestrino e si affacciò da esso per poter parlare a Ruby.
“Carichiamolo in macchina, sarà meglio portarlo dal Dottor Whale” e così facendo scese per poter aiutare la ragazza.
A Ruby non piaceva affatto Locksley. O meglio, sua nonna non faceva altro che criticare il suo comportamento, pareva fosse affetto da cleptomania e non era sempre bene rimanere in sua compagnia. Graham spesso lo cercava per metterlo dietro le sbarre ma non tutte le volte era riuscito a coglierlo con le mani nel sacco. In ogni caso era un uomo affascinante e meritava di esser guardato, a Ruby dunque non dispiacque così tanto rimanere in sua compagnia durante il tragitto verso l’ospedale.
Non aveva idea del motivo per cui Jefferson avesse perso i sensi così all’improvviso, le sembrava piuttosto strano che potesse essere un semplice calo di zuccheri, il Dottor Whale certamente avrebbe chiarito la situazione. 









// Nda: 

Salve a tutti! Prima di tutto ringrazio le ragazze che hanno recensito il primo capitolo di questa storia, sono molto felice che questo primo impatto sia piaciuto e spero di non deludere andando avanti. 
Come avete notato sto cercando di seguire la linea della serie tv riguardo gli episodi di Storybrooke, anche se poi inizieranno ad esserci determinate differenze nei capitoli seguenti. 
Immaginate Ruby che dà ripetizioni a Paige? Pare che durante le ripetizioni parlino d'altro, infatti Paige non sta migliorando i suoi voti a scuola, ma anche lei che chiede ripetizioni a Ruby... chi non vorrebbe passare un pomeriggio con una ragazza così interessante? 
Inoltre avete anche potuto vedere l'introduzione di Locksley che sicuramente avrete capito di chi si tratta, ho cercato di dargli un taglio storybrookiano e spero di non aver fatto casini.
Riguardo i flashback questo sarà l'ultimo che richiamerà l'episodio 17 della serie, d'ora - ovviamente - ci saranno scene del tutto diverso. 
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e grazie ancora a tutti coloro che leggeranno! 
A domenica prossima, 

Yoan 

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Capitolo 3
*** Memories ***


Memories


 



Storybrooke, durante il sortilegio
Ruby era immobile con le braccia incrociate al petto, osservava Jefferson disteso su un letto da dietro la vetrata in cui poteva scorgere anche il suo riflesso e quello di Locksley che le era rimasto accanto per gran parte della mattinata.
Il Dottor Whale stava terminando di prendere nota riguardo gli accertamenti sulle condizioni dell’uomo che ancora non riprendeva conoscenza.
“Credi che si riprenderà presto?” Ruby alla fine decise di rompere il silenzio.
Locksley invece di risponderle andò a sedersi, curvò la schiena e appoggiò una mano sugli occhi, doveva essere molto stanco poiché impiegò qualche istante prima di decidersi a parlarle.
“Ha solo perso i sensi e non è la prima volta che accade” rispose assonnato, spalancando le labbra in uno sbadiglio, come se si fosse appena ripreso da una lunga nottata.
Ruby si voltò a guardarlo, inclinando appena il capo da una parte ed incuriosita dalle sue parole.
“Come lo sai?” chiese ancora.
Sapeva che Locksley e Jefferson si frequentavano abbastanza da poter essere considerati amici, anche se entrambi preferivano la solitudine piuttosto che la compagnia altrui. Locksley non era mai stato benvisto da nessuno a Storybrooke, soprattutto per il conflitto che si era creato con Graham molto tempo prima, quando aveva tentato di sabotargli l’automobile per evitare che seguisse uno dei suoi amici.
“Capita di rado, ma non è una novità” rispose lui senza aggiungere alcun particolare.
In fondo non erano affari suoi e al contempo avrebbe preferito che fosse Jefferson a parlargliene, piuttosto che riferire quel che sapeva ad una ragazza come Ruby, con cui non aveva mai avuto alcun rapporto di conoscenza stretto.
In quel momento uscì dalla stanza il Dottor Whale che finì di riempire la scheda medica e poi fece segno a Ruby di seguirlo perché potesse parlare con lei. Ruby si congedò da Locksley che le fece segno di andare, dunque si posizionò davanti a Whale, continuando a tenere le braccia incrociate.
“Allora, hai scoperto qualcosa? Robert mi diceva che non è stata la prima volta in cui ha perso i sensi” disse cercando di spiare ciò che il dottore aveva scritto.
Whale scrollò le spalle e scosse leggermente il capo.
“Credevo si trattasse semplicemente di un abbassamento di pressione o di una riduzione degli zuccheri, ma ho preferito fare delle analisi per potermene accertare” infilò la penna all’interno della tasca della divisa bianca e gettò uno sguardo verso il paziente che era ancora immobile nel letto “non dovrei riferirlo a te, ma sei stata tu a condurlo qui: pare che Jefferson abusi di farmaci per l’insonnia”.
Ruby sollevò un sopracciglio come se non avesse inteso il problema e mille domande si affollarono nella sua testa.
“Abusarne provoca una perdita dei sensi improvvisa?”
Whale si schiarì la voce per poterle spiegare meglio.
“I farmaci per l’insonnia, come gli ansiolitici, se presi in dosi non controllate portano ad una perdita di memoria a breve termine. Se dovesse continuare a farne uso rischierebbe di perderla del tutto, senza possibilità di recuperarla. In più, le dosi eccessive comportano l’effetto contrario, un’assidua mancanza di sonno che porta alla perdita di coscienza quale lo svenimento” spiegò esaustivamente, tornando a guardarla.
Ruby non seppe cosa dire, non conosceva abbastanza Jefferson per sapere da che tipo di problemi fosse affetto e dal motivo per cui abusasse di quei farmaci senza alcun apparente motivo.
Di certo gli occhi cerchiati che aveva spesso e le tazze di tè che prendeva sempre al Granny’s erano sintomo di una autodistruzione immotivata.
Corrugò la fronte, facendo schioccare poi la lingua.
“Mi chiedo che cosa lo spinga a fare questo. Sembra proprio che voglia dimenticare a tutti i costi qualcosa” sussurrò Whale tra sé e sé, cosa che però arrivò anche alle orecchie di Ruby.
“Forse è solo un po’ fuori di testa” si fece sfuggire Ruby come se fosse una considerazione del tutto naturale e si strinse nelle spalle “tra quanto si riprenderà?”.
“A breve, però devo raccomandarti Ruby di non frequentare persone come lui e Locksley, hanno di sicuro qualcosa che non va” disse come se provasse un inusuale istinto di protezione verso di lei.
Il Dottor Whale era sempre stato attratto da Ruby, in un modo o nell’altro però non era mai riuscito ad invitarla per un appuntamento. Solitamente si limitava a guardarla al Granny’s, a volte rischiando il linciaggio da parte delle compagne con cui usciva di tanto in tanto.
Ruby non era come tutte le altre donne che aveva frequentato, aveva una natura diversa ed enigmatica nascosta dietro quel trucco pesante e la sua curiosità cresceva di giorno in giorno.
Soprattutto dopo la rottura con Mary Margaret aveva preferito tenersi alla larga, non che fosse sensibilmente dispiaciuto, in fondo lei non era affatto adatta ad un carattere come il suo. Forse avrebbe potuto iniziare ora ad avvicinarsi a Ruby, perciò decise di sondare il terreno.
“So difendermi da sola, grazie Whale” gli sorrise, leggermente infastidita dal fatto che qualcuno potesse dirle che cosa fare o non fare.
“Che ne pensi di un appuntamento, per questa sera?” le chiese senza rifletterci troppo.
Ruby rimase spiazzata da quell’improvvisa audacia, tanto che si sentì perfettamente soddisfatta di quella richiesta. Il Dottor Whale aveva fascino, inoltre era uno scapolo piuttosto ambito a Storybrooke. Non che fosse rivelante, ma era di certo una carta in più da poter sfruttare. Inoltre Mary Margaret ormai era presa da David Nolan, tanto da averlo completamente dimenticato, dunque perché non approfittare di quella fortuna?
“Perché no? Ma non arrivare tardi, potrei cambiare idea. Vediamoci da Granny’s” aggiunse con un luccichio negli occhi, cosa che Whale ricambiò assolutamente, lieto di aver ricevuto un sì come risposta.
Si allontanò subito dopo promettendole che non l’avrebbe fatta attendere e in quel momento sopraggiunse Regina che aveva bisogno di parlare con lui.
Quando arrivò però si fermò a guardare all’interno della stanza dove vide Jefferson che iniziava a riprendere i sensi, mentre Locksley rimaneva fuori ad aspettare.
Era vestita come sempre, con la sobria eleganza di un sindaco e con una bellezza che faceva impallidire. Regina possedeva un fascino pericoloso, tutti ne erano attratti ma al contempo il suo carattere forte ed autoritario li allontanava, creando una torre invalicabile su cui nessuno sarebbe riuscito a salire.
“E lui che ci fa qui?” domandò a Whale.
“Un calo di pressione” mentì spudoratamente, attendendo che si facesse da parte per andare a discutere nel suo studio.
“Non mi riferivo al paziente, ma a quel malvivente che continua a girare indenne per le strade della mia città” disse richiamando Locksley che quando si voltò e la vide si guarnì di un sorriso eccitato e sorpreso.
Si apprestò ad avvicinarsi a lei per poterle afferrare la mano che Regina tentò di distogliere ma che non fece in tempo a fare, così se la portò alle labbra per poterla sfiorare in modo ruffiano.
Gli occhi azzurri di Locksley si soffermarono in quelli di lei, profondi e costellati da un dolore che esprimevano rabbia e supponenza.
“Mi hanno chiamato in tanti modi signor sindaco, ma i suoi appellativi sono sempre i più deliziosi da ascoltare” continuò a sorridere, lasciandole poi la mano che si riprese immediatamente.
“Tentare di convincermi del contrario sarebbe un’impresa, in ogni caso Locksley arriverà il giorno in cui riuscirò a farvi chiudere dentro ad una cella senza possibilità di salvezza” lo minacciò come accadeva sempre in quelle rare volte che si incontravano.
Locksley sorrise di sottecchi, inclinando il capo da una parte.
“Se è una sfida la accetterò di buon grado. So che il suo desiderio, Regina, è quello di tenermi al sicuro per potermi stare accanto” rivelò senza il minimo pudore, lasciando crogiolare gli occhi azzurri in quelli neri di lei ancora una volta, come se non ne avesse mai abbastanza.
Regina trasformò l’espressione delle labbra rosse in una smorfia di disgusto dietro cui si celava qualcosa di diverso, un rancore nei suoi confronti che non avrebbe mai potuto abbattere.
“Queste false speranze mi chiedo da dover arrivino” decise di farsi da parte, non era il momento di concentrarsi su di lui, dunque si voltò verso Whale che era rimasto a godersi la scena con assoluta tranquillità. Entrambi si allontanarono al suo gesto, svanendo nello studio di lui.
Ruby era rimasta a guardare quella scena senza dire una parola, in realtà si era divertita a studiare i comportamenti che Locksley riservava a Regina. Quando lui le tornò accanto, lei gli fece l’occhiolino come se volesse rendersi complice di un segreto che aveva intuito e Locksley non poté che rispondere con un sorriso fintamente innocente.
Poi entrambi si diressero all’interno della stanza nel momento in cui Jefferson si svegliò. Si era ritrovato in una camera d’ospedale senza saperne il motivo, ma poco a poco i ricordi riaffiorarono e la rabbia iniziava a crescere.
Perché ancora una volta la sua mente era assolutamente lucida e perfetta? Perché ricordava ancora il suo passato e sapeva esattamente ciò che gli altri non ricordavano?
Discese dal letto velocemente, staccandosi le inutile flebo che Whale aveva attaccato per precauzione, ma poi si sedette sul bordo del materasso appoggiando una mano sulla fronte.
“Allora sei vivo: Whale ti dava per spacciato” disse Locksley scherzando.
Jefferson alzò gli occhi, riconoscendo quella voce.
“Mi spieghi il motivo per cui ogni volta in cui mi trovo in situazioni spiacevoli ci sei tu?” gli domandò con tono rauco ma non ostile.
“Senza il suo aiuto avrei impiegato più tempo a portarti qui” sorrise Ruby all’angolo delle labbra mentre si sedeva accanto a lui sul bordo del letto.
Jefferson si costrinse a non guardarle le gambe scoperte che richiamavano gli occhi come fossero una calamita. Perché diamine si vestiva in quel modo provocante anche a quell’ora del giorno? Si costrinse a far finta di nulla, se all’entrata della scuola di Grace aveva cercato di non lasciarsi prendere dalle emozioni, in quel momento fu più difficile.
“In tal caso ringrazio entrambi, ma vi siete preoccupati per nulla. Ora vorrei tornare a casa, immagino che il Dottor Whale non porrà obiezioni, giusto?” domandò in cerca di una risposta affrettata mentre si alzava a fatica.
“No, devi solo lasciare una firma all’ingresso e puoi ritenerti libero” disse Ruby rassicurandolo.
Non aveva nemmeno chiesto loro se Whale avesse scoperto qualcosa riguardo a quell’improvviso malessere, sembrava perfettamente consapevole della situazione e non era interessato ad approfondirla.
Ruby si convinse sempre di più che Jefferson sapesse esattamente a cosa andasse incontro, utilizzando quei farmaci senza il dovuto controllo. Doveva dimenticare qualcosa, ma cosa?
Prima o poi sarebbe riuscita a scoprirlo.


 




 
**
 
 
 
Foresta Incantata
 
Un futuro migliore per Grace era tutto ciò che desiderava. Tempo fa poteva garantirsi il futuro lavorando per il Signore Oscuro, con l’utilizzo del suo cappello magico, in cui era in grado di viaggiare per i mondi. In cambio riceveva tutto l’oro che desiderava.
Ma da quando sua moglie morì accidentalmente in uno dei loro viaggi, si decise a lasciare il lavoro e ad occuparsi di Grace.
Non era stato affatto facile rinunciare ai bei soprabiti raffinati che era solito utilizzare, alla grande dimora che aveva fatto costruire per la sua famiglia e a tutte le comodità a cui era abituato. Vivere in una bettola in cui era difficile sopravvivere con la sola raccolta di funghi era quasi una disgrazia. Ma avere Grace accanto era abbastanza. Lei era tutta la sua vita, nemmeno l’oro avrebbe potuto mutare l’affetto che provava per lei. Eppure vederla così scontenta e triste quando non era riuscito ad accontentarla lo aveva fatto fremere di rabbia. Grace meritava molto di più e doveva lottare fino alla fine per lei, forse compiendo anche azioni pericolose ma indispensabili.
Aveva riflettuto sull’offerta fatta da Regina, lui era in grado di tessere bugie e menzogne ma non di uccidere con le proprie mani. Manipolare qualcuno era un conto, farlo fuori tutt’altro.
Inoltre non avrebbe potuto guardare più sua figlia in viso dopo aver compiuto un atto simile. Ciò che interessava a Regina era che la ragazza dal mantello rosso fosse messa fuori gioco nella guerra contro Snow White, dunque non doveva fare differenza se fosse viva o meno.
Avrebbe trovato il modo di diventare suo amico, cosicché si potesse fidare di lui. L’avrebbe rilegata fuori dal suo mondo, tenendola a casa, perché non agisse in aiuto della sua principessa. Doveva studiare la situazione adatta perché non sembrasse totalmente estraneo alla causa di Snow White e soprattutto Grace non doveva essere al corrente di nulla. Un rapimento finto come ospitalità sarebbe dovuto bastare per un po’, poi avrebbe potuto anche pensare di consegnare direttamente la ragazza a Regina e se ne sarebbe occupata lei.
Quando Grace tornò a casa, con il viso arrossato per la corsa, entrò con gli occhi luminosi come sempre. Jefferson non appena la vide, le porse il coniglietto a cui aveva lavorato la notte prima e l’intera mattinata senza chiudere occhio. Non era altrettanto bello come quello che avevano visto al mercato della città di Notthingam, ma vi rassomigliava e come compagno di giochi era piuttosto apprezzabile.
“Papà, lo hai fatto per me!” esclamò con gioia mentre si lanciava verso il coniglietto, afferrandolo ed abbracciandolo stretto, per poi cercare la guancia del padre e sfiorarla.
“Non vedo altri bambini qui intorno” le sorrise felice di vederla apprezzare un gesto simile, non tutti si sarebbero accontentati.
“Bisogna subito offrirgli una tazza di tè, siederà alla mia destra” annunciò facendo accomodare il coniglietto su una piccola sedia di legno mentre lei si posizionava al centro, versando il tè nelle due tazzine.
Si perse subito nel suo mondo e Jefferson si limitò a guardarla per  poco tempo, sorridendo nel vederla giocare così spensieratamente.
Ormai si era convinto, Grace meritava molto di più e lui doveva riuscire ad ottenere il meglio per lei.
“Grace, devo incontrare una persona, tornerò poco prima dell’ora di pranzo. Se hai bisogno di qualcosa puoi andare dai nostri vicini” si avvicinò per darle un bacio sulla fronte.
Lei dovette avvertire qualcosa di strano nelle intenzioni di suo padre, tant’è che gli rivolse uno sguardo di preventivo rimprovero.
“Non ti devi vedere con la Regina Cattiva, vero?” domandò angustiata da quella possibilità. Jefferson sorrise tra sé e sé, se l’avesse conosciuta quando la conobbe lui non l’avrebbe definita di certo con quell’appellativo. Snow White aveva fatto un ottimo lavoro. “Sai bene che mi basti tu papà, non voglio e non mi serve altro” gli sorrise per convincerlo.
Per un attimo Jefferson si sentì commosso di fronte a quelle parole, ma non poteva tirarsi indietro ora che aveva preso la sua decisione. Scosse la testa, doveva mentirle anche se non gli piaceva farlo e preferì rassicurarla.
Sistemato ciò uscì di casa, indossando il soprabito ed avviandosi verso il bosco nel punto in cui aveva il suo appuntamento.
Una volta giunto lì in quei pressi, appoggiò una spalla al tronco di un albero in attesa. Era arrivato leggermente in ritardo, ma della persona che doveva incontrare non vi era nemmeno l’ombra. Iniziò ad annoiarsi, sbadigliando di tanto in tanto, fin quando non fu raggiunto da un uomo alto e ben piantato, dai capelli chiari e gli occhi azzurri.
“Robin Hood” sorrise Jefferson, rimanendo con il peso del corpo appoggiato all’albero “fammi indovinare, hai tardato perché continuano a cercarti. A quanto ammonta la taglia che ti hanno affibbiato? Potrei approfittarne e consegnarti ai tuoi aguzzini, come quello sceriffo di Notthingam”.
Robin scosse il capo con leggero divertimento, mentre sfilava l’arco per poterlo appoggiare allo stesso tronco d’albero a cui era appoggiato Jefferson.
“Lo sceriffo è uno sciocco, non saprebbe nemmeno riconoscere la sua ombra. Piuttosto mi hanno messo alle calcagna un certo Guy di Guisborne, vorrei evitare di incontrarlo al momento, ho un conto in sospeso con lui ma non sono ancora pronto” mentre lo diceva gli occhi vispi e furbi si addolcirono fino a lasciare intravedere un velo di tristezza.
Jefferson era al corrente di ciò che era accaduto tra loro, Robin aveva salvato la sua Marian e il suo bambino da un avvelenamento, dopo aver rubato un oggetto prezioso al Signore Oscuro. Ma Guy di Guisborne era riuscito a penetrare a Sherwood, nel loro nascondiglio, a cogliere tutti di sorpresa e ad uccidere madre e figlio. In realtà nessuno era certo della morte del bambino poiché il corpo non fu mai ritrovato e alcuni pensarono che Robin lo cedette alle fate perché potessero prendersi cura di lui.
Erano ormai trascorsi anni da quell’episodio, ma Robin non si era mai vendicato. Il suo animo non era oscuro e non si sarebbe lasciato infangare da chi invece non desiderava altro che quello. Agiva nel migliore modo possibile, secondo la sua di morale. Se mai si fosse ritrovato faccia a faccia con Guy di Guisborne al punto di doversi difendere, avrebbe fatto giustizia ma non si sarebbe mai abbassato alla vendetta. Marian non l’avrebbe mai voluto vedere in quello stato.
“Allora, per quale motivo volevi vedermi?” finì per sghignazzare divertito “Non sarà per un appuntamento?”.
Jefferson roteò gli occhi al cielo, inorridito all’idea.
“Per favore, sappiamo bene chi ha un debole per chi. In ogni caso ho bisogno del tuo aiuto, c’è una cosa che devo fare” gli spiegò brevemente cosa avesse in mente.
Red, la ragazza dal mantello rosso, si sarebbe allontanata da Nottingham il giorno seguente per raggiungere Snow White ai confini del regno per organizzare una sommossa contro il re George, alleato di Regina nella distruzione dei due nuovi regnanti.
Robin doveva fingersi un uomo al servizio di Regina che era stato mandato ad uccidere la ragazza, mentre Jefferson sarebbe intervenuto, fingendo di salvarla.
“Questo è il tuo piano?” Robin sollevò un sopracciglio, poco convinto “non funzionerà mai”.
“E per quale ragione non dovrebbe funzionare?” Jefferson storse le labbra in una smorfia, staccandosi dall’albero e incrociando le braccia al petto.
Robin scosse la testa, riafferrando l’arco per appoggiarsi su di esso.
“Vuoi comportarti da eroe, assicurandoti la sua fiducia. Ma non durerà a lungo, prima o poi lei scoprirà il tuo inganno e a quel punto non potrai fare nulla. E’ impegnativo, pericoloso e piuttosto inutile, questo fa di te  un pessimo stratega”.
Jefferson sbuffò sentendosi preso in giro più del dovuto, era bravo a mentire ed era certo di riuscire ad ingannarla. Anche se il piano era banale e probabilmente non avrebbe retto più del dovuto, che gli importava? Avrebbe consegnato la ragazza a Regina prima che potesse accorgersene. A meno che la guerra non fosse finita prima del tempo, cosa di cui dubitava parecchio.
“Non preoccuparti delle conseguenze, puoi aiutarmi?” la domanda fu posta in modo glaciale, non desiderava ascoltare dubbi riguardo al suo piano, ciò che voleva era una risposta secca, cosa che non tardò ad arrivare.
“Sì, ti aiuterò. Ma cerca di non commettere sciocchezze, Regina è una donna pericolosa” lo mise in guardia, anche se non ve ne era affatto bisogno, Jefferson lo sapeva meglio di lui.
Robin non era affatto d’accordo su quel che l’amico voleva fare, scendere a patti con Regina e compiere qualcosa del genere lo avrebbe ricondotto nell’abisso, come quando aveva perso sua moglie. Ma non poteva giudicare le sue scelte, non era nessuno per farlo. Se aveva davvero bisogno di quell’accordo, non gli avrebbe impedito di portarlo a termine.
Così si salutarono per darsi appuntamento direttamente al giorno seguente. Jefferson fu sempre più convinto di andare in fondo e come prima cosa spedì una missiva a Regina, per avvertirla che avrebbe portato a termine ciò che gli era stato richiesto ma in cambio doveva assicurare a sua figlia un futuro ottimo.
In fondo non era cambiato e questo Regina lo sapeva bene. In passato aveva lavorato per Tremotino così a lungo da farsi corrompere il cuore, in cambio dell’oro che gli permetteva di allargare gli affari.
Da quando era caduto in povertà non viveva altro che per Grace e il suo stimolo maggiore era quello di proteggerla e di garantirle la felicità.
A volte desiderava tornare alla vita di prima, con le avventure e il pericolo che doveva affrontare nel viaggio tra i mondi magici.
Ora che non ne aveva più le sue avventure non gli era rimasto altro che raccogliere i funghi più strani e la capacità di distinguerli da quelli velenosi. Era caduto in basso, proprio come Regina aveva detto. Ma presto si sarebbe risollevato. 









// Nda

Prima di tutto vorrei ringraziare le ragazze che hanno iniziato a seguire questa storia e che continuano a sostenermi, sono davvero molto felice, soprattutto visto che in questo caso la coppia è a dir poco crack e nemmeno io ero molto sicura di questo esperimento quando ho iniziato la long.
Questo capitolo è ancora un pò di passaggio, ma adesso Ruby inizierà ad incuriosirsi riguardo a Jefferson e abbiamo avuto anche la possibilità di incontrare Robin Hood nella Foresta Incantata. Avendo scritto questa long un mesetto fa e non avendo avuto modo di vedere prima la terza serie xD visto che non era uscita, noterete che Robin non è proprio simile a come ce l'hanno presentato e mi sono adattata alla mia fantasia. 
Spero comunque che possa piacervi <3 a domenica prossima! 

 

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Capitolo 4
*** Lost and Insecure ***


IV 

Lost and Insecure



 



 
Foresta Incantata

Notthingam era così bella ai primi chiarori dell’alba. Jefferson sedeva con le gambe incrociate sulle mura della città, tenendo il gomito appoggiato al ginocchio e il pugno della mano a sostenere una guancia. Di tanto in tanto sbadigliava, non aveva chiuso occhio quella notte poiché era rimasto concentrato sull’evento di quella mattina.
Aveva lasciato Grace la sera prima a casa dei vicini che erano molto affezionati a lei, la trattavano come se fosse una figlia e dunque poteva ritenersi fiducioso nei loro confronti.
Avrebbe dovuto seguire le mosse di Red, la ragazza dal mantello rosso che era in grado di trasformarsi in lupo nelle notti di luna piena, finché non fosse caduta nella trappola che aveva escogitato.
Robin aveva ragione, non era un gran piano fingersi di essere ciò che non era, ma ingannare gli altri  era qualcosa che gli riusciva bene e doveva sfruttare tutte le carte in suo favore.
Quando si accorse dei primi movimenti all’uscita della casa che aveva selezionato come quella della vittima, si tenne in guardia, per poi cercare con gli occhi il suo collaboratore che doveva anche lui trovarsi nelle vicinanze.
Vide la figura di Red nascosta sotto il mantello che le celava il viso chinato verso il basso, sua nonna rimase sulla soglia e parve riempirla di qualche raccomandazione per il viaggio. Le consegnò un cestino colmo di vivande e poi la salutò, lasciandola libera di andare.
Fu Red a slanciarsi verso di lei per abbracciarla, cosa che ricambiò dopo aver accettato seriamente l’idea che la nipote dovesse allontanarsi. Jefferson si inumidì le labbra, era un vero peccato dover agire contro la nipote di Granny ma a quel punto nulla l’avrebbe fermato.
Quando il quadretto familiare terminò, Jefferson si rimise in piedi per poi curvare la schiena ed osservare tutto senza essere intravisto. Si nascose all’interno di una delle torri di guardia finché non scivolò lentamente lungo le scale per poi arrivare fino alla porta d’uscita, rimanendo in attesa.
Red si allontanò velocemente dalle mura fortificate della città per recarsi all’ingresso della Foresta di Sherwood, era bene che Jefferson attendesse qualche istante prima di partire all’inseguimento per non destare sospetti.
I lupi corrono piuttosto in fretta, soprattutto se sono loro ad essere cacciati.
Come previsto la ragazza superò il confine della foresta di Sherwood e lì non avrebbe avuto più modo di fuggire poichè era il territorio di Robin Hood. Fu difficile per Jefferson accorgersi della presenza del fuorilegge che si muoveva completamente a suo agio nella macchia verde, come se fosse in grado di mimetizzarsi con essa offrendogli spazi silenziosi dove nascondersi.
Quando Notthingam scomparve e gli alberi si fecero più fitti, Robin decise di agire. Incoccò la freccia all’arco e si fermò piantando i piedi sulla terra umida per poi mirare il suo bersaglio.
Il mantello rosso si muoveva sinuoso tra gli alberi, la ragazza non accennava a percorrere un sentiero rettilineo ma confondeva i passi saltellando sulle pietre e sui tronchi degli alberi caduti, giocando con il suo equilibrio perfetto.
Per la prima volta in tutta la sua vita, Robin sbagliò tiro. Una cosa che avrebbe rinfacciato a Jefferson una volta o l’altra, poiché lo aveva costretto a non usare la sua mira infallibile, per lui si trattava di una questione d’onore e rinunciare alle sue qualità rappresentò una vera e propria lotta con se stesso.
La freccia si scagliò ad un passo dalla ragazza in rosso, per avvertirla di una presenza avversa. Nel momento in cui la preda si voltò, Robin scoccò un’altra freccia che questa volta traforò il mantello fino a incastrarlo a terra.
Quando Red si accorse dell’uomo che stava cercando di ucciderla cercò di strappare la stoffa per fuggire ma non vi riuscì, fu costretta a piegarsi per staccare la freccia da terra e liberarsi.
Pur riprendendo la corsa a gran velocità, Robin non si fece intimorire ed usò una terza freccia, questa volta però sapeva esattamente dove avrebbe dovuto colpire e non errò.
Respirò a fondo, tese la corda fino a sfiorare l’orecchio con l’indice della mano e trovata la giusta concentrazione  scoccò la freccia che finì per trafiggere la gamba della ragazza, la quale per l’impatto e il dolore cadde a terra, facendo scivolare via dalla presa il cestino che sua nonna aveva preparato.
Jefferson che li seguiva a debita distanza, nascosto dietro  uno degli alberi, rimase stupito nell’assistere ad una scena simile. Non aveva chiesto a Robin di farle del male ma solo di inseguirla e spaventarla. Rimuginò sull’accaduto e non tardò a comprendere che in realtà gli aveva fatto un gran favore. Non si poteva tenere chiusa in casa una donna che aveva una gran fretta di raggiungere gli amici regnanti, c’era bisogno di un modo per il quale non potesse allontanarsi e Robin lo aveva trovato. Gli doveva molto.
Red provò ad alzarsi in piedi ma fu impossibile, tant’è che il sangue iniziò a scivolarle al di sotto delle vesti e il dolore lancinante alla coscia non la lasciava ragionare con lucidità. Strisciare sulla terra umida sembrava quasi futile, ormai era diventata una preda.
Robin, che ormai era il più veloce tra i due, accorse verso di essa infilando l’arco sulla spalla.
“Chi sei?” Red gli urlò contro quando si rese conto che non avrebbe avuto scampo, nonostante continuasse ad indietreggiare facendosi forza con le braccia.
Il fuorilegge si sgranchì per poi calarsi in ginocchio e guardarla negli occhi, regalandole uno dei suoi sorrisi migliori.
“Un nemico di Snow White e del Principe Charming, sei pronta a lasciare questa vita per sempre?” le domandò come se fosse la cosa più naturale del mondo, mantenendo un’espressione del viso pulita e solare.
Red aggrottò le sopracciglia e digrignò i denti, come un lupo pronto alla battaglia.
“Hai già tentato tre volte di uccidermi con le tue frecce e per tre volte hai fallito, la tua mira non mi sembra eccezionale” teneva in mano ancora quella da cui si era liberata e cercò di affondarla nel petto di lui, ma intuiti i suoi movimenti, Robin le bloccò il polso stringendoglielo con forza fino a farle lasciare la presa.
Dover riporre il suo orgoglio davanti a quell’affronto fu dura, ma l’avrebbe fatta pagare a Jefferson di sicuro per averlo costretto a  sporcare il suo nome in quel modo.
“Credi che basterà far fuori me per liberarti di Snow White?” farfugliò poco prima che Robin la prendesse per il collo, sollevandola di poco da terra di modo che le mozzasse il fiato.
Red appoggiò le mani sulle sue cercando di sbarazzarsene per liberarsi da quella presa mortale, ma non aveva abbastanza forza ed il dolore che provava per la ferita le impedì di muoversi come avrebbe desiderato.
“I suoi amici sono i nemici della Regina, eseguirò i suoi ordini senza alcuna esitazione” sussurrò in modo teatrale, stringendo sempre più la presa.
Fu allora che Jefferson intervenne, iniziando a correre verso la loro direzione, mentre la lunga coda del soprabito si elevava a seconda dei salti che compieva per poterli raggiungere il più in fretta possibile.
La recita era cominciata ed ora non poteva tirarsi più indietro.
“E’ Regina che ti…” la voce di Red divenne sempre più scura fino a trasformarsi in un soffio, non riusciva più a respirare.
Le grida  di Jefferson risuonarono alle sue orecchie come un canto, come la salvezza che le avrebbe permesso di vivere ancora un giorno di più se gli dèi glielo avessero concesso.
“Prendersela con delle fanciulle indifese non è un comportamento da gentiluomo, perché non te la vedi con uno della tua stazza?” una volta pronunciate le fatidiche e studiate parole, Robin si voltò lasciando la presa sulla sventurata che ricadde a terra dolorante, per poter affrontare il nuovo nemico che si prospettava davanti a lui.
“Non ti conviene, sto portando a termine un compito import…” non gli diede tempo di terminare la frase che Jefferson si scagliò su di lui tirandogli un pugno alla bocca dello stomaco, per poi assestargli un gancio sotto il mento così da fargli perdere l’equilibrio. Tutti i colpi assestati erano reali e Jefferson non si era risparmiato nemmeno un po’, tanto che Robin cadde in ginocchio con il corpo gettato in avanti attanagliato dal dolore. Soffocò un rantolo di tosse, finse di riprendersi per contrattaccare ma poi non parò il nuovo colpo che gli fece perdere l’equilibrio e cadde a terra.
Red non riuscì a credere ai suoi occhi, aveva riconosciuto colui il quale aveva posto fine alle sue improvvise paure, si ricordava perfettamente di quel viso incorniciato dagli incolti capelli che gli coprivano la fronte.
Era il padre di quella deliziosa bambina a cui aveva regalato una fetta di torta di mele e che amava tanto i suoi pasticci di carne.
Jefferson si assicurò che Robin non potesse rialzarsi, fingendo di accertarsi della perdita di coscienza che ovviamente non era avvenuta, poi si avvicinò alla ragazza che teneva stretta una mano intorno alla freccia conficcata nella coscia.
“State bene, eccetto quella?” poggiò un ginocchio a terra per guardarla all’altezza del viso di lei, turbato e ancora poco convinto.
Si limitò ad annuire, mordendosi l’interno della guancia.
“Bene, sarà meglio che vi liberi di quella freccia prima che la ferita possa peggiorare ed infettarsi. Vi porterò a casa mia” le comunicò mentre cercava di aiutarla a sollevarsi in piedi, facendole appoggiare un braccio intorno al collo.
Red non parve affatto contenta di quella soluzione e non mancò di comunicarlo.
“Impossibile! Devo raggiungere il Principe Charming al confine, non posso farmi attendere e devo proseguire sulla mia strada” gli disse prima di cedere ad una smorfia di dolore che le fece chiudere gli occhi.
Jefferson sbuffò rumorosamente, mostrandogli una delle sue solite espressioni di diniego profondo.
“E vorreste arrancare fin lì in queste condizioni? Non sareste d’aiuto a nessuno, permettetemi almeno di curare e fasciare la ferita, poi potrete andare dove volete” cercò di essere il più convincente possibile, lasciandole la libertà di scelta che in realtà non avrebbe avuto in un prossimo futuro.
Red continuava a non voler sentire ragioni ma la sensibilità al dolore fu eccessiva, tanto che riuscì a vincere lui. Così Jefferson le circondò la vita con un braccio e la sollevò del tutto da terra per poi passare l’altro sotto le ginocchia ed iniziare ad incamminarsi nella direzione opposta, per fare ritorno verso casa.
“Grazie per avermi aiutata, probabilmente senza il vostro intervento sarei morta” si decise a dire lei dopo qualche tentennamento, non gli andava ancora a genio quell’uomo che al loro primo incontro si era mostrato piuttosto indisponente e fidarsi non sarebbe stato facile.
“Lo sareste stata di certo. Non avreste dovuto prendere questa strada per allontanarvi da Notthingam, la Regina e re George hanno assoldato molti uomini per controllare i territori ed evitare che gli aiuti richiesti dal Principe Charming arrivassero  destinazione. Quello che avete incontrato voi era solo uno di loro, ma ve ne sono molti altri anche più pericolosi” non stava mentendo del tutto, furono chiamati molti uomini potenti per servire i due vecchi regnanti e lui, anche se aveva perso se stesso tanto tempo fa, poteva rappresentare uno di loro.
“Per quale motivo vi trovavate a quest’ora nella foresta?” gli domandò quando si rese conto di quella particolare coincidenza.
Jefferson si schiarì la voce e fece schioccare la lingua.
“Raccoglievo funghi, è il mio mestiere. Anzi, a causa vostra li ho anche persi quindi mi dovete un pranzo. Inoltre vi pregherei di non affannarvi a parlare, pesate già abbastanza” finse di non riuscire a sorreggerla davvero e lei per timore di cadere si costrinse a stringersi al suo collo per evitare un possibile impatto.
Quando si rese conto che era stato uno scherzo, sbuffò, ma non riuscì a controbattere né a lamentarsi per l’intensità della sofferenza che iniziava ad aumentare.
Raggiungere la casa di Jefferson non prese molto tempo e Red da una parte si sentì sollevata all’idea di potersi togliere di dosso la freccia e dall’altra era preoccupata per il ritardo del suo viaggio.





 
**


 
 Storybrooke, durante il sortilegio 
 
Ruby tirò fuori lo specchietto dalla borsetta nera che si adattava perfettamente alla scelta di abbigliamento di quella sera. Indossava pantaloni di pelle aderenti che le mettevano in risalto le curve morbide e slanciate che la rendevano provocante e una camicia rossa le cui maniche terminavano al gomito.
Il freddo dell’inverno non le avrebbe impedito di vestirsi a suo piacimento, soprattutto per un appuntamento simile, in fondo nemmeno lo soffriva così tanto. Quel periodo dell’anno era il suo preferito in assoluto, amava il gelo della neve e le temperature così basse da ghiacciare il sangue nelle vene. Lei, in un modo o nell’altro, riusciva a sopportarlo piuttosto bene ma non senza provare di tanto in tanto brividi di freddo che svanivano poco dopo essersi presentati.
Si guardò allo specchietto con cura, sembrava che tutto fosse in ordine e che fosse pronta per la serata, il rossetto rosso le illuminava il viso proprio come desiderava lei.
Quando lo ripose nella borsetta, si avvide che dall’altra parte della strada si era appena fermata la macchina del Dottor Whale, che la richiamò con un saluto.
Le labbra formarono un sorriso piuttosto soddisfatto e si avviò verso di lui, ancheggiando in una camminata costruita appositamente che la rendeva decisamente sensuale e a Whale non sfuggì affatto quel particolare, tanto che fu costretto a schiarirsi la voce per togliersi dal viso un’espressione da pesce lesso.
Quando Ruby fece per attraversare la strada, per poco non fu investita da qualcuno che andava così di corsa da non potersi quasi fermare a chiedere scusa.
La ragazza si ritrovò a terra, notando come la camicia si fosse sgualcita e con sguardo adirato puntò la sua vendetta verso il disastro vivente che si rivelò essere Locksley.
“Perdonami Ruby, non ti avevo proprio vista” le porse una mano perché si sollevasse da terra, ma Whale intervenne altrettanto presto uscendo dalla macchina per raggiungerla.
“Che accidenti ti è preso? Correre in quel modo per strada! Sembra che tu stia scappando da qualcosa” lo rimproverò con furore, detestava essere travolta da emozioni così improvvise che non le davano il tempo di controllarsi.
Whale la aiutò a rimettersi in piedi senza mancare di lanciare un’occhiata di disprezzo a Locksley.
“In effetti è proprio come sembra, anche se più precisamente sto scappando da qualcuno” si voltò dalla parte in cui il suo inseguitore stava per arrivare.
“Come al solito, oserei dire” intervenne il Dottor Whale intromettendosi tra gli sguardi che i due avevano preso a scambiarsi.
Locksley gli lanciò un’occhiata furibonda ma quando l’inseguitore arrivò, fu costretto a compiere qualche passo indietro.
“Mi farò perdonare Ruby, ora scusami tanto ma devo proprio andar via!” e così si inchinò teatralmente verso di lei prima di voltarsi e riprendere la folle corsa che era iniziata dal Rabbit Hole.
Prima che Ruby e Whale potessero tornare alla calma e tranquillità iniziale, davanti a loro si materializzò la figura del più curioso tra gli abitanti di Storybrooke, colui che rimaneva sempre da parte e che non aveva stretto amicizia con nessuno. Colui che trascorreva il suo tempo a meditare su come distruggere Robert Locksley in ogni modo possibile, non per trascinarlo finalmente in prigione, ma per farlo scomparire dalla faccia della terra.
Si trattava di Gary, il suo cognome era a tutti sconosciuto e probabilmente nessuno lo avrebbe mai scoperto. Dotato di un gran fascino, di un’altezza smisurata e di occhi profondi come il ghiaccio, impenetrabili e freddi.
Ruby non aveva idea del motivo per cui quei due si odiassero tanto, ma era di certo curiosa di conoscere meglio un uomo simile, in fondo era sempre stata attratta dagli uomini con un passato oscuro.
“E’ andato da quella parte”  gli indicò Whale indirizzandolo sulla strada giusta, Gary si fermò solo per ringraziarlo e poi riprese la corsa.
Ruby sguainò un’espressione assolutamente sorpresa, appoggiò una mano sul fianco e fissò a lungo il dottore.
“Perché glielo hai detto? Ora si cacceranno nei guai entrambi” si lamentò, anche se notare quell’aspetto così curioso di Whale la intrigava abbastanza da non preoccuparsi più di ciò che era appena accaduto davanti ai loro occhi.
“Prima risolveranno i loro problemi, prima tutti noi staremmo meglio senza i loro schiamazzi notturni” così facendo le porse il braccio con eleganza, attendendo che lei vi si appoggiasse. “Tra le altre cose sono anche riuscito ad arrivare in orario all’appuntamento e a causa loro, non lo hai potuto notare”.
Ruby si strinse nelle spalle prima di sfoderare un sorriso a trentadue denti, per dimostrare quanto le piacesse quell’atteggiamento così sfrontato.
Oltre agli uomini dal passato oscuro amava anche quelli che non avevano peli sulla lingua e apprezzare Whale diventava sempre più semplice. Si chiese il motivo per cui Mary Margaret lo avesse dimenticato così in fretta.
“In realtà l’ho notato” gli fece l’occhiolino per poi seguirlo all’interno della macchina.
Raggiunsero piuttosto in fretta il ristorante ‘La zucca stregata’ in cui avrebbero cenato quella sera, Whale aveva proprio pensato a tutto e per una volta allontanarsi da Granny’s avrebbe fatto bene a Ruby.
Sua nonna non era entusiasta di sapere che la nipote sarebbe uscita con Whale, ma in realtà chiunque fosse stato avrebbe generato il medesimo problema.
Una volta che furono seduti al tavolo ed ordinarono le pietanze, Ruby chinò leggermente la testa per osservare il suo interlocutore con uno sguardo magnetico ed interessato.
“Tu sai perché Gary e Locksley sono così in conflitto tra loro?” domandò stringendosi nelle spalle, ringraziando poi Whale che le versò del vino rosso nel calice.
Il dottore si inumidì le labbra e si morse il labbro inferiore per poi passare a riempire il suo calice.
“Strano che tu non ne sappia nulla” alzò lo sguardo su di lei “qualche tempo fa, non ricordo esattamente quando, Locksley arrivò in ospedale con sua moglie che era in attesa di un bambino. Vi fu un incidente con un’automobile e la povera sfortunata non sopravvisse, nemmeno suo figlio. Tentai di salvare almeno lui ma fu inutile, l’impatto era stato eccessivo. Locksley accusò Gary della morte della moglie, ma nessuno conobbe mai la vera dinamica dell’incidente”.
Ruby trasformò il suo sorriso in un’espressione rattristata, non si aspettava di ascoltare quella storia riguardo Locksley. Era l’uomo che aveva avuto occasione di conoscere da poco e che aveva sempre visto sorridere, non le era facile immaginarlo con demoni interiori.
Afferrò il calice e lo sollevò fino alle labbra, lasciandovi un’ombra di rossetto di cui non si curò minimamente.
“Dunque, non è un problema il fatto che io e Mary Margaret ci siamo frequentati, giusto?” Whale divagò sull’argomento dei due di cui non aveva interesse a parlare, preferiva concentrarsi su qualcosa che voleva approfondire meglio.
Ruby scosse velocemente la testa, alzando appena le spalle.
“Mary Margaret in questo momento ha la testa altrove, non credo che si dispiacerà nel sapere che sto uscendo con te” sorrise di sottecchi, ormai la questione iniziava a diventare quasi ufficiale.
“Vuoi dire che si è già dimenticata di me?” scherzò lui prima di aggiungere “Impossibile” in un sussurro che fece salire i brividi a Ruby.
Sì, era decisamente un uomo interessante e aveva di certo una storia da raccontare. Peccato che non ricordasse minimamente la prima volta che si erano incontrati. Una stranezza che non le giunse nuova, visto che non aveva in mente nemmeno il momento in cui conobbe Jefferson.
Per un attimo diversi pensieri si soffermarono nella sua mente ma non riuscì a sistemarne nemmeno uno.
“Se sia impossibile è ancora tutto da vedere”.
Spaziarono su ogni argomento, Whale si dimostrò intelligente e sagace, un grande uomo di scienza che aveva dato tutto per diventare un medico, anche se non riuscì a raccontarle i particolari poiché aveva la mente offuscata e diede colpa al vino.
Le chiese di Paige e di come le ripetizioni andassero avanti e Ruby non poté che dimostrarsi entusiasta nei confronti della ragazzina a cui si era parecchio affezionata.
La serata volse in fretta al  termine e con un certo rammarico di entrambi si ritrovarono seduti in macchina per poter far ritorno da Granny’s e lasciare che Ruby tornasse a casa.
Sua nonna rimaneva sveglia a controllare l’ora in cui la nipote sarebbe rientrata per poi rimproverarla il giorno dopo per l’eccessivo ritardo. Doveva lavorare, non bighellonare tutta la notte!
“Prima o poi lascerò questo posto e troverò qualcosa di più adatto a me” mormorò Ruby con le braccia incrociate, in modo quasi infantile e con il mento rivolto verso il basso.
“Vuoi davvero lasciare il Granny’s? In questo modo la clientela verrà dimezzata” le sorrise lui, chiarendole il fatto che molti andavano lì proprio per vedere lei.
Si sentì lusingata e gli lanciò un’occhiata in tralice.
“Non mi importa. Io voglio essere libera di fare ciò che desidero, ovvero…” si fermò per qualche istante, riflettendo su qualche possibilità “devo ancora rifletterci, ma me ne andrò di qui, fosse l’ultima cosa che faccio”.
Risultò convinta a se stessa ma non a Whale, che intuì dovesse esservi qualche tipo di conflitto particolare con la nonna e che probabilmente quel momento sarebbe passato in fretta.
“Se dovesse servirti qualcosa, sai dove trovarmi” la rassicurò.
Ruby non riuscì a resistere di fronte a quel moto di gentilezza, era così abituata ad uscire con uomini di un certo tipo che frasi simili le erano del tutto nuove. Dunque si slanciò verso di lui per strappargli un bacio veloce che arrivò come un temporale.
Se non avesse bevuto quella goccia di vino in più probabilmente non l’avrebbe fatto, ma l’alcol le aveva fatto girare la testa e in fondo non se ne dispiacque così tanto.
Whale ricambiò, non si aspettava quella mossa così fugace (con Mary Margaret aveva impiegato sin troppo tempo per arrivare soltanto ad un bacio), ma quando provò a sfiorarle i capelli per avvicinarla a lui, Ruby si distaccò regalandogli uno dei suoi più bei sorrisi.
“Allora ci vediamo, dottor Whale” così facendo uscì dalla macchina recuperando la borsetta e filò dritta al Granny’s per rientrare, sperando che la nonna non avesse visto nulla.
Whale rimase intorpidito ma decisamente soddisfatto, si fermò a guardarla andare via finché non richiuse la portiera, poi ingranò la marcia e ripartì.
 










// Nda: 

Salve a tutti cari lettori! 
Come avete potuto notare abbiamo l'introduzione di un nuovo personaggio: Gary. Il quale lo incontrerete anche nei flashback e il prestavolto non è che quello di Richard Armitage (proprio nel ruolo stesso che interpreta nella serie tv di Robin Hood). 
Come avevo già anticipato, vi siete ritrovati davanti all'appuntamento Frankenwolf (via con le ship <3) ma dalla prossima volta rivedremo tornare Jefferson alla carica. 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
 

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Capitolo 5
*** Her name is Grace ***


V

Her name is Grace



 



Storybrooke, durante il sortilegio

“Sono stanca di tutte le tue raccomandazioni, non sono più una bambina!” gridò Ruby gettando lo strofinaccio sul bancone per poi guardare negli occhi sua nonna che se ne stava dall’altra parte a braccia incrociate.
Non solo si era lamentata per il fatto che avesse iniziato a frequentare il Dottor Whale, ma anche per aver lasciato indietro molte faccende e che ultimamente era così distratta da non riuscire a lavorare a dovere.
Ruby era stanca di rimanere lì e di sentirsi rimproverata per qualunque cosa facesse, era stanca di dover sopportare le lamentele di sua nonna e il non riuscire a vivere come avrebbe desiderato.
Se ne sarebbe andata a cercare un altro posto in cui stare, magari sarebbe partita per Boston, tanto per iniziare.
“Il tuo atteggiamento la dice lunga sul tuo essere ancora immatura, Ruby” aggiunse Granny, bloccando lo strofinaccio perché non volasse via in preda alla furia della nipote.
La ragazza strinse le labbra con forza, nel tentativo di reprimere un singhiozzo. Scosse velocemente la testa e si voltò dall’altra parte.
“Io mi licenzio” disse prima di sciogliere il grembiule bianco e lasciarlo su uno dei tavoli liberi del locale.
“E dove credi di andare? Non sai fare altro!” la rimproverò vedendola allontanarsi ed uscire sbattendo la porta.
Ormai aveva preso una decisione e non sarebbe tornata indietro, per dimostrare a sua nonna che se la sarebbe cavata anche da sola, anche lontana da lei.
Si sistemò il cappello rosso sulla testa, lisciandosi i capelli per appoggiarli sulla giacca di pelle e si incamminò nella prima direzione che le era venuta in mente.
Avrebbe vagato a vuoto per un po’, per poi decidere il da farsi. Una giornata libera le era concessa prima di tornare al lavoro, no? Anzi, di trovarlo.
Qualcosa però richiamò la sua attenzione, una piccola folla era accerchiata davanti all’ufficio di Graham al cui centro vi erano i genitori di Paige altamente spaventati. Ruby decise di avvicinarsi e non appena riuscì ad incontrare lo sguardo di Emma andò subito da lei per chiederle spiegazioni.
“Che succede?”
“Pare che Paige sia sparita, stamattina non era nel suo letto e nessuno sa che fine abbia fatto. Stiamo andando a cercarla” le rispose per poi indicare a Graham che era il momento per intervenire, avevano avuto tutte le informazioni che desideravano.
Ruby provò una strana sensazione e un certo affannamento, per quanto non amasse particolarmente i ragazzini, era affezionata a Paige e l’idea che le fosse accaduto qualcosa la faceva star male.
“Posso dare una mano anche io?” chiese ad Emma, convinta di poter essere d’aiuto.
Emma inclinò il capo di lato, infilando le mani nelle tasche dei jeans.
“Oggi non lavori da Granny?” le domandò stupita.
“Non c’è più bisogno dei miei servigi, mia nonna se la caverà da sola. Allora, posso esservi di qualche aiuto?” cercò di insistere, voleva davvero fare qualcosa di buono e soprattutto si sentiva in dovere di cercare Paige, non poteva rimanersene con le mani in mano.
“Più siamo e più abbiamo possibilità di trovarla, io ed Emma andremo a nord-est, tu dirigiti a sud-ovest e se hai qualche notizia chiamami sul cellulare. Va bene Ruby?” dispose gli ordini Graham che aveva sentito tutto. Emma avrebbe preferito svolgere le indagini da sé ma il capo non era lei, non era ancora riuscita a fidarsi completamente degli abitanti di quella città.
Ruby rispose affermativamente e le ricerche cominciarono.
Iniziò ad incamminarsi in fretta verso la direzione da prendere, c’era qualcosa  nell’aria che la richiamava, come se concentrandosi sull’immagine di Paige riuscisse a sentirne l’odore. Era una sensazione flebile, quasi inesistente, ma il suo istinto le diceva di proseguire verso il bosco che conduceva ai confini di Storybrooke.
Una volta presa la sua decisione si incamminò, ma in quel momento una macchina si fermò proprio dietro di lei e fece risuonare il clacson più volte per richiamarla. Quando Ruby si voltò si accorse che all’interno dell’automobile si trovava Jefferson che le indicò di avvicinarsi.
“Se stai cercando Paige posso darti un passaggio, faremo più in fretta” disse affacciandosi al finestrino.
“Come sai che la sto cercando?” gli domandò piuttosto incuriosita, non aveva mai visto Jefferson guidare la macchina, era sempre abituato a raggiungere il centro della città a piedi.
“Non sono affari tuoi. Allora, vuoi salire o no?” domandò rabbiosamente e con la preoccupazione che visibilmente lo assaliva.
Ecco che di nuovo Ruby provò quella strana sensazione che non riusciva a spiegarsi. Jefferson si comportava sempre in modo strano e diverso dagli altri, ma quando si trattava di Paige notava una certa agitazione farsi strada sull’espressione del suo viso. Come quella mattina davanti alla sua scuola e proprio come in quel momento. C’era qualcosa che stava nascondendo?
Inoltre l’ultima volta aveva scoperto che abusava di farmaci per l’insonnia, probabilmente conoscendone gli effetti ma non poteva esserne del tutto certa.
Si decise ad entrare in macchina, aggirandola velocemente per potersi sedere accanto al guidatore, richiudendo lo sportello. Gettò uno sguardo verso il volante e quando si rese conto che i cavi erano scoperti ed erano stati attaccati malamente, senza traccia di chiavi infilate nella toppa, rialzò lo sguardo su di lui.
“Quest’auto è rubata!” lo accusò immediatamente.
“Ma dai?” le disse con voce sarcastica proprio nel momento in cui spinse il piede sull’acceleratore e sgommando per riprendere subito la corsa in direzione del bosco, dunque sapeva anche dove andare.
“Non guardarmi così Ruby, non l’ho rubata io. Avevo bisogno di un mezzo veloce per arrivare fin qui e Locksley mi ha prestato la sua auto” si strinse nelle spalle, come a volersi discolpare completamente.
Ruby batté più volte le ciglia, incuriosita da quel mondo di cui non conosceva nulla. Jefferson continuava a mostrarsi un uomo interessante e particolarmente strano, probabilmente doveva anche avere qualche accenno di follia, lo si vedeva negli occhi.
“Fingerò di non saperne nulla” gli disse per poi tornare a concentrarsi sullo scopo di quella giornata ed abbassò il finestrino, per cercare di nuovo quell’odore che aveva sentito poco più indietro e più si avvicinavano al bosco più si faceva intenso.
La velocità era quasi al massimo e Jefferson quando passò per il centro per poco non investì Ashley che stava attraversando la strada con una carrozzina su cui trasportava Alexandra, la figlia che aveva avuto da Sean.
“Jefferson, fai attenzione!” gridò Ruby quando si rese conto che Ashley dovette correre in avanti per evitare l’impatto, ma lui non aveva accennato a fermarsi e probabilmente non lo avrebbe nemmeno fatto. “Che accidenti ti prende?”.
Serrò le mani sul volante e aggrottò le sopracciglia.
“Devo trovarla” sussurrò a voce bassa, ma non abbastanza poiché Ruby riuscì a sentire quelle parole.
Dunque i suoi dubbi non erano solo una stranezza, lui nascondeva qualcosa e pareva che avesse un qualche tipo di rapporto con Paige, poiché sembrava che vi fosse affezionato.
In fondo a lui che cosa cambiava? Non era quello però il momento di porsi così tante domande.
“Aspetta, fermati qui. Riesco a sentire qualcosa” disse Ruby sporgendosi dal finestrino ed annusando l’aria, si ritrovarono davanti all’ingresso del bosco.
Jefferson fermò la macchina senza nemmeno tirare il freno a mano e vi discese insieme a Ruby che si guardò intorno con fare piuttosto circospetto.  Poi si spostò in avanti per poter entrare nella macchia verde e iniziare a muoversi tra gli alberi come se sapesse esattamente dove andare. Jefferson la seguì di rimando, come se conoscesse perfettamente le sue qualità e vi si sarebbe potuto affidare senza alcun problema.  Quando raggiunsero un pozzo abbandonato, si avvidero che proprio lì giaceva addormentata Paige chiusa in se stessa come se si stesse proteggendo da qualcosa.
“Paige!” urlò Jefferson prima di raggiungere la bambina che all’udire del suo nome poco a poco iniziò a svegliarsi, non riuscendo a capire il motivo secondo cui si trovasse in un luogo simile.
Si portò una mano alla fronte, cercando di ricordare ma avvertì una forte emicrania che le fece chiudere gli occhi di scatto.
Ruby si affrettò a raggiungere entrambi e si inginocchiò davanti a lei, indossava ancora il pigiama e aveva i piedi nudi sporchi di fango.
“Paige, che cosa è accaduto?” le domandò spostandole i capelli dietro le orecchie per poterle liberare il viso.
Jefferson la fece mettere a sedere, inginocchiandosi anche lui per potersi accertare del suo stato. La bambina passò lo sguardo sui due senza riuscire a far breccia nella sua memoria. Quando provò un brivido di freddo Jefferson sciolse la giacca che gli copriva le spalle e gliela passò intorno per poterla riscaldare.
“Io non ricordo nulla” continuò a guardarsi intorno con stupore “non so come sono finita qui ma ho fatto uno strano sogno”.
Ruby cercò di rassicurarla, domandandole che tipo di sogno avesse fatto e se non riuscisse proprio a ricordare come aveva fatto a finire nel bosco. Paige le rivelò di essere sonnambula, di solito non usciva mai oltre il giardino di casa ma evidentemente per quella notte doveva averlo oltrepassato.
“C’erano tante cose strane nel mio sogno, sono inciampata ed improvvisamente ho iniziato a cadere in profondità in un abisso senza fine, non riuscivo a fermarmi. Era tutto diverso, un luogo che aveva la terra al posto del cielo ed il cielo al posto della terra a seconda delle strade che sceglievo di percorrere. Fiori parlanti, conigli bianchi che andavano di fretta, una lepre che prendeva il tè…”.
Il racconto fu interrotto dall’esclamazione totalmente stupita di Jefferson e ricolma di una paura quasi nauseabonda che per poco non lo fece impazzire del tutto.
“Il paese delle meraviglie” uscì come un suono strozzato.
Paige sgranò gli occhi e fece di sì con la testa.
“Lo ha chiamato in quel modo un bruco blu ma non mi ha voluto dire altro. Continuava a dire che io non ero quella Alice e che se stavo cercando qualcosa di importante, mi sarei dovuta svegliare perché lo avrei trovato nel mondo reale” spiegò brevemente ma subito dopo aggiunse “tu come fai a conoscerlo?”.
Anche Ruby si era posta quella stessa domanda, ma Jefferson parve oscurarsi in viso e si morse l’interno della guancia, aveva osato troppo e si era esposto in maniera irrimediabile, o quasi.
“Nessuna di voi due conosce la storia di Carroll? Dovreste leggerla, oggigiorno le fiabe non si vivono ma vengono raccontate nei libri” e così facendo si rialzò in piedi, incrociando le braccia e volgendo lo sguardo altrove “e fortuna Ruby che le dai ripetizioni di letteratura inglese” biascicò le ultime parole per volgere l’attenzione su di lei.
Ruby digrignò i denti come a volerlo attaccare, come si permetteva di dubitare delle sue qualità di insegnante su richiesta?
“Vorresti dire che non svolgo bene il mio secondo lavoro? Anzi, l’unico che mi è rimasto visto che mi sono licenziata da Granny” disse borbottando mentre aiutava Paige a rialzarsi.
La bambina non riuscì ad evitare di sorridere nel guardare come quei due avessero iniziato a battibeccare e a lanciarsi sguardi di fuoco. Per un attimo tutti si erano dimenticati dell’accaduto e che mezza città era alla ricerca della bambina scomparsa.
“Perché lo avresti fatto?” le domandò Jefferson, evitando il più possibile di tornare a guardare Paige, non si sentiva in dovere di farlo.
“Voglio dimostrare a tutti che sono in grado di badare a me stessa” disse prima di sistemarsi il cappello sulla testa, sospirando.
“Ma Ruby, tu sai come rendere felici le persone” si intromise Paige stringendosi nella giacca di Jefferson.
La ragazza si voltò verso di lei, ponderando a lungo quelle parole. Non ci aveva mai pensato prima di allora. Il motivo per cui continuava a lavorare da Granny era anche questo, lei amava riuscire a far sorridere tutti coloro che aveva attorno e nessuno le faceva mai notare qualche sua mancanza. Sospirò, forse aveva esagerato con Granny.
Jefferson sembrò particolarmente colpito dalla prontezza di Paige, ma in realtà era ben cosciente della sua dolcezza e del suo modo di capire gli altri. L’unica cosa che al momento lo preoccupava era quel sogno di cui lei aveva parlato. Ruby avvertì Graham cosicché potesse contattare i genitori di Paige e tranquillizzarli, gli spiegò che si era trattato solo di un caso di sonnambulismo e che la bambina stava bene.







 
**
 



 
 Foresta Incantata
 
“Ferma. Dove siete” ordinò Jefferson mentre brandiva in mano un ferro rovente. Sembrava uno di quegli assassini completamente fuori di testa di cui si sente parlare nei villaggi più sperduti e Red iniziava a provarne un certo timore.
Non doveva essere un gran medico e affidarsi completamente a lui le sembrava una pura follia. Perché non voleva chiamare qualcuno in grado di aiutarla? Jefferson aveva spezzato la parte superiore della freccia, ma rimaneva ancora la parte peggiore, quella incastrata nella coscia. Non era penetrata a fondo ma le ferite di quel tipo erano difficili, al momento dell’impatto l’uscita del sangue sarebbe stata minima ma una volta estratta la punta avrebbe potuto rischiare una lieve emorragia. E a Ruby non piaceva il sangue, ne aveva visto già scorrere sin troppo.
“Non vi avvicinate, non vi permetterò di toccarmi con quell’oggetto nemmeno per idea!” lo minacciò puntandogli contro una delle padelle che aveva trovato appese al muro.
Sembrava piuttosto pericolosa ma non quanto Jefferson in realtà sapesse. Sogghignò, facendo roteare il ferro rovente per poi compiere un altro passo avanti.
“Ho detto di non avvicinarvi!” urlò lei continuando a tenere la padella in avanti come una vera e propria arma e la minaccia era reale, per quanto strana potesse sembrare.
Jefferson roteò gli occhi al cielo e spalancò le braccia, prima di portarsi una mano al fianco per guardarla con occhi annoiati.
“E voi dovreste portare aiuto al Principe Charming? Forza, lasciatemi curare quella ferita senza lamentele o non riuscirete mai a raggiungerlo”.
Cercò di mirare al suo punto debole, sapeva bene che Red doveva svolgere una missione importante e perdere tempo era proprio ciò che avrebbe dovuto evitare. Infatti fu costretta a cedere, abbassò lentamente il braccio armato e volse un’occhiata verso il pavimento. Il dolore alla coscia tornò a farsi sentire, in quel momento che era concentrata a difendersi lo aveva avvertito di meno, ma Jefferson aveva ragione: più in fretta sarebbe riuscita a guarire, prima sarebbe arrivata al confine del regno per aiutare Charming e Snow White.
Inoltre si era anche presa una storta alla caviglia per esser caduta male, non sarebbe stata in grado di rimettersi in viaggio in fretta ed inoltre Jefferson le aveva consigliato di rimanere lì al sicuro. Sembrava che oltre a quell’uomo nella Foresta di Sherwood ve ne fossero anche degli altri in cerca degli amici di Charming e ricondurla a Notthingam avrebbe potuto comportare qualche grave errore.
“E va bene” sussurrò prima di prendere un gran respiro e zoppicare malamente verso il giaciglio su cui si sarebbe dovuta far curare. Si sedette stendendo la gamba e si voltò dall’altra parte, per non vedere.
La gonna era stata recisa fin sopra al ginocchio e il sangue accennava solo a sporcare il contorno della freccia intrappolata nella carne.
“Se mi farà più male del previsto ve la dovrete vedere con me” disse stringendo i denti, continuando a rimanere voltata dall’altra parte.
“Perché, avete intenzione di punirmi lanciandomi addosso pasticci di carne andati a male?” cercò di scherzare, fingendo di non avere la minima idea di quale spropositata forza potesse esistere in un corpo così esile.
Si permise di sollevarle la gonna, non fu fatto del tutto volontariamente, ma finì per accarezzarle la pelle dalla caviglia fino a raggiungerle il ginocchio come per poter saggiare quella delicatezza che lo stava conquistando poco a poco. Avvertì un salto al cuore, come se per un attimo si fosse fermato nel momento in cui le sue dita avevano iniziato a sfiorarle la pelle candida e bianca.
Dovette reprimere un improvviso desiderio che lo avvolse offuscandogli la mente, si morse a forza il labbro inferiore e si concentrò sulla ferita.
Riuscì a prelevare la parte restante della freccia e prima che potesse rischiare una breve emorragia, vi appoggiò il ferro rovente per poter chiudere la ferita [1]. Quando Red avvertì il contatto dell’eccessivo calore sulla pelle gettò la testa indietro lanciando un grido smorzato che tentò in ogni modo di reprimere, fino a trasformarlo in un affanno.
“Visto, non era poi così doloroso” disse Jefferson una volta rialzatosi in piedi.
Quando Red girò la testa gli lanciò uno sguardo assassino ed iniettato di sangue, per un attimo ebbe la sensazione di vedere nei suoi occhi tracce di un colore simile all’ocra, ma probabilmente era stata solo un’allucinazione.
Non vi diede conto e allontanò il ferro per poterlo riporre da dove lo aveva preso, pulendosi poi le mani su uno strofinaccio e abbandonarlo accanto ad una bacinella vuota.
“Quando potrò tornare a correre?” fu il primo pensiero che espresse.
Jefferson le voltò le spalle, tirandosi giù le maniche della camicia e scosse lievemente il capo.
“Non sono un dottore ma sono certo che vi accorgerete di quando sarà il momento adatto per riprendere a viaggiare. In ogni caso un grazie sarebbe ben accetto” detto ciò tornò indietro per poterle fasciare la ferita con un pezzo di stoffa pulita che aveva la fortuna di avere.
Red si inumidì le labbra osservando il lavoro che stava svolgendo, forse si era mostrata in modo troppo aggressivo, in fondo quell’uomo l’aveva salvata da morte certa e la stava aiutando. Da quanto ne sapeva anche lui era da parte degli Charming e desiderava che quella sciocca guerra terminasse e voleva aiutarla a rimettersi in piedi per darle l’occasione di aiutare il regno.
“Mi dispiace, mi sono comportata da ingrata. Ma quest’inconveniente non ci voleva” tentò di rimediare con uno dei suoi affabili sorrisi “potremmo ricominciare abbandonando le formalità e presentandoci. Io sono Red Hood, qual è il tuo nome?”.
Jefferson. Lo disse senza nascondere alcuna vergogna, anche se da qualche parte nel suo cuore pronunciare il suo nome equivaleva a mettere a nudo qualcosa di straziante e di oscuro.
Non aggiunse altro e lei si rese conto che doveva esser accaduto qualcosa nella tua testa ma che difficilmente sarebbe riuscita a capire. In quel momento dalla porta d’ingresso comparve la piccola Grace coperta dal suo mantello che iniziava a starle stretto. Stava crescendo e Jefferson quasi non riusciva a rendersene conto.
“Papà, sei tornato!” disse lanciandosi verso di lui per poterlo abbracciare, lui si fermò al centro dell’umile stanza per aprire le braccia ed accoglierla, ma lei arrestò la corsa quando vide la figura di Red proprio all’angolo.
Per un attimo non riuscì a comprendere il motivo per cui si trovasse lì ma quando si rese conto che era ferita, portò una mano alle labbra in segno di preoccupazione e abbandonò totalmente l’idea di correre dal padre. Era affascinata da quella ragazza così bella che non poté fare a meno di avvicinarsi a lei.
“Tu sei la nipote di Granny” le sorrise mentre si toglieva il cappuccio dalla testa, lasciando ricadere i capelli castani sulle spalle.
“Donne…” brontolò Jefferson portando le mani ai fianchi, abbandonato da una parte per la nuova attrazione della giornata.
“Sì, esatto. Tu devi essere Grace invece” prima che potesse porle qualche domanda si affrettò ad aggiungere spiegazioni riguardo la sua presenza in casa “tuo padre è un eroe, mi ha salvata da un uomo che stava tentando di farmi del male ma sono rimasta ferita e temo che per un po’ dovrete ospitarmi in casa vostra. Ti dispiace?” le domandò come se fosse lei la padrona.
Grace schiuse le labbra, volgendo un’occhiata stupita a suo padre che gli fece cenno di ascoltare la ragazza e le si illuminarono gli occhi.
“Ti ha davvero salvata lui?” il sorriso che si creò mostrò tutta la sua dolcezza “Sapevo che mio padre era un eroe, non avevo alcun dubbio! Lui non ha paura di niente”.
Di niente? A Jefferson rotearono quelle parole nella testa così a lungo da non riuscire a trovare una via d’uscita. No, non era vero. Aveva paura di perderla e di non riuscire a darle ciò che desiderava.
“Non mi dispiace se rimarrai qui, di solito non ci capita la fortuna di ospitare una ragazza bella come te, anzi non ospitiamo mai nessuno” si strinse nelle spalle, dicendo tutto con assoluta naturalezza.
Red di fronte a quelle parole così sincere si sentì lusingata e per un attimo riuscì a dimenticarsi della missione che avrebbe dovuto svolgere.
Provava un moto di calore all’altezza del petto che quasi non riusciva a spiegarsi, i suoi affetti erano tremendamente lontani ma trovarsi in quella casa, anche se per estremamente poco, le aveva donato un po’ di calore.
“Non lo facciamo perché sono tempi pericolosi, Grace. Ma sono certo che Red non ci creerà alcun fastidio” sorrise verso la sua direzione.
Stava mentendo spudoratamente. Fu più difficile del previsto indossare quella maschera di indifferenza verso di lei, tessere inganni era qualcosa che gli riusciva piuttosto bene, ma quanto sarebbe riuscito a durare? Forse non così a lungo come aveva sperato.
“Allora, vuoi raccontarmi che cosa hai fatto ieri con i vicini? Spero che tu ti sia comportata bene” le rimproverò fintamente mentre la richiamava a sé, per sedersi intorno al tavolo ed iniziare ad ascoltare il resoconto della sua serata.
Le risate e il calore che padre e figlia esprimevano fecero breccia nel cuore di Red. Aveva intuito che non dovesse esservi più alcuna moglie ed alcuna madre a prendersi cura di loro. L’aveva letto negli occhi di Grace così come in quelli di Jefferson che erano riusciti a prendere in mano la situazione per andare avanti.
Anche lei aveva perso degli affetti importanti, come il suo Peter e la madre che credeva esser morta molto prima del tempo.







Note: 

[1] Eh, lo so che vi ho già proposto questa immagine nel L’Orologio, ma mi piace troppo, che posso farci?






// Nda: 

Salve a tutti! 

Colgo l'occasione per ringraziare tutte coloro che hanno iniziato a seguire questa storia dal pairing piuttosto strano, con la speranza che andando avanti possa entusiasmarvi quanto me ^^. 
Jefferson è tornato a Storybrooke, vi era mancato? 
Ammetto che questo capitolo, avendolo scritto quasi due mesetti fa, non mi piace proprio per niente, la stesura è piuttosto banale ma allo stesso tempo mi auguro possa piacervi lo stesso. 
Grazie mille! 

 

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Capitolo 6
*** A new wife ***


VI 

New Wife







Foresta Incantata

Dormire con la padella accanto, lì su quel giaciglio dove era stata curata, aveva rappresentato per lei un modo per sentirsi sicura. Aveva bisogno di fiducia in se stessa e di un’arma da usare se fosse accaduto qualcosa. Non che avesse timore di Jefferson, a cui doveva la vita, ma l’idea che qualcuno avesse potuto seguirli iniziava a tormentarla.
Avevano lasciato quell’uomo nella Foresta di Sherwood ed era ancora vivo, come poteva rassicurarsi del fatto che non si sarebbe messo sulle loro tracce?
Per tutta la notte fu tormentata da sogni terribili, la sua missione era stata interrotta e il principe Charming non avrebbe ricevuto quell’aiuto che aveva richiesto.
Sei certa di poter aiutare i tuoi amici? Quella domanda vorticava nella sua testa di continuo, alla ricerca di una risposta che non fosse dettata solo dal suo subconscio, che insisteva nel rispondervi negativamente.
Non era nemmeno riuscita ad allontanarsi abbastanza da Notthingam che si era fatta fermare da una qualunque pedina di Regina. Che aiuto avrebbe potuto dare a Charming e a Snow White?
Inutile. Sarebbe stato tutto inutile e la sua presenza non poteva comportare alcun miglioramento. La mattina stessa Jefferson le consigliò di inviare una missiva al Principe perché non si preoccupasse del suo ritardo, così aveva fatto.
“Red, perché indossi sempre quel mantello?” domandò Grace quando tutti si sedettero intorno al tavolo per consumare la colazione.
Non vi era molto da offrire, abituata com’era a ciò che preparava Granny, ma finse di non sentirsene affatto disturbata. Comprese quanto quella piccola famiglia dovesse soffrire la povertà e al tempo stesso si sentì un peso a gravare sulle spalle di Jefferson, che tentava di occuparsi della figlia come meglio poteva.
Afferrò uno dei biscotti per poi intingerlo nel tè nero che era stato versato in una tazza. Il servizio da tè era l’unico che Jefferson aveva conservato da quando sua moglie era morta e da quando avevano abbandonato la casa in cui vivevano prima.
“E’ come un’armatura, mi fa sentire più al sicuro” le rispose dolcemente, per poi assaggiare il biscotto che non aveva l’aria di essere fresco, né di qualità. Mandò giù lo stesso il boccone, senza lasciar trapelare nulla.
Grace inclinò appena la testa, lanciando uno sguardo al lungo mantello. Era bellissimo ed inoltre le donava.
“Al sicuro da cosa?”
“Non disturbare la nostra ospite con tutte queste domande o rischierai di farla andare via prima del tempo” la interruppe Jefferson, guardandola seriamente.
Red si soffermò a riflettere per qualche istante su quelle parole: ‘prima del tempo’. Che intendeva dire esattamente? Forse si riferiva soltanto al tempo di guarigione, ma non era ancora del tutto certa di potersi fidare di lui, per quanto avesse iniziato ad affezionarsi alla bambina di sentimenti così spontanei.
“Mi dispiace” sussurrò abbassando la testa verso la tazza di tè, mescolandolo lentamente con un cucchiaino.
“Oh, non devi preoccuparti di questo Grace. Non c’è motivo per cui io debba esimermi dal rispondere alle tue domande. Siete stati così gentili con me che sarebbe davvero ingrato da parte mia andarmene senza ringraziarvi” cercò di interpretare in quel modo l’allontanamento futuro da quella casa e proseguì “molto spesso ci troviamo ad affrontare mostri che si trovano all’interno di noi stessi e abbiamo bisogno di qualcosa che sia in grado di proteggerci per non farli uscire”.
Un’ottima spiegazione, pensò Jefferson, peccato che fosse stata troppo generale per essere compresa davvero da chi non conosceva la sua vera natura.
Regina gli aveva narrato chi Red era davvero e che possedeva un animo diviso in due, uno di cui rappresentava un vero e proprio pericolo per chi le rimaneva accanto.
Grace rimase seria per qualche istante e poi lasciò nascere un sorriso sulle labbra.
“Questo è impossibile, tu sei come il mio papà. Non avete sentimenti cattivi e non potete essere dei mostri”.
Jefferson avvertì una stretta al cuore così forte da rimanere con il biscotto appena appoggiato sulle labbra. Era questo ciò che Grace pensava di lui? Non era un mostro. Lui non lo era. Vecchi ricordi si affollarono nella sua mente e iniziarono a torturarlo per la grande bugia che aveva costruito, solo per lei, solo per salvarla dalla sua oscurità.
Grace era stata fin da sempre la sua luce e nulla avrebbe permesso loro di dividersi. Aveva compiuto molti atti disonesti in passato, lavorando prima per Tremotino e poi per Regina, ma una volta che sua moglie morì non poté fare a meno di sbarazzarsi del vecchio se stesso. Vecchio, ne era piuttosto certo? Aveva ucciso ciò che era o l’aveva semplicemente fatto invecchiare? La sua natura era ancora lì ed era uscita fuori nel momento del bisogno. Ciò che stava facendo a Red non era ciò che aveva fatto tempo fa con altre pedine di Tremotino?
Red di rimando riuscì a sorridere alla bambina, chinando leggermente il capo verso di lei per poterla guardare negli occhi.
“Le apparenze ingannano” sussurrò.
“Ma non tutte” aggiunse Grace, sempre più convinta di aver inquadrato perfettamente la ragazza dal mantello rosso.
L’argomento cadde inevitabilmente poiché nessuno desiderò approfondirlo, Red promise a Grace di prendere di nuovo il tè alle cinque insieme al suo nuovo amico, un coniglietto che aveva ricucito Jefferson personalmente. Trascorrere il tempo lì non sarebbe stato affatto difficile e nonostante la ferita alla gamba le provocasse di tanto in tanto un po’ di dolore, tutto il resto la aiutava a dimenticare.
Jefferson era un padre affettuoso e sapeva sempre come regalare sorrisi, sorrisi che erano in grado di scaldare il cuore. Red si avvide però che nei suoi occhi vi era qualcosa di strano, come un’ombra di tristezza che tentava di celare attraverso l’affetto che provava per sua figlia.
A metà mattina sopraggiunse qualcuno a far visita alla casa di Jefferson, colui che era conosciuto come Guy di Guisborne, l’uomo più valente dello sceriffo di Notthingam, l’acerrimo nemico di Robin Hood.
Bussò alla porta ma senza tante cerimonie la aprì direttamente, trovandosi all’interno di un quadretto familiare – ai suoi occhi – che lo fece dubitare della sua ipotesi.
L’uomo che si prospettarono davanti era alto e robusto, i capelli neri gli sfioravano le guance e nascondeva sotto le sopracciglia folte uno sguardo profondo e azzurro come il ghiaccio.
“Jefferson, immagino. O almeno così mi è stato detto” si avvicinò per poi lanciare uno sguardo incuriosito verso la bambina e la giovane ragazza che erano sedute su un giaciglio approssimato e che avevano smesso di ridere quando era entrato.
Si fece avanti con le braccia conserte, tutto ciò non andava affatto bene.
“Vi hanno informato bene”.
“Vostra moglie e vostra figlia?” domandò cercando di sembrare il più gentile possibile.
“Esattamente. Immagino però che non siate venuto qui per loro, è vero?”.
Red inarcò un sopracciglio, per quale motivo aveva mentito, definendola sua moglie? Forse non si fidava di quell’uomo, in effetti non se ne stupiva, aveva un’espressione dura e sicura di sé. Una di quelle che è difficile da dimenticare, una di chi deve aver sofferto per qualcosa in passato.
“Infatti” tirò fuori una pergamena su cui vi era il ritratto di un uomo con il cappuccio appena chinato sulla fronte “stiamo cercando quest’uomo, lo abbiamo intravisto giorni fa aggirarsi in questi luoghi. Lo avete visto?”.
Jefferson deglutì a vuoto, stava quasi per rispondere, quando sentì i passi zoppicanti di Red avvicinarsi fino all’ingresso per gettare un’occhiata sul ritratto. I suoi occhi si illuminarono immediatamente e rispose al posto del suo finto marito.
“Sì, ha tentato di uccidermi ieri mattina all’alba mentre mi incamminavo per la Foresta di Sherwood” disse con un lieve astio che si poteva avvertire nel tono di voce.
“Uccidervi?” fu la prima domanda che Guy le rivolse, interessato alle risposte che avrebbe potuto dargli.
“Ah, ah facciamo attenzione al peso che diamo alle parole” intervenne Jefferson, aprendo le braccia e ponendo le mani davanti a Red e a Guy, per fermare in qualche modo la loro conversazione.
“Mia moglie in realtà voleva dire che stava per essere derubata, ecco. Sappiamo tutti che Robin Hood ruba ai ricchi per dare ai poveri, ma ultimamente credo che di ricchi se ne vedano pochi nella Foresta di Sherwood ed ha iniziato ad infierire anche sui poveri” allargò le braccia per poi farle ricadere con uno schiocco sulle cosce.
“C’è una grande differenza dal voler uccidere al voler derubare, non credete Jefferson?” domandò Guy, per nulla convinto delle sue parole.
“Purtroppo mia moglie ha un carattere focoso, ha lottato finché non sono arrivato io a salvarla” cercò di spiegare, aveva idea che si sarebbe potuto perdere in quella conversazione.
Red appoggiò una mano sullo stipite della porta, osservandolo con diffidenza. Perché stava mentendo in quel modo? Perché non gli raccontava la verità?
“Affascinante. Ebbene, è rimasto illeso?”
“No”.
“Sì, è solo svenuto. Lo abbiamo lasciato nella Foresta, ma credo che ormai sia troppo tardi per riuscire a prenderlo” aggiunse Red intromettendosi di nuovo, cosa che infastidì non poco Jefferson.
Robin lo aveva aiutato e cacciarlo nei guai non sarebbe stata una grande idea. Sospirò, roteando gli occhi al cielo, ma perché quella donna doveva mostrarsi così fastidiosa?
“Vi ringrazio per  le informazioni che mi avete dato” rispose Guy prima di afferrarle la mano e sfiorarla con le labbra “forse grazie a voi riuscirò finalmente a mettere in gabbia Robin Hood”.
Così facendo salutò entrambi per poi ritirarsi e richiudere la porta. Jefferson che aveva sudato freddo sin dall’inizio, appoggiò la fronte sul legno e una mano chiusa in un pugno.
Ora avrebbe dovuto dare delle spiegazioni sensate a Red che lo guardava con fare arcigno. Grace preferì lasciarli soli, dirigendosi nella propria stanza.
Jefferson sperò di non ricevere domande di alcun tipo e quando si distaccò dalla soglia si diresse a preparare altro tè. Tè, tè, tè. Non faceva altro che tè da quando aveva lasciato il suo precedente lavoro, e dire che lui detestava profondamente il tè.
“Tua moglie?” ed ecco che l’interrogatorio ebbe inizio, Red si mise alle sue spalle in attesa che lui si voltasse per guardarla negli occhi. “Robin Hood? Voleva derubarmi? Che senso ha aver mentito! Quell’uomo lavorava per Regina. Mi hai detto di detestarla e che…” esclamò con foga, ma lui la fermò prima che potesse proseguire.
Dio, quanto detestava il momento in cui le donne alzavano il tono di voce fino a farlo diventare quasi stridulo per ottenere ciò che desideravano. L’aveva fatta arrabbiare, ma non poteva rischiare di mettere seriamente nei guai il suo amico.
“E’ vero, infatti la detesto. Ma non mi fido di Guy di Guisborne e tu faresti meglio a fare lo stesso. Le apparenze ingannano, ricordi?”
“Non tutte” sussurrò lei, ripetendo le stesse parole di Grace “perché non ti fidi di quell’uomo?” insistette, abbassando la voce e cercando di calmarsi.
Il tè era pronto, sistemò l’infuso e poi aggirò la ragazza per portarlo sul tavolo e lasciarlo lì a freddare.
“Sei così ingenua Red” sospirò mentre si sedeva sul bordo del tavolo per incrociare le braccia “Notthingam brulica di spie di Regina, meno riescono a sapere da noi, più sarà facile sconfiggerla. Guy potrà anche detestare quel Robin Hood, ma non sappiamo nulla di lui. Possiamo solo fidarci di noi stessi, tutto il resto è solo un’ombra che tenta di mangiare la nostra luce”.
Red chinò il capo verso il basso. Non era affatto convinta dalle parole di lui, come se stesse nascondendole qualcosa che non voleva dire. Da una parte il suo ragionamento poteva avere un senso, ma dall’altro no.
Probabilmente lui cercava di tenere fuori sua figlia da qualunque cosa, per questo non si fidava di nessuno. Questa, era una risposta ragionevole ai suoi dubbi.
 
 
 
 
 
**


 
 
Storybrooke, durante il sortilegio
 
Far pace con sua nonna era stato piuttosto semplice, lei sapeva già che sarebbe tornata prima ancora che la giornata fosse terminata. Aveva risolto con lei problemi che da tempo aveva conservato in un angolo del suo cuore e che aveva sempre avuto timore di esprimere.
Paige le aveva dato l’occasione di comprendere che il suo posto era proprio lì, al Granny’s diner. Far felici le persone era ciò che desiderava di più al mondo e non vi avrebbe rinunciato per degli sciocchi capricci.
Inoltre in quella giornata aveva dimostrato a se stessa di sapersela cavare e di riuscire a fare qualcosa di straordinario. C’erano ancora tante domande a cui avrebbe voluto rispondere e molte altre che non ebbe nemmeno il tempo di pensare.
Quando Graham ed Emma arrivarono sul posto a prendere Paige, Jefferson era svanito nel nulla. La bambina avrebbe voluto ringraziarlo ma di lui non vi fu più traccia. Perché si era nascosto? Perché non era rimasto? In fondo anche grazie a lui era riuscita a trovare la bambina scomparsa.
Quella sera erano tutti a festeggiare da Granny e per farsi raccontare la piccola avventura che aveva scombussolato l’intera cittadina. Con l’arrivo di Emma Swan molte erano le cose accadute di recente che avevano dato nuova vita a Storybrooke.
Ruby posò per un attimo lo sguardo al di fuori del locale, stringendo meglio gli occhi si avvide che all’esterno vi era Jefferson, appoggiato al maggiolino giallo di Emma parcheggiato dall’altra parte della strada. Ne approfittò immediatamente e si sfilò il grembiule per uscire e raggiungerlo in fretta, prima che potesse andare via un’altra volta.
Quando ancora stava correndo, gli rivolse la parola.
“Perché stamattina sei andato via in quel modo? Paige voleva ringraziarti per averla ritrovata”.
Jefferson tirò su col naso e strinse le labbra con forza, mentre teneva le mani nelle tasche dei pantaloni.
Si soffermò a guardarla a lungo, continuava a detestare quel suo modo di vestirsi e di truccarsi che non le rendevano affatto giustizia.
“E’ così che piaci al Dottor Whale?” la voce uscì con un rantolo di fastidio che Ruby si fermò quasi a metà strada.
“Che intendi dire con questo…” sussurrò leggermente adirata per tutta quella sfacciataggine. Chi era lui per giudicarla e per criticare Whale?
“Niente, lascia stare” la rabbia iniziò a crescere poco a poco quando gettò un’occhiata rapida all’interno del Granny’s e vide gli invitati alla festa di ritrovamento che accerchiavano Paige.
Perché lui non era lì? Perché aveva deciso di rimanere in disparte?
“Non sono stato io a trovare Paige, lo hai fatto tu. Non avevo alcun motivo per rimanere lì” sputò quelle parole con forza, quasi strappandosele dalla gola.
Ruby incrociò le braccia, non le era piaciuto il modo in cui le aveva detto di Whale e quelle risposte così furiose tanto meno.
“Cos’è che ti lega tanto a lei?”.
Jefferson boccheggiò per un solo istante, non poteva rivelare qualcosa di così importante, anche perché non avrebbe capito affatto le sue motivazioni e cercò di ripiegare sulla menzogna.
“Mi ricorda una persona che ho perso tanto tempo fa. Paige è una bambina molto dolce ma rischia spesso di mettersi nei guai. I suoi incubi soprattutto sono quelli che mi preoccupano”.
Si riferiva a ciò che aveva raccontato quella mattina, sul Paese delle Meraviglie. Che senso aveva rimuginare su dei sogni? In fondo bastava svegliarsi per dimenticarli.
Inoltre Ruby non era affatto convinta di ciò che aveva sentito, Jefferson nascondeva qualcosa ma non voleva rivelarglielo. In ogni caso, non erano affari suoi.
“Posso provare a parlare con lei e a farmi raccontare qualcosa qualche particolare, se ti senti più sicuro” quella conversazione stava vagamente trasformandosi in una follia.
Ma con Jefferson era davvero così, ogni volta che intavolava discorsi con lui finiva per uscire totalmente di senno, come se ogni parola fosse stata la tessera di un mattone di un castello in aria.
Non gli rimase che annuire, accennando ad un mezzo sorriso di intesa. In fondo gli avrebbe fatto comodo avere più informazioni su di lei e Ruby faceva al caso suo.
La ragazza si avvicinò per appoggiarsi anche lei al maggiolino giallo, c’era un’altra domanda che voleva fargli.
“Perché  non riesci a dormire la notte?” la domanda uscì come un tiepido sussurro.
Jefferson si morse il labbro inferiore e si adombrò in viso. “Whale dovrebbe imparare a tenere la bocca chiusa”.
Ruby si distaccò dall’appoggio per pararsi di fronte a lui e cercare di insistere.
“Forse fa bene a non farlo, potrebbe salvarti la vita. Perché abusi di quei farmaci? Sai che ti causeranno dei danni…”.
Jefferson fece lo stesso e si slanciò su di lei per allontanarla con uno sguardo carico di disprezzo e di dolore.
“Tu non puoi sapere quello che provo, Ruby. Tu sei fortunata perché non ricordi, non ricordi nulla! Io invece per qualche strano motivo so esattamente chi sono e chi siete tutti voi. Ho bisogno di dimenticare, voglio vivere anche io felice senza rimanere incastrato nel passato!” le sue grida si fecero fitte fino a spegnersi poco a poco insieme agli occhi che si illuminarono di lacrime che fermò con tutto se stesso, non avrebbe ceduto in quel modo, non davanti a lei che era una delle sue debolezze maggiori.
“Di cosa stai parlando?” disse lei mentre faceva qualche passo indietro “di che dovrei ricordarmi?”.
Jefferson a quel punto si fermò, rendendosi conto di aver perso la pazienza. Scosse il capo ed iniziò ad allontanarsi cacciandosi le mani in tasca e lasciandosela alle spalle.
Mille pensieri gli avvolsero la mente e mille altri lo avrebbero accompagnato fino a casa. Ruby non era riuscita a decifrare quelle emozioni di paura che provò nel momento in cui era arrivato così vicino a lei. Paura, era davvero quello?
Lo guardò andare via senza accennare a seguirlo, la tristezza che aveva negli occhi era tangibile e sembrava addirittura reale. Il flusso dei suoi pensieri si fermò nel momento in cui girò la testa per vedere un’altra scena davanti a sé.
Regina stava accompagnando Henry da Granny’s, le aveva chiesto di poter partecipare anche lui alla festa, nonostante la presenza di Emma Swan che scatenava nella donna una insofferenza assolutamente insopportabile. Fuori dal locale si presentò Gary, chiuso in un soprabito nero per ripararsi dal freddo dell’inverno.
“Allora, lo hai trovato?” chiese Regina dopo che lasciò andare suo figlio.
Gary scosse lievemente il capo, stava fumando un sigaro e pregustarlo sembrava più importante di quel principio di conversazione.
“Ero quasi riuscito a prenderlo con le mani nel sacco, ma mi è sfuggito un’altra volta” disse prima di buttar fuori il fumo che investì Regina in una nuvola grigia.
Lei, infastidita dall’obiettivo che non aveva raggiunto, prese il sigaro di Gary e lo gettò a terra per poterlo calpestare.
“Nessuno in questa città si prenderà gioco di me. Vedi di renderti utile” così facendo entrò all’interno di Granny’s.
Gary rimase ad osservare il sigaro che era stato lanciato a pochi passi da lui e fu costretto a sospirare, ormai aveva perso l’attimo di libertà che lo aveva fatto allontanare dalla sua ricerca. Ruby si domandò per quale motivo Regina agognasse così tanto a trovare con le mani nel sacco Locksley. Perché di certo si stava parlando di lui.
Per quella sera non sarebbe venuta a capo di nulla, in fondo non era un detective e non doveva scoprire alcun mistero. Ciò che accadeva non la riguardava e doveva smetterla di porsi tutti quei dubbi su Jefferson ed interessarsi alla sua situazione. Aveva qualcosa di folle nello sguardo e si rispecchiava in ciò che faceva, avrebbe fatto meglio ad evitare di pensare a lui. Quando rientrò da Granny’s poté tornare ai festeggiamenti, Whale era arrivato con un po’ di ritardo ma alla fine ce l’aveva fatta. Finalmente avrebbe potuto mettere da parte l’intera giornata e dedicarsi a qualcosa di decisamente più interessante.
Jefferson al contrario non tornò a casa, preferì recarsi al Rabbit Hole alla ricerca di Locksley. Doveva avvertirlo che la sua auto era stata lasciata ai margini del bosco e che probabilmente Graham l’aveva ritirata per restituirla al legittimo proprietario.
Forse aveva commesso un errore nel far capire a Ruby che provava un certo attaccamento per Paige, ma era più forte di lui, non riusciva a sopravvivere all’idea che non  ricordasse della loro vita insieme. Inoltre era seriamente preoccupato che quegli incubi potessero tornare a tormentarla e rischiare di farla svegliare lontana da casa. Quella notte non avrebbe chiuso occhio, sarebbe rimasto a spiare la casa dei genitori adottivi di Paige per essere certo che il sonnambulismo della ragazzina non la conducesse lontano.
Certo, avrebbe voluto rimanere sveglio. Sveglio. Sveglio. Sveg…
Si sentì mancare le forze nel momento in cui aveva raggiunto il salone e si gettò sul divano, affondando il viso sul morbido cuscino. Morbido. Cuscino. Paige, doveva pensare a lei. Doveva alzarsi e non rimanere a dormire. Alzarsi, questo avrebbe dovuto fare. Ma il suo corpo non accennò a rispondere, era appesantito come se una pietra continuasse a premere sulla sua schiena.
Un vortice di pensieri confusi si riproposero nella sua testa, come Red che serviva il tè a Grace. Come Grace che le chiedeva di sedersi al suo tavolino privato. Come quelle volte che erano riusciti ad essere una famiglia, anche se per così poco. Quei sogni. Sogni. Sogni. E il cappello, dov’era il cappello? Doveva averlo, doveva tornare nel suo mondo insieme a loro perché potessero ricordare.
Se non fosse riuscito a dimenticare, avrebbe riportato loro indietro, in un modo o nell’altro.








// NdA:

Ecco qui il sesto capitolo! :3
Come avrete capito Guy di Guisborne (il cui prestavolto è Richard Armitage) non è altri che Gary a Storybrooke. Così come Robin Hood è Locksley. 
Spero che il capitolo vi piaccia, alla prossima! 

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Capitolo 7
*** Valentine's Day ***


VII

Valentine's Day






 
Storybrooke, durante il sortilegio
 
Ruby posizionò l’ultima rosa rossa all’interno di un vasetto di cristallo che sistemò davanti al davanzale della finestra del Granny’s. Il giorno di San Valentino era arrivato e tutte le ragazze di Storybrooke erano in fibrillazione, almeno quelle impegnate.
Mary Margaret ed Emma erano sedute allo stesso tavolo di Ashley che teneva la piccola Alexandra tra le braccia, mentre a quello accanto sedeva David Nolan intento a leggere il giornale, anche se i suoi sguardi erano direttamente rivolti alla giovane insegnante dal maglioncino rosa che non poteva evitare di ricambiare quelle stesse occhiate. Non erano neppure le 7:15, avevano fatto grandi passi avanti rispetto all’ultima volta. Ruby si avvicinò per abbandonare sul tavolo i caffè macchiati che avevano ordinato per poi dirigersi da Nolan e portare via un piatto vuoto.
“Che senso ha stare insieme se non ci riusciamo mai davvero?” Ashley si strinse nelle spalle, accarezzando il viso della bambina “Sean fa i doppi turni e quando torna a casa è troppo stanco per poter trascorrere del tempo con noi. Non ci sarà nemmeno stasera per festeggiare San Valentino” disse con una lieve amarezza.
Mary Margaret tentò di consolarla, spiegandole che ciò che Sean stava facendo era anche per il suo bene e per quello di Alexandra e che non si sarebbe dovuta scoraggiare. Il lieto fine sarebbe arrivato anche per loro. Ma il lieto fine esisteva davvero o rimaneva qualcosa di confinato nel mondo delle fiabe?
“Perché non uscite con me stasera? Andrò al Rabbit Hole, potremmo organizzare una serata tra ragazze” disse Ruby prima di fermarsi al loro tavolo, appoggiando una mano sullo schienale della sedia di Ashley.
“Non so se me la sento…” sussurrò lei, chinando il viso su Alexandra che si era addormentata.
Emma si ritirò subito dalla proposta, aveva impegni con Graham da portare avanti e tutti poterono immaginare quali, ma finsero di non aver intuito nulla di particolare. Anche Mary Margaret sembrava poco convinta, soprattutto perché i suoi occhi erano continuamente rapiti da quelli di David che non aveva smesso di ascoltare la conversazione delle ragazze nemmeno per un attimo.
Ruby sospirò, portando le mani ai fianchi e tamburellando le dita sul grembiule bianco.
“Avanti, che male c’è a divertirsi un po’? Dovreste provarci ogni tanto”.
Emma sollevò gli occhi su di lei e con un mezzo sorriso disse: “Come mai non trascorrerai San Valentino con Whale?”.
Ruby si strinse nelle spalle, le voci correvano velocemente a Storybrooke.
“Non può spostare il turno di lavoro ed in più non abbiamo una relazione vera e propria, ci incontriamo saltuariamente”.
Era la verità. In fondo non le dispiaceva poter avere le libertà che desiderava, perdersi in una relazione stabile avrebbe comportato qualcosa di importante e di significativo. Ma al momento non era interessata a nulla di tutto questo, inoltre Whale sembrava pensarla allo stesso modo. Frequentarsi liberamente tra le altre cose era decisamente vantaggioso.
Persa in quei pensieri si accorse solo in un secondo momento che Paige era appena entrata al Granny’s, sedendosi davanti al bancone come faceva sempre, appoggiò il mento sulle braccia e attese l’arrivo di Ruby che non tardò a raggiungerla.
“Buongiorno Paige” le disse prima di sedersi accanto a lei “non hai nessun appuntamento per San Valentino?”
Non che avesse tempo per intrattenersi in qualche amabile conversazione, visto che i clienti andavano e venivano quasi di continuo, ma per lei avrebbe volentieri preso qualche sgridata da parte di Granny.
“Ruby!” le sorrise tornando in posizione eretta e posando le mani sulle ginocchia, iniziando ad accarezzarsi lentamente la gonna a pieghe “sono ancora piccola per certe cose, non credi?”.
Ruby la guardò a fondo come se desiderasse scrutarle l’anima. Cosa la legava a Jefferson? Perché lui era così interessato al suo bene? In fondo, non era una estranea?
Paige per un attimo si perse sulle sue labbra rosse, era così bella che si sentiva affascinata da lei. Ogni volta che era in sua presenza avvertiva un certo calore, un affetto assolutamente sincero.
“Non si è mai troppo piccole per avere un fidanzato, prima  impari a gestirli e più eviti sofferenze” disse senza riuscire a comprendere perché proprio la scelta di quell’insegnamento.
Era come se qualcosa dentro di lei avesse iniziato a muoversi, come la lancetta di un orologio che arriva a sfiorare l’ultima ora, l’ultimo minuto, l’ultimo secondo.
“Piuttosto, hai avuto ancora quegli incubi? Sai, Jefferson era preoccupato per te” le chiese ricordando la promessa che gli aveva fatto.
Paige annuì e si strinse nelle spalle.
“Ne ho a giorni alterni e mi ritrovo sempre nello stesso posto. Continuo a cadere e a cadere e a cadere” quando si rese conto di tutte quelle ripetizioni cercò di calmarsi per andare avanti “finché non mi ritrovo sommersa da fiori giganteschi che iniziano a parlarmi. Tutti quelli che incontro mi ripetono che io non sono quella Alice e che le mie risposte le troverò nel mondo reale. Ma io non so chi sia questa Alice, né quali risposte dovrei trovare”.
Ruby inarcò un sopracciglio e appoggiò una mano alla tempia, come a voler sorreggere i pensieri.
“Sembra che tu creda davvero a quello che ti dicono, non è solo un sogno?”
Paige non seppe cosa dire perché non sapeva cosa pensare a riguardo, poi cercò di spiegarle le sensazioni che provava ogni volta.
“A volte è tutto così reale che se non suonasse la sveglia non mi renderei conto del fatto che si tratti di un sogno” sospirò prima di iniziare ad arrossire “inoltre, riguardo a Jefferson, mia madre non vuole che gli giri attorno. Si dice che sia… pazzo” sussurrò affatto certa di ciò che diceva.
Ruby sgranò gli occhi: era questo ciò che si diceva di lui? Che fosse un folle? Riflettendoci per qualche istante e provando a ricordare il suo viso non poté che concordare con quella constatazione, ma lei sentiva che non poteva essere tutto così semplice. Jefferson non era pazzo, era solo fuori dal comune e questo non doveva rappresentare un problema.
“Farai bene ad ascoltare la tua mamma, i genitori hanno sempre ragione” le sorrise, non voleva metterla contro ciò che i suoi parenti adottivi le avevano detto, sarebbe stata una responsabilità troppo grande.
Le offrì la colazione e poi tornò a servire gli altri tavoli, riflettendo su tutta quella situazione. Aveva tentato di non pensare a Jefferson, aveva tentato di cacciarlo via dalla sua testa per concentrasi su qualcosa di più importante. Ma continuava a tempestare i suoi pensieri come un temporale.
La serata tra ragazze per festeggiare San Valentino era arrivata piuttosto in fretta, le uniche rose rosse che Ruby aveva visto quel giorno erano state quelle che aveva sistemato da Granny’s per rendere l’atmosfera più intensa. Il cielo di febbraio era privo di nuvole ed il freddo riusciva a raggiungerle persino le vene fino quasi a congelarle. Non che ne avesse mai sofferto davvero, ma in quel momento avvertì il desiderio di stringersi nel cappotto rosso che le chiudeva l’esile corpo rivestito di un abito nero ed elegante che metteva in risalto le sue forme seducenti.
Una volta raggiunto il Rabbit Hole si rese conto che i festeggiamenti erano già iniziati, trovò Mary Margaret ed Ashley sedute ad un tavolo, intente a discorrere dei problemi sentimentali di quest’ultima. Una volta sfilato il soprabito per lasciarlo da parte, si fece portare immediatamente un cocktail prima di raggiungere le amiche e sedersi accanto a loro.
Provò con tutta se stessa ad ascoltare le parole che venivano pronunciate, ma non riuscì a percepirne nemmeno una. Non che provasse disinteresse verso i problemi di Ashley, ciò che la infastidiva era quel continuo rimuginare sul comportamento di Jefferson. Perché non riusciva a metterlo da parte, perché non poteva godersi la serata e basta? Avrebbe dovuto pensare a Whale. Al Dottor Whale, l’uomo che tanto le piaceva. L’uomo con cui riusciva a condividere i medesimi punti di vista.
Non si accorse che esattamente dall’altra parte della sala era seduto proprio l’oggetto dei suoi pensieri, accomodato al tavolo che condivideva  con Locksley che per una volta sembrava un vero e proprio gentiluomo.
“Quindi fammi capire, sei qui perché la Signora Lucas ti ha chiesto di tenere d’occhio sua nipote?” gli domandò Locksley, prima di tirare fuori il pacchetto di sigarette dal taschino della giacca.
Jefferson unì le labbra in una smorfia.
“A dir poco incredibile” disse a denti stretti “chi lo avrebbe immaginato che la sera di San Valentino sarei finito a fare da baby-sitter ad una ragazzina immatura? La Signora Lucas si fida di me, per qualche strano motivo crede sia l’unico normale in questa città ” sogghignò divertito a quell’idea.
Locksley inarcò un sopracciglio mentre teneva la sigaretta poggiata sulle labbra e tirava fuori l’accendino.
“Immatura ma decisamente accattivante” osservò con naturalezza, lanciando uno sguardo a Ruby che dall’altra parte assisteva ad un’imminente dimostrazione d’amore da parte di Sean, il quale aveva appena chiesto alla sua fidanzata di convolare a nozze. “Non dirmi che ora ti è diventata indifferente”.
“Lo è sempre stata” quelle parole uscirono con una rabbia così poco convincente che Locksley fu costretto ad ammutolirsi.
Jefferson non riusciva ad esserle indifferente e per questo si detestava. Ruby non era più la donna che aveva conosciuto un tempo, era un’adulta che si divertiva a comportarsi come una bambina e che aveva perso tutta la sua sensibilità. Avrebbe dovuto dimenticare, dimenticare ogni cosa.
“Piuttosto, perché Regina ce l’ha così tanto con te?” cercò di cambiare argomento sbrigativamente.
Locksley sorrise di sottecchi, tenendo la sigaretta tra le dita della mano e producendo una nuvola di fumo che avvolse Jefferson quasi completamente. Detestava il fumo, lo detestava.
“Diciamo che potrei aver rubato qualcosa che le appartiene, ma non avevo idea che ci tenesse così tanto”.
Non conosceva il motivo per cui Locksley si fosse introdotto nella villa di Regina e del motivo per cui si fosse appropriato di qualcosa di così importante. Voleva solo attirare l’attenzione?
“Ti direi anche di che cosa si tratta, ma temo che la tua preda sia stata appena cacciata. E dal peggiore dei predatori, tra le altre cose”così facendo indicò la scena a cui alludeva.
Ruby teneva in mano ancora il bicchiere di cocktail che ormai stava volgendo alla fine, mentre conversava amabilmente con Gary che continuava a spiare nei suoi occhi l’ebbrezza che si faceva strada nel suo comportamento già civettuolo.
Si alzò sulle punte dei piedi per avvicinarsi al suo orecchio e sussurrargli qualcosa che poterono udire solo loro due, fu allora che Gary le avvolse la vita per potersela avvicinare maggiormente.
La sua mano iniziò a scendere lentamente verso il basso, come a voler esplorare ogni forma del suo corpo.
Sembrava che a nessuno dei due importasse la presenza di altri nel locale poiché i sussurri si trasformarono in carezze nient’affatto dolci, in sguardi provocanti e in baci appena accennati che richiedevano molto altro che il semplice assaporamento di un istante.
Per un attimo la musica del Rabbit Hole esplose nelle orecchie di Jefferson che lentamente si era alzato in piedi, poi un improvviso silenzio gli riempì la mente.
“Locksley, sai che non si può fumare qui dentro vero?” quella domanda estemporanea fu pronunciata con voce colma di frustrazione ma accompagnata da una calma quasi inquietante.
Locksley sorrise di sottecchi, sapeva bene cosa sarebbe accaduto da lì a poco.
Gary afferrò il cocktail che Ruby teneva tra le mani e lo posò sul bancone, così da poterla condurre all’esterno per uscire da quella confusione che infestava ogni pensiero e che non lasciava spazio a nient’altro.
Sì allontanarono attraversando la folla che si era accalcata all’ingresso, Jefferson doveva mantenere la promessa fatta alla Signora Lucas. Ma lui sapeva perfettamente che quel che avrebbe fatto corrispondeva ad un suo unico desiderio.





 
 
**



 
 
Foresta Incantata 
 
Teneva il cestino stretto a sé, come a volerlo proteggere. La ferita le procurava ancora molto dolore e la storta alla caviglia continuava a compromettere la sua partenza che sarebbe dovuta diventare imminente. Non poteva permettersi di perdere tutto quel tempo, ma è era davvero tempo perso quello che stava usando per stare con Jefferson e la piccola Grace? Si sentiva quasi un’ingrata nel pensare di volersene andare via, da una parte era trattata non come un’ospite ma come una di famiglia, dall’altra non poteva continuare a pesare sulle loro spalle. L’idea di dover aiutare Charming a tutti i costi iniziava a scemare sempre di più, poiché il suo cuore si stava accomodando in una casa colma di affetto e amore.
Jefferson, nonostante le apparenze, sembrava un brav’uomo e il modo in cui interagiva con Grace era quasi commovente. Non aveva mai visto prima d’ora un affetto così intenso e sincero, di certo aveva sacrificato molto per sua figlia e in futuro lo avrebbe fatto ancora. Come poteva non fidarsi?
Quella mattina erano usciti tutti e tre per dirigersi nel bosco a raccogliere funghi, Jefferson aveva insistito perché Red non li seguisse ma era stanca di rimanere chiusa in casa e voleva essere d’aiuto.
“Zoppicando in quel modo dubito davvero che riuscirai a darci una mano” le aveva detto prima di arrendersi.
Ma non si era posto alcun problema, anche lei sapeva riconoscere i funghi commestibili da quelli avvelenati ed una persona in più avrebbe fatto comodo. Rimanere indietro non le cambiava affatto.
Grace, coperta con il suo mantello leggermente stretto e con il cappuccio ben calato sulla testa, decise di avanzare il passo e divertirsi per il bosco.
“Non ti allontanare troppo!” esclamò Jefferson dietro di lei, tenendola d’occhio con un senso d’ansia amplificato dal fatto che potessero fare incontri spiacevoli.
“Non preoccuparti papà, conosco bene questi sentieri” disse voltandosi verso di lui per poterlo tranquillizzare e poi iniziò a correre.
La preoccupazione di Jefferson fece ridere di gusto Red che non si costrinse minimamente a nascondere quel moto di allegria. Aveva un sorriso incredibile e i suoi occhi erano limpidi e chiari, nessun’ombra avrebbe mai potuto scalfire un’anima così solare.
“Ridi di me?” le domandò prima di creare una smorfia con le labbra.
Red scrollò le spalle, non riusciva a superarlo visto che il suo passo era claudicante e lento, ma quella posizione di improvvisa inferiorità non la disturbò per niente. Jefferson però si era fermato, permettendole di arrivare fino a lui.
“Di come ti preoccupi per lei. E’ grande e sa cavarsela da sola, lasciala libera di giocare senza starle dietro” le consigliò una volta che si fermò al suo fianco.
“La responsabilità di un genitore non è mai abbastanza, anche se può sembrare una costrizione, è il solo modo per garantire un po’ di protezione” si avvicinò accanto alle radici di un albero e tirando fuori un uncino recise alcuni dei funghi che poi fece scivolare nel cestino che Red tenevano al braccio.
“Quella che descrivi sembra più una prigione. Prima o poi Grace crescerà e non sarà più sotto la tua protezione. In quel caso cosa farai?” gli domandò per metterlo alle strette.
A Jefferson non piaceva affatto parlare di sé e della sua famiglia, soprattutto non poteva sopportare l’idea che il suo rapporto con Grace fosse letto da occhi altrui. Spesso si sentiva in dubbio e non era certo di essere un buon padre per lei, ma stava cercando di risollevare la situazione in ogni modo, giungendo a qualunque tipo di compromesso.
“Perdonami, ma a te che importa?” le rivolse quella domanda con una punta di cattiveria, in fondo lei non aveva nulla a che fare con la sua famiglia ed insistere sull’argomento avrebbe condotto soltanto ad una discussione. Come se in quei giorni non ve ne fossero state altre.
Red sgranò gli occhi, non si aspettava quel moto di sincerità che evidentemente aveva tirato fuori perché sentitosi infastidito. Si inumidì le labbra e si schiarì la voce.
“Non volevo intromettermi nella vostra vita, stavo solo cercando di capire te”.
Perché voleva farlo? Lui chi poteva rappresentare per lei? Se Red si trovava lì era soltanto colpa sua, aveva architettato tutto pur di non farla allontanare da Notthingam eppure ora la sua presenza diventava pesante. Non perché detestasse averla intorno, anzi era piuttosto piacevole, ma continuava a sentirsi con le spalle al muro per ciò che stava facendo. I sensi di colpa in ogni caso non facevano parte della sua natura.
“Credo che non ce ne sia alcun bisogno, non appena sarai guarita potrai andare via e ti dimenticherai sia di me che di Grace. Capirmi sarebbe solo una grande perdita di tempo” disse tutto d’un fiato.
Così facendo recise altri funghi con l’uncino da lavoro, mentre lei si accomodò su alcune radici rialzate per far riposare la gamba e la caviglia che si iniziavano a stancare.
Anche quella ferita era avvenuta a causa sua, le aveva impresso una cicatrice che difficilmente sarebbe andata via col tempo. Forse non si sarebbe proprio dimenticata di lui, una volta consegnata nelle mani di Regina.
Red strinse gli occhi a due fessure, per nulla convinta di ciò che le stava dicendo, era così arrabbiato con lei per comportarsi in quel modo? Se voleva che se ne andasse, lo avrebbe fatto senza problemi.
“Come potrei dimenticare chi mi ha salvato la vita e ospitato nella propria casa, occupandosi di me come se facessi parte della famiglia?”.
“Tu” intervenne Jefferson mentre tornava da lei per far cadere altri funghi nel cestino “non fai parte della famiglia” furono parole che gli costarono una grande fatica, visto l’effetto che provocarono in lei.
“Ho detto ‘come se’, ma a quanto pare l’idea che io sia qui ti infastidisce” sussurrò a denti stretti.
Jefferson comprese che continuando a comportarsi in quel modo così scontroso avrebbe provocato in lei il desiderio di andare via prima del momento adatto e non poteva permetterlo, doveva farlo per Grace.
Si sedette anche lui sulle grandi radici, appoggiando le braccia alle ginocchia mentre qualche ciocca di capelli più lunga gli finiva sugli occhi.
“No, non mi infastidisce” in realtà non riusciva a capire se in quel momento stesse recitando o meno “ma Grace si sta affezionando molto a te e quando te ne andrai sarà dura ricominciare da capo”.
No, non mentiva. Era una confessione reale, poiché aveva visto il modo in cui Grace guardava Red. Con sogni, speranze, necessità che lei non le avrebbe mai potuto dare. Che lui non avrebbe mai permesso di far arrivare.
“Io non me ne andrò via per sempre, la mia casa è a Nottingham e quando tornerò dalla mia missione, verrò a trovarvi” lo rassicurò, quasi commossa all’idea di creare un vuoto nel cuore della piccola Grace.
Riuscire ad ammettere a se stessa che quello stesso vuoto iniziava a crearsi anche dentro di lei era difficile e forse impossibile. Non doveva cadere in quella trappola, non poteva rimanere lì.
“E se non tornerai, Red?” le domandò Jefferson, come se fosse una cosa assolutamente certa.
In fondo era più lui a conoscenza del suo destino che non lei stessa, che non aveva idea di essere caduta davvero in una trappola. “Come fai ad essere certa che riuscirai a sopravvivere a quello a cui stai andando incontro? Aiutare Snow White e Charming non sarà una cosa da poco. Una grande guerra ci aspetta”.
Red si morse le labbra, cedendo lo sguardo sul cestino che custodiva gelosamente, come se tutta la sua vita dipendesse solo da quel particolare.
Perché il viso di lui iniziava a diventare così importante? Perché l’idea di trovarsi lontano la faceva tremare? Abbassò lo sguardo sulle sue mani che teneva intrecciate tra loro e per un attimo provò il desiderio di prenderle per stringerle nelle proprie. Jefferson le dava sicurezza, una sicurezza che non aveva mai provato prima. Nonostante alcune volte sembrasse così scontroso, in realtà sapeva bene che vi era molto di più. I suoi occhi parlavano per lui e i suoi sorrisi, quei sorrisi così sinceri, le riscaldavano il cuore. Cosa stava facendo? Perché non riusciva a smettere di guardarlo?
“Ammetto di provare un po’ di paura a riguardo” sussurrò in una confessione difficile da fare “ma se il peggio dovesse accadere, sacrificherò volentieri la mia vita. Morire non mi spaventa, soprattutto se avrò l’occasione di farlo per qualcuno che merita davvero di vivere”.
Jefferson sgranò gli occhi poco a poco, sollevando il viso per poter guardare quello di lei, così pulito e fresco da ricordargli l’arrivo della primavera. Nei suoi occhi giacevano temporali e tempeste e nelle sue labbra purezza ed un pizzico di immaturità.
Come poteva Regina credere che quella ragazza rappresentasse un problema? Non avrebbe torto un capello ad una mosca. Lo avrebbe pensato davvero, se non fosse stato a conoscenza del peso che si portava dietro.
“E’ facile scegliere di morire, quando saranno gli altri a doverne affrontare le conseguenze” sputò quelle parole con una certa veemenza “non esiste codardia peggiore di quella degli eroi” raccolse un sassolino dalla terra umida e fangosa per poi scagliarlo in lontananza “che decidono di dare la vita per gli altri. Il coraggio sta nel continuare a vivere, non nel scegliere di morire. La morte arriverà per tutti prima o poi e non tarderà di un secondo”.
Che strano insegnamento le stava propinando quell’uomo così particolare. In tante storie che Red conosceva si elogiavano gli uomini che si sacrificano per il bene dell’umanità, ma nessuno narrava mai delle lacrime di chi era rimasto in vita. Scegliere di morire era la strada più facile, poiché si smetteva di soffrire. Ma avere il coraggio di vivere e affrontare le conseguenze implicava almeno di non provocare dolore ai propri cari. E nonostante lei non fosse altro che un mostro, c’era chi le voleva bene. Anche se  svelargli quel particolare di sè avrebbe significato dire troppo e probabilmente sarebbe stata allontanata proprio per l’essere un mostro. Aveva le mani sporche di sangue e avrebbe rischiato di sporcare la purezza di quella famiglia. Riuscì a sorridere, sentendosi grata in qualche modo per aver avuto modo di riflettere sul suo imminente futuro. Doveva lottare per rimanere in vita.
Jefferson invece avvertiva un peso al cuore che iniziava a sgretolarlo, poco a poco, come se la sua coscienza stesse tornando a galla per avvertirlo che non sarebbe potuto tornare indietro, se si fosse spinto più avanti di qualche passo.
In quel momento fece ritorno Grace che aveva anche lei raccolto i suoi funghi preferiti e non appena li raggiunse si avvicinò a suo padre per dargli un bacio sulla guancia, subito dopo fece lo stesso dirigendosi da Red. La ragazza non seppe come reagire, tanto quel gesto la lasciò senza fiato. La guancia bruciava e la consapevolezza di quel nuovo affetto diventava sempre più concreta.
“Hai visto che alla fine sono tornata papà?” gli sorrise con l’innocenza di cui sono disposti i bambini privi di macchie “Non ti lascerò mai solo”.
Jefferson per un attimo avvampò, nonostante quelle parole fossero state dette con leggerezza, lui le prese seriamente, così tanto che quasi vacillò. 








// Nda: 

Salve! Ecco qui un nuovo capitolo! Purtroppo non posso fermarmi con le note che vado piuttosto di fretta :3 ma spero che il capitolo vi sia piaciuto, grazie mille a tutti coloro che continuano a seguire!

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Capitolo 8
*** Fight ***




 

VIII 

Fight 





 
Foresta Incantata 
 
“Ti prego papà, ti prego!”
L’insistenza di Grace fu difficile da far scemare, non aveva mai preteso nulla che non potesse avere e per quella volta Jefferson non se la sentì di negarle il suo desiderio. Avrebbe rischiato di essere smascherato, ma ne dubitava, la fiera notturna a cui Grace voleva andare si trovava ad una certa distanza da Nottingham e poiché anche Red aveva insistito  si vide costretto ad accontentarle.
Com’era strano pensare al plurale, come le voci di entrambe dovessero corrispondere a risposte vere e proprie. Che gli importava di ciò che chiedeva la ragazza dal mantello rosso? Eppure non riusciva a resistere di fronte a quel sorriso così affabile e sincero. Probabilmente se ne sarebbe pentito in seguito.
“Non dovresti sforzarti tanto, finirai per stancarti e la tua guarigione si allontanerà ulteriormente” le disse Jefferson mentre indossava il soprabito marrone per prepararsi ad uscire di casa ed affrontare una lunga notte di divertimento – tranne che per lui -.
“La tua premura non sarà di grande aiuto nel caso dovessi annoiarmi” era assolutamente decisa ad uscire di casa, se non poteva raggiungere Charming per essergli utile, preferiva almeno trascorrere il tempo in maniera utile e dilettevole.
“Lascia che venga con noi papà, ci divertiremo!” disse Grace poco prima di uscire dalla soglia d’ingresso.
Jefferson roteò gli occhi al cielo, le due sembravano comunicare lo stesso linguaggio e ritrovarsi in una situazione di apparente inferiorità non gli permetteva di gestire le decisioni come meglio preferiva.
Red sorrise e legò il mantello rosso alle spalle, per prepararsi anche lei alla serata.
“Se devi venire preferirei che non lo indossassi, hai dimenticato che ti stanno cercando? Sarebbe più opportuno essere il meno appariscente possibile” le consigliò, nonostante sapesse quanto quella richiesta pesasse sulle sue spalle.
Red non fu felice di dover lasciare il mantello, ma rinunciare a quella serata soltanto per un capriccio non la sollevava affatto. Preferì quindi abbandonare la sua armatura, fortunatamente i giorni del lupo erano ancora lontani e non avrebbe sortito alcun effetto la mancanza del mantello che la proteggeva dal suo lato mostruoso.
Una volta sistemati gli ultimi particolari si incamminarono verso il villaggio ove si sarebbe svolta la fiera, come ogni anno vennero preparati banchetti in cui si vendeva a poco prezzo ciò che si trovava normalmente ai mercati di Nottingham ma che difficilmente le persone umili potevano permettersi. I bambini si rifugiavano nel gioco più popolare della fiera, quella del maialino e dei cucchiai. Si riunivano tutti intorno ad un cerchio tracciato sulla terra per delimitare lo spazio dal centro in cui veniva posto un porcellino che richiamato dagli schiamazzi degli spettatori sarebbe dovuto entrare in una delle tane numerate che si ponevano di fronte a lui. Chi aveva scelto il numero vincente riceveva un premio speciale.
Grace non riuscì ad esimersi e corse proprio lì dove altri bambini si erano accalcati per dare il via al gioco.
“Non muoverti di lì, vengo a prenderti non appena finiamo di… ah, lasciamo stare” spezzò la frase Jefferson quando si accorse che Grace gli era sfuggita di mano.
Un’altra volta si era fatto cogliere dalla preoccupazione e questo rinnovò la medesima risata in Red. Apprezzava quel lato così paterno di Jefferson, lo rendeva maturo e dolce, nonostante lui si sforzasse di non darlo a vedere.
“Che succede, ti sei arreso all’evidente realtà che sa cavarsela da sola?” gli lanciò un sorriso, sperando di non esser maltrattata anche questa volta sull’argomento. Bruciava di curiosità e non riusciva a farsi sfuggire l’occasione di farlo notare.
“E’ una paura recente” sussurrò, come se non volesse ammetterlo nemmeno a se stesso “temo che possa arrivare il giorno in cui non dovrà più fare affidamento su di me. Ed allora io che fine farò?”.
Red inclinò di lato la testa, prima di prenderlo sottobraccio, per poterlo ascoltare meglio. Lui si sentì lievemente scosso da quella vicinanza, ormai sapeva bene quanto Red lo affascinasse ma poter ascoltare i suoi respiri e avvertire il calore della sua mano rischiavano di inebriarlo.
“Questa è la storia più vecchia del mondo, Jefferson!” sorrise lei bonariamente, mentre camminava tra la folla che si accalcava a seconda delle attrazioni che avevano davanti. “Tutti i figli prima o poi si allontanano dalla casa dei genitori ma una madre o un padre sono tali per sempre, non smetteranno mai di esserlo. Quand’anche Grace dovesse andare via, non vorrà dire che rimarrai solo”.
Era facile cedere ad un argomento simile, aveva lasciato il suo lavoro per prendersi cura di sua figlia e nulla al mondo lo avrebbe destato da quel compito così importante. L’avrebbe seguita fino alla fine, fin quando non sarebbe stato più utile per nessuno.
“Perché ogni volta finiamo per parlare di me? Prova a confessarmi qualche tuo segreto, so che sei la nipote di Granny e che vivi a Nottingham da sempre. Come hai conosciuto Snow White e perché sei così indispensabile per aiutarla in questa guerra?” le domandò, come se fosse totalmente ignaro di ciò che la riguardasse.
Red non fu precipitosa e all’inizio non si mostrò affatto convinta di volergli raccontare la sua storia, ma ritenne che Jefferson volesse sapere che tipo di persona stesse ospitando nella propria casa. Ormai si fidava completamente di lui e per la prima volta non ebbe timore di nascondersi, anche senza il mantello rosso sulle spalle non avvertiva alcuna pesantezza e si sentiva al sicuro.
Iniziò a raccontargli la sua avventura con Snow White, omettendo l’uccisione di Peter – aveva timore di mostrarsi a lui come un’assassina  - e del piccolo particolare che caratterizzava la sua natura metà umana e metà bestiale. Mentre discorrevano del suo passato, si soffermarono a guardare lo spettacolo dei mangiafuoco  che illuminavano le ombre della notte stellata, colorando il cielo di fiamme che si intrecciavano tra loro. Le loro parole si confusero tra l’alternanza delle luci e del buio improvviso, si fermarono a lungo, incantati da quella che sembrava ai loro occhi una magia ma che entrambi sapevano perfettamente non esserlo.
Jefferson colse l’attimo in cui Red aveva nascosto i propri occhi all’interno delle fiamme che si innalzavano, era tremendamente bella quella sera, attorniata da quei colori scuri, che non riusciva a volgere lo sguardo altrove. Possibile che una ragazza simile potesse rappresentare un vero pericolo? Perché Regina desiderava la sua morte o la sua reclusione? Se avesse potuto l’avrebbe celata ai suoi occhi per sempre, ma la farsa sarebbe stata scoperta in un modo o nell’altro.
“Perché mi guardi in quel modo?” le domandò Red quando se ne accorse.
“In che modo?” rispose con un’altra domanda, incrociando le braccia al petto.
“Con malinconia. E’ uno sguardo che hai sempre e non ne comprendo il motivo” sussurrò ma Jefferson non accennò a dire nulla, si limitò a tornare ad osservare i mangiafuoco che completavano lo spettacolo.
Red si pentì di esser stata così diretta, ma avvertiva il bisogno di scoprire più di lui, di potergli leggere nel fondo dell’anima. Senza volerlo la sua mano sfiorò quella di lui, erano così vicini a causa della folla che era aumentata, ma a quel contatto non decise di allontanarla, anzi la cercò più in profondità per poterla intrecciare nella propria. Jefferson abbassò lo sguardo, assaporando il calore che insieme producevano e la sicurezza che quella stretta gli regalava. E sorrise, sorrise come non gli capitava di fare da tempo.
Per quella notte non avrebbe pensato al lavoro da svolgere ma si sarebbe lasciato andare, come il vecchio Jefferson avrebbe fatto.
Quando lo spettacolo volse alla fine furono costretti a recidere quel legame ed entrambe le loro mani divennero fredde, prive di quella certezza che solo ai loro occhi sembrava tremendamente lontana. Una volta usciti dalla folla, Jefferson decise di andare a cercare Grace, ma qualcosa richiamò la loro attenzione. All’estremità della fiera vi era un circolo di persone che battevano fragorosamente le mani e che urlavano i nomi dei protagonisti dello scontro. Però c’era qualcosa che a Jefferson non convinse del tutto e richiamò Red per dirigersi da quella parte. Quando si arrivarono e si intrufolarono nel circolo per farsi spazio tra gli spettatori, riuscirono a vedere meglio. Vi era un uomo steso a terra che tentava di rialzarsi, il viso era colmo di tumefazioni  e il sangue scivolava dal naso senza arrestarsi. Il pugilato era un’attrazione che attirava tutti coloro che amavano fare scommesse. L’avversario però, nonostante l’evidente sconfitta del partecipante, non si fermò e anzi decise di insistere e tirargli altri pugni, incitandolo ad alzarsi. Ma l’uomo che rantolava a terra non aveva più forza per farlo e continuava a subire i colpi tra le urla degli spettatori che alla vista di altro sangue iniziarono ad acclamare ancora di più il vincitore.
Jefferson non riuscì a trattenersi e senza dire nulla sciolse il soprabito dalle spalle per poi consegnarlo a Red.
“Tienimi questo” sussurrò con voce rauca e seria.
“Cosa?” la ragazza si ritrovò ad avere tra le mani il soprabito “non vorrai partecipare anche tu, è pericoloso!”.
“Non preoccuparti, una volta o due ho preso lezioni di pugilato” così facendo si gettò nella mischia, arrotolandosi le maniche marroni della camicia fino ai gomiti.
Lasciò che il malcapitato uscisse per potergli fare spazio e Jefferson si posizionò di fronte all’avversario che non gradì affatto quell’entrata così inaspettata, voleva ancora divertirsi a torturare lo sconfitto.
“Allora, vediamo come te la cavi con uno della tua taglia!” lo incitò a farsi avanti, richiamandolo a sé per poter dare inizio alla lotta.
Red portò il soprabito fino alle labbra, stringendolo tra le braccia, non voleva rimanere a guardare ma non poteva nemmeno allontanarsi e lasciarlo lì. Che stupida idea gli era venuta in mente, voleva farsi massacrare senza alcun motivo? Eppure lui era intervenuto per un puro senso di giustizia, come poteva non notare quel particolare che lo migliorò anche di più ai suoi occhi.
I primi pugni arrivarono allo stomaco di Jefferson che non si accasciò a terra ma rimase perfettamente in piedi, avvertendo solo una contrazione, ma non poteva finirà già così presto. Gli assestò qualche pugno alla milza così da farlo piegare e colpirlo all’orecchio per stordire l’avversario, in seguito non rifiutò di restituirgli un pugno allo stomaco.  Jefferson fu colpito più volte al viso, tant’è che fu costretto a sputare sangue per togliersi quel sapore disgustoso dalla bocca, finché non fu messo in ginocchio. Provò a rialzarsi ma l’altro lo afferrò per i capelli e questa volta gli assestò un colpo sotto il mento.
“Basta!”
La voce che urlò non era stata quella di Red, ma di Grace che era andata alla ricerca dei due dopo aver perso diverse volte al gioco del maialino. Quando Red si era accorta di lei aveva cercato di allontanarla e di porsi davanti per non farle vedere quello spettacolo, ma comprendendo che si trattava di suo padre non poté fare a meno che disubbidire a Red e a farsi avanti per fermare quello che stava accadendo.
Ma Jefferson era già caduto a terra, l’avversario aveva lasciato la presa e l’aveva spinto via perché non si rialzasse. Si contorse appena, senza darlo troppo a vedere, mentre stringeva lo stomaco con un braccio.
Grace corse verso di lui, inginocchiandosi lì per potergli prendere una mano e scoppiare a piangere dallo spavento. Red non rimase indietro e si accovacciò allo stesso modo, sollevandogli leggermente la testa per appoggiarla sulle proprie gambe.
“Papà, come hai potuto farlo?”.
Le lacrime di Grace erano insopportabili.  Non riusciva a credere di averla fatta piangere e di aver creato  sul suo viso tutto quel dispiacere. In più non era l’unica a mostrarsi così preoccupata, visto che anche gli occhi di Red erano lucidi e le labbra erano tirate in una smorfia.
“Non vi sarete spaventate” biascicò quelle parole prima di sollevare una mano e passarla sulle labbra per ripulirsi dal sangue, riuscì ad avvertire il viso gonfio e tumefatto.
Grace si gettò su di lui per poterlo abbracciare e continuare a piangere, la stretta si fece più forte quando lui cercò di circondarla con le braccia perché non andasse via. L’altra mano invece la porse a Red perché potesse stringergliela, come aveva fatto prima allo spettacolo dei mangiafuoco. Red rimase stupita per quel gesto e quasi non vi riuscì a credere, ma non impiegò molto ad afferrarla e a scaldarla con la propria.
“Non farlo mai più papà, mai più” sussurrò Grace chiudendo gli occhi per non guardarlo in viso.
Jefferson allora passò ad accarezzarle i capelli per farla calmare, ancora disteso e con la nuca appoggiata sulle gambe di Red. Alzò appena il viso per poterla guardare negli occhi e leggerla nel pensiero. Poi sorrise, per ricevere tutto quell’affetto doveva farsi picchiare?





 
**
 
 
 
Storybrooke, durante il sortilegio
 
Le mani di Gary erano immerse tra i lunghi capelli di Ruby che aveva la schiena appoggiata al muro esterno del Rabbit Hole. Poco tempo fa aveva detto che si sentiva incuriosita da un uomo simile, lo stesso che aveva visto correre dietro a Locksley. Perché proprio in quel momento gli venne in mente lui? Che domanda sciocca: era il migliore amico di Jefferson. Quello stesso che sembrava disprezzarla tanto per il suo comportamento disinvolto. Lo detestava, per questo si era gettata tra le braccia di Gary che l’aveva circuita con i suoi occhi gelidi e maturi. Lo detestava, perché non si era fatto vedere per quella sera. Non le importava della mancanza del Dottor Whale, non le importava di nessun altro, soltanto che chi desiderava in quel momento non si trovava lì. Perciò continuò a baciare e a farsi baciare da quelle labbra per cui non provava alcun interesse, per il semplice fatto che Gary le desiderasse così tanto. Era un sentimento sciocco e il suo comportamento era tale e quale a quello di una adolescente alle prese di una situazione che non poteva controllare.
Gary fece scivolare le dita sul suo braccio per poi spostarsi sulla vita, sui fianchi, fino a sfiorarle la gamba per poterla percorrere lentamente e pregustare ciò che avrebbe potuto assaggiare in seguito. Le sollevò appena l’orlo dell’abito succinto e iniziò ad accarezzare la morbidezza della sua pelle, prima di affondare nel profumo del suo collo, ne era rimasto quasi inebriato.
Sarebbe stato un momento perfetto, se solo qualcuno non lo avesse preso per il collo della giacca di pelle e lo avesse spostato rudemente, prima di tirargli un calcio sul fondoschiena per fargli perdere l’equilibrio.
Ruby si ritrovò improvvisamente con una gamba lievemente sollevata e quasi scoperta, priva del suo partner. I suoi occhi incontrarono quelli di Jefferson, carichi di rabbia e di compassione, ma per cosa? Perché la guardava in quel modo? Perché continuava a torturarla?
“Un gentiluomo non dovrebbe approfittare mai di una donna che non è in grado di rispondere di se stessa” disse a Gary per spiegare quella sua azione.
Non parve affatto compiaciuto di ricevere una ramanzina e soprattutto non si sarebbe dovuto permettere di disturbarlo in un momento così intimo. Si voltò lentamente, volgendogli un’occhiata colma di ira.
“In realtà a me dava l’idea che sapesse esattamente cosa fare” gli rispose con un mezzo sogghigno.
Jefferson sgranò gli occhi, non riuscì a reggere quella provocazione e senza tirarsi indietro finì per tirargli un pugno in pieno viso.
Gary appoggiò una mano al muro, prima di passare una mano sotto le narici che però non sanguinavano, il colpo non era stato forte. Quando cercò di farsi avanti per restituirgli ciò che gli era arrivato, Ruby si mise in mezzo per tenerli distanti.
“Vi prego, non c’è bisogno di arrivare alle mani” si rivolse a entrambi per poi volgere lo sguardo su Jefferson “non dovresti intrometterti in questioni che non ti riguardano”.
Gary le afferrò un polso e senza nemmeno pensarci la spinse verso il muro con violenza.
“Togliti di mezzo” ringhiò con rabbia.
Jefferson era un amico di Locksley, l’uomo che più odiava al mondo. Avere l’occasione di sistemarlo a dovere e gli avrebbe reso un po’ di soddisfazione che non era riuscito a prendere fino a quel momento.
“L’avevo detto che non eri un gentiluomo” disse quando si avvide della forza che aveva impiegato per scaraventare via Ruby.
Entrambi si lanciarono l’uno contro l’altro, sferrando pugni allo stomaco e al volto. Gary era ben piazzato e uno sport simile era abituato a praticarlo piuttosto spesso, mentre Jefferson non era in grado di contrattaccare allo stesso modo. Finiva più per subire che riuscire ad avere la meglio, ma non si sarebbe arreso. Non lo avrebbe fatto, non poteva farlo, altrimenti lei cosa avrebbe pensato?
Ruby era scivolata a terra e si era sbucciata un ginocchio, ma non le interessava dare ascolto a quel piccolo fastidio, visto che davanti a lei stava avvenendo qualcosa che la lasciava senza fiato. Aveva paura, paura che lui potesse farsi male davvero.
Gary riuscì a completare l’opera tirando un pugno nello stomaco di Jefferson, lo spinse a terra e ne approfittò per tirargli un calcio sotto il mento. Non era riuscito a strappargli nemmeno un grido di pietà, continuava a resistere nonostante ciò che stava subendo e il sangue iniziava a coprirgli il viso. Lo rigirò lentamente per poterlo guarda meglio in viso, fece quasi per colpirlo ancora ma Ruby si gettò su di lui per allontanarlo.
La sua furia fu inaspettata, la forza che aveva tirato fuori era incredibile ed era riuscita ad allontanarlo abbastanza da proteggere Jefferson da un nuovo colpo.
Sia Gary che Ruby rimasero sopraffatti da quell’azione, tanto che rimasero in silenzio per qualche istante e persino lui che era sporco del suo sangue e di quello dell’altro non si mosse.
“Lascialo stare” sibilò lei prima di fare un passo indietro.
Gary era nervoso e se avesse potuto non si sarebbe fermato, ma non poteva rischiare. Sembrava che nessuno si fosse accorto della piccola rissa poiché al Rabbit Hole la musica era troppo alta per permettere ai presenti di ascoltare qualcosa di diverso da quello che gli veniva propinato alle orecchie.
“Per questa volta è andata, ma non finisce qui” la minaccia sembrava decisamente vera ma lo era anche il fatto che si sarebbe allontanato, come fece poco a poco, mettendo un piede dopo l’altro.
Ruby cadde a terra a causa della tensione che le correva lungo tutte le membra, avrebbe voluto piangere, ma non poteva permetterselo. Preferiva prendere a schiaffi Jefferson, se solo non fosse stato conciato così male.
Quando si voltò lo ritrovò seduto con una gamba in avanti e l’altra più vicina, una posa decisamente infantile, soprattutto per chi era stato appena pestato a dovere.
Le labbra erano colorate di sangue che colava anche dal naso e dal sopracciglio destro, le tumefazioni erano evidenti ma di certo il fastidio allo stomaco era quello più evidente.
“Tu non sei così, Ruby” sussurrò, aveva la gola in fiamme e doveva bere. “Non sei la persona che credi di essere, la vera te non si comporterebbe in questo modo”.
Ruby socchiuse per un attimo gli occhi e li coprì con una mano per non guardarlo in quello stato.
“Smettila, smettila di insegnarmi cose che non ti riguardano! Io non so chi sia la Ruby a cui ti riferisci, ma io sono così e non cambierò!” gridò ad alta voce per la frustrazione.
Jefferson tirò le labbra in un sorriso, che stupido idiota, si era fatto picchiare proprio come quella volta. Già, quella in cui le loro mani si erano avvicinate.
“Stai mentendo e lo sai” poco a poco cercò di sollevarsi in piedi, appoggiando il braccio sul muro per darsi forza. Gli girava la testa e non riusciva a rimanere fermo, si sentiva disorientato e non aveva idea di dove dovesse andare.
“Non ti saresti dovuto intromettere, ciò che faccio della mia vita è affar mio” tentò in ogni modo di pronunciare quelle parole con convinzione, ma in realtà non poteva fare a meno di pensare che il suo vero desiderio fosse proprio il contrario, che lui si interessasse a lei.
Jefferson rise di gusto prima di spostarsi in avanti e quando Ruby si alzò, fece qualcosa che lei non si era aspettata per nulla al mondo. La abbracciò, avvicinandosela al petto per poter avvertire il suo calore.
Era una cosa sciocca a dire il vero, visto che il freddo gli congelava il corpo, ma quello di lei era caldo e rassicurante. La strinse con forza ma non per farle male, per non permetterle di andare via. Appoggiò il mento dolorante sulla sua spalla e guardò altro.
“Mi manchi Ruby, non hai idea di quanto mi manchi l’averti accanto. L’idea che tu voglia rifiutare te stessa mi manda ai matti” le sue mani si strinsero intorno alle scapole di lei “voglio dimenticarti, ho bisogno di dimenticarti” scoppiò a ridere all’improvviso.
Quella risata arrivò alle orecchie di Ruby come una pura follia, stava vaneggiando! Dunque gli abitanti di Storybrooke avevano ragione, Jefferson era davvero pazzo. Perché insisteva nel parlare di una Ruby che non esisteva? Perché voleva dimenticarla?
Rimase pietrificata in quell’abbraccio e non seppe cosa fare, ricambiarlo avrebbe voluto dire assecondare quel comportamento psicopatico e dall’altra non riusciva a distaccarsene. Avvertì calde lacrime scivolarle sul viso, tutto quello che le stava accadendo non aveva senso. L’unica cosa che riusciva a sentire era il fatto che desiderasse la sua vicinanza, che nonostante quell’aspetto così folle non potesse fare a meno di pensare a lui.
Jefferson spezzò quel breve istante di arrendevolezza e si distanziò da lei, adombrando il viso pieno di lividi. La testa gli girava troppo e aveva bisogno di tornare a casa per riflettere, per non dormire e per essere certo che Grace stesse bene. Paige, non Grace. Ruby, non Red.
“Buonanotte Ruby e buon San Valentino” si limitò a dire prima di superarla e dirigersi verso l’ingresso del Rabbit Hole, avrebbe chiesto a Locksley di accompagnarlo fino a casa, per quella sera avrebbe evitato di raggiungere la propria casa a piedi.
“Cosa?” domandò Ruby quasi a se stessa, ma non ebbe il coraggio di corrergli dietro.
Per la prima volta sentì freddo, un freddo gelido che gli premette nella pelle come aghi in grado di raggiungerla in profondità.
Le labbra rosse come il sangue si schiusero appena, ancora leggermente sconvolta per quello che aveva appena vissuto. Le mani infreddolite si chiusero in piccoli pugni, mentre le lunghe gambe slanciate ripresero a camminare per rientrare anche lei al Rabbit Hole e recuperare i suoi effetti.
Quando indossò il cappotto rosso e mise le mani in tasca, avvertì qualcosa pungerle le dita. Tirò fuori una rosa rossa colma di spine, una rosa simile non poteva esser stata comprata da un fioraio, una rosa simile doveva esser stata raccolta con le proprie mani.
Era selvaggia, pericolosa, ma tremendamente bella. Fu sopraffatta da quel profumo così inebriante e se la portò al petto, come a volerla custodire per tutta la sera. Non avrebbe mai saputo chi l’aveva posta proprio lì, il suo cuore le indicava soltanto un nome ma la sua ragione si rifugiava in altri per evitare quella consapevolezza che iniziava a farsi strada nella sua testa.
Era ancora preoccupata per Jefferson e per quello che gli era accaduto, cercarlo per chiedergli di andare in ospedale sarebbe stata una vera sciocchezza, sapeva che non lo avrebbe mai fatto. Ormai conosceva i suoi pensieri. 









NdA: 

Salve cari lettori!
Prima di tutto mi scuso per aver aggiornato così tardi ma in questo periodo sono poco in vena di scrivere e di leggere, le crisi esistenziali vanno e vengono per tutti <3. 
Questo capitolo è un piccolo omaggio a Tom Lefroy, per chi ha visto il film 'Becoming Jane' di sicuro avrà ricordato certi atteggiamenti o frasi pronunciate dal suddetto. 
Con You Found Me spero di riuscire ad aggiornare nuovamente una volta a settimana. 
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito e inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate. Grazie mille! 
Per chi vuole seguire gli aggiornamenti delle storie in genere ho un gruppo su fb --> https://www.facebook.com/groups/507038592717142/


 

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Capitolo 9
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IX

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Storybrooke, durante il sortilegio
 
Il servizio da tè in porcella era stato rovesciato a terra ed ora riversava sul pavimento, lasciando le impronte di chi vi era passato sopra, per cancellarne ogni traccia.
Aveva compiuto un errore irrecuperabile la sera di San Valentino, non tanto per esser stato pestato brutalmente – di quello non gli interessava proprio nulla – quanto per aver rivelato a Ruby qualcosa che avrebbe dovuto tacere.
Lei non poteva ricordare, non aveva idea di che persona avesse davvero davanti e lui aveva cercato di forzarla, mettendola con le spalle al muro. Credeva davvero che la sua vicinanza le avrebbe illuminato ricordi ormai perduti? Si sedette sulla poltrona, tenendo lo sguardo fisso sulla porcellana fatta in pezzi ed iniziò a riflettere. Era tutta colpa di Regina e del suo sortilegio, aveva perso tutto e lei gli aveva tolto la sua unica ragione di vita. La famiglia che aveva un tempo non esisteva più e si ritrovava da solo con se stesso in una casa così grande che gli ricordava ancora di più quanto non avesse speranza di tornare il Jefferson di un tempo. Erano trascorse due settimane da quando si era scontrato con Gary e da allora non si era fatto più vedere in giro, preferiva almeno lasciar andare via le cicatrici riportate sul volto, soprattutto quella che sorgeva in alto sul sopracciglio destro.
Fu in quel momento che qualcuno bussò alla porta, un evento assai raro, visto che nessuno andava mai a trovarlo e a ragion veduta. Si era concentrato così tanto sui suoi pensieri che non si era nemmeno accorto del rumore della macchina che era arrivata fin lì. Si alzò bruscamente dalla poltrona per poter andare ad aprire la porta e si ritrovò davanti l’unica persona che non si sarebbe mai aspettato di vedere.
“Come ti sei ridotto, Jefferson?” domandò con la sua solita voce suadente.
Aggrottò le sopracciglia ed appoggiò una spalla alla porta, senza accennare a lasciarla entrare.
“Ti sei presa la briga di venire a trovarmi per chiedermi questo?”.
“Tu non rispondi mai ad una domanda con un’altra domanda” sogghignò, prima di portare una mano al fianco e stringere le labbra con forza “se non ti dispiace vorrei entrare in casa, devo parlarti”.
Jefferson roteò gli occhi al cielo e nonostante non fosse intenzionato a conversare amabilmente con lei, fu costretto a darle retta.
“Ogni volta che ti lascio entrare in casa mia accade qualcosa di irrimediabilmente pericoloso, Regina” borbottò prima di lasciarla entrare, scostandosi dall’ingresso.
Avrebbe potuto farla fuori in qualunque momento, approfittando del fatto che nessuno sarebbe mai andato a cercarla proprio lì. In fondo la città non avrebbe sofferto molto e si sarebbe liberata di un grande peso. Così forse Emma Swan sarebbe riuscita a spezzare il sortilegio più facilmente, senza avere i bastoni tra le ruote.
Regina non fece caso alle sue parole e si diresse verso il grande il salone per potersi sedere sul comodo e raffinato divano bianco, affondandovi con eleganza. Si accorse che sul pavimento erano sparsi pezzi di porcellana che erano stati ampiamente calpestati, ma la cosa non le sembrò affatto anormale.
Jefferson la seguì e si sedette sulla poltrona davanti a lei, appoggiando le mani sui braccioli e stendendo le gambe in avanti. Il volto era ancora tumefatto e la cicatrice sopra il sopracciglio assolutamente evidente.
Regina lo osservò a lungo, come a volerlo studiare in profondità.
“Avanti, non mi guardare con quegli occhi. In fondo io non ho idea del motivo per cui tu sia in grado di ricordare ogni cosa. Forse la follia è in grado di spezzare il velo che ci illude tutti quanti” disse in tono saccente, mentre spostava indietro i capelli per scoprire il viso perfetto.
Jefferson strinse con forza i braccioli della poltrona, provava troppa rabbia per lei e rimanere calmo sembrava una vera e propria impresa.
“Io non sono pazzo” sibilò ogni singola parola, insistendo in uno sguardo carico di disprezzo.
Regina sogghignò e inclinò lievemente la testa in avanti. “Eppure se non ricordo male, ti chiamavano Cappellaio Matto nel Paese delle Meraviglie. Non è forse così?”.
Jefferson strinse i pugni delle mani e iniziò a mordersi le labbra per la frustrazione.
“Tutto ciò che è accaduto è colpa tua, Regina. Prima mi hai ingannato, togliendomi la mia famiglia e lasciandomi in quel posto dove tutti sono matti. Poi hai creato il sortilegio e mi hai condotto sin qui, costringendomi a vivere di nuovo lontano dai miei cari” digrignò i denti e poi serrò le labbra.
Regina si strinse nelle spalle, evidentemente non le importava nulla di ciò che gli era accaduto e non avrebbe certo migliorato la sua situazione in alcun modo.
“La colpa di ciò che è accaduto in passato è tua, Jefferson. Non si abbandona mai la famiglia”.
Quella provocazione scaturì in lui un vortice di rabbia che lo costrinse ad alzarsi in piedi, avrebbe potuto minacciarla, ma non sarebbe servito a nulla. Si allontanò in gran fretta da lei per potersi accomodare sul davanzale della finestra, così da averla lontana ma al tempo stesso riuscire a non perderla d’occhio. Ciò che diceva era vero, lui aveva abbandonato la sua famiglia, non era riuscito a mantenere la sua promessa.
Il solo motivo per cui Regina non temeva dei ricordi ancora presente in lui era proprio il fatto che tutti lo considerassero fuori di testa e nessuno avrebbe prestato orecchio ai suoi vaneggiamenti, inoltre sarebbe sempre potuto tornarle utile per qualcosa.
“Che cosa vuoi?” domandò Jefferson per raggiungere lo scopo di quella visita.
Regina si alzò lentamente in piedi per poi compiere diversi passi ed avvicinarsi alla finestra, appoggiandosi appena alla parete per poterlo guardare meglio negli occhi.
“Qualcuno è entrato in casa mia e mi ha sottratto un oggetto molto importante, vorrei riaverlo indietro”.
Jefferson inarcò un sopracciglio.
“Perché credi che io ne sappia qualcosa?”.
“La cleptomania è una malattia, Jefferson, e il tuo amico dovrebbe farsi curare. Ciò che mi chiedo è se sei stato tu a chiedergli di rubarlo”.
Improvvisamente quella ambigua conversazione fu chiara ai suoi occhi.
“Ha rubato il mio cappello?” enfatizzò quelle parole “Tu lo hai portato qui a Storybrooke?” si distaccò dal davanzale della finestra per fare un passo avanti e coprire la loro breve distanza.
Regina annuì, ma non volle dare spiegazioni su quel particolare. Aveva condotto con sé molte cose e quella non era stata l’unica. Solo lei era conosceva i suoi piani e nessuno sarebbe mai riuscito ad entrare nella sua testa.
Una cosa che sapeva fare molto bene era capire quando gli altri mentivano, proprio perché lei era quella che aveva mentito per così tanto tempo e aveva imparato a riconoscere i truffatori dagli uomini onesti.
“Dunque non lo sapevi” sospirò senza accennare ad allontanarsi “ebbene, ho una proposta da farti: aiutami a ritrovare il cappello ed io ti aiuterò a dimenticare ogni cosa”.
Jefferson sgranò gli occhi, abbagliato da quella possibilità e agganciò una mano al collo di lei per poterla scrutare a fondo.
“Se anche questa volta stai cercando di ingannarmi, giuro che…”
Regina lo fermò, appoggiando l’’indice sulle sue labbra, così da ammutolirlo.
“Non temere. Aiutami a riprendere il cappello ed io ti darò ciò che desideri” sussurrò prima di allontanarsi.
Così facendo fece un passo indietro, lasciandolo tornare a fissare il vuoto. Iniziò ad allontanarsi per poter andare via da quella casa, la sua visita era terminata e sperò di riuscire nell’intento.
Ma quando si avvicinò alla porta e cercò di andare via, comparve Jefferson a richiuderla, per impedirle di farlo. I suoi passi erano stati silenziosi e quasi risultò agghiacciante ritrovarselo di nuovo vicino.
“Quanta fretta” sussurrò lui mentre continuava a tenere la mano ferma sul pomolo “c’è una cosa che vorrei chiederti, forse puoi darmi una risposta”.
Regina trasse un sospiro profondo ed annuì perché parlasse.
“Perché Paige sogna il Paese delle Meraviglie?” le domandò quasi certo che lei fosse la causa di quegli incubi.
Lei scosse lentamente la testa prima di sogghignare.
“Mio caro Jefferson, hai vissuto per così tanto lì e ancora non lo conosci? Quelli di Paige non sono sogni, ma ricordi” gli svelò come se fosse stata la cosa più chiara al mondo.
Gli occhi di lui divennero scuri e profondi, la fronte si corrugò e l’espressione del viso mutò in rabbia mista a sofferenza.
“Cosa ne hai fatto di lei?” la afferrò per le spalle, iniziando a scuoterla “L’hai portata al Paese delle Meraviglie? Rispondi! C’è solo un modo per arrivare lì”.
Lui non sapeva nulla di ciò che era accaduto a sua figlia, non aveva mai trovato il modo di ritornare alla Foresta Incantata.
Regina con poca grazia distolse le mani dalle sue spalle per poter uscire da quel giogo.
“Ti sbagli, Jefferson. Il cappello collega i mondi magici, ma il Paese delle Meraviglie è un luogo particolare. Vi sono diverse entrate, quali le tane del Bianconiglio e gli specchi magici. Tua figlia ti ha cercato a lungo nella Foresta di Sherwood ma senza riuscire mai a trovarti, era piuttosto convinta che non l’avessi abbandonata” sorrise di gusto continuando a raccontargli il seguito.
“Quindi è riuscita a raggiungerlo?” altre domande, mille domande gli tempestavano la testa in quel momento.
Doveva sapere di più, doveva capire e indagare.
“Questo non lo so, ma solo chi vi è stato può permettersi di sognarlo. Evidentemente deve esser riuscita a trovare un portale” gli sorrise con una certa impazienza “ma non credo ti interessi saperlo davvero, molto presto ti dimenticherai di lei”.
Così facendo gli spostò la mano dal pomo della porta e poté finalmente uscire con un velo di soddisfazione dipinto sul volto. Jefferson rimase atterrito mentre la guardava andare via, non riusciva a capacitarsi di quello che gli era stato detto.  
Grace l’aveva cercato, non si era mai arresa, proprio come lui. Era diventato matto dopo aver cercato di ricostruire il cappello, mentre lei aveva provato con tutta se stessa a ricongiungersi a lui.
Voleva davvero dimenticare? In fondo non avrebbe mai saputo nulla. Come era riuscita sua figlia ad entrare nel Paese delle Meraviglie? Se così fosse stato, cosa le era accaduto? Perché non si erano incontrati? Era riuscita ad uscirne?
Troppe domande si affollarono nella sua testa e nessuna risposta veniva a galla. Scivolò con la schiena lungo la porta per poi arrivare a terra e coprire gli occhi con le mani.
Dimenticare, avrebbe dovuto dimenticare tutto della sua vita. Così non avrebbe saputo più nulla di Grace, né di Ruby, né di nessun altro L’indomani sarebbe andato da Locksley e si sarebbe fatto restituire il cappello per consegnarlo a Regina, per cancellare definitivamente tutto il suo dolore.
Rimase in quella posizione a lungo, con gli occhi aperti, per convincersi di quella decisione. Aiutare di nuovo Regina equivaleva ad un grande rischio ma al tempo stesso era la sua unica via di fuga.
Forse non proprio l’unica, ma al momento lo desiderava più di ogni altra cosa al mondo.




 
**

 




 
Foresta Incantata


Jefferson era seduto sul giaciglio dove Red dormiva la notte, nonostante i dolori allo stomaco e al viso, non riusciva a far uscire alcun lamento. Grace si era spaventata e gli aveva gridato contro con rabbia, suo padre era tutto ciò di cui aveva bisogno e l’idea che qualcuno potesse fargli del male la straziava.
Una volta tornati a casa, con molta fatica, vista la convalescenza di Red ed il pestaggio subito da lui, Grace decise di lasciarli da soli. Suo padre aveva bisogno di cure e lei a guardarlo in quelle condizioni ne avrebbe solo che sofferto. Si ritirò silenziosamente nella sua piccola stanza, accompagnata da Red che la mise a letto per assicurarsi che non fosse rimasta troppo sconvolta. Le portò il coniglietto che Jefferson aveva cucito per lei, cosicché avrebbe avuto un po’ di compagnia. Le accarezzò il viso con delicatezza e le scostò i capelli, prima di sfiorarle la fronte con un bacio. Né lei né Grace dissero nulla ma si limitarono a sorridere, erano riuscite a trovare un legame profondo che andava ben oltre l’uso delle parole. L’affetto che Red regalava a Grace era puro e sincero, così allo stesso modo veniva ricambiata.
Quando tornò all’ingresso, dove era ancora seduto Jefferson, si avvicinò per potersi sedere su uno sgabello di fronte a lui per poterlo guardare negli occhi che teneva ostinatamente rivolti verso il basso.
“Sapevi perfettamente che non avresti vinto. Perché lo hai fatto?” gli domandò mentre preparava un infuso da passare sulle ferite riportate sul viso.
Jefferson tirò le labbra in un sorriso ironico, senza alzare lo sguardo. Appoggiò le mani sulle ginocchia e poi trasse un sospiro profondo.
“Detesto i prepotenti che non sanno mettere fine alle proprie azioni”.
Si stupì di se stesso per aver detto una cosa simile, lui prima di lasciare il lavoro che faceva prima, era fatto proprio così. Non si poneva alcun limite e i sentimenti delle altre persone erano perfettamente calpestabili. In fondo non era lui a soffrirne, no?
Red strinse le labbra, ripensando ai primi momenti in cui aveva pensato male di lui. Inumidì una pezza con dell’acqua per poter lavare il sangue dal viso, iniziò dalle narici dove si era incrostato maggiormente.
“Mi dispiace se ho dubitato del tuo senso di giustizia” confessò, grata di non ricevere il suo sguardo.
Jefferson inarcò appena un sopracciglio e questa volta alzò il mento per poter cercare i suoi occhi e leggerne il fondo. Non che potesse stupirsene, effettivamente chiunque avrebbe potuto dubitarne.
“In che occasione è accaduto?” domandò per placare la sua curiosità.
“Diverse volte a dire il vero. Quando sei venuto a salvarmi non avevo idea del fatto che fossi avverso a Regina. Anche nel momento in cui l’uomo che cercava Robin Hood è venuto qui a chiedere informazioni su di lei, per un attimo ho pensato che volessi proteggerlo” sorrise divertita “che idea sciocca, a ripensarci non so proprio come mi sia venuta in mente una cosa del genere”.
Jefferson serrò le labbra in una smorfia contratta, un po’ a causa del fastidio che le ferite aperte gli provocavano al contatto con la pezza umida, un po’ per quello che lei stava rivelando. Se solo avesse saputo che tipo di piano aveva in mente per lei… non lo avrebbe mai perdonato.
“Il tuo istinto però non mente mai, non è quello che mi hai detto giorni fa?” controllarsi iniziava a diventare difficile, cercare di uscire dal suo programma lo rendeva vulnerabile ma non voleva in alcun modo che lei perdesse la sua forza.
Red annuì prima di alzarsi per recuperare l’infuso e condurlo lì da lui, così da ripassare le ferite che erano state curate ampiamente.
“Infatti non credo di essermi sbagliata” si strinse nelle spalle “nutrivo dubbi su di te per il fatto che continuassi ad essere così sfuggente, così criptico da non lasciare che i tuoi pensieri si esternassero. Tutto questo forse non è vero? Ma sono certa che il tuo animo sia buono, il solo fatto che Grace lo creda indica una verità piuttosto tangibile”.
Jefferson non rispose, almeno non subito. Non aveva previsto nulla di tutto ciò che aveva davanti agli occhi, come si era cacciato in un guaio simile? Desiderò di non esser sceso a patti con Regina, maledisse la sua miseria e di aver accettato quel lavoro che gli era stato chiesto. Red era diventata molto più che una pedina da utilizzare per i suoi comodi, lo poteva capire dal modo in cui la guardava già da diversi giorni.
Improvvisamente fermò la mano di lei che teneva ancora la pezza e la tirò più davanti a sé per poter afferrare ancora i suoi occhi e non lasciarli andare per nessun motivo al mondo. Le sfiorò delicatamente il polso con le dita della mano, così come le aveva accarezzato la caviglia quella volta che era stato lui a curarla. Com’era strano quello scambio di ruoli. Si sporse appena in avanti mentre la tendeva verso di lui, facendole inclinare leggermente la schiena, finché i loro visi non furono abbastanza vicini da condividere gli stessi respiri. Iniziò ad accarezzarle la guancia con l’altra mano per poi posarsi delicatamente sul collo.
Red provò un fremito lungo tutta la schiena, non riusciva a muovere nemmeno un muscolo e forse era esattamente ciò che voleva fare, rimanere immobile per vedere che cosa sarebbe accaduto.
Come sono grandi i tuoi occhi. E’ per guardarmi meglio?
Come sono belle le tue labbra. E’ per baciarmi meglio?

Non seppe resistere ai suoi desideri e si lasciò andare, con una fame quasi vorace si gettò su di lei per potersi prendere quello che tanto voleva. Afferrò le sue labbra per poterne gustare il sapore dolce e appropriarsi di quel sorriso che era diventato così importante per lui. Le mani salirono entrambe verso la sua nuca per intrecciarle con i lunghi capelli neri ed impedirle di allontanarsi, così da tenerla stretta in una morsa che non si mostrò a Red come una prigione.
Lasciò cadere la pezza umida a terra per sfiorare il petto di lui che teneva la camicia semi-aperta, potendone percorrere quasi la pelle e sentire tutto il calore che era in grado di emanare. Tirarsi indietro sarebbe stato da sciocchi e nonostante nuove paure si instaurarono nella sua testa, non poté fare a meno di lasciarsi andare. Le tirò indietro la testa per sfiorarle il collo con baci che diventavano sempre più famelici, desiderava più di ogni altra cosa esplorare il suo corpo e farlo proprio.
Red non aveva idea di come controllarsi, le mancava l’aria e il respiro iniziava ad essere affannato, ma bramava di lasciarselo togliere da quei baci che richiedeva sempre più espressamente. Jefferson, ormai totalmente avvolto nell’offuscamento della sua testa, la tirò verso di lui per poi farla ricadere sul giaciglio ed immobilizzarla con tutta la forza che aveva. Non fu difficile stendersi  su di lei ed iniziare a sollevare lentamente il lembo della lunga gonna rossa per accarezzare – questa volta con più certezza – le lunghe gambe.
Fermati. Non potrai più tornare indietro. Fermati ora.
“Jefferson… “ sussurrò il suo nome come a volersene appropriare per non lasciarselo sfuggire via.
Fu proprio quello però che lo fece arrestare. Né i suoi pensieri, né i suoi rimorsi o sensi di colpa erano riusciti ad intercedere sulla sua volontà. Le bastò la sua voce per ricordarsi che sarebbe dovuto scendere così in basso. Si rialzò in piedi piuttosto in fretta, privandola del suo calore, tutto ad un tratto il dolore per i pugni che aveva ricevuto allo stomaco si fece più fitto. Era riuscito a sprofondare così lontano dalla sofferenza fisica da essersene quasi dimenticato.
Red non ebbe il coraggio di dire nulla, poiché rimase a guardarlo in modo perplesso, non capiva perché quell’improvviso ripensamento.
“Tutto questo non va bene, mi dispiace”.
Non era vero, nulla di ciò che aveva fatto gli dispiaceva. Doveva ricordarsi di Grace e di quello che stava facendo per lei, mettere da parte sentimenti sciocchi che iniziavano a venire a galla e distanziarsene il più possibile. Red non si mortificò per essersi lasciata andare, soprattutto non provò alcun rancore per quel cambiamento così repentino. Si mise a sedere per far scivolare in basso la gonna e ricoprire le gambe.
Jefferson si morse il labbro inferiore che sapeva ancora un po’ di sangue e poi aggiunse:
“E’ davvero scomodo questo posto per dormire, vieni nella mia camera, il letto è abbastanza grande per entrambi”.

Quell’invito fu rivolto con sincerità, non era un modo per farsi perdonare poiché si era convinto di non poter andare oltre. Le tese una mano cosicché lei potesse afferrarla. Red non seppe esattamente cosa pensare, ancora scombussolata per ciò che era accaduto, ma non poté rifiutarla. Si alzò in piedi e poi lo seguì, così come le aveva chiesto di fare.
Com’era strano quello che sentiva farsi strada nel suo cuore, tutta la pesantezza del mondo le scivolava via dandole un senso di leggerezza prossimo ad una costante serenità.
Una volta distesa su quel letto che avrebbe condiviso con lui, gli diede le spalle come anche Jefferson fece, per eliminare quel lieve imbarazzo di lei nel constatare che qualcosa iniziava a scaturire.
Era difficile, complicato raggiungere una spiegazione ragionevole a tutto quello ma d’altra parte non si poteva tornare indietro.
Jefferson non era un adolescente, non spasimava per lei come se si fosse trovato alle prime armi. Red, al contrario, che di quei sentimenti costruiva corone di fiori, si sentiva al settimo cielo. Se solo la sua ombra non fosse stata macchiata dal ricordo di Peter e dal sangue che vi aveva versato, sarebbe stata più tranquilla. Se solo non avesse avuto una missione da compiere, sarebbe rimasta in quel luogo così accogliente. Se solo, se solo, se solo. Vi erano così tanti se che l’evento di quella sera finì per trasformarsi in un vero e proprio tormento. Aveva ripreso a muoversi più agilmente già da due giorni, anche se non era in gran forma, ritornare a correre non sarebbe stato per lei un problema.
Ma a breve sarebbero arrivati i giorni del lupo e allora cosa avrebbe fatto? Sarebbe rimasta chiusa nel suo mantello rosso, come aveva sempre fatto, continuando a mentire sulla sua condizione?
Raccontare tutto di sé a Jefferson e a Grace però avrebbe potuto comportare un cambiamento eccessivo, ciò che pensavano di lei sarebbe potuto mutare e questo non poteva desiderarlo. L’avrebbero considerata un mostro e cacciata via per paura. Non li avrebbe biasimati, se mai fosse successo.
Com’era difficile trovarsi nel posto in cui si voleva rimanere e al tempo stesso sapere che sarebbe stato meglio andare via. Chiudere occhio per quella notte sarebbe stato difficile e tentare non avrebbe aiutato.
Jefferson altrettanto era immerso nei propri pensieri, teneva i pugni delle mani stretti accanto al viso, adirato con se stesso per aver perso il controllo di sé. Quella ragazza stava riuscendo a fare breccia nel suo cuore e non poteva permettere che il suo amore per Grace fosse diviso con quello di Red. No, lui avrebbe protetto sua figlia ad ogni costo, anche a discapito dei suoi sentimenti.
Avrebbe dovuto forse rivelarle le sue intenzioni, i motivi per cui si ritrovava segregata in una casa che non era la sua, solo perché doveva procurare a Grace un futuro migliore?
Lo avrebbe odiato e anche peggio, ma in realtà non aveva timore del suo giudizio negativo, ciò che più lo angustiava al momento era ciò che Regina avrebbe potuto fare in seguito. Che Red potesse detestarlo non era importante, non si era preoccupato mai di ciò che gli altri pensassero su di lui. Che Red rischiasse davvero di essere imprigionata o peggio ancora messa a morte gli rendeva un turbamento sempre più crescente. Si stava indebolendo, aveva messo da parte davvero se stesso per il bene altrui? Il vecchio Jefferson non avrebbe provato alcun fastidio nel mettere una sconosciuta con le spalle al muro. Nemmeno se fosse stata un’amica, a dire il vero.
Allora perché la sua testa gli ordinava quello che il cuore non voleva fare? Perché non tornava ad essere il Jefferson di un tempo? Detestava ciò che era diventato, si era rammollito con gli anni, pur di proteggere l’unica cosa che gli era rimasta al mondo. Trasse un lungo sospiro prima di sprofondare in un sonno agitato che lo avrebbe accompagnato per tutta la notte.
Dannazione. Dannazione a lui e a quella sera che si era spinto così oltre. Tornare indietro sarebbe stato difficile. 








// NdA: 

Ed ecco qui il Nono Capitolo! Con calma e lentamente ci stiamo avvicinando verso la fine, in tutto i capitoli saranno più o meno diciassette. 
Purtroppo non ho il tempo di scrivere delle note ma il capitolo dovrebbe delucidare qualche questione, soprattutto il motivo per cui Regina ce l'ha così tanto con il nostro amato Robin ;) che vi ricordo chiamarsi Locksley a Storybrooke. 
Alla prossima settimana! 

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Capitolo 10
*** Hat ***


X

Hat 




 
Foresta Incantata

 
I passi lenti e silenziosi di Grace si arrestarono nel momento in cui arrivando all’ingresso si ritrovò davanti ad una tavola colma di biscotti appena preparati e al tè caldo e fumante posizionato al centro.
Gli occhi si illuminarono quando incontrarono la figura di Red che, accortasi di lei, le andò incontro per poterle dare un bacio sulla guancia.
“Buongiorno a te” le sorrise prima di accompagnarla fino alla sedia per farla accomodare.
Grace quasi non credé ai suoi occhi, non aveva mai visto tante cose così buone tutte insieme e non aveva idea da dove cominciare. La ringraziò per averle preparato una colazione così ricca, doveva essersi alzata presto per cuocere tutti quei biscotti diversi e lo aveva fatto per lei.
Red si ripulì le mani su uno strofinaccio per poi abbandonarlo da una parte e sedersi a tavola accanto a lei, senza mancare di rivolgerle un sorriso solare.
“Hai preparato tutto questo, è meraviglioso!”
“Tuo padre è dovuto uscire all’alba per svolgere delle commissioni, mi ha chiesto di badare a te durante la sua assenza” le comunicò prima di versarle del tè nella tazza bianca che aveva davanti, si era ricordata che Grace ne usava una in particolare e non le aveva fatto ritrovare proprio quella.
La bambina tirò le labbra in una smorfia, da quella sera della fiera non gli aveva rivolto granché la parola, era ancora molto arrabbiata per ciò che aveva fatto e non si era sentita di perdonarlo subito, anche se in fondo desiderava riappacificarsi il prima possibile con lui.
Red si accorse di quel velo di tristezza nei suoi occhi e aggiunse: “Vuoi tenere il muso con lui ancora per molto? E’ davvero dispiaciuto, non voleva spaventarti”.
Grace nascose il viso dietro la tazza di tè che iniziò a bere lentamente, assaporandone il retrogusto delicato. Era stato preparato appositamente da Red, rosso come il colore del suo mantello.
“Non voglio che gli accada nulla, mi ha promesso che non mi avrebbe mai lasciata sola, ma se si comporta in questo modo riuscirà difficilmente a mantenere la parola” le confidò prima di iniziare ad assaggiare i primi biscotti e rimanerne assolutamente entusiasta.
Red sospirò ascoltando quell’affermazione. La notte della fiera, oltre allo spavento che entrambe si erano procurate, lei e Jefferson si erano anche scambiati un bacio. Difficile da credere, visto che lui sembrava sopportarla molto poco, mentre altre si apriva nei suoi confronti lasciando uscire la parte migliore di sé. Avevano dormito nello stesso letto, ognuno confinato al proprio angolo e la mattina dopo si svegliarono come se nulla fosse accaduto. Red aveva avvertito una morsa allo stomaco per quasi tutta la giornata, non era nemmeno riuscita a guardarlo in volto, intimidita per aver ricambiato un sentimento che sembrava esser nato. Una debolezza, nient’altro. Poi tutto era scemato e tornò esattamente come prima. I medesimi sorrisi, le medesime smorfie di disappunto.
 “Sei la cosa a cui tiene di più al mondo, Grace. Non farebbe mai nulla che possa farti soffrire, ma tuo padre ha un incredibile senso della giustizia, perciò è normale che a volte si faccia sfuggire qualche comportamento imprevedibile.” sorrise all’idea di ciò che aveva appena detto.
Era vero, inizialmente non credeva che fosse predisposto di un animo simile ma credé di esser riuscita a riconoscerlo.
Grace sospirò e finì per sorridere, lieta di ascoltare quelle parole.
“Ti piace, non è vero?” le domandò con un sogghigno del tutto innocente.
Red di fronte a quella domanda avvampò fino ad avvertire il rossore coprirle le guance, cosa le veniva in mente?
“No, certo che no!” si schiarì la voce per cercare di sembrare convincente “tuo padre è sicuramente un uomo onesto, leale, a volte ha atteggiamenti decisamente strambi e anormali, ma non potrebbe mai piacermi”.
Solitamente le bambine non erano gelose dei propri padri, perché Grace pareva curiosa di conoscere quella risposta? Fatto sta che il sorriso che si era formato sulle sue labbra si trasformò in un’espressione triste.
“Sai, devo confessarti che un po’ lo speravo” sussurrò prima di terminare di fare colazione e posare le mani sulle ginocchia “non voglio che tu vada via Red, la tua ferita sta guarendo e presto partirai” così dicendo si alzò in piedi e si gettò tra le sue braccia, per stringerla vigorosamente.
Red sgranò appena gli occhi e non riuscì a fare a meno di avvertire una sensazione strana all’interno del suo cuore, era così affezionata a lei da non riuscire a distaccarla da lei, quindi la accolse per stringerla allo stesso modo.
“Mia dolce Grace, una partenza comporta sempre un ritorno. Ti prometto che quando porterò a termine il mio compito, verrò a trovarti tutte le volte che vorrai vedermi” la consolò, fedele alle parole che aveva pronunciato.
La bambina sollevò appena gli occhi scuri per poter ricadere in quelli di lei e sorrise.
“Allora dovrai essere sempre in viaggio, perché io voglio vederti sempre”.
Risero entrambe di quell’affermazione, poi si alzarono per potersi dirigere verso il giaciglio su cui Red era tornata a dormire in quegli ultimi giorni e si sedettero su di esso.
“Proviamo una nuova acconciatura, così quando tornerà tuo padre sarai in perfetta forma per riappacificarti con lui” così facendo si mise all’opera.
Divise in tre parti i capelli ed iniziò ad intrecciarli con cura, quando aveva la sua età, Granny faceva lo stesso dicendole che un viso così grazioso dove avere lo spazio adatto per essere notato e con i capelli raccolti risaltavano meglio i suoi occhi furbi.
Grace le raccontò diversi aneddoti su Jefferson, ma senza accennare mai a sua madre, sembrava che non fosse intenzionata a parlarne. Molto spesso Red si era chiesta che fine avesse fatto, ma nessuno aveva mai accennato all’argomento, dunque non si era mai permessa di porre domande al riguardo. Il rapporto che vi era tra padre e figlia era assolutamente sincero, l’uno si occupava dell’altra con una tenerezza invidiabile. Red l’aveva notato sin dall’inizio e non omise mai di aver desiderato di ricevere quel medesimo aspetto. Grace in realtà l’aveva inclusa quasi da subito, Jefferson invece continuava a non volerne sapere nulla. Ma perché? Non riusciva a spiegarselo.
“Mi chiedo quali commissioni dovesse svolgere” disse la bambina prima di trarre un respiro profondo “spero che non riguardino la Regina Cattiva” le parole uscirono quasi sovrapensiero.
Red credé di aver udito male, tant’è che fermò la mano con una delle ciocche da sistemare e si sporse lievemente in avanti per cercare i suoi occhi.
“Che intendi dire?”
“Qualche tempo fa, mentre tornavamo verso casa, vi trovammo davanti la carrozza della Regina Cattiva. Papà mi disse di non entrare, così rimasi lontana in attesa del suo ritorno. Non so che cosa fosse venuta a fare, non mi ha voluto dire nulla, ma mi auguro solo che non abbia ripreso a lavorare per lei” lo aveva messo in guardia sul fatto che a lei bastava la sua semplice presenza e che non doveva tornare a svolgere commissioni per persone così malvagie come la Regina.
Red abbandonò la presa sui capelli, lasciando che le mani scivolassero in grembo, avvertendo i battiti del cuore farsi prepotenti nel petto.
“Tuo padre lavorava per la Regina Cattiva?” le domandò insistentemente.
Grace annuì, aggiungendo che però aveva lasciato il suo precedente lavoro da molto tempo, per occuparsi di lei. Ciò non equivaleva alla sicurezza di Red che in quel momento cadde completamente.
Jefferson le aveva detto di detestare Regina e che era dalla parte di Snow White e di Charming. Tutto iniziava a chiarirsi nella sua mente, tutti i dubbi che aveva avuto in quel modo riuscivano ad infrangersi.
Quel giorno che era stata attaccata da Robin Hood e che Jefferson si trovava proprio da quelle parti, era stato solo un caso? E ciò che aveva detto a Guy di Guisborne non era una bugia per proteggerlo? L’insistenza nel non farsi vedere, nel non indossare il mantello rosso fuori di casa, tutte scuse per trattenerla dal compito che doveva svolgere?
Ogni certezza crollò, ma non poteva esserne davvero sicura. Jefferson lavorava per Regina, dunque non avrebbe dovuto più incontrarla. Allora perché quella sensazione di inquietudine si faceva strada nel suo cuore?
Jefferson quella mattina all’alba era uscito per recarsi al luogo stabilito per l’incontro, un corvo messaggero si era posizionato davanti alla finestra di casa. Ali oscure, oscure parole. Soltanto Regina poteva richiedere l’attenzione su di lei in quel modo. Quando sopraggiunse al limitare della Foresta di Sherwood, incontrò la carrozza da cui discese l’allieva di Tremotino, la donna che aveva imparato le arti oscure della magia.
“Da quanto tempo, Jefferson” si avvicinò per poi arrestarsi a pochi passi da lui, allungando le labbra di lato, sorridendo alla sua maniera “mi auguro che tu abbia buone notizie per me”.
“Dipende se è ciò che vuoi sentirti dire. Ho fatto in modo che Red Hood non raggiungesse il principe Charming e al momento si trova ancora a casa mia” le comunicò incrociando le braccia al petto.
Regina coprì la distanza per fermarsi di fronte al suo viso e analizzare le tracce delle ferite che ancora non si erano chiuse del tutto, ma non era lì per informarsi della sua salute.
“Ottimo lavoro. Domani verrò a prenderla e la condurrò nella torre insieme a tutti coloro che hanno osato tentare di fermarmi” gli comunicò in un sogghigno.
Jefferson strinse le labbra con forza, aveva riflettuto a lungo sul da farsi e non poteva tornare indietro. Era piuttosto ovvio che si fosse infatuato di Red, sarebbe stato da sciocchi non ammettere una cosa simile, ma al tempo stesso doveva proteggere la sua Grace ad ogni costo. La soluzione migliore sarebbe stata il tornare indietro nel tempo e non accettare mai l’offerta di Regina, solo che ormai le cose erano andate per il verso sbagliato. Regina credé di cogliere quel nuovo particolare nell’espressione dei suoi occhi ma preferì non indagare, ciò che le serviva era stato portato a termine e presto sarebbe riuscita a sconfiggere Snow White, una volta per tutte.
“E tu manterrai la promessa che mi hai fatto?”
“Certamente, non dovrai più preoccuparti del futuro di tua figlia, potrà vivere in una condizione decisamente migliore di quella che puoi offrirgli tu al momento” sorrise per poi decidere che era giunta l’ora di congedarsi. Aveva altri impegni da portare avanti.
Quando risalì in carrozza e si allontanò, Jefferson rimase di nuovo solo, avvolto nei suoi pensieri. In un moto di rabbia finì per colpire con forza dei sassi che trovò sulla strada. Stava sacrificando la felicità di Red per la propria, l’aveva ingannata e fino all’ultimo l’avrebbe trascinata nell’oscurità. Come poteva permettersi di fare una cosa simile?
Se non avesse provato nulla per lei, se gli fosse stata completamente indifferente, non avrebbe avuto alcun senso di colpa. Invece se ne sentiva divorare da giorni e giorni. Per un attimo aveva persino pensato di liberarla, confidarle ogni cosa, ricevere tutto il suo odio ma almeno sarebbe stata libera. Ma non l’aveva fatto perché lui, in un modo o nell’altro, era tornato ad essere il Jefferson di un tempo. E Grace? Lo avrebbe compreso?
Quando fece ritorno verso casa e aprì la porta d’ingresso, ritrovò Red intenta ad intrecciare i capelli della bambina che sorrideva felice di ricevere quelle attenzioni in più. Sorrise, non vi sarebbero più stati quei momenti. Red non avrebbe più fatto parte della loro vita e una dolce quanto amara consapevolezza iniziava a risalire in lui. L’amore di un padre spesso va oltre quello della donna di cui ci si innamora e per proteggerla  farebbe qualunque cosa. Se solo avesse compreso che Grace che non aveva bisogno di nulla che già non avesse, probabilmente non sarebbe finito in quel vortice di follia.
Red alzò gli occhi su di lui, abbandonando l’acconciatura ormai completa, gli occhi erano velati di lacrime che non avrebbe fatto scendere. Sussurrò all’orecchio di Grace di andare a riappacificarsi con suo padre e lei obbedì immediatamente.





 
**


 
Storybrooke, durante il sortilegio 

Camminare al freddo gli faceva schiarire le idee, teneva le mani nelle tasche del lungo cappotto grigio, di modo da non farle addormentare. Il viso pungeva come se avesse ricevuto il contatto con mille aghi gelidi, ma non gli procurava alcun fastidio. La sua testa era da un’altra parte, i suoi pensieri vagavano lontani verso un mondo che non avrebbe mai più rivisto. Molto presto però la sua maledizione sarebbe terminata e la sofferenza sarebbe svanita, lasciandolo ricominciare dall’inizio.
Giunse di fronte ad una casa che aveva l’aria di essere abbandonata, la porta era semichiusa e alcune finestre avevano i vetri rotti, era decadente e nessuno si era mai preoccupato di farla sistemare. Infatti al suo interno non poteva che abitarvi Locksley, il nullafacente cleptomane che si guadagnava da vivere rubando per poi sfamare tutti i più miserabili di Storybrooke. Gli aveva chiesto tante e spesse volte se desiderasse un altro posto in cui vivere, lo avrebbe aiutato a risalire la scala sociale, ma Locksley non desiderava più nulla da quando sua moglie era morta. L’unica ragione di vita che continuava a conservare era la vendetta che non avrebbe mai potuto compiere verso l’uomo che più detestava al mondo.
Quando vi si ritrovò davanti si avvide che proprio all’ingresso era parcheggiata un’automobile che conosceva piuttosto bene, sullo specchietto era appeso un lupo rosso. Trasse un lungo sospiro e roteò gli occhi al cielo, non poteva capitare in un momento più sfortunato. Ma soprattutto, lei che cosa ci faceva in quel luogo? Lo avrebbe scoperto a breve. Si introdusse sulla soglia, appoggiando una spalla allo stipite della porta, per poter origliare all’interno.
“Tu conosci il motivo per cui Jefferson si comporta in modo così strano?” la voce di Ruby gli arrivò facilmente alle orecchie, l’avrebbe riconosciuta ovunque.
Ripensò a ciò che era accaduto la sera di San Valentino e avvertì una contrazione all’altezza dello stomaco.
La risata di Locksley sferzò l’aria, nonostante la tristezza dei suoi occhi, riusciva sempre ad andare oltre se stesso. Era davvero certo di volersi aizzare contro l’unica che persona che fino a quel momento gli era stato accanto?
“Sei venuta qui perché credi che ti possa dare una risposta? Non c’è un motivo per le stranezze di Jefferson, è sempre stato così, da quando lo conosco”.
Riuscì a spiare la scena all’interno del piccolo salotto che fungeva anche da ingresso, Ruby se ne stava seduta su una poltrona di pelle imbrunita dal tempo e bruciata in alcuni punti. Locksley era sistemato davanti al caminetto da cui crepitava un fuoco leggero e per nulla riscaldante, l’elettricità non era attaccata ed infatti vi erano diverse candele posizionati in punti strategici per poter vedere meglio.
“E’ proprio questo il punto, Locksley. Da quanto lo conosci?” sembrava particolarmente interessata alla sua risposta.
Gli occhi azzurri e limpidi di lui si persero per qualche istante nel crepitare del fuoco, alla ricerca di una risposta. A dire il vero non riusciva a scavare così a fondo da trovare la soluzione.
“Da qualche parte, qui” si sfiorò la testa “so che lo conosco da molto tempo, ma non ricordo esattamente come…” la voce gli mancò ma non si pose alcun problema a riguardo, forse era solo molto stanco.
Ruby sospirò e accavallò le gambe l’una sull’altra.
“E’ quello che accade anche a me, ma non solo nei suoi confronti, persino con tutti gli altri amici che ho”.
Sapeva che le sue parole avrebbero avuto effetto, Ruby era in grado di ascoltare, la sua sensibilità era rimasta e non era cambiata da quel punto di vista.
Ma non era arrivato fin lì per sentirsi soddisfatto o per origliare le loro parole, doveva prendere ciò che cercava e riportarlo a Regina. Fu il momento di intervenire, soprattutto perché il freddo lo rendeva irrequieto e l’immobilità di quella posizione lo infastidiva oltre ogni dire.
“Toc, toc” si annunciò in questo modo mentre allo stesso tempo bussava alla porta che non era stata chiusa, così facendo entrò con il suo solito modo di fare e la richiuse dietro di sé. Sfilò i guanti lentamente, alzando il mento per poterli guardare dall’alto. “Spero di non disturbare”.
Locksley tirò giù il braccio dal caminetto mentre Ruby si alzava in piedi, quasi spaventata da quel suo arrivo inaspettato. Studiò il suo viso, ricordando come la sera di San Valentino l’aveva lasciato con ferite e tumefazioni. Deglutì a vuoto chiudendosi in un abbraccio solitario, come se si sentisse improvvisamente nuda di fronte a lui che sapeva leggerla così bene in fondo al cuore.
“Jefferson” l’amico sorrise mentre gli andava incontro per potergli tendere la mano “parlavamo proprio di te”.
Ruby sfiorò le gambe vestite di  pantaloni di pelle così attillati da non lasciar spazio all’immaginazione, Jefferson fu costretto a non guardarla, come accadeva ogni volta. I suoi abiti provocanti gli facevano perdere la concentrazione e la cosa non gli piaceva per niente. Lei cercò di accennare ad un mezzo saluto ma non ricevette alcuna risposta.
“Non mi interessano le vostre conversazioni” la risposta secca non ammetteva nulla di cui non desiderasse parlare lui e spostò lo sguardo su Locksley, senza accettare la sua mano.
Lo fissò con attenzione prima di inumidirsi le labbra.
“Sono venuto qui per riprendere una cosa che non ti appartiene” gli sussurrò mentre faceva un passo avanti in segno di sfida.
Ciò che Locksley rubava non tornava mai indietro, questo lo sapeva bene. Ma aveva bisogno più di ogni altra cosa del cappello magico, avrebbe  calpestato anche i suoi amici pur di ottenerlo. Aveva superato il limite così tante volte che ormai non si rendeva conto di quanto stesse sprofondando in un abisso senza ritorno.
“Di che stai parlando?” sogghignò Locksley che fu prontamente raggiunto da Ruby, preoccupata per l’aria minacciosa che Jefferson iniziava a tirare fuori.
“Oh, sai molto bene di che si tratta. Ti sei intrufolato nella casa del sindaco e hai rubato un cappello molto particolare. Dove si trova?” gli domandò arrestandosi di fronte a lui e portando le mani ai fianchi.
“Parli di Regina” sorrise Locksley, per nulla spaventato ma anzi interessato alla questione. Aveva sempre creduto che quella donna avesse qualcosa da raccontare oltre la rabbia che mostrava ogni volta che avevano occasione di incontrarsi  “avanti, non vorrai dirmi che ti ha mandato qui per recuperarlo?”.
“Probabile” disse Jefferson roteando gli occhi al cielo, la conversazione si stava facendo sin troppo lunga, ma c’era qualcosa che desiderava sapere “dimmi una cosa Locksley, di tutte le cose che potevi trascinare via, perché proprio un cappello di discutibile importanza?”.
Ruby rimase indietro ad osservare la scena in silenzio, non aveva idea di che cosa stessero parlando e preferì non intervenire. Per quale motivo Jefferson ne era a conoscenza? Che Regina avesse davvero chiesto a lui aiuto? Le venne in mente la sera in cui aveva adocchiato lei e Gary confabulare su qualcosa che Locksley le aveva sottratto e forse ora ne sarebbe venuta a conoscenza.
“Se non fosse importante non saresti qui. Non ho avuto alcun motivo valido per sottrarglielo” scrollò le spalle “quando l’ho trovato mi sono reso conto di aver provato un senso di nostalgia a riguardo, come se avesse richiamato dei ricordi lontani. Quindi l’ho portato via con me. Ma immagino che Regina lo rivoglia indietro” sospirò portando le mani dietro la nuca.
Jefferson sgranò gli occhi di fronte a quella dichiarazione, non riusciva quasi a credere alle parole di lui. Vedendo il cappello si era scaturito qualcosa di molto simile ad un ricordo, così come in Ruby si era accesa una consapevolezza che non le era del tutto chiara. Qualcosa stava mettendo alla prova il sortilegio, forse l’arrivo di Emma Swan avrebbe davvero potuto mutare le cose. Ma se non ci fosse riuscita, lui sarebbe rimasto avvolto dalla sua maledizione e non ne poteva più di soffrire e di impazzire sempre di più. Gli occhi cerchiati dalle notti insonne si fecero più profondi, più ostili.
“Restituiscimelo” gli ordinò, voleva risolvere la questione in fretta visto che ormai era vicino alla salvezza della sua mente.
Locksley si morse a forza le labbra, Jefferson molte volte lo aveva sollevato da situazioni a dir poco piacevoli, negargli quella richiesta avrebbe significato sprofondare nell’ingratitudine. Certo, era infastidito da quel suo comportamento così perentorio, ma aveva la strana idea che vi fosse qualcosa di più importante e sotto e lui non era nessuno per impedire al fato di interrompere la strada da prendere.
“Se non ho altra scelta” disse prima di svanire in un’altra stanza per portare indietro ciò che era stato richiesto.
Nel breve momento in cui Ruby e Jefferson rimasero da soli, il silenzio calò precipitosamente. Lei lo osservava di sottecchi, ancora timorosa di far notare una presenza che era difficile da non notare. Non volevano scambiarsi alcun pensiero, visto il modo in cui si erano lasciati l’ultima volta.
Quando Locksley tornò con il cappello, un rombo fastidioso giunse alle orecchie di tutti, la porta cedette di fronte all’irruente arrivo di Gary che l’aveva smontata con la forza di un calcio.
Si girarono a guardarlo, mostrava occhi colmi di soddisfazione, il sorriso era dipinto sulle labbra mentre si faceva avanti per osservare i tre che aveva davanti.
“Ottimo lavoro Jefferson, finalmente sono riuscito a prenderlo con le mani nel sacco” disse mentre si avvicinava a Locksley tirando fuori un paio di manette.
Ruby sgranò gli occhi e si pose di fronte a lui.
“Non hai alcun diritto di arrestare una persona, quella è una competenza dello Sceriffo” cercò di proteggerlo, continuando a tenersi di fronte a lui.
“Gary?” sussurrò Jefferson, completamente stupito dal suo arrivo, non riusciva a comprendere cosa stesse accadendo.
Regina sopraggiunse poco dopo di lui, scavalcando la porta che era caduta all’ingresso, mostrandosi impettita e lieta di esser riuscita nel suo intento.
“Il Sindaco è qui per questo, Signorina Lucas, mi è concessa la possibilità di arrestare chiunque sia colto in flagrante e Gary ha la mia autorizzazione. Perciò, esegui gli ordini” gli disse.
Non se lo fece ripetere ed ammanettò Locksley senza che egli provò a tentare una fuga. Lo stupore era visibile sui volti di tutti, tanto meno Jefferson era avvolto nell’oscurità più profonda. Che valore aveva tutto ciò che stava accadendo?
“Non erano questi i patti, Regina! Non mi hai chiesto di portarti Locksley, avrei dovuto prendere il cappello e…” Jefferson cercò di non compromettere la situazione in modo più grave di quanto non fosse già, ma Regina si limitò ad ammutolirlo, scuotendo la testa.
“E cosa? Non impari mai” sorrise Regina mentre scostava una ciocca di capelli dal viso “la famiglia non va mai abbandonata e gli amici non si tradiscono”.
Gary condusse fuori di casa Locksley tenendolo per le braccia, i polsi erano stati ammanettati ma non tentava nemmeno di liberarsi. Non riusciva a credere di esser stato intrappolato in quel modo, dopo tutto quel tempo trascorso a fuggire e a rifugiarsi per rimanere libero. Voltò appena la testa verso Jefferson che cercava di riparare il guaio che aveva causato.
“Come hai potuto farmi questo?” la sua voce era grigia e rabbiosa “Proprio tu, che sai quanto io detesti quest’uomo, mi hai gettato nelle sue fauci!” iniziò a gridare per divincolarsi ma Gary lo colpì tra le scapole per calmarlo e trascinarlo all’interno della macchina.
Regina lo raggiunse in fretta mentre si riappropriava del cappello che era caduto a terra in tutto quel trambusto e seguì Gary per poter portare in prigione Locksley e terminare quella messinscena che era durata sin troppo a lungo. Jefferson uscì dalla casa fatiscente per poterli seguire, inveendo contro Regina che lo aveva ingannato ancora una volta. L’aveva usato solo per arrivare alla sua preda e toglierlo di mezzo, recuperando anche ciò che le era stato sottratto. Ruby lo inseguì e si fermò a pochi passi da lui, stringendo con forza le labbra, mentre lo osservava torturarsi.
Si passò una mano sugli occhi, sussurrando quasi senza rendersene conto: “Ogni dannata volta che mi fido di lei, finisco per perdere una parte importante di me. Sono come un puzzle a cui vengono sottratti di continuo i pezzi più importanti”.
Ruby gli appoggiò una mano sulla spalla, chinandosi verso di lui per poterlo guardare in viso.
“Piangersi addosso non servirà a niente, ti riaccompagno a casa, magari puoi parlarmi meglio dei tuoi problemi con Regina”.
Jefferson scoppiò a ridere nervosamente, lasciandosi sfiorare in quel modo che era tanto vicino al conforto che spesso lei gli aveva dato.
“Oh, credimi. Non vorresti conoscere nulla di tutto questo. Ma accetto il passaggio, devo pensare ad un modo per trarre Locksley in salvo”. 







// NdA: 

La storia prosegue! Red pare abbia scoperto un certo inganno da parte di Jefferson, cosa avrà intenzione di fare?
Invece  a Storybrooke abbiamo la cattura del più amorevole fuorilegge che conosciamo! Avendo scritto questa storia mesi fa mi sono basata su un Robin Hood diverso da quella serie, perciò anche la storia tra lui e Regina sarà diversa. 
In tutto la storia costa di 17 capitoli, quindi ci avviciniamo alla fine. 
Alla prossima! 

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Capitolo 11
*** Monster ***


 

XI 
 

Monster 




 
Storybrooke, durante il sortilegio

Recarsi al Granny’s fu un errore, dopo ciò che era accaduto da Locksley. Domande, domande, soltanto domande! Questo aveva fatto per tutto il tempo Emma Swan e non vi era cosa che detestasse di più come le domande, soprattutto in momenti in cui la sua testa era tempestata da dubbi, sensi di colpa. Ruby tentò di convincerlo a rimanere, ma Jefferson non ne volle sapere. Emma e Graham non sarebbero riusciti a cavare fuori dai guai Locksley, visto che anche loro avevano cercato di metterlo dietro le sbarre da parecchio tempo. Era stato colto con le mani nel sacco, non poteva che rimanere lì ad attendere una qualche grazie, ma con Regina di mezzo sarebbe stato impossibile. Lasciò il Granny’s nonostante l’insistenza di Ruby, a cui ovviamente rispose in malo modo per togliersela di torno.
Era trascorsa una settimana da quell’episodio che non riusciva a scrollarsi di dosso, le parole di Locksley gli risuonavano nella testa, accusandolo per ciò che aveva fatto. Aveva aumentato la dose dei farmaci, sperando di cavarne qualcosa, ma più trascorreva il tempo più credeva di impazzire. Forse avevano ragione tutti a definirlo pazzo. Si era stancato di vivere in due realtà divergenti, di avere ricordi doppi che non gli permettevano di vivere una vita normale. Regina lo aveva ingannato e lui era caduto in errore ancora una volta, ma questa volta avrebbe agito di testa sua, senza dar retta a nessuno. La soluzione al problema se la sarebbe cercata da solo.
Quella sera Ruby era passata alla centrale per accertarsi delle condizioni di Locksley, che non sembrava affatto preoccupato per la sua situazione, semplicemente era adirato per ciò che era accaduto. Non affermava la sua innocenza, anzi insisteva nel raccontare dettagliatamente ogni malefatta che gli venisse in mente e la sua condizione non poteva che aggravarsi. Cercò di convincerlo a tornare in sé, ma non le diede ascolto. Nessuno lo faceva mai, in fondo non era proprio una grande verità.
“Ruby, hai visto Emma al Granny’s stamattina?” le domandò Graham mentre la accompagnava alla porta.
“No, non mi sembra. E’ successo qualcosa?” rimase in attesa sulla soglia, tirando fuori i paraorecchi per sistemarli sulla testa, il freddo e l’umidità di quella sera erano particolarmente forti.
Graham si umettò le labbra prima di appoggiare le mani sui fianchi.
“Nulla di particolare, sarebbe dovuta tornare qui nel primo pomeriggio ma non l’ha fatto. Non risponde nemmeno alle chiamate, sarà meglio che vada a cercarla” disse sistemandosi la giacca di pelle sulle spalle.
“In tal caso potrei darti una mano, sono portata per trovare le persone che si sono perse. Se dovessi incontrarla ti avvertirò subito” così facendo si salutarono e Ruby montò in macchina, sistemando lo specchietto da cui pendeva il lupo rosso.
Osservò per un attimo il suo riflesso all’interno di esso e poi si avviò verso l’uscita del centro di Storybrooke, il suo istinto le indicava una strada che sapeva esattamente dove portarla. In realtà aveva idea di recarsi nel bosco, se solo la nebbia non fosse salita man mano che proseguiva sul percorso. I fari illuminavano la strada ma non abbastanza da permetterle uno sguardo più lungo, così fu costretta a frenare all’improvviso quando per poco non investì una persona. Uscì immediatamente dall’automobile, richiudendo la portiera e si precipitò di lato dove era caduto qualcuno che non si aspettava affatto di rivedere.
“Jefferson! Va tutto bene?” domandò preoccupata mentre lo aiutava a rialzarsi.
“Hai quasi tentato di uccidermi, direi che va alla grande” borbottò mentre si rimetteva in piedi ma aveva preso una storta e fu costretto ad appoggiarsi al cruscotto dell’automobile. Ironia della sorte?
“Perdonami, ti riaccompagno a casa e per una volta non fare storie” lo rimproverò preventivamente, conoscendo bene i suoi modi di fare, dunque lo aiutò ad avvicinarsi allo sportello della macchina per aprirlo ed aiutarlo a farlo entrare. Lui non obiettò, sembrò anzi essere piuttosto calmo.
“Dì la verità, mi hai investito appositamente” sogghignò, come se all’improvviso si fosse trasformato in un’altra persona.
L’ultima volta che l’aveva lasciato non era affatto sereno, né aveva sorriso, anzi era turbato e scontroso. Non si capacitava di quel cambiamento d’umore così repentino.
“Non lo farei mai, se devo venire a trovarti lo faccio senza aver bisogno di escamotage” disse prima di sistemarsi sul sedile del guidatore e mettere in moto l’automobile.
“Allora se non eri qui per vendicarti di me, per quale motivo sei venuta in questa parte della città?” le domandò prima di stendere la gamba in avanti, cercando di non muoverla troppo.
Ruby non desiderava svelare la verità, almeno non subito, il suo istinto migliorava di giorno in giorno, come se una nuova consapevolezza avesse iniziato a farsi strada in lei.
“Sto cercando un cane. Si è perso e vorrei riportarlo indietro” disse prima di seguire le indicazioni di Jefferson e raggiungere la sua per niente umile dimora. Si limitò ad osservarla prima dall’interno della macchina, per poi scendere e aiutare lui a fare lo stesso.
“E come si chiama?” le domandò ancora prima di appoggiarsi alla sua spalla per poi percorrere le scale di ingresso e arrivare alla soglia, lì tirò fuori le chiavi dalla tasca e fece scattare la serratura.
“Chi?”
“Il cane” come se non avesse intuito la bugia nello stesso momento in cui l’aveva detta.
Ruby si morse appena le labbra e rispose:  “Spot, si chiama Spot”.
Una volta raggiunto il salone la fece accomodare sul divano, giusto per non sembrare scortese, ormai aveva preso la sua decisione. Avrebbe smesso di sentirsi così fuori dal mondo e avrebbe condotto il mondo nel proprio, per poter aprire gli occhi a chi gli stava accanto. Ormai non vi era nulla che desiderasse più della dimenticanza e l’avrebbe raggiunta ad ogni costo, non si poteva più tornare indietro.
“Posso darti una carta della città, sono un amante della cartografia” sorrise mentre arrancava verso il pianoforte al centro del salone e vi stendeva al di sopra una mappa di Storybrooke. Ruby si alzò per poterlo raggiungere.
“Non avevo idea che ti cimentassi in questo genere in passioni” disse particolarmente stupita, mentre si toglieva il paraorecchi per lasciarlo appoggiato attorno al collo.
“Sono molte le cose che non sai di me, Ruby” sussurrò “o forse che non ricordi” anche se da quel punto di vista forse avrebbe fatto meglio a non dire nulla. Non poteva andare fiero di quello che avevano affrontato insieme a lei. Prima che potesse dire altro, le disse di attendere ancora un po’, le avrebbe preparato una tazza di tè. Dopo averla lasciata sola per diverso tempo arrivò in salone con un vassoio d’argento su cui era posata una teiera ed una tazza bianca di seconda mano, visto che quelle più pregiate le aveva mandate in pezzi. Ruby si accomodò, per una volta Jefferson si mostrava gentile e per nulla incline ad adirarsi con lei.
“Continui a rinfacciarmi di non ricordare qualcosa, ma non credo di aver dimenticato nulla di così importante” si strinse nelle spalle mentre assaporava il tè fumante nella tazza che strinse tra le mani.
“Presto te ne ricorderai” disse lui mentre appoggiava un gomito sul pianoforte, in attesa.
Dopo qualche istante Ruby si sentì avvampare, sgranò gli occhi e avvertì un dolore lancinante alla testa. Il calore corporeo si fece spropositato finché non avvertì il freddo gelarle le membra. Alzò appena il viso per incontrare il sorriso soddisfatto di Jefferson.
“Sogni d’oro” fu l’ultima cosa che udì prima di lasciar cadere la tazza sul tappeto e scivolare sul divano priva di sensi.
Jefferson la lasciò per potersi recare in un’altra stanza ed affilare le forbici che sarebbero state utili per cucire un cappello che quella volta avrebbe funzionato. Ruby non si risvegliò che dopo poche ore, avvertì un profumo nell’aria che conosceva molto bene: quello di Emma. Quando riaprì gli occhi si ritrovò sul divano dove era svenuta, Jefferson l’aveva fatta addormentare. Deglutì a vuoto, mentre tutti gli avvertimenti che le avevano date filtrarono tutti nella sua testa. Si trovava nella casa di un folle e sarebbe dovuta andare via in fretta. Ma prima doveva controllare una cosa. Leggermente stordita si rimise in piedi, tenendosi la fronte con una mano, cercando di riequilibrarsi. Come si era potuta fidare in quel modo? Arrancò verso il corridoio e si fermò davanti alla prima stanza con la porta semi-chiusa, al suo interno intravide la figura di Jefferson in penombra che affilava le forbici. Sgranò gli occhi con orrore e si affrettò a superare il corridoio per seguire quell’odore che si faceva sempre più insistente, tant’è che riuscì a raggiungere l’ultima stanza al cui interno non trovò altri che Emma. Aveva le mani e i piedi legati ad una sedia e aveva la bocca bendata perché non chiamasse aiuto. Quando si accorse della presenza di Ruby iniziò a mugugnare qualcosa di incomprensibile, la ragazza accorse immediatamente verso di lei per poterle scoprire le labbra, di modo che parlasse.
“Ruby, che ci fai qui?” domandò con preoccupazione “aiutami a slegare le corde, dobbiamo andare via prima che se ne accorga!” esclamò a bassa voce.
Ruby non poté che eseguire gli ordini e scivolò in basso per sciogliere i nodi con un coltello che aveva trovato sul tavolo che era pieno di cilindri di diversa manifattura.
“Ero venuta a cercarti ma non avevo idea che ti avessero rapita. Cosa è accaduto?”
“Una lunga storia, sarà meglio sbrigarci o non avremo scampo. Jefferson crede che io sia in grado di aiutarlo a creare un cappello magico che lo riporterà nel suo mondo. Pensa di essere il Cappellaio matto!” le rivelò mentre iniziava a liberare le caviglie da quella morsa.
Ruby rimase così sconvolta da quell’affermazione che rasentava la follia che si fermò per un istante, poteva essere vero quello che stava accadendo o si trattava solo di un sogno?
“Disturbo? Alla fine hai trovato Spot” la voce di lui si insinuò nelle orecchie delle due che si voltarono immediatamente a vedere la figura di Jefferson farsi ostinatamente vicina, finché non afferrò Ruby per trascinarla sul tavolo, facendo ricadere a terra i cappelli. Emma gridò il suo nome nel timore che avesse battuto la testa, ma non era andata così.
“Tu sei pazzo!” gridò Ruby mentre cercava di sfuggire alla forza che lui impresse nel costringerla a non muoversi da lì.
“No, Ruby, io non sono pazzo. Vivo due realtà divergenti, la mia maledizione è convivere con un passato che nessuno degli abitanti di Storybrooke ricorda e non ho idea del motivo per cui il sortilegio su di me non abbia avuto effetto” le spiegò prima di scaraventarla giù dal tavolo.
Nel momento in cui lei era distesa per terra, tornò ad imbavagliare Emma perché la smettesse di intromettersi in quella conversazione.
“Il sortilegio? Henry parla delle favole e di quel libro che tiene sempre, me lo ha detto Paige. Non ci crederai anche tu?” lo canzonò Ruby mentre si rialzava in piedi a fatica.
Si ritrovarono entrambi alle estremità opposte del tavolo, fu in quel momento che Jefferson cercò di riprenderla, questa volta con l’intenzione di legarla. Ma appena si avvicinò Ruby gli sferrò una ginocchiata nello stomaco che Jefferson incassò appena, al contempo la afferrò per un braccio torcendolo dietro la schiena, così la gettò di nuovo a terra facendola cadere accanto ad un telescopio che per l’urto finì per cadere a terra. Emma continuava a muoversi per cercare di fermare quella follia, ma le era impossibile.
A quel punto Jefferson tirò fuori la pistola che aveva sottratto all’aiutante dello sceriffo e la puntò contro Ruby, avvicinandosi lentamente perché non gli giocasse qualche brutto scherzo.
Le afferrò alcune ciocche di capelli per poterle sollevare il mento e guardarla meglio.
Gli occhi di lei si fecero più cupi e scuri, il viso si contrasse in un’espressione inferocita mentre tornava a mettersi in piedi. Jefferson si chinò per poter recuperare uno dei cilindri e posizionarselo sulla testa, lasciando intravedere la linea rossa che gli circondava il collo.
“Sì, mi hanno tagliato la testa” la concentrazione però fu presa totalmente dalla reazione di lei che non abbassava affatto la guardia.
“Ecco, la tua vera natura sta tornando alla luce, bastava solo scuoterti un pochino” sogghignò continuando a tenere la pistola puntata verso di lei “ho bisogno che Emma concluda un lavoro piuttosto importante, se entrambe riuscirete a collaborare, vi lascerò andare via senza interferire più sulle vostre vite”.
Ruby osservava la pistola carica che si vide puntare all’altezza della testa, ma la mano di Jefferson non era sicura, anzi tentennava nonostante la voce fosse sicura di ciò che stava dicendo.
“Non ho alcuna intenzione di scendere a patti” disse Ruby prima di afferrare il telescopio che le giaceva accanto ai piedi per poi colpirlo alla testa con tutta la forza che aveva.
Jefferson schivò il colpo per poco, tanto che finì per perdere i sensi, barcollando fino a ricadere sul pavimento. Quando Ruby si rese conto di ciò che aveva fatto portò le mani alle labbra e per poco non le uscirono le lacrime dagli occhi. Era stata davvero lei a fare tutto quello? Il brontolio di Emma la riportarono alla realtà e prima di recuperare la pistola accorse verso di lei per poterla sciogliere da quei nodi. Quando Emma fu in grado di muoversi a proprio piacimento, percorse la stanza fino a raggiungere la finestra, lì dove il corpo di Jefferson era stato abbandonato, svenuto a causa del colpo. Lo ammanettò e chiese a Ruby di aiutarla a trascinarlo fuori di casa, avrebbero chiamato Graham per poterlo condurre in centrale.





 
**


 
Foresta Incantata

Grace perdonò suo padre, dando retta ai consigli di Red. Detestava essere arrabbiata con lui, ma ogni tanto voleva fargli capire quanto desiderasse solo che le rimanesse accanto. Red voleva rimanere da sola con Jefferson, aveva bisogno di parlargli di una questione fondamentale e Grace, con gli occhi illuminati dalla speranza, uscì immediatamente di casa per potersi recare dai vicini e trascorrere un po’ lì il tempo.
Quando rimasero da soli, Jefferson incrociò le braccia al petto, sostando davanti alla porta, non aveva la minima idea di che cosa lei volesse dirgli.
“Dimmi che non sono qui per un tuo capriccio” bruciò tutte le tappe del discorso che si era preparata. Le labbra tremavano ma la voce era ferma.
Jefferson inarcò un sopracciglio, ancora non aveva capito a cosa si stesse riferendo.
“Sono cresciuto per queste cose, non credi?” le domandò retoricamente.
Red compì qualche passo in avanti per poi arrestarsi vicina abbastanza da riuscire a scrutare in fondo ai suoi occhi.
“Oggi stesso andrò via, sono rimasta troppo a lungo ed è arrivato il momento di farmi da parte” era vero, la ferita alla gamba non le procurava più alcun dolore. La verità è che non sarebbe voluta andare via così presto ma le parole di Grace le avevano fatto tornare mille dubbi che desiderava sciogliere.
“Parti domani, dà almeno il tempo a mia figlia di abituarsi all’idea di non rivederti più” rispose Jefferson smuovendo appena le labbra, era calmo e la sua espressione non mostrava alcuna preoccupazione.
Red si strinse nelle spalle, dunque ora doveva sentirsi in colpa per essersi affezionata a Grace e per lasciarla in fretta.
Rimandare sarebbe stato sciocco e avrebbe deteriorato la situazione, non poteva più trattenersi dal confidargli la sua reale paura.
“Jefferson” prese un lungo sospiro prima di voltarsi per dargli le spalle, non riusciva a sostenere il suo sguardo forte “devi dirmi la verità. Tu sei mai sceso a patti con Regina?”.
Lui aggrottò le sopracciglia, non aveva ancora idea di quanto potesse spingersi oltre ma la situazione iniziava a farsi delicata. Si scostò dalla porta e fece qualche passo avanti perché il volto si illuminasse della luce che entrava dalla finestra.
“Che ti viene in mente?” finse di ridacchiare di fronte a quell’idea.
Red avvertì le lacrime agli occhi e si voltò di nuovo, lacerandolo con lo sguardo.
“Non mi sarei mai dovuta fidare di te, in fondo cosa mi aspettavo? Io non so nulla del tuo passato, di ciò che sei stato e probabilmente per tutto questo tempo non hai fatto altro che mentirmi” sentì sciogliere la voce che iniziò a tremare mentre gli spiegava ciò che Grace le aveva raccontato.
Jefferson sembrò improvvisamente stanco  o semplicemente spazientito, perché trasse un respiro profondo e socchiuse le palpebre per qualche istante.
“E’ ironico il fatto che sia tu a parlare di mentire, del passato, di conoscersi per ciò che si è…” gettò via la maschera che aveva tenuto fino a quel momento e si fece pericolosamente avanti, a piccoli passi, fino ad arrivare da lei per aggirarla. Appoggiò le mani al suo collo per sfiorarlo con le dita, fino a scostarle i capelli in avanti e scoprirle un orecchio così da sussurrare: “quando sei tu il vero mostro tra noi due”.
Red sgranò gli occhi, oltre a sentirsi avvampare per quella vicinanza così estrema, voltò la testa dalla sua parte ascoltando il suo respiro che batteva sul collo.
“Oh, non fare così Red. So benissimo chi sei e che cosa hai fatto, non c’è dubbio che tu abbia preferito nascondere a me e a Grace la tua natura. E’ comprensibile, non ti avremmo guardata con gli stessi occhi” la rimproverò come se ora fosse lei ad essere colpevole di qualcosa che non aveva fatto.
Red non si fece intimorire dalle sue parole, la natura che possedeva era difficile da accettare ma in un modo o nell’altro era riuscita a convivere con ambo le parti di sé. Aveva scelto di non dire nulla in proposito per il semplice fatto che una volta raggiunto Charming, non avrebbe più fatto ritorno da loro e voleva che si ricordassero di lei in modo positivo.
“Tu non sai nulla di me, Jefferson” sibilò a denti stretti, chinando da una parte per poter seguire i movimenti di lui “dimmi la verità, mi hai ingannata per tutto questo tempo”.
“La tua  è un’affermazione, non una domanda” continuava a sussurrarle così da procurarle brividi lungo tutta la schiena.
Red era esausta, non riusciva più a controllare i propri istinti e fu allora che si voltò per afferrarlo alla gola e stringere la presa, fino a farlo scivolare a terra per sedersi sul suo ventre di modo che evitasse di sfuggirle.
“Smettila di divagare. Voglio la verità” lo minacciò continuando a stringergli la gola, finché non allentò lievemente la presa.
“Allora sei davvero feroce come mi hanno detto” sussurrò lui avvertendo il peso del suo corpo gravare sul proprio “vuoi la verità? E va bene: Regina desiderava tenerti lontana da Charming e Snow White, così da togliere loro un valente alleato. Io dovevo solo trattenerti qui per evitare che li raggiungessi”.
Le lacrime di Red scivolarono lungo le guance fino a ricadere sul viso di Jefferson che non si era lasciato impietosire nemmeno per un istante. Cosa avrebbe dovuto fare?
“Quindi era tutto falso, ogni cosa…” non ebbe il tempo di sfogare la sua rabbia che Jefferson approfittò di quel momento di debolezza per ribaltare la situazione, la scostò di lato e questa volta fu lui a ritrovarsi sopra in posizione di vantaggio.
“No, non tutto era una bugia” sussurrò mentre le stringeva i polsi con forza e cercava disperatamente i suoi occhi “la situazione mi è sfuggita di mano, per il semplice fatto che ho iniziato a provare qualcosa per te. Qualcosa che tutt’ora mi spaventa, perché io non posso permettermi di amare qualcuno che non sia Grace. Io devo proteggerla, devo darle il futuro che si merita e nessuno si intrometterà sulla mia strada” le spiegò come se fosse ovvio.
Red corrugò la fronte, non riusciva a credere a quelle parole, temeva che potesse trattarsi di un nuovo inganno.
“Io non voglio fare del male a Grace, non potrei mai…” non riusciva a capire che cosa lei avesse a che fare con il bene di sua figlia.
“Lo so, ma Regina mi ha garantito che  se farò come dice darà a Grace il futuro che io non posso costruirle” la voce era rotta dall’umiliazione.
Red cercò di liberarsi dalla sua stretta ma lui insistette nel bloccarla per non farla scappare.
“Grace vuole solo averti accanto, Jefferson! Non ha bisogno di altro che del tuo affetto, non confondere i suoi desideri con i tuoi!” questa volta si fermò, senza agitarsi, per poterlo guardare negli occhi e cercare di farlo ragionare.
Lui non pronunciò alcuna risposta, come se si fosse soffermato a riflettere su quell’ipotesi. Cosa stava facendo? Era questo ciò che voleva diventare agli occhi di Grace, un uomo che si abbassava ad atti disonesti per raggiungere un obiettivo che forse a lei nemmeno interessava?
Allentò lentamente la presa sui polsi di lei fino a lasciarli liberi, poi si scostò per mettersi a sedere e coprirsi il volto con una mano, così da nascondere lo sguardo. Red che fu libera iniziò a rialzarsi cercando di capire se fosse improvvisamente rinsavito.
“Possiamo ricominciare da capo, come se niente fosse accaduto. Se la persona che ho conosciuto in questi giorni esiste davvero, allora è davvero possibile rimediare” cercò di dire con voce titubante.
Snow White non l’aveva abbandonata nemmeno dopo aver visto che cosa fosse stata in grado di fare, poiché aveva visto del buono in lei. Giudicare lui per i suoi errori sarebbe stato sciocco.
“Vattene” quelle parole uscirono dalle labbra di Jefferson come un ruggito.
Red non sapeva cosa fare, nonostante avesse scoperto la verità, una parte di sé desiderava rimanere per curare quelle ferite che si erano create. Non si mosse e rimase ferma.
“Va’ via!” le urlò contro quando si rese conto che non accennava a fare alcun passo, quindi si sollevò in piedi e le indicò la porta “non puoi rimanere qui, saresti un pericolo per Grace e non posso permetterlo. Non farti più vedere!”.
Un pericolo. Era diventata questo? In fondo non poteva mettere in dubbio le sue parole, lei aveva davvero in sé la natura di un mostro, se fosse capitato qualcosa di spiacevole non si sarebbe mai perdonata. Si avviò verso la porta in fretta, afferrando il mantello rosso che era rimasto attaccato all’appendiabiti e lo indossò velocemente.
“Jefferson…”
“VATTENE!” questa volta le urla furono strazianti per entrambi e non ci fu più nulla da aggiungere.
Red finì di sciogliere le lacrime che aveva negli occhi, aprì la porta e fuggì via, correndo lontana da quella casa, dai ricordi che si era costruita.
Jefferson rimase all’interno, l’ultima immagine di lei che vide fu il mantello rosso che si immerse nel bosco per poi sparire. Ricadde su una sedia con tutto il peso, portando una mano alla fronte. L’aveva lasciata andare, perché non poteva davvero permettere a Regina di catturarla e rinchiuderla in una torre.
Fino all’ultimo non si era fatto salire alcun rimorso, alcun senso di colpa, ma quando quel momento si avvicinò non riuscì a portare a termine la sua missione. Perché Grace non avesse una pessima opinione di lui, perché Red potesse tornare ad essere libera. Maledisse se stesso e ciò che era diventato, il giorno dopo avrebbe dovuto affrontare Regina e cercare di rimediare a ciò che aveva fatto.
Red non si voltò indietro nemmeno un momento, aveva paura di poter rivedere i suoi occhi. Non voleva andare via, non poteva allontanarsi dall’unico posto in cui si era sentita a casa. Non avrebbe più rivisto Grace, Jefferson sarebbe rimasto solo un pallido ricordo. Si era lasciata ingannare e si era accomodata così bene che aveva fatto diventare loro quella famiglia che desiderava accanto. Corse a perdifiato, nonostante alcuni dolori improvvisi alla gamba di cui non si capacitò. Cadde un paio di volte e poi si rialzò, riprese la corsa fin quando non fu libera di voltarsi indietro e accorgersi di non avere più un poto dove tornare. 








NdA: 

Ed ecco l'undicesimo capitolo! 
Ormai ci stiamo avviando verso un certo qual punto. Quale? Beh, in fondo il sortilegio verrà spezzato... ma non dirò nulla in proposito per non spoilerare.
Come avete letto nella prima parte ho modificato alcune cose avvenute nella prima serie: E' Ruby ad investire Jefferson e ad essere drogata, in più Emma riesce a catturare Jefferson. 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, grazie e alla prossima! 

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Capitolo 12
*** The Curse ***



 

XII 

 

The Curse 




 
Storybrooke, durante il sortilegio

 
Jefferson aveva ripreso i sensi e si era ritrovavo dentro una gabbia, senza la possibilità di uscire. Ciò che più lo preoccupò fu il ritrovarsi faccia a faccia con Locksley con cui condivideva la stessa cella. Quello che era stato suo amico o presunto tale era seduto sul bordo del letto all’angolo opposto, lo guardava in silenzio senza dire nemmeno una parola. Gli occhi bruciavano dal desiderio di ricevere delle risposte, ma al contempo non desiderava aprire con lui una qualche conversazione. Ciò che più detestava al mondo era il tradimento e non avrebbe risparmiato alcuna pessima opinione verso persone simili.
Jefferson si tirò su dalla posizione riposante sul letto opposto, sedendosi anche lui così da poter cercare il suo sguardo.
“Dicono che tu sia folle, Jefferson” sogghignò Locksley mentre incrociava le braccia al petto, per quanto provasse a costringersi al silenzio, gli fu impossibile “non è difficile crederci. Alcuni tuoi comportamenti sono incomprensibili, vediamo di analizzarne alcuni. Prima cerchi di soffiare Ruby a Gary, poi esegui gli ordini di Regina affidandoti a lui e non contento cerchi anche di uccidere la tua fiamma. Che ti è passato per la testa?”.
Jefferson sprofondò sul materasso duro del letto, facendo scivolare le gambe in avanti e appoggiando la schiena alla parete.
“Ruby non ha nulla a che fare con me, Granny mi aveva chiesto di tenerla d’occhio. Inoltre non ho cercato di ucciderla, volevo solo che ascoltasse ciò che avevo da dire, ma non sembrava felice di farlo. In più, Locksley, non avevo idea che le reali intenzioni di Regina fossero quelle di incastrarti” gli spiegò a denti stretti.
Locksley voltò lo sguardo verso la scrivania vuota di Graham, ancora incerto della reazione che avrebbe dovuto mostrare. Il suo animo era troppo leale e onesto per non credere alle sue parole, forse aveva bruciato troppe tappe prima di raggiungere la vera conclusione della storia, accusandolo senza nemmeno dargli modo di raccontargli come stavano le cose.
“Non hai idea di quanto abbia voglia di romperti il naso” la voce rauca enfatizzò quelle parole.
Jefferson scoppiò a ridere mostrando poi un sorriso rivolto a schernire se stesso.
“Ultimamente è diventato un desiderio piuttosto comune, inizio a credere di essere io il problema” sogghignò mentre cercava di rendere quella posizione più comoda.
“Per ora fingiamo che non sia stato tu a farmi finire qui dentro, cercherò di non avvicinarmi troppo così ti eviterò un bel dissanguamento” la sua voce era ancora adirata ma Jefferson sapeva che Locksley faceva sbollire la rabbia piuttosto in fretta “io so che tu non sei pazzo, anche se a volte tendo a crederlo. Spiegami che cosa ti è preso, perché hai rapito Emma Swan?”.
Jefferson lo osservò a lungo, decidendo in fretta il da farsi. Raccontargli la verità sarebbe stato un errore, dirgli ciò che aveva rivelato ad Emma lo avrebbe sicuramente allontanato. Rimase in silenzio, ricordando di come Locksley si fosse dimostrato sempre un amico su cui poter contare, mentre lui lo aveva fatto cadere in basso.
“Ho capito. Se non vuoi parlarne non importa, sono affari tuoi. Ma comportandoti in questo modo finirai per far credere davvero a tutti della tua follia e ti rinchiuderanno da qualche parte per evitare che tu possa rivelarti pericoloso” si accinse a dire Locksley prima di alzarsi in piedi per potersi sgranchire.
Jefferson sottolineò la sua risposta con una risata gutturale per poi stendersi sul letto più comodamente, tenendo le mani incrociate dietro la nuca.
“Non mi importa più, sono costretto a vivere in un passato che non posso cambiare e nessuno sembra ricordarsene” le labbra formarono una smorfia di improvvisa tristezza.
Locksley inarcò un sopracciglio e aggiunse semplicemente: “Credevo disprezzassi l’incoerenza. Se è il passato che vuoi cambiare e nessuno se ne ricorda, è un buon punto di partenza per poter ricominciare dall’inizio, no?”.
Quella considerazione illuminò lo sguardo di Jefferson, come se davanti agli occhi si fosse presentata la soluzione a tutti i suoi problemi. Certo, nessuno ricordava nulla e dunque nemmeno ciò che aveva fatto, aveva l’occasione di scrivere di nuovo la sua storia.
Il primo pensiero si focalizzò su Paige, non avrebbe potuto averla accanto come un tempo, ma seguirla più da vicino sarebbe stata una conquista. Subito dopo i pensieri confluirono su Ruby, annegando all’ultima volta che la vide nella Foresta Incantata, quando l’aveva cacciata via per risparmiarle la prigionia che Regina le avrebbe inflitto. Quando riuscì a tirar fuori qualcosa di positivo da quella rinnovata motivazione, vi qualcosa di assolutamente inaspettato che accadde. Una nube viola iniziò a inghiottire l’intera città, dalla piccola finestra in alto alla cella si poteva vederla avvicinare e il sortilegio fu spezzato.
Jefferson non ne fu immediatamente certo, ma Locksley spalancò gli occhi di ghiaccio come se tutto gli fosse stato chiaro e si aggrappò alle sbarre con forza.
“Che ti prende?” gli chiese Jefferson, alzandosi anche lui dal letto.
Locksley si voltò improvvisamente verso di lui prima di deglutire a fatica.
“Mi ricordo tutto” portò una mano alla fronte “il mio nome è Robin Hood”.



 
**



 
 
Storybrooke, dopo il sortilegio

 
Osservava il soffitto bianco della sua stanza, la testa le doleva ma non per averla battuta,  aveva trascorso tutta la notte in bianco. Avvertiva ancora la forte presa delle sue mani su di lei, aveva tentato di farle del male e la sofferenza che il suo corpo provava era triplicata. Avrebbe avuto voglia di impazzire perché non si capacitava ancora di quello che era accaduto. E perché, maledizione perché, aveva voglia di rivederlo? Era pazzo. Abbastanza da poterlo rinchiudere in un manicomio. Ed era accaduto tutto ad una velocità inarrestabile così da non permetterle di riflettere con lucidità. Doveva allontanarsene e non tornare da lui, soprattutto dopo ciò che era accaduto.  Emma le raccontò di esser stata catturata da Jefferson, le aveva somministrato lo stesso sonnifero che aveva usato con Ruby, poiché credeva nelle favole che Henry andava raccontando. Le aveva parlato della Foresta Incantata, del mondo da cui tutti loro provenivano e di Paige, sua figlia, colei che aveva abbandonato. Sia Ruby che Graham non si capacitarono di quelle parole, nonostante Emma avesse provato un’empatia molto forte nel stare a contatto con un uomo che indossava una maschera di disperazione. Lo avevano portato nella cella della centrale perché potessero accertarsi delle sue condizioni mentali, avrebbero atteso Archie per una perizia psichiatrica prima di trascinarlo in ospedale perché potesse esservi rinchiuso.
Ruby tirò le coperte fino a coprirsi il viso, non voleva arrendersi all’idea della sua follia, doveva esservi qualcosa che non era ancora in grado di comprendere. Fu in quel momento che una nube viola penetrò a Storybrooke, avvolgendola completamente e in quel preciso istante il sortilegio fu spezzato.
Ogni ricordo, ogni istante, ogni pensiero di Red Hood tornò alla mente. Tutto ciò che era stata e che aveva affrontato riaffiorò come se non avesse mai dimenticato. Si alzò dal letto precipitosamente e si rivestì in fretta con i primi abiti che aveva trovato per la stanza, scivolò fuori di lì e scese al piano di sotto dove la tavola calda di Granny’s era già aperta.
Vi trovò sua nonna che aveva un’aria sorpresa quasi quanto la sua, non appena la vide le andò incontro per poterla abbracciare.
“Nonna! Il sortilegio, il sortilegio è stato spezzato!” esultò sentendosi di nuovo viva, uscita da un conflitto che era rimasto nell’ombra.
Granny si tirò su gli occhiali prima di ricevere quell’abbraccio affettuoso e sorrise: “Pare proprio che la figlia di Snow White ce l’abbia fatta”.
In quel momento entrarono Mary Margaret, David e Grampy che furono accolti con un calore pieno di meraviglia. Era accaduto tutto così all’improvviso che per diversi istanti fu difficile riprendere padronanza di sé, Ruby stringeva le mani di Snow con forza, felice di aver ritrovato l’amica del suo passato, quella che l’aveva accettata per ciò che era. Eppure, nonostante quell’improvvisa gioia quasi incontenibile, non poté fare a meno di mutare l’espressione in un sorriso amaro. Fino a poco fa aveva creduto Jefferson un pazzo, quando era stato l’unico a ricordare il proprio passato anche sotto il sortilegio e lei non gli aveva creduto. La sua era un’anima disperata che tentava di risollevarsi con le proprie forze in un mondo che non gli apparteneva. Tutte quelle che aveva considerato stranezze si annullarono: le dosi dei farmaci triplicate, la preoccupazione per Paige, l’insistenza nei suoi confronti, ora diventava semplice da capire. Jefferson desiderava dimenticare il passato per vivere tra loro, felice e senza le ombre dei ricordi che gli annebbiavano la mente.  Eppure erano c’erano ancora tante cose oscure di lui, Emma le aveva detto che Jefferson credeva di essere il Cappellaio Matto, ma lei non conosceva affatto quella parte della storia.
Per Ruby, Jefferson era un padre amorevole che per difendere la figlia era andato incontro a scelte pericolose e discutibili in cui lei era capitata senza volerlo. Ed il resto? Cos’era accaduto dopo che se ne era andata? Chi era davvero Jefferson?
Bugie, racconti diversi, questo vi era nella mente di Ruby. Un tempo aveva provato qualcosa per lui ma entrambi avevano nascosto le vere identità per rimanere nell’ombra, di modo che non potessero soffrire. Lei aveva ingannato Grace, mancandole di rivelarle la sua natura. Jefferson aveva cercato di incastrarla e consegnarla a Regina. Doveva sapere, pretendeva di sapere.
La sua attenzione fu richiamata dalla folla inferocita che si era improvvisamente creata davanti alla tavola calda, in quel momento il Dottor Whale entrò e rimase sulla soglia.
“Stiamo andando a prendere Regina, più numerosi saremo e meglio sarà. Qualcuno di voi vuole seguirci?” la sua domanda si rivolse anche a Ruby che ebbe una fitta alla bocca dello stomaco.
Guardarlo allo stesso modo, essendo tornata quella di un tempo, sarebbe stato difficile. Snow e gli altri vollero seguirlo per accertarsi che non capitasse nulla di spiacevole ma Ruby preferì rimanere in disparte, la sua mente era già troppo afflitta da mille altri dubbi. Li lasciò andare e rimase da sola alla tavola calda, nascondendosi dal mondo che era tornato ad esternarsi.
Sei tu il vero mostro tra noi due.
Quelle parole risuonarono con forza, non le avrebbe mai dimenticate. Per ventotto anni aveva dimenticato la sua storia ed ora che l’aveva riacquistata non faceva che pensare a lui, al perché desiderasse così tanto vederlo. Ogni ricordo era una freccia piantata nel cuore e la rabbia iniziava a montarle in corpo. Aveva paura, paura di essere mandata via di nuovo.
In quel momento il rumore della porta del Granny’s si aprì e con un lieve stupore incontrò lo sguardo di Paige: aveva lo zaino sulle spalle e quasi le mancava il fiato poiché era affannata e il viso arrossato per la corsa. Appena era uscita da scuola non aveva perso tempo ed era corsa da lei.
“Ruby!”
La sua voce era così diversa ora che ricordava davvero chi fosse, provò un fremito alle mani e non riuscì a muoversi di un muscolo. Paige al contrario le corse incontro e si gettò tra le sue braccia. Ruby le aveva voluto così bene durante il periodo che erano state insieme che si sentì commuovere, eppure il mondo iniziò a crollarle sulle spalle, non aveva mai mantenuto la promessa che le aveva fatto e non era più tornata da lei.
“Paige” sussurrò in un filo di voce mentre si chinava per poterla guardare negli occhi nocciola “perdonami se me ne sono andata via senza nemmeno salutarti”.
Rimpianse mille volte quel fatto e si colpevolizzò spesso per essere scappata per paura delle conseguenze.
La bambina non accennò a lasciare la presa che si fece più forte, mentre le lacrime inumidivano il viso pallido, circondato dai lunghi capelli castani. Ruby le era mancata in modo smisurato, si era affezionata così tanto a lei da aver discusso animatamente con suo padre.
“Non è stata colpa tua, so che tu sei buona Ruby” cercò i suoi occhi rassicuranti “e lo è anche il mio papà. Lui voleva solo proteggerti” disse tra i singhiozzi.
Non lo aveva perdonato per quello che aveva fatto e la sua vita si era sgretolata in pochi istanti quando qualche giorno dopo suo padre non tornò più a casa, era svanito e nessuno aveva più avuto notizie di lui. E Paige si era sentita così tanto in colpa per non avergli parlato più che credé di esserne stata la causa dell’allontanamento, da quel giorno non aveva più smesso di cercarlo.
Ruby si morse l’interno della guancia, riflettendo sulle sue parole. Jefferson aveva cercato di proteggerla nonostante le sue intenzioni iniziali fossero state quelle di gettarla in un abisso senza possibilità di ritorno.
Certo, era per questo che lo stava cercando. L’aveva accusata di aver nascosto la sua natura mostruosa e l’aveva mandata via per proteggere sua figlia, così facendo però non aveva rispettato l’accordo con Regina. Quindi era stata tutta una messinscena per darle l’occasione di fuggire e di mettersi in salvo, poiché aveva cambiato idea.
“Paige, tu credi davvero che lui…”
Alzò il viso per soffermare lo sguardo nel suo.
“Anche lui ti voleva bene, dopo che sei andata via non è più riuscito a sorridere. Io ero così arrabbiata che non ho voluto rivolgergli la parola. Ma in realtà io so che non l’ha fatto per cattiveria, quando ha capito i suoi errori ha fatto un passo indietro, non è così?” domandò retoricamente.
Ruby sollevò gli occhi per non guardarla, forse aveva ragione, ma non poteva perdonargli di averla usata in quel modo, compromettendo la sua stessa vita.
“Quando mia madre era viva, lui lavorava per Tremotino e anche per Regina, difficilmente riuscivamo a passare del tempo insieme. Ma dal giorno in cui Lei venne a mancare, non c’è stato un momento in cui non abbia rimpianto le sue azioni. E’ cambiato per me e sicuramente lo farà anche per te” cercò di rassicurarla, intravedendo in lei una preoccupazione forte e desiderava sciogliere ogni dubbio.
Ruby non sapeva cosa dire, era frastornata. Nella sua testa esisteva un Jefferson pieno di onestà, lealtà, bontà e dall’altra parte un Jefferson senza cuore che non si faceva scrupoli a far del male agli altri.
Eppure Paige non mentiva, lei lo conosceva davvero.
“Cosa è accaduto dopo che sono andata via, Paige?” cercò di divagare ma in realtà era una domanda che le premeva molto.
“Un giorno ha detto di avere un lavoro importante da fare, mi ha lasciata dai vicini perché potessero prendersi cura di me per qualche tempo, finché non fosse tornato. Solo che poi non l’ha più fatto” i suoi occhi brillavano di tristezza,.
Ruby si sedette sullo sgabello, mentre Paige si distaccava dall’abbraccio, quei ricordi la facevano star male.
“Ho paura che non mi voglia più vedere. Ti prego, andiamo a cercarlo insieme, devo chiedergli scusa per essermi arrabbiata con lui” le chiese con occhi speranzosi.
Ruby anche aveva paura, paura di camminare di nuovo in un passato che l’aveva fatta stare male. Ma non poteva deludere Paige e quindi accettò.
“Sono certa che non è così, gli sei mancata molto” non aveva dubbi su questo.
Così facendo uscirono entrambe dal Granny’s per potersi recare alla centrale dello sceriffo, Jefferson era stato chiuso in cella e non poteva che trovarsi lì. Ruby aveva paura di chiedere  a Paige che cosa avesse passato dopo che suo padre era scomparso e così si affollarono altri mille dubbi a riguardo.  Quando arrivarono al luogo prestabilito, Paige trasse un respiro profondo e afferrò la mano di Ruby nella propria, per avere una sicurezza in più. Voleva rivedere suo padre e aveva aspettato questo giorno da un tempo quasi infinito.
Non appena entrarono trovarono Graham seduto sulla scrivania ma quando gli sguardi corsero alla cella vi trovarono Regina, anziché Jefferson e Locksley.
“Questo cosa significa?” domandò Ruby rivolgendosi allo sceriffo.
Lui si voltò verso di loro tenendo le braccia incrociate.
“C’è stata quasi una rivolta ed Emma mi ha chiesto di portarla qui, per evitare che la folla la faccia a pezzi” spiegò brevemente mentre Regina rimaneva in silenzio in un angolo buio della cella.
“E Jefferson, dov’è finito?” gli domandò per accelerare la situazione.
Graham si strinse nelle spalle e scosse appena la testa.
“Non ne ho idea, quando sono tornato sia lui che Locksley non c’erano più. Devono aver trovato il modo di evadere” i suoi occhi si fissarono sulla bambina e alzandosi dalla scrivania si avvicinò a lei per posarle una mano sulla spalla “piccola, tu per caso sei Paige?”
Lei ebbe qualche timore a rispondere ma alla fine annuì.
“Bene, perché i tuoi genitori ti stanno cercando, dovrei riportarti da loro. Sono molto preoccupati” nonostante il tono dolce e rassicurante, non ammetteva repliche.
Paige sprofondò in un’espressione contrariata, voleva rivedere suo padre e non tornare dai genitori adottivi, ma comprendeva che la situazione si era fatta delicata. Lanciò uno sguardo di supplica a Ruby che la confortò con un sorriso.
“Vai da loro, quando riuscirò a trovare Jefferson lo porterò da te” le sfiorò una guancia per rassicurarla.
Paige sospirò e annuì di nuovo per poi affidarsi completamente a Graham.
“Ruby, devo chiederti un favore. Dopo aver riportato Paige dai suoi genitori devo raggiungere Emma, sta cercando di far ragionare Whale e tutti quelli che l’hanno seguito. Puoi rimanere qui a controllare che nessuno cerchi di far del male a Regina?”.
Ruby come prima cosa si mostrò costernata, non voleva assolutamente rimanere nello stesso luogo con lei, ma comprendeva la delicatezza della situazione e finì per accettare.
“Va bene, farò attenzione”.
“Grazie” sorrise Graham prima di chiedere la mano di Paige “allora, piccola, si torna a casa”.
La bambina prese la sua mano, lanciando a Ruby un ultimo sguardo, la quale cercò di incoraggiarla con un rinnovato sorriso. Non appena i due uscirono dalla centrale, si rese conto di esser rimasta davvero sola con Regina e la cosa la disturbava molto. 
Quest’ultima che era rimasta ad osservare la scena con un certo divertimento, si alzò per poter raggiungere e sbarre e intravedere la figura di Ruby che intanto si era seduta davanti alla scrivania.
“Sei venuta qui per Jefferson, mi dispiace che non ci sia. Il sortilegio si è spezzato ed è la prima cosa che hai fatto… non dirmi che lo hai perdonato” sorrise in un ghigno.
Ruby aggrottò le sopracciglia e per i primi momenti decise di non rispondere, anche lei si era posta lo stesso problema. Il tratto di vita che aveva trascorso con lui era stato breve e aveva lasciato una ferita profonda, quindi che motivo aveva di tornare da lui per chiarire?
“Sua figlia voleva rivederlo e mi ha chiesto di accompagnarla da lui” si limitò a dire per scagionare i suoi reali desideri.
“Ma davvero?” finse di crederci “Certo che non merita tutta queste attenzioni. In fondo ha fatto del male ad entrambe. Gli avevo ordinato di ucciderti e non è riuscito a farlo, ha preferito nasconderti in casa sua come una prigioniera e ti ha ingannata. Poi ha abbandonato sua figlia, lasciandola senza un padre. Allora perché siete venute entrambe a cercarlo?” ora la sua voce aveva assunto un tono più difficile da interpretare.
Era adirata, stizzita per ciò che era accaduto. Henry le aveva rifiutato più volte l’amore che chiedeva, poiché gli aveva mentito a lungo e aveva continuato a farlo. Perché invece la figlia di Jefferson continuava a volergli bene, nonostante l’avesse abbandonata? Perché Ruby voleva incontrarlo di nuovo?
“Forse crediamo che ci sia del buono in lui e abbiamo fiducia e speranza” rispose Ruby mentre stringeva con forza i pugni delle mani.
La detestava per ciò che aveva fatto ma al tempo stesso lei poteva essere una soluzione alle domande che continuava a porsi. Regina voltò il capo dall’altra parte, infastidita. Loro vedevano tutto questo in lui, mentre Henry era accecato dal valore e dalla lealtà di Emma.
“Tu puoi dirmi tutto su di lui, non è così?” chiese Ruby prima di alzarsi in piedi per potersi avvicinare e guardarla negli occhi.
Si sentì debole e rabbrividì. Il suo cuore aveva palpitato per qualcuno di cui non conosceva nulla e bisognava trovare un modo per fermare tutta quella irrequietezza che sentiva smuoversi dentro di lei.
Voleva sentirsi dire di aver sbagliato, che il cuore di Jefferson in realtà era oscuro e  che non avrebbe mai potuto vedere la luce.
Regina ne approfittò, non poteva sopportare di essere l’unica a mancare di affetto e si limitò a raccontarle semplicemente la verità.
Un collaboratore di Tremotino, un uomo senza scrupoli che aveva votato la sua anima all’oscurità e che non si era tirato indietro quando aveva trovato l’occasione per rendere felice sua figlia. Il Jefferson di cui Regina parlava era molto diverso da quello che Ruby credeva di conoscere. Dunque era davvero così, quello che Paige le aveva detto corrispondeva alla realtà. In passato era stato un uomo da biasimare, mentre poi si era trasformato in un padre affettuoso ed onesto e lei aveva conosciuto soltanto la luce.
“C’è ancora qualcosa che mi sfugge” disse Ruby in un sussurro “come è diventato il Cappellaio Matto?”
Regina sollevò le spalle e tornò a sorridere come prima.
“Prova a domandarlo a lui”.
 Mettere astio era una specialità che le riusciva piuttosto bene e poco a poco avrebbe annerito i cuori di tutti coloro che erano presenti a Storybrooke.
Ruby a quel punto tornò a sedersi davanti alla scrivania di Graham, intenzionata a non rivolgerle più la parola. Una parte di lei desiderava sinceramente incontrarlo mentre un’altra aveva timore di non riconoscere più il Jefferson che aveva conosciuto.
Chi tra i due era davvero? Non c’erano state bugie nei suoi occhi quando era stata ospite a casa sua, ciò che aveva passato con lui era vero, sincero, cristallino. Sprofondò a sedere con aria stanca, il suo istinto che si era risvegliato era diventato più forte e più pressante. Riusciva a sentire il suo odore ed era lontano, ma non abbastanza perché appena sarebbe potuto uscire di lì, l’avrebbe trovato.
Per Paige, solo per Paige.











NdA: 

Salve!
Poco a poco ci avviciniamo al finale e come avete potuto vedere la parte flashback è terminata, d'ora in avanti l'ambientazione sarà esclusivamente a Storybrooke dopo il sortilegio che è stato spezzato. Posso giusto anticiparvi che Regina e Robin affronteranno il loro passato ;) se può rendervi più curiosi per proseguire.
Grazie come sempre per chi continua a seguire!

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Capitolo 13
*** Hello, dad ***


XIII 

Hello, dad 




 
Storybrooke, post sortilegio
 
Erano trascorsi diversi giorni da quando il sortilegio era stato spezzato, ma nulla era tornato alla normalità. In più, era accaduto qualcosa che l’aveva particolarmente scossa: Emma e Mary Margaret erano finite all’interno di un portale ed erano scomparse. Senza la presenza di Snow White accanto, come confidente, si sentiva persa. Avrebbe desiderato parlare con lei di tutto quello che le era accaduto e chiederle consiglio su come agire, ma si ritrovò improvvisamente sola, con una preoccupazione aggiuntiva. Doveva aiutare David a riportare l’ordine in città, Graham da solo non era riuscito a placare la rabbia della folla che veniva continuamente aizzata contro Regina, ma la parola del principe aveva effetto su ognuno di loro. Passò quasi tutti i pomeriggi ad aiutare ognuno degli abitanti a ritrovare coloro da cui erano stati allontanati a causa del sortilegio. E lei, era certa di non voler ritrovare ciò che aveva perso?
Riusciva a sentire il suo odore anche a quella distanza, come se la sua concentrazione fosse devota totalmente a lui. Non poteva più aspettare, soprattutto perché lo aveva promesso a Paige. Quel giorno stesso aveva trovato sulla delle ricerche un suo disegno: ‘Cerco il mio papà’. Lo prese tra le mani e lo piegò per riporlo in tasca, aveva fatto una promessa e questa volta l’avrebbe mantenuta in ogni modo.
Lasciò a Graham il compito di occuparsi delle persone restanti che navigavano ancora nel buio e montò in macchina, sistemando lo specchietto come era sempre solita fare. Mise in moto e si direzionò verso l’uscita del centro cittadino per raggiungere il bosco, lì dove era certa di riuscire a trovarlo. Quando arrivò all’ingresso scese dall’automobile e si fermò di scatto, come se avesse cambiato idea all’improvviso. Cosa avrebbe fatto una volta incontrato? Cosa gli avrebbe detto?
Prese coraggio e si inoltrò tra i primi alberi, riusciva a sentire ancora meglio il suo odore, era inconfondibile perché era come quello del tè rosso. Si morse lievemente un labbro, il tè rosso era quello che gli aveva fatto assaggiare quando erano ancora alla Foresta Incantata  e a Storybrooke lui aveva sempre ordinato la stessa cosa. Camminò a lungo finché non arrivò al pozzo dove avevano ritrovato Paige qualche tempo fa, il suo istinto non aveva sbagliato, poiché lui si trovava lì. Aveva un lungo soprabito grigio ed era voltato di spalle, non poteva vederlo in viso ma quasi poteva immaginare la sua espressione.
Ad ogni passo il suo cuore compieva un battito più veloce e si rese conto del rumore fastidioso che stava facendo nel calpestare i rami secchi.
“I lupi sono dei predatori e hanno il passo leggero. Perché tu no?”.
L’aveva sentita e si era voltato per poterla guardare, appoggiando le mani al pozzo per sorreggersi.
“Forse volevo essere ascoltata” rispose mentre si avvicinava a passi più lenti e stretti per arrivare di fronte a lui.
“Davvero?” sorrise sghembo prima di fare un’alzata di spalle “Anche io volevo essere ascoltato, avevo qualcosa di importante da dire, eppure né tu né Emma Swan avete avuto dubbi riguardo la mia… follia?” domandò retoricamente prima di ritornare serio, visto che era stato anche messo in gabbia.
Lei preferì non chiedergli di come fosse riuscito ad evadere, aveva qualcosa di più importante da affrontare.
Ruby incrociò le braccia sentendosi punta nell’orgoglio, si avvicinò coprendo la distanza che si era creata tra loro.
“Tu hai preteso fiducia senza dimostrare di meritarla” si sistemò davanti a lui, rimanendo cautamente lontana, non voleva avvicinarsi troppo per timore di cedere.
“Allora perché sei venuta a cercarmi?”
Il tempo della risposta arrivò in un istante, Ruby tirò fuori il disegno che Paige aveva appeso alla bacheca davanti alla centrale dello sceriffo e glielo consegnò, perché potesse vederlo.
“Ho promesso a Paige che ti avrei trovato e che poi ti avrei portato da lei, vuole vederti”.
Jefferson afferrò il disegno e lo strinse lievemente tra le dita delle mani. Cerco il mio papà. Lette quelle parole tirò su col naso e lo ripose nella tasca del soprabito, guardando altrove.
“Non posso” detto ciò si allontanò dal pozzo per poter iniziare ad incamminarsi verso un sentiero della foresta, alla ricerca di grandi radici su cui sedersi.
Ruby inarcò un sopracciglio, non riusciva a comprendere, fino a quel momento era sembrato così desideroso di riaverla accanto, ora perché voleva fuggire?
“Perché no? Spiegami che cosa è accaduto, Paige ha paura che tu non voglia rincontrarla. E’ così allora?” gli domandò iniziando a corrergli dietro, per poi arrestarsi all’improvviso quando lui si voltò di scatto.
“Io l’ho abbandonata!” gli occhi azzurri erano diventati lucidi e più liquidi “l’ho lasciata sola e ho paura che niente possa tornare come prima” la sua mente corse a tutti i momenti che avevano trascorso insieme, anche quelli di cui Ruby faceva parte.
La ragazza prese un sospiro e scosse la testa.
“Non hai abbastanza fiducia nel cuore di tua figlia, Jefferson. Mi ha detto di averti cercato ovunque e desidera rivederti” si strinse nelle spalle “non distruggere le sue speranze”.
Jefferson si morse l’interno della guancia prima di accomodarsi su un’ampia radice ed osservare la terra umida sotto gli stivali, aveva vissuto nella paura fino a quel momento. Paura di ricordare, paura di dimenticare, paura di guardarsi allo specchio e non riuscire a riconoscere la propria immagine. Paige gli mancava ma era più forte il timore di essere respinto.
“Prima di andare” interloquì Ruby, spezzando il suo silenzio di riflessione “vorrei farti una domanda. Tu sei davvero il Cappellaio matto?”
“Il mio nome è Jefferson” digrignò i denti, alzando il viso verso di lei con fare decisamente infastidito.
Ruby sospirò e decise di sedersi sulla sua stessa radice, come era già capitato una volta. Quella vicinanza la toccò nel profondo, poiché desiderava realmente trovarsi lì. I suoi ricordi affondarono in quel bacio che si erano scambiati la sera della fiera al villaggio, non aveva dimenticato il tocco delle sue mani sul proprio corpo né delle labbra calde che aveva assaporato. Si era innamorata di lui così facilmente, con una semplicità così sincera che allo stesso tempo quando lo aveva smascherato tutto era caduto e di quella piccola fiamma che aveva acceso non era rimasta che cenere.
“Allora dimmi che cosa è successo dopo che me ne sono andata, perché hai lasciato tua figlia?”.
Jefferson sospirò, portando una mano alla fronte, la testa gli scoppiava ma non poté fare a meno di rispondere. Aveva mentito a Ruby già una volta, incastrandola in una storia in cui non c’entrava nulla, ma per il resto si era sempre dimostrato sincero nei suoi confronti. Il Jefferson che lei aveva conosciuto era reale, esisteva davvero, anche se iniziava ormai a dimenticarsene. Le raccontò di come Regina il giorno dopo la sua fuga si fosse adirata con lui, avrebbe potuto punirlo, ma ricattarlo non fu difficile. Le spiegò quale fosse il suo reale lavoro prima di cadere in miseria, di come fosse in grado di viaggiare tra i mondi e Regina ne aveva bisogno per svolgere qualcosa a cui teneva molto. Era rimasto incastrato nel Paese delle Meraviglie senza la possibilità di uscirne, per questo non era più tornato da Grace e forse per questo trascinava ancora elementi di stranezza e follia che aveva dimostrato di avere a Storybrooke.
Ruby ascoltò ogni parola con attenzione, cercando però di rimanerne assolutamente a distanza, per non sentirsi trascinare nello stesso vortice.
“Hai dato ascolto a Regina per rendere felice Grace?” gli domandò dopo che il racconto fu terminato.
Jefferson iniziò a smuovere la terra con un piede ed annuì, pentito per averlo fatto.
“Lei era già felice, non aveva bisogno di altro, voleva solo stare con te. Ora dovresti andare da lei per dimostrarle di aver compreso i tuoi errori e sono certa che ti perdonerà” così facendo si alzò in piedi e gli tese una mano perché lui potesse fare lo stesso.
Jefferson si soffermò a guardare le lunghe dita che le venivano porte, nonostante ciò che le aveva fatto, lei si era dimostrata gentile fino all’ultimo. Accettò e si fece aiutare a rimettersi in piedi, ma non volle lasciare la presa che si era istaurata.
“Sei venuta a cercarmi solo per portarmi da mia figlia?”.
Una speranza, una speranza che non poteva realizzarsi, poiché Ruby annuì a quella domanda. Era andata da lui per mantenere la promessa fatta a Paige e non per riappacificarsi con qualcuno che l’aveva usata. In fondo Jefferson poteva capire che non avrebbe potuto rimettere a posto le cose.
“Credi che sia possibile ricominciare, tra noi intendo?” fu difficile pronunciare quelle parole, non seppe nemmeno da dove trovò il coraggio per tirarle fuori.
“Non porto rancore Jefferson, solo che non so chi tu sia davvero e questo mi spaventa. Forse è possibile, ma per ora non credo di volerlo” detto ciò si riprese la mano che sembrava bruciare a contatto con quella di lui.
Lo salutò sbrigativamente poiché doveva andare via, via da un passato che ritornava alla mente, via da ciò che aveva sognato un tempo. Non sarebbe tornata indietro e non avrebbe sofferto ancora. Anche perché tra loro, il mostro era lei ed ora che il sortilegio era stato spezzato, non poteva rischiare di mettere in pericolo le persone a cui teneva.





 
**





Lo scuolabus si era fermato e a breve tutti i bambini sarebbero scesi, uno ad uno, per correre verso casa. Fu allora che Jefferson, nascosto dietro un albero, incontrò la figura della figlia che vestita con la divisa della scuola, si accingeva a mescolarsi con tutti gli altri. Doveva trovare il coraggio per chiamarla, era lì, tornare indietro lo avrebbe rigettato nell’oscurità.
“Paige!” la voce uscì tremolante, il senso di colpa veniva fuori poco a poco e gli occhi bruciavano già di lacrime amare.
Quando la bambina si voltò di scatto ed incontrò la figura del padre, rimase immobile ad osservarlo, mentre poco a poco gli occhi si illuminavano di felicità.
“Mi hai trovata!” esclamò prima di dirottare la corsa verso di lui per gettarsi tra le sue braccia.
Jefferson la prese quasi al volo per poi sollevarla e stringerla con forza al petto, riusciva ad ascoltare i battiti del suo cuore confondersi con il proprio. Le sfiorò la guancia con un bacio per poi alzare gli occhi al cielo e ringraziare la sua buona stella.
“Questa volta non ti lascerò, te lo prometto” la trascinò lontana da quel posto, desiderava rimanere solo con lei e chiarire tutto ciò che era accaduto, per spiegarle i motivi per cui si era ritrovata improvvisamente senza un padre.
La rimise a terra per prenderle la mano e si diressero verso il porto dove si sarebbero seduti su delle panchine, così da scambiarsi tutto ciò che non erano riusciti a dirsi.
“Avevo paura che non volessi più vedermi, che fossi arrabbiato con me” sussurrò Paige appoggiando la testa alla sua spalla, mentre si teneva stretto al suo braccio dopo essersi accomodati.
La brezza marina arrivava fino a loro come se fosse lì per cacciare via la tristezza che avevano sofferto.
“Come potrei mai esserlo?” le sorrise accarezzandole alcune ciocche di capelli “ho fatto tanti errori nella mia vita Paige, soprattutto riguardo te. Una persona mi ha detto che a te sarebbe bastata la mia vicinanza per renderti felice, mentre io ho cercato di darti qualcosa che andava oltre le mie possibilità” iniziò a spiegarle avvertendo la voce farsi più debole.
Paige sorrise all’angolo della bocca, perché aveva intuito chi fosse quella persona e l’idea che potessero riavvicinarsi la rendeva ancora più serena.
“E’ vero papà, volevo solo che mi rimanessi accanto” sollevò il viso verso il suo per poterlo guardare e sentirsi confortata sotto uno sguardo che aveva tanto sognato di rivedere “ti ho cercato per così tanto tempo, non riuscivo a credere che te ne fossi andato via per sempre”.
Se solo avesse saputo, se solo fosse stata informata!
“Sono stato costretto, non ti avrei mai lasciata se avessi conosciuto le conseguenze” sussurrò prima di mordersi le labbra.
Paige conosceva la storia, Henry le aveva prestato il libro delle favole e così aveva scoperto che cosa fosse accaduto a suo padre, che era diventato il Cappellaio Matto.
“C’è qualcosa che al momento mi preme molto sapere” continuò Jefferson, spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio “sotto il sortilegio hai sognato più volte il Paese delle Meraviglie e qualcuno mi ha spiegato che quelli non erano incubi, ma ricordi. Tu sei mai stata in quel posto?”.
Paige chinò lievemente il viso verso il basso per nascondere la sua espressione e con un gran sospiro annuì.
Settimane dopo che Jefferson non aveva fatto ritorno a casa, Paige si era messa in testa di cercarlo, non riusciva a credere che l’avesse abbandonata davvero. Un giorno in cui camminava per il bosco vide un coniglio bianco con il panciotto correre verso una tana nascosta sotto le radici di un grande albero e quando provò ad inseguirlo, finì per cadervi all’interno. Regina dunque non aveva mentito, vi erano diversi portali per raggiungere il Paese delle Meraviglie e lui si era concentrato solo su quegli stramaledetti cappelli per poterne evadere! La caduta durò così tanto da sembrare interminabile ma poi si era ritrovata davanti ad alcune porte e per passarvi fu costretta a mangiare un pasticcino che la fece rimpicciolire. Una volta superato il varco si era ritrovata in un mondo senza capo né coda, con fiori che le parlavano, conigli con il panciotto che erano continuamente in ritardo, due gemelli panciuti vestiti allo stesso modo ed uno strano gatto viola che sorrideva. Tutti loro la accusavano di non essere Alice, quella Alice e che sarebbe dovuta andare via di lì perché non era il suo posto. Ma qualcosa le diceva che avrebbe ritrovato suo padre, in un modo o nell’altro. Aveva trascorso diverso tempo alla corte della Regina Bianca dove le rose rosse venivano dipinte del colore desiderato ed era sempre l’ora del tè.  Poi un giorno si ritrovò ad attraversare uno specchio e così fece ritorno alla Foresta Incantata, a mani vuote.
Jefferson alzò gli occhi al cielo, incredulo per quel racconto. Dunque lei era arrivata fin lì, qualcosa l’aveva trascinata in un altro mondo perché il loro legame era così forte da non poterli dividere. E lui non l’aveva cercata, era rimasto chiuso in quella maledetta stanza del Palazzo della Regina di Cuori per tirar fuori un cilindro dai poteri magici che lo riportasse da lei. Se fosse rimasto lucido l’avrebbe incontrato, se non si fosse lasciato annientare dai sensi di colpa, avrebbe aperto gli occhi per sentire il suo richiamo.
“Forza, andiamo a casa” la voce era spezzata e rauca.
Paige si alzò in piedi e si rimise lo zaino sulle spalle, gli occhi divennero umidi e nonostante si sentisse costretta a farlo, scosse la testa.
“Papà, io devo tornare a casa mia” sussurrò piano, perché la freccia che aveva scagliato era stata immensamente forte.
Jefferson ebbe come un fremito alle mani e di fronte a quelle parole non riuscì a capacitarsi della situazione.
“Infatti, andremo insieme nella nostra casa” enfatizzò maggiormente mentre si alzava in piedi anche lui.
Paige scosse di nuovo la testa, sfiorando le pieghe della gonna con le dita.
“Io parlo della casa in cui ho vissuto qui a Storybrooke, dove ci sono i miei genitori”.
Jefferson vide improvvisamente nero, come se la vista gli si fosse annebbiata e una rinnovata sofferenza calò sull’espressione del viso.
“Sono io tuo padre, Paige!” la prese per le spalle ed iniziò a scuoterla con una furia che su di lei non era mai venuta fuori.
Paige parve spaventata ed uscì da quella presa facendo un passo indietro, aveva le lacrime agli occhi ma era anche decisa della scelta che stava compiendo.
“Le persone che si sono prese cura di me mi vogliono bene, non posso abbandonarle, almeno non subito”.
Abbandonarle. Abbandonarle. Abbandonarle.
Jefferson si rese conto di averla spaventata e questo lo preoccupò non poco, l’aveva strattonata con forza per poterla costringere a non allontanarsi da lui, non ora che l’aveva ritrovata. Ma lei aveva parlato di abbandono, come se fosse realmente affezionata ai suoi genitori adottivi.
“Perché non vuoi venire con me?” le chiese con voce mozzata.
“Non si tratta di questo papà” fece un altro passo indietro per allontanarsi dai suoi occhi umidi “ma prima devi dimostrarmi di essere cambiato, quando così sarà allora tornerò da te” fu troppo pronunciare tutto quello con convinzione, tant’è che in un istante si voltò per poter correre via da lui, non riusciva più a sostenere il suo sguardo.
Jefferson rimase in piedi, paralizzato, mentre la vedeva correre via. Paige si era creata una nuova famiglia con dei genitori che si comportavano davvero come tali e che forse le avevano dato tutto ciò di cui aveva bisogno. Sentiva la testa scoppiargli di pensieri e di nuovi sensi di colpa. Lui era un pessimo, pessimo padre e non l’avrebbe mai riconquistata, cambiare sembrava impossibile.





 
**





Il lavoro da fare era eccessivo, il caos continuava a crescere e in quella confusione non tutti riuscivano a ritrovare chi stavano cercando. Ruby faceva del suo meglio per aiutare chiunque avesse bisogno, aveva lasciato Granny ad occuparsi del locale fintanto che lei fosse riuscita a tenere calme le acque. David e Graham non si fermarono un attimo, presi entrambi dalle medesime problematiche. Dovevano trovare un modo per far tornare Emma e Mary Margaret ma sembrava del tutto possibile. Il cappello magico era quasi andato distrutto e Regina ovviamente non avrebbe collaborato per riportarle indietro.
“C’è una cosa che non riesco a capire” la voce del Dottor Whale si fece prepotente alle sue orecchie, teneva in mano dei fogli su cui vi erano riposti alcuni nomi “ora come ora, le suore non possono essere libere di…”
Ruby sorrise e si avvicinò per posargli una mano sulla spalla.
“Ti ringrazio per l’aiuto che ci stai dando” il suo sguardo era sincero “e soprattutto per non aver insistito nell’andare contro Regina”.
Il Dottor Whale le regalò uno dei suoi sorrisi, come aveva sempre fatto, anche quando il sortilegio li affliggeva impedendo di ricordare loro chi fossero davvero.
“Non sono ancora convinto che lasciarla in vita sia una buona soluzione, ma mi rendo conto della situazione” sospirò lasciando evidenziare quanto potesse detestarla.
Ruby si soffermò a guardare all’interno dei suoi occhi ed ebbe paura di sprofondarvi all’interno. Lui era diverso da Jefferson, per quanto ancora non avesse scoperto la sua reale identità, sembrava essere in grado di ragionare, aveva una mente fredda e calcolatrice.
“Il che ti fa onore” rispose senza lasciar andare via il sorriso.
Whale si schiarì la voce e provò a prendere un’altra strada.
“Credi che possa esserci qualcosa tra noi, Ruby?” andò dritto al punto “prima del sortilegio ci siamo frequentati varie volte, nulla di serio, ma mi trovavo bene con te. Ora che ci ricordiamo nel nostro passato invece, potremmo provare a conoscerci davvero, pensi che funzionerebbe?”.
Ruby schiuse lievemente le labbra e lo guardò con un certo stupore, si sentiva lusingata e probabilmente la sé di Storybrooke si sarebbe gettata tra le sue braccia. Ma il suo cuore era confuso e disperso in un labirinto privo di uscita, inoltre vi era anche altro che le impediva di compiere quel passo.
“Al momento non credo di esserne in grado” deglutì a fatica “c’è una parte di me che forse non riuscirò a controllare e finché non sarò certa di poterlo fare, preferirei non frequentare nessuno”.
Whale si strinse nelle spalle e risolse con un semplice: “Peccato, magari in un prossimo futuro”.
Non si trattenne più del dovuto e si allontanò per continuare a compilare la sua lista. Ruby rimase ferma al suo posto per guardarlo andare via, aveva bisogno di riflettere e di capire cosa in realtà volesse, tornare ad uscire con il Dottor Whale avrebbe solo complicato le cose.
O forse aveva semplicemente paura di liberare il suo cuore e permettere ad un altro di prenderne possesso. Aveva paura, paura di sprofondare di nuovo nella medesima situazione.
Inoltre, lei era un mostro.
Cacciò via quel senso di inquietudine e si mise a sedere sull’erba fresca del prato verde con le gambe incrociate, in attesa del ritorno dello sceriffo per organizzare il resto del lavoro che avrebbero dovuto mandare avanti per far tornare l’ordine nell’intera città. In quel momento David Nolan, il nuovo aiutante dello sceriffo, fece ritorno e non appena la vide si avvicinò a lei per potersi inginocchiare e guardarla negli occhi.
“Ruby, ho bisogno del tuo aiuto” così facendo le mostrò il cilindro che aveva conservato “Henry mi ha spiegato che questo cappello appartiene al Cappellaio Matto ma non ho idea di chi sia. Puoi aiutarmi a trovarlo?”
La ragazza ebbe un fremito alle mani e aggrottò le sopracciglia, era già qualche giorno che non pensava a lui, dopo avergli parlato nel bosco e adesso si ritrovava nella condizione di doverlo cercare.
“Credo di sì. Perché vuoi andare da lui?” gli domandò mentre si alzava e prendeva il cilindro tra le mani.
“Forse può aiutarci a sistemarlo, se Emma e Mary Margaret sono finite qui dentro, potrebbe fare qualcosa per portarle indietro” la speranza gli illuminò gli occhi chiari e rassicuranti.
Ruby si morse le labbra, se vi era davvero la possibilità di farle tornare, avrebbe fatto qualunque cosa.
“Allora sbrighiamoci a trovarlo”.
Non sarebbe stato difficile seguire di nuovo la scia del profumo di tè rosso, era l’unico in tutta Storybrooke a prepararlo e ad ordinarlo da Granny. Inoltre era anche curiosa di sapere se alla fine si fosse riunito con Paige, probabilmente l’avrebbe trovato in una condizione mentale migliore.


 





 
NdA: 

Sto aggiornando decisamente molto in fretta! Visto che ho lasciato la storia in sospeso per un pò di tempo mi piacerebbe arrivare alla conclusione senza far aspettare troppo (in tutto sono diciassette capitoli, quindi siamo verso la conclusione). 
Come avete potuto vedere Paige/Grace non accetta di tornare subito da Jefferson. Un pò per questioni di trama, un pò perché dopo tutto quello che hanno passato credo sia difficile tornare al rapporto di un tempo. Soprattutto perché Grace ha vissuto per diverso tempo con una famiglia diversa. 
Spero che la storia continui a piacervi, alla prossima! 
 

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Capitolo 14
*** The Wolf ***


XIV

The Wolf






 

Storybrooke, il sortilegio è stato spezzato. 

Paige. Grace. Paige. Grace.
Due nomi corrispondenti a due realtà che convergevano nella sua testa allo stesso tempo. L’una faceva parte di un presente che detestava, l’altra di un passato che avrebbe desiderato modificare. Avrebbe tanto voluto far fuori Regina una volta per tutte, per cancellare il dolore che gli aveva fatto provare. Ma non era mai stato un assassino e non lo sarebbe diventato, soprattutto ora che Paige lo osservava con la lente di ingrandimento. Lo aveva abbandonato così come lui aveva fatto in precedenza, come biasimare la sua scelta. Voleva solo essere certa che suo padre fosse pronto a ricominciare da capo, smettendo di lavorare per le persone sbagliate e che aprisse gli occhi per comprendere che lei desiderasse davvero solo la sua presenza. Eppure Jefferson non riusciva a farsi entrare in testa la possibilità di riuscita, aveva paura, paura di fallire e perderla per una seconda volta. Non amava lottare, visto che l’ultima volta, preso dall’impazienza di fuggire dal Paese delle Meraviglie, era finito per perdere la testa – sia in senso letterale che non -. In quel momento si stava incamminando verso la scuola, era in anticipo di un’ora rispetto all’orario di uscita di Paige, ma voleva incontrarla per provare a farla ragionare, di modo che cambiasse idea e tornasse a vivere da lui. Mentre si avvicinava, sentì la voce di un uomo richiamarlo da lontano.
“Jefferson!”
Quando si voltò incontrò la figura del nuovo aiutante dello sceriffo, David Nolan o Principe Charming, accompagnato dalla slanciata e sensuale Ruby. Si fermò svogliatamente e mise le mani in tasca, in attesa che lo raggiungessero. Detestava il fiuto di lei che era ampiamente migliorato dopo il sortilegio, in quel modo sarebbe riuscito a trovarlo sempre e fuggire sarebbe diventato impossibile.
“Se siete qui per arrestarmi, giuro che questa volta non ho somministrato del sonnifero a nessuno” partì subito preventivato.
David e Ruby arrestarono il passo nel momento in cui si avvicinarono.
“Siamo qui per un motivo diverso: abbiamo bisogno del tuo aiuto” spiegò brevemente David.
“Ah! Questo sì che è divertente” non gli diede nemmeno modo di continuare, già era in procinto di andar via.
Ruby lo richiamò all’attenzione, afferrandogli un braccio.
“Prima di andare prova almeno ad ascoltarci” i suoi occhi azzurri e liquidi lo convinsero, soprattutto perché Paige l’avrebbe osservato anche da lontano e non poteva permettersi alcun errore.
Sospirò e alzò gli occhi al cielo, cedette e li seguì verso il giardino antistante la scuola dove era posizionato un tavolo bianco con delle sedie. Si sedettero tutti e tre lì per poter chiarire la situazione. David non sembrava particolarmente entusiasta di parlare con l’uomo che aveva attentato alla vita di sua figlia, ma al contempo doveva mettere da parte l’orgoglio per riuscire a salvarla.
“Mary Margaret ed Emma sono state risucchiate da questo cappello magico” lo posò sul tavolo, mostrandogli il buco che si era creato e quindi l’impossibilità di un approssimato utilizzo.
“Sai che me ne importa” si tirò su con le spalle Jefferson, assolutamente impassibile di fronte a quella notizia.
Ruby gli scoccò un’occhiata gelida e prese in mano la situazione.
“Dovrebbe invece, Emma ha spezzato il sortilegio e se così non fosse stato Paige ora continuerebbe a non sapere nulla di te” gli rinfacciò, sperando di scuotere in lui ciò che aveva visto di positivo.
Jefferson si inumidì le labbra, non replicando a quell’affermazione e David continuò.
“Crediamo che siano finite nella Foresta Incantata e dobbiamo trovare un modo per riportarle indietro, tu puoi aiutarci a sistemare il cilindro?” gli occhi azzurri si illuminarono di speranza.
Jefferson a quella domanda scoppiò a ridere vigorosamente, gettando per un attimo la testa indietro.
“Io sono solo un passatore di varchi, non mi intendo assolutamente di magia. Temo proprio che rimarranno bloccate lì per sempre” fece una finta smorfia di tristezza.
David a quel punto si alzò di scatto dalla sedia e lo afferrò per il bavero della giacca, strattonandolo una volta sola così da poterlo scuotere.
“No, invece! Tu devi aiutarci, questo cappello apparteneva a te, dovrai pur conoscere un modo per farlo funzionare. So che hai una figlia, ebbene io ne ho una e non c’è nulla di più terribile che saperla lontana da te” così facendo lo lasciò stare, soprattutto quando Ruby gli posò una mano sul braccio, di modo che si calmasse.
Jefferson tornò a sprofondare sulla sedia e lo sguardo si imbrunì vistosamente.
Fallo funzionare. Fallo funzionare. Fallo funzionare.
“Se solo sapessi” sussurrò a denti stretti, volgendo un’occhiata a Ruby che ormai era a conoscenza della sua storia “sono stato costretto a vivere una vita che non era mia, con ricordi divergenti che mi hanno quasi portato alla follia” fece uscire una risata amara dalle labbra “la consapevolezza è stata la mia punizione ed ora voi siete costretti a vivere ciò che ho provato fino a questo momento, con l’impossibilità di agire, sareste obbligati a guardare sapendo di non poter far niente. Niente”.
Non appena terminò di pronunciare quelle parole con estrema freddezza, scattò in piedi dalla sedia che ricadde all’indietro e si mise in fuga. David cercò di inseguirlo ma Ruby lo trattenne di nuovo, facendolo rimanere al proprio posto.
“E’ inutile David, penso dica la verità. Dobbiamo trovare un altro modo per salvare Emma e Mary Margaret”.
Una dura consapevolezza che andava accettata. David sprofondò in un silenzio corroborante, credeva di essersi avvicinato ad una soluzione, invece si era soltanto allontanato. Ruby invece si era sentita scossa nell’ascoltare le sue parole sofferte e debilitanti, aveva visto nei suoi occhi una luce spenta, una luce senza colori in cui il bianco era macchiato dal nero.





 
**




Aveva appena terminato il suo turno di lavoro da Granny’s, nonostante le giornate all’esterno della centrale dello sceriffo fossero intense, non poteva lasciare il locale nelle sole mani della nonna. Era stanca e aveva la testa piena di pensieri che convergevano tutti verso un medesimo punto, anche se avrebbe desiderato con tutta se stessa dimenticare. Sbuffò a quell’idea, aveva già dimenticato abbastanza in quei ventotto anni e non voleva ricadere nella medesima situazione. Fortunatamente a trarla fuori da quella stanchezza fu Belle che era appena giunta alla tavola calda dove avevano appuntamento. Da quando era uscita dall’ospedale psichiatrico aveva fatto grandi passi avanti, soprattutto era riuscita a mettere in sesto la Biblioteca, rendendola un luogo confortevole. Belle era grata a Ruby per quel consiglio, soprattutto perché non si era allontanata da lei, pur conoscendo la sua vicinanza al Signor Gold.
“Sono in ritardo?” le domandò con un sorriso sghembo sulle labbra.
Ruby lo ricambiò, portando le mani ai fianchi.
“Assolutamente in perfetto orario. Faccio preparare un po’ di tè, hai le mani fredde” disse dopo averle strette nelle proprie, come faceva sempre quando si incontravano.
“Mani fredde, cuore caldo” una verità assolutamente riconosciuta.
Belle andò a sedersi al tavolo mentre Ruby scioglieva il grembiule dalla vita per sistemarlo dietro il bancone, fece bollire l’acqua e poi preparò l’infuso per trascinarlo fino a destinazione. Una volta che ebbe modo di sedersi tirò un gran sospiro.
“Sono giorni che non riesco a fermarmi nemmeno un istante, avevo voglia di una chiacchierata tra amiche” la stanchezza del suo viso era evidente e probabilmente non doveva nemmeno aver dormito molto.
“Sai che puoi venire a trovarmi in Biblioteca quando vuoi” si strinse nelle spalle Belle prima di inclinare la testa di lato “allora, tu e David siete riusciti a trovare un modo per far tornare Emma e sua madre a Storybrooke?”.
Ruby scosse lievemente la testa mentre versava il tè nella tazza che poi porse all’amica, così fece anche con la propria, riempiendola quasi fino all’orlo.
“No, siamo molto lontani dal riuscirvi, ma ci stiamo applicando. In più Graham ha bisogno di aiuto alla centrale, alcune persone non sono state ancora trovate e il Dottor Whale non può lasciare l’ospedale per troppo tempo” si strinse nelle spalle prima di avvicinare la tazza a sé per stringerla tra le mani.
Belle fece lo stesso, senza staccare gli occhi da quelli dell’amica.
“A proposito, non esci più con lui?” le domandò prima di sorriderle amorevolmente.
Belle era una ragazza dolce, dai sani principi, una vera e propria sognatrice, ma al tempo stesso possedeva un carattere determinato e forte, per nulla arrendevole. Per questo piaceva a Ruby, la sincerità reciproca era alla base della loro amicizia.
“Da quando il sortilegio è stato spezzato e ho ricordato chi sono, non ho interesse ad intrattenermi in qualsivoglia storia” confessò mentre appoggiava appena l’indice sulla tazza bollente, quasi senza accorgersi che si sarebbe potuta scottare.
L’amica inarcò un sopracciglio, non del tutto certa delle sue parole. Lasciò stare il tè perché si raffreddasse e appoggiò i gomiti sul tavolo, sostenendo il mento con le mani.
“Mi nascondi qualcosa Ruby. Conosco quello sguardo ed è lo stesso che avevo io quando Tremotino mi ha cacciata via dal suo Castello. Sei innamorata di un altro. Forse non è qui a Storybrooke? Fa parte del tuo passato?” le domandò con sincero interesse.
Ruby scostò immediatamente lo sguardo altrove poiché iniziò a velarsi di lacrime che non voleva far scendere, quindi preferì fissare l’orologio appeso ad una parete del locale.
“Non so nemmeno io che cosa provo al momento” scrollò le spalle “un tempo mi sono innamorata di una persona che credevo essere buona, onesta e gentile, invece si è rivelata oscura e senza principi morali” dire ciò che pensava davvero non fu facile.
Aveva cercato di trattenere quei pensieri il più possibile, per allontanarsi da una realtà che si faceva sempre più strada nella sua testa. Non poteva che trattarsi di un tipico amore giovanile, un’infatuazione avvenuta in una circostanza particolare, ma come si poteva chiamare davvero amore? Che dimostrazione vi era stata in proposito? Nessuna.
Belle corrugò la fronte e prese un gran respiro.
“Se può farti piacere, stai parlando con la persona giusta” portò la tazza calda alle labbra per sorseggiare un po’ di tè “tutti a Storybrooke credono che io sia innamorata di una Bestia, essendo il Signore Oscuro è decisamente comprensibile. Ma ho visto del buono in lui, so che c’è e tutti meritano una possibilità”.
Ruby iniziò a sfiorare il bordo della tazza con l’indice della mano, ascoltando le parole dell’amica, non riusciva a convincersi che fosse davvero possibile. Si sentiva ferita, era amareggiata e al tempo stesso desiderava più di ogni altra cosa andare da lui.
“Ma io non so nulla di lui, non ho idea di che tipo di uomo sia davvero. Ho conosciuto soltanto una sfaccettatura delle mille che sembra avere” si decise finalmente ad assaggiare anche lei il tè, nonostante non riuscisse a concentrarsi sul sapore, troppo presa dai suoi pensieri.
Le raccontò in breve la storia del loro passato, almeno quel poco che avevano vissuto insieme, rivelandole ciò che l’aveva fatta innamorare di lui. Belle ascoltò attentamente, sorridendo di tanto in tanto all’angolo della bocca, quando l’amica terminò, posò la tazza sul tavolo.
“Io credo che tu abbia conosciuto la parte migliore di quest’uomo. Certo, ti ha giocato un brutto scherzo, ma sbaglio o ti ha lasciata fuggire per salvarti? Avrebbe potuto portare a termine il suo compito ma si è tirato indietro”.
Belle cercò di farle comprendere che non sempre possiamo conoscere interamente una persona, ma che se essa possiede quel barlume di luce adatto è possibile trascinarla fuori dall’ombra. Jefferson si era ribellato a Regina, le aveva impedito di farle del male, dandole modo di andare via. Ruby non avrebbe dovuto pensare a chi fosse prima o a chi fosse diventato dopo, ma a ciò che la sua memoria ricordava, il motivo per cui lei si era innamorata. Le narrò di come Tremotino le aveva dimostrato di avere un cuore, salvando la vita di un ladro e di sua moglie. Tutti dovevano avere una possibilità, soprattutto perché la luce senza ombra non potrebbe esistere, né risaltare agli occhi.
“Sei così buona, Belle” disse Ruby prima di sorridere all’angolo della bocca, finendo il suo tè.
“No, possiedo solo una grande speranza” le rispose prima di alzare le spalle “allora, posso conoscere il nome di questo spasimante?” sogghignò con un certo divertimento.
“Si chiama Jefferson” inclinò appena la testa di lato, lasciando scivolare da parte i capelli.
Belle inarcò entrambe le sopracciglia, posando le mani sul tavolo per poi spingere lo sguardo su di lei.
“Jefferson? Ma è stato lui a liberarmi da quella prigione!” esclamò con un certo entusiasmo “Se non mi avesse portata via di lì a quest’ora sarei ancora rinchiusa e non potrei trovarmi qui a bere il tè con te” disse con una certa soddisfazione “sai questo che significa? Che c’è del buono in lui”.
Ruby non aveva idea di quella storia, non sapeva che fosse stato lui a liberarla dall’ospedale psichiatrico, quando aveva incontrato Belle alla tavola calda era stato quasi per caso ma non si era mai posta domande sulla sua dimissione.
“O semplicemente voleva farla pagare a Regina per aver incastrato Locksley. Sapeva che eri stata chiusa in quel posto per la sua volontà” continuava a non volervi credere.
Belle sospirò e scosse velocemente la testa.
“Può anche darsi, ma non cercare di affossare completamente ogni suo gesto. Prova a dargli una possibilità, se continui a stargli lontana non potrai mai conoscerlo come vorresti” così facendo si alzò dalla sedia e si avvicinò all’amica per poterle posare una mano sulla spalla.
“Forse ho solo paura di essere respinta” sussurrò Ruby prima di sollevare il viso verso di lei.
In fondo era vero, lui l’aveva definita un mostro. Come poteva imporre la sua compagnia, sapendo che cosa pensasse di lei? Paura di essere cacciata di nuovo, paura di voler andare via ma al tempo stesso di rimanere. Sospirò portando una mano alla fronte come a voler cacciare tutti quei pensieri.
“Ti preoccupi troppo” le sorrise Belle togliendo la mano dalla sua spalla “ora devo tornare in Biblioteca, se hai bisogno di schiarirti le idee, sai dove trovarmi”.
“Grazie Belle, i tuoi consigli sono sempre utili” si alzò in piedi per poterla accompagnare all’uscita e scambiarsi l’ultimo saluto.
Quando Ruby richiuse la porta si trovò a pensare che forse Belle non aveva torto, avrebbe dovuto dare una possibilità a Jefferson, non riprendendo da ciò che avevano lasciato, ma per ricominciare da capo.




 
**





I giorni del lupo erano arrivati. Ruby aveva quasi dimenticato quel particolare, da quando il sortilegio era stato spezzato, non aveva ancora realizzato la possibilità di trasformarsi. Per ventotto anni non era accaduto e di certo non sarebbe riuscita a controllarsi, dunque non poteva permettersi di fare del male agli abitanti di Storybrooke. Lei e sua nonna avevano organizzato una cella provvisoria, di modo che durante la notte non avesse occasione di uscire. David le assicurò che sarebbe andato dal Signor Gold per accertarsi che non avesse lui il suo mantello, quello di cui Ruby aveva bisogno, quello di cui aveva fatto la sua armatura.
Questo è impossibile, tu sei come il mio papà. Non avete sentimenti cattivi e non potete essere dei mostri.
Le parole di Paige le risuonarono nella mente con ostinazione ma le cacciò via immediatamente. Non era così, sapeva di non poter combattere contro se stessa durante la trasformazione.
Quella notte, come aveva previsto, non riuscì a rendersi conto di nulla. Il lupo aveva preso il sopravvento e la cella della tavola calda non aveva retto di fronte alla sua furia sanguinaria, tanto che finì per aggirarsi tra le strade di Storybrooke a piede libero. La sua mente non era libera, ma contratta, il suo istinto animalesco aveva preso il sopravvento e iniziò ad annusare l’aria fresca in cerca di qualcosa che credeva di riconoscere.
Nessuno, tranne al Rabbit Hole, girava per la città. Soprattutto a quell’ora tarda, quando mancava così poco all’alba del giorno dopo, era difficile incontrare qualche preda da smembrare. Le zampe del lupo si muovevano sinuosamente verso il porto della città, lì dove il suo olfatto aveva avvertito qualche movimento, i suoi occhi dorati circondavano il cielo che poco a poco veniva abbandonato dalla luna piena. Non appena l’aria salmastra si insinuò nelle narici e il pelo scuro si alzava con la brezza leggera, si accorse della presenza di una vittima, una preda ignara. I lunghi capelli castani si adagiavano sulle piccole spalle coperte dal solo pigiama, i piedi nudi sfioravano il ponte a  cui erano attraccate alcune barche. Il lupo ululò per prepararsi alla cena, si stiracchiò le zampe ed iniziò a ringhiare verso di lei. La bambina continuava a camminare in avanti, passo dopo passo sulle tavole di legno, senza rendersi conto di ciò che stava accadendo dietro di lei.
“Paige, svegliati!” una voce, la voce di suo padre risuonò nelle orecchie della bambina, ma non le arrivò poiché sembrava soltanto un’eco lontano del suo sogno.
Il lupo scattò in avanti per coprire la distanza tra loro, Jefferson che aveva seguito sua figlia quando si era accorto del suo nuovo episodio di sonnambulismo, si ritrovava tra due fuochi. Iniziò a correre a perdifiato verso Paige per poterla trarre in salvo, ma il lupo fu più veloce di lui.
“PAIGE!” le urla si fecero prepotenti alle orecchie della bambina che si svegliò all’improvviso, spalancò le palpebre e avvertì un’accelerazione del battito cardiaco. Quando si voltò ed incontrò il muso inferocito del lupo fece un passo indietro e cadde dal ponte, ma riuscì a rimanere appesa facendo leva con le mani.
“Papà, papà aiutami!” gridava con disperazione mentre le gambe penzolavano in basso verso l’acqua scura.
Il lupo cercò di avvicinarsi per poterla annusare ma Jefferson lo raggiunse ed iniziò a lottare contro di lui per poterlo allontanare.
“Torna in te Ruby, dannazione, cerca di controllarti!” urlò contro l’animale che iniziò a ringhiare verso di lui sempre con più ferocia, si stava preparando all’attacco e Jefferson fu costretto a scostarsi all’improvviso per non essere azzannato.
Il lupo non si arrese e si gettò di nuovo su di lui ma questa volta riuscì a bloccarlo e gli morse un braccio per evitargli una via di fuga. Jefferson urlò a squarciagola per il dolore, le grida di Grace si infittirono nelle sue orecchie e solo allora tirò un calcio a quello che si era rivelato un mostro. Il lupo si discostò da lui, guaendo per il colpo che aveva ricevuto. Paige non riuscì più a tenere la presa e cadde in acqua, quando Jefferson se ne rese conto ritrovò la forza per alzarsi e gettarsi dal ponte per recuperare sua figlia. L’acqua inglobò entrambi trascinandoli verso il fondo, il freddo gelò i loro corpi che si intorpidirono, schiacciandoli in un vortice difficile da superare. Ma Jefferson non poteva arrendersi, doveva salvarla ad ogni costo e nonostante il dolore lancinante al braccio, riuscì a riportarla in superficie. In quel momento il cielo iniziò ad illuminarsi con le prime luci dell’alba che schiarirono le acque da cui entrambi stavano emergendo.
“Sali su, il lupo ora non ti farà del male” ordinò a Paige mentre cercava di sollevarla per riportarla sul ponte, così la bambina riuscì a recuperare le forze e a stendersi sul tavolato di legno.
Jefferson riuscì a fare lo stesso ma con estrema difficoltà, tanto che quando si sdraiò sul terreno stabile chiuse il braccio al petto, il sangue non accennava a fermarsi e il dolore era eccessivo.
La luna era svanita, il lupo era tornato alle sue forme umane. Paige non riuscì a credere ai suoi occhi quando aveva incontrato quelli spauriti di Ruby, aveva le lacrime agli occhi e la testa le vorticava. Le labbra erano sporche di sangue e provava fastidio all’altezza dello stomaco, dove il lupo era stato colpito. Non ricordava nulla di ciò che era accaduto ma quando aveva incontrato la figura di Paige grondante d’acqua e Jefferson che riversava in quel modo da una parte, con il braccio sanguinante, tutto le fu chiaro.
Portò le mani alle labbra e soffocò un singhiozzo, non poteva credere di aver quasi fatto del male ad entrambi. Se l’alba non fosse arrivata, forse non avrebbero avuto scampo.
“Papà, papà stai bene?” la voce di Paige era spezzata, nonostante lo stupore che provava verso la ragazza a cui si era tanto affezionata, aveva più timore del dolore che stava provando il padre.
“Non ti avvicinare a lei, è un mostro”  sussurrò Jefferson mentre cercava di rialzarsi in piedi, sarebbe dovuto andare in ospedale prima di rischiare un’emorragia.
Ruby rimase in ginocchio ad osservare le persone a cui più teneva al mondo, aveva rischiato di ucciderle e nemmeno riusciva a ricordarsene.
“Mi dispiace, io non volevo” scoppiò in lacrime mentre copriva il viso.
Paige cercò di andare da lei, per rassicurarla, in fondo non voleva far loro del male, non era cosciente di ciò che stava accadendo.
“Resta qui!” urlò Jefferson mentre la afferrava per un braccio per evitare che si avvicinasse, in quel momento sopraggiunsero Graham e David che erano stati richiamati dai pescatori che abitavano al molo e che avevano udito le urla.
Lo sceriffo si piegò immediatamente verso Jefferson quando aveva attestato le sue condizioni e lo aiutò a rimettersi in piedi.
“Ti porto in ospedale” gli comunicò prima di passare lo sguardo anche su Paige che era bagnata da capo a piedi come lui “che accidenti è successo?”.
“La cella non è bastata, il lupo non si può controllare” sussurrò Ruby cercando di cacciare via le lacrime.
David si avvicinò a lei, stupito che il piano di Granny non avesse funzionato.
“Allora dovresti imparare a farlo, ci hai quasi ucciso!” disse Jefferson mentre cercava di togliere le gocce d’acqua che gli scivolavano sul viso e sugli occhi.
“Basta così, non voglio sentire altro. Graham, portarlo dal Dottor Whale, inizia a delirare. Accompagnerò io Paige dai suoi genitori” disse David cercando di non far scoppiare il problema proprio in quel momento.
Graham eseguì e condusse via Jefferson di modo che potesse essere medicato, mentre Paige fu riaccompagnata a casa perché potesse calmarsi e togliersi gli abiti umidi.
Ruby non volle seguirli nonostante l’insistenza di David che avrebbe preferito non perderla di vista. Le lacrime continuavano a scivolare sul viso copiosamente.
Un mostro. Era davvero un mostro. 








NdA: 

Buona Pasqua, fandom! 
A quanto pare le cose tra Jefferson e Ruby non si stanno affatto mettendo bene, anzi sembra proprio che tutto stia peggiorando. Riusciranno a trovare un punto di equilibrio ed imparare a conoscersi? 
Grazie ancora per chi continua a seguire, a tre giorni il prossimo aggiornamento. 

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Capitolo 15
*** Family ***


XV

Family

 


 
 

Storybrooke, il sortilegio è stato spezzato


Stupido, stupido, stupido.
Paige non lo avrebbe mai perdonato dopo ciò che aveva detto a Ruby, ma non era riuscito a controllarsi. Vedere sua figlia in pericolo di vita lo aveva fatto uscire di senno, ci era mancato davvero poco perché il lupo non la smembrasse. Non era la prima volta in fondo che chiamava Ruby in quel modo, mostro. Ma lo pensava davvero? O aveva semplicemente dato fiato al primo pensiero corrente, come diceva sempre Locksley? Il dolore al braccio aumentava ma al tempo stesso fingeva di non pensarci, assaporando ogni fitta di sofferenza che si instaurava nella carne. Il dolore proviene dal cervello e se sai governarlo può sparire in ogni momento. Quando giunse in ospedale accompagnato da Graham, il Dottor Whale fu quasi riluttante a medicargli la ferita, ma cercò di rendersi utile visto che grazie a lui in passato aveva ottenuto un cuore. Un cuore per un mostro, ma questi erano dettagli.

“Chi lo avrebbe mai detto che saresti stato tu ad aiutarmi?” sogghignò Jefferson mentre veniva disteso sul letto per pulire la ferita.
“Già, avrei sperato di non vederti più ma a quanto pare sono costretto ad incontrarti sempre” rispose Whale mentre richiamava alcune infermiere, bisognava prima di tutto fermare l’emorragia.
Graham si assicurò di poterlo lasciare in buone mani e poi andò via per assicurarsi che non vi fossero state altre vittime durante quella notte di luna piena.
La cucitura della ferita fu abbastanza lunga ma non complicata, i denti del lupo non avevano azzannato in profondità ma abbastanza all’interno da richiedere una certa attenzione. Whale fu attento e a dire il vero non vedeva l’ora di terminare ogni cosa per poter chiedere a Jefferson che cosa esattamente fosse accaduto, visto che Graham non aveva voluto perdere tempo in chiacchiere. Quando le acque si calmarono e Jefferson fu lasciato ampiamente a riposo per riprendersi dalla nottata, Whale tornò a fargli visita, ormai era trascorsa buona parte della mattina.
“Sei libero di andare, ti abbiamo trattenuto abbastanza” gli comunicò prima di controllare i punti di sutura, tanto per essere certo che non sarebbero insorti problemi.
Jefferson sollevò gli occhi verso di lui ed inclinò appena la testa.
“Ho lasciato la macchina al porto ma non posso guidare in queste condizioni” disse come se fosse stata una richiesta.
“Di solito non torni a piedi?” gli rinfacciò Whale per poi stringersi nelle spalle “Per tua fortuna è arrivato qui il tuo amico, il ladro, pare che qualcuno lo abbia chiamato per assicurarsi che tu stia bene”.
Jefferson si inumidì le labbra lasciandosi sfuggire un mezzo sorriso: di certo era stata Ruby ad avvertirlo, non si sarebbe presentata per accertarsi della sua salute, dopo quello che le aveva detto. Furba, era sempre stata furba e lo dimostrava ogni volta.
“Dimmi una cosa Jefferson” sussurrò il dottore incrociando le braccia al petto “chi è stato a procurarti una ferita del genere?”.
La risposta fu un sospiro esasperato e un giro d’occhi verso l’alto mentre il paziente dimesso scivolava giù dal letto per poter andare via da quel luogo che detestava.
“Non riesci ad immaginarlo, non è così Victor?” lo chiamò con il suo vero nome, quello con cui lo aveva conosciuto per ingannare Regina ed aiutare Tremotino nei suoi scopi.
Il Dottor Whale si adombrò in viso, per un istante desiderò di tornare alla vita prima del sortilegio, in quel modo non avrebbe ricordato per nulla al mondo il suo passato, un passato che desiderava dimenticare.
“Ho sempre trovato fastidiosi i tuoi modi di fare, Jefferson. Ne deduco che non mi svelerai nulla a riguardo, ma va bene, in fondo non mi devi nulla” alzò le mani in alto in segno di resa.
Jefferson inarcò un sopracciglio mentre si teneva il braccio ferito con una mano, come per alleviare le fitte di dolore e lo osservava con sguardo piuttosto accigliato.
“Ti prego, risparmiami le tue moine”.
Svelargli la vera natura di Ruby sarebbe stato un altro irrimediabile errore, le persone a Storybrooke avrebbero potuto additarla come un vero e proprio mostro da cacciare, visto che non riusciva a controllare il suo istinto sanguinario. Inoltre non aveva alcun diritto di accusarla di qualcosa che sarebbe dovuto rimanere tra loro senza che altri ne venissero a conoscenza.
“Prima che te ne vada, voglio chiarire una cosa” aggiunse Whale accompagnandolo all’uscita della stanza “c’è qualcosa tra te e Ruby?”.
Che uomo insopportabile.
“Che diamine vuoi che ci sia!” esclamò sbigottito Jefferson, ormai iniziava a sentirsi esasperato e detestava rispondere a miriadi di domande, una dopo l’altra, come se fosse stato un interrogatorio.
“Volevo assicurarmi del contrario, ha sempre avuto un debole per te, questo era evidente. Durante i nostri appuntamenti non faceva che rimuginare su tutte le tue abili mosse e dopo che il sortilegio si è spezzato abbiamo smesso di frequentarci. Insomma, ho immaginato che in passato siate stati uniti in qualche modo” spiegò brevemente il problema che si era posto.
Jefferson non riuscì a trattenere una risata divertita e gli appoggiò una mano sulla spalla per battervi un piccolo colpo.
“Se fossi in te, le starei a debita distanza” non era una vera e propria minaccia da parte di lui stesso, ma sarebbe potuto incorrere nella verità e scoprire ciò che Ruby era in grado di fare. Avrebbe potuto sopportarla una conoscenza simile? Non poteva saperlo.
Così facendo superò la soglia della stanza per poter finalmente evadere da quel posto ma prima di andare via si voltò per salutarlo.
“Ah, ti devo un favore” disse Jefferson indicando la ferita perfettamente curata.
Afferrò il soprabito che aveva lasciato all’ingresso ed uscì dall’ospedale, alla ricerca di Locksley che doveva trovarsi da quelle parti. Infatti lo vide dall’altra parte della strada, appoggiato alla sua macchina che aveva lasciato nei pressi del porto quando era uscito a cercare Paige. Come aveva fatto a condurla fin lì? Non fu difficile immaginarlo, visto che era un cleptomane, conosceva tutti i trucchi per farla franca.
Quando il sortilegio era stato spezzato lui e Jefferson erano riusciti a fuggire dalla cella della centrale, Locksley avrebbe potuto farlo fin dall’inizio ma non voleva causa altri problemi con Regina e aveva deciso di attendere il momento più propizio. Tutta l’avversità che aveva provato per Jefferson era fuggita quando si era riappropriato della propria identità e non poteva dimenticare di come l’amico avesse aiutato ampiamente nella Foresta Incantata. In fondo tutti hanno momenti di debolezza e lui glielo perdonò facilmente.
“Mi hanno svegliato all’alba per avvertirmi dell’incidente” si strinse nelle spalle Locksley prima di aprire la portiera della macchina, visto che Jefferson non l’aveva nemmeno salutato e aveva raggiunto l’altra parte per poter entrare.
“Lo so, immagino che sia stata Ruby a chiamarti, non è così?” gli domandò sistemandosi sul sedile, facendo attenzione a non muovere troppo il braccio.
Locksley si sedette anch’egli al posto del guidatore, sistemò lo specchietto e partì per poterlo riportare nella propria casa, di certo aveva bisogno di riflettere e riposare.
“No, mi ha cercato David Nolan e mi ha chiesto di accertarmi della tua salute” rispose schiarendosi la voce.
Jefferson gli rivolse uno sguardo lievemente stordito, dunque aveva fatto un errore di considerazione.
“Se era tanto interessato poteva farsi vivo lui” rimbrottò prima di sprofondare sul sedile quasi con fare infantile.
Locksley sorrise all’angolo della bocca, aveva intuito che cosa stesse accadendo nella testa dell’amico, avrebbe preferito sapere che fosse stata Ruby a cercarlo. Forse era stata lei a chiedere quel favore a David, per rimanere nell’ombra. Rimasero in silenzio per tutto il viaggio di ritorno, Jefferson sembrava essersi addormentato e Locksley preferì non svegliarlo fino al loro arrivo alla grande dimora al limite della città. Avrebbe avuto occasione di parlare con lui non appena si fosse ripreso, per il momento sarebbe stato meglio lasciarlo stare.



 
**
 


 
La tazza di cioccolata calda era stata preparata, il profumo all’interno del monolocale di Mary Margaret sapeva di cannella, si sentiva sempre a suo agio quando vi si ritrovava.
“Deve esserci una soluzione, David” sussurrò Ruby.
Aveva il viso pallido e le occhiaie erano evidenti, non aveva dormito e si sentiva ancora scombussolata. Dopo l’incidente di quella notte non era voluta tornare al Granny’s, non aveva cuore di guardare nessuno in viso e preferiva rimanere isolata, almeno per un po’. Per poco non aveva fatto del male a Paige che non aveva riconosciuto, era diventata una preda come un’altra, carne da macello che avrebbe strappato a morsi se non fosse intervenuto Jefferson. Sentiva ancora una fitta all’altezza dello stomaco dove era stata colpita dal suo calcio per poterla allontanare. Le labbra bruciavano per il sangue di cui si era macchiata e gli occhi erano vuoti, spenti, sporchi di un’immagine che continuava a rendersi viva alla sua memoria. Erano trascorse solo delle ore eppure non riusciva a pensare ad altro se non al volto di Jefferson contratto per il dolore, la piccola figura di Paige bagnata da capo a piedi, mentre lei era stesa a terra con il sapore aspro in bocca. Un sapore che difficilmente sarebbe riuscita a togliersi. In più quelle parole risuonarono veloci nella sua testa, parole che già una volta le erano state rivolte.
Mostro.
Forse Jefferson non aveva tutti i torti, lei era un’assassina e non poteva vagare liberamente per la città, soprattutto durante le notti di luna piena.
“Dipende solo da te” disse David mentre si sedeva su uno sgabello, appoggiando un braccio sul tavolo “non puoi rimanere segregata per sempre”.
“Ho quasi ucciso una bambina! Non puoi lasciarmi girare per Storybrooke fingendo che non sia una minaccia” lo rimproverò con veemenza alzando di scatto lo sguardo su di lui.
Gli occhi erano forti e frementi di paura, non voleva che accadesse nulla di male, soprattutto per mano sua. Era evidente che non si sarebbe controllata.
David sospirò e scosse appena la testa.
“Qui ci vuole della cannella, Mary Margaret la usa sempre quando ci sono delle questioni delicate da affrontare” aggiunse lui mentre ne andava alla ricerca “in ogni caso Ruby, tutto si è concluso al meglio e nessuno si è fatto male. Almeno non troppo”.
Ruby strinse la tazza calda tra le mani, osservando la panna che era stata aggiunta e che iniziava a sciogliersi verso il fondo. Come poteva dire una cosa simile? Se non fosse giunta l’alba a scacciare via la notte probabilmente non si sarebbe fermata e senza l’arrivo suo e di Graham forse avrebbe anche potuto uccidere le proprie vittime.
“Se Jefferson non fosse intervenuto a quest’ora Paige sarebbe morta” sibilò con rabbia, una rabbia che la faceva quasi impazzire.
“Quindi che cosa credi di fare?” le domandò lui ritornando con la cannella che fece scivolare sulla panna.
“Chiudimi in cella e non farmi uscire durante i giorni del lupo, magari qualcuno verrà a cercarmi per togliere di mezzo un problema serio come questo” sussurrò per poi nascondere il viso dietro la tazza di cioccolata che iniziò a sorseggiare lentamente, facendo attenzione a non scottarsi.
David batté con forza una mano sul bancone, l’espressione del viso diventava sempre più dura e si incupiva ad ogni parola che le sentiva pronunciare.
“Mary Margaret ha avuto fiducia in te e l’avrò anche io, non permetterò a nessuno di farti del male. Se può farti sentire più sicura, continuerò le ricerche sul tuo mantello” provò a rassicurarla in quel modo.
David aveva compiuto molti errori e voleva rimediare, soprattutto ora che sua moglie e sua figlia erano disperse nella Foresta Incantata, non poteva permettersi di stravolgere la vita di Storybrooke lasciandola cadere nel caos.
“Sei turbata per ciò che ti ha detto Jefferson, non è così?” le domandò ancora.
Ruby sollevò lievemente lo sguardo su di lui, colta in fallo. Appoggiò la tazza bollente sul tavolo e tirò i capelli dietro le orecchie, lasciando scoprire il viso contratto in una smorfia di dolore sprezzante.
La conversazione che aveva avuto con Belle l’aveva fortificata, per un momento aveva persino creduto di poter ricominciare dall’inizio e cercare di scoprire chi fosse lui davvero. Ma ormai le parole dell’amica erano state rese vane, poiché Jefferson non avrebbe più voluto avere a che fare con lei. Come biasimarlo? Per poco non aveva mandato all’altro mondo la sua amatissima figlia e al tempo stesso gli aveva conficcato le zanne in un braccio.
“Ha ragione e questo mi fa male” rispose lei in un sussurro.
David sospirò pesantemente, avrebbe desiderato trovarsi davanti a lui per potergli fare un lavaggio del cervello, sapeva che Ruby non meritava un trattamento simile.
“Continui a credere di essere un’assassina ma in realtà non lo sei, il tuo cuore è puro come quello di Mary Margaret, lo riconosco sempre quando ne vedo uno” sorrise affabilmente prima di prenderle le mani per stringerle nelle proprie “devi avere fiducia in te e credere nei tuoi propositi”.
Gli occhi di Ruby divennero liquidi e finirono per posarsi sulla tazza di cioccolata che non aveva ancora finito, annuì con poca convinzione alle sue parole e poi sciolse l’intreccio delle loro mani. David e Mary Margaret avevano sempre creduto in lei, nonostante avesse le mani sporche di sangue. Perché allora non riusciva a perdonare ciò che aveva fatto? Forse perché Jefferson stesso l’aveva additata come un’assassina e non vi era persona al mondo che potesse avere su di lei un’influenza simile.
In quel momento dalla porta di ingresso comparve Henry che era appena tornato da scuola e teneva sulle spalle lo zaino in cui teneva ancora il libro delle storie. Quando si avvide della presenza di Ruby si apprestò a correrle incontro per poterla salutare, spesso Emma l’aveva lasciato da lei  quando era impegnata nell’operazione Cobra.
“Ruby, che bello vederti qui!” esclamò lieto, pur rendendosi conto che qualcosa non andava “ma è successo qualcosa?” domandò rivolgendosi anche a David per ricevere una risposta.
“Nulla di particolare, bentornato” gli sorrise suo nonno, sfilandogli lo zaino dalle spalle.
Henry era un bambino intelligente e non si sarebbe lasciato ingannare in quel modo, ma preferì non indagare ulteriormente, l’avrebbe scoperto in qualche modo.
“Perfetto, perché ho proprio una cosa per te” rispose Henry andando alla ricerca di un foglio che era stato conservato nella tasca dei pantaloni.
“Per me?” gli domandò Ruby, asciugando gli occhi umidi e lasciando di nuovo la tazza sul tavolo.
“Sì, ho incontrato Paige all’uscita di scuola, stamattina non c’era ma è venuta a cercarmi per darmi questo. Voleva che lo portassi a te” così facendo le consegnò il foglio ripiegato.
“Di che si tratta?” domandò David piuttosto incuriosito, sporgendosi verso di lei per poter vedere meglio.
Ruby ebbe un tremolio alle mani quando iniziò ad aprire quello che sembrava essere un disegno. Deglutì a vuoto nel momento in cui le figure rappresentate si fecero decisamente più chiare.
Vi era Jefferson intento a preparare del tè, mentre lei e Paige erano sedute davanti ad un tavolino di legno, una scena che aveva vissuto più volte alla Foresta Incantata. Poco più sotto sorgeva una scritta in azzurro: ‘La famiglia che desidero’.
 
 


 
**




Bussarono alla porta due volte di seguito, poi fu tutto silenzio. Locksley si apprestò ad aprire ma fu costretto ad abbassare lo sguardo per incontrare l’esile figura di Paige, che teneva un coniglio bianco stretto tra le braccia. Le sorrise prima di scuoterle i capelli sulla testa, rovinandole parte dell’acconciatura.
“Eri in pensiero per il tuo papà?” le domandò scostandosi di lato per lasciarla entrare.
Paige si soffermò ad osservare quegli occhi azzurri e penetranti, si ricordava perfettamente di lui, spesso era venuto a trovare Jefferson nella Foresta Incantata. Aveva anche il vago ricordo del viso di sua moglie, ma era troppo piccola per potersene ricordare davvero.
“Sì, sono venuta qui per vedere come sta. Mia mamma verrà a prendermi tra un paio d’ore” disse stringendo il coniglietto tra le mani, come se quelle parole fossero state pronunciate con costrizione.
Il sapore era amaro, Locksley poteva sentirlo bene, visto che aveva chiamato mamma una donna che non lo era per davvero. Ma in fondo, come biasimarla, aveva vissuto per così tanto tempo con quelli che erano stati i suoi vicini di casa da aver formato una piccola famiglia.
“D’accordo piccola, vai pure, Jefferson è sul divano ed è sveglio” ora chiamarlo padre sarebbe suonato quasi come uno scherzo.
Paige lo ringraziò ma non aveva mai messo piede in quel posto, dunque Locksley si schiarì la voce per togliersi dall’imbarazzo e le fece segno di seguirlo. Attraversarono il corridoio per poi arrivare nel luogo prestabilito, Jefferson sedeva sul divano tenendo le gambe appoggiate sul tavolino di cristallo. Il braccio ferito era appoggiata all’altezza dello stomaco e gli occhi erano socchiusi, mentre la mano libera sfiorava il labbro inferiore come accadeva sempre quando era intento a riflettere.
“Ci sono visite per te” comunicò Locksley, si sentiva quasi un maggiordomo, cosa che non gli piacque affatto.
Jefferson chinò appena il viso di lato per poter capire di chi si trattasse e quando si accorse della presenza di Paige di alzò in piedi di scatto, troppo velocemente, perché si sentì scivolare indietro verso il divano per la pressione che si era abbassata improvvisamente.
“Sono contento che tu sia qui” le disse in un mezzo sorriso, non sapeva ancora che cosa aspettarsi.
Locksley comprese di non essere gradito quindi si ritirò in cucina dove sarebbe rimasto fin quando la bambina non fosse andata via. Si era deciso a rimanere lì almeno un giorno per controllare che Jefferson non compiesse altre follie, inoltre voleva anche conoscere i dettagli di ciò che era accaduto quella notte, visto che da quando erano tornati a casa non gli era stata quasi rivolta la parola.
“Stai bene papà?” domandò Paige sedendosi accanto a lui e lasciando il coniglietto bianco accanto a lei.
“Mai stato meglio, la ferita è stata ricucita, non era molto profonda” rispose con una certa soddisfazione, non vi era nulla al momento che desiderasse di più dell’attenzione di sua figlia.
La bambina si morse lievemente il labbro inferiore per poi sistemarsi meglio, lisciando la gonna a pieghe per poter coprire le ginocchia.
“Mi dispiace per quello che è successo” sussurrò lei con voce strozzata, avrebbe lasciato scivolare le lacrime se solo non si fosse trattenuta “è colpa mia se ti sei fatto male”.
Jefferson inarcò un sopracciglio e si alzò in piedi più lentamente per poi inginocchiarsi davanti a lei ed afferrarle le mani e stringerle nelle proprie.
“Cosa ti viene in mente? Certo che non è stata colpa tua!” esclamò con un certo stupore “Ruby non è riuscita a controllarsi e…”.
Paige lo fece ammutolire, appoggiandogli l’indice della mano sulle labbra, come anche altre volte era accaduto quando vivevano insieme, era sempre stata lei a farlo ragionare e mai il contrario.
“L’hai cacciata via per questo, vero? Hai scoperto la sua natura da lupo e poi l’hai mandata via di casa” gli occhi non riuscivano più a trattenere le lacrime al tempo stesso la voce si sforzava di non sembrare un piagnucolio infantile e capriccioso “per proteggermi ovviamente”.
Jefferson aggrottò le sopracciglia, rimanendo nella medesima posizione e si limitò ad abbassare solamente la testa per evitare di guardarla negli occhi.
“Non è solo questo il motivo per cui l’ho fatto” rispose in un sussurro.
Paige si coprì il viso per evitare di mostrare a suo padre l’improvvisa debolezza in cui si sentì avvolta, per poi pronunciare miriadi di frasi tutte attaccate l’una all’altra che svelavano una valvola di sfogo che aveva il bisogno di tirare fuori.
“Se non fossi uscita di casa nel cuore della notte Ruby non mi avrebbe trovata e nessuno si sarebbe fatto del male. Perché le hai detto quelle cose, papà? Non è riuscita a controllarsi ma non voleva ferirci, lei non lo farebbe mai, io la conosco!”.
Jefferson si alzò nuovamente in piedi per poi darle le spalle ed iniziare a camminare avanti e indietro davanti al divano su cui sua figlia era ancora seduta, con il volto coperto ed umido di nuove lacrime.
“Tu non la conosci davvero, Paige!” quell’esclamazione fu pronunciata con furia, rabbia e al tempo stesso paura di sfiorare un punto di non ritorno “quando Ruby si trasforma in lupo non ha idea di quel che le accade intorno e il risultato sono feriti, sangue e sofferenza. Non posso permettere che tu stia accanto ad una persona del genere, perciò cerca di dimenticarti di lei!”.
Sembravano parole più rivolte a se stesso che a non a Paige, allontanarsi da Ruby voleva dire mettere in salvo sua figlia da qualunque pericolo, era ciò che aveva sempre fatto e non avrebbe smesso in quel momento per un pallido sentimento che provava per una ragazza del tutto fuori dall’ordinario.
“Ma io le voglio bene” quel sussurro fu una freccia mirata al cuore di Jefferson che si sconficcò con forza “tu lo sai che Ruby non è cattiva. E anche lei ci vuole bene, perché non riesci a capirlo?” questa volta si alzò in piedi anche lei, lasciando il coniglietto da parte, come se all’improvviso fosse cresciuta e non avesse avuto bisogno di altri che di se stessa e della forza che iniziava a tirare fuori.
Jefferson batté con forza una mano sul pianoforte che vi era dietro di lui e chinò lievemente la testa.
“Ruby non può fare parte della nostra vita, è troppo pericoloso Paige” la voce si fece meno forte, meno accentuata.
Paige alzò le braccia come se non sapesse più che cosa dire per convincerlo ad agire in maniera contraria.
“Ti preoccupi sempre degli altri papà, ma non tieni mai conto dei desideri che hanno, così finisci per fare loro del male” rispose prima di sedersi di nuovo sul divano, questa volta afferrando il coniglietto e stringendolo nuovamente tra le braccia.
Locksley era affacciato sulla soglia della stanza, aveva udito tutta la conversazione o quasi, visto che avevano alzato la voce. Sospirò e fece roteare gli occhi al cielo, Paige aveva detto la verità: Jefferson agiva in favore degli altri ma senza ricordarsi dell’esistenza dei loro sentimenti. 








NdA: 

E siamo a due capitoli dalla fine! 
Come sempre ringrazio tutti coloro che seguono, il prossimo aggiornamento tra tre giorni. Grazie! 

 

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Capitolo 16
*** Come back ***


 

XVI

Come back






 


Storybrooke, il sortilegio è stato spezzato

Paige se ne era andata già da un paio d’ore, la madre adottiva era venuta a prenderla per riportarla a casa. Jefferson non riusciva ancora a credere che non avesse scelto lui. In fondo, come biasimarla? Continuava a deluderla e invece di migliorare la situazione non faceva altro che peggiorarla. Si era fatto forza ed era andato da lei per poterla riportare indietro, dopo ventotto anni che la guardava attraverso un telescopio. Il risultato non aveva portato che ad un ulteriore allontanamento e non era certo ciò che desiderava. Locksley fece irruzione, inciampando nei suoi pensieri, con un vassoio d’argento su cui aveva posto due tazze fumanti di tè rosso, che tra l’altro nemmeno amava ma doveva accontentarsi di ciò che vi era in casa. Si sedette sulla poltrona bianca davanti al divano su cui era sdraiato Jefferson con le braccia incrociate, non si era mosso da quella posizione da quando Paige se ne era andata. Sembrava essere in uno stato catatonico.
“Come mai ancora non mi hai insultato?” si risvegliò Jefferson, che ovviamente era presente a se stesso e si limitò a voltare gli occhi verso l’amico.
Locksley fece un sospiro profondo ed appoggiò la tazza di tè sul tavolino di cristallo.
“Paige ha già detto quello che avrei detto io, rimarcare di nuovo il concetto sarebbe deleterio” rispose quasi in tono di sufficienza.
Jefferson poteva notare il modo in cui cercasse di trattenere i commenti per sé, aveva il viso contratto come ogni volta che teneva dentro una ramanzina da indirizzare a chi era in errore.
“Quindi sei d’accordo con lei” provò ad insistere, forse aveva solo bisogno di qualcuno che lo spronasse a ragionare, era piuttosto evidente.
Locksley assaporò il tè lasciandolo scivolare sul palato e subito dopo tirò le labbra in una smorfia di disgusto, immediatamente abbandonò la tazza sul tavolino senza alcun ripensamento.
“Mi pare piuttosto ovvio. Ricordati cosa è successo l’ultima volta che hai cercato di proteggere tua figlia: hai mandato allo sbaraglio una ragazza innocente e sei rimasto incastrato nel Paese delle Meraviglie. Paige è decisamente più intelligente di te, si accontenta dell’ordinario e non va alla ricerca del sensazionale”.
Jefferson sbuffò cercando di mettersi composto, detestava ascoltare parole così mirate nei propri confronti e soprattutto non gli piaceva passare dalla parte del torto.
“Ho solo cercato di darle il meglio, un padre fa questo Locksley, farebbe di tutto per i propri figli” cercò di spiegargli il suo punto di vista.
Locksley si umettò le labbra, gli occhi azzurri divennero improvvisamente spenti e cupi. Le mani si intrecciarono tra loro e le dita tamburellarono sui dorsi.
“Non ho avuto occasione di essere padre, mio figlio è morto [1] prima ancora che lo vedessi crescere. Se potessi cambiare le cose, se potessi riportare in vita la mia famiglia, sia in ricchezza che in povertà non me ne importerebbe. Mi basterebbe avere accanto la donna che ho amato e il figlio che non ho saputo proteggere”.
Tutta la tristezza ed il rancore che aveva covato dentro iniziava ad uscire lentamente, come una tiepida fiamma. La forza d’animo che si era costruito era forte ma non poteva dimenticare ciò che era accaduto in passato. Eppure era riuscito ad andare avanti, senza dimenticare il passato, ma facendo tesoro di ciò che era capitato. Jefferson invece aveva deciso di crogiolarsi nel senso di colpa, nel non essersi dimostrato un buon padre e nell’aver compiuto errori a cui forse avrebbe potuto rimediare. C’era molta differenza tra loro, ed era evidente che Locksley volesse far ragionare l’amico che poteva ancora fare qualcosa per riappropriarsi di una felicità che aveva lasciato alle proprie spalle.
Jefferson infatti non se la sentì di ribattere, ricordava perfettamente il  giorno in cui Locksley aveva cercato rifugio in casa sua dopo l’attacco di Guy di Guisborne e dello Sceriffo di Nottingham alla Foresta di Sherwood.
“Credo che tu non ti renda conto di aver tolto il meglio a tua figlia: un padre che la ama alla follia – direi proprio nel vero senso della parola – e una donna in grado di prendere il posto di sua madre: una famiglia”.
A quelle parole Jefferson non riuscì a resistere e si alzò in piedi di scatto, con una furia incontrollabile che gli dilaniava lo sguardo. Lasciò scivolare il tè a terra quando avvertì un fastidioso formicolio all’altezza del braccio, lì dove era stato azzannato dal lupo.
“Ruby non può far parte della mia famiglia, diamine Locksley, ma non hai ancora capito di cosa è capace?” gli mostrò la ferita come prova di quello che andava dicendo.
L’amico fece roteare gli occhi al cielo e appoggiò entrambe le mani sui braccioli della poltrona, prima di far ricadere la testa da una parte.
“Sai anche tu che non è cosciente durante la trasformazione, invece di allontanarla dovresti aiutarla. Insomma, tu la ami o no?” quella domanda perforò le orecchie di Jefferson come un tuono improvviso, tanto che quasi senza forze si abbandonò sullo sgabello davanti al pianoforte, per poi coprirsi il viso.
“Che razza di domanda è” sussurrò con voce tiepida “certo che la amo. Per ventotto anni ho pensato di poter rimediare all’errore che avevo commesso, di poter ricominciare dall’inizio, ma non volevo. Non volevo che un giorno potesse accadere ciò che stanotte è capitato e trovarmi di nuovo nella condizione di respingerla” confessò con amarezza per poi riprendere fiato e tentare di calmarsi.
Locksley sorrise all’angolo della bocca, finalmente era riuscito ad ammettere a se stesso quello che per tutto il tempo aveva trattenuto per sé.
“Ora ti svelerò un mistero, quindi vedi di fare attenzione. Non si può amare a metà una persona, sarebbe troppo facile apprezzare soltanto i suoi pregi. Devi accettare anche quelli che ti sembrano difetti. Tu ami la parte migliore di Ruby ma respingi quella più ostile per timore che possa nuocere a Paige. Prova ad aiutarla, a starle accanto e vedrai che ogni difettò – se può considerarsi tale – svanirà. Persino tua figlia non ha paura di ciò che Ruby può fare, perché la conosce bene” rispose Locksley mentre si alzava in piedi per recuperare la tazza che era caduta a terra, ora il tappeto profumava di tè rosso.
Si sarebbe dovuto far pagare, sia per il servizio che stava svolgendo a casa, sia per essere diventato il nuovo consulente.
“Le ho detto cose terribili, lei on vorrà neppure guardarmi” schioccò la lingua Jefferson alzandosi in piedi per iniziare a camminare avanti e indietro.
“Allora dimostrale che sei pronto ad accettare ogni lato di lei, fai qualcosa che la riavvicini a te” gli consigliò molto semplicemente, come se fosse la cosa più semplice al mondo. Finì di sistemare le tazze sul vassoio che sollevò per poterlo portare indietro.
Jefferson si inumidì le labbra, completamente avvolto nei suoi pensieri, ad ogni passo si faceva nuova una consapevolezza finché non arrestò di scatto il passo per voltarsi verso di lui.
“Ruby ha bisogno del suo mantello, so per certo che non lo ha. Potrei mettermi alla ricerca di esso e…”
“Certo che i tuoi piani fanno davvero schifo, Jefferson” lo interruppe Locksley, così come era capitato in passato “vuoi addolcirla in questo modo? In fondo sono problemi tuoi, ma non so se funzionerà” ammise.
Jefferson sorrise soddisfatto e Locksley già sapeva che ci sarebbe finito di mezzo, visto che tra i due era lui il ladro e non esisteva cosa al mondo che gli riuscisse meglio di trovare oggetti nascosti.




 
**


 
Graham uscì dalla centrale poco prima di mezzanotte, aveva avuto molto lavoro da fare e in quei giorni non riusciva a darsi pace. Lui e David stavano cercando in ogni modo di riportare indietro Emma e Mary Margaret, ma sembravano ancora lontani dalla soluzione. In contemporanea Regina era ancora in cella, per evitare che qualcuno potesse tentare di farle del male anche se ormai le acque si stavano poco a poco calmando. Locksley era appostato già da qualche tempo dietro ad un albero, per tenere sottocontrollo lo sceriffo che stava salendo in macchina per tornare a casa. Non appena lo vide allontanarsi fece trascorrere un po’ di tempo e poi si apprestò ad avvicinarsi all’ingresso per poter scassinare la porta ed avere il via libera. Strisciò in silenzio nel corridoio buio che conosceva piuttosto bene, visto che Gary lo aveva trascinato lì con la forza dopo che Regina aveva ripreso possesso del cappello. In realtà non desiderava incontrarsi ancora una volta con lei, ma aveva promesso a Jefferson che lo avrebbe aiutato a risolvere la situazione con Ruby. Lui aveva perso la propria famiglia, non combatteva più una moglie ed una figlia che non esistevano. Si era sempre prefissato di fare del bene per gli altri, di rubare ai ricchi per donare ai poveri e aiutare tutti coloro che avevano bisogno di aiuto.
Quando superò la soglia e si ritrovò nella stanza dove aveva trascorso diverso tempo dietro le sbarre, accese l’interruttore della luce. In cella vi era Regina, distesa sul letto, intenta a prendere sonno. Fu quasi accecata da quel bagliore e realizzò l’improvvisata di Locksley che di certo non si aspettava. Nessuno dei due proferì alcuna parola, lui si limitò ad avvicinarsi, trascinando una sedia della scrivania di Graham per portarla davanti alle sbarre e sedersi lì davanti.
“Sei venuto qui per vendicarti?” gli domandò Regina che intanto si era messa a sedere sul letto, osservandolo dall’angolo della cella.
Locksley finse di mordersi le labbra, fingendo una certa agitazione.
“Esattamente vendicarmi per cosa, Regina? Fammi pensare, forse ti stai riferendo a quella volta in cui per poco non mi hai ucciso nel cuore della notte. Eravamo a Sherwood, io stavo aiutando Snow White ad uscire sana e salva dalla Foresta e sapevo esattamente dove si sarebbe diretta alla fine del suo viaggio. Tu ti sei finta una contadinella sfuggita ad un’imboscata e ti ho dato protezione tra i Compari perché potessi darti la possibilità di vivere una vita nuova. Quando ho scoperto la tua vera identità, dopo che non sei riuscita ad ottenere i tuoi scopi, hai provato a farmi fuori. Ho scelto la Principessa e non la Regina Cattiva, volevi togliere di mezzo un valido aiuto alla tua nemica” sogghignò lievemente rimanendo seduto al suo posto “oppure ti riferisci al fatto che mi hai chiuso in gabbia usando Jefferson?” il sorriso tirato si trasformò in un’espressione più cupa e profonda.
Regina increspò le labbra e sospinse gli occhi scuri in quelli di lui, per poterlo guardare senza sentirsi in difficoltà. Aveva trascorso giorni piacevoli in sua compagnia, fingendo di essere ciò che non era. Non amava la vita che gli Allegri Compari conducevano nella Foresta di Sherwood ma aveva imparato i valori che si prefiggevano, nonostante fossero dei fuorilegge. Robin Hood era quasi riuscito a farla rinsavire, portandola sulla retta via, ma all’ultimo si era ricordata della sua reale missione.
“Eri sulla mia strada, dovevo toglierti di mezzo” rispose lei con sicurezza.
Locksley scosse lievemente la testa e si abbandonò sulla sedia, alla ricerca di quello che in realtà voleva sentirsi dire.
“Perché hai continuato a tormentarmi anche qui a Storybrooke?”
Regina si inumidì le labbra e sollevò lievemente le spalle, si ritrovò costretta a mostrarsi sincera, non avendo altre valide scuse.
“Rappresentavi una debolezza, desideravo fartela pagare per non aver scelto me” le sue parole arrivarono alle orecchie di Locksley come una freccia.  
Lui si limitò a corrugare la fronte e a sciogliere le braccia dal petto per piegare la schiena in avanti.
“Potevi avere molto di più della vendetta, Regina. Hai preferito te stessa a ciò che ti ho offerto, io ho solo rispettato i miei ideali” così facendo si alzò in piedi, non voleva più discutere con lei, era lì per un motivo diverso e certo non era il momento adatto per ricordare episodi passati.
“In ogni caso ho bisogno del tuo aiuto: sai dove posso trovare il mantello rosso di Ruby? Avevi il cappello di Jefferson, immagino che tu abbia portato con te altri oggetti di valore” si strinse nelle spalle, come se fosse piuttosto ovvio.
Regina si avvicinò alle sbarre afferrandole lentamente con le mani, aveva promesso ad Henry che sarebbe cambiata, che si sarebbe comportata nel modo migliore, compiendo azioni giuste. Il mantello di Ruby non le serviva e non vi era motivo di tenere la ragazza sotto scacco, forse se fosse venuto Jefferson con quella richiesta gliel’avrebbe negata, ma poiché si trattava di Locksley non poté fare a meno di accontentarlo. In ricordo di ciò che fu per lei a Sherwood, una luce in grado di rischiarare tutta la sua oscurità.
“Si trova nella cripta, non sarà difficile per te riuscire ad entrarvi” sussurrò a mezza voce.
Locksley prese un sospiro di sollievo, dunque aveva sempre avuto ragione. Regina aveva del buono in sé, la donna che aveva conosciuto nella Foresta non era irreale, ciò che le aveva insegnato forse non era andato del tutto perduto.
“Grazie per la collaborazione” così facendo si alzò per poter sistemare la sedia al suo posto ed allontanarsi dalla cella, dandole le spalle.
“Robert” lo chiamò per nome, il coraggio non fu facile da trovare in un momento simile.
Locksley si voltò senza dire nulla, ma le concesse la possibilità di dire altro.
“Niente, volevo solo sapere cosa si provava a pronunciare il tuo nome” non era questo ciò che intendeva dire, ma preferì non permettere a se stessa di spingersi troppo oltre.
“Buonanotte, Regina” sorrise a mezza bocca e poi spense la luce per andare via.




 
**




Erano trascorse già un paio di settimane e la ferita al braccio di Jefferson era migliorata a dismisura, Paige era andata a trovarlo più volte ma non avevano più toccato l’argomento Ruby. Quella sera si ritrovò a camminare verso il porto di Storybrooke, continuava ad esserci freddo e il solo cappotto non bastava a riscaldarlo. Teneva le mani in tasca mentre si avviava verso il ponte dove l’ultima volta aveva incontrato gli occhi di Ruby, umidi di lacrime per ciò che era accaduto. Certo, non si era comportato nel migliore dei modi, mettendola con le spalle al muro e dichiarando la sua mostruosità. Locksley aveva ragione e anche sua figlia, pensare di fare del bene agli altri non equivaleva sempre a compiere la scelta migliore. Nonostante il suo orgoglio fremesse per non sottostare a scuse o a rimpianti, per una volta si sentì in vena di farlo, perché Ruby non meritava parole così ostili. Arrestò il passo nel momento in cui arrivò al limitare del ponte, lì dove l’acqua nera e profonda scivolava sotto i suoi piedi. Prese un gran sospiro e si voltò indietro, quando si rese conto di non essere solo. A distanza da lui vi era Ruby che lo osservava con fare sospetto, ma non osava avvicinarsi. Sorrise lievemente e poi Jefferson tornò a guardare davanti a sé, prima di compiere un salto verso il vuoto che lo avrebbe trascinato nell’abisso. In quel momento si sentì afferrare per il collo del cappotto, erano state le mani calde della ragazza a salvarlo poco prima della fine.
“Che ti è saltato per la testa?” fu la prima cosa che gli disse mentre lo aiutava a tornare su.
Era evidente l’imbarazzo che la ragazza stava provando, era difficile conversare amabilmente con qualcuno che l’aveva definita mostro.
“Nulla di particolare, volevo solo chiarirmi le idee” rispose Jefferson che veniva issato sul ponte per ritrovare l’equilibrio.
Dopo poco si ritrovarono seduti, l’uno accanto all’altra, senza dire una parola. Jefferson teneva ancora le mani nel cappotto e lei lasciava penzolare le gambe in basso, nel vuoto da cui lo aveva appena tirato fuori.
“In modo definitivo?” domandò Ruby stizzita, appoggiò le mani sul legno ed iniziò a mordersi l’interno della guancia.
“Non crederai davvero che mi sia passata per la testa una cosa simile…” le rivolse uno sguardo che lei non volle cogliere, poiché non desiderava incrociare i suoi occhi che l’avrebbero messa a disagio.
“Sarebbe così strano pensarlo? I tuoi modi di fare sono piuttosto eccentrici, perdonami se ho travisato le cose” rispose Ruby con rabbia sempre più crescente, derivata dal fatto di aver provato un improvviso spavento.
Jefferson si limitò a sorridere e tornò a guardare davanti a sé.
“Era solo un modo per farti avvicinare” aggiunse lui per spiegare l’accaduto.
Tutte le sere si era recato al porto con la speranza di incontrarla, non era abbastanza coraggioso da andarla a cercare nella sua tana, dove avrebbe incontrato i suoi ruggenti amici. Preferì che accadesse tutto per caso, di modo che lei l’avesse raggiunto quasi senza volerlo. Aveva avuto pazienza e alla fine ci era riuscito.
“Credevo che sarei dovuta rimanere a distanza da te e da Paige” la voce di Ruby iniziò a tremare e Jefferson se ne accorse perfettamente.
Era difficile, davvero difficile chiedere scusa e tornare sui propri passi. Avvertiva una strana sensazione farsi strada all’altezza del cuore, ancora una volta quella consapevolezza che non era riuscito ad abbandonare.
“E’ quello che volevo, prima di rendermi conto che tu Ruby, sei indispensabile” strinse i pugni delle mani all’interno delle tasche del cappotto, volgendo lo sguardo serio in quello di lei.
Ruby chinò la testa di lato, si sentiva confusa e poco incline a volerlo ascoltare.
“Se è uno dei tuoi scherzi, una delle tue contraddizioni, ti prego di smetterla” sussurrò con voce strozzata, non riusciva più a venire fuori da quella situazione così complicata.
Si sentiva persa in un labirinto privo di uscite, il disegno che Paige le aveva fatto ricevere l’aveva trascinata ancora di più in un vortice che l’avrebbe risucchiata in basso.
“Questa volta sono deciso a non tornare indietro” tirò fuori una mano dal cappotto e la appoggiò dietro di sé per sostenere il peso della schiena inclinata “ho commesso molti errori e non sono stato in grado di comprendere che cosa fosse meglio per te e per Paige. Ti ho rivolto accuse dure e vorrei provare a scusarmi, anche se so che è tardi per farlo”.
Ruby chinò lo sguardo sulle mani che teneva intrecciate e finalmente spinse lo sguardo su di lui, aveva bisogno di guardarlo negli occhi.
“Hai solo detto la verità, una cosa che molti rifuggono” la rabbia che provava era tangibile e nessuno poteva biasimarla per sentirsi in quel modo.
“Non avrei dovuto mandarti via, Ruby. Non hai idea per quanto tempo io abbia cercato di dimenticarti, persino in questi ventotto anni qui a Storybrooke volevo proteggerti da me e da ciò che avrei potuto fare. Invece di aiutarti ho solo peggiorato la situazione e credimi, io so per certo che non sei un mostro. La tua natura è ambivalente ed io a volte sono completamente fuori di testa. Tu hai tentato di starmi accanto, mentre io ti ho respinta perché non ero pronto ad affrontare la dura verità, che sono innamorato di te” non aveva mai avuto occasione di mettersi a confronto davvero con se stesso e lasciare spazio a sentimenti così profondi che aveva combattuto a lungo. Tenerseli stretti non avrebbe avuto più alcun senso.
“Ah, quindi ora non sarei più un mostro?” Ruby portò ad incrociare le braccia.
Jefferson sgranò appena le labbra e sollevò le spalle, piuttosto incredulo.
“Aspetta un attimo. Ho appena detto che sono innamorato di te e l’unica cosa che hai sentito è stata l’offesa che ho ritirato?”.
Ruby parve non voler ascoltare di nuovo e insistette sullo stesso punto.
“Ecco perché non riesco a capirti, perché non fai che contraddirti!”
A quel punto Jefferson si alzò in piedi, quasi al limite della furia e scalciò via un sassolino. Tirò su col naso e aggiunse con voce più tiepida: “E’ incredibile. Per la seconda volta ho detto che ti amo e tu non l’hai sentito”.
Ruby lentamente lo guardò dal basso ma non poteva scorgere il suo viso che sembrava immerso nell’ombra, così si sollevò per poter incontrare i suoi occhi. Un giorno l’aveva definita un mostro, l’altro ritirava tutto ciò che aveva detto ed ora tirava fuori una storia vecchia quanto il loro passato? Si limitò a sorridere, infilando le mani nella tasca del soprabito rosso, prima di iniziare a ridere dolcemente. L’effetto che Jefferson le faceva era diverso da tutti gli altri, non riusciva a rimanere arrabbiata con lui, non era in grado di detestarlo, nonostante ciò che le aveva fatto. Amava ogni suo aspetto e soprattutto quella stranezza che in fondo li rendeva simili.
“Ora mi prendi in giro?” sorrise anche lui, compiendo un passo avanti per coprire la distanza che si era creata.
“Non lo farei mai” inclinò la testa di lato, fingendo un’aria innocente.
Jefferson a quel punto non resistette e le avvolse la vita con un braccio per poi intrecciare le dita dell’altra mano tra i lunghi capelli morbidi di lei, per poterla avvicinare. Conosceva perfettamente il sapore delle sue labbra poiché non lo aveva mai dimenticato, conservandolo in un angolo della sua testa perché non svanisse mai. Ma in quel momento tutto fu diverso, non vi era più nulla a tenerli separati, il desiderio scorreva nel loro sangue e non avrebbero tentato di fuggire l’uno dall’altra. Ruby per poco non sentì cedere le gambe di fronte ad una sensazione così forte, quindi Jefferson si affrettò a sostenerla per impedirle di andare via. Lei gli appoggiò una mano sul viso glabro per trattenerlo, aveva quasi idea che si trattasse di un sogno irrealizzabile, invece era tutto reale e non le sarebbe più sfuggito via. Jefferson le prese la nuca per tenerla ferma, di modo che potesse scivolare dalle sue labbra a quel collo che aveva visto smisurate volte e che aveva desiderato a lungo di sfiorare. Aveva bisogno di lei, di sentire le sue mani sul proprio corpo e di non lasciarla andare mai, non avrebbe più commesso un errore simile, soprattutto ora che l’aveva trovata.
Ruby fu investita da una miriade di emozioni contrastanti, la sé di Storybrooke si sarebbe lasciata andare quasi con voracità, la sé del passato si sarebbe mostrata cauta e forse anche apprensiva.
“Torna a casa da me, Ruby” gli sussurrò lui mentre correva a prenderle una mano, affatto sazio dei baci che avrebbe ancora desiderato avere.
“Come?” si sentì quasi cadere dalle nuvole.
“Sì, hai sentito bene. Riprendiamo da dove ci eravamo fermati, proviamo a ricostruire una vita nuova e se non ti piacerà, non ti obbligherò a restare” per la prima volta in tutta la sua vita ebbe paura di ricevere una risposta negativa.
Dopo l’allontanamento di Paige, aveva timore che anche Ruby potesse fare lo stesso. Rimanere da soli era terribile e lui aveva sofferto grandemente la solitudine per molti, molti anni. Creare una nuova famiglia non sarebbe stato facile ma voleva almeno tentare di provarci, tessendo i fili per una nuova storia più felice, senza inganni e sotterfugi. Storybrooke sarebbe potuta diventare anche una città amabile e la Foresta Incantata avrebbe rappresentato ciò che era: il passato.
Ruby fece un passo indietro per uscire fuori da quell’abbraccio, era accaduto tutto così in fretta che si era semplicemente abbandonata ai suoi desideri senza nemmeno riflettere. Le parole di Belle le tornarono alla mente in modo piuttosto chiaro, quello era il Jefferson che aveva conosciuto e c’era ancora speranza perché potesse uscire fuori dalla sua oscurità. Dunque esisteva davvero, non era stato solo un inganno, si era innamorata della parte migliore di lui ma avrebbe dovuto accettare anche quella più ombrosa. Jefferson aveva fatto un passo avanti, mettendo da parte il pericolo che Ruby poteva rappresentare per sua figlia, dandole fiducia. Insieme sarebbero riusciti ad aiutarsi l’un l’altra e dunque non si sarebbe tirata indietro, non ora che era convinta dei suoi sentimenti.
“Non c’è nulla al mondo che vorrei di più”.
 






Note:

[1] No, povero Roland. Quando ho scritto questa storia la terza stagione non era ancora iniziata e non avevo idea di che fine avessero fatto Marianne e il bambino, quindi ho dato questa interpretazione. 





// NdA: 

Salve! Ed eccoci qui con il penultimo capitolo. Mercoledì o giovedì pubblicherò l'ultimo. Come potete vedere molte cose non corrispondono alla serie, soprattutto per quel che riguarda il mantello di Ruby e la storia di Robin e Regina, avendo scritto questa ff molto prima dell'inizio della terza stagione. 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, alla prossima! 

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Capitolo 17
*** All's well that ends well ***


XVII 

All's well that ends well 





 


Le mani correvano lungo la schiena di lei per assaporare ogni centimetro della sua pelle, il profumo dei suoi capelli era inebriante e la visione del suo collo appena scoperto lo faceva impazzire. Lo percorse con le labbra, sfiorandone ogni punto mentre avvertiva il corpo di Ruby incastrato tra lui e la porta che non accennava ad aprire. Non riusciva a tornare lucido in un momento simile, corse a sbottonarle il soprabito per far scivolare il tocco delle mani sui suoi fianchi, avvicinando il bacino a sé e facendole inarcare la schiena. Ruby aveva appoggiato la testa alla porta così da alzare il mento, Jefferson ne approfittò per baciarla ancora lì fino ad arrivare alla clavicola che aveva scoperto dopo aver fatto saltare i primi bottoni della camicia. Ruby non riusciva più a pensare a nulla se non al desiderio che iniziava a crescere sempre di più dentro di lei, avvertiva un formicolio lungo tutte le braccia, erano brividi di un piacere che ancora non si era presentato.
“Entriamo, c’è freddo” sussurrò lei come scusa per non rimanere ancora sulla soglia della porta.
Jefferson si sentì tirare via all’improvviso dalla sensazione del calore del suo corpo e senza farselo ripetere andò a cercare le chiavi nella tasca del cappotto, non appena le trovò fece scattare la serratura e spinse Ruby all’interno, richiudendo la porta dietro di sé.
La ragazza sciolse il soprabito facendolo cadere a terra, l’incavo del seno si intravedeva appena e Jefferson non vedeva l’ora di strapparle via l’indumento di dosso. Non appena fece un passo avanti lei si ritirò, indietreggiando per condurlo fino al salotto dove tempo prima era stata addormentata con un sonnifero.
“Questa volta non vuoi farmi addormentare, vero?” sorrise lei maliziosamente.
“Non ci penso proprio” rispose lui coprendo finalmente quella distanza che gli stava togliendo il respiro.
Una volta raggiunta la trascinò verso il pianoforte e la sollevò per farla sedere sulla cassa, sollevandole le gambe perché potesse avvinghiarsi intorno ai fianchi di lui.
Ruby lo attirò a sé per togliere quell’ingombrante maglione e gettarlo a terra, prima di sfiorare la pelle fredda del torace che iniziò a riscaldare con tiepidi baci. Lui intanto non perse tempo e le sbottonò velocemente i pantaloni di pelle iniziando a sfilarglieli lentamente, sfiorando le gambe dalle cosce fino alle caviglie, una cosa che aveva avuto occasione di fare già in passato. Risalì con spropositata calma, quasi esasperante, finché non le strappò del tutto gli ultimi bottoni della camicia che lasciò ricadere dietro di lei. Portò una mano sotto al collo di Ruby perché potesse spingerla indietro, di rimando inarcò la schiena mentre lui affondava il viso tra i suoi seni, dopo averli liberati dal reggiseno nero che scaraventò anch’esso in lontananza. Quel gesto provocò in lei ansiti profondi, sensazioni come quelle non le aveva provate nemmeno con il Dottor Whale, nonostante avesse trascorso notti piuttosto interessanti insieme a lui. Subito dopo Jefferson la fece tornare composta e le strinse di nuovo le gambe intorno ai fianchi per poterla sollevare da lì e si incamminò verso la camera da letto, percorrendo il lungo corridoio che sembrava non avere mai fine. Quando finalmente giunsero al luogo prestabilito, chiusero la porta per lasciare fuori ogni pensiero negativo, ogni sorta di rammarico o di rancore, perché il tutto potesse diventare uno.
Jefferson e Ruby avevano creato un piccolo universo proprio in cui per una volta esclusero il resto, nessuno in quel momento avrebbe potuto scuoterli o farli destare da quello che per tanto tempo era stato solo un sogno.
Non erano stati solo il Cappellaio e Red Hood a diventare una cosa sola, anche ciò che erano diventati riuscirono ad incontrarsi e a muoversi allo stesso tempo. Avrebbero imparato ad amarsi come non erano riusciti a fare prima, accettando ciò un tempo non erano riusciti ad apprezzare.
Il resto della notte trascorse dolcemente, già una volta avevano condiviso lo stesso letto ma mai come in quel modo. Ruby si era addormentata con le guance arrossate sul torace di lui che la ospitava con cura, avvolgendola con un braccio di modo che non potesse andare via. La gamba di lei era incastrata tra quelle di Jefferson, così da non sentire freddo, nonostante le lenzuola fossero tirate fin sopra per coprirli entrambi.
Jefferson rimase a guardarla a lungo, non riusciva a prendere ancora sonno. Di tanto in tanto le sfiorava il viso per spostarle i capelli da una parte e guardarla come se fosse stata la prima volta. Bella da impazzire. Locksley avrebbe riso di fronte a quel pensiero, visto che era proprio vero. L’aveva quasi mandato ai matti in quei ventotto anni e anche dopo ci era mancato poco che non impazzisse seriamente. Non l’avrebbe lasciata andare facilmente, lei era riuscita a trovarlo e nessuno si sarebbe potuto più frapporre sulla loro strada. Poco a poco chiuse le palpebre per sprofondare in un sonno lungo e piacevole, era talmente tanto tempo che non riusciva a dormire in quel modo, quasi non gli sembrò vero quando si risvegliò riposato e senza occhiaie.
La luce del sole filtrava dalla finestra finendo per sfiorare la guancia di Ruby rivolta da quella parte, la sensazione improvvisa di calore la fece uscire dal sogno che stava facendo e si ritrovò in un letto che non era suo. Si rese conto di non indossare abiti e un improvviso brivido di freddo corse dietro la schiena, le membra erano indolenzite ma si fece scappare un sorriso quando ricordò che cosa era accaduta la notte prima. Sollevò il lenzuolo per potersi coprire meglio dopo che si mise seduta con la schiena appoggiata indietro,  accanto a sé però non trovò nessuno. Che Jefferson fosse andato via? Per un attimo provò un moto di preoccupazione che fu presto eliminato nel momento in cui si avvide di lui che entrò nella stanza portando con sé un vassoio su cui erano stati preparati dei biscotti e del tè.
“A cosa è dovuto quel cipiglio?” sorrise lui mentre si apprestava ad avvicinarsi per sedersi sul bordo del letto e appoggiare il vassoio sulle gambe di lei, facendo in modo che l’equilibrio fosse perfetto.
“Non avrai pensato che me ne fossi andato via…” l’aveva letto sul suo viso preoccupato.
“Mi hai piacevolmente stupita” ricambiò quel sorriso come sapeva fare, prima di spostare lo sguardo sul vassoio “non cambi mai le tue abitudini, continui a bere soltanto tè rosso”.
Jefferson andò a sedersi dall’altra parte, indossava solo un paio di pantaloni scuri che doveva aver recuperato da qualche parte, visto che erano volati via in preda all’euforia di quella notte.
“Sai che apprezzo più l’ordinario. Ho vissuto per così tanto tempo nello straordinario che non ne posso più di comportamenti strambi ed eccentrici” rivelò prima di incrociare le mani e sistemarle dietro la nuca.
Ruby sorrise a mezza bocca, se ciò che aveva letto sul Paese delle Meraviglie era vero, doveva esser stato terribile vivere per così tanto tempo in una condizione simile. Ma ci sarebbe stata occasione di parlare anche di quello.
“Da che pulpito” lo stuzzicò con un certo divertimento prima di iniziare ad assaggiare i biscotti caldi che assaporò con gusto.
“Ruby…” sussurrò lui, come colto da un’improvvisa illuminazione.
“Sì?” rispose lei voltandosi dalla sua parte con la bocca ancora piena, aveva appena assunto un’espressione buffa.
“Temo che Paige non si unirà a noi” quella confessione gli provocò una stretta al cuore e aveva bisogno di parlarne con lei.
“Che intendi dire?” per poco lei non si strozzò e fu costretta a battere piccoli pugni sul petto per tornare a respirare.
Jefferson si inumidì le labbra, riportando le braccia in avanti per poi stendersi di lato  sul letto e sollevare la testa con una mano.
“Ha scelto la sua nuova famiglia, voleva che le dimostrassi di poter cambiare ma ogni tentativo che ho fatto non ha che peggiorato la situazione. Desidera rimanere con i suoi genitori adottivi”.
Ruby non riusciva quasi a credere alle proprie orecchie, Paige stravedeva per suo padre e non c’era persona al mondo che amasse di più. Sospirò e tirò in basso le spalle, prima di prendere la tazza di tè e portarla alle labbra, tamburellandovi sopra le dita.
“Non credo sia davvero così, piuttosto penso che lo abbia fatto solo per spronarti a prendere la strada giusta. Devi solo avere un po’ di pazienza, lei capirà e tornerà da te” rassicurarlo era difficile e soprattutto farlo ragionare era ancora più difficile.
“E’ quello che spero, detesto non poterla avere accanto” fu solo allora che gli tornò alla mente una cosa decisamente importante, quindi si alzò freneticamente ed uscì dalla stanza quasi correndo.
Ruby inarcò un sopracciglio, guardandolo andare via senza comprendere, ma in fondo si sarebbe dovuta abituare a quei comportamenti così incomprensibili. Non la fece attendere molto perché non appena tornò le mostrò una busta piuttosto grande che lasciò proprio al lato del letto.
“Volevo dartelo prima di scusarmi con te, come scusa per avvicinarti. Ma ho preferito fare un passo in più, non mi andava di usarlo come capro espiatorio” sorrise a mezza bocca.
Ruby appoggiò la tazza ormai vuota sul vassoio che spostò sul comodino, poi afferrò la busta e la sistemò sul letto.
“Un regalo per addolcirmi?” si ammutolì all’istante quando si rese conto che all’interno vi era il mantello, il suo mantello rosso che aveva cercato per così tanto da essersi arresa all’idea di ritrovarlo.
“Dove lo hai trovato?” gli domandò quasi balbettando mentre se lo portava accanto.
Le spiegò brevemente di come Locksley avesse strappato quell’informazione a Regina, gli aveva chiesto di recuperarlo così da ottenere un mezzo importante per il controllo del lupo.
“Se te lo avessi portato prima avresti potuto credere che desideravo proteggermi dalla tua natura, invece l’ho accettata, mantello o meno” aggiunse perché potesse essere certa delle sue parole.
Ruby non riuscì a smettere di sorridere, abbandonò il mantello da una parte e si spinse verso di lui per farlo ricadere sul materasso, incastrandolo sotto di lei.
“Così come io ho messo da parte il mio orgoglio, concedendoti di potermi dimostrare che il tuo cuore non è avvolto completamente dall’oscurità” dunque andò a baciare il sorriso divertito di lui, sprofondando in un abbraccio da cui non si separarono a lungo, visto che lo avevano desiderato per così tanto tempo.




 
**




Il campanello suonò all’ingresso per ben due volte di seguito, ormai era già qualche giorno che Ruby si era trasferita a casa di Jefferson, come avevano deciso di fare. Nulla poteva andare storto, persino Emma e Mary Margaret avevano trovato un modo per far ritorno a Storybrooke e tutto sembrava esser tornato alla normalità, ognuno avrebbe potuto ricominciare dall’inizio.
Jefferson andò alla porta per poter aprire e si ritrovò davanti alla figura di Locksley che teneva una mano sulla spalla di Paige, la quale aveva i lunghi capelli castani legati in una coda alta. Le aveva sempre detto di tirarseli indietro per scoprire il viso dolce e libero dalle ombre. Provò un tuffo al cuore nel rincontrare sua figlia che non era più andato a trovarlo dopo l’ultima volta che avevano discusso. Non sapeva nemmeno come comportarsi, poiché lei avrebbe potuto provare fastidio anche per un solo abbraccio. Si schiarì la voce e tentò di dire qualcosa, ma fu Locksley a parlare.
“Visto che dovevo venire qui per pranzo ho pensato che Paige potesse accompagnarmi” spiegò la situazione.
La bambina aveva gli occhi rivolti in basso, Jefferson comprese che non dovesse sentirsi a suo agio, dunque fece il possibile per alleggerire l’atmosfera.
“Certamente, entrate pure. Ruby sta per sfornare la torta di mele, siete arrivati giusto in tempo”.
“Ruby è qui? E prepara… una torta?” la voce di Paige si fece squillante insieme all’espressione del viso che si schiarì improvvisamente.
Jefferson annuì, non sapeva ancora come avrebbe preso quella notizia e cercò di comunicarla nella maniera più dolce possibile.
“E’ venuta a vivere qui, avevi ragione tu Paige. Ho capito cosa è meglio per me e soprattutto cosa è meglio per noi” lo aggiunse con tono colmo di speranza.
Locksley cacciò le mani in tasca mentre si avviavano tutti e tre verso la cucina, non era un caso che avesse deciso di andarla a prendere, desiderava farle vedere come suo padre era riuscito a cambiare, anche per lei.
“Davvero papà? Non credi più che sia un pericolo? Tu le vuoi bene?” la raffica di domande arrivò in fretta sciogliendo tutta la tensione che si era creata.
A quel punto Locksley preferì allontanarsi dai due per recarsi in cucina e salutare Ruby, Jefferson gli doveva di sicuro un favore per tutto ciò che aveva fatto per lui.
“Le voglio molto bene, Paige. Così come lo voglio a te” si chinò in ginocchio per poterle sfiorare le guance e guardarla negli occhi “ho commesso tanti errori e non ho mai preso la strada giusta. Ma questa volta è diverso, so a cosa tengo davvero, desidero ogni bene per te e Ruby” non ebbe quasi modo di terminare quella frase che Paige si gettò tra le sue braccia, nascondendo il viso sulla sua spalla.
Tremava per quella felicità che non si aspettava di poter provare, Jefferson la sollevò per stringerla con forza a sé, baciandola sulla guancia come un tempo faceva sempre.
“Allora è vero che sei cambiato papà, è vero che ci vuoi bene” sussurrò continuando a nascondersi nel suo abbraccio “credevo che non avresti mai capito ed io volevo tanto tornare qui!” esclamò con forza.
Jefferson fu costretto a trattenere le lacrime che ricacciò indietro, nonostante gli occhi fossero diventati umidi e iniziassero a bruciare appena.
“Puoi farlo se vuoi, io e Ruby saremo la tua famiglia”.
“Lo siete sempre stati, papà” confessò Paige iniziando a distaccarsi da lui per poterlo guardare in viso.
Non aveva idea di quanto le fosse mancato, sia alla Foresta Incantata che a Storybrooke dopo che il sortilegio era stato spezzato. Era stata dura per lei rimanerle lontano, ma aveva preso la decisione di metterlo alla prova, solo perché potesse capire quale fosse la cosa giusta da fare e non aveva dubbi che alla fine suo padre ci sarebbe arrivato.
“Allora, ti andrebbe di rimanere qui?” gli occhi di Jefferson furono puntati in quelli di lei con forza, forse anche in modo eccessivo ma agognavano una risposta positiva.
Paige finse di valutare l’idea per qualche istante ma poi annuì vigorosamente e scoppiò a ridere per la felicità.
Ruby a quel punto si affacciò dalla stanza della cucina, aveva lasciato Locksley ad occuparsi della torta messa a riscaldarsi nel forno. Quando Paige la vide la scrutò a lungo, come a volerla studiare, poi corse verso di lei per poterla abbracciare. Ruby le appoggiò una mano sulla testa e l’altra sotto il mento per poterglielo alzare.
“Hai mantenuto la promessa, sei tornata” sospirò Paige iniziando a giocare con le ciocche dei suoi capelli.
Ruby si strinse nelle spalle e tornò in piedi.
“Non potevo rimanere lontana da te e da tuo padre troppo a lungo”.
Jefferson si unì a loro e le trascinò verso la cucina scherzosamente per poter dare inizio al pranzo che equivaleva ad una nuova vita. Non sarebbero tornati alla Foresta Incantata, di certo ormai non vi era alcuna speranza, ma la disperazione non li avrebbe avvolti. Locksley si sentì lievemente a disagio in quella situazione e dichiarò di voler andare via, si scusò dicendo di avere alcune questioni da risolvere e si avviò all’uscita della cucina per poter abbandonare alle spalle quel quadretto familiare che lo toccò profondamente. Jefferson però lo seguì e lo fermò.
“Perché non rimani?”
“Non ho nulla da fare qui, tu hai riavuto la tua famiglia, sarei solo una stonatura” sorrise a mezza bocca.
Jefferson roteò gli occhi al cielo e gli circondò le spalle con un braccio.
“Smettila di fare il melodrammatico, anche gli amici fanno parte della famiglia e senza il tuo aiuto non avrei avuto indietro la mia. Quindi rilassati e rimani con noi per pranzo, altrimenti stasera andrai a letto senza cena” disse in modo perentorio Jefferson che riportò l’amico in cucina.
Locksley si arrese e per quella volta decise di fare uno strappo alla regola, in fondo sentiva anche lui il bisogno di essere circondato da un tipo di amore che non aveva avuto modo di provare. Jefferson e Ruby impararono a conoscersi l’un l’altra, senza sapere in realtà che avevano già toccato le proprie anime così a fondo da aver creato un legame forte ed indistruttibile. Paige andò via dalla casa dei genitori adottivi, aveva ritrovato finalmente la sua famiglia.
In fondo, tutto è bene quel che finisce bene. 










// NdA: 

Ed eccoci alla conclusione.
Devo dire che è stato un vero e proprio azzardo costruire una long su una coppia così particolare e strana, ma il tentativo non mi è dispiaciuto e spero che sia piaciuta ai lettori. 
Ringrazio chi ha seguito dall'inizio alla fine ;). 

Yoan 

 

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