The Book Of Hell di mieledarancio (/viewuser.php?uid=37478)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The story begins ***
Capitolo 2: *** Not dead ***
Capitolo 3: *** Traps and books ***
Capitolo 4: *** Ghosts from the past ***
Capitolo 5: *** Underground ***
Capitolo 6: *** Alone ***
Capitolo 1 *** The story begins ***
The
Book Of Hell
01. The story begins
La luce del sole filtrava luminosa tra le imposte delle
finestre.
Era una bella giornata soleggiata, serena, una delle prime giornate di
primavera di quell'anno.
Bill sedeva comodo sul sofà, con in mano un libro dalla
copertina di cartone nero, abbastanza spesso, aperto su una delle
ultime pagine. Erano quasi quattro giorni che passava le sue giornate
così, leggendo con dedizione e quasi con
maniacalità quel
libro per lui così prezioso. L'aveva attirato subito, sin
dall'inizio, e, una volta iniziata la prima pagina, non aveva
più potuto far a meno di quella storia.
Gli occhi del ragazzo erano concentrati sulle parole nere, scritte sul
bianco del foglio.
Solo poche pagine...
poche pagine e saprò come va a finire. Voglio conoscere la
soluzione del mistero pensava, mentre teneva lo sguardo
incollato al libro, la fronte corrucciata per lo sforzo della
concentrazione.
Era arrivato ad un punto cruciale del racconto.
"Arrivò
alla porta. Era socchiusa, solo una scia luminosa illuminava il lugubre
e buio corridoio nero che stava attraversando. Camminava con estrema
lentezza, la paura gli aveva invaso tutto il corpo. Ogni osso, ogni
muscolo, ogni centimetro di pelle era invaso dai brividi. Il viso
sudato e sporco, il terrore di arrivare a quella porta e di aprirla
completamente. Da una parte, voleva aprirla; dall'altra, voleva
soltanto scappare. Ma non poteva farlo. Ormai il mostro gli aveva
già portato via tutto quello che aveva di più
caro al
mondo, non aveva niente da perdere. Se fosse riuscito nell'intento,
avrebbe ottenuto vendetta e sollievo; ma, se così non fosse
stato, avrebbe comunque raggiunto felice le persone che aveva perso.
Ecco, era arrivato alla
porta. Le
diede una leggera spinta. Strinse convulsamente la pistola che aveva in
mano, pronto ad affrontare il peggio. Dopo poco, una scena spaventosa
si aprì davanti ai suoi occhi. Cercò di non
tremare, ma
era praticamente impossibile, perché davanti a lui c'era la
cosa
più spaventosa che avesse mai visto."
«In piedi, bell'addormentato! È ora di darsi da
fare!».
Preso alla sprovvista da quell'urlo così potente, Bill fece
un
balzo di due metri, saltando via dal sofà e tirando in aria
il
libro che stava leggendo. Atterrò sul pavimento con il
fondoschiena, facendosi male ad un gomito.
«Che dolore!», urlò con voce sofferente
e con gli
occhi serrati, mentre si massaggiava il punto ammaccato e dolorante.
A pochi passi di distanza da dove era caduto, qualcuno stava ridendo a
crepapelle. Bill aprì gli occhi e alzò la testa:
Tom, il
suo gemello, era crollato sul sofà e ci stava rotolando
sopra
con le lacrime agli occhi, tenendosi la pancia con le mani.
«Scemo! Mi hai fatto prendere un colpo!», lo
rimproverò arrabbiato Bill, rimettendosi in piedi e
raccogliendo
il libro che aveva lanciato via.
«È stato spassosissimo, avresti dovuto vedere che
salto!».
Tom continuava imperterrito a ridere, senza dar peso all'espressione
offesa del fratello. Soltanto dopo un minuto intero passato a ridere
riuscì finalmente a ricontrollarsi.
«Senti, scansafatiche, David vuole che tu venga in studio per
continuare a registrare le nuove canzoni. Dobbiamo metterci al lavoro,
manca poco tempo all'uscita prevista per il nuovo album. E per questo
motivo, mio caro, sei costretto ad abbandonare per un po' quel
libricino che ormai leggi senza sosta. Il lavoro chiama».
Detto questo, afferrò il fratello per un braccio e lo
trascinò fuori dalla stanza con malagrazia.
«Ma io devo finire di leggere!»,
protestò Bill, opponendo resistenza.
«La lettura può aspettare, l'album e i fan
no».
E così entrambi si avviarono verso lo studio di
registrazione.
Erano passate quasi due ore da quando avevano iniziato a registrare e
la sera era già arrivata da un pezzo.
L'album era quasi pronto. Bill cantava con la stessa
intensità
di sempre e Tom, Gustav e Georg lo accompagnavano con i loro strumenti,
mettendoci sempre più impegno ad ogni canzone che
registravano.
Ad un certo punto, il loro manager, David Jost, batté le
mani e
fece segno di chiudere tutto e di andare ognuno per conto proprio.
«Ragazzi, per oggi può bastare. Avete fatto un
gran bel
lavoro, complimenti».
«Grazie», risposero loro con un sorriso stanco.
Tutti quanti misero via i loro strumenti, si prepararono e, dopo aver
salutato tutto il loro staff, si diressero insieme verso l'uscita.
David, però, li raggiunse, trattenendoli ancora.
«Mi ero
dimenticato di dirvi che domani mattina dobbiamo andare a girare il
vostro nuovo video».
Gustav lo guardò curioso. «Beh, avresti potuto
avvertirci
un po' prima. Comunque, che tipo di video sarà?».
«Uno di quelli lugubri e inquietanti, un po' oscuri. Andremo
in
una casa abbandonata in campagna, credo. Sarà un'esperienza
totalmente nuova per voi, per questo penso che sia molto interessante
da provare», disse il manager con gli occhi che brillavano
per
l'emozione.
«A volte fai paura, David», scherzò Tom,
mentre
spingeva la porta per uscire. «Ci vediamo domattina, allora.
Buonanotte».
«Buonanotte. E riposatevi bene stanotte, perché
domani vi
voglio in forma», gli raccomandò David con voce
severa.
I ragazzi annuirono col capo e, finalmente, ognuno poté
ritirarsi nella propria stanza.
La mattina seguente, tutti quanti si riunirono in un punto preciso
dell'albergo, pronti per partire insieme verso la meta per girare il
video. Durante il tragitto in macchina, Bill tirò fuori dal
suo
grande borsone, da cui non si separava quasi mai, il libro nero che
doveva ancora finire di leggere. La sera prima si era sentito troppo
stanco per
poter leggere anche solo una pagina, quindi aveva pensato di portarselo
dietro per farlo nei momenti liberi.
«Ancora con quel libro? Ma non ti stanchi mai di
leggerlo?», gli chiese Tom, guardandolo scettico e annoiato.
Il fratello corrugò la fronte e gli fece la linguaccia.
«No, non mi stanco mai. E poi non l'ho ancora finito, per
ciò me lo porto dietro».
Gustav, che sedeva di fianco a Bill, gli si avvicinò un po'
di
più per osservare meglio il libro. «"The Book Of
Hell"...
È un horror? Di che cosa tratta?», chiese
incuriosito.
Bill gli sorrise, felice che almeno qualcuno si interessasse come lui
ai libri. «Parla di un gruppo di
amici che entra in una casa maledetta e da quel momento cominciano a
succedere un sacco di avvenimenti strani; molti di loro scompaiono,
alcuni muoiono, ma il protagonista rimane sempre intatto e cerca di
scoprire quale mistero si nasconde in quella casa».
«La solita storia della casa stregata, quindi»,
disse Georg, un tantino deluso dalla trama del libro.
«Può sembrare così, ma è
interessante vedere come si evolve la storia. Succedono cose pazzesche,
che ti tengono attaccato al libro e ti danno la sensazione di essere
dentro la storia. E poi c'è questo mistero da svelare che ti
prende ancora di più, ti fa proprio venir voglia di leggere
fino
alla fine per scoprire la soluzione. Io, purtroppo, non sono ancora
arrivato alla fine, non so ancora niente».
Bill parlava con un entusiasmo da far paura: quel libro lo aveva
letteralmente stregato in tutti i sensi.
Tom, seduto accanto a Georg, sbuffò annoiato.
«Sai, Bill,
non ti farebbe male leggere un bel porno, qualche volta».
«Tom!».
Dopo qualche minuto, arrivarono a destinazione. Scesero dalla macchina
e osservarono la scena che si stagliava davanti ai loro occhi: una casa
scura, una specie di catapecchia distrutta, in mezzo ad una desolazione
totale; l'erba intorno era poca e secca, il terreno molto fangoso. La
casa era molto grande, ma quasi completamente distrutta. Sembrava che
fosse stata bruciata da poco tempo.
«Ma chi ci abitava qui?», domandò Gustav
a David.
«Sembra che vent'anni fa ci abitasse uno scrittore di grande
fama
a quei tempi. Ci viveva con la moglie e le tre figlie. Era abbastanza
ricco, lui e la sua famiglia non se la passavano di certo
male,
ma, a quanto pare, qualcuno ce l'aveva con lui: una notte, qualcuno
è entrato in casa e ha ammazzato la moglie e le figlie. Lui
sembra che sia sopravvissuto, ma qualche tempo dopo si è
suicidato per il dolore della perdita».
«Come si è suicidato?».
«Rinchiudendosi in una stanza e dando fuoco alla casa. Questa
è la prima ipotesi, altri invece suppongono che fosse solo
impazzito e che, preso da un raptus improvviso, uccise tutta la sua
famiglia, bruciando poi la casa e suicidandosi».
Tom sbarrò gli occhi e inarcò un sopracciglio.
«Che storia carina», commentò sarcastico.
«E per quale motivo credevano che fosse pazzo?»,
domandò ancora Gustav.
«Per le sue storie, che erano troppo... strane. Solo un pazzo
poteva pensare di scrivere certe cose. Ho sentito dire che delle
persone, dopo aver letto i suoi libri, erano impazzite,
perché il
libro gli aveva rovinato la salute mentale. Erano libri che rovinavano
a
livello psichico la gente. Sembra anche che, poco prima di morire,
stesse lavorando ad un horror particolare e diverso dagli altri. Ma,
quando la casa è stata bruciata, nessuno ha più
trovato
niente. Però, a mio parere, queste sono tutte dicerie.
Comunque
sia, questa casa non è più stata abitata da
allora. Molti
dicono che sia infestata dagli spiriti della famiglia, ma sono sempre
le solite storie che la gente inventa per divertirsi a spaventare gli
altri. Sono sicuro che qui verrà fuori un bel video. Diamoci
da
fare», esclamò con entusiasmo il manager.
Bill, intanto, aveva incominciato a tremare. Aveva gli occhi spalancati
e il viso spaventato.
«Tutto bene?», gli domandò Tom,
avvicinandosi di poco.
Il fratello scosse la testa. «Io non ci entro lì
dentro», mormorò con voce roca.
Tom alzò gli occhi al cielo e lo afferrò per un
braccio,
cominciando a trascinarlo via. «Bill, tu leggi troppe storie
dell'orrore. Adesso vieni con noi e cominciamo a girare quel video.
Muoviti».
Bill non oppose resistenza e non replicò, ma, quando
arrivarono
sulla soglia della porta cigolante della casa, esitò un
istante,
prima di entrare. Lo staff e i suoi compagni erano già
entrati
dentro, mancava solo lui.
Il cielo in quel momento si stava facendo plumbeo, più
grigio e nuvoloso.
Strano, prima c'era il
sole pensò Bill.
Dopo poco, si decise a varcare la porta, ma, nello stesso momento in
cui mise il primo piede dentro, un fulmine squarciò il cielo
scuro. Forte, un rombo quasi assordante. Il cantante
sobbalzò,
spaventato a morte. Il libro che aveva dentro il borsone
saltò
improvvisamente fuori, cadendo sul pavimento, e si aprì
sulle
prime pagine. Il moro lo guardò perplesso, mentre si teneva
una
mano sul cuore e respirava affannosamente.
«Bill, ti decidi ad entrare?», lo chiamò
Tom a qualche metro di distanza da lui.
Bill entrò del tutto dentro la casa, raccolse il libro e lo
rimise dentro il borsone. Fece qualche passo in avanti, ma un rumore
improvviso lo fece sobbalzare di nuovo: la porta alle sue spalle si
chiuse improvvisamente, da sola, con una rapidità
impressionante.
«Ma che fai? Non c'è bisogno di sbattere
così la
porta», lo ammonì il fratello, che, stanco di
aspettare,
lo aveva raggiunto.
Bill aveva il volto pallido e i muscoli tesi in una maniera assurda.
«Tom, io non... non l'ho neanche toccata», disse al
fratello con voce tremante e balbettando.
Tom sembrava non notare la paura del gemello, così fece
spallucce e lo spinse verso lo staff, che nel frattempo si era
già spostato in un'altra stanza della casa.
«Sarà
stato il vento. A quanto pare, sembra che stia arrivando un bel
temporale. Ma adesso andiamo, abbiamo già perso abbastanza
tempo».
E così dicendo, si avviarono insieme verso il resto del
gruppo.
L'interno della casa era spaventoso e alquanto lugubre. Sembrava che
fosse già notte lì dentro. Era pieno di topi e
ragnatele
in ogni angolo, puzzava di bruciato ed era inquietante. Molto
inquietante.
Bill, mentre si guardava attorno e continuava a camminare sul pavimento
di legno scricchiolante, si avvicinò ancor più al
fratello e gli strinse un braccio per farsi almeno un po' di coraggio. Questa sarà senza
ombra di dubbio una delle giornate più lunghe e brutte della
mia vita.
La casa era
immensa, c'era davvero il rischio di perdersi
lì
dentro. Rampe di scale ovunque, porte cigolanti per almeno una
quarantina di stanze. Sarebbe potuta sembrare una reggia degna di un
re, se solo non fosse stata così lugubre e buia. Nel
silenzio si
riusciva a sentire lo squittio dei topi che correvano veloci sul
pavimento di legno marcio, che ad ogni singolo passo scricchiolava
sotto ai piedi. Bisognava essere sempre pronti a schivare le ragnatele
che pendevano dal soffitto e che legavano ogni mobile andato in pezzi.
La pioggia, i tuoni e i lampi fuori rendevano la casa ancora
più
inquietante.
Bill e Tom, rimasti indietro, ci misero un
po' prima di ritrovare il resto dello staff. Bill continuava a tremare,
spaventato non solo dalla tempesta che impazzava fuori dalla
catapecchia, ma anche da tutto quello che lo circondava. Il libro nero
che teneva nel suo borsone sembrava tremare con lui, ma non di paura.
Tom, a differenza del gemello, sembrava tranquillo e del tutto
disinteressato da quella casa. Il suo unico scopo era quello di finire
di girare il prima possibile il nuovo video musicale e tornare in
albergo.
«Tom... il libro si muove», sussurrò
piano Bill,
avvicinandosi all'orecchio del fratello, mentre continuavano a
seguire gli altri compagni.
Tom inarcò un sopracciglio e
girò la testa verso Bill, guardandolo storto.
«Davvero. Sento
che qualcosa sta tremando dentro il borsone», insistette
ancora il
ragazzo moro.
Aveva gli occhi sbarrati, era estremamente pallido in
volto e faticava a muoversi da quanto era pietrificato dalla paura.
Tom
si lasciò scappare una risatina divertita.
«Secondo me,
qualcuno
ti sta chiamando al cellulare, che tu hai messo silenzioso. Ecco
cosa trema».
Bill, offeso dalla battuta del fratello,
aprì la cerniera del borsone e tirò fuori il
libro,
mostrandolo a Tom. Ma non c'era nulla di strano. Era sempre il solito
libro dalla copertina nera, perfettamente immobile e senza alcuna
traccia di anomalie.
Tom ricominciò a ridere. «Oh
sì, guarda come trema! Tienilo ben stretto, altrimenti fra
un
po' mette insieme le gambe e comincia a correre per la
casa!»,
continuava
a ridere il gemello.
Bill non diede retta a quelle parole,
piuttosto si fermò a guardare incerto il libro che teneva
fra le mani. Eppure mi
era sembrato
che...
«Ragazzi, dobbiamo iniziare le riprese,
altrimenti si farà troppo tardi!».
La voce di David si fece
sentire
improvvisamente dall'interno di una stanza molto ampia, poco distante
dai due gemelli.
«Arriviamo subito», gli rispose pronto Tom,
accelerando il passo.
Prima, però, si voltò verso Bill, il
quale teneva
ancora il libro in mano.
«Senti, forse la casa
potrà
spaventarti, ma una cosa è certa: i fantasmi, i mostri e
tutte
quelle altre sciocchezze non esistono. E, soprattutto, un libro non
comincia a tremare da solo in una borsa. È un oggetto
inanimato
e del tutto privo di qualsiasi particolare spaventoso.
Perciò
adesso non continuare con queste stupidaggini e metti via quel
coso».
Detto questo, si avviò dentro la stanza da cui
David li
aveva
chiamati.
Bill diede ascolto alle parole del fratello e rimise a posto
il libro, cercando di darsi un contegno. Ha ragione lui. Quelle cose
non esistono ed io mi sto comportando da vero sciocco.
Prendendo un
bel respiro profondo, entrò a sua volta dentro la
stanza,
cercando di
togliersi dalla testa tutto quello che poteva essere stupido e
insensato.
Le riprese del nuovo video andarono avanti per circa due ore. Bill
sembrava aver riacquisito almeno un po' di coraggio e continuava ad
eseguire con estrema precisione tutto ciò che gli veniva
chiesto
dal regista e dagli altri quattro uomini che lo accompagnavano. Tom,
Gustav e Georg si impegnavano al massimo per cercare di dar
vita ad un video perfetto ed emozionante, che si addicesse alla loro
nuova canzone. In poco tempo erano già riusciti a fare
più della metà del lavoro.
Ad un certo punto,
però, il regista fece segno al resto del gruppo di
interrompere
tutto e di fare un momento di pausa, prima di continuare.
«Fermiamoci un
momento. Fino ad ora abbiamo fatto tutti un buon lavoro,
possiamo anche rilassarci un pochino».
E così
dicendo, si
alzò dalla sedia su cui era seduto e si
stiracchiò la
schiena. «Qualcuno di voi saprebbe dirmi dov'è
possibile
trovare
il bagno in questo labirinto?», chiese l'uomo, rivolgendosi
ai
suoi
aiutanti.
David si fece avanti e indicò con un dito il
soffitto. «Prima ho dato un'occhiata ad una piantina della
casa e mi
sembra che il
bagno si trovi al secondo piano, proprio sopra di noi».
«Quanti
piani ci sono?», gli domandò Georg, riponendo il
proprio
basso su
una sedia lì accanto.
Il manager ci pensò su un
attimo. «Tre.
Questa casa da fuori può sembrare piccola, ma dentro
è
immensa».
Il regista annuì col capo, poi si diresse verso
la
porta della stanza. «Vado un secondo di sopra, allora.
Quando torno,
riprendiamo da dove abbiamo lasciato».
Il resto del gruppo lo
osservò uscire dalla stanza, poi ognuno si mise a fare le
proprie cose.
Tom si avvicinò a Bill e posò a
terra la sua chitarra. «Allora ti è passata la
paura?», gli
domandò poi, sedendosi su una sedia accanto a lui.
Il
gemello sospirò e gli sorrise. «Sì, mi
è passata. Grazie a te».
Tom gli mise una mano sulla
spalla. «Io sono meglio di uno psicologo, fratellino. Posso
capire la
faccenda di rimanere un po' inquietati dalla casa, ma arrivare persino
a pensare che un libro si muova, è una cosa da
manicomio»,
disse Tom, ridendo e dando delle piccole pacche comprensive sulla
schiena del gemello.
Bill fece una faccia offesa e sbuffò
infastidito.
In quel momento arrivò vicino a loro anche
Gustav. «Sono un po' stanco. Girare questo video richiede
più energia del previsto».
«Puoi dirlo forte»,
esclamò Georg, unendosi a loro.
Gustav si sedette sul
pavimento, osservando curioso il borsone di Bill: in un punto spuntava
uno spigolo del libro nero. «Bill, posso vedere un attimo il
tuo libro?
Sarei curioso di leggerlo anch'io».
Il ragazzo moro annuì
col capo e tirò fuori il romanzo, poi lo porse gentilmente
all'amico. Gustav se lo rigirò per un po' fra le mani, poi
si decise ad aprirlo. In quel preciso momento si sentì un
forte rumore al piano di sopra. Prima un tonfo sordo, poi qualcosa che
rotolava e che si avvicinava sempre di più. Infine il
silenzio e lo sgomento di tutti i presenti.
«Cos'è stato?»,
chiese Bill, respirando affannosamente, a causa dello spavento per quel
rumore improvviso.
David aspettò qualche secondo in
silenzio, poi con la fronte corrucciata e l'espressione confusa si
avviò verso la porta della stanza. Era ancora aperta. Si
fermò sulla soglia e si guardò attorno.
«Signor
Bürk? Va tutto bene?», chiese, rivolgendosi al loro
regista,
che si trovava ancora al piano di sopra.
Nessuna risposta.
«Signor
Bürk?», chiamò ancora una volta il
manager.
Ma anche
questa volta non ci fu risposta.
David fece segno ai quattro uomini che
li accompagnavano e che facevano da aiuto-regista di avvicinarsi.
«Forse è meglio andare di sopra. Potrebbe essere
scivolato», suggerì
loro.
I
quattro si avviarono di sopra, salendo le scale e scomparendo dalla
vista di David. Il manager si voltò verso Bill, Tom, Gustav
e Georg: tutti e quattro lo stavano fissando preoccupati. Bill, in
particolare, tremava un po'.
«Signor Jost, non riusciamo a trovarlo»,
urlò qualcuno di sopra.
David corrugò la fronte
confuso. «Avete guardato in bagno?».
«Ci siamo dentro, ma qui non
c'è nessuno».
Bill dalla sua postazione sbiancò
nuovamente in volto. «Che gli è
successo?»,
cominciò a farfugliare spaventato.
«Bill, non ricominciare.
Il Signor Bürk sarà di sopra, ma in un'altra stanza
diversa dal bagno. Controllate meglio!».
Tom urlò
le ultime
due parole, rivolgendosi ai quattro uomini al piano di sopra.
Passò qualche secondo di silenzio, poi qualcuno scese le
scale. Era uno dei quattro uomini, un ragazzo con la testa rasata e
piuttosto giovane.
«Stiamo guardando in tutte le stanze di
sopra, ma
non lo abbiamo ancora trovato».
La sua voce era preoccupata.
David
rivolse un'occhiata ai quattro ragazzi della band, ancora intenti a
guardarlo perplessi. «Vado a cercarlo anch'io. Voi restate
qui ad
aspettarci».
Detto questo, si allontanò insieme al
giovane
ragazzo.
Bill guardò pensieroso il libro nero che Gustav
teneva ancora fra le mani: era chiuso. «Gustav, dammi un
attimo il
libro», disse, allungandosi verso l'amico per prendere il
romanzo.
«Ma
ti sembra questo il momento giusto per leggere?», gli chiese
Tom,
guardando il fratello scettico.
«Non devo leggere, voglio solo vedere
una cosa».
Bill tenne per qualche secondo il libro chiuso fra le mani,
poi lo aprì. Improvvisamente la porta della stanza
sbatté violentemente, chiudendosi e lasciandoli chiusi
dentro da soli. Ma quello non fu il solo rumore che
arrivò alle loro orecchie. Tante altre porte sbatterono
insieme, serrandosi tutte quante nello stesso momento. Fuori il cielo
si oscurò ancor più, i lampi e i tuoni
cominciarono a rimbombare sempre più forte. La luce
all'interno della stanza si spense e li lasciò al buio.
Bill
lanciò un urlo spaventato, lasciando cadere per terra il
libro e abbracciando con foga Tom, il quale lo strinse forte. Non
poteva nascondere di essere terrorizzato anche lui da quello
che
era appena successo. Gustav e Georg si avvicinarono ai due amici,
cercando di stare il più vicini possibile.
«Che sta
succedendo?», domandò Georg con voce tremante.
«Guardate il libro!»,
urlò improvvisamente Gustav, indicando il romanzo sul
pavimento.
La poca luce proveniente dalla finestra lo illuminava. Il
libro nero era aperto e le pagine si muovevano velocemente, cambiando
sempre numero e parole. Tremava, faceva un rumore strano. Se ci fosse
stato il vento a muoverlo, sarebbe stato normale, ma in quel momento il
vento non c'era affatto. Improvvisamente, il romanzo si
bloccò su una pagina.
Bill si staccò dal fratello
e si avvicinò lentamente all'oggetto improvvisamente
animato. Il ragazzo tremava per la paura.
«È il primo
capitolo»,
disse ansimante, faticando a far uscire dalla propria bocca
quelle parole.
Allungò una mano e sfiorò con
cautela la pagina ruvida. Non accadde nulla e
poté così prendere in mano il libro.
Provò a
sfogliarlo, a cambiare pagina, ma quelle erano diventate come cemento.
Un blocco unico, come se il libro non
volesse mostrare il resto della storia, fermandosi solo sulla prima
pagina del racconto.
«Che cosa sta succedendo?», chiese piano Gustav,
sussurrando.
"Le porte sbatterono
violentemente, provocando un rumore forte, quasi insopportabile. La
tempesta impazzò, come se un ciclone volesse divorare
chiunque osasse uscire da quella casa. Urla, grida, rumori strani
giunsero alle loro orecchie, pietrificando le loro figure sul posto,
trasformandoli in statue di pietra. I brividi percorrevano la schiena
di ognuno di loro, li invadevano da capo a piedi.
Una cosa era
certa: la casa era viva, li voleva tenere prigionieri lì
dentro, almeno fino a quando il mistero non fosse stato svelato."
Questo diceva la
prima pagina.
Bill la lesse ad alta voce e
improvvisamente si rese conto della situazione in cui si trovavano. Non è possibile
pensò, sbiancando in volto e diventando di pietra.
«È
tutto come nella storia», sussurrò piano,
incapace di muovere un singolo muscolo.
Guardava il libro
ancora aperto fra le mani, come se fosse la cosa più brutta
del mondo, come un mostro.
«Che vuol
dire che è tutto come
nella storia?», chiese Tom, agitato e alterato da
tutto
quello
che stava succedendo.
Bill aveva gli occhi
spenti e pieni di terrore. Alzò lo sguardo sul
fratello e i due amici e parlò piano e lentamente.
«Che la
storia ha preso vita e
noi... ci siamo dentro».
Tutto
è scritto qui, fra le mie mani. È tutto uguale.
«Siamo
chiusi dentro».
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Capitolo 2 *** Not dead ***
02. Not dead
«Le
porte sono tutte chiuse!», urlò Gustav,
cercando di
sovrastare tutto il rumore che si era creato intorno ai quattro amici.
Il ragazzo biondo
continuava a tirare la porta e a girare la
maniglia, ma era tutto inutile: anche con tutta la forza del mondo
quella porta non si sarebbe mai aperta. Bill, ancora seduto a terra con
il libro aperto fra le mani, non riusciva a mettere a fuoco la
situazione. Sembrava che non si accorgesse affatto del putiferio che si
era scatenato in quella stanza, quasi si stesse formando un tornado. Il
moro era talmente incredulo per quel fatto che non riuscì
nemmeno a reagire, o a dire qualsiasi cosa. Era come una statua di
pietra.
«Bill, fai
qualcosa!», gli urlò contro Tom.
Io?
Finalmente si decise
ad alzare la testa e ad osservare in faccia i suoi
compagni. «Cosa
dovrei fare?», chiese scettico, preso improvvisamente
da un'ondata di paura.
«Sei tu
quello che ha letto il libro! Saprai
cosa c'è scritto, no? Cosa dobbiamo fare per fermare
tutto questo?»,
gli domandò il gemello.
Bill fece vagare lo
sguardo per
tutta la
stanza, in cerca di una soluzione.
Il libro non diceva niente su
questo avvenimento. Era finito tutto all'improvviso.
Perché
qui nella realtà non accade?
Non sapeva cosa
fare, la storia
non lo aiutava affatto.
Forse
dobbiamo solo aspettare
pensò
fiducioso.
Ma i minuti passavano
e la situazione era sempre la stessa. Anzi, peggiorava sempre di
più.
«Aiuto!».
L'urlo di Gustav
risvegliò Bill dai suoi pensieri. L'amico era attaccato alla
porta, come se ci fosse incollato sopra. Sembrava che lo volesse
risucchiare.
«La porta
mi tiene stretto, non riesco a staccarmi!»,
urlò ancora il ragazzo.
Tom e Georg si
precipitarono
immediatamente a dargli una mano. Il chitarrista prese Gustav per la
schiena e il bassista si piegò per afferrargli le
gambe. Insieme cominciarono a tirare, ma questo non servì a
nulla: il
batterista rimase ugualmente attaccato alla porta e, insieme agli
altri due compagni, continuava ad urlare per lo sforzo e
per la paura.
«Bill!
Chiudi il libro!», urlò ancora
più
forte Tom.
Il rumore che c'era
in quel momento era insopportabile,
tremendamente assordante. Bill non capì subito quello che
gli
aveva detto il gemello.
«Bill!»,
urlò Georg.
Il cantante fu
costretto a mettersi le mani sulle orecchie per resistere a tutto quel
frastuono. Non
capisco, mi fanno male le orecchie.
«CHIUDILO!».
Questa volta la voce
di Tom arrivò alle orecchie del
fratello. Bill non aspettò un secondo di più.
Fece tutto
molto rapidamente, in modo da non sentire ancora male ai timpani. Tolse
le mani dalle orecchie, afferrò il libro sul pavimento e lo
chiuse con un colpo secco. Fu un attimo. Tutto cessò
improvvisamente: il vento, i tuoni, i lampi, ogni singolo rumore
scomparve e così anche ogni altra cosa anomala. Gustav si
staccò di botto dalla porta, cadendo addosso a Tom, che non
resse il peso dell'amico e finì disteso a terra
con
sopra sia il bassista che il batterista.
«Cazzo!»,
esclamò,
dopo
aver sbattuto la testa sul pavimento di legno.
«Levatevi!»,
sbraitò poi, rivolto ai due amici che lo stavano
schiacciando.
Gustav e Georg si
tolsero immediatamente, ma non ebbero la forza
di rimettersi in piedi: erano troppo stanchi.
Tom, invece, aveva ancora
abbastanza energie per parlare al fratello con estrema
ostilità. «TU! Adesso
mi spieghi che cazzo significa tutta questa storia! Il
libro non può aver preso vita, è una cosa
illogica e
impossibile!».
Bill lo
fissò scettico, cercando di
controllare i
battiti del proprio cuore agitato. «E quello
che è appena
successo ti sembra normale? Trovala tu una spiegazione sensata, io ne
so quanto te».
Il chitarrista fece
per controbattere, ma si
bloccò, abbassò gli occhi e scosse la testa
esausto.
Rimasero per qualche secondo in silenzio, poi Tom tornò a
parlare, ma questa volta con più calma.
«Okay,
allora... se
è vero che tutto questo è come nella storia e che
il
libro ha preso davvero vita, sarà
facile
uscirne fuori. Insomma, Bill ha letto il libro, quindi si presume che
sappia tutto quello che potrebbe succederci, ma, soprattutto, come
tirarci fuori».
Bill socchiuse gli
occhi e scosse leggermente la testa. «Sì, so
quello che potrebbe succederci, ma non conosco il
modo
per tirarci fuori di qui. Non ero ancora arrivato al
finale».
«Beh,
leggilo adesso e tiraci fuori»,
replicò Tom.
Bill lo
guardò scettico ed
incredulo. «Non
hai visto cosa succede quando apro il libro? Vuoi forse che si
ripeta di nuovo?».
Il chitarrista
alzò gli occhi al cielo e
sbuffò esasperato. Gustav e Georg osservavano la scena
ancora distesi a terra.
Passarono alcuni minuti di silenzio in cui
nessuno si guardò più in faccia.
Poi Georg decise di rompere la tensione
che si era formata fra i due gemelli Kaulitz e di parlare di cose
serie.
«Quindi che facciamo?», chiese con calma.
Bill ci
pensò un po' su, poi tornò a guardare l'amico.
«Proviamo lo stesso ad uscire fuori di qui in base a quello
che so.
Mi ricordo la storia, quindi i pericoli dovrebbero essere
minori».
Gli
altri tre compagni annuirono dopo un po'.
«Okay, allora
qual è
la prima mossa?», chiese Gustav, un po' inquietato da tutta
quella
faccenda.
«Innanzitutto,
usciamo da questa stanza, poi andiamo a cercare
David, il signor Bürk e i suoi colleghi. Gli sarà
sicuramente successo qualcosa, altrimenti ci avrebbero già
raggiunto», commentò Bill, alzandosi in piedi e
prendendo il
libro nero in mano, stando ben attento a non aprirlo di nuovo.
«C'è
solo un piccolo problema, però: la porta
è chiusa», disse Georg, osservando quel grande
pezzo di
legno scuro che li teneva imprigionati all'interno della stanza.
Improvvisamente la
porta si aprì con un leggero scatto
della serratura. Lentamente si spalancò e lasciò
via libera ai ragazzi. Tutti e quattro gli amici guardarono
l'entrata stupiti, non credendo ai propri occhi.
«Si
è aperta... da sola».
La voce di Gustav
tremava appena, troppo sconvolto dall'accaduto.
«Questo
è niente, Gustav. Ci
aspettano cose molto più strane di questa»,
commentò Bill, tremando al pensiero della storia del libro.
«Di sopra
c'è il bagno, è lì che
dovrebbero essere gli altri», disse poi Tom, mettendosi in
testa agli
altri tre compagni. «Andiamo».
Il bagno si trovava
in fondo ad un lungo ed immenso corridoio, insieme
ad altre tante porte. L'unica differenza era che quella del bagno era
la sola ad essere aperta. Il corridoio era buio, così come
l'interno della stanza. Era difficile camminare in mezzo
all'oscurità, ma, soprattutto, inquietante.
Tom
entrò dentro per primo, seguito poi in ordine da Bill, Georg
e Gustav. Avanzavano lenti, tastando appena quello che li circondava.
«È
così buio», sussurrò piano Georg.
«Ci
sarà una luce, ma non riesco a
trovarla», gli
rispose pronto Tom.
Gustav e Bill erano
quelli che avevano
più paura di tutti. Il cantante non si azzardava neanche a
tastare le pareti della stanza, il batterista invece lo faceva, ma con
molta lentezza. Poi, ad un tratto, la sua mano toccò
qualcosa
di
bagnato e freddo. Si bagnò le dita e le fece scorrere in
quel liquido strano.
«Ho
l'impressione di aver messo una mano dentro
alla vasca del bagno. Però è strano che sia piena
d'acqua. Chi ce l'ha messa?», informò gli altri
tre
amici.
Tom e Georg non
risposero, ma non si meravigliarono più di
tanto.
Bill, invece, cominciò a pensare. Una vasca con l'acqua?
I suoi occhi si
sbarrarono improvvisamente nel buio e, anche se gli
altri non potevano vederlo, il
colore della sua pelle diventò
bianco cadaverico.
«GUSTAV, NON
TOCCARLA! NON È ACQUA,
È SANGUE!», urlò con tutta la voce che
aveva in
corpo.
L'amico biondo
sbiancò in volto e ritrasse
immediatamente la mano, terrorizzato e disgustato. Tom e Georg si
bloccarono di scatto, non credendo alle proprie orecchie. Poi la luce
si
accese improvvisamente, rivelando una scena davvero terrificante.
«OH
MIO DIO!», urlò Gustav con tutta la voce che
aveva in gola.
Tom e Georg si allontanarono il più possibile dalla vasca
piena
di sangue, fino ad arrivare con le spalle appoggiate al muro; il
batterista fece lo stesso, trattenendo un conato di vomito e cercando
di non guardare la scena macabra che si parava davanti ai loro occhi.
Bill,
invece, era l'unico che aveva ancora il coraggio di guardare la storia,
che fino a poche ore prima lo aveva attratto così tanto,
prendere vita sotto i propri occhi. Il volto pallido ed incredulo
osservava l'interno della vasca.
La cosa più orribile e
agghiacciante non era il sangue di per sé, ma ciò
che vi
galleggiava dentro: un corpo, un corpo informe e squartato brutalmente.
Gli organi galleggiavano sulla superficie dell'acqua rossa,
nascondendo il volto di quell'essere morto.
Bill cominciò a
tremare, ripensando alla storia e a quello che poteva ancora succedere
loro. Piano si avvicinò ancora alla vasca, chinandosi un
poco e
protendendo una mano verso l'organo che gli impediva di vedere chi
fosse quella persona morta. Dovette trattenere il disgusto e i vari
conati che cercavano di prendere il sopravvento sul suo corpo, a causa
dell'odore insopportabile di putrido che aleggiava nel bagno.
«Bill, che
fai?», lo chiamò il gemello preoccupato e
scandalizzato
allo
stesso tempo.
Ma il cantante non lo ascoltò, era come
ipnotizzato. Con la punta del dito scostò l'organo, poi
osservò confuso un ammasso informe di pelle che sarebbe
dovuta
essere la faccia.
Assomiglia
a...
«Cazzo!», urlò con gli
occhi
sbarrati ed il volto pallido come un cencio.
Si allontanò di
colpo, stringendosi agli altri tre compagni ed evitando di guardare
ancora quel corpo così famigliare.
Tom, invece,
trovò il
coraggio per fare un passo avanti ed esaminare bene il viso sfigurato.
«È... il signor Bürk»,
riuscì a
malapena a dire.
La voce gli tremava.
«Chi è stato, secondo voi?»,
chiese Georg esitante, tirando Bill dietro la sua schiena, in
modo
che il moro non potesse guardare ancora.
«Sarebbe
più appropriato dire cosa è
stato», gli rispose Tom,
tornando vicino al fratello e prendendolo delicatamente per un braccio.
«Andiamocene da qui. Subito», disse poi,
attirandolo verso la porta.
Bill abbassò lo sguardo sul pavimento, mentre Tom, Gustav e
Georg
uscivano fuori dal bagno.
Se
il signor Bürk è morto...
allora anche David e gli altri potrebbero...
Ma non ebbe
il tempo di
formulare questo pensiero nella sua mente, perché qualcosa
lo aveva
afferrato saldamente per il polso destro. Bill
girò
la testa di scatto, spaventato a morte da ciò che gli
impediva
di andarsene da quel bagno. Il signor Bürk si era
improvvisamente
alzato a sedere sulla vasca, riemergendo e buttando fuori l'acqua mista
al sangue. Urlava, emetteva versi incomprensibili e cercava di attirare
verso di sé Bill, strattonandolo con violenza.
Il cantante
osservò quello che rimaneva degli occhi dell'uomo. Il suo corpo morto è
posseduto pensò con terrore, cercando di
attaccarsi allo stipite della
porta per non avvicinarsi a quel mostro.
Si voltò dall'altra
parte, cercando di richiamare l'attenzione di Tom, Gustav e Georg, ma
loro erano già usciti dal bagno ed erano già nel
corridoio. I tuoni della tempesta fuori da quella casa coprivano i
rumori provocati da tutto quel disordine, impedendo ai tre compagni di
accorgersi di cosa stesse succedendo al loro cantante. Bill allora
aprì la bocca per urlare, ma il corpo del signor
Bürk si
era fatto più vicino e gli aveva tappato la bocca con un
mano,
prima che il moro potesse fare qualsiasi cosa. Il terrore invase tutto
il corpo di Bill, impedendogli di ragionare e di
pensare ad un modo per liberarsi. Il signor Bürk
continuò a
tappargli la bocca con una mano e con l'altra strinse il collo del
moro, tirandolo ancora di più verso la vasca. Gli
buttò
la testa sotto l'acqua sporca di sangue: lo voleva affogare. Bill si
dimenava, scalciava e mollava pugni e schiaffi al corpo dell'uomo, ma
quello sembrava insofferente. Il cantante aveva paura, una paura
immensa, e, in più, cominciava a mancargli l'aria. Ormai il
suo
corpo era completamente dentro la vasca, immerso nel sangue.
Non ce la faccio. Non
respiro
pensò Bill, mentre i suoi movimenti si facevano sempre
più
lenti.
I suoni alle sue orecchie si facevano più
attutiti, gli occhi si stavano chiudendo e il suo respiro ormai non
esisteva più. Stava morendo.
È finita.
Ma
improvvisamente accadde qualcosa. Il sangue in cui era immerso
ricominciò ad uscire dalla vasca da bagno, rendendo il
pavimento
ancora più bagnato e scivoloso. La mano del signor
Bürk
lasciò la presa sul collo di Bill, lasciandolo libero ed
allontanandosi
dal suo corpo. Il cantante ormai non aveva neanche più la
forza
per riemergere, ma due mani forti lo afferrarono per le spalle e lo
aiutarono ad uscire da tutto quel sangue.
«Bill!».
Quella voce
era inconfondibile e così rassicurante per il moro.
Tomi...
«Cazzo, Bill,
riprenditi! Respira!».
Tom fece sdraiare il
gemello sul
pavimento bagnato e gli scostò i capelli dal volto per
permettergli di respirare meglio. «Avanti,
fratellino!».
Ma Bill non si
svegliava e non dava alcun segno di vita.
«Ti prego, svegliati».
Il
tono di voce del rasta si faceva sempre più disperato. Prese
il
moro fra le sue braccia e lo tenne stretto per qualche secondo,
cercando di non farsi prendere dal panico. Gustav e Georg guardavano
preoccupati quella scena, fermi sulla soglia della porta, incapaci di
fare qualsiasi cosa.
«Bill!»,
urlò Tom.
Questa volta Bill si riprese. Tossì
più
volte, sputando acqua rossa e respirando più aria possibile.
Si
guardò attorno spaesato, alzando e abbassando le palpebre
in
continuazione. Quando i suoi occhi incontrarono quelli identici del
gemello, sorrise e si strinse più forte a lui.
«Grazie»,
disse
ancora, tossendo un poco.
Tom sorrise appena, ricambiando l'abbraccio
del fratello e cercando di non mostrare una lacrima che minacciava di
scorrere sulla sua guancia da un momento all'altro. «Dai,
in piedi»,
disse il chitarrista, ricomponendosi e aiutando Bill ad alzarsi e a
rimanere dritto in
piedi.
Bill rivolse un'occhiata al corpo del signor Bürk,
immerso
ancora una volta nell'acqua.
Tom seguì il suo sguardo. «L'ho
sistemato per le feste quel figlio di puttana», disse con
disprezzo,
mentre portava fuori il gemello da quel bagno.
Gustav e Georg
sospirarono rassicurati, dando piccole pacche sulle spalle di Bill.
«Tutto bene?», chiese il bassista al moro.
Bill sorrise per
tranquillizzarlo ed annuì col capo, poi rivolse uno sguardo
a
Tom, che lo sorreggeva ancora. «Eri preoccupato per
me?», gli chiese con
un sorriso beffardo.
Il rasta voltò il capo per non mostrare
le
guance improvvisamente rosse. «Per niente. Ma, d'ora in poi,
tu
resterai
vicino a me in qualunque posto andremo e, se ti vedo allontanare anche
solo di un metro, sarò io ad affogare te», disse
con voce
acida.
Bill non poté far a meno di lasciarsi scappare un sorriso a
quelle parole del gemello.
Cerca
sempre di negarlo, ma si
vede che si preoccupa continuamente per me.
«Ragazzi, adesso che facciamo? Insomma, il signor
Bürk
è
morto, ma non abbiamo ancora trovato David e gli altri. Come
procediamo?».
A quelle parole di Gustav tutti e quattro i ragazzi si
rattristarono. Erano preoccupati per il loro manager e pensare che
potesse essere morto gli spezzava il cuore.
«Andiamo a
cercarli», esclamò Tom con tono deciso e
autoritario. «Ormai
ci siamo dentro, quindi cominciamo ad esplorare questa casa degli
orrori e a cercare gli altri. D'altronde, non possiamo fare
altro».
Bill, Gustav e Georg annuirono col capo e insieme si avviarono verso
la nuova stanza: il salotto.
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Capitolo 3 *** Traps and books ***
03. Traps and books
Il
salotto era una stanza enorme, di certo la più grande che
avessero visto fino a quel momento. Il soffitto era davvero molto alto
e al centro pendeva un lampadario antico, pieno di pietre e
perle ricercate, ma al tempo stesso opache e rovinate dal tempo.
Librerie altissime erano appoggiate ai muri sporchi, interamente piene
di libri e tomi di ogni tipo. In giro c'era qualche poltrona rosa
scura con la stoffa strappata e macchiata, alcuni comodini e
altrettanti mobili accatastati qua e là. Ma la cosa
più
interessante, che saltava immediatamente all'occhio, era un
grande
e bianco camino con sopra alcune foto dalle cornici rotte. Tutta la
stanza era polverosa e ricoperta da grovigli di ragnatele, ma faceva
comunque il suo effetto.
«Le persone
che abitavano qui non avevano certo una vita
difficile», ironizzò Tom, spostando lo sguardo da
una
parete all'altra.
Gustav e Georg lo
imitavano, incuriositi da quella stanza così
rovinata, ma che un tempo doveva essere stata sicuramente molto
sfarzosa. Bill, invece, si concentrò sul camino: le foto che
vi
erano appoggiate sopra lo attirarono inevitabilmente. Con passo lento
e incerto attraversò la stanza e si fermò
davanti ad
esse. Le osservo con calma e circospezione. Molte rappresentavano
immagini di bambine piccole, vestite con abitini piuttosto bizzarri,
altre mostravano un viso duro e severo di un uomo, che all'apparenza
risultava essere molto autoritario. Una foto in particolare
attirò l'attenzione del cantante: una famiglia, composta da
una
donna, tre bambine e un uomo, immortalata in una posa composta e
perfetta. L'unica cosa strana di quella foto era il vetro della
cornice, spaccato soltanto sui visi della donna e delle tre bambine e
non su quella dell'uomo.
Tutto
ciò è davvero molto strano.
Piccoli brividi di
paura percorsero la schiena del moro, bloccandolo
sul posto.
Ad un tratto, una mano delicata si appoggiò sulla
sua spalla, facendolo sussultare per lo spavento. Il cantante si
girò di scatto, ma l'unica persona che si ritrovò
davanti
fu Georg.
«Ti senti
bene?», gli domandò questo con una leggera
sfumatura di preoccupazione nella voce.
Bill si
lasciò andare ad un sospiro di sollievo, tranquillizzandosi
e annuendo all'amico con un sorriso.
«Qui David
e gli altri non ci sono di certo. Andiamo a vedere
in un'altra stanza», esclamò Tom, passando di
fianco ai due
ragazzi e buttando l'occhio sulle fotografie che poco prima avevano
attirato l'attenzione del gemello.
Probabilmente
questa è la famiglia che viveva qui
pensò distratto
nella sua mente.
«Secondo
voi, come sono andate le cose in questa casa, vent'anni fa?»,
domandò Bill inaspettatamente.
Gli altri tre
compagni ci pensarono su un istante, inarcando le sopracciglia e
sospirando leggermente.
«A mio
parere, l'uomo che viveva qui e faceva lo
scrittore era talmente suonato che alla fine è arrivato ad
uccidere
la
sua famiglia. Non mi stupisce che una mente malata come la sua sia
riuscita a dar vita ad una storia come quella del libro»,
disse
Tom, indicando con un dito la borsa che Bill teneva a tracolla e in cui
dentro giaceva il libro maledetto.
«Quindi tu
credi alla seconda ipotesi di David?», chiese ancora Bill.
«Sì,
ma sinceramente adesso non ho voglia di perdere tempo
ad indagare sul passato di questa famiglia. Ne ho già
abbastanza
di quello che mi tocca passare per colpa di quel libro»,
concluse
il rasta, voltando il viso per non guardare più in faccia il
gemello.
«Non credi
che, indagando un po' sul loro passato, riusciremmo a risolvere prima
il
mistero di questa casa?».
«No, non
credo. E certamente non ho né voglia né
tempo di scoprire quello che si nasconde in questo posto. L'unica cosa
che mi interessa adesso è trovare David e gli altri e
uscire di
qui il prima possibile. Di giocare a fare il detective non ne ho la
minima intenzione».
«Tu credi
che io voglia giocare? Io penso solo che, se magari ci
concentrassimo un po' di più sulla storia e meno sul cercare
gli
altri, usciremmo da qui prima».
«Che ti importa della storia? Ti rendi conto che David e
gli altri potrebbero essere in pericolo, adesso? Se sprechiamo tempo in
stupidaggini, potremmo ritrovarli morti!».
La tensione fra i due
gemelli andava salendo. Le loro voci si alzavano
sempre di più, irritate e infastidite. Gustav e Georg
osservarono per qualche istante il loro dibattito, poi decisero di
intervenire, prima che si creasse un putiferio.
«Avanti,
ragazzi, adesso non mettiamoci a discutere su cosa sia
meglio e cosa no. Limitiamoci a cercare di stare attenti a quello
che
ci circonda e ad andare avanti», disse con voce calma il
bassista,
cercando di mettere freno al litigio che si stava creando fra
i due
fratelli.
«No, Georg,
io non sto zitto quando sento delle assurdità
del genere! Prima ci mette nei casini, poi prende tutto come se fosse
un gioco!», riprese Tom con voce ancora più alta.
«Stai forse
scaricando la colpa su di me?», controbatté Bill,
avvicinandosi minaccioso al chitarrista.
«E di chi
altri dovrebbe essere la colpa? Non mi sembra di essere stato io
quello che ha portato qui il libro!».
«E, secondo
te, io potevo anche solo pensare che sarebbe finita
così?».
«No, ma
potevi lasciare quel cazzo di libro in albergo! Se non l'avessi
portato,
adesso David e gli altri non sarebbero scomparsi, il
signor Bürk non sarebbe morto e noi non ci troveremmo in
questa
situazione di merda!».
Tom sputò fuori l'ultima
frase come
se fosse veleno, guardando con occhi carichi di rabbia il fratello.
Bill non
ebbe la forza di ribattere: quelle ultime parole lo avevano
davvero demoralizzato e colpito dritto al cuore.
Ha
ragione lui. Il signor Bürk
è morto solo a causa mia e adesso ho messo persino tutti i
miei
amici in pericolo.
Il moro
abbassò lo sguardo triste, trattenendo a stento le
lacrime che gli punzecchiavano gli occhi.
Tom se ne accorse e il suo
viso perse un minimo dell'espressione furiosa di prima. Stavolta
ho davvero esagerato.
«Basta
adesso, chiudiamo qui questo stupido discorso»,
esclamò Georg, mettendosi in mezzo ai due fratelli e alzando
le mani davanti ai loro volti. «Non mi
sembra il momento giusto per addossare colpe a qualcuno. Qui nessuno
è responsabile di niente. Siamo in pericolo, ci
sono
cose che potrebbero aggredirci da un momento all'altro e non possiamo
fermarci a litigare fra di noi e a perdere tempo in questo
modo»,
continuò il bassista, deciso a far comprendere a tutti in
che
situazione si trovassero.
«Ha ragione
Georg», intervenne Gustav con estrema calma.
«È un momento delicato e dobbiamo restare tutti
uniti, ora
più che mai».
Bill e Tom non
dissero più nulla, non si guardarono neanche in
faccia. Era triste per gli altri due compagni vedere quanta
ostilità ci fosse tra i due gemelli da quando erano
cominciate a
succedere tutte quelle strane cose, ma non potevano permettere che le
loro discussioni mettessero in pericolo tutto il gruppo. Era un brutto
momento, ma dovevano cercare di affrontarlo insieme, come avevano
sempre fatto fino ad allora. L'unione fa la forza.
Il pesante silenzio
che era calato inevitabilmente fra i quattro compagni venne
improvvisamente rotto da un rumore forte e spaventoso: un botto,
seguito da un suono stridulo e fastidioso, come di piccole creature che
si lamentano per qualcosa con versi acuti.
Bill alzò lo
sguardo
spaventato, avvicinandosi di più a Georg e fissando inquieto
il
camino di fronte a sé: i rumori provenivano da lì
dentro.
Si
fermò un istante a pensare, a ricordare la storia.
«Allontanatevi
da qui», disse, improvvisamente bianco in volto.
«Che
succede?», gli domandò Gustav.
«Fate come
vi dico. Allontanatevi dal camino».
Bill spinse gli altri
lontano dal posto da cui continuavano a provenire
quegli strani rumori, ritrovandosi infine al centro della stanza, tutti
vicini e pronti a reagire nel caso qualcosa li avesse aggrediti.
«Bill...
che cosa sono questi rumori?», chiese Georg, guardando
spaventato davanti a sé.
«Non
chiedermelo», fu la breve risposta del cantante.
«Non allontanatevi, rimanete tutti vicini».
Terminato di
pronunciare questa frase, Georg cadde a terra e venne
allontanato dai tre amici da qualcosa sbucato improvvisamente dal
camino: un lunga liana verde scura, piena di spine e contornata da
ragnatele di rovi lo aveva afferrato per la caviglia e sbattuto a
terra. Il bassista urlò spaventato, cercando di afferrare
tutto
ciò che gli capitava per le mani, graffiando il pavimento
con le
unghie per cercare di non venir catturato da quella strana pianta.
Bill, Tom e Gustav si precipitarono in soccorso dell'amico,
afferrandolo per le braccia e tirando dalla parte opposta della liana.
Quella, però, continuava a strattonarlo verso il buco del
camino,
emettendo
strani versi acuti e striduli.
«Mi sta
staccando un piede!», si lamentò Georg,
stringendo i denti per il dolore e lottando con tutte le sue forze.
«Non ti
preoccupare, ci siamo noi!», esclamò Gustav
con la voce che tremava per lo sforzo e la fatica di tenere stretto
l'amico.
Ad un tratto, altre
liane uguali alla prima uscirono fuori dal camino
e afferrarono in due una gamba di Bill, tirando anche lui verso il
buco da cui erano uscite. In un attimo il moro venne trascinato fino a
metà stanza, lontano dagli altri tre compagni.
«Bill!»,
urlò Tom, mollando la presa su Georg e andando ad aiutare il
gemello.
Sperava tanto che
Gustav riuscisse a tenere il bassista anche da solo. Non poteva
lasciare che suo fratello venisse catturato da quelle
maledette piante. Corse verso il moro e lo afferrò per le
braccia, tirandolo verso di sé, ma quelle piante erano
davvero
troppo forti, perciò si ritrovò a venir
trascinato anche
lui insieme al cantante.
«Georg, non
ce la faccio!», urlò Gustav, sforzandosi di non
mollare la presa sul bassista.
Era uno sforzo troppo
grande, la forza di quei mostri era sbalorditiva.
Improvvisamente, un groviglio di rovi sbucò fuori dal buco
del
camino, legando tutti e quattro i ragazzi della band. Bill rimase
aggrappato al corpo del gemello, nonostante questo fosse stretto in una
trappola di rovi e spine. Le liane legate attorno alle gambe del
cantante non mollavano ancora la presa.
«Ho
paura!», urlò Bill, trattenendo le lacrime.
«Io non ti
lascio!», gli rispose Tom, stringendo ancora più
forte la presa sul gemello.
Mentre loro lottavano per non essere risucchiati nel camino,
Gustav
si dimenava in un altro groviglio di rovi, tenendo ormai con una sola
mano il braccio di Georg. Non avrebbe retto ancora per molto, le forze
lo stavano abbandonando e quelle piante lo stringevano troppo forte.
«Gustav,
lasciami andare, o verrai catturato anche tu!»,
urlò Georg, preoccupandosi di più per l'amico che
per se
stesso.
«No!».
«Gustav, ti
prego».
«Ti ho
detto di no!», protestò il batterista, stringendo
i
denti.
«Vuole uno
di noi, non si fermerà finché non
avrà preso qualcuno!», disse Bill in mezzo a tutto
quel
frastuono e a quei versi striduli.
Fu allora che Georg
prese la sua decisione: se qualcuno non si fosse
sacrificato, sarebbero morti tutti e quattro e lui non voleva questo.
Non
c'è altro modo.
«Ragazzi»,
disse con voce calma e triste allo stesso tempo.
«promettetemi una cosa».
I tre amici rimasero
spiazzati da quella frase. Cosa significava?
«Promettetemi
che lotterete, che non vi arrenderete mai in
nessuna situazione e, cosa più importante, che resterete
sempre
uniti».
«Cosa
significa? Che vuoi dire?», urlò Tom
scandalizzato, temendo quello che pensava stesse per succedere.
Siete
la cosa più bella che mi
sia mai capitata in questi anni e non permetterò che vi
succeda qualcosa adesso. Voi dovete vivere, dovete salvarvi.
Lentamente il
bassista allentò la presa attorno al polso di Gustav,
lasciandolo a bocca aperta.
«Georg, che
stai facendo?», urlò terrorizzato il batterista.
Ce
la farete anche senza di me. Voi vivrete... e questa è la
cosa più importante.
La presa si
allentò ancor più.
«Vi voglio
bene, ragazzi».
«GEORG,
NO!», urlò ancora più forte Gustav.
Georg sorrise e
lasciò andare completamente il polso dell'amico,
lasciandosi portare via dalle liane che gli avevano legato i piedi.
«GEORG!»,
urlarono all'unisono Bill, Tom e Gustav.
Videro il loro amico
venir risucchiato dentro al buco del camino e poi
più niente. Il groviglio di rovi si agitò
tutt'intorno a
loro, creando scompiglio e costringendo i tre amici a chiudere gli
occhi per evitare che la polvere creatasi improvvisamente entrasse loro
negli occhi. Sentirono le piante lasciare la presa attorno ai loro
corpi, facendoli atterrare sul pavimento freddo e sporco. Ci fu un
grido stridulo e più forte degli altri e poi tutto
cessò
di colpo. Le liane scomparvero e tutto tornò come prima. I
tre
compagni si ritrovarono stesi a terra, uno vicino all'altro. Nella
stanza si sentivano solo i loro respiri affannati e pesanti.
Bill si
alzò di scatto, correndo verso il camino, ma venne bloccato
da
Tom, che lo afferrò saldamente per un polso.
«Dobbiamo
aiutarlo, non possiamo abbandonarlo così!»,
protestò Bill, urlando con tutta la voce che gli era rimasta
in
gola.
«Non ti
avvicinare a quel camino, non ha senso».
«Georg ha
bisogno di noi!».
Ormai le lacrime
scorrevano libere sul volto del moro, rigandolo con scie nere.
Singhiozzava disperato, cercando di liberarsi dalla
presa del gemello per correre verso il camino.
«Bill»,
sussurrò Tom, incominciando a piangere a sua volta.
«se ne è andato».
«NO! NON
È VERO! LASCIAMI!», urlò ancora
più forte il cantante.
A quel punto il
chitarrista strattonò il gemello verso di
sé, costringendolo a voltarsi, poi gli mollò uno
schiaffo
sul viso. «SMETTILA
DI FARE COSÌ! NON LO CAPISCI CHE NON VOGLIO
PERDERE ANCHE TE?», urlò disperato Tom, mentre
piangeva a
dirotto.
Bill rimase a fissare
gli occhi del gemello, pieni di lacrime come i
suoi: soffriva, soffriva come lui. Smise di tentare di correre verso il
camino e abbracciò d'impeto il fratello, stringendosi a lui
con
foga e singhiozzando senza più contegno contro il suo petto.
Si accasciarono sul
pavimento, abbracciandosi sempre più forte e piangendo.
Un
po' più lontano da loro, Gustav faceva lo
stesso,
seduto sul pavimento con le mani fra i capelli.
«Georg»,
sussurrò fra i singhiozzi.
Piansero ancora,
piansero per interminabili minuti, o forse per ore. Avevano perso il
loro bassista, il loro compagno, il loro migliore
amico. Un amico che nei momenti peggiori sapeva trovare sempre il lato
positivo delle cose, quello che sapeva essere sempre il più
ragionevole del gruppo, quello più sensibile. Lo avevano
perso
per sempre.
Il silenzio
che si era creato già da parecchi minuti stava
diventando quasi insopportabile: soppesava ancora di più
ciò che era appena accaduto. Ma, dopotutto, quali parole
avrebbero potuto confortare i tre amici che sedevano ancora sul
pavimento scuro e freddo, graffiato dai rovi che poco
prima avevano
portato via uno dei loro migliori amici? Avevano smesso di
piangere, ma
il peso che avevano sul cuore non poteva andarsene così
facilmente.
Bill teneva il capo appoggiato contro il petto del gemello,
osservando con occhi spenti le cuciture dell'enorme maglietta. Tom
continuava a stringerlo, accarezzandogli di tanto in tanto i
capelli corvini, lo sguardo perso su un punto qualsiasi della stanza.
Gustav sedeva in silenzio a qualche centimetro di distanza dai due
fratelli,
sospirando e asciugandosi qualche lacrima che scappava
ancora dai suoi occhi umidi.
Per quanto io mi sforzi
di ricordare
e di seguire la storia del libro, questa cambia sempre man mano che
proseguiamo la nostra esplorazione in questa casa
pensò tristemente Bill, ripensando ai vari capitoli del
libro nero, ancora contenuto nel suo borsone. Le liane non sarebbero
dovute sbucare adesso, venivano citate in molti capitoli più
avanti.
«Ragazzi».
La voce improvvisamente roca di Gustav
fece
sobbalzare i due gemelli.
«È meglio
andare».
Tom si limitò ad annuire con il capo,
mentre con molta lentezza allontanava il gemello per potersi rimettere
in piedi. Fra i tre amici si era creata una specie di lastra
di
ghiaccio che li divideva, come se ognuno volesse nascondere
ciò
che provava all'altro.
«Usciamo da qui», disse Tom con voce fredda e
inespressiva.
Bill e Gustav annuirono e seguirono il rasta verso una delle tante
porte del salotto che conduceva ad altre stanze a loro completamente
sconosciute. C'era solo l'imbarazzo della scelta, ma non
fecero
molto caso a quale porta scegliere, limitandosi soltanto ad imboccare
la prima che capitava.
La stanza in cui si ritrovarono era
più o
meno della stessa grandezza del salotto, forse un po' più
piccola, con l'unica differenza che quella camera era completamente
occupata da file e file di scaffali pieni di libri. Gli scaffali erano
sistemati in ordine e formavano delle specie di corsie fra cui una
persona avrebbe potuto comodamente passare per cercare il libro
desiderato.
Come biblioteca era un po' lugubre e le copertine dei libri
erano quasi tutte di colori scuri.
«Impressionante», disse fra sé e
sé Gustav.
«Come diavolo facciamo a trovare l'uscita di questo
labirinto?».
Bill e Tom rimasero in silenzio a scrutare con attenzione tutte le
varie vie che avrebbero potuto prendere, poi, una volta resosi conto
che era come cercare un ago in un pagliaio, il chitarrista
avanzò di poco e fece per avviarsi verso la prima corsia che
aveva davanti.
«Una via vale l'altra, quindi tanto vale cominciare ad
esplorare
le varie corsie. Se abbiamo fortuna, troveremo l'uscita»,
borbottò il rasta con un'espressione del volto indifferente.
Bill fece qualche passo avanti e afferrò un lembo della
maglia
extralarge del gemello. «Aspetta, non è prudente
entrare
lì dentro».
Il chitarrista lo guardò confuso, inarcando un sopracciglio.
«Che cosa potrebbe accaderci? Non penso che dei libri possano
improvvisamente animarsi e divorarci con le loro pagine».
«Potrebbe succedere, invece. In questa casa tutto
è
possibile».
«Se è per questo, non possiamo neanche restare qui
a girarci i
pollici, Bill. Andiamo di qua».
«E se fosse la strada più pericolosa?».
«Finiscila di essere così paranoico!».
«Io non sono paranoico, sono solo prudente!».
Gustav alzò gli occhi al cielo e sbuffò
sonoramente.
«La volete finire di litigare in continuazione, voi due?
Perdiamo
più tempo a discutere che a fare qualcosa di
concreto».
Bill e Tom si zittirono subito, ma il chitarrista lanciò
comunque un'occhiataccia al gemello.
«Bill, lo so che ti preoccupi ancora di più
dopo...
dopo
quello che è successo... ma dobbiamo comunque andare avanti,
o
non usciremo mai da qui», disse il batterista, guardando
malinconico l'amico.
Bill annuì lentamente con il capo, poi lui e i suoi due
compagni
imboccarono la prima corsia davanti a loro. Avevano già
mosso
alcuni passi lì accanto ai libri, ma ancora non era successo
nulla di catastrofico.
Forse ha ragione Tom.
In fondo sono solo libri.
Ma poi il pensiero del grosso libro nero che portava nel borsone lo
inquietò improvvisamente.
Non mi tranquillizzerei
più di tanto, comunque.
Passarono vari minuti di silenzio, minuti in cui i loro cuori batterono
all'impazzata, sobbalzando ad ogni singolo rumore. Eppure era tutto
così calmo e normale. Ma nessuno si azzardò a
parlare,
faticavano persino a respirare tranquillamente.
Improvvisamente, un
tonfo sordo attirò l'attenzione di Bill e Tom, che si
voltarono immediatamente a guardare Gustav con terrore.
«Ahia! Ma siete impazziti?», si lamentò
il
batterista, massaggiandosi la nuca con una smorfia di dolore
dipinta sul viso paffuto.
I due gemelli si scambiarono qualche occhiata confusa.
«Perché?», chiese poi Bill, inarcando un
sopracciglio.
«Non fate finta di niente! Qualcuno di voi mi ha colpito in
testa
con questo libro!», sbottò Gustav, prendendo in
mano un
grosso volume nero, che giaceva ai suoi piedi. «E sono
più
che certo che sia stato tu, Bill. Stavi camminando vicino a me. Ti
sembra forse questo il momento di scherzare?».
Il moro sbarrò gli occhi scettico, poi rivolse uno sguardo
truce al gemello. «Io non ho fatto nulla! Sarà
sicuramente
stato questo idiota!».
«Sicuro, infatti mi sono trasformato in Mr. Fantastic e posso
allungare le braccia. Come facevo, secondo te, a prendere
il
libro senza farmi vedere e poi arrivare persino a colpire Gustav in
testa con te in mezzo?», si difese Tom, ricambiando
l'occhiataccia del fratello.
«Sicuramente è stato uno di voi due»,
ritornò alla carica Gustav.
I due gemelli stavano per protestare ancora, quando altri tonfi sordi
riecheggiarono nella biblioteca deserta e quando i tre amici urlarono
all'unisono un forte: «AHIA!».
Un dolore tremendo li costrinse a portare le mani alle nuche,
massaggiandosele con delle smorfie doloranti sul viso. I loro sguardi
si abbassarono a terra e si posarono su tre libri neri, aperti e
immobili.
«Ma che...?», provò a chiedere Tom, ma
non ne ebbe
il tempo, perché subito un altro volume lo colpì
in testa.
La stessa cosa accadde a Bill e a Gustav. I libri sugli scaffali
cominciarono improvvisamente a prendere vita e a colpire con violenza
le testa dei tre ragazzi.
«Ma che cazzo di libri sono questi?», si
lamentò il rasta, riparandosi con le mani il capo.
«Fa male il peso della cultura, vero?»,
ironizzò
Bill, cercando di sdrammatizzare la faccenda e seguendo l'esempio del
gemello per non continuare a prendere colpi in testa.
«'Sti cazzi, il peso della cultura! Non ho intenzione di
continuare a prendere librate in testa! Seguitemi!»,
sbottò Tom, incominciando a correre per le
varie
corsie, seguito a ruota dai due compagni.
Man mano che percorrevano le varie corsie, i libri che gli piovevano
addosso si moltiplicavano sempre di più, fino a diventare un
numero
infinito. Il dolore che provocavano tutti quei volumi fece quasi
perdere la percezione del proprio corpo ai tre ragazzi: non riuscivano
più a sentire gambe e braccia, che erano ormai
piene di lividi, e quasi veniva loro da vomitare per tutti i
colpi che avevano
preso allo stomaco.
«Esattamente, dove stiamo andando?», si
lamentò
Bill con la voce dolorante e il corpo leggermente incurvato in avanti,
mentre correva.
«Sto cercando l'uscita, scemo! Questa biblioteca è
un
labirinto, non è certo una passeggiata!», gli
rispose Tom, guardandosi attorno e riducendo sempre più gli
occhi a due fessure, per colpa della pioggia di libri che continuava
imperterrita a colpirli.
Improvvisamente, il rasta inciampò sui suoi stessi jeans
extralarge e cadde rovinosamente a terra. Immediatamente i libri che
volavano in giro in quel momento gli si buttarono tutti addosso e non
smisero neanche per un secondo di colpirlo per tutto il corpo. Bill e
Gustav, invece, vennero risparmiati e in un battibaleno si ritrovarono
liberi dalla pioggia di grossi volumi.
«Tom!», urlò Bill, spaventato
più che mai nel
vedere il gemello ancora
disteso a terra, sicuramente privo di sensi e con quei libri attorno
che continuavano a massacrarlo di botte.
Non ci pensò due volte e fece dietrofront per correre a
salvare
il fratello, ma improvvisamente si sentì afferrare
saldamente
per un braccio da Gustav.
«Vado io a prenderlo, tu intanto
comincia a correre», gli ordinò il batterista con
voce ferma,
inoltrandosi nella confusione generata da tutti quei volumi.
Bill seguì il suo ordine e cominciò a guardarsi
attorno e
a correre in cerca dell'uscita di quel labirinto: era come cercare un
ago in un pagliaio, una missione impossibile. Quando il cantante si
voltò indietro ancora una volta, vide Gustav con Tom sulle
spalle, che correva e
cercava di proteggersi da tutto quel putiferio.
I libri aumentavano
sempre di più e la loro violenza nei colpi
era maggiore.
I tre compagni continuarono a girare tra le
corsie, fino a non
aver quasi più fiato nei polmoni per la fatica e per il
dolore
che
si mischiavano insieme. Poi, improvvisamente, tutto si
fermò.
Mentre
continuavano a correre, Bill, Tom e Gustav non sentirono più
i
colpi dei libri sui loro corpi, ma si resero conto di colpo
di essere finalmente liberi.
«Cosa diavolo è successo?», si
lamentò Tom con voce dolorante, ancora sulle spalle di
Gustav.
Il batterista lo mise giù, ma lo sorresse comunque con le
sue
braccia forti. «Sei scivolato e i libri ti hanno
tramortito».
«Mi sembra di avere una campana in testa, rimbomba
tutto»,
mugugnò il rasta con una smorfia sul viso, massaggiandosi
piano la
nuca.
«Pensi di poter camminare da solo?», gli chiese
preoccupato Bill, avvicinandosi al gemello.
«Sì, ce la faccio. Grazie», disse
poi il chitarrista, sorridendo grato a Gustav.
Il batterista ricambiò il sorriso e alzò le
spalle. «Di niente, figurati».
«Ehi, guardate là! L'uscita!»,
esclamò il
cantante euforico, indicando con un dito alcune scale che conducevano
ad una porta a qualche metro da loro.
I tre compagni non ebbero neanche il tempo di esultare,
perché un rumore
potente ed improvviso alle loro spalle li costrinse a
voltarsi: i libri, che fino a pochi minuti prima li avevano torturati
di
botte, in quel momento erano tutti compatti, formando come uno spesso e
indistruttibile muro davanti a loro.
«Merda», commentò Tom, terrorizzato
da quella vista.
Bill e Gustav diedero un'occhiata all'uscita dall'altra parte della
stanza: avrebbero dovuto percorrere tutta la corsia per
arrivare alla fine della stanza e uscire dalla biblioteca e, se
avessero voluto salvarsi e non morire schiacciati da un muro di libri
enorme, avrebbero dovuto correre veloci. Molto veloci.
«Ragazzi», sussurrò Tom, attirando
l'attenzione dei due compagni sul muro di libri che cominciava piano
piano ad
avanzare minaccioso verso di loro. «Io credo che sarebbe
più opportuno...».
Il muro scattò in avanzi all'improvviso, avvicinandosi
sempre di più alla loro postazione, veloce e spaventoso da
vedere.
«CORRERE!», urlò il rasta, sollevandosi
i jeans enormi per non inciamparvi ancora durante la corsa.
Bill e Gustav seguirono l'esempio del chitarrista e insieme
incominciarono una corsa verso la salvezza. La porta era lontana, ma
non impossibile da raggiungere, perciò i tre non si arresero
e non si scoraggiarono mai, neanche quando sentirono l'aria smuoversi
pericolosamente dietro di loro, segno che il muro di libri li aveva
quasi raggiunti. Se non fossero riusciti a raggiungere la porta, i
libri li avrebbero sbattuti contro al muro e schiacciati sotto il loro
peso.
In un batter d'occhio, tutti e tre gli amici ricordarono le
ultime parole pronunciate dal loro bassista, Georg:
"Promettetemi che lotterete, che
non vi arrenderete mai in nessuna situazione e, cosa più
importante, che resterete sempre uniti". Questo
bastò per dare la forza necessaria ai tre di continuare a
correre, avvicinandosi l'uno all'altro il più possibile e
stringendo i denti fino alla fine.
Georg si è
sacrificato per noi, per permetterci di salvarci, e noi non possiamo
deluderlo così, morendo adesso pensò
con decisione Bill, rendendosi improvvisamente conto di essere a soli
pochi metri dall'uscita.
«Ci siamo!», urlò Gustav, incominciando
a
salire i primi gradini delle scale.
Un ultimo sforzo, bastò solo stringere i denti per qualche
istante ancora. Arrivarono alla porta, l'aprirono e si buttarono
letteralmente nell'altra stanza, finendo per terra e richiudendo la
porta con un calcio violento. In quello stesso momento in cui la porta
si chiuse, il muro di libri si schiantò senza
pietà sul pezzo di legno, rischiando quasi di infrangerlo e
provocando un rumore spaventoso e assordante.
Bill, Tom e Gustav,
distesi sul pavimento freddo uno di fianco all'altro, ansimavano
stremati.
Ce l'abbiamo fatta
pensò Bill, sorridendo appena.
Gustav, sdraiato a pancia in alto, rivolse un'occhiata alla stanza in
cui erano finiti: era piena di bambole e pupazzi. «Dove
siamo?», chiese con un filo di voce,
allungando un braccio per sentire il corpo di Bill ansimare
accanto a sé.
«Credo... credo che questa sia... la stanza delle tre
bambine».
|
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Capitolo 4 *** Ghosts from the past ***
04. Ghosts from the past
La
stanza era piuttosto ampia e arredata con piccoli mobili bianchi,
due librerie e tre letti sistemati a distanza calcolata l'uno
dall'altro; c'era una scrivania, una cesta impagliata per i giocattoli
e una specie di comodino abbastanza basso su cui erano appoggiate circa
una trentina di bambole di porcellana. Era tutto in ordine, nonostante
la polvere e le piccole ragnatele negli angoli dei muri, andatesi a
formare con il passare degli anni. L'unica cosa che stonava con tutto
il resto era uno dei tre letti, l'unico ad essere ancora disfatto.
Tom si
avvicinò al comodino con sopra le bambole di porcellana.
«La stanza delle bambine, eh?», commentò
con tono
sarcastico. «Tale padre, tale figlie».
Gustav lo raggiunse e
inarcò un sopracciglio confuso. «Che vuoi
dire?».
Il chitarrista
allungò una mano e prese una bambola, mostrandola
all'amico. «Che il paparino scriveva storie horror e le sue
figliolette truccavano le loro bambole come dei mostri»,
spiegò con un sorrisetto sbilenco.
Effettivamente la
bambola non era proprio quella che si poteva definire
un giocattolo carino e trattato con cura dalle rispettive proprietarie:
il vestito era strappato e macchiato in più punti, molte
ciocche
di capelli mancavano e quelle che restavano erano spettinate e parevano
essere state bruciate
da qualcosa di indecifrabile. Ciò che inquietava di
più,
però, era il volto: graffiato in più
punti,
scarabocchiato di rosso vicino alla bocca e all'attaccatura dei
capelli, come se fosse sangue vero; gli occhi, poi, erano completamente
bianchi.
«Piuttosto
macabro, direi», commentò Tom, storcendo la bocca
e
rimettendo a posto la bambola.
Chitarrista e
batterista si allontanarono dalle bambole, invece il
cantante si avvicinò. Bill le guardò con
attenzione, ispezionandole una ad una. Non tutte erano rovinate, alcune
erano delle normalissime bambole. Le uniche ad essere in uno stato
penoso erano quelle posizionate dalla parte del letto disfatto. Il
moro si avvicinò al letto e rimase fermo a guardarlo, mentre
Tom
e Gustav avevano finalmente trovato una porta, nascosta dietro ad un
mucchio di pupazzi ammassati uno sopra l'altro.
«Ehi, Bill,
qui ci sono delle scale che portano al piano
inferiore», commentò Tom, guardando gli scalini
oltre la
porta aperta. «Ti dice niente?».
Bill sentì
la voce del fratello arrivare attutita alle proprie
orecchie, lontana e senza un significato preciso. Improvvisamente si
sentiva strano, come se fosse caduto in una specie di dormiveglia. La
testa prese a girare, gli occhi a farsi più pesanti.
«Bill?»,
lo chiamò Tom confuso.
Il cantante
sentì i sudori freddi percorrergli tutto il corpo e
nella sua testa cominciarono a rimbombare delle risate femminili
sconosciute, simili a quelle delle bambine. Le gambe cedettero
improvvisamente e lui cadde a terra, gli occhi spalancati
che vedevano solo il buio più totale.
«Bill!»,
urlò Tom, correndo verso il gemello. «Che
cos'hai?».
Bill
riuscì soltanto a sentire quest'ultima domanda del fratello,
poi venne come spedito in un altro mondo sconosciuto e mai visto
prima. Ogni cosa vorticava intorno a lui, confondendogli ancor
più le idee. Le risate si facevano sempre più
forti e
vicine e, quando Bill batté le palpebre infastidito,
tutt'intorno a lui smise di girare e si ritrovò disteso sul
pavimento freddo di una stanza completamente vuota. Non c'erano
più neanche Tom e Gustav.
Il cantante si prese la testa fra
le
mani, massaggiandosi lentamente le tempie per far passare almeno un
po' quel mal di testa improvviso che lo aveva colpito.
Dove
sono finito?
si chiese preoccupato e con la paura che cominciava a farsi viva nel
corpo.
Si guardò
attorno, rendendosi conto di trovarsi nel soggiorno,
lo stesso luogo dove avevano perso Georg.
Bill
cominciò a
respirare affannosamente, terrorizzato. No, non
posso essere qui. È pericoloso e non posso farcela da
solo.
Ad un tratto, un
rumore di passi frettolosi arrivò alle sue
orecchie, seguito da alcune risate divertite: tre bambine, due di circa
sei anni e una di otto, entrarono nella stanza, correndo e inseguendosi
l'un l'altra. Bill rimase basito davanti a quella visione: quelle
bambine
erano le stesse che aveva visto nella foto sul camino del soggiorno.
Ma
sono morte... L'incendio le ha...
«Bambine,
adesso basta correre. State disturbando il sonno di
vostra madre».
Un uomo, sbucato dalla porta del soggiorno,
andò incontro alle bambine, interrompendo i loro giochi.
«Lo sapete che soffre di emicrania e ha bisogno di
riposo».
«Sì,
papà. Scusa», disse la bambina più
grande.
«Andate
nella vostra stanza. Devo ricevere una persona, fra poco».
Le bambine annuirono
col capo chino, tristi e mortificate al tempo
stesso. Corsero verso la porta e scomparvero alla vista del padre.
Sembra
che nessuno possa vedermi pensò Bill,
constatando che nessuno avesse ancora fatto caso a lui.
L'uomo scosse la
testa contrariato e si avvicinò al camino,
fissando con una smorfia la foto di famiglia che aveva davanti.
Doveva
essere un padre molto severo.
«Signore,
è arrivato suo fratello. Devo farlo
entrare?».
Una cameriera, una donna anziana, si
fermò sulla
soglia della stanza per annunciare un ospite.
«Certo, Ada. Fallo entrare».
La cameriera
annuì con il capo e si allontanò
dalla stanza per qualche istante. Poco dopo, tornò insieme
ad un
altro uomo, leggermente più vecchio del primo.
«Buongiorno,
Ralf. È da un po' che non ci
incontriamo», esclamò l'uomo sulla porta, appena
la
cameriera se
ne fu andata e li ebbe lasciati soli.
«Già.
È da un po'», gli rispose il fratello.
Passò
qualche istante di silenzio fra i due e Bill non
poté far a meno di pensare che i due non dovevano proprio
essere in
buoni rapporti.
«Al
telefono avevi detto che dovevi parlarmi di Edel.
Cos'è questa storia dell'adozione?», chiese ad un
tratto
l'uomo più vecchio.
Ralf, che, a quanto
aveva capito Bill, doveva essere il padre delle tre
figlie e anche lo scrittore del libro nero, sospirò
tristemente e
distolse lo sguardo dal fratello. «Mia moglie è
malata e
non ce la fa più ad occuparsi di tre figlie insieme. Edel,
poi,
sembra che in questi tempi sia diversa dal solito: non va
più
d'accordo con le sorelle, è ostile e violenta, con sua madre
si
comporta male e parla di cose strane... cose soprannaturali».
«Beh,
con un padre che come mestiere fa lo scrittore di libri horror, non mi
sorprende la cosa».
«No,
c'è differenza fra finzione e realtà, Fritz. Lei
crede che queste cose esistano veramente e pochi giorni fa ha
spaventato le sue sorelle, dicendo che una delle sue bambole era viva e
che voleva ucciderle nel sonno. Una notte, una delle due
bambine è corsa in camera mia, dicendo di aver visto Edel
con un
coltello in mano, vicino al letto».
Una
famiglia di svitati pensò Bill,
ascoltando il discorso fra i due uomini.
«Ma non
è questo il punto», continuò Ralf,
attirando ancora l'attenzione del fratello.
Passarono altri
istanti di silenzio, poi tornò a parlare.
«Sai bene che Edel non è veramente nostra
figlia
naturale e che è stata adottata e cresciuta come se fosse
nostra, ma... tenerla qui insieme alle altre bambine è
pericoloso e poi mia moglie, come ho già detto, non ce la fa
più. Per questo abbiamo pensato di... riportarla indietro
all'orfanotrofio».
«E come
pensi che reagirà a questo? Ha solo otto anni,
Ralf!».
Improvvisamente, un
rumore interruppe la discussione dei due uomini:
Edel, la bambina più grande, era rimasta nascosta nella
stanza e
aveva sentito tutto.
Bill provò
un'immensa tristezza nel vedere gli occhi azzurri della bambina
riempirsi di lacrime.
Povera
piccola.
«Edel!»,
esclamò il padre sconvolto.
Successe qualcosa di
strano in quel momento. Improvvisamente Bill vide
la scena cambiare davanti ai propri occhi, ritrovandosi ancora una
volta
nella stanza delle bambine. Era solo con Edel questa volta. La bambina
era in piedi di fronte alle sue bambole di porcellana e ne stringeva
una in mano, graffiandole e colorandole la faccia con forbici e
pennarelli. Piangeva ancora e
continuava a dire sempre la stessa cosa.
«Sono
cattivi, sono tutti cattivi!», singhiozzava, torturando la
bambola
con sempre più rabbia.
Bill non sapeva
neanche perché, ma quella scena gli faceva
tenerezza. Vedere quella piccola bambina di soli otto anni, con i
capelli biondi raccolti in due codini e il visetto rosso con le lacrime
che le scorrevano sulle guanciotte paffute, lo rattristava tantissimo.
«Sono
cattivi, Edel, sono cattivi!», continuava a dire.
In un primo momento,
Bill pensò che la bambina stesse dicendo
quelle cose a se stessa, poi capì che stava invece
parlando
con la sua bambola, a cui aveva dato il suo stesso nome.
«Devi
ucciderli, Edel!», esclamò ad un certo punto la
bambina.
Il cantante
spalancò gli occhi incredulo: una bambina
così piccola che voleva la morte dei suoi famigliari era
una
cosa inquietante.
Ma
perché mi stai facendo vedere tutto questo?
pensò Bill, come
se stesse parlando direttamente con la bambina.
Edel alzò
lentamente il capo e lo volse verso la sua destra, proprio la direzione
in cui si trovava il cantante. «Perché
sono cattiva anch'io», disse con un tono di voce minaccioso.
Una marea di brividi
percorse tutto il corpo di Bill e
improvvisamente tutto ricominciò a vorticargli attorno.
Gemette e si accasciò a terra, prendendosi la testa
dolorante
fra le mani e chiudendo gli occhi per non vedere tutta quella
confusione. L'ultima cosa che vide furono gli occhi azzurri della
bambina farsi rossi e luminosi, insieme a quelli della bambola che
teneva in mano.
Che
diavolo succede?
pensò il moro con terrore.
«Bill!».
Una voce cominciò a chiamarlo e Bill la
riconobbe all'istante: era la voce di suo fratello, ma
era lontana.
Come era cominciato,
finì improvvisamente. Tutto si calmò
attorno al moro e questo poté riaprire gli occhi,
ritrovandosi a fissare quelli preoccupati del gemello e di Gustav.
«Che ti succede?», gli chiese con voce preoccupata
il batterista.
Il cantante si rese
conto di essere sdraiato sul pavimento di legno
della stanza delle bambine con i suoi due compagni accanto che lo
fissavano in ansia.
Lentamente si sollevò a sedere e si
mise le
mani sulla fronte bollente. «Edel... la
bambina...», cominciò a farfugliare in uno stato
di confusione totale.
Tom inarcò
un sopracciglio confuso. «Cosa? Chi è
Edel?».
Bill non rispose, ma
girò di scatto la testa verso il comodino con sopra tutte le
bambole di porcellana e scosse Tom con una mano. «Devi
distruggerla! Adesso!», urlò agitato.
Il chitarrista non
reagì, ma rimase comunque perplesso dal comportamento del
gemello. «Distruggere cosa, Bill?».
Improvvisamente, una
risata di bambina risuonò nell'aria, attirando l'attenzione
dei tre compagni.
Gustav
buttò lo sguardo sul letto disfatto. «A quanto
pare una bambina non è a nanna»,
commentò inquieto.
Bill si
alzò in fretta in piedi e corse verso il comodino per
prendere la bambola di porcellana chiamata Edel. Ma questa non c'era
più.
«Dov'é?
Dov'è Edel?».
«Ma chi
è Edel?», chiese Tom esasperato.
«È
la sua bambola! L'ha chiamata come lei ed è probabile che lo
spirito della bambina sia rinchiuso lì dentro!»,
spiegò Bill, lanciando le bambole per terra per cercare
quella giusta.
«E come lo
sai?», gli chiese Gustav.
«Ho avuto
una visione. Una delle tre bambine, Edel, mi ha fatto vedere un
avvenimento di qualche anno fa. E poi c'era scritto una cosa simile
anche nel libro, erano solo i personaggi ad essere diversi».
«Impressionante».
Bill si
voltò verso Tom per urlargli contro di dargli una mano a
cercare la bambola, invece di stare immobile a fare battutine
sarcastiche, ma qualcosa lo costrinse a bloccarsi. Il suo viso
impallidì all'istante e i suoi occhi si spalancarono
increduli.
«TOM,
DIETRO DI TE!», urlò con tutta la voce che aveva
in
corpo.
Il chitarrista si
girò di scatto, spaventato dalle grida del gemello. La
bambola che poco prima aveva preso in mano, ora era in piedi alle sue
spalle, gli occhi bianchi che improvvisamente avevano preso a
sanguinare.
«Porca
puttana!», urlò il batterista, quando si accorse
che quel giocattolo poteva muoversi.
Bill non seppe cosa
successe veramente, ma improvvisamente non riuscì
più a respirare: l'aria non arrivò più
ai polmoni e fu costretto così ad accasciarsi a terra,
boccheggiando in cerca d'aria. La bambola lo fissava
con gli occhi completamente bianchi, il sangue che continuava ad uscire
da essi. Le risate della bambina riecheggiarono ancora più
forti di prima nella stanza.
Il cantante sentì due forti
mani sollevarlo un poco da terra: Gustav gli era accanto, gli occhi
pieni di terrore.
Edel, la bambola,
aprì la bocca. «Devi ucciderli, Edel! Devono
morire tutti!», disse la sua voce infantile con fare
minaccioso.
Tom si
avvicinò alla bambola e la prese in mano con rabbia.
«Tu per prima».
L'alzò in
aria e la sbatté a terra con violenza. La
bambola di porcellana si ruppe in mille pezzi e in un attimo una grande
pozza di sangue macchiò il pavimento di legno. Le risate
cessarono e Bill riprese tutto in una volta a respirare.
Il cantante si
lasciò andare fra le braccia accoglienti di Gustav,
completamente sfinito e provato. «Se ne è
andata?», sussurrò, respirando
più aria possibile.
Tom raggiunse
velocemente Bill e Gustav, prese il fratello dalle braccia dell'amico e
lo abbracciò stretto. «Sì,
se ne è andata», disse, accarezzandogli i capelli.
Il cantante
guardò i pezzi della bambola sul pavimento e
ripensò alla visione che la bambina gli aveva mostrato poco
prima. «Per il momento».
Bill non riusciva a togliersi dalla mente ciò che
aveva appena
visto. Come poteva una bambola uccidere delle persone? Un oggetto
inanimato, all'apparenza innocuo, non poteva trasformarsi da un momento
all'altro in un essere vivente e sterminare una famiglia intera.
Se era la bambola ad
essere
maledetta, allora, adesso che è andata in pezzi, non
dovrebbe
più succedere nulla in questa casa. Era lei a controllare
tutto e a volerci uccidere, quindi dovrebbe essere tutto finito.
Il cantante non faceva altro che pensare a questo e per un momento
soltanto la speranza di essere finalmente tutti salvi gli fece tirare
un sospiro di sollievo.
«Non capisco dove porti questa scala. Non si vede niente da
quanto è buio».
Tom distolse il fratello dai sui
pensieri,
riportandolo alla realtà e attirando la sua attenzione oltre
la
porta che avevano scoperto poco prima dietro ad una montagna di
pupazzi nella stanza delle bambine.
Una scala buia portava verso il
basso, ma dopo pochi metri non si
riusciva più a vedere la fine di quel cunicolo stretto.
«Per caso, ricordi dove porta?», lo
interrogò il
gemello, continuando a guardare sospettoso i piccoli gradini di marmo.
Bill si concentrò e cercò di ricordare la storia
del
libro nero, sperando di trovare una scena simile a quella. Qualcosa
c'era, ma poteva anche non essere vera. Fino a quel punto, la storia
del libro era stata totalmente diversa dalla realtà, ma
provare
non costava nulla. Tanto, ormai, c'erano dentro e non potevano fare
altro
che continuare il percorso che avevano intrapreso dentro a quella casa.
«Dovrebbero portare alla cucina sotterranea, ma non ne sono
sicuro», commentò cauto il moro, fissando
sospettoso il
buio oltre la porta. «Vado io per primo. Mi metto davanti a
voi
due, così se succede qualcosa...».
«Puoi scordartelo, in testa al gruppo ci sto io!»,
sbottò subito Tom, guardando scettico il fratello.
«Ma è pericoloso».
«Appunto. Se succede qualcosa, succederà a me e
non a te».
Bill guardò il gemello con occhi dolci, felice che in quel
momento fosse così premuroso nei suoi confronti: raramente
gli
dimostrava il suo affetto così apertamente. Tom distolse lo
sguardo imbarazzato, non volendo mostrare al fratello che si
vergognava e che era diventato improvvisamente rosso in volto.
Gustav
si lasciò scappare un
sorrisetto furbo, intenerito da quella scena: dopo tutti i litigi a cui
aveva dovuto assistere prima, era ora che venisse fuori un po' di sano
affetto fraterno.
«Okay, Romeo e Giulietta. Vado io per
primo»,
esclamò scherzoso il batterista, ricevendo subito indietro
le
occhiate arrabbiate dei suoi due amici.
«Romeo e Giulietta?», protestò Tom
disgustato.
«E poi, scusa, chi dovrebbe fare la parte di
Giulietta?»,
chiese scettico Bill, guardando il gemello, che lo stava fissando
schifato.
Gustav scosse la testa esasperato e non rispose, rivolgendo lo sguardo
oltre la porta. Entrare lì dentro lo faceva sentire
molto
irrequieto, ma preferiva rischiare di persona, piuttosto che mettere in
pericolo i due gemelli. In un certo senso, lui e Georg si
assomigliavano molto sotto quel punto di vista: entrambi erano disposti
a
sacrificarsi per i propri amici.
Mi manchi, amico mio
pensò il batterista, assumendo un'espressione del viso
triste e amareggiata.
Bill se ne accorse e subito si preoccupò. «Ti
senti bene?».
Gustav fissò l'amico in silenzio, poi annuì con
un breve
cenno del capo e, senza dire niente, cominciò a scendere le
scale
che portavano verso il basso. Tom e Bill rimasero per un momento
immobili a fissare l'amico, scambiandosi un'occhiata confusa.
Chissà a cosa stava pensando di così triste.
Scuotendo
leggermente la testa, seguirono il compagno giù per le
scale.
Il
cunicolo era stretto, ma i tre riuscirono bene o male a passarci tutti
quanti. Era molto buio, ma, essendo la scala tutta dritta, procedere
non
era quasi un problema. Più che il buio e le circostanze, era
l'irrequietudine dei tre ragazzi a rallentare i tempi: il
pensiero che qualcosa di soprannaturale potesse uscire fuori e
aggredirli da un momento all'altro gli mozzava il respiro in gola.
Sicuramente una persona claustrofobica non avrebbe retto lì
dentro.
Gustav procedeva con cautela, facendo strada agli altri due, in
fila dietro di lui.
La discesa verso il basso sembrò durare
ore
da quanto era lunga quella scala, ma alla fine arrivarono davanti ad
una porta chiusa.
Il batterista, tastando il freddo legno scuro,
riconobbe quello che doveva essere un pomello d'ottone. Con
lentezza lo
girò, facendo scattare la serratura e aprendo
successivamente
con cautela la porta. La forte luce che investì i tre
ragazzi
ferì i loro occhi, a causa di tutto il tempo trascorso al
buio.
La stanza in cui si trovavano era senza ombra di dubbio la cucina della
casa. Un grande lavandino bianco, sporco in più punti di
macchie
marroni, era sistemato lungo la parete di fronte a loro e un enorme
forno nero occupava quasi mezza camera; dal soffitto piuttosto basso
pendevano padelle arrugginite e mestoli di legno sporchi ed incrostati
di cibo vecchio. Una piccola finestra, nonostante il brutto tempo che
ancora c'era fuori, portava un po' di luce nella stanza, permettendo ai
tre amici di vedere con chiarezza ciò che li circondava.
«Carina», commentò sarcasticamente Tom,
guardando disgustato i cucchiai di legno sporchi.
Gustav rivolse lo sguardo al soffitto, crepato in più punti.
Quella stanza era forse la più rovinata di tutte, o, almeno,
fra
quelle che avevano visto fino a quel momento. Bill si
avvicinò
al forno nero, esaminandolo circospetto e rivolgendo poi la sua
attenzione al lavandino lì a fianco: all'interno,
immersi nell'acqua, brillavano vari coltelli con i manici
più
lucenti che avesse mai visto. Allungò una mano,
immergendola nell'acqua, e ne prese uno in
mano.
È
così splendente.
Strano che questi coltelli e l'acqua in cui sono immersi siano
così puliti: qui è tutto sporco, a parte questi.
«Hanno il manico d'argento».
Bill sobbalzò appena, preso alla sprovvista dalla voce del
gemello, che si era avvicinato a lui per fissare i coltelli.
«Strano, però, che siano così puliti.
Probabilmente
perché sono stati immersi nell'acqua fino
ad ora, ma
come fa l'acqua ad essere così pulita? Chi l'ha
cambiata?»,
chiese il chitarrista, più a se stesso che al fratello.
«Ehm...».
Gustav, poco lontano dai due amici, stava
fissando con orrore un punto davanti a loro.
«Bill, ti ricordi cosa succedeva in questa stanza?
Cosa diceva il libro?», chiese Tom, ignorando completamente
il
batterista.
«Non mi sembra che ci fosse una scena del genere».
«Ma tu stai attento a quello che leggi, oppure
sogni?»,
sbottò il rasta con tono accusatorio. «Leggi
veramente, o
fai solo finta?».
«Non è colpa mia se la storia reale è
confusa,
rispetto a quella scritta nel libro!», si difese il cantante,
guardando piccato il gemello e alzando il tono della voce.
«Ragazzi», tentò
nuovamente Gustav di attirare la loro attenzione.
«Forse sei solo tu che ci vuoi far credere che la storia sia
diversa, ma la verità è che non l'hai
neanche
letta
attentamente! Neanche leggere sai fare!».
«Non è affatto vero!».
«Volete ascoltarmi, voi due?».
«Credi che in una situazione simile avrei il coraggio di
raccontare una bugia?».
«Per me, sì! Tutto faresti, pur di pararti il
culo!».
«Prontooo?».
«Ne ho fin sopra i capelli di te, Tom! Non fai altro che
accusarmi di cose non vere e, per la cronaca, sei un vero rompi
palle!».
«Penso proprio la stessa cosa di te, caro
fratellino!».
«I COLTELLI VOLANO!», urlò Gustav,
continuando a fissare sconvolto lo stesso punto di prima.
«E chi se ne frega!», esclamarono insieme i
gemelli,
non voltandosi neanche a guardare l'amico.
«Tu sei veramente un grande... Cosa fanno i
coltelli?»,
cambiò improvvisamente discorso Tom, voltandosi con la
fronte
corrucciata verso Gustav.
Non ebbe neanche il tempo di guardarlo negli occhi, perché
venne
improvvisamente scaraventato dall'amico stesso sotto al tavolo della
cucina, posizionato in mezzo alla stanza. Si ritrovò
appiccicato
al batterista e al fratello, fermi sul pavimento polveroso. Un rumore
di un coltello conficcato nel legno arrivò alle sue
orecchie. Il
chitarrista voltò il viso alle sue spalle e notò
che, dove prima c'era la sua testa e quella del fratello, in quel
momento
c'erano due grandi coltelli dal manico d'argento, conficcati nel mobile
attaccato al muro.
«Ci ammazzano, ecco cosa fanno», esclamò
Gustav con gli occhi sbarrati per lo spavento.
C'era mancato veramente poco che si ritrovassero un coltello conficcato
in testa, ma, fortunatamente, aveva spinto i due amici sotto
al
tavolo.
«Ma che cazzo...?».
Tom si bloccò,
fissando con gli
occhi spalancati altri tre coltelli che si erano alzati in aria da
soli, puntati verso di loro sotto al tavolo.
«Merda».
Gustav prese le gambe del tavolo e lo ribaltò davanti a
loro,
posizionandolo come una specie di barriera difensiva. I coltelli
partirono in avanti e si andarono a conficcare nel legno. Lo spessore
del piano del tavolo era molto stretto, perciò le lame
sbucarono
fuori dalla parte dei tre ragazzi.
«Dobbiamo fare qualcosa, il tavolo non reggerà
tanto a
lungo», disse serio il batterista, fissando gli altri due
amici.
«Non preoccuparti, Gustav. Finché siamo qui
dietro,
i
coltelli non possono farci niente. Insomma, dai, non possono certo
trapassare completamente il tavolo», commentò Tom,
ridacchiando, mentre una serie di coltelli continuava ad
infilarsi nel legno.
In quel preciso istante, un coltello più grande degli altri
trapassò completamente il tavolo, passando alla
velocità
della luce fra Bill e Tom e andandosi a conficcare nel muro alle loro
spalle. Il cantante urlò spaventato e il chitarrista
deglutì a
fatica, guardando il coltello con orrore.
«Evidentemente
sì».
Gustav sollevò la testa oltre il tavolo per controllare la
situazione e subito i suoi occhi si spalancarono terrorizzati.
«VIA DA QUI!», urlò con tutta la voce
che
aveva in
corpo, spingendo i due amici di lato.
In una frazione di secondo, il tavolo venne frantumato in mille pezzi
da una ventina di enormi coltelli, ma Bill, Tom e Gustav si erano
salvati, rotolando di fianco. In quel momento, però, erano
completamente scoperti e facili prede dei coltelli.
«Cazzo, sembrano proiettili! Se non fossero così
grossi,
non li vedrei nemmeno», si lamentò Tom, scattando
immediatamente in piedi e tirando su con sé anche Bill, che
era
rotolato dal suo stesso lato.
Gustav, invece, si era buttato nel lato opposto, più lontano
da
loro. Guardarono circospetti la stanza, ma non videro nessun coltello,
tranne quelli conficcati nel legno e nei muri.
Bill aveva una strana sensazione addosso, come se percepisse la
presenza di un'altra persona in quella stanza. Non vedo nessuno, ma so
che non siamo soli.
«GIÙ!».
L'urlo del gemello lo
riportò alla
realtà, facendolo immediatamente piegare verso il basso,
prima
che un altro coltello, sbucato fuori improvvisamente, lo colpisse in
testa.
Cominciarono a volare coltelli in lungo e in largo e i due
fratelli iniziarono a correre per tutta la stanza, cercando di evitarli
e
usando tutti i rimedi possibili per non venire colpiti.
Gustav faceva
altrettanto, anche se dalla sua parte ce n'erano meno. Ciò
che
lo preoccupava di più era un mattarello di legno, che
cercava di
colpirlo alla gambe per poi essere facile preda dei coltelli. Il
batterista si accorse ben presto di essere con le spalle al muro con
l'oggetto di legno che continuava a svolazzargli davanti. La cucina era
un disastro e, tutto ciò che prima era appeso al soffitto,
in
quel momento giaceva sul pavimento, creando ancora più
confusione. Gustav buttò l'occhio su quegli oggetti,
cercando
qualcosa con cui poter combattere quel mattarello. L'unica cosa
abbastanza lunga e resistente era la gamba del tavolo con cui prima lui
e i gemelli si erano riparati. Non ci pensò due
volte e la prese in mano, usandola come se fosse una spada, per
difendersi dai colpi del mattarello.
«Gustav, dacci una mano!», urlò Tom,
ancora intento a correre insieme al fratello per la cucina.
«Sono un tantino occupato, adesso».
Bill seguiva il gemello, abbassandosi e correndo per evitare i coltelli
volanti e, intanto, pensava a cosa potesse essere dovuto tutto quel
trambusto. Che diavolo
può esserci in una cucina?
Mentre scappava, lanciò un'occhiata a Gustav, intento a
combattere con il mattarello volante.
Ma certo!
«Gustav, non combattere il mattarello! Cerca di colpire
l'aria
di fronte a te!», urlò deciso, cercando di
sovrastare il
trambusto che si era creato in quella stanza.
«Ma certo e poi, magari, ti faccio pure un caffè.
Dico, ma
sei
matto?».
«Fallo e basta!».
Gustav scosse la testa e cercò di colpire l'aria di fronte a
sé, muovendosi in qua e in là per non venire
colpito dal
mattarello. Stranamente, colpì qualcosa di solido e il
mattarello cadde a terra. In un attimo i coltelli smisero di volare
intorno ai due gemelli e la stanza tornò tranquilla.
Il batterista guardò spaesato il mattarello ai suoi piedi. Ma che diavolo...?
«AAAH!».
L'urlo di Bill risuonò per tutta
la cucina, facendo sobbalzare Gustav e Tom. I due si voltarono a
guardare il cantante e la paura
cominciò a
farsi strada nei loro corpi, quando notarono che Bill aveva un coltello
conficcato nel braccio destro.
«Bill!», urlò Tom terrorizzato,
prendendo
il fratello fra le sue braccia per evitare che cadesse a terra.
Il sangue cominciò ad uscire dalla ferita del cantante,
colandogli prima sulla manica della maglia nera che aveva indosso, poi
sulla pelle bianca del braccio. Gustav ebbe giusto il tempo di vedere
l'amico accasciarsi a terra, abbracciando il gemello, perché
il
mattarello, che poco prima giaceva ai suoi piedi, era
ritornato all'attacco.
Questo coso non
è vivo, lo muove qualcosa
pensò il batterista, cercando di colpire ancora l'aria di
fronte
a sé.
Più e più volte
riuscì a colpire
qualcosa e il mattarello di legno diede qualche segno di cedimento.
«Gustav... il cuoco è... invisibile»,
disse improvvisamente Bill fra i gemiti di dolore.
Ecco la causa di tutto
questo! Figlio di...
Il mattarello questa volta non mirò più al
busto di
Gustav, ma alle sue gambe. Il colpo andò a segno e il
batterista
sentì un ginocchio cedere, per poi ritrovarsi inginocchiato
a
terra. Il mattarello cominciò a colpirlo sulla schiena e sul
resto del corpo, non dandogli un secondo di tregua.
Bill guardò dalla sua postazione l'amico, preoccupandosi di
più per lui che per le sue stesse condizioni.
«Tom,
cerca... il
cadavere del cuoco».
«Cosa?», esclamò il gemello, guardando
sconvolto il cantante.
«È il suo spirito che fa questo. Devi trovare il
suo
cadavere e... bruciarlo. Deve essere qui, nascosto nella
cucina».
«Come fai ad esserne sicuro?».
«Perché ho letto il libro».
Tom guardò negli occhi il gemello sofferente e si
sentì
subito uno schifo per tutto quello che gli aveva detto poco prima. Sono uno stronzo.
«Tom, sbrigati!», urlò Bill, dopo
l'ennesimo urlo di dolore di Gustav, ancora in balìa del
mattarello.
«Non posso lasciarti qui scoperto. Hai un coltello nel
braccio e, se gli altri ritornano all'attacco...».
«Io sto bene. Pensa a Gustav, piuttosto».
«Ma...».
«Vai!».
Il chitarrista fece un grande sforzo per lasciare lì il
gemello
ferito e per cercare il corpo del cuoco invisibile in quella cucina.
Dovette guardare in ogni mobile presente nella stanza, ma del cadavere
non trovò nessuna traccia.
«Non c'è!».
«Guarda meglio, deve essere per forza qui. Fai
presto!», lo incitò Bill, non staccando gli occhi
da Gustav.
Il batterista ormai era completamente disteso a terra e non sarebbe
passato molto tempo prima che perdesse i
sensi. Tom continuò a cercare, guardando anche
sotto i
mobili. La cosa gli sembrava alquanto insolita, ma decise di guardare
anche
dentro al grande forno nero. Spalancò lo sportello, ma
dovette
immediatamente tapparsi il naso, a causa del tanfo e della puzza di
morto che lo investì.
«Che schifo», esclamò, guardando
l'interno del forno.
Non era rimasto molto del corpo del cuoco, era più che altro
un ammasso di ossa e stracci ammassati insieme.
«Ma è a pezzi», constatò Tom,
osservando quel
mucchio di ossa lì dentro. «Qualcuno deve averlo
ammazzato
e fatto a pezzi».
«Tom!».
L'urlo di Bill fece voltare il chitarrista
di scatto, preoccupato che potesse succedere qualcosa al gemello. Con
orrore vide che una serie di coltelli si era alzata in volo,
puntando verso il cantante. Doveva sbrigarsi.
Come lo brucio, come lo
brucio? si chiese nel panico, tornando a fissare il
cadavere decomposto.
Si guardò attorno alla ricerca di fiammiferi, o comunque di
qualcosa che potesse essergli utile. Ad un certo punto si
bloccò
e fece una smorfia.
Ma
che stupido!
Le ossa erano dentro ad un forno, quindi bastava solo accenderlo.
Girò la manopola e aspettò, sperando che il forno
funzionasse
ancora bene. Gli stracci che avvolgevano le ossa entrarono in contatto
con la piastra superiore del forno, prendendo fuoco e cominciando pian
piano a carbonizzarle. Nella cucina si sentì come un
ululato, un
forte urlo di dolore.
Tom lanciò un'occhiata verso Gustav e
notò che qualcosa di trasparente era accasciato davanti a
lui:
riconobbe un corpo vestito di bianco, piegato in due e con ancora il
mattarello fra le mani. Il batterista si allontanò a fatica
da
quella figura, strisciando sul pavimento e andando verso Bill, che si
teneva una mano vicino al coltello conficcato nel
braccio.
Per un momento, un forte polverone si alzò dal
nulla intorno allo spirito del cuoco e questo sparì quasi
immediatamente, facendo tornare la calma in quella cucina. I coltelli
che poco prima erano stati puntati verso Bill caddero a terra inanimati
e
tutto ciò che rimase fu il caos più totale e un
forte puzzo di bruciato nella stanza.
Tom rimase ancora per qualche
istante immobile a fissare il punto dove prima c'era stato lo spirito
del
cuoco: non rimaneva altro che un mucchio di polvere. Un
basso gemito arrivò alle sue orecchie e in meno di un
secondo si ricordò di quello che era successo.
Bill!
Il chitarrista corse verso il gemello, accasciato
contro Gustav con
la faccia sofferente: stava perdendo molto sangue e il coltello
era ancora conficcato nella sua carne.
Tom esaminò il braccio del fratello con attenzione, poi
sospirò rassegnato. «Bill... dobbiamo tirare fuori
il coltello», disse il chitarrista, guardando gli occhi
sconvolti del gemello. «E farà male».
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Capitolo 5 *** Underground ***
05. Underground
Non avrebbe resistito ancora per molto. Il dolore al braccio
destro era
insopportabile, il dolore più forte che avesse mai
provato
in tutta la sua vita. Non gli sembrava di avere soltanto un coltello
conficcato
nella carne, ma almeno una decina. Ormai aveva perso
sensibilità
e, per quanto Gustav provasse a tamponare attorno alla lama del
coltello, il sangue continuava ad uscire abbondante dalla ferita,
inzuppando lo straccio dell'amico e picchiettando con piccole
goccioline il
pavimento polveroso. Tom era al suo fianco e fissava pallido il
coltello nel braccio del gemello, mentre si accingeva ad avvolgersi le
mani con degli stracci presi dalla cucina. Forse quella
vista
gli dava fastidio, o forse era più spaventato per quello che
stava per fare.
«Sei pronto?», gli chiese Tom, cercando di
sembrare il più sicuro possibile.
Mostrare al fratello la propria debolezza non lo avrebbe aiutato.
Bill cominciò a tremare spaventato. «Non
voglio», sussurrò con voce spezzata.
«Bill, dobbiamo toglierlo. Vuoi morire
dissanguato?»,
insistette il chitarrista, fissando pensieroso una pentola ai suoi
piedi.
La prese in mano e, ignorando i lamenti del cantante,
l'allungò a Gustav. «Riempila d'acqua».
Il batterista si alzò e corse al lavandino, mentre Tom
esaminava
attentamente il coltello nel braccio del fratello, decidendo il modo
migliore per tirarlo fuori.
Cazzo, è
conficcato proprio fino in fondo pensò
sconsolato, preoccupandosi per il dolore che avrebbe procurato a Bill
nel toglierglielo.
Gustav tornò quasi subito con la pentola piena d'acqua,
mettendola al suo fianco e riprendendo a tamponare la ferita del
cantante.
«Mentre lo tiro fuori, lava la ferita con l'acqua e spingi
più forte: il sangue deve fermarsi», gli
spiegò
Tom, inginocchiandosi meglio di fianco al gemello. «E tienilo
stretto, mi raccomando», concluse, fissando serio Bill.
Cominciava ad agitarsi troppo.
«Tom, aspetta, non...».
«Non possiamo più aspettare, Bill», lo
interruppe bruscamente il chitarrista, fissandolo serio.
Comprendeva la paura del gemello, anche lui non poteva negare di essere
terrorizzato da quella situazione, ma era importante agire il prima
possibile: non togliere il coltello alla svelta sarebbe stato un
rischio; in più, Bill continuava a perdere troppo sangue.
Il
cantante lo fissò con occhi supplichevoli, mentre Gustav lo
avvolgeva con le sue braccia, immobilizzandolo completamente. Era
importante che rimanesse fermo. Tom cercò di sfuggire agli
occhi
del fratello, prendendo un altro straccio e strappandone un pezzo. Lo
mise in bocca a Bill, in modo che potesse mordere qualcosa, mentre lui
gli estraeva il coltello dal braccio.
Il chitarrista respirò a fondo, sentendo improvvisamente un
rimescolio nello stomaco, e fissò intensamente il gemello
negli
occhi, prima di stringere entrambe le mani attorno al manico del
coltello. «Stringi i denti e... tieni duro».
Cominciò a tirare il coltello verso di sé e
subito Bill
strinse le palpebre e i denti più forte che poté
attorno
allo straccio che aveva in bocca. Era un dolore allucinante,
insopportabile. Avrebbe voluto dimenarsi, ma Gustav lo teneva stretto
in una morsa troppo forte per lui che, invece, era così
debole.
Tom cercava di rimanere il più concentrato possibile,
combattendo contro il suo stesso stomaco, i sensi di colpa provocati
dai lamenti e gli urli di Bill per il dolore che gli stava procurando e
con la fatica che stava facendo per estrarre quel coltello dal braccio
del gemello. Doveva fare piano, o Bill avrebbe sofferto ancor
più, e soprattutto era conficcato fin troppo bene in
profondità.
«Tom...», gemette Bill, sopraffatto dal dolore.
La sua voce era strozzata, irriconoscibile persino alle orecchie del
fratello. La fronte del cantante era imperlata di sudore, proprio come
quella del chitarrista. Anche Gustav faticava a tener fermo Bill:
più passava il tempo, più il dolore aumentava e
il
cantante si dimenava.
«Forza, Bill», lo incoraggiò il
batterista, cercando di sovrastare le sue urla.
Il sangue usciva sempre più abbandonante dalla ferita e
Gustav
cercava di fermarlo con gli stracci inzuppati di acqua, ormai
completamente sporca di rosso.
Tom dovette fermarsi un istante per riprendere le forze.
«Resisti», riuscì soltanto a sussurrare
con voce
roca.
Bill ansimava ad occhi chiusi, completamente accasciato contro Gustav. Non ce la faccio
pensò disperato dentro di sé.
Tom si passò una mano sulla fronte bagnata, sporcandosela in
parte di rosso. Le sue mani erano completamente sporche del sangue del
gemello. Non aveva mai fatto una cosa del genere e mai avrebbe creduto
di doverla fare. Riposizionò le mani sul coltello e
ricominciò a tirare. Bill riprese ad urlare ancora
più
forte, gli occhi che lacrimavano e il viso arrossato per lo sforzo
disumano.
«Ci siamo quasi», gli comunicò il
chitarrista ad un certo punto.
Bill strinse gli occhi ancora più forte. Posso farcela, manca poco.
«È fuori!», esclamò
improvvisamente Tom.
Il cantante aprì gli occhi. Il gemello teneva il coltello
stretto tra le mani insanguinate. Ce l'avevano fatta. Tom
gettò via il coltello, prendendo un altro straccio e
aiutando Gustav a fermare il sangue che usciva dall'enorme ferita sul
braccio del fratello. Fissò il suo viso: era stremato, al
limite
delle forze, e a malapena riusciva a tenere gli occhi aperti da quanto
era debole.
«Ce l'hai fatta, fratellino», gli
sussurrò con dolcezza, mentre tamponava la ferita.
Bill non reagì. Gli girava la testa e la vista era
appannata.
Era stato uno sforzo troppo grande, che lo aveva privato di tutte le
sue energie. Tom e Gustav gli legarono stretto uno straccio attorno al
braccio, così il sangue si sarebbe fermato.
Il chitarrista sospirò sfinito, guardando prima il gemello,
poi
Gustav al suo fianco. «Dobbiamo andarcene da qui»,
sussurrò piano.
Il suo sguardo tornò ancora sul fratello, sudato e
agonizzante.
«E anche in fretta».
Quella situazione era assurda. Era impossibile che stessero passando le
pene dell'inferno per colpa di un dannatissimo libro dalla copertina
nera. Non poteva essere reale.
È solo un
incubo, soltanto un fottutissimo incubo. Presto ci sveglieremo e
torneremo alla nostra vita continuava a ripetersi Tom
insistentemente, cercando di auto-convincersi.
Ma purtroppo quello era tutt'altro che un incubo: il libro era reale,
la storia
pure.
«Dobbiamo muoverci. Non si sa mai cosa potrebbe attaccarci di
nuovo e Bill non è in grado di aiutarci più di
tanto», commentò fin troppo serio il chitarrista,
facendosi passare un braccio del gemello attorno al proprio collo.
Gustav annuì e lo aiutò a sorreggere il cantante
ancora
esausto. Rimanere in quella cucina poteva essere pericoloso,
perciò dovevano cercare di essere rapidi ad andarsene.
«C'è un problema: non vedo altre porte qui in
giro».
Gustav si guardò attorno, ma, come Tom, non vide altro che
la
porta da cui erano arrivati.
Tom sospirò e guardò Bill speranzoso.
«Ricordi qualcosa dal libro?».
Bill faticava a tenere gli occhi aperti e la sua fronte era imperlata
di sudore. «C'è... una porta... qui»,
riuscì
a sussurrare a fatica.
«Dove?», gli chiese ancora il gemello, mentre gli
appoggiava
una mano sulla fronte. «Cazzo, sei bollente!»,
esclamò poi, ritirando la mano e sbarrando gli occhi
sconvolto.
Bill non gli diede ascolto e cercò di concentrarsi.
«Per terra... la porta...».
«Sta delirando», sospirò Gustav,
lasciando per un
momento Bill fra le braccia del gemello. «Vado a vedere se
trovo
qualcosa», disse poi, allontanandosi da
loro.
Stando ai deliri di
Bill, in teoria ci dovrebbe essere una porta per terra, una specie di
passaggio sotterraneo ragionò il batterista,
guardando attentamente il pavimento pieno di oggetti.
In ogni caso era una bella impresa trovare una porta lì in
giro:
il pavimento era completamente occupato da pezzi di legno, polvere e
altri oggetti vari come pentole e posate. Tutto quanto ammucchiato
insieme. Era come cercare un ago in un pagliaio.
Tom mosse qualche passo verso l'amico, portando con sé anche
Bill. «Niente?», gli chiese, già
consapevole della
risposta.
«Niente», sospirò Gustav.
«È difficile trovare...».
Non ebbe il tempo di terminare la frase, perché il pavimento
sotto di loro si aprì improvvisamente, facendoli precipitare
tutti e tre nel vuoto assoluto. La cucina sparì e si
ritrovarono
a cadere verso il basso con gli occhi spalancati nel buio.
Urlarono con tutta la voce che avevano in gola, preoccupati per quello
che sarebbe successo una volta arrivati in fondo. Perché
prima o poi si sarebbero fermati, non potevano cadere per sempre.
È finita
pensò Gustav con il cuore in gola. È finita per tutti.
Poi accade qualcosa di inaspettato. Tutti e tre si sarebbero aspettati
di atterrare su qualcosa di duro, rompendosi l'osso del collo, e,
invece,
sentirono i loro corpi improvvisamente leggeri, ma l'aria non
arrivò più ai loro polmoni. Erano caduti in
acqua. Ci fu
un momento di confusione generale. Dove erano finiti? Cosa dovevano
fare? Poi si riebbero e cercarono di nuotare verso la superficie.
Tom
non aveva lasciato Bill neanche per un secondo, ma faticava a tirarlo
su con sé: i vestiti larghi erano un problema e il peso del
gemello, seppur minimo, non lo aiutava di certo. E poi dov'era Gustav?
Non riusciva a vederlo lì in acqua. Non era neanche
del
tutto sicuro che fosse acqua quella in cui erano caduti: era
stranamente scura e, soprattutto, sporca di chissà cosa.
Devo farcela
pensò dentro di sé il chitarrista, stringendo
più forte il gemello.
Sentiva che mancava poco, la superficie dell'acqua era vicina. Bill
teneva gli occhi chiusi e molto probabilmente era svenuto: nella
cucina non era stato per niente lucido e la caduta violenta in acqua
doveva
avergli fatto perdere i sensi.
Ci siamo!
esultò Tom dentro di sé.
Improvvisamente sentì una mano afferrargli il collo della
maglia
e tirarlo su con forza. Finalmente l'aria tornò a riempire i
suoi polmoni e in un batter d'occhio si ritrovò a sputare
acqua dalla bocca.
«Gustav!», esclamò il chitarrista,
quando
riuscì a calmarsi e a vedere in maniera definita l'amico
davanti
ai suoi occhi.
Gustav era inginocchiato su un pavimento costituito da piastrelle
sconnesse e sporche e cercava di aiutare i due gemelli a venire fuori
dall'acqua. Guardandosi attorno, Tom capì finalmente il
luogo in
cui erano finiti: le fogne sotterranee.
«Prendi Bill», disse il chitarrista, aiutando
Gustav a tirare su il fratello.
Il batterista con un po' di fatica riuscì a tirare il
cantante
fuori dall'acqua e a sdraiarlo accanto a sé. Poi
allungò
una mano, volendo aiutare anche Tom. Ma accadde qualcosa di strano.
«Che diavolo...?».
Tom non riuscì a concludere la frase, sentendosi
improvvisamente
afferrare per le gambe e tirare con forza verso il basso. In un batter
d'occhio si ritrovò ancora sottacqua, i polmoni nuovamente
privi
d'ossigeno. Gustav guardò sconvolto l'amico mentre si
dimenava
sottacqua per cercare di liberarsi da qualcosa di indefinito. Sembrava
un animale, un animale enorme.
Devo fare qualcosa
pensò subito il batterista, cercando di non farsi prendere
dal panico.
Tom intanto faticava a vedere ciò contro cui stava
combattendo:
l'acqua era sporca, lui stesso non si sentiva bene e la creatura che
cercava di affogarlo era astuta e riusciva benissimo a nascondersi. Ma
il chitarrista riuscì a riconoscere un tentacolo enorme, che
gli
legava entrambi i piedi.
È un polipo,
un polipo gigante.
Gustav non sapeva cosa fare. Doveva lasciare Bill lì svenuto
e
indifeso, facilissima preda dell'enorme animale, oppure avrebbe dovuto
tuffarsi per salvare Tom? Il chitarrista non poteva farcela da solo.
Non perderò
anche lui decise con sicurezza il batterista.
Dopo essersi assicurato che Bill fosse lontano dall'acqua, si
tuffò senza alcun indugio. Tom era riuscito a non lasciarsi
trascinare in fondo dall'animale, ma non avrebbe resistito ancora per
molto: ormai la sua riserva d'aria era finita. Gustav nuotò
fino
alle gambe dell'amico, completamente legate dai tentacoli del polipo
gigante, e cercò di liberarlo. L'animale era forte e non
avrebbe
ceduto facilmente. Allora il batterista, sprovvisto di armi con cui
poter ferire la bestia, morse più forte che poté
un
tentacolo. Per un secondo gli parve di sentire un verso acuto
sottacqua, probabilmente l'urlo dell'animale, poi vide i tentacoli
lasciare libere le gambe di Tom. Immediatamente afferrò
l'amico
e insieme cominciarono a nuotare verso la superficie. Tom la raggiunse
per primo, riemergendo con la testa e aprendo la bocca per cercare di
catturare più aria possibile. Si sentiva esausto,
completamente
stremato. Gustav lo raggiunse poco dopo, affannato, ma ancora in
forze. Fissò preoccupato l'amico e l'aiutò a
salire sul
pavimento piastrellato, rimanendo in acqua.
«Stai
bene?».
Tom continuò per un po' a tossire e a sputare acqua dalla
bocca,
ma alla fine riuscì ad accennare un piccolo sorriso.
«Sì, sto bene. Grazie».
Gustav gli sorrise e si avvicinò al pavimento per uscire
dall'acqua. Ma qualcosa lo bloccò.
Gli occhi di Tom si spalancarono terrorizzati. «Gustav,
attento!», urlò con tutta la voce che gli era
rimasta,
nonostante la gola gli bruciasse da morire.
Il batterista non capì subito cosa stesse succedendo
e rimase sconvolto, quando sentì qualcosa di
viscido legargli i piedi, stringendoli in una morsa
troppo forte per potersi liberare. Si ritrovò ancora una
volta sottacqua a dimenarsi con disperazione, mentre il polipo gigante
gli avvolgeva tutto il resto del corpo con i suoi tentacoli. Gustav
rimase immobilizzato, solo un braccio era rimasto libero: quello con
cui si teneva ancora stretto al bordo del pavimento. Tom gli
afferrò il polso e provò a tirarlo verso di
sé, ma l'animale sottacqua era troppo forte. Solo dopo
molti sforzi riuscì almeno a farlo riemergere con la testa.
Gustav respirò affannosamente, cercando di catturare tutta
l'aria che poté. Vide il chitarrista stringere i denti e
tirarlo
verso il pavimento con tutta la forza possibile, ma era chiaro come il
sole che per lui non c'erano possibilità di vincita sulla
bestia.
«Tom, lascia stare, non puoi farcela», gli disse il
batterista con una punta di amarezza nella voce.
Tom sbarrò gli occhi e lo guardò scettico, ma non
smise comunque di lottare per cercare di salvarlo. «Non ti
azzardare a dirmi di lasciarti morire come ha fatto Georg con
te!», gli urlò contro con la voce che tremava per
lo sforzo.
Gustav deglutì terrorizzato, mentre sentiva i tentacoli del
polipo gigante stringerlo ancor più nella loro morsa,
quasi fino a togliergli il respiro. «È
inevitabile», sussurrò.
«Che cazzo stai dicendo?», continuò a
gridare Tom sempre più infuriato.
Il batterista sospirò. «Questo mostro non
si fermerà fino a quando non avrà preso uno di
noi. Ricordi com'è andata con Georg? Si è dovuto
sacrificare per permetterci di andare avanti».
«Tu non ti sacrificherai!».
«Bill è l'unico che può portarti fuori
da qui, Tom. Non hai bisogno di me», continuò
Gustav, posando gli occhi sul corpo del cantante ancora privo di sensi,
sdraiato a qualche metro di distanza sul pavimento freddo.
«Se non fossimo in questa situazione, ti prenderei a
schiaffi!», urlò Tom sfinito.
Improvvisamente, Gustav si sentì strattonare verso il basso
e
a quel punto Tom cadde a terra, troppo vicino all'acqua. Se non
avesse mollato la presa, l'animale avrebbe preso anche lui.
«Tom, lasciami andare, o prenderà anche
te!», urlò il batterista terrorizzato da
quell'idea.
«Che si accomodi», ribatté sarcastico
Tom, non dando retta alle parole dell'amico.
«Non dire sciocchezze! Bill ha bisogno di te, devi lasciarmi
andare!».
«No!», protestò ancora il chitarrista,
sempre più vicino all'acqua.
Gustav sentiva il suo cuore martellargli forte nel petto per la paura,
ma sapeva che, se avesse voluto impedire a Tom di morire insieme a lui,
avrebbe dovuto fare in modo che il chitarrista mollasse la presa sul
suo polso.
Devo farlo, non
c'è altro modo pensò il
batterista dentro di sé, mentre una piccola lacrima gli
scorreva lenta sulla guancia, confondendosi con gli schizzi dell'acqua.
«Non mi lasci altra scelta, Tom»,
sussurrò con la voce tremante, incominciando a muovere il
braccio libero per cercare di sfuggire alla presa ormai troppo debole
del chitarrista.
«Che stai facendo?», urlò Tom
terrorizzato, sentendo le proprie dita scivolare via a poco a poco dal
polso dell'amico.
Era troppo stanco, troppo debole. Non sarebbe riuscito a tenerlo ancora.
Gustav gli sorrise, un sorriso triste. «Pensa a
Bill», sussurrò piano.
Fu un attimo. Il braccio del batterista riuscì a liberarsi
dalla stretta dell'amico e in un batter d'occhio venne trascinato
velocemente e con uno strattone violento sottacqua.
«NO! GUSTAV!», urlò Tom, scattando verso
il bordo del pavimento e guardando impotente l'amico, mentre veniva
trascinato verso il fondo.
Poi l'acqua scura e sporca gli impedì di vedere qualsiasi
altra cosa.
Tom sentì un groppo in gola, qualcosa che gli
impediva di respirare normalmente. Lui, Tom Kaulitz, che non aveva mai
pianto in tutta la sua vita, quel giorno era già la seconda
volta che sentiva le lacrime scorrergli sul viso.
Come farò?
pensò disperato. Come
farò a portare Bill fuori da qui da solo?
Lentamente si voltò, posando gli occhi sul gemello, immobile
sul pavimento. Gli si avvicinò, prendendolo fra le braccia e
osservando il suo viso pallido e sfinito.
Bill aprì lentamente le palpebre, osservandolo con gli occhi
lucidi per la febbre alta. «Tomi...»,
sussurrò piano, un sussurro appena percettibile.
Non aveva visto niente e non sapeva ciò che era accaduto.
Come farò a
dirglielo? pensò Tom, facendo appoggiare la
testa del gemello sul suo petto e stringendolo con fare protettivo.
«Sono qui, Bill», sussurrò piano il
chitarrista, lasciando che le lacrime scorressero libere sulle sue
guance.
I vestiti fradici del gemello davano una leggera sensazione di
benessere al cantante, che si abbandonò beatamente sul suo
petto e si addormentò quasi subito, ignaro di tutto.
Non ti
succederà niente, Bill. Non lo permetterò
pensò Tom con decisione, fissando lontano l'acqua sporca,
dove era scomparso Gustav.
Un
altro se n'era andato. Un altro si era sacrificato. E, in quel momento
che erano rimasti soltanto in due, chi avrebbe dovuto dare la propria
vita per l'altro? Perché ormai era chiaro: prima o poi,
sarebbero
morti tutti. Chi prima, chi dopo.
La morte è strana e, soprattutto, non è
mai come la si
immagina. Del dolore iniziale non era rimasto che il vago ricordo. Il
respiro inesistente, gli occhi chiusi, i polmoni che pian piano si
riempivano d'acqua, ma non facevano male, e la mente che lentamente si
liberava, rendendolo incosciente e assente dal mondo vivo. Era quasi
come addormentarsi e sognare. In fondo, morire così non gli
dispiaceva, era una morte indolore e rispettosa. Bastava soltanto
lasciarsi andare e presto sarebbe tutto finito.
«Gustav».
Una voce lo chiamava, una voce familiare, ma appartenente ad una
persona che certamente non poteva essere lì con lui in quel
momento. Era lontana, ma abbastanza chiara.
Georg
pensò Gustav intensamente. mi stai venendo a prendere?
Fino a quel momento non aveva ancora pensato che morire significasse
anche rivedere uno dei suoi migliori amici, perso in precedenza.
«Gustav», insisteva la voce. «Gustav,
apri gli occhi».
Doveva essere morto, era passato all'altro mondo, ormai. Tutto intorno
a
lui era buio e aveva quasi paura di aprire gli occhi. Che cosa avrebbe
visto? Dov'era finito? Che cosa sarebbe successo dopo? Il flusso dei
suoi pensieri venne interrotto da un leggero fastidio alle guance: era
come se qualcuno lo stesse ripetutamente schiaffeggiando leggermente.
«Avanti, riprenditi», lo incitava ancora quella
voce.
Ormai era vicina a lui, più chiara e distinta che mai.
Gustav si
sforzò di aprire gli occhi, ma le palpebre erano diventate
improvvisamente troppo pesanti. A poco a poco un filo di luce
filtrò tra le sue ciglia e lo rese consapevole di non essere
morto. Ma l'immagine che gli si aprì davanti lo sconvolse.
Non è
possibile.
Avrebbe voluto scattare in piedi e gridare per la gioia e lo stupore
mischiati insieme, ma i muscoli gli facevano male e la gola gli
bruciava
per tutta l'acqua che aveva bevuto. Forse era impazzito, fatto sta che
quello che vedeva non poteva essere reale: Georg lo osservava
dall'alto, il viso graffiato in più punti che traspariva
un'enorme preoccupazione.
«Oh, finalmente il bel principino si è
svegliato».
Quella era una voce nuova, non appartenente a Georg, ma comunque
già nota: David.
Ma che diavolo...?
«Te la faccio passare io la voglia di farmi preoccupare
così, razza di idiota», esclamò Georg,
tirando su a
sedere il batterista. «La prossima volta ti lascio
affogare», lo minacciò con un'espressione da finto
arrabbiato.
Gustav era sempre più spaesato, non ci stava capendo
più
niente: un minuto prima era stato catturato da un polipo gigante e
aveva rischiato di annegare in acqua, il minuto dopo era seduto su un
pavimento di piastrelle sconnesse con accanto un amico, che aveva
creduto essere morto, e il suo manager, che in teoria sarebbe dovuto
essere disperso.
Guardando oltre il bassista, Gustav scorse i quattro
uomini aiutanti del signor Bürk, che poche ore prima erano
spariti
a loro volta.
«Georg, come...».
Il tentativo del batterista di comunicare con l'amico andò
in
fumo, a causa di un terribile bruciore che gli invase la gola.
Georg ridacchiò e gli batté una mano sulla
schiena, mentre Gustav continuava a tossire. «Dopo mi
ringrazierai per averti ripescato come un pesciolino, amico mio.
Immagino che adesso tu voglia qualche spiegazione».
Il batterista si calmò e annuì vigorosamente con
il capo. Sì,
non mi dispiacerebbe affatto.
David tossicchiò e prese la parola. «In poche
parole, siamo
stati catturati e portati qui da qualcosa di strano. Non voglio neanche
sapere il perché, mi girano già abbastanza le
palle in
questo momento», concluse il manager, facendo un gesto di
stizza
con la mano e accennando una smorfia
disgustata.
Gustav doveva ancora riprendersi del tutto, ma la spiegazione di David
gli parve a dir poco povera di particolari. Grazie, David. Sintetico e per
niente chiaro.
Georg notò l'espressione perplessa dell'amico e si
lasciò
andare ad una sonora risata. «Forse bisognerebbe essere un
po'
più chiari, non credo che abbia capito più di
tanto dal
tuo resoconto, David».
Il manager sbuffò spazientito. «Come se ci fosse
bisogno
di altre spiegazioni per il casino in cui siamo finiti».
Mentre l'uomo e Georg discutevano animatamente, Gustav ne
approfittò per guardarsi attorno. Che posto era quello?
Assomigliava tanto ad una fogna, simile a quella che aveva visto
insieme
ai gemelli, prima di essere stato trascinato sott'acqua da quel polipo
gigante. Era un posto poco illuminato, sporco e mal odorante. Il
pavimento e i muri erano costituiti da grandi piastrelle scure di
terracotta, legate tra loro in modo sconnesso da qualcosa di sudicio e
liquido. C'era come un piccolo fiume infossato nel pavimento, che
scorreva lento verso chissà quale meta e che aveva la stessa
identica acqua scura e sporca in cui Gustav era caduto poco prima. Eh,
sì, quella era proprio una vera fogna.
«Gustav, ti sei addormentato?».
Il batterista sobbalzò a quel richiamo di Georg, preso
com'era
dall'analisi del posto. Voltò il capo e fissò
stralunato
l'amico per qualche istante, poi scosse lentamente la testa.
Georg lo squadrò divertito. «Credo che tu abbia
bevuto un
po' troppo acqua, devi ancora ritornare tra noi»,
ridacchiò scherzoso. Poi il suo viso si fece serio e quasi
disgustato. «E la prossima volta te la scordi la respirazione
bocca a bocca da parte mia. Ma guarda te cosa mi è toccato
fare».
Gustav era troppo confuso per ribattere o per comprendere quanto fosse
stato disgustoso per il bassista compiere quel gesto per salvarlo. E
comunque gli sarebbe piaciuto che qualcuno gli spiegasse bene che cosa
stava succedendo. Era tutto così strano.
Provò ancora a parlare, sfidando il bruciore alla gola ad
impedirglielo nuovamente. «Georg, tu eri... morto»,
riuscì infine a sussurrare con qualche piccola
difficoltà.
La voce era flebile e ancora molto roca, ma con un po' di impegno
avrebbe potuto parlare.
Georg divenne improvvisamente serio e annuì col capo.
«Già, è quello che pensavo anch'io
quando sono
stato preso da quelle maledette liane. Alla fine, però, dopo
aver
perso i sensi, mi sono risvegliato qui e insieme a me c'erano
David e gli altri».
David annuì e corrugò la fronte. «Noi
non sappiamo
esattamente quello che ci è successo. Mentre cercavamo il
signor Bürk nel bagno, si è spenta la luce e
qualcuno, o qualcosa,
ci ha tramortiti. Ci siamo tutti risvegliati qui»,
spiegò
il manager, fissando i quattro assistenti del signor Bürk e
chiedendo loro
conferma.
Gustav ascoltò attentamente, annuendo col capo, poi
fissò attentamente il viso di Georg: era pieno di lividi e
graffi e da alcuni di questi usciva un po' di sangue. Lo aveva creduto
morto, aveva pensato che non l'avrebbe mai più rivisto... e
invece era lì con lui, era ancora vivo. Per quanto male gli
facessero i muscoli del corpo, si sforzò e non
poté
trattenersi dal buttargli le braccia al collo e abbracciarlo con
trasporto. Gli era mancato tanto e la gioia per averlo ritrovato sano e
salvo era tanta.
Georg sorrise e ricambiò l'abbraccio, battendo piccoli
colpetti
affettuosi sulla schiena dell'amico. «È bello
rivederti», mormorò felice.
«Non vorrei rovinare questo momento così
romantico, ma
dovremmo cercare un modo per uscire vivi da qui»,
esclamò
David spazientito.
Gustav e Georg si separarono, alzando gli occhi al cielo e scuotendo
leggermente la testa. Era bello essere di nuovo insieme. Anche se, a
dir la verità, non erano ancora tutti
insieme: due di loro non c'erano.
Camminare così lentamente e scoperti era fin troppo
rischioso,
ma purtroppo non potevano fare altro. Bill era stremato e quasi
incosciente; Tom era stanco, preoccupato e non sapeva che cosa fare:
portava il gemello sulle spalle e avanzava lentamente per la
sconosciuta fogna. Non che Bill fosse pesante, ma in quel momento la
stanchezza rendeva le cose ancora più difficili.
Fortunatamente
non era ancora abbastanza cosciente per capire che cosa stesse
succedendo e Tom ne rimase almeno un po'
sollevato: non avrebbe dovuto raccontare subito al gemello
ciò che era accaduto a Gustav. Al solo pensiero il
chitarrista
sentiva un magone in gola e un'irrefrenabile
nausea.
Erano rimasti soltanto loro due e Tom sapeva che quella casa
non li avrebbe mai lasciati andare così facilmente. Almeno
uno
di loro sarebbe morto e il chitarrista aveva già deciso
che
non sarebbe stato Bill. L'unica cosa di cui aveva paura era sapere che
avrebbe lasciato suo fratello solo e in pessime condizioni. Avrebbe
saputo cavarsela?
«Tomi...», sussurrava ogni tanto il cantante sulla
spalla del gemello.
La febbre era molto alta e lo stava facendo delirare.
Tom continuava a rassicurarlo, nonostante sapesse che il gemello non
potesse sentirlo veramente. «Sono qui, Bill. Va tutto bene,
non
aver paura».
No, non andava tutto bene, gli stava dicendo una bugia. Ma doveva
andare avanti, doveva farlo per Bill. Non sapeva neanche dove stesse
andando, ma di certo non potevano fermarsi e tanto meno Bill poteva
dare un suggerimento al fratello a proposito del libro nero. Tom
avrebbe dovuto arrangiarsi e sperare di avere almeno un po' di fortuna.
«Andrà tutto bene», continuava a
ripetere più
a se stesso che a Bill. «Andrà tutto
bene».
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Capitolo 6 *** Alone ***
06. Alone
When you cried I'd wipe away all
of your tears
When you'd scream I'd
fight away all of your fears
I held your hand through
all of these years
But you still have
All of me
{ Evanescence - My Immortal
}
«Tomi...».
Era forse la cinquantesima volta che Tom sentiva suo fratello chiamarlo
nel delirio e non sapeva che cosa fare. Ormai era certo che non sarebbe
riuscito a sopportarlo ancora per molto - lo faceva soffrire troppo -,
ma purtroppo non poteva fare nulla per alleviargli il dolore al braccio
né per abbassargli la febbre. Non aveva niente con
sé,
niente con cui potesse curare Bill.
«Tomi...», lo chiamò ancora il gemello
sulle sue spalle.
Il chitarrista strinse le palpebre e cercò di non lasciarsi
andare alla disperazione, continuando a camminare in quel labirinto che
erano le fogne sotterranee, senza sapere dove andare. Sapeva solo che
doveva resistere e cercare un'uscita.
«Bill, sono qui. Devi resistere», gemette Tom,
ormai sopraffatto dalla fatica.
Improvvisamente il corpo del cantante cominciò a muoversi in
modo convulso sulle spalle del fratello, come se si stesse dimenando
per liberarsi da qualcosa, e dalla sua bocca uscirono strani versi
confusi, che davano l'idea di qualcuno che stesse soffrendo. A quel
punto, Tom si fermò sul posto, facendo
scendere il gemello dalle sue spalle e sedendosi per terra, tenendolo
sempre stretto fra le sue braccia. Qualcosa non andava.
«Che cosa c'è, Bill?», gli chiese il
chitarrista, prendendogli la testa tra le mani.
Le palpebre di Bill si sollevarono di poco, lasciando intravedere i
suoi occhi lucidi per la febbre alta. Sembravano inespressivi, ma Tom
sapeva benissimo che in quel momento il gemello non stava
più
delirando ed era abbastanza cosciente per accorgersi che qualcosa non
andava. Forse l'impatto violento di poco prima con l'acqua lo aveva
stordito più del previsto e le sue condizioni gli avevano
portato un sonno pieno di incubi e di visioni spaventose, ma, in quel
momento in cui era finalmente sveglio, era capace di percepire il mondo
attorno a sé. E in quel mondo qualcuno non c'era.
Deglutì e le sue labbra si aprirono tremanti.
«Gu...
Gustav?», riuscì a chiedere, non staccando gli
occhi da
quelli del gemello.
Tom si morse il labbro inferiore, consapevole che il momento che aveva
tanto sperato di poter rimandare il più possibile era
purtroppo
arrivato. Quegli occhi lucidi e pieni di dolore del gemello lo
stavano distruggendo e non voleva dirgli quella cosa, che lo avrebbe
fatto stare ancora più male.
«Dov'è?», insistette Bill, respirando a
fondo e muovendo leggermente la testa per guardarsi attorno.
Tom deglutì nervoso, prendendo coraggio per risultare
più
sicuro. «Lo... lo abbiamo perso. Dopo essere caduti in acqua,
non
l'ho più visto», mentì spudoratamente,
pregando che
il gemello ci credesse.
«Bugiardo».
No, non ci aveva creduto. Forse proprio perché in quel
momento
era facile leggere la verità negli occhi stanchi e disperati
di
Tom, o forse semplicemente perché se lo sentiva addosso che
era
successo qualcosa di brutto, durante la sua incoscienza.
Il chitarrista sospirò affranto, distogliendo lo sguardo da
quello di Bill. Non
riesco a dirtelo, Bill.
Rimasero in silenzio per tanto tempo, fino a quando Tom non
sentì qualcosa di caldo e bagnato scorrergli fra le dita
delle
mani, che ancora sorreggevano la testa del gemello. Voltò il
capo e il suo cuore già abbastanza straziato ricevette un
altro
colpo: Bill stava piangendo. Non erano servite le parole, aveva capito
lo stesso.
Il cantante si sforzò di sollevarsi almeno un po'
dalle braccia del gemello per allacciargli le sue al collo e
appoggiare la fronte sulla sua spalla. Lì pianse in
silenzio,
lasciandosi scappare soltanto qualche singhiozzo dalla gola. Tom non
poté fare altro che stringerlo e lasciarlo sfogare,
rimanendo in
silenzio per tutto il tempo e fissando le piastrelle sporche delle
fogne. Non poteva fare niente, né per far star meglio il
gemello
fisicamente né psicologicamente. Era impotente.
«C'è solo un piccolo problema: non ci sono porte
qui».
«Ci deve per forza essere una porta. Guarda
meglio».
Era da vari minuti che Gustav e David andavano avanti così,
cercando un'uscita che purtroppo non c'era. Il manager si ostinava a
tastare tutte le mattonelle del muro e aveva costretto gli
altri a
fare lo stesso. Ma dopo ore passate a sporcarsi le mani con il liquame
che colava da quelle superfici, Gustav si era stufato e aveva
cominciato a discutere con David. Georg e i quattro uomini con lui li
seguivano in silenzio, ormai stanchi ed esasperati.
«Mi sono stufato di cercare, qui non c'è
niente!»,
sbottò alla fine il batterista, lanciando uno sguardo
trucido al
manager.
David cominciò subito a perdere la pazienza.
«Allora
intendi restare qui fermo, aspettando che qualcosa venga ad
ucciderti?».
«No, ma potremmo cercare un'altra via, invece di rimanere
sempre nello stesso punto a cercare!».
Georg alzò gli occhi al cielo e sospirò con fare
stanco. «Ragazzi, per favore».
«La porta potrebbe essere qui ed io non me la
lascerò
scappare!», insistette ancora David, ignorando completamente
i
lamenti del bassista.
«Benissimo! Vorrà dire che passerai gli ultimi
istanti della tua vita cercando qualcosa che non
c'è!».
Georg non sapeva più che cosa fare. A quel punto avrebbe
persino
preferito che arrivasse veramente qualcosa ad ucciderli,
così
almeno quella tortura sarebbe finita.
Mentre Gustav e David
continuavano a discutere, si sedette sul pavimento, appoggiando la
schiena contro la parete del muro e chiudendo lentamente gli
occhi. Fu in quel momento che qualcosa sotto di lui si mosse: una
mattonella più grande delle altre si era infossata nel
pavimento, provocando uno strano suono, come di un meccanismo che viene
azionato. Gustav e David si zittirono all'istante, fissando confusi il
bassista, ancora seduto immobile e con il fiato sospeso.
E adesso che faccio?
si chiese irrequieto.
Se si spostava, chissà che cosa poteva succedere. Ma, anche
se rimaneva fermo lì, non poteva sapere quello che gli
sarebbe capitato. Poi la risposta arrivò da sola. Il
pavimento sotto di lui cominciò a spaccarsi in modo
sconnesso e le crepe arrivarono fino ai piedi del resto dei suoi
compagni, che distavano da lui almeno due metri.
Se si muoveva, il
pavimento cedeva completamente e lui cadeva - chissà dove -;
se stava fermo... prima o poi sarebbe caduto comunque. Non aveva molto
fra cui scegliere, ma forse era meglio cercare di mettersi in salvo,
piuttosto che aspettare immobile la morte.
«Georg... devi fare uno scatto veloce verso di
noi», mormorò piano Gustav, trattenendo il respiro
e non muovendo un muscolo.
Facile a dirsi
pensò ironicamente Georg, deglutendo nervosamente.
David spostò lentamente un piede in avanti e si protese
verso il bassista, allungando le braccia. «Forza».
Georg prese coraggio e si preparò a scattare in avanti verso
il manager. Ma non appena mosse un piede, il pavimento cedette
completamente, rompendosi in mille pezzi e facendolo cadere di sotto.
«GEORG!», urlò Gustav, costretto a
chiudere gli occhi per l'immensa polvere che si era andata a creare.
Il bassista sentì il vuoto sotto di sé e
aprì la bocca per urlare, ma tutto ebbe fine in un istante.
La sua schiena sbatté contro qualcosa di duro, facendolo
gemere di dolore, e la sua caduta ebbe fine. Per un momento l'aria
arrivò sporca ai suoi polmoni, facendolo tossire senza
sosta: la polvere era troppa.
Ma che diavolo
è successo? si chiese stralunato il bassista.
Non doveva essere già morto? Perché invece
sentiva ancora le voci dei suoi compagni chiamarlo da pochi metri di
distanza? Aprì lentamente gli occhi e, dopo poco, quando la
polvere si fu dissolta almeno un po', riuscì a distinguere
la
figura di Gustav, inginocchiata sul bordo del cratere in cui lui era
caduto. Lo stava fissando stupefatto, ma al tempo stesso sollevato.
«Dio mio, che spavento», commentò David,
mettendosi una mano sul cuore.
Georg sollevò di poco la testa, guardandosi attorno
spaesato. «Ma che...?».
Nel pavimento si era formato un piccolo cratere piuttosto largo, ma
l'altezza da cui era caduto era soltanto di tre metri; era atterrato
sui ciottoli rotti e l'unica cosa che si era fatto era stato un piccolo
graffio su una gamba e un livido dietro la nuca.
Guardò in
alto e lanciò un'occhiata confusa a Gustav, che stava
stranamente ridacchiando.
«Te la sei fatta sotto, vero?».
«Voglio camminare».
La voce roca di Bill colse alla sprovvista il gemello, che
sobbalzò stupito. Avevano passato quasi un'ora in silenzio,
il cantante ancora una volta sulle spalle del chitarrista, che aveva
continuato a camminare senza sosta.
Tom cercò di dare alla sua voce un tono deciso.
«Non se ne parla».
Sentì Bill sbuffare e improvvisamente cominciò a
dimenarsi sulla sua schiena per scendere, ma Tom non mollò
la presa tanto facilmente.
«Smettila, Bill», sbottò il chitarrista,
fermandosi per risistemarsi il gemello sulle spalle.
Ma Bill non si arrese. «È il braccio a farmi male,
non le gambe. Posso camminare da solo».
«Sei troppo debole».
«Anche tu sei stanco».
«Io posso continuare, tu devi riposarti».
Il cantante sbarrò gli occhi scettico e il suo tono di voce
aumentò di volume. «Spiegami il
perché!».
A quel punto Tom si bloccò sul posto, fissando con occhi
spenti il pavimento di piastrelle sotto di sé. Era ora di
chiarire la questione, prima che fosse troppo tardi. Magari, se Bill lo
avesse saputo, avrebbe collaborato un po' di più.
Inutile illudersi. Non
collaborerà mai, dopo ciò che gli dirò
pensò con amarezza il chitarrista dentro di sé. Ma almeno lo deve sapere.
Lentamente fece scendere il gemello dalla sua schiena e rimase in
silenzio per qualche istante, dandogli le spalle.
Bill lo fissava confuso, con uno strano rimescolio nello stomaco. Che cos'ha?
«Bill», iniziò Tom, senza voltarsi
ancora. «Devi essere abbastanza in forze per
quando...». Prese un respiro profondo e si costrinse a
terminare la frase. «per quando sarai solo».
Fu in quel momento che Bill sentì qualcosa rompersi dentro
di sé. Il suo corpo rimase immobile, attraversato da tanti
piccolo brividi. Aveva perso David, Georg, Gustav... e adesso suo
fratello gli stava dicendo che probabilmente avrebbe perso anche lui.
Forse aveva capito male e si costrinse a trovare la forza per
chiedere spiegazioni.
«Che significa?».
La sua voce era ancora più roca, forse priva di qualsiasi
energia vitale. Dentro di sé si sentiva prosciugato di ogni
cosa.
Tom finalmente si girò, fissando intensamente il gemello
negli occhi e regalandogli un piccolo sorriso, che purtroppo non
celò la sua malinconia. «Significa quello che sono
sicuro che tu abbia già pensato».
Bill abbassò gli occhi a terra, ingoiando il magone che
sentiva in gola e reprimendo le lacrime. «No. Non
resterò solo», sussurrò con decisione.
Velocemente, per quanto il suo fisico glielo permettesse,
scattò in avanti e superò il gemello, riprendendo
a camminare con le sue gambe.
Tom rimase basito, ma gli ci volle poco per riprendersi e seguire a
ruota il fratello. «Che hai intenzione di fare?»,
gli chiese secco, afferrandolo per il braccio sano e costringendolo a
fermarsi.
Bill aveva assunto uno sguardo fin troppo serio e quasi furioso.
«Cerchiamo un'uscita. Subito. E se qualcosa ci
ucciderà prima, allora saremo in due a morire».
Il chitarrista lasciò andare il braccio del gemello e
sospirò sconsolato. Avrebbe dovuto aspettarsi una reazione
simile da parte sua. Dopotutto, Bill era una testa calda e lui lo
conosceva meglio di chiunque altro. Cercare di fargli cambiare idea
sarebbe stata fatica sprecata, non ne valeva neanche la pena.
«Puoi fare quello che vuoi... come pure io, del resto. Se non
voglio che succeda, non succederà».
Bill lo guardò truce e fece per ribattere, ma il gemello lo
fermò all'istante, fissandolo con ancora più
decisione. «Non lo permetterò, Bill. Sappi solo
questo».
Detto ciò, il chitarrista gli
voltò le spalle e si piegò in avanti per
permettergli di risalirgli sulla schiena.
«E adesso
sali», gli ordinò con un tono che non ammetteva
repliche.
Proprio in quel momento in cui Bill stava per urlargli contro
un'offesa, un enorme boato esplose intorno a loro, attraversando tutti
i corridoi delle fogne. La terra sotto di loro cominciò a
tremare e l'acqua sporca a straboccare fuori dai corridoi sconnessi in
cui era contenuta. Entrambi i gemelli caddero a terra, Bill con un
gemito di dolore, causato dalla pressione sul braccio ferito. Tom lo
raggiunse gattonando, cercando di sorreggerlo e di coprirlo dai pezzi
di muro che cadevano dall'alto.
«Sta arrivando», disse Bill, guardandosi attorno
terrorizzato.
Il gemello lo fissò confuso. «Che cosa?».
Il cantante lo guardò negli occhi ed esitò un
istante prima di parlare. «La cosa che nel sesto
capitolo avrebbe ucciso uno dei personaggi».
Tom deglutì nervosamente e immediatamente sentì
il corpo del gemello agitarsi vicino al suo.
«Tom, devi andartene. Se mi lasci qui, riuscirai a scappare e
quella cosa prenderà me», esclamò
Bill, spingendo con una mano il fratello.
Il chitarrista lo fissò scettico. «Stai
scherzando, vero?».
«No, te ne devi andare! Adesso!».
«Puoi anche scordartelo, idiota!».
«Tom, per favore!».
Fu proprio in quel momento che il pavimento si ruppe e l'acqua
straboccò dalle piastrelle spaccate. Delle foglie nere
spuntarono fuori dall'enorme buco che si andò a creare,
lasciando poi posto ad un enorme tronco, nero a sua volta.
Tom deglutì nervosamente. «Ma che
diavolo...?».
Un albero nero. Ma non era come quelli che i gemelli avevano sempre
visto: era mostruoso, sembrava quasi un animale. In mezzo al tronco una
bocca piena di denti lanciò un urlo acuto, che costrinse i
due fratelli a tapparsi le orecchie con le mani; le radici si muovevano
ed erano grosse e appuntite come non mai.
«È con quelle che uccide!»,
urlò Bill, cercando di sovrastare i versi disumani
dell'albero.
«Dobbiamo andarcene di qui!», gli rispose Tom,
rimettendosi in piedi e aiutandolo.
Ma non appena mossero un passo, un'enorme radice scattò
verso di loro, colpendoli come una frusta e sbattendoli contro il muro
a distanze diverse. Si ritrovarono subito divisi. Bill aveva sentito di
più il colpo e la sua vista era diventata confusa. Tom
cercò di rialzarsi, incurante del dolore, e provò
a raggiungere il gemello, ma un'altra radice gli legò i
piedi e lo fece cadere a terra. Immediatamente
cercò di trascinarlo verso l'acqua. Il cantante,
intanto, si era ripreso abbastanza per rendersi conto di quello che
stava accadendo: era in trappola contro un muro, una radice a pochi
metri da lui mirava direttamente il suo corpo con la punta e suo
fratello stava per essere annegato.
Ne basta solo uno
perché tutto finisca pensò dentro di
sé, guardando terrorizzato il gemello.
In un attimo aveva preso la sua decisione.
Allargò le braccia e fissò deciso la radice
davanti a sé. «Avanti! Che cosa stai aspettando?
Vieni a prendermi!», urlò furioso.
Tom, lanciando un'occhiata sconvolta verso il gemello,
afferrò una piastrella rotta e abbastanza affilata e con
decisione la conficcò nella radice che lo teneva stretto.
Immediatamente quella lasciò la presa e un altro urlo
disumano si diffuse per le fogne.
Bill cercò ancora di aizzare l'albero contro di
sé. «Forza!».
Questa volta la radice scattò in avanti ad una
velocità stupefacente, puntando al viso del cantante, ancora
accasciato a terra contro il muro. Bill trattenne il respiro e chiuse
d'istinto gli occhi, stringendo forte le palpebre e preparandosi al
colpo finale. Ma quello non arrivò tanto velocemente, come
invece aveva creduto: passarono vari secondi e ancora non
sentì niente di diverso, non un minimo dolore, a parte
quello al braccio ferito. L'unica cosa che sentì fu una
folata di vento davanti a sé e un gemito strozzato.
Lentamente aprì gli occhi. E il suo cuore mancò
di un battito.
«TOM!», urlò con tutta la voce che aveva
rimasto in corpo.
I suoi occhi si riempirono di orrore: Tom era davanti a lui, piegato in
due, l'enorme radice conficcata nello stomaco e la maglia intrisa di
sangue. Si era messo in mezzo per salvarlo. Lo sentì
mugolare di dolore, poi la radice diede uno strattone indietro e
uscì dal corpo del chitarrista, ritraendosi verso il tronco
dell'albero e raggrinzendosi all'istante. Come Bill aveva pensato
prima, ne bastava solo uno perché tutto finisse.
L'albero
urlò ancora, incominciando a ritirarsi nel pavimento e le
sue radici si seccarono improvvisamente. La terra tremò
ancora, ma tutto finì in pochi istanti.
Allora Bill si avvicinò immediatamente al gemello.
«Tom!», urlò il cantante, afferrando il
suo corpo prima che cadesse a terra.
Non riuscì a reggere il suo peso e cadde a terra in
ginocchio, tenendolo stretto a sé più forte che
poté. Il braccio ferito gli faceva un male terribile e aveva
ripreso a sanguinare sotto gli stracci, ma non gli importava niente.
Sarebbe anche potuto morire dissanguato, perché in quel
momento gli importava soltanto di Tom.
Il chitarrista si lasciò andare senza più forza
fra le braccia del gemello. «Te l'avevo detto che non avrei
permesso che fossi tu a morire», gemette con un sorriso
stentato sulle labbra tremanti.
Bill gli prese la testa fra le mani e subito sentì le
lacrime sgorgare fuori dai suoi occhi.
«Perché?», singhiozzò forte,
portando una mano sull'enorme ferita del gemello e premendocela sopra
con forza.
Ma non poteva bloccare il flusso del sangue così e, anche se
avesse avuto qualcos'altro, non sarebbe servito comunque a nulla. La
ferita era troppo profonda. Letale.
«Devi... devi uscire da qu-qui», gli disse Tom,
sforzandosi di parlare, nonostante gli facesse male.
Bill storse la bocca in una smorfia di dolore e lasciò che i
singhiozzi avessero la meglio su di lui. «No».
«S-Sì. Continua senza di me. Tu hai l-letto il
libro».
Il chitarrista tossì e dalla sua bocca uscirono tante gocce
di sangue, che gli sporcarono le labbra. Bill si macchiò le
mani con quel sangue e questo lo fece piangere ancora più
forte. Tom fece uno sforzo e sollevò una mano sul suo
stomaco, dove il gemello teneva ancora la mano sulla ferita. Gliela
strinse forte.
«B-Bill», ansimò, mentre una
quantità esagerata di sangue gli usciva dalla bocca, quasi
soffocandolo. «ti voglio... bene».
La sua voce era irriconoscibile, troppo bassa, roca e piena di
sofferenza per essere veramente la sua. Il suo corpo era scosso da
terribili brividi di freddo fra le braccia del gemello e il suo respiro
diventava sempre più affannoso.
Poi accadde. Un ultimo
scossone, un ultimo ansito e finalmente quell'atroce agonia
finì. Bill sentì i muscoli del fratello
distendersi improvvisamente contro il suo corpo, il tremore
cessò e il respiro si spense. Gli occhi castani, identici a
quelli del cantante, rimasero aperti, guardando quelli del gemello. Li
stava fissando... ma non veramente.
«Tom...», singhiozzò Bill, il viso
deformato dal dolore e gli occhi che non riuscivano più a
distinguere i contorni della faccia insanguinata del fratello.
Troppe lacrime.
«Tom!», lo chiamò ancora.
Strinse ancora più forte il suo corpo vuoto, scuotendolo
leggermente, illudendosi che potesse essere ancora lì con
lui. Ma Tom se ne era andato. Per sempre.
Bill conficcò le unghie nella mano del gemello e strinse gli
occhi più forte che poté. Non riusciva quasi
più a respirare, i singhiozzi glielo impedivano. Ma
l'ossigeno necessario per fare una cosa lo trovò: un urlo
pieno di dolore, disperato, percorse i corridoi delle fogne. E quando
si spense, l'eco ne lasciò ancora qualche traccia.
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