The Book Of Hell

di mieledarancio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The story begins ***
Capitolo 2: *** Not dead ***
Capitolo 3: *** Traps and books ***
Capitolo 4: *** Ghosts from the past ***
Capitolo 5: *** Underground ***
Capitolo 6: *** Alone ***



Capitolo 1
*** The story begins ***


The Book Of Hell







01. The story begins





La luce del sole filtrava luminosa tra le imposte delle finestre. Era una bella giornata soleggiata, serena, una delle prime giornate di primavera di quell'anno.
Bill sedeva comodo sul sofà, con in mano un libro dalla copertina di cartone nero, abbastanza spesso, aperto su una delle ultime pagine. Erano quasi quattro giorni che passava le sue giornate così, leggendo con dedizione e quasi con maniacalità quel libro per lui così prezioso. L'aveva attirato subito, sin dall'inizio, e, una volta iniziata la prima pagina, non aveva più potuto far a meno di quella storia.
Gli occhi del ragazzo erano concentrati sulle parole nere, scritte sul bianco del foglio.

Solo poche pagine... poche pagine e saprò come va a finire. Voglio conoscere la soluzione del mistero pensava, mentre teneva lo sguardo incollato al libro, la fronte corrucciata per lo sforzo della concentrazione.

Era arrivato ad un punto cruciale del racconto.






"Arrivò alla porta. Era socchiusa, solo una scia luminosa illuminava il lugubre e buio corridoio nero che stava attraversando. Camminava con estrema lentezza, la paura gli aveva invaso tutto il corpo. Ogni osso, ogni muscolo, ogni centimetro di pelle era invaso dai brividi. Il viso sudato e sporco, il terrore di arrivare a quella porta e di aprirla completamente. Da una parte, voleva aprirla; dall'altra, voleva soltanto scappare. Ma non poteva farlo. Ormai il mostro gli aveva già portato via tutto quello che aveva di più caro al mondo, non aveva niente da perdere. Se fosse riuscito nell'intento, avrebbe ottenuto vendetta e sollievo; ma, se così non fosse stato, avrebbe comunque raggiunto felice le persone che aveva perso.
Ecco, era arrivato alla porta. Le diede una leggera spinta. Strinse convulsamente la pistola che aveva in mano, pronto ad affrontare il peggio. Dopo poco, una scena spaventosa si aprì davanti ai suoi occhi. Cercò di non tremare, ma era praticamente impossibile, perché davanti a lui c'era la cosa più spaventosa che avesse mai visto."






«In piedi, bell'addormentato! È ora di darsi da fare!».

Preso alla sprovvista da quell'urlo così potente, Bill fece un balzo di due metri, saltando via dal sofà e tirando in aria il libro che stava leggendo. Atterrò sul pavimento con il fondoschiena, facendosi male ad un gomito.

«Che dolore!», urlò con voce sofferente e con gli occhi serrati, mentre si massaggiava il punto ammaccato e dolorante.

A pochi passi di distanza da dove era caduto, qualcuno stava ridendo a crepapelle. Bill aprì gli occhi e alzò la testa: Tom, il suo gemello, era crollato sul sofà e ci stava rotolando sopra con le lacrime agli occhi, tenendosi la pancia con le mani.

«Scemo! Mi hai fatto prendere un colpo!», lo rimproverò arrabbiato Bill, rimettendosi in piedi e raccogliendo il libro che aveva lanciato via.

«È stato spassosissimo, avresti dovuto vedere che salto!».

Tom continuava imperterrito a ridere, senza dar peso all'espressione offesa del fratello. Soltanto dopo un minuto intero passato a ridere riuscì finalmente a ricontrollarsi.

«Senti, scansafatiche, David vuole che tu venga in studio per continuare a registrare le nuove canzoni. Dobbiamo metterci al lavoro, manca poco tempo all'uscita prevista per il nuovo album. E per questo motivo, mio caro, sei costretto ad abbandonare per un po' quel libricino che ormai leggi senza sosta. Il lavoro chiama».

Detto questo, afferrò il fratello per un braccio e lo trascinò fuori dalla stanza con malagrazia.

«Ma io devo finire di leggere!», protestò Bill, opponendo resistenza.

«La lettura può aspettare, l'album e i fan no».

E così entrambi si avviarono verso lo studio di registrazione.






Erano passate quasi due ore da quando avevano iniziato a registrare e la sera era già arrivata da un pezzo.
L'album era quasi pronto. Bill cantava con la stessa intensità di sempre e Tom, Gustav e Georg lo accompagnavano con i loro strumenti, mettendoci sempre più impegno ad ogni canzone che registravano.

Ad un certo punto, il loro manager, David Jost, batté le mani e fece segno di chiudere tutto e di andare ognuno per conto proprio. «Ragazzi, per oggi può bastare. Avete fatto un gran bel lavoro, complimenti».

«Grazie», risposero loro con un sorriso stanco.

Tutti quanti misero via i loro strumenti, si prepararono e, dopo aver salutato tutto il loro staff, si diressero insieme verso l'uscita.

David, però, li raggiunse, trattenendoli ancora. «Mi ero dimenticato di dirvi che domani mattina dobbiamo andare a girare il vostro nuovo video».

Gustav lo guardò curioso. «Beh, avresti potuto avvertirci un po' prima. Comunque, che tipo di video sarà?».

«Uno di quelli lugubri e inquietanti, un po' oscuri. Andremo in una casa abbandonata in campagna, credo. Sarà un'esperienza totalmente nuova per voi, per questo penso che sia molto interessante da provare», disse il manager con gli occhi che brillavano per l'emozione.

«A volte fai paura, David», scherzò Tom, mentre spingeva la porta per uscire. «Ci vediamo domattina, allora. Buonanotte».

«Buonanotte. E riposatevi bene stanotte, perché domani vi voglio in forma», gli raccomandò David con voce severa.

I ragazzi annuirono col capo e, finalmente, ognuno poté ritirarsi nella propria stanza.






La mattina seguente, tutti quanti si riunirono in un punto preciso dell'albergo, pronti per partire insieme verso la meta per girare il video. Durante il tragitto in macchina, Bill tirò fuori dal suo grande borsone, da cui non si separava quasi mai, il libro nero che doveva ancora finire di leggere. La sera prima si era sentito troppo stanco per poter leggere anche solo una pagina, quindi aveva pensato di portarselo dietro per farlo nei momenti liberi.

«Ancora con quel libro? Ma non ti stanchi mai di leggerlo?», gli chiese Tom, guardandolo scettico e annoiato.

Il fratello corrugò la fronte e gli fece la linguaccia. «No, non mi stanco mai. E poi non l'ho ancora finito, per ciò me lo porto dietro».

Gustav, che sedeva di fianco a Bill, gli si avvicinò un po' di più per osservare meglio il libro. «"The Book Of Hell"... È un horror? Di che cosa tratta?», chiese incuriosito.

Bill gli sorrise, felice che almeno qualcuno si interessasse come lui ai libri. «Parla di un gruppo di amici che entra in una casa maledetta e da quel momento cominciano a succedere un sacco di avvenimenti strani; molti di loro scompaiono, alcuni muoiono, ma il protagonista rimane sempre intatto e cerca di scoprire quale mistero si nasconde in quella casa».

«La solita storia della casa stregata, quindi», disse Georg, un tantino deluso dalla trama del libro.

«Può sembrare così, ma è interessante vedere come si evolve la storia. Succedono cose pazzesche, che ti tengono attaccato al libro e ti danno la sensazione di essere dentro la storia. E poi c'è questo mistero da svelare che ti prende ancora di più, ti fa proprio venir voglia di leggere fino alla fine per scoprire la soluzione. Io, purtroppo, non sono ancora arrivato alla fine, non so ancora niente».

Bill parlava con un entusiasmo da far paura: quel libro lo aveva letteralmente stregato in tutti i sensi.

Tom, seduto accanto a Georg, sbuffò annoiato. «Sai, Bill, non ti farebbe male leggere un bel porno, qualche volta».

«Tom!».






Dopo qualche minuto, arrivarono a destinazione. Scesero dalla macchina e osservarono la scena che si stagliava davanti ai loro occhi: una casa scura, una specie di catapecchia distrutta, in mezzo ad una desolazione totale; l'erba intorno era poca e secca, il terreno molto fangoso. La casa era molto grande, ma quasi completamente distrutta. Sembrava che fosse stata bruciata da poco tempo.

«Ma chi ci abitava qui?», domandò Gustav a David.

«Sembra che vent'anni fa ci abitasse uno scrittore di grande fama a quei tempi. Ci viveva con la moglie e le tre figlie. Era abbastanza ricco,  lui e la sua famiglia non se la passavano di certo male, ma, a quanto pare, qualcuno ce l'aveva con lui: una notte, qualcuno è entrato in casa e ha ammazzato la moglie e le figlie. Lui sembra che sia sopravvissuto, ma qualche tempo dopo si è suicidato per il dolore della perdita».

«Come si è suicidato?».

«Rinchiudendosi in una stanza e dando fuoco alla casa. Questa è la prima ipotesi, altri invece suppongono che fosse solo impazzito e che, preso da un raptus improvviso, uccise tutta la sua famiglia, bruciando poi la casa e suicidandosi».

Tom sbarrò gli occhi e inarcò un sopracciglio. «Che storia carina», commentò sarcastico.

«E per quale motivo credevano che fosse pazzo?», domandò ancora Gustav.

«Per le sue storie, che erano troppo... strane. Solo un pazzo poteva pensare di scrivere certe cose. Ho sentito dire che delle persone, dopo aver letto i suoi libri, erano impazzite, perché il libro gli aveva rovinato la salute mentale. Erano libri che rovinavano a livello psichico la gente. Sembra anche che, poco prima di morire, stesse lavorando ad un horror particolare e diverso dagli altri. Ma, quando la casa è stata bruciata, nessuno ha più trovato niente. Però, a mio parere, queste sono tutte dicerie. Comunque sia, questa casa non è più stata abitata da allora. Molti dicono che sia infestata dagli spiriti della famiglia, ma sono sempre le solite storie che la gente inventa per divertirsi a spaventare gli altri. Sono sicuro che qui verrà fuori un bel video. Diamoci da fare», esclamò con entusiasmo il manager.

Bill, intanto, aveva incominciato a tremare. Aveva gli occhi spalancati e il viso spaventato.

«Tutto bene?», gli domandò Tom, avvicinandosi di poco.

Il fratello scosse la testa. «Io non ci entro lì dentro», mormorò con voce roca.

Tom alzò gli occhi al cielo e lo afferrò per un braccio, cominciando a trascinarlo via. «Bill, tu leggi troppe storie dell'orrore. Adesso vieni con noi e cominciamo a girare quel video. Muoviti».

Bill non oppose resistenza e non replicò, ma, quando arrivarono sulla soglia della porta cigolante della casa, esitò un istante, prima di entrare. Lo staff e i suoi compagni erano già entrati dentro, mancava solo lui.
Il cielo in quel momento si stava facendo plumbeo, più grigio e nuvoloso.

Strano, prima c'era il sole pensò Bill.

Dopo poco, si decise a varcare la porta, ma, nello stesso momento in cui mise il primo piede dentro, un fulmine squarciò il cielo scuro. Forte, un rombo quasi assordante. Il cantante sobbalzò, spaventato a morte. Il libro che aveva dentro il borsone saltò improvvisamente fuori, cadendo sul pavimento, e si aprì sulle prime pagine. Il moro lo guardò perplesso, mentre si teneva una mano sul cuore e respirava affannosamente.

«Bill, ti decidi ad entrare?», lo chiamò Tom a qualche metro di distanza da lui.

Bill entrò del tutto dentro la casa, raccolse il libro e lo rimise dentro il borsone. Fece qualche passo in avanti, ma un rumore improvviso lo fece sobbalzare di nuovo: la porta alle sue spalle si chiuse improvvisamente, da sola, con una rapidità impressionante.

«Ma che fai? Non c'è bisogno di sbattere così la porta», lo ammonì il fratello, che, stanco di aspettare, lo aveva raggiunto.

Bill aveva il volto pallido e i muscoli tesi in una maniera assurda. «Tom, io non... non l'ho neanche toccata», disse al fratello con voce tremante e balbettando.

Tom sembrava non notare la paura del gemello, così fece spallucce e lo spinse verso lo staff, che nel frattempo si era già spostato in un'altra stanza della casa. «Sarà stato il vento. A quanto pare, sembra che stia arrivando un bel temporale. Ma adesso andiamo, abbiamo già perso abbastanza tempo».

E così dicendo, si avviarono insieme verso il resto del gruppo. L'interno della casa era spaventoso e alquanto lugubre. Sembrava che fosse già notte lì dentro. Era pieno di topi e ragnatele in ogni angolo, puzzava di bruciato ed era inquietante. Molto inquietante.

Bill, mentre si guardava attorno e continuava a camminare sul pavimento di legno scricchiolante, si avvicinò ancor più al fratello e gli strinse un braccio per farsi almeno un po' di coraggio. Questa sarà senza ombra di dubbio una delle giornate più lunghe e brutte della mia vita.

La casa era immensa, c'era davvero il rischio di perdersi lì dentro. Rampe di scale ovunque, porte cigolanti per almeno una quarantina di stanze. Sarebbe potuta sembrare una reggia degna di un re, se solo non fosse stata così lugubre e buia. Nel silenzio si riusciva a sentire lo squittio dei topi che correvano veloci sul pavimento di legno marcio, che ad ogni singolo passo scricchiolava sotto ai piedi. Bisognava essere sempre pronti a schivare le ragnatele che pendevano dal soffitto e che legavano ogni mobile andato in pezzi. La pioggia, i tuoni e i lampi fuori rendevano la casa ancora più inquietante.
Bill e Tom, rimasti indietro, ci misero un po' prima di ritrovare il resto dello staff. Bill continuava a tremare, spaventato non solo dalla tempesta che impazzava fuori dalla catapecchia, ma anche da tutto quello che lo circondava. Il libro nero che teneva nel suo borsone sembrava tremare con lui, ma non di paura. Tom, a differenza del gemello, sembrava tranquillo e del tutto disinteressato da quella casa. Il suo unico scopo era quello di finire di girare il prima possibile il nuovo video musicale e tornare in albergo.

«Tom... il libro si muove», sussurrò piano Bill, avvicinandosi all'orecchio del fratello, mentre continuavano a seguire gli altri compagni.

Tom inarcò un sopracciglio e girò la testa verso Bill, guardandolo storto.

«Davvero. Sento che qualcosa sta tremando dentro il borsone», insistette ancora il ragazzo moro.

Aveva gli occhi sbarrati, era estremamente pallido in volto e faticava a muoversi da quanto era pietrificato dalla paura.

Tom si lasciò scappare una risatina divertita. «Secondo me, qualcuno ti sta chiamando al cellulare, che tu hai messo silenzioso. Ecco cosa trema».

Bill, offeso dalla battuta del fratello, aprì la cerniera del borsone e tirò fuori il libro, mostrandolo a Tom. Ma non c'era nulla di strano. Era sempre il solito libro dalla copertina nera, perfettamente immobile e senza alcuna traccia di anomalie.

Tom ricominciò a ridere. «Oh sì, guarda come trema! Tienilo ben stretto, altrimenti fra un po' mette insieme le gambe e comincia a correre per la casa!», continuava a ridere il gemello.

Bill non diede retta a quelle parole, piuttosto si fermò a guardare incerto il libro che teneva fra le mani. Eppure mi era sembrato che...

«Ragazzi, dobbiamo iniziare le riprese, altrimenti si farà troppo tardi!».

La voce di David si fece sentire improvvisamente dall'interno di una stanza molto ampia, poco distante dai due gemelli.

«Arriviamo subito», gli rispose pronto Tom, accelerando il passo.

Prima, però, si voltò verso Bill, il quale teneva ancora il libro in mano.

«Senti, forse la casa potrà spaventarti, ma una cosa è certa: i fantasmi, i mostri e tutte quelle altre sciocchezze non esistono. E, soprattutto, un libro non comincia a tremare da solo in una borsa. È un oggetto inanimato e del tutto privo di qualsiasi particolare spaventoso. Perciò adesso non continuare con queste stupidaggini e metti via quel coso».

Detto questo, si avviò dentro la stanza da cui David li aveva chiamati.

Bill diede ascolto alle parole del fratello e rimise a posto il libro, cercando di darsi un contegno. Ha ragione lui. Quelle cose non esistono ed io mi sto comportando da vero sciocco.

Prendendo un bel respiro profondo, entrò a sua volta dentro la stanza, cercando di togliersi dalla testa tutto quello che poteva essere stupido e insensato.






Le riprese del nuovo video andarono avanti per circa due ore. Bill sembrava aver riacquisito almeno un po' di coraggio e continuava ad eseguire con estrema precisione tutto ciò che gli veniva chiesto dal regista e dagli altri quattro uomini che lo accompagnavano. Tom, Gustav e Georg si impegnavano al massimo per cercare di dar vita ad un video perfetto ed emozionante, che si addicesse alla loro nuova canzone. In poco tempo erano già riusciti a fare più della metà del lavoro.

Ad un certo punto, però, il regista fece segno al resto del gruppo di interrompere tutto e di fare un momento di pausa, prima di continuare. «Fermiamoci un momento. Fino ad ora abbiamo fatto tutti un buon lavoro, possiamo anche rilassarci un pochino». E così dicendo, si alzò dalla sedia su cui era seduto e si stiracchiò la schiena. «Qualcuno di voi saprebbe dirmi dov'è possibile trovare il bagno in questo labirinto?», chiese l'uomo, rivolgendosi ai suoi aiutanti.

David si fece avanti e indicò con un dito il soffitto. «Prima ho dato un'occhiata ad una piantina della casa e mi sembra che il bagno si trovi al secondo piano, proprio sopra di noi».

«Quanti piani ci sono?», gli domandò Georg, riponendo il proprio basso su una sedia lì accanto.

Il manager ci pensò su un attimo. «Tre. Questa casa da fuori può sembrare piccola, ma dentro è immensa».

Il regista annuì col capo, poi si diresse verso la porta della stanza. «Vado un secondo di sopra, allora. Quando torno, riprendiamo da dove abbiamo lasciato».

Il resto del gruppo lo osservò uscire dalla stanza, poi ognuno si mise a fare le proprie cose.

Tom si avvicinò a Bill e posò a terra la sua chitarra. «Allora ti è passata la paura?», gli domandò poi, sedendosi su una sedia accanto a lui.

Il gemello sospirò e gli sorrise. «Sì, mi è passata. Grazie a te».

Tom gli mise una mano sulla spalla. «Io sono meglio di uno psicologo, fratellino. Posso capire la faccenda di rimanere un po' inquietati dalla casa, ma arrivare persino a pensare che un libro si muova, è una cosa da manicomio», disse Tom, ridendo e dando delle piccole pacche comprensive sulla schiena del gemello.

Bill fece una faccia offesa e sbuffò infastidito.

In quel momento arrivò vicino a loro anche Gustav. «Sono un po' stanco. Girare questo video richiede più energia del previsto».

«Puoi dirlo forte», esclamò Georg, unendosi a loro.

Gustav si sedette sul pavimento, osservando curioso il borsone di Bill: in un punto spuntava uno spigolo del libro nero. «Bill, posso vedere un attimo il tuo libro? Sarei curioso di leggerlo anch'io».

Il ragazzo moro annuì col capo e tirò fuori il romanzo, poi lo porse gentilmente all'amico. Gustav se lo rigirò per un po' fra le mani, poi si decise ad aprirlo. In quel preciso momento si sentì un forte rumore al piano di sopra. Prima un tonfo sordo, poi qualcosa che rotolava e che si avvicinava sempre di più. Infine il silenzio e lo sgomento di tutti i presenti.

«Cos'è stato?», chiese Bill, respirando affannosamente, a causa dello spavento per quel rumore improvviso.

David aspettò qualche secondo in silenzio, poi con la fronte corrucciata e l'espressione confusa si avviò verso la porta della stanza. Era ancora aperta. Si fermò sulla soglia e si guardò attorno.

«Signor Bürk? Va tutto bene?», chiese, rivolgendosi al loro regista, che si trovava ancora al piano di sopra.

Nessuna risposta.

«Signor Bürk?», chiamò ancora una volta il manager.

Ma anche questa volta non ci fu risposta.

David fece segno ai quattro uomini che li accompagnavano e che facevano da aiuto-regista di avvicinarsi. «Forse è meglio andare di sopra. Potrebbe essere scivolato», suggerì loro.

I quattro si avviarono di sopra, salendo le scale e scomparendo dalla vista di David. Il manager si voltò verso Bill, Tom, Gustav e Georg: tutti e quattro lo stavano fissando preoccupati. Bill, in particolare, tremava un po'.

«Signor Jost, non riusciamo a trovarlo», urlò qualcuno di sopra.

David corrugò la fronte confuso. «Avete guardato in bagno?».

«Ci siamo dentro, ma qui non c'è nessuno».

Bill dalla sua postazione sbiancò nuovamente in volto. «Che gli è successo?», cominciò a farfugliare spaventato.

«Bill, non ricominciare. Il Signor Bürk sarà di sopra, ma in un'altra stanza diversa dal bagno. Controllate meglio!».

Tom urlò le ultime due parole, rivolgendosi ai quattro uomini al piano di sopra.
Passò qualche secondo di silenzio, poi qualcuno scese le scale. Era uno dei quattro uomini, un ragazzo con la testa rasata e piuttosto giovane.

«Stiamo guardando in tutte le stanze di sopra, ma non lo abbiamo ancora trovato».

La sua voce era preoccupata.

David rivolse un'occhiata ai quattro ragazzi della band, ancora intenti a guardarlo perplessi. «Vado a cercarlo anch'io. Voi restate qui ad aspettarci».

Detto questo, si allontanò insieme al giovane ragazzo.

Bill guardò pensieroso il libro nero che Gustav teneva ancora fra le mani: era chiuso. «Gustav, dammi un attimo il libro», disse, allungandosi verso l'amico per prendere il romanzo.

«Ma ti sembra questo il momento giusto per leggere?», gli chiese Tom, guardando il fratello scettico.

«Non devo leggere, voglio solo vedere una cosa».

Bill tenne per qualche secondo il libro chiuso fra le mani, poi lo aprì. Improvvisamente la porta della stanza sbatté violentemente, chiudendosi e lasciandoli chiusi dentro da soli. Ma quello non fu il solo rumore che arrivò alle loro orecchie. Tante altre porte sbatterono insieme, serrandosi tutte quante nello stesso momento. Fuori il cielo si oscurò ancor più, i lampi e i tuoni cominciarono a rimbombare sempre più forte. La luce all'interno della stanza si spense e li lasciò al buio.
Bill lanciò un urlo spaventato, lasciando cadere per terra il libro e abbracciando con foga Tom, il quale lo strinse forte. Non poteva nascondere di essere terrorizzato anche lui da quello che era appena successo. Gustav e Georg si avvicinarono ai due amici, cercando di stare il più vicini possibile.

«Che sta succedendo?», domandò Georg con voce tremante.

«Guardate il libro!», urlò improvvisamente Gustav, indicando il romanzo sul pavimento.

La poca luce proveniente dalla finestra lo illuminava. Il libro nero era aperto e le pagine si muovevano velocemente, cambiando sempre numero e parole. Tremava, faceva un rumore strano. Se ci fosse stato il vento a muoverlo, sarebbe stato normale, ma in quel momento il vento non c'era affatto. Improvvisamente, il romanzo si bloccò su una pagina.
Bill si staccò dal fratello e si avvicinò lentamente all'oggetto improvvisamente animato. Il ragazzo tremava per la paura.

«È il primo capitolo», disse ansimante, faticando a far uscire dalla propria bocca quelle parole.

Allungò una mano e sfiorò con cautela la pagina ruvida. Non accadde nulla e poté così prendere in mano il libro. Provò a sfogliarlo, a cambiare pagina, ma quelle erano diventate come cemento. Un blocco unico, come se il libro non volesse mostrare il resto della storia, fermandosi solo sulla prima pagina del racconto.

«Che cosa sta succedendo?», chiese piano Gustav, sussurrando.






"Le porte sbatterono violentemente, provocando un rumore forte, quasi insopportabile. La tempesta impazzò, come se un ciclone volesse divorare chiunque osasse uscire da quella casa. Urla, grida, rumori strani giunsero alle loro orecchie, pietrificando le loro figure sul posto, trasformandoli in statue di pietra. I brividi percorrevano la schiena di ognuno di loro, li invadevano da capo a piedi.
Una cosa era certa: la casa era viva, li voleva tenere prigionieri lì dentro, almeno fino a quando il mistero non fosse stato svelato."







Questo diceva la prima pagina.

Bill la lesse ad alta voce e improvvisamente si rese conto della situazione in cui si trovavano. Non è possibile pensò, sbiancando in volto e diventando di pietra.

«È tutto come nella storia», sussurrò piano, incapace di muovere un singolo muscolo.

Guardava il libro ancora aperto fra le mani, come se fosse la cosa più brutta del mondo, come un mostro.

«Che vuol dire che è tutto come nella storia?», chiese Tom, agitato e alterato da tutto quello che stava succedendo.

Bill aveva gli occhi spenti e pieni di terrore. Alzò lo sguardo sul fratello e i due amici e parlò piano e lentamente.

«Che la storia ha preso vita e noi... ci siamo dentro».

Tutto è scritto qui, fra le mie mani. È tutto uguale.


«Siamo chiusi dentro».









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Capitolo 2
*** Not dead ***


02. Not dead





«Le porte sono tutte chiuse!», urlò Gustav, cercando di sovrastare tutto il rumore che si era creato intorno ai quattro amici.

Il ragazzo biondo continuava a tirare la porta e a girare la maniglia, ma era tutto inutile: anche con tutta la forza del mondo quella porta non si sarebbe mai aperta. Bill, ancora seduto a terra con il libro aperto fra le mani, non riusciva a mettere a fuoco la situazione. Sembrava che non si accorgesse affatto del putiferio che si era scatenato in quella stanza, quasi si stesse formando un tornado. Il moro era talmente incredulo per quel fatto che non riuscì nemmeno a reagire, o a dire qualsiasi cosa. Era come una statua di pietra.

«Bill, fai qualcosa!», gli urlò contro Tom.

Io?


Finalmente si decise ad alzare la testa e ad osservare in faccia i suoi compagni. «Cosa dovrei fare?», chiese scettico, preso improvvisamente da un'ondata di paura.

«Sei tu quello che ha letto il libro! Saprai cosa c'è scritto, no? Cosa dobbiamo fare per fermare tutto questo?», gli domandò il gemello.

Bill fece vagare lo sguardo per tutta la stanza, in cerca di una soluzione. Il libro non diceva niente su questo avvenimento. Era finito tutto all'improvviso. Perché qui nella realtà non accade?

Non sapeva cosa fare, la storia non lo aiutava affatto.

Forse dobbiamo solo aspettare
pensò fiducioso.

Ma i minuti passavano e la situazione era sempre la stessa. Anzi, peggiorava sempre di più.

«Aiuto!».

L'urlo di Gustav risvegliò Bill dai suoi pensieri. L'amico era attaccato alla porta, come se ci fosse incollato sopra. Sembrava che lo volesse risucchiare.

«La porta mi tiene stretto, non riesco a staccarmi!», urlò ancora il ragazzo.

Tom e Georg si precipitarono immediatamente a dargli una mano. Il chitarrista prese Gustav per la schiena e il bassista si piegò per afferrargli le gambe. Insieme cominciarono a tirare, ma questo non servì a nulla: il batterista rimase ugualmente attaccato alla porta e, insieme agli altri due compagni, continuava ad urlare per lo sforzo e per la paura.

«Bill! Chiudi il libro!», urlò ancora più forte Tom.

Il rumore che c'era in quel momento era insopportabile, tremendamente assordante. Bill non capì subito quello che gli aveva detto il gemello.

«Bill!», urlò Georg.

Il cantante fu costretto a mettersi le mani sulle orecchie per resistere a tutto quel frastuono. Non capisco, mi fanno male le orecchie.

«CHIUDILO!».

Questa volta la voce di Tom arrivò alle orecchie del fratello. Bill non aspettò un secondo di più. Fece tutto molto rapidamente, in modo da non sentire ancora male ai timpani. Tolse le mani dalle orecchie, afferrò il libro sul pavimento e lo chiuse con un colpo secco. Fu un attimo. Tutto cessò improvvisamente: il vento, i tuoni, i lampi, ogni singolo rumore scomparve e così anche ogni altra cosa anomala. Gustav si staccò di botto dalla porta, cadendo addosso a Tom, che non resse il peso dell'amico e finì disteso a terra con sopra sia il bassista che il batterista.

«Cazzo!», esclamò, dopo aver sbattuto la testa sul pavimento di legno. «Levatevi!», sbraitò poi, rivolto ai due amici che lo stavano schiacciando.

Gustav e Georg si tolsero immediatamente, ma non ebbero la forza di rimettersi in piedi: erano troppo stanchi.

Tom, invece, aveva ancora abbastanza energie per parlare al fratello con estrema ostilità. «TU! Adesso mi spieghi che cazzo significa tutta questa storia! Il libro non può aver preso vita, è una cosa illogica e impossibile!».

Bill lo fissò scettico, cercando di controllare i battiti del proprio cuore agitato. «E quello che è appena successo ti sembra normale? Trovala tu una spiegazione sensata, io ne so quanto te».

Il chitarrista fece per controbattere, ma si bloccò, abbassò gli occhi e scosse la testa esausto.
Rimasero per qualche secondo in silenzio, poi Tom tornò a parlare, ma questa volta con più calma.

«Okay, allora... se è vero che tutto questo è come nella storia e che il libro ha preso davvero vita, sarà facile uscirne fuori. Insomma, Bill ha letto il libro, quindi si presume che sappia tutto quello che potrebbe succederci, ma, soprattutto, come tirarci fuori».

Bill socchiuse gli occhi e scosse leggermente la testa. «Sì, so quello che potrebbe succederci, ma non conosco il modo per tirarci fuori di qui. Non ero ancora arrivato al finale».

«Beh, leggilo adesso e tiraci fuori», replicò Tom.

Bill lo guardò scettico ed incredulo. «Non hai visto cosa succede quando apro il libro? Vuoi forse che si ripeta di nuovo?».

Il chitarrista alzò gli occhi al cielo e sbuffò esasperato. Gustav e Georg osservavano la scena ancora distesi a terra.
Passarono alcuni minuti di silenzio in cui nessuno si guardò più in faccia.

Poi Georg decise di rompere la tensione che si era formata fra i due gemelli Kaulitz e di parlare di cose serie. «Quindi che facciamo?», chiese con calma.

Bill ci pensò un po' su, poi tornò a guardare l'amico. «Proviamo lo stesso ad uscire fuori di qui in base a quello che so. Mi ricordo la storia, quindi i pericoli dovrebbero essere minori».

Gli altri tre compagni annuirono dopo un po'.

«Okay, allora qual è la prima mossa?», chiese Gustav, un po' inquietato da tutta quella faccenda.

«Innanzitutto, usciamo da questa stanza, poi andiamo a cercare David, il signor Bürk e i suoi colleghi. Gli sarà sicuramente successo qualcosa, altrimenti ci avrebbero già raggiunto», commentò Bill, alzandosi in piedi e prendendo il libro nero in mano, stando ben attento a non aprirlo di nuovo.

«C'è solo un piccolo problema, però: la porta è chiusa», disse Georg, osservando quel grande pezzo di legno scuro che li teneva imprigionati all'interno della stanza.

Improvvisamente la porta si aprì con un leggero scatto della serratura. Lentamente si spalancò e lasciò via libera ai ragazzi. Tutti e quattro gli amici guardarono l'entrata stupiti, non credendo ai propri occhi.

«Si è aperta... da sola».

La voce di Gustav tremava appena, troppo sconvolto dall'accaduto.

«Questo è niente, Gustav. Ci aspettano cose molto più strane di questa», commentò Bill, tremando al pensiero della storia del libro.

«Di sopra c'è il bagno, è lì che dovrebbero essere gli altri», disse poi Tom, mettendosi in testa agli altri tre compagni. «Andiamo».






Il bagno si trovava in fondo ad un lungo ed immenso corridoio, insieme ad altre tante porte. L'unica differenza era che quella del bagno era la sola ad essere aperta. Il corridoio era buio, così come l'interno della stanza. Era difficile camminare in mezzo all'oscurità, ma, soprattutto, inquietante.
Tom entrò dentro per primo, seguito poi in ordine da Bill, Georg e Gustav. Avanzavano lenti, tastando appena quello che li circondava.

«È così buio», sussurrò piano Georg.

«Ci sarà una luce, ma non riesco a trovarla», gli rispose pronto Tom.

Gustav e Bill erano quelli che avevano più paura di tutti. Il cantante non si azzardava neanche a tastare le pareti della stanza, il batterista invece lo faceva, ma con molta lentezza. Poi, ad un tratto, la sua mano toccò qualcosa di bagnato e freddo. Si bagnò le dita e le fece scorrere in quel liquido strano.

«Ho l'impressione di aver messo una mano dentro alla vasca del bagno. Però è strano che sia piena d'acqua. Chi ce l'ha messa?», informò gli altri tre amici.

Tom e Georg non risposero, ma non si meravigliarono più di tanto.

Bill, invece, cominciò a pensare. Una vasca con l'acqua?

I suoi occhi si sbarrarono improvvisamente nel buio e, anche se gli altri non potevano vederlo, il
colore della sua pelle diventò bianco cadaverico.

«GUSTAV, NON TOCCARLA! NON È ACQUA, È SANGUE!», urlò con tutta la voce che aveva in corpo.

L'amico biondo sbiancò in volto e ritrasse immediatamente la mano, terrorizzato e disgustato. Tom e Georg si bloccarono di scatto, non credendo alle proprie orecchie. Poi la luce si accese improvvisamente, rivelando una scena davvero terrificante.

«OH MIO DIO!», urlò Gustav con tutta la voce che aveva in gola.

Tom e Georg si allontanarono il più possibile dalla vasca piena di sangue, fino ad arrivare con le spalle appoggiate al muro; il batterista fece lo stesso, trattenendo un conato di vomito e cercando di non guardare la scena macabra che si parava davanti ai loro occhi. Bill, invece, era l'unico che aveva ancora il coraggio di guardare la storia, che fino a poche ore prima lo aveva attratto così tanto, prendere vita sotto i propri occhi. Il volto pallido ed incredulo osservava l'interno della vasca.
La cosa più orribile e agghiacciante non era il sangue di per sé, ma ciò che vi galleggiava dentro: un corpo, un corpo informe e squartato brutalmente. Gli organi galleggiavano sulla superficie dell'acqua rossa, nascondendo il volto di quell'essere morto.
Bill cominciò a tremare, ripensando alla storia e a quello che poteva ancora succedere loro. Piano si avvicinò ancora alla vasca, chinandosi un poco e protendendo una mano verso l'organo che gli impediva di vedere chi fosse quella persona morta. Dovette trattenere il disgusto e i vari conati che cercavano di prendere il sopravvento sul suo corpo, a causa dell'odore insopportabile di putrido che aleggiava nel bagno.

«Bill, che fai?», lo chiamò il gemello preoccupato e scandalizzato allo stesso tempo.

Ma il cantante non lo ascoltò, era come ipnotizzato. Con la punta del dito scostò l'organo, poi osservò confuso un ammasso informe di pelle che sarebbe dovuta essere la faccia.

Assomiglia a...


«Cazzo!», urlò con gli occhi sbarrati ed il volto pallido come un cencio.

Si allontanò di colpo, stringendosi agli altri tre compagni ed evitando di guardare ancora quel corpo così famigliare.

Tom, invece, trovò il coraggio per fare un passo avanti ed esaminare bene il viso sfigurato. «È... il signor Bürk», riuscì a malapena a dire.

La voce gli tremava.

«Chi è stato, secondo voi?», chiese Georg esitante, tirando Bill dietro la sua schiena, in modo che il moro non potesse guardare ancora.

«Sarebbe più appropriato dire cosa
è stato», gli rispose Tom, tornando vicino al fratello e prendendolo delicatamente per un braccio. «Andiamocene da qui. Subito», disse poi, attirandolo verso la porta.

Bill abbassò lo sguardo sul pavimento, mentre Tom, Gustav e Georg uscivano fuori dal bagno. Se il signor Bürk è morto... allora anche David e gli altri potrebbero...

Ma non ebbe il tempo di formulare questo pensiero nella sua mente, perché qualcosa lo aveva afferrato saldamente per il polso destro. Bill girò la testa di scatto, spaventato a morte da ciò che gli impediva di andarsene da quel bagno. Il signor Bürk si era improvvisamente alzato a sedere sulla vasca, riemergendo e buttando fuori l'acqua mista al sangue. Urlava, emetteva versi incomprensibili e cercava di attirare verso di sé Bill, strattonandolo con violenza.

Il cantante osservò quello che rimaneva degli occhi dell'uomo. Il suo corpo morto è posseduto pensò con terrore, cercando di attaccarsi allo stipite della porta per non avvicinarsi a quel mostro.

Si voltò dall'altra parte, cercando di richiamare l'attenzione di Tom, Gustav e Georg, ma loro erano già usciti dal bagno ed erano già nel corridoio. I tuoni della tempesta fuori da quella casa coprivano i rumori provocati da tutto quel disordine, impedendo ai tre compagni di accorgersi di cosa stesse succedendo al loro cantante. Bill allora aprì la bocca per urlare, ma il corpo del signor Bürk si era fatto più vicino e gli aveva tappato la bocca con un mano, prima che il moro potesse fare qualsiasi cosa. Il terrore invase tutto il corpo di Bill, impedendogli di ragionare e di pensare ad un modo per liberarsi. Il signor Bürk continuò a tappargli la bocca con una mano e con l'altra strinse il collo del moro, tirandolo ancora di più verso la vasca. Gli buttò la testa sotto l'acqua sporca di sangue: lo voleva affogare. Bill si dimenava, scalciava e mollava pugni e schiaffi al corpo dell'uomo, ma quello sembrava insofferente. Il cantante aveva paura, una paura immensa, e, in più, cominciava a mancargli l'aria. Ormai il suo corpo era completamente dentro la vasca, immerso nel sangue.

Non ce la faccio. Non respiro
pensò Bill, mentre i suoi movimenti si facevano sempre più lenti.

I suoni alle sue orecchie si facevano più attutiti, gli occhi si stavano chiudendo e il suo respiro ormai non esisteva più. Stava morendo.

È finita.


Ma improvvisamente accadde qualcosa. Il sangue in cui era immerso ricominciò ad uscire dalla vasca da bagno, rendendo il pavimento ancora più bagnato e scivoloso. La mano del signor Bürk lasciò la presa sul collo di Bill, lasciandolo libero ed allontanandosi dal suo corpo. Il cantante ormai non aveva neanche più la forza per riemergere, ma due mani forti lo afferrarono per le spalle e lo aiutarono ad uscire da tutto quel sangue.

«Bill!».

Quella voce era inconfondibile e così rassicurante per il moro.

Tomi...


«Cazzo, Bill, riprenditi! Respira!».

Tom fece sdraiare il gemello sul pavimento bagnato e gli scostò i capelli dal volto per permettergli di respirare meglio. «Avanti, fratellino!».

Ma Bill non si svegliava e non dava alcun segno di vita.

«Ti prego, svegliati».

Il tono di voce del rasta si faceva sempre più disperato. Prese il moro fra le sue braccia e lo tenne stretto per qualche secondo, cercando di non farsi prendere dal panico. Gustav e Georg guardavano preoccupati quella scena, fermi sulla soglia della porta, incapaci di fare qualsiasi cosa.

«Bill!», urlò Tom.

Questa volta Bill si riprese. Tossì più volte, sputando acqua rossa e respirando più aria possibile. Si guardò attorno spaesato, alzando e abbassando le palpebre in continuazione. Quando i suoi occhi incontrarono quelli identici del gemello, sorrise e si strinse più forte a lui.

«Grazie», disse ancora, tossendo un poco.

Tom sorrise appena, ricambiando l'abbraccio del fratello e cercando di non mostrare una lacrima che minacciava di scorrere sulla sua guancia da un momento all'altro. «Dai, in piedi», disse il chitarrista, ricomponendosi e aiutando Bill ad alzarsi e a rimanere dritto in piedi.

Bill rivolse un'occhiata al corpo del signor Bürk, immerso ancora una volta nell'acqua.

Tom seguì il suo sguardo. «L'ho sistemato per le feste quel figlio di puttana», disse con disprezzo, mentre portava fuori il gemello da quel bagno.

Gustav e Georg sospirarono rassicurati, dando piccole pacche sulle spalle di Bill.

«Tutto bene?», chiese il bassista al moro.

Bill sorrise per tranquillizzarlo ed annuì col capo, poi rivolse uno sguardo a Tom, che lo sorreggeva ancora. «Eri preoccupato per me?», gli chiese con un sorriso beffardo.

Il rasta voltò il capo per non mostrare le guance improvvisamente rosse. «Per niente. Ma, d'ora in poi, tu resterai vicino a me in qualunque posto andremo e, se ti vedo allontanare anche solo di un metro, sarò io ad affogare te», disse con voce acida.

Bill non poté far a meno di lasciarsi scappare un sorriso a quelle parole del gemello.
Cerca sempre di negarlo, ma si vede che si preoccupa continuamente per me.

«Ragazzi, adesso che facciamo? Insomma, il signor Bürk è morto, ma non abbiamo ancora trovato David e gli altri. Come procediamo?».

A quelle parole di Gustav tutti e quattro i ragazzi si rattristarono. Erano preoccupati per il loro manager e pensare che potesse essere morto gli spezzava il cuore.

«Andiamo a cercarli», esclamò Tom con tono deciso e autoritario. «Ormai ci siamo dentro, quindi cominciamo ad esplorare questa casa degli orrori e a cercare gli altri. D'altronde, non possiamo fare altro».

Bill, Gustav e Georg annuirono col capo e insieme si avviarono verso la nuova stanza: il salotto.









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Capitolo 3
*** Traps and books ***


03. Traps and books





Il salotto era una stanza enorme, di certo la più grande che avessero visto fino a quel momento. Il soffitto era davvero molto alto e al centro pendeva un lampadario antico, pieno di pietre e perle ricercate, ma al tempo stesso opache e rovinate dal tempo. Librerie altissime erano appoggiate ai muri sporchi, interamente piene di libri e tomi di ogni tipo. In giro c'era qualche poltrona rosa scura con la stoffa strappata e macchiata, alcuni comodini e altrettanti mobili accatastati qua e là. Ma la cosa più interessante, che saltava immediatamente all'occhio, era un grande e bianco camino con sopra alcune foto dalle cornici rotte. Tutta la stanza era polverosa e ricoperta da grovigli di ragnatele, ma faceva comunque il suo effetto.

«Le persone che abitavano qui non avevano certo una vita difficile», ironizzò Tom, spostando lo sguardo da una parete all'altra.

Gustav e Georg lo imitavano, incuriositi da quella stanza così rovinata, ma che un tempo doveva essere stata sicuramente molto sfarzosa. Bill, invece, si concentrò sul camino: le foto che vi erano appoggiate sopra lo attirarono inevitabilmente. Con passo lento e incerto attraversò la stanza e si fermò davanti ad esse. Le osservo con calma e circospezione. Molte rappresentavano immagini di bambine piccole, vestite con abitini piuttosto bizzarri, altre mostravano un viso duro e severo di un uomo, che all'apparenza risultava essere molto autoritario. Una foto in particolare attirò l'attenzione del cantante: una famiglia, composta da una donna, tre bambine e un uomo, immortalata in una posa composta e perfetta. L'unica cosa strana di quella foto era il vetro della cornice, spaccato soltanto sui visi della donna e delle tre bambine e non su quella dell'uomo.

Tutto ciò è davvero molto strano.


Piccoli brividi di paura percorsero la schiena del moro, bloccandolo sul posto.
Ad un tratto, una mano delicata si appoggiò sulla sua spalla, facendolo sussultare per lo spavento. Il cantante si girò di scatto, ma l'unica persona che si ritrovò davanti fu Georg.

«Ti senti bene?», gli domandò questo con una leggera sfumatura di preoccupazione nella voce.

Bill si lasciò andare ad un sospiro di sollievo, tranquillizzandosi e annuendo all'amico con un sorriso.

«Qui David e gli altri non ci sono di certo. Andiamo a vedere in un'altra stanza», esclamò Tom, passando di fianco ai due ragazzi e buttando l'occhio sulle fotografie che poco prima avevano attirato l'attenzione del gemello.

Probabilmente questa è la famiglia che viveva qui
pensò distratto nella sua mente.

«Secondo voi, come sono andate le cose in questa casa, vent'anni fa?», domandò Bill inaspettatamente.

Gli altri tre compagni ci pensarono su un istante, inarcando le sopracciglia e sospirando leggermente.

«A mio parere, l'uomo che viveva qui e faceva lo scrittore era talmente suonato che alla fine è arrivato ad uccidere la sua famiglia. Non mi stupisce che una mente malata come la sua sia riuscita a dar vita ad una storia come quella del libro», disse Tom, indicando con un dito la borsa che Bill teneva a tracolla e in cui dentro giaceva il libro maledetto.

«Quindi tu credi alla seconda ipotesi di David?», chiese ancora Bill.

«Sì, ma sinceramente adesso non ho voglia di perdere tempo ad indagare sul passato di questa famiglia. Ne ho già abbastanza di quello che mi tocca passare per colpa di quel libro», concluse il rasta, voltando il viso per non guardare più in faccia il gemello.

«Non credi che, indagando un po' sul loro passato, riusciremmo a risolvere prima il mistero di questa casa?».

«No, non credo. E certamente non ho né voglia né tempo di scoprire quello che si nasconde in questo posto. L'unica cosa che mi interessa adesso è trovare David e gli altri e uscire di qui il prima possibile. Di giocare a fare il detective non ne ho la minima intenzione».

«Tu credi che io voglia giocare? Io penso solo che, se magari ci concentrassimo un po' di più sulla storia e meno sul cercare gli altri, usciremmo da qui prima».

«Che ti importa della storia? Ti rendi conto che David e gli altri potrebbero essere in pericolo, adesso? Se sprechiamo tempo in stupidaggini, potremmo ritrovarli morti!».

La tensione fra i due gemelli andava salendo. Le loro voci si alzavano sempre di più, irritate e infastidite. Gustav e Georg osservarono per qualche istante il loro dibattito, poi decisero di intervenire, prima che si creasse un putiferio.

«Avanti, ragazzi, adesso non mettiamoci a discutere su cosa sia meglio e cosa no. Limitiamoci a cercare di stare attenti a quello che ci circonda e ad andare avanti», disse con voce calma il bassista, cercando di mettere freno al litigio che si stava creando fra i due fratelli.

«No, Georg, io non sto zitto quando sento delle assurdità del genere! Prima ci mette nei casini, poi prende tutto come se fosse un gioco!», riprese Tom con voce ancora più alta.

«Stai forse scaricando la colpa su di me?», controbatté Bill, avvicinandosi minaccioso al chitarrista.

«E di chi altri dovrebbe essere la colpa? Non mi sembra di essere stato io quello che ha portato qui il libro!».

«E, secondo te, io potevo anche solo pensare che sarebbe finita così?».

«No, ma potevi lasciare quel cazzo di libro in albergo! Se non l'avessi portato, adesso David e gli altri non sarebbero scomparsi, il signor Bürk non sarebbe morto e noi non ci troveremmo in questa situazione di merda!».

Tom sputò fuori l'ultima frase come se fosse veleno, guardando con occhi carichi di rabbia il fratello. Bill non ebbe la forza di ribattere: quelle ultime parole lo avevano davvero demoralizzato e colpito dritto al cuore.

Ha ragione lui. Il signor Bürk è morto solo a causa mia e adesso ho messo persino tutti i miei amici in pericolo.


Il moro abbassò lo sguardo triste, trattenendo a stento le lacrime che gli punzecchiavano gli occhi.

Tom se ne accorse e il suo viso perse un minimo dell'espressione furiosa di prima. Stavolta ho davvero esagerato.

«Basta adesso, chiudiamo qui questo stupido discorso», esclamò Georg, mettendosi in mezzo ai due fratelli e alzando le mani davanti ai loro volti. «Non mi sembra il momento giusto per addossare colpe a qualcuno. Qui nessuno è responsabile di niente. Siamo in pericolo, ci sono cose che potrebbero aggredirci da un momento all'altro e non possiamo fermarci a litigare fra di noi e a perdere tempo in questo modo», continuò il bassista, deciso a far comprendere a tutti in che situazione si trovassero.

«Ha ragione Georg», intervenne Gustav con estrema calma. «È un momento delicato e dobbiamo restare tutti uniti, ora più che mai».

Bill e Tom non dissero più nulla, non si guardarono neanche in faccia. Era triste per gli altri due compagni vedere quanta ostilità ci fosse tra i due gemelli da quando erano cominciate a succedere tutte quelle strane cose, ma non potevano permettere che le loro discussioni mettessero in pericolo tutto il gruppo. Era un brutto momento, ma dovevano cercare di affrontarlo insieme, come avevano sempre fatto fino ad allora. L'unione fa la forza.
Il pesante silenzio che era calato inevitabilmente fra i quattro compagni venne improvvisamente rotto da un rumore forte e spaventoso: un botto, seguito da un suono stridulo e fastidioso, come di piccole creature che si lamentano per qualcosa con versi acuti.
Bill alzò lo sguardo spaventato, avvicinandosi di più a Georg e fissando inquieto il camino di fronte a sé: i rumori provenivano da lì dentro. Si fermò un istante a pensare, a ricordare la storia.

«Allontanatevi da qui», disse, improvvisamente bianco in volto.

«Che succede?», gli domandò Gustav.

«Fate come vi dico. Allontanatevi dal camino».

Bill spinse gli altri lontano dal posto da cui continuavano a provenire quegli strani rumori, ritrovandosi infine al centro della stanza, tutti vicini e pronti a reagire nel caso qualcosa li avesse aggrediti.

«Bill... che cosa sono questi rumori?», chiese Georg, guardando spaventato davanti a sé.

«Non chiedermelo», fu la breve risposta del cantante. «Non allontanatevi, rimanete tutti vicini».

Terminato di pronunciare questa frase, Georg cadde a terra e venne allontanato dai tre amici da qualcosa sbucato improvvisamente dal camino: un lunga liana verde scura, piena di spine e contornata da ragnatele di rovi lo aveva afferrato per la caviglia e sbattuto a terra. Il bassista urlò spaventato, cercando di afferrare tutto ciò che gli capitava per le mani, graffiando il pavimento con le unghie per cercare di non venir catturato da quella strana pianta. Bill, Tom e Gustav si precipitarono in soccorso dell'amico, afferrandolo per le braccia e tirando dalla parte opposta della liana. Quella, però, continuava a strattonarlo verso il buco del camino, emettendo strani versi acuti e striduli.

«Mi sta staccando un piede!», si lamentò Georg, stringendo i denti per il dolore e lottando con tutte le sue forze.

«Non ti preoccupare, ci siamo noi!», esclamò Gustav con la voce che tremava per lo sforzo e la fatica di tenere stretto l'amico.

Ad un tratto, altre liane uguali alla prima uscirono fuori dal camino e afferrarono in due una gamba di Bill, tirando anche lui verso il buco da cui erano uscite. In un attimo il moro venne trascinato fino a metà stanza, lontano dagli altri tre compagni.

«Bill!», urlò Tom, mollando la presa su Georg e andando ad aiutare il gemello.

Sperava tanto che Gustav riuscisse a tenere il bassista anche da solo. Non poteva lasciare che suo fratello venisse catturato da quelle maledette piante. Corse verso il moro e lo afferrò per le braccia, tirandolo verso di sé, ma quelle piante erano davvero troppo forti, perciò si ritrovò a venir trascinato anche lui insieme al cantante.

«Georg, non ce la faccio!», urlò Gustav, sforzandosi di non mollare la presa sul bassista.

Era uno sforzo troppo grande, la forza di quei mostri era sbalorditiva.
Improvvisamente, un groviglio di rovi sbucò fuori dal buco del camino, legando tutti e quattro i ragazzi della band. Bill rimase aggrappato al corpo del gemello, nonostante questo fosse stretto in una trappola di rovi e spine. Le liane legate attorno alle gambe del cantante non mollavano ancora la presa.

«Ho paura!», urlò Bill, trattenendo le lacrime.

«Io non ti lascio!», gli rispose Tom, stringendo ancora più forte la presa sul gemello.

Mentre loro lottavano per non essere risucchiati nel camino, Gustav si dimenava in un altro groviglio di rovi, tenendo ormai con una sola mano il braccio di Georg. Non avrebbe retto ancora per molto, le forze lo stavano abbandonando e quelle piante lo stringevano troppo forte.

«Gustav, lasciami andare, o verrai catturato anche tu!», urlò Georg, preoccupandosi di più per l'amico che per se stesso.

«No!».

«Gustav, ti prego».

«Ti ho detto di no!», protestò il batterista, stringendo i denti.

«Vuole uno di noi, non si fermerà finché non avrà preso qualcuno!», disse Bill in mezzo a tutto quel frastuono e a quei versi striduli.

Fu allora che Georg prese la sua decisione: se qualcuno non si fosse sacrificato, sarebbero morti tutti e quattro e lui non voleva questo.

Non c'è altro modo.


«Ragazzi», disse con voce calma e triste allo stesso tempo. «promettetemi una cosa».

I tre amici rimasero spiazzati da quella frase. Cosa significava?

«Promettetemi che lotterete, che non vi arrenderete mai in nessuna situazione e, cosa più importante, che resterete sempre uniti».

«Cosa significa? Che vuoi dire?», urlò Tom scandalizzato, temendo quello che pensava stesse per succedere.

Siete la cosa più bella che mi sia mai capitata in questi anni e non permetterò che vi succeda qualcosa adesso. Voi dovete vivere, dovete salvarvi.


Lentamente il bassista allentò la presa attorno al polso di Gustav, lasciandolo a bocca aperta.

«Georg, che stai facendo?», urlò terrorizzato il batterista.

Ce la farete anche senza di me. Voi vivrete... e questa è la cosa più importante.


La presa si allentò ancor più.

«Vi voglio bene, ragazzi».

«GEORG, NO!», urlò ancora più forte Gustav.

Georg sorrise e lasciò andare completamente il polso dell'amico, lasciandosi portare via dalle liane che gli avevano legato i piedi.

«GEORG!», urlarono all'unisono Bill, Tom e Gustav.

Videro il loro amico venir risucchiato dentro al buco del camino e poi più niente. Il groviglio di rovi si agitò tutt'intorno a loro, creando scompiglio e costringendo i tre amici a chiudere gli occhi per evitare che la polvere creatasi improvvisamente entrasse loro negli occhi. Sentirono le piante lasciare la presa attorno ai loro corpi, facendoli atterrare sul pavimento freddo e sporco. Ci fu un grido stridulo e più forte degli altri e poi tutto cessò di colpo. Le liane scomparvero e tutto tornò come prima. I tre compagni si ritrovarono stesi a terra, uno vicino all'altro. Nella stanza si sentivano solo i loro respiri affannati e pesanti.
Bill si alzò di scatto, correndo verso il camino, ma venne bloccato da Tom, che lo afferrò saldamente per un polso.

«Dobbiamo aiutarlo, non possiamo abbandonarlo così!», protestò Bill, urlando con tutta la voce che gli era rimasta in gola.

«Non ti avvicinare a quel camino, non ha senso».

«Georg ha bisogno di noi!».

Ormai le lacrime scorrevano libere sul volto del moro, rigandolo con scie nere. Singhiozzava disperato, cercando di liberarsi dalla presa del gemello per correre verso il camino.

«Bill», sussurrò Tom, incominciando a piangere a sua volta. «se ne è andato».

«NO! NON È VERO! LASCIAMI!», urlò ancora più forte il cantante.

A quel punto il chitarrista strattonò il gemello verso di sé, costringendolo a voltarsi, poi gli mollò uno schiaffo sul viso. «SMETTILA DI FARE COSÌ! NON LO CAPISCI CHE NON VOGLIO PERDERE ANCHE TE?», urlò disperato Tom, mentre piangeva a dirotto.

Bill rimase a fissare gli occhi del gemello, pieni di lacrime come i suoi: soffriva, soffriva come lui. Smise di tentare di correre verso il camino e abbracciò d'impeto il fratello, stringendosi a lui con foga e singhiozzando senza più contegno contro il suo petto. Si accasciarono sul pavimento, abbracciandosi sempre più forte e piangendo.

Un po' più lontano da loro, Gustav faceva lo stesso, seduto sul pavimento con le mani fra i capelli. «Georg», sussurrò fra i singhiozzi.

Piansero ancora, piansero per interminabili minuti, o forse per ore. Avevano perso il loro bassista, il loro compagno, il loro migliore amico. Un amico che nei momenti peggiori sapeva trovare sempre il lato positivo delle cose, quello che sapeva essere sempre il più ragionevole del gruppo, quello più sensibile. Lo avevano perso per sempre.






Il silenzio che si era creato già da parecchi minuti stava diventando quasi insopportabile: soppesava ancora di più ciò che era appena accaduto. Ma, dopotutto, quali parole avrebbero potuto confortare i tre amici che sedevano ancora sul pavimento scuro e freddo, graffiato dai rovi che poco prima avevano portato via uno dei loro migliori amici? Avevano smesso di piangere, ma il peso che avevano sul cuore non poteva andarsene così facilmente.
Bill teneva il capo appoggiato contro il petto del gemello, osservando con occhi spenti le cuciture dell'enorme maglietta. Tom continuava a stringerlo, accarezzandogli di tanto in tanto i capelli corvini, lo sguardo perso su un punto qualsiasi della stanza. Gustav sedeva in silenzio a qualche centimetro di distanza dai due fratelli, sospirando e asciugandosi qualche lacrima che scappava ancora dai suoi occhi umidi.

Per quanto io mi sforzi di ricordare e di seguire la storia del libro, questa cambia sempre man mano che proseguiamo la nostra esplorazione in questa casa
pensò tristemente Bill, ripensando ai vari capitoli del libro nero, ancora contenuto nel suo borsone. Le liane non sarebbero dovute sbucare adesso, venivano citate in molti capitoli più avanti.

«Ragazzi».

La voce improvvisamente roca di Gustav fece sobbalzare i due gemelli.

«È meglio andare».

Tom si limitò ad annuire con il capo, mentre con molta lentezza allontanava il gemello per potersi rimettere in piedi. Fra i tre amici si era creata una specie di lastra di ghiaccio che li divideva, come se ognuno volesse nascondere ciò che provava all'altro.

«Usciamo da qui», disse Tom con voce fredda e inespressiva.

Bill e Gustav annuirono e seguirono il rasta verso una delle tante porte del salotto che conduceva ad altre stanze a loro completamente sconosciute. C'era solo l'imbarazzo della scelta, ma non fecero molto caso a quale porta scegliere, limitandosi soltanto ad imboccare la prima che capitava.
La stanza in cui si ritrovarono era più o meno della stessa grandezza del salotto, forse un po' più piccola, con l'unica differenza che quella camera era completamente occupata da file e file di scaffali pieni di libri. Gli scaffali erano sistemati in ordine e formavano delle specie di corsie fra cui una persona avrebbe potuto comodamente passare per cercare il libro desiderato. Come biblioteca era un po' lugubre e le copertine dei libri erano quasi tutte di colori scuri.

«Impressionante», disse fra sé e sé Gustav. «Come diavolo facciamo a trovare l'uscita di questo labirinto?».

Bill e Tom rimasero in silenzio a scrutare con attenzione tutte le varie vie che avrebbero potuto prendere, poi, una volta resosi conto che era come cercare un ago in un pagliaio, il chitarrista avanzò di poco e fece per avviarsi verso la prima corsia che aveva davanti.

«Una via vale l'altra, quindi tanto vale cominciare ad esplorare le varie corsie. Se abbiamo fortuna, troveremo l'uscita», borbottò il rasta con un'espressione del volto indifferente.

Bill fece qualche passo avanti e afferrò un lembo della maglia extralarge del gemello. «Aspetta, non è prudente entrare lì dentro».

Il chitarrista lo guardò confuso, inarcando un sopracciglio. «Che cosa potrebbe accaderci? Non penso che dei libri possano improvvisamente animarsi e divorarci con le loro pagine».

«Potrebbe succedere, invece. In questa casa tutto è possibile».

«Se è per questo, non possiamo neanche restare qui a girarci i pollici, Bill. Andiamo di qua».

«E se fosse la strada più pericolosa?».

«Finiscila di essere così paranoico!».

«Io non sono paranoico, sono solo prudente!».

Gustav alzò gli occhi al cielo e sbuffò sonoramente. «La volete finire di litigare in continuazione, voi due? Perdiamo più tempo a discutere che a fare qualcosa di concreto».

Bill e Tom si zittirono subito, ma il chitarrista lanciò comunque un'occhiataccia al gemello.

«Bill, lo so che ti preoccupi ancora di più dopo... dopo quello che è successo... ma dobbiamo comunque andare avanti, o non usciremo mai da qui», disse il batterista, guardando malinconico l'amico.

Bill annuì lentamente con il capo, poi lui e i suoi due compagni imboccarono la prima corsia davanti a loro. Avevano già mosso alcuni passi lì accanto ai libri, ma ancora non era successo nulla di catastrofico.

Forse ha ragione Tom. In fondo sono solo libri.


Ma poi il pensiero del grosso libro nero che portava nel borsone lo inquietò improvvisamente.

Non mi tranquillizzerei più di tanto, comunque.


Passarono vari minuti di silenzio, minuti in cui i loro cuori batterono all'impazzata, sobbalzando ad ogni singolo rumore. Eppure era tutto così calmo e normale. Ma nessuno si azzardò a parlare, faticavano persino a respirare tranquillamente.
Improvvisamente, un tonfo sordo attirò l'attenzione di Bill e Tom, che si voltarono immediatamente a guardare Gustav con terrore.

«Ahia! Ma siete impazziti?», si lamentò il batterista, massaggiandosi la nuca con una smorfia di dolore dipinta sul viso paffuto.

I due gemelli si scambiarono qualche occhiata confusa.

«Perché?», chiese poi Bill, inarcando un sopracciglio.

«Non fate finta di niente! Qualcuno di voi mi ha colpito in testa con questo libro!», sbottò Gustav, prendendo in mano un grosso volume nero, che giaceva ai suoi piedi. «E sono più che certo che sia stato tu, Bill. Stavi camminando vicino a me. Ti sembra forse questo il momento di scherzare?».

Il moro sbarrò gli occhi scettico, poi rivolse uno sguardo truce al gemello. «Io non ho fatto nulla! Sarà sicuramente stato questo idiota!».

«Sicuro, infatti mi sono trasformato in Mr. Fantastic e posso allungare le braccia. Come facevo, secondo te, a prendere il libro senza farmi vedere e poi arrivare persino a colpire Gustav in testa con te in mezzo?», si difese Tom, ricambiando l'occhiataccia del fratello.

«Sicuramente è stato uno di voi due», ritornò alla carica Gustav.

I due gemelli stavano per protestare ancora, quando altri tonfi sordi riecheggiarono nella biblioteca deserta e quando i tre amici urlarono all'unisono un forte: «AHIA!».

Un dolore tremendo li costrinse a portare le mani alle nuche, massaggiandosele con delle smorfie doloranti sul viso. I loro sguardi si abbassarono a terra e si posarono su tre libri neri, aperti e immobili.

«Ma che...?», provò a chiedere Tom, ma non ne ebbe il tempo, perché subito un altro volume lo colpì in testa.

La stessa cosa accadde a Bill e a Gustav. I libri sugli scaffali cominciarono improvvisamente a prendere vita e a colpire con violenza le testa dei tre ragazzi.

«Ma che cazzo di libri sono questi?», si lamentò il rasta, riparandosi con le mani il capo.

«Fa male il peso della cultura, vero?», ironizzò Bill, cercando di sdrammatizzare la faccenda e seguendo l'esempio del gemello per non continuare a prendere colpi in testa.

«'Sti cazzi, il peso della cultura! Non ho intenzione di continuare a prendere librate in testa! Seguitemi!», sbottò Tom, incominciando a correre per le varie corsie, seguito a ruota dai due compagni.

Man mano che percorrevano le varie corsie, i libri che gli piovevano addosso si moltiplicavano sempre di più, fino a diventare un numero infinito. Il dolore che provocavano tutti quei volumi fece quasi perdere la percezione del proprio corpo ai tre ragazzi: non riuscivano più a sentire gambe e braccia, che erano ormai piene di lividi, e quasi veniva loro da vomitare per tutti i colpi che avevano preso allo stomaco.

«Esattamente, dove stiamo andando?», si lamentò Bill con la voce dolorante e il corpo leggermente incurvato in avanti, mentre correva.

«Sto cercando l'uscita, scemo! Questa biblioteca è un labirinto, non è certo una passeggiata!», gli rispose Tom, guardandosi attorno e riducendo sempre più gli occhi a due fessure, per colpa della pioggia di libri che continuava imperterrita a colpirli.

Improvvisamente, il rasta inciampò sui suoi stessi jeans extralarge e cadde rovinosamente a terra. Immediatamente i libri che volavano in giro in quel momento gli si buttarono tutti addosso e non smisero neanche per un secondo di colpirlo per tutto il corpo. Bill e Gustav, invece, vennero risparmiati e in un battibaleno si ritrovarono liberi dalla pioggia di grossi volumi.

«Tom!», urlò Bill, spaventato più che mai nel vedere il gemello ancora disteso a terra, sicuramente privo di sensi e con quei libri attorno che continuavano a massacrarlo di botte.

Non ci pensò due volte e fece dietrofront per correre a salvare il fratello, ma improvvisamente si sentì afferrare saldamente per un braccio da Gustav.

«Vado io a prenderlo, tu intanto comincia a correre», gli ordinò il batterista con voce ferma, inoltrandosi nella confusione generata da tutti quei volumi.

Bill seguì il suo ordine e cominciò a guardarsi attorno e a correre in cerca dell'uscita di quel labirinto: era come cercare un ago in un pagliaio, una missione impossibile. Quando il cantante si voltò indietro ancora una volta, vide Gustav con Tom sulle spalle, che correva e cercava di proteggersi da tutto quel putiferio.
I libri aumentavano sempre di più e la loro violenza nei colpi era maggiore.
I tre compagni continuarono a girare tra le corsie, fino a non aver quasi più fiato nei polmoni per la fatica e per il dolore che si mischiavano insieme. Poi, improvvisamente, tutto si fermò. Mentre continuavano a correre, Bill, Tom e Gustav non sentirono più i colpi dei libri sui loro corpi, ma si resero conto di colpo di essere finalmente liberi.

«Cosa diavolo è successo?», si lamentò Tom con voce dolorante, ancora sulle spalle di Gustav.

Il batterista lo mise giù, ma lo sorresse comunque con le sue braccia forti. «Sei scivolato e i libri ti hanno tramortito».

«Mi sembra di avere una campana in testa, rimbomba tutto», mugugnò il rasta con una smorfia sul viso, massaggiandosi piano la nuca.

«Pensi di poter camminare da solo?», gli chiese preoccupato Bill, avvicinandosi al gemello.

«Sì, ce la faccio. Grazie», disse poi il chitarrista, sorridendo grato a Gustav.

Il batterista ricambiò il sorriso e alzò le spalle. «Di niente, figurati».

«Ehi, guardate là! L'uscita!», esclamò il cantante euforico, indicando con un dito alcune scale che conducevano ad una porta a qualche metro da loro.

I tre compagni non ebbero neanche il tempo di esultare, perché un rumore potente ed improvviso alle loro spalle li costrinse a voltarsi: i libri, che fino a pochi minuti prima li avevano torturati di botte, in quel momento erano tutti compatti, formando come uno spesso e indistruttibile muro davanti a loro.

«Merda», commentò Tom, terrorizzato da quella vista.

Bill e Gustav diedero un'occhiata all'uscita dall'altra parte della stanza: avrebbero dovuto percorrere tutta la corsia per arrivare alla fine della stanza e uscire dalla biblioteca e, se avessero voluto salvarsi e non morire schiacciati da un muro di libri enorme, avrebbero dovuto correre veloci. Molto veloci.

«Ragazzi», sussurrò Tom, attirando l'attenzione dei due compagni sul muro di libri che cominciava piano piano ad avanzare minaccioso verso di loro. «Io credo che sarebbe più opportuno...».

Il muro scattò in avanzi all'improvviso, avvicinandosi sempre di più alla loro postazione, veloce e spaventoso da vedere.

«CORRERE!», urlò il rasta, sollevandosi i jeans enormi per non inciamparvi ancora durante la corsa.

Bill e Gustav seguirono l'esempio del chitarrista e insieme incominciarono una corsa verso la salvezza. La porta era lontana, ma non impossibile da raggiungere, perciò i tre non si arresero e non si scoraggiarono mai, neanche quando sentirono l'aria smuoversi pericolosamente dietro di loro, segno che il muro di libri li aveva quasi raggiunti. Se non fossero riusciti a raggiungere la porta, i libri li avrebbero sbattuti contro al muro e schiacciati sotto il loro peso.
In un batter d'occhio, tutti e tre gli amici ricordarono le ultime parole pronunciate dal loro bassista, Georg: "Promettetemi che lotterete, che non vi arrenderete mai in nessuna situazione e, cosa più importante, che resterete sempre uniti". Questo bastò per dare la forza necessaria ai tre di continuare a correre, avvicinandosi l'uno all'altro il più possibile e stringendo i denti fino alla fine.

Georg si è sacrificato per noi, per permetterci di salvarci, e noi non possiamo deluderlo così, morendo adesso
pensò con decisione Bill, rendendosi improvvisamente conto di essere a soli pochi metri dall'uscita.

«Ci siamo!», urlò Gustav, incominciando a salire i primi gradini delle scale.

Un ultimo sforzo, bastò solo stringere i denti per qualche istante ancora. Arrivarono alla porta, l'aprirono e si buttarono letteralmente nell'altra stanza, finendo per terra e richiudendo la porta con un calcio violento. In quello stesso momento in cui la porta si chiuse, il muro di libri si schiantò senza pietà sul pezzo di legno, rischiando quasi di infrangerlo e provocando un rumore spaventoso e assordante.
Bill, Tom e Gustav, distesi sul pavimento freddo uno di fianco all'altro, ansimavano stremati.

Ce l'abbiamo fatta
pensò Bill, sorridendo appena.

Gustav, sdraiato a pancia in alto, rivolse un'occhiata alla stanza in cui erano finiti: era piena di bambole e pupazzi. «Dove siamo?», chiese con un filo di voce, allungando un braccio per sentire il corpo di Bill ansimare accanto a sé.

«Credo... credo che questa sia... la stanza delle tre bambine».









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Capitolo 4
*** Ghosts from the past ***


04. Ghosts from the past





La stanza era piuttosto ampia e arredata con piccoli mobili bianchi, due librerie e tre letti sistemati a distanza calcolata l'uno dall'altro; c'era una scrivania, una cesta impagliata per i giocattoli e una specie di comodino abbastanza basso su cui erano appoggiate circa una trentina di bambole di porcellana. Era tutto in ordine, nonostante la polvere e le piccole ragnatele negli angoli dei muri, andatesi a formare con il passare degli anni. L'unica cosa che stonava con tutto il resto era uno dei tre letti, l'unico ad essere ancora disfatto.

Tom si avvicinò al comodino con sopra le bambole di porcellana. «La stanza delle bambine, eh?», commentò con tono sarcastico. «Tale padre, tale figlie».

Gustav lo raggiunse e inarcò un sopracciglio confuso. «Che vuoi dire?».

Il chitarrista allungò una mano e prese una bambola, mostrandola all'amico. «Che il paparino scriveva storie horror e le sue figliolette truccavano le loro bambole come dei mostri», spiegò con un sorrisetto sbilenco.

Effettivamente la bambola non era proprio quella che si poteva definire un giocattolo carino e trattato con cura dalle rispettive proprietarie: il vestito era strappato e macchiato in più punti, molte ciocche di capelli mancavano e quelle che restavano erano spettinate e parevano essere state bruciate da qualcosa di indecifrabile. Ciò che inquietava di più, però, era il volto: graffiato in più punti, scarabocchiato di rosso vicino alla bocca e all'attaccatura dei capelli, come se fosse sangue vero; gli occhi, poi, erano completamente bianchi.

«Piuttosto macabro, direi», commentò Tom, storcendo la bocca e rimettendo a posto la bambola.

Chitarrista e batterista si allontanarono dalle bambole, invece il cantante si avvicinò. Bill le guardò con attenzione, ispezionandole una ad una. Non tutte erano rovinate, alcune erano delle normalissime bambole. Le uniche ad essere in uno stato penoso erano quelle posizionate dalla parte del letto disfatto. Il moro si avvicinò al letto e rimase fermo a guardarlo, mentre Tom e Gustav avevano finalmente trovato una porta, nascosta dietro ad un mucchio di pupazzi ammassati uno sopra l'altro.

«Ehi, Bill, qui ci sono delle scale che portano al piano inferiore», commentò Tom, guardando gli scalini oltre la porta aperta. «Ti dice niente?».

Bill sentì la voce del fratello arrivare attutita alle proprie orecchie, lontana e senza un significato preciso. Improvvisamente si sentiva strano, come se fosse caduto in una specie di dormiveglia. La testa prese a girare, gli occhi a farsi più pesanti.

«Bill?», lo chiamò Tom confuso.

Il cantante sentì i sudori freddi percorrergli tutto il corpo e nella sua testa cominciarono a rimbombare delle risate femminili sconosciute, simili a quelle delle bambine. Le gambe cedettero improvvisamente e lui cadde a terra, gli occhi spalancati che vedevano solo il buio più totale.

«Bill!», urlò Tom, correndo verso il gemello. «Che cos'hai?».

Bill riuscì soltanto a sentire quest'ultima domanda del fratello, poi venne come spedito in un altro mondo sconosciuto e mai visto prima. Ogni cosa vorticava intorno a lui, confondendogli ancor più le idee. Le risate si facevano sempre più forti e vicine e, quando Bill batté le palpebre infastidito, tutt'intorno a lui smise di girare e si ritrovò disteso sul pavimento freddo di una stanza completamente vuota. Non c'erano più neanche Tom e Gustav.
Il cantante si prese la testa fra le mani, massaggiandosi lentamente le tempie per far passare almeno un po' quel mal di testa improvviso che lo aveva colpito.

Dove sono finito?
si chiese preoccupato e con la paura che cominciava a farsi viva nel corpo.

Si guardò attorno, rendendosi conto di trovarsi nel soggiorno, lo stesso luogo dove avevano perso Georg.

Bill cominciò a respirare affannosamente, terrorizzato. No, non posso essere qui. È pericoloso e non posso farcela da solo.

Ad un tratto, un rumore di passi frettolosi arrivò alle sue orecchie, seguito da alcune risate divertite: tre bambine, due di circa sei anni e una di otto, entrarono nella stanza, correndo e inseguendosi l'un l'altra. Bill rimase basito davanti a quella visione: quelle bambine erano le stesse che aveva visto nella foto sul camino del soggiorno.

Ma sono morte... L'incendio le ha...


«Bambine, adesso basta correre. State disturbando il sonno di vostra madre».

Un uomo, sbucato dalla porta del soggiorno, andò incontro alle bambine, interrompendo i loro giochi.

«Lo sapete che soffre di emicrania e ha bisogno di riposo».

«Sì, papà. Scusa», disse la bambina più grande.

«Andate nella vostra stanza. Devo ricevere una persona, fra poco».

Le bambine annuirono col capo chino, tristi e mortificate al tempo stesso. Corsero verso la porta e scomparvero alla vista del padre.

Sembra che nessuno possa vedermi
pensò Bill, constatando che nessuno avesse ancora fatto caso a lui.

L'uomo scosse la testa contrariato e si avvicinò al camino, fissando con una smorfia la foto di famiglia che aveva davanti.

Doveva essere un padre molto severo.


«Signore, è arrivato suo fratello. Devo farlo entrare?».

Una cameriera, una donna anziana, si fermò sulla soglia della stanza per annunciare un ospite.

«Certo, Ada. Fallo entrare».

La cameriera annuì con il capo e si allontanò dalla stanza per qualche istante. Poco dopo, tornò insieme ad un altro uomo, leggermente più vecchio del primo.

«Buongiorno, Ralf. È da un po' che non ci incontriamo», esclamò l'uomo sulla porta, appena la cameriera se ne fu andata e li ebbe lasciati soli.

«Già. È da un po'», gli rispose il fratello.

Passò qualche istante di silenzio fra i due e Bill non poté far a meno di pensare che i due non dovevano proprio essere in buoni rapporti.

«Al telefono avevi detto che dovevi parlarmi di Edel. Cos'è questa storia dell'adozione?», chiese ad un tratto l'uomo più vecchio.

Ralf, che, a quanto aveva capito Bill, doveva essere il padre delle tre figlie e anche lo scrittore del libro nero, sospirò tristemente e distolse lo sguardo dal fratello. «Mia moglie è malata e non ce la fa più ad occuparsi di tre figlie insieme. Edel, poi, sembra che in questi tempi sia diversa dal solito: non va più d'accordo con le sorelle, è ostile e violenta, con sua madre si comporta male e parla di cose strane... cose soprannaturali».

«Beh, con un padre che come mestiere fa lo scrittore di libri horror, non mi sorprende la cosa».

«No, c'è differenza fra finzione e realtà, Fritz. Lei crede che queste cose esistano veramente e pochi giorni fa ha spaventato le sue sorelle, dicendo che una delle sue bambole era viva e che voleva ucciderle nel sonno. Una notte, una delle due bambine è corsa in camera mia, dicendo di aver visto Edel con un coltello in mano, vicino al letto».

Una famiglia di svitati
pensò Bill, ascoltando il discorso fra i due uomini.

«Ma non è questo il punto», continuò Ralf, attirando ancora l'attenzione del fratello.

Passarono altri istanti di silenzio, poi tornò a parlare.

«Sai bene che Edel non è veramente nostra figlia naturale e che è stata adottata e cresciuta come se fosse nostra, ma... tenerla qui insieme alle altre bambine è pericoloso e poi mia moglie, come ho già detto, non ce la fa più. Per questo abbiamo pensato di... riportarla indietro all'orfanotrofio».

«E come pensi che reagirà a questo? Ha solo otto anni, Ralf!».

Improvvisamente, un rumore interruppe la discussione dei due uomini: Edel, la bambina più grande, era rimasta nascosta nella stanza e aveva sentito tutto.

Bill provò un'immensa tristezza nel vedere gli occhi azzurri della bambina riempirsi di lacrime. Povera piccola.

«Edel!», esclamò il padre sconvolto.

Successe qualcosa di strano in quel momento. Improvvisamente Bill vide la scena cambiare davanti ai propri occhi, ritrovandosi ancora una volta nella stanza delle bambine. Era solo con Edel questa volta. La bambina era in piedi di fronte alle sue bambole di porcellana e ne stringeva una in mano, graffiandole e colorandole la faccia con forbici e pennarelli. Piangeva ancora e continuava a dire sempre la stessa cosa.

«Sono cattivi, sono tutti cattivi!», singhiozzava, torturando la bambola con sempre più rabbia.

Bill non sapeva neanche perché, ma quella scena gli faceva tenerezza. Vedere quella piccola bambina di soli otto anni, con i capelli biondi raccolti in due codini e il visetto rosso con le lacrime che le scorrevano sulle guanciotte paffute, lo rattristava tantissimo.

«Sono cattivi, Edel, sono cattivi!», continuava a dire.

In un primo momento, Bill pensò che la bambina stesse dicendo quelle cose a se stessa, poi capì che stava invece parlando con la sua bambola, a cui aveva dato il suo stesso nome.

«Devi ucciderli, Edel!», esclamò ad un certo punto la bambina.

Il cantante spalancò gli occhi incredulo: una bambina così piccola che voleva la morte dei suoi famigliari era una cosa inquietante.

Ma perché mi stai facendo vedere tutto questo?
pensò Bill, come se stesse parlando direttamente con la bambina.

Edel alzò lentamente il capo e lo volse verso la sua destra, proprio la direzione in cui si trovava il cantante. «Perché sono cattiva anch'io», disse con un tono di voce minaccioso.

Una marea di brividi percorse tutto il corpo di Bill e improvvisamente tutto ricominciò a vorticargli attorno. Gemette e si accasciò a terra, prendendosi la testa dolorante fra le mani e chiudendo gli occhi per non vedere tutta quella confusione. L'ultima cosa che vide furono gli occhi azzurri della bambina farsi rossi e luminosi, insieme a quelli della bambola che teneva in mano.

Che diavolo succede?
pensò il moro con terrore.

«Bill!».

Una voce cominciò a chiamarlo e Bill la riconobbe all'istante: era la voce di suo fratello, ma era lontana.
Come era cominciato, finì improvvisamente. Tutto si calmò attorno al moro e questo poté riaprire gli occhi, ritrovandosi a fissare quelli preoccupati del gemello e di Gustav.

«Che ti succede?», gli chiese con voce preoccupata il batterista.

Il cantante si rese conto di essere sdraiato sul pavimento di legno della stanza delle bambine con i suoi due compagni accanto che lo fissavano in ansia.

Lentamente si sollevò a sedere e si mise le mani sulla fronte bollente. «Edel... la bambina...», cominciò a farfugliare in uno stato di confusione totale.

Tom inarcò un sopracciglio confuso. «Cosa? Chi è Edel?».

Bill non rispose, ma girò di scatto la testa verso il comodino con sopra tutte le bambole di porcellana e scosse Tom con una mano. «Devi distruggerla! Adesso!», urlò agitato.

Il chitarrista non reagì, ma rimase comunque perplesso dal comportamento del gemello. «Distruggere cosa, Bill?».

Improvvisamente, una risata di bambina risuonò nell'aria, attirando l'attenzione dei tre compagni.

Gustav buttò lo sguardo sul letto disfatto. «A quanto pare una bambina non è a nanna», commentò inquieto.

Bill si alzò in fretta in piedi e corse verso il comodino per prendere la bambola di porcellana chiamata Edel. Ma questa non c'era più.

«Dov'é? Dov'è Edel?».

«Ma chi è Edel?», chiese Tom esasperato.

«È la sua bambola! L'ha chiamata come lei ed è probabile che lo spirito della bambina sia rinchiuso lì dentro!», spiegò Bill, lanciando le bambole per terra per cercare quella giusta.

«E come lo sai?», gli chiese Gustav.

«Ho avuto una visione. Una delle tre bambine, Edel, mi ha fatto vedere un avvenimento di qualche anno fa. E poi c'era scritto una cosa simile anche nel libro, erano solo i personaggi ad essere diversi».

«Impressionante».

Bill si voltò verso Tom per urlargli contro di dargli una mano a cercare la bambola, invece di stare immobile a fare battutine sarcastiche, ma qualcosa lo costrinse a bloccarsi. Il suo viso impallidì all'istante e i suoi occhi si spalancarono increduli.

«TOM, DIETRO DI TE!», urlò con tutta la voce che aveva in corpo.

Il chitarrista si girò di scatto, spaventato dalle grida del gemello. La bambola che poco prima aveva preso in mano, ora era in piedi alle sue spalle, gli occhi bianchi che improvvisamente avevano preso a sanguinare.

«Porca puttana!», urlò il batterista, quando si accorse che quel giocattolo poteva muoversi.

Bill non seppe cosa successe veramente, ma improvvisamente non riuscì più a respirare: l'aria non arrivò più ai polmoni e fu costretto così ad accasciarsi a terra, boccheggiando in cerca d'aria. La bambola lo fissava con gli occhi completamente bianchi, il sangue che continuava ad uscire da essi. Le risate della bambina riecheggiarono ancora più forti di prima nella stanza.
Il cantante sentì due forti mani sollevarlo un poco da terra: Gustav gli era accanto, gli occhi pieni di terrore.

Edel, la bambola, aprì la bocca. «Devi ucciderli, Edel! Devono morire tutti!», disse la sua voce infantile con fare minaccioso.

Tom si avvicinò alla bambola e la prese in mano con rabbia. «Tu per prima».

L'alzò in aria e la sbatté a terra con violenza. La bambola di porcellana si ruppe in mille pezzi e in un attimo una grande pozza di sangue macchiò il pavimento di legno. Le risate cessarono e Bill riprese tutto in una volta a respirare.

Il cantante si lasciò andare fra le braccia accoglienti di Gustav, completamente sfinito e provato. «Se ne è andata?», sussurrò, respirando più aria possibile.

Tom raggiunse velocemente Bill e Gustav, prese il fratello dalle braccia dell'amico e lo abbracciò stretto. «Sì, se ne è andata», disse, accarezzandogli i capelli.

Il cantante guardò i pezzi della bambola sul pavimento e ripensò alla visione che la bambina gli aveva mostrato poco prima. «Per il momento».






Bill non riusciva a togliersi dalla mente ciò che aveva appena visto. Come poteva una bambola uccidere delle persone? Un oggetto inanimato, all'apparenza innocuo, non poteva trasformarsi da un momento all'altro in un essere vivente e sterminare una famiglia intera.

Se era la bambola ad essere maledetta, allora, adesso che è andata in pezzi, non dovrebbe più succedere nulla in questa casa. Era lei a controllare tutto e a volerci uccidere, quindi dovrebbe essere tutto finito.


Il cantante non faceva altro che pensare a questo e per un momento soltanto la speranza di essere finalmente tutti salvi gli fece tirare un sospiro di sollievo.

«Non capisco dove porti questa scala. Non si vede niente da quanto è buio».

Tom distolse il fratello dai sui pensieri, riportandolo alla realtà e attirando la sua attenzione oltre la porta che avevano scoperto poco prima dietro ad una montagna di pupazzi nella stanza delle bambine.
Una scala buia portava verso il basso, ma dopo pochi metri non si riusciva più a vedere la fine di quel cunicolo stretto.

«Per caso, ricordi dove porta?», lo interrogò il gemello, continuando a guardare sospettoso i piccoli gradini di marmo.

Bill si concentrò e cercò di ricordare la storia del libro nero, sperando di trovare una scena simile a quella. Qualcosa c'era, ma poteva anche non essere vera. Fino a quel punto, la storia del libro era stata totalmente diversa dalla realtà, ma provare non costava nulla. Tanto, ormai, c'erano dentro e non potevano fare altro che continuare il percorso che avevano intrapreso dentro a quella casa.

«Dovrebbero portare alla cucina sotterranea, ma non ne sono sicuro», commentò cauto il moro, fissando sospettoso il buio oltre la porta. «Vado io per primo. Mi metto davanti a voi due, così se succede qualcosa...».

«Puoi scordartelo, in testa al gruppo ci sto io!», sbottò subito Tom, guardando scettico il fratello.

«Ma è pericoloso».

«Appunto. Se succede qualcosa, succederà a me e non a te».

Bill guardò il gemello con occhi dolci, felice che in quel momento fosse così premuroso nei suoi confronti: raramente gli dimostrava il suo affetto così apertamente. Tom distolse lo sguardo imbarazzato, non volendo mostrare al fratello che si vergognava e che era diventato improvvisamente rosso in volto.
Gustav si lasciò scappare un sorrisetto furbo, intenerito da quella scena: dopo tutti i litigi a cui aveva dovuto assistere prima, era ora che venisse fuori un po' di sano affetto fraterno.

«Okay, Romeo e Giulietta. Vado io per primo», esclamò scherzoso il batterista, ricevendo subito indietro le occhiate arrabbiate dei suoi due amici.

«Romeo e Giulietta?», protestò Tom disgustato.

«E poi, scusa, chi dovrebbe fare la parte di Giulietta?», chiese scettico Bill, guardando il gemello, che lo stava fissando schifato.

Gustav scosse la testa esasperato e non rispose, rivolgendo lo sguardo oltre la porta. Entrare lì dentro lo faceva sentire molto irrequieto, ma preferiva rischiare di persona, piuttosto che mettere in pericolo i due gemelli. In un certo senso, lui e Georg si assomigliavano molto sotto quel punto di vista: entrambi erano disposti a sacrificarsi per i propri amici.

Mi manchi, amico mio
pensò il batterista, assumendo un'espressione del viso triste e amareggiata.

Bill se ne accorse e subito si preoccupò. «Ti senti bene?».

Gustav fissò l'amico in silenzio, poi annuì con un breve cenno del capo e, senza dire niente, cominciò a scendere le scale che portavano verso il basso. Tom e Bill rimasero per un momento immobili a fissare l'amico, scambiandosi un'occhiata confusa. Chissà a cosa stava pensando di così triste. Scuotendo leggermente la testa, seguirono il compagno giù per le scale.
Il cunicolo era stretto, ma i tre riuscirono bene o male a passarci tutti quanti. Era molto buio, ma, essendo la scala tutta dritta, procedere non era quasi un problema. Più che il buio e le circostanze, era l'irrequietudine dei tre ragazzi a rallentare i tempi: il pensiero che qualcosa di soprannaturale potesse uscire fuori e aggredirli da un momento all'altro gli mozzava il respiro in gola. Sicuramente una persona claustrofobica non avrebbe retto lì dentro.
Gustav procedeva con cautela, facendo strada agli altri due, in fila dietro di lui.
La discesa verso il basso sembrò durare ore da quanto era lunga quella scala, ma alla fine arrivarono davanti ad una porta chiusa.
Il batterista, tastando il freddo legno scuro, riconobbe quello che doveva essere un pomello d'ottone. Con lentezza lo girò, facendo scattare la serratura e aprendo successivamente con cautela la porta. La forte luce che investì i tre ragazzi ferì i loro occhi, a causa di tutto il tempo trascorso al buio.
La stanza in cui si trovavano era senza ombra di dubbio la cucina della casa. Un grande lavandino bianco, sporco in più punti di macchie marroni, era sistemato lungo la parete di fronte a loro e un enorme forno nero occupava quasi mezza camera; dal soffitto piuttosto basso pendevano padelle arrugginite e mestoli di legno sporchi ed incrostati di cibo vecchio. Una piccola finestra, nonostante il brutto tempo che ancora c'era fuori, portava un po' di luce nella stanza, permettendo ai tre amici di vedere con chiarezza ciò che li circondava.

«Carina», commentò sarcasticamente Tom, guardando disgustato i cucchiai di legno sporchi.

Gustav rivolse lo sguardo al soffitto, crepato in più punti. Quella stanza era forse la più rovinata di tutte, o, almeno, fra quelle che avevano visto fino a quel momento. Bill si avvicinò al forno nero, esaminandolo circospetto e rivolgendo poi la sua attenzione al lavandino lì a fianco: all'interno, immersi nell'acqua, brillavano vari coltelli con i manici più lucenti che avesse mai visto. Allungò una mano, immergendola nell'acqua, e ne prese uno in mano.

È così splendente. Strano che questi coltelli e l'acqua in cui sono immersi siano così puliti: qui è tutto sporco, a parte questi.


«Hanno il manico d'argento».

Bill sobbalzò appena, preso alla sprovvista dalla voce del gemello, che si era avvicinato a lui per fissare i coltelli.

«Strano, però, che siano così puliti. Probabilmente perché sono stati immersi nell'acqua fino ad ora, ma come fa l'acqua ad essere così pulita? Chi l'ha cambiata?», chiese il chitarrista, più a se stesso che al fratello.

«Ehm...».

Gustav, poco lontano dai due amici, stava fissando con orrore un punto davanti a loro.

«Bill, ti ricordi cosa succedeva in questa stanza? Cosa diceva il libro?», chiese Tom, ignorando completamente il batterista.

«Non mi sembra che ci fosse una scena del genere».

«Ma tu stai attento a quello che leggi, oppure sogni?», sbottò il rasta con tono accusatorio. «Leggi veramente, o fai solo finta?».

«Non è colpa mia se la storia reale è confusa, rispetto a quella scritta nel libro!», si difese il cantante, guardando piccato il gemello e alzando il tono della voce.

«Ragazzi», tentò nuovamente Gustav di attirare la loro attenzione.

«Forse sei solo tu che ci vuoi far credere che la storia sia diversa, ma la verità è che non l'hai neanche letta attentamente! Neanche leggere sai fare!».

«Non è affatto vero!».

«Volete ascoltarmi, voi due?».

«Credi che in una situazione simile avrei il coraggio di raccontare una bugia?».

«Per me, sì! Tutto faresti, pur di pararti il culo!».

«Prontooo?».

«Ne ho fin sopra i capelli di te, Tom! Non fai altro che accusarmi di cose non vere e, per la cronaca, sei un vero rompi palle!».

«Penso proprio la stessa cosa di te, caro fratellino!».

«I COLTELLI VOLANO!», urlò Gustav, continuando a fissare sconvolto lo stesso punto di prima.

«E chi se ne frega!», esclamarono insieme i gemelli, non voltandosi neanche a guardare l'amico.

«Tu sei veramente un grande... Cosa fanno i coltelli?», cambiò improvvisamente discorso Tom, voltandosi con la fronte corrucciata verso Gustav.

Non ebbe neanche il tempo di guardarlo negli occhi, perché venne improvvisamente scaraventato dall'amico stesso sotto al tavolo della cucina, posizionato in mezzo alla stanza. Si ritrovò appiccicato al batterista e al fratello, fermi sul pavimento polveroso. Un rumore di un coltello conficcato nel legno arrivò alle sue orecchie. Il chitarrista voltò il viso alle sue spalle e notò che, dove prima c'era la sua testa e quella del fratello, in quel momento c'erano due grandi coltelli dal manico d'argento, conficcati nel mobile attaccato al muro.

«Ci ammazzano, ecco cosa fanno», esclamò Gustav con gli occhi sbarrati per lo spavento.

C'era mancato veramente poco che si ritrovassero un coltello conficcato in testa, ma, fortunatamente, aveva spinto i due amici sotto al tavolo.

«Ma che cazzo...?».

Tom si bloccò, fissando con gli occhi spalancati altri tre coltelli che si erano alzati in aria da soli, puntati verso di loro sotto al tavolo. «Merda».

Gustav prese le gambe del tavolo e lo ribaltò davanti a loro, posizionandolo come una specie di barriera difensiva. I coltelli partirono in avanti e si andarono a conficcare nel legno. Lo spessore del piano del tavolo era molto stretto, perciò le lame sbucarono fuori dalla parte dei tre ragazzi.

«Dobbiamo fare qualcosa, il tavolo non reggerà tanto a lungo», disse serio il batterista, fissando gli altri due amici.

«Non preoccuparti, Gustav. Finché siamo qui dietro, i coltelli non possono farci niente. Insomma, dai, non possono certo trapassare completamente il tavolo», commentò Tom, ridacchiando, mentre una serie di coltelli continuava ad infilarsi nel legno.

In quel preciso istante, un coltello più grande degli altri trapassò completamente il tavolo, passando alla velocità della luce fra Bill e Tom e andandosi a conficcare nel muro alle loro spalle. Il cantante urlò spaventato e il chitarrista deglutì a fatica, guardando il coltello con orrore.

«Evidentemente sì».

Gustav sollevò la testa oltre il tavolo per controllare la situazione e subito i suoi occhi si spalancarono terrorizzati. «VIA DA QUI!», urlò con tutta la voce che aveva in corpo, spingendo i due amici di lato.

In una frazione di secondo, il tavolo venne frantumato in mille pezzi da una ventina di enormi coltelli, ma Bill, Tom e Gustav si erano salvati, rotolando di fianco. In quel momento, però, erano completamente scoperti e facili prede dei coltelli.

«Cazzo, sembrano proiettili! Se non fossero così grossi, non li vedrei nemmeno», si lamentò Tom, scattando immediatamente in piedi e tirando su con sé anche Bill, che era rotolato dal suo stesso lato.

Gustav, invece, si era buttato nel lato opposto, più lontano da loro. Guardarono circospetti la stanza, ma non videro nessun coltello, tranne quelli conficcati nel legno e nei muri.

Bill aveva una strana sensazione addosso, come se percepisse la presenza di un'altra persona in quella stanza. Non vedo nessuno, ma so che non siamo soli.

«GIÙ!».

L'urlo del gemello lo riportò alla realtà, facendolo immediatamente piegare verso il basso, prima che un altro coltello, sbucato fuori improvvisamente, lo colpisse in testa.
Cominciarono a volare coltelli in lungo e in largo e i due fratelli iniziarono a correre per tutta la stanza, cercando di evitarli e usando tutti i rimedi possibili per non venire colpiti.
Gustav faceva altrettanto, anche se dalla sua parte ce n'erano meno. Ciò che lo preoccupava di più era un mattarello di legno, che cercava di colpirlo alla gambe per poi essere facile preda dei coltelli. Il batterista si accorse ben presto di essere con le spalle al muro con l'oggetto di legno che continuava a svolazzargli davanti. La cucina era un disastro e, tutto ciò che prima era appeso al soffitto, in quel momento giaceva sul pavimento, creando ancora più confusione. Gustav buttò l'occhio su quegli oggetti, cercando qualcosa con cui poter combattere quel mattarello. L'unica cosa abbastanza lunga e resistente era la gamba del tavolo con cui prima lui e i gemelli si erano riparati. Non ci pensò due volte e la prese in mano, usandola come se fosse una spada, per difendersi dai colpi del mattarello.

«Gustav, dacci una mano!», urlò Tom, ancora intento a correre insieme al fratello per la cucina.

«Sono un tantino occupato, adesso».

Bill seguiva il gemello, abbassandosi e correndo per evitare i coltelli volanti e, intanto, pensava a cosa potesse essere dovuto tutto quel trambusto. Che diavolo può esserci in una cucina?

Mentre scappava, lanciò un'occhiata a Gustav, intento a combattere con il mattarello volante.

Ma certo!


«Gustav, non combattere il mattarello! Cerca di colpire l'aria di fronte a te!», urlò deciso, cercando di sovrastare il trambusto che si era creato in quella stanza.

«Ma certo e poi, magari, ti faccio pure un caffè. Dico, ma sei matto?».

«Fallo e basta!».

Gustav scosse la testa e cercò di colpire l'aria di fronte a sé, muovendosi in qua e in là per non venire colpito dal mattarello. Stranamente, colpì qualcosa di solido e il mattarello cadde a terra. In un attimo i coltelli smisero di volare intorno ai due gemelli e la stanza tornò tranquilla.

Il batterista guardò spaesato il mattarello ai suoi piedi. Ma che diavolo...?

«AAAH!».

L'urlo di Bill risuonò per tutta la cucina, facendo sobbalzare Gustav e Tom. I due si voltarono a guardare il cantante e la paura cominciò a farsi strada nei loro corpi, quando notarono che Bill aveva un coltello conficcato nel braccio destro.

«Bill!», urlò Tom terrorizzato, prendendo il fratello fra le sue braccia per evitare che cadesse a terra.

Il sangue cominciò ad uscire dalla ferita del cantante, colandogli prima sulla manica della maglia nera che aveva indosso, poi sulla pelle bianca del braccio. Gustav ebbe giusto il tempo di vedere l'amico accasciarsi a terra, abbracciando il gemello, perché il mattarello, che poco prima giaceva ai suoi piedi, era ritornato all'attacco.

Questo coso non è vivo, lo muove qualcosa
pensò il batterista, cercando di colpire ancora l'aria di fronte a sé.

Più e più volte riuscì a colpire qualcosa e il mattarello di legno diede qualche segno di cedimento.

«Gustav... il cuoco è... invisibile», disse improvvisamente Bill fra i gemiti di dolore.

Ecco la causa di tutto questo! Figlio di...


Il mattarello questa volta non mirò più al busto di Gustav, ma alle sue gambe. Il colpo andò a segno e il batterista sentì un ginocchio cedere, per poi ritrovarsi inginocchiato a terra. Il mattarello cominciò a colpirlo sulla schiena e sul resto del corpo, non dandogli un secondo di tregua.

Bill guardò dalla sua postazione l'amico, preoccupandosi di più per lui che per le sue stesse condizioni. «Tom, cerca... il cadavere del cuoco».

«Cosa?», esclamò il gemello, guardando sconvolto il cantante.

«È il suo spirito che fa questo. Devi trovare il suo cadavere e... bruciarlo. Deve essere qui, nascosto nella cucina».

«Come fai ad esserne sicuro?».

«Perché ho letto il libro».

Tom guardò negli occhi il gemello sofferente e si sentì subito uno schifo per tutto quello che gli aveva detto poco prima. Sono uno stronzo.

«Tom, sbrigati!», urlò Bill, dopo l'ennesimo urlo di dolore di Gustav, ancora in balìa del mattarello.

«Non posso lasciarti qui scoperto. Hai un coltello nel braccio e, se gli altri ritornano all'attacco...».

«Io sto bene. Pensa a Gustav, piuttosto».

«Ma...».

«Vai!».

Il chitarrista fece un grande sforzo per lasciare lì il gemello ferito e per cercare il corpo del cuoco invisibile in quella cucina. Dovette guardare in ogni mobile presente nella stanza, ma del cadavere non trovò nessuna traccia.

«Non c'è!».

«Guarda meglio, deve essere per forza qui. Fai presto!», lo incitò Bill, non staccando gli occhi da Gustav.

Il batterista ormai era completamente disteso a terra e non sarebbe passato molto tempo prima che perdesse i sensi. Tom continuò a cercare, guardando anche sotto i mobili. La cosa gli sembrava alquanto insolita, ma decise di guardare anche dentro al grande forno nero. Spalancò lo sportello, ma dovette immediatamente tapparsi il naso, a causa del tanfo e della puzza di morto che lo investì.

«Che schifo», esclamò, guardando l'interno del forno.

Non era rimasto molto del corpo del cuoco, era più che altro un ammasso di ossa e stracci ammassati insieme.

«Ma è a pezzi», constatò Tom, osservando quel mucchio di ossa lì dentro. «Qualcuno deve averlo ammazzato e fatto a pezzi».

«Tom!».

L'urlo di Bill fece voltare il chitarrista di scatto, preoccupato che potesse succedere qualcosa al gemello. Con orrore vide che una serie di coltelli si era alzata in volo, puntando verso il cantante. Doveva sbrigarsi.

Come lo brucio, come lo brucio?
si chiese nel panico, tornando a fissare il cadavere decomposto.

Si guardò attorno alla ricerca di fiammiferi, o comunque di qualcosa che potesse essergli utile. Ad un certo punto si bloccò e fece una smorfia.

Ma che stupido!

Le ossa erano dentro ad un forno, quindi bastava solo accenderlo.
Girò la manopola e aspettò, sperando che il forno funzionasse ancora bene. Gli stracci che avvolgevano le ossa entrarono in contatto con la piastra superiore del forno, prendendo fuoco e cominciando pian piano a carbonizzarle. Nella cucina si sentì come un ululato, un forte urlo di dolore.
Tom lanciò un'occhiata verso Gustav e notò che qualcosa di trasparente era accasciato davanti a lui: riconobbe un corpo vestito di bianco, piegato in due e con ancora il mattarello fra le mani. Il batterista si allontanò a fatica da quella figura, strisciando sul pavimento e andando verso Bill, che si teneva una mano vicino al coltello conficcato nel braccio.
Per un momento, un forte polverone si alzò dal nulla intorno allo spirito del cuoco e questo sparì quasi immediatamente, facendo tornare la calma in quella cucina. I coltelli che poco prima erano stati puntati verso Bill caddero a terra inanimati e tutto ciò che rimase fu il caos più totale e un forte puzzo di bruciato nella stanza.
Tom rimase ancora per qualche istante immobile a fissare il punto dove prima c'era stato lo spirito del cuoco: non rimaneva altro che un mucchio di polvere. Un basso gemito arrivò alle sue orecchie e in meno di un secondo si ricordò di quello che era successo.

Bill!


Il chitarrista corse verso il gemello, accasciato contro Gustav con la faccia sofferente: stava perdendo molto sangue e il coltello era ancora conficcato nella sua carne.

Tom esaminò il braccio del fratello con attenzione, poi sospirò rassegnato. «Bill... dobbiamo tirare fuori il coltello», disse il chitarrista, guardando gli occhi sconvolti del gemello. «E farà male».









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Capitolo 5
*** Underground ***


05. Underground





Non avrebbe resistito ancora per molto. Il dolore al braccio destro era insopportabile, il dolore più forte che avesse mai provato in tutta la sua vita. Non gli sembrava di avere soltanto un coltello conficcato nella carne, ma almeno una decina. Ormai aveva perso sensibilità e, per quanto Gustav provasse a tamponare attorno alla lama del coltello, il sangue continuava ad uscire abbondante dalla ferita, inzuppando lo straccio dell'amico e picchiettando con piccole goccioline il pavimento polveroso. Tom era al suo fianco e fissava pallido il coltello nel braccio del gemello, mentre si accingeva ad avvolgersi le mani con degli stracci presi dalla cucina. Forse quella vista gli dava fastidio, o forse era più spaventato per quello che stava per fare.

«Sei pronto?», gli chiese Tom, cercando di sembrare il più sicuro possibile.

Mostrare al fratello la propria debolezza non lo avrebbe aiutato.

Bill cominciò a tremare spaventato. «Non voglio», sussurrò con voce spezzata.

«Bill, dobbiamo toglierlo. Vuoi morire dissanguato?», insistette il chitarrista, fissando pensieroso una pentola ai suoi piedi.

La prese in mano e, ignorando i lamenti del cantante, l'allungò a Gustav. «Riempila d'acqua».

Il batterista si alzò e corse al lavandino, mentre Tom esaminava attentamente il coltello nel braccio del fratello, decidendo il modo migliore per tirarlo fuori.

Cazzo, è conficcato proprio fino in fondo
pensò sconsolato, preoccupandosi per il dolore che avrebbe procurato a Bill nel toglierglielo.

Gustav tornò quasi subito con la pentola piena d'acqua, mettendola al suo fianco e riprendendo a tamponare la ferita del cantante.

«Mentre lo tiro fuori, lava la ferita con l'acqua e spingi più forte: il sangue deve fermarsi», gli spiegò Tom, inginocchiandosi meglio di fianco al gemello. «E tienilo stretto, mi raccomando», concluse, fissando serio Bill.

Cominciava ad agitarsi troppo.

«Tom, aspetta, non...».

«Non possiamo più aspettare, Bill», lo interruppe bruscamente il chitarrista, fissandolo serio.

Comprendeva la paura del gemello, anche lui non poteva negare di essere terrorizzato da quella situazione, ma era importante agire il prima possibile: non togliere il coltello alla svelta sarebbe stato un rischio; in più, Bill continuava a perdere troppo sangue.
Il cantante lo fissò con occhi supplichevoli, mentre Gustav lo avvolgeva con le sue braccia, immobilizzandolo completamente. Era importante che rimanesse fermo. Tom cercò di sfuggire agli occhi del fratello, prendendo un altro straccio e strappandone un pezzo. Lo mise in bocca a Bill, in modo che potesse mordere qualcosa, mentre lui gli estraeva il coltello dal braccio.

Il chitarrista respirò a fondo, sentendo improvvisamente un rimescolio nello stomaco, e fissò intensamente il gemello negli occhi, prima di stringere entrambe le mani attorno al manico del coltello. «Stringi i denti e... tieni duro».

Cominciò a tirare il coltello verso di sé e subito Bill strinse le palpebre e i denti più forte che poté attorno allo straccio che aveva in bocca. Era un dolore allucinante, insopportabile. Avrebbe voluto dimenarsi, ma Gustav lo teneva stretto in una morsa troppo forte per lui che, invece, era così debole. Tom cercava di rimanere il più concentrato possibile, combattendo contro il suo stesso stomaco, i sensi di colpa provocati dai lamenti e gli urli di Bill per il dolore che gli stava procurando e con la fatica che stava facendo per estrarre quel coltello dal braccio del gemello. Doveva fare piano, o Bill avrebbe sofferto ancor più, e soprattutto era conficcato fin troppo bene in profondità.

«Tom...», gemette Bill, sopraffatto dal dolore.

La sua voce era strozzata, irriconoscibile persino alle orecchie del fratello. La fronte del cantante era imperlata di sudore, proprio come quella del chitarrista. Anche Gustav faticava a tener fermo Bill: più passava il tempo, più il dolore aumentava e il cantante si dimenava.

«Forza, Bill», lo incoraggiò il batterista, cercando di sovrastare le sue urla.

Il sangue usciva sempre più abbandonante dalla ferita e Gustav cercava di fermarlo con gli stracci inzuppati di acqua, ormai completamente sporca di rosso.

Tom dovette fermarsi un istante per riprendere le forze. «Resisti», riuscì soltanto a sussurrare con voce roca.

Bill ansimava ad occhi chiusi, completamente accasciato contro Gustav. Non ce la faccio pensò disperato dentro di sé.

Tom si passò una mano sulla fronte bagnata, sporcandosela in parte di rosso. Le sue mani erano completamente sporche del sangue del gemello. Non aveva mai fatto una cosa del genere e mai avrebbe creduto di doverla fare. Riposizionò le mani sul coltello e ricominciò a tirare. Bill riprese ad urlare ancora più forte, gli occhi che lacrimavano e il viso arrossato per lo sforzo disumano.

«Ci siamo quasi», gli comunicò il chitarrista ad un certo punto.

Bill strinse gli occhi ancora più forte. Posso farcela, manca poco.

«È fuori!», esclamò improvvisamente Tom.

Il cantante aprì gli occhi. Il gemello teneva il coltello stretto tra le mani insanguinate. Ce l'avevano fatta. Tom gettò via il coltello, prendendo un altro straccio e aiutando Gustav a fermare il sangue che usciva dall'enorme ferita sul braccio del fratello. Fissò il suo viso: era stremato, al limite delle forze, e a malapena riusciva a tenere gli occhi aperti da quanto era debole.

«Ce l'hai fatta, fratellino», gli sussurrò con dolcezza, mentre tamponava la ferita.

Bill non reagì. Gli girava la testa e la vista era appannata. Era stato uno sforzo troppo grande, che lo aveva privato di tutte le sue energie. Tom e Gustav gli legarono stretto uno straccio attorno al braccio, così il sangue si sarebbe fermato.

Il chitarrista sospirò sfinito, guardando prima il gemello, poi Gustav al suo fianco. «Dobbiamo andarcene da qui», sussurrò piano.

Il suo sguardo tornò ancora sul fratello, sudato e agonizzante.

«E anche in fretta».






Quella situazione era assurda. Era impossibile che stessero passando le pene dell'inferno per colpa di un dannatissimo libro dalla copertina nera. Non poteva essere reale.

È solo un incubo, soltanto un fottutissimo incubo. Presto ci sveglieremo e torneremo alla nostra vita
continuava a ripetersi Tom insistentemente, cercando di auto-convincersi.

Ma purtroppo quello era tutt'altro che un incubo: il libro era reale, la storia pure.

«Dobbiamo muoverci. Non si sa mai cosa potrebbe attaccarci di nuovo e Bill non è in grado di aiutarci più di tanto», commentò fin troppo serio il chitarrista, facendosi passare un braccio del gemello attorno al proprio collo.

Gustav annuì e lo aiutò a sorreggere il cantante ancora esausto. Rimanere in quella cucina poteva essere pericoloso, perciò dovevano cercare di essere rapidi ad andarsene.

«C'è un problema: non vedo altre porte qui in giro».

Gustav si guardò attorno, ma, come Tom, non vide altro che la porta da cui erano arrivati.

Tom sospirò e guardò Bill speranzoso. «Ricordi qualcosa dal libro?».

Bill faticava a tenere gli occhi aperti e la sua fronte era imperlata di sudore. «C'è... una porta... qui», riuscì a sussurrare a fatica.

«Dove?», gli chiese ancora il gemello, mentre gli appoggiava una mano sulla fronte. «Cazzo, sei bollente!», esclamò poi, ritirando la mano e sbarrando gli occhi sconvolto.

Bill non gli diede ascolto e cercò di concentrarsi. «Per terra... la porta...».

«Sta delirando», sospirò Gustav, lasciando per un momento Bill fra le braccia del gemello. «Vado a vedere se trovo qualcosa», disse poi, allontanandosi da loro.

Stando ai deliri di Bill, in teoria ci dovrebbe essere una porta per terra, una specie di passaggio sotterraneo
ragionò il batterista, guardando attentamente il pavimento pieno di oggetti.


In ogni caso era una bella impresa trovare una porta lì in giro: il pavimento era completamente occupato da pezzi di legno, polvere e altri oggetti vari come pentole e posate. Tutto quanto ammucchiato insieme. Era come cercare un ago in un pagliaio.

Tom mosse qualche passo verso l'amico, portando con sé anche Bill. «Niente?», gli chiese, già consapevole della risposta.

«Niente», sospirò Gustav. «È difficile trovare...».

Non ebbe il tempo di terminare la frase, perché il pavimento sotto di loro si aprì improvvisamente, facendoli precipitare tutti e tre nel vuoto assoluto. La cucina sparì e si ritrovarono a cadere verso il basso con gli occhi spalancati nel buio. Urlarono con tutta la voce che avevano in gola, preoccupati per quello che sarebbe successo una volta arrivati in fondo. Perché prima o poi si sarebbero fermati, non potevano cadere per sempre.

È finita
pensò Gustav con il cuore in gola. È finita per tutti.

Poi accade qualcosa di inaspettato. Tutti e tre si sarebbero aspettati di atterrare su qualcosa di duro, rompendosi l'osso del collo, e, invece, sentirono i loro corpi improvvisamente leggeri, ma l'aria non arrivò più ai loro polmoni. Erano caduti in acqua. Ci fu un momento di confusione generale. Dove erano finiti? Cosa dovevano fare? Poi si riebbero e cercarono di nuotare verso la superficie.
Tom non aveva lasciato Bill neanche per un secondo, ma faticava a tirarlo su con sé: i vestiti larghi erano un problema e il peso del gemello, seppur minimo, non lo aiutava di certo. E poi dov'era Gustav? Non riusciva a vederlo lì in acqua. Non era neanche del tutto sicuro che fosse acqua quella in cui erano caduti: era stranamente scura e, soprattutto, sporca di chissà cosa.

Devo farcela
pensò dentro di sé il chitarrista, stringendo più forte il gemello.

Sentiva che mancava poco, la superficie dell'acqua era vicina. Bill teneva gli occhi chiusi e molto probabilmente era svenuto: nella cucina non era stato per niente lucido e la caduta violenta in acqua doveva avergli fatto perdere i sensi.

Ci siamo!
esultò Tom dentro di sé.

Improvvisamente sentì una mano afferrargli il collo della maglia e tirarlo su con forza. Finalmente l'aria tornò a riempire i suoi polmoni e in un batter d'occhio si ritrovò a sputare acqua dalla bocca.

«Gustav!», esclamò il chitarrista, quando riuscì a calmarsi e a vedere in maniera definita l'amico davanti ai suoi occhi.

Gustav era inginocchiato su un pavimento costituito da piastrelle sconnesse e sporche e cercava di aiutare i due gemelli a venire fuori dall'acqua. Guardandosi attorno, Tom capì finalmente il luogo in cui erano finiti: le fogne sotterranee.

«Prendi Bill», disse il chitarrista, aiutando Gustav a tirare su il fratello.

Il batterista con un po' di fatica riuscì a tirare il cantante fuori dall'acqua e a sdraiarlo accanto a sé. Poi allungò una mano, volendo aiutare anche Tom. Ma accadde qualcosa di strano.

«Che diavolo...?».

Tom non riuscì a concludere la frase, sentendosi improvvisamente afferrare per le gambe e tirare con forza verso il basso. In un batter d'occhio si ritrovò ancora sottacqua, i polmoni nuovamente privi d'ossigeno. Gustav guardò sconvolto l'amico mentre si dimenava sottacqua per cercare di liberarsi da qualcosa di indefinito. Sembrava un animale, un animale enorme.

Devo fare qualcosa
pensò subito il batterista, cercando di non farsi prendere dal panico.

Tom intanto faticava a vedere ciò contro cui stava combattendo: l'acqua era sporca, lui stesso non si sentiva bene e la creatura che cercava di affogarlo era astuta e riusciva benissimo a nascondersi. Ma il chitarrista riuscì a riconoscere un tentacolo enorme, che gli legava entrambi i piedi.

È un polipo, un polipo gigante.


Gustav non sapeva cosa fare. Doveva lasciare Bill lì svenuto e indifeso, facilissima preda dell'enorme animale, oppure avrebbe dovuto tuffarsi per salvare Tom? Il chitarrista non poteva farcela da solo.

Non perderò anche lui
decise con sicurezza il batterista.

Dopo essersi assicurato che Bill fosse lontano dall'acqua, si tuffò senza alcun indugio. Tom era riuscito a non lasciarsi trascinare in fondo dall'animale, ma non avrebbe resistito ancora per molto: ormai la sua riserva d'aria era finita. Gustav nuotò fino alle gambe dell'amico, completamente legate dai tentacoli del polipo gigante, e cercò di liberarlo. L'animale era forte e non avrebbe ceduto facilmente. Allora il batterista, sprovvisto di armi con cui poter ferire la bestia, morse più forte che poté un tentacolo. Per un secondo gli parve di sentire un verso acuto sottacqua, probabilmente l'urlo dell'animale, poi vide i tentacoli lasciare libere le gambe di Tom. Immediatamente afferrò l'amico e insieme cominciarono a nuotare verso la superficie. Tom la raggiunse per primo, riemergendo con la testa e aprendo la bocca per cercare di catturare più aria possibile. Si sentiva esausto, completamente stremato. Gustav lo raggiunse poco dopo, affannato, ma ancora in forze. Fissò preoccupato l'amico e l'aiutò a salire sul pavimento piastrellato, rimanendo in acqua.

«Stai bene?».

Tom continuò per un po' a tossire e a sputare acqua dalla bocca, ma alla fine riuscì ad accennare un piccolo sorriso. «Sì, sto bene. Grazie».

Gustav gli sorrise e si avvicinò al pavimento per uscire dall'acqua. Ma qualcosa lo bloccò.

Gli occhi di Tom si spalancarono terrorizzati. «Gustav, attento!», urlò con tutta la voce che gli era rimasta, nonostante la gola gli bruciasse da morire.

Il batterista non capì subito cosa stesse succedendo e rimase sconvolto, quando sentì qualcosa di viscido legargli i piedi, stringendoli in una morsa troppo forte per potersi liberare. Si ritrovò ancora una volta sottacqua a dimenarsi con disperazione, mentre il polipo gigante gli avvolgeva tutto il resto del corpo con i suoi tentacoli. Gustav rimase immobilizzato, solo un braccio era rimasto libero: quello con cui si teneva ancora stretto al bordo del pavimento. Tom gli afferrò il polso e provò a tirarlo verso di sé, ma l'animale sottacqua era troppo forte. Solo dopo molti sforzi riuscì almeno a farlo riemergere con la testa. Gustav respirò affannosamente, cercando di catturare tutta l'aria che poté. Vide il chitarrista stringere i denti e tirarlo verso il pavimento con tutta la forza possibile, ma era chiaro come il sole che per lui non c'erano possibilità di vincita sulla bestia.

«Tom, lascia stare, non puoi farcela», gli disse il batterista con una punta di amarezza nella voce.

Tom sbarrò gli occhi e lo guardò scettico, ma non smise comunque di lottare per cercare di salvarlo. «Non ti azzardare a dirmi di lasciarti morire come ha fatto Georg con te!», gli urlò contro con la voce che tremava per lo sforzo.

Gustav deglutì terrorizzato, mentre sentiva i tentacoli del polipo gigante stringerlo ancor più nella loro morsa, quasi fino a togliergli il respiro. «È inevitabile», sussurrò.

«Che cazzo stai dicendo?», continuò a gridare Tom sempre più infuriato.

Il batterista sospirò. «Questo mostro non si fermerà fino a quando non avrà preso uno di noi. Ricordi com'è andata con Georg? Si è dovuto sacrificare per permetterci di andare avanti».

«Tu non ti sacrificherai!».

«Bill è l'unico che può portarti fuori da qui, Tom. Non hai bisogno di me», continuò Gustav, posando gli occhi sul corpo del cantante ancora privo di sensi, sdraiato a qualche metro di distanza sul pavimento freddo.

«Se non fossimo in questa situazione, ti prenderei a schiaffi!», urlò Tom sfinito.

Improvvisamente, Gustav si sentì strattonare verso il basso e a quel punto Tom cadde a terra, troppo vicino all'acqua. Se non avesse mollato la presa, l'animale avrebbe preso anche lui.

«Tom, lasciami andare, o prenderà anche te!», urlò il batterista terrorizzato da quell'idea.

«Che si accomodi», ribatté sarcastico Tom, non dando retta alle parole dell'amico.

«Non dire sciocchezze! Bill ha bisogno di te, devi lasciarmi andare!».

«No!», protestò ancora il chitarrista, sempre più vicino all'acqua.

Gustav sentiva il suo cuore martellargli forte nel petto per la paura, ma sapeva che, se avesse voluto impedire a Tom di morire insieme a lui, avrebbe dovuto fare in modo che il chitarrista mollasse la presa sul suo polso.

Devo farlo, non c'è altro modo
pensò il batterista dentro di sé, mentre una piccola lacrima gli scorreva lenta sulla guancia, confondendosi con gli schizzi dell'acqua.

«Non mi lasci altra scelta, Tom», sussurrò con la voce tremante, incominciando a muovere il braccio libero per cercare di sfuggire alla presa ormai troppo debole del chitarrista.

«Che stai facendo?», urlò Tom terrorizzato, sentendo le proprie dita scivolare via a poco a poco dal polso dell'amico.

Era troppo stanco, troppo debole. Non sarebbe riuscito a tenerlo ancora.

Gustav gli sorrise, un sorriso triste. «Pensa a Bill», sussurrò piano.

Fu un attimo. Il braccio del batterista riuscì a liberarsi dalla stretta dell'amico e in un batter d'occhio venne trascinato velocemente e con uno strattone violento sottacqua.

«NO! GUSTAV!», urlò Tom, scattando verso il bordo del pavimento e guardando impotente l'amico, mentre veniva trascinato verso il fondo.

Poi l'acqua scura e sporca gli impedì di vedere qualsiasi altra cosa.
Tom sentì un groppo in gola, qualcosa che gli impediva di respirare normalmente. Lui, Tom Kaulitz, che non aveva mai pianto in tutta la sua vita, quel giorno era già la seconda volta che sentiva le lacrime scorrergli sul viso.

Come farò?
pensò disperato. Come farò a portare Bill fuori da qui da solo?

Lentamente si voltò, posando gli occhi sul gemello, immobile sul pavimento. Gli si avvicinò, prendendolo fra le braccia e osservando il suo viso pallido e sfinito.

Bill aprì lentamente le palpebre, osservandolo con gli occhi lucidi per la febbre alta. «Tomi...», sussurrò piano, un sussurro appena percettibile.

Non aveva visto niente e non sapeva ciò che era accaduto.

Come farò a dirglielo?
pensò Tom, facendo appoggiare la testa del gemello sul suo petto e stringendolo con fare protettivo.

«Sono qui, Bill», sussurrò piano il chitarrista, lasciando che le lacrime scorressero libere sulle sue guance.

I vestiti fradici del gemello davano una leggera sensazione di benessere al cantante, che si abbandonò beatamente sul suo petto e si addormentò quasi subito, ignaro di tutto.

Non ti succederà niente, Bill. Non lo permetterò
pensò Tom con decisione, fissando lontano l'acqua sporca, dove era scomparso Gustav.

Un altro se n'era andato. Un altro si era sacrificato. E, in quel momento che erano rimasti soltanto in due, chi avrebbe dovuto dare la propria vita per l'altro? Perché ormai era chiaro: prima o poi, sarebbero morti tutti. Chi prima, chi dopo.






La morte è strana e, soprattutto, non è mai come la si immagina. Del dolore iniziale non era rimasto che il vago ricordo. Il respiro inesistente, gli occhi chiusi, i polmoni che pian piano si riempivano d'acqua, ma non facevano male, e la mente che lentamente si liberava, rendendolo incosciente e assente dal mondo vivo. Era quasi come addormentarsi e sognare. In fondo, morire così non gli dispiaceva, era una morte indolore e rispettosa. Bastava soltanto lasciarsi andare e presto sarebbe tutto finito.

«Gustav».

Una voce lo chiamava, una voce familiare, ma appartenente ad una persona che certamente non poteva essere lì con lui in quel momento. Era lontana, ma abbastanza chiara.

Georg
pensò Gustav intensamente. mi stai venendo a prendere?

Fino a quel momento non aveva ancora pensato che morire significasse anche rivedere uno dei suoi migliori amici, perso in precedenza.

«Gustav», insisteva la voce. «Gustav, apri gli occhi».

Doveva essere morto, era passato all'altro mondo, ormai. Tutto intorno a lui era buio e aveva quasi paura di aprire gli occhi. Che cosa avrebbe visto? Dov'era finito? Che cosa sarebbe successo dopo? Il flusso dei suoi pensieri venne interrotto da un leggero fastidio alle guance: era come se qualcuno lo stesse ripetutamente schiaffeggiando leggermente.

«Avanti, riprenditi», lo incitava ancora quella voce.

Ormai era vicina a lui, più chiara e distinta che mai. Gustav si sforzò di aprire gli occhi, ma le palpebre erano diventate improvvisamente troppo pesanti. A poco a poco un filo di luce filtrò tra le sue ciglia e lo rese consapevole di non essere morto. Ma l'immagine che gli si aprì davanti lo sconvolse.

Non è possibile.


Avrebbe voluto scattare in piedi e gridare per la gioia e lo stupore mischiati insieme, ma i muscoli gli facevano male e la gola gli bruciava per tutta l'acqua che aveva bevuto. Forse era impazzito, fatto sta che quello che vedeva non poteva essere reale: Georg lo osservava dall'alto, il viso graffiato in più punti che traspariva un'enorme preoccupazione.

«Oh, finalmente il bel principino si è svegliato».

Quella era una voce nuova, non appartenente a Georg, ma comunque già nota: David.

Ma che diavolo...?


«Te la faccio passare io la voglia di farmi preoccupare così, razza di idiota», esclamò Georg, tirando su a sedere il batterista. «La prossima volta ti lascio affogare», lo minacciò con un'espressione da finto arrabbiato.

Gustav era sempre più spaesato, non ci stava capendo più niente: un minuto prima era stato catturato da un polipo gigante e aveva rischiato di annegare in acqua, il minuto dopo era seduto su un pavimento di piastrelle sconnesse con accanto un amico, che aveva creduto essere morto, e il suo manager, che in teoria sarebbe dovuto essere disperso.
Guardando oltre il bassista, Gustav scorse i quattro uomini aiutanti del signor Bürk, che poche ore prima erano spariti a loro volta.

«Georg, come...».

Il tentativo del batterista di comunicare con l'amico andò in fumo, a causa di un terribile bruciore che gli invase la gola.

Georg ridacchiò e gli batté una mano sulla schiena, mentre Gustav continuava a tossire. «Dopo mi ringrazierai per averti ripescato come un pesciolino, amico mio. Immagino che adesso tu voglia qualche spiegazione».

Il batterista si calmò e annuì vigorosamente con il capo. Sì, non mi dispiacerebbe affatto.

David tossicchiò e prese la parola. «In poche parole, siamo stati catturati e portati qui da qualcosa di strano. Non voglio neanche sapere il perché, mi girano già abbastanza le palle in questo momento», concluse il manager, facendo un gesto di stizza con la mano e accennando una smorfia disgustata.

Gustav doveva ancora riprendersi del tutto, ma la spiegazione di David gli parve a dir poco povera di particolari. Grazie, David. Sintetico e per niente chiaro.

Georg notò l'espressione perplessa dell'amico e si lasciò andare ad una sonora risata. «Forse bisognerebbe essere un po' più chiari, non credo che abbia capito più di tanto dal tuo resoconto, David».

Il manager sbuffò spazientito. «Come se ci fosse bisogno di altre spiegazioni per il casino in cui siamo finiti».

Mentre l'uomo e Georg discutevano animatamente, Gustav ne approfittò per guardarsi attorno. Che posto era quello? Assomigliava tanto ad una fogna, simile a quella che aveva visto insieme ai gemelli, prima di essere stato trascinato sott'acqua da quel polipo gigante. Era un posto poco illuminato, sporco e mal odorante. Il pavimento e i muri erano costituiti da grandi piastrelle scure di terracotta, legate tra loro in modo sconnesso da qualcosa di sudicio e liquido. C'era come un piccolo fiume infossato nel pavimento, che scorreva lento verso chissà quale meta e che aveva la stessa identica acqua scura e sporca in cui Gustav era caduto poco prima. Eh, sì, quella era proprio una vera fogna.

«Gustav, ti sei addormentato?».

Il batterista sobbalzò a quel richiamo di Georg, preso com'era dall'analisi del posto. Voltò il capo e fissò stralunato l'amico per qualche istante, poi scosse lentamente la testa.

Georg lo squadrò divertito. «Credo che tu abbia bevuto un po' troppo acqua, devi ancora ritornare tra noi», ridacchiò scherzoso. Poi il suo viso si fece serio e quasi disgustato. «E la prossima volta te la scordi la respirazione bocca a bocca da parte mia. Ma guarda te cosa mi è toccato fare».

Gustav era troppo confuso per ribattere o per comprendere quanto fosse stato disgustoso per il bassista compiere quel gesto per salvarlo. E comunque gli sarebbe piaciuto che qualcuno gli spiegasse bene che cosa stava succedendo. Era tutto così strano.

Provò ancora a parlare, sfidando il bruciore alla gola ad impedirglielo nuovamente. «Georg, tu eri... morto», riuscì infine a sussurrare con qualche piccola difficoltà.

La voce era flebile e ancora molto roca, ma con un po' di impegno avrebbe potuto parlare.

Georg divenne improvvisamente serio e annuì col capo. «Già, è quello che pensavo anch'io quando sono stato preso da quelle maledette liane. Alla fine, però, dopo aver perso i sensi, mi sono risvegliato qui e insieme a me c'erano David e gli altri».

David annuì e corrugò la fronte. «Noi non sappiamo esattamente quello che ci è successo. Mentre cercavamo il signor Bürk nel bagno, si è spenta la luce e qualcuno, o qualcosa, ci ha tramortiti. Ci siamo tutti risvegliati qui», spiegò il manager, fissando i quattro assistenti del signor Bürk e chiedendo loro conferma.

Gustav ascoltò attentamente, annuendo col capo, poi fissò attentamente il viso di Georg: era pieno di lividi e graffi e da alcuni di questi usciva un po' di sangue. Lo aveva creduto morto, aveva pensato che non l'avrebbe mai più rivisto... e invece era lì con lui, era ancora vivo. Per quanto male gli facessero i muscoli del corpo, si sforzò e non poté trattenersi dal buttargli le braccia al collo e abbracciarlo con trasporto. Gli era mancato tanto e la gioia per averlo ritrovato sano e salvo era tanta.

Georg sorrise e ricambiò l'abbraccio, battendo piccoli colpetti affettuosi sulla schiena dell'amico. «È bello rivederti», mormorò felice.

«Non vorrei rovinare questo momento così romantico, ma dovremmo cercare un modo per uscire vivi da qui», esclamò David spazientito.

Gustav e Georg si separarono, alzando gli occhi al cielo e scuotendo leggermente la testa. Era bello essere di nuovo insieme. Anche se, a dir la verità, non erano ancora tutti insieme: due di loro non c'erano.






Camminare così lentamente e scoperti era fin troppo rischioso, ma purtroppo non potevano fare altro. Bill era stremato e quasi incosciente; Tom era stanco, preoccupato e non sapeva che cosa fare: portava il gemello sulle spalle e avanzava lentamente per la sconosciuta fogna. Non che Bill fosse pesante, ma in quel momento la stanchezza rendeva le cose ancora più difficili. Fortunatamente non era ancora abbastanza cosciente per capire che cosa stesse succedendo e Tom ne rimase almeno un po' sollevato: non avrebbe dovuto raccontare subito al gemello ciò che era accaduto a Gustav. Al solo pensiero il chitarrista sentiva un magone in gola e un'irrefrenabile nausea.
Erano rimasti soltanto loro due e Tom sapeva che quella casa non li avrebbe mai lasciati andare così facilmente. Almeno uno di loro sarebbe morto e il chitarrista aveva già deciso che non sarebbe stato Bill. L'unica cosa di cui aveva paura era sapere che avrebbe lasciato suo fratello solo e in pessime condizioni. Avrebbe saputo cavarsela?

«Tomi...», sussurrava ogni tanto il cantante sulla spalla del gemello.

La febbre era molto alta e lo stava facendo delirare.

Tom continuava a rassicurarlo, nonostante sapesse che il gemello non potesse sentirlo veramente. «Sono qui, Bill. Va tutto bene, non aver paura».

No, non andava tutto bene, gli stava dicendo una bugia. Ma doveva andare avanti, doveva farlo per Bill. Non sapeva neanche dove stesse andando, ma di certo non potevano fermarsi e tanto meno Bill poteva dare un suggerimento al fratello a proposito del libro nero. Tom avrebbe dovuto arrangiarsi e sperare di avere almeno un po' di fortuna.

«Andrà tutto bene», continuava a ripetere più a se stesso che a Bill. «Andrà tutto bene».









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Capitolo 6
*** Alone ***


06. Alone





When you cried I'd wipe away all of your tears
When you'd scream I'd fight away all of your fears
I held your hand through all of these years
But you still have
All of me
{ Evanescence - My Immortal }




«Tomi...».

Era forse la cinquantesima volta che Tom sentiva suo fratello chiamarlo nel delirio e non sapeva che cosa fare. Ormai era certo che non sarebbe riuscito a sopportarlo ancora per molto - lo faceva soffrire troppo -, ma purtroppo non poteva fare nulla per alleviargli il dolore al braccio né per abbassargli la febbre. Non aveva niente con sé, niente con cui potesse curare Bill.

«Tomi...», lo chiamò ancora il gemello sulle sue spalle.

Il chitarrista strinse le palpebre e cercò di non lasciarsi andare alla disperazione, continuando a camminare in quel labirinto che erano le fogne sotterranee, senza sapere dove andare. Sapeva solo che doveva resistere e cercare un'uscita.

«Bill, sono qui. Devi resistere», gemette Tom, ormai sopraffatto dalla fatica.

Improvvisamente il corpo del cantante cominciò a muoversi in modo convulso sulle spalle del fratello, come se si stesse dimenando per liberarsi da qualcosa, e dalla sua bocca uscirono strani versi confusi, che davano l'idea di qualcuno che stesse soffrendo. A quel punto, Tom si fermò sul posto, facendo scendere il gemello dalle sue spalle e sedendosi per terra, tenendolo sempre stretto fra le sue braccia. Qualcosa non andava.

«Che cosa c'è, Bill?», gli chiese il chitarrista, prendendogli la testa tra le mani.

Le palpebre di Bill si sollevarono di poco, lasciando intravedere i suoi occhi lucidi per la febbre alta. Sembravano inespressivi, ma Tom sapeva benissimo che in quel momento il gemello non stava più delirando ed era abbastanza cosciente per accorgersi che qualcosa non andava. Forse l'impatto violento di poco prima con l'acqua lo aveva stordito più del previsto e le sue condizioni gli avevano portato un sonno pieno di incubi e di visioni spaventose, ma, in quel momento in cui era finalmente sveglio, era capace di percepire il mondo attorno a sé. E in quel mondo qualcuno non c'era.

Deglutì e le sue labbra si aprirono tremanti. «Gu... Gustav?», riuscì a chiedere, non staccando gli occhi da quelli del gemello.

Tom si morse il labbro inferiore, consapevole che il momento che aveva tanto sperato di poter rimandare il più possibile era purtroppo arrivato. Quegli occhi lucidi e pieni di dolore del gemello lo stavano distruggendo e non voleva dirgli quella cosa, che lo avrebbe fatto stare ancora più male.

«Dov'è?», insistette Bill, respirando a fondo e muovendo leggermente la testa per guardarsi attorno.

Tom deglutì nervoso, prendendo coraggio per risultare più sicuro. «Lo... lo abbiamo perso. Dopo essere caduti in acqua, non l'ho più visto», mentì spudoratamente, pregando che il gemello ci credesse.

«Bugiardo».

No, non ci aveva creduto. Forse proprio perché in quel momento era facile leggere la verità negli occhi stanchi e disperati di Tom, o forse semplicemente perché se lo sentiva addosso che era successo qualcosa di brutto, durante la sua incoscienza.

Il chitarrista sospirò affranto, distogliendo lo sguardo da quello di Bill. Non riesco a dirtelo, Bill.

Rimasero in silenzio per tanto tempo, fino a quando Tom non sentì qualcosa di caldo e bagnato scorrergli fra le dita delle mani, che ancora sorreggevano la testa del gemello. Voltò il capo e il suo cuore già abbastanza straziato ricevette un altro colpo: Bill stava piangendo. Non erano servite le parole, aveva capito lo stesso.
Il cantante si sforzò di sollevarsi almeno un po' dalle braccia del gemello per allacciargli le sue al collo e appoggiare la fronte sulla sua spalla. Lì pianse in silenzio, lasciandosi scappare soltanto qualche singhiozzo dalla gola. Tom non poté fare altro che stringerlo e lasciarlo sfogare, rimanendo in silenzio per tutto il tempo e fissando le piastrelle sporche delle fogne. Non poteva fare niente, né per far star meglio il gemello fisicamente né psicologicamente. Era impotente.






«C'è solo un piccolo problema: non ci sono porte qui».

«Ci deve per forza essere una porta. Guarda meglio».

Era da vari minuti che Gustav e David andavano avanti così, cercando un'uscita che purtroppo non c'era. Il manager si ostinava a tastare tutte le mattonelle del muro e aveva costretto gli altri a fare lo stesso. Ma dopo ore passate a sporcarsi le mani con il liquame che colava da quelle superfici, Gustav si era stufato e aveva cominciato a discutere con David. Georg e i quattro uomini con lui li seguivano in silenzio, ormai stanchi ed esasperati.

«Mi sono stufato di cercare, qui non c'è niente!», sbottò alla fine il batterista, lanciando uno sguardo trucido al manager.

David cominciò subito a perdere la pazienza. «Allora intendi restare qui fermo, aspettando che qualcosa venga ad ucciderti?».

«No, ma potremmo cercare un'altra via, invece di rimanere sempre nello stesso punto a cercare!».

Georg alzò gli occhi al cielo e sospirò con fare stanco. «Ragazzi, per favore».

«La porta potrebbe essere qui ed io non me la lascerò scappare!», insistette ancora David, ignorando completamente i lamenti del bassista.

«Benissimo! Vorrà dire che passerai gli ultimi istanti della tua vita cercando qualcosa che non c'è!».

Georg non sapeva più che cosa fare. A quel punto avrebbe persino preferito che arrivasse veramente qualcosa ad ucciderli, così almeno quella tortura sarebbe finita.
Mentre Gustav e David continuavano a discutere, si sedette sul pavimento, appoggiando la schiena contro la parete del muro e chiudendo lentamente gli occhi. Fu in quel momento che qualcosa sotto di lui si mosse: una mattonella più grande delle altre si era infossata nel pavimento, provocando uno strano suono, come di un meccanismo che viene azionato. Gustav e David si zittirono all'istante, fissando confusi il bassista, ancora seduto immobile e con il fiato sospeso.

E adesso che faccio? si chiese irrequieto.

Se si spostava, chissà che cosa poteva succedere. Ma, anche se rimaneva fermo lì, non poteva sapere quello che gli sarebbe capitato. Poi la risposta arrivò da sola. Il pavimento sotto di lui cominciò a spaccarsi in modo sconnesso e le crepe arrivarono fino ai piedi del resto dei suoi compagni, che distavano da lui almeno due metri.
Se si muoveva, il pavimento cedeva completamente e lui cadeva - chissà dove -; se stava fermo... prima o poi sarebbe caduto comunque. Non aveva molto fra cui scegliere, ma forse era meglio cercare di mettersi in salvo, piuttosto che aspettare immobile la morte.

«Georg... devi fare uno scatto veloce verso di noi», mormorò piano Gustav, trattenendo il respiro e non muovendo un muscolo.

Facile a dirsi pensò ironicamente Georg, deglutendo nervosamente.

David spostò lentamente un piede in avanti e si protese verso il bassista, allungando le braccia. «Forza».

Georg prese coraggio e si preparò a scattare in avanti verso il manager. Ma non appena mosse un piede, il pavimento cedette completamente, rompendosi in mille pezzi e facendolo cadere di sotto.

«GEORG!», urlò Gustav, costretto a chiudere gli occhi per l'immensa polvere che si era andata a creare.

Il bassista sentì il vuoto sotto di sé e aprì la bocca per urlare, ma tutto ebbe fine in un istante. La sua schiena sbatté contro qualcosa di duro, facendolo gemere di dolore, e la sua caduta ebbe fine. Per un momento l'aria arrivò sporca ai suoi polmoni, facendolo tossire senza sosta: la polvere era troppa.

Ma che diavolo è successo? si chiese stralunato il bassista.

Non doveva essere già morto? Perché invece sentiva ancora le voci dei suoi compagni chiamarlo da pochi metri di distanza? Aprì lentamente gli occhi e, dopo poco, quando la polvere si fu dissolta almeno un po', riuscì a distinguere la figura di Gustav, inginocchiata sul bordo del cratere in cui lui era caduto. Lo stava fissando stupefatto, ma al tempo stesso sollevato.

«Dio mio, che spavento», commentò David, mettendosi una mano sul cuore.

Georg sollevò di poco la testa, guardandosi attorno spaesato. «Ma che...?».

Nel pavimento si era formato un piccolo cratere piuttosto largo, ma l'altezza da cui era caduto era soltanto di tre metri; era atterrato sui ciottoli rotti e l'unica cosa che si era fatto era stato un piccolo graffio su una gamba e un livido dietro la nuca.
Guardò in alto e lanciò un'occhiata confusa a Gustav, che stava stranamente ridacchiando.

«Te la sei fatta sotto, vero?».






«Voglio camminare».

La voce roca di Bill colse alla sprovvista il gemello, che sobbalzò stupito. Avevano passato quasi un'ora in silenzio, il cantante ancora una volta sulle spalle del chitarrista, che aveva continuato a camminare senza sosta.

Tom cercò di dare alla sua voce un tono deciso. «Non se ne parla».

Sentì Bill sbuffare e improvvisamente cominciò a dimenarsi sulla sua schiena per scendere, ma Tom non mollò la presa tanto facilmente.

«Smettila, Bill», sbottò il chitarrista, fermandosi per risistemarsi il gemello sulle spalle.

Ma Bill non si arrese. «È il braccio a farmi male, non le gambe. Posso camminare da solo».

«Sei troppo debole».

«Anche tu sei stanco».

«Io posso continuare, tu devi riposarti».

Il cantante sbarrò gli occhi scettico e il suo tono di voce aumentò di volume. «Spiegami il perché!».

A quel punto Tom si bloccò sul posto, fissando con occhi spenti il pavimento di piastrelle sotto di sé. Era ora di chiarire la questione, prima che fosse troppo tardi. Magari, se Bill lo avesse saputo, avrebbe collaborato un po' di più.

Inutile illudersi. Non collaborerà mai, dopo ciò che gli dirò pensò con amarezza il chitarrista dentro di sé. Ma almeno lo deve sapere.

Lentamente fece scendere il gemello dalla sua schiena e rimase in silenzio per qualche istante, dandogli le spalle.

Bill lo fissava confuso, con uno strano rimescolio nello stomaco. Che cos'ha?

«Bill», iniziò Tom, senza voltarsi ancora. «Devi essere abbastanza in forze per quando...». Prese un respiro profondo e si costrinse a terminare la frase. «per quando sarai solo».

Fu in quel momento che Bill sentì qualcosa rompersi dentro di sé. Il suo corpo rimase immobile, attraversato da tanti piccolo brividi. Aveva perso David, Georg, Gustav... e adesso suo fratello gli stava dicendo che probabilmente avrebbe perso anche lui. Forse aveva capito male e si costrinse a trovare la forza per chiedere spiegazioni.

«Che significa?».

La sua voce era ancora più roca, forse priva di qualsiasi energia vitale. Dentro di sé si sentiva prosciugato di ogni cosa.

Tom finalmente si girò, fissando intensamente il gemello negli occhi e regalandogli un piccolo sorriso, che purtroppo non celò la sua malinconia. «Significa quello che sono sicuro che tu abbia già pensato».

Bill abbassò gli occhi a terra, ingoiando il magone che sentiva in gola e reprimendo le lacrime. «No. Non resterò solo», sussurrò con decisione.

Velocemente, per quanto il suo fisico glielo permettesse, scattò in avanti e superò il gemello, riprendendo a camminare con le sue gambe.

Tom rimase basito, ma gli ci volle poco per riprendersi e seguire a ruota il fratello. «Che hai intenzione di fare?», gli chiese secco, afferrandolo per il braccio sano e costringendolo a fermarsi.

Bill aveva assunto uno sguardo fin troppo serio e quasi furioso. «Cerchiamo un'uscita. Subito. E se qualcosa ci ucciderà prima, allora saremo in due a morire».

Il chitarrista lasciò andare il braccio del gemello e sospirò sconsolato. Avrebbe dovuto aspettarsi una reazione simile da parte sua. Dopotutto, Bill era una testa calda e lui lo conosceva meglio di chiunque altro. Cercare di fargli cambiare idea sarebbe stata fatica sprecata, non ne valeva neanche la pena.

«Puoi fare quello che vuoi... come pure io, del resto. Se non voglio che succeda, non succederà».

Bill lo guardò truce e fece per ribattere, ma il gemello lo fermò all'istante, fissandolo con ancora più decisione. «Non lo permetterò, Bill. Sappi solo questo».

Detto ciò, il chitarrista gli voltò le spalle e si piegò in avanti per permettergli di risalirgli sulla schiena.

«E adesso sali», gli ordinò con un tono che non ammetteva repliche.

Proprio in quel momento in cui Bill stava per urlargli contro un'offesa, un enorme boato esplose intorno a loro, attraversando tutti i corridoi delle fogne. La terra sotto di loro cominciò a tremare e l'acqua sporca a straboccare fuori dai corridoi sconnessi in cui era contenuta. Entrambi i gemelli caddero a terra, Bill con un gemito di dolore, causato dalla pressione sul braccio ferito. Tom lo raggiunse gattonando, cercando di sorreggerlo e di coprirlo dai pezzi di muro che cadevano dall'alto.

«Sta arrivando», disse Bill, guardandosi attorno terrorizzato.

Il gemello lo fissò confuso. «Che cosa?».

Il cantante lo guardò negli occhi ed esitò un istante prima di parlare. «La cosa che nel sesto capitolo avrebbe ucciso uno dei personaggi».

Tom deglutì nervosamente e immediatamente sentì il corpo del gemello agitarsi vicino al suo.

«Tom, devi andartene. Se mi lasci qui, riuscirai a scappare e quella cosa prenderà me», esclamò Bill, spingendo con una mano il fratello.

Il chitarrista lo fissò scettico. «Stai scherzando, vero?».

«No, te ne devi andare! Adesso!».

«Puoi anche scordartelo, idiota!».

«Tom, per favore!».

Fu proprio in quel momento che il pavimento si ruppe e l'acqua straboccò dalle piastrelle spaccate. Delle foglie nere spuntarono fuori dall'enorme buco che si andò a creare, lasciando poi posto ad un enorme tronco, nero a sua volta.

Tom deglutì nervosamente. «Ma che diavolo...?».

Un albero nero. Ma non era come quelli che i gemelli avevano sempre visto: era mostruoso, sembrava quasi un animale. In mezzo al tronco una bocca piena di denti lanciò un urlo acuto, che costrinse i due fratelli a tapparsi le orecchie con le mani; le radici si muovevano ed erano grosse e appuntite come non mai.

«È con quelle che uccide!», urlò Bill, cercando di sovrastare i versi disumani dell'albero.

«Dobbiamo andarcene di qui!», gli rispose Tom, rimettendosi in piedi e aiutandolo.

Ma non appena mossero un passo, un'enorme radice scattò verso di loro, colpendoli come una frusta e sbattendoli contro il muro a distanze diverse. Si ritrovarono subito divisi. Bill aveva sentito di più il colpo e la sua vista era diventata confusa. Tom cercò di rialzarsi, incurante del dolore, e provò a raggiungere il gemello, ma un'altra radice gli legò i piedi e lo fece cadere a terra. Immediatamente cercò di trascinarlo verso l'acqua. Il cantante, intanto, si era ripreso abbastanza per rendersi conto di quello che stava accadendo: era in trappola contro un muro, una radice a pochi metri da lui mirava direttamente il suo corpo con la punta e suo fratello stava per essere annegato.

Ne basta solo uno perché tutto finisca pensò dentro di sé, guardando terrorizzato il gemello.

In un attimo aveva preso la sua decisione.

Allargò le braccia e fissò deciso la radice davanti a sé. «Avanti! Che cosa stai aspettando? Vieni a prendermi!», urlò furioso.

Tom, lanciando un'occhiata sconvolta verso il gemello, afferrò una piastrella rotta e abbastanza affilata e con decisione la conficcò nella radice che lo teneva stretto. Immediatamente quella lasciò la presa e un altro urlo disumano si diffuse per le fogne.

Bill cercò ancora di aizzare l'albero contro di sé. «Forza!».

Questa volta la radice scattò in avanti ad una velocità stupefacente, puntando al viso del cantante, ancora accasciato a terra contro il muro. Bill trattenne il respiro e chiuse d'istinto gli occhi, stringendo forte le palpebre e preparandosi al colpo finale. Ma quello non arrivò tanto velocemente, come invece aveva creduto: passarono vari secondi e ancora non sentì niente di diverso, non un minimo dolore, a parte quello al braccio ferito. L'unica cosa che sentì fu una folata di vento davanti a sé e un gemito strozzato. Lentamente aprì gli occhi. E il suo cuore mancò di un battito.

«TOM!», urlò con tutta la voce che aveva rimasto in corpo.

I suoi occhi si riempirono di orrore: Tom era davanti a lui, piegato in due, l'enorme radice conficcata nello stomaco e la maglia intrisa di sangue. Si era messo in mezzo per salvarlo. Lo sentì mugolare di dolore, poi la radice diede uno strattone indietro e uscì dal corpo del chitarrista, ritraendosi verso il tronco dell'albero e raggrinzendosi all'istante. Come Bill aveva pensato prima, ne bastava solo uno perché tutto finisse.
L'albero urlò ancora, incominciando a ritirarsi nel pavimento e le sue radici si seccarono improvvisamente. La terra tremò ancora, ma tutto finì in pochi istanti.

Allora Bill si avvicinò immediatamente al gemello. «Tom!», urlò il cantante, afferrando il suo corpo prima che cadesse a terra.

Non riuscì a reggere il suo peso e cadde a terra in ginocchio, tenendolo stretto a sé più forte che poté. Il braccio ferito gli faceva un male terribile e aveva ripreso a sanguinare sotto gli stracci, ma non gli importava niente. Sarebbe anche potuto morire dissanguato, perché in quel momento gli importava soltanto di Tom.

Il chitarrista si lasciò andare senza più forza fra le braccia del gemello. «Te l'avevo detto che non avrei permesso che fossi tu a morire», gemette con un sorriso stentato sulle labbra tremanti.

Bill gli prese la testa fra le mani e subito sentì le lacrime sgorgare fuori dai suoi occhi. «Perché?», singhiozzò forte, portando una mano sull'enorme ferita del gemello e premendocela sopra con forza.

Ma non poteva bloccare il flusso del sangue così e, anche se avesse avuto qualcos'altro, non sarebbe servito comunque a nulla. La ferita era troppo profonda. Letale.

«Devi... devi uscire da qu-qui», gli disse Tom, sforzandosi di parlare, nonostante gli facesse male.

Bill storse la bocca in una smorfia di dolore e lasciò che i singhiozzi avessero la meglio su di lui. «No».

«S-Sì. Continua senza di me. Tu hai l-letto il libro».

Il chitarrista tossì e dalla sua bocca uscirono tante gocce di sangue, che gli sporcarono le labbra. Bill si macchiò le mani con quel sangue e questo lo fece piangere ancora più forte. Tom fece uno sforzo e sollevò una mano sul suo stomaco, dove il gemello teneva ancora la mano sulla ferita. Gliela strinse forte.

«B-Bill», ansimò, mentre una quantità esagerata di sangue gli usciva dalla bocca, quasi soffocandolo. «ti voglio... bene».

La sua voce era irriconoscibile, troppo bassa, roca e piena di sofferenza per essere veramente la sua. Il suo corpo era scosso da terribili brividi di freddo fra le braccia del gemello e il suo respiro diventava sempre più affannoso.
Poi accadde. Un ultimo scossone, un ultimo ansito e finalmente quell'atroce agonia finì. Bill sentì i muscoli del fratello distendersi improvvisamente contro il suo corpo, il tremore cessò e il respiro si spense. Gli occhi castani, identici a quelli del cantante, rimasero aperti, guardando quelli del gemello. Li stava fissando... ma non veramente.

«Tom...», singhiozzò Bill, il viso deformato dal dolore e gli occhi che non riuscivano più a distinguere i contorni della faccia insanguinata del fratello.

Troppe lacrime.

«Tom!», lo chiamò ancora.

Strinse ancora più forte il suo corpo vuoto, scuotendolo leggermente, illudendosi che potesse essere ancora lì con lui. Ma Tom se ne era andato. Per sempre.
Bill conficcò le unghie nella mano del gemello e strinse gli occhi più forte che poté. Non riusciva quasi più a respirare, i singhiozzi glielo impedivano. Ma l'ossigeno necessario per fare una cosa lo trovò: un urlo pieno di dolore, disperato, percorse i corridoi delle fogne. E quando si spense, l'eco ne lasciò ancora qualche traccia.









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