The hidden truths - ciò che la vita insegna

di yourloveisalie_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. ***
Capitolo 3: *** 2. ***
Capitolo 4: *** 3. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Benvenuti in un nuovo viaggio. Siete pronti? Io un po’ si e un po’ no.
Prima di iniziare dico solo di fare attenzione a cosa leggete: questa è una storia romantica ma anche drammatica. Soprattutto drammatica. Se ci sono cose che possono alterarvi, bhè, non dite che non vi avevo avvertito.
Il rating è arancione anche se forse doveva essere rosso. Non mi sono sentita di metterlo rosso perché non so se ne sarò poi all’altezza. In ogni caso me lo farete sapere e io modificherò il rating ;)
Chi mi conosce sa che le storie che narro sono tratte da fatti realmente accaduti ma i nomi sono stati modificati per privacy. Pertanto ogni nome è inventato dalla sottoscritta e qualsiasi riferimento a persone è puramente casuale.
Bene, ho detto anche questo. Penso che sia tutto.
Abbiate pietà di me perché è la prima volta che scrivo qualcosa di serio a cui tengo particolarmente.
Ah, e sappiate che da settembre gli aggiornamenti forse saranno mensili, cioè un capitolo ogni mese. Mi dispiace ma la scuola richiede il suo tempo…
Lasciate tante recensioni e buona lettura.
Baci!
 



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PROLOGO




 

Ricorda che l'amore a volte può far male
ma del mio tu non ti devi preoccupare
perché non puo' finire.
Come l'acqua dentro il mare





 


Rebecca Rinaldi, diciassette anni e una vita da schifo.
Un metro e sessantadue per cinquantaquattro chili di puro mistero.
E’ così che erano soliti definirla gli amici. Un mistero.
Entrare nel cuore e nella quotidianità di quella ragazza era complicato quanto un compito in classe a sorpresa di matematica.
Eppure Rebecca non si sentiva così. Lei si definiva normale. Piuttosto era il mondo in cui viveva a non essere normale: un padre venuto a mancare da dieci anni e una madre appena trentasettenne troppo giovane per occuparsi di sé stessa, figuriamoci della figlia.
Il padre, Marco Rinaldi, era morto quando Rebecca era poco più di una bambina e, nonostante tutto questo tempo, ancora non si erano scoperte le cause della sua morte.
O meglio, qualcuno non voleva raccontarle.
Infatti, quando Rebecca cercava di parlarne con la madre, quest’ultima cambiava argomento o si cimentava in cucina. Cosa alquanto strana visto che Laura, la mamma, era negata con il cibo.
Tuttavia Rebecca non diede mai troppo peso alla situazione perché pensava che il ricordo del marito nuocesse gravemente alla madre ed evitava di parlarne.
Dopo la morte di Marco, la vita delle due donne sprofondò a picco, i problemi economici sembravano irrisolvibili e i debiti spuntavano fuori come funghi.
Laura, invece di fermarsi un momento e cercare di risolvere almeno in parte la questione, non faceva altro che scappare. Come se scappare fosse servito a qualcosa…
Rebecca glielo rinfacciava sempre alla madre e la madre non faceva che infuriarsi. Per questo tra loro non ci fu mai un vero rapporto famigliare, anzi, per Rebecca la mamma era da evitare come la peste.
Più le stava lontano, meglio si sentiva.
Ora però, in macchina, con il vento che le scompigliava i lunghi capelli neri, Rebecca era costretta a stare nello stesso posto della madre e cercava in tutti i modi di non incrociare il suo sguardo con quello di Laura fingendo di essere altamente interessata al paesaggio fuori dal finestrino.
Era settembre e l’estate stava scomparendo del tutto ma il clima restava sopportabile.
Laura non era riuscita a trovare un lavoro a Napoli e a pagare l’affitto del loro piccolo appartamento. Erano praticamente state cacciate e, come al solito, avevano deciso di scappare piuttosto che fermarsi ed affrontare faccia a faccia il problema.
Per Rebecca quella era ormai un’abitudine.
Impacchettare le sue cose, abbandonare la scuola attuale, gli amici trovati e partire verso una nuova città.
- Vedrai che ti troverai bene in questa nuova scuola a Roma - disse Laura, distraendo la figlia.
Rebecca sbuffò e si girò ancora di più verso il finestrino.
Non rispose perché quella era la solita battuta riciclata che la madre usava ogni volta che erano in viaggio. E poi non sentiva proprio che le cose avrebbero preso il verso giusto, a Roma.
Ogni volta che trovava degli amici, che iniziava rapporti stabili, arrivava la madre e faceva crollare il suo castello di speranze e false illusioni.
Rebecca ci era abituata, ecco perché tutti la vedevano fredda come un ghiacciolo.
Ora basta, pensò, sono stanca di continuare a sperare.
Si rigirò ancora sul sedile di quel catorcio fino a trovare una posizione comoda e chiuse gli occhi.
Forse il sonno l’avrebbe aiutata e l’avrebbe anche un po’ preparata ad affrontare la nuova realtà cui stava per andare incontro.
 

*

 
 
 
 
Christian Bianchi, un uomo di ventotto anni, alto, moro, ricco e bello.
La perfezione in persona, praticamente (se escludiamo il vizio del fumo…).
Non solo sapeva attirare le donne con il suo fascino, i suoi occhi azzurri e quel sorriso mozzafiato, le donne erano attratte da lui soprattutto per il suo portafogli.
La cosa avrebbe giovato a qualsiasi altro uomo ma non a Christian. Lui non era uno sciupa femmine, cioè, gli sarebbe piaciuto esserlo ma ogni volta con una ragazza dotata di un bel lato B e un seno parlante gli si avvicinava lui diventava improvvisamente…stupido.
No, stupido no. Un giovane professore di ventotto anni che ha passato la sua giovane vita sui libri non lo si può definire stupido.
Piuttosto…inetto.
Si, inetto era l’aggettivo giusto.
Un po’ come tutti i protagonisti dei romanzi di Italo Svevo.
Come se la sua vita fosse proprio uno di quei racconti e lui un burattino i cui fili erano tirati dallo stesso Svevo.
Come ogni professore che si rispetti, lui adorava quel celebre uomo così importante nella letteratura italiana, però quel suo essere inetto non gli piaceva per niente perché lo faceva diventare stupido e lui stupido non era.
Il lavoro lo aiutava molto a combattere quel suo difetto: negli ultimi anni era riuscito ad aprirsi di più con i suoi studenti e a diventare un professore migliore.
Forse il più acclamato di tutto l’istituto.
O magari di tutta Roma, perché no.
Christian sbuffò soddisfatto allo schermo del suo portatile, poi lo spense e si alzò dalla sedia per sdraiarsi sulla poltrona a leggere un libro.
Per capire meglio i ragazzi del suo liceo, il professore vagabondava spesso su internet e seguiva blog dove giovani problematici con mille domande in testa mettevano per iscritto i loro problemi e cercavano di aggiustarli.
Forse Christian poteva definirsi anche un tipo strano, e forse lo era. Ma una mania simile porta solo risultati positivi quando il tuo mestiere consiste nel saper parlare e farti capire dai giovani.
Tra una settimana sarebbe ricominciata la scuola e il professore non sapeva ancora come avrebbe accolto la sua nuova classe. Ma sapeva che l’ispirazione gli sarebbe venuta a tempo debito.
Spensierato, prese una copia de La Divina Commedia e l’aprì, iniziando a leggere.
Aveva in mente una sorpresa che sarebbe sicuramente piaciuta ai suoi cari studenti del 4°C.










Ok, lo so, è un capitolo molto breve. Ma non posso mica scrivere tutta la storia subito nel prologo!
Dovrete aspettare un pochino per leggere qualcosa di più ed entrare ufficialmente nella storia.
Spero che per ora questo piccolo assaggio vi abbia incuriosito e vi sia piaciuto.
Fatemi sapere!



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Capitolo 2
*** 1. ***


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Here we are
Isn't it familiar.
Haven't had someone to talk to
in such a long time.
And it's strange
all we have in common.
And your company was just the thing I needed tonight.












1.






- Buongiorno ragazzi -.
Christian entrò raggiante nella sua amata 4°C, portandosi dietro le varie borse per il lavoro e chiudendosi la porta verde pastello alle spalle.
Quando entrò nella piccola stanza bianca, riconobbe a stento i suoi ragazzi: alcuni non ce l’avevano fatta ed erano rimasti in terzo, gli altri avevano tutti un viso abbronzato, rilassato e anche un po’ teso per l’inizio della scuola.
Il professore non aveva per niente voglia di iniziare a torturarli subito il primo giorno con Dante Alighieri e la sua Divina Commedia, quindi si mise seduto sulla cattedra e sorrise.
- Come sono andate le vacanze? - chiese loro.
La sua classe era un miscuglio di varie personalità e comportamenti diversi: c’erano ragazzi esuberanti e pieni di voglia di fare, ragazze troppo timide per parlare, ragazze insicure e ragazzi che adoravano stare al centro delle attenzioni.
Uno di questi era Luca Ponte, diciassettenne scampato alla bocciatura per grazia divina. Odiava la letteratura, l’italiano e il latino (le materie insegnate da Christian) e il suo comportamento strafottente lo faceva risultare antipatico agli occhi delle persone.
Christian, invece, si divertiva ad ascoltarlo parlare e a guardare mentre si esibiva come un clown da circo per la sua classe. Era una cosa spettacolare, per lui, studiare tutti i diversi comportamenti dei suoi studenti.
- Prof, mentre lei fa le solite domande di routine, io posso dormire? -.
- Certo, Ponte. Poi però non meravigliarti se ti sveglierai nell’ufficio del preside -.
Il vicino di banco di Luca Ponte diede una gomitata a quest’ultimo mentre il resto della classe se la rideva sotto i baffi.
Si, ammise Christian a sé stesso, mi erano decisamente mancati.
- Dove siete andati in vacanza? - formulò una nuova domanda che scatenò un’ondata di mani alzate.
- Spagna - disse uno.
- Ischia - disse un altro
Paesi, stati e capitali arrivarono alle orecchie del professore che sorrise divertito.
Tutti avevano risposto tranne un ragazzo biondo, alla sua sinistra, seduto vicino un banco vuoto. Christian lo fissò attentamente, fece l’appello e una volta accertatosi che fossero tutti presenti, non riuscii a capire come mai quel banco fosse lì in perfetta solitudine.
Poi qualcuno bussò alla porta e Giampiero, il bidello, portò la risposta al dubbio del professore.
- Signor Bianchi, sembra che lei da oggi in poi dovrà ospitare una nuova alunna -.
Giampiero fece un passo verso destra e dietro di lui comparve una figura angelica: una ragazza mora, con gli occhi scuri, il naso piccolo e due labbra scolpite alla perfezione. Non era altissima né molto proporzionata, ma era veramente perfetta nella sua imperfezione.
Christian si ritrovò a fissare quella giovane ragazza per svariati minuti, finché Giampiero non poggiò un foglio sulla cattedra e abbandonò la classe chiudendo rumorosamente la  porta.
La giovane arrossì, in imbarazzo, una volta che realizzò di trovarsi al centro dell’attenzione e passò velocemente lo sguardo dalle facce dei suoi nuovi compagni a quella ancora ammaliata del suo professore.
- Ehm…buongiorno - iniziò Christian, indicando con una mano il banco lasciato vuoto proprio per la nuova arrivata.
- Accomodati lì -.
- Grazie.-
La novellina sorrise debolmente in segno di gratitudine e si incamminò verso il posto indicato dove un ragazzo biondo, con gli occhi di un colore misto tra azzurro e grigio cenere gli diede il benvenuto.
Sistemò la sua roba sul banco sentendosi a disagio, sorrise al vicino e poi di nuovo al professore.
- Come ti chiami? - chiese quest’ultimo, sorridendole di rimando.
- Rebecca. Rebecca Rinaldi -.
- Benvenuta Rebecca – disse Christian alzandosi in piedi e iniziando a girovagare per la classe con il registro in mano - ti presento la tua nuova classe -.
Per far sentire la ragazza più a suo agio, il professore iniziò ad elencare i nomi dei suoi studenti e, quando uno di loro veniva chiamato, raccontava la propria storia ad alta voce e si presentava in tono amichevole.
Rebecca sorrise e salutò ognuno di loro, poi arrivò il turno del suo vicino di banco e lei si sistemò sulla sedia per starlo a sentire.
- Daniele Zangaro -.
- Si, prof -.
- Parlaci di te -.
Daniele posò il suo sguardo sui suoi compagni, poi su Rebecca e infine sul professore, il quale era tornato sulla cattedra e aveva sistemato il registro.
- Mi chiamo Daniele, ho diciassette anni e mi piacerebbe diventare uno scienziato, per studiare medicina e trovare delle cure a malattie che per ora non ne hanno. Benvenuta in questo inferno Rebecca, sappi che il professor Bianchi sembra tanto simpatico ma fa solo buon viso a cattivo gioco: alle interrogazioni non ti lascia neanche respirare -.
La classe rise e persino lo stesso professore si lasciò andare.
- E’ questo che pensate di me? Non vi lascio respirare durante le interrogazioni? -.
Un “si” generale arrivò come risposta e Christian, per ripicca, incrociò le braccia e assunse un’espressione seria.
- Bene, allora per domani compiti extra a ciascuno di voi. Nuovi arrivati inclusi -.
Improvvisamente la classe divenne un cimitero, nessuno osò fiatare finché a rompere il silenzio non furono delle nuove risate e la tensione si sciolse.
- Ehi, scherzavo. Potete respirare ora -.
Daniele si afflosciò sul banco con un sospiro di sollievo.
Rebecca guardava negli occhi il professore mentre sorrideva e, per la prima volta in vita sua, si sentì bene.
Veramente bene.
 
 
Cinque ore più tardi, fuori dalla scuola, Rebecca continuava a conversare con il suo vicino di banco Daniele.
Ora sapeva un sacco di cose sul suo conto: giocava a calcio, nel tempo libero sfidava i suoi amici a scacco matto e aveva un cane di nome Giuseppe Verdi. Ma a Daniele quel nome non piaceva quindi lo soprannominava Green.
- Come mai avete chiamato il cane Giuseppe Verdi? - chiese Rebecca mentre, seduta su una panchina, aspettava l’arrivo del suo autobus.
- L’ha scelto mio padre. Lui è un musicista ed un fan accanito di Verdi. Ma non penso che a Green piaccia il suo nome: ogni volta che mio padre lo chiama lui fa finta di non sentire -.
Rebecca rise anche se ogni volta che una persona parlava della propria famiglia lei si sentiva un vuoto al cuore.
- E invece tuo padre cosa fa? - chiese Daniele in tutta innocenza. Non poteva sapere che il padre di Rebecca se n’era andato molto tempo fa senza neanche dirle addio e non poteva sapere quanto alla ragazza mancasse una figura paterna.
Tuttavia, quando lui si accorse dell’improvviso cambio d’umore della compagna, schiarì la voce e decise di cambiare argomento.
- Comunque… lo sai come chiamo il giorno del compleanno del mio cane? Green day. Una volta lo segnai sul calendario con il pennarello rosso e i miei amici pensarono che mi riferissi ai Green Day, il gruppo musicale. Ci è voluto un giorno per spiegargli tutta la storia -.
Rebecca sorrise e, anche se lo fece quasi impercettibilmente, Daniele fu grato di quel sorriso. La conosceva da appena un giorno ma già sapeva di essersi affezionato molto.
Pochi minuti dopo i due furono costretti a lasciarsi e a salire nei rispettivi autobus per tornare a casa.
Il primo giorno di scuola, in fondo, non era poi andato tanto male: si erano dimostrati tutti gentili e amichevoli nei confronti della nuova arrivata. Soprattutto il professore, che lasciò perdere un’ora di lezione per far sentire Rebecca a suo agio.
Nelle altre scuole, gli insegnanti non osavano perdere neanche un secondo e, spesso, non si accorgevano di avere nuove ragazze in classe, presi com’erano da compiti e interrogazioni.
Rebecca avrebbe tanto desiderato raccontare la giornata al padre, ma non c’era più. E non poteva sfogarsi con la madre perché lei non si faceva trovare mai a casa.
A volte mancava per tutto il giorno e non lasciava neanche qualcosa da mangiare alla figlia.
Chissà come sarebbe bello vivere in una famiglia come quella di Daniele pensò.
Vedeva spesso, quando usciva, bambini con i propri genitori giocare a pallone e divertirsi un mondo. E ogni volta che cercava di ricordare sé stessa da bambina le lacrime si facevano sentire e la nostalgia le attanagliava il cuore.
Rebecca chiedeva solo una persona con cui stare insieme ed essere felice, niente di più.
 
 

*

 
Christian tornò a casa con la sua fedele Alfa Romeo Giulietta bianca, pranzò con tutti i suoi parenti e poi si chiuse nel suo studio per perfezionare la sorpresa che, il giorno seguente, avrebbe presentato alla 4°C.
Nonostante cercasse in tutti i modi di concentrarsi, non riusciva a togliersi dalla testa i suoi occhi neri e quel profumo alla vaniglia che emanavano i suoi capelli.
Le sembrava una ragazza intelligente, anche se era solo il suo primo giorno in quel liceo.
Ricordò la sua voce fragile, la sua risata mozzafiato… poi fece un salto in bagno, si lavò il viso e si schiaffeggiò mentalmente: basta pensare a Rebecca.
Cosa poteva fare? Era la sua alunna e Christian di lei sapeva solo il nome e l’età.
Il loro rapporto poteva essere solo ed esclusivamente professionale.
Sbuffò, tornò con gli occhi fissi sul suo computer ma niente da fare. Si arrese all’idea che ormai la sua mente l’aveva abbandonato e stampò i fogli necessari per la lezione del giorno successivo.
Poi si affacciò dal balcone e iniziò a fumare una sigaretta. Lo faceva sempre quando c’era un pensiero dentro di lui che lo assillava e voleva liberarsene.
Suo padre lo aveva pregato un centinaio di volte di smettere con quelle sigarette che erano dannose per la salute ma, soprattutto, rovinavano la perfetta reputazione della famiglia Bianchi. Infatti Christian, tra tutti, era l’unico a cui piacesse il fumo.
Un po’ lo aiutava anche per la sua inettitudine: fumare, bere, distrarsi…ogni scusa era buona per liberarsi dalla sua parte peggiore. Senza esagerare, però.
Una vibrazione proveniente dalla sua tasca destra lo riportò con i piedi per terra.
Ehi prof, hai da fare stasera?
Era il suo amico Stefano, il suo migliore amico Stefano. Anche lui di famiglia ricca.
Si conoscevano dalle medie e, ai bei tempi delle superiori, uscivano spesso insieme per fare colpo sulle ragazze. Ma a quel gioco, ovviamente, non era mai il professore a vincere…
Dipende…che vuoi fare?
Andiamo a caccia di pollastrelle, fratello! Non dirmi che preferisci stare rinchiuso tutto il giorno al buio come un vampiro e leggere stupidi blog di adolescenti…
Christian sorrise.
Una parte di lui voleva mentire ma un’altra voleva uscire e “divertirsi” con il suo migliore amico. Una birra, una sigaretta, un po’ di gente per stare in compagnia e della buona musica era ciò che occorreva per distrarsi.
Passo da te alle 21. Non fare tardi.
Rispose Stefano, leggendolo nel pensiero.
Dopodiché Christian tornò dentro, chiuse la finestra e si preparò mentalmente a fare la solita figura da uomo inetto.
 
Alle 21.40 i due erano già nel locale. Che non era il solito locale dove andavano spesso ma un pub frequentato da giovani e turisti di tutto il mondo.
Christian ordinò un succo alla pesca mentre si guardava intorno: l’ambiente era tipico da discoteca, con la musica sparata a palla e i ragazzi a scatenarsi al centro della pista.
Stefano, seduto vicino a lui, aveva già ordinato la sua immancabile birra e si scambiava sguardi di fuoco con ragazze carine che gli passavano davanti.
Christian non sapeva come né perché, ma tutta Roma era a conoscenza del suo bene economico e non c’era persona che osasse anche solo controbattere ciò che il prof affermava. Gente come lui aveva la strada spianata, un futuro assicurato, dei leccapiedi assicurati, ragazze carine al proprio fianco assicurate.
Lui poteva permettersi le ville più belle, le donne più belle, le barche più belle…eppure, per quanto tutto ciò potesse sembrare soddisfacente, a Christian i soldi non regalavano la felicità.
- Fratello, guarda là -.
Stefano diede una piccola spinta sulla spalla dell’amico per ricevere la sua attenzione, poi indicò un piccolo palco in fondo al locale sul quale era appena salito un tizio in abito elegante.
La musica assordante di un secondo fa divenne sempre più bassa fino a fare spazio ad una nuova canzone: Pobre diabla. *
- Buonasera, signore e signori - esordì l’elegantone sopra al palco.
Poi iniziò a dire un sacco di cose inutili, senza senso, che Christian non stette neanche a sentire finché al suo posto non salirono due ragazzi
O meglio.
Un ragazzo sconosciuto.
E una ragazza, invece, molto famigliare.
Troppo famigliare.
- Guarda che figa la ballerina – commentò Stefano, ignaro di qualsiasi cosa.
Al professore gli ci vollero dieci minuti per realizzare di non trovarsi in un sogno e altri dieci minuti per chiudere la bocca rimasta aperta dallo stupore.
Si sentiva stranamente a disagio ad avere davanti la figura della sua nuova alunna Rebecca che si strusciava e si muoveva di fronte ad un totale sconosciuto e voleva solamente tornare a casa.
O andare da qualunque altra parte, ma non lì.

















* http://www.youtube.com/watch?v=9A4L0Rnnapk



Salve, gente!
Come va?  Io bene, se escludiamo il fatto che settembre si sta avvicinando sempre di più…
Comunque, che ve ne pare del capitolo? Eh si, Rebecca è anche ballerina. Volevo scriverlo poi però ho ritenuto la cosa migliore farvi una specie di “sorpresa” ed eccoci qui.
Fatemi sapere attraverso una recensione ciò che vi passa per la testa!
Grazie del supporto e dell’affetto che mi dimostrate. Vi voglio bene :*
 
P.S. vi piace la foto che ho aggiunto, sopra? Ve li immaginavate così i personaggi oppure no? Scrivetemi tutto :P





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Capitolo 3
*** 2. ***


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Tu, llegaste a mi vida para enseñarme.
Tu, supiste encenderme y luego apagarme.
Tu, te hiciste indispensable para mi.












2.





Quando Rebecca tornò a casa dal suo primo giorno di scuola, ad aspettarla c’erano solo una marea di scatoloni e polvere. Aveva troppa fame per fare finta che andasse tutto bene, così riprese il suo fedele zaino e si incamminò per Roma alla ricerca di un bar, ristorante o pizzeria.
Camminò per svariati minuti, ripensava ai suoi compagni di classe, poi la sua attenzione fu catturata da una porta a vetri sulla quale era appeso un volantino giallo e fucsia.
Gara di ballo.
Gara di ballo?!
Si, c’era proprio scritto “gara di ballo”.
Cerchiamo ballerini di classica, hip-hop, reggaeton e contemporanea.
Rebecca restò a fissare quel volantino dalle scritte colorate a lungo, ripensando a quando era solo una bambina e il padre l’aveva iscritta al suo primo corso di danza.
Aveva iniziato con la danza classica, poi, con il passare del tempo, imparò alla perfezione l’hip-hop, il reggaeton e la contemporanea.
Le piaceva danzare, era come uno sfogo, e ora che cominciava a ricordare iniziava a mancarle tremendamente il palco.
Forse era un segno del destino o pura coincidenza, ma Rebecca desiderava più di ogni altra cosa informarsi su questa gara di ballo. Strappò via il volantino ed entrò nel locale spingendo la porta a vetri.
Era un pub. Un pub stra-pieno di gente nonostante fossero solo le 13.30.
Sui tavoli di legno, molti turisti si erano riuniti per pranzare mentre un uomo del locale era intento a spazzare per terra e ripulire il pavimento.
Rebecca ignorò tutta la gente e si avvicinò al bancone dei cocktail dove un ragazzo riccioluto molto simile a Chad di  High school musical le diede il benvenuto sorridendo debolmente.
- Ciao - disse - sei qui per la gara di ballo? - con l’indice indicò il volantino che la ragazza stringeva fra le mani e le si avvicinò un po’ di più, poggiando il gomito del braccio sinistro sul bancone.
- L’ho notato solo ora e volevo qualche informazione in più -.
- Bene, stiamo cercando sei ragazzi i quali dovranno poi battersi, due per volta, per conquistare il terzo, il secondo e il primo posto. La gara inizia stasera alle nove e mezzo mentre le prove ci saranno alle quattro. C’è un problema però… - il ragazzo simile a Chad si alzò improvvisamente in piedi e sbuffò portandosi le mani sui fianchi -…per ora ci sono solo cinque persone e se non riusciamo a trovarne un’altra entro oggi pomeriggio, possiamo anche dire addio a questa gara. Il reggaeton è praticamente sconosciuto, qui in Italia -.
- Io lo conosco, è uno dei miei generi preferiti. Sono venuta qui proprio per saperne di più e per iscrivermi -.
Quando Rebecca terminò quest’ultima frase, a Chad vennero gli occhi a forma di cuoricino e sorrise.
- Sul serio? Cioè…sei venuta qui per iscriverti alla gara? -.
- Si, mi piacerebbe - ricambiò il sorriso e lasciò il volantino sul bancone.
- Grande! Però chi arriva terzo paga da bere per tutti -.
Quelle parole crearono un po’ di confusione nella testa di Rebecca che, fino ad allora, non aveva pensato alle conseguenze.
Se avesse perso avrebbe dovuto spendere un sacco di soldi in bibite e cocktail, cosa che non poteva permettersi essendo in una situazione economica disastrosa che sembrava non avere soluzioni. Ma non voleva arrendersi, mollare lì il suo nuovo “amico” e alzare i tacchi: non avrebbe perso quella gara. Anzi, sarebbe arrivata prima e si sarebbe anche divertita un mondo.
- Allora oggi pomeriggio alle quattro fatti trovare qui per le prove e stasera iniziamo, ci stai? - il ragazzo tese una mano verso Rebecca e lei la strinse, felice del nuovo accordo.
- Ci sarò -.
 
Due ore dopo Rebecca era di nuovo in quel pub con una tuta nera e fucsia e il suo immancabile zaino.
Nonostante fosse in anticipo di mezz’ora, trovò ugualmente il ragazzo con cui si era accordata poco prima, il quale la fece entrare nel locale (chiuso appositamente per permettere ai ragazzi di fare le prove) e si presentò.
- Piacere, mi chiamo Martin -.
- Ciao Martin, io sono Rebecca - si strinsero nuovamente la mano, stavolta con tono più amichevole.
- Sei pronta per conoscere i tuoi sfidanti? - chiese lui con espressione divertita.
- Non vedo l’ora! -.
- Allora vieni -.
Martin la portò dietro ad un piccolo palco in fondo al pub dove altri cinque ragazzi (tre uomini e due donne) stavano chiacchierando innocentemente mentre facevano riscaldamento.
- Iniziamo dal tuo primo sfidante: Lorenzo - indicò un ragazzo moro, alto, muscoloso e con gli occhi verdi il quale, quando sentì il suo nome, voltò lo sguardo e sorrise, ammiccando.
- Lei invece è Cristina - Martin stavolta indicò una ragazza dai capelli rosso fuoco.
- Giulia - un ragazza mingherlina, bassa, con dei capelli biondi legati a treccia.
- Marco e Antonio - che probabilmente dovevano essere fratelli, visto i loro lineamenti molto simili.
- Sarei lieto di farti conoscere anche il presentatore, ma non è ancora arrivato. Comunque voi intanto iniziate a provare e se hai bisogno di qualcosa non esitare a chiamarmi - Martin sorrise e lo stesso fece Rebecca, stupita da tanta gentilezza.
- Grazie mille -.
E detto questo, raggiunse gli altri ballerini iniziando il riscaldamento.
 
Le prove erano andate divinamente.
Rebecca non aveva impiegato più di un’ora per stringere rapporti amichevoli con tutti e scherzava continuamente con il suo primo sfidante Lorenzo su chi avrebbe portato a casa la vittoria.
Marco e Antonio, si, erano fratelli, e facevano parte di una dance crew che era anche la loro famiglia, essendo stati abbandonati dai genitori biologici all’età di due e tre anni.
Giulia viveva con delle sue amiche perché la madre e il padre erano in procinto di divorziare e non facevano altro che urlarsi contro.
Cristina, invece, era sola perché i suoi erano morti pochi anni prima e la danza era l’unica cosa che le era rimasta.
Ognuno di loro, lì, aveva una storia diversa che somigliava molto a quella di Rebecca. Cercavano la felicità e, in attesa di quest’ultima, ammazzavano il tempo come meglio potevano.
Non era una vera e propria sfida, quella a cui i ballerini stavano andando in contro ma piuttosto un gioco. Un gioco che stava iniziando abbastanza bene visto che Rebecca non era ancora stata attaccata dai ricordi e non aveva ancora pianto pensando al padre.
Così, tra risate e passi di danza, arrivarono in fretta le nove e mezzo e, mentre il presentatore (che si chiamava Giuseppe) informava i presenti sulla gara, Rebecca era dietro le quinte con Lorenzo accanto.
Martin le aveva fatto gli auguri pochi minuti prima e lei ora si stava mangiando le unghie dal nervoso: non voleva né doveva perdere. Altrimenti chi l’avrebbe sentita sua madre?
- Ed ora chiamo sul palco i primi sfidanti: Rebecca e Lorenzo. Che vinca il migliore! -.
Il presentatore lasciò il palco ai due ragazzi, la musica partì e Rebecca si ritrovò poco dopo a ballare quasi senza accorgersene.
Nei primi minuti fu un po’ tesa, poi tutta la tensione in lei si sciolse, si avvicinò al suo sfidante quasi per provocarlo e continuò a muoversi senza esitazioni e senza paura. Si divertì un mondo e quando la canzone terminò e fu costretta a scendere, seguì una per una anche le esibizioni dei suoi nuovi amici.
Fantastiche!
Si muovevano come se non avessero ossa nel loro corpo. Non erano loro che possedevano la danza ma era la danza che si impossessava di quei ragazzi.
Sembravano imbattibili, ognuno doveva meritarsi il primo premio, ma a vincerlo fu uno solo: Antonio.
Rebecca arrivò seconda e Lorenzo arrivò terzo.
Così, quando il locale si svuotò e Martin appese il cartello con scritto “chiuso” alla porta, i ballerini scesero dal palco e ordinarono un drink gentilmente offerto dal terzo classificato.
Chiacchierarono per quasi due ore: chi si era già imbottito di alcol chi, invece, non aveva toccato bicchiere ma era rimasto nel gruppo ad ascoltare e fare battutine.
Rebecca era una di quest’ultime. Sapeva che era ormai passata la mezzanotte e che avrebbe fatto meglio a tornare a casa, ma si stava divertendo un mondo con tutta quella gente e non aveva voglia di abbandonarla.
Nonostante ciò, però, non riusciva a smettere di pensare che lei e la madre non sarebbero rimaste a Roma per sempre e che proprio per questo motivo sarebbe stato meglio troncare i rapporti sul nascere per evitare di starci male dopo.
Per quanto poteva tenerci, non se la sentiva di stabilire vere e proprie amicizie. Per questo si staccò, agguantò la borsa di fretta e uscì in fretta dal pub, ringraziando.
- Ehi Rebecca, te ne vai già? -  Martin la bloccò proprio tra la porta del locale e il marciapiede, impedendo a Rebecca di uscire definitivamente.
- Si, è molto tardi e mia madre si starà preoccupando -  era una scusa. Ovvio che la madre non avrebbe mai fatto caso all’assenza della figlia.
- Va bene, ok - Martin sorrise e la lasciò andare.
- Ti sei appena fatta degli amici, qui, perciò non abbandonarci e torna alla prossima gara che organizzeremo, ok? -.
Rebecca si sentì improvvisamente un nodo alla gola, ma rispose:
- Con piacere - e sgattaiolò via prima che qualcun altro potesse impedirglielo-.
 
 

*

 
 
- Buongiorno ragazzi -.
- Buongiorno prof -.
E’ così che iniziava ogni santa giornata di Christian.
Un buongiorno che poteva essere un serio buongiorno, o un buongiorno detto solo così per cortesia.
Quello era di sicuro un buongiorno confuso.
Dopo l’accaduto dell’altra sera, le immagini della sua alunna e di quel ragazzo che si esibivano in  una delle danze forse più provocatorie e sensuali del mondo…meglio sorvolare. Altrimenti non avrebbe fatto altro che pensare e questo e si sarebbe distratto.
Poi oggi il professore aveva portato ai suoi cari alunni la sua fantomatica sorpresa sperando con tutto il cuore che venisse apprezzata.
- Ragazzi, la lezione di oggi non sarà una normale lezione - iniziò, estraendo i fogli dalla cartella e cominciando a passarli per i banchi - ma una lezione speciale -.
Finì di distribuirli prima di spiegare meglio e, quando si avvicinò al banco di Rebecca, fece di tutto per non incontrare il suo sguardo anche se, doveva ammetterlo, era veramente una gran fatica.
- Cos’è questo? - chiese un’alunna, impaziente.
- E’ la mia storia - rispose il professore.
Gli occhi di venti ragazzi gli si attaccarono addosso, incuriositi, e un lieve chiacchiericcio iniziò a diffondersi tra gli ultimi banchi.
- Si, cioè, non la mia storia da quando sono nato ad ora. E’ una storia inventata dal sottoscritto che aspira a diventare un grande libro -.
- Ma, prof, non c’è il titolo - sottolineò un’altra studentessa.
- No, a me piace inserire il titolo solo alla fine -.
Christian si fermò un attimo ad osservare i suoi allievi: la maggior parte sfogliava senza neanche metterci attenzione. Poi fissò Rebecca, la quale stava già leggendo la prima pagina e aveva un sorriso stampato sul viso. Sembrava piacerle, la sorpresa, e questo fu un sollievo per il cuore del professore.
Almeno qualcuno apprezza…
- Vi ho portato queste fotocopie perché - iniziò Christian - vorrei dei vostri pareri, dei vostri consigli. In fondo, i protagonisti, sono ragazzi come voi e chi meglio della mia amata 4°C può analizzare e migliorare piccoli dettagli non indifferenti? -.
Ci fu un momento di silenzio, poi Christian continuò.
- Per la prossima settimana dovrete leggere il primo capitolo che vi ho stampato e poi lasciarmi un vostro parere. Così correggerò dove necessario. Ci sono domande? -.
Nessuno alzò la mano, poi, dopo qualche minuto, Luca Ponte tornò all’attacco.
- Posso andare in bagno? -.
Solito guastafeste.
- Si, vai -.
Ponte uscì dalla porta e il resto della classe lanciò frecciatine al suo banco vuoto come per sottolineare la totale mancanza di rispetto e la maleducazione.
Christian non ci faceva mai troppo caso.
- Prof ma noi abbiamo molta meno esperienza rispetto a lei, il nostro aiuto non sarebbe inutile? – chiese una ragazza molto timida, alzando a malapena il braccio esile.
- Ti sbagli, cara - il professore si accomodò sulla cattedra (non si metteva mai seduto sulla sedia, posto in cui, invece, avrebbe dovuto stare) e guardò i suoi ragazzi pronto per una delle sue solite lezioni.
- Quanti di voi hanno un sogno? - chiese.
All’inizio solo quattro alzarono la mano, poi, piano piano, tutta la classe.
- Siamo tutti sognatori, anche io, alla vostra età, avevo un sogno. Volevo fare lo scrittore, o meglio, volevo essere una di quelle persone che insegna agli altri a non arrendersi mai. Oggi sono qui proprio per questo: se avete dei sogni, non abbandonateli. Non si è mai troppo giovani né troppo vecchi per desiderare e sperare, così come non si ha mai né troppa né poca esperienza per realizzare i sogni -.
Si avvicinò alla ragazza che aveva parlato poco prima e continuò.
- Mia cara, se vi ho portato questi fogli oggi è perché vi ritengo dei ragazzi responsabili e maturi a cui la società sta tagliando le ali per volare in alto e raggiungere i propri limiti. Al diavolo chi pensa che siate solo dei liceali, quasi condannati alla scuola per conto di mamma e papà. No, io non vi vedo così, vi vedo soltanto come dei piccoli uomini e delle piccole donne che hanno dei sogni a cui si stanno allontanando perché la realtà altro non permette. Voi aiuterete me con questo libro e io aiuterò voi con le vostre ambizioni e desideri perché non importa quanto vi sentiate inutili, impotenti. Ve l’ho detto: ognuno è speciale a modo suo e voi per me siete speciali. Uno per uno -.
Luca Ponte rientrò improvvisamente in classe e Christian sorrise, raggiungendolo per spettinargli i capelli.
- Anche lui - aggiunse ridendo.
- Infine - continuò -  non disperate e non lasciate la speranza a marcire nel vostro vaso -.
La classe scoppiò in una risata generale.
Daniele guardava il suo prof con ammirazione.
Rebecca lo guardava con gli occhi lucidi.
Quello a Roma non era l’inizio di una nuova vita.
Quello era l’inizio di inferno e paradiso insieme.

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Capitolo 4
*** 3. ***


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Saranno i sorrisi degli altri
quelli che non ti aspetti
a non farti sentire
i tuoi difetti.

 







 




3.

- Il prof Bianchi è pazzo - concluse Daniele, raggruppando le fotocopie con la sensibilità di un uomo primitivo.
Nel frattempo Rebecca, quasi senza accorgersene, aveva già letto il prologo e metà del primo capitolo aspettando l'autobus in compagnia del suo amico. Era la prima volta che riceveva compiti a casa che non fossero di una noia mortale ma, soprattutto, era la prima volta che un professore si lasciava controllare da studenti alle prime prese con la vita.
Di solito una persona adulta e capace non fa correggere quello che in futuro potrebbe diventare un libro a un branco di diciassettenni scapestrati, e per questo, Rebecca, nel suo piccolo, un po' si sentiva importante.
Forse dal suo giudizio sarebbe dipeso poi il futuro di una persona.
-..per quanto possa sembrare inquietante, credo di stimarlo - continuò Daniele, guardando spesso a destra e a sinistra nel tentativo di rintracciare l'auto - voglio dire, è dal primo anno che parla sempre del suo libro, del suo sogno di diventare scrittore, ed ora finalmente ci è riuscito. Vorrei avere la sua forza di volontà! -.
Rebecca restò a fissare qualche minuto il suo compagno, stupefatta da quelle parole.
- Da quanto tempo è che il prof Bianchi insegna in questa scuola? -.
- Sicuramente da più di quattro anni. E' molto giovane rispetto al resto degli insegnanti però gli studenti tengono a lui come se fosse...un comune mortale -.
Daniele rise per la battuta ma Rebecca era troppo presa dai propri pensieri per lasciarsi andare.
Quel discorso a fine lezione l'aveva mandata fuori di testa: sogni, speranza, felicità...erano cose ormai sparite nella vita grigia di una diciassettenne come lei. Eppure i ragazzi a quell'età dovrebbero essere spensierati, pieni di voglia di vivere e di fare.
Forse, l'unico momento davvero felice nella vita di Rebecca era stato l'altra sera, al pub, con i suoi amici ballerini a sfidarsi e a prendersi in giro per poi finire in bellezza con qualche drink e qualche sbronza.
Dalla scomparsa del padre, la vita non era più "vita" ma una vera e propria lotta per la sopravvivenza dove non esistevano amici o famigliari pronti ad aiutarti: ognuno faceva per sé.
- Eccolo, finalmente! - sentenziò il ragazzo, alzandosi improvvisamente in piedi e facendo scattare, così, anche Rebecca.
- Allora ci vediamo domani - disse lui prima di scomparire seduto su un sedile e di infilarsi gli auricolari del suo Ipod nelle orecchie.
Rebecca ricambiò il saluto con un cenno del capo e aspettò che l'autobus si fosse allontanato prima di ritornare seduta e continuare ad aspettare.
Si accomodò e riprese la lettura da dove era stata interrotta, sicura che l'avrebbe terminata entro ventiquattro ore e che avrebbe potuto trovare il tempo anche per rileggere il tutto.
 
 
Qualche ora più tardi, Rebecca (sola a casa, come sempre) si era arrangiata con il cibo e aveva già concluso il “libro” del professore scrivendo anche una specie di recensione che avrebbe poi mostrato al diretto interessato. Concluse tutti i compiti assegnatole entro le cinque del pomeriggio e, non avendo niente da fare, decise di uscire e recarsi in libreria per comprare l’ultimo libro della sua saga preferita: Harry Potter e i Doni della Morte.
Iniziò a leggere la saga del maghetto qualche anno prima e, da quel giorno in poi, non riuscì più a farne a meno. Infatti, spesso, si divertiva anche a leggere fan fiction riguardanti ciò oppure vagabondare per siti internet fondati dalle fan per eccellenza.
E’ affascinante quante cose siano in grado di fare i libri pur essendo così, apparentemente, silenziosi.
Non a caso Rebecca li preferiva rispetto ai film.
Il cielo, quella sera, non presagiva niente di buono: le nuvole in arrivo erano nere e cariche di pioggia. Tuttavia, Rebecca, ogni volta che entrava in una libreria, si sentiva a suo agio, si sentiva bene, nonostante il mondo esterno fosse tutto tranne che piacevole.
Girava per gli scaffali, leggendo titoli a destra e a manca in cerca di una nuova avventura. Vedeva la vita dietro ogni titolo, amore dietro ogni pagina.
La scrittura è la migliore amica dell’uomo: ascolta e percepisce tutto ciò che tu hai da dirgli e lo conserva dentro di essa come se fosse la cosa più preziosa, senza giudicarti. E’ la prima a consolarti se sei triste, la prima a condividere la gioia insieme a te se sei felice. Ti accoglie tra le sue braccia e ti porta in quel mondo fantastico, infinito, dove non serve avere nulla se non un’immaginazione senza confini.
Quel mondo in cui a Rebecca piacerebbe più di qualsiasi altra cosa vivere perché, si sa, la fantasia è sempre migliore rispetto alla cruda realtà.
Finalmente scorse il libro che stava cercando ma, quando allungò una mano per afferrarlo, qualcun altro aveva avuto il suo stesso pensiero e ciò che Rebecca sfiorò non era decisamente la copertina. E ne ebbe la conferma quando, alzando lo sguardo, riconobbe il viso del suo compagno Daniele.
Le orecchie della ragazza divennero di un rosso acceso.
- Non ci credo - disse Daniele sorridendo - anche tu conosci Harry Potter? -.
- Chi è che non conosce Harry Potter? - rispose lei sforzandosi con tutta se stessa di non sembrare imbarazzata. Quel contatto le aveva fatto male.
- Hai ragione - ammise lui. Prese l’ultima copia del libro che segnava anche la fine della saga e lo porse, gentilmente, alla ragazza senza smettere di sorridere.
- No, no. Prendilo tu -.
- No, lo do a te -.
- No, insisto -.
- Dai, io ho anche visto il film. Per me il libro può benissimo aspettare -.
Il ragazzo pronunciò quest’ultima frase con talmente tanta gentilezza e sincerità che Rebecca non seppe rifiutare ancora. Restò ferma immobile incastrata negli occhi di lui lasciando che Daniele le prendesse le mani per passarle il libro.
- Non dirmi che sei anche su Pottermore - chiese infine, sciogliendo un po’ la tensione venutasi a creare.
- Si, sono anche lì -.
- Fantastico! Se mi dai il tuo nickname sarò lieto di sconfiggerti a duello -.
Rebecca iniziò a ridere per la sfacciataggine del ragazzo.
- E se tu mi dai il tuo, di nickname, io sarò lieta di far perdere punti alla tua casa -.
- In quale casa sei? -.
- Grifondoro -.
- Grifondoro?! - chiese lui di rimando, sgranando gli occhi.
A Rebecca venne di nuovo da ridere.
- Io sono Serpeverde, cara. Hai perso a priori -.
Stavolta fu lei a sgranare gli occhi dallo stupore: non avrebbe mai immaginato una cosa del genere. Il finto stupore, però, durò ben poco perché Daniele riprese a scherzare e a prendere in giro Rebecca scatenando in quest’ultima una reazione mai vista prima.
Continuarono a parlare per minuti, forse ore, senza smettere un minuto di ridere e di essere squadrati dai proprietari della libreria che, ogni tanto, lanciavano loro sguardi sospetti.
Avrebbero preferito continuare a discutere fuori, all'aria aperta, ma aveva cominciato a diluviare e l’ombrello di Rebecca era rimasto a casa a farsi gli affari suoi. O forse era semplicemente lei ad esserselo dimenticato.
Fatto sta che con Daniele si sentiva benissimo, riusciva a ridere, ad essere spensierata, e se era questo il loro rapporto dopo neanche una settimana di scuola, figuriamoci cosa sarebbe diventato con il passare del tempo.
Forse era meglio non pensarci, visto che il viso della ragazza si fece immediatamente cupo.
Daniele se ne accorse.
- Ehi - disse, richiamando la sua attenzione - ti va di fare una scommessa? -.
- Spara - rispose lei, curiosa.
- Devi riuscire ad arrivare fino a quell'albero laggiù senza bagnarti - le indicò un punto non troppo lontano dalla libreria dove un albero quasi spoglio si ergeva in mezzo al grigio delle palazzine di fianco.
- Come faccio ad arrivare lì senza bagnarmi? Sta diluviando -.
- Se guardi bene c’è tutto un sentiero - Daniele si avvicinò ancora di più – puoi, per prima cosa, riparati sotto il tendone laggiù, poi correre di qua e finire sotto il balcone di quel palazzo. Da lì poi sei arrivata, devi soltanto essere veloce e ben attenta a dove metti i piedi -.
- E se io vinco che ci guadagno? -.
- Ehm, non so…una cioccolata calda? -.
A Rebecca quella specie di gioco sembrava decisamente stupido e infantile ma accettò comunque. Una bella cioccolata calda con quel tempo non le avrebbe fatto male.
Così camminò lentamente verso l’uscita: la pioggia batteva prepotente contro i vetri, il vento faceva volare le foglie e le pozzanghere in terra riflettevano tutto il grigio della città. Sarebbe stato praticamente impossibile non bagnarsi ma che importava? Bisognava almeno provare.
Poggiò il piede sinistro davanti quello destro, prese un bel respiro e, senza pensarci, iniziò a correre a perdifiato verso il punto asciutto più vicino pregando di non inciampare o fare figuracce simili.
Quando riaprì gli occhi, Rebecca si trovò sana e salva (ma soprattutto ancora completamente asciutta) sotto il tendone distante neanche un metro dalla libreria. Si girò, sorrise a Daniele e poi cercò di riacquistare concentrazione per passare al rifugio successivo. Di questo passo la ragazza avrebbe raggiunto quel maledetto albero in pochi secondi e avrebbe affondato il suo naso freddo in un mucchio di panna soffice. Ma fu proprio quando Rebecca si stava concentrando sul suo premio che qualcosa andò storto: la tecnica del “chiudi gli occhi e corri a perdifiato” non aveva funzionato.
Infatti Rebecca, correndo, era andata a finire in una pozzanghera, il suo piede era scivolato e adesso si trovava sdraiata a terra, bagnata dalla testa ai piedi e sporca. Il suo incubo peggiore si era realizzato.
Cercò di alzarsi in piedi ma la schiena le faceva troppo male per permetterglielo. Restò seduta finché non sentì qualcuno correre verso di lei e le orecchie tornarono rosso fuoco.
Aveva fatto una figuraccia non indifferente.
- Stai bene? - chiese Daniele, comparendo all'improvviso. Aveva un’espressione abbastanza preoccupata dipinta sul volto ed era completamente fradicio. Lo divenne ancora di più quando si inginocchiò per aiutare la ragazza ad alzarsi.
- Ho perso la scommessa - fu l’unica cosa che Rebecca riuscì a dire.











SCUSATE SCUSATE SCUSATE SCUSATE E ANCORA SCUSATEMI PER IL MIO SUPER MEGA EXTRA RITARDO!
Vi giuro che farò tutto il possibile affinché non accada più ma, se proprio vogliamo dirla tutta, la colpa non è soltanto mia, è anche di quella maledettissima cosa chiamata scuola. Prendetevela anche con lei u.u
Comunque, che si dice gente?
Io vi dico solo che ci ho messo una settimana per scrivere questo schifo di capitolo (dopo qualche giorno che passi senza pensare alle tue storie, l’ispirazione fa i bagagli e se ne va. Chissà perché…) e che vi sto preparando una bella sorpresina. Ma non aggiungo altro, altrimenti che sorpresa sarebbe? :P
Vi ringrazio per la vostra pazienza, la vostra disponibilità e vi ringrazio soprattutto per la vostra esistenza: io senza di voi non sarei nulla. Spero che continuerete a seguirmi anche se non sarò più disponibile ventiquattro ore su ventiquattro com’ero quest’estate (purtroppo).
Ringrazio anche le fantastiche persone che mi hanno tenuto compagnia su ask: siete tutti bellissimi :*
Alla prossima!


 

ASK : http://ask.fm/yourloveisalie_

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