Therapy

di Blue Fruit
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Papà, perchè dovrei andarci? ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo V ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII Parte Prima ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII Parte Seconda ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX ***
Capitolo 11: *** Capitolo X ***
Capitolo 12: *** Capitolo XI ***
Capitolo 13: *** Capitolo XII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 15: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XV ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 20: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 21: *** Capitolo XX ***
Capitolo 22: *** Capitolo XXI Epilogo ***



Capitolo 1
*** Papà, perchè dovrei andarci? ***


Buon Natale a tutti :)
Questa è la prima ff che pubblico, e spero che questo capitolo possa incuriosirvi un pochino. Non c'è ancora molto pepe, ma è solo l'inizio infondo :)
Buona lettura :)



“Papà, non credi che il lutto sia ormai stato elaborato, da entrambi?” Chiese Kurt a suo padre con un tono leggermente infastidito.
“Non si può mai sapere Kurt… E in ogni caso ti farebbe bene avere la possibilità di parlare liberamente con qualcuno di competente, non credi?” Burt evitava accuratamente di incrociare lo sguardo del figlio, rivolgendo tutta la sua attenzione sul motore di una vecchia auto.
“Potrei farlo tranquillamente con la Pillsbury, se volessi. Sarebbe la stessa cosa.” Disse Kurt, lasciando trapelare tutto il suo scetticismo.
“La psicologa della tua scuola ha un altro numero infinito di pazienti di cui occuparsi, non potrebbe darti la giusta attenzione di cui hai bisogno, e…”
“Di quale attenzione stiamo parlando?” Kurt cominciò ad agitarsi.
“Nessuno in particolare figliolo!” Si affrettò a precisare il meccanico.
“Semplicemente penso che sia più utile avere per te tutta l’attenzione possibile. Inoltre la Pillsbury la vedi ogni giorno, potresti non sentirti completamente libero nel parlare con lei.”
“Non mi sono mai sentito a disagio, su questo proposito.”
Burt posò la chiave inglese con la quale stava lavorando, cercò di togliersi dalle mani il vecchio grasso lasciato dall’auto, e prese un lungo respiro:
“Senti Kurt, io non posso costringerti a fare nulla, e lo sai. Quello che ti sto offrendo ora è solo una possibilità che tu sei libero di prendere in considerazione o meno. Ho prenotato una seduta con la dottoressa Renth per venerdì alle 18.00 e ti pregherei di andarci senza fare troppe storie, cosa hai da perdere?”
“Nel caso poi non ti sia piaciuto, non ti interessi o che so io perfetto, avrai la piena libertà di non andarci più.
Voglio solo il tuo bene Kurt, e vorrei che anche tu lo desiderassi per te stesso.”
Al sentire queste parole il ragazzo dagli occhi color del mare sciolse la sua tensione con un sorriso rivolto al padre, e non poté far altro che abbracciarlo.
 
Le prove con il Glee erano sempre il momento più divertente della giornata.
Per quanto esso fosse creato dalle personalità più disparate, diverse, problematiche, e talora in conflitto era un gruppo che nei momenti del bisogno sapeva essere unito e produttivo.
Kurt era al suo ultimo anno lì al Mckinley High School, e non passava giorno senza che lui e Rachel, la sua migliore amica, trascorressero dei piccoli momenti a fantasticare sulla loro prossima vita a New York.
Sì, Kurt voleva abbandonare Lima il più in fretta possibile.
Era l’unico ragazzo gay di tutto la scuola, e questo lo rendeva la facile mira di qualsiasi tipo di atto di bullismo da parte di ogni ignorante che vagasse per quei corridoi.
Kurt ne aveva abbastanza, ma teneva duro perché sapeva perfettamente che molto presto tutto questo sarebbe finito.
 
DRRRIIIIIIINN!
“Bene ragazzi, per oggi abbiamo finito. Ci vediamo lunedì, non scordatevi il compito della settimana!” Mr. Schuester era il professore che si occupava di tenere in piedi il Glee, difendendolo dai continui attacchi astutamente crudeli della coach dei Cheerios.
“Ragazze, che ne dite di fare un giro al centro commerciale?” Propose Rachel.
“Io ci sto! Tina?” Disse Merchedes.
“Sì, va bene. Quinn, Santana, Brittany?”
“Abbiamo le prove dei Cheerios, la Sylvester ha triplicato le ore di allenamento.” Rispose la ragazza dai capelli corvini.
“Ma è legale?” Chiese Artie.
“No, ma sta di nuovo ricattando il preside. Fossi in lei starei attento professore, è il prossimo della lista.”
Santana rivolse uno sguardo noncurante a Schuester, il quale salutò frettolosamente i ragazzi e si precipitò nell’ufficio di Figghins.
“Io passo” Disse piano Kurt.
“Ma perch… Ah già, è vero.” Rachel scambiò uno sguardo d’intesa con il ragazzo, il quale le aveva chiesto di non parlare con gli altri dell’ “appuntamento” a cui Kurt sarebbe dovuto andare quel pomeriggio.

Se avete commenti, critiche o altro scrivetelo pure, sarò felice di leggerli :)

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Kurt non aveva voglia di guidare quel pomeriggio, si sentiva particolarmente stanco.
Gli venne spontaneo chiedersi se questo suo stato fosse da attribuire alla fine di una lunga settimana scolastica, o se invece fosse solo creato dal poco interesse e dalla poca fiducia che attribuiva a questa seduta.
Chiese a suo padre di accompagnarlo.
 
Lo studio si trovava una via tranquilla vicino al centro di Lima.
La facciata della casa era di color pesca, e sul balcone vi erano alcuni vasi completamente gelati a causa del freddo inverno di quel periodo.
Da questo e da altri piccoli dettagli Kurt ipotizzò che quell’edificio non fosse solo lo studio, ma anche la casa della dottoressa Renth.
Suo padre si avvicinò al campanello per suonare, e subito il portone in legno verde aprendosi fece uno scatto.
Kurt bloccò suo padre sulla soglia, subito prima che potesse appoggiare un piede dentro al cortile:
“La seduta durerà solo un’ora, vero?” Il ragazzo cominciava a sentirsi a disagio, e ad essere sincero cominciò ad avvertire anche un po’ di ansia.
Non parlava mai molto volentieri di sua madre, e neanche dei maltrattamenti che doveva subire a scuola.
Il primo argomento gli infondeva sempre una grande tristezza e malinconia, riusciva ad affrontarlo solo in presenza di persone dotate di una grande sensibilità e con cui si sentiva davvero al sicuro, in sintonia e in confidenza. Non era solito elargire la sua fiducia a chiunque.
Il secondo lo rendeva nervoso e feriva il suo orgoglio, perché Kurt cercava sempre e comunque di mostrarsi forte agli occhi degli altri, capace di sopportare questo ed altro.
“Certo. Anche di meno, se lo riterrai opportuno.” Burt gli regalò un sorriso davvero confortante.
 
Entrarono nel cortile e salirono le scale, senza indugiare oltre.
Alla fine della scalinata la porta era aperta su una piccola stanza tinta di un vivace giallo, al cui interno si trovava una signora seduta ad una grande scrivania nera.
“Buona sera signori, benvenuti nello studio della dottoressa Renth. Avete un appuntamento?” La donna era circa sulla cinquantina, aveva i capelli tinti di una chiara sfumatura nocciola, colore che riempiva anche i suoi occhi. Era molto sorridente, tanto che pareva realmente felice di vederli.
Kurt rivolse un sorrisetto alla donna e poi la lasciò conversare con suo padre. Era molto incuriosito dall’ambiente in cui si trovava, non era mai stato nello studio di una psicoterapeuta. Cominciò a guardarsi intorno.
C’era un insolito odore di fiori freschi nell’aria, probabilmente era l’effetto dato da qualche costoso profumo per ambienti.
Le pareti erano tappezzate di quadri astratti dai colori tenui e dalle forme morbide, curvilinee e tondeggianti. Tutti erano rigorosamente senza cornice, e questo insignificante dettaglio stranamente attirò l’attenzione di Kurt.
All’improvviso la porta si aprì, e dietro di essa apparve una figura femminile di altezza media, dai capelli corvini né lunghi né corti e gli occhi nocciola.
“Ciao Burt!” Disse, alzando la mano in segno di saluto.
“Ciao Mary!” Rispose sorridendo l’uomo.
Kurt guardò suo padre con aria interrogativa.
“E’ la figlia di un mio caro cliente figliolo, ti ricordi di Joseph? Ecco, lei è sua figlia.” Rispose Burt, alla domanda letta negli occhi del figlio.
“Buona sera Kurt, ti stavo aspettando. Prego, entra.” La dottoressa non smise un secondo di sorridere.
Kurt deglutì, e rigidamente cominciò a dirigersi verso la porta.
Nel chiuderla si girò un ultima volta verso suo padre per cercare un po’ di appoggio, e trovò uno sguardo molto sereno di Burt che, raccolta una rivista automobilistica, si era già accomodato su una poltrona.
 
Kurt cominciò a guardarsi intorno con aria imbarazzata, senza sapere bene cosa dire o cosa fare.
C’è forse un protocollo da seguire in queste situazioni?
La nuova stanza di per sé era carina: le pareti erano tinte di un forte blu che però non rendeva scuro l‘ambiente, grazie anche alle ampie finestre che riempivano di luce la stanza.
C’erano molte piccole mensole traboccanti di libri di ogni genere, una scrivania con un computer e tutto l’occorrente per scrivere, delle rose bianche fresche appoggiate ad un tavolino (ecco spiegato il profumo di prima), e alcune poltrone all’apparenza molto comode.
“Prego Kurt, accomodati pure.”
Si sedettero l’uno di fronte all’altro.
“Prima di iniziare vorrei chiarire un paio di cose, se non ti dispiace.” Il suo tono era molto tranquillo e gentile.
“Questo primo incontro è una prova, per entrambi. Non sarai costretto a tornare, come io non sarò obbligata ad accettarti come paziente.
Allo stesso modo, non sarai mai costretto a rispondere alle varie domande che io ti porrò, se non lo riterrai opportuno.”
“Come ultima cosa devi sapere che io collaboro con un altro giovane che sta concludendo la sua specializzazione, sta svolgendo qui nel mio studio una specie di tirocinio. Potrà essere presente ad alcuni dei nostri incontri, se in futuro ce ne saranno. E’ una cosa che per te potrebbe andare bene?”
“S-sì, credo di sì.” Rispose un po’ spaurito Kurt. Non si aspettava tanta franchezza da quella donna, ma era una caratteristica che comunque apprezzava molto.
“Ho dovuto chiedere un paio di informazioni su di te a tuo padre, spero non ti dispiaccia.”
“No, si figuri.”
“Bene. Ciò che più mi ha colpito è che hai perso tua madre quando eri piccolo. Posso toccare questo argomento?” La donna non usò un tono distaccato, ma neanche pieno di pietà o cose di questo genere.
A Kurt piacque anche questo, ma non si sentiva ancora pronto.
“Preferirei di no, mi scusi tanto.” Kurt abbassò lo sguardo, cose se avesse fatto un torto alla dottoressa.
“Non ti preoccupare, nessun problema.” Lei gli rivolse un sorriso come per tranquillizzarlo.
 
TOC, TOC, TOC!
Questo rumore fece trasalire entrambi, ma la dottoressa si ricompose subito:
“Avanti.”
“Permesso. Scusami Mary se ho tardato tanto, ho avuto un paio di faccende da sistemare in università.”
“Non ti preoccupare, abbiamo appena iniziato.” Rispose la dottoressa.
Il ragazzo si tolse il cappotto e la sciarpa, prese un blocco appunti
con una penna dalla sua borsa, e prese posto vicino a Mary.
“Piacere, mi chiamo Blaine Anderson. Sono il tirocinante della dottoressa Renth.”
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Kurt rimase per un secondo ad osservare il ragazzo: era vestito in un modo impeccabile (cosa che Kurt apprezzò molto), aveva i capelli corti neri intrappolati in una quantità di gel non indifferente, ma con un buon profumo che ricordava vagamente della frutta.
Gli occhi erano molto interessanti, erano di un colore verde intersecato con un chiaro castano, quasi un oro.
Kurt non aveva mai visto delle iridi con un colore così particolare.
“Salve, io sono Kurt Hummel.” Gli porse la mano, e nel ricevere la stretta del ragazzo percepì tutta la sua agitazione.
Che fosse timido?
Cercò allora il suo sguardo, e il moro gli rivolse un sorriso molto imbarazzato.
Sì, era timido.
Kurt si chiese come mai avesse scelto questo lavoro, in cui si è costretti a relazionarsi con un gran numero di estranei.
“Bene Kurt, questo è il tirocinante di cui ti ho parlato poco fa. Ora possiamo proseguire.
Dimmi, frequenti il Mckinley?”
“Sì…”
“Non mi sembri molto entusiasta, ti trovi male in quella scuola?”
“Bè…” Kurt non sapeva cosa rispondere.
“Ho frequentato anche io quel liceo. Non era il massimo, ma ho potuto contare su qualche amico mentre ero lì.” La dottoressa Renth cercava in ogni modo di metterlo a proprio agio.
“Anche io ho fatto alcune amicizie, ma…” Kurt fece un respiro profondo, e si prese del tempo per cercare le parole adatte.
La Renth gli lasciò tutto il tempo di cui aveva bisogno, senza mettergli alcuna fretta. Egli lo apprezzò molto.
“La maggior parte degli alunni in quella scuola vive nell’ignoranza  nonché nella chiusura mentale più totale, e alcuni di loro mi danno fastidio.” Gli venne quasi da ridere nell’usare quest’ultima parola, era davvero troppo leggera in confronto a ciò che lui doveva realmente subire, ma preferì non entrare troppo nei particolari perché non voleva affrontare il tema della sua sessualità.
Anderson trasalì nell’udire l’ultima frase detta da Kurt, come se avesse pronunciato chissà quali parole.
Blaine cominciò a scavare nello sguardo del ragazzo in cerca di qualcosa, ma egli abbassò subito quei grandi occhi blu mare e si mise in posizione di difesa, incrociando le braccia al petto.
Il moro interpretò al volo quel movimento come un simbolo di chiusura, e capì che aveva esagerato con l’invadenza.
“Kurt, nel caso in cui quel fastidio diventi qualcosa di più non esitare a parlarne con persone di cui ti fidi. Te lo dico per il tuo bene.” Blaine usò una voce molto gentile, tanto che il destinatario di quella frase rimase interdetto per qualche secondo.
“Io… Certo, grazie.”
La dottoressa Renth osservò entrambi per qualche secondo, e alla fine sorrise compiaciuta.
“Bene signori, il tempo a nostra disposizione è finito.” Si alzò dalla sedia, e i due ragazzi fecero lo stesso.
“E’ stato un piacere conoscerti, Kurt. Lascia il tuo numero alla segretaria, tra qualche giorno di chiamerò per dirti se ti avrò accettato o meno come paziente.”
“E io le dirò se avrò intenzione o meno di tornare qui, da lei.” Si sorrisero a vicenda.
“Grazie anche a lei, signor Anderson.” Si girò verso il moro sorridendo, e lui scoppiò a ridere.
“E’ strano sentirsi dire “signore”, chiamami pure Blaine.” Kurt lo guardò attentamente, e si accorse di come tutta la timidezza di prima fosse scomparsa, lasciamo spazio ad una personalità serena, disponibile e rassicurante.
 
Una volta tornato a casa Kurt trovò suo padre ad aspettarlo nella cucina, intento a preparare la cena.
Burt gli fece alcune domande molto interessate sulla seduta, ma il ragazzo non ebbe problemi nel rispondere.
Era andata bene.
Uscito dallo studio si era sentito estremamente tranquillo, non era stato così difficile o tremendo come invece si sarebbe aspettato, le domande della dottoressa erano state abbastanza generiche. Solo quella sulla madre era risultata un po’ pesante, ma siccome non era stato obbligato a rispondere non si era rivelato un problema.
“Bene figliolo, posso sperare che tu voglia continuare con queste sedute?”
Kurt sospirò.
“Mi dispiace papà, ma la mia risposta è no. Sento che non sarebbero di nessun aiuto, scusa.”
 “Non importa, figliolo. Grazie per aver accettato di provare.”
 
 
“Allora Blaine, quali considerazioni sei riuscito a trarre?” La dottoressa Renth versò un po’ di thè dentro a due tazze molto colorate.
“Pochissime, non ha detto praticamente nulla. E’ molto riservato, prudente e intelligente, credo.” Il moro prese la sua tazza e cominciò a sorseggiare la scura bevanda, aveva un buonissimo e delicato sapore di pesca.
“Bene. Ho notato che ha la capacità di rispondere alle domande in un modo che sembra esauriente, ma in realtà non scalfisce che la superficie della vera risposta.” Anche la dottoressa prese la sua tazza.
“Mmmh, non lo avevo notato.”
“C’è un mondo celato dietro ogni sua singola parola.” Disse la donna, dopo aver bevuto un sorso di thè.
“E questo, può essere legato ad una forma non indifferente di sensibilità?”
“Assolutamente. Non ha neanche 18 anni, ma le varie vicende della sua vita lo hanno già sensibilizzato a dovere, senza contare che è maturo per la sua età perché ha dovuto crescere in fretta.”
“Come, scusa?”
“Oh, è vero! Non ti ho ancora dato tutti gli appunti che ho su di lui. Sono sulla mia scrivania, prendili pure.”
Blaine avvertì uno strano brivido dentro di sé, non aveva mai avuto una tale curiosità verso la vita di un paziente.
Forse perché quel ragazzo era molto particolare, o particolarmente complicato.
Prese in mano una bustina con sopra scritto “Kurt Hummel” e la mise nella sua borsa, l’avrebbe letta più tardi.
“Quindi, lo accetterai come tuo paziente?”Chiese sorridendo Blaine.
“Credo di sì, ma mi prenderò ancora un po’ di tempo per pensarci.”
Anche la dottoressa Renth gli sorrise, e insieme si avviarono fuori dallo studio.
 

Kurt rimase per un secondo ad osservare il ragazzo: era vestito in un modo impeccabile (cosa che Kurt apprezzò molto), aveva i capelli corti neri intrappolati in una quantità di gel non indifferente, ma con un buon profumo che ricordava vagamente della frutta.
Gli occhi erano molto interessanti, erano di un colore verde intersecato con un chiaro castano, quasi un oro.
Kurt non aveva mai visto delle iridi con un colore così particolare.
“Salve, io sono Kurt Hummel.” Gli porse la mano, e nel ricevere la stretta del ragazzo percepì tutta la sua agitazione.
Che fosse timido?
Cercò allora il suo sguardo, e il moro gli rivolse un sorriso molto imbarazzato.
Sì, era timido.
Kurt si chiese come mai avesse scelto questo lavoro, in cui si è costretti a relazionarsi con un gran numero di estranei.
“Bene Kurt, questo è il tirocinante di cui ti ho parlato poco fa. Ora possiamo proseguire.
Dimmi, frequenti il Mckinley?”
“Sì…”
“Non mi sembri molto entusiasta, ti trovi male in quella scuola?”
“Bè…” Kurt non sapeva cosa rispondere.
“Ho frequentato anche io quel liceo. Non era il massimo, ma ho potuto contare su qualche amico mentre ero lì.” La dottoressa Renth cercava in ogni modo di metterlo a proprio agio.
“Anche io ho fatto alcune amicizie, ma…” Kurt fece un respiro profondo, e si prese del tempo per cercare le parole adatte.
La Renth gli lasciò tutto il tempo di cui aveva bisogno, senza mettergli alcuna fretta. Egli lo apprezzò molto.
“La maggior parte degli alunni in quella scuola vive nell’ignoranza  nonché nella chiusura mentale più totale, e alcuni di loro mi danno fastidio.” Gli venne quasi da ridere nell’usare quest’ultima parola, era davvero troppo leggera in confronto a ciò che lui doveva realmente subire, ma preferì non entrare troppo nei particolari perché non voleva affrontare il tema della sua sessualità.
Anderson trasalì nell’udire l’ultima frase detta da Kurt, come se avesse pronunciato chissà quali parole.
Blaine cominciò a scavare nello sguardo del ragazzo in cerca di qualcosa, ma egli abbassò subito quei grandi occhi blu mare e si mise in posizione di difesa, incrociando le braccia al petto.
Il moro interpretò al volo quel movimento come un simbolo di chiusura, e capì che aveva esagerato con l’invadenza.
“Kurt, nel caso in cui quel fastidio diventi qualcosa di più non esitare a parlarne con persone di cui ti fidi. Te lo dico per il tuo bene.” Blaine usò una voce molto gentile, tanto che il destinatario di quella frase rimase interdetto per qualche secondo.
“Io… Certo, grazie.”
La dottoressa Renth osservò entrambi per qualche secondo, e alla fine sorrise compiaciuta.
“Bene signori, il tempo a nostra disposizione è finito.” Si alzò dalla sedia, e i due ragazzi fecero lo stesso.
“E’ stato un piacere conoscerti, Kurt. Lascia il tuo numero alla segretaria, tra qualche giorno di chiamerò per dirti se ti avrò accettato o meno come paziente.”
“E io le dirò se avrò intenzione o meno di tornare qui, da lei.” Si sorrisero a vicenda.
“Grazie anche a lei, signor Anderson.” Si girò verso il moro sorridendo, e lui scoppiò a ridere.
“E’ strano sentirsi dire “signore”, chiamami pure Blaine.” Kurt lo guardò attentamente, e si accorse di come tutta la timidezza di prima fosse scomparsa, lasciamo spazio ad una personalità serena, disponibile e rassicurante.
 
Una volta tornato a casa Kurt trovò suo padre ad aspettarlo nella cucina, intento a preparare la cena.
Burt gli fece alcune domande molto interessate sulla seduta, ma il ragazzo non ebbe problemi nel rispondere.
Era andata bene.
Uscito dallo studio si era sentito estremamente tranquillo, non era stato così difficile o tremendo come invece si sarebbe aspettato, le domande della dottoressa erano state abbastanza generiche. Solo quella sulla madre era risultata un po’ pesante, ma siccome non era stato obbligato a rispondere non si era rivelato un problema.
“Bene figliolo, posso sperare che tu voglia continuare con queste sedute?”
Kurt sospirò.
“Mi dispiace papà, ma la mia risposta è no. Sento che non sarebbero di nessun aiuto, scusa.”
 “Non importa, figliolo. Grazie per aver accettato di provare.”
 
 
“Allora Blaine, quali considerazioni sei riuscito a trarre?” La dottoressa Renth versò un po’ di thè dentro a due tazze molto colorate.
“Pochissime, non ha detto praticamente nulla. E’ molto riservato, prudente e intelligente, credo.” Il moro prese la sua tazza e cominciò a sorseggiare la scura bevanda, aveva un buonissimo e delicato sapore di pesca.
“Bene. Ho notato che ha la capacità di rispondere alle domande in un modo che sembra esauriente, ma in realtà non scalfisce che la superficie della vera risposta.” Anche la dottoressa prese la sua tazza.
“Mmmh, non lo avevo notato.”
“C’è un mondo celato dietro ogni sua singola parola.” Disse la donna, dopo aver bevuto un sorso di thè.
“E questo, può essere legato ad una forma non indifferente di sensibilità?”
“Assolutamente. Non ha neanche 18 anni, ma le varie vicende della sua vita lo hanno già sensibilizzato a dovere, senza contare che è maturo per la sua età perché ha dovuto crescere in fretta.”
“Come, scusa?”
“Oh, è vero! Non ti ho ancora dato tutti gli appunti che ho su di lui. Sono sulla mia scrivania, prendili pure.”
Blaine avvertì uno strano brivido dentro di sé, non aveva mai avuto una tale curiosità verso la vita di un paziente.
Forse perché quel ragazzo era molto particolare, o particolarmente complicato.
Prese in mano una bustina con sopra scritto “Kurt Hummel” e la mise nella sua borsa, l’avrebbe letta più tardi.
“Quindi, lo accetterai come tuo paziente?”Chiese sorridendo Blaine.
“Credo di sì, ma mi prenderò ancora un po’ di tempo per pensarci.”
Anche la dottoressa Renth gli sorrise, e insieme si avviarono fuori dallo studio.
 
 
 
 
 
Capitolo un po' più lungo ma tranquillo, il bello arriverà presto ;)
MI farebbe piacere conoscere il vostro giudizio su questa storia, quindi se avete voglia commentate pure :)
Alla prossima, ciao :)

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Capitolo 4
*** Capitolo V ***


Buona sera a tutti! :)
Mi scuso per l'immenso ritardo con cui pubblico questo quinto capitolo, ma sono stata senza internet due settimane per dei problemi con la rete.
Spero che questo capitolo possa servire per farmi perdonare, buona lettura :)

Capitolo V
“Mary, hai un momento per me?” Blaine si affacciò alla porta semi aperta della stanza con uno sguardo molto bisognoso.
“Certo, dammi solo un secondo. Sto archiviando di dati di Hummel.” Rispose la donna, armeggiando con dei fogli in una delle tante librerie dello studio.
A Blaine per poco non venne un colpo.
“Ma perché!?”
Mary alzò uno sguardo molto sorpreso verso il suo assistente, e Blaine capì di aver fatto una domanda alquanto stupida.
Lavorava al fianco della dottoressa da mesi, e ormai conosceva fin troppo bene tutte le varie prassi riguardanti il materiale appartenente ai pazienti.
“Ragazzo mio, ti senti bene?”
Mary lasciò perdere le scartoffie, e con un cenno invitò Blaine a sedersi.
Aprì la porta, e cominciò a parlare con la segretaria:
“Margaret, avresti voglia di scendere al bar qui sotto e di prenderci due caffè e due muffin al cioccolato?” Mary indicò Blaine alla donna con un cenno del capo, così da farle capire quanto la commissione fosse urgente.
“Certamente dottoressa, vado subito.” La donna rispose con un sguardo d’intesa.
“Ehm… Penso che oggi per me sarebbe più adatta una cioccolata calda… Grazie” Intervenne timidamente Blaine.
Ad un tratto la situazione cominciò a divenire più chiara per la dottoressa: era successo qualcosa di davvero grosso.
Conosceva Blaine da appunto qualche mese, e aveva ormai imparato a capire che quando il ragazzo aveva una voglia spasmodica di cioccolato era perché stava interiormente male.
Mary venne affascinata da questo fatto sin dall‘inizio, era stata costantemente tentata dall’ indagare su quale potesse essere la causa di questa associazione tra lo stare emotivamente male e la cioccolata. Lei aveva ipotizzato che la risposta potesse essere qualche trauma infantile, e magari rimosso.
Questo connubio cioccolata-tristezza non era poi così inusuale, ma di solito veniva riscontrato nelle donne, e Blaine era il primo caso maschile della dottoressa.
“Faccio in un attimo!” Disse la segretaria, infilandosi il pesante cappotto.

Kurt stava disperatamente cercando di concentrarsi sulla sua lezione di algebra, ma purtroppo aveva perso il filo già dal secondo minuto dell’ora, sapendo bene che non ascoltando anche un solo procedimento non avrebbe capito nulla.
Così, all’alba del quinto minuto dal suono della campanella la sua mente era già altrove, divisa tra i sogni ad occhi aperti su New York, e lo studio molto più concreto della dottoressa Renth.
Era seduto con il torace completamente abbandonato sul banco e la testa fra le mani, come se fosse troppo pesante per contenere tutto.
Ammise a se stesso che non era stata una così brutta esperienza, ma anche che non gli aveva svelato chissà quale verità.
Le parole di Carole di quella mattina continuavano a pretendere attenzione, così come quelle di suo padre nei giorni precedenti.
Insieme ad essi arrivarono anche i consigli che Rachel gli aveva dato, dopo aver saputo che non voleva più continuare.
In quella moltitudine di suoni e di volti che avevano preso vita nella sua testa apparvero anche una coppia di occhi verdi intersecati d’oro, così espressivi da rubare la scena a tutto il resto per una manciata di istanti.
Kurt deglutì.
Lo sguardo dell’assistente lo aveva sicuramente impressionato, era così espressivo… Cercava in tutti i modi di infondergli calma e sicurezza, e il ragazzo lo aveva trovato un atteggiamento molto gentile da parte sua.
Era anche un bell’uomo a dirla tutta, ma Kurt ammonì se stesso per questo pensiero poco idoneo.
Con le guance arrossate cercò di darsi un contegno, e facendo finta di nulla riprese a seguire la lezione e a prendere appunti.
Naturalmente non capì assolutamente nulla della spiegazione, ma la mente si comporta sempre in questo modo: ti fa spostare l’attenzione su cose molto più futili per lavorare in pace.

Blaine addentò avidamente il suo enorme muffin color cioccolato, e subito dopo bevve un sorso di cioccolata calda.
Alla dottoressa parve di avere davanti un uomo che non mangiava da almeno due giorni.
“Allora Blaine, cosa ti è successo?”
Il ragazzo posò lo sguardo a terra:
“Ho litigato con Alessia, la mia ragazza. E’ successo altre volte naturalmente, ma oggi è stato diverso.”
Anche se tra di loro avevano molta confidenza Blaine non si era mai sbilanciato nel raccontare a Mary qualcosa sulla ragazza, era stato così tanto riservato che quella fu la prima volta in cui lei sentì pronunciare il nome della ragazza.
“Alessia, che nome particolare.”
“I suoi nonni materni erano italiani, migrarono in America molti anni fa.”
“A te piace l’Italia, se non ricordo male.”
“Sì, sì molto. Non capisco però come questo possa essere importante.” Blaine era confuso.
“Oh nulla, è un dettaglio di poco conto… Scusa, continua pure.”
Mary sperava che Blaine fosse così assorbito dal suo problema da dimenticare una celebre frase di Freud, secondo cui nulla avviene per caso e tutto ha uno scopo.
“Sì. Bè ecco, dopo la litigata di questa mattina non sono più sicuro dei sentimenti che provo nei suoi confronti.
Ero dispiaciuto nei suoi confronti perché il comportamento della sera precedente non era stato cortese, ma nulla di più.” Ammetterlo lo faceva visibilmente stare meglio.
“Il mutare dei sentimenti è un processo del tutto normale Blaine, può succedere a chiunque. Non devi sentirti in colpa perchè fa parte di ognuno di noi e, che Dio ce ne scampi, non è neanche una cosa soggetta al nostro pieno controllo.” Mary si tese verso di lui per sfiorargli la mano e lui l’afferrò con fermezza, ringraziandola con il suo sguardo pieno di gratitudine e di insicurezza.
“Ho un sacco di domande che mi assillano! Perché ora? Che cosa è successo? Che cosa è cambiato?” Si lasciò andare sullo schienale della sedia.
“Blaine, l’unico che ha le risposte in questo caso sei tu. Ha per caso cambiato una parte del suo carattere, di recente? Una sua aspirazione? Ha preso decisioni importanti senza prima consultarsi con te?” Mary sapeva quanto Blaine odiasse essere tenuto all’oscuro da qualsiasi cosa,per lui questa poteva essere una motivazione più che valida per cambiare sentimenti.
“No no, nulla di tutto ciò.” Si passò una mano sul viso e si coprì la bocca, sforzandosi di pensare.
“E dimmi, per quanto riguarda le sfera sessuale era tutto a posto tra di voi?”
Blaine sobbalzò all’udire quella parola.
Mary non gli aveva mai rivolto una domanda personale su quell’argomento anche se, visto il loro lavoro, si trovavano a discuterne ogni tanto.
“Blaine, non dirmi che ti senti in imbarazzo nel parlare di questo argomento, ti prego.” La dottoressa alzò un sopracciglio e squadrò il ragazzo come uno sguardo interrogativo, cosa che fece mettere a disagio ancora di più il moro.
“Ehm, ma certo che no. Solo che…” Il ragazzo cercò di inventare qualche scusa plausibile sul momento, ma alla fine decise di arrendersi a quella che era semplice verità.
“Che non c’è molto da dire, ecco.” Si strinse nelle spalle, abbassando lo sguardo rassegnato.
Stava rivelando tutti i dettagli più scomodi e imbarazzanti della vita a Mary, e si sentiva terribilmente vulnerabile.
Stranamente però un senso di leggerezza cominciò ad invaderlo, e da un certo punto di vista era felice di essersi lasciato andare con una persona così affidabile come lo era Mary.
Fremeva dalla voglia di poter ascoltare un consiglio obiettivo e mirato uscire dalle sue labbra, così da potersi attaccare ad esso e risolvere tutta quella situazione.
“Oh Cristo, Blaine! Ora non vorrai mica venirmi a dire che sei un verginello, vero?” La dottoressa era visibilmente sconcertata.
Questa fu la prima e l’ultima volta in cui il moro ebbe la possibilità di vedere la dottoressa Renth scomporsi.
“Ehm, no! Voglio dire…”
Si arrese del tutto, e decise di parlare a cuore aperto.
Era la prima volta dopo molto tempo che Blaine Anderson, il più promettente degli studenti, si permetteva di aprirsi realmente con un’altra persona.
“E’ successo una volta, all’inizio del nostro rapporto.
Avevamo passato una bella serata in compagnia di amici, e io avevo alzato un po’ troppo il gomito. Lei era un po’ allegra, da una cosa siamo passati all’altra e ci siamo ritrovati avvinghiati, nel letto del mio appartamento.
Io non ricordo molto di quella nottata, ma la mattina dopo entrambi ci sentimmo ben poco appagati.”
“E’ stato il primo rapporto per entrambi?” Mary era tornata a ricoprire il suo ruolo calmo e controllato.
“Sì, e infatti addossammo la colpa proprio a quello, come anche all‘alcool.
Poco dopo Alessia partecipò ad un seminario, dove le spiegarono quanto sarebbe stato bello per una coppia riuscire ad arrivare al matrimonio senza fare sesso.
Le misero in testa che sarebbe stato più rispettoso nei nostri stessi confronti, e le fecero credere che potesse essere il più grande atto d’amore che un uomo potesse riservarle.” Il tono del ragazzo esprimeva tutto il suo scetticismo.
“Aspetta, quindi con questo discorso mi stai dicendo che non solo hai accettato questa condizione senza esserne d‘accordo, ma anche che era stato fissato un matrimonio.” Mary era sempre più allibita, anche se cercava di non darlo a vedere.
“Lei cercò di dissuadermi dicendo che fare l’amore sarebbe stato bellissimo dopo tutto quell’aspettare, ma io accettai per il semplice fatto che non volevo rivivere a breve la situazione di quella prima volta. Era stato orribile, non mi ero mai sentito così a disagio in tutta la mia vita.
Il matrimonio è stato sognato dai nostri genitori e desiderato da Alessia, ma eravamo entrambi dell’idea che non sarebbe avvenuto molto presto.”
La dottoressa Renth non credeva che dietro ad un semplice cambiamento nei sentimenti di Blaine ci potesse essere così tanto materiale da prendere in considerazione, ne era sbalordita.
“Bene, ho raccolto abbastanza elementi per oggi.
Tu come ti senti?” Se la prima frase apparve estremamente professionale, la seconda svelò tutto il suo affetto nei confronti dell’amico.
“Meglio di questa mattina, non ho ancora risolto nulla ma tutto mi appare più chiaro, e mi ha fatto davvero bene parlarne.”
Senza alcun preavviso Blaine si alzò e abbracciò forte Mary, sussurrandole all’orecchio l’unica parola veramente utile in quel momento:
“Grazie.”

 

 

Con questo capitolo potete avere una visione più chiara del Blaine di questa storia, da qui in poi la storia è ufficialmente avviata. Prometto che nel prossimo capitolo sarà più presente anche Kurt, il suo ruolo sarà fondamentale ;)

Vi ringrazio tanto per tutti i commenti, sono sempre ben accetti :)

Alla prossima, buona settimana :)

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


Ciao a tutti :)
Voglio ringraziare chiunque abbia letto questa storia e naturalmente chi l'ha commentata, mi fa molto piacere leggere i vostri commenti :)
Questo capitolo è un po' più lungo dei precendi, e parla in modo particolare del moretto. Ci tenevo molto a presentarvi per bene il Blaine di questa storia :)
Buona lettura ;)


Blaine rincasò tardi quella sera.
Aveva passato più di due ore nella caffetteria di Lima a visionare le informazioni su Kurt sorseggiando lentamente un po’ di caffè, e non si era accorto dell’impercettibile scorrere del tempo.
Sapeva bene cosa sarebbe accaduto al momento del suo rientro, non era la prima volta, e al solo pensiero cominciò a provare un po’ di ansia.
Questa volta Alessia lo avrebbe lasciato dormire sul divano, o più probabilmente nella cuccia del cane.
Non cercò neanche di evitare di fare rumore nell’entrare dentro il loro appartamento, sapeva perfettamente che l’avrebbe trovata in salotto apparentemente intenta a guardare la televisione, mentre la sua mente in realtà stava solo meditando il modo migliore per fargli il terzo grado.
Posò la borsa su un mobile posto all’entrata del salotto, ma non ebbe il tempo di togliersi il cappotto che già la donna era davanti a lui, e lo fissava con un’espressione tra il curioso e il risentito.
“Dove sei stato? Avresti almeno potuto avvertirmi.”
“Mi dispiace, ho avuto da fare con il lavoro, e…”
“Basta.” Lo zittì lei.
“Non ho alcuna intenzione di ascoltare le tue scuse, ne riparleremo domani. Buona notte, spero che il divano sia di tuo gradimento.” Disse, quando ormai si trovava già in un’altra stanza della casa.
Blaine sospirò e rimase qualche secondo in piedi con gli occhi chiusi, non aveva neanche la forza per ribattere o arrabbiarsi.
Il divano ormai era il suo secondo letto, e soleva dividerlo con il suo labrador nero di nome Bach.
Il sofà era un po’ stretto, ma tra di loro c’era sempre stata una buona amicizia e quindi Bach, in notti come queste, gli dava volentieri asilo.
“Ehi, ciao bello. Mi fai un po’ di spazio, per favore?” Blaine accarezzò l’animale, e gli sorrise.
Bach cominciò a scodinzolare e scese dal divano, aspettò pazientemente che Blaine si fosse sistemato, e con un salto andò ad adagiarsi vicino a lui.
“Meglio un cane che una donna, vero Bach?” Si trovò a dire Blaine, prima di sprofondare nel sonno.
 
Il risveglio fu un po’ traumatico, Bach lo svegliava sempre alle prime luci dell’alba con qualche leccata di troppo.
“Mmmmh!” Blaine si passò una mano sul viso per liberarsi del “buongiorno” di Bach, e pian piano cominciò a mettere a fuoco la situazione: avrebbe dovuto affrontare una bella discussione mattutina con Alessia.
Blaine e la ragazza erano fidanzati da ormai tre anni, e convivevano da uno.
Tutti i loro amici e i vari parenti incoraggiarono e sorressero questa relazione sin dall‘inizio, sostenendo che insieme sarebbero stati perfetti.
Come dar loro torto?
Alessia era bellissima: magra e non molto alta, con ricci capelli castani e occhi di un verde molto intenso. Qualunque ragazzo indugiava su di lei con lo sguardo per qualche secondo, era impossibile non notarla.
Il suo corpo si sposava perfettamente con quello di Blaine, senza contare che entrambi erano molto intelligenti e provenienti da famiglie rispettabili.
Dal canto suo Blaine le voleva bene,  pensava anche di amarla, ma odiava tutte le pressioni che stava ricevendo da un po’ di tempo a questa parte dai genitori: entrambe le parti stavano aspettando con ansia un matrimonio.
Blaine si sentiva troppo giovane per questo genere di cose, perchè aveva solo 23 anni e non aveva ancora concluso i suoi studi, come anche Alessia con i suoi 22 anni e l’indirizzo di letteratura da portare a termine.
Sapeva, però, che gli pseudo-suoceri avrebbero coperto tutte le spese possibili a costo di vederli sposati.
Ne era un esempio il loro appartamento, perchè anche la decisione di andare a vivere insieme era partita dai loro genitori, che con il loro denaro provvedevano a tutte le spese.
Blaine cominciò a preparare la colazione per entrambi, sperando che un gesto carino di prima mattina potesse addolcirla, almeno un po’.
Mise sul fuco un po’ di latte, preparò il caffè e apparecchiò per loro due. Posò sul tavolo della marmellata di mirtilli, il pane in cassetta, il burro d’arachidi e una scatola di cereali, i suoi preferiti.
Soddisfatto del risultato decise di dedicare un po’ di tempo al suo tirocinio, così prese la sua borsa e tirò fuori un po’ del suo materiale.
Per l’ennesima volta la sua attenzione fu catturata dal fascicolo del nuovo paziente, il signor Hummel.
Kurt lo aveva colpito, in un modo che però Blaine non era ancora in grado di decifrare.
Questo, naturalmente, non fece altro che incuriosirlo e farlo interessare ancor di più a questo caso.
Avrebbe voluto scoprire di più sul suo conto e conoscerlo più approfonditamente, sperava di potergli dare una mano in qualche modo.
Era questo il motivo per cui Blaine aveva deciso di diventare psicoterapeuta: voleva riuscire a comprendere le persone, scavare dentro ognuna di loro fino a trovare le reali motivazioni delle loro paure, manie e comportamenti.
Era convinto di poter arrivare a capire la vera essenza di una persona.
Per ultimo, ma non per questo meno importante, voleva rendersi utile e fare del bene aiutando gli altri.
Ad un tratto fece la sua comparsa Alessia, avvolta in un leggero pigiama crema che metteva in risalto il suo corpo perfetto.
Il viso era ancora un po’ provato dal sonno, ma dalla sua espressione Blaine poteva capire che non aveva per nulla dimenticato ciò che era accaduto la scorsa notte.
Le sorrise, e attese silenzioso l’ennesima sfuriata.
La ragazza riempì la sua tazza con un po’ di latte misto a caffè, e prese posto vicino al moro.
La tensione, tra i due, era chiaramente percettibile.
“Non ho voglia di litigare questa mattina, Blaine” Lo disse senza guardarlo in faccia.
Il ragazzo deglutì.
“Ma penso di meritare un minimo di rispetto da parte tua, non credi?” La sua voce era molto bassa, si stava evidentemente sforzando di non mettersi ad urlare contro il suo ragazzo.
“No, non prenderla così…” Blaine cominciava ad avvertire un forte senso di colpa, non voleva ferirla.
Lei alzò la voce:
“E come dovrei prenderla, secondo te!?”
Blaine si rizzò dritto sulla schiena per lo spavento, e cercò in sé le parole giuste:
“E’ stata una mia svista, e credimi quando ti dico che mi dispiace tanto. Non era mia intenzione farti arrabbiare in questo modo, davvero. Ho perso di vista l’orologio perché stavo lavorando, e…”
“Blaine, se fosse la prima volta non starei qui ad arrabbiarmi e a litigare con te di prima mattina, non credi?” Lo interruppe lei.
Queste parole lo ferirono terribilmente, perché erano vere.
Stette per qualche secondo in silenzio, sperando di avvertire qualche forte sentimento negativo per ciò che aveva fatto alla sua ragazza, ma percepiva solo ed esclusivamente senso di colpa.
Si aspettava qualcosa in più, anche se neanche lui seppe ben definire questo “qualcosa”.
“Blaine, io ti amo. Tu mi ami?” Alessia alzò finalmente lo sguardo verso Blaine, e quando lui lo incrociò trovò due enormi occhi verdi imploranti e pieni di paura.
“C-certo, certo che ti amo!” Lo disse con troppa foga, ma lei sembrò non accorgersene.
“E allora, per favore, cerca di mettermi sullo stesso piano del tuo lavoro. Puoi migliorare, e lo sai.” Lo baciò lentamente sulle labbra, come per porre fine al discorso.
Blaine corrugò la fronte, ma si lasciò baciare.
“Vado a prepararmi, questa mattina ho lezione. Metti a posto tu la cucina?”
“Io… Certo, nessun problema.” Le sorrise.
 
Blaine sbrigò distrattamente i vari lavori di casa, in prenda ad ogni tipo di pensiero possibile.
Più cercava di indagare sui suoi sentimenti con un po’ di introspezione, più li avvertiva distanti e indecifrabili.
Erano come avvolti in una fitta nebbia nera, e anche usando tutta la sua buona volontà egli non sembrava in grado di capire cosa essa potesse nascondere.
L’amava?
Si sedette su una sedia, e con gli occhi pieni di tristezza e domande solo apparentemente retoriche si guardò intorno, e ad un tratto l’appartamento divenne troppo silenzioso e opprimente per i suoi gusti.
Si rese conto che solo di una cosa era certo: aveva bisogno di parlare con Mary.
 
Il ragazzo guardò il numero sul suo display, e immaginò a chi potesse appartenere.
“Pronto?”
“Ciao Kurt, sono la dottoressa Renth.”
“Oh, buongiorno.”
“Ti ho chiamato solo per dirti che ti accetto volentieri come paziente, e l’appuntamento sarebbe ogni venerdì alle 18, come la volta precendente.” La donna aveva sempre un tono davvero cordiale, tanto che si sarebbe potuto definire anche alla mano.
“Grazie mille dottoressa, ma ho deciso di non proseguire con le sedute.” Kurt usò un tono davvero molto formale.
“Capisco. In ogni caso non esitare a chiamarmi, in caso di bisogno.”
“Certo, grazie mille. Buona giornata, dottoressa.” Il ragazzo volle tagliare corto, si sentiva terribilmente a disagio.
“Grazie mille, anche a te.”
Una volta riattaccato il telefono tirò un sospiro si sollievo, e da come si rilassarono i muscoli notò quanto fosse teso durante la conversazione appena conclusa.
“Kurt, sei sicuro di aver fatto la scelta giusta?” Carole era in cucina, intenta a preparare della spremuta per colazione.
“Sì, la terapia non faceva per me.” Lui avrebbe dovuto recarsi a scuola di lì a poco, ma si concesse ancora qualche secondo sul divano per riprendersi, come se avesse fatto chissà quale sforzo per rispondere ad una telefonata.
“Va bene. Ricordati una cosa però: non c’è nulla di male nel chiedere aiuto, non è segno di debolezza.” La donna aveva un tono molto dolce.
“Scusa se te lo dico Carol, ma mi pare una frase fatta.” Kurt sembrava aver voglia di fare il polemico quella mattina.
“Bè tesoro, vengono dette così solo perché sono state dette un numero infinito di volte, ma nonostante questo c’è ancora qualcuno che non le mette in pratica, e allora bisogna ricordargliele perché sono sempre una valida traccia. Non credi?”
Kurt rimase un secondo senza parole davanti a questa piccola perla di saggezza.
“Ci penserò… Ora vado a scuola, a dopo!” Il ragazzo aprì la porta e la richiuse subito alle sue spalle, portandosi dietro molto su cui ragionare.
Carole, intanto, sorrideva tra sé e sé.



Spero vi sia piaciuto, alla prossima :)
 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


La pausa pranzo era forse il momento della giornata in cui gli studenti erano più attivi.
Probabilmente perché erano sollecitati dalla fame e dal pensiero che il più grosso della giornata era passato; ormai le pesanti lezioni mattutine lasciavano spazio alle varie attività extra-scolastiche offerte dal liceo.
Kurt era solito sedersi con gli altri membri del Glee club, cheerleades e sportivi compresi.
Era l’unico tavolo in cui le varie caste esistenti a scuola si mescolavano l’un l’altra, e l’effetto era alquanto esplosivo.
“Santana, vorrei ricordarti che non sei il Dio sceso in terra.”
“Ne sei sicura, nasona?”
Ecco, uno dei tipici litigi giornalieri tra Santana e Rachel.
“Senti poi da che pulpito! Non puoi sempre beccarti tutti gli assoli Berry, il mondo non gira intorno a te.”
“Io ho sempre avuto più assoli perché ho evidentemente più talento di te!”
“Scusa, puoi ripetere? Sai, la punta del tuo naso è così lunga che non riesco a capirti quando parli.”
Kurt si avvicinò velocemente a Mercedes, Tina e Brittany, non voleva rischiare di essere tirato in ballo da Rachel in quella discussione.
“Ehi dolcezza, come stai?” La Jones gli diede un buffetto sulla guancia.
“Kurt, tutto bene?” Tina gli porse questa domanda in modo molto delicato.
“Uh, ciao unicorno! Non per farmi gli affari tuoi, ma secondo me ti farebbe bene tornare da quella strizza cervelli. Anche io ne ho ingaggiato uno per Lord Tubbington, e anche se sta continuando a sperperare i suoi soldi sui siti dei scommesse online ora punta solo sul football, niente più combattimenti clandestini tra cani.”
Le altre due ragazze abbassarono lo sguardo, avrebbero dovuto sapere che Brit si sarebbe lasciata sfuggire qualcosa.
Kurt sbarrò gli occhi, e subito cercò lo sguardo di Rachel per fulminarla.
“Lo sanno tutti?!” Cercò di mantenere la calma, ma la sua voce tremava.
“Solo noi ragazze Kurt, ma non l’ho fatto per…”
“Tu mi hai tradito!” Ora il ragazzo era in piedi, con le guance rosse per la rabbia e la voce molto più alta di prima.
“No, l’ho fatto solo perché tutte vediamo quanto stai male. Lo ammetto: quando non ci sei Kurt discutiamo della tua situazione, ma solo perché siamo preoccupate per te.”
“E siamo tutte d’accordo nel dire che queste sedute potrebbero esserti di grande aiuto, Kurt” Quinn, che fino ad allora lo aveva osservato in silenzio, gli sfiorò il braccio per rassicurarlo.
Fece capolino nel cuore del ragazzo un piccolo sentimento di gratitudine e di affetto nei confronti delle sue compagne, ma non riuscì a sconfiggere il ben più forte orgoglio che lo caratterizzava.
Ci furono alcuni momenti di silenzio in cui nessuno seppe cosa dire.
Tutti erano ipnotizzati dagli occhi azzurri del giovane, perché sembravano contenere un mare in tempesta.
Anche i ragazzi si voltarono a guardarlo.
Finn stava per aprire bocca quando Kurt, senza aggiungere altro, si mise a camminare velocemente verso l’uscita della mensa.

Kurt andò a rifugiarsi in uno di quei luoghi che riuscivano a farlo sentire tranquillo e solo in quella scuola: le scale antincendio del cortile.
Nessuno lo aveva mai trovato, nessuno lo aveva mai disturbato, preso in giro o addirittura cercato lì.
Si sedette su un freddo scalino di metallo, e al solo contatto con quella superficie rabbrividì.
Era arrabbiato, confuso e… Anche dispiaciuto.
Perché quella, a suo modo, era stata una manifestazione di affetto da parte dei suoi amici.
Quando una persona si preoccupa per te ti vuole bene, e Kurt lo sapeva.
Si sentiva in colpa a dirla tutta, ma non voleva che questa notizia delle sedute si espandesse perché gli altri avrebbero cominciato a giudicarlo, o peggio ancora a provare pena per lui.
Respirò affondo per calmarsi, e poter analizzare la situazione in modo ragionevole.
Oltre ai giudizi degli altri c’era un’altra cosa che lo turbava terribilmente: era legato all’idea che andare da una psicoterapeuta lo avrebbe catalogato come un pazzo.
Ovviamente la sua parte più assennata sapeva perfettamente che non era così, ma ancora una volta i giudizi della gente lo stavano influenzando.
Da quando era diventato così?
Da quando egli dipendeva così tanto da ciò che gli altri potevano pensare di lui?
Conosceva la risposta:
Era diventato così nel momento in cui dal giudizio della gente dipendeva la sua incolumità quotidiana.
Riusciva a stare tranquillo e a non essere preso di mira solo se non attirava l’attenzione, se si mescolava nella massa.
Doveva essere come un fantasma, un qualcosa che non lascia traccia.
Se non lasci traccia non dai alle persone la possibilità di giudicarti, e di conseguenza di decidere se ti devono punire o meno.
Gli mancava la possibilità di potersi esprimere con i vestiti, qualche movenza, qualche esibizione un po’ più fuori dal normale.
Stava soffocando la sua natura per sopravvivere, ma più andava avanti e più capiva che così sarebbe morto dentro.
Alzò lo sguardo da terra per puntarlo verso un orizzonte grigio, pronto a portare molta acqua con sé.
Sentì una piccola punta di calore rigargli la guancia destra, ma la eliminò subito con la manica della maglia.
Kurt arrivò alla conclusione che, dopo tutto, non sarebbe stato male avere qualcuno con cui parlare.
Specie se quel qualcuno era così carino.

Nella stanza rimbombava un rumore sordo, ma a suo modo regolare.
Blaine era solo, e stava cercando di scaricare tutta la tensione accumulata da un po’ di giorni a questa parte.
Si muoveva abilmente, e sferrava colpi potenti e veloci al grande sacco da boxe davanti a lui.
Non sapeva da quanto tempo lo stesse colpendo.
Avvertiva la stanchezza assalirlo sempre di più, ma era accompagnata dalla piacevole sensazione dei muscoli in funzione, dell’adrenalina in circolo.
Ad ogni pugno si sentiva sempre più leggero, i suoi piedi più veloci e i suoi colpi sempre più precisi.
Blaine aveva due modi per sfogarsi:
Uno era rinchiudersi in camera a cantare e suonare, ma con Alessia in casa non se la sentiva proprio, mentre l’altro era la buona vecchia boxe.
Entrambi gli hobby erano stati affinati grazie ai club presenti nel suo vecchio liceo, la Dalton Academy.
Mentre sferrava quei colpi lasciava che i ricordi più brutti di quei giorni affiorassero nella sua mente, così da poterli tirare fuori e schiacciarli su quell’enorme sacco nero.
Un colpo, due, tre.
Alcuni erano davvero difficili da esorcizzare, ma alla fine era sempre lui ad averla vinta.
Sferrò un calcio molto potente quando pensò a quanto gli era costato parlare con Mary, spingendo il sacco molto lontano da sé.
Esso stava tornando indietro con molta velocità, e Blaine stava caricando l’ennesimo pugno da sferrargli quando ad un tratto, tra tutti gli altri ricordi, gli apparve il volto di Kurt.
Trattenne il respiro, tutta la violenza contenuta nella sua mano si affievolì in un istante, lasciandolo vulnerabile e spaesato.
Evitò di essere colpito dal sacco con un balzo di lato, ma ormai tutta la concentrazione che prima possedeva si era volatilizzata.
Si rese conto di essere stanco, così si accasciò a terra, con la schiena contro il muro per riposarsi.
Chiuse gli occhi, e si concentrò sul caldo sudore che gli stava colando sulle guance.
Il suo pensiero tornò a due sottili occhi azzurri, e questa volta si permise di indugiare un po’ di più su quel ricordo.
Il ricordo di Kurt.
Si alzò, deciso a fare una doccia e qualche telefonata.



 

Toc, toc, toc! C'è nessuno?
Ciao a tutti, amesso che ci sia qualcuno a leggermi, eccoci arrivati al sesto capitolo :)
Mi dispiace che il quinto vi abbia traumatizzati, era troppo? Scusate la mia mente deviata, ma nella mia testa quella era una trovata interessante.
Spero che questo possa interessarvi di più, ma mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate di questa storia, giusto per capire se non sulla via giusta o meno. Anche le critiche sono ben accette, siete liberi di dirmi che vi fa schifo :)
Comunque, questo capitolo preannuncia finalmente un altro incontro tra i nostri Kurt e Blaine, e questa volta sarà in un luogo più adatto di uno studio psicoterapeutico, promesso xD
Alla prossima, buona domenica :)

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Capitolo 7
*** Capitolo VII Parte Prima ***


Capitolo VII
Parte Prima

Buona sera a tutti :) Per prima cosa vorrei ringraziare tantissimo tutti quelli che hanno aggiunto questa storia alle seguite, grazie, grazie, grazie :D
Un grazie speciale va naturalmente alla coraggiosa che ha commentanto, fantastica ;)
Questo capitolo è particolarmente lungo, così ho deciso di dividerlo in due parti per non renderlo troppo noiso o pesante. Troverete dei link di you tube in queste due parti perchè la musica mi aviuta molto a scrivere e qui è parte integrante della storia.
Buona lettura :)

“Pronto?”

“Ehi, sono Blaine. Come stai, Mett?”
Il ragazzo dall’altro capo del telefono non poteva crederci, era davvero il vecchio Anderson quello con cui stava parlando?
“Amico, ma dove ti eri cacciato?! E’ da un sacco che non ci si sente, come stai?”
Matt allontanò il ricevitore ed urlò a pieni polmoni:
“Ragazzi, c’è Blaine al telefono!”
Si sentirono molti rumori di passi in sottofondo, accompagnati da qualche urlo di gioia e imprecazioni varie.
Sembrava che tutto il campus dell’università di psicologia stesse confluendo nella sala comune per salutare Blaine, e questo gli strappò un largo sorriso.
Cominciò a sentire qualche voce familiare rivolgersi al suo amico:
“Ehi Matt, come sta?”
“Sta ancora con quella là?”
“Torna a vivere qui?”
“Se mi lasciate parlare un secondo con lui magari riesco a sapere qualcosa, che dite?”
Si sentirono un paio di brontolii, ma poi tutti si zittirono per far sì che la conversazione potesse riprendere.
“Ciao ragazzi, mi siete mancati tutti. Scusate se in questi ultimi tempi non mi sono fatto sentire, ho avuto parecchio da fare con il tiricinio…” Ecco che il volto di Kurt tornava tra i suoi pensieri, pretendendo la sua attenzione per qualche istante.
“Non ti preoccupare, amico. Come sta andando con Alessia?”
Blaine poté quasi vedere tutti i suoi compagni impazienti di sentire la risposta.
Aveva trascurato parecchio i suoi amici da quando si era trasferito dal campus all’appartamento con Alessia: lei voleva passare ogni singolo momento del tempo libero con lui, e se la coppia usciva con altre persone esse erano appartenenti solo alla compagnia di lei.
Cercò di farla inserire nel suo gruppo un paio di volte, era normale che la ragazza di turno di uno di loro partecipasse alle loro uscite, ma lei li aveva etichettati come stupidi, insopportabili e portatori di una brutta influenza su di lui.
“Sto… Sto pensando li lasciarla. Sì, non fa per me, ecco.”
Dovette allontanare il ricevitore, perché altrimenti il boato di gioia dall’altro capo gli avrebbe rotto un timpano.
In seguito, Blaine giurerà di aver sentito il rumore di una bottiglia di vino stapparsi.
“Ragazzi, ma un po’ di rispetto!”
Matt zittì tutti i presenti, dopo di che continuò:
“Ci dispiace molto Blaine. C’è qualcosa che possiamo fare?”
“Portarlo a bere!” Il moro riconobbe la voce di Mark, il suo ex compagno di stanza insieme a Matt.
“Anderson ubriaco è la persona più libera e scanzonata della terra, è quello che ci vuole.”
Blaine rise di cuore. Prima di conoscere quei ragazzacci non aveva mai capito cosa potesse essere la vera amicizia, come anche il vero divertimento. Alcuni li aveva conosciuti alla Dalton Academy, mentre gli altri direttamente all’università privata di Lima.
“Mark, stai zitto. Che ne dici di una serata al Puledro Impennato? Potresti rivedere davvero tutti, fratello.”
“Sarebbe fantastico… Questa sera?” Il moro era impaziente di rivederli.
“Certo. Ci vediamo Blaine, stammi bene!”
Dalla sala comune si alzò un coro di saluti generale per lui, di certo la maggior parte di loro quella sera sarebbe stata presente.
“Il Puledro Impennato” era il locale di Lima in cui solevano incontrarsi gli universitari, specialmente quelli delle facoltà di psicologia, biologia e filosofia.
Era molto noto per le sue serate all’insegna della musica dal vivo e del karaoke, un ottimo posto per quelli come Blaine che amavano poter calcare il palco per qualche ora.
Un altro importante punto di forza del locale era il servizio bar, sempre fornito ed efficiente.
Era senza alcun dubbio il locale preferito di Blaine, e per tutta la giornata egli non riuscì a pensare ad altro.
O quasi.

“Finn, se ti azzardi ancora ad ingurgitare qualcosa convincerò Rachel a lasciarti. Non sto scherzando!”
Kurt non sopportava avere persone intorno mentre cucinava, specialmente se queste erano così golose come lo era Finn.
“Dai, non prendertela così Kurt. Se assaggio è solo perché adoro la tua cucina, è il mio modo per complimentarmi.” Rispose il ragazzo, con una faccia da bambino felice.
Alle volte Finn sapeva essere molto tenero, e questa era una di quelle. Non avrebbe voluto essere così aggressivo con Finn.
Kurt si era accorto di essere diventato facilmente irritabile, nervoso e sempre sulla difensiva, ma non riusciva a controllarsi.
Cosa stava succedendo?
La paura lo stava davvero trasformando dall’interno, facendolo diventare un soggetto orribile, una persona che Kurt non avrebbe mai voluto essere?
Rabbrividì al solo pensiero, e promise a se stesso che no, non sarebbe successo.
Aveva solo bisogno di più autocontrollo.
“Brrrrrr” Brrrrr”
Finn prese subito il suo cellulare per leggere il nuovo messaggio, e un largo sorriso si fece largo sulle sue labbra.
“Kurt, questa sera si esce tutti insieme. Cerca di non metterci troppo a prepararti, dobbiamo passare a prendere Rachel e Mercedes.” Il ragazzo era veramente entusiasta.
“Grazie, ma non ne ho molta voglia…” Non era vero, ma quella sera sentiva di non avere nulla di buono da offrire ai suoi amici.
“Ok perfetto, allora non andrò neanche io.” Il più alto fece spallucce.
“Cosa?!” Kurt strabuzzò gli occhi.
“Non lascerò mio fratello a casa da solo il venerdì sera. Starò qui a farti compagnia.”
“Fratellastro!” Kurt lo disse con troppa aggressività, e subito se ne pentì.
Si stava comportando da perfetto stronzo con una delle poche persone che stava cercando di aiutarlo.
Davvero un ottimo autocontrollo.
Calò il silenzio per qualche secondo, poi Finn sfoderò uno dei suoi mezzi sorrisi:
“No, per me sei mio fratello.”
Kurt lo guardò con gli occhi spalancati, pronti a liberare qualche lacrima.
Si trattenne con tutto se stesso, ma due di esse riuscirono a scappare.
Finn gli appoggiò la mano sulla spalla, e Kurt si buttò tra le sue braccia:
“Grazie”
“Ti voglio pronto per le 8.30. Questa sera ci divertiremo, promesso.”

Blaine si fermò davanti all’entrata per ammirare la parte esterna del locale.
Assomigliava molto ad una locanda: la facciata era costituita da mattoni rosso scuro, e il tetto era molto ampio.
In altro a sinistra spiccava l’insegna con un bianco cavallo sulle due zampe, e poco più in basso a destra vi era la porta, ampia e massiccia. Era di uno scuro legno di ciliegio, intersecata con delle iniziali molto eleganti.
Blaine sorrise, aprì la pensante porta e subito si trovò sopraffatto da quell’atmosfera che conosceva così bene.
Le mura erano di un bianco billante, il soffitto era alto e percorso da delle travi in faggio molto scure e spesse, a cui erano appese bandiere e piccole cianfrusaglie che facevano sembrare il tutto molto più vissuto e familiare.
La sala era molto ampia: il banco del bar si trovava subito sulla destra, ai lati erano disposti i grandi tavoli anch’essi in faggio.
Il centro della sala era libero, così da poter avere lo spazio per ballare e ascoltare la musica proveniente dal palco, che si trovava alla fine della sala. Non era molto grande, ma aveva un ottimo impianto di audio e luci.
Blaine fece in tempo a togliersi il cappotto, e poi li sentì:
( https://www.youtube.com/watch?v=47oPeQfoJ1E )

Do you ever feel like a plastic bag
Drifting throught the wind
Wanting to start again

Do you ever feel, feel so paper thin
Like a house of cards
One blow from caving in

Do you ever feel already buried deep
Six feet under scream
But no one seems to hear a thing

Do you know that tehre's still a chance for you
Cause there's a spark in you

You just gotta ignite the light
And let it shine
Just own the night
Like the Fourth of July

Cause baby you're a firework
Come on show 'em what your worth
Make 'em go "Oh, oh, oh!"
As you shoot across the sky-y-y

Eccoli lì.
I suoi amici erano già sul palco a dare spettacolo, con una piccola folla ai piedi del palco che insieme a loro cantava, ballava e li guardava incuriosita.
Matt e Mark naturalmente erano lì in mezzo.
Si stavano scambiando  abilmente i versi da cantare, e lasciavano che gli altri creassero la base e si muovessero intorno a loro.
Appena videro Blaine Mark saltò giù dal palco continuando a cantare, passò in mezzo alla folla e lo trascinò letteralmente sul palco.
Il moro cominciò a cantare insieme agli altri, e venne messo in mezzo dal palco per lasciarlo ballare.
Tutto il gruppo sapeva quanto Blaine Anderson fosse bravo nel ball

 
Allora, questa prima parte vi ha convinto? :)
Di solito mi piace descrivere luoghi e personaggi, ma ho lasciato Mark e Matt senza volto di proposito perchè vorrei sapere da voi come sono, come ve li immaginate? :)
La versione dei Warblers di Firework l'ho scoperta l'altro giorno, non sapevo nulla della sua esistenza. Sì, la solita che arriva sempre dopo xD
Vi ho già trattenuti abbastanza, spero che abbiate voglia di leggere il seguito :)

PS: Se qualcuno ha capito a cosa mi sono ispirata per il Puledro Impennato lo dica, gli offrirò una pinta ;)

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Capitolo 8
*** Capitolo VII Parte Seconda ***


Capitolo VII
Seconda parte


Ecco la seconda del settimo capitolo, buona lettura :)


Mercedes salì in macchina, salutando tutti:
“Buona sera, ragazzi!”
“Ciao Mercedes. Scusa il ritardo, ma Rachel ci ha messo una vita ad uscire di casa.” Disse Kurt.
Finn sorrise, cercando di non farsi vedere dalla sua ragazza seduta lì vicino.
“Ero solo indecisa su quale abito indossare. Questa sera non andiamo nel solito localino.” Rachel era visibilmente emozionata.
“Anche io ho prestato particolare attenzione all’abbigliamento. Che ne dite, dimostro almeno un anno in più?” Chiese Mercedes, mostrando per quanto possibile il modo in cui era vestita.
“Ragazzi, mi state confondendo. Dove cavolo stiamo andando?!” Chiese Kurt.
Gli altri si scambiarono uno sguardo d’intesa.
“Ti ricordi di Seth? L’anno scorso giocava con me, nella squadra di football.” Chiese Finn, senza staccare lo sguardo dalla strada.
“Sì, più o meno.”
“Ora va all’università qui a Lima, e questa sera ha invitato me e voi in un locale solitamente frequentato da universitari. Ha detto che è il posto perfetto per noi, si può fare del karaoke.”
Rachel sorrise al suono di quella parola:
“Lascerò a bocca aperta tutti, vedrete!”
“Sì ma sarò io la regina della serata, tesoro.” Mercedes era convinta tanto quanto la brunetta.
Kurt e Finn si guardarono, di certo sarebbe stata guerra per tutta la serata.
“Che ne dici, può andare?” Il ragazzone abbassò la voce, e si rivolse in modo gentile a Kurt.
“Non potevo chiedere di meglio. Grazie, fratello.”
Finn lo guardò dallo specchietto, e gli regalò un sorriso pieno.

Una volta entrati nel locale cercarono subito il resto del gruppo, e li trovarono seduti ad un grande tavolo di legno.
Il locale era molto hold-style, ma a Kurt piacque comunque perché aveva un’atmosfera molto confortevole e allegra.
C’erano tutti: Sam, Artie, Santana, Quinn, Brittany, Tina, Mike e Puck.
Il ragazzo seduto vicino a quest’ultimo doveva essere Seth, accompagnato da quelli che probabilmente dovevano essere i suoi amici.
Il gruppo era un po’ in soggezione in mezzo a tutti quei ragazzi più grandi, ma grazie alla musica in sottofondo e a qualche risata cominciarono a rilassarsi.
Ad un certo punto salì sul palco un gruppo di ragazzi, e cominciò a cantare e a ballare “Firework”, di Katy Parry.
Sin dalle prime note monopolizzarono completamente la scena, gran parte della sala era in silenzio ad ascoltarli e ad applaudirli.
“Wow, niente male!” Disse Sam.
Gli altri si limitarono ad annuire con il capo, erano completamente rapiti da quella melodia.
Ad un certo punto uno dei due cantanti principali scese dal palco a passo svelto, percorse tutto il locale, e tornò indietro trascinando con sé un altro ragazzo.
Oh, buon Dio.
Kurt spalancò le labbra per la sorpresa, e per qualche secondo non riuscì a sentire più nulla.
Era come se la musica si fosse fermata, come se le persone e il locale non fossero mai esistiti.
C’era solo lui.
Con i suoi ricci capelli liberi dal gel, i suoi occhi dorati un po’ imbarazzati ma felici, e le sue fantastiche movenze.
Non dovette fare nessuno sforzo per ricordare il suo nome: era Blaine, il tirocinante della dottoressa Renth.
Era un ottimo cantante e ballerino, chi lo avrebbe mai detto.
A quest’ultimo pensiero sorrise, e sentì una piccola punta di calore dentro di sé. Si sorprese di questa sua reazione, ma preferì lasciarsi avvolgere da questo senso di… Felicità?
Non sapeva come definirlo, ma di certo era piacevole.
Qualcuno gli diede una pacca sulla spalla.
“Forza bello, tocca a noi!” Era Puck, con sorriso beffardo sul volto.
Per l’esibizione avevano scelto una canzone molto conosciuta e ballabile, sperando così di coinvolgere il pubblico il più possibile.
Si posizionarono sul palco, e fecero partire la base: ( https://www.youtube.com/watch?v=nDvx-L5cakc )

Give me a second I
I need to get my story straight
My friends are in the bathroom
Getting higher than the empire state
My lover she's waiting for me
Just across the bar
My seats been taken by some sunglasses
Asking 'bout a scar

And I know I gave it to you months ago
I know you're trying to forget
But between the drinks and subtle things
The holes in my apologies
You know I'm trying hard to take it back
So if by the time the bar closes
And you feel like falling down
I'll carry you home

Tonight
We are young
So let's set the world on fire
We can burn brighter
Than the sun

La sala rispose subito con partecipazione, molti si muovevano a tempo e cantavano grazie sì alla canzone, ma anche all’incredibile energia che quei ragazzi riuscivano a tirare fuori sul palco.
Si stavano divertendo, e volevano mostrarlo al mondo intero.
Kurt frugò con gli occhi nella folla per tutta la durata della canzone, ma non riuscì a trovare Blaine.


“E’ stato fantastico!” Il gruppo canoro si era riunito al bar, dopo aver cantato sentivano tutti la gola secca.
“Non mi divertivo così da tanto… Grazie ragazzi!” Blaine era molto esaltato, dopo l’esibizione l’adrenalina gli aveva invaso tutto il corpo.
“Figurati, ci sei mancato molto.” Disse Matt.
“E fu così che Anderson tornò in sé. Forza ragazzi, il primo giro lo offro io!” Mark fece l’occhiolino al vecchio barista, il quale rise sotto i baffi e cominciò a preparare da bere.
Blaine decise di iniziare la parte alcolica della serata con qualcosa di non troppo pesante, così optò per una birra scura.
Una volta preso in mano il bicchiere sì appoggiò al bancone, con lo sguardo rivolto verso il palco.
Stava bevendo il primo sorso quando notò che sul palco si stava agitando un gruppo di ragazzi più giovani di lui, e tra di essi c’è n’era uno con la pelle bianca come il latte, e gli occhi blu come il cielo di una giornata tersa.
Per poco non si strozzò.
Pensò di essersi sbagliato, così continuò a fissare il ragazzo in ogni minimo particolare, ma alla fine capì che no, non si era sbagliato.
Quel ragazzo era Kurt, e trovò che fosse veramente carino mentre ballava.
Come, scusa?!
Guardò il bicchiere ed era ancora mezzo pieno, possibile che fosse già ubriaco?
“Ehi Mark, ma questa birra è davvero pesante.” Urlò al suo amico.
Di tutta risposta questo si mise a ridere:
“Anderson, è la più leggera che tu possa trovare in commercio. Dov’è finito il mio compare di bevute?” Mark era visibilmente allegro, così il moro decise di non insistere.
Continuò a guardare l’esibizione concentrandosi, per quanto gli era possibile, sulla voce di Kurt.
Non riuscì a sentirla con chiarezza, e questo lo infastidì molto. Era così curioso di sentire la sua voce, doveva essere sicuramente bellissima.
Blaine si portò una mano sulla fronte, cosa gli stava succedendo?
Posò ancora lo sguardo su Kurt, e sentì una fitta allo stomaco. Deglutì, e quando questo improvvisò una mossa sexy si mise a ridere, ma sentì anche qualcosa muoversi nei pantaloni.
Spalancò gli occhi e si guardò intorno imbarazzato, ma nessuno oltre a lui sembrava aver notato nulla di strano.
“Esco un attimo, ho bisogno di aria.” Blaine schizzò fuori dal locale, senza neanche curarsi di prendere la giacca.


I ragazzi del Glee scesero dal palco, tutti completamenti entusiasti di aver ricevuto così tanti applausi.
Cominciarono a commentare la performance tra di loro, a congratularsi, e qualcuno anche a prendersi il merito per la buona riuscita dell’esibizione.
“Io esco un secondo, ho bisogno di un po’ d’aria.” Kurt stava boccheggiando, le luci del palco erano state fin troppo potenti per i suoi gusti.
Prese la giacca, aprì la porta e prese un grosso respiro.
Aria, finalmente.
Passò qualche secondo a fissare la strada, poi notò che poco più avanti vi era una panchina.
Scese le scale del locale in modo tranquillo, ma una volta svoltato a destra si congelò sul posto.
Non ebbe il tempo di fare nessuna mossa, perché l’uomo davanti a lui alzò lo sguardo e lo notò subito.
Avevano la entrambi la stessa espressione, lo stesso imbarazzo, e lo strano senso di contentezza nel vedere l’altro.
“Buona sera, signor Anderson!” Kurt gli fece un cenno.
“C-ciao, Kurt. Puoi darmi del tu, e puoi anche chiamarmi Blaine.” Fece un sorriso.
“Oh, certo.” Kurt abbassò lo sguardo.
“Posso chiederti cosa ci fai qui?”
Non si accorsero del fatto che pian piano si stavano avvicinando l’uno all’altro.
“Sono stato invitato da un amico di mio fratello, sono con degli amici. Volevo complimentarmi per l’esibizione di prima, balli veramente bene.” Kurt gli fece un timido sorriso, parlare con lui si rivelò molto più naturale del previsto.
“Oh, grazie. Anche tu sei stato molto bravo, anche se avrei preferito poter ascoltare meglio la tua voce. Mi è sembrata particolare.” Blaine fece un passo in avanti, per poter osservare il viso del ragazzo ancora più da vicino.
La luce della luna faceva risaltare ancor di più la sua pelle diafana.
“Sei gentile a definirla così, la maggior parte della persone la definisce da checca.” Kurt lo disse con leggerezza, come se ormai ci fosse così tanto abituato da non darci più peso.
“Kurt, se qualcuno questa sera si azzardasse a dirti una cosa simile finirebbe per prendersi un pugno in pieno stomaco.”
Kurt lo guardò con uno sguardo indecifrabile, ma poi scoppiò a ridere.
“Grazie mille. Ah, e naturalmente anche io vorrei sentirti cantare, prima ero ipnotizzato dalle tue movenze e ho trascurato un po’ la parte canora.” Kurt si sorprese di se stesso per la sua intraprendenza, sembrava quasi che ci stesse provando.
Il moro, dal canto suo, non sembrò affatto disprezzare le parole di Kurt.
“Certo, per me sarà un piacere.”
Si sorrisero a vicenda, e poi decisero di rientrare insieme.
Sulla soglia della porta, Blaine fermò Kurt con un cenno della mano:
“Scusami per questa domanda indiscreta, ma tu sei gay Kurt?” Gli uscì di bocca tutto d’un fiato, e sentì una strana sensazione nel pronunciare quella parola.
“Ehm, s-sì. Sì, lo sono. Perché?” Kurt lo guardò negli occhi, e poté notare come essi fossero emozionati e confusi.
“No, niente. Ora mi è tutto più chiaro.” Blaine aprì la porta e si congedò, lasciando Kurt leggermente scosso.

“Kurt, sei pronto per andare a casa?”
“Sì, certo.” In realtà il ragazzo stava ancora cercando Blaine con gli occhi, ma si convinse che per quella sera una chiacchierata doveva bastargli.
Il gruppo si incamminò verso la porta, felice per la riuscita della serata.
“Questa è l’ultima canzone della serata, e non potrebbe essere più azzeccata di così. Buona notte a tutti!”
All’udire quella voce al microfono Kurt fu percosso da un brivido lungo tutto la schiena, e non ebbe neanche bisogno di girarsi per capire di chi fosse.
Blaine era sul palco, accompagnato da una sedia e una chitarra acustica nera: ( https://www.youtube.com/watch?v=5gISBMeFUMU )

Oggi sarà il giorno
In cui ti verrà data di nuovo un'opportunità
Ad oggi avresti dovuto in qualche modo
Realizzare ciò che devi fare
Non credo che nessuno
Senta quello che provo io per te adesso
II battito è tornato, era di dominio pubblico
Che quel calore nel tuo cuore si è spento
Sono sicuro che hai già sentito tutto ciò prima
Ma non avevi mai avuto davvero dei dubbi
Non credo che nessuno
Senta quello che provo io per te adesso

E tutte le strade che dobbiamo percorrere sono tortuose
E tutte le luci che ci guidano sono accecanti
Ci sono tante cose che mi
Piacerebbe dirti
Ma non so come
Forse perché
Sarai colei che mi salverà
E dopotutto
Tu sei la mia ancora di salvezza

Kurt rimase impalato per tutta la canzone.
Dio, immaginava che dovesse avere una bella voce, ma non pensava che potesse essere così fantastica.
Le lacrime cominciarono a scendergli copiose sul viso, e lui questa volta le lasciò scendere tutte, fino all’ultima.
Prese un pezzo di carta, su cui cominciò fa scrivere frettolosamente.
Diede il messaggio al barista, con la richiesta di darlo “Al ricciolo canterino”, come si era divertito a definirlo l’uomo.
Uscì dal locale, e si accorse di essere più leggero, più libero.
Blaine era riuscito a farlo sentire come nessuno da molto tempo: se stesso.

“Hai davvero una bella voce, Blaine. Ci vediamo venerdì prossimo.
Buona notte
                                                 Kurt”

Blaine strine a sé il biglietto, e per la prima volta dopo tanto tempo si addormentò sorridendo.
 

 

Ed eccoci alla fine di questo lungo capitolo, come vi è sembrato?
Ho preferito mettere la traduzione dell'ultima canzone perchè almeno il messaggio che vi volevo mandare sarebbe risultato più immediato :)
Blaine sta finalmente cominciando a capire chi è, e soprattutto cosa vuole. Kurt ha alla fine accettato di partecipare alle sedute con la dottoressa Renth, ma saranno in grado questi due di gestire la situazione? Bha...
C'è poco da fare comunque: quei due si appartengono (modalità Klaine on)
Se avete voglia commentate, lo sapete che ci tengo a sapere cosa ne pensate :)
L'ho già detto ma lo ripteto: grazie per chi ha commentato, messo nelle seguite o letto questa storia :)

PS: se a qualcuno interessa questo è il mio account di twitter:  https://twitter.com/Mcc_Blue

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Capitolo 9
*** Capitolo VIII ***


Capitolo VIII

Buona sera a tutti! :) Mi scuso per l'incredibile ritardo, ma in queste settimane ho avuto molto da fare con la scuola, e anche la gita di 5 giorni.
Spero che questo capitolo serva a farmi perderonare, perchè finalmente...




La settimana dopo il loro incontro fu una delle più lunghe nella vita di Blaine e Kurt, entrambi stavano fremendo dalla voglia di rivedersi.
Volevano assolutamente sapere come aveva passato l’attesa.
Kurt non fece altro che cantare, cucinare dolci e disegnare cuori un po’ ovunque.
La sua parte razionale ogni tanto si occupava di ammonirlo e riportarlo con i piedi per terra, ricordandogli che di questo Blaine non conosceva nulla, se non il fatto che fosse il tirocinante della sua terapeuta.
Quest’ultima informazione in particolare continuava a tormentarlo, perché naturalmente eliminava ogni possibilità di poter instaurare un rapporto più stretto con lui, più… Intimo.
Il cuore di Kurt sussultava ogni volta in cui sentiva questa parola, inondando il suo corpo di calore e contentezza.
A metà settimana aveva deciso di stringere un patto con se stesso:
Non avrebbe esagerato troppo nelle fantasticherie, e avrebbe deciso il da farsi dopo l’esito di quella nuova seduta.
Gli sembrava un compromesso assennato e maturo, tuttavia non riuscì a trattenersi dall’interpretare delle fantastiche canzoni d’amore al Glee, strappando tre A a Mr. Shuester in soli tre giorni.

Blaine non era più lo stesso dallo scorso venerdì, e lo si poteva percepire molto bene.
Le occhiaie che da molto tempo contornavano il suo viso stavano finalmente sparendo, così che gli occhi dorati avessero la possibilità di risplendere ancora di più.
Tutti i giorni portava a spasso Bach per tre volte, cantava e ballava ovunque, sorrideva per ogni piccola cosa positiva che gli accadeva.
Ora non rimaneva che una cosa da fare:
Riuscire a lasciare Alessia, definitivamente.
Non sarebbe stata una cosa facile, ma non poteva neanche continuare a prenderla in giro quella ragazza.
Con questo Blaine non voleva dire di avere le idee completamente chiare sulla sua situazione attuale, perchè era ancora un po’ incerto e anche spaventato, a dirla tutta.
La risposta di Kurt in merito al suo essere gay però gli aveva spalancato un modo, una porta che fino a quel momento era stata tenuta ben nascosta e sbarrata, come se qualcuno o qualcosa avesse voluto impedirgli ad ogni costo di conoscere se stesso fino in fondo.
Ora avvertiva un senso di equilibrio e consapevolezza fino ad allora sconosciuti, ma egli preferì comunque non giungere a conclusioni affrettate.
Evitò accuratamente di darsi una definizione in merito al suo orientamento sessuale, perché voleva finalmente capire cosa lo avrebbe fatto realmente innamorare, e di cosa lui si sarebbe finalmente innamorato.
Per ora sapeva solo cosa provava verso Kurt, e sentiva cosa non provava per Alessia.
Quel ragazzo dagli occhi di ghiaccio ora era sempre nei suoi pensieri, e anche il solo poter abitare nella sua stessa cittadina lo rendeva felice.
La sua parte professionale cominciò ad ammonirlo pesantemente, ma si promise di tirarsi subito indietro dalla terapia se mai tra lui e Kurt fosse accaduto qualcosa.
Il solo pensiero lo faceva sorridere, ma cercò di limitarsi ad un semplice desiderio di conoscerlo meglio.
Entrò in salotto, e trovò Alessia seduta a gambe incrociate sul divano, intenta a leggere un libro per il suo prossimo esame.
Aveva i capelli legati sulla testa, e indossava un semplice paio di jeans e un maglione color panna.
Blaine si disse che quella ragazza era davvero troppo bella, sprecata per stare con uno a cui non interessasse nulla di lei.
“Ehi” Disse lei, voltandosi.
“Ciao Ale, posso disturbarti? C’è una cosa che vorrei dirti…” Si portò una mano alla testa, e la fece passare nervosamente tra i ricci.
“Certo! Cosa c’è?” La ragazza sorrideva, ignara di tutto.
Blaine cominciò a provare qualche senso di colpa, ma non indugiò:
“Devo parlarti di noi, c’è una cosa importante che devo dirti.” La guardò per capire cosa provasse, ma lei sembrava essere molto felice.
“Forza allora, fallo!” Gli stava sorridendo, e Blaine non capì cosa la ragazza si potesse aspettare.
“Io…”
Non fece in tempo a finire la frase che il telefono di casa cominciò a squillare, e Alessia saltò subito giù dal divano per andare a rispondere.
“Pronto? Oh, ciao Richard! Come state?”
Blaine sospirò, suo padre non avrebbe potuto trovare un momento migliore per telefonargli. Sapeva che Richard Anderson non sarebbe stato d’accordo con la sua decisione perché adorava Alessia, ma ancor di più perché andava molto orgoglioso della collaborazione tra la sua famiglia e quella di Alessia.
“… Blaine? E’ qui, te lo passo. Salutami tanto Fannie, a presto!”
La famiglia Anderson era proprietaria di una ditta di autotrasporti, che grazie alla relazione tra i due giovani era diventata l’azienda di trasporti ufficiale per la catena di supermercati appartenenti alla famiglia Reggiani.
Carl, il padre di Alessia, e Richard erano realmente convinti che un giorno i due giovani si sarebbero sposati, tanto che tra di loro si chiamavano “suocero” a vicenda.
“Posso parlare in privato con lui, per favore?” Gli occhi di Alessia brillarono, e si avviò sorridendo verso la cucina.
Il moro stava diventando sempre più confuso.
“Ehi, papà!” Iniziò lui.
“Ciao Blaine, come stai?”
“Bene, bene papà. Come state voi, invece?”
“Anche qui è tutto tranquillo. Tua madre si sta occupando dell’orto, e io di qualche nuovo cliente. Carl mi ha appena aiutato a stipulare altri due contratti.”
“Oh, ne sono felice. Io… Io dovrei dirti una cosa.”
“Certo Blaine, ho giusto 10 minuti di pausa.”
“Ehm, ok…”
Blaine prese fiato, e ricominciò a parlare:
“Papà, so che tu e mamma potreste rimanere, come dire… Sorpresi? Ma ho preso la mia decisione, e sono sicuro di volerlo fare. Voglio lasciare Alessia, definitivamente.”
Calò il silenzio.
Dall’altra parte del telefono sembrò non esserci nessuno, come se Richard avesse smesso anche di respirare.
“Ahahahahah! Blaine, ma cosa ti salta in testa adesso? E’ solo un brutto momento, passerà in qualche giorno come sempre.”
“No papà, questa volta ho deciso in modo definitivo. Basta, sono stufo di vivere in una relazione che non mi permette di essere me stesso.”
Richard capì che Blaine faceva sul serio, e il moro poté quasi vedere il viso del padre irrigidirsi dopo aver sentito quelle sue ultime parole.
“Blaine, ora ascoltami bene: tu non lascerai Alessia.” La voce dell’uomo si fece dura e autoritaria.
“Posso capire che tu e mamma vi foste affezionati a lei, ma…”
“Possibile che tu non ci possa arrivare da solo, neanche questa volta?” Richard non alzò il volume della voce, ma a Blaine vennero comunque i brividi.
Era suo padre, ma per il ragazzo era anche la massima autorità presente nella sua vita.
“Ho appena rinnovato il contratto con Carl, preso accordi per altri due contratti molto redditizi grazie a lui, e tu ora mi chiami tutto tranquillo dicendomi che hai intenzione di lasciare sua figlia così, da un giorno all’altro?”
“Mi dispiace per i tuoi affari… Ma non pensi a me? Non sono felice con lei.”
“E’ solo un momento Blaine, passerà. Avete intenzione di sposarvi, la tua è solo una paura passeggera.”
“Ma io non ho mai detto di volerla sposare!” Blaine fu tradito dalla sua tensione, e pronunciò questa frase con un tono molto alto.
“Bè, ma è quello che tutti ci stiamo aspettando da voi, Alessia inclusa. Quella ragazza si sta chiedendo quando ti deciderai a farle una proposta.”
Blaine non poté credere a quelle parole, e la pesantezza che lo opprimeva prima di incontrare Kurt cominciò di nuovo a gravare su di lui.
Cercò di scacciarla, e si fece coraggio:
“Ma se non fosse la cosa giusta, per me?”
“Sciocchezze! Non devi avere paura, ricordati che sei tu l’uomo della situazione. Ora perdonami, ma devo tornare al lavoro.
Salutami Alessia. E, Blaine?”
“Sì?”
“Ti prego, non fare cazzate!”
Blaine riattaccò e corse in bagno, così da poter piangere senza essere né visto né sentito.
Non si aspettava di certo nessun appoggio in questa decisione, ma pensava almeno di possedere la libertà nel prendere decisioni che lo interessavano così da vicino.
Nella sua vita si era costantemente impegnato per assecondare i suoi desideri, ma anche quelli dei suoi genitori.
Aveva sempre fatto qualsiasi cosa per non deluderli, anche mettere da parte qualche sogno.
Nel momento in cui scelse la facoltà di psicologia sua padre gli fece promettere di dedicare almeno un giorno a settimana a lui e alla sua azienda, così che un giorno Blaine avrebbe potuto essere pronto per sostituire Richard.
Il moro sapeva bene che non avrebbe mai continuato l’attività paterna, ma di certo non avrebbe mai potuto dirlo apertamente a suo padre
Forse un giorno lo avrebbe detto a sua madre, Fannie.
Forse.
Le parole dei suoi genitori erano sempre riuscite a convincerlo e a dissuaderlo, ma non questa volta.
Questo sarebbe stato un nuovo inizio, e avrebbe agito secondo il suo volere, e i suoi sentimenti.

Quel pomeriggio, Kurt decise di andare a piedi fino allo studio.
Il freddo di inizio marzo sapeva essere ancora pungente, ma la giornata era così tersa che Kurt volle approfittarne.
Si sentiva piacevolmente emozionato, e adorava avvertire il vento gelido sulle guance, seguito da una timida sensazione di calore provocata dal sole.
Aveva passato tutto il pomeriggio a scegliere un abbigliamento finto-casual per l’occasione, ad acconciarsi i capelli e cantare, pensando all’incontro che avrebbe avuto di lì a poco.
Salì le scale con molta fretta, salutò cordialmente la segretaria, e si posizionò davanti alla porta.
Diede due leggeri colpi al legno, prima di aprire la porta ed entrare.
“Oh, buon pomeriggio Kurt.” La dottoressa Renth gli corse incontro, e gli strinse calorosamente la mano.
La salutò a sua volta, ma con la coda dell’occhio poté vedere Blaine seduto alla scrivania, intento a sorridere timidamente.
Portava un paio di occhiali con una montatura nera, e questa volta i suoi capelli erano liberi dalla prigionia del gel alla frutta.
Dio, chissà quando sarebbe stato bello affondare le mani in quel tenero groviglio di ricci.
Kurt deglutì, e la sua petulante parte razionale gli disse che non sarebbe stata cosa semplice questo incontro.
Per quanto riguardava il moro invece, all’udire i leggeri colpi sulla porta il cuore di Blaine aveva fatto un salto, perché sapeva perfettamente che un tocco così leggero e delicato poteva provenire solo dalla mano di Kurt.
Si sedettero tutti e tre, e la dottoressa cominciò ponendo a Kurt qualche domanda generale.

“… E dimmi, ti ricordi cos’hai sognato ieri notte?” Alla fine di questa seconda seduta Kurt capì che porre le domande spettava alla dottoressa Renth, mentre Blaine era incaricato di prendere appunti su qualsiasi cosa potesse essere utile allo scopo dell’analisi.
“Qualcosa sì, ma era tutto molto confuso.” Il ragazzo aveva sentito parlare dell’interpretazione dei sogni, ma non aveva idea di come potesse funzionare.
“Raccontami tutto ciò che ricordi, senza preoccuparti che questo debba avere un senso.” La Renth sapeva essere davvero molto rassicurante e convincente.
“Ok! C’era un gruppo di cani che mi inseguiva, erano di diversa taglia e razza. Io avevo davvero tanta paura, ed era notte.
Correvo sulla strada dalla scuola a casa mia. Ad un certo punto apparve un cane nero di grossa taglia davanti a me, ma non avevo paura di lui.
Ha fatto scappare gli altri animali, e io mi sono messo a coccolarlo.” Kurt si sentì un’idiota, ma notò che né la dottoressa né Blaine erano interessati a dare un giudizio in merito al suo sogno.
“Bene, e cosa provavi per quel cane?”
“Affetto. Molto affetto, a dire la verità.”
Blaine scrisse le ultime righe, e la seduta finì.

“E’ stata un’ottima seconda seduta, abbiamo raccolto materiale importante.” Disse Blaine, non appena Kurt lasciò l’ufficio.
“E’ vero, ma ora abbiamo una grande domanda a cui trovare una risposta, e l’unico che può aiutarmi a farlo sei tu.” La dottoressa sorrise a Blaine.
“A cosa ti riferisci?”
“Dobbiamo scoprire quale persona sta a simboleggiare il cane nero. Non possiamo chiederlo direttamente a Kurt, il suo inconscio attiverebbe subito un numero spropositato di resistenze, e la terapia diventerebbe più difficile.”
“Oh, certo.” Blaine deglutì.
Sapeva perfettamente di essere già al corrente della risposta: quel cane non poteva essere altri che lui.
“Sono felice che tu mi stia dando una mano Blaine, non potrei farcela senza il tuo aiuto.” Mary gli regalò un sorriso di sincera amicizia.
Blaine si sentì un vero verme, e capì che non si sarebbe potuto tirare indietro da quella terapia, in nessun caso.

Kurt stava cominciando ad avere realmente freddo.
Erano le 19.30 ormai, ma lui stava ancora prendendo tempo davanti allo studio della dottoressa Renth.
Aspettava, aspettava Blaine.
Aveva così tante domande da porgli sulla loro situazione che non poté fare altro che piazzarsi davanti all’uscita, sperando di riuscire ad incrociarlo.
“Ehi, cosa ci fai ancora qui?”
Kurt trasalì, e si girò verso la persona che aveva pronunciato il saluto.
“Ciao, Blaine. Ti stavo aspettando, ho bisogno di porti alcune domande.”  Il giovane giocò la carta della schiettezza.
Dopo un secondo di sorpresa per la tanta decisione del ragazzo il moro sorrise:
“Certo, chiedi pure.” Blaine continuava a guardare Kurt sorridendo.
“Cosa… Come ci dobbiamo comportare?”
Il moro alzò un sopracciglio, confuso.
Oh, dannazione! Era lui il più grande tra i due, e di certo doveva avere esperienza in questo genere di cose. Non poteva semplicemente fare lui la prima mossa? Kurt non sapeva come comportarsi in quel momento.
Il moro afferrò la situazione, e cominciò per primo:
“Kurt, sarò sincero con te: è la prima volta che mi capita una cosa di questo genere.”
Eh?! No, Kurt non poteva avere capito bene.
“Intendi… Interessarti ad uno della mia età?” Il ragazzo cercò di chiarire la situazione.
“No, intendo interessarmi ad un ragazzo.”
Blaine continuò a fissare Kurt negli occhi, e poté perfettamente vedere come questi si spalancarono per la sorpresa.
“Ok, ora sono molto confuso… Tu non sei gay?”
“No. Prima di incontrarti no, non lo ero affatto. Ad essere sincero ora non so realmente quale sia il mio orientamento sessuale, sono parecchio confuso.” Blaine lo disse con lo sguardo a terra, Kurt avvertì perfettamente tutto il suo disagio per questa situazione.
“Oh.” Disse, e gli appoggiò una mano sulla spalla.
Riuscì a strappargli un sorriso, e vedere quegli occhi d’oro illuminarsi lo fece sussultare.
“Però so cosa ora mi piace. E’ sempre qualcosa, no?” Blaine lo disse con uno sguardo incoraggiante, squadrando Kurt dalla testa ai piedi.
Il ragazzo con gli occhi di ghiaccio arrossì fin sulla punta delle orecchie, ma nessuno poté notarlo perché erano già rosse a causa del freddo.
“Certo, è un buon inizio.” Sorride di rimando.
“Quindi… Per rispondere alla tua domanda di prima sinceramente non ne ho idea, so però che mi piacerebbe conoscerti meglio.” Lo disse con così tanta tenerezza che Kurt gli permise di avvicinarsi sempre di più.
“Anche a me, Blaine.”
Il moro sussultò a sentire il suo nome uscire dalle labbra di Kurt, e cominciò a fissarle sperando di poterle assaporare.
Blaine cominciò ad avvicinarsi timidamente, ma Kurt lo attirò subito a sé.
Il contatto dei loro corpi li fece tremare, e il bacio fu appena uno sfiorarsi di labbra.
In quell’istante, Blaine capì che non ne avrebbe mai avuto abbastanza.
Si fermò un istante a guardare il viso di Kurt, e si sentì finalmente a suo agio.
Kurt appoggiò la sua schiena al muro, e attirò dolcemente Blaine a sé.
Il secondo bacio fu molto più appassionato, pieno di calore.
Ne seguì un altro, e questa volta anche le lingue chiesero di esserne partecipi.
Kurt posò le mani sul petto di Blaine, mentre questo lo stringeva forte.
“Hai il naso tutto rosso.” Osservò Blaine, tra un bacio e l’altro.
“Piacere, Rudolf.” Rispose sorridente Kurt.
  Lo studente si ricordò che non si permetteva una battuta da un tempo indefinibile.
Dovette ammetterlo: Blaine gli faceva bene, era indiscutibile.
Questo avrebbe dovuto essere il suo primo bacio, e promise a se stesso di ricordarlo come tale.
Quello dato a Blaine fu il suo primo vero bacio.
“Hai freddo?” Gli chiese il moro, ridendo.
Kurt si strinse più forte a lui.
“Ora non più.” Disse, regalandogli uno sguardo sereno.
Blaine non riuscì a trattenersi, raccolse tutta la tenerezza possibile e chiuse gli occhi, lasciando un caldo bacio sulla punta del naso di Kurt.
Si guardarono negli occhi, e l’azzurro si perse in un verde dorato.
L’abbraccio si fece più stretto.
I due ragazzi restarono l’uno tra le braccia dell’altro per ancora molto tempo, in quella fredda serata di marzo.

 

 

Mi scuso ancora per il ritardo, ma la gita a Parigi mi ha rubato un sacco di tempo.
Questo capitolo e' stato scritto sul pulman nel viaggio di ritorno, e spero che la città dell'amore mi abbia ispirato abbastanza per regalarvi un buon capitolo :)
Sì ragazzi: si sono baciati!
Mi sono enozionata scrivendo l'ultima parte, e spero che vi possa fare lo stesso effetto :)
Ho preferito non metter link di canzoni perchè mi piaceva molto l'immagine della fradda strada silenziosa, con appoggiati ad un muro due amanti che si sono finalmente trovati :) Dal prossimo capitolo però tornerà, promesso!
Voglio ringraziare tanto tanto tutte le persone che hanno agginto alle seguite e alle preferite questa storia, e così anche tantissimo chi ha preso coraggio e si è fatto avanti commentando, sappiate che scrivo per voi ;)
Ricordo il mio profilo twitter se volete aggiungermi, farmi domande o qualsiasi altra cosa: https://twitter.com/Mcc_Blue

Alla prossima, buona serata ;)


 

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Capitolo 10
*** Capitolo IX ***


Capitolo IX

Buona sera a tutti :)
Ecco qui un nuovo capitolo, dove sono presenti molto Glee power e buona musica.
Buona lettura :)

Aveva il suo numero.
Kurt Hummel da venerdì sera possedeva il numero di Blaine Anderson nella sua rubrica.
L’aveva letto così tante volte in quel week-end che ormai lo conosceva a memoria, e sicuramente sarebbe anche stato in grado di recitarlo al contrario.
Si sentiva felice, ma non del tutto.
Già, perché purtroppo da quel numero non era mai arrivato neanche un sms, e lui non era riuscito a trovare il coraggio per farsi vivo per primo.
La sua ormai famosa parte razionale cominciò a deriderlo, dicendogli che per l’ennesima volta si era fatto fregare da un’idiota.
Kurt cercò di zittirla in tutti i modi possibili, ma una volta arrivato a scuola il lunedì seguente la sua sicurezza cominciò a tentennare.
Controllò il dispaly del suo cellulare in ogni ora della mattinata, e suonata l’ultima campanella decise di rifugiarsi nella sala prove del Glee, per trovare un po’ di pace dai suoi pensieri.
Sedute a chiacchiere del più e del meno c’erano: Rachel, Santana, Quinn, Mercedes e Tina.
“Ehi, Kurt! Cos’è quella faccia triste?” Chiese Mercedes.
Il ragazzo prese un lungo respiro, e chiuse gli occhi per qualche istante.
Dopotutto gli amici esistono anche per ascoltare i tuoi problemi, no?

Kurt capì di aver fatto la scelta sbagliata quando anche Quinn Fabray e Santana Lopez si misero a fargli la morale. Non avrebbe dovuto raccontare loro di Blaine, ma ormai purtroppo il danno era fatto.
“Quindi ha 23 anni, ha scoperto ora di essere gay, e per giunta è il tuo terapeuta?” L’ispanica sapeva sempre scegliere con molta cura le parole per colpire nel segno.
“Hummel, forse invece di sbaciucchiartelo in pubblico dovresti fermarti un secondo e pensarci su.” La biondina completò il pensiero dell’amica.
“E conoscerlo meglio!” Si intromise Rachel.
“O lasciar perdere, se pensi che sia troppo.” Disse Tina.
“Me lo sarei aspettato da chiunque in questa stanza, tranne che da te Kurt.” Mercedes era forse quella che l’aveva presa peggio.
“Mi sembra di non conoscerti più.” La ragazza mise una mano su quella del ragazzo.
Kurt le rivolse uno sguardo molto addolorato, si era davvero comportato in modo così avventato?
Probabilmente sì, e si sentì in colpa quando realizzò che non provava il minimo rimorso o senso di colpa per ciò che era successo.
“Mi dispiace, ma non mi pento di nulla. L’ho fatto perché sapevo che era la cosa più giusta da fare, e in quel momento mi sono sentito bene.
Avete ragione: non so nulla su Blaine, ma a questo c’è rimedio.” Kurt rivolse queste parole anche a se stesso, aveva bisogno di  darsi una piccola spinta per buttarsi.
Mercedes gli rivolse uno sguardo truce, che fece calare il silenzio per qualche secondo.
“Adesso non esagerare, Aretha. Una cotta può capitare a tutti.” Sentenziò Santana, incrociando le braccia al petto.
“Lady Hummel deve semplicemente capire se ne vale la pena. Complimenti comunque, neanche io mi sono mai fatta qualcosa come il mio terapeuta!” La mora fece l’occhiolino al ragazzo.
“Oh, ma davvero? Pensavo che ormai non mancasse nessuno alla tua collezione.” Mercedes si fece acida.
“Oh oh, vuoi giocare? Bene tesoro, perché allora non ci racconti un po’ di te e Sam?” Gli occhi di Santana brillarono, adorava quelle sfide all’ultima battuta, e soprattutto non perdeva mai.
Mercedes tentennò, ma riuscì ad incassare il colpo.
“Certo gioia, ma solo quando tu mi racconterai come sarà andato il tuo coming out.”
Santana stava per riaprire bocca, fuori di sé per l’affronto ricevuto, ma Kurt si alzò in piedi e si impose con un secco:
“Basta!”
“Ognuno in questa stanza ha i suoi problemi in amore, non siate così ipocriti da negarlo.” Kurt guardò le sue amiche una ad una, e nessuna di loro ebbe il coraggio di dissentire.
Tutti cominciarono silenziosamente a pensare ai loro problemi, e alla fine Kurt rivolse ad ognuna un sorriso:
“Visto?”
“Cosa? Che abbiamo tutte una situazione amorosa di merda?” Chiese Mercedes.
“No, che in questa situazione di merda non siamo soli.” Kurt le sorrise e le chiese perdono allo stesso tempo, e alla fine anche lei si sciolse in un sorriso.
“Ora ti riconosco.”
Kurt alò la testa, fiero di se stesso.
“Comunque lo devo riconoscere: lui… Quel Blaine, ti fa bene Kurt. Non ti vedevo così determinato, fiero e di buon umore da un  po’.” Anche Rachel gli sorrise.
Grazie ragazze, davvero. Vi… vi voglio bene, nonostante tutto.” Kurt cercò di stuzzicarle, sperando che la sua dimostrazione di affetto passasse in secondo piano. Era ancora un ragazzo molto timido, quando si trattava di mostrare i propri sentimenti.
“Ehi, ma come ti permetti?!” Disse Tina
“Ma sentilo, quello che se la spassa con i più grandi!” Aggiunse Quinn, ridendo.
“Figurati, Lady Hummel. Giochiamo nella stessa squadra, solo in ruoli diversi.” Disse Santana, facendogli l’occhiolino.
Rachel, stranamente, non disse nulla.
Era troppo impegnata a fissare la finestra della porta, perché le era sembrato di vedere qualcosa di familiare agitarsi in corridoio.
Aspettò qualche istante, e di nuovo avvistò per qualche secondo una piccola cresta marrone che sapeva di conoscere molto bene.
Quante volte, per scherzare, aveva dolcemente tirato quei capelli al suo ragazzo?
Fede segno agli altri di stare in silenzio, e si fiondò verso l’entrata.
Girò la manopola per aprire la porta, e con questo semplice gesto fece cadere ai suoi piedi 5 ragazzi insieme.
Niente male.
Davanti alla porta si erano appostati: Finn, Sam, Puck, Mike e Rory.
C’era anche Artie, che non aveva fatto in tempo a scappare, e dietro di lui Brittany.
Santana le fece segno di entrare, e subito la bionda corse a posizionarsi vicino a lei.
“Britt, saresti stata la benvenuta qui.” Disse la mora.
“Lo so, ma il brivido del poter essere scoperti dà quel qualcosa in più alle storie.”
Per tutta risposta Santana le stampò un bacio sulle labbra.
“Britt, hai sempre ragione.”
Dopo aver assistito in silenzio a questa scena Rachel tornò a concentrarsi sui ragazzi.
La moretta posizionò le sue mani sui fianchi con fare molto teatrale, e li squadrò tutti con uno sguardo molto severo.
Soprattutto Finn.
“Grazie ragazzi, apprezzo veramente tanto il rispetto che mi state dimostrando.” Disse Kurt, in modo sarcastico.
“Ehi, adesso non venirci a fare la predica Kurt! Sei tu quello che in questi giorni passa dall’essere depresso, all’arrabbiato, e al settimo cielo in meno di una settimana! Secondo te come dovremmo prenderla?” Disse Puck.
“Aspettate un secondo:
Voi vi state preoccupando, per me?” Kurt era sorpreso, inaspettatamente contendo per quella strana dimostrazione di affetto da parte della componente maschile del Glee.
“Eravamo solo preoccupati per te, e… Anche un po’ curiosi a dirla tutta.” Si giustificò Mike.
“In famiglia si sa tutto di tutti, è così che funziona.” Gli sorrise Rory.
“Siamo fratelli Kurt, ricordi?” Disse Finn, cercando di stare il più lontano possibile dalla sua ragazza.
Kurt si ritrovò a sorridere, inclinò la testa e li guardò tutti con uno sguardo riconoscente.
“Abbiamo preparato una cosa per dimostrartelo.” Disse Sam, spingendo Artie dentro alla sala:
“Questa è per te, Kurt” Concluse quest’ultimo.
I ragazzi presero delle sedie e le misero in mezzo alla stanza.
Finn si posizionò alla batteria, mentre Sam e Puck presero le chitarre.
Artie cominciò a cantare, con gli altri ragazzi che si occupavano dei cori: ( https://www.youtube.com/watch?v=4crJ3gYtytY )

“Quando sei giù, pieno di problemi
 E hai bisogno di un aiuto
 E niente, niente va nel modo giusto
 Chiudi gli occhi e pensami
 E subito io sarò là
 Per illuminare anche le tue notti più buie.

 Semplicemente urla il mio nome
 E sai che ovunque sarò
 Verrò di corsa per rivederti ancora.
 Inverno, primavera, estate o autunno
 Tutto ciò che devi fare é chiamare
 Ed io arriverò, si
 Tu hai un amico.”

Kurt si dovette trattenere, perché altrimenti si sarebbe messo a piangere come un bambino.
In quel momento capì che allora forse era vero, lui non era solo a questo mondo.
Ripensò a tutti gli stati d’animo provati da quando aveva incontrato Blaine per la prima volta, e si rese conto che anche se lo costringevano a mostrare apertamente le sue fragilità, i suoi dubbi e le sue insicurezze tutti questi nuovi sentimenti provati lo stavano rendendo più forte.
Se non si fosse aperto con i suoi amici non avrebbe scoperto quanto loro gli potessero essere vicino, semplicemente perché era troppo chiuso e concentrato su se stesso per afferrare le loro mani, pronte a dargli aiuto.
E’ questo che fanno i sentimenti? Ti vengono a salvare quando sei sull’orlo del baratro?
Gli scappò qualche lacrima, e per la seconda volta in quel giorno raccontò la storia di Kurt e Blaine, perché i nuovi arrivati non erano riusciti ad origliare bene dai corridoi.
“Siete pessimi!” Commentò Kurt, asciugandosi una lacrima.

Ok bene, e allora quando si va?” Chiese Puck, una volta finito di ascoltare la storia.
“Scusa?” Chiese Mercedes.
“No, Puck ha ragione. Hai detto di volerlo rivedere, e sai che va all’università qui a Lima.
Oggi ti aveva detto che avrebbe avuto lezione, questa è una buona occasione.” Disse Sam.
“Senza contare che è il tuo turno, no? Sei tu che devi cantare per lui ora.” Aggiunse Mike.
“Avete ragione, dovremmo andarlo a trovare. Sarebbe una bella sorpresa per lui, non credi Kurt?” Finn gli diede una pacca sulla spalla.
“Scusate, fatemi capire: Voi volete che io mi presenti di punto in bianco alla sua università, così da poter cantare per lui davanti a tutti?!” Il ragazzo dagli occhi blu era incredulo.
“Certo, ma hai dimenticato un particolare.” Artie si sistemò gli occhiali, sorridendo.
“Noi verremo con te!” Esultarono le ragazze, avendo capito finalmente il piano dei ragazzi.
“Allora, cosa ne dici?” Chiese Rory.
Nessuno dei presenti prese in considerazione il secco no di Kurt, e in lui cominciarono a vorticare un numero infinito di emozioni.
L’avrebbe rivisto, ed era esattamente ciò che desiderava, ma a quale prezzo?

Conclusasi l’ultima lezione della mattinata Blaine, Matt e Mark si recarono verso i dormitori, per entrare in quella che una volta era la stanza di loro tre.
Blaine riconobbe subito il profumo che soleva mettere Mark, e i tanti libri sparsi per casa di Matt.
Era una specie di mini appartamento con cucina, tre stanze e un bagno.
“La tua è rimasta vuota, nessuno è mai stato all’altezza di farci da coinquilino, dopo ti te.” Disse Mark.
“Mi manca un sacco questo posto, quanti bei ricordi…” Blaine lasciò la frase a metà, e si buttò sul divano blu scuro della cucina.
“Mi dispiace per la storia di tuo padre, davvero. Sappi però che qui avrai sempre una casa, qualsiasi cosa possa succedere.” Matt si sedette sulla poltrona, che si trovava a lato del sofà.
“E’ sempre stato un’egoista, ecco la verità.
Non potremmo escogitare qualcosa per convincere Alessia a lasciarti vivere con noi? Che so, potresti dirle che Matt è sul letto di morte.” Scherzò Mark.
“E perché non tu, scusa?”
“Era così, per dire!”
Risero insieme, ma Blaine pensò che dopotutto non potesse essere una cattiva idea.
“Potrei cominciare a dirle di dover rimanere qui un mese, così da avere un po’ di tempo per decidere sul da farsi.”
I due ragazzi smisero di ridere, e si girarono verso Blaine con uno sguardo indecifrabile.
“Serio?” Chiese Mark.
“Sì, serissimo.” Confermò il moro.
Matt e Mark si guardarono per un istante, poi si sorrisero e si saltarono in braccio vicendevolmente.
“Dio, ce l’abbiamo fatta!” Urlò Matt.
Mark prese il suo amico tra le braccia, e fece finta di dargli un bacio sulle labbra.
“Ehi ehi, adesso non ti allargare troppo!” Matt lo spinse via, ridendo come un matto.
Blaine dopo aver assistito a questa scena smise di ridere, ricordandosi di avere ancora un punto in sospeso da chiarire.
Erano i suoi amici, e loro prima di tutti avrebbero dovuto esserne informati.
“Mi…”
Blaine chiuse gli occhi, prese fiato e sputò fuori quelle poche parole con voce tremante:
“Mi piace un ragazzo!”
Subito dopo si rese conto che avrebbe potuto sostituire quelle quattro parole con un altro numero infinito di frasi più morbide, articolate e meno dirette di quella appena pronunciata.
Si maledisse da solo, possibile che dovesse diventare impulsivo quando si sentiva sotto pressione o a disagio?
“Oh.” Disse Matt, preso alla sprovvista.
“Ok fratello, e come si chiama?” Chiese curioso Mark.
“K-kurt, si chiama Kurt. Non siete sorpresi, arrabbiati, o che so io?!” Blaine diventò ancora più confuso di prima.
“Bè” Cominciò Matt, cercando conferma nello sguardo di Mark.
“Siamo tuoi amici, e in un certo senso lo avevamo capito da un bel po’.”
“Sì, aspettavamo solo un tuo fantastico coming out con gonna, tacchi e tutto il resto.” Mark fece ridere tutti e tre.
“Vaffanculo!” Blaine ridendo gli tirò un cuscino, liberandosi di tutta la tensione accumulata.
“Ti appoggeremo sempre Blaine, siamo fratelli noi tre.” Disse Matt.
“Grazie ragazzi, siete i migliori!”
Il moro si alzò per abbracciarli forte.
“Ehi Anderson, ricorda solo di tenere a freno il pacco. So fin troppo bene quanto io possa essere irresistibile.” Disse Mark, prima di abbracciare il suo amico.
“Ok maschioni, ricomponiamoci! Hai detto un mese, vero? Potremmo far morire qualche vecchio parente, o inventarci una qualche malattia.” Iniziò Matt, prendendo un foglio e una biro dalla sua borsa.
“E’ una buona idea. Ricordati solo che mia nonna l’abbiamo già fatta morire l’anno scorso, come scusa per andare all’Oktoberfest.” Precisò Mark.
Tutti sorrisero al ricordo di quella piccola vacanza, e si tastarono la testa ricordando i postumi di quella memorabile sbronza.
“I miei parenti non possiamo usarli, Alessia li conosce tutti.” Disse il moro.
“Bene, allora useremo la mia dolce zia Eleanor, una tenera vecchietta di 80 anni che si è rotta un braccio facendo il bucato.
Io fingerò di essere fuori città per un mese, e tu non potrai fare a meno di trasferirti qui perché, durante la mia assenza, il mio caro coinquilino potrebbe bruciare tutta l‘università.” Matt prese nota di tutto, così da potersi ricordare ogni cosa.
“Tu leggi troppi libri, vecchio mio. E mi reputo ufficialmente offeso.” Commentò Mark.
“Troppo pochi, vorrai dire. Allora, per voi va bene come scusa?”
Tutti i presenti annuirono.
“Bene, ora non mi resta che dirlo ad Alessia.” Blaine sospirò, tirando fuori il cellulare dalla tasca dei suoi jeans.

“Woah! Certo che quest’università per ricconi non è niente male!” Osservò Puck, girandosi per contemplare l’ennesima signorina di passaggio.
“Questo è il posto per me, ragazzi.” Aggiunse Noah.
“Stai seriamente pensando di frequentare l’università?” Gli chiese confuso Finn.
“Mmmh, no. Pensavo più che altro ai dormitori.” Puck sfoderò uno dei suoi sorrisi beffardi.
“Ragazzi, concentriamoci per favore.” Kurt attirò l’attenzione di tutti.
“Esatto, non possiamo continuare a girare a vuoto in questo cortile. Qualcuno sa per caso dov’è l’entrata?” Chiese Quinn.
“E anche se fosse? Io non ho idea di dove possa essere Blaine.” Kurt si strinse nelle spalle, e cominciò a mostrarsi nervoso.
“Ed è per questo che esiste la tecnologia, Lady Hummel.”
L’ultima frase di Santana fece sì che tutti si girassero verso Kurt, aspettando che lui facesse qualcosa.
“Bè?” Chiese lui.
“Mandagli un messaggio!” Urlarono tutti insieme.
“Shhhht! Dobbiamo sempre farci riconoscere?” Kurt arrossì completamente, e cominciò a scrivere un sms.
“Digli di venire in biblioteca, riesco a vederla da qui ed è bella spaziosa.” Disse Mercedes, facendo segno a tutta la truppa di guardare alla loro destra.
Sì, sarebbe stato un posto perfetto per un’esibizione.

“Ciao Blaine!
Potresti venire un secondo nella biblioteca della tua università, ovunque tu sia? : )”

“Ehi, Kurt!
Che bello sentirti, anche se avrei voluto fare io la prima mossa ; )
Certo, dammi 10 minuti e sarò lì : )”

“Gente, abbiamo 10 minuti!” Disse Kurt, in preda all’adrenalina.
I ragazzi si recarono agilmente verso la porta indicata da Mercedes, e una volta dentro si guardarono intorno, sbalorditi da quanto una biblioteca potesse risultare bella.
I muri erano fatti di pietra grigia, e ad essi si appoggiavano alte librerie in legno, ognuna di esse intersecata con dei disegni.
Anche il soffitto era rivestito dal legno, e da esso pendevano tanti lampadari che reggevano delle candele accese.
“Bentornati ad Hogwarts, miei cari.” Sam fece la voce grossa, cercando di imitare Silente.
“…”
“Va bè, lasciamo perdere. Dove dobbiamo posizionarci io e Puck?” Chiese Sam, tirando fuori dalla custodia la sua chitarra.

“Oddio, lui è qui!” Blaine cominciò a girare per l’appartamento, in preda alla gioia e alla tensione più forti mai provate.
“Ma chi?” Chiese Mark dalla sua stanza.
“Kurt!”
In meno di due minuti erano tutti e tre fuori dall’appartamento, pronti ad andare ad incontrare Kurt.
La curiosità può fare miracoli.

“Cosa dovrei aspettarmi, Kurt? : )”

"Solo ciò che ti ho promesso ; )”

I tre amici misero piede nella grande biblioteca, e cominciarono a cercare un qualche segno di Kurt.
Blaine ad un certo punto si arrestò, e dovette appoggiarsi al muro a lui vicino perché le sue gambe gli sembrarono sul punto di cedere.
Davanti a lui c’era Kurt, era in piedi nel mezzo del corridoio tra i tavoli, e dallo sguardo sembrava spaventato a morte.
Il ragazzo dagli occhi blu gli sorrise timidamente, e vedere questo suo gesto ricambiato gli alleggerì il cuore.
Blaine notò un gruppo di ragazze sedute su un tavolo alla sua sinistra, mentre sulla destra c’era quello dei ragazzi, di cui due con la chitarra, e uno con un paio di bacchette in mano.
Riuscì a riconoscere alcuni di quei volti, erano gli amici con cui Kurt aveva passato la serata al “Puledro Impennato”.
Kurt aveva scelto una canzone intramontabile, raffinata e davvero molto bella.
Non parlava d’amore, non avrebbe mai trovato il coraggio di cantare una canzone romantica per Blaine davanti a tutti ( cosa che invece lui si era dimostrato capace di fare), ma Kurt trovava questa canzone molto dolce.
Con lieve cenno del capo diede il segnale ai suoi amici, e la melodia iniziò: ( https://www.youtube.com/watch?v=2zvmcIYE0EA )

“Merlo che canti nel cuore della notte
Prendi queste ali spezzate e impara a volare
Per tutta la vita
Non hai aspettato che questo momento per spiccare il volo.

Merlo che canti nel cuore della notte
Prendi questi occhi incavati e impara a vedere
Per tutta la vita
Non hai aspettato che questo momento per essere libero.

Vola merlo, vola merlo,
Nella luce della buia notte nera”

Blaine rimase a fissare quella leggera figura diafana e dagli occhi blu cantare quella fantastica canzone a bocca aperta.
Sentì il suo cuore aprirsi per far entrare quel momento perfetto, così da poterlo conservare per sempre.
Le ragazze gli facevano da coro nel ritornello, i ragazzi accompagnavano con lievi suoni le strofe. Il moro e il biondino suonavano le loro chitarre all’unisono, mentre il ragazzo più alto batteva sul tavolo il tempo con le sue bacchette.
Kurt apriva e chiudeva gli occhi mentre cantava, perché adorava ammirare lo sguardo che Blaine gli stava rivolgendo.
Era di pura adorazione, e Kurt si sentì lusingato e felice come non mai.
A canzone conclusa tutti i presenti applaudirono, e Blaine con un cenno della mano chiamò Kurt a sé.
Si scambiarono un bacio, e il giovane poté avvertire tutta la passione che aveva trasmesso a Blaine con quell’esibizione.
“Ehi.”
“Ehi.”
Il moro afferrò la piccola mano del canterino, e lo trascinò in una parte più tranquilla della biblioteca.
C’erano dei divani di un marrone molto scuro, e i due ragazzi si accomodarono su uno di essi.
Blaine lo guardò con sguardo sognante e Kurt arrossì, lusingato da tutti quelli sguardi che il moro gli stava regalando.
“Nessuno mi aveva mai guardato così, come mi guardi tu.”
Blaine non riuscì a resistere a tanta dolcezza, dovette subito avvolgere le sue mani intorno al viso di Kurt e baciarlo, senza riuscire a smettere.
Kurt si fece avanti a sua volta, e il moro fu ben felice di accogliere la sua lingua dentro di sé.
Ad un certo punto però Blaine si fermò, e con delicatezza allontanò da sé Kurt.
“Che succede?” Chiese lui, confuso.
“Voglio essere completamente sincero con te Kurt, e c’è una cosa che devi sapere.
E’… E’ complicata da spiegare, per ciò ti chiedo di non interrompermi.”
“Più complicata di me e te? Non credo sia possibile.” Kurt la buttò sul ridere, ma notò che il moro fosse tremendamente serio.

Blaine raccontò a Kurt di Alessia, della sua vita passata e dei suoi genitori.
“… E per ora starò un mese qui da Matt e Mark, sperando che in questo lasso di tempo io possa lasciare Alessia.
Questo è tutto. Spero solo che tu in questo momento non mi stia odiando.”
Kurt non rispose, aveva ricevuto troppe informazioni in una sola volta.
In quel momento si chiese se realmente valesse la pena di provare a costruire qualcosa con Blaine, perché la quantità di ostacoli che si era presentata fin dall’inizio non era indifferente.
Poi guardò gli occhi di quel ragazzo carico di problemi, e si sentì in colpa per il pensiero precedente.
Tutti quelli che lo conoscevano bene continuavano a ripetergli quanto lui stesse meglio dopo l’arrivo di Blaine, e lui stesso se ne era reso conto.
Questo doveva pur significare qualcosa, no?
“Io… Io dovrei pensarci un po’ sopra.”
Kurt continuava a guardare Blaine con gli occhi sbarrati, e lui capì che in quel momento non avrebbe potuto ricevere risposta migliore.
“Certo Kurt, tutto il tempo che vuoi.” Gli sorrise, sperando di riceverne uno anche da parte sua.
Ma ciò non successe.
“Allora ci sentiamo, va bene?” Kurt si alzò velocemente.
“Certo.”
La speranza di Blaine si riaccese nel momento in cui poté sentire le esili braccia di Kurt avvolgerlo completamente, e il contatto tra i due corpi fece sentire meglio entrambi.
Sciolsero l’abbraccio, e Kurt tornò nell’altra sala.

“Allora Kurt, com’è andata?” Chiese impaziente Rachel.
“Ho bisogno di schiarirmi le idee, scusate.” Rispose lui, dirigendosi il più in fretta possibile fuori da quella libreria.

“Ehi Anderson, com’è andata?” Chiese Mark, seguito subito da Matt.
“Probabilmente ho perso la cosa migliore che mi sia mai capitata.”
Blaine girò le spalle ai suoi amici, e andò a rifugiarsi in camera sua.
 

 

Ed ecco qui un nuovo capitolo, vi è piaciuto? :)
Devo dirvi la verità: le parti con tutti i personaggi del vecchio Glee mi sono divertita un sacco a scriverle, ed è esattamente come io me lo immagino. Per quanto possano sempre essere pronti ad accoltellarsi per un assolo, quando uno di loro ha avuto bisogno di veri amici gli altri sono sempre accorsi ad aiutarlo.
Ecco che sono tornate anche le canzoni, e spero che anche se un po' datate vi siano piaciute, io personalmente amo molta musica che molti definirebbero "vecchia", e voi? :)

Ho un paio di foto per voi su come io mi sia immaginata l'università del nostro Blaine:
L'esterno: http://img600.imageshack.us/img600/2623/uni1jd.jpg
                  
                    http://img197.imageshack.us/img197/2614/uni2u.jpg

La biblioteca: http://img202.imageshack.us/img202/3517/bibliotecaw.jpg
                        
                         http://img818.imageshack.us/img818/4058/biblioteca2.jpg

E come ultimissa cosa voglio ringrazare tutti voi che state seguendo la mia storia, con un particolare grazie ai coraggiosi che commentano, siete fantastici ;)
Sappiate che tutti voi che seguite la mia storia siete il mio carburante, ed è quindi grazie a voi che questa ff sta andando avanti :)
A presto, e passate bene Pasqua e Pasquetta :)

Twitter: https://twitter.com/Mcc_Blue

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Capitolo 11
*** Capitolo X ***


Capitolo X


Chiuse l’armadietto e si girò per buttarsi nella folla che animava il corridoio di quel venerdì mattina, ma questa volta non fu abbastanza veloce.
Si sentì un colpo pieno, seguito da piccoli rimbalzi veloci sul pavimento.
Kurt non dovette neanche girarsi per capire: era stato di certo Dave Karofsky a colpirlo, con quella che dal dolore e dalla botta non poteva che essere una palla da basket.
La testa di Kurt cominciò a pulsare insistentemente, mentre le orecchie fischiavano per la botta appena ricevuta.
Il dolore gli riempì il capo, in un modo fastidioso e penetrante.
Si dovette appoggiare alla fila di armadietti per non cadere, anche se una voce dentro di lui continuava ad urlargli di scappare il più lontano possibile.
Si portò una mano vicino alla testa, ma non ebbe il coraggio di toccarla per paura che potesse fare ancora più male.
Avrebbe voluto chiudere gli occhi e accasciarsi a terra, ma così non avrebbe fatto altro che dargli esattamente l’appagamento che loro andavano cercando in tanta violenza.
Kurt non aveva paura di loro, ma piuttosto di ciò che questi animali sarebbero potuti diventare nel futuro.
Come avrebbero fatto questi ragazzi a crescere e a rappresentare il progresso del domani, se non riuscivano neanche ad accettare la differenza tra loro e Kurt?
Aveva sempre cercato di pensare positivo, dicendosi che in realtà il futuro sarebbe potuto appartenere solo a persone come lui, intelligenti e dalla mentalità aperta.
Questo pensiero lo aveva sempre incoraggiato a non arrendersi e ad andare avanti, ma in situazioni come queste era davvero dura.
Come poteva essere così difficile?
Perché per alcuni doveva essere così difficile?
“Oh scusami tanto, mi è scivolata dalle mani!” Disse Dave.
Il branco dietro di lui si mise a ridere, spingendo il robusto ragazzo a continuare.
“Perdonami, dovevo immaginarlo che le signorine come te non sapessero prendere una palla al volo.”
Questa affermazione fu seguita da altre risate, ma da nessun segno da parte di Kurt che dava ancora le spalle al gruppo.
Stava cercando di trattenere la rabbia dentro di sé, ma era ormai la ventesima volta in una settimana che subiva un trattamento simile, senza poter dire nulla.
Senza averne la forza, in realtà. Dopo la rivelazione di Blaine Kurt era tornato ad essere passivo e spento, come se qualcuno lo avesse privato dell’energia per andare avanti.
Dave piegò la testa a destra:
“Cos’è, hai paura? Perché non vai a piangere dalla mamma, ragazzina?”
Al suono di quelle parole il gruppo potè vedere le spalle di Kurt drizzarsi in un sussulto.
Tra tutti gli insulti ricevuti in una vita, quello era stato il primo ad avere come riferimento Elizabeth.
Sua madre, la figura più sacra e intoccabile di tutta la sua vita, la sua più grande ferita ancora aperta.
Non permetteva a nessuno di parlarne in sua presenza, perché al solo pensiero veniva ancora assalito da un dolore antico e mai lontanamente sedato.
Era come se qualcuno gli ricordasse la mancanza di un pezzo importante di lui, come per ricordargli che ormai non era altro che un piccolo e indifeso oggettino rotto, che non avrebbe mai potuto funzionare realmente bene.
Chiamare ‘nostalgia’ il sentimento provato da Kurt nei confronti di sua madre era riduttivo, perché lui era convinto ormai di essere perso e solo in questo mondo, nonostante gli amici e la nuova famiglia con Carole e Finn.
Quel bastardo aveva avuto il coraggio di tirarla in ballo in uno stupido insulto, senza un minimo di ritegno.
Kurt si abbassò molto lentamente sulla palla da basket nera e la raccolse, poi si girò verso il branco.
Il sangue gli pulsava caldo e veloce nelle vene, mentre la rabbia gli stava facendo stringere con forza il pallone fino ad avere le mani tremanti.
Tra quei ragazzi cadde improvvisamente il silenzio, perché quando Kurt si girò verso di loro scoprirono che due fuochi blu cristallino stavano puntando dalla loro parte, ed erano in fiamme.
Dave non si impressionò, ma raccolse subito la sfida negli occhi del ragazzo.
Kurt fece qualche passo avanti, mentre la tensione cresceva sempre di più.
Fece un movimento fluido e veloce, ma anche molto preciso.
Quando fu abbastanza vicino tirò con forza la palla nelle mani di Dave. Non aveva intenzione di ferirlo, ma solo di fargli capire che di certo non aveva paura né di lui, né delle sue minacce.
“Io e te non siamo diversi Dave, ricordatelo.” Disse Kurt, guardandolo negli occhi con uno sguardo deciso.
Karofsky diede nervosamente uno sguardo nei paraggi, come se tutti i ragazzi riuniti per assistere alla scena potessero leggergli dentro.
Kurt insistette con lo sguardo verso Dave per qualche secondo, poi a passo fiero oltrepassò tutti gli atri della banda, che nel mentre erano rimasti a bocca aperta.
Non sapevano, non potevano sapere che poco dopo l’inizio della scuola il loro caro leader aveva baciato Kurt negli stessi spogliatoi che loro frequentano abitualmente, senza sospettare di nulla.
Kurt andò a rifugiarsi nella sala del Glee, sperando che quella giornata potesse finire il prima possibile.
In tutti questi anni la figura di sua madre gli era sempre mancata terribilmente, ma in quel momento Kurt notò che stava cominciando ad avvertire parte di quel sentimento anche per Blaine, perché a consolarlo in quell’istante non avrebbe desiderato altri che lui, con le sue calde e larghe braccia a stringerlo in abbraccio confortevole.
Si odiò per questo pensiero, ma nonostante ciò controllò il display del cellulare, in cerca di un suo sms.



“Fratello, devo uscire da quel letto. Ora!” Urlò Mark dal bagno.
“No!” Rispose Blaine, la voce soffocata dalle coperte del letto.
“Ma farai tardi! Mary ti aspetta al lavoro oggi, è venerdì!” Gli diede man forte Matt, dalla cucina.
“Le dirò che sono malato… Lasciatemi in pace!”Tirò ancora più in su le coperte, e si girò a pancia in giù sul materasso.
Mark raggiunse l’amico in cucina, e bastò loro uno sguardo per capirsi e annuire vicendevolmente.
“Io penso alle coperte, tu occupati del materasso.” Disse Matt.
Entrarono nella camera del moro senza fare rumore, acquattandosi il più possibile alle pareti.
In meno di un secondo Matt scoperchiò il caldo nido che Blaine si era creato, mentre con un solo colpo Mark riuscì a ribaltare il materasso del malcapitato, facendolo finire con il naso per terra.
“Ehi, ma come cazzo vi vengono in mente certe cose?!” Si trovò a sbraitare Blaine dal pavimento.
“Ho preparato la colazione, andiamo a fare due chiacchiere in cucina.” Propose Matt, porgendogli una mano per farlo rialzare.
Blaine si girò verso l’amico, incontrando un caldo sorriso.
“Va bene.” Disse, accettando l’aiuto proposto.



Davanti ad una tazza di caffè bollente la vita può davvero spacciarsi per migliore di quello che è, anche se quest’illusione dura quanto una tazza di calda bevanda. Conclusa quella, oltre all’amaro dell’aroma torna anche quello della cruda realtà:
Blaine, con la sua confessione, era riuscito ad allontanare Kurt.
Era da lunedì che i due non avevano notizia l’uno dell’altro e Blaine, anche se cercava di dimenticarlo, sapeva che la prima mossa sarebbe dovuta toccare a lui.
Il moro aveva salvato circa una cinquantina di messaggi pieni di scuse e di frasi carine per potersi far perdonare, ma non era mai riuscito a premere il tasto di invio.
“Oggi è la tua occasione fratello, dovresti approfittarne invece di stare nel letto a piagnucolare.” Disse Mark, inzuppando un biscotto nel suo latte.
“Non so quanta voglia possa avere lui di vedermi, Mark. Probabilmente non si presenterà neanche alla seduta.” Blaine teneva lo sguardo fisso sulla sua bevanda scura.
“Chiedilo direttamente a Mary allora, cosa ti costa?” Disse Matt, dopo un sorso di cappuccino.
“Non è quello il punto.” Disse il moro.
“E quale sarebbe?” Insistette Matt.
“Che Kurt molto probabilmente non vorrà rivolgermi la parola!” Blaine lo disse a bassa voce, ma con una punta di dolore.
Era un dolore particolare però, il ragazzo era certo di non averlo mai provato fino ad allora.
Probabilmente perché mai si era affezionato così tanto ad una persona, e questo pensiero gli fece fare una smorfia.
“Ecco, e ci voleva tanto a tirarlo fuori?”
“Ma davvero fratello, la fai davvero troppo complicata.”
I due amici gli sorrisero, facendo sentire Blaine ancora più spaesato di prima.
“E’ impossibile che quel ragazzo ti lasci scappare così facilmente, Blaine. Ho visto gli occhi da cerbiatto che ti riservato per tutta l’esibizione.” Disse Matt.
“Sì è vero, se tu gli saltassi addosso quel Kurt ti lascerebbe fare senza problemi.” Fece l’occhiolino Mark.
Al solo pensiero Blaine avvampò, ma cercò di non darlo troppo a vedere.
“Quindi… Posso rimediare?” Chiese Blaine, con una luce di speranza negli occhi.
“DEVI!” Dissero i due amici in coro.
I tre risero insieme, era così bello avere una casa dove sentirsi compresi.


Dopo il milionesimo incoraggiamento Blaine riuscì a scrivergli:
“Oggi è una così bella giornata, ti andrebbe un giro per il campus? : )”

Il cuore di Kurt ebbe un sussulto. Le sue mani però si mossero velocemente senza indugiare neppure un secondo, per poi pentirsene a messaggio inviato:
“A che ora?”

L’urlo di felicità di Blaine riecheggiò per tutto il campus:
“Quando vuoi : )”


Kurt decise di dirigersi a casa prima di andare al campus, aveva bisogno di cambiarsi e di stare un po’ da solo.
Entrò in camera sua e aprì le grandi ante di quello che una volta era stato l’armadio di sua madre.
Quel vecchio mobile di legno era ancora intriso del suo profumo, così quando Kurt aveva bisogno di sentirsi più vicino a lei apriva l’armadio e chiudeva gli occhi, immaginando di averla accanto.
Kurt si chiese cosa lei avrebbe potuto pensare se avesse saputo dell’esistenza di Blaine.
Se lei fosse stata ancora vita, di questo poteva essere certo, avrebbe chiesto consiglio a lei.
“Mamma, cosa dovrei fare?” Disse a bassa voce.
Kurt si girò verso il suo comodino, a fissare la foto dei suoi genitori posta su di esso.
Erano felici, proprio come quando Kurt stava con Blaine.


Questa volta l’incontro sarebbe dovuto avvenire nel cortile del campus, ma questo era enorme e Kurt non sapeva proprio dove poter cercare Blaine.
Sbuffò per l’ennesima volta, tirando fuori il cellulare per mandargli un sms.
Si rifugiò in una zona d’ombra dando le spalle all’edificio per poter vedere meglio il display, e fu allora che riuscì a trovare Blaine.
Era lì davanti a lui, con due caffè in una mano e una coperta verde scura nell’altra.
“Ciao.” Disse Kurt, squadrandolo in modo sospetto.
“Ehi, come stai?” Blaine abbozzò un sorriso imbarazzato.
“Potrebbe andare meglio, grazie. Tu?” Era una risposta decisamente acida, ma era il minimo che Blaine potesse aspettarsi.
“Un vero schifo, penso di aver rovinato un rapporto importante.” A quest’affermazione Kurt si morse il labbro inferiore, mentre la sua barriera di freddezza cominciava a vacillare.
“Sono qui per rimediare. Posso offrirti un caffè?” Blaine lo guardò dritto negli occhi.
“Va bene.” Kurt accettò, ma ancora non gli sorrise.
Blaine cercò di non mostrare interesse per quel gesto mancato, ma in realtà avvertì una fitta al cuore.
Camminò fino ad un albero dal grande tronco, appoggiò i caffè sulla folta erba e stese la grande coperta, invitando Kurt a sedersi con un cenno della mano.
Quest’ultimo si appoggiò alla dura corteccia dell’albero, portandosi le ginocchia allo stomaco, in posizione di difesa.
“Ecco a te.” Blaine si sistemò vicino a lui, evitando accuratamente di sfiorare la spalla di Kurt con la sua. Gli avrebbe lasciato tutto il tempo necessario.
“Grazie.” Kurt prese il suo caffè, notando che sul bicchiere Blaine aveva riportato delle frasi. Erano state scritte con un sottile pennarello nero, e al centro di esse capeggiava la scritta: ‘Perdonami’.
Kurt guardò con più attenzione quelle frasi che ricoprivano ogni piccolo spazio del bicchiere, rendendosi conto che erano tutti versi appartenenti a quella canzone che Blaine aveva eseguito per lui la sera del karaoke.
Continuando a leggere incappò anche in qualche frase di ‘Blackbird’, cantata da lui stesso in quel campus.
Il volto di Kurt passò dall’arrabbiato all’intenerito per qualche secondo, ma poi tornò ad essere serio.
“Perché l’hai fatto?” Chiese a Blaine, quasi con risentimento e guardandolo con uno sguardo accusatorio.
“Perché voglio davvero farmi perdonare da te, Kurt. Tu hai tutto il diritto di essere arrabbiato con me, ma è giusto che io ti abbia detto la verità. Non ti voglio ingannare, lo capisci questo?”
Kurt abbassò lo sguardo, corrugando la fronte.
Blaine gli alzò il viso con la mano, avvicinandosi sempre di più:
“Tu sei speciale Kurt, posso sentirlo anche solo standoti vicino.”
A sentire queste parole gli occhi blu del ragazzo si spalancarono, e cominciarono a perdersi in quelli verdi di quel ragazzo che, ormai, si trovava a pochi centimetri da lui.
“Vorrei poter passare ogni giorno con te, conoscerti a poco a poco e in ogni tua piccola sfaccettatura. Lo che potrà sembrarti stupido e che sicuramente sono fuori luogo, ma è ciò che sento.
Qualcuno potrebbe chiamarlo colpo di fulmine, credo. A me piace pensare che, semplicemente, ci siamo trovati.
Probabilmente ora penserai che sono un pazzo.” Blaine fece una risata amara.
“Su forza, puoi anche dirmelo che sono fuori di testa.”
“Non c’è niente di semplice a questo modo, Blaine.” Rispose Kurt, con gli occhi tristi.
“Ci conosciamo da poco e si sono già presentati una miriade di problemi, come fai a pensare che possa essere semplice?” Kurt abbassò lo sguardo. Ciò che stava dicendo era purtroppo vero, sentirlo ad alta voce faceva davvero molto male.
“Non intendo dire che con il mondo sarà facile. Ti sto dicendo che tra noi due sarà semplice Kurt, e che insieme anche affrontare tutto il resto sarà meno pesante.” Blaine si fece serio.
“Tu credi realmente a ciò che stai dicendo?” La tensione tra i due era palpabile.
“Assolutamente sì. Fa troppo film sdolcinato?” Chiese Blaine, cercando di alleggerire la pressione.
“Sì, decisamente.” Kurt rilassò i muscoli del volto, e guardò Blaine con uno sguardo più morbido.
“Visto?” Gli sorrise finalmente Blaine.
Kurt fece un sorrisetto e scosse la testa:
“Sei davvero ostinato, Blaine.”
“Determinato, più che altro.” Fece spallucce il moro.
“Quindi… Tutti i giorni?” Kurt lo chiese con uno tono falsamente noncurante
Blaine si aprì in un enorme sorriso, come se avesse appena ricevuto la notizia migliore del mondo.
“Assolutamente.”
Si guardarono vicendevolmente, per poi coprire la distanza che li divideva all’unisono e baciarsi, con il fiato corto dall’emozione.
Blaine portò le sue braccia intorno al bacino di Kurt, e lo strinse più vicino a sé.
Kurt sospirò di piacere al contatto con il corpo di Blaine, incrociando le sue braccia intorno al collo del moro.
I baci si susseguivano, ed essi riuscivano a far sparire a poco a poco tutte le ansie e le preoccupazioni vissute l’uno lontano dall’altro.
Le lingue si incontravano e si cercavano senza sosta. Le mani Blaine esploravano la schiena di Kurt, mentre quelle di quest’ultimo vagano nei capelli dell’altro in modo irregolare.
Ad un certo punto Blaine si distese sulla coperta, portando Kurt sopra di sé.
I respiri erano ormai corti e i baci cominciarono ad essere brevi e lenti, ma molto passionali.
I due si guardarono negli occhi, sorridendosi teneramente.
Blaine accarezzò la guancia di Kurt, che chiuse gli occhi per poter godere appieno di quel contatto.
“Sei consapevole del fatto che stiamo dando spettacolo?” Gli chiese con voce roca Blaine.
Kurt sbarrò gli occhi, ricordandosi di essere in luogo pubblico.
Si guardò intorno nervoso, ma nessuno sembrava curarsi della loro presenza.
“All’università tutti hanno troppe cose da fare per spendere del tempo a guardare e a giudicare, non è come al liceo.” Lo tranquillizzò Blaine.
“Allora potremmo incontrarci qui?” Propose Kurt, sollevato da quest’ultima informazione.
“Certo, ho giusto un paio di cose da mostrarti e… Bè, conosco luoghi più appartati di questo.” Disse il moro, facendo l’occhiolino a Kurt.
Gli occhi blu del ragazzo schizzarono verso un punto indefinito dell’erba, ed egli arrossì visibilmente.
Blaine rise, gli diede un dolce bacio sulla fronte e lo invitò ad alzarsi.
“Andiamo, Mary ci aspetta.”
Camminando il moro si distanziò da Kurt per paura di metterlo a disagio, questa volta avrebbe cercato di fare le cose con più calma.
Non aveva senso essere un secondo in Paradiso e il secondo dopo sfracellati a Terra, ciò di cui avevano bisogno era un equilibrio dinamico e leggero.
Semplice.
Si sorprese quando fu proprio Kurt a prendergli la mano e a stringersi a lui, facendo aderire perfettamente i loro corpi.
“Un passo alla volta.” Si giustificò Kurt, sorridendo.
“Sono d‘accordo.” Confermò Blaine, sorridendo.





Buona sera a tutti :)
Eccoci qui al decimo capitolo, vi è piaciuto? :)
Questi due non riescono proprio a stare lontani, spero abbiate gradito la scena del campus, perchè mi sono emozionata molto a scriverla :)
Nei prossimi capitoli vedremo un po' di vita di coppia, tra amici e giornate passate a conoscersi vicendevolmente.
C'è una sola cosa che vi posso dire: tenete d'occhio la coperta ;)
Non so quando potrò aggiornare, mercoledì parto per un concorso che mi terrà impegnata un po', ma il prossimo capitolo è già in corso ;)

Ho fatto alcuni pasticci grafici per ringraziarvi tanto, mi fa sempre piacere sapere che qualcuno segue le mie storie e che naturalmente commenta, mi interessa sapere cosa ne pensate. Grazie infinite : D

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Alla prossima, buona settiana :)

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Capitolo 12
*** Capitolo XI ***


Capitolo XI

Un mese.
Blaine sapeva benissimo di non avere più di 30 giorni per poter godersi quella fantastica sensazione di calma e felicità con Kurt.
Passato questo periodo avrebbe dovuto affrontare tutto e tutti, prendere decisioni importanti, cambiare vita e, non senza troppi problemi, ricominciare.
Per questo motivo stava cercando di sfruttare ogni singolo secondo libero passandolo con il ragazzo dagli occhi contenenti quello che ormai era diventato il suo cielo, una specie di Paradiso che sembrava illuminarsi solo per lui.
I primissimi giorni non furono affatto facili, perché entrambi dovettero riprogrammare il loro quotidiano per poter avere a disposizione un bel po’ di ore da passare l’uno accanto all’altro.
Kurt sfruttava qualsiasi momento libero della giornata per poter svolgere le sue varie mansioni scolastiche. Era al suo ultimo anno e l’ultima cosa che avrebbe voluto sarebbero stati dei voti bassi.
Il fatto che i ragazzi del Glee sapessero della sua relazione con Blaine fu un bene, perché lo aiutavano mantenere in piedi le scuse usate per giustificare la sua assenza da casa.
Kurt amava suo padre, ma non avrebbe potuto rivelargli nulla di Blaine finchè questo non gli avesse dato il suo consenso.
Sapeva poi che Burt non avrebbe mai dato la sua benedizione per questa relazione, non finchè Blaine avrebbe ricoperto il ruolo di aiuto terapeuta da Mary.
Tuttavia Kurt nutriva delle buone speranze: per quel poco che quei due si erano parlati Burt non ebbe problemi a descrivere Blaine come “un bravo ragazzo, davvero a modo.”
“Papà, io esco! Ho delle prove speciali con il Glee.” Kurt si stava infilando la giacca scendendo le scale, con la velocità che da un po’ di tempo a questa parte accompagnava ogni sua uscita.
“Ancora?!” Burt fece un piccolo salto sul divano dalla sorpresa.
“E’ da un po’ ormai che provate praticamente tutti i pomeriggi. Tra la scuola, le uscite con gli amici triplicate e il Glee torni a casa solo per dormire. Non abbiamo una conversazione decente da non so quanto, te ne rendi conto?”
Kurt lo guardò con aria colpevole: suo padre aveva perfettamente ragione.
“Mi dispiace, io… S-sono molto impegnato in questi ultimi tempi.
Ti prometto che in qualche modo riusciremo a recuperare un po’ di tempo per noi due.”
Burt annuì.
“So che stai crescendo e che diventerai sempre più indipendente da me, tanto da partire per New York da qui a un paio di mesi a questa parte, ma vorrei davvero che il nostro rapporto potesse rimanere intatto, Kurt.” L’uomo gli rivolse uno sguardo quasi commosso. Il suo piccolo bambino era cresciuto veramente in fretta.
“Ti voglio bene, papà.” Kurt lo raggiunse vicino al divano e lo abbracciò forte, perdonandolo mentalmente per tutte le bugie che gli stava raccontando.
“Anche io, figliolo. Ora vai, altrimenti gli altri inizieranno a sgambettare senza di te.” Burt gli sorrise e seguì Kurt con lo sguardo, finchè il ragazzo non si chiuse la porta di casa alle spalle.
Dopo qualche secondo Carole arrivò in salotto dalla cucina, portando con sé una birra.
“Grazie, tesoro.” Disse Burt, assaggiando la sua fredda bevanda.
“Di niente, caro. Kurt è di nuovo uscito?” Chiese lei, guardandosi intorno.
“Sì, per l’ennesima volta.” Confermò l’uomo.
“Ancora la scusa del Glee?”
“Sì, quel ragazzo non ha davvero inventiva.” Burt si lasciò scappare una risata arresa.
“Dove pensi che sia, in realtà?”Carole si sedette vicino a suo marito, sfiorandogli la spalla con la mano.
“Non lo so, davvero. Però…” Burt esitò.
“Però?” Lo incitò con dolcezza Carole.
“E’ più felice da quando ha iniziato queste sue misteriose uscite, penso che ci sia sotto una cotta.” Burt emise un risolino a dir poco nervoso, passandosi una mano sul volto.
“Quando sarà pronto verrà da noi a parlarne, ne sono certa. Non pensare che non si fidi di te, semplicemente ha bisogno dei suoi tempi.” Carole gli accarezzò il volto, sfoderando un sorriso molto confortante.
Burt sospirò in risposta, ma rivolse comunque un sorriso alla moglie.
“Lo spero tanto.”



Anche Blaine cercava di accumulare più ore possibili da passare in compagnia di Kurt.
Nei primissimi giorni decise che la cosa migliore sarebbe stata studiare di notte, così che l’università potesse intralciare il meno possibile la sua nascente relazione.
Dopo due giorni in cui Blaine apparse più come uno zombie che un essere umano, Kurt scoprì quella a dire del moro era stata un’idea astuta, decidendo così in comune accordo di passare le ore di studio insieme.
In questo modo avrebbero potuto godere della vicinanza l’uno dell’altro, ma allo stesso tempo non complicarsi inutilmente la vita.
L’appartamento che Blaine divideva con i suoi amici era tranquillo e silenzioso, tanto che si rivelò un luogo perfetto per svolgere gli studi di entrambi.
Blaine poteva dare una mano a Kurt, mentre quest’ultimo era affascinato dalle materie umanistiche raccontategli dal moro.
“Sono stufo di studiare. Perché non portiamo Bach a fare una passeggiata?” Blaine si stiracchiò sulla sedia, facendola cigolare.
“Sì, anche io. Prendo il guinzaglio, Bach ne sarà felicissimo.” Kurt si era da subito affezionato a quel fantastico cagnolone nero, anche se all’inizio era stato un po’ diffidente nei suoi confronti. Prima di avvicinarlo, infatti, Kurt si era assicurato che  “quel coso nero” non gli sbavasse sui vestiti.
“Non farebbe mai una cosa simile, posso giurartelo sulla mia collezione di papillon.” Disse Blaine in quel frangente, mettendosi una mano sul cuore.
“Mi prendi in giro?” Kurt gli rispose alzando un sopracciglio.
“No. Bach è un bravo cane e…”
“Mi riferivo ai papillon!” Gli rispose il più piccolo, non riuscendo più a trattenersi e scoppiando a ridere di cuore.
“Ehi! Guarda che sono un accessorio di classe!” Cercò di difendersi il moro.
Kurt non riusciva a smettere di ridere:
“Ma com’è possibile che non ti fossi reso conto prima di essere gay? Ma andiamo!”
“Che vuoi farci… Ho dovuto aspettare la persona giusta.” Gli rispose con semplicità Blaine, ponendo subito fine alle risa del ragazzo.
La discussione finì con un numero imprecisato di baci e subito dopo Kurt fece amicizia con Bach, innamorandosene all’istante.


Il campus era ormai un luogo molto familiare anche per Kurt, perché in quella modesta porzione di terreno passava praticamente tutti i suoi pomeriggi.
In un certo senso si era affezionato a quel luogo, perché ad esso erano legati tutti i ricordi dei piccoli momenti passati tra baci, risate e discussioni intavolate con Blaine.
Avevano iniziato a conoscersi con le cose più banali e semplici, come il colore o il cibo preferito, lo sport, la musica e gli altri interessi.
A piccoli passi, appunto.
Gli argomenti pesanti erano stati accantonati per questi i primi tempi, ma entrambi sapevano che lo scorrere del tempo gli avrebbe portati a galla con forza prima o poi.
Non avevano poi così tanto tempo, ma di tacito accordo si convinsero che quei discorsi sarebbero usciti da soli, nel momento giusto. L’ultima cosa che avrebbero voluto sarebbe stata quella di rovinare il poco tempo concessogli lasciandosi prendere dall’ansia e dalla paura per il futuro, perché in quel momento loro erano il presente l’uno dell’altro, e nessuno dei due si era mai sentito così tanto partecipe e protagonista della propria vita.
Erano felici e questo poteva bastare, almeno per un po’.
“Corri Bach, prendila!” Kurt lanciò la palla il più lontano possibile, mentre Blaine stendeva la loro solita coperta sotto un albero lì vicino.
Il cane correva e abbaiava felice, seguito dalle risate cristalline di Kurt.
Quelle risa erano musica per Blaine, che sereno appoggiò la testa contro la corteccia dell’albero, godendosi la vista del suo ragazzo e il suo cane giocare come due cuccioli.
A pensarci Kurt pareva proprio un cucciolo, ma Blaine non riuscì ad individuare a quale specie potesse assomigliare.
Dopo un buon numero di tiri Bach prese la palla tra le fauci e si stese sull’erba, stanco e soddisfatto.
Anche Kurt si sentiva un po’ stanco, ma all’erba preferì la coperta e naturalmente la vicinanza di Blaine.
Il ragazzo si sedette tra le gambe del moro, appoggiando la schiena al suo petto.
Blaine lo accolse felice, avvolgendolo con le sue muscolose braccia. Quando Kurt aveva scoperto che il suo ragazzo praticava la boxe si sorprese, ma fu ben felice di notare che aveva un effetto tonificante su quel suo bel corpo.
Blaine gli diede un bacio tra i capelli, chiudendo gli occhi e godendosi il buon profumo che essi emanavano.
“Non ti ho ancora chiesto com’è andata oggi.” Esordì il moro.
“Bene, ho affrontato la verifica di algebra con tranquillità grazie ai tuoi trucchetti.” Kurt si voltò per lasciargli un leggero bacio sulle labbra.
“Lo farò più spesso, se questo sarà la ricompensa.” Disse Blaine, in un modo che a Kurt sembrò a dir poco malizioso.
Gli sorrise, ma poi continuò:
“Ah, e ci hanno anche detto che è ora di inviare la domanda per l’università. Mi sto preparando.” Disse Kurt, con un tono emozionato.
“Potremmo andare direttamente alla segreteria, ti potrebbero subito dare delle informazioni accurate.”
Kurt si girò verso il suo ragazzo per potergli rivolgere uno sguardo confuso, ma pensandoci si rese conto di non avergli mai raccontato i suoi piani per il futuro.
Blaine aveva imparato alla svelta quanto Kurt amasse cantare e ballare, ma pensava che fosse semplicemente un piacevole passatempo, come del resto lo era sempre stato anche per lui.
“Io il prossimo anno vorrei frequentare la New York School of Drama, è la mia unica scelta.” Kurt lo disse con voce flebile e abbassando lo sguardo.
Il ragazzo negli ultimi giorni si era tormentato con l’idea che avrebbe dovuto lasciare Blaine a Lima e partire tra un paio di mesi, ma la sua parte intraprendente gli aveva vietato di provare anche solo ad immaginare di mollare tutto per rimanere con lui.
In tutta sincerità Kurt non aveva la minima idea di come avrebbero potuto gestire il problema della lontananza, ma si era promesso di pensarci solo a tempo debito.
“Oh.” Blaine non aggiunse altro perché la sua testa si affollò di pensieri veramente tristi.
Rivolse un sorriso amaro a Kurt, ma fece di tutto per non fargli pesare questa sua scelta.
Era il suo futuro, e da esso Kurt si meritava solo il meglio.
Cercò di non fargli pesare nulla:
“Wow, New York. Quella città è stato anche il mio di sogno, ma i miei non mi hanno mai permesso di lasciare Lima.”
Kurt si accorse della marea di tristezza che aveva inondato il verde mare di Blaine, ma siccome era stato lui stesso a cambiare discorso probabilmente non avrebbe voluto parlarne, non per ora.
Così, sentendolo cambiare discorso decise di assecondarlo:
“Perché? Di certo lì avresti trovato università migliori.”
“Lo so, ma una volta andato via mio padre non avrebbe potuto controllarmi come fa qui ora, senza contare che Alessia non era d’accordo.”
“Capisco.”
Questa volta era stato toccato un nervo scoperto di Kurt. Non aveva mia visto quella ragazza e di certo non poteva dire di odiarla perché non avrebbe avuto senso, ma nonostante tutto Kurt diventava molto nervoso quando veniva nominata quella che per Blaine era, ormai, la sua ex ragazza.
Già, l’unico problema è che se Blaine aveva già preso la sua decisione in proposito e non aveva problemi a definirsi il ragazzo di Kurt, Alessia era ancora ignara di tutto. Questo era ciò che irritava maggiormente Kurt: il fatto che non fosse l’unico su quella Terra a pensare di poter avere Blaine tutto per sé.
Calò il silenzio per un po’ ma poi Kurt esclamò:
“Lui!” Sollevandosi dal petto di Blaine.
“Chi?” Blaine, a sua volta, alzò la schiena dall’albero sue cui era appoggiato per poter vedere meglio.
“Il ragazzo con i capelli castani a destra, indossa una maglietta bianca.”
“No, ma ne sei sicuro?” Blaine strabuzzò gli occhi in modo incredulo.
“Assolutamente. Io non sbaglio mai.”
“Wow… E’ nel mio corso di sociologia, si chiama Jason.
Kurt, tu mi hai aperto un modo.” Disse Blaine, sorridendo.
Da quando avevano iniziato a frequentarsi all’università Kurt aveva deciso che la sua prima missione sarebbe stata far avvicinare Blaine al mondo gay, così che potesse comprenderlo fino infondo.
Blaine si era dimostrato molto carente in materia, pieno di luoghi comuni e dubbi che andavano assolutamente chiariti, così che lui potesse comprendere di più anche se stesso.
Kurt rise, rispondendo in modo ironico:
“Aspetta di iniziare ad appassionarti alle maratone, le fantastiche creme idratanti, i vestiti… Ho ancora così tanto da insegnarti.”
Blaine di tutta risposta lo baciò.
“Col cavolo che inizierò ad usare creme.” Disse, continuando a baciarlo.
“Riuscirò a convincerti, vedrai.” Kurt gli mise una mano sulla guancia, accarezzando con il pollice il leggero strato di barba che stava crescendo sul viso del moro.
“Potrei cedere, ma solo in condizioni estremamente persuasive.” Il moro ammiccò, ma Kurt gli diede un buffetto e si mise a ridere, con le guance leggermente arrossate.
Blaine esitò un secondo, ma vedendo lo sguardo leggermente imbarazzato ed estremamente tenero di Kurt non riuscì a resistere.
Si avvicinò piano al suo collo e cominciò a lasciare dei leggeri baci su quella pelle bianca e delicata.
Kurt fu percorso da una scarica di piacevoli brividi, tanto che si lasciò scappare un sospiro e piegò la testa di lato, così da lasciare più spazio alla bocca di Blaine.
Il moro poteva avvertire tutto il piacere che Kurt stava provando per quei baci, che man mano cominciarono a farsi più intensi e bagnati.
Blaine trovò un punto particolarmente sensibile e cominciò a mordicchiare e a succhiare la pelle di Kurt, prima con delicatezza e poi sempre più intensamente, ad un ritmo quasi regolare.
“Blaine.” Kurt biascicò appena il nome del suo ragazzo.
“Se torno a casa con un succhiotto mio padre mi scoprirà.”
Di certo Kurt non avrebbe voluto interrompere quel piacevole momento, ma la paura di essere scoperto gli aveva permesso di avere quel piccolo secondo di lucidità.
“Certo, certo. Perdonami, mi sono fatto prendere un po’ troppo, ma è questo è l’effetto che mi fai.”
‘Dio, le parole potevano essere veramente così eccitanti?’ Pensò Kurt.
Si scambiarono ancora qualche dolce bacio, ma ad un tratto la pancia di Blaine cominciò a gorgogliare.
Il moro divenne paonazzo dalla vergogna:
“Scusa, ho un po’ di fame.”
“Ahahah, solo un po’? Dai rientriamo, ci penso io a prendermi cura di te.”
Kurt saltò in piedi sorridendo, e fece l’occhiolino ad un Blaine molto curioso.


Kurt aprì il frigo e frugò negli scaffali e nelle credenze in cerca di qualcosa che potesse essergli utile.
“In questa casa si cucina troppo poco Blaine, siete davvero mal forniti. La prossima volta ti accompagnerò io a fare la spesa.”
Blaine lo guardò perplesso, non aveva mai visto uno sguardo tanto assorto sul volto di Kurt.
“Ehm, ok… Ma cosa stai cercando di fare?” Chiese curioso.
Kurt posizionò una serie di ingredienti e di arnesi da cucina (che Blaine neanche sapeva di possedere) sul tavolo, per poi andare la lavarsi le mani.
“Mi piacerebbe prepararti qualcosa di speciale. Io amo cucinare, ma è ancora più bello poterlo fare per le persone a cui voglio bene.” Kurt gli sorrise, con gli occhi azzurri ancora più luminosi del solito.
Blaine si avvicinò per regalargli un bacio molto dolce, perché non sapeva che altro fare davanti a tanta tenerezza.
Il moro adorava il fatto che i sentimenti di Kurt potessero usare quel cielo, ora terso e luminoso,  contenuto nei suoi occhi per potersi esprimere.
“Ti andrebbe di darmi una mano?”
“Certo. Cosa faremo?”
“I chocolate chip cookies, una mia piccola specialità.” Il viso di Kurt divenne un misto di felicità e nostalgia, come se quei biscotti avessero risvegliato in lui ricordi antichi e felici.
“Prego chef, a lei il campo!” Blaine fece un inchino molto teatrale e indicando il tavolo della cucina, facendo ridere Kurt.
“Allora: pesami lo zucchero e la farina, io comincio a far sciogliere il burro.”

Blaine si rilevò un aiutante un po’ alle prime armi, ma che riuscì a compensare le sue scarse doti culinarie facendo ridere Kurt.
“Ti svelerò un segreto, ma promettimi che non lo dirai a nessuno” Disse il più piccolo.
“Giurin giurello!” Blaine si mise una mano sporca di farina sul cuore, lasciandovi una perfetta impronta della sua mano.
“I dolci risentono dell’umore di chi li prepara. Se sei arrabbiato, di fretta o nervoso ciò che cucinerai non avrà un buon sapore, mentre se sarai felice verranno benissimo, indipendentemente dalla tua bravura.” Kurt aggiunse all’impasto lo zucchero, lievito, un uovo e un pizzico di bicarbonato, poi prese il cucchiaio di legno ed iniziò ad incorporare la farina.
“E’ una bella frase, chi te l’ha detta?” Chiese Blaine, curioso come sempre.
“Mia madre. Questa che stiamo facendo è una sua ricetta, la mia preferita.
Non è una frase, è la verità.” Kurt evitò accuratamente lo sguardo di Blaine, fingendo di concentrarsi sull’impasto. Non era stato facile parlare di sua madre, neanche con lui.
Kurt sapeva però che, anche se Blaine non aveva mai vissuto una situazione simile, lo avrebbe capito e consolato, senza permettersi mai di giudicare il suo dolore o la sua nostalgia.
A Blaine non sfuggì nulla e notò che il cielo negli occhi del ragazzo all’improvviso si era incupito.
Il moro posò una mano su quella con cui Kurt stava girando l’impasto, mentre con l’altra lo fece voltare verso di lui.
“Piccolo, stai bene?”
Kurt fissò Blaine con la bocca leggermente aperta, sentendo un lieve bruciore agli occhi.
No.
Questa volta avrebbe impedito a se stesso di mettersi, per l’ennesima volta, a piangere.
Kurt si buttò tra le braccia di Blaine, che lo accolse con le sue forti braccia in un abbraccio caldo e rassicurante.
“Mi manca Blaine, mi manca da morire.”
Il moro non disse niente, sapendo che in questo caso qualsiasi cosa fosse uscita dalla sua bocca sarebbe stata a dir poco superflua.
Kurt liberò un lungo sospiro sulla schiena del suo ragazzo, sentendosi inaspettatamente più leggero. Come liberato da un peso.
“Sono fortunato ad averti qui con me, grazie Blaine.
Mi… Mi piace essere chiamato piccolo da te, è adorabile.” Lo strinse più forte.
“Tu mi hai cambiato la vita Kurt, facendomi scoprire ciò che sono realmente. Non ti ringrazierò mai abbastanza.” Blaine chiuse gli occhi, godendosi quel contatto e il profumo del suo ragazzo.



Ripresero la preparazione dei biscotti con la felicità tipica di chi ha appena superato un momento delicato, quella che ti fa sentire leggero e senza problemi.
Kurt prese un po’ di impasto dalla ciotola per poterlo assaggiare, ma non ebbe il tempo di avvicinarlo alla sua bocca che Blaine gli afferrò delicatamente la mano e portò il dito del ragazzo alla sua, testandolo al posto suo.
Il più piccolo rimase un senza parole, percorso da un brivido a dir poco eccitante lungo tutto il corpo.
Il moro lo guardò compiaciuto, consapevole del fatto di averlo preso alla sprovvista.
“Mmmmh, manca un pizzico di sale.”
“Davvero?” Disse Kurt, cercando di non dare nessuna soddisfazione al suo ragazzo.
“Sì, prova.” Blaine lo baciò intensamente sulle labbra, per provocarlo ancora di più.
Effettivamente Kurt avvertì il dolce sapore lasciato dall’impasto, ma di certo non sarebbe stato quello il modo giusto per capire se quel sale andasse aggiunto o meno
“Mi prendi in giro?” Disse Kurt, trattenendo un sorriso.
Blaine, di tutta risposta, si mise a ridere e riprese da dove aveva lasciato.
Le loro lingue si incontrarono subito, ormai affezionate alle carezze l’una dell’altra.
“Lo senti ora? Manca il sale.” Disse con voce bassa il moro.
“Sì, e se continuiamo così dovrà mettersi da solo.” Kurt spinse affettuosamente via Blaine riprendendo a cucinare, mentre quest’ultimo ridacchiava soddisfatto.



Dopo due ore di baci, carezze, battute e l’iniziale discorso importante i biscotti erano finalmente sfornati, pronti per saziare l’ormai enorme fame di Blaine.
L’intera casa profumava di dolce, così come anche gli indumenti e i capelli dei due ragazzi.
“Questo odore è fantastico, vorrei potesse rimanere in eterno. Posso assaggiarli?” Disse Blaine, sfoderando un sorriso da cucciolo.
Kurt aveva appena finito di mettere a posto tutto ciò che aveva adoperato, e diede il suo consenso.
“Sì, prendi il piatto e mettiamoci sul divano. Ho bisogno di sedermi un secondo.”
Kurt si lasciò sprofondare nel comodo sofà, seguito da un Blaine con uno sguardo famelico.
Il più piccolo portò un biscotto alla bocca del moro, che chiuse gli occhi e sospirò di piacere.
“Sono assolutamente fantastici, i più buoni che io abbia mai assaggiato! Io me ne intendo di biscotti, fidati.”
Blaine sembrava un bambino felice, come quelli che si riempiono di gioia per le cose più semplici che la vita può offrire, come ad esempio un cookie.



Ad un certo punto la porta si aprì, facendo entrare nell’appartamento Matt e Mark.
“Ehilà, ciao ragazzi! Mmmmh, ma cos’è questo profumino?” Mark si fiondò in cucina, cercando la fonte di quel dolce odore.
“Ciao Kurt, ciao Blaine. Come state?” Matt si mostrò gentile come sempre, ma anche il suo stomaco gli chiese di capire cosa potesse sprigionare un tale profumino.
“Stiamo bene, grazie Matt.” Disse il più piccolo.
“Kurt ha cucinato i cookies, servitevi pure. Io vado un secondo in bagno.” Blaine pose il piatto colmo di biscotti ai nuovi arrivati.
“Amico, sei davvero bravo in cucina.” Mark non si fece troppi problemi e cominciò ad ingoiarne uno dopo l’altro.
“Veramente Kurt, i miei complimenti.
Sai, siamo felici che tu ti sia messo con Blaine. Si mostra giocherellone e spavaldo, sa non prendersi troppo sul serio, ma quando si tratta di te è così insicuro… Ci tiene davvero molto alla vostra storia.” Matt gli sorrise e Kurt di rimando, senza sapere cosa altro aggiungere.
“Anche perché, siamo sinceri, nessuno gli ha mia dato prima d’ora la possibilità di scegliere nulla.
Sappiamo che sei un bravo ragazzo, per cui ti preghiamo di non fargli del male.” Aggiunse Mark, facendosi inaspettatamente serio.
“Non lo farei mai, lo giuro.”
Kurt ricevette in risposta una pacca sulla spalla.
Matt stava per aggiungere qualcosa, ma fu interrotto da un forte bussare alla porta.
“Blaine, sei a casa?”
All’udire quella voce femminile Matt sbarrò gli occhi e guardò subito Mark, che nel mentre si stava strozzando con l’ultimo cookie ingoiato.
Kurt li guardò per un secondo spaesato, ma non ci volle molto affinché il suo cervello facesse due più due:
Quella voce di donna non poteva che appartenere ad Alessia.
Mark spinse Matt nella sua camera, il quale la chiuse subito dall’interno.
Blaine uscì dal bagno giusto in tempo per vedere il suo amico aprire la porta e trovarsi davanti il viso di Alessia.
La ragazza cominciò subito ad annusare l’aria, rivolgendo uno sguardo interrogativo ai due ragazzi.
Quando si accorse della presenza di Kurt piego di lato il capo. Il ragazzo tossicchiò nervosamente, ma cercò in tutti i modi di trattenersi dal guardare Blaine perché altrimenti lei avrebbe intuito qualcosa, ne era inspiegabilmente certo.
“Ciao Blaine.” La ragazza sorrise e cercò di avvicinarsi, ma il moro si distanziò con cautela.
“Ciao Ale, come mai sei venuta qui?” Il suo tono era gentile come sempre.
La ragazza alzò un sopracciglio:
“Volevo sapere come stavi, siccome tu non mi chiami mai o non mi rispondi. Tempo di esami?”
“Sì, esattamente.”
Kurt e Blaine si scambiarono una veloce occhiata, ma essa bastò per far irrigidire il viso della ragazza.
C’era una inspiegabile alchimia che legava Kurt a Blaine continuamente, e chiunque era loro vicino poteva avvertirla.
In quel momento, però, non fu per niente utile.
“E lui chi sarebbe?” Chiese la ragazza, squadrandolo da capo a piedi.
Kurt rivolse uno sguardo implorante a Blaine, pregandolo di far cessare quell’orribile momento il più presto possibile.
Il moro a sua volta si stava sentendo un verme perché poteva vedere fin troppo chiaramente quanto quella situazione facesse male al suo Kurt, e si maledisse per questo.
“L’aiuto per l’affitto mentre Matt non c’è. Si chiama Kurt, è una matricola.” Rispose Mark, mettendosi strategicamente in mezzo a Kurt e Blaine.
“Ciao, io sono Alessia.” Gli rivolse un leggero cenno della mano.
“Kurt, piacere.” ‘Ora levati di torno’ Aggiunse mentalmente.
“Amore, perché non usciamo a fare una passeggiata?” Alessia si avvicinò pericolosamente a Blaine, facendo lampeggiare il cielo di Kurt.
La ragazza non si lasciò sfuggire un solo movimento di quello strano ragazzo dagli occhi blu, cominciando a preoccuparsi di tutto l’interesse che stava rivolgendo a Blaine.
Cosa voleva quel ragazzino dal suo fidanzato?
“Ale, io non posso.” Blaine la guardò rammaricato.
“Puoi prenderci cinque minuti di pausa dallo studio tesoro, non è poi così grave.” La ragazza cercò di avvolgergli le braccia al collo, ma il ragazzo si divincolò.
“Non voglio più stare con te, Alessia. E’ finita. Spero che un giorno tu possa perdonarmi.” Blaine le accarezzò una guancia, sotto lo sguardo scioccato di Mark e Kurt.
“No Blaine, ti prego! Ho fatto qualcosa di sbagliato? Cos’è successo? Cos’è cambiato tra di noi? Io… Io ti amo!” Lo disse con le lacrime agli occhi, con tutta la sincerità possibile.
Blaine si sentì uno schifo. Gli dispiacque vedere Alessia così tanto distrutta e sapere che tutto quel dolore sul suo viso era stato creato a causa sua, ma lo stava facendo anche per il suo bene, per non continuare a prenderla in giro.
“Mi dispiace tanto Ale. Credimi se ti dico che ti voglio bene, ma non siamo fatti per stare insieme.”
La ragazza non sopportò più tutto quel dolore che le stava martellando il petto e quello strano senso di nausea, così decise non aggiungere altro e di scappare fuori da quel maledetto appartamento.
Sentì i passi di Blaine dietro di lei, ma venne fermato da Mark:
“Lasciala andare, ha bisogno di stare da sola.”
Una volta in macchina pianse disperatamente per chissà quanto tempo, non riusciva ancora a credere che il suo Blaine le avesse potuto dire tutte quelle cose.
Smise di singhiozzare quando le venne in mente di fare una telefonata:
“Pronto, Richard? Blaine mi ha lasciata.” Disse al ricevitore, facendosi scappare ancora molte e molte lacrime.
 

 

Buona sera a tutti, c'è nessuno?
Scusate per tutto il tempo che questa volta vi ho fatti aspettare, ma ho avuto delle giornate molto piene a causa della scuola, senza contare che ieri è stato il mio compleanno e posso dire con fierezza di essere finalmente maggiorenne : D
Comunque, ho scritto un capitolo un po' più lungo del normale per farmi perdonare e questo è il mio regalo per voi, vi piace? :)
Vi aspettavate l'entrata di Alessia e la seguente telefonata?
Spero di essere riuscita a raccontare la tenerezza che mi ispira la Klaine, anche se so perfettamente chei miei scritti non le renderanno mai abbastanza giustizia.
Ringrazio tantissimo chiunque segua questa storia e coloro che la commentano, grazie infinite :D
Il prossimo capitolo è già nella mia testa, spero di riuscire a scriverlo il prima possibile.
Grazie per l'atenzione ragazzi, alla prossima :)

Twitter: https://twitter.com/Mcc_Blue

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Capitolo 13
*** Capitolo XII ***


Capitolo XII

Blaine era felice.
Ogni giorno sentiva di acquistare sempre più possesso della sua vita. Era come se le sue dita si fossero finalmente aggrappate alla realtà che egli stesso aveva desiderato, modellandola in modo dolce e deciso a suo piacimento, cullandola e proteggendola come se fosse la cosa più cara che avesse al mondo.
E, in effetti, lo era.
Mentre Kurt era a scuola però il ragazzo dagli occhi indefiniti non si limitava solo a frequentare le sue lezioni di psicologia.
Blaine, infatti, faceva parte anche del comitato artistico dell’università, il gruppo formato da soli studenti che si occupava di ogni singola manifestazione legata all’arte organizzata dalla scuola.
Negli anni passati Blaine si era limitato a curare la parte organizzativa e burocratica degli eventi (facendo tra l’altro un lavoro impeccabile), ma non aveva mai trovato il coraggio di proporsi come artista.
Più di una volta fu tentato di farsi avanti, salire su un palco e mostrare a tutti la sua anima esibendosi come musicista, cantante e ballerino, da solo o con i suoi amici a fargli da spalla.
Non si fece mai vanti perché le feste dell’università erano sempre aperte a tutti, genitori compresi. La paura di scorgere, ad un certo punto di un’esibizione, il viso duro di suo padre tra il pubblico lo aveva sempre fatto desistere ad ogni singola occasione, perché sapeva che Richard si sarebbe vergognato di un figlio che passa il suo tempo a rendersi ridicolo su un palco, cantando e ballando come una donniciola.
Blaine però quest’anno era deciso a non farsi influenzare.
Non troppo, almeno.
Infatti, al momento di spedire gli inviti per il musical di quest’anno il moro si era ben guardato dall’inviarne uno ai suoi genitori, ed essendo lui l‘incaricato per questo genere di cose nessuno si sarebbe mai preso la briga di controllare.
Al preside dell’università, un vecchio amico di suo padre che approfittava sempre di queste situazioni per incontrarlo, avrebbe raccontato che i suoi genitori avevano avuto un contrattempo che aveva impedito loro di partecipare.
In ogni caso gli avrebbe portato i loro saluti, giusto per non dare nell’occhio.
Blaine stava ripassando per l’ennesima volta questo suo piano, mentre stava finendo di mettere a posto le coreografie del musical.
La sera seguente ci sarebbe stata la prima, ed il moro non poteva fare a meno di sorridere e sentire una piccola, ma piacevole morsa allo stomaco, quasi un solletico.
Kurt sarebbe stato in prima fila a vederlo, seduto proprio in quella seggiola che in quel momento si trovava vuota e scura davanti a lui.
Deglutì, il solo pensiero lo innervosiva e lo mandava in estasi tutto in una volta.
Questo miscuglio di emozioni, stranamente, gli piaceva. Tutto ciò gli dava la carica giusta per tenersi concentrato sul musical: avrebbe dovuto essere perfetto.
C’era un particolare da non trascurare:
Kurt era all’oscuro di tutto.
Blaine desiderava ardentemente fargli una sorpresa e così non lo aveva mai messo al corrente delle sue prove, del musical e di tutto il resto.
Sapeva per certo però che il tema del musical sarebbe stato di suo gradimento, perché un pomeriggio Kurt aveva frugato nella libreria di Blaine in cerca di qualcosa di interessante da leggere, ed incappando in quella saga di libri non era stato capace di trattenere una risata sincera e spensierata, che era risuonata quasi infantile tanto era stata bella.
“Oddio, ma anche io amo Harry Potter!” Gli occhi azzurri di Kurt in quell’occasione erano apparsi particolarmente lucenti e limpidi.
Fu in quel frangente che Blaine decise di non dirgli niente, così da poterlo stupire nel migliore dei modi.
La loro non era rappresentazione fedele all’originale. Era più una parodia scritta con tutto l’amore e il rispetto che un gruppo di fan possa avere nei confronti di una delle sue opere preferite.
Blaine aiutò con qualche scena e battuta, ma il suo vero lavoro fu quello di scrivere tutti i pezzi musicali dell’ opera.
Alcuni suoi amici e i ragazzi della band che li avrebbe accompagnati gli diede una mano con le rifiniture e qualche arrangiamento, ma il lavoro più grosso era stato fatto interamente da lui.
Non poteva nasconderlo:
Andava molto fiero del lavoro svolto, e il fatto che lui potesse interpretare il ruolo di Harry Potter non poteva che renderlo ancora più deliziosamente nervoso.
Raccolse la sua borsa da terra, ma prima di andarsene si recò al centro del palco e rimase lì in silenzio per un po’, per contemplare quel bellissimo auditorium vuoto e silenzioso.
Prese un bel respiro profondo ad occhi completamente chiusi, godendosi il graduale rilassamento del suoi muscoli e la sensazione di essere finalmente nel posto giusto, con a fianco la persona giusta:
Se stesso.



“Ahahahah, Blaine!” Kurt continuava a divincolarsi dalla morsa del suo ragazzo, ma con scarsi risultati.
“Cosa? Oh, per caso qui qualcuno soffre il solletico?”
Il pomeriggio era partito con le migliori intenzioni, perché Blaine si era offerto di aiutare Kurt a concludere la compilazione della domanda per la NYADA.
Il problema era sorto dopo circa un’ora, perché tra una domanda stampata dei documenti e l’altra era sorta anche quella ben più concreta di Blaine:
“Verrai qui questa sera, vero?” Il moro aveva sfoderato uno dei migliori sguardi da cucciolo della sua infinita collezione.
“Certo, come potrei mancare all’inizio della nostra maratona targata Harry Potter?” Kurt gli diede un dolce buffetto sul naso.
Blaine dovette sfoderare tutto il suo autocontrollo per non far nascere sul suo volto un sorrisino furbetto che avrebbe potuto mascherarlo, così si limitò ad un normale sorriso.
“Vestiti elegante.” Fu la richiesta del moro.
“Cosa?!” Kurt lo guardò con un’aria a dir poco confusa.
“Blaine, cosa hai intenzione di fare questa sera?” Continuò il ragazzo, con una punta di confusione nella voce.
“La maratona, ovvio. Però tu vestiti bene, d’accordo?”
All’università il musical di primavera era un evento molto importante a cui partecipavano parecchie persone importanti di Lima, invitate dal rettore dell’università per mostrare quanto il suo campus fosse brulicante di giovani e produttive menti.
Blaine sapeva che con questo piccolo dettaglio del vestito avrebbe fatto crollare un po’ la storia della sorpresa, ma sapeva anche che Kurt non lo avrebbe perdonato se si fosse ritrovato in tuta seduto in prima fila, con affianco un qualche uomo importante stretto in giacca e cravatta.
“E perché?” Lo incalzò Kurt, con gli occhi pieni di curiosità.
“Ehm… Magari ti porto fuori a cena, o qualcosa di simile… No-non ti andrebbe, Kurt?” Blaine cominciò ad avvertire il sudore rendere scivolosi i palmi delle sue mani.
“Non a Lima, spero. Qui molti conoscono mio padre tanto quanto il tuo e…” Il flusso di parole di Kurt si interruppe bruscamente, a causa di un lieve bacio di Blaine.
“Fidati e basta, ok?” Disse il moro, facendo una carezza al suo ragazzo.
Da quel momento la situazione aveva presa una piega decisamente più blanda, tanto che i due si ritrovarono intrecciati sul divano.
Blaine si divertiva a torturare Kurt facendogli il solletico, era così bello vederlo ridere.
Ad un certo punto Blaine perse l’equilibrio e finì proprio viso a viso con Kurt, con gli occhi fissi nel suo cielo.
Le risate finirono all’istante e calò il silenzio, i loro sguardi divennero magnetici e il respiro fu reso pesante dalla vicinanza.
Potevano sentire il calore irradiato dal corpo dell’altro, il cuore battere il tempo delle loro emozioni e quell’attrazione che sin dall’inizio li aveva caratterizzati, ora più forte e pulsante che mai.
Blaine sfiorò il viso di Kurt.
“Sei così bello, Kurt.”
Il più piccolo deglutì, arrossendo all’istante.
“Non hai idea dell’effetto che mi fai, Blaine.”
Kurt spostò lo sguardo sulle labbra di Blaine, ma arrossì ancora di più e scosse la testa, come a voler allontanare un qualche pensiero troppo assurdo.
Blaine accarezzò il naso di Kurt con il suo, come aveva fatto dopo il loro primo bacio.
Sorrisero entrambi al ricordo, e lentamente cominciò una nuova pioggia di baci con i quali i due amanti stavano cercando di dirsi tutte le parole rimaste senza voce in quegli istanti passati l’uno così vicino all’altro.


“Blaine, la cena è pronta.” Lo avvisò Matt, mentre il moro era intento a fissare il soffitto nella stessa posizione in cui poco prima Kurt era sdraiato, proprio sotto il calore del suo corpo.
Il pensiero lo fece avvampare all’istante.
Si costrinse a smettere di pensarci, sarebbe stata solo una tortura.
“Non ho molto appetito.” Disse, incrociando le braccia dietro la nuca.
“Cosa c’è Blaine, problemi di cuore?” Si preoccupò subito Matt.
“Problemi di letto, te lo dico io.” Intervenne Mark, con aria risoluta.
“Mark! Ma possibile che tutto si debba sempre ridurre ad una questione di sesso? Blaine, diglielo che…” Nello stesso momento in cui rivolse gli occhi al moro per cercare una conferma alla sua teoria, Matt capì dallo sguardo partecipe di Blaine, ormai ritto sul divano, che Mark non poteva che aver avuto ancora ragione.
Il moro si grattò il collo in modo nervoso, poi si lasciò ricadere sul divano coprendosi il viso.
Gli ci volle un minuto buono per alzarsi e raggiungere i suoi amici già seduti al tavolo della cucina.
Si sedette a sua volta, appoggiando il mento sulle braccia incrociate appoggiate al tavolo.
“Io non so amare.” Sputò fuori Blaine, con rabbia e rassegnazione.
“Hai bevuto?” Chiese Mark.
“Forse?” Chiese a sua volta Blaine, con lo sguardo tra l’interrogativo e il disperato.
“D’accordo, ora basta! Cosa c’è che non va, Blaine?” Chiese Matt.
“Kurt si aspetta qualcosa da me.” Disse Blaine, guardando i suoi amici.
“Cosa?” Lo incalzò Matt.
Blaine aprì le braccia in un gesto molto plateale e alzando le sopracciglia, come a dire che fosse una cosa ovvia.
“Oh, quel qualcosa.” Mark afferrò subito il concetto, e diede una gomitata a Matt, il quale finalmente comprese il discorso.
“Io per primo lo voglio, che sia chiaro. Solo che… Bè, credo che lui sia vergine, mentre io non ho mai avuto esperienze di quel tipo… In realtà, non ricordo neanche la mia prima e ultima volta con una ragazza.” Ammise Blaine, continuando a tormentare i ricci.
 “Oh, Blaine.” Matt gli sorrise comprensivo.
“Il fatto è che vorrei, ma non so come…” Aggiunge il moro, liberandosi del suo personale dilemma.
“Andiamo.” Disse Mark.
“Dove?” Chiesero gli altri due.
“Sul mio sito di fiducia.” Disse con leggerezza il ragazzo.
“MARK!” Urlarono in risposta i suoi due amici.
“Sto scherzando, calmatevi! E non fate troppo i santarellini, che tanto non ci credo.
Comunque, penso che la cosa migliore sia affidarsi a qualche ricerca su internet, potrebbe essere utile o almeno dimostrarsi un punto di partenza.”
“Mark, ti ho mai detto che sei un genio?” Blaine gli saltò al collo.
“Lo so, ma grazie per averlo notato.” Rispose lui, spavaldo.


Blaine cercò di aggiustarsi un po’ tutti quei ricci liberi e particolarmente selvaggi che questa sera gli adornavano la testa, ma con scarsi risultati.
Bevve l’ennesimo bicchiere di acqua di quella serata, ma continuò a sentirsi la gola secca e asciutta.
Scaldò a dovere la voce con gli altri ragazzi del cast, suonando la chitarra e allentando un po’ la palpabile tensione che tutti stavano avvertendo.
Si allontanò un pochino dal gruppo per controllare il suo cellulare, nel casso Kurt gli avesse mandato un messaggio.
Aveva lasciato un biglietto attaccato alla porta dell’appartamento con scritto:

“Vieni in auditorium e cerca il tuo nome in prima fila, sarò proprio lì davanti a te.
Buona serata, piccolo.
                                                     Blaine.”
Sorrise immaginando il volto corrugato di Kurt nel leggere quel messaggio, ma sperò con tutte le sue forze che ad esso sarebbe seguito anche un sorriso.


Blaine era ormai dietro le quinte di velluto rosso scuro, che minacciavano di aprirsi da un secondo all’altro.
Era seduto su una valigia verde scuro con le mani che si torturavano freneticamente a vicenda per la tensione, ma egli sapeva perfettamente che quello non era più il momento di lasciarsi andare alla paura o al nervosismo:
Quello sarebbe stato il momento di spogliarsi di tutte le bugie, le parole non dette, le paure e i problemi per poter finalmente mostrarsi sotto una nuova luce.
Non più il ragazzo che cerca di trovare se stesso, ma come l’uomo che sa cosa vuole e fa di tutto per ottenerlo.
Proprio dopo aver formulato quest’ultimo pensiero il sipario lo lasciò senza protezione davanti ad un auditorium gremito di gente.
Amici, conoscenti, professori, il rettore, uomini che non aveva mai visto e perfino alcuni amici di suo padre.
Sentì tutto il fuoco che aveva provato poco prima affievolirsi fino a quasi scomparire, riducendosi ad una semplice brace.
Era come se il sipario lo avesse esposto ad un vento implacabile creato dai pensieri e dai giudizi delle persone presenti.
Il panico era ad un passo dall’assalirlo quando lo vide, proprio lì davanti come lui stesso gli aveva detto.
Indossava una camicia bianca con le maniche arrotolate fino ai gomiti, con una cravatta nera e sottile.
Blaine perse un battito quando notò l’espressione di meraviglia che capeggiava sul volto di Kurt, tirato in un sorriso sincero e divertito.
Si guardarono intensamente negli occhi e fu come se Blaine avesse ricevuto una scarica di energia, che si diramò per tutto il suo corpo e addirittura tra i suoi riccioli.
Il fuoco era tornato.
Si sentì di nuovo sicuro e fiero, ma la cosa più bella è che capì di essere innamorato. Per la prima volta nella sua vita.
Fece un piccolo segno all’orchestra, facendo partire l’intro di chitarra (https://www.youtube.com/watch?v=4yVuvU3Zjt0):

Blaine decise di fare una piccola dedica, alle parole:
“It’s all that I love, and it's all that I need.”
Con la dovuta discrezione guardò dritto negli occhi Kurt, portandosi la mano sul petto.
Kurt quasi si commosse, mandando un bacio silenzio al suo Harry.


Il pubblico rimase un secondo senza parole dopo aver scoperto il tema dell’atteso musical di quest’anno, ma si dimostrò comunque partecipe.
Era impossibile non ridere alle geniali battute degli attori, alla loro naturale ironia. La loro bravura e la loro voglia di divertire fece il resto, rendendo la serata indimenticabile.
Al momento dei saluti da parte degli attori tutto il pubblico decise di alzarsi in piedi, per rendere loro omaggio.
Kurt aveva uno sguardo tenerissimo e felice, batteva le mani con una tale convinzione che Blaine ebbe paura che si potesse fare male.
Non riuscirono a staccarsi gli occhi di dosso. Neanche quando Blaine dovette fare l’inchino fu in grado di piegare del tutto la testa, incapace di spezzare quell’indispensabile contatto visivo con Kurt.


Nella parte più vicina all’uscita però una figura aveva assistito a tutto questo spettacolo infantile, notando come il protagonista fosse fin troppo interessato a qualcuno seduto in prima fila.
Il soggetto fece per andarsene, ma venne bloccato sulla porta:
“Richard, ma che piacere! Cosa ci fai qui? Il tuo ragazzo ci aveva detto che non saresti potuto essere presente, questa sera. Fannie è con te?” Un uomo alto e imponente stava porgendo la mano al padre di Blaine, ma quest’ultimo si limitò ad una fugace stretta e ad una risposta a monosillabi, per poi uscire nel buio fresco della sera.

“Allora?” Chiese Fannie, quando suo marito varcò la soglia di casa.
“Allora abbiamo un problema, un grosso problema.” Richard stava cercando di trattenere la rabbia, ma la cosa non gli riuscì particolarmente bene.
“Domani andrò a parlare con Blaine, e porremo fine a questa storia.” Sentenziò l’uomo.
“Chi è lei?” Chiese la donna, con dolcezza.
Fannie era sempre stata una donna romantica e devota ai sentimenti. Dal canto suo avrebbe accettato qualsiasi altra ragazza avesse fatto interessare suo figlio tanto da farlo lasciare Alessia, perché una cosa simile non poteva che essere stata fatta per un sentimento di amore forte, molto forte.
“Non c’è nessuna lei!” Si trovo ad urlare l’uomo, prima di sbattersi alle spalle la porta della camera da letto.
La donna sospirò, sprofondando sul divano.
Perché suo marito aveva avuto una tale reazione?
Posò lo sguardo su una foto di famiglia scattata anni fa, quando Blaine frequentava ancora il liceo.
Fannie la prese in mano, passando un dito sul volto di suo figlio:
“Cosa sta succedendo, tesoro mio?” Sussurrò appena, prima di riporre al suo posto la foto e mettersi a piangere.


Kurt si sentiva così bene quella sera che sperava di poterci vivere per sempre.
Il buio in quel momento gli trasmetteva un sentore di infinito, come se gli stesse promettendo di poterlo tenere lì al sicuro, riuscendo a conservare la gioia pura di quel momento e permettendogli di godere della vicinanza di Blaine.
Il moro non avrebbe potuto prolungare quella serata all’infinito, ma fu come se avesse promesso silenziosamente a Kurt di consumarla con lui finchè il sole non fosse sorto in cielo, e anche il quel caso comunque Blaine non avrebbe mai lasciato Kurt.
Non avrebbe mai potuto farlo.
Kurt lo aspettò pazientemente fuori dai camerini, così da non dare nell’occhio più di quanto non avessero già fatto quella sera.
Blaine non lo fece aspettare troppo, uscì dopo circa un quarto d’ora con indosso un paio di jeans, e la cravatta oro e rossa con la camicia bianca come resti del personaggio appena interpretato.
Aveva sulle spalle uno zaino, probabilmente contente gli altri vestiti di scena.
“Ehi!” Disse con un’euforia incontrollabile.
“Ciao.” Rispose Kurt, felice di vederlo così soddisfatto di sé.
Blaine diede un’occhiata a destra e una a sinistra, ma purtroppo non erano soli.
“Andiamo.” Gli fece segno Blaine, muovendo il capo.
I loro corpi sparirono alla vista di occhi indiscreti, ma il moro sapeva perfettamente che quando vi erano quel genere di rappresentazioni il campus finiva per diventare un luogo pieno di gente e di feste improvvisate fino al mattino, così Blaine si era preventivamente attrezzato per preparare un posto tranquillo dove poter stare un po’ insieme.
Condusse Kurt fino all’entrata degli appartamenti per gli studenti, ma invece di usare le normali scale interne Blaine lo guidò su per le rampe antincendio, fino ad arrivare al tetto.
Kurt spalancò le labbra per la sorpresa:
Vicino al parapetto era stato allestito un nido di coperte e cuscini, creato per potersi sedere e godere della vista di tutta Lima illuminata dalle infinite luci accese.
Persino quella piccola cittadina riusciva ad apparire bella e splendente dall’alto.
“Ti piace?” Chiese Blaine, prendendo la mano di Kurt nella sua.
“E’… E’ bellissimo, Blaine.” Kurt chiuse la bocca ancora aperta dallo stupore e avvicinò Blaine a sé, così da poterlo finalmente baciare.
Era tutta la sera che aspettava quel momento, e a giudicare dalla foga con cui il moro rispose non doveva essere stato facile neanche per lui aspettare fino a quel momento.
Si staccarono solo per riprendere fiato, con le labbra calde e pulsanti che chiedevano di più.
Blaine lo prese per mano e lo condusse in quel nido improvvisato, creato grazie all’aiuto di Matt e Mark.
Si persero nell’ammirare le luci artificiali di Lima, apprezzando un gradevole venticello fresco di una primavera appena accennata, e il canto dei grilli proveniente dai grandi spazi verdi del campus.
Smisero di ammirare le luci artificiali quando, quasi per caso, portarono gli occhi al cielo.
Le luci sempre accese dell’università giungevano fioche ai loro occhi, tanto erano persi nel blu scuro e liquido di quella notte.
Esso era intervallato in modo irregolare da un numero infinito di luci incastonate e irraggiungibili, quasi come se esse non potessero davvero esistere.
La luna non era altro che uno squarcio bianco, sottile e a forma di falce. Era appena accennata, ma bianchissima e luminosa, così tanto che attorno a lei non vi era alcuna stella.
I due ragazzi si erano persi nell’ammirare quello spettacolo naturale, tanto di non accorgersi dell’impercettibile scorrere della sera, segnalato solo dal lento cambio di posizione della bianca fenditura nel cielo.
I due amanti abbassarono lo sguardo l’uno sull’atro e all’unisono, come se qualcosa li avesse svegliati da un lungo sonno.
“Io non voglio che finisca tutto questo, Blaine.” Kurt lo disse con voce flebile, ma al moro sembrò sull’orlo di piangere.
Mancava poco alla fine del loro mese.
“Non lo permetterò mai, te lo giuro.” Blaine strinse forte il suo ragazzo, baciandogli la testa in modo deciso.
“Allora dimostramelo.” Disse, in modo neutro e basso Kurt.
Blaine si irrigidì, deglutendo e respirando a fatica.
Lo aveva detto veramente?
Kurt gli aveva esplicitamente detto di darsi una mossa?
Ad un tratto Blaine fu di nuovo pervaso da quel senso di forza e onnipotenza che lo aveva colto in auditorium, e questo gli fece ricordare di essere finalmente un uomo.
Sfoderò il sorrisetto più furbo e ammiccante che potesse fare:
“Guarda che non me lo faccio ripetere due volte.” Bisbigliò la frase in modo sensuale all’orecchio di Kurt, per poter essere il più chiaro ed esplicito possibile.
Questa volta fu Kurt ad essere preso alla sprovvista, tanto che la sua sicurezza tentennò per qualche secondo.
“Io non sono capace di fare l’amore, Blaine.” Kurt decise di affidare tutte le sue paure al suo ragazzo, sentendo il bisogno di essere completamente sincero in quel momento con lui. Erano in un posto fuori dal tempo, dove l’unica cosa che contava erano i sentimenti di uno per l’altro. Fingere sarebbe stato stupido.
“Neanche io.” Rispose Blaine, prendendogli le mani.
“Ma possiamo imparare insieme Kurt, imparare ad amarci anche in quel modo. Se ti sentirai a disagio o vorrai fermarti non sarà un problema.
Sono qui per l’amore, non per il sesso. E non ho mai desiderato una persona tanto quanto sto desiderando te in questo momento, ma mi basta averti vicino per sentirmi completo.
Non pretendo niente da te Kurt, e non lo farò mai.” Blaine gli strinse le mani, sorridendo dolcemente.
Kurt rimase senza fiato.
Nessuno gli aveva mai riservato quel genere di parole, se non suo padre e sua madre quando era piccolo, quando adorava sentirsi dire quanto fosse amato da entrambi.
Gli venne quasi da piangere.
Tuttavia, Kurt non si sentì ancora in grado di rispondere a quelle meravigliose parole con altre altrettanto d’effetto. Sentiva di non esserne capace, di non essere ancora pronto.
“Allora sarà semplice, giusto?” Decise di sorridere, sfoderando la loro frase.
“Giusto.”
All’inizio furono un po’ impacciati e imbarazzati, limitandosi allo scambio di piccoli baci sulle labbra rese gelide dal vento.
Poi però il desiderio cominciò a crescere, e allora cominciò con un incontro di mani che presto si spostarono sul corpo caldo e tremante dell’altro, toccando e tastando i capelli, il torace, la schiena.
Kurt prese in mano la cravatta di Blaine, slacciandogliela con calma e lanciandola chissà dove.
I baci continuavano e le loro lingue si incontravano senza sosta, ormai abituate a quel piacevole contatto.
Blaine fu molto più veloce con la cravatta di Kurt, che fu tolta con fretta per lasciare il turno alla camicia del ragazzo.
Quando Blaine si trovò davanti quella pelle bianca e soffice non poté trattenersi dal far stendere Kurt sotto di sé, per poter baciare ogni singola parte di quel corpo minuto e perfetto.
Si allontanò dalla bocca per passare al collo e alla spalla, mentre la pelle che veniva lasciata indietro cominciava a colorarsi di un leggero rosso.
Le mani Kurt tremavano dal piacere e ci mise molto più del dovuto per liberare il corpo di Blaine dalla sua camicia.
Il contatto dei loro petti nudi e ansimanti non fece altro che eccitarli ancora di più. Ora entrambi avevano bisogno del contatto l’uno con l’altro, era diventato fondamentale tanto quando respirare.
Kurt vagò con le mani sui pantaloni di Blaine mentre cercava di individuare il bottone, cosa che fece emettere a Blaine un suono misto di piacere e di bisogno.
Kurt poté toccare quanto fosse gonfio il pene di Blaine e la cosa lo fece avvampare letteralmente, facendo gonfiare il suo di rimando.
Liberò finalmente Blaine dai pantaloni, ma dovette finire lui di toglierseli perché il moro nel mentre aveva raggiunto il piccolo e delicato capezzolo di Kurt, leccandolo con dolcezza e succhiandolo con foga.
Kurt emise un gridolino spezzato, inarcando la schiena.
“Kurt, sei così bello.” Ansimò Blaine.
“Blaine, io…” Stava per dirlo, ma si guardò bene dal continuare. L’eccitazione del momento stava per fargli dire una cosa stupida, molto stupida.
“Io ti voglio Blaine, con tutto me stesso.” Ed era vero anche questo certo, ma non era tutta la verità.
Blaine afferrò il bottone dei pantaloni del ragazzo con decisione, ma poi fece scendere la zip con una lentezza disarmante, che gli permise di far gemere ancora Kurt.
Blaine ridacchiò, felice di avergli restituito il fantastico regalo di poco prima.
Liberi dai jeans entrambi si sentirono più liberi di muoversi. Kurt riportò su di sé Blaine trascinandolo per i capelli ricci, con un bisogno estremo di contatto.
Blaine si adagiò interamente sul corpo di Kurt creando così un contatto inaspettato e piacevole tra le loro due erezioni, ormai gonfie e pulsanti nei rispettivi boxer, che li fece gemere entrambi di un piacere mai provato prima.
Rimasero quasi senza respiro, ma questo non fece altro che renderli ancora più bramosi l’uno dell’altro.
Blaine dovette far ricorso a tutta la sua forza per riuscire ad estrarre la sua lingua dalla bocca di Kurt e per trascinarsi fino allo zaino che, oltre ai vestiti di scena, conteneva anche preservativi e lubrificante.
Blaine sorrise, ripensando alle parole di Mark:

“Ti ho preparato lo zaino, dentro c’è tutto l’occorrente.”
“Cosa?!”
“Prendilo e basta, Anderson. E che la forza sia con te!”
Nell’aprirlo in camera sua Blaine era arrossito violentemente, ma ora ringraziava il cielo di non averlo lasciato a casa.

“Ehm, ehm!” Sentì dire a Kurt, che cercava di riportarlo al qui ed ora.
Blaine si voltò trovando Kurt girato su un fianco intento ad osservarlo, senza boxer e duro da far spavento.
Blaine, dopo essersi ripreso da quella visione paradisiaca, tornò da Kurt, per riprendere da dove avevano interrotto.
“Semplice, vero?” Ripetè Kurt, tirando Blaine per i riccioli e dandogli un bacio.
“Con te? Sempre.” Rispose il moro, per poi tornare a prendersi cura del suo ragazzo.

 

 

Ciao a tutti :)
Scusate il grosso ritardo per questo capitolo, ma la scuola è stata particolarmente ingombrante e questo capitolo richiedeva tempo e tranquillità per poter essere scritto.
Sarò sincera con voi: questa è la prima volta che descrivo una scena di questo tipo e per questo sono un po' nervosa, com'è venuta?
Avrei bisogno dei vostri commenti e dei vostri consigli, se avete due minuti di tempo per scriverli. Vi sembra che sia uscita dal raiting? Non mi sono spinta fino in fondo perchè questa storia è appunto arancione, ma dopo averla riletta un paio di volte mi sono sorti dei dubbi.
Ringrazio in anticipo chi si sbatterà ad aiutarmi con queste mie paranoie :)

A parte ciò, il resto del capitolo come vi è sembrato?
Cosa pensate che farà ora Richard?

Grazie ancora per tutti i commenti e i lettori silenti, vi adoro dal primo all'ultimo :)

Twitter: https://twitter.com/Mcc_Blue

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Capitolo 14
*** Capitolo XIII ***


Buona domenica a tutti :)
Avvertimenti: questo capitolo è leggermente più triste degli altri, ma ho cercato comunque di riservarvi qualche siparietto per smorzare la tensione che aleggia un po' per tutta la vicenda. E' un capitolo abbastanza lungo, tanto che all'inizio avrei voluto dividerlo a metà, ma alla fine ho preferito non lasciarvi con il fiato troppo sospeso.
Buona lettura :)


Capitolo XIII

Kurt tendeva a rannicchiarsi su di un lato per dormire, raccogliendo le gambe il più possibile vicino a sé, con una mano posta sotto il cuscino e l’altra libera, intenta a lambire la coperta posta sopra il suo corpo latteo.
Quella stessa coperta aveva accolto per quasi un mese le chiacchiere e le coccole scambiate con Blaine nei giardini del campus, sul divano e in ogni luogo in cui essi potessero sedersi per stare un po’ da soli.
Ora li stava proteggendo da una fredda brezza mattutina, resa ancora più aspra dall’altezza in cui essi erano posti.
Quella sera non era rientrati in casa, troppo intenti ad amarsi fino a crollare in un sonno beato e tranquillo.
Blaine era già sveglio, perso ad osservare il corpo dormiente e rilassato di Kurt, senza trovare il coraggio di svegliarlo.
Kurt aveva un neo chiarissimo posto sulla scapola destra, due posti lungo il  disegno lieve e sbiadito della sua spina dorsale e uno all’altezza delle anche.
I suoi capelli erano arruffati in un modo casuale, ma che a Blaine apparì perfetto.
Le orecchie avevano una forma leggermente allungata e ricordarono a Blaine quelle di un elfo, quasi a voler essere una spiegazione per tanta perfezione.
Si soffermò a contemplare quel suo piccolo naso, perfetta sporgenza del suo viso pallido e angelico.
Le labbra erano sottili e tinte di un delicato rosa carne, distese e inespressive.
Grazie all’attenzione che Blaine riservò al volto di Kurt poté notare una piccola e leggera fossetta posta sul suo mento, la quale riusciva a dare quel giusto tocco di mascolinità ad un viso così celeste.
Kurt cominciò a muovere i muscoli del volto e face un respiro profondo, dopodichè socchiuse in modo cauto gli occhi per evitare la fioca luce del sole che ormai stava cominciando ad inondare il giorno.
Anche con una vista così limitata intravide Blaine dietro di lui e non poté far altro che sorridere, ricevendo in risposta un bacio tra i capelli.
“Ben svegliato.”
“Buongiorno.” Rispose Kurt, girandosi per trovare asilo nelle braccia di Blaine.
“Hai freddo?” Domandò il moro.
“Mmmh, solo un po‘.” Rispose il più piccolo, strofinando il suo viso sul petto di Blaine.
Cominciarono a stringersi vicendevolmente, cercando un indispensabile e tenero contatto l’uno con l’altro.
Sentivano il bisogno di sapere che ciò che era successo la sera precedente non era solo stato l’ennesimo sogno, ma la loro semplice realtà.
Entrambi avevano gli occhi chiusi e sognanti per la beatitudine causata da quelle piccole e innocenti coccole, in grado di comunicare più di qualsiasi altra frase fatta del giorno dopo.
Non si accorsero, purtroppo, del rumore di passi provenienti dalle scale:
“Whoa! Eheheheh! Ma buongiorno, ragazzi!” Mark fece capolino dalla porta delle scale antincendio, sfoderando il ghigno più marpione mai visto.
Blaine, dopo un secondo di incredulità, tirò su le coperte fino a ricoprire del tutto il corpo di Kurt.
“Ma che cazzo ci fai qui?!” Si ritrovò ad urlare il moro.
“Niente, ero solo curioso di sapere dove eravate finiti.” Scrollò lui le spalle, con atteggiamento tranquillo.
“Ma cosa sta succedendo?” Si sentì la voce un po’ più lontana di Matt, intento a salire le scale.
Quest’ultimo non fece in tempo a godersi la scena che due mani gli coprirono prontamente la vista:
“Ssshhh! Non guardare, che poi ti scandalizzi.” Disse Mark, in modo risoluto.
“Ehi, ma così non vedo niente! Che succede?!” Isistette Matt.
Da sotto le coperte si poté percepire una risata di Kurt, resa leggermente ovattata dal tessuto posto sopra di lui.
“Noi togliamo il disturbo. Buon proseguimento, ragazzi!
Ah, e grazie internet!” Mark fece l’occhiolino a Blaine e cominciò a scendere le scale, trascinandosi dietro il povero Matt.
“Cos-? Non è vero!” Blaine arrossì visibilmente, ma cercò comunque di schiarirsi la voce e di mostrarsi sorridente nei confronti di Kurt.
“Così internet, eh?” Gli chiese Kurt, facendo spuntare i suoi occhietti vispi e divertiti da sotto la coperta.
“A me è toccato un imbarazzante discussione con mio padre e qualche manuale da lui stesso fornito, senza contare una quantità industriale di brochure direttamente consegnate dalla signorina Pillsbury.” Aggiunse per cercare di togliere dall’imbarazzo il suo ragazzo, ormai arrossito fino alla punta delle orecchie.
“Oh. Tuo padre?” Blaine rimase interdetto da questa sua affermazione.
“Esattamente. Da una parte è stata una piacevole sorpresa e dimostrazione di affetto, ma dall’altra è stato assolutamente troppo, troppo imbarazzante.” Abbassò il capo, sentendosi a disagio al solo ricordo.
“Sei un ragazzo fortunato, davvero.” Disse Blaine, con una punta di avvilimento.
Kurt sapeva bene che tra il suo ragazzo e il rispettivo padre non vi era mai stato un buon rapporto. Di certo esso non era neanche lontanamente comparabile con quello suo e di Burt.
“E tu come hai reagito?” Chiese curioso il moro.
Kurt si prese un istante prima di rispondere:
“Mi sono tappato le orecchie e ho cominciato ad allontanarmi dalla cucina, urlando senza sosta ‘lalalalalalalala’”
Entrambi risero di cuore, l’immagine di Kurt che si era creata nella mente di Blaine era a dir poco esilarante.



Decisero di rientrare nell’appartamento di Blaine e di fare colazione, avendo così la possibilità di passare ancora del tempo insieme.
Stavano cercando di creare quell’ideale di rapporto, quel quotidiano condiviso insieme che tanto speravano di poter raggiungere.
Kurt indossò una vecchia felpa di Blaine, appartenente al liceo privato che aveva frequentato da ragazzo.
Era di colore azzurro e su di essa capeggiava la scritta bianca ‘Dalton’, seguita dal disegno di una tigre dello stesso colore.
Era di almeno una taglia più grande del normale, ma a Kurt piacque proprio perché dentro di essa poteva provare una comodità resa sconosciuta dai suoi usuali e strettissimi outfits.
Sotto di essa indossò però i suoi cari jeans, per essere fedele ancora una volta al suo stile.
Blaine infilò invece una maglia della Lima University a maniche corte con a sua volta dei jeans, ma decisamente più comodi e permissivi nei movimenti rispetto a quelli del suo ragazzo.
Matt e Mark, dopo il simpatico siparietto, si erano entrambi recati a lezione, lasciando l’appartamento completamente libero per Kurt e Blaine.
Fecero il caffè, misero sul fuoco un po’ di latte, lavarono della frutta e tirarono fuori diversi pacchetti di biscotti e cereali.
“Wow! Come avete fatto a nascondermi un’intera scorta di Lucky Charms, Honey Cheerios, Apple Cinnamon Cheerios e Cocoa Krispies* per tutto questo tempo?” Chiese Kurt, indignato dalla quantità di coloranti, zuccheri e grassi contenuti in un solo scaffale della cucina.
“Mark li ha nascosti bene subito dopo aver scoperto il tuo amore per il cibo ipocalorico e salutare. All’inizio neanche io ero ne ero al corrente, perchè aveva paura che mi avessi convinto a cambiare dieta.” Rise il moro.
“Sì, come se fosse possibile impedirti di mangiare tutte le schifezze che ti capitano a tiro.” Kurt rise a sua volta, appoggiando la tazza di latte per Blaine e il suo caffèlatte sul tavolo.
All’inizio mangiarono cereali uno e frutta l’altro in completo silenzio e tranquillità, finchè Blaine non decise di imboccare Kurt con un po’ di zuccheri e coloranti.
Cominciarono a scherzare e a farsi più vicini, finchè le labbra zuccherine di Blaine si posarono su quelle al sapore tenue di caffè di Kurt.
Il connubio era qualcosa di perfetto, le loro labbra sembravano disegnate e modellate per baciarsi e sfiorarsi a vicenda.
Blaine prese in braccio Kurt, il quale si accoccolò sul suo petto.
Il moro cominciò a baciargli ogni angolo del viso, facendo ridere felicemente Kurt:
“Mi fai il solletico con la tua barba!” Disse, strofinandosi e sorridendo contro la sua guancia.
“Vuoi che me la rasi?”
“No, l’adoro.” Disse Kurt, accarezzandola con il dorso della mano.
Non fecero in tempo a scambiarsi l’ennesimo bacio della mattinata che qualcuno bussò alla porta, in un modo non proprio gentile.
Bach cominciò ad abbaiare, svegliato da quel brusco rumore di legno e nocche impazienti.
Entrambi i giovani sussultarono per lo spavento. Concentrati com’erano su loro stessi avevano ormai dimenticato dov’erano e quindi gli ci volle un momento prima di poter reagire in modo razionale.
“Un secondo, arrivo subito!” Disse Blaine, facendo segno a Kurt di andarsi a nascondere in camera sua.
“Blaine, apri questa stupida porta! Non è molto gentile far aspettare tuo padre, lo sai?”
Il moro sbarrò gli occhi e sentì il sangue ritirarsi dai suoi vasi per il panico. Sbiancò in modo evidente e cominciò a sudare, il tutto in una frazione di secondo.
Kurt si bloccò sulla porta vedendo la reazione di Blaine, incapace di lasciarlo da solo in quella situazione.
Non si sentì complice, ma solo il colpevole di tutta quella situazione.
Non era giusto che Blaine dovesse nascondersi dalle persone che avrebbero dovuto amarlo e aiutarlo. Non avrebbe dovuto subire un tale stress psicologico, tutte quelle privazioni alla sua felicità, tutto quel dolore inutile.
Kurt tornò da lui, lo afferrò in modo deciso per le spalle per dargli una scrollata e lo baciò con forza e urgenza, cercando di infondergli tutto il coraggio possibile.
‘Sono qui, ti sostengo io. Ce la puoi fare.’ Sembrava comunicare il suo cielo, ormai in preda a grandi nuvoloni grigi.
Blaine deglutì e cercò di annuire con convinzione, spingendo con insistenza Kurt nella sua stanza.
Si lisciò la maglietta e raddrizzò la schiena, cercando di rivolgere un cordiale sorriso a suo padre.
“Ehi, papà! Che bella sorpresa.” Nei giorni precedenti aveva cercato di fingere con tutte le sue forze, ma in cuor suo sapeva perfettamente che, dopo aver lasciato Alessia, suo padre si sarebbe presentato da lui a cercare spiegazioni.
O a distruggerlo, chissà.
Richard lo superò senza neanche dar segno di averlo notato, concentrandosi subito sul tavolo apparecchiato per due persone.
Merda.
“Sei da solo, Blaine?” Chiese, con uno sguardo che sembrava già conoscere la risposta.
Il moro pensò subito a Kurt e a quanto potesse essere spaventato in quel momento, dopo aver sentito le parole di Richard.
“Sì, Mark è andato a lezione. Stavo giusto finendo di fare colazione, per poi mettere a posto tutto. Lui era di fretta questa mattina, così ha lasciato tutto sul tavolo.” La scusa in sé poteva essere plausibile, ma i cereali sparsi per il tavolo e la mela lasciata a metà fecero sì che Richard non credesse molto alle parole del figlio.
“Sì, ho fatto un po’ di disastro con i cereali e ho lasciato lì la mela quando ho sentito bussare alla porta.” La voce del moro era sicura, ma il vero problema erano i suoi occhi incerti e spaventati, pronti a tradirlo da un momento all’altro.
“Senti Blaine: perché non la smettiamo con le stupidaggini, eh? Cos’è successo con Alessia? Perché, sai, l’altro giorno quella ragazza mi ha chiamata piangendo e dicendomi che tu l’avevi lasciata, di punto in bianco e senza una mezza spiegazione.
Vi stavate per sposare, figliolo.” Richard sottolineò l’ultima frase.
“Non è vero, non l’avrei mai sposata!” Sputò fuori Blaine, quasi con rabbia.
“Era la cosa giusta da fare, ma perché non lo vuoi capire?” Richard stava cercando di mantenere la calma.
“No, non lo era. Io non amo Alessia ed è per questo che l’ho lasciata.
Noi non… Non eravamo fatti per stare insieme.”
‘Perché io amo Kurt.’ Urlò dentro di sè, ma non ebbe il coraggio di dirlo.
“Cazzate! Cosa c’è sotto, una puttanella che è riuscita ad accalappiarti aprendo le gambe? Se avessi chiesto ad Alessia di piantarla con quella storia della castità l’avrebbe fatto sicuramente.” Ormai Richard non si disturbava più per cercare di trattenere la rabbia.
“Non è per quello!” Blaine alzò la voce più di lui, prendendo quella frase come un’offesa diretta nei confronti di Kurt.
“Sono stato giovane anche io Blaine, sono cose che possono succedere.
Ora che ti sei preso le tue libertà e che ti sei divertito però torna da lei, così sistemerai tutto. Carl ha già iniziato i preparativi per il vostro matrimonio.” Suo padre tentò di riportare la conversazione ad un piano civile, evitando così di far sentire tutto il campus.
Blaine prese un forte respiro:
“Perché vi state mettendo in mezzo? Io non ho dato il mio consenso per nulla. Non la sposerò, fine della discussione.”
“Non metterti contro di me, ragazzo.” Ringhiò Richard.
“Non riesci proprio a capire, vero? Non gira tutto intorno a te, papà! Non lo sto facendo per farti un dispetto, per rovinarti gli affari o per chissà per quale altro astruso e contorto motivo.
Ti sto dicendo di no perché questa è la mia vita, queste scelte ricadranno direttamente su di me e devo essere io a prenderle. Riesci a capirlo?” Il tono di Blaine era simile ad un lamento, ma le parole erano state pronunciate con convinzione.
“Tra meno di due settimane questo stupido mese sabbatico finirà e tu tornerai a casa con me e tua madre oppure da Alessia, a te la scelta.” Richard cambiò argomento.
Negli anni lo aveva sempre fatto quando sentiva che la conversazione gli stava sfuggendo dalle mani.
“E se io non volessi?” Blaine si rese conto dagli occhi infuriati di suo padre di non essersi mai spinto tanto contro di lui in questi anni.
“Bè, in quel caso potresti dire addio al tuo appartamento e alla tua stupida università di psicologia, perché io non ti passerei più neanche un soldo.” Rispose Richard, facendo spallucce.
“Mi stai minacciando?” La scintilla negli occhi di Blaine mise in guardia suo padre dal continuare. Era la seconda volta in 23 anni che Richard aveva la possibilità di vedere una simile convinzione negli occhi di suo figlio. La prima era stata quando si era impuntato per frequentare l’università di psicologia, sottraendosi a marketing o economia.
Richard si avvicinò pericolosamente a Blaine e lo afferrò per le spalle, così da poterlo guardare dritto negli occhi.
“Stammi bene a sentire, Blaine: hai ancora ha disposizione questi ultimi giorni del tuo prezioso mese per presentarti a casa mia per chiedere scusa e porre fine a tutto questo casino.
In caso contrario, tra due settimane io chiamerò il rettore e gli dirò semplicemente di sbatterti fuori dall’università.” Richard sfoderò uno sguardo che non ammetteva repliche, ma Blaine lo sostenne in modo fiero e quasi con una punta di sfida.
“Non vincerai, non questa volta.” Concluse la discussione il moro, aggiudicandosi l’ultima parola.
Suo padre sfoderò un ghigno, aprendo la porta e uscendo dall’appartamento.
Prima di chiuderla alle sue spalle, però, aggiunge:
“Ora mi rivolgo a te, che sei nascosta in questo appartamento.”
Kurt venne scosso dal profondo delle sue ossa da un brivido intenso, mai provato prima. Sbarrò gli occhi e il suo intero corpo si tese all’istante. Deglutì, prestando la sua completa attenzione alla voce di Richard:
“Sappi che non sei e non sarai mai niente, sei solo un piccolo passatempo portato dalla noia. Mio figlio si sposerà con un’altra, dopo essersi divertito ancora un po’ con te.”
“FUORI!”
Kurt si spaventò a morte, possibile che quella voce possente e spaventosa potesse essere di Blaine?
Si sentì un ghigno acido, poi lo sbattere di una porta.
Kurt aveva ancora la bocca spalancata e la mano sul cuore, come per voler evitare che esso potesse uscirgli dal petto per la paura, l’ansia e la tensione.
Rimase per qualche secondo a fissare il vuoto, rigido e incapace di prendere in mano quella situazione.
Si sentiva così debole e impaurito che non riuscì a pensare a nulla per più di un minuto.
Rimase però in ascolto, alla ricerca di qualche segno di vita da parte di Blaine.

Silenzio.

Sembrava che anche il suo ragazzo fosse bloccato in un modo simile al suo.
“K-Kurt?” Lo chiamò una voce roca, probabilmente provata dall’urlo disumano di poco prima.
Il ragazzo sussultò nell’udire quello strano tono di voce, ma non si mosse.
Aspettò che fosse Blaine ad aprire la porta della camera, con un viso dispiaciuto e distrutto.
Kurt si sentì di nuovo in colpa per tutto quel casino, per cui decise di superare la figura di Blaine con passi lunghi ed incerti, senza dire una parola.
Poté avvertire la tensione che emanava il corpo di Blaine passandogli accanto, ma questo non fece altro che farlo sentire ancora di più uno schifo.
Il moro, dal canto suo, non cercò di fermarlo.
Anche lui aveva bisogno di qualche minuto da solo, per pensare e farsi passare tutta quella rabbia che in quel momento lo stava alimentando di così tanta forza negativa.
Si buttò sul letto e chiuse gli occhi, obbligandosi a non pensare a dove Kurt sarebbe potuto andare a rifugiarsi.
Sperava solo che non fosse un luogo tanto lontano da lui.
Aveva bisogno di sapere che Kurt era fisicamente lì, da qualche parte vicino a lui.
Sempre con gli occhi chiusi, Blaine mise in pratica un piccolo esercizio per il controllo della rabbia:
Strinse i pugni il più forte possibile, con violenza e risentimento verso se stesso.
Dopo poco avvertì il dolore causato dalle unghie conficcate nel suo stesso palmo. In quel momento, però, quel gesto gli portò quasi un senso di sollievo.
Si concentrò, come gli avevano insegnato in un seminario universitario, per cercare di portare tutta l’energia negativa che attraversava il suo corpo alle mani, così da poterla incanalare nei suoi palmi.
Una volta fatto ciò, non restava altro che liberarsi di tutto quel nero aprendo i pugni con un movimento secco e veloce, liberatorio e cosciente.
Con questo piccolo gioco psicologico Blaine ricominciò a respirare in modo normale, smettendo di digrignare i denti per la rabbia che poco prima lo stava attraversando.
Ora però senza tutta quell’aggressività a riempirgli le membra il dolore e lo sconforto trovarono modo di invaderlo completamente, lasciandolo nelle mani di una cruda consapevolezza:
Avrebbe dovuto dir addio ai suoi studi, oppure a Kurt.
Nessuna delle due opzioni era per lui accettabile, senza contare che in quel momento non riuscì a trovare nessuna via di uscita a quella situazione.
Cominciò a piangere.
Prima senza fare rumore, in modo sommesso come aveva sempre dovuto fare per non richiamare l’attenzione dei suoi genitori.
Il semplice lacrimare però presto richiamò anche dei piccoli singhiozzi, che poi degenerarono in forti rumori di disperazione.
Blaine si chiese perché la sua vita dovesse sempre essere così orribile, ma nulla sembrava potergli suggerire una risposta.
Smise di pensare, lasciandosi andare a tutte le lacrime del momento, come anche a quelle non versate in precedenza.


Kurt si rifugiò nel luogo più silenzioso che riuscì a trovare: il tetto del campus.
Vicino al parapetto erano ancora presenti le prove della loro notte d’amore, che in quel momento apparì a Kurt troppo lontana, come un vecchio ricordo felice di un tempo ormai superato.
Si guardò bene dall’avvicinarsi a quel groviglio di coperte e cuscini, preferendo sedersi esattamente dall’altra parte del perimetro.
Si portò le ginocchia al petto e lì vi nascose il viso, come era solito fare.
Il dolore stava cercano di avvolgerlo per inghiottirlo come al solito, ma in quel frangente Kurt sospirò annoiato.
Già, perché ormai per lui il dolore stava diventando così tanto di casa che stava seriamente cominciando ad annoiarlo.
Si era letteralmente stufato di dover star male a causa degli altri e delle loro stupidaggini.
Se non fosse stato così tanto infuriato con il mondo Kurt avrebbe potuto accorgersi che, per la prima volta in vita sua, dopo l’ennesima batosta egli non stava piangendo disperatamente su se stesso, ma stava reagendo prendendosela con i diretti responsabili di quel malessere insopportabile, scervellandosi per trovare il modo di far giare le cose a suo favore, per una volta.
Voleva essere felice.
Voleva essere felice con Blaine.
Quel pensiero gli riempì il cuore di commozione:
Finalmente aveva trovato qualcuno per cui valeva la pena di combattere.
Alzò lo sguardo, fiero come non mai, verso le case di Lima con negli occhi un sentimento di sfida.
Avrebbero trovato un modo per uscire da quella situazione, insieme.
Tuttavia, Kurt non sapeva come gestire tutta quella rabbia che si era impossessata di lui.
“Sfogati con ciò che ti piace fare. Canta, fai una bella corsa… Qualsiasi cosa ti possa aiutare a pensare ad altro.” Nella testa di Kurt rimbombarono chiare le parole della dottoressa Renth, ma quello non era di certo il momento di mettersi a fare sport o mettere in scena un’esibizione.
Il suo flusso di pensieri fu interrotto dal rumore di passi intenti a salire le scale antincendio.
Kurt non era abituato ad essere interrotto in uno dei suoi momenti di solitudine.
Nessuno si prendeva la briga di andarlo a cercare, di solito.
Blaine, però, non era nessuno.
Blaine era più simile ad un tutto, ad un universo personale fatto apposta per Kurt.
“E’ così che reagisci?” Chiese Blaine, con una voce chiaramente resa roca dal pianto.
“Scusa?!” Kurt si girò per tentare di leggere il suo sguardo.
Sì, il ricciolo aveva di certo appena smesso di piangere.
Il moro si avvicinò a Kurt con lentezza e cautela, come a non voler invadere il suo territorio.
Lo sguardo grigio del suo ragazzo però lo invitò a sedersi lì, proprio accanto a lui.
“E’ così che reagisci ai problemi? Hai bisogno di scappare, stare da solo per sfogarti per poi tornare, più forte di prima?” Il moro aveva lo sguardo perso di fronte a sé, la sua voce pareva stanca.
“Stai dicendo che sono di quelli che davanti ai problemi alza i tacchi e scappa? Mi stai dando del codardo!?” Kurt lo guardò sulla difensiva.
Blaine si girò verso di lui, agitando il capo in modo da simulare un no.
“Sto solo cercando di capirti, di conoscerti. Di imparare quale sia il comportamento migliore per non esserti d’impiccio in situazioni come questa, per poterle gestire al meglio.” Il moro usò un tono di voce neutro. Non voleva accusare Kurt di nulla, voleva solo riuscire a comprenderlo.
“E tu come reagisci?” Fu la risposta di Kurt, ormai convinto che nelle parole del suo ragazzo non ci fosse alcuna traccia di risentimento.
“Io non li ho mai affrontati, i problemi. Per tutta la vita essi sono stati risolti dagli altri, mentre io mi sono sempre limitato a seguire le loro indicazioni.
In una vita programmata non esistono i problemi.” L’ultima frase venne detta con così tanto risentimento che Kurt non ci pensò due volte e accolse subito Blaine tra le sue braccia, sperando di poter lenire tutto il suo dolore.
“Troveremo un modo, te lo prometto.” Disse Kurt, baciandogli la guancia.
“Mi dispiace per le parole di mio padre, io… Lui si sbaglia, si sbaglia su tutto Kurt.
Non ti lascerò, mai.” Blaine rispose all’abbraccio di Kurt senza esitare, felice di sentirlo così vicino.



“Non potresti ricevere una borsa di studio? Sei uno degli studenti migliori.”
I due ragazzi stavano riordinando la cucina, cercando una soluzione concreta alla quale aggrapparsi saldamente.
“No, mio padre parlerebbe con il rettore e questo troverebbe una scusa qualsiasi per non darmela.” Blaine stava lavando le tazze, mentre Kurt era intento a spazzare i cereali caduti a terra.
“Mary non ti dà uno stipendio per le ore passate nel suo studio?”
“No, purtroppo quelle fanno parte del tirocinio scolastico e quindi non sono retribuite. Però potrei chiederle di assumermi a poco dopo averle spiegato la situazione, potrebbe accettare.
Dovrei però tornare a lavorare anche con te, il venerdì.”
I due ragazzi infatti avevano deciso di comune accordo che per rispetto di tutto il lavoro svolto dalla dottoressa Blaine si facesse spostare le ore di tirocinio al martedì, così da non essere presente alle sedute di Kurt.
Mary naturalmente non aveva preso per nulla bene la notizia, perchè Kurt si era dimostrato un caso interessante e il legame che si era creato tra lui e Blaine sembrava essere molto valido.
A malincuore, però, alla fine la Renth aveva dovuto accettare il cambio di orario di Blaine senza fare troppe storie.
“Sarebbe rischioso, potrebbe venirlo a scoprire praticamente subito.”
“Lo so, ma d’altronde non voglio chiederti di lasciare le sedute a causa mia.
Ti stanno facendo bene, non è vero?” Blaine si voltò per sorridere al suo ragazzo.
Kurt abbassò lo sguardo perché era veramente troppo fiero per confermarlo, ma l’aiuto di un terzo si stava rivelando veramente propedeutico.
Mary era paziente, intelligente, sapeva ascoltarlo e consigliarlo al meglio.
Però…
Però Blaine veniva prima di tutto, anche di se stesso.
“Non ti azzardare neanche a pensarlo, Hummel. Tu continuerai con quelle sedute, fine della discussione. Al massimo cercherò un lavoretto come barista, so che al Lima Bean cercano del personale.”
Kurt si chiese come fosse possibile che quel ragazzo potesse leggergli nella mente così facilmente, tanto che rabbrividì a questa sua nuova consapevolezza.
Blaine era riuscito a conoscere Kurt in un mese più di tutti gli altri che avevano avuto a disposizione addirittura anni, se non una vita.
Il moro finì di asciugarsi le mani, visibilmente divertito dal silenzio del suo ragazzo.
Si avvicinò al più piccolo e lo baciò teneramente sulle labbra, tenendolo stretto nel suo abbraccio.
 “Mio padre non l’avra vinta anche questa volta: io continuerò i miei studi e a stare insieme a te, finchè mi concederai questo privilegio.”
Kurt cominciò a baciarlo intensamente, passandogli le mani sulla sua schiena in modo lento e piacevole.
Neanche a farlo apposta, per la seconda volta nella mattinata, qualcuno bussò alla porta proprio quando i due ragazzi stavano cercando un momento di intimità.
A Kurt si drizzarono i capelli dalla paura, tanto che senza bisogno di nessuna indicazione si andò ad infilare nella camera di Blaine.
Per sicurezza prese Bach con sé, pensando che quel cagnolone potesse aiutarlo a gestire la tensione.
Chiunque avesse bussato possedeva sicuramente molto più garbo e morbidezza di Richard, come anche sicuramente molta pazienza.
Bussò due volte e poi aspettò, senza dare nessun altro segno di insistenza.
Blaine aprì la porta con un sospiro, ma spalancò gli occhi appena riconobbe la figura femminile in piedi di fronte a lui.
Aveva un sorriso stanco, ma era visibilmente felice di rivedere Blaine.
“Ciao mamma, cosa ci fai qui?” Balbettò velocemente Blaine.
La donna entrò guardandosi intorno, dando un bacio a Blaine e dirigendosi verso il tavolo, per appoggiarvi sopra due buste della spesa.
“Ciao tesoro. Ero di passaggio e così ho pensato di passare a farti visita, portandoti anche qualcosa da mangiare. Siete due ometti tutti soli in un appartamento, immagino che le provviste scarseggino.” Fannie non smetteva di guardarsi intorno, piacevolmente sbalordita dalla cura e dalla pulizia che regnava in quel luogo.
“Sì bè, hai ragione. Grazie per il pensiero, mamma.” Blaine si sentiva ancora rigido e un po’ a disagio.
“E’ cario questo posto, molto familiare.” Commentò sua madre.
“Vuoi che ti vada a fare il letto?” Chiese lei, tranquillamente.
“NO!”
Fannie guardò suo figlio con occhi perplessi.
“Voglio dire… No mamma, non ti preoccupare. Io e Matt ce la stiamo cavando da soli, i letti sono già stati fatti.” Blaine sposava lo sguardo da una parte all’altra della cucina, consapevole di aver reagito in modo troppo brusco.
“Blaine, tuo padre è già passato?” Chiese la donna con un sospiro.
“Sì. Mi ha minacciato: o torno con Alessia, o mi taglia i fondi per l’università.” Blaine si prese la libertà di essere il più schietto possibile.
“Lo immaginavo. E’ molto arrabbiato con te, Blaine.”
“Ah, quindi è lui la vittima della situazione!” Il moro rispose in modo acido.
“Non ho detto questo. Potresti però metterti nei nostri panni? La ragazza con cui eri fidanzato da una vita ci chiama in lacrime dicendoci che vi siete lasciati, tu non ci dai una mezza spiegazione e non sappiamo nulla cosa stai combinando siccome non ci rispondi al telefono, ignorandoci senza problemi. Anche io sono arrabbiata con te, Blaine.”
E così arrivò: il senso di colpa fece la sua entrata trionfale dopo le parole di sua madre.
“Mi dispiace, davvero. Io voglio solo avere il controllo della mia vita, tutto qui.” Blaine non era mai parso tanto sincero agli occhi di sua madre.
Fannie sentì il suo cuore stringersi nel petto. Amava suo figlio, più di ogni altra cosa al mondo, ed ella avrebbe fatto qualunque cosa per lui.
Eccetto mettersi contro Richard.
“Lei chi è?” Domandò lei, cercando di controllare le sue emozioni.
“Chi?” Chiese Blaine, confuso.
“La ragazza che ti sta facendo uscire dal guscio, che ti sta rendendo un uomo.” Sorrise dolcemente Fannie, consapevole che suo figlio stava nascondendo, senza successo, un sentimento molto forte per qualcuno.
Blaine venne percosso da una scarica di piacevole calore e sorrise radioso a sua madre, felice che lei avesse riservato quelle parole a Kurt.
“Avete passato la notte insieme, vero?” Aggiunse lei, prendendo di sprovvista il figlio.
“Ehm…” Blaine poté giurare di aver sentito una risata trattenuta da parte di Kurt, nascosto nella camera da letto
“Oh tesoro, andiamo! Lo so che ormai sei grande e grosso, non c’è bisogno di essere così timido.
In tutta sincerità: ero più preoccupata quando venivo a sapere che tra te e Alessia non succedeva mai niente, che ora che posso leggerti in faccia quanto sei felice di condividere una cosa così intima con qualcuno.”
Blaine rimase senza fiato, incapace di rispondere alle parole della madre.
“Io… Sì, è vero.” Confermò alla fine, stremato oltremisura da quella conversazione.
Mai avrebbe pensato di finire a parlare del fare l’amore con sua madre, anche perchè non era mai successo neanche nella sua adolescenza, quando invece il discorso con i genitori sarebbe stato d’obbligo.
“Posso vederla?” Chiese speranzosa Fannie.
“Mamma!”
“Vuoi farmi credere che lei non sia ancora qui?”
Blaine alzò la mano e prese fiato per ribattere, ma sentì la porta della sua camera aprirsi lentamente, seguita dall’allegro trotterellare di Bach che in poco raggiunse la cucina.
La donna rivolse la sua attenzione al cane scodinzolante, mentre Blaine udì distintamente dei passi felpati farsi largo per il corridoio, fino a giungere alla cucina.
“Buongiorno, signora.” La donna si spaventò nell’udire quella voce cristallina e imbarazzata alle sue spalle.
La cosa che la colpì di più però è che quella voce fosse… Bè, fosse indiscutibilmente maschile, per quanto squillante, delicata e melodiosa potesse sembrare
Blaine era bianco come un lenzuolo, a Kurt sembrò sul punto di vomitare.
“Piacere, io sono Kurt.” Il più piccolo tese la sua mano minuta e lattea verso la donna, mostrando un sorriso molto imbarazzato.
“Io sono Fannie, la madre di Blaine.” Disse, mostrandosi educata e a modo.
Si girò verso suo figlio, con l’aria di chi aveva bisogno di un po’ di tempo per poter metabolizzare:
“Blaine, lui è…?”
“Il mio ragazzo, mamma. Kurt è il mio ragazzo.”
La donna annuì debolmente, prese un grosso respiro e poi sorrise ad entrambi, cercando di ostentare una disinvoltura che in quel momento non le apparteneva affatto.
“Bene, ora mi spiego un paio di cose.”
“Non dirlo a papà, per favore.”
“Oh tranquillo, non sarò certo io a dirglielo.” Fannie non voleva ammetterlo a se stessa, ma fra tutti era quella a cui suo marito faceva più paura.
“Papà mi ha detto che entro la fine del mese dovrò scusarmi con Alessia e tornare con lei, per sposarla. Ti prego mamma, aiutami. Aiutaci.” Aggiunse, guardando Kurt negli occhi.
Il piccolo stava cercando di scusarsi con Blaine per il suo gesto affrettato, ma il moro non diede segno di essere arrabbiato.
Sembra stranamente sollevato, come se si fosse tolto un macigno dal cuore.
“Va bene, vedrò cosa posso fare.” Acconsentì Fannie, pronta a tutto per Blaine.
E anche un po’ per Kurt, a dire il vero. Sembrava così delicato, gentile, buono.  
E, più di ogni altra cosa, stava rendendo Blaine felice.
“Sentite, perché non sparite un po’ dalla circolazione?” Propose la donna.
“Come?” Chiesero i due ragazzi.
“Ti darò le chiavi della casa al mare Blaine, porta con te Kurt per qualche giorno. Io nel mentre cercherò di escogitare qualcosa, va bene?” Fannie era tremendamente seria.
Blaine rivolse una rapida occhiata a Kurt, che diede la sua disponibilità con un cenno del capo.
“Bene. Domani ti porterò le chiavi, voi pensate a preparare tutto l’occorrente per il viaggio. Cambiare aria vi aiuterà a schiarire le idee e mi lascerete campo libero, così tuo padre non potrà venire a spaccarti la testa da un momento all’altro.” Come immagine era decisamente esagerata, ma i due ragazzi sapevano che Fannie aveva perfettamente ragione.

Si salutarono tra abbracci e baci, anche da parte di Fannie a Kurt, il quale la strinse forte senza troppi problemi.
Una volta allontanata dall’appartamento Fannie cominciò a singhiozzare:
Perché Blaine era gay e lei avrebbe dovuto rendersene conto.
Perché probabilmente lui lo sapeva da una vita, ma non si fidava abbastanza dei suoi genitori per dirglielo e mostrarsi a loro per quello che realmente è.
Perché Richard avrebbe ripudiato suo figlio, non appena lo avrebbe scoperto.
Perché Kurt le era parso un ragazzo d’oro, assolutamente adorabile.
Perché Blaine era felice, finalmente.
Perché aveva appena mentito a suo figlio.
Sì, perché Richard non solo non avrebbe mai approvato, ma non avrebbe neanche sentito ragioni da parte di sua moglie.
Il piccolo soggiorno al mare non era altro che una scusa, un diversivo per permettere a Blaine di vivere per l’ultima volta un momento realmente felice con la persona che ama, prima di dover sopportare l’inevitabile.

 

 

Sopra mi sono dimenticata di dirvi una cosa importantissima:
Buon inizio di vacanze a tutti!!! : D
Mi sembrava giusto condividere questa grande gioia anche con voi, che vi prendete la briga di leggere queste pazza storia che sto scrivendo. Colgo l'occasione per ringraziarvi (non smetterò mai di farlo) per le belle recensioni che ricevo e per tutte le persone che l'hanno aggiunta nelle seguite e nelle preferite, è una gioia immensa sapere che una persona in più legge Therapy.
Ma veniamo al capitolo:
Cosa mi di dite di Richard e Fannie? E dell'idea della madre di Blaine?
Dite che Kurt ha fatto bene ad uscire allo scoperto con lei?
Come pensate che andrà a finire?

Devo ringraziare una persona in particolare: elli2998, la santa ragazza che ha accettato di farmi da beta. Grazie mille, farò del mio meglio per non farti disperare e non farti saltare la pazienza, lo giuro :)

Ultimissima cosa: ho iniziato una una nuova ff, ma questa volta sul Glee Cast. Per ora ci sto ancora lavorando su, ma penso che la pubblicherò presto. Vi piacerebbe leggerla? :)

Buona domenica e buona settimana a tutti :)

Twitter: https://twitter.com/Mcc_Blue


 

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Capitolo 15
*** Capitolo XIV ***


Buon inizio settimana a tutti :)
In questo capitolo la storia prende una piega un po' diversa, grazie all'intervento della famiglia Hummel-Hudson.
Buona lettura :)

 

 

 

Capitolo XIV


Kurt aveva capito che dietro alla sospirata unione tra Blaine e Alessia non potevano che esserci degli interessi economici, ma fino a quel momento questo dettaglio non era sembrato molto importante.
Già, il ragazzo non aveva mai dato troppo peso al conto in banca della famiglia Anderson, i suoi pensieri non si erano mai soffermati sulla differenza socio-economica tra lui e Blaine.
D’altronde né Kurt né il moro avevano dato troppo peso alla cosa, anche perchè Blaine non era di certo il tipo di persona che amava ostentare superiorità verso gli altri, figuriamoci poi per una cosa così viscida come il denaro.
Per questi motivi il più piccolo non si era mai sentito a disagio per le loro differenze economiche, non fino a quel momento:
“A Santa Monica?! I tuoi hanno una casa a Santa Monica, in California?!” Kurt aveva gli occhi sbarrati, la bocca completamente aperta.
Fannie aveva esplicitamente detto che avrebbe lasciato loro la casa al mare, ma stupidamente Kurt aveva pensato ad un piccolo appartamento preso in affitto in uno degli stati sulla costa est degli U.S.A.
Si era immaginato uno sperduto villaggio marittimo abitato per lo più da pescatori, un piccolo appartamento a mezz’ora dal mare e una spiaggia anonima e poco affollata.
Nel giro di qualche secondo le parole di Blaine avevano distrutto tutto ciò che la sua immaginazione aveva costruito:
Blaine possedeva una villa a Santa Monica, proprio davanti alla spiaggia, e qualcosa suggerì a Kurt che non doveva essere neanche molto piccola.
“Sì, ehm… Mio padre l’ha regalata a mia madre qualche anno fa per il suo compleanno. Lei adora la California e mio padre il bel vivere, quindi diciamo che ha colto l’occasione e ne ha approfittato per unire le due cose, accontentando entrambi.”
“Non me lo aspettavo.” Disse Kurt, con lo sguardo assorto.
“Ci stai ripensando?” Chiese Blaine, con una punta di amarezza.
“No, no! Mi piacerebbe poter venire con te, stare un po’ da soli…” Le guance di Kurt si tinsero di rosso ancor prima che le sue labbra potessero concludere la frase.
Non voleva esporre a Blaine le sue perplessità sul suo conto in banca, così decise di affrontare il reale problema, quello che si sarebbe presentato in ogni caso:
“Solo che… Cosa dirò a mio padre e a Carole?”
Blaine si irrigidì di colpo, maledicendosi per aver tralasciato la cosa più importante.
“Merda!” Imprecò, senza preoccuparsene troppo.
Chiuse gli occhi massaggiandosi le tempie e chiedendosi perché tutto dovesse sempre essere così dannatamente incasinato.
“Vuoi che venga a parlare con tuo padre?” Chiese il moro, in modo serio.
“Assolutamente no! Non so come potrebbe reagire ad una notizia del genere.
“Penso che dovrò inventarmi qualcosa.” Il più piccolo sospirò, un po’ stanco di dover sempre raccontare bugie alla sua famiglia.
L’unica cosa che non lo faceva crollare davanti a tante menzogne era la convinzione che non lo stava facendo solo per se stesso, ma anche per Blaine.
“Sei sicuro di volergli mentire di nuovo? Non sarebbe meglio uscire allo scoperto? Con mia madre non è andata molto male.”
“Blaine, tua madre ha reagito bene perché non sa nulla. Non conosce la mia età, come ci siamo conosciuti… Mio padre invece sa chi sei e non approverebbe.  Inoltre, quale genitore lascerebbe andare il proprio figlio appena diciottenne in una specie di vacanza a Santa Monica, con il suo ragazzo? Mio padre è una persona straordinaria, ma non è stupido.”
“Non intendevo dire questo…”
“Lo so, tranquillo.” Sorrise stancamente Kurt.
“Mi inventerò qualcosa con l’aiuto degli altri ragazzi del Glee, sicuramente loro sapranno come aiutarmi. Ho bisogno di almeno due giorni per preparare tutto, però.”
“Certo, tutto il tempo che vorrai. Io mi occuperò del volo e di altre cose pratiche per quando saremo sul posto.
Però Kurt mi sento davvero in colpa, ti sto spingendo a mentire alle persone che ami. Non pensi che tuo padre potrebbe capirci se solo gli dessimo la possibilità di sapere tutto?” Chiese Blaine, tormentandosi i ricci scuri.
“Potrebbe, ma non mi lascerebbe venire con te in nessun caso. Blaine, davvero, basta insistere. Fa più male a me che a te.” Sospirò il ragazzo.
“Va bene. Ora è meglio che tu vada a casa, non vorrei che chiamassero Rachel per chiedere di te.” Rise amaramente il moro.
“Oh, giusto!”
Kurt si cambiò e recuperò velocemente tutte le sue cose sparse nell’appartamento, aiutato da Blaine.
Cercarono di separarsi con un bacio veloce, ma la cosa si rivelò impossibile.
Si scambiarono una serie di teneri baci sulle labbra, sussurrandosi vicendevolmente parole dolci e di incoraggiamento.
Entrambi sapevano di non essere più soli a questo mondo, l’uno combatteva le stesse battaglie dell’altro con un unico scopo:
La loro felicità.


Kurt aprì la porta di casa cercando di rilassarsi. Tutti i muscoli del suo corpo erano tesi, come pronti a scappare da un momento all‘altro.
Entrò in cucina per prendere un bicchiere d’acqua, sperando di potersi calmare e lì trovò Finn, intento a farsi un panino.
Probabilmente quello era il suo spuntino di metà mattina.
“Ehi, fratellino!” Lo salutò allegramente.
“Ciao Finn! Dove sono papà e Carole?” Chiese, cercando di mostrarsi rilassato.
“Tuo padre è in officina e mia madre a fare la spesa, dovrebbe tornare tra poco. Voleva giusto chiamarti, sperava che tu tornassi a casa per aiutarla con il pranzo.” Disse, addentando il sandwich.
Guardò il telefonino per la prima volta da ieri pomeriggio, trovando tre chiamate perse di Carole.
“Oh, mi dispiace. La richiamo subito.” Cominciò a scorrere la rubrica, ma Kurt sentì la grande mano di Finn stringersi delicatamente intorno al suo minuto braccio.
“Kurt lo so che sono cose private, ma so anche che Rachel non ha dato nessun pigiama party ieri sera. Hai passato la notte con Blaine?” Il ragazzone abbassò cautamente la voce, così che solo il suo fratellastro potesse sentirlo.
“Finn, non sono…” Cercò di dire Kurt, sentendosi tremendamente a disagio.
“Non ti azzardare a dire che non sono affari miei! Sono tuoi, miei e di chiunque faccia parte del Glee siccome, chi più chi meno, ognuno di noi ti supporta e recita una parte in queste scuse che rifili a tuo padre e a mia madre. Non sei il solo a rischiare grosso in questa storia, ricordatelo.”
Kurt si accigliò e liberò il suo braccio dalla stretta di Finn, visibilmente alterato:
“Non vi ho chiesto io di darmi una mano, è stata una vostra idea!”
“Lo stiamo facendo perché ti vogliamo bene.” Disse Finn, con un tono calmo.
La rabbia abbandonò Kurt in un secondo, lasciando il posto a i sensi di colpa.
“Voglio solo sapere dove sei stato e con chi, non voglio i dettagli. Quelli te li estorceranno con la forza Rachel, Mercedes, Tina e Santana. Lo sai che impazziscono davanti a queste cose.” Finn sfoderò la sua migliore espressione stranita, per far ridere il fratellastro.
Il suo tentativo andò a buon fine, perché una risata cristallina cominciò ad animare la cucina e le altre stanze della casa, riuscendo finalmente a far rilassare i muscoli di Kurt.
“Sì Finn, ero con Blaine e ho dormito da lui. Ti basta o vuoi sapere altro?” Disse, in tono allusivo.
Il ragazzone sbarrò gli occhi, con un’aria tra lo schifato e il terrorizzato.
“NO! No, va benissimo.” Disse, agitando le mani nel vuoto.
“Finn?” Chiese Kurt, cercando di non ridere.
“Ehm, sì?” Disse, con la sua aria un po’ tonta.
“Grazie.”
“Di niente, fratellino.” Finn aprì le sue enormi braccia, invitando Kurt in un abbraccio.
Sentirono sbattere la porta d’ingresso, dei passi convogliare verso la cucina e una voce inconfondibile:
“Oooooh, ma quanto sono teneri i miei ometti?” Carole reggeva a stento le buste della spesa, ma rimase sulla porta per godersi quel momento di affetto tra fratelli.
“A cosa dobbiamo questa plateale dimostrazione di amore?” Disse una voce maschile, entrata subito dopo la donna.
“A nulla, non posso semplicemente abbracciare quell’impiastro di mio fratello?” Scherzò Kurt, facendo ridere l’intera famiglia.
“Ehi!” L’intera famiglia tranne il diretto interessato.
“Com’è andata la serata, figliolo?” Chiese Burt.
“Bene papà. Abbiamo mangiato popcorn davanti alla televisione, parlando delle prossime esibizioni del Glee e dei vestiti di scena. E’ stato divertente, come sempre.” Kurt sorrise, sperando di risultare il più credibile possibile.
Con l’arrivo di Carole, lei e il più piccolo si misero subito a preparare il pranzo.
Burt si avvicinò ad entrambi, curioso di vedere cosa stessero facendo.
L’uomo annusò l’aria:
“Mmmmh, Rachel usa un dopobarba molto forte.” Disse, in un tono falsamente noncurante.
Kurt impose ai suoi muscoli facciali di non muoversi, di non mostrare alcuna emozione o segno di cedimento.
Rise piano, continuando a trafficare con delle verdure.
“Ma che dici! Rachel mi hanno spruzzato addosso un po’ di dopobarba dei suoi papà, lei e Mercedes sostenevano che sarei stato più affascinate con quello che con il solito profumo floreale che uso.”
“Ah, ecco perché Rachel mi ha scritto chiedendomi se ti trovavo più mascolino del solito questa mattina!” Disse Finn battendosi la fronte con una mano, mentre con l’altra era intento a reggere cellulare.
Burt squadrò suo figlio e il ragazzone con sguardo interrogativo, chiedendosi cosa diamine potesse esserci sotto.
Finn sapeva cosa stava combinando Kurt? Lo stava coprendo?
“Se vuoi farti una doccia sei libero di andare, tesoro. C’è qui Burt che può darmi una mano.” Carole intervenne prontamente, facendo sì che la situazione non degenerasse.
“Grazie, voglio proprio togliermi quest’odore di dosso.” Disse, annusandosi i vestiti in modo schifato.
In realtà l’idea di avere su di sé l’odore di Blaine lo faceva andare in estasi.


Andò al piano di sopra per farsi una doccia, dopo di ché si sistemò sul letto, stringendo gli abiti con sopra quel profumo.
Kurt si sentì un po’ stupido, ma annusando gli indumenti era come se Blaine potesse essere lì con lui.
Gli mandò un messaggio:

‘Cerca di non mettere più né dopobarba né profumo al nostro prossimo appuntamento.’


La domenica stessa i due ragazzi ebbero un incontro fugace nella caffetteria dell’università.
Il cielo quel giorno era deciso a non avere pietà per gli uomini, ma bensì di essere caritatevole nei confronti degli esseri vegetali. La pioggia, infatti, era finalmente tornata dopo un lungo periodo di sole continuo e non dava segni di volersi fermare.
Tra un sorso di caffè e uno di cappuccino, sorrisi e mani impazienti di trovare il contatto con quella dell’altro, Kurt raccontò l’accaduto a Blaine.
Gli parlò di Finn e della loro discussione, di suo padre e di come il suo fratellastro fosse corso prontamente in suo aiuto.
“Non possiamo andare avanti così.” Sentenziò Blaine.
“Blaine, ti ho già detto di no.” Rispose il più piccolo, sulla difensiva.
“Ci siamo spinti troppo oltre con queste storielle Kurt, l’hai detto anche tu che tuo padre non è stupido.” Blaine stava cercando di essere convincente.
“Ma io ho già ideato la scusa! Ascolta: coinvolgerò le ragazze dicendo che Rachel ha una casa nel New Jersey e che passeremo lì un po’ di giorni tutti insieme. All’inizio sarà sicuramente titubante, ma poi Finn interverrà sostenendomi e alla fine cederà, lasciandomi partire.” Kurt espose il suo piano in modo affannato e precipitoso, ma si diede dell’idiota non appena ebbe finito, perché detto ad alta voce non sembrava poi così fantastico ed infallibile.
“Kurt davvero, apprezzo il tuo sforzo perché so che lo stai facendo per me, per noi.” Blaine accentuò l’ultima parola.
“Ma non posso permetterti di andare avanti con queste bugie. Domani mi presenterò in officina da tuo padre e gli racconterò tutto, non ha più senso nascondersi. Più andremo avanti e più sarà peggio, lo capisci?”
Kurt comprese il discorso di Blaine, come comprese anche di aver adottato un comportamento completamente puerile di fronte al suo ragazzo.
“Sì… Scusa se sono stato così infantile, ma ho paura. Ho paura che tutto possa finire.
Non sono mai stato così tanto terrorizzato in vita mia.” Abbassò lo sguardo, completamente vulnerabile.
Blaine gli prese la mano, stringendola forte per infondergli sicurezza, ma in modo gentile per trasmettergli tutti i suoi sentimenti.
“Allora ho il permesso di andare a parlare con tuo padre?”
“Sì, certo. Ma dopo che ti avrà lanciato la sua chiave inglese non dovrai venire a lamentarti da me.”
Blaine rise, ma molto nervosamente, perché notò che nelle parole del suo ragazzo non c’era assolutamente nessuna nota di sarcasmo.
Kurt evidentemente non era per nulla entusiasta di questa scelta, ma decise di lasciarlo fare perché Blaine sembrava convinto e perché, alla fine, sentiva una punta di sollievo nel pensare che non avrebbe più dovuto mentire ai suoi familiari.


La pioggia aveva continuato a cadere per tutta la notte, estinguendosi solo alle prime luci dell’alba.
L’aria era fredda e umida, tanto da costringere le persone a stringersi nei loro cappotti per uscire di casa.
Tutto all’esterno sembrava bagnato e scivoloso.
Blaine lasciò che quell’aria leggera e pungente gli passasse sul viso, contornato da delle occhiaie abbastanza evidenti.
Per tutta la notte aveva cercato le parole giuste per affrontare Burt, dimenticandole subito dopo essere scivolato in un sonno inquieto, durato tra l’altro poche ore.
Kurt aveva sempre parlato con un tono di ammirazione nei confronti di suo padre, sottolineando come egli fosse un uomo di aperte vedute e pieno di amore per la sua famiglia.
Blaine sperava solo che Burt potesse accettare anche lui, con la stessa forza con cui lo aveva fatto con Kurt.
Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma il moro sperava di poter trovare un uomo disposto ad essere una specie di figura paterna anche per lui.
Tornò al presente quando la sua mano afferrò la maniglia bagnata e fredda della sua auto, facendogli nascere un brivido lungo la schiena.
Guidò in uno strato trance fino all’officina Hummel, parcheggiando il più vicino possibile all’entrata.
Fu il suo istinto di sopravvivenza a farglielo fare, suggerendogli che così avrebbe potuto scappare molto più in fretta davanti ad una qualsiasi aggressione con chiave inglese.
Deglutì, insultandosi per la sua capacità di poter concepire dei pensieri così idioti.
Si rilassò, varcando la soglia come un comune cliente in cerca dell’aiuto di un esperto meccanico.
Riconobbe subito Burt, avvolto in una tuta blu da lavoro.
Sentì diverse piccole scariche di adrenalina attraversagli l’intero corpo, che lo fecero sudare freddo.
“Buongiorno, posso esserle utile?” Burt si stagliava già di fronte a lui, sorridendo in modo realmente cortese.
“S-salve. Sì ehm, ecco… Io avrei bisogno di parlare con lei, signor Hummel. Può dedicarmi un po’ del suo tempo? È una cosa importante.”
Burt lo squadrò con più attenzione, maledicendosi per non averlo riconosciuto prima.
Era senza occhiali e senza gel, ma quel piccolo ragazzo di fronte a lui non poteva che essere l’assistente di Mary.
“Certo. Ci conosciamo, vero?” Chiese l’uomo.
Blaine allungò la mano, cercando di mostrarsi tranquillo:
“Sì signore. Sono Blaine Anderson, l’assistente della dottoressa Renth.”
“Mi era sembrato di riconoscerti, ragazzo. Allora, sei venuto per parlarmi delle sedute? E’ successo qualcosa?” Chiese Burt, ormai incuriosito da quella visita inattesa.
“No, in realtà io non seguo più la terapia di suo figlio da un po’, ormai.” Rispose, mordendosi il labbro.
Burt sfoderò un’espressione confusa, aspettando pazientemente che il ragazzo di fronte a lui gli desse un minimo di spiegazione.
“Sono qui per parlarle di Kurt.”
Burt spalancò gli occhi, in preda ormai ad una forte curiosità.
Che questo giovane fosse...? No, impossibile.
“Da un po’ di tempo a questa parte io e suo figlio ci stiamo… Ci stiamo frequentando, ecco.”
E invece sì, era proprio lui.
Blaine cercò di mantenere lo sguardo sull’uomo, evitando di abbassarlo.
Voleva essere forte, voleva dimostrare di meritarsi Kurt e di essere disposto a tutto per lui.
Burt sfiorò il secondo infarto della sua vita.
“Perché non ci sediamo?” Propose l'uomo, indicando una panchina appoggiata vicino al muro.
Il moro fece cenno di sì, accomodandosi nell’angolo della panca, con la schiena curva e le mani l’una nell’altra.
Il giovane raccontò a Burt la loro storia, tralasciando solo la loro notte d’amore.
L’ uomo avvertì tutto il nervosismo del ragazzo seduto accanto a lui.
Vide le sue infinite esitazioni mentre raccontava,  la rabbia nei confronti di un padre poco presente, la frustrazione nel non comprendere ciò che realmente si è.
Burt percepì chiaramente la luce negli occhi quando dalla sua bocca usciva il nome di Kurt, l’amore usato nelle parole per descrivere i loro sentimenti, la tenacia di chi sta finalmente trovando la sua strada e sta combattendo per conquistarla.
“E’ tutto molto commovente Blaine, ma pensi davvero che questo basti? Io non sono arrabbiato, sono furioso con te e allo stesso modo con mio figlio.” Non stava usando un tono minaccioso, ma al ragazzo si accapponò ugualmente la pelle.
“Ora ti aspetti che io ti dia il mio consenso per questo viaggio, non è così?”
“Questo è quello che vorrei signor Hummel, ma sono consapevole del fatto che ora più che mai lei non sia ben disposto nei miei confronti.” Blaine stava facendo di tutto per evitarlo, ma la sua voce stava vibrando per la tensione.
“Rispondi sinceramente a questa domanda, Blaine: se questo viaggio non fosse mai esistito saresti venuto qui a chiedere la mia benedizione lo stesso?” Burt era davvero un uomo arguto.
“Avrei aspettato la fine di questo mese signore, ma sarei comunque venuto.
Amo davvero suo figlio, non potevo costringerlo a mentire ancora a voi, che siete per lui le persone più care a questo mondo.”
“Se tu amassi realmente mio figlio non saresti stato così egoista da avvicinarti a lui. E’ stato sbagliato Blaine, lui era un tuo paziente e anche solo questo impedimento avrebbe dovuto fermarti.
E se fosse stata solo una cosa passeggera? Non eri sicuro di essere gay, avresti dovuto sperimentare con qualcun altro.” Il tono di Burt si fece più aggressivo.
“Io non sto sperimentando proprio nulla, signor Hummel. Crede che non mi senta in colpa? Crede che non abbia lottato in alcun modo contro questo sentimento?
Da un giorno all’altro mi sono ritrovato a pensare notte e giorno ad un ragazzo appena conosciuto, come pensa che io mi sia sentito in quei momenti?
Non ho fatto nulla per costringere Kurt, non ci avrei neanche provato se avessi visto anche solo una punta di esitazione da parte sua.
Ho ribaltato la mia intera esistenza per stare con Kurt, questo non mi sembra un puro atto di egoismo.
Lui mi ha dato la forza per reagire, per cercare di diventare un uomo migliore.” Le parole gli uscirono dalla bocca una dopo l’altra, decise e cariche di passione.
Burt esitò, di certo non si aspettava di trovarsi davanti ad un giovane coinvolto così tanto emotivamente.
Deglutì, rendendosi conto di essere davanti a più di una normale cotta. Non credeva ancora alla storia dell’amore, ma qualcosa dentro di lui si stava ammorbidendo.
“Adesso non neghi di aver visto dei cambiamenti anche nell’umore di Kurt, perché non ci credo.” Disse, ma subito dopo se ne pentì pensando di essere stato troppo insolente.
“Sì, li ho visti.” Ammise l’uomo, senza mostrare segni di fastidio.
Burt lo stava trattando come un pari e non come qualcuno da sottomettere, così Blaine capì che quella in atto era una chiacchierata da uomo a uomo.
Un moto di ammirazione nacque nel cuore del moro nei confronti di Burt.
Fu in quel preciso momento che l’idea cominciò a galleggiare nella mente di Blaine, auto-catalogandosi come un buon compromesso.
Non ebbe il tempo di soffermarsi troppo a ragionare; prima che se ne potesse rende conto egli aveva già aperto la bocca, lasciando fluire le parole in modo veloce ed impacciato:
“Venite anche voi con me e Kurt, così potremo conoscerci meglio.”
Burt sgranò gli occhi all’istante:
“Ma sei impazzito?!” Chiese l’uomo, drizzandosi sulla panchina.
Il movimento brusco fece spaventare Blaine, pronto a scappare al primo avvistamento di una chiave inglese.
“N-no. Venga anche lei, con Carole e Finn. In questo modo potremo conoscerci e lei avrà la possibilità di tenermi sotto controllo.
Voglio davvero che funzioni tra me e Kurt, ma non può essere così se io non riuscirò a conquistare la vostra fiducia. Mi dia una possibilità, la prego.” Blaine lo guardò dritto negli occhi.
Burt si tolse il cappello, stringendolo forte tra le mani.
“Tu sei fuori di testa ragazzo mio, lasciatelo dire.” Sentenziò, grattandosi la nuca.
“Devo sparire dalla circolazione per un po’, ma non potei mai lasciare Kurt qui da solo, alla mercè di mio padre. La prego, mi dia una possibilità.” Blaine sfoderò i suoi occhi imploranti e bisognosi, sperando di poter smuovere qualcosa in Burt.
“Un po’?! Ragazzo, ti darei al massimo un week-end di tempo per impressionarmi, nulla di più.”
Blaine si attaccò a quella piccola possibilità con tutto se stesso.
“Me lo farò bastare. Mia madre potrebbe farcela, in qualche modo.” Disse convinto.
“Non ho detto di sì, ragazzo.” Lo avvertì Burt, tornando ad essere un po’ astioso.
“E io non voglio una riposta ora, Signor Hummel. Ci pensi su, ne parli con sua moglie.”
“Lo sai che parti molto male, cercando di dirmi quello che dovrei fare?” Chiese l’uomo con uno sguardo duro.
Blaine si irrigidì all’istante, ma ancor di più rimase senza parole quando un suono ruppe quella tensione che aleggiava tra di loro.
Burt Hummel, seppur per pochi stanti, aveva riso.
Una risata semplice, senza pretese.
“Ti stavo mettendo alla prova, non ti spaventare così tanto. Comunque, Kurt riceverà una gran bella sgridata, poi sarà lui stesso a comunicarti la decisione presa.”
“Grazie signor Hummel, lei non sa quanto sia importante per me.”
“Lo so, Kurt è un ragazzo straordinario e…”
“No, non intendevo quello. Voglio dire, Kurt è la cosa più importante della mia vita, ma io mi stavo riferendo a questa situazione, al fatto che lei mi abbia dato attenzione, che mi abbia ascoltato. Nessuno mi aveva mia preso così tanto sul serio, grazie.” Blaine si alzò, cercando di nascondere l’imbarazzo causato dalle sue stesse parole.
Burt rimase interdetto:
“Di nulla, Blaine.”
I due uomini si strinsero la mano, dopo di ché il moro corse il più in fretta possibile alla sua auto, ancora incredulo per ciò che era appena successo.
Burt mandò un sms a suo figlio:
‘Sei in grossi guai, Kurt Elizabeth Hummel.’

La riposta non tardò ad arrivare:
‘Lo so. Ti voglio bene papà, qualunque cosa deciderai di fare.’

Burt dovette trattenere una lacrima, dando la colpa a quel maledetto grasso che proprio non voleva lasciare in pace i suoi occhi.



“E’ stato carino da parte sua ad invitarci, sarebbe un buon modo per conoscerlo.” Disse Carole, dopo aver ascoltato il racconto del marito.
Una normale cena della famiglia Hummel-Hudson si era trasformato in un acceso dibattito su ciò che fosse più giusto fare o non fare.
Finn rimase in silenzio, ma segretamente sperava di poter partire presto per la California.
Kurt si era visto togliere il diritto di intervenire, vista la sua cattiva condotta.
“A me è parsa una follia, tesoro. Non ci conosce affatto e ci invita in casa sua come se fosse una normale vacanza, ma in realtà sta scappando da suo padre. Ci sta mettendo in mezzo, a te non sembra?”
“Mi pare solo la reazione di un ragazzo spaventato e confuso, ma innamorato. Cosa dovrebbe fare? Lasciare che suo padre possa prendere tutte le decisioni per lui? Non la auguro a nessuno una vita di questo tipo.
Sta cercando di riparare ad un errore, perché non dargli una possibilità con noi?” Carole parlava accarezzando il braccio del marito, nella speranza di farlo calmare.
Kurt la ringraziò con lo sguardo.
“Abbassa quegli occhi da cucciolo figliolo, non ti sono permessi.” Lo rimproverò Burt.
Kurt si concentrò gli occhi sulla tovaglia, ma le sue orecchie erano più ritte che mai.
“Ha 23 anni, può portare chi vuole in casa e ha il consenso della madre.”
“Non lo so…” Disse titubante l’uomo.
“Sarà solo per un fine settimana, cosa potrà mai succedere di male?” Carole si fece più vicina, sorridendo fiduciosa a Burt.
“So già che me ne pentirò, ecco cosa.” L’uomo prese un respiro profondo, ed infine fece sì con la testa.
Kurt corse ad abbracciarlo e bacialo, continuando a ripetere grazie.
Carole strappò suo marito dalle grinfie del figlio per baciarlo sulle labbra, mentre Finn… Bhè, Finn stava pianificando l’allenamento della settimana per arrivare in California senza il minimo di pancia.
“Lo dico subito a Blaine!” Kurt faticò addirittura a scrivere l’sms di vittoria, tanto gli tremavano le mai.
Kurt immaginò che quei tre giorni avrebbero segnato l’inizio della loro relazione alla luce del sole. Dopo di essi avrebbero potuto mostrarsi alle altre persone e le rispettive famiglie non sarebbero più state un problema.
Gli stessi pensieri attraversarono la mente di Blaine, il quale scrisse subito a sua madre:
‘Partiremo venerdì, riuscirai a convincere papà in un fine settimana?’

‘Certo figliolo, nessun problema. Buona notte, fai bei sogni.’

La donna non attese la riposta del figlio, lasciò il cellulare lontano da sé e chiese perdono a Blaine per quell’ennesima bugia.
In quel momento si promise di provarci davvero a parlare con Richard, consapevole del fatto che Blaine meritasse almeno quello:
Una possibilità.


 

 

Allora, vi è piaciuto l'intervento di Burt, Carole e Finn?
La chiacchierata a cuore aperto di Blaine a Burt?
Come credete che andrà a finire?

Vi confesso che questo capitolo mi ha dato un bel po' di problemi, mi ha fatto avere il primo blocco dello scrittore (?) di tutta la ff. Spero che alla fine sia venuto bene e che vi sia piaciuto :)
Ringrazio tutti coloro che hanno aggiunto la storia tra le seguite e le ricordate, siete diventati un bel po' e questo non mi fa altro che piacere :) Spero che troviate un attimo per dirmi cosa ne pensate, mi piacerebbe tanto conoscere le vostre opinioni ;)

Colgo l'occasione per ringraziare tanto klaineiscomingback, che ha cominciato a seguire questa storia un paio di capitoli fa, ma l'ha messa subito tra le preferite e commenta ogni capitolo. Grazie per la fiducia, davvero :)

Grazie anche alla mia beta, colei che si subisce tutte le mie idee e i miei dubbi: elli2998 :)

Sto lavorando ad altre ff e ho appena iniziato una traduzione, vi terrò aggiornati se vi interessa.

 

Al prossimo capitolo, buona settimana :)

 

Twitter: https://twitter.com/Mcc_Blue



 


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Capitolo 16
*** Capitolo XV ***


Buona sera a tutti :)
Ecco qui il quindicesimo capitolo, decisamente più leggero degli altri. Torna anche la musica, grazie alla quale sono riuscita ad immaginarmi perfettamente una scena che troverete più in giù.
Buona lettura :)



 

 

Capitolo XV

Il viaggio in aereo si era rivelato tranquillo e non eccessivamente imbarazzante, così come anche l’arrivo a casa Anderson.
L’abitazione era recintata da un basso muretto di mattoni dai toni chiari, mentre la facciata si presentava completamente bianca, intervallata da delle finestre grandi e rettangolari.
All’esterno vi era anche un giardino molto verde e curato, dove sarebbe stato possibile prendere il sole o anche improvvisare qualche gioco all’aperto.
Una volta entrati Blaine fece fare un veloce giro dell’abitazione ai suoi ospiti, per permettere a tutti di imparare ad orientarsi il prima possibile.
L’a casa odorava fortemente di pulito, quasi di sterile.
Al piano di sotto vi era la cucina con annessa sala da pranzo, il salotto, il bagno e una camera svago, con al suo interno un piano forte, due chitarre, diversi strumenti musicali e qualche aggeggio sportivo per fare esercizio.
Al piano superiore invece c’erano due camere da letto, un altro bagno e una piccola stanza adibita a studio per Richard, il quale neanche in vacanza voleva rinunciare alla possibilità di lavorare o semplicemente di monitorare i suoi affari.
“Una delle camere è mia, mentre l’altra è dei miei genitori. Utilizzatele pure entrambe, io dormirò nella sala hobby.” Disse Blaine, ricordando che Burt sin da subito si era imposto per vietare categoricamente a lui e a Kurt la possibilità di condividere un letto insieme.
Non che fosse stata una sorpresa, comunque.
Kurt avrebbe dormito con Finn, mentre Carole avrebbe naturalmente dormito con Burt.
La donna si preoccupò subito di aprire la maggior parte delle finestre della casa per poter avere un ricambio di aria fresca e pulita.
Il brutto tempo che avevano lasciato a Lima era passato anche di lì, rendendo l’atmosfera di Santa Monica fresca e umida.
“La prima cosa da fare è preparare i letti per la notte. Blaine, potresti dirmi dove posso trovare lenzuola e coperte?”
L’intero gruppo pendeva dalle labbra di Carole, che in quella situazione si stava dimostrando una perfetta leader nonché donna di casa.
Finn probabilmente doveva aver preso tutto da lei.
“Sono nell’armadio, in alto a destra.”
Blaine aprì le ante del grosso guardaroba in camera dei suoi, si mise sulle punte e tese le braccia, cercando di raggiungere quelle famigerate coperte.
“Passale pure a me.” Disse Burt, avvicinandosi.
Blaine mugugnò qualcosa in modo rassegnato.
“Ragazzo parla più forte, non riesco a sentirti.”
“Sono troppo basso, non ci arrivo.” Rispose, in tono di arresa.
Burt rimase interdetto per qualche istante facendo irrigidire Blaine, il quale avvertì su di sè il peso dello sguardo perplesso dell’uomo.
Il giovane pensò di non aver fatto altro che inaugurare la sua innumerevole lista di figuracce che si sarebbero susseguite durante quei tre giorni.
Blaine si era ripromesso di impressionare e conquistare Burt, di fare di tutto affinché il padre di Kurt potesse ritenerlo degno di stare con suo figlio.
“Finn, dagli una mano.” Si limitò a rispondere lui, visibilmente divertito.
Le labbra dell’uomo si curvarono appena, ma non lo fecero per formare un ghigno di scherno. Quello apparso sul suo viso era stato un sorriso divertito, quasi intenerito.
Blaine naturalmente non si fece illusioni, il week-end sarebbe stato ancora lungo e pieno di situazioni imbarazzanti, ma si rilassò al pensiero di averla scampata, almeno per il momento.
Il giovane recuperò le sue coperte, scendendo al piano di sotto per sistemarsi.
Nella sala hobby vi era un grosso divano, che all’occorrenza poteva essere tramutato in un letto.
Preso com’era dalle sue preoccupazioni non si accorse di essere stato seguito da Kurt, finchè quest’ultimo non lo aiutò ad aprire il divano e a stendervi il lenzuolo.
“Tutto bene?” Chiese il più piccolo.
Blaine si sedette a gambe incrociate sul divano-letto, invitando Kurt a fare lo stesso.
“Mi sono sentito veramente un idiota prima, con Burt. Più cerco di comportarmi in modo impeccabile e più faccio danni.” Rispose, torturandosi i ricci.
“Perché non provi semplicemente ad essere il ragazzo che l’atro giorno si è presentato a mio padre?” Chiese Kurt, avvicinandosi per stringerlo a sé.
“Vorrei riuscire a tirar fuori quella persona, ma non so dove sia finita.” Rispose il giovane uomo, sprofondando nell’abbraccio del proprio ragazzo.
“Blaine quella ‘persona’, come la chiami tu, non era la messa in scena di una sola parte di te, ma tutto il tuo essere. Ti sei presentato a mio padre con pregi e difetti, ma in modo sincero. Per sbalordirlo non devi fare altro che abbracciare tutto di te stesso, senza tralasciare nulla. Comportati in modo normale e lui ti adorerà entro domenica sera, ne sono certo.” Kurt sapeva che anche suo padre sarebbe riuscito a scorgere tutta la buona fede nascosta nell’animo di Blaine, perché era stato agli stesso a mostrargli, molti anni prima, come riconoscere sempre il buono delle persone.
“Promettimi che in questi giorni mostrerai te stesso agli altri, senza inibizioni e paure.” Gli chiese in tono delicato Kurt, conoscendo perfettamente quanto potesse essere difficile mostrarsi al mondo per quello che realmente si è.
“Te lo prometto, Kurt.” Blaine era ancora un po’ riluttante all’idea, ma preferì fidarsi del suo ragazzo piuttosto che lasciarsi andare alle infinite paranoie create dalle sue paure.
Kurt lanciò uno sguardo veloce alle labbra del moro, invitandolo ad avvicinarsi.
I loro cuori cominciarono a battere di quel piacevole e particolare ritmo che si creava quando erano insieme.
Era come se avessero inventato un ritmo appositamente per loro, una specie di melodia che preannunciava ad uno l’arrivo dell’altro.
Blaine si avvicinò e baciò teneramente Kurt, facendolo in modo gentile e riconoscente per le belle parole di poco prima.
Il più piccolo prese fra le mani il viso del suo ragazzo, facendo scorrere in modo lento i suoi palmi morbidi sul leggero strato di barba che adornava il volto di Blaine.
Avrebbero voluto essere più vicini, toccarsi e accarezzarsi senza preoccuparsi di nient’altro, ma entrambi sapevano fin troppo bene che quello non era affatto il momento.
Smisero di baciarsi prima che quel gesto potesse diventare troppo passionale, ma i loro volti rimasero a pochissima distanza l’uno dall’altro.
Blaine aveva avvolto la vita Kurt con le sue braccia, mentre il più piccolo reggeva ancora tra le mani il viso del giovane uomo.
Si guardarono per un tempo imprecisato, con gli occhi carichi di desiderio e ammirazione l’uno per l’altro.
‘Possiamo farcela’ Sembravano volersi dire vicendevolmente.
“A pensarci però le inibizioni è meglio se me le conservo in questi due giorni, altrimenti potrei rischiare di saltarti addosso da un momento all’altro.” Ed ecco che il vecchio e scherzoso Blaine faceva capolino, scatenando una bellissima risata da parte di Kurt.
“Sei il solito!” Gli disse, colpendolo con un leggero buffetto alla spalla.
Il più grande si beò di quelle parole, fiero di averlo fatto ridere.
Era la prima volta che quella casa assisteva ad una risata di Kurt e già l’ambiente sembrava d’un tratto essere diventato più luminoso.





Blaine mostrò a Finn, Burt e Kurt tutto il giardino esterno.
Non si stupì quando il ragazzone tirò fuori una palla da football, ma si sentì completamente sopraffatto dalla sorpresa quando anche lui venne coinvolto nei lanci e nelle corse che i tre uomini si misero praticamente subito a fare.
All’inizio Blaine era rimasto un po’ in disparte a guardare, meravigliato dalla facilità con cui quei tre avessero iniziato a giocare tra loro.
Finn aveva mostrato trionfale agli altri il pallone ovale, si erano scambiati un veloce sguardo d’intesa e avevano iniziato subito a giocare, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo.
Finn si era abbassato, pronto a scattare da una parte all’altra del giardino, ma Burt gli si era già parato davanti nel tentativo di prendergli la palla e passarla a Kurt, il quale si era posizionato per afferrarla e per mettersi a correre il più velocemente possibile.
“Blaine, allora?! Ti muovi a venirmi a dare una mano?” Il moro era rimasto senza fiato per colpa di quella richiesta urlata da Finn, quasi intimorito dal doversi immischiare in quel gioco.
Gli era sembrata una cosa tra di loro, un piccolo momento di felicità tipico di una famiglia unita.
“Blaaaine! Sbrigati!”
Al secondo richiamo il giovane sbatté gli occhi, nel tentativo di schiarirsi le idee.
Tra tutti i dubbi e le incertezze che affollavano i suoi pensieri si fecero strada le parole pronunciate da Kurt poco prima, mostrandosi come la chiave di ogni cosa.
Tutto ciò che doveva fare era racchiuso lì, in quelle poche ma fondamentali frasi.
Il resto venne da sé.
“Volevo lasciare a Kurt un po’ di vantaggio.” Disse, avvicinandosi a Finn e buttandosi nella mischia.
Carole li osservò appoggiandosi dalla porta che dava sul giardino, sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi.
Il suo volto mostrava i segni del tempo, specialmente in momenti come quello, dove il suo viso si tendeva per mostrare un radioso sorriso.
A contornare il naso della donna vi erano due rughe profonde, accentuate in quel momento dalla sua dimostrazione di felicità. Esse erano un segno, perché quei solchi appartengono solo alle persone che nella loro vita hanno riso e pianto tanto.
Dopo un numero indefinito di urla, imprecazioni, falli clamorosi e macchie di erba un po’ ovunque Carole decise di richiamare all’ordine i ‘bambini’. C’era ancora qualche piccolo lavoretto in sospeso, quindi sperava di poter ricevere dell’aiuto da quei tre.
“Bella partita ragazzi, ma vi manca qualcosa dal punto di vista tecnico.” Commentò Burt, riprendendo fiato.
Finn sfoderò la sua migliore espressione indignata, mostrandosi offeso dall’affermazione del suo patrigno.
Carole servì a tutti un bicchiere di acqua prima di mettersi a parlare:
“Ho bisogno che qualcuno vada a fare la spesa, ho già preparato la lista. Gli altri potrebbero darmi una mano qui in casa. Chi si offre volontario?” Chiese la donna, sorridendo.
Kurt e Blaine si guardarono complici:
“Possiamo occuparcene noi, Carole. Stavo giusto pensando di farmi accompagnare da Blaine in giro per la città.”
Burt a quelle parole si accigliò all’istante, ma venne bloccato da sua moglie.
“Va bene, grazie ragazzi!” La donna rivolse uno sguardo gentile a suo marito, il quale sospirò.
“Va bene, ma appena tornerete fisseremo le regole per i prossimi due giorni, alle quali non accetterò repliche.” Disse Burt.
“Ok, a dopo!”
I due ragazzi afferrarono frettolosamente la lista, dileguandosi in un soffio.



Si recarono in un negozietto non molto lontano da casa per fare gli acquisti decisi da Carole.
La spesa si rilevò un momento tranquillo e decisamente molto familiare, paradossalmente intimo.
I due ragazzi non facevano altro che sorridersi e sfiorarsi, mentre erano intenti a scegliere questo o quel prodotto.
“Tutta la tua famiglia mangia sano come fai tu?” Chiese Blaine, osservando il cesto in mano a Kurt.
“Mio padre ha avuto un infarto quando io ero al mio terzo anno. Da allora cerco di controllare al massimo la sua dieta, fargli prendere le giuste medicine ed evitargli il più possibile lo stress. So che non è abbastanza, però.”
“Fai tutto quello che puoi.” Rispose il più grande, accarezzandogli la schiena.
“Non… Non so se mi preoccuperei così tanto per mio padre. So che è una cosa orribile da dire, ma… Mi prenderei cura di lui per obbligo e non per affetto, come invece fai tu.” Blaine abbassò la testa, avvertendo realmente un senso di colpa per le parole appena pronunciate.
“L’affetto di noi figli nei confronti dei genitori non è altro che lo specchio dell’amore che questi hanno avuto nei nostri confronti, Blaine. Non devi fartene una colpa.
Il fatto che tu ti senta male per quello che hai detto mostra semplicemente che tu sei una persona migliore di tuo padre.” Kurt si avvicinò di più al suo ragazzo, stringendolo lievemente vicino a sé.
Blaine scosse la testa, cercando di sorridere:
“Non pensiamoci più. Ora sono qui con te, giusto? Questo è quello che conta.” Baciò Kurt sulle labbra, per poi riprendere la lista di Carole e cercare del riso integrale tra gli scaffali.
La sua attenzione fu però rapita da un altro genere di prodotto.
“Che ne dici?” Propose il riccio, sventolando un pacchetto di cartone blu con una scritta bianca e rossa.
“So fare una perfetta al dente pasta.” Aggiunse, sorridendo.




Uscirono dal negozio quando ormai il cielo si era tinto di arancione e giallo, andando a sforare anche nel rosso e in quella che pareva una leggera tonalità di rosa.
L’aria era fresca a causa del temporale passato in precedenza, tutto intorno a loro era ancora umido.
“Domani ti porterò a vedere la Santa Monica Pormenade. E’ una strada completamente pedonale del centro, piena di negozi, ristoranti… Qualsiasi cosa. Oh, e naturalmente ti mostrerò il Santa Monica Pier, il molo più famoso della zona.” Blaine era molto eccitato all’idea di poter fare da guida a Kurt, tanto che gesticolò in preda all’euforia.
Erano seduti su una panchina, intenti a respirare l’aria gelida lasciata indietro dalle nubi.
Le loro guance erano fresche e le loro menti leggere, le mani intrecciate per godere l’uno del tocco dell’altro.
“So che sarà stupendo, ma potrei chiederti di farmi vedere una cosa adesso?” Chiese un po’ in soggezione Kurt.
“Tutto quello che vuoi.” E quell’affermazione per Blaine non era un semplice modo di dire, ma la più sincera delle verità..
“Vorrei vedere l’oceano prima di rientrare. Non ho mai visto nessuna costa della California.” La gentilezza con cui lo chiese fece sussultare il cuore di Blaine.
(https://www.youtube.com/watch?v=PI7vG_22OHM)
Il giovane si alzò sicuro e senza dire una parola, rivolgendo uno sguardo silenzioso al cielo colorato, ma ancora un po’ nuvoloso.
Porse la sua mano a Kurt, con un sorriso sincero ad illuminargli il volto.
“Vieni con me.” Disse semplicemente, inarcando sempre di più le labbra.
Gli occhi di Blaine erano di colore oro, tanto luminosi ed invitanti da sembrare realmente caldi.
Kurt strinse forte quella solida mano che gli era stata offerta, alzandosi dalla panchina.
Senza aggiungere altro, Blaine gliela strinse e si mise a correre.
Kurt lo seguì per inerzia, con uno sguardo stupito dipinto sul volto.
Non era una corsa veloce, di quelle che dopo pochi metri senti il bisogno di fermarti per riprendere fiato.
Era una corsa felice e piena di vita, di quelle che non ti potrebbero mai stancare.
Kurt scoppiò a ridere, come se con quella corsa potesse allontanare e lasciare alle spalle qualsiasi cosa, sollevato come non lo era mai stato prima.
Il vento freddo accarezzava i loro volti, trapassava le magliette e i pantaloni facendoli rabbrividire, ma non per questo rallentarono il passo.
L’aria entrava a forza nei polmoni, riempiendoli con quella sensazione di freschezza e leggerezza.
Passarono attraverso molte vie, davanti a case e negozi.
Nulla di tutto ciò meritò la loro attenzione, intenti com’erano a scambiarsi occhiate divertite e innocenti.
Le persone per strada si spostavano istintivamente al loro passaggio. Alcune ridevano, altre li guardavano con sguardi infastiditi e altre ancora li incitavano ad andare più veloce.
Anche la folla, però, non riuscì ad avere il minimo di attenzione.
I due amanti percepivano solo il battito spedito dei loro cuori, il suono dei loro respiri veloci, il calore quasi scottante delle loro mani incollate l’una all’altra.
Tutto ciò che era intorno a loro scorreva via velocemente: ai loro occhi indifferenti le cose e le persone perdevano i loro normali contorni, creando nient’altro che un anonimo miscuglio confuso di colori.
Ad un certo punto la strada cominciò a sparire, mostrando ai due ragazzi la spiaggia e l’oceano: una distesa bianca e granulosa che ad un certo punto veniva inghiottita in un azzurro liquido, il quale tendeva a scurirsi man mano che si allontanava dalla costa.
Solo dopo essersi addentrati tra la sabbia i due ragazzi si fermarono, l’uno affianco all’altro.
Ripresero fiato rumorosamente, con le  bocche spalancate a contemplare la bellezza che si stagliava davanti ai loro occhi.
Si lasciarono cadere a peso morto, accasciandosi tra i granelli ancora umidi per la pioggia e per le onde.
Le mani erano ancora unite, intente a tastare la sabbia sotto di loro.
Rimasero in silenzio qualche minuto, ognuno perso nei pensieri sussurrati da quel mare immenso e cristallino.
Kurt accarezzò con il pollice la mano di Blaine, il quale si aprì per invitare il più giovane ad accoccolarsi tra le sue braccia.
“Grazie.” Disse il ragazzo dagli occhi celesti, lasciando un bacio sulle labbra del moro.
“Guarda, quello è il molo.” Disse Blaine, indicando una grossa ruota panoramica sulla destra.
“Ti porterò lì, domani.”
Si baciarono ancora e ancora, facendosi cullare da quel luogo così tranquillo e magico.
Blaine si appoggiò tra i capelli di Kurt, lasciandosi inebriare da quel profumo così familiare e al tempo stesso speciale, unico.
Kurt appoggiò l’orecchio sul cuore del ricciolo, il fulcro della sua vita,  ringraziandolo per ogni singolo battito.
Solo il buio riuscì a smuovere i due ragazzi, i quali si ricordarono che a casa ad aspettarli vi erano altre tre persone, sicuramente molto affamate.





Entrarono dalla porta principale in punta di piedi, in preda alla felicità e alla fibrillazione più totale.
La spiaggia, il mare, i loro corpi caldi abbracciati sulla spiaggia umida… Era stato un momento magico, da racchiudere nella scatola dei ricordi più belli.
Si erano sentiti liberi, felici, giovani, pieni di vita.
Quelle sensazioni erano davvero difficili da tenere al guinzaglio, ma cercarono di darsi un tono prima di varcare la soglia della cucina.
Essa si rivelò vuota, ma percepirono il rumore della tv accesa nel salotto.
Sul tavolo trovarono dei cartoni di pizza. Probabilmente gli altri si erano stancati di aspettare e avevano optato per un po’ di cibo da asporto.
Riposero la spesa nel frigo e negli appositi ripiani in completo silenzio, scambiandosi occhiate felici ed elettrizzate.
Blaine si avvicinò all’orecchio di Kurt:
“Ho con me la nostra coperta. Sai, potrebbe essere utile per stendersi sulla spiaggia, domani sera…” Lasciò cadere la frase di proposito, godendosi la reazione molto interessata, ma allo stesso tempo imbarazzata, di Kurt.
“ Buona sera ragazzi! Ma dove cavolo eravate andati a finire? La vostra pizza è in frigo, se avete fame.” Esordì Finn, entrando in cucina.
I due si allontanarono in modo brusco e impacciato, scatenando un sorrisetto divertito da parte del quaterback.
“Volevo vedere l’oceano.” Rispose il suo fratellastro.
“E non riuscivi ad aspettare fino a domani mattina? Comunque, Burt mi ha chiesto di dirvi che vi aspetta in salotto. Dovete parlare.” Disse, aprendo il frigo per prendere una birra.
I due ragazzi non riuscirono a preoccuparsi, ancora troppo saturi di felicità.
Raggiunsero il soggiorno, presero due sedie e si sedettero accanto a Burt, il quale non perse tempo:
“Mi sembra che sia arrivato il momento di fissare le regole per questi tre giorni. Come prima cosa non mi è piaciuto il fatto che vuoi due siate spariti da soli per ore, quando avreste dovuto semplicemente fare la spesa e tornare a casa. Tu figliolo sei ancora in punizione, quindi dovrai svolgere la maggior parte delle faccende domestiche.” Cominciò l’uomo.
“Lo so papà, accetto ogni tua condizione. Prima ho chiesto a Blaine di mostrarmi la spiaggia, ma abbiamo perso la cognizione del tempo. Scusaci, papà.” Rispose Kurt, assumendosi la colpa.
Blaine intanto stava cercando di crearsi mentalmente una lista di cose da fare e luoghi da visitare per poterla subito esporre a Burt.
Avrebbe ascoltato le regole dettate dall’uomo e le avrebbe accettate, ma gli avrebbe anche presentato un programma di attività per lui e Kurt molto dettagliato, mostrando la sua capacità di organizzazione, la buona volontà e la sua voglia di collaborare.
Si sarebbe mostrato responsabile.
Cominciò a fantasticare nella sua mente: ‘Andremo a nuotare e a fare shopping. La sera lo porterò fuori, gli offrirò una cena romantica e un gelato. Potrei già farlo adesso e…”
“… Come altra cosa non potrete uscire da soli, tanto meno la sera.” Aggiunse Burt.
‘E un film sul divano andrà benissimo.’ Concluse Blaine, un po’ amareggiato per questa rigida imposizione.
“Ma papà! Domani sera dovremmo rimanere chiusi in casa?! Io e Blaine avevamo pensato di andare al molo.” La voce di Kurt si fece leggermente più acuta.
“Ma certo che no: ci andremo tutti e quattro insieme. Siamo una famiglia, e si dal caso che questa famiglia non passi del tempo insieme da un bel po’. Sarà un perfetto modo per recuperare il tempo perduto. E per conoscersi.” Aggiunse, guardando Blaine.
Il riccio sospirò, ma sapeva che questo era il massimo che lui e Kurt potessero pretendere da Burt.
“Va bene.” Disse Blaine, appoggiando una mano sulla spalla del suo ragazzo.
Un paio di occhi color cielo si immersero nei suoi color ambra, con una punta di dispiacere e una di scuse.
Il moro si fece più vicino e gli accarezzò la schiena:
“Mi basta passare del tempo con te, Kurt. Avremo molte altre occasioni per venire qui.” Da soli, aggiunse mentalmente.
“Bene, grazie per esservi mostrati così ragionevoli ragazzi.” Burt si alzò, imitato subito dopo da Carole.
“Dove andate?” Cercò di informarsi Kurt.
“A dormire figliolo, siamo entrambi molto stanchi. Tra due ore al massimo vi voglio tutti e due a letto, domani ci sveglieremo presto. Non accetto contrattazioni sul coprifuoco, che sia chiaro.
Passate una buona serata.” L’uomo fece un cenno ai due ragazzi come saluto, mentre Carole diede ad entrambi un bacio sulla guancia.
“Buona notte.”
“ ‘Notte.” Risposero in coro.
Anche Finn era salito in camera, probabilmente per accaparrarsi il lato migliore del letto e guardare la tv in pace.
“Non è per niente tardi.” Disse Kurt, guardando l’orologio. Erano appena le nove di sera.
“Già.
Sai, penso che tuo padre sia una delle persone più particolari che io abbia mai incontrato.”
Eh già, Burt Hummel poteva anche imporsi con le sue regole da padre retto e corretto, ma restava comunque un uomo buono e pieno di amore per suo figlio.
“Mi sta dando fiducia?” Chiese speranzoso Blaine.
“Così pare.” Rispose vago Kurt, con un sorriso furbetto.
“Io vado a scaldare la pizza, tu intanto guarda cosa c’è in tv o scegli un film. I dvd sono nel mobile a destra del televisore.”
Il più piccolo cominciò subito a frugare tra le pellicole di Blaine, trovando soprattutto film leggeri o comici, adatti al clima rilassato e disimpegnato delle vacanze.
Frugò per un bel po’ di minuti, finchè non emise una risata.
“Cosa c’è?” Chiese Blaine, tornando in salotto.
“Non avevamo una maratona di Harry Potter in sospeso, Anderson?” Lo provocò in modo leggermente malizioso Kurt, ricordando fin troppo bene come era andata a finire l’ultima volta.
Risero insieme, inserendo il primo film della saga nel lettore dvd.
Si posizionarono l’uno nelle braccia dell’altro sul divano, ma quella sera non si permisero altro.
Ci furono tante carezze, piccoli baci fugaci.
Parole dolci appena sussurrate, piene di timidezza e aspettativa. Respiri caldi, pronti a solleticare la pelle morbida e sensibile dei due.
Dita che placidamente correvano sul corpo, che si cercavano e toccavano, in cerca di quel contatto piacevole e rilassante.
Non ci fu altro.
Non sarebbe stato corretto visto che non erano stati puniti per il ritardo, ma anzi avevano potuto condividere ancora tutta la serata insieme e in completa tranquillità.
Non stavano facendo niente di speciale e non avevano avuto la possibilità di fare nulla di romantico, o di mettere in pratica uno dei loro programmi fuori da quelle mura, ma alla fine si erano resi conto che tutto ciò non fosse realmente importante.
Potevano essere loro stessi e potevano esserlo insieme.
Tra di loro funzionava bene così, con qualcosa di semplice.



 

 


Eh sì, questo capitolo è vivo grazie ai Coldplay. Vi piacciono? :) ( The Scientist a parte, of course. Mi uccide ogni volta, ormai ascolto solo la versione di Glee) Li ho conosciuti l'estate scorsa, innamorandomi all'istante dell'ultimo disco.

Cosa ne pensate di questo capitolo?
Burt come vi è sembrato?
Come vi immaginate le giorante al mare tutti insieme?
Ho dato qualche particolare attenzione al personaggio di Carole perchè penso che sia una donna forte e meritevole di tutta la felicità di questo mondo. La stimo molto. Voi che ne pensate?

Ringrazio infinitamente le tre persone che hanno recensito il capitolo precedente: Charlot, ItsmeWallflower e Klaineiscomingback. Significa molto per me, grazie davvero :D
In particolare, vorrei ringraziare tutte quelle persone che, anche fuori da efp, si sono interessante alla mia storia e mi hanno lasciato delle critiche costruttive, indispensabili per migliorare la mia storia e il mio modo di scrivere. E' solo grazie a voi se posso migliorare :) Chiunque ne avesse delle altre le può scrivere liberamente, sono qui per intrattenervi, ma anche per imparare :)
Ringrazio anche chi ha ancora aggiunto la storia alle seguite-preferite o ricordate, siete un bel numero e mi sento onorata :)

 

Alla mia Beta dico: elly2998  sappi che ti adoro :)

Questo è l'oceano di Santa Monica e la ruota panoramica del molo:
http://media-2.web.britannica.com/eb-media/59/94259-004-64570B0A.jpg

 

http://st.gdefon.ru/wallpapers_original/wallpapers/415734_ssha_california_santa-monica_usa_los-angeles_city_1920x1280_%28www.GdeFon.ru%29.jpg

http://immagini.4ever.eu/data/674xX/natura/mari-e-coste/%5Bimmagini.4ever.eu%5D%20tramonto%20a%20santa%20monica,%20spiaggia,%20oceano%20pacifico%20149132.jpg


Al prossimo capitolo :)
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Ps: Ma se aprissi una pagina su fb vi potrebbe interessare?

 

 

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Capitolo 17
*** Capitolo XVI ***


Salve a tutti.
E' un giorno davvero difficile per tutti noi Gleeks, ma nonstante tutto voglio postare questo capitolo.
Perchè?
Perchè in questo momento mi sento assolutamente inutile.
Mi piacerebbe poter abbracciare ogni singolo Gleeks, poter fare qualcosa per il dolore di Lea, dei genitori di Cory e dei suoi amici, ma non posso.
Non posso fare nulla di tutto questo.
Tutto ciò che mi rimane è dedicare questo capitolo a Cory, dove ho aggiunto un paio di cose per rendergli omaggio.
Non è molto, ma mi fa sentire un po' meno inutile.


Capitolo XVI


 A Cory Monteith.

Per tutto quello che ha fatto per il mondo, ma anche per tutto ciò che continuerà a significare per noi.




Mattina.
Mattina e caffè.
Mattina, caffè e coccole.
L’uomo si alzò dal letto, deciso più che mai ad andare alla ricerca di questi tre perfetti ed irrinunciabili elementi, utili a segnalare l’inizio di una buona giornata.
Si stiracchiò per qualche istante, godendosi la leggera e fresca brezza della mattina che creava quel piacevolissimo contrasto con il calore intriso nelle coperte.
Si alzò con tutta la calma e la rilassatezza possibile, attento a non fare rumore con lo scorrere dei suoi passi.
Fece del suo meglio per non svegliare nessuno; un po’ perché era presto e un po’ perché voleva passare del tempo con una persona molto speciale, senza che nessuno potesse disturbarli.
Dopotutto, quella era una vacanza.
Bizzarra, fuori dal normale, folle, strana… Ma pur sempre una vacanza.
Arrivò fino alla soglia della cucina, fermandosi un secondo per lasciarsi avvolgere dal forte profumo di caffè e per ammirare quella magnifica figura di fronte a lui, intenta a preparare una fantastica e sana colazione.
“Buongiorno.” Disse l’uomo, lasciando un bacio su quei capelli sottili e profumati.
“Buongiorno anche a te, tesoro.” Rispose la donna, porgendogli una tazza di caffè e prendendone una seconda per sé.
Burt si sedette comodamente sul divano, lasciando che Carole portasse appoggiarsi sul suo fianco. L’uomo le pose un braccio intorno alle spalle, sapendo che sua moglie adorava quel gesto. La faceva sentire protetta, diceva.
“I ragazzi dormono ancora?” Si informò la donna.
Burt si limitò ad annuire, sorseggiando un po’ del suo caffè dalla tazza.
“Anche Blaine è ancora addormentato. Ha un viso rilassato e tranquillo quando riposa, lo stesso che sfodera quando è con Kurt.”
Carole sapeva che suo marito era ancora un po’ restio a questo genere di argomenti, ma era suo dovere cercare di aiutarlo ad affrontarli senza timidezza.
“Già…”
“Ieri sera hanno rispettato il coprifuoco.” Sorrise Carole.
Burt rise:
“Avevi qualche dubbio? Penso di essere stato molto convincente con quel mio discorso serioso.”
“Credo che Blaine abbia un profondo rispetto per te, con o senza regole, coprifuoco o divieti.” Rispose seria la donna.
“Oooh, ma si può sapere da che parte stai?” Chiese l’uomo, visibilmente confuso.
Questa volta fu Carole a ridere, divertita dall’espressione di Burt:
“Dalla parte della felicità di Kurt, tesoro. Lo hai visto? Hai visto gli occhi di tuo figlio?”
Burt si perse in un ricordo spaventosamente vivido, fatto di due occhi color del cielo esattamente come quelli di Kurt, ma delineati da un taglio più femminile e sottile.
Lo sguardo del suo ragazzo era irrimediabilmente simile a quello che la madre usava rivolgere a suo marito.
A Carole bastava poco per capire quando Burt spariva dal presente per andarsi a rifugiare in un ricordo con lei, la prima donna che era riuscito realmente a farlo innamorare.
Non era gelosa e anzi, ammirava Elisabeth. In quei momenti faceva di tutto per non riportare suo marito al presente, perché facendolo avrebbe commesso un torto a lui come anche a lei.
In quei momenti si sentiva terribilmente a disagio e di troppo, ma si sforzava il più possibile per non farlo pesare a Burt.
L’uomo diede segno di essere tornato in quella stanza, annuendo.
“Anche io sono felice per lui, molto.” Ammise, sorprendendosi delle sue stesse parole.
“Ma ho ancora intenzione di stargli con il fiato sul collo, su questo non si discute.” Cerò di indossare ancora la sua maschera incorruttibile, ma questa fu di nuovo abbattuta da una carezza e da un bacio di Carole.
“Sei l’uomo più buono del mondo, ti amo.” Sussurrò la donna.
“Se non fosse per te e per Kurt, non sarei che l’ennesimo catorcio della mia officina, Carole. Ti amo anche io, tanto.”



Una mezz’ora più tardi si affacciarono alla cucina anche Kurt, Blaine e Finn.
Carole accolse i tre giovani con un abbraccio e un bacio a ciascuno, mentre Burt si limitò ad un allegro buongiorno.
L’uomo cominciò a leggere placidamente il giornale, sorseggiando la seconda tazza di caffè della giornata.
Finn e Blaine cominciarono a mangiare di buona lena i pancakes cucinati la Carole, con l’aggiunta di un po’ di frutta fresca e il più volte nominato caffè.
Kurt fece un enorme strappo alle regole lasciandosi tentare anche lui da un pancake, ma accompagnandolo con del semplice tè.
“Allora Blaine, ci porterai in spiaggia questa mattina?” Chiese briosa Carole, lasciando trasparire il suo amore per l’oceano.
“Certo! Non molto lontano c’è una spiaggia riservata a chi ha acquistato una casa in questo quartiere, ognuno di noi possidenti ha il proprio ombrellone privato. E’ piccola e tranquilla, ma fornita di tutti i confort.”
“Fantastico!” Esultò Carole.
“Che ne dite se io riordino la cucina, mentre voi preparate tutto il necessario per la spiaggia?” Da brava donna pratica non attese neanche la risposta, sicura che gli altri avrebbero collaborato.
Infatti, gli uomini più o meno giovani di casa si erano subito fiondati nelle loro camere a preparare tutto l’occorrete.
Blaine indossò un costume rosso lungo quasi fino alle ginocchia, con una semplice canottiera a sottili righe nere con sfondo bianco.
Preparò un tipico zainetto da spiaggia con dentro l’essenziale, pronto ad affrontare quella nuova giornata.


Kurt si era steso sul letto in camera sua e di Finn, o per meglio dire di Blaine.
Al giovane bastava guardarsi in torno per ritrovare sparsi per la camera i segni del suo passaggio.
Il palquet era di un delicato marrone chiaro.  Il letto basso, semplice e con la testata che aderiva alla parete bianca.
Al centro della stanza si apriva una delle tante finestre quadrate della casa, contornate da delle lunghe tende candide. Da quell’apertura si poteva ammirare il mare azzurro brillare alla luce del sole.
Il mobile più vissuto era visibilmente la scrivania, nel suo legno chiaro si potevano vedere molti graffi e segni lasciati da delle penne troppo frettolose e sbadate.
Finn, dopo essersi infilato un costume nero e nient’altro che il pallone da football nel suo zaino era sceso, desideroso di sbracarsi un po’ sul divano libero.
Kurt sentì due leggeri colpetti sulla porta. Pensò fosse Finn tornato a prendere la crema solare.
“Avanti.”
Oh.
Non era Finn quello davanti a lui con un sorriso da amare, era Blaine.
Il riccio attraversò la stanza in pochi passi, chinandosi sul letto per lasciare un deciso bacio sulle labbra di Kurt.
“Non avevo ancora avuto la possibilità di darti il bacio del buongiorno, oggi.”
“Il senso di colpa di stava uccidendo, non è così?” Scherzò Kurt, trascinandolo sul letto.
“Mmmh, esattamente. Mi stai già perdonando, però. Non è vero?” Chiese Blaine, allungando le mani in cerca del suo corpo caldo.
“Non così in fretta, Anderson.” Rispose Kurt, sottraendosi al tocco del suo ragazzo.
Blaine rimase spiazzato da quel gesto, sfoderando subito la sua miglior espressione da cucciolo bastonato.
Kurt rise di gusto, sentendosi lusingato per le conseguenze che un suo rifiuto poteva avere sull’altro.
Al suono di quella voce felice e cristallina Blaine aveva rivolto lo sguardo fuori dalla finestra, in direzione del mare.
“Il mare… E’ così immenso, infinito. Non è bellissimo, Kurt?” Disse, facendo un cenno con la testa a sé stesso e al suo ragazzo.
Il più piccolo non capì subito a cosa stava alludendo Blaine, ma di certo non stava semplicemente parlando di quell’enorme distesa di acqua.
Guardò i suoi occhi lucidi e speranzosi, questa volta più simili a quelli di un cucciolo emozionato.
‘Immenso, infinito, bellissimo…’ Kurt stava ripetendo mentalmente gli aggettivi che Blaine aveva utilizzato poco prima, sperando di poter intuire con chiarezza a cosa si stesse riferendo Blaine.
Il ragazzo dagli occhi celesti deglutì, diventando d’un tratto teso.
Blaine avvertì chiaramente i muscoli di Kurt indurirsi, come del resto fece anche la sua espressione.
Molte volte il più grande aveva cercato un modo per affrontare questo discorso in un modo non troppo brutale e diretto per non spaventare Kurt. L’illuminazione gli era venuta la sera precedente, proprio mentre stava stringendo il suo ragazzo sulla spiaggia.
Lo sguardo di Kurt cominciò a spargersi per tutta la stanza, in cerca di un appiglio qualsiasi per continuare quello strano discorso.
Aveva capito cosa Blaine volesse dire, purtroppo per lui.
Ci aveva pensato naturalmente, ma l’idea di poterne parlare lo aveva sempre spaventato a morte.
D’altro canto però, uno dei consigli fornitogli dalla Renth era stato quello di affrontare le proprie paure, senza farsi condizionare dalle ipotetiche conseguenze e quello sembrava un momento perfetto per applicare quell’ insegnamento.
In fondo Blaine era il suo ragazzo ed aveva intavolato il discorso, quindi anche lui si era preso la responsabilità di accettare qualsiasi risultato.
Il modo in cui lo stava facendo poi era a dir poco geniale, ma allo stesso tempo molto velato e dolce. Aveva escogitato una maniera per non intimidirlo troppo, per andargli incontro ed aiutarlo a superare un ennesimo tabù.
Kurt, infatti, non amava parlare di sentimenti.
Non era il tipo di ragazzo propenso a baciare e abbracciare affettuosamente gli amici o a mettere in atto dimostrazioni di affetto.
Non era il suo forte e non lo sarebbe mai stato.
Decise però di assecondare Blaine, credendo fortemente che quel discorso potesse fare bene alla loro relazione.
Kurt raccimolò le parole più adatte che riuscì a trovare:
“Il mare… Il mare è meglio ammirarlo da lontano.”
Blaine spalancò gli occhi dalla sorpresa. Ora Kurt aveva tutta la sua attenzione.
“Perché è così bello che, se ti avvicini troppo, alla fine ti verrà voglia di entrarci, di immergerti e di lasciarti cullare da lui.”
Kurt evitava accuratamente di guardare gli occhi o anche solo una qualsiasi parte del corpo di Blaine, perché altrimenti non sarebbe riuscito a concludere il suo discorso come avrebbe voluto.
“Entrarci poi è dura, ci sono un sacco di rischi. Puoi scivolare, finire in acque troppo profonde, rimanere impantanato in un tratto di sabbia troppo molle, essere punto o attaccato da meduse, pesci, crostacei… In certi casi l’acqua è troppo torbida e non ti permette di vedere il fondale, e allora tu prosegui alla cieca sperando che vada tutto bene.”
Blaine era nello stesso momento rapito e scioccato da quelle parole, interessato e spaventato dal messaggio che quel discorso stava cercando di mandargli.
Si mise una mano davanti alla bocca, deciso come non mai a non fiatare.
“Se ti avvicini quindi non hai scampo, ma il vero problema è che non riesci, non puoi stargli lontano.
Inevitabilmente, prima o poi, lui ti cattura e tu non potrai far altro che adorarlo incondizionatamente e rischiare tutto per lui.
Dal mio punto di vista il mare è sempre stata una grande fregatura, una specie di limite umano impossibile da superare e che ci rende schiavi di ciò che noi stessi proviamo.”
A questo punto Kurt cominciò a distaccarsi dalla metafora del mare usata finora per arrivare al nocciolo della questione.
“Non mi è mai piaciuta l’idea che un giorno la mia felicità avrebbe dovuto dipendere da un altro individuo, perché sono dell’idea che io non ho bisogno di nessuno e che so cavarmela da solo.
Il mare mi fa tanta paura, Blaine. Mi rende vulnerabile, scoperto e potenziale vittima dei miei stessi sentimenti. Capisci?”
“S-sì.” Blaine deglutì, completamente stordito. Non pensava che la sua innocente voglia di affrontare quell’argomento potesse tramutare Kurt in un fiume in piena.
La situazione gli era decisamente sfuggita di mano.
“Perciò?” Chiese il ricciolo, volendo trarre le conclusioni di quel discorso.
“Perciò sono molto, molto spaventato per esserci ormai dentro fino al collo.” Rispose Kurt, sorridendo timidamente.
Il volto di Blaine passò dall’essere scioccato, al confuso ed infine al raggiante in pochi secondi.
“Ma io sono proprio lì, accanto a te.” Sostenne il più grande, spostando il braccio verso Kurt.
“Che ti tengo per mano.” Concluse, afferrandola realmente.
Si strinsero per baciarsi, con il cuore ultrasensibile e una nuova consapevolezza che li faceva sentire più vicini che mai.
Ovviamente il fulcro del discorso non era il mare, ma l’amore.
Era una parola così grossa, ingombrante e impegnata che era stato meglio rimpiazzarla con qualcosa di più piacevole e comune come il mare, ma di una cosa sia Kurt che Blaine erano sicuri: la metafora aveva reso le cose più semplici, ma non aveva minimizzato nulla.




“Con tutta quella crema con protezione massima non ti abbronzerai mai, fratellino.” Disse Finn, alquanto confuso.
“Non voglio scottarmi per nessuna ragione al mondo.” Rispose semplicemente Kurt, finendo di spalmarsi accuratamente la crema solare sulle braccia.
“Uh, come preferisci. Io mi butto, venite anche voi?”
“Arriviamo, tu vai pure.” Rispose Kurt per tutti e due. Blaine era troppo concentrato ad ammirare la cura con cui il suo ragazzo si stava massaggiando ogni parte del corpo con quella sostanza ancor più bianca della sua pelle.
Scrollò il capo per scacciare dei pensieri non esattamente casti, poi raccolse dal suo zaino una palla.
I due ragazzi si avvicinarono alla riva, decisi ad entrare in acqua con calma.
Il clima primaverile permetteva a tutti di stare in costume senza problemi, ma l’acqua non era calda come nella stagione estiva.
Finn però scombussolò i loro piani, afferrandoli per il costume e tirandoli dentro senza troppe cerimonie.
Dalla riva Burt e Carole potevano sentire  perfettamente gli urli un po’ più acuti di Kurt, le risate di Blaine e i borbottii di Finn.
I tre cominciarono ad immergersi, nuotare, schizzarsi e giocare a palla, esattamente come se fossero dei bambini.
L’acqua aveva questo magico potere di far venire a tutti la voglia di scherzare e di lasciarsi andare per un po’.
Kurt e Blaine non riuscirono a resistere al fascino del bacio sott’acqua, specialmente dopo quello che si erano detti poco prima.
Non credevano che fosse possibile, ma si sentivano come se ora appartenessero ancora di più l’uno all’altro, come se ai già innumerevoli fili invisibili che li univano se ne fosse aggiunti molti altri.
Creavano qualche piccolo momento di intimità allontanandosi da Finn e nascondendosi dietro a qualche bagnante, per evitare di farsi vedere da Burt.
Tutto questo non faceva altro che far desiderare loro di più, ma cercarono di essere il più corretti possibile.
Ad un certo punto i due uscirono dall’acqua, stanchi di nuotare.
Sulla riva li avvicinò Burt:
“Dov’è Finn? Volevo fare qualche lancio con lui.”
“Là in fondo, i bambini lo stanno usando come trampolino.” Kurt indicò un piccolo gruppetto di bagnanti a destra. L’altezza del ragazzone si stava rivelando molto utile per quei fortunati bambini.
I piccoletti si arrampicavano sulle sue solide spalle e poi si tuffavano, sotto lo sguardo vigile e divertito dei rispettivi genitori.
Burt scosse il capo sorridendo:
“Vado a salvare tuo fratello, scusatemi.” Disse, tuffandosi e nuotando fino a raggiungere Finn.
Kurt e Blaine si stesero sulla loro coperta per asciugarsi e riposarsi, senza smettere di ridere.
Chiacchierarono e giocarono un po’ a carte con Carole, scambiandosi degli sguardi dolci e complici.
Kurt non riusciva a smettere di sorridere e a pensare a quanto fosse fortunato in quel momento.
La sua vita stava andando nel verso giusto, finalmente. Stava ricevendo più di quanto avesse mai osato desiderare.


Dopo pranzo ci fu ancora il tempo di fare un bagno e improvvisare una partita di football sulla spiaggia, coinvolgendo anche gli altri vicini di ombrellone.
Alla fine dell’ennesimo match Carole chiamò tutti all’ordine:
“E’ era di andare, se vogliamo riuscire a farci tutti una doccia ed essere pronti per uscire a cena. Blaine, conosci un buon ristorante qui nei paraggi?”
Il ragazzo di tutta risposta sorrise risoluto, annuendo:
“Ho già in mente il posto perfetto.”



“Tesoro, hai davvero buon gusto!” Carole abbracciò un Blaine lusingato da quelle tutte attenzioni materne, lasciandogli un bacio sulla guancia.
“Grazie. E’ il mio locale preferito di tutta Santa Monica.”
Si sedettero al tavolo indicato dal cameriere, guardandosi intorno.
Era uno di quei tipici ristoranti con vista sull’oceano e un arredamento marittimo.
Le pareti erano di un blu chiaro e gentile, ai muri erano appesi piccoli quadri raffiguranti la spiaggia, il mare e le strade delle città.
Il pavimento in legno scuro creato con lunghe assi ricordava quello delle grandi navi.
Il tavolo era marrone e spigoloso, coperto da una candida tovaglia bianca. Sopra di esso i tovaglioli erano posti nel piatto, arrotolati su se stessi con una piccola corda a tenerli fermi, una riproduzione di quelle che normalmente venivano usate per ancorare le navi al porto.
Al fondo della sala c’era un bel palco, su cui di lì a poco gli artisti ingaggiati dal proprietario avrebbero cominciato a creare il sottofondo ideale per accompagnare quella serata.
Burt appena arrivò da bere alzò il bicchiere che teneva in mano:
“A noi, perché finalmente questa famiglia ha potuto passare una giornata tutti insieme, senza distrazioni. E un grazie a Blaine per questa opportunità, ma anche per la sua compagnia.”
Il ragazzo sentì il suo petto sussultare per la sorpresa e la felicità, ma anche per il fatto che le previsioni fatte da Kurt il giorno prima stavano cominciando a diventare quanto meno possibili.
“Grazie, siete una bellissima famiglia.” Rispose sinceramente.
Carole si sciolse completamente, mentre Kurt stese il braccio sul tavolo e gli afferrò la mano, come se fosse il gesto più usuale del pianeta.
Burt sussultò lievemente, tuttavia non cercò di dividerli né di riprenderli.
Blaine lo fissò intensamente gli occhi celesti di quel perfetto ragazzo, con uno sguardo carico di dolcezza, felicità e mare.
Sì, mare: perché né uno né l’altro riuscivano ancora ad usare quella parola, neanche nelle loro teste. Andava bene così però, perché si sarebbero comunque capiti a vicenda.
Parlarono del più e del meno come se per loro fosse normale per loro cenare insieme.
“Blaine, hai già chiamato i tuoi genitori?” Chiese ad un certo punto Carole.
“Ehm, no. Pensavo di farlo domani mattina, per lasciare a mia madre più tempo possibile.” Blaine si fece subito serio.
“Non preoccuparti, tesoro. Sono certa che riuscirà a fare qualcosa. Ci sta mettendo la faccia in questa storia, deve volerti molto bene.”
“Già, lo penso anche io. E’ sempre stata un po’ succube di mio padre, ma non posso fargliene una colpa perché lo ero anche io.” Ad un tratto tutta la gioia delle ore precedenti si era nascosta in un angolo remoto del suo cuore, lasciando spazio a tutti i dubbi inconsciamente accumulati durante i giorni precedenti.
“Sinceramente, io non so come la prenderei.” Si intromise Burt.
“In che senso?” Chiese Kurt, alzando un sopracciglio.
“Se fossi nei panni di Richard vorrei che tutta la faccenda mi venisse raccontata da mio figlio, non da mia moglie.”
Il tavolo rimase un secondo in silenzio, preso alla sprovvista da quella rivelazione.
“Ma tu ne avresti parlato e discusso con tuo figlio, ascoltandolo e capendolo, pronto ad essere d‘aiuto.
Tu Burt non hai mai abbandonato Kurt, lui si fida di te perché lo ami incondizionatamente. Mio padre non mi ama, o almeno non tiene a me così tanto da mettere da parte i suoi affari.”
“Sei sicuro di non esagerare, Blaine?” Lo incalzò Burt.
“Papà!” Kurt si lasciò sfuggire un gridolino acuto, ma molto alterato.
“Sto solo cercando di capirci qualcosa figliolo, non sto accusando nessuno e non conosco Richard di persona.” Si giustificò l’uomo.
Burt era semplicemente troppo buono per riuscire ad immaginare che un padre potesse essere tanto insensibile nei confronti del proprio figlio.
“Sono sicuro.” Rispose semplicemente Blaine, guardando dritto sulla tovaglia.
“Avrei… Avrei tanto voluto un padre come te, sai? Deve essere fantastico sentirsi ben voluti e ascoltati dal proprio genitore.” Blaine sorrise in modo agrodolce, guardando Burt negli occhi. L’uomo arrossì un poco, imbarazzato e lusingato.
“Comunque domani saremo già in partenza, no? Mio padre avrà solo il tempo di metabolizzarlo e poi potrà scagliarsi su di me senza alcun impedimento. Accetterò ogni conseguenza.” Il moro sfoderò uno sguardo fiero e combattivo, stringendo più forte la mano di Kurt.
“Sarai sempre il benvenuto tra di noi, tesoro.” Disse Carole.
Burt non ci pensò due volte prima di annuire:
“Le tue parole sono molto forti, ma ciò non toglie che se tu avessi bisogno di aiuto potresti rivolgerti a noi.”
“Grazie, lo apprezzo veramente tanto.” Blaine si passò una mano sugli occhi, quasi commosso dalle parole dei genitori del suo ragazzo.
“Burt, io amo questa canzone! Andiamo a ballare!” Carole saltò giù dalla sedia e trascinò l’uomo per un braccio fino al centro della pista, decisa a non concedergli nessuna via di fuga.
Blaine Kurt e Finn risero quasi fino alle lacrime nel vedere i passi indecisi e maldestri di Burt.
“Ehi bello, prima non ho aperto bocca perché era difficile star dietro al vostro discorso, ma se tu avessi bisogno di qualcosa potrai contare anche su di me.” Finn porse la sua mano chiusa a Blaine, il quale ringraziò il ragazzone e gli battè il pugno.
Intanto, Kurt si era alzato dalla sua sedia e ora si stagliava davanti ai due ragazzi con un sorrisetto stampato sul volto.
“Conosco quello sguardo da manipolatore, fratellino. No, non mi trascinerai lì in mezzo, io…” Le parole che Finn stava cercando di dire gli morirono in gola, perché ormai era già arrivato al centro della sala e stava cercando di cavarsela il più possibile con qualche mossa imparata dal professor Schuester.
Blaine era decisamente il più bravo dei tre, tanto che Carole accorgendosene mollò Burt e prese a ballare con il giovane, felice di poter finalmente avere un cavaliere decente.
L’uomo tirò un sospiro di sollievo, ma finì nelle grinfie di Kurt e Finn.
‘Di bene in meglio.’ Pensò, alzando un sopracciglio e storcendo le labbra.


Dopo quasi mezz’ora di ballo il gruppo era tornato a sedersi al proprio tavolo, intenzionato a prendersi una meritata pausa.
Poter sfiorare, toccare e abbracciare Kurt sulla pista da ballo era stata una boccata d’aria fresca per Blaine, il quale proprio non riusciva a staccare gli occhi da quella meraviglia che era il suo ragazzo.
In realtà il moretto aveva un’idea che gli frullava in testa già da un po’ ormai, ma non riusciva a decidersi sul da farsi e ad agire di conseguenza.
Continuava a fissare la band presente sul palco, fornita di ogni strumento che si potesse desiderare per fare una serenata.
Blaine però dovette ammetterlo a se stesso: provava un profondo senso di vergogna all’idea di dover cantare tutto il suo mare per Kurt davanti a Burt. Non voleva rischiare di metterlo a disagio, ed era questo ciò che lo stava rendendo così indeciso.
Il ragazzo si chiuse in qualche istante di silenzio per pensare, sotto gli occhi felici ed incuriositi del più piccolo.
Ad un certo punto capì: non servivano le parole per esprimere tutti i suoi sentimenti a Kurt, perché la forza della musica avrebbe potuto fare molto e molto di più.
Il suo sguardo guizzò verso il palco per un ultimo inventario sugli strumenti: perfetto, c’era tutto quello di cui aveva bisogno.
Si alzò in modo lento e un po’ impacciato, sorridendo ai presenti.
“Scusatemi.” Disse, correndo verso il palco.
Bisbigliò qualcosa al pianista e alla violoncellista. Quest’ultima gli sorrise dolcemente, lasciandogli la sedia e lo strumento.
Si passò una mano tra i riccioli scuri, prendendo un forte respiro e cercando di rilassarsi.
Avvicinò a sé il microfono prima di fare un cenno al pianista, affinché il ragazzo fosse pronto per iniziare.

(https://www.youtube.com/watch?v=dfRtPbBFoGg)
Kurt deglutì, riconoscendo al volo la canzone.
Il testo cominciò a scivolargli davanti agli occhi, seguendo perfettamente l’andamento della melodia suonata da Blaine.
Il suo Blaine.
Gli stava dedicando una canzone d’amore davanti ad un locale gremito di persone, davanti a Carole che era letteralmente in estasi, a Finn che li stava guardando con il viso di chi la sa lunga e a Burt, il quale aveva la bocca semi aperta e un’espressione alquanto sorpresa.
Blaine stava suonando con gli occhi chiusi e un sorriso genuino sul volto, muovendo la testa affinchè seguisse il ritmo scandito dal batterista dietro di lui.
Le sue braccia si muovevano leggiadre e sicure sul violoncello, sembrava avere una discreta esperienza con quello strumento.
Quando la canzone finì tutti i presenti cominciarono ad applaudire in modo realmente colpito. Kurt sussultò per quello scrosciare di mani, non si era minimamente accorto di tutta quella partecipazione da parte degli altri commensali.
“Grazie… Molte grazie. Questa era per te Kurt. Non sarei la stessa persona senza di te, sei il mio mare.” Sorrise imbarazzato e con lo sguardo rivolto a terra, sapendo che solo il suo ragazzo avrebbe realmente capito il significato di quelle parole.
Burt sospirò.
“Bè, che fai figliolo? Non corri da lui?” L’uomo diede una leggera gomitata a Kurt, con sorriso felice e triste allo stesso tempo.
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte.
Corse lungo tutta la sala e salì sul palco con solo salto, baciando Blaine in modo dolce, ma con un visibile bisogno di ricambiare, in qualche modo, tutto il mare che si era sentito riversare addosso da quella canzone.
Burt alla vista di quella forte dichiarazione di affetto si passò una mano sulla guancia.
“Il mio ragazzo sta crescendo ormai…”
Carole lo abbracciò forte:
“E lo sta facendo anche grazie a te.”
“Ci farò mai l’abitudine?” Chiese l’uomo.
“Tu? Oh, certo che no.”
Burt e Carole scoppiarono a ridere.
“Puoi accettarlo, però. E credo che tu lo stia già facendo.” Carole si fece più vicina e baciò teneramente suo marito, il quale ricambiò felice e per nulla contrariato.
Finn, saturo di tutte quelle plateali manifestazioni di affetto, tirò fuori il suo cellulare e scrisse un sms a Rachel, con tutto il romanticismo di cui disponeva:
“Sono qui circondato da gente che si bacia e ti penso. Mi manchi, ma non dimenticarlo mai: io sarò sempre con te, qualsiasi cosa succeda.”



Usciti dal locale l’allegra combriccola si diresse con calma verso il Santa Monica Pier, decisi almeno a fare un giro su quella bellissima ruota panoramica.
Salirono tutti e quattro nella stessa cabina, senza neanche il bisogno di dirlo o di mettersi d’accordo. Stavano bene tutti insieme, era una cosa che sembrò ad ognuno di loro naturale.
Il quaterback si attaccò al finestrino della cabina con gli occhi luccicanti, troppo simili a quelli di un bambino.
“Finn, cosa stai cercando?” Gli chiese sua madre, vedendo che il ragazzo era particolarmente impegnato a scrutare il cielo.
“Cerco la stella che ho regalato a Rachel questo Natale, la Stella Finn Hudson.” Rispose, concentrato più che mai.
Blaine stava per scoppiargli a ridere in faccia perché pensava fosse una delle tante battute del ragazzone, ma si trattenne vedendo che gli altri erano invece completamente seri.
“Come, scusa?!” Chiese il ricciolo.
“Questo Natale ho regalato una stella a Rachel con il mio nome. Lei è destinata ad andarsene da Lima e a fare grandi cose, ma io non potrò sempre essere accanto. Quando saremo lontani le basterà alzare lo sguardo per trovarmi, io veglierò sempre su di lei.”
Blaine si sciolse davanti alla dolcezza e alla semplicità di quelle parole.
Venne inondato dall’irrefrenabile bisogno di stringere a sé Kurt, per sentirlo vicino e presente.
“Non ti lascerò mai…” Gli bisbigliò sulla spalla.
“Neanche io.” Rispose il più piccolo.
Si presero la mano e si misero ad ammirare l’infinita distesa scura che era il mare sotto di loro, illuminato solo dalle luci della città che si specchiavano in esso.
“Penso di non essermi mai sentito nel posto giusto e con le persone giuste come ora.” Disse ad alta voce il riccio, con l’intento di farsi sentire da tutti.
Il giro sulla ruota panoramica finì proprio in quell’istante, dando la possibilità a tutti di scendere e di stringersi attorno a quel piccolo e giovane uomo, ormai entrato irrimediabilmente nella vita della famiglia Hummel-Hudson.




“Richard, possiamo parlare un momento?” Fannie aveva appena finito di lavare i piatti quel sabato sera e si sentiva carica, pronta per affrontare finalmente il discorso che Blaine gli aveva chiesto per favore di fare con suo padre.
Alla fine, un po’ per farsi forza e un po’ perché era di natura ottimista, si era lasciata cullare dall’utopia che Richard potesse effettivamente essere toccato da tutta la storia di Blaine, finendo per accettare tutta la faccenda.
O almeno non esplodere di rabbia.
Non aveva la sfacciataggine di immaginare un lieto fine da quella discussione, ma di almeno riuscire a trovare un punto di contatto, un modo per farlo riflettere con calma e farlo giungere a fare la cosa giusta, per il bene di Blaine.
“Solo un secondo, cara. Sto finendo di controllare tutte le mail, gli sms e le chiamate perse di oggi. Magari quell’idiota di nostro figlio ha cercato di farsi vivo.” Lo disse con semplicità. Come se fosse normale rivolgere certe espressioni a Blaine.
Questo atteggiamento a Fannie non piaceva per niente, ma cercò di non irritarsi e raggiunse suo marito in salotto.
“E’ proprio di Blaine che ti dovrei parlare.” La donna si sedette davanti a Richard, decisa più che mai a guardarlo negli occhi.
“Ha chiamato te? Ti ha detto che ha finalmente messo giudizio?” Chiese il marito, pronto ad urlare per l’ennesima volta alla vittoria.
“L’ho visto qualche giorno fa, prima che partisse per la California.”
L’uomo si congelò sul posto e tornò serio, con un’espressione per niente amichevole.
“Cosa vi siete detti?”
“E’ innamorato, Richard.”
L’uomo si alzò di scatto dalla sedia, incapace di sostenere gli occhi dolci e allo stesso tempo tristi della moglie.
“Non diciamo cazzate, è un ragazzino.” Disse, camminando nervosamente avanti e indietro per la stanza.
“Non ha mai amato Alessia, sei stato tu a farglielo credere. Perché non puoi accettare che ormai Blaine sia un adulto capace di fare le sue scelte? Qual è il problema?” Fannie stava rischiando grosso mettendo suo marito così alle strette.
“Ma come hai fatto a farti convincere così facilmente?! Sono tutte stronzate da ragazzini che pensano di aver trovato l’amore, mentre invece è solo una cottarella che gli costerà la carriera.”
“La sua o la tua?” Fannie stava decisamente superando tutti i limiti che mai aveva trovato il coraggio di affrontare.
“Entrambe. Ho lavorato tutta una vita per arrivare fin qui, perché lui dovrebbe rovinare tutto?” Richard era a un passo dal perdere il controllo.
“Carl non è un uomo così orribile, capirà le ragioni di Blaine. Alessia è giovane e bella, troverà sicuramente un ragazzo che terrà a lei nel vero senso della parola. Blaine non è fatto per lei, non la ama.”
“Oh, ma davvero?! Peccato che Carl stia aspettando una mia telefonata per dare inizio ai preparativi per le nozze! Sua figlia non vuole sentire ragioni e lui non è capace a dirle di no. Come penseresti che reagirebbe ad un nostro rifiuto? Imparerà ad amarla, quando vedrà la vita semplice e confortevole che potrà avere con lei.” Richard era convinto di aver ragione, ma Fannie non esitò a continuare:
“Blaine non cerca la via più semplice, ma la strada che lo renderà felice. Con… Bè, con la persona che ha ora al suo fianco sembra un altro: è più felice, più forte, deciso e pronto a combattere a qualsiasi costo. E’ un uomo, Richard. Tuo figlio è diventato un uomo.”
“Oh, vedo! E’ così uomo che ha fatto armi e bagagli, è partito per la California e ha costretto te a venire a parlarne con me. Davvero lodevole, complimenti.” Scherzò amaramente l’uomo.
Fannie incassò il colpo ben piazzato da suo marito, ma non esitò a continuare:
“Questo è successo perché tu non lo ascolti! Lui te l’ha detto chiaro e tondo ciò che vuole e che pensa, ma tu non gli hai prestato attenzione. Possibile che tu non abbia visto tutta la sua felicità?”
“Ho visto solo un ragazzino sbattere i piedi a terra e fare i capricci per la sciacquetta qualunque.”
Fannie alzò la voce:
“Non ti azzardare a chiamare così K… Non usare quel termine per quella persona Richard, non la conosci neanche. Ipocrita!”
“Ah, e tu non solo la difendi, ma la conosci anche! Bene, perfetto! Forza, dimmi chi è.” La voce di Richard si fece bassa e roca.
“Blaine non vuole che tu lo sappia. Non potresti capirlo.” Anche Fannie aveva ormai abbassato la voce, sentendosi ferita dalle sue stesse parole. Davvero quello era l’uomo che aveva sposato? Stentava a riconoscerlo.
“Io sono qui solo per dirti di accettare che Blaine ami qualcun altro, nulla di più. Come madre invece ti chiedo di rispettare e capire le scelte di tuo figlio, mentre come moglie mi chiedo dove sia finito l’uomo che ho sposato.” Fannie finì il suo discorso con la voce inclinata, trattenendo un singhiozzo.
“E’ cresciuto e ha capito come funziona questo modo. Non permetterò a Blaine di rovinarsi la vita, fine della discussione.” Lanciò un ultimo sguardo autoritario alla moglie, deciso più che mai ad imporsi e ad averla vinta.
Nel suo mondo funzionava così: ogni cosa doveva andare nel mondo in cui lui, Richard Anderson, l’aveva programmata.
L’uomo afferrò le chiavi di casa e uscì, sbattendosi la porta alle sue spalle.
Fannie si raggomitolò sul divano, facendosi investire dal senso di colpa più totale.
Aveva fatto il possibile?
Aveva usato le parole giuste?
Richard ci avrebbe pensato un po’ su?
Il dolore cominciò ad invaderle il petto, mentre la sua mente fu trapassata dalla sgradevole idea di non essere stata in grado di aiutare suo figlio.
Non scrisse nessun sms e non chiamò Blaine, quella notte.
Pianse tutte le lacrime che aveva in corpo e pensò incessantemente per trovare un’altra soluzione, una via di fuga.
Ma non la trovò.



“Ehi, ancora sveglio?” Chiese Burt, entrando nella buia cucina.
“Sono troppo felice per dormire.” Il sorriso spontaneo di Blaine illuminò tutta la stanza.
Burt sorrise a sua volta, ma non disse nulla. Si avvicinò al frigo ed estrasse due birre.
Le aprì e ne porse una a Blaine:
“Alla nostra, ragazzo.”
“Salute!” Rispose il moro, felice di poter vivere ancora un bel momento in quella lunga giornata.
“Sappi che oggi hai guadagnato punti, ma ciò non toglie che potresti perderli in ogni momento. Fossi in te starei all’erta.” Il tono di Burt era scherzoso e leggero.
“Oh, ne sono consapevole. Sicuramente perderò punti, sono un impiastro e di certo combinerò qualche piccola stupidaggine, ma ne recupererò sempre il doppio. Io…” Prese un bel respiro e un lunghissimo sorso di birra prima di continuare:
“Io amo Kurt e non ho nient’altro da aggiungere. Questa è la ragione di ogni mia singola azione, pensiero e respiro.” Lo disse velocemente e in modo impacciato, ma Burt riuscì a scorgere anche tutta la sua sincerità.
“Sono felice anche di averti conosciuto Burt, sei il padre migliore del mondo.” Blaine poggiò la mano sulla spalla dell’uomo, il quale rimase piacevolmente sorpreso da quella dichiarazione di affetto.
“Anche io lo sono, Blaine.”
I due uomini rimasero in un tranquillo silenzio per un po’, ognuno perso nei suo pensieri.
“Bene, ora credo che andrò a dormire. Per favore, non dire a mio figlio della birra, potrebbe uccidermi”
“Ahahah, mi stai chiedendo di mentire a Kurt?” Chiese scherzoso Blaine.
“Ok ok, glielo dirò io sperando che dopo non renda la mia dieta ancora più impossibile. Buona notte, ragazzo.”
“Buona notte, Burt.”
Entrambi si coricarono sorridendo per quel piccolo momento di intimità condiviso. Poteva essere l’inizio di una bella amicizia.








 

 

 

Eccoci qui, con le note finali.

Spero che la metafora del mare vi sia piaciuta, come anche la serenata.
Ringrazio tanto: Charlot,  crisscurls e itsmeWallflower per aver recensito il capitolo precedente. Wow, non mi era mai capitato di avere due capitoli di fila con addirittura tre recensioni. Grazie infinite per il vostro interessamento e i vostri consigli, spero di averli messi in pratica nel giusto modo.

Ho creato una pagina facebook: https://www.facebook.com/BlueFruitEfp?ref=hl


Avrei un sacco di cose da dirvi, ma mi sono tutte scappate di mente. Scusatemi.
Sappiate solo che vi abbraccio uno per uno cari Gleeks, siamo una famiglia e lo siamo oggi più che mai <3


 

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Capitolo 18
*** Capitolo XVII ***


Buona domenica a tutti! :D

Questo capitolo è ancora tranquillo e  corto, perchè ho preferito non mischiarlo a tutto ciò che invece accadrà nel prossimo.
Non mi dilungo oltre, buona lettura :)

Scusate se ho risposto in ritardo alle recensioni, ma da venerdì fino a ieri sono stata in campeggio in Toscana, ed ero senza internet.  Ora mi appresto a ripartire di nuovo ( sì lo so: sono un disastro), ma vi prometto che come ho scritto questo nuovo capitolo mentre ero via lo stessso farò con il prossimo. Tra una settimana quindi arriverà il diciottesimo capitolo, uno dei più importanti di tutta la storia.

 

 

Capitolo XVII

Quella domenica mattina casa Anderson si presentava silenziosa.
Di comune accordo tutti gli inquilini avevano deciso di dormire un po’ più del solito viste le ore piccole della sera precedente.
Il proprietario era però già sveglio, perso nei suoi pensieri.
La compagnia sarebbe dovuta partire alla volta di Lima dopo pranzo, ma Blaine aveva promesso a Kurt un ultimo giro della città, con un particolare occhio di riguardo per la Santa Monica Promenade: una strada del centro completamente pedonale e stracolma di qualsiasi tipo di negozio che si potesse desiderare.
Blaine era straiato sul letto e con le mani intrecciate dietro alla nuca, impaziente di veder spuntare dalla porta della sala hobby due paia di occhi azzurri, vispi ed emozionati.

Voltò la testa per poter tenere d’occhio l’entrata, ma prima di potervi giungere il suo sguardo incappò nei suoi strumenti.
Sorrise spontaneamente, giurando a se stesso che sarebbe tornato a scrivere canzoni allegre e piene di vita; veri e propri inni creati per raccontare l’amore tra lui e Kurt.
Amore, perché usare questa parola nelle canzoni faceva un po’ meno paura, la faceva apparire meno spaventosa.
Sospirò, estasiato dai suoi stessi pensieri.

Prima di partire per questo curioso soggiorno sperava solamente di poter riuscire a passare del tempo da solo con Kurt, senza interferenze da parte di niente e nessuno.
Ora, a distanza di tre fantastici giorni, Blaine era felicissimo di potersi ricredere.
Questo viaggio lo aveva portato a fare passi da gigante con Kurt, ma aveva ricevuto ancora di più di quanto potesse immaginare: aveva finalmente compreso il significato della parola famiglia, trovando delle persone pronte ad accoglierlo e ad amarlo.
Mai aveva pensato di poter ricevere così tanto amore, il suo cuore stava letteralmente traboccando di gioia.

Blaine ne ebbe quasi paura, intimorito dalla possibilità di non riuscire a tenere sotto controllo tutte quelle sensazioni.
Sentiva già di essere dipendente da quell’affetto, come se avesse assunto una dolce droga, nuova e potente.
Sospirò, incapace di gestire tutta quella felicità.
Blaine sapeva che lei, la felicità, non era una cosa da prendere alla leggera. Può schiacciarti e abbandonarti da un momento all’altro lasciandoti con nulla, mentre prima con lei eri convinto di avere tutto.
Aveva sempre avuto tante paure, ma il timore di poter perdere Kurt e la sua famiglia era qualcosa di completamente nuovo e molto, molto più devastante.
La porta della sala hobby venne aperta da un paio di mani impazienti, facendo scappare tutti i pensieri che un attimo prima stavano gremendo la stanza.
Due occhi azzurri, vispi e puliti come un cielo d’estate si affacciarono nella stanza:
“Buongiorno Blaine!” La voce di Kurt spezzò un’intera notte di silenzi.
“Buongiorno, piccolo.” Rispose il più grande, stiracchiandosi pigramente.
Le guance di Kurt si tinsero all’istante, segno di come il giovane non si era e non si sarebbe mai abituato alle più innocenti attenzioni del suo ragazzo.
“Carole sta preparando la colazione, tra qualche minuto sarà pronta. Blaine?”
“Sì?”
“Vero che oggi mi porterai sulla Third Street Promenade?” Chiese speranzoso Kurt.
Il ricciolo venne investito da una dolce ondata di tenerezza. Il suo ragazzo gli aveva posto quella domanda in un modo così innocente e delicato da fargli venire voglia di prenderlo tra le braccia e stringerlo, baciarlo e accarezzarlo per ore.
“Ma certo che sì! Non partiremo fino a quando tu non avrai finito di fare compere.”
“Grazie Blaine, grazie mille!” Rispose Kurt, buttandosi sul letto e, più precisamente, sul moro.
“E’… Un… Piacere.” Biascicò Blaine, tra un lungo bacio e l’altro.
“Dio, quanto mi era mancato baciarti.” Continuò il riccio.
“Ma se non lo fai da ieri sera.” Rispose Kurt, stuzzicandogli il labbro inferiore.
“Mmmh, troppo. Troppo tempo.” Sorrise Blaine in modo sornione, cominciando a lasciare sul collo di Kurt piccoli e leggeri baci.
Il più piccolo rabbrividì a quel contatto delicato, i suoi muscoli si rilassarono completamente. Chiuse gli occhi:
“Blaine, tu non ti rendi conto dell’effetto che mi fai.” Sussurrò piano Kurt.
Il moro risalì allora fino al viso del suo ragazzo, lasciandogli un bacio a fior di labbra.
“Tutto ciò che voglio è renderti felice.” Lo disse guardando Kurt negli occhi, più serio che mai.
Il giovane rimase un secondo interdetto, preso alla sprovvista da tutta quella serietà.
Kurt era convinto che Blaine avrebbe risposto con uno dei suoi commenti allusivi o con una battuta delle sue, ma così non era stato.
Il mare contenuto nei suoi occhi tremò, incapace di sostenere quello sguardo ambrato e pieno di passione.
Kurt cominciò a fissare il materasso:
“Mi basta averti accanto, Blaine.”
Il moro non rispose, semplicemente lo abbracciò e lo baciò ancora e ancora, giurando a se stesso che una volta tornati a Lima tutto sarebbe stato più facile per entrambi.
Semplice.
“Hai già sentito tua mandre?” Chiese ad un tratto Kurt.
“No. La chiamerò più tardi.” Blaine si passò una mano sulla fronte, come se la domanda del suo ragazzo lo avesse riportato alla realtà.



La  Santa Monica Promenade si presentava come una lunga via, piena di verde, fontane e negozi.
Ai lati delle strade c’erano solo negozi pieni di grandi cartelloni che presentavano i grandi sconti e festoni colorati.
C’erano anche alcuni artisti di strada: mimi, giocolieri, musicisti con ogni sorta di strumento, ballerini e addirittura qualcuno improvvisava anche dei giochi di magia.
Blaine era ormai abituato a tutto ciò, come anche alla marea di gente che ogni giorno percorreva quella via.
Negli anni dell’adolescenza era stato molto spesso su questa vita, tanto che ormai la conosceva alla perfezione.
Gli piaceva girovagare per i negozi, guardare le vetrine, perdersi nella folla di gente.
Spesso si sedeva all’ombra di una panchina, con la schiena appoggiata sullo schienale, le braccia conserte e lo sguardo assorto osservava con attenzione i passanti, cercando di ricostruire alcuni tratti del loro carattere dal comportamento, il modo di atteggiarsi e di vestire.
Era un vero e proprio gioco all’epoca, ma già mostrava tutto il suo interesse per l’introspezione e la sua attitudine per le scienze psicologiche.
Gli tornò in mente anche quella sera in cui era uscito di soppiatto da casa mentre i suoi genitori stavano dormendo, armato solo di una chitarra acustica.
Si era appostato nel tratto più affollato di quel tratto di strada e si era messo a suonare, incurante di tutto e di tutti.
L’intenzione iniziale era stata quella di eseguire solo poche e veloci canzoni, giusto per sondare l’effetto che la sua musica avrebbe potuto avere su delle persone sconosciute e affaccendate.
La situazione però era mutata dopo appena la prima canzone, spingendolo ad esibirsi per più di un’ora, senza curarsi troppo delle persone incuriosite da quel ragazzetto con i ricci indomabili e una gran bella voce.
Blaine sorrise, ricordando l‘immenso divertimento di quella serata, ma soprattutto quanto in quel momento si fosse finalmente sentito fiero di se stesso.
Riuscì anche a guadagnare qualcosa dalla sua esibizione, e quel compenso venne subito investito fruttuosamente in una mega porzione di gelato.
Il ricciolo venne riportato al presente dalla voce emozionata di Kurt, intento a sondare la strada in cerca delle migliori occasioni.
Quel ragazzo era meglio di un segugio, un vero e proprio esperto in fatto di moda e sconti.
“Oddio! Una svendita di Alezander McQueen!” Disse a Blaine, Burt e Finn, in preda all’esaltazione più totale.
Il quarterback guardò il moro con un’espressione interrogativa, ma quest’ultimo scrollò le spalle, confuso quanto lui.
I due ragazzi allora si girarono verso Burt con sguardo speranzoso, in cerca di un appiglio.
Niente, anche l’uomo appariva confuso e spaesato davanti al nome pronunciato da suo figlio.
I tre si guardarono ancora una volta, sospirando arresi.
“Che c’è?” Chiese Kurt, confuso.
“Non conoscete Alexander McQueen? Ma com’è possibile!? Va bè, io entro con Carole, so che lei saprà capirmi. Ci vediamo tra cinque minuti.” Kurt si allontanò trotterellando tutto contento, prendendo sottobraccio la sua matrigna, entusiasta della situazione quanto lui.
Burt sospirò:
“Troviamo una panchina all’ombra, ho portato le carte da gioco per ingannare il tempo.”
“Ma hanno detto cinque minuti, non potremmo aspettarli qui?” Chiese Blaine, con tutta la sua ingenuità.
Finn e Burt scoppiarono a ridere:
“Non sei mai uscito a fare shopping con una ragazza, eh?” Gli chiese il ragazzone.
Blaine dovette ammettere che no, in tutti quegli anni non aveva mai accompagnato Alessia a fare spese, perché lei aveva sempre preferito la compagnia di sua madre o delle sue amiche.
“Credimi ragazzo, abbiamo tutto il tempo di farci almeno dieci partite a carte, prima che quei due si decidano ad uscire da lì.” Aggiunse Burt.
Blaine annuì:
“Ehm, ok allora, quella panchina là in fondo è libera.” Indicò il ricciolo.



Le partite non furono dieci, bensì tredici.
Quando Kurt e Carole si decisero ad uscire dal negozio Blaine imparò un’altra fondamentale regola dello shopping:
Le borse devono sempre portate (per non dire trascinate) dagli accompagnatori di turno.
Così, Finn e Burt ebbero la fortuna di potersi dividere le borse di Carole, mentre Blaine si accollò ogni singola busta di Kurt.
Ma quello non fu che l’inizio.
Dopo quasi due ore il ricciolo non ebbe problemi ad ammettere che sì, si stava annoiando a morte tra quei negozi stracolmi di oggetti e di gente, ma non si lamentò neanche una volta.
Lo stava facendo perché Kurt si stava divertendo davvero tanto, felice e spensierato come lo era stato in poche altre occasioni.
Lo avrebbe portato anche tutti i giorni in giro per negozi, solo per vedere quel sorriso genuino e giovane spuntare sulle labbra di quel meraviglioso ragazzo.
“Si è fatto tardi, dobbiamo andare all’aeroporto.” Disse Burt, controllando l’orologio.
Kurt si spense per un istante, dispiaciuto di dover lasciare così presto quella via intrisa di negozi, ma più di tutto quel week-end indimenticabile.
“Certo, andiamo.” Rispose infine, sorridendo.
Si avvicinò a Blaine, intento a trafficare con il suo cellulare.
“Pronto a partire?” Chiese il moro.
“Sì. Mi dispiace lasciare tutto questo, ma sono anche impaziente di iniziare la mia vita con te a Lima. Come prima cosa dovremmo dirlo alla Renth.”
“Glielo dirò io, anche se probabilmente mi licenzierà.” Disse Blaine, con una punta di dispiacere.
“Andremo da lei insieme, invece. E’ stato gentile quello che hai fatto con mio padre, ma non posso lasciare che sia sempre tu a rimetterci la faccia. Siamo una coppia, glielo diremo insieme.” Kurt si fece irremovibile.
“E va bene, ma lascia che sia io ad iniziare il discorso.”
Il giovane annuì, fiero della sua capacità di sapersi imporre.
Blaine si portò il cellulare all’orecchio, tentando di mettersi in contatto con sua madre.
“Niente, non mi risponde. Proverò ancora più tardi.”
“E’ un male?” Chiese Kurt, timoroso.
“Non necessariamente. Penso che se qualcosa fosse andato storto me lo avrebbe detto, così che noi ci potessimo preparare al peggio.”
Il ragazzo annuì, leggermente confortato da quelle parole.
Blaine si accorse dello sguardo un po’ spaventato di Kurt, così gli mise un braccio intorno alla vita e gli diede un bacio sulla guancia.
“Grazie.” Disse Kurt.
“Per cosa?” Sorrise Blaine, inclinando la testa di lato.
“Per tutto.”
Il moro fermò il suo ragazzo e, dopo aver aspettato di essere lontano un bel po’ di passi dal resto della compagnia, lo baciò con trasporto.
“Oh, andiamo! Sarò anche vecchio, ma non mi scandalizzo per così poco!” Gli urlò Burt, con un’espressione tra il divertito e l’offeso.
Tutti scoppiarono a ridere, non credendo ad una sola parola appena pronunciata.



 

 
 



Scusate se ho risposto in ritardo alle recensioni, ma da venerdì fino a ieri sono stata in campeggio in Toscana, ed ero senza internet.  Ora mi appresto a ripartire di nuovo ( sì lo so: sono un disastro), ma vi prometto che come ho scritto questo nuovo capitolo mentre ero via lo stessso farò con il prossimo. Tra una settimana quindi arriverà il diciottesimo capitolo, uno dei più importanti di tutta la storia.
Ma ora concentriamoci su questo:
Come vi è sembrato?
Cosa credete che accadrà dopo?
Blaine e Kurt sono troppo rilassati secondo voi? Io ho cercato di farli apparire così perchè quando sei via da casa e le cose vanno bene hai la sensazione che serà così sempre. Ditemi qual'è la vostra opinione :)

Ora un momento serio:
Devo dirvi grazie, grazie, grazie, grazie infinite. Vi adoro <3
Non vevo mai ricevuto 5 recensioni in tutti i capitoli precedenti, è un record senza precedenti ed è solo merito vostro :)
Sono così felice che vi piaccia Therapy, è molto importante per me perchè ci sono veramente molto affezionata.
Quindi grazie, le vostre opinioni sono una delle cose più importanti per me :)

Potrò rispondere sabato alle recensioni per questo capitolo (se ne lascerete, ovviamente) e vi prometto che il prossimo sarà bello pieno.

Buona settimana ragazzi, a presto :)

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Capitolo 19
*** Capitolo XVIII ***


Buona sera a tutti! :)

Eccomi qui con il famoso Diciottesimo capitolo. Vi chiedo scusa per l'attesa, ma la scorsa settimana ho fatto l'animatrice e tornata a casa il capitolo non era ancora nelle condizioni di essere presentato a voi.
E' abbastanza lungo e spero che riesca a rispecchiare tutte le intense emozioni che lo attraversano.
Buona lettura :D


Capitolo XVIII

 

Il viaggio di ritorno fu contornato da un sommesso russare di Burt, abbandonato sulla spalla di Carole, e al rumore di baci e di risatine trattenute provenienti dai sedili appena dietro, appartenenti a Kurt e Blaine.
“Ragazzi, cercate di essere un  po’ più discreti!” Li ammonì Carole sorridendo sotto i baffi.
Quei due innamorati erano una delle cose più dolci che avesse mai visto.
“Scusa Carole, noi… BLAINE! Piantala!”
Carole si girò giusto in tempo per vedere la mano del ricciolo uscire lesta dalla camicia di Kurt.
Il più grande era riuscito a farsi spazio sulla schiena del suo ragazzo per fargli il solletico.
Blaine sfoderò la sua migliore aria da cucciolo innocente, mentre Kurt era rosso in viso e in preda al fiatone per le troppe risate.
“Ma come ha fatto a tirarti fuori la camicia dai pantaloni senza che te ne accorgessi?!”
Kurt e Blaine si scambiarono uno sguardo stranamente serio. Troppo serio.
Blaine aprì la bocca per iniziare a parlare, ma:
“No, aspetta! Non lo voglio sapere.” Carole si girò di nuovo composta sul suo sedile, immergendosi all’istante nella lettura di un libro.
Rise tra sé e sé e in silenzio, attenta a non disturbare il sonno di Burt.


Fuori dall’aeroporto due taxi erano già in attesa, pronti per riportare l’intera compagnia a casa.
Finn, Carole, Burt e Kurt si sarebbero diretti alla loro abitazione, mentre Blaine avrebbe imbucato la strada per l’università e sarebbe tornato da Matt e Mark.
Di Fannie Blaine non aveva avuto ancora nessuna notizia, ma sarebbe andato a trovarla dopo aver disfatto la valigia, con calma.
Il ragazzo controllò per l’ennesima volta il cellulare, ma di sua madre ancora nessuna traccia.
Decise di scriverle un messaggio:

“Mamma, sono tornato. Com’è andata la chiacchierata con papà? Chiamami appena puoi.”

Blaine posò il cellulare e Carole lo strinse forte tra le sue braccia, baciandolo e ringraziandolo.
“Vieni a trovarci presto tesoro, sarai il benvenuto.”
 “Lo farò, grazie Carole.” Blaine le lasciò un deciso bacio sulla guancia.
Un bacio da figlio a madre.
Carole lo strinse più forte e si congedò con un sorriso.
Finn si avvicinò sorridendo:
“Grazie di tutto, Blaine. Ti andrebbe di uscire con noi ragazzi delle Nuove Direzioni, questo venerdì? Puck vorrebbe dare una festa.”
“Certo, mi piacerebbe.”
Il ricciolo ricevette una pacca sulla spalla e un sorriso in risposta. Quel ragazzone era proprio solare e semplice, spontaneo; Blaine amava questi tratti naturali del carattere di Finn.
“Non sei costretto a venire ad una festa di appena diciottenni.” Si affrettò a bisbigliargli Kurt.
“Per me sarà un piacere Kurt, davvero.” Blaine gli fece l’occhiolino.
Burt finse un colpo di tosse per attirare l’attenzione.
“Non sono una persona smielata come mia moglie ragazzo mio, ma questo non significa che io non ti sia grato per questi splendidi giorni. Sono felice che Kurt ti abbia scelto, ma ora dovrai prestare il doppio dell’attenzione: non dovrai deludere nessuno della famiglia.”
“Non lo farò, mai. Grazie a te Burt.”
Blaine prese coraggio e, con un approccio a dir poco goffo, abbracciò il padre del suo ragazzo.
Burt al contrario non si fece poi così tanti problemi e strinse forte il moro in un caloroso abbraccio.
Kurt dovette girarsi dall’altra parte per non mostrare ai presenti che si era fatto scappare una lacrimuccia.
I due uomini a cui teneva di più in assoluto si stavano abbracciando proprio davanti a lui, poteva essere vero?
Burt fece ancora un cenno di saluto e salì sul taxi, lasciando ai due il tempo e l’intimità di salutarsi.
“Non voglio salutarti.” Mugugnò Kurt all’orecchio di Blaine, dopo essergli praticamente saltato in braccio.
“Neanche io. Che ne dici se ci vediamo nel mio appartamento tra qualche ora? Dobbiamo ancora decidere quando diremo tutto a Mary.”
“Mi sembra un’ottima idea. Da te alle 21.00?”
“Non potrei chiedere di meglio.” Blaine lasciò un lungo bacio sulla fronte di Kurt, pieno di amore e gratitudine.
Il più piccolo si aggrappò ancora a lui, appoggiando la testa sul petto del riccio.
Chiusero gli occhi, concentrandosi solo sul calore dei loro corpi che, entrando in contatto, provocava un tepore quasi tastabile, dolce e rassicurante.
Vennero riportati alla realtà dal clacson di uno dei taxi, che naturalmente venne maledetto all’istante.



Sulla via del ritorno Blaine rischiò di addormentarsi più di una volta e questo lo stupì parecchio, perché non si era accorto di essere così stanco.
‘Forse è questo che fa una vera famiglia’ Cominciò a dirsi,
‘Ti stanca fisicamente, ma questo non ti pesa perché sei troppo felice di poter stare con loro e quindi consumi volentieri ogni tua energia per lei, senza neanche un rimpianto.’
Fermi tutti.
Da quanto Blaine Anderson pensava così intensamente al concetto di famiglia?
Si passò una mano sul volto, ma se le portò entrambe tra i capelli quando la sua mente pensò bene di catalogare il pensiero: ‘Non sarebbe male avere una famiglia tutta mia con Kurt’ Come progetto per il futuro.
Cominciò a respirare più velocemente e a ritmo irregolare.
Blaine non aveva mai pensato a ad avere una famiglia prima d’ora, neanche per scherzare.
Non si era mai posto il problema e, se qualcuno intavolava con lui il discorso, lui rispondeva candidamente che sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe fatto in vita sua.
Neanche fosse stata una condanna a morte.
Fino a quel momento si era sempre visto così sbagliato nel ruolo di marito e padre, così poco tagliato. Ora che però aveva visto con chiarezza che poteva esserci un altro modo, una maniera molto più bella per ricoprire quei ruoli stava rivalutando tutte le sue scelte passate in merito al farsi una famiglia.
C’era ancora tempo, tanto a dire il vero. Kurt neanche aveva iniziato l’università, mentre lui doveva ancora concluderla e fare carriera come psicoterapeuta.
Sì, c’erano ancora una marea di cose da fare prima di pensarci seriamente, ma almeno la sua visione in merito al concetto di famiglia era migliorata.
Sospirò, facendo pace con la sua mente un po’ troppo funzionante rispetto al resto del corpo.
Sentì l’irrefrenabile bisogno di farsi una doccia e di accasciarsi sul divano con Bach, quel cagnolone gli era proprio mancato.
Salì le scale di tutta fretta, girò la chiave nella toppa e respirò a pieni polmoni l’aria di quella che ormai era solito chiamare casa.
La tua casa è dove sei compreso.
Capì dall’insolito silenzio che Matt e Mark non erano in casa, come anche Bach.
Blaine non si disturbò a chiamare i suoi amici per sapere dove fossero e si buttò subito sotto il getto dell’acqua calda della doccia.





Richard varcò la soglia di casa Reggiani più teso che mai.
Era sempre stato un uomo tutto d’un pezzo, tutt’altro che soggetto a questi sentimenti di ansia e di insicurezza.
La consapevolezza di essere vulnerabile lo fece arrabbiare ancora di più.
‘La paura rende schiavi, Richard’ Gli aveva detto una volta suo padre, tanti anni fa.
Ora quella frase continuava a volteggiargli nella testa senza sosta, come una cantilena infinita.
Carl era seduto alla sua scrivania, intento a battere qualcosa sulla tastiera del suo portatile.
Alzò gli occhi dallo schermo e sorrise:
“Ciao Richard! Allora, quali notizie mi porti sul tuo ragazzo?”
Richard strinse i pugni e si sforzò di sorridere, sfoderando la migliore delle maschere rassicuranti che di solito utilizzava sui clienti.
“E’ tutto risolto, amico mio. Blaine aveva solo voglia di passare un po’ di tempo con i suoi amici prima del grande passo. Ha paura di non riuscire più a trovare molto tempo libero per stare con loro dopo il matrimonio.”
“Oh certo, posso capire. Però c’è una cosa Richard che mi disturba davvero molto.” Disse Carl pensieroso.
“E quale sarebbe?” L’uomo deglutì.
“Non ha ancora chiamato Alessia, neanche una volta. Lo sai come sono le donne Richard, specialmente quelle giovani. Io potrò anche riportarle tutte queste belle parole e tutte queste motivazioni, ma lei non ci crederà mai finchè non potrà mettersi in contatto diretto con Blaine. Sei sicuro che quel ragazzo voglia realmente sposarla?” Chiese in tono serio Carl.
“Ma certo… Certo che si vuole sposare!” Lo disse con troppa foga, troppo in fretta affinché Carl potesse crederci.
“Se il ragazzo non se la sente non dovresti forzarlo. Alessia potrebbe stare male per un po’, ma poi troverebbe di certo un altro ragazzo carino e pronto a condividere la sua vita con lei.”
Richard sgranò gli occhi.
“Non potremmo diventare soci, ma saresti sempre il mio miglior fornitore.”
No.
Non era abbastanza.
La vita di Richard aveva sempre ruotato intorno alla sua carriera e proprio adesso che stata per ottenere quello che voleva, che era ad un passo dall’opportunità che stava aspettando da una vita non poteva rinunciarci, non per un capriccio di un figlio ingrato e sprovveduto.
La vita non può andare come la programmi, non si può vivere di immaginazione né tanto meno di sogni.
La vita vera è fatta di bocche da sfamare, bollette da pagare, responsabilità e impegni a cui un uomo deve fare capo, che gli piaccia o no.
Richard non capiva come Blaine potesse essere tanto stupido da non accorgersi di tutto questo. Lui si stava facendo in quattro per creargli una via sicura e quel ragazzo cosa stava facendo?
Stava correndo nella direzione opposta.
Richard rise in modo tirato e troppo acuto per risultare naturale.
“Carl, non dire sciocchezze! Il ragazzo domani verrà qui a chiederti la mano di Alessia, te lo posso garantire.”
L’uomo seduto sulla poltrona sembrò tirare un sospiro di sollievo, confortato dalle parole dell’amico.
“Oh, questo cambia tutto allora.” Carl sorrise soddisfatto.
“Sai, prima ti ho detto che mia figlia se ne sarebbe fatta una ragione, ma io penso che non avrei resistito ancora a lungo a tutti i suoi piagnistei.”
I due uomini risero per qualche istante.
“Allora a domani, Richard. Non vedo l’ora di vedere Blaine.
Oh, quasi dimenticavo! Questa è la lista dei preparativi, le cose crociate sono già sistemate da tempo.”
L’uomo prese in mano i fogli e controllò la data in alto: 2 Giugno 2013.
“Non manca molto.” Commentò.
“Già, per questo ti pregherei di far indossare a Blaine questo smoking di prova.”
Carl andò nella stanza vicina al suo studio, aprì l’armadio e ne tirò fuori un abito.
“Non è quello definitivo naturalmente, serve solo al sarto per avere un’idea delle misure. Me l’aveva dato il mese scorso, siccome Blaine non si era presentato all’appuntamento in sartoria con Alessia.”
“Ce lo accompagnerò io stesso nei prossimi giorni.” Disse secco Richard.
Blaine non gli aveva neanche accennato di questo appuntamento con il sarto, e se c’era un’altra cosa che Richard odiava era non essere messo al corrente degli impegni di suo figlio.
“Allora questo non ti serve.” Disse Carl, riponendo l’indumento nell’armadio.
“No, aspetta. Vorrei poterlo mostrare a Blaine.” Disse, con un tono decisamente sadico.






Venti minuti più tardi il giovane uomo uscì dal bagno completamente rigenerato.
I capelli umidi erano più ricci del solito, intenti a lasciare qualche goccia sulla vecchia maglietta dalle maniche corte indossata dal ragazzo.
Si mise addosso un paio di pantaloni comodi e si gettò sul divano, sospirando per la sensazione di pace che stava avvertendo verso l’intero mondo.
Stava socchiudendo pigramente gli occhi, perso in nessun particolare pensiero, quando un’ombra nera apparì nel suo campo visivo poco prima che lui chiudesse gli occhi.
Li riaprì all’istante e si guardò velocemente intorno, all’erta.
Sospirò di sollievo vedendo che si era trattato semplicemente dello schermo nero della tv davanti a lui.
Scosse la testa, pensando che il sonno gli stesse facendo davvero dei brutti scherzi.
Decise così di andare direttamente in camera da letto, dove avrebbe potuto dormire fino all’arrivo di Kurt.
Si tirò su dal divano e incrociò le gambe, grattandosi pigramente i ricci ancora bagnati.
Si alzò con calma e si voltò verso la porta di camera sua.
Fu allora che lo vide:
Attaccato al pomello della stanza era stato appoggiato uno smoking nero da cerimonia.
Sembrava della sua taglia, probabilmente lo era.
Blaine rimase un istante a fissarlo, prima di capire cosa potesse realmente significare.
Deglutì.
I suoi occhi sbarrati cominciarono a setacciare ogni angolo della stanza, ma ovviamente egli si trovava nell’unico luogo in cui i suoi occhi non potevano arrivare.
Si rizzò sul posto, attendette ancora qualche istante e poi si girò, trovandosi esattamente faccia a faccia con lui.
Sentì l’adrenalina mischiarsi al sangue nelle sue vene e arrivare ad ogni parte del suo corpo.
Aveva paura ed era caduto in una trappola, lo ammise senza sentirsi un vigliacco.
L’uomo fece un sorrisetto compiaciuto e aprì le braccia.
Blaine sfoderò un ghigno amaro, lanciò un ultimo sguardo alla stanza e cominciò a correre in direzione della porta, con il solo scopo di uscire e di allontanarsi il più possibile da lui.
Non ce la fece.
Purtroppo l’uomo fu altrettanto veloce e riuscì a placcarlo. I loro corpi sbatterono l’uno contro l’altro in modo violento, provocando un rumore sordo e creando una fitta di dolore ad entrambi.
“Blaine, non ti sembra che il tempo per scappare sia ormai finito?” Chiese Richard in modo innocente.
“Come ti sei permesso di entrare in casa mia?” Righiò Blaine, sul punto ormai di lasciarsi sopraffare dalla situazione.
Era stato preso di sorpresa e ora il suo cervello era entrato in panico, incapace ormai di valutare in modo obiettivo la situazione.
“Ti devo ricordare chi è che paga l’affitto per questo appartamento?” Richard sapeva perfettamente di aver messo suo figlio alle strette e questo lo fece sentire molto sicuro di sé, di nuovo padrone della situazione.
Blaine non rispose, serrò i pugni e guardò da un’altra parte, senza sapere come ribattere.
Non era pronto a questo.
Cominciò anche a sentire una forte sensazione di tradimento perché sua madre non lo aveva avvertito di nulla.
Avvertì un forte dolore, quella sensazione di abbandono che anche da piccolo spesso e volentieri lo aveva attanagliato quando i suoi genitori non erano stati presenti.
Ed era così che si sentiva in quel momento: indifeso e solo.
Suo padre però non l’avrebbe avuta vinta, neanche questa volta.
Si fece forza, scacciò tutta quella montagna di sentimenti negativi che gli si erano appiccicati addosso e alzò fiero lo sguardo verso suo padre:
“Perché sei venuto qui?”
“Per farti provare il tuo abito da sposo.” Rispose l’uomo in modo beffardo, indicando con la testa lo smoking.
“Peccato che io non mi debba sposare, papà.”
“E invece sì, il 2 Giugno tu sposerai Alessia e domani andrai da Carl per chiedere la sua mano.”
Blaine scoppiò a ridere di gusto di fronte a tutte quel mare di stupidaggini.
“Sono un uomo ormai papà, e ho fatto le mie scelte.” Il riccio lo disse con negli occhi la famosa forza che a Richard risultava ancora ignota.
L’uomo però non si fece per niente impressionare:
“No, non lo sei.” Disse semplicemente.
“Un uomo è colui che sa mantenersi, che sa cosa vuole dalla sua vita e lo raggiunge, che sa proteggere le persone che ama e può prendersene cura.
Tu non sai fare nulla di tutto questo, Blaine.
Stai concludendo gli studi con i soldi che io guadagno, scappi invece di affrontarmi e ti vai a rifugiare nella mia casa in California.
Non pensi che dovresti guardare in faccia alla realtà?” Richard non era mai stato così serio prima.
Blaine tentennò perché suo padre non aveva detto delle cose completamente sbagliate, ma una consapevolezza lo fulminò all’istante.
 Blaine capì che quello sarebbe stato il momento giusto.
“E allora perché non affronti anche tu la realtà, papà?” Chiese secco, in tono di sfida.
I suoi muscoli non erano mai stati così tesi, il respiro così breve e irregolare.
“Io sono gay papà, mi piacciono i ragazzi. Anzi, sono follemente innamorato di un ragazzo con gli occhi del cielo che mi ha stravolto la vita, cambiandomela in meglio. In 23 anni non te ne sei mai accorto perché hai passato ogni singolo momento ad impegnarti affinché io potessi cambiare, ma non ci sei mai veramente riuscito.
Questa, papà, è l’unica verità che conta.” Blaine si sentì realmente fiero di se stesso.
Aveva finalmente fatto la cosa giusta per sé, per Kurt e anche per la sua famiglia.
Richard rimase immobile. Gli occhi erano sbarrati e ogni segno di spavalderia era completamente scomparso dal suo volto.
L’uomo dovette sedersi sul divano per evitare di crollare a terra.
Per la prima volta in vita sua Richard Anderson rimase senza parole.
Stettero in silenzio per una manciata di minuti, nei quali Blaine non tolse gli occhi di dosso da suo padre, mentre Richard sembrava in preda ad un esaurimento silenzioso.
“Tua madre lo sapeva.” E quell’affermazione non fu certo una domanda.
“Come si chiama?” Chiese Richard, in modo inespressivo.
“Kurt. Kurt Hummel.” Rispose Blaine, lasciandosi scappare un po’ di dolcezza nel tono della voce.
“Quanti anni ha?”
“Ne ha compiuti 18, è all’ultimo anno.”
“Di tutte le cose stupide che hai fatto da quanto sei nato ad ora questa le supera tutte, non c’è dubbio.” La voce di Richard cominciò a farsi più minacciosa.
“Se la cosa ti da tanto fastidio forza, sparisci dalla mia vita.” Blaine rivolse al padre uno sguardo pieno di sfida e di disprezzo.
Richard si alzò dal divano e sorpassò Blaine senza degnarlo di uno sguardo, come se il suo corpo non fosse stato realmente lì.
Il giovane uomo di tutta risposta si avviò verso la porta e l’aprì senza dire una parola, fissando il padre in silenzio.
Richard capì l’invito del figlio e, dopo aver preso lo smoking, si avviò verso la porta.
Ora erano l’uno accanto all’altro, faccia a faccia.
Si guardarono intensamente negli occhi, fino a che Blaine non dovette chiudere il sinistro per il forte dolore proveniente dalla guancia.
Richard lo aveva colpito con così tanta forza che Blaine quasi perse l’equilibrio.
Il bruciore sulla sua guancia sembrava urlare tutto l’odio che l’uomo stava provando in quel momento nei confronti del figlio.
Richard uscì, senza degnare Blaine di un ultimo sguardo.
Sapeva che ora le cose si erano fatte tremendamente serie, ma conosceva  finalmente anche la vera radice del problema: Kurt Hummel.
Se Richard fosse riuscito a sradicarla il problema si sarebbe risolto da solo.



Kurt si era appena buttato sul suo letto con una tazza di tè, deciso a finire quel libro che la professoressa di letteratura gli aveva assegnato ormai quasi un mese fa.
Trasalì quando sentì qualcuno bussare alla porta.
“Avanti.”
La testa di Finn sbucò dalla porta:
“C’è un uomo alla porta che chiede di te. Dice di essere il tuo insegnate di ginnastica.”
Kurt rivolse uno sguardo interrogativo a Finn, il quale ricambiò con uno altrettanto serio.
Kurt si precipitò alla finestra per dare un’occhiata: davanti alla sua porta scorse un uomo in giacca e cravatta, che stava visibilmente aspettando qualcuno.
Già, peccato che Finn e Kurt avessero lo stesso insegnate di educazione fisica, è si dal caso che questo fosse una donna.
Kurt non indugiò neanche un secondo e si diresse velocemente verso le scale, seguito dal fratellastro.
“Hai idea di chi possa essere?” Chiese il quarterback.
“No, ma ho intenzione di scoprirlo.”
“Io starò dietro la porta, fammi un fischio e verrò a darti una mano.”
Kurt si fermò un secondo per ammirare l’espressione seria e protettiva che Finn stava mostrando in quel momento. Era così naturalmente gentile da poter far ammorbidire il cuore di chiunque.
“Grazie, fratello.” Rispose il ragazzo dagli occhi azzurri, prima di aprire la porta e richiudersela alle spalle.
L’uomo sobbalzò allo scattare della serratura, ma fece del suo meglio per non darlo a vedere.
A prima vista Kurt poté subito notare che quell’uomo fosse molto nervoso e impaziente, ma per cosa?
“Salve sono Kurt Hummel, ed è ovvio che lei non sia il mio insegnante di ginnastica.” Disse in tono freddo e distaccato.
Il misterioso interlocutore rise, e questo non fece altro che innervosire di più Kurt.
“Sei poco più che un ragazzino.” Commentò l’uomo, squadrando il ragazzo di fronte a sé.
“E lei è un maleducato.” Rispose con semplicità Kurt.
“Hai un bel caratterino ragazzo, penso che in altre circostanze mi saresti sembrato addirittura simpatico.”
“Si può sapere chi è lei?” Il nervosismo prese un po’ il sopravvento e la voce di Kurt trasudò impazienza.
“Il mio nome è Richard Anderson. Ti dice qualcosa, ragazzo?”
Tutta la baldanza che Kurt aveva mostrato fino a quel momento andò in pezzi, rimase solo il volto di un ragazzo sorpreso e spaventato allo stesso tempo.
Cercò di ricomporsi, ma la sua espressione purtroppo rimase invariata: aveva paura.
Paura di dover affrontare quell’uomo da solo, senza il suo Blaine accanto.
“Penso che dovremmo fare una chiacchierata, io e te.” Richard si sedette sul marciapiede, aspettando che Kurt facesse lo stesso.
Il ragazzo raccolse tutto il coraggio possibile e si sedette a sua volta, prendendo le debite distanze dall’uomo.
“Sei tu quello con cui mio figlio ha una specie di relazione, giusto?” Chiese Richard, intento più che mai stuzzicare l’autocontrollo del suo interlocutore.
“Io e Blaine stiamo insieme in modo stabile.” Fu la secca risposta di Kurt.
“Lui non ti vuole.” Buttò lì l’uomo.
“Non è vero!” Ringhiò il ragazzo, gettando via ogni possibile maschera.
“Sarebbe così se potesse realmente toccare con mano tutto ciò a ciò a cui sta rinunciando per una cottarella. Ma perché non apri gli occhi?
Mostrandosi gay dovrà vivere da emarginato, direbbe addio a tutto il suo patrimonio perché io non gli passerei un soldo, perderebbe un lavoro sicuro, la famiglia e gli amici.
E tutto questo per cosa, Kurt? Quanto pensi che durerà questa storia? Sei così giovane, e magari Blaine è stato anche il tuo primo ragazzo.”
Gli occhi di Kurt diedero ragione al signor Anderson, ma gli fecero anche capire di aver colto nel segno, di aver tirato fuori le paure e le insicurezze che quel giovane nutriva verso la relazione con suo figlio.
“Hai un sogno Kurt, ce l’hai?” Chiese in modo più cordiale l’uomo.
“Essere ammesso alla NYADA, trasferirmi a New York e diventare un grande artista.” Rispose il ragazzo, con lo sguardo amareggiato e piantato sull’asfalto.
Richard sapeva di aver colpito ancora una volta un punto debole.
La situazione si stava rivelando completamente a suo favore.
Decise di giocare la carta dell’uomo saggio e gentile, ammorbidendo ancora di più l’approccio con il ragazzo.
“E come pensi di inserire Blaine nei tuoi piani? Dovrebbe trasferirsi con te, lasciare tutto, cambiare università e fare almeno due lavori per potersi permettere l’istruzione e l’affitto.
Ma, cosa ancora più importante, chi ti dice che durerà? Siete giovani, New York sarebbe tutta da scoprire e per di più tu ragazzo punti al successo. Hai idea di quante altre persone incontreresti?”
“Moltissime signore, ma….” Cercò di rispondere Kurt, con un filo di voce.
“Sei troppo giovane per buttarti in una relazione così definitiva, e so che tu sei abbastanza intelligente per capirlo.” Richard sapeva quel che faceva, su questo nessuno avrebbe potuto dire il contrario.
“Presto o tardi la vostra storia finirebbe e lui si ritroverebbe bloccato in una vita che ha scelto solo per venirti dietro.
Finirebbe per odiarti, capirebbe di aver solo sprecato il suo tempo, di aver sbagliato tutto.”
Kurt cominciò a piangere in modo silenzioso. I suoi occhi erano cerchiati di rosso e pieni di lacrime mal trattenute.
“Se davvero ci tieni a lui finiscila qui, lascia che Blaine possa avere una vita felice e agiata.
Sul momento potrebbe non capire il tuo gesto, ma a distanza di anni ti ringrazierebbe sicuramente.”
“Ma lui mi ama, io lo amo! Non possiamo semplicemente dividerci da un giorno all’altro, lui non lo permetterebbe mai!” Kurt alzò la voce, incrinata a causa del pianto.
“Lasciagli il suo spazio per un po’, allora.
Non cercarlo, non rispondere alle sue telefonate.
Lascia che per un po’ io gli mostri a cosa sta realmente rinunciando, dopodichè, se ancora sarà convinto di questa storia, potrà tornare da te.  A quel punto potrete avere la mia benedizione, lo prometto.” Richard si mise la mano sul cuore con un gesto molto teatrale.
“Il matrimonio con Alessia è saltato?” Chiese Kurt, di punto in bianco.
“Ma che domande ragazzo mio, certo! Mio figlio si è appena professato gay, di certo non sarò io a spingerlo verso l’altare.”
Kurt sapeva che questa sarebbe stata una magra consolazione, ma era felice che Blaine fosse riuscito almeno a sfuggire a quella farsa.
“Non so se sarò in grado di stargli lontano. Ma più di tutto: non so se potrò vivere senza di lui.” Kurt lo disse come un avvertimento.
“Fallo perché vuoi solo il meglio per lui, fallo perché lo ami. Non gli rovinare la vita, ti prego.” Richard lo disse con voce affranta e persuadente.
“Lasciamogli la libertà di scegliere Kurt, io e te. Vogliamo entrambi il suo meglio, ma l’ultima parola dovrà essere sua e voglio che sia presa con la giusta consapevolezza.”
Kurt cedette.
Forse perché stanco, confuso o completamente a pezzi per i punti toccati dal discorso di Richard, ma non riuscì a dire a se stesso che quell’uomo avesse torto, perché sarebbe stata una grossa bugia.
L’amore nei confronti del suo ragazzo era reale e forte, così tanto da permettergli di mettere al primo posto la felicità di Blaine, e non la sua.
Dopotutto, cosa gli stava domandando Richard?
Un po’ di tempo, solo qualche giorno per mostrare a cosa realmente Blaine dovrebbe rinunciare tra un paio di mesi per stare con lui.
Kurt sperava che, nonostante tutti i problemi e le rinunce, preferisse la loro relazione a tutto il resto.
Sì, quel ricciolino tutto arruffato lo amava ed era anche abbastanza pazzo da lasciare tutto comunque.
“Va bene, affare fatto.” Rispose semplicemente Kurt.
Richard sorrise in modo gentile:
“Sapevo che eri un ragazzo maturo ed intelligente, ben fatto!”
Richard si complimentò con se stesso per essere stato così in gamba e astuto, una vera volpe.
Tutta l’ansia di poco prima svanì, lasciandogli addosso un piacevole senso di vittoria.




Blaine tentò di chiamare Kurt per tutto il resto del pomeriggio, ma non ricevette nessuna risposta.
Stava letteralmente per impazzire.
Era agitato, nervoso e completamente solo.
Aveva chiamato Matt e Mark, ma erano entrambi fuori città dalle loro famiglie e il primo aveva preso con sé Bach per non lasciarlo da solo.
Erano quasi le nove di sera quando sentì bussare alla porta.
“Kurt!” Disse, urlando in modo liberatorio.
Armeggiò sulla serratura con le mani tremanti, pronte a toccare e abbracciare il suo ragazzo per non lasciarlo andare più.
Avrebbero affrontato questa cosa insieme come sempre, e ne sarebbero usciti più forti e innamorati che mai.
Blaine però non sapeva che Kurt in quel momento era in camera sua, disteso sul suo letto a piangere.
Non sapeva che il cielo del suo ragazzo era in preda ad acquazzone incessante e pieno di dolore.
Non sapeva che in quegli stessi occhi che ora erano rossi e doloranti c’era ancora una piccola speranza, un sole nascosto dalle grossi nubi color cenere.
Non sapeva di essere quel sole.
Blaine seppe solo che si ritrovò il viso di suo padre davanti, di nuovo.
“Cosa ci fai di nuovo qui?” Ringhiò il giovane.
“Sono qui per portarti a casa, Blaine.” Rispose in tono calmo Richard.
“Io non vado da nessuna parte. Sto aspettando Kurt, sarà qui a momenti.”
“Non verrà.”
“Bugiardo!” Urlò Blaine, tirando un forte pugno contro la porta.
“Quel ragazzo si è dimostrato molto più maturo e responsabile di te, lo sai? Ha capito che una relazione come la vostra non ha futuro, ha capito che è giovane e finirebbe per stufarsi di stare con te e che trascinarti a New York servirebbe solo a rovinarti la vita e la carriera.”
“Cosa gli hai detto, cosa gli hai raccontato?!” Blaine cominciò a piangere, ma il suo volto era un’unica espressione di rabbia.
“Gli ho chiesto quanti anni avesse e quale fosse il suo sogno. Serve altro, Blaine?
Le favole non esistono, figliolo. Nella realtà le relazioni che nascono senza basi sicure, come nel vostro caso, iniziano e finisco.
E’ la vita, Blaine.”
Il moro sentì le sue game cedere sotto il peso del suo corpo. Si sedette a terra, con la schiena appoggiata alla porta.
Si mise a piangere sempre più forte, finchè smise di preoccuparsi delle apparenze e si lasciò completamente andare ai singhiozzi.
Cominciò ad odiarsi, perché le parole di suo padre erano riuscite ad insediarsi nella sua mente come un veleno.
Non erano infondate, Blaine lo sapeva.
Bastava uno sguardo per capire quanto Kurt fosse un ragazzo talentuoso e naturalmente portato al successo.  
Un giorno avrebbe di certo sfondato, sarebbe diventato qualcuno e non avrebbe dovuto avere niente ad ostacolarlo, tanto meno una relazione iniziata quanto era appena diciottenne.
“Blaine, ora ascoltami: non è tutto perduto.” Richard si era abbassato all’altezza del figlio e ora gli stava cingendo le spalle con le mani.
“Hai una vita davanti a te e sarà piena soddisfazioni, te lo giuro. Devi solo imparare ad apprezzare meglio ciò che hai a disposizione.
Io sono disposto ad accettare la tua carriera da psicoterapeuta, dico davvero. Il punto però è che tu devi sposare quella ragazza, capisci?
Sarà tutto più semplice dopo la vostra unione, e io non interferirò più con la tua vita e le tue scelte, te lo posso garantire.”
“Ma io sono gay papà!” Rantolò Blaine, in preda ai singhiozzi.
“No, non è vero. Sei semplicemente tanto confuso. Ho potuto vedere che bel ragazzino è Kurt, ma ammettilo: aveva delle fattezze alquanto femminili. Non mi stupisce che tra tutti tu abbia scelto proprio lui, sai?
Pensaci bene, puoi scegliere.”
“No, non posso. Neanche se volessi.” Rispose il riccio con un’espressione seria, anche se resa fragile dal pianto.
“Sì invece! Puoi scegliere tra l’avere una vita agiata, una moglie devota, dei figli vostri e soddisfazioni lavorative, oppure puoi optare per un piccolo periodo di divertimento con ragazzino che presto si stuferà, inghiottito dai suoi sogni di gloria. Tutto questo è stata solo una parentesi, ora chiudila e lasciatela alle spalle.
Sarai felice Blaine, te lo prometto.”
“Perché non mi risponde?” Fu la domanda di Blaine.
“Mi ha detto che vuole un po’ di tempo per riflettere in pace sul da farsi. Quando sarà pronto sarà lui a cercarti, me lo ha assicurato.”
Mentì.
Per l’ennesima volta in quell’infinita giornata Richard Anderson mentì spudoratamente.
“A parer mio, comunque, pareva aver già deciso.” Aggiunse, per infliggere il colpo di grazia al figlio.
Blaine si sentì improvvisamente svuotato e stanco, incapace di alzarsi o di fare un qualsiasi altro movimento.
Era come se il dolore lo avesse bloccato completamente, sia psicologicamente che fisicamente.
“Andiamo a casa, Blaine.”
Richard aspettò qualche minuto per ricevere una riposta, ma gli occhi del ragazzo davanti a lui erano in pezzi, persi chissà dove e in quali pensieri.
Attese ancora un momento, poi decise di caricarsi il corpo del ragazzo sulle spalle e di trascinarlo di peso fino all’auto.
‘Sembra il corpo di un morto.’ Pensò tra sé e sé l’uomo.
Ed infatti lo era.
Era il corpo di un ragazzo ormai morto dentro.
Si chiese dov’era finito tutto l’amore che, solo quella mattina, si era manifestato tra di loro.
Davvero la loro relazione si era ridotta ad essere solo una breve e romantica avventura?
Blaine amava Kurt, lo amava con tutto se stesso, ma in quel momento capì che non era abbastanza. In questo mondo nessuno può vivere di solo amore, che Kurt lo avesse capito?
Per cui, era così che finiva tra di loro?
Blaine non lo sapeva, ed era troppo confuso per ragionare in modo lucido.
Riuscì ad individuare con chiarezza dentro di sé un unico desiderio: voglio che Kurt sia felice.
Anche se lo sarà senza di me.






 

 



 

Eccoci qui.
Allora: vi è piaciuto? :)
Vorrei solo chiarire due cose: Kurt si fida di Richard in buona fede. E' pur sempre il padre del suo ragazzo, colui che dovrebbe volere solo il meglio per suo figlio. Lui vede sempre il bene delle persone, ricordate la puntata in Burt lo dice? Ecco, mi sono ispirata anche a quello.

Blaine invece è distrutto dal fatto che Kurt non gli risponda. Non pensate che cambi idea dalla sera alla mattina, semplicemente il non riuscire a mettersi in contatto con il suo ragazzo lo rende spaesato, e il fatto che Richard sappia perfettamente dare voce a tutti i dubbi, gli ostacoli e le paure che ha sempre avuto (ricordate che nei primi capitoli non riuscissero neanche a parlare tra di loro del futuro?) gli da il colpo di grazia.

Ok, dopo aver fatto queste precisazioni vi chiedo:
Cosa ne pensate del modus operandi di Richard?
Cosa pensate che faranno Kurt e Blaine?

Un grazie speciale a tutte le persone che, nonostante le vacanze e le tante cose da fare, continuano a seguire questa storia. Vi adoro :D
Un grazie a Giiin per la recensione dell'altro capitolo e per i bellissimi discorsi che intavoliamo su twitter :)

Domani parto (sì: faccio schifo, scusatemi) per una settimana, ma al mio ritorno posterò il capitolo il prima possibile.

Alla prossima, buone vacanze :D

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Capitolo 20
*** Capitolo XIX ***


Buona sera a tutti :)
Sì, sono decisamente in ritardo con il capitolo, ma purtroppo anche questo è delicato e fondamentale per la storia. Non vi so dire con esattezza quanti capitoli ci saranno ancora, ma non manca molto alla fine.
Questo penso che sia uno dei capitoli meglio riusciti, giudicate voi :)

Buona lettura :)

Capitolo XIX

La mattina successiva Blaine si risvegliò con un forte mal di testa.
Era una di quelle emicranie che non pulsavano eccessivamente, ma che ti portavano a percepire un profondo senso di vertigini e di vomito imminente.
Come da bambino, quando per le troppe giravolte su se stesso finiva per buttarsi sul divano esausto e confuso.
Un forte odore di caffè e di qualcosa di dolce proveniente dal piano di sotto gli fece rivoltare ancora di più lo stomaco, costringendolo a sedersi sul letto.
Si diresse verso il bagno, in cerca di un po’ di acqua fresca.
Finì per rinfrescarsi più e più volte viso, sperando che l’acqua potesse cancellare quel malessere.
A poco a poco tutti i ricordi del giorno prima fecero capolino nella sua testa, facendogli salire ancor di più il dolore.
La notte precedente si era addormentato esausto, dopo aver versato un numero imprecisato di lacrime.
Cercò di scacciare ogni ricordo dalla mente per rimanere il più lucido possibile, ma questi purtroppo gli scorrevano uno ad uno davanti agli occhi, provocandogli una scarica di dolore ciascuno.
Abbassò le palpebre e respirò affondo un paio di volte, riuscendo finalmente a calmarsi.
Il giorno precedente si era lasciato prendere dalla situazione, dal dolore e dalla disperazione, ma oggi non sarebbe successo.
Non era finita. 
Non ancora, almeno.
Decise di scende in cucina dove, ne era certo, avrebbe trovato sua madre.
Infatti Fannie era proprio lì, intenta a preparare un’enorme colazione per Blaine.
Il giovane sapeva che quello era il suo modo per farsi perdonare. Anche quando Blaine era solo un bambino tendeva a preparargli i suoi i piatti preferiti, un dolce o qualsiasi altra cosa che il piccolo amasse per chiedergli scusa di una sua mancanza.
In pratica, tendeva a colmare i vuoti affettivi con il cibo.
Non aveva mai veramente funzionato perché Blaine si era accorto molto presto di questo trucchetto, ma nonostante ciò cercò sempre di perdonarla e assecondarla.
“Ciao.” Fannie gli sorrise in modo tirato.
Blaine si appoggiò allo stipite della porta e incrociò le braccia, aspettando che sua madre gli desse un minimo di spiegazione.
Doveva capire, e per farlo aveva bisogno di informazioni.
La donna appoggiò un piatto stracolmo di uova e bacon sul tavolo, seguito da un’enorme tazza di caffè.
Blaine afferrò la bevanda scura, sperando che potesse dargli un po’ di sollievo. 
Avvicinandosi così tanto al tavolo notò che tra le altre cose sua madre gli aveva preparato i pancakes.
La sua mente gli presentò a forza l’immagine di una Carole sorridente, illuminata dal sole tiepido della mattina.
L’ennesima scossa di dolore lo sorprese, facendolo vacillare.
Fannie nel vederlo senza difese si decise a parlare:
“Mi dispiace tanto, Blaine.
Parlare con tuo padre non ha funzionato e quel che è peggio è che io lo pensavo fin dall’inizio, ma ho voluto provare lo stesso, per te e per tuo padre.
Avrei dovuto chiamarti e dirtelo, ma non l’ho fatto perché sapevo che ti avrei rovinato la vacanza. Avrei voluto che ci fosse più tempo, pensavo di poter venire da te e parlartene una volta che fossi tornato, ma Richard mi ha preceduta.
E’ tutta colpa mia, perdonami.”
Fannie scoppiò a piangere, un pianto disperato e forte. 
Alla fin fu Blaine a doverla prendere tra le braccia per consolarla e per dirle che andava tutto bene e che quella storia in qualche modo si sarebbe sistemata.
Sospirò amareggiato, perché capì che anche lui avrebbe voluto qualcuno con cui sfogarsi, qualcuno da cui farsi consolare.
Blaine guardò di nuovo i pancakes pensando intensamente a chi avrebbe saputo trovare le parole giusto per confortarlo al meglio.
Si girò verso sua madre, con un sorriso sperso:
“Mi ricordano tanto Carole. Sai, lei ti sarebbe piaciuta.” Disse, indicando i dolci sul tavolo.
“Non ne dubito.” Rispose Fannie, asciugandosi le lacrime e stringendo forte suo figlio.
“Sei più forte di quanto credi, Blaine” Gli sussurrò all’orecchio.


Richard uscì di casa presto quella mattina, perché prima di andare al lavoro avrebbe dovuto far visita ancora ad una persona.
L’ultima della sua lista, in quel momento.
Entrò a passo sicuro per il portone verde e salì le scale molto velocemente, trovandosi davanti alla segretaria della studio. 
Aveva l’aria di essere una signora molto gentile e paziente, il tipo di persone che Richard non sopportava più di tanto.
Troppo passive, troppo compassionevoli per i suoi gusti.
“Buongiorno, signore. Ha preso un appuntamento con la dottoressa?”
“Buongiorno a lei. No in realtà, ma devo parlare con il suo capo il prima possibile. Si tratta di una argomento molto delicato che riguarda Blaine Anderson, lo conosce per caso?”
Margaret osservò con più attenzione l’uomo, notando i suoi ricci scuri e la mascella, così simile a quella del giovane stagista.
“Sì, certo che lo conosco. Gli è successo qualcosa?” Chiese la donna, preoccupata.
“Nulla di grave.” Sorrise Richard, sperando che quella donna non incominciasse a fare del sentimentalismo.
“Oh, che sollievo. Può entrare signor Anderson, prego.” Margaret gli indicò la porta con la mano.
“Grazie.” Rispose lui, precipitandosi nello studio della dottoressa.
“Salve!” 
Una voce giovane squillante lo accolse in una stanza troppo colorata per risultargli credibile.
Richard si era preparato ad incontrare una donna matura, non una giovane praticamente fresca di laurea.
Gli occhi nocciola di Mary lo squadrarono da capo a piedi, curiosi e attenti come sempre.
“Perdoni la franchezza, ma mi aspettavo di incontrare una psicoterapeuta molto più matura di lei. Come fa ad avere uno studio nel centro di Lima ed essere considerata una delle migliori in città, dottoressa?” Chiese Richard, sinceramente curioso. Il successo in giovane età nella sua professione era sempre stato il suo sogno, ma non era mai riuscito a raggiungerlo.
“La bravura non è sinonimo di vecchiaia, signor Anderson.” Rispose tranquillamente Mary.
Richard le sorrise, rivalutandola all’istante.
“Bene signorina, possiamo accomodarci per parlare di mio figlio? Sarò breve, non le ruberò molto tempo.” 
I due si sedettero l’uno vicino all’altro. Mary pareva tranquilla nei gesti, ma in realtà stava cominciando a preoccuparsi.
“Mi dica tutto.” Disse schiettamente.
“Mio figlio ha avuto una relazione con un suo paziente, dottoressa.” Richard lo disse in modo grave, parendo realmente dispiaciuto.
Mary spalancò gli occhi:
“No. Blaine è un ragazzo serio e coscienzioso, deve esserci un malinteso.”
“Nessun malinteso, signorina. Il ragazzo in questione è Hummel, Kurt Hummel.”
La giovane si portò la mano alla bocca, mentre la sua mente cominciò a collegare tutte le informazioni a sua disposizione.
Ecco perché Blaine si era fatto spostare il turno, ecco perché non voleva mai immischiarsi nel caso Hummel.
“Mi scusi, ma suo figlio non stava per sposare la sua ragazza?” Chiese Mary, siccome quello era l’unico punto della storia che ancora non le tornava.
“E in fatti lo farà, il 2 di Giugno per la precisione. Colgo l’occasione per invitarla ufficialmente alla cerimonia, dottoressa.
Ad ogni modo, spero convenga con me nel dire che Blaine si sia dimostrato decisamente inetto all’incarico che lei stessa gli aveva assegnato, perciò sono qui per dirle che d’ora in poi mio figlio porterà avanti il suo tirocinio in un altro studio.
Mi dispiace per tutti i problemi che Blaine le ha creato.” Richard fu così formale da sembrare completamente estraneo ai fatti, e non il padre del diretto interessato.
“Ha idea delle conseguenze che queste affermazioni possono avere sulla terapia del signor Hummel e sul futuro professionale di suo figlio? Io dovrò riportarlo alla scuola e mi creda, sarà un fatto che graverà sempre nel suo curriculum.” La dottoressa colse subito il distacco emotivo del signor Richard.
“Con tutto il bene che posso volere a mio figlio sono abbastanza onesto da dire che, questa volta, se la sia proprio andata a cercare. Faccia quello che ritiene giusto, signorina Renth.” 
Detto questo Richard si alzò, congedandosi in fretta con un sorriso di circostanza.
Mary si risedette subito alla sua poltrona, sprofondando nei suoi pensieri.
Blaine aveva sbagliato, e avrebbe di certo ricevuto una bella sgridata dalla sottoscritta per questo, ma quanto c’era di vero in tutta questa storia?
Cosa c’era sotto?
La Renth era sì giovane, ma per niente stupida.
Sapeva perfettamente che prima di trarre qualsiasi conclusione avrebbe dovuto interrogare le altre due parti, quelle più importanti e sentimentalmente coinvolte.
Voleva molto bene a Blaine, erano diventanti amici ormai, e avrebbe fatto qualsiasi cosa per venirgli in contro.
Non pensava che fosse attratto dal sesso maschile però, questa era una novità assoluta e ancora tutta da verificare.
Hummel invece era un ragazzo intelligente, dolce e molto maturo per la sua età, tanto da riuscire a stupirla grazie al suo modo di raccontarsi e di esprimersi con la musica.
Era non solo interessante, ma anche un bravo ragazzo. Non c’erano dubbi sulla sua sessualità, siccome veniva preso di mira per questo a scuola.
Mary non ci pensò due volte: afferrò le chiavi della macchina, il giubbotto ormai primaverile e si precipitò giù per la scale, urlando a Margaret di disdire tutti gli appuntamenti e di prendersi una giornata libera.




Kurt si svegliò male, decisamente male.
Guardandosi allo specchio notò subito le grosse occhiaie che gli stavano incorniciando gli occhi.
Questa mattina il suo cielo era grigio, spento.
Sembrava quasi essersi dissolto.
Prima di scendere in cucina prese un grande respiro e sfoderò il suo miglior sorriso finto, pronto a mettere in scena una normalissima mattina di scuola davanti alla sua famiglia.
Non voleva far sapere a Burt, Carole e a Finn cosa fosse successo, non si sentiva ancora pronto per parlarne.
Non era da lui omettere qualcosa a suo padre e normalmente non lo avrebbe mai fatto, ma quella situazione era tutto fuorché che normale.
La notte precedente aveva pianto tanto e senza sosta, ma rigorosamente in silenzio.
Non un solo suono era uscito dal suo corpo quella notte, solo tanta tanta acqua salata.
Una volta in cucina salutò tutti e prese un po’ di tè, cercando di partecipare alle semplici e leggere chiacchiere mattutine.
Si sforzò anche di mangiare qualcosa, ma questo gli fece solo venire voglia di vomitare.
“Kurt!” Esordì felice suo padre.
“Sì?” Sfoderò un largo sorriso.
“Ho trovato questa nella buca delle lettere questa mattina.” Burt tirò fuori da dietro la schiena una grossa busta bianca, su cui primeggiava l’indirizzo di casa Hummel-Hudson.
Kurt all’inizio non capì.
Suo padre posò la busta sul tavolo accanto al figlio, così che egli potesse leggere chiaramente la sigla riportata sul davanti:
‘New York Drama Academy’
Kurt trattenne il respiro per la sorpresa, irrigidendosi e sbarrando gli occhi.
Era stato così immerso negli eventi di quel periodo da dimenticarsi che la riposta da parte della NYADA avrebbe dovuto proprio arrivare in quei giorni.
Si sentì perso, come se qualcuno lo avesse afferrato di peso e gettato nella realtà senza troppi complimenti.
“Che aspetti, aprila!” Urlò Finn, agitando il cucchiaio e lanciando latte e cereali un po’ ovunque.
“Io… Io ho bisogno di un momento.” 
Kurt afferrò la busta e corse in camera sua, chiudendosi la porta alle spalle.
Posò la lettera sul comodino, proprio accanto al proprio cellulare.
Si sedette, prendendosi il volto tra le mani.
Non era così che doveva andare. 
Kurt sapeva che in quel momento avrebbe dovuto essere felice, esultare e urlare al mondo che nelle sue mani vi erano mischiati insieme la verità e il suo futuro, pronti ad essere finalmente svelati.
Avrebbe dovuto aprire quella busta con mani tremanti e impazienti, buttando il naso in tutte quelle scartoffie alla sola ricerca della risposta.
Sì o no, dentro o fuori.
In quel momento il suo cellulare vibrò, facendogli salire il cuore in gola.
Guardò il display lampeggiante mostrargli il nome di Blaine.
Gli scappò una risata amara perché certo, mancava giusto una sua chiamata per completare quel momento patetico.
Kurt sapeva che era troppo presto, che a Blaine serviva tempo e che soprattutto lui glielo doveva.
L’aveva concordato con Richard, e sicuramente meno di un giorno non era un lasso di tempo sufficiente per schiarirsi le idee.
Così Kurt si limitò ad osservare il cellulare squillare, e lì accanto la lettera ancora ben sigillata.
Lo lasciò vibrare a vuoto, e solo quando l’aggeggio ebbe finito Kurt afferrò con mano esitante la busta. Se la rigirò ancora e ancora tra le mani, come se non sapesse da che parte iniziare. 
Cominciò ad aprirla con una calma disarmante, attento a non rovinare  la carta immacolata con uno strappo troppo netto.
Quasi si spaventò nel vedere fuoriuscire da essa almeno sette o otto fogli, pieni di parole.
I suoi occhi non frugarono tra le righe in cerca della risposta, semplicemente essa gli finì davanti praticamente subito.
Sospirò, rilasciando i muscoli tesi per il nervosismo.
Kurt si alzò dalla sedia, andò allo specchio e provò per cinque minuti buoni di mettere in scena il migliore dei sorrisi finti del suo repertorio.
Era ufficialmente uno studente della NYADA, dopotutto.


Blaine dopo aver consolato sua madre cercò subito di mettersi in contatto con Kurt, anche se sapeva perfettamente che il ragazzo non gli avrebbe risposto.
Tentò comunque, incapace di arrendersi.
Trattenne il fiato finchè non partì la segreteria telefonica di Kurt, e a quel punto chiuse la chiamata.
Si rigirò il cellulare tra le mani per un po’, finchè quasi non balzò in piedi sentendolo vibrare.
Qualcuno gli aveva invitato un messaggio.
“Kurt!” Disse a bassa voce, rischiando di far scivolare il telefono per la sorpresa.
L’sms non era di certo del suo ragazzo, e Blaine si diede dello stupido per averlo anche solo ipotizzato, ma fu comunque incuriosito dal nome del mittente:

‘Dove sei? Ho bisogno di parlarti.’

Era la dottoressa Renth, la sua Mary.



“Sono stato ammesso!” Urlò Kurt saltando giù dalle scale, la voce decisamente meno squillante del solito.
Capì che le sue doti recitative avevano dato i loro frutti quando Finn e Carole gli saltarono addosso per abbracciarlo e congratularsi con lui.
Burt li osservò un secondo in disparte, per poi unirsi ai festeggiamenti.
Kurt si convinse di aver fatto la cosa giusta a tenersi tutto per sé e a fingere di essere entusiasta, perché la sua famiglia in quel momento era così felice e fiera di lui da riuscire a tirarlo un po’ su.
Aveva raggiunto il primo grande obiettivo della sua vita, e anche se quelli che stava sfoggiando erano sorrisi tirati dovevano comunque essere presenti e numerosi. Era giusto così, perché era così che le cose sarebbero dovute andare.
Aveva appena messo la tracolla e aperto la porta di casa per andare a scuola, quando Burt lo avvicinò:
“Kurt, sei felice?” Chiese sorridendo.
“Sì papà! Era il mio sogno ed ora non lo è più, è cresciuto e si è tramutato in un progetto concreto. E’ fantastico!” Sorrise, sforzandosi di coinvolgere anche gli occhi.
“Sono veramente fiero di te Kurt, ti meriti tutto questo e molto di più.” Burt abbracciò forte suo figlio, dandogli un bacio tra i capelli profumati e laccati.
Il clacson suonato da Finn fece sgusciare via Kurt dalle braccia di suo padre.
Il ragazzo era ormai prossimo a chiudere la porta, quando notò negli occhi di Burt una punta di dolore. 
L’uomo si fece mesto e sussurrando disse:
“Sarai un perfetto attore, Kurt.”
La porta d’entrata sbatté velocemente e con forza davanti al viso di Burt, seguita dal rumore di singhiozzo trattenuto.




Mezz’ora dopo aver ricevuto l’indirizzo di casa Anderson Mary si trovava già attaccata al campanello, più impaziente che mai.
Andò ad aprire Fannie, la quale rimase sbalordita nel vedere quella giovane ragazza alla porta.
“Buongiorno.” Disse la donna.
“Salve, sono la dottoressa Renth. Sono qui per vedere Blaine.” Mary porse la mano a Fannie in modo deciso e sbrigativo.
“Oh. Certo, entri pure.” La donna si fece da parte.
Blaine si trovava nel corridoio d’entrata, teso e anche lui decisamente impaziente.
“Accomodatevi pure in salotto, non vi disturberò. Se avete bisogno di qualcosa io sono in cucina.” Fannie capì di essere di troppo, così si dileguò velocemente.
“Grazie.” Risposero i due giovani all’unisono, senza staccarsi gli occhi di dosso.
Una volta seduti sul divano di casa Anderson fu Mary a prendere la parola:
“Sto cercando di mostrarmi il più calma possibile Blaine, ma ora da te esigo di sapere tutto, chiaro? Tuo padre è venuto da me questa mattina ed è stato molto sintetico, ma estremamente preciso.
Cosa diavolo sta succedendo?!” La voce di Mary era decisamente autoritaria.
“Mi dispiace.” Sospirò il moro.
Il racconto durò quasi una mezz’ora perché Blaine volle raccontare a Mary ogni cosa e ogni singolo dettaglio, desideroso di farle capire non solo la situazione, ma anche i suoi sentimenti nei confronti di Kurt.
Per assicurarsi che tutto ciò fosse chiaro prese tutto il suo coraggio e  disse:
“Io amo Kurt, lo amo veramente.” 
Mary si passò una mano sul volto, poi riprese:
“Suppongo che tu sappia dell’esistenza del transfert.*’
“Non è questo il caso, Mary. Quante volte l’ho visto nel tuo studio? Due, tre?” Rispose prontamente il giovane.
“Va bene, va bene!” La Renth alzò le mani in segno di resa.
“Allora, questo è quello che penso: Kurt può essere un amore duraturo come può non esserlo.” 
Blaine le rivolse uno sguardo gelido.
“Ma non metto in discussione il fatto che tu debba avere libertà di scelta in ogni campo della vita, da quello sessuale a quello lavorativo. Quindi ti aiuterò, Blaine. Che sia chiaro però: sei licenziato.”
La dottoressa sorrise e il riccio di rimando, rendendo l’atmosfera finalmente più amichevole.
Blaine prese la palla al balzo e cominciò a parlare velocemente:
“Non ti ringrazierò mai abbastanza.
Allora, io penso che affronterò ancora mio padre a viso aperto e gli dirò…”
Un cenno della mano da parte della ragazza lo fece zittire.
“Blaine, ma ancora non hai capito che è il caso di cambiare strategia?”
Il moro assunse un’espressione meravigliata e spaesata.
“Non è che ieri fossi dell’umore adatto per improvvisarmi stratega…” Disse, con lo sguardo perso nel vuoto.
“Cosa dovrei fare?” Riprese all’istante, scacciando via il dolore.
Mary si morse il labbro, perché anche se solo per un secondo aveva avuto la prova che i sentimenti di Blaine erano forti e che stava facendo una fatica terribile a starsene lì a discuterne, apparentemente lucido e combattivo.
“Dovresti entrare completamente nel personaggio, stare al gioco. Parla con le altre persone coinvolte in questa storia, cerca di capire cos’è che realmente cercano di ottenere e mostragli un altro modo per farlo.
Parla con tutti, sii uno psicoterapeuta per la miseria!” Mary stava cercando di smuoverlo un po’.
“Io ti darò una mano da fuori, ovviamente. Potrai contare su di me per qualsiasi cosa.” La Renth gli porse la mano.
“Grazie!” Blaine lasciò perdere le mani e l’abbracciò stretta, felice di avere finalmente una speranza.
“Figurati.”
“Blaine?” Chiese Mary mentre era appoggiata sulla spalla del moro.
“Sì?”
“Avevo in programma di andare a trovare anche Kurt, oggi.”
La dottoressa poté sentire chiaramente il cuore di Blaine premuto contro il suo petto esitare un secondo, per poi sbattere contro la cassa toracica con una strana forza.
Una forza nata dal dolore.
“No, penserò io a Kurt.”



“Blaine! Carl ci vuole mostrare il luogo dove si svolgerà la cerimonia e il ricevimento oggi.” Richard entrò in salotto con un gran sorriso.
“Bene, guido io!” Rispose il riccio, entrando perfettamente nella parte.
Suo padre rimase interdetto da quella presa d’iniziativa così forte, ma il suo ego gli suggerì che semplicemente la sua autorità stava avendo effetto.
Sulla porta di casa Blaine fece un’occhiolino a Fannie, ormai complice a pieno titolo.
La donna gli rispose sorridendo e mimando con le labbra un: “Stai attento.”



Il luogo in cui si sarebbe svolta la cerimonia era una tenuta in stile vittoriano.
Al centro del grande giardino si ergeva una casa tinta di un blu chiaro, anch’essa appartenente all’arte vittoriana. 
All’interno dell’abitazione si sarebbe svolto il ricevimento, mentre nel giardino esterno avrebbe avuto luogo la cerimonia e un primo rinfresco.
Blaine poté apprendere da suo padre che il piano superiore di quella casa avrebbe accolto la prima notte di nozze dei neo sposi.
Il moro dovette ammettere che l’esterno era stato preparato con una cura incredibile, tutto era perfetto e soprattutto molto, molto bello.
Già, peccato che lo sposo stesse immaginando di essere in quel luogo con un’altra persona.
Scosse la testa, e tornò a far finta di porre attenzione al monologo senza fine di suo padre.
Dopo aver potuto mirare l’altare da ogni possibile angolazione fu il turno dell’enorme spazio del giardino riservato al rinfresco. 
Era stato montato anche un impianto audio niente male, che riuscì subito a carpire l’attenzione di Blaine.
“Ce n’è uno anche all’interno della casa, naturalmente. Io e Carl ne abbiamo fatti montare appositamente due perché sappiamo quanto sia importante la musica per te, figliolo.
E poi, sia dal caso che il DJ abbia insistito molto per essere ingaggiato.”
Il moro lasciò perdere l’ennesima stupidaggine detta dal padre in quella giornata e si buttò tra le casse, desideroso di poter smanettare con la console.
Notò alcuni fogli su cui era stata scarabocchiata frettolosamente una scaletta e stranamente gli sembrò di conoscere la calligrafia, di averla già vista altre volte.
Molte altre volte, a dire il vero.
Ora sembrava più sicura e snella in confronto a qualche anno fa, ma il ricciolo riuscì a riconoscerla ugualmente.
Alzò gli occhi per guardarsi intorno, cercando tra i vari volti degli addetti ai lavori una faccia conosciuta.
D’un tratto Blaine perse l’equilibrio, finendo dietro alcune delle grandi casse. 
Si aspettò di sentire del dolore provenire da una delle gambe, ma ciò non avvenne perché un paio di braccia magre e sicure erano riuscite ad afferrarlo e a non farlo cascare a terra.
“Scusa se ti ho quasi fatto cadere, ma non hai prestato attenzione a nessuno dei miei segnali precedenti. Cavolo Anderson, sei rimasto il solito idiota di sempre.”
Il moro rimase a bocca aperta, stentando a credere ai suoi occhi.
“Oh, aspetta! C’è una cosa che devo assolutamente provare.” Disse, sfoderando un sorrisetto malizioso.
In men che non si dica quel giovane afferrò il viso di un Blaine completamente inerte, baciandolo senza esitazione.
Lo allontanò con la stessa velocità, per poi affermare:
“Oddio Anderson, ma allora è vero. Sei gay! Lo sapevo, l’ho sempre sostenuto quando eravamo alla Dalton.
Quale etero avrebbe potuto avere così tanti papillon?” Sorrise vittorioso.
“Sebastian, ma che cazzo ci fai tu qui?!” Furono le prime parole di Blaine.
“Sono venuto a salvarti il culo, bello mio. Matt e Mark mi hanno chiamato in preda alla disperazione, dopo che tuo padre li aveva minacciati di farli espellere se si fossero ancora avvicinati a te. Ho saputo del matrimonio, ho fatto un paio di telefonate, ho parlato con tuo padre ed eccomi qui, pronto a guadagnarmi una parte della rata per il prossimo semestre.” Gli occhi smeraldo del ragazzo stavano brillando gioiosi.
“Sono qui per assicurarmi che tu riesca ad uscire da questa situazione.”
“Sei un infiltrato.” Concluse il riccio.
“Una specie. Comunque baci proprio bene, Anderson.” 
“Ehm, grazie Seb.” Blaine divenne rosso all’istante.
“Abbiamo cinque minuti, se ti interessa saperlo. Queste casse possono nascondere molte cose.” Sebastian gli fece l’occhiolino, divertendosi a mettere in difficoltà il suo vecchio amico.
I due giovani si erano conosciuti alla Dalton ed erano stati grandi amici. I loro caratteri erano all’opposto, ma questo non fece altro che far crescere ancora di più l’alchimia reciproca.
Sebastian era quello che si cacciava nei guai, Blaine era quello che veniva convocato dal preside e faceva di tutto per tirarlo fuori.
Seb era sempre stato quello più libertino e dedito alla bella vita, mentre Blaine quello più calmo e riflessivo.
Non si vedevano da almeno 6 mesi.
“Ho un ragazzo.” Si limitò a rispondere.
“E una fidanzata, a quanto vedo.” 
“Seb, è una situazione seria.” Lo ammonì Blaine.
“Lo so, sto solo cercando di rendertela meno pesante.” Rispose Sebastian, appoggiandogli una mano sulla spalla.
“Come posso aiutarti?” Chiese il più alto.
“Distrai un po’ mio padre, io devo parlare con Alessia.”
“Nessun problema. Sono molto felice di rivederti, Blaine.”
“Anche io.” 
I due amici si abbracciarono sorridenti, felici di essersi ritrovati.
“Bene, ora vedrò di attirare l’attenzione di tuo padre.”
Sebastian si lisciò i pantaloni e saltò fuori dal loro nascondiglio, camminando a passo sicuro verso Richard.
“Richi, vecchio mio!” Esordì, battendo una pacca sulla spalla al signor Anderson.
“Che ne dice di aiutarmi a scegliere qualche brano? Dovrà ballare quel giorno, e molto anche.” Seb gli fece l’occhiolino.
Richard non perse l’occasione di sentirsi lusingato, importante e perché no? Anche molto acculturato dal punto di vista musicale.
Blaine si mise a correre, sapendo perfettamente di dovere un grosso favore a Sebastian.
Entrò nella villa vittoriana, sperando di trovare Alessia, ma rimase letteralmente a bocca aperta per la bellezza e l’accoglienza di quelle stanze.
Toccò le fresche pareti tinte di colori tenui, constatando che i muri dovevano essere veramente molto vecchi.
Salì le scale per sfuggire al piccolo via vai dello staff e si rifugiò in una camera da letto, bella tanto quanto le stanze al piano di sotto.
La grande finestra permetteva di avere un ambiente completamente illuminato, come anche una vista bellissima sul giardino sconfinato.
https://www.youtube.com/watch?v=VYM0oL6RPvg )
Blaine aprì la finestra e si affacciò, godendo la vista di quel verde e placido panorama.
Sospirò, avvertendo una calma che ormai credeva perduta.
La sua mente cominciò a vagare, ma questa volta i pensieri non sconfinarono verso i ricordi, ma verso le parole.
Tutti i sentimenti che gli erano saltati addosso in quelle ore, quelli che aveva respinto e ricacciato infondo all’animo, quelli che aveva subito suo malgrado e quelli positivi, ormai custoditi gelosamente stavano finalmente trovando un modo per esprimersi, con una voce diversa da quella della disperazione. 
Blaine capì all’istante che quelle parole non sarebbero andate sprecate.
Si guardò intorno, in cerca dei mezzi più utili per evitare che tutte quelle parole potessero scivolare via dalla sua mente e non fare più ritorno.
Aprì il grande cassetto della scrivania e vi trovò esattamente ciò di cui aveva bisogno, due degli strumenti più utili e potenti che l’umanità avesse mai avuto a disposizione:
Un leggero foglio di carta bianco e una penna, elegante e snella.
Blaine richiamò alla mente tutti quei sentimenti per dar loro un senso logico.
La penna cominciò a scivolare sulla carta, sicura e leggera, fissando su carta tutte le parole che i sentimenti di Blaine stavano sussurrando:

“Caro Kurt,
Spero in qualche modo di riuscire a farti arrivare questo pezzo di carta, e spero con tutto il cuore che tu possa trovare la pazienza di leggerlo.
Questa lettera contiene delle parole importantissime, perché parla di noi.
Io e te, Blaine e Kurt.
Ricordi?
So che mio padre è venuto a parlare con te, ma ignoro cosa possa averti raccontato.
In realtà, non mi interessa affatto.
Non mi interessa più nulla che abbia a che fare con lui, a dire il vero.
Ma il punto è: mio padre è riuscito ad allontanarmi da te. Ce l’ha fatta.
Mi dispiace tanto.
Non mi importa quali bugie ti abbia raccontato Kurt, perché io ti amo.
Sì Kurt: ho detto che ti amo.
Ti sto scrivendo quelle due parole che entrambi avremmo voluto pronunciare, ripetere e urlare al mondo per Dio solo sa quante volte, ma per cui non abbiamo mai trovato il coraggio.
Un po’ per timidezza, un po’ perché ci sembrava troppo presto, un po’ perché poteva sembrare stupido, da immaturi o da romanticoni.
Ora però io non ho più niente da perdere, per cui posso urlarlo a pieni polmoni.
Già, perché se tu non rispondi alle mie chiamate e non vuoi vedermi significa che ho già perso tutto ciò che di prezioso avevo al mondo.
Non è vero, Kurt. Non è vero niente di tutto quello che ti ha raccontato mio padre, qualunque idiozia essa sia.
Possiamo affrontare tutto insieme, dammi solo la possibilità di dimostrartelo.
Kurt, non ricordi?
Non ricordi il motivo per cui mi amavi?
Quando potrò rivederti di nuovo?
                                                                                                                                                              Il tuo Blaine”

Blaine non prestò neanche attenzione alle lacrime che lentamente avevano preso a scendere sul suo viso. Si asciugò semplicemente con la manica della camicia e poi piegò con cura la lettera, attento a non sgualcirla.
Avrebbe trovato il modo di farla arrivare a Kurt, ma a questo avrebbe pensato più tardi.
Ora aveva veramente bisogno di parlare con Alessia.
                                                  


 


* Il transfer è quella particolare relazione che si viene a creare tra paziente e psicoterapeuta, in cui entrambi sono portati a riversare l'uno sull'altro sentimenti o positivi o negativi che appartengono di solito all'infazia o comunque al passato di entrambi. In pratica, è come se si riversassero addosso sentimenti che in realtà erano indirizzati a qualcun altro nel passato.
Sono inclusi anche i sentimenti di amore, sia da parte di uno che dell'altro, quindi lo psicoterapeuta dovrebbe saper gestire questo legame senza lasciarsi influenzare dai sentimenti.
Se qualcosa non è chiaro chiedere pure :)


Allora, come vi è sembrato? :)
L'idea di inserire Sebastian mi stuzzicava già da un po', ma avevo paura di non saper gestire il personaggio. Alla fine però mi sono buttata, spero di essere riuscita nel mio intento :)
La musica la fa da padrona in questo capitolo, se non ci fosse stata Adele e questa sua canzone a presentarmi questa scena davanti agli occhi probabilmente non sarebbe stata la stessa cosa. Spero che la scena della lettera vi abbia trasmesso un po' di trasporto :)

Ringrazio molto: Charlot,  itsmeWallflower e Bay24 per aver recensito il capitolo precedente. E' stato molto bello conoscere le vostre impressioni, grazie mille per averle condivise con me :)

Grazie anche alla mia beta, che si preoccupa e si prende cura sia di me che della storia :)

Sono prorpio curiosa di sapere la vostra su questo capitolo che, come ho detto sopra, è uno di quelli che mi rende più fiera :)
Alla prossima, buona serata :)

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Capitolo 21
*** Capitolo XX ***


Buona sera a tutti :)
Ecco qui il ventesimo capitolo, siamo ormai prossimi alla fine di questa storia :)
Ci ho messo un po' di tempo a causa dell'inizio della scuola che mi ha completamente traumatizzata, non mi piace essere in quinta >.<
Ma bando alle ciance, buona lettura :)

Capitolo XX

Blaine camminò velocemente per il lungo corridoio della villa, aprendo senza tante cerimonie tutte le porte che gli si presentarono davanti.
All’ennesimo tentativo entrò in quella che doveva essere la sala adibita alla preparazione della sposa e delle damigelle.
Trovò in fatti un gruppo di signorine impegnate a spettegolare e a sorseggiare un po’ di quella che sembrava proprio essere birra, bevanda che, tra le altre cose, non si addiceva per niente all’aspetto che quei vestiti color pesca stavano dando loro.
Al rumore dei passi di Blaine le giovani cercarono di nascondere la bottiglia, ma appena videro sbucare il ricciolino tutte si misero a ridere di cuore:
“Blaine, sei tu! Ci hai spaventato a morte!” Disse una di loro, facendo ridere ancora più forte tutto il gruppo.
Probabilmente non era la prima birra.
Probabilmente non avevano bevuto solo quello.
Alessia sembrava la più lucida di tutte. Aveva gli occhi sgranati e un sorriso incerto sul volto.
“Ciao, Ale. Possiamo parlare un po’ io e te, da soli?”
Dal pubblico si alzarono dei gridolini divertiti.
“Cosa aspetti tesoro?” La incitò quella più vicino a lei.
Alessia annuì e, senza dire una parola, raggiunse la porta.
“Buon proseguimento signore, e attente a non esagerare!” Blaine fece un cenno divertito e uscì.
“Trattala bene!” Furono le ultime parole che entrambi riuscirono ad udire, prima di chiudere la porta.
‘Farò del mio meglio.’ Pensò Blaine.
I due si avviarono silenziosamente lungo il corridoio, lanciandosi vicendevolmente delle veloci occhiate.
Blaine aprì la porta della stanza in cui poco prima aveva trovato l’ispirazione per scrivere una lettera a Kurt. Con un gesto fece entrare Alessia per prima.
Si accomodarono sul letto, fianco a fianco.
“Sei tornato da me?” Chiese Ale, con una punta di speranza nella voce.
Blaine sospirò:
“Io… Io voglio essere sincero con te, perché ti meriti il meglio. Hai bisogno di qualcuno che sappia realmente prendersi cura di te.”
Ale si congelò sul posto.
“Wow… Non eri mai stato così diretto.” Disse, trattenendo una risata nervosa.
“Sono cambiato molto in questo periodo, sì. Però ci tengo ancora a te Alessia, so che ti meriti tutto il bene del mondo e non voglio assolutamente che tu soffra a causa mia. Non voglio che tu mi veda come uno stronzo qualsiasi che si è approfittato di te, ma come un amico.” Blaine cercò di guardarla negli occhi per farle capire quanto quelle parole fossero veritiere.
Amava Kurt con tutto se stesso e non sarebbe mai tornato sui suoi passi, ma nonostante tutto anche lei era a suo modo una vittima in questa faccenda.   
Alessia sospirò come sollevata, e poi sorrise:
“Sapevo che non mi avresti lasciato così, senza un vero motivo.
Hai sbagliato e dovrai farti perdonare, ma mai potrei darti dello stronzo. Sei un amico, ma stai anche per diventare mio marito.”
Blaine sapeva di non essere un asso con le parole, ma non pensava di essere davvero così fraintendibile.
No, quella non era una questione di sbagliata esposizione, ma del fatto che Alessia stesse capendo esattamente ciò che voleva sentirsi dire.
La sua mente aveva eretto un perfetto meccanismo di difesa affinché lei non potesse vedere la verità, e di conseguenza non soffrire.
Blaine avrebbe dovuto essere più diretto, molto più diretto.
Vedendo il suo fidanzato in difficoltà il sorriso di Alessia cominciò a vacillare.
“Non so come dirtelo…” Sussurrò Blaine, sapendo perfettamente che Ale non avrebbe comunque capito.
“I nostri genitori non vorrebbero vederci così titubanti, lo sai vero?” Rispose lei, con lo sguardo basso.
Blaine, al contrario, rizzò la testa e spalancò gli occhi, fulminato da un piccolo dettaglio che fino al quel momento non si era neanche disturbato di prendere in considerazione.
Se avesse rotto la loro relazione in modo definitivo in quel momento Alessia sarebbe subito corsa da Carl, il quale a sua volta non avrebbe certo perso a tempo nel dirlo a Richard. In meno di un secondo la copertura sarebbe saltata e la situazione, già delicata in quel momento, sarebbe di nuovo sfuggita al controllo di Blaine, togliendoli l’ultima possibilità di porre fine a tutto quel casino.
Questa nuova consapevolezza rese Blaine incapace di ribattere.
“Blaine, tu mi vuoi realmente bene?” Chiese Alessia, alzando lo sguardo.
Delle grosse lacrime silenziose le stavano colando da quei bellissimi occhi.
“Sì, sì assolutamente.” Rispose Blaine, con un filo di voce.
“Allora imparerai anche ad marmi.”
Alessia si asciugò velocemente le lacrime e si avvicinò a Blaine, appoggiando la testa sulla sua spalla e chiedendogli di essere abbracciata. Consolata.
Il moro non esitò un secondo ad avvolgerla nelle sue braccia e a lasciarle un bacio tra i capelli, ma lo fece più che altro perché quella ragazza così fragile e così spaventata dalla possibilità di soffrire gli faceva molta pena.
Rimasero così finchè una damigella un po’ traballante non bussò alla porta, urlando che la sposa era attesa di sotto per la scelta del colore delle tovaglie.
Blaine approfittò di questo diversivo per chiamare Mary.
“Devo assolutamente vedere Kurt.” Le disse, dopo averla aggiornata sul corso dei vari eventi.
“Mi sembra l‘unica cosa logica da fare. Vai a cercarlo a scuola, dovrebbe essere lì.”
“Buona fortuna.” Aggiunse, in tono dolce.
“Grazie Mary.” Sorrise Blaine dall’altro capo.
“Potresti darmi il numero di quel tuo amico, Sebastian?”
“Certo. Perché?” Chiese il riccio, curioso.
“Non si può mai sapere.”
                       


                
Blaine guidò in modo lesto e poco attento fino al parcheggio del Mckinley, strapieno di auto e di qualche studente poco incline a seguire le lezioni.
Cercò di darsi un contegno e di non mettersi a correre per i corridoi deserti, ma la voglia di rivedere finalmente Kurt era così forte da fargli quasi perdere il controllo.

( https://www.youtube.com/watch?v=gLIWSbmP2P4 )

Cambiò direzione e imboccò a caso l’ennesimo corridoio, finchè non sentì provenire della musica da una delle ultime classi alla fine di esso.
Riconobbe subito l’eleganza della voce, il trasporto, il dolore di quelle parole cantante con maestria e cuore, tanto cuore.
Non poteva che essere Kurt, intento ad esibirsi al Glee club, davanti ai suoi cari compagni di coro.
Blaine non riconobbe quella melodia. Non sapeva quale titolo avesse quella canzone o chi l’avesse scritta, ma fin dalle prime parole capì che fosse destinata a lui.
Kurt la stava cantando come se stesse ammettendo qualcosa a se stesso e al mondo, la stava usando, consumando per poter sfogarsi e buttare fuori tutto il suo dolore.
La canzone finì, seguita all’istante da un boato di assenso da parte degli altri ragazzi e del professore.
“Complimenti Kurt!” Si sentì dire da una voce adulta ed esperta, ma allo stesso tempo felice tanto quanto quella dei ragazzi.
“Siamo tutti felicissimi per la tua ammissione alla NYADA, te la meriti. E’ il tuo posto, e sarai fantastico.” Aggiunse.
Blaine si avvicinò abbastanza da poter vedere attraverso il vetro della porta, da cui poté scorgere il grande abbraccio di gruppo che si era creato tutto intorno a Kurt.
Non era giusto.
Non era così che sarebbe dovuto essere.
Kurt a 18 anni era stato ammesso nella sua scuola perfetta, quella in cui avrebbe potuto realizzare tutti i suoi desideri, ma non stava esultando neanche un po’. Al contrario, stava sguazzando nel dolore e non dava segno di essere almeno soddisfatto di sé, del suo importante traguardo.
Niente.
Blaine si sentì in colpa, per l’ennesima volta in quelle ore.
Posò la mano sulla lettera scritta poco prima e si sentì un perfetto idiota.
Decise di affidarsi all’istinto.
Abbassò la maniglia ed entrò silenziosamente nella sala prove, ma subito tutti gli sguardi si posarono su di lui.
Kurt appena lo vide sbiancò completamente e sbarrò gli occhi, preso da quello che a Blaine sembrò puro terrore.
“Kurt…”
Tentò di dire il moro, ma purtroppo il cielo del ragazzo di fronte a lui era ormai già lontano.
Kurt corse il più velocemente possibile verso la seconda porta d’ingresso della sala e schizzò fuori, sbattendo violentemente la porta.
Il rumore dei suoi passi frettolosi risuonarono nei corridoi, seguiti dal suono squillante della campanella.
Blaine rimase pietrificato, con la bocca semi aperta e il braccio lievemente alzato.
Il professore si parò subito davanti al riccio:
“Posso chiederle chi è lei?”
“Ehm, un amico!” Si affrettò a rispondere Finn.
Seguì un silenzio poco convincente, così Rachel si sistemò i capelli e cominciò a recitare:
“Blaine! Ma che bello vederti qui, come stai?” La moretta lanciò un’occhiataccia a tutto il gruppo, cercando di incitarli a collaborare.
Poco alla volta anche gli altri componenti del Glee si avvicinarono al giovane, salutandolo e dandogli amichevoli pacche sulle spalle.
Mr. Schue alzò un sopracciglio e riservò ad ognuno uno sguardo indagatore, ma non riuscì ad ottenere nessun tipo di spiegazione.
“Credo che dovreste andare da Kurt.” Si limitò a dire, ponendo fine al teatrino.
Tutta l’attenzione si posò su Schuester, ma il professore raccolse le sue cose e uscì dalla classe per affrontare la prossima ora. Prima di chiudere la porta aggiunse:
“Kurt è un bravo ragazzo. Merita di essere trattato di conseguenza.”
I ragazzi si guardarono l’un l’altro, sapendo che il loro prof aveva assolutamente ragione.
“Ok bello, siccome Kurt non si farà trovare da nessuno di noi per le prossime due ore toccherà a te raccontaci cosa diavolo sta succedendo.” Disse Puck, sedendosi sul pianoforte.


Una volta che Blaine ebbe finito di parlare i volti dei ragazzi divennero un misto di commozione, rabbia e apprensione.
“Non mi ero accorto di quanto mio fratello stesse soffrendo questa mattina. Dio, quanto sono stupido!” Disse Finn, prendendosi il volto tra le mani.
Rachel gli passò prontamente il braccio sulle spalle, cercando di consolarlo.
“Non è la prima volta che Kurt riesce a nasconderci i suoi stati d’animo, ricordi quando Dave gli faceva passare le pene dell’inferno e nessuno era riuscito ad accorgersene?”
“La nasona ha ragione. Lady Hummel può tranquillamente sbandierare la sua sessualità in pubblico vestendosi come un modello e sculettando come un unicorno, ma non riesce proprio ad aprirsi quando si tratta di sentimenti. E‘ inutile, più si insiste e più si chiude. Dovrebbe essere lui a fare la prima mossa.” Disse l‘ispanica.
“Dimentichi che Kurt è anche sensibile e orgoglioso Santana, Potrebbe metterci dei mesi a sentirsi pronto per discuterne.” Fece notare Quinn.
“Ci vorrebbe qualcosa ad effetto, qualcosa a cui non potrebbe rimanere indifferente.” Disse Mike, appoggiato dallo sguardo di Tina.
“Perché non vai a parlargli tu?” Chiese Sam, rivolgendosi a Blaine.
“Ma non hai visto come se l’è data a gambe levate?!” Rispose Puck.
“Gli ho scritto una lettera.” Intervenne timidamente Blaine.
“In queste poche righe c’è tutto ciò che Kurt deve sapere, ma non posso dargliela io.” Estrasse dalla tasca la busta ormai sgualcita e la mostrò al gruppo.
“Potremmo consegnargliela noi. Ci eviterà sicuramente a mensa, ma dovrà per forza farsi vivo nel corso delle lezioni. Conosco Kurt, per non farci preoccupare tornerà in classe come se nulla fosse successo, sviando le domande ed evitando di farci preoccupare.” Si offrì Mercedes.
“Potrebbe funzionare!” Saltò su Britt.
Il gruppo cominciò a dare segni di assenso per l’idea appena proposta da Merceds, ma Blaine non era ancora del tutto convinto.
“E se non l’accettasse?” Disse, dando voce ai suoi dubbi.
“Magari non la leggerà subito, ma vedrai che prima o poi lo farà.” Disse Tina.
“E tornerà da te.” Completò Rachel, sorridendo.
“Ragazzi non è per fare guastafeste, ma vi siete resi conto che mentre noi siamo qui a discutere i nostri professori stanno facendo lezione?” Chiese Artie.
Tutto il Glee si girò verso il ragazzo, ricordandosi d‘un tratto di essere a scuola.
“Chiessenefrega! Non mi sono mai preoccupato per le lezioni e di certo non inizierò a farlo ora, mentre Kurt sta male.” Rispose Puck.
Mercedes si alzò, si diresse da Blaine sorridendo e con la mano aperta lo incitò a lasciarle la busta.
Dopo un doloroso sospirò Blaine si liberò da quell’importante pezzo di carta, passando il testimone a quei ragazzi magari un po’ strani, ma gentili e leali l’uno con l’altro.
“Ora possiamo tutti tornare a lezione.” Disse Mercedes.
“Parleremo con Kurt alla fine delle lezioni?” Chiese Quinn.
“Sì. Ci ritroviamo tutti alla sua macchina appena suona l’ultima ora.” Decretò Finn.
Blaine osservò quei ragazzi uscire in gruppo dall’aula, progettando il modo più efficace per convincere Kurt ad aprire quella dannatissima lettera.
Pensò che era proprio bello avere diciotto anni, far parte di un gruppo e condividere le stesse passioni, gli amori, intrecciare amicizie e sì, anche litigare.
Quei ragazzi sarebbero stati dei giovani adulti fantastici.
“Grazie!” Disse il moro con sincerità.
“Ci aspettiamo tutti un invito alle vostre nozze, bel culetto.” Rispose Santana, facendo l’occhiolino.




Come d’accordo tutto il Glee club del Mckinley si era riunito intorno all’auto di Kurt, aspettando impazienti il suo arrivo.
Quando il giovane cominciò ad avvicinarsi e a vedere la folla radunata nei pressi della sua automobile si innervosì all’istante.
Non era stupido, sapeva che di certo in tutta quella situazione Blaine doveva centrare per forza.
Smise di avanzare, incerto sul da farsi.
“Guarda che non mordiamo!” Lo incitò Rachel, sorridendo.
“Non questa volta, almeno.” La corresse Santana.
“Che cosa volete?” Chiese freddamente Kurt, avvicinandosi.
“Nulla.” Risposero in coro.
“Come?!” Chiese allora il ragazzo, confuso.
“Volevamo solo darti questa.” Mercedes si fece avanti e gli porse la busta.
“E’ da parte di Blaine.” Puntualizzò Puck.
Kurt li fulminò tutti con lo sguardo.
“Non avreste dovuto intromettervi.”
“Non lo stiamo facendo. Siamo dei semplici intermediari.” Rispose Quinn.
“Sì invece!” Kurt alzò la voce, lasciando a bocca aperta tutti.
Non era da lui reagire in modo così aggressivo, specie con i ragazzi che facevano parte del Glee.
“Io credo che dovresti darti una calmata Hummel, e capire una volta per tutte che non c’è niente di male nell’accettare un po’ di aiuto. Perché è tanto difficile per te?” Chiese Santana, per niente contenta del tono acceso adottato poco prima da Kurt.
“Non sei solo.” Aggiunse Finn, con il suo sguardo comprensivo.
“Blaine sta solo cercando di chiarire tutto questo casino, ti costa così tanto dargli ascolto?” Chiese Puck.
“Sì! Sì, mi costa! Mi costa perché ci sto male, mi costa perché non ci dormo la notte e mi costa perché, cazzo, io sono completamente innamorato di Blaine, ma purtroppo non abbiamo uno straccio di futuro insieme!
Sapete qual è la verità?
Che non è per niente semplice. Pensavo di essere forte, pensavo che insieme avremmo potuto affrontare qualsiasi ostacolo, ma come sempre mi ero semplicemente illuso. Le persone, le decisioni, persino la vita ci rema contro. Non pensate che l’universo stia cercando di dirmi qualcosa?
Quindi scusate se cerco di prendere le distanze da lui, illudendomi così di poter alleviare tutto questo senso di distruzione che ho dentro, sono proprio una persona orribile!” Kurt ormai stava urlando e piangendo, senza preoccuparsene minimamente.
Le ragazze gli furono subito affianco, pronte a prenderlo per le spalle, sorreggerlo e a riempirlo di fazzoletti.
Mercedes gli lasciò un bacio sulla guancia e cominciò ad accarezzargli la schiena, sperando così di far diminuire i singhiozzi.
“Scusatemi.” Disse.
“Non è colpa vostra, è solo che on so come uscire da questa situazione. Mi sento così impotente…”
“Non ti scusare, è tutto a posto.” Disse dolcemente Santana, accarezzandogli i capelli.
“Adesso ti accompagniamo a casa, vero ragazzi?” Chiese Mercedes.
“No, non è il caso.” Disse Kurt, balzando in piedi e asciugandosi le guance, rosse tanto quanto gli occhi. Il suo cielo era scuro e completamente annacquato.
“Penso che leggere quella lettera ti aiuterebbe. E’ l’unica cosa che puoi fare Kurt, pensaci. Se vuoi uscire da questa situazione prendila tra le mani e affrontala, combattila.” Disse Quinn, prendendogli il volto tra le mani.
“Blaine non si è ancora arreso, non pensi che voglia dire qualcosa?” Aggiunse Mercedes.
Gli occhi di Kurt lampeggiarono per un secondo scossi da questa ovvia, ma non scontata rivelazione, che infatti lui non aveva ancora preso in considerazione.
Un piccolo moto di speranza gli intaccò il cuore, facendolo battere veloce e regalandogli un pizzico di coraggio.
“Tutti meritano una seconda possibilità.” Disse Rachel, prendendogli la mano e poggiandoci sopra la busta.
“Ci penserò.” Rispose Kurt, con la voce bassa e roca.
“Guido io fratellino, tu mettiti comodo.” Disse Finn.
“Vi terrò aggiornati.” Aggiunse a bassa voce, rivolgendosi agli altri.


Kurt si buttò sotto la doccia e rimase chiuso in bagno per una buona mezz’ora, senza dare alcun segno di interesse per quella lettera.
Finn si stava subendo un numero imprecisato di sms da parte di tutti gli altri, che continuavano a chiedergli come stava Kurt, se c’erano miglioramenti o se per caso avesse letto quella lettera.
Kurt approfittò del rumore della tv accesa per poter sgattaiolare in camera sua senza che Finn se ne rendesse conto, intento com’era a tenere gli altri aggiornati sul nulla di fatto.
Si sedette sul letto e si mise a rigirare lentamente quella busta tra le mani: la seconda importante lettera della giornata.
La prima avrebbe dovuto renderlo felice, ma non l’aveva fatto.
Anzi, forse aveva solo peggiorato un quadro già di per sé tragico.
La seconda invece avrebbe potuto renderlo ancora più triste di quanto già non fosse. Il che, dal punto di vista di Kurt, era praticamente una sicurezza.
Si sforzò per vedere la situazione da un altro punto di vista:
Blaine aveva scritto una lettera per lui e si era intrufolato nella scuola pur di potergliela dare.
Che fosse scappato di casa?
Kurt sperò con tutto se stesso che, per una volta, Blaine non si fosse ribellato a Richard.
In ogni caso dentro quella busta doveva esserci scritto qualcosa di importante.
Già, ma Kurt si sentiva di non essere ancora pronto per leggerla. Aveva tanta paura di soffrire ancora e ancora, di non riuscire più a gestire né la situazione né le sue reazioni.
Ad un certo punto Kurt decise di averne abbastanza dei suoi pensieri, così si alzò e guardò fuori dalla finestra.
Era ormai scesa la sera.
Rimandò tutto il dolore e le preoccupazioni al giorno dopo, sentendosi d’un tratto stanco e desideroso di dormire.
Si coricò e chiuse gli occhi, piombando in sogni neri e confusi.

 

Eccoci qui, come vi è sembrato questo capitolo? :)

Mi piaceva l'idea di coinvolgere ancora una volta le Nuove Direzioni prima della fine di questa storia, perchè hanno avuto un ruolo importante nella crescita di Kurt.
Ho cercato di non essere stata troppo pesante nel raccontare il dolore di quest'ultimo, spero di esserci riuscita. Ditemi voi come vi è sembrato :)
Probabilmente il prossimo capitolo sarà il penultimo o l'ultimo, quindi cercherò di non farvi aspettare troppo e di dare il massimo.

Grazie infinte alla mia beta che, poverina, deve lavorare anche di domenica mattina xD
Un grazie speciale a ttutti quelli che hanno inserito la storia nelle seguite/ricordate/preferite perchè è bellissimo sapere che qualcun altro si sia interessato alla storia, ma grazie mille anche a: Charlot, ItsmeWallflower e Belle98 per aver recensito il capitolo precedente, sono sempre felice di leggere i vostri pareri ^.^

Buona settimana a tutti, alla prossima! :)
PS: Se vi interessa ho scritto una One Shot Finchel: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2161522&i=1

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Capitolo 22
*** Capitolo XXI Epilogo ***


Capitolo XXI
Epilogo

Buona sera a tutti! :)
Lo so: per questo epilogo vi ho fatto aspettare tantissimo, scusatemi tanto. La scuola mi ha travolta e quindi non ho avuto molto tempo per scrivere.
Questo è l'ultimo capitolo di questa ff e quindi ci ho messo davvero l'anima, spero possa piacervi :)
Ringrazio chi ha recensito quello precedente: Charlot e Belle98. Grazie infinite ragazze ;D
Buona lettura :)





La sveglia squillò, puntuale e ridondante come tutte le altre normali e ordinarie mattine, pronta a svegliare chiunque dal suo sonno.
Kurt però non volle darle ascolto.
Cercò di alzare il viso dal cuscino, ma fu subito colto da un forte giramento di testa: una degna conseguenza della notte agitata appena trascorsa.
Protese tutto il corpo verso il comodino per riuscire a spegnere quell’arnese e, una volta riuscitoci, si rigirò dall’altra parte sperando di poter riprendere sonno.
Al diavolo tutto e tutti: quel giorno sarebbe rimasto a letto fino a tardi e avrebbe saltato l’ennesimo e inutile giorno di scuola.
Si sentiva senza forze, irritato, svogliato e per niente incline al contatto sociale.
Dopo 10 minuti Finn cominciò a bussare alla sua porta, alimentando ancora di più il suo malessere:
“Fratellino muoviti, faremo tardi!”
“Non verrò a scuola oggi, non mi sento molto bene.”
Finn esitò in silenzio per qualche secondo.
“Hai aperto la busta?” Chiese speranzoso il quarterback.
“Lasciami in pace, Finn!” Rispose Kurt, affogando la faccia nel cuscino.
“Va bene… Ci vediamo dopo. Riposati.” Tagliò corto il ragazzone, con voce amareggiata.
“Mmmh.” Mugugnò in risposta il ragazzo.
Kurt decise che non avrebbe messo il naso fuori da quel letto per tutto il giorno, sicuro più che mai a lasciare che il mondo facesse il suo corso senza di lui, certo così di poter togliergli la possibilità di farlo ancora soffrire.
‘Per oggi io non esisto.’ Pensò tra se e se.



“Una lettera? E lui l’ha letta?” Chiese Matt, con fare speranzoso.
“Non credo proprio.” Tagliò corto Sebastian, bevendo un sorso di caffè.
Quella mattina il Lima Bean era tranquillo e silenzioso. Ormai tutti gli studenti erano a scuola e gli adulti al lavoro, restavano solo gli universitari, i perditempo e qualche scrittore improvvisato.
“E allora Blaine dovrà inventarsi qualcos’altro, non possiamo aspettare in eterno.” Rispose Mark.
“Calma, calma. Non si può mettere fretta ai sentimenti.” Rispose saggio Seb.
“Ma se tu te ne scopi uno diverso a sera, cosa ne potrai mai sapere di sentimenti?!” Ribatté Mark, alzando un sopracciglio.
“E tu da quant’è che non esci con una ragazza?” Rispose prontamente l’altro, sogghignando.
“Ok ok, ora basta.” Matt posò una mano sulla spalla di entrambi, nel tentativo di calmarli.
Sebastian e Mark si sopportavano e spesso si trovavano sulla stessa lunghezza d’onda, ma proprio perché così simili finivano sovente per perdersi in qualche accesa discussione.
“Tu cosa suggeriresti di fare?” Chiese allora Mark, speranzoso di trovare l’altro impreparato.
“Di dare un’ennesima spintarella ad Hummel. I suoi amici sono riusciti a convincerlo a prendere quella dannata lettera, giusto?
Bè, non gliela faremo aprire.” Rispose prontamente Seb, godendosi la faccia scocciata di Mark.
“Mi sembra un buon piano. Tu che ne dici?” Chiese Matt.
“Possiamo provarci.” Si limitò a rispondere l’amico, deciso a non dare alcun tipo di soddisfazione a Sebastian.
“Con noi verrà anche Mary. Qualcosa in contrario?” Disse il francesino.
“No, potrebbe essere d’aiuto.” Rispose Matt, piacevolmente sorpreso per l’idea.
“Bene allora, andiamo a prenderla.” Disse Seb, alzandosi e lasciando i soldi del conto sul tavolo.
“Io non ho ancora finito!” Si lamentò Mark, deciso a non dargliela vinta.
“E allora portati dietro quello schifoso caffè e muovi il culo!” Urlò in risposa Seb, beccandosi un’occhiataccia dal resto della clientela e dal personale.
“Cos’è, non avete mai sentito una parolaccia?” Ghignò lui in risposta, beandosi dei volti basiti di tutti i presenti.
Matt, dopo essere arrossito in modo decisamente vistoso, si scusò con tutti e trascinò le due teste calde fuori dal locale.
“Siete due idioti.” Disse, sedendosi nel lato del guidatore.




Blaine si svegliò molto preso, ansioso e speranzoso come non mai.
Anche durante il sonno il suo cellulare era rimasto acceso e custodito addirittura sotto al cuscino, nella remota speranza di poter ricevere un qualsiasi segno di vita da parte di Kurt.
Non aveva ancora finito di aprire per bene gli occhi e di mettere a fuoco la sua stanza che già le sue mani erano corse ad afferrare il telefono.
Com’era prevedibile nella notte appena trascorsa non aveva ricevuto proprio nulla da parte di Kurt.
Blaine si lasciò cadere molle sul materasso, sfregandosi gli occhi con una mano.
Stava facendo di tutto in questi giorni per conservare quel fragile rimasuglio di ottimismo che tutti stavano cercando di infondergli, ma in casi come questi era davvero difficile non lasciarsi semplicemente andare, smettere di lottare e cominciare a scappare via dall’imminente dolore il più in fretta possibile.
Ci aveva messo l’anima nello scrivere quella lettera, e si era realmente illuso che potesse funzionare.
Si diede dello stupido, dell’illuso e del debole, viste le lacrime calde che stavano minacciando di scendere dai suoi occhi.
Inspirò a fondo e deglutì, quello non era certo il momento migliore per farsi prendere dallo sconforto.
Si impose di alzarsi e di ricominciare a lottare tutto da capo e con una nuova strategia. Prima o poi qualcosa avrebbe funzionato.
“Blaine, questa mattina avremo le prove del tuo abito.” Disse sua madre, affacciandosi dalla porta.
“Ah, è vero.” Rispose lui, cercando di sembrare il più naturale possibile.
“Verrò anche io, e ti starò vicino. Vedrai che presto o tardi questa pagliacciata finirà.” Sorrise Fannie, speranzosa di vedere suo figlio fare lo stesso.
“Lo spero.” Si limitò a rispondere lui in tono duro e un po’ rauco.





“Sebastian, cos’hai in mente di fare?” Chiese Mary, una volta salita in macchina.
“Pensa di piombare in casa di Kurt e di costringerlo ad aprire quella lettera.” Rispose in modo burbero Mark.
“Oggi sei più rompi palle del solito, lo sai?” Gli disse Seb, fulminandolo con lo sguardo.
“In realtà avevo pensato che ci saremmo potuti presentare in modo amichevole e raccontargli cosa stiamo facendo per aiutare Blaine, così magari gli faremo venire voglia di aprire quella dannata busta.” Spiegò serio Seb.
“Mmmh, la buona vecchia terapia d’urto… Potrebbe funzionare.” Meditò Mary.
“C’è solo un problema.” Aggiunse la giovane.
“Quale?” Chiese Matt.
“A quest’ora Kurt sarà di certo a scuola.”
I tre ragazzi del gruppo si guardarono in silenzio per qualche lungo istante, meditando sulla bellissima prova d’intelligenza da loro appena offerta.
“Ecco a cosa serviva una donna nel gruppo…” Borbottò fra sé Mark.



I quattro si recarono in fretta e furia verso il Mckilnley e, dopo essersi inventati una palla colossale sulla presunta parentela e la grandissima somiglianza di Mary (la buona vecchia zia Mary) con Kurt ricevette la fantastica notizia che sì, suo nipote frequentava con un buonissimo rendimento quella scuola e che no, quel giorno non si era presentato alle lezioni.
“Sesto senso femminile, eh?” La punzecchiò Mark, ridendo con gli altri tre uomini della situazione.
Mary si limitò a guardarli male dallo specchietto retrovisore. Aveva deciso di offrirsi nel guidare per cercare di riparare alla piccola perdita di tempo che avevano avuto.




Matt suonò il campanello di casa Hummel-Hudson, ma misero davanti alla porta Mary, che era già una faccia conosciuta all’interno della famiglia.
Appena Burt si trovò davanti il volto della giovane il suo viso fece una smorfia tra il meravigliato e il diffidente.
“Salve Burt, sono qui per Kurt.” Disse lei, senza tanti giri di parole.
“Tu sai cosa sta succedendo a mio figlio? C’entri qualcosa, per caso? Perché io non riesco più a capirci nulla! Non ha detto una parola sul perché sta soffrendo, ma intanto se ne resta lì in camera sua a fare l’eremita.
Non sono stupido, Mary.” Disse tutto d’un fiato l’uomo, senza ricambiare il saluto.
“Non l’ho mai detto, Burt.” Ribatté prontamente la Dottoressa.
“E allora perché io non vengo messo al corrente di niente?” Disse, squadrando in modo sospettoso i tre ragazzi.
“Ha ragione signor Hummel, siamo stati dei maleducati. Io sono Matt, questo e Sebastian e lui e Mark.
Se ci potesse regalare qualche minuto del suo tempo saremmo molto felici di poterle raccontare tutto.” La voce di Matt era rassicurante e gentile, ma anche molto ferma.
Burt incrociò le braccia al petto:
“Ti sto ascoltando.”




Kurt era caduto in uno stato di dormiveglia, aveva il volto completamente affondato nel cuscino e le coperte lo stavano coprendo fin sopra la testa.
Non sentì il rumore di una macchina frettolosa accostare proprio nel suo vialetto, come non percepì il rumore della porta o la voce di suo padre mista ad altre.
In realtà non sentì neanche Burt salire di fretta le scale e aprire la porta di camera sua, perso com’era a starsene ben lontano dall’intera realtà.
Si destò da quello stato soporoso solo quando il signor Hummel ebbe ripetuto il suo nome ormai per la quarta volta.
“Kurt!” Disse con voce potente Burt.
“Mmmh?” Rispose lui in modo flebile, senza alcuna intenzione di cambiare posizione.
“Apri quella dannatissima busta e poni fine a tutta questa storia!”
All’udire quelle parole Kurt si ritrovò il cuore in gola, sbarrò gli occhi e si rizzò in ginocchio sul letto con lo sguardo fisso e terrorizzato verso suo padre.
“So che hai paura di soffrire ancora, ma lo sai benissimo anche tu che Blaine piuttosto che darti false speranze e ferirti per l’ennesima volta preferirebbe sparire dalla tua vita in modo silenzioso.
Se sta smuovendo tutta Lima per farti leggere uno stupido pezzo di carta probabilmente sarà qualcosa di importante, non credi?”
Kurt lo fissò con la bocca spalancata e il volto spaurito per dei secondi che gli parvero infiniti.
“Qui sotto ci sono Mary, Matt e Mark. Ti stanno aspettando.” Aggiunse suo padre, con tono più calmo e molto persuasivo.
“Per portarmi dove?” Chiese con filo di voce Kurt.
“Da Blaine, che domande!
Kurt ti prego, apri quella busta. Fallo per te, per Blaine e per tutte le persone coinvolte in questa storia.”
Burt lo guardò fisso negli occhi:
“Ti do 10 minuti.” E detto questo uscì dalla camera del figlio.
Kurt si tirò su da quel nido di coperte e corse alla scrivania per prendere in mano la famosa lettera.
La strinse con forza, tanto da riuscire a stropicciarla.
La guardò intensamente e poi si avvicinò alla finestra, spiando cosa stesse succedendo davanti alla sua porta.
Riconobbe i capelli neri di Mary e i volti di Matt e Mark, ma non riuscì ad identificare il quarto membro.
La Rent riuscì a scorgerlo e gli sorrise in modo sincero, facendogli segno di scendere.
Mark provò a saltare sulle spalle di Matt per arrivare un po’ più in alto, con il solo risultato di far cadere entrambi e far ridere di gusto il ragazzo sconosciuto, che si piegò in due dalle risate e prese in giro i due malcapitati.
‘Deve essere di certo amico di Blaine.’ Pensò, avvertendo quella ormai famosa scarica di dolore.
Diede un altro veloce sguardo alla finestra e vide che Mary intenta ad agitare un foglio scarabocchiato sul momento, con l’intento di poter attirare la sua attenzione:
“Non sei da solo.” Recitava il pezzo di carta.
Mark lo prese dalle mani di Mary e lo girò, mostrando un secondo messaggio:
“Muoviti!”




Blaine aveva appena ricevuto l’ordine di stare fermo e in posa per la quarta volta di seguito, ma proprio non riusciva a stare tranquillo con tutti quegli aghi puntanti sull’intero abito.
“Ecco cosa succede a fare le prove del vestito all’ultimo momento, signor Anderson.” Lo ammonì l’anziana sarta, senza preoccuparsi di apparire sgarbata o poco professionale.
“Non si affanni troppo, signora.” Rispose gentile Blaine.
“Scusi?” Chiese la donna, alzando un sopracciglio.
“Niente, continui pure.” Rispose, sospirando.
Per ora né Mary né Sebastian si erano fatti vivi, purtroppo.
Blaine pensò che fosse perché non volessero sentire i suoi piagnistei dovuti al fatto che Kurt non si fosse fatto ancora vivo.
“Perseverare.” Disse il moro ad alta voce, come a convincersi dell’impossibile.
La sarta lo guardò intensamente per qualche istante, ed infine posò tutti gli aghi e prese una sedia, indicandone a Blaine un’altra.
“Come si chiama?” Chiese, una volta sedutasi.
“Alessia.” Rispose per abitudine il riccio.
“Oh, non essere sciocco!” Rispose risoluta la donna.
Blaine rise leggermente, e poi si sedette.
“Non è una storia a lieto fine.” L’avvertì il giovane ad occhi bassi.
“Non ancora.” Rispose lei.




Kurt era seduto nel sedile posteriore dell’auto protetto dall’abbraccio di Mary, mentre sull’altro lato c’era Matt.
Mark era intento a guidare in un modo non proprio consono e lì vicino c’era Sebastian, pronto a spronarlo ad andare più veloce.
“La lettera?” Chiese Mary.
“Non l’ho letta.” Rispose secco Kurt, con gli occhi persi nel vuoto.
“Cosa?!” Si lasciarono sfuggire gli altri.
“Silenzio.” Li ammonì Mary.
“Perché non hai voluto leggerla? Blaine ci ha messo tutto il suo cuore lì dentro.” Continuò lei, in tono tranquillo.
“Voglio che quelle cose me le dica a voce. Mi pare che siano sorte abbastanza incomprensioni per l’assenza di dialogo tra me e lui. Sono stufo di mezze verità, intermediari e cose non vere.” Rispose Kurt, con una rabbia che nessuno dei presenti aveva mai sentito nella sua voce.
“Ho baciato Blaine.” Disse Sebastian, dopo degli interminabili secondi di silenzio.
“SEB!” Urlò Matt.
Kurt boccheggiò in risposta, spalancando gli occhi e fissandoli sul volto di Sebastian girato nella sua direzione.
“Sì sai, per constatare che fosse realmente gay. Non è stato affatto male.” Continuò imperterrito.
“Tu cosa?! Ma come ti sei permesso?” Ringhiò Kurt in risposta.
Il ragazzo non si era mai sentito tanto furioso in vita sua, era come se avessero violato qualcosa di sacro e intoccabile, qualcosa che gli apparteneva in modo assoluto.
Nessuno avrebbe dovuto permettersi di toccare il suo Blaine, tanto meno per uno stupido esperimento!
Era così furioso che avrebbe potuto tirare un pugno sul naso di quel bastardo che ora gli stava praticamente ridendo in faccia.
E lo avrebbe fatto, se solo Sebastian non avesse continuato il suo discorso:
“Sai qual è stata la prima cosa che mi ha detto dopo quel bacio?”
“No.”
“Che lui aveva un ragazzo. E, vista la tua reazione, penso che anche tu lo stia considerando ancora il tuo.” Rispose Seb con uno sguardo ora serio e penetrante.
“Capisci costa sto cercando di dirti, Kurt?”
“Sì…” Rispose il giovane, abbassando gli occhi per evitare di ricominciare a piangere.
Mary lo strinse più forte e gli lasciò un tenero bacio tra i capelli.
“Ma sì, mandiamo a puttane l’ultimo briciolo di professionalità, Dottoressa.” L’ ammonì giocosamente Mark.
“Prima di tutto l’umanità, poi il lavoro.” Rispose seria Mary, sentendo Kurt rilassarsi tra le sue braccia.
“Siamo arrivati, forza ragazzo!” Gli disse Sebastian, aprendogli la portiera.




Blaine e Fannie erano riusciti a sfuggire ai preparativi per qualche minuto rifugiandosi in giardino, ma purtroppo Richard, Alessia e Carl stavano per unirsi loro.
Madre e figlio mugugnarono all’unisono il loro dissenso.
“Basta, veramente! Ai miei tempi non la si faceva tanto lunga per un matrimonio.” Disse Fannie.
Blaine non diede segno di averla sentita.
“Tesoro?!” Lo chiamò lei.
“Mamma, penso di stare male.”
“Cosa?!”
“H-ho le allucinazioni. S-sono ad un punto di non ritorno molto probabilmente.” Disse Blaine, con gli occhi puntanti verso l’entrata secondaria.
Fannie si girò da quella parte:
“Cosa vedi?” Chiese la madre, sorridendo.
“L’amore della mia vita che si avvicina.”
La donna si lasciò andare ad una risata.
“E’ esattamente quello che sta accadendo, niente allucinazioni.” Diede un bacio al figlio.
“Il mio cuore sta per scoppiare.” Disse il riccio, deglutendo.
“Andrà tutto bene.”



Kurt non riusciva a guardare davanti a sé. Aveva ormai scorto la figura di Blaine già da un po’, ma proprio non si sentiva in grado di posare gli occhi su di lui.
Faceva male e dava felicità nello stesso momento, a patto che ciò fosse stato realmente possibile.
Dovette essergli a pochi centimetri di distanza per trovare finalmente il coraggio di guardarlo non proprio negli occhi, ma almeno in faccia.
“Ciao.” Disse Blaine, con un sorriso caldo e pieno. I suoi occhi erano cerchiati da occhiaie e visibilmente stanchi. Anche lui doveva aver pianto tanto in questi ultimi tempi.
Kurt non rispose.
Non sapeva cosa dire.
“Cosa ci fai tu qui?!” Tuonò la voce di Richard, facendo cadere nel panico Kurt.
Blaine gli si parò davanti, come per proteggerlo.
“Cosa gli hai raccontato, papà?” Chiese il giovane.
Richard si guardò intorno e riconobbe tutti:
I due compagni di stanza, la Dottoressa e Sebastian.
“Solo la cosa giusta, figliolo. Mi eri sembrato troppo ubbidiente in questi giorni, ma speravo veramente che ciò fosse dovuto ad una crescita. Peccato, sei la solita delusione.”
Lo disse con troppa sufficienza e con troppa ovvietà, fece malissimo.
Blaine tentennò, sentendosi per l’ennesima volta sbagliato agli occhi del padre.
“E tu, da che parte stai?” Chiese Richard a Fannie.
“Dalla parte dei sentimenti di nostro figlio.” Rispose lei, mettendosi vicina a Blaine.
“Non ci sto capendo nulla.” Si lamentò Carl.
A quel punto si sentì un forte e doloroso singhiozzo, uno di quelli che sembrano essere stati repressi per così tanto tempo che quando finalmente trovano il modo di uscire feriscono anche le persone intorno al malcapitato.
Tutti e due gli schieramenti si girarono meccanicamente verso la fonte di quel suono:
Era Alessia.
“Tesoro…” Disse Carl.
Ale si lasciò scappare un altro forte singhiozzo, facendo preoccupare tutti.
“Blaine è gay.” Disse tutto d’un fiato, prima di scoppiare a piangere sul serio.
Tentò di trattenersi per continuare, ma fu estremamente difficile porre un freno a quelle lacrime.
“L’ho sempre sospettato, fin dall’inizio della nostra relazione.
Però tu non sembravi mai essertene reso conto, e speravo che sarebbe stato così per sempre, che fosse solo un’impressione sbagliata.”
Pianse ancora un po’ e poi riprese:
“Ho continuato a far finta di niente perché ero realmente innamorata di te. Sei sempre stato l’unico ragazzo al mondo a non trattarmi come un oggetto e a riuscire a farmi stare bene, senza pretendere mai nulla in cambio.
Pensavo che non te ne saresti mai accorto, che non sarebbe mai stato un problema.
La verità è che non… Non ce l’ho ancora fatta a lasciarti andare Blaine, sei il mio primo amore.”
Nessuno parlò per un po’, tutti i presenti erano troppo scossi per riuscire a formulare anche solo una semplice frase.
“Dai, abbracciami.” Disse finalmente Blaine, lasciando che Alessia piangesse sulla sua spalla.
“Non importa, davvero.” Cercò di rassicurarla.
Lei pianse più forte.
“Sei bella, intelligente e dolce. Prima o poi troverai un ragazzo alla tua altezza.”
Alessia pianse decisamente più forte.
“Devo chiederti di lasciarmi andare però ora, è importante. Io amo Kurt, riesci a capirlo?”
“Mi stai lasciando?” Chiese lei, smettendo di piangere.
“Sì, ti sto lasciando definitivamente. Tra noi è finita, ma ti voglio ancora bene.”
“Anche io…” Rispose Ale, stringendosi a lui.
“E?” Chiese lui, deciso a chiudere il discorso.
“Ed è finita, certo che è finita.” Rispose lei in un sospiro.
Sciolsero l’abbraccio e Carl la strinse subito in altro. L’uomo al momento non sembrava essere arrabbiato, ma solo tanto tanto in ansia per i sentimenti di sua figlia.
“Adesso annulliamo tutto e ci facciamo un bel viaggio, che dici piccola?” Le chiese Carl con fare dolce.
“Stai scherzando, vero?!” Righiò Richard.
“E cosa vuoi che faccia, eh? Non puoi costringere qualcuno ad amare qualcun altro, non so se te ne sei accorto.” Ribatté lui in tono ironico.
“Ma è già tutto organizzato!”
“Annullerò l’intero matrimonio all’istante, non c’è problema. Io ora ho intenzione di prendermi cura di mia figlia, e penso che anche tu dovresti passare un po’ di tempo a capire il tuo, Richard. Vai a rinfrescarti un po’ le idee, ci sarà un momento per parlare di affari più avanti.” E detto questo Carl fece un cenno a Blaine, per poi andarsene con Alessia tra le braccia.
“Papà, io sono gay e amo Kurt. Voglio laurearmi in psicologia e non voglio lavorare con te. Questo è quello che sono, riesci ad accettarlo?” Chiese Blaine, con una punta di bisogno nella voce.
Richard era sempre suo padre, nonostante tutto. La reazione di Carl al dolore della figlia aveva innescato in Blaine la speranza e il desiderio di poter recuperare il rapporto con il padre.
“Ci vediamo a casa.”
Disse a Fannie, per poi girare le spalle e andarsene in silenzio.
Blaine cercò di trattenere le lacrime passandosi una mano sul volto.
“Sono qui con te.” Gli disse Kurt, abbracciandolo. Il ragazzo non poteva sopportare la vista del suo Blaine piangere.
“Ti amo.” Rispose il moro, di getto.
Kurt si irrigidì e perse un battito, sentendosi avvampare.
“Io…” Si bloccò per qualche istante, incapace di continuare.
“Anche io ti amo.” Rispose infine, rimanendo senza fiato e completamente indifeso.
“Per un secondo ho avuto paura che non ricambiassi.” Gli disse Blaine in modo serio.
“In quel secondo ho pensato ad una cosa.”
“A cosa?”
“Al fatto che lascerei la NYADA pur di poter stare con te e questo mi ha spaventato, ma purtroppo per niente meravigliato. Lascerei i miei progetti perché credo in noi Blaine, e ti amo con tutto me stesso.” Disse Kurt, piangendo davanti all’evidenza dei fatti.
Non avrebbe più potuto vivere senza il suo Blaine, non dopo quell’esperienza.
“No, non lascerai la NYADA. Sarà più semplice, promesso.”
Kurt scosse il capo, sapendo che niente sarebbe più stato come prima.
“Blaine?”
“Sì?” Chiese curioso il moro.
“Usa ancora quel fottuto aggettivo e giuro che ti prendo a schiaffi!”
Blaine scoppiò a ridere di cuore e si asciugò le lacrime che gli avevano rigato il volto poco prima.
Cominciò a baciare Kurt in modo appassionato e bisognoso, felice di sentirlo fremere sotto il suo tocco e ricambiare ogni singolo gesto.
“Ok ok, credo di aver visto abbastanza per oggi.” Disse Mark.
“Anche io!” Rispose Seb ridendo, e insieme cominciarono ad allontanarsi.
“Io porto Mary a fare un giro…” Disse imbarazzato Matt.
“Eh?!” Chiese la Dottoressa, presa in contropiede.
“Per festeggiare, non per altro!” Si affrettò a specificare il ragazzo, completamente in imbarazzo.
“E’ arrossito!” Bisbigliò Mark al francesino.
“Neanche avesse 15 anni, patetico!” Disse in risposta lui.
“Signora, ci farebbe l’immenso piacere di aggregarsi a noi?” Chiese Seb a Fannie, porgendole il suo braccio.
“Oh, ma certo.” Rispose la donna, lusingata da quel trattamento. “Tempo 10 minuti e anche Mary si stuferà di lui. Dai, andiamo.” Disse Mark, prima di lasciare con gli altri Kurt e Blaine da soli, alle prese con i loro baci.
“Non abbiamo mai fatto l’amore sull’ erba…” Disse in modo malizioso Blaine, continuando a baciarlo.
“Se è per questo neanche in letto!” Ribattè Kurt, facendolo ridere.
Si presero per mano e cominciarono a camminare verso il portone di uscita della grande Villa, godendo uno della presenza dell’altro.
“Andiamo in un posto tranquillo? Penso che ci sia bisogno di chiarire e discutere di un po’ di cose.”
“Di molte cose, a dire il vero.” Ribattè Kurt, guardandolo serio.
“Non credi che possa finire bene questa storia.” E quella di Blaine non fu una domanda, ma un’esclamazione.
“Non sono più sicuro di niente…” Kurt si morse il labbro.
“Ma ti piace tenermi per mano, e baciarmi.” Gli fece l’occhiolino Blaine.
“Già, è proprio questo il problema.”





Blaine, per una volta, aveva avuto ragione.
Non sul fatto che sarebbe stato semplice, ovviamente non lo fu per niente, ma per quanto riguardava i sentimenti il giovane ci aveva visto giusto.
Il ragazzo dagli occhi del cielo e il moro dagli occhi indefiniti erano stati creati per completarsi e stare sempre uno vicino all’altro.
Kurt e Blaine si amavamo, in modo semplice e naturale.
Il più piccolo aveva fatto di tutto per persuadere il ricciolo a lasciar perdere, a cambiare idea e a continuare la sua solita vita, ma Blaine aveva ormai preso la sua decisione.
Kurt si diplomò in modo brillante e vinse le Nazionali con il Glee Club del Mckinley, cosa che non fece altro che riempire il suo curriculum.
I due passarono l’estate ad amarsi e a divertirsi nella casa a Santa Monica, senza limiti di tempo o persone a cui dover rendere conto.
A settembre la loro vita cambiò completamente, e all’inizio non fu affatto facile.
I nuovi orari, la moltiplicazione degli impegni e le tante cose nuove da fare e da scoprire resero il tutto molto difficile.
Quando però ottobre con la sua arietta pungente e il sole scostante cominciò a far mutare l’infinito verde del Central Park in una moltitudine di sfumature dorate, arancioni e rosse entrambi capirono di essere ormai irrimediabilmente innamorati di New York.
Kurt cominciò la NYADA un po’ in sordina, travolto dalle infinite e stancanti mille ore di prove e lezioni, ma la sua grinta e la sua determinazione lo portarono ad essere, già dal terzo anno, uno degli studenti più promettenti di tutta la scuola.
Spesso era tornato a casa nervoso, arrabbiato per una parte non ricevuta o semplicemente stanco di tutto, ma fortunatamente in quel piccolo appartamento aveva sempre trovato le braccia di Blaine pronte ad accoglierlo e a consolarlo.
Spesso Kurt si era chiesto come Blaine avesse potuto sopportarlo in quel periodo, ma non aveva mai saputo darsi una risposta.
Blaine si era iscritto invece alla facoltà di psicologia della New York University, dove finalmente la sua grande passione per quel settore diede i suoi frutti:
Non ci mise molto a trovare qualcuno interessato al suo tirocinio, e ci mise ancora meno ad essere assunto.
Quando Kurt cominciò a ricevere le sue prime parti importanti nelle produzioni teatrali Newyorkesi e Blaine a lavorare nello studio di uno stimato psicoterapeuta decisero di cambiare casa, lasciando il minuscolo appartamento e acquistandone uno più grande.
Uno che potesse accogliere una famiglia di almeno quattro persone.
Dopo un paio di anni dallo spontaneo e bellissimo “sì” i coniugi Hummel-Anderson avviarono le pratiche per l’adozione.
Per diverso tempo avevano avuto la possibilità di fare da baby-sitter ad alcuni figli dei loro amici per sentirsi più sicuri e pronti, sognando già di poter avere una famiglia tutta loro.
Il più grande di questi ex bambini, Scott, era ormai nel pieno dell’adolescenza e ancora aveva un bellissimo rapporto con Kurt e Blaine.
Quando aveva bisogno di un aiuto o si sentiva soffocare dai problemi il ragazzo andava a rifugiarsi a casa loro, sapendo che lì avrebbe trovato una bella chiacchierata leggera e a ritmo di musica con Blaine, una memorabile sgridata da parte di Kurt da cui di certo avrebbe imparato qualcosa e una tazza di caffè latte, spesso accompagnata da qualche adorabile cupcake.
Ad un certo punto quei piccoli dolcetti cominciarono ad assumere delle forme piccole e un po’ più imperfette, ma in compenso acquistarono molto in colore e fantasia per le decorazioni.
Annie era la più piccola della famiglia e aveva 5 anni, ma Blaine era già fermamente convinto che la peste si fosse già presa una cotta colossale per Scott. Gli rivolgeva sempre un sorriso enorme e si arrabbiava tantissimo se il ragazzo non mangiava il cupcake da lei amorevolmente preparato.
“E’ precoce…” Si lamentò un giorno Blaine, completamente geloso.
Kurt rise leggero e lo baciò teneramente.
“E’ una ragazza e per giunta intelligente, sarà sempre un passo avanti a tutti.”

L’ultima volta che Blaine aveva usato l’aggettivo ‘semplice’ era finito a dormire sul divano.
Dopo poco però Kurt aveva cominciato a sentire delle risate provenire dal salotto, e incuriosito era andato a controllare.
Davanti a lui Blaine stava ridendo e giocando con i bambini, esattamente come se fosse uno di loro.
‘E’ davvero un ottimo padre.’ Aveva pensato Kurt in molti casi come quello, sentendo il cuore stringersi per la tanta tenerezza.
Gabriel, il maschietto di 7 anni, stava lottando con tutte le sue forze per resistere al solletico del padre e stava cercando di proteggersi sotto la coperta che nonna Carole aveva pazientemente cucito.
“Siete belli come una giornata di primavera.” Blaine lo diceva sempre ai suoi bambini perché voleva che si sentissero amati e speciali, cosa che a lui purtroppo era mancata.
I piccoli avevano trasformato la ‘punizione’ di Blaine in un bellissimo pigiama party, a cui alla fine si era unito anche Kurt.


“BIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIP!”
“Questa è la segreteria telefonica di casa Hummel-Anderson.” Recitavano all’unisono le voci di Blaine e Kurt.
“Lasciate un messaggio dopo la musichetta!” Dissero due voci infantili e cariche di entusiasmo.
In sottofondo si potevano sentire le risate trattenute dei genitori:
“Sì, dopo la musichetta.” Aggiunsero, tentando di rimanere seri.
“BIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIP!”
“B-Blaine? Sono… Bè, sono tuo padre. La mamma l’altro giorno ha per sbaglio lasciato una foto di lei con i tuoi bambini in salotto e… Sono veramente belli Blaine, complimenti. Richiamami appena puoi.
Sono… Resto sempre tuo padre, Blaine.”

Richard non si faceva sentire da anni, ormai.
Non era stato presente al momento del matrimonio, come neanche a nessun altro evento importante della vita di suo figlio da quel famoso giorno alla Villa.
“Non gli devi nulla Blaine, ma non c’è niente di male a concedere una seconda occasione.” Gli aveva detto Kurt, abbracciandolo da dietro.
“Ti ricordi cosa ti ha fatto, cosa ci ha fatto?” Gli chiese il marito, pieno di rabbia e ricordi.
“Sì.” Sospirò Kurt.
“Ma forse sta solo cercando di rimediare.”


“Pronto?” Chiese Richard, curioso di conoscere chi si celasse dietro quel numero sconosciuto.
Blaine per un secondo esitò, tentato dalla possibilità di non dire niente e riattaccare.
La voce di suo padre gli sembrò più grave, vecchia.
Sua madre in questi anni c’era sempre stata e non era invecchiata molto, il tempo era probabilmente stata più clemente con lei.
Non era riuscita a lasciare Richard perché diceva di amarlo ancora e di non poterlo abbandonare.
L’amore è una cosa strana e sfugge ad ogni regola di giustizia: anche chi non lo merita lo riceve.
Blaine pensò che fosse una semplice debolezza, ma non disse nulla e la accolse volentieri nella sua vita con Kurt.
“Ciao.” Si limitò a dire, gelido.
“B- Blaine?” Chiese l’uomo, incredulo.
“Sì papà, sono io. Che cosa vuoi?” Chiese in modo quasi seccato.
“Non dovresti trattarmi così.” Richard sembrò realmente ferito.
“Non avresti dovuto trattarmi così.” Ribatté il riccio.
“Accettare una cosa simile è… Complicato, figliolo.”
“Non è solo per il fatto che non hai accettato il mio essere gay, papà. Ce l’ho con te perché mi avresti fatto vivere una vita senza Kurt, e al solo pensiero mi sento morire dentro.
Sarei finito in uno di quei matrimoni senza amore e avrei provato apatia nei confronti dei figli che sarebbero arrivati. Magari mi sarei buttato nel bere, ma sai qual è la cosa peggiore?
Che anche nel mio momento più basso non ti avrei incolpato, avrei solo pensato di essere un buono a nulla, di non essere alla tua altezza e di non aver fatto altro che fallire per una vita intera.
Ti sembra giusto, eh?!”
“Mi dispiace, io…” Richard aveva la voce incrinata.
“Dovrai chiedere scusa a Kurt.” Lo bloccò Blaine.
“Come?”
“Dovrai scusarti con Kurt per tutto ciò che gli hai fatto passare, e dovrai accettare il nostro essere gay.”
“Ma certo, non c’è problema.” Rispose Richard, con una certa riluttanza nella voce.
“E non potrai vedere subito i bambini, scordatelo.” Aggiunse Blaine in tono serio.
“Perché!?” L’uomo stava iniziando ad agitarsi.
“Perché non mi fido di te e non voglio che tu possa avere una brutta influenza su di loro, sono speciali e preziosi. Sono i miei figli, Richard: voglio solo il meglio per loro.
Queste sono le condizioni.” Concluse Blaine.
Ci fu un lungo silenzio, seguito da sospiro pensante.
“Va bene.” Rispose infine l’uomo.
“Hai fatto la scelta giusta.” Blaine abbozzò un tono più amichevole.



L’amore non è una cosa semplice, ma è la cosa più grande che ti possa capitare nella vita.
Può portarti a cambiare vita, crescere, migliorarti e a confrontarti con te stesso.
Fa male, fa così male che a volte preferiresti morire e scordarti di tutto e tutti, ma è così forte che nonostante il dolore ti tiene in vita e ti rimette in sesto.
Dopotutto, se non soffrissimo non potremmo sentire quanto siamo vivi e irrimediabilmente umani.
L’amore vero è così potente che fa del bene anche a chi ha la fortuna di poter essere vicino alle due persone che lo stanno vivendo.
Per questo vi ho raccontato questa storia:
Vorrei poter farvi sentire quella forza, quell’amore, quella passione e quella felicità che Kurt e Blaine riuscivano a produrre anche solo stando vicini.
Spero quindi di avervi fatto del bene, dopotutto.

 


Ed eccoci qui, all'ultimo angolo della scrittrice di Therapy.
Già mi manca scrivere di questa storia, è stata la mia prima long su questo sito e le sono molto affezionata.
Per non parlare di voi, cari lettori silenti e non che l'avete seguita per tutto questo tempo. Non so davvero come ringraziarvi, senza di voi probabilmente non l'avrei mai conclusa.
Un grazie speciale va a tutti quelli che l'hanno commentata. Siete sempre stati gentili e disponibili, mi avete dato dei consigli preziosi. E' anche grazie a voi se questa storia è cresciuta e migliorata. Lo so che potrò suonare melensa, ma ogni volta che finivo di leggere i vostri commenti mi ripetevo: "Ho i recensori migliori del mondo, sono tenerissimi!"
Sì, sono un'idiota xD Però lo penso davvero ragazzi, grazie infinite <3

E niente, sto per mettermi a lacrimare davanti allo schermo di un pc, ma che vi devo dire? E' stato bellissimo farvi compagnia in questi mesi :)

Ringrazio tanto la mia beta elly2998, che in tutto questo è stata una di quelle che si è sorbita tutte le mie paranoie e i miei problemi esistenziali. Grazieee! :D
Vorrei lasciarvi ancora un'ultima canzone:

https://www.youtube.com/watch?v=3RfxAcMFlSI

Si chiama appunto Therapy e mi ha ispirato e accompagnato in questi capitoli, ma non ho mai trovato la scena adatta per inserirla nel mezzo della storia. Peso sia perchè non è una canzone di un momento, ma è quella di tutta la FF.
Ve la regalo, spero che possa piacere anche a voi :)

Sto lavorando ad altre ff e ho un bel po' di idee, vi lascio la mia pagina di Facebook nel caso vi interessi rimanere aggiornati, parlare di Glee o di qualsiasi altra cosa:)

https://www.facebook.com/BlueFruitEfp?ref=hl

Twitter: https://twitter.com/Mcc_Blue

Buona puntata a tutti, la 5x03 non sarà affatto facile da vedere... Siamo una famiglia, stiamo vicini.
Alla prossima gente, è stato un piacere scrivere per voi <3


 

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