Il richiamo dell'amore

di Indil_350
(/viewuser.php?uid=436898)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un freddo incontro ***
Capitolo 2: *** Ricordi agghiaccianti ***
Capitolo 3: *** Bora di preoccupazione ***
Capitolo 4: *** Labbra innevate ***
Capitolo 5: *** Valanga di emozioni ***
Capitolo 6: *** Dolorosa brina ***



Capitolo 1
*** Un freddo incontro ***


Morinaga camminava, ormai, con passo lento e malfermo, barcollando sulle gambe dolenti e trascinando i suoi piedi nudi nella neve gelida. Bianco, tutto era bianco. Così nitido da far male. La luce del mattino rifletteva sul ghiaccio, la tranquillità e la calma in quel paesaggio erano quasi irreali e lo rendevano ancora più inquietante. Morinaga si chiese se ciò che era accaduto quella notte fosse stato solo un sogno e se ancora non stesse continuando quell'incubo. Freddo. Tutto ciò che sentiva era il vento gelido che gli sferzava il viso, leggero. Il suo corpo ormai aveva perso sensibilità e a muoverlo erano solo la forza di volontà e la disperazione. Ad un tratto si fermò, stremato; le ginocchia gli cedettero affondando nel soffice manto bianco e tutto si fece improvvisamente nero, buio.                                                                                                                                            

Si svegliò in un capanno, dalla cui unica finestra entravano tenui raggi rossastri che illuminavano l'interno modesto. Da quanto era li? Come ci era arrivato? Era sdraiato a terra, con una coperta a coprirgli il corpo nudo. Si mosse lentamente, osservando l’ambiente che lo circondava. Era uno spazio piccolo, in legno umido per la recente nevicata, alle pareti spiccavano vari arnesi di diverse dimensioni, mentre un piccolo fuoco scoppiettava allegramente al centro della stanza e, strofinandosi un po' gli occhi, intravide, in un angolo lì vicino, i sui vestiti ancora gocciolanti. Non era lì da molto. Si alzò cautamente, muovendo qualche passo incerto verso il fuoco, poi si sedette e, dopo essersi stiracchiato un po’, sgranchendo le ossa intorpidite, si avvolse nella coperta di pile mentre i suoi occhi fissavano il vuoto nelle fiamme. Semplicemente aspettava, sapeva di non essere arrivato lì da solo.

Souichi inciampò, rovinando a terra e macchiando il terreno di rosso. Si alzò, fulmineo, ignorando il dolore: doveva scappare. Un ululato echeggiò minaccioso nel silenzio perfetto del bosco, coprendo il rumore dei suoi passi rapidi. Un brivido attraversò la schiena del ragazzo che, affannato, si voltò indietro solo per un secondo, per poi ricominciare a correre stavolta, per quanto possibile, più veloce di prima. Passi leggeri lo inseguivano graffiando il terreno, sempre più vicini. Il ragazzo correva tra gli alberi, incurante dei rami ostili che lo colpivano ovunque e del freddo che gli penetrava nelle ossa. Tutto era indistinto, i colori si mischiavano tra loro e il pericolo incombeva dietro di lui, ma Souichi sapeva dove andava, o meglio, dove doveva andare. Scese, correndo, verso la valle innevata spoglia di alberi e lì, al centro di essa, la sua àncora di salvezza: il capanno. Sollevato accelerò, sebbene allo stremo delle forze, con il fiato ormai corto e la ferita che doleva, voltandosi solo un’ultima volta e i suoi occhi color miele incrociarono, in lontananza, quelli dorati del lupo. Quest’ultimo si era fermato al limitare del bosco e ora lo osservava, famelico, da una roccia innevata. Souichi non rallentò, arrivò alla porta e vi si lanciò dentro spossato dalla lunga corsa e con il cuore in una tormenta di neve, mentre l’ ululato furioso rompeva di nuovo il silenzio.
La porta si aprì di botto facendo entrare uno spiffero d’aria gelida e istintivamente Morinaga si strinse nel plaid mentre osservava, sconvolto,  la figura appena comparsa. Era un ragazzo dai lineamenti vagamente delicati, con gli occhi rivolti verso il basso, a terra, il fiato ridotto all’affanno, i lunghi capelli chiari appiccicati al volto in modo scomposto e la neve sciolta, mista al sudore, che gli imperlava la fronte. Un corpo  minuto e tremante. All'improvviso lo vide accasciarsi sulle ginocchia e solo allora Morinaga si accorse del sangue che impregnava il pavimento e che sgorgava lentamente dal braccio destro del ragazzo. Si alzò, sebbene debole e diffidente, pronto ad aiutarlo ma, quando mosse un passo verso di lui e il legno scricchiolò sotto il suo peso, due occhi minacciosi lo inchiodarono dov’era. Sorpreso da quell’occhiata truce e sempre più confuso, Morinaga  rimase lì, impalato, ad osservare l’altro mentre riprendeva lentamente il controllo di se stesso.
Souichi se lo era completamente dimenticato. Tra il freddo, la fuga e la ferita davvero quel ragazzo era l’ultimo dei suoi pensieri e ritrovarselo davanti, fermo, con solo la coperta addosso, gli fece uno strano effetto: sembrava così fuori luogo, così sbagliato in quel momento che lo guardò male, mentre cercava con fatica di riprendere fiato. Lo fissò: i capelli scuri erano ancora umidi e la sua pelle pallida, le spalle erano larghe anche se racchiuse e nascoste dal tessuto pesante e poi vi erano gli occhi. Quando Souichi lo aveva trovato che giaceva inerte mezzo sepolto nella neve, i suoi occhi erano chiusi, serrati in un’espressione sfinita e sofferente. Ora, invece, due iridi azzurre, di ghiaccio lucente, lo osservavano curiose, sebbene ancora all’erta. Stranito dalla sua presenza in quella stanza, Souichi si girò e fece per alzarsi, ma il braccio ferito non resse il peso del suo corpo. Scivolò disteso, tracciando un’ennesima scia di sangue al suolo. Gemendo di dolore, cercò di mettersi a sedere con una mano sulla ferita, come a proteggerla. Era esausto, voleva solo riposarsi, perciò chiuse inconsciamente gli occhi, rilassando i nervi per un solo attimo. Fu allora, nel suo piccolo momento di debolezza, che un gesto impercettibile lo fece sobbalzare. La sensazione di una mano calda sulla pelle. Scattò immediatamente in piedi e guardò ancora il ragazzo che aveva di fronte. Lo vide avvicinarsi piano, come quando si incontra un animale randagio e non si sa bene come comportarsi, poi strappò un lembo di coperta e glielo strinse intorno al taglio, a mo’ di benda. Stupito, gli lasciò finire quella fasciatura improvvisata ma continuò a fissarlo di sottecchi, seguendo i suoi movimenti finché quello non tornò accanto al fuoco. Nessuno dei due parlò. Dalla finestra ormai entravano solo i tenui riflessi della luna, mentre vari ululati facevano da sottofondo a quello strano momento. Souichi si mosse piano, sedendosi anche lui vicino le fiamme per asciugare un po’ i vestiti. Entrambi i ragazzi fissavano il fuoco, entrambi avvolti in quel silenzio opprimente.
Morinaga non sapeva cosa pensare. Semplicemente stava lì, ad osservare le lingue di fuoco che, man mano, divoravano i pezzi di legno rimasti e creavano giochi inquietanti di ombre e luci. Le domande gli percorsero la mente come un fiume in piena: da dove spuntava quel ragazzo? Era lui che lo aveva salvato? Perché non parlava? E perché era ferito? Lo guardò con la coda dell’occhio: lui era immobile, lo sguardo volto a terra, così fragile eppure così forte, pensò, perso in chissà quali pensieri. I suoi occhi erano rivolti al suolo ma, sebbene la sua prospettiva  gli permettesse di vederlo solo di sbieco, notò che guardava un punto fisso, senza però vederlo realmente: in quegli occhi torvi si scorgevano pensieri frenetici e contrastanti tra loro; da essi trasparivano quelle riflessioni che sconvolgono l’animo, che inquietano. Quel ragazzo stava guardando dentro di sé e rovistava fra i ricordi, offrendo a lui solo pura indifferenza, rifugiandosi in un’atmosfera cupa e solitaria. Ma chi era, in realtà, quel ragazzo? Morinaga sospirò, poi prese fiato e gli rivolse la parola.

*La mia seconda storia... composta da non so quanti capitoli xD Spero vi intrighi almeno un po' (non ho in mente tutta la storia, quindi anche io la scoprirò man mano come voi) :33*

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Ricordi agghiaccianti ***


«Chi sei ?» Disse Morinaga, guardando dritto avanti a sé.  
 
Souichi sobbalzò. Anche se il ragazzo aveva usato un tono basso, quasi un sussurro, a lui quella voce parve un tuono. Era una voce chiara e profonda, proprio come i suoi occhi. Turbato, rimase in silenzio, senza degnarlo di una risposta, né tantomeno di uno sguardo. Il ragazzo tacque, aspettando che lui dicesse qualcosa, ma questo non accadde: Souichi non proferì parola e, al contrario, tornò a fissare il fuoco, chiuso nella sua barriera di silenzio.  
A disagio, ma comunque deciso ad iniziare una conversazione con lui, Morinaga sospirò, chiedendogli  speranzoso «Non posso nemmeno sapere il tuo nome?». Ancora una volta Souichi rimase, imperturbabile, in quella sorta di mutismo ostile e si limitò soltanto ad aizzare il fuoco con un piccolo ciocco di legno che aveva vicino. Indispettito, Morinaga strinse i pugni e, deluso, abbandonò temporaneamente quell’impresa, ripromettendosi di provare di nuovo più tardi. Quindi si distese su un fianco con il braccio sotto la testa a mo’ di cuscino, chiuse gli occhi, mentre la sua mente non cessava di fare ipotesi e domande su chi fosse quello strano ragazzo e, proprio quando il sonno lo stava per guidare nel mondo dei sogni, sentì dire solamente «Souichi».
 
Souichi vide il ragazzo alzarsi di scatto e solo allora osò guardarlo puntando i suoi occhi in quelli sorpresi di lui. La coperta, intanto, era scivolata in basso scoprendo un petto ampio e vigoroso ma lasciando nascosta la parte proibita di quel corpo. Il ragazzo mosse le labbra, non sapendo cosa dire, poi balbettò «Co… Come?». Souichi sbuffò e ripeté piuttosto irratato «Mi chiamo Souichi», odiava ripetersi. Morinaga sorrise e si presentò, palesemente più allegro di prima, al che Souichi si sentì strano, quasi felice alla vista di quel sorriso. Da tanto non vedeva qualcuno e la vita solitaria che trascorreva in quel capanno lo intristiva ormai da tempo, e quell’espressione fu così calda che Souichi sentì quasi il ghiaccio accumulato sul suo cuore sciogliersi un po’. Quella situazione era interessante, per questo aveva deciso di rispondergli, ma era da troppo che non parlava con qualcuno e questo lo metteva alquanto a disagio, facendolo arrabbiare. «Che ci facevi nel bosco?» riuscì infine a dire dopo qualche attimo di imbarazzo. Cercò di usare un tono incuriosito ma ne uscì quasi un rimprovero.
 
Morinaga lo guardò. Lui aspettava una risposta e, nel mentre, notò che muoveva impercettibilmente le dita, formando lievi disegni sul pavimento, senza neanche rendersene conto. Era un gesto così naturale, spontaneo, che lo fece apparire ancora più fragile agli occhi del ragazzo. «Facevo una specie di spedizione… che non si è conclusa come speravo.» disse cupamente, riportando alla mente immagini e suoni che avrebbe preferito dimenticare per sempre. Rabbrividì al ricordo della sera prima: lui e i suoi compagni erano in una baita, nelle vicinanze della più grande e insidiosa foresta del Canada e, quella mattina, era tutto pronto e ne erano entusiasti.  Era da mesi che programmavano quell’avventurosa spedizione. E poi era un periodo perfetto: la neve, gli abeti innevati, il paesaggio, tutto era fantastico.  Era una giornata soleggiata e si erano armati fino ai denti di telecamere, computer, vetrini, fiale e reagenti da laboratorio per gli esperimenti che dovevano finalmente eseguire. Erano in tre: Morinaga e Yamaguci, che erano compagni di università, e con loro il professor Fukushima  che li accompagnava in quella spedizione. Erano tutti di buon umore. Mentre si incamminavano verso il bosco facevano battute, ridevano, analizzavano la folta flora e i più piccoli organismi del bosco; ad ogni passo il sentiero si faceva più intricato, fino a scomparire lasciando spazio a intere pianure innevate colme di vegetazione, perciò camminarono per ore, intenti ad esplorare il posto e ottenendo buoni risultati, conservando alcune provette di batteri. Presto però si fece sera, tuoni lontani minacciavano il cielo, nuvole scure si avvicinavano alla foresta e i tre, oramai stanchi, si fermarono sotto un grande abete. Il professore guardava la mappa, tracciandovi percorsi e segni. Yamaguci fotografava il paesaggio che stava lentamente mutando oscurato dalle nuvole, mentre Morinaga osservava affascinato i campioni raccolti. Poco dopo ripresero il cammino per tornare indietro, ma si fecero più silenziosi, intenti ad ascoltare la foresta. In sottofondo solo il soffio del vento e i loro scarponi che affondavano nella neve. Si mossero piano, forse si erano spinti troppo lontano nel bosco e il vento aveva cominciato a soffiare così forte che i tre facevano fatica a procedere. 
 
“Hey, guardate là!” era stato Yamaguci a parlare, indicando un punto indistinto della boscaglia. I tre scorsero, in lontananza, un orso bruno che camminava goffamente; sembrava un adulto, grosso e possente. Insieme tornarono sui loro passi velocemente e Morinaga si chiese come fosse possibile che un orso bruno si aggirasse per il bosco quando doveva essere, invece, in letargo. Iniziò poi a nevicare, grossi fiocchi scendevano numerosi e, in poco tempo, divenne tutto un misto di bianco. I tre non riuscivano a vedere nulla e avanzavano ormai troppo lentamente, non sapendo neanche da che parte andare. Un ruggito gli fece ghiacciare il sangue nelle vene. Poi fruscii veloci e un urlo atroce, disumano. Morinaga e Yamaguci si girarono e intravidero il grizzly, mentre il professor Fukushima  si accasciava al suolo  con un tonfo sordo. Urlando si misero a correre, mentre la neve dietro di loro si impregnava del sangue del loro compagno. 
 
E da lì in poi solo grida portate via dal vento. Ma Morinaga non si fermò, inciampò e perse di vista Yamaguci, ma non si fermò. Corse come mai in vita sua e rallentò solo dopo molto tempo, riusciva ancora a sentire la voce dell'amico, seppur molto lieve e lontana, finché poi non le sentì più. Solo neve, solo vento, solo freddo. Col fiatone si appoggiò al tronco gelido di un albero. L’orrore e la paura che provava gli impedivano sia di urlare che di piangere e il corpo era scosso da tremiti violenti e convulsi; un ululato lo fece sobbalzare e si incamminò nelle tenebre di quel bosco ghiacciato. Camminò fino all’alba, stremato, cercando di ignorare il dolore che gli attanagliava lo stomaco in una morsa di ghiaccio. Qualche ora dopo cadde svenuto, anche se ancora gli sembrava di sentire le urla disperate dei suoi compagni.              
 
Una mano sulla spalla lo fece tornare alla realtà. Sbatté più volte la palpebre e rimase sbalordito quando si accorse che calde lacrime gli scendevano fin sotto il mento, mentre i singhiozzi gli scuotevano l’anima. Souichi lo guardò con aria preoccupata, così, istintivamente, gli raccontò tutto. Gli sembrò un tempo infinito a parlare di un tempo lontano. Fatti accaduti, invece, solo il giorno prima. Improvvisamente gli parve tutto assurdo,  tutto sbagliato. Parlò con impeto, con le lacrime che scendevano velocemente sulle sue guance, ma non vi badò, doveva sfogarsi o sarebbe impazzito.
Souichi provò segretamente pena per lui, il dolore che quel ragazzo provava era palpabile e nei suoi occhi vi era solo paura. Improvvisamente si sentì molto simile a lui, era una sensazione strana, che non aveva mai provato, come se l’avesse legato a sé. Prima col suo sorriso, poi con quelle lacrime. Durante il racconto, Souichi  non tradì alcuna emozione, lo guardò fisso, a volte annuendo, ma stette zitto per tutto il tempo. Finché l’altro non smise di parlare e di asciugarsi con gesti nervosi le lacrime cristalline.
 
Morinaga si vergognava. Si era mostrato debole  e aveva addirittura pianto. Come un bambino. E quel ragazzo non aveva detto nulla. Niente, non una parola, non un commento, neanche un movimento. Era rimasto lì, fermo, ad ascoltare. E ora era in collera. Non con lui, ma con se stesso: non era stato in grado di salvare i suoi amici. Voleva andare via, voleva scappare, ma non poteva ed era già tanto che riuscisse a reggersi in piedi, non sarebbe sopravvissuto di certo se se ne fosse andato.  Stravolto, poggiò la sua mano su quella del ragazzo, ancora posata sulla sua spalla, e la strinse lentamente; Souichi la ritrasse immediatamente, forse perché non era abituato a tutto quel calore dopo tanto tempo in mezzo al gelo più totale e Morinaga si girò tristemente sdraiandosi a terra e coprendosi con la coperta quasi fin sopra gli occhi, rannicchiandosi e cercando di scacciare dalla mente quei ricordi strazianti. Souichi, non sapendo cosa fare, fissò la schiena del ragazzo che, a tratti, ancora tremava, ben visibile anche con il tessuto addosso; poi, confuso, si stese a sua volta sul pavimento, di schiena, osservando il soffitto di legno e chiedendosi perché avesse voluto salvare quello strano ragazzo. 
*Ecco il secondo capitolo! Spero vi piaccia :3 Secondo voi cosa accadrà nel prossimo?? Recensite ;)*
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Bora di preoccupazione ***


Morinaga si svegliò di soprassalto, sudato e con il cuore in gola, ma restò fermo, in allerta, sul pavimento gelido. Sbatté le palpebre per cercare di mettere a fuoco la realtà che lo circondava, nella luce soffusa del mattino che dominava la stanza; poi, agitato, inspirò ed espirò per calmare il respiro veloce. Con gli occhi socchiusi intravide qualcosa muoversi accanto a lui e con rapidità si mise a sedere, sulla difensiva. Quando realizzò che ciò che aveva visto era, in realtà, Souichi, si diede mentalmente dello stupido. Tirò un sospiro di sollievo e la sua risata si diffuse nel capanno vuoto. «Buongiorno…» disse, un po’ imbarazzato. L’altro ricambiò tranquillamente mentre, in piedi e con un ascia in mano, si apprestava ad uscire. Morinaga si stiracchiò lentamente, sentendo i muscoli intorpiditi del suo corpo distendersi man mano e le sue ossa scrocchiare leggermente e, distrattamente, si alzò. Subito il freddo gli si appoggiò addosso, coprendogli ogni centimetro di pelle.

Souichi vide la coperta scivolare sul corpo ancora privo di vestiti di Morinaga  e posarsi, poi, velocemente al suolo; seguendo con lo sguardo il percorso del tessuto, i suoi occhi avevano potuto osservare la sinuosità dei suoi muscoli tesi all’altezza delle spalle, i capezzoli irti per l’aria gelida, gli addominali appena visibili sotto il ventre piatto, le anche lineari e poi… pur non volendo, si soffermò sulle sue parti intime. Morinaga parve accorgersene e si coprì in tutta fretta, balbettando qualche scusa poco convinto e dirigendosi, svelto, verso i suoi vestiti ormai asciutti. Souichi si voltò rapidamente, arrossendo, ed uscì, sentendosi quasi più nudo di Morinaga. Dopo aver chiuso la porta alle sue spalle, si appoggiò di schiena allo stipite e, con il cuore che batteva all’impazzata, si chiese perché si sentisse così strano. Scosse la testa e, rapidamente, si diresse verso il centro della foresta ma la voce del ragazzo lo fermò. Sentì i passi dell’altro avvicinarsi, inciampando, a volte, nei cumuli di neve e il suo nome essere ripetuto con insistenza quasi snervante, non si voltò: non aveva il coraggio di guardarlo in faccia. Souichi riprese con passo deciso, guardando dritto avanti a sé, mentre pensava di nuovo al perché avesse salvato quel ragazzo.

Morinaga, preoccupato,  lo raggiunse e disse con tono gentile «Non è meglio che controlli la tua ferita? Come pretendi di spaccare la legna in queste condizioni?» e, prima che Souichi potesse reagire o dire qualcosa, gli prese l’ascia dalle mani e lo superò, deciso a farlo riposare. Davvero non voleva che si sforzasse, dopotutto doveva fare davvero male anche se l’altro non lo dava a vedere. Souichi lo seguì, cercando di riprendere l’ascia e dicendo di star bene, ma Morinaga restò fermo nella sua intenzione, imperterrito. Tuttavia, inesperto, sbagliò più volte a tagliare rami e alberi mentre Souichi, infastidito quanto divertito, lo sgridava «Così non sei di grande aiuto, sai?» gli disse quando il ragazzo, per l’ennesima volta, colpì il legno con poca convinzione, facendo solo un lieve segno su di esso. «Ma… davvero, io ci sto provando… e tu non ce la faresti con quella ferita!» rispose Morinaga, picchiando più forte sul tronco e asciugandosi, con il dorso della mano, la fronte imperlata di gelido sudore, mantenendo lo sguardo allegro sebbene il ragazzo fosse visivamente affaticato. Souichi rimase sorpreso della sua determinazione e, fiducioso, dopo qualche ora, lo lasciò al suo lavoro e tornò al capanno, dedicandosi ad alcune faccende ormai quotidiane: costruì alcune trappole per catturare piccoli animali, raccolse alcune bacche dai cespugli e cominciò ad accendere un piccolo fuoco all’interno del capanno. Senza che se ne rendesse conto si era fatta sera e notò che Morinaga ancora non era tornato. Attese, con ansia, fino al tramonto, poi, sapendo i rischi e i pericoli del bosco notturno, uscì rabbrividendo dal capanno e s’incamminò rapidamente verso il luogo dove lo aveva lasciato. Ad aspettarlo di fronte all’albero, solo alcune impronte ormai quasi scomparse, leggere sulla neve che si dirigevano silenziose verso un sentiero nascosto e coperto di alberi. Confuso e sempre più preoccupato, Souichi seguì le orme, a fatica, spingendosi ben oltre i limiti del bosco e rimase scioccato da quel che vide quando esse scomparvero del tutto.

Morinaga osservava la natura fitta e insidiosa della foresta, non sapeva quante ore erano passate, non sapeva perché si era spinto tanto lontano ma, mentre tagliava la legna, aveva sentito il disperato bisogno di cercare i suoi compagni, o almeno i loro corpi: non voleva lasciarli sepolti sotto la neve. Perciò, poiché era ancora giorno, smise di picchiare i tronchi e, guardandosi attorno, ebbe l’idea di andare in avanscoperta, cercando disperatamente di ritrovare il sentiero che lo aveva condotto da Souichi dopo quel giorno maledetto. Cominciò allontanandosi di poco, facendo qualche passo e tornando subito indietro, poi, prese coraggio con la speranza che, come lui, anche Yamaguchi potesse essere sopravvissuto. Con gioia e angoscia nel cuore, superò alberi e cespugli innevati, tronchi e rami spezzati e a terra, girò a vuoto tra abeti che gli sembravano tutti identici, scavalcando massi e mischiandosi al bianco candido della neve. Fin quando, con il sole che, timidamente, usciva dalla scena del suo spettacolo quotidiano, guardandosi alle spalle, ebbe la consapevolezza di essersi completamente perso nei meandri di quella boscaglia e della sua ingenuità. Con il cuore in gola e la paura che riaffiorava, ricordando le urla e il sangue, Morinaga vagò per un tempo lunghissimo, ancora e ancora, senza trovare nulla. Né Yamaguchi, né il sentiero per andare avanti, né quello per tornare indietro. Stanco e spaventato, si fermò, poggiandosi ad un grande tronco di quercia e crollando a terra; Solo ed infreddolito, cominciò a piangere piano, quasi di nascosto, quasi sentendosi spiato dalle poche foglie che ancora resistevano attaccate ai rami. Poi sentì un ululato, due, tre... Strinse le ginocchia al petto, avvicinandole con le braccia e nascondendo la testa tra di esse, pensando che stavolta non ci sarebbe stato nessun Souichi a trovarlo mezzo morto nella neve, non ci sarebbe stato nessuno a salvarlo. Era solo. Con lacrime calde a scorrergli veloci sul viso, quasi fuori luogo per il clima secco e pungente della sera, e la paura che gli attanagliava le viscere, rimase lì, rannicchiato al tronco e immobile, sperando di rivedere il prologo del sole il giorno successivo, ma sentendosi come uno spettatore senza biglietto che, puntualmente, non può assistere allo spettacolo.

Souichi arrancò nel buio, maledicendo quel ragazzo idiota. Fortunatamente, grazie all'attenzione di cacciatore, era riuscito a seguire le sue orme fino al corpo del ragazzo. Per la seconda volta lo trovò in mezzo alla foresta, come se fosse un pezzo integrante del paesaggio, un tutt'uno con l'albero. Per la seconda volta l’apprensione si impadronì del suo cuore, facendo sgretolare un altro dei tanti frammenti di ghiaccio che lo ricoprivano. Svelto, si avvicinò a lui. Il volto di Morinaga era pallido, le labbra sottili quasi viola, i capelli umidi e il respiro ridotto ad un soffio leggero. Souichi lo scosse piano, chiamando il suo nome prima con calma poi con maggior intensità, ma Morinaga non reagì, rimase fermo, congelato in quella posizione. Souichi lo sollevò di peso, lentamente, afferrandogli il fianco con il braccio e tirandolo su con l’altro. Un bruciore acuto gli si propagò per tutta la spalla: la ferita si era riaperta. Imprecando, Souichi camminò per qualche metro nella neve alta con Morinaga al fianco, ma, lo sapeva, non sarebbe mai riuscito a tornare indietro con quel buio e con Morinaga in quello stato... Era troppo faticoso per il suo fisico. Maledì sottovoce il ragazzo e rimase in piedi, indeciso su cosa fare. «Souichi…» Il ragazzo si girò di scatto e guardò Morinaga, stupito. Ma quest’ultimo giaceva inerme appoggiato a lui e sembrava non essersi mosso, figuriamoci parlare, forse aveva confuso il soffio del vento con la sua voce... “Sto impazzendo” si disse Souichi, scuotendo la testa e muovendo ancora qualche passo in avanti, sempre più dubbioso. «Scu…sa» Souichi si fermò. Stavolta l’aveva sentito sul serio, un sussurro strozzato: la sua voce. Si avvicinò a dei cespugli, proprio sotto un grosso albero e poggiò delicatamente il corpo del ragazzo a terra, poi lo scosse ancora «Morinaga, mi senti? Riesci a parlare?»

Morinaga inarcò le sopraciglia, riconosceva la voce di Souichi e l’unica cosa che desiderava era urlare la sua gioia. Sapeva che ora erano nei guai in due, ma il solo fatto che Souichi non lo avesse lasciato morire ma si fosse spinto così lontano, rischiando la vita solo per trovarlo, lo riempiva di gioia assoluta. E non riusciva a parlare. Sentiva la gola raschiare, troppo secca per emettere un tono deciso o alto e, più ci provava, più non riusciva quasi ad emettere alcun suono. Con un filo di voce si era appropriato del nome di Souichi e aveva cercato di chiamarlo, piano, quasi impercettibilmente; infatti, lui non se ne era accorto… Provò di nuovo, voleva essere ascoltato, voleva fargli sentire che era vivo, che lo sentiva, e che soprattutto gli dispiaceva per averlo messo in quel pericolo. Cercò di sorridere quando Souichi gli chiese se poteva parlare. Ma il suo corpo era come atrofizzato, privo di calore e anche al suo interno Morinaga sapeva che c’era qualcosa che non andava: la debolezza che sentiva, non era comune. Era conficcata nei muscoli e si faceva strada verso le ossa, colpiva ogni parte del suo corpo impedendogli di reagire, di muoversi e gli occhi, sebbene cercasse disperatamente di aprirli, restavano chiusi in una morsa di ghiaccio, sigillati. Se avesse potuto avrebbe pianto, sia per la felicità sia per la frustrazione sia per l’angoscia che provava. Sforzandosi, cercò di puntare gli occhi su Souichi, cercò di farsi capire… ma era tutto inutile, più provava a sforzarsi e più sentiva le forze abbandonarlo. Più voleva muoversi, più gli sembrava di essere completamente immobile; più cercava di parlare, più la sua voce se ne andava; più aveva bisogno di esprimersi e più le espressioni gli mancavano. Ma la cosa che più di tutte desiderava era restare sveglio e più lo desiderava, più il sonno lo trascinava verso il buio.
«Oi? Oi Morinaga, mi senti? Idiota! Non devi dormire, ok? Non devi dormire!» Esclamò Souichi , in preda all'ansia, conscio di ciò che stava accadendo. Una bora ghiacciata di preoccupazione e paura lo colpì, mentre cercava in tutti i modi di tenere sveglio quello strano ragazzo. 

* il terzo capitolo! Scusate il ritardo ma ho problemi di rete fastidiosissimi >.< Spero sia valsa la pena di aspettare xD Cosa accadrà a Morinaga nel quarto capitolo?*

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Labbra innevate ***


Morinaga cercava disperatamente di restare cosciente. Sentiva il suo corpo scosso e agitato più volte dalle braccia di Souichi e la sua voce nervosa dire il suo nome di continuo, sebbene ormai tutto sembrasse sfocato e indefinito. I suoni, infatti, erano attutiti e ovattati, la pelle priva di sensibilità, le labbra doloranti e screpolate per il freddo; ma nel suo freddo torpore, Morinaga non provava paura, non più almeno. Aveva sbagliato ad addentarsi in quel luogo di morte, aveva sbagliato a fuggire egoisticamente e a lasciare i suoi compagni al loro destino e ora, ora sentiva che era così che sarebbe dovuta andare fin dall’inizio. Forse era destino o forse aveva sempre saputo che sarebbe morto lì, nella neve, come se la vita avesse già deciso la sua morte.

Souichi era nel panico. Prima di tutto, era arrabbiato perché quello che aveva di fronte era un vero cretino. Ma era anche felice perché quello che aveva di fronte era un cretino ancora vivo. Tuttavia, era preoccupato soprattutto perché aveva notato che quel corpo era, ormai, in ipotermia. Lo scrollò per le spalle, lo schiaffeggiò piano, lo coprì con la sua giacca, ma Morinaga non reagiva e, come se non bastasse, erano ben udibili possenti ululati di lupi famelici, sebbene in lontananza. Souichi imprecò ancora, guardingo: quel luogo non era affatto sicuro. I cespugli erano troppo bassi e non li coprivano del tutto alla vista dei predatori, l’albero aveva un tronco enorme ma era privo di foglie e i suoi rami sembravano assai fragili, inoltre la neve attorno a loro era marcata da varie impronte di animali. Rassegnato, si accorse tuttavia che quello era il posto più protetto che ci fosse nei paraggi. Tornò ad osservare Morinaga: tremava. Con cautela gli si avvicinò, afferrandolo piano e, non sapendo bene cosa fare, strinse istintivamente il suo corpo fra le braccia, in una morsa disperata quanto calda. Il corpo di Souichi era quasi freddo quanto quello del ragazzo, ma il suo cuore ardeva di sincera paura. Guardò di nuovo Morinaga che, pallidissimo, sembrava dormire serenamente, e, mentre lo teneva stretto a sé, Souichi desiderò soltanto poter rivedere i suoi occhi chiari ancora una volta.

Il freddo si era fatto, man mano, meno intenso, e Morinaga avvertiva una strana sensazione; la sua guancia era come schiacciata su qualcosa di ruvido e il tenue calore sulla sua schiena, anche se leggero, era davvero piacevole. Morinaga cercò di avvicinarsi di più a quel tepore, muovendo a fatica le dita tremanti e afferrando debolmente il lembo di un tessuto. Un lieve e vago odore di muschio gli impregnò le narici, mentre una voce soffusa gli perforò le orecchie «Morinaga… non provare a morire tra le mie braccia.» Era la voce di Souichi. Nel suo limbo, Morinaga aveva quasi creduto di aver solo immaginato che il ragazzo lo avesse trovato e stesse cercando di salvarlo. E, invece, Souichi era davvero lì al suo fianco e, ora lo sapeva, lo stava abbracciando per dargli un po’ del suo calore corporeo. Una lacrima gli colò sul viso «Gra...zie.» riuscì a sussurrare, con voce impastata e stanca, cercando però di far trapelare tutta la sua gioia e la sua gratitudine. Sentì le braccia di Souichi stringere ancora di più il suo corpo e lui si adagiò meglio sul suo petto. Si chiese se quel calore e quella voglia di stargli vicino fossero solo dovute alla circostanza e al gelo che avvertiva, o se ci fosse qualche motivo in più;e fu in quel momento che Morinaga capì che non voleva lasciarlo: voleva solo riprendersi e proteggerlo, come stava facendo quel ragazzo con lui. Voleva stargli accanto, voleva… la mente gli si annebbiò per qualche attimo. La stanchezza non accennava ad andarsene e Morinaga sentiva le membra molli, mentre sembrava che le sue labbra stessero per staccarsi pezzo a pezzo, con un bruciore acuto e perpetuo a tormentarle. «Acqua» bisbigliò, istintivamente, in cerca d’aiuto, facendo uno sforzo immane per muovere la bocca, mentre un brivido gli percorreva la schiena.

Souichi non era certo di aver capito cosa avesse bofonchiato Morinaga. «Hai detto acqua? Non la ho! Dove la vado a prendere ora dell’acqua, secondo te?» lo sgridò in un primo momento, senza convinzione. Il ragazzo rimase in silenzio; Souichi sapeva che era allo stremo delle forze e sapeva anche che Morinaga aveva ragione: aveva bisogno di acqua. Ma davvero non aveva portato nulla con sé quando aveva deciso di andare a cercarlo e, ora, trovare una qualche fonte d’acqua era pressoché impossibile. Si guardò attorno, scrutando la natura. «Dell’acqua, eh?» ripeté a sé stesso, riflettendo. Ci erano seduti sopra. La neve. Paradossalmente, la stessa neve che stava uccidendo Morinaga ora poteva, invece, salvarlo. Souichi prese una manciata di fiocchi tra le mani e cercò di scioglierli tenendoli tra le dita, ma ormai la sua temperatura era scesa e le sue mani erano intorpidite, quasi ghiacciate. Così non sarebbe mai riuscito a raggiungere il suo obbiettivo; prese dunque un po’ di neve e la mise in bocca. Il calore del suo interno riuscì a scioglierla e la neve divenne subito acqua. Sollevato, Souichi spostò lentamente il volto di Morinaga verso di lui e, con delicatezza, si avvicinò alle sue labbra, ormai livide, posandogli sopra le proprie. Schiuse piano la bocca e spinse il liquido all’interno di quella del ragazzo, sentendo un po’ d’acqua colargli giù fino al mento. Vide l’altro ingoiare piano e deglutire, come a voler dire di volerne ancora. E Souichi lo fece: prese la neve, la sciolse e dissetò Morinaga, ancora e ancora, riscaldando quelle labbra pallide e, ormai, più gelide della neve stessa.

Non sapeva che il ragazzo, dentro di sé, aveva ancora sete. Una sete sconvolgente e profonda che bruciava al suo interno con foga, mentre sperava che quei baci di acqua fredda non finissero mai. Morinaga ne voleva ancora… Era come se Souichi stesso fosse l’acqua e si stesse donando a lui, e subito lo cercava, lo desiderava e tentava di chiedere un altro sorso. “In fondo, senza acqua un uomo non può vivere a lungo” pensò con consapevolezza Morinaga. Perciò sorrise piano, distendendo i muscoli facciali indolenziti,  rilassando tutto il corpo e accoccolandosi su Souichi. Poco dopo sentì un mano umida accarezzargli i capelli, poi ritrarsi timidamente e nascondersi dietro il suo collo. Morinaga si sentiva così bene nell’anima che quasi dimenticò le condizioni del suo corpo e la terribile situazione in cui si trovavano: la gentilezza di Souichi  aveva fatto breccia nel suo cuore e Morinaga sentiva che la gratitudine che provava nei suoi confronti non poteva che essere ricambiata con il suo amore. Un amore che, per la sua repentinità,  lo travolse come la più violenta delle valanghe e Morinaga, sepolto sotto quel sentimento così chiaro, si lasciò andare, cedendo al sonno e alla stanchezza che lo opprimevano.

Souichi sentì il respiro di Morinaga cambiare e diventare, per quanto possibile, ancora più lento. Si spostò quanto bastava per vederlo in faccia e constatò che si era addormentato. Cominciò ad agitarsi pensando a come avrebbe reagito se il ragazzo fosse morto… Scacciò dalla mente quei pensieri e strinse la testa di Morinaga sul suo petto con decisione. La notte era ancora lunga e la luna schiariva il paesaggio, allungando le ombre dei rami secchi e riflettendosi sulla neve limpida; la luce soffusa e la calma del bosco, con, a tratti, versi lontani di animali, o il soffio del vento che sferzava tra le fronde spoglie degli alberi, crevano un’atmosfera tenue e misteriosa, ma anche rilassante e ipnotica. Le palpebre di Souichi calarono lentamente sui suoi occhi, mentre la testa si chinava leggermente. Con uno scatto, il ragazzo si destò cercando di restare lucido ma, senza che potesse farci nulla, la sonnolenza impose le sue fredde mani sui suoi occhi, chiudendoli con lentezza. Il ragazzo lottò invano contro la dolce tentazione di Orfeo fino alla fine, finché, stremato e rassegnato, non poggiò la sua testa su quella di Morinaga, lasciandosi trasportare dal dio del sonno e dei sogni, anche se fino all’ultimo pregò con tutto il cuore che non accadesse nulla a quel ragazzo. 

*Ecco il quarto capitolo! Spero vi piaccia :3 Recensite, criticate e suggerite cosa può accedere muhaha ;)*

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Valanga di emozioni ***


Souichi si svegliò, stranito. Il collo gli doleva e il freddo gli diede il buongiorno, sorridendo perfidamente. I suoi capelli lunghi, riversi sul viso, gli oscuravano la visuale, mentre altri ciuffi scuri gli solleticavano il mento. Alzò  il volto e li spostò con un gesto brusco, poi si mosse adagio, sentendo ogni parte del suo corpo addormentata  e dolorante. Con rapidità, tutti gli eventi della sera prima gli invasero la mente e, con timore, controllò se Morinaga fosse ancora lì con lui, vivo. Non appena spostò lo sguardo verso il basso, ebbe la risposta: sorpreso, si trovò, infatti, di fronte a due iridi chiare che si mescolavano alla perfezione con lo sfondo in cui erano immerse. Occhi di un azzurro così intenso  da ipnotizzarlo. Souichi rimase per qualche secondo imbambolato, continuando a fissare gli occhi di Morinaga, finalmente aperti e che sembravano voler fondersi con i suoi tanto il volto del ragazzo era vicino al suo.  Subito un insolito sollievo si appropriò del suo viso, facendogli estendere le labbra in un solare e ampio sorriso.

Si era svegliato qualche ora prima di Souichi, con i muscoli congelati e la schiena intorpidita per la posizione curva che aveva mantenuto così a lungo mentre dormiva. Confuso e alquanto esausto, Morinaga rimase fermo, quasi in ascolto, sentendo il fiato leggero di Souichi che, condensando lievemente in un brevissimo spazio d’aria, si infrangeva sul suo collo in un respiro ancora dormiente. La luce del mattino colpiva ininterrottamente il suolo che, a contatto con i timidi raggi, creava un effetto brillante in superficie, come se ogni fiocco di neve assorbisse e riflettesse all’istante piccole porzioni di luminosità; sopra le loro teste, teneri passeri cinguettavano tra i rami, spettatori di un risveglio lento e delicato e, assieme ad essi, ecco spuntare dagli alberi un piccolo scoiattolo che, dopo aver mostrato il suo musetto ed essersi strigliato il pelo con le zampe anteriori, subito torna a rifugiarsi nella sua tana, infreddolito. Morinaga si chiese, stupito, se quella fosse la stessa foresta della notte prima che, nella sua memoria frammentata, era caratterizzata da rumori inquietanti, versi spaventosi e dal buio più assoluto. Allora, solo la presenza di Souichi al suo fianco gli era sembrata meravigliosa, l’unico appiglio a cui aggrapparsi in quell’antro oscuro e temibile, l’unica salvezza. E, anzi, lo era stato davvero. Aveva rischiato di morire sul serio. Aveva messo in pericolo la persona che lo aveva salvato, aveva, col suo egoismo, fatto rischiare la vita anche a lui. Morinaga si girò lentamente, alzando la testa quel tanto che bastava per guardare Souichi; subito lunghe ciocche scomposte di capelli chiari gli sfiorarono il viso, mentre il ragazzo, con gli occhi chiusi e l’espressione rilassata, continuava a sonnecchiare amabilmente. Morinaga fissò quel volto dai lineamenti morbidi, soffermandosi poi sulle labbra rosee e sottili: le labbra che lo avevano sottratto alla morte. Affascinato e spinto da una tenerezza improvvisa, si sporse verso il viso del ragazzo, ignorando gli arti doloranti che avrebbero preferito restare immobili un altro po’, desideroso di sentire nuovamente la gentilezza di quelle labbra. Ma fu proprio in quel momento che vide Souichi svegliarsi piano e, imbarazzato, non si mosse, facendo finta di niente e aspettando che il ragazzo si accorgesse di lui. In un attimo i loro occhi, finalmente, si incontrarono, dopo un duro cammino di ansia e preoccupazione, e Morinaga fu colpito dalla felicità che vi scorse all’interno, e che, man mano, vide espandersi sul suo volto fino ad illuminarlo con un sorriso. Un sorriso che avrebbe potuto far sciogliere anche l’intera montagna dove si trovavano ma che, in compenso, fece sciogliere il suo cuore.  

Ben presto, il breve e gioioso sorriso di Souichi si dileguò, scacciato da un’espressione ben meno amichevole, creata da pensieri prepotenti e accusatori: cosa era passato per la mente di quell'idiota? Al limite della rabbia, si trattenne dal tirargli un pugno in piena faccia solo perché le sue braccia erano troppo deboli per alzarsi e vibrare il colpo. Innervosito, si scrollò di dosso il ragazzo e cercò di alzarsi lentamente, sentendo, però, le gambe cedere mentre un formicolio insistente le percorreva. Con un’esclamazione di sorpresa, si lasciò cadere verso il basso, senza poter reagire in alcun modo, sporgendosi in avanti e preparandosi a rovinare sulla neve gelida; invece, due braccia possenti lo tirarono indietro appena in tempo, facendolo atterrare di schiena sul petto di Morinaga, mentre quest’ultimo, sbilanciato e ancora con poca forza, cadde all’indietro, sbattendo la nuca contro il grosso albero alle loro spalle. «Ah… Che male…» si lamentò il ragazzo, massaggiando lievemente il punto colpito. Poi si riprese «Tutto bene, Souichi?» chiese con tono gentile, un po’ ansioso. Souichi, ancora stupito,  non rispose subito: la voce del ragazzo gli aveva tolto ogni capacità espressiva. Il suo essere si divise completamente in due mentre, da una parte, pensava a quanto gli fosse mancata quella voce limpida e a tratti quasi infantile e, dall’altra, cercava con tutte le forze di non far trapelare i suoi sentimenti, deciso a mantenere un comportamento di severo rimprovero verso Morinaga. «Sto bene.» Disse infine, optando per una risposta diretta e concisa. In realtà, avrebbe voluto urlargli in faccia che era stato uno stupido, che lo aveva fatto preoccupare da morire, che se non fosse stato così debole lo avrebbe ucciso lui a forza di schiaffi… Ma voleva soprattutto dirgli che era felice che fosse vivo e che non voleva rischiare di perderlo mai più. Cos'erano tutte quelle sensazioni, tutte quelle emozioni in una volta, solo per quel ragazzo... Possibile che si sentisse così, solo per quello stupido? Cercò di rimettersi in piedi, in silenzio. Ma Morinaga lo trattenne e, prima che Souichi se ne rendesse conto, il ragazzo si sporse verso di lui e lo baciò quasi avidamente. Souichi sbarrò gli occhi, sentendo premere le labbra del ragazzo sulle sue e, sconcertato, si scansò all’istante, cercando di restare calmo, sebbene stesse tremando. Una valanga di sentimenti gli si riversò sul cuore ghiacciato. La sorpresa, la perplessità e il sottile miscuglio di ribrezzo e piacere che provava, gli impedirono di insultarlo o di malmenarlo come avrebbe voluto fare e, scioccato, si alzò rapidamente in piedi, senza guardarlo, pensando ancora al perché lo avesse salvato una seconda volta. Con la testa che girava, si appoggiò all’albero, chiedendosi come mai si sentisse così legato a quel ragazzo sconosciuto e perché avesse così paura di restarne privo. “Maledizione, che mi sta succedendo?” pensò, irrequieto, guardando dall’alto Morinaga che, nel frattempo, stava cercando di muovere gli arti nel vano tentativo di mettersi in piedi, mantenendo lo sguardo basso, di certo imbarazzato per quello che aveva appena fatto. Sospirando, Souichi gli porse la mano, stavolta senza degnarlo di uno sguardo e spostando, invece, la sua attenzione sulla foresta: il fatto che fosse giorno non significava che non ci fossero animali feroci e, anzi, il ragazzo si chiese come fosse stato possibile che non li avessero attaccati per tutta la notte. “Siamo stati fortunati…” pensò scrutando tra i tronchi degli alberi, come se da un momento all’altro potesse scorgervi un branco di lupi assetato di sangue, ricordando gli occhi dorati del lupo che lo aveva inseguito solo il giorno prima. Istintivamente, si toccò il braccio ferito che, come si aspettava, aveva sanguinato durante la notte e aveva macchiato la manica dell’indumento. Infastidito e con la sola voglia di tornare al capanno pensò “Morinaga… è tutta colpa tua, non ti perdonerò così facilmente, bastardo!” mentre, tuttavia, aiutava Morinaga a stare in piedi e s’incamminava verso un sentiero alle sue spalle, aspettando che l’altro lo seguisse.

Morinaga sapeva che Souichi era arrabbiato con lui. Per questo, mentre lo seguiva su stradine innevate circondate da abeti e pini e intricate per la neve alta, non aveva detto nulla, avvolgendosi nel silenzio così come aveva fatto Souichi. Non gli era bastato metterlo in pericolo e farlo infuriare per aver avuto così poco buonsenso? No, aveva anche dovuto metterlo in imbarazzo, baciandolo senza alcun motivo. “Sono un stupido” si disse, affondando l’ennesimo passo incerto nel manto di neve solida. Eppure, lo avrebbe rifatto senza esitazioni. Magari non era stato il momento migliore per baciarlo, se ne rendeva conto,  ma, in quel momento, era l’unica voglia che aveva, l’unico desiderio che, dalla sera prima, si portava dentro: voleva bruciare la distanza tra loro ancora e ancora, senza ricevere acqua ma donando amore. Quando aveva visto Souichi perdere l’equilibrio, non aveva esitato un solo istante e si era precipitato a sorreggerlo, sebbene sentisse il suo corpo come spezzarsi ad ogni minimo gesto. E sentire la sua schiena addosso, con i capelli che gli cadevano leggeri oltre le spalle, in un vaporoso disordine di ciocche chiare e vedere la pelle scoperta sul suo collo bianco, lo avevano spinto a quel gesto così repentino e quasi violento da parte sua. Non era riuscito a fermarsi e, ora, si vergognava e non sapeva che dire. Souichi camminava avanti a lui, con un atteggiamento attento, quasi solenne, mentre si muoveva tra cespugli e rami secchi. «Souichi… io...» cercò di enunciare, deciso a dirgli quel che pensava. Voleva che fosse suo, voleva vivere con quel ragazzo nella neve, in un capanno quasi troppo stretto per due persone… fin quando non fossero diventati una cosa sola. Morinaga vagò con la mente in corpi che s’intrecciavano tra loro accanto ad un fuocherello, sul pavimento freddo in legno che, man mano, si scaldava mentre membra sudate non badavano più al gelo dell’esterno, lasciando fuoriuscire ardenti gemiti e lamenti, urla e dolci parole sussurrate tra un bacio ed un altro… mentre mani scivolose graffiavano le carni e si avvinghiavano alle anche cercando movimenti più possenti. Con questi pensieri, Morinaga lasciò la frase in sospeso, con la sua dichiarazione strozzata sul nascere che, si disse strasognato, sarebbe stata esposta al suo Souichi un’altra volta, con più calma e ragionevolezza. 

*Ecco a voi il quinto capitolo! Tattarattata! Spero che vi piaccia e, soprattutto, spero in qualche vostra recensione :3 Ringrazio in anticipo chi continua a seguire codesta insulsa storia :) Alla prossima con il sesto capitolo già in corso... chissà se le fantasie di Morinaga diventeranno realtà!*

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Dolorosa brina ***


Il capanno si stagliava, pigramente, al centro della radura completamente avvolta dalla bianca atmosfera lucente del paesaggio. Con un sospiro di sollievo, Souichi si affrettò verso di esso, impaziente di accendere un bel fuoco per riscaldarsi ed intenzionato ad affrontare Morinaga in una discussione di serio rimprovero. Quando aprì la porta, però, l’odore intenso del legno bagnato e del muschio lo inebriò e, per una frazione di secondo, sembrò dimenticarsi completamente del ragazzo alle sue spalle e della sua rabbia pronta ad esplodere. Entrò in silenzio, dirigendosi velocemente verso la poca legna rimasta in un angolo del capanno per poi chinarsi e prenderla per accendere il fuoco. Il rumore di timidi e stanchi passi dietro di sé, lo fecero tornare lucido e la realtà gli piombò addosso tutta insieme; era furioso. O almeno pensava di esserlo.   Con rapidità e movimenti bruschi poggiò a terra i ciocchi di legna e con rabbia fece sì che un tenue fuoco illuminasse e riscaldasse un minimo il capanno, poi si girò, continuando a non guardare Morinaga e si sedette il più lontano possibile da lui, infiammandosi al pensiero di quel bacio rubato nella neve e stizzito da quel gesto così innecessario e immorale. 

Morinaga se ne stava in piedi in un angolo, appoggiato alla parete, con lo sguardo rivolto ora verso il basso ora verso Souichi: si vergognava. Eppure, sentiva che quel che aveva fatto poco prima era stata la cosa giusta da fare o, se non giusta, era stata ciò che lui voleva. Baciare quel ragazzo. Baciarlo ancora e ancora, sentendo il freddo delle sue labbra intiepidirsi e i tratti di pelle screpolata per il ghiaccio ammorbidirsi ai suoi baci, scambiarsi porzioni di saliva per amore e non semplice acqua, donarsi liquidi vitali per bisogno naturale più che per necessità di sopravvivenza, provare amore anziché effimera gratitudine. Amore, amore… Lo amava? Souichi, freddo e scostante come un lupo, solitario e iracondo, sospettoso, con un così pessimo carattere da essere rimasto completamente solo in un capanno dimenticato dal mondo. Lui era colui che amava e che sentiva di poter amare per l’eternità, congelando il suo amore nell'attimo in cui, svegliandosi, si era ritrovato tra le sue braccia, salvato da morte certa? La vergogna e l’ostinazione, la dolcezza e la passione selvaggia, la timidezza e l’orgoglio, gli indicarono la risposta. L’unica vera risposta, la consapevolezza di amare davvero quella persona, giunse a Morinaga lievemente, proprio mentre, all’angolo del capanno, osservava ora il pavimento, ora Souichi. Così, ansioso per il silenzio del ragazzo e per il suo atteggiamento schivo, fece il primo passo, accostandosi a lui. Vide che Souichi continuava a fissare il nulla avanti a sé, ignorandolo completamente; stranito, gli si sedette accanto con mirata cautela, come quando si cerca di avvicinare una bestiolina selvatica. A testa bassa, Morinaga gli rivolgeva timide occhiate, restando in silenzio ma riempiendo l’intero capanno di parole non dette, piene di significato, impregnate di scuse e soprattutto d’amore. Sguardi sommessi e colpevoli, carichi di frasi sottointese. Alla fine, Souichi cedette «Che vuoi?» gli chiese in tono brusco, imbronciato, ancora senza degnarlo di uno sguardo. Morinaga non rispose subito, stordito da quel suono tagliente che era la sua voce e, ripensando al tono gentile e preoccupato della notte precedente, pensò che forse i ricordi che aveva fossero semplici proiezioni di un incubo trasognato.

Notando che il ragazzo non rispondeva e prendendolo quasi come un atto di sfida, Souichi continuò «Che vuoi da me, si può sapere? Ti stai prendendo gioco di me? Ti salvo una volta e decidi di andare a fare una scampagnata notturna nel bosco da solo. Vuoi forse morire? Perché se è così dimmelo subito: non ci metto niente a farti fuori con le mie mani!»       E il suo pugno si abbatté a terra con forza, facendo sobbalzare il ragazzo. Souichi riprese fiato, mentre il respiro affannato per la rabbia creava piccole nubi di vapore nell’aria fredda, vide Morinaga aprire la bocca per ribattere ma istintivamente lo bloccò «Hai idea di quali pericoli abbia corso per cercarti?» urlò furibondo «Eh? Ti rendi conto di quanto sia rischioso uscire là fuori di notte? Riesci anche solo ad immaginare quanto fossi preoccupato per te?» E il secondo pugno colpì il pavimento in legno. Souichi, proteso in avanti con le braccia piegate e accucciato col il viso rivolto verso terra, sentendo le vertebre della schiena incrinarsi e il torace alzarsi ed abbassarsi rapidamente, cominciò a tremare con forza e, sommessamente, rimase immobile, nervoso e arrabbiato come non mai.

Morinaga non sapeva cosa fare. Restò fermo, sconvolto, vedendo Souichi in quello stato e, consapevole del fatto che il ragazzo stesse così a causa sua, si sentì morire dentro.             Sentendo il male e il dolore che aveva causato, percependo la poca fiducia che aveva ottenuto andare in frantumi e stupito per quella reazione malata di rabbia, lui stesso si sentì partecipe di tale frustrazione. Il ragazzo, sconfortato, si sentiva colpevole e impotente, mentre un turbine di sentimenti gli si riversava addosso e le emozioni si scontravano, come fiocchi di neve in una bufera, al suo interno, impedendogli di dire o fare qualsiasi cosa. Davvero non sapeva come comportarsi: qualsiasi cosa pensasse gli sembrava sempre indissolubilmente sbagliata, qualsiasi cosa stesse per fare gli sembrava stupida o superflua. Con gli occhi lucidi di compassione, infine agì d’istinto.Tremando, poggiò la sua mano umida sul braccio ferito del ragazzo e, sebbene quest’ultimo si scostò di scatto e lo trafisse con un’occhiata di puro odio, gli strappò la manica del vestito, scoprendo nuovamente ai suoi occhi la ferita ancora impregnata di sangue. Souichi si dimenò come una bestia appena catturata, con le lacrime che scendevano veloci sui suoi zigomi pronunciati e sulle guance pallide «Lasciami.» disse in tono minaccioso, soffiando tra i denti. Al che Morinaga non rispose, si limitò soltanto a guardarlo negli occhi e a mostrargli tutta la sua vergogna ma anche tutta la sua determinazione: strappò dunque un lembo della sua veste, la scaldò sul piccolo fuoco accanto a loro e la posò sul braccio del ragazzo, la strinse e fasciò con grazia la sua ferita. Poi il ragazzo si allontanò e, coprendosi con una stoffa, si rannicchiò lontano da Souichi, anche se il suo unico desiderio era in realtà restargli accanto per sempre, stringerlo tra le braccia e non lasciarlo mai più. In disparte e silenziosamente, Morinaga pianse lacrime cristalline per quanto lo amava, lacrime dolorose che rimanevano intrappolate tra le ciglia scure, come tenera brina tra le foglie sempreverdi, mentre il tetro pensiero di non poter mostrare il suo amore e di non poter essere mai ricambiato si insinuava, più che nella sua mente, nel suo stesso cuore.

Souichi mantenne il silenzio con orgoglio. Chiuso nella sua ostinazione, rimase a lungo dov’era, pensando a quanto strana fosse quella situazione e a quanto si sentisse strano, inquieto, come se ad aver fatto qualcosa di sbagliato fosse stato lui; una cieca rabbia e un sottile ed insensato senso di colpa si diramavano sotto la sua pelle, serpeggiando in lui con avidità e confondendo i suoi pensieri già non molto chiari. Gli sembrava di impazzire. Il suo pianto iroso si era calmato ed ora il ragazzo inspirava con lentezza, inalando ogni gelido atomo d'aria per tranquillizzare il respiro; ma dentro di sè  era furioso, muto, ma allo stesso tempo desiderava dialogare con Morinaga, vedere i suoi occhi sorridere imbarazzati o ascoltare ancora la sua tragica storia, e raccontagli anche la sua magari. Raccontargli chi fosse, aprirsi a lui e dirgli perché era lì nel bosco da solo, ma soprattutto da quanto era lì e quanto strano fosse per lui avere qualcuno attorno oltre la sua stupida ombra, parlare con un essere umano e aver ritrovato sentimenti che non aveva mai avuto o che aveva lasciato sepolti nella neve, congelati all’interno di un bosco glaciale che altro non era che il suo cuore. Spostò, con uno sbuffo infastidito, il suo sguardo verso il corpo riverso a terra del ragazzo: sapeva che stava piangendo. Lo aveva sentito fin da subito, lo aveva percepito quando, improvvisamente, i loro occhi si erano fissati gli uni negli altri come alla ricerca di risposte alle loro troppe mute domande. Lo maledì con poca convinzione, sottovoce, vedendolo così fragile ma anche così tenace nel cercare di mascherare quella sua debolezza e, mosso da una strana ed insensata gentilezza, gli si avvicinò. All'inizio si alzò piano, fingendo di dover attizzare il fuoco che, ormai sazio per la legna, scoppiettava adagio fra i pochi rami e i carboni rimasti; poi, con quest’ ignobile scusa, mentì anche a se stesso, celando ad entrambi il reale desiderio che in verità lo aveva spinto ad avvicinarsi e, quasi pentito per la sua ira, si sdraiò infine al fianco di Morinaga, mentre una un'ultima goccia brinata colava sul suo volto. 
*Buonsalve gente! Mi scuso trementamente per il ritardo, ho ricominciato la scuola e non so quanto tempo impiegherò ad aggiornare la storia :S Spero poco, dato che ho notato che ad alcuni piace e che le recensioni sono aumentate :D Io continuerò a scrivere per voi, voi continuate a recensire per me per favore! ;) Ringrazio tantissimo tutti coloro che mi seguono e che hanno la pazienza di aspettare il settimo capitolo! Un gran ringraziamento va anche ai semplici lettori che, nell'ombra, sfogliano queste pagine virtuali incuriositi :) A presto!!*

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1963854