Le cronache del drago delle tempeste

di Maruko Stormil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La più strana gita scolastica di sempre ***
Capitolo 3: *** Benvenuto nel regno di Fiore! ***
Capitolo 4: *** Un Drago Per Maestro ***
Capitolo 5: *** Di draghi rockettari e pub irlandesi ***
Capitolo 6: *** Il villaggio fantasma ***
Capitolo 7: *** Battaglia al villaggio Hitsuji ***
Capitolo 8: *** Il drago ed il generale d'inverno ***
Capitolo 9: *** L'artiglio del dolore ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


~~Prologo


Nel nostro mondo non esiste la magia. Non esistono i maghi. O almeno non esiste quella magia che non sia una serie di trucchetti per fare uno spettacolo e divertire un pubblico, che paga per vedere illusionisti che li ingannano con la velocità delle mani o con botole e scatole con doppi fondi. No, io parlo della vera magia, quella magia che permette di fare cose umanamente impensabili. Nel nostro mondo non esiste questa magia. Ma un ragazzo riuscì a riscoprire un mondo perduto, un mondo dove esiste la vera magia, e sarà proprio questa magia che gli cambierà la vita… Il mio nome è Maruko, ho 18 anni e frequento la scuola superiore in una piccola città chiamata Carte, nel bel mezzo della Pianura Verde. Io però non abito lì, ma in una piccola frazione che si chiama La Valle dei Due Fiumi, chiamata dai residenti semplicemente Vallefiume. Sono alto più o meno 1 metro e 75, capelli neri lisci con un ciuffo ribelle sulla fronte, occhi castani e un po’ di barba che tengo sempre ben rasata. Fin da piccolo, eccetto la mia famiglia, mi hanno trattato tutti come l’ultima ruota del carro, quello che serviva solo quando c’era bisogno di una mano o quando a scuola si dovevano copiare i compiti. Insomma devo dire che alla fine non ho dei veri amici, più che altro conoscenze. Le giornate erano tranquille e hanno sempre qualche colpo di scena che le rende uniche. La vita però ha sempre qualche sorpresa in serbo e devo dire che quella del 21 ottobre è stata la più strana della mia vita.

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Capitolo 2
*** La più strana gita scolastica di sempre ***


 

La più strana gita scolastica di sempre

E’ ormai da un mese che aspettavo questo giorno, da quando la professoressa Catwidge ci aveva confermato che saremmo andati in gita alle Grotte del Drago. Queste grotte per la maggior parte delle persone non sono altro che un grande buco nel fianco di una montagna, ma per gli amanti della natura come me è il paradiso in terra. Si tratta di una serie di grotte, poste tutte su un unico piano, piene di minerali di tutti i tipi e attraversate da un ruscello e sulle pareti crescono piccole piante e felci, il che crea un’atmosfera a dir poco magica. Oggi, il 21 ottobre, finalmente potrò visitare quel luogo magnifico.
Come al solito mi sveglia almeno due ore prima dell’orario prestabilito per incontrarci davanti a scuola, colpa del mio vizio di arrivare anche mezz’ora prima agli appuntamenti, per paura di essere in ritardo. E quindi eccomi qui, alle 7:30 davanti al cancello della scuola, solo come un vecchio eremita, in attesa che arrivasse qualcun altro. Man mano arrivaro anche gli altri e la prof Catwidge, salimmo sul pullman che nel frattempo era arrivato, e dopo l’appello partimmo. Arrivammo alle grotte circa due ore dopo, dopo un viaggio in pullman pieno di risate e cavolate. Ad aspettarci c’era una guida che ci avrebbe illustrato le grotte e spiegato la loro storia. Le Grotte del drago si trovavano sul fianco del monte Ryuu e per arrivarci dovemmo affrontare una faticosa salita, non senza sentire le lamentele di chi non ce la faceva più. Arrivati a destinazione la guida ci dette delle radioline con un auricolare, in modo che tutti potessimo sentire le sue spiegazioni, dopo di che entrammo nelle grotte. Lo spettacolo che ci trovammo ad ammirare era proprio come me lo immaginavo: un paradiso terrestre. La prima sala era di forma triangolare, con due accessi ai lati e uno in fondo, che portava ad altre sale. Da un foro nella parete usciva un piccolo ruscello che formava una piccola cascata, per poi proseguire il suo corso in un foro nel terreno verso il basso. Lungo le pareti crescevano piccoli arbusti e felci che, insieme ai riflessi dei vari minerali e delle varie pietre incastonate nelle pareti come se fossero parte di un mosaico, creavano un’atmosfera veramente da film fantasy. La voce della guida mi distrasse dalla contemplazione di quel luogo, anche se le cose che diceva le sapevo a memoria, perché mi ero già informato sulle grotte. La gita continuò con la visita alle altre sale. Alla fine arrivammo all’ultima sala, che era quella collegata alla prima tramite il passaggio sul fondo di quest’ultima. Questa era di forma circolare con un tetto a cupola alto circa 10 metri, mentre il diametro della sala sarà stato almeno di 20. Era gigantesca. Finita la spiegazione tutti in cominciarono ad uscire seguendo la guida che intanto rispondeva alle domande che la Catwidge gli poneva. Io mi fermai perché volevo fare una foto ricordo. Posizionai la macchina fotografica su una roccia lì vicino e con l’autoscatto mi feci la foto. Ripresi lo zaino che avevo appoggiato per terra e mi avvia verso l’uscita, quando notai qualcosa che brillava per terra. La raccolsi e con mia grande sorpresa scoprii che era una pietra di forma circolare, molto simile ad un’aspirina di quelle che si prendono per il mal di testa. Ma la cosa più sorprendente era il colore: un verde intenso come le foglie in primavera solcato da linee blu elettrico, che richiamavano molto i fulmini.
“Crispul!!! Guarda un po’ cosa ho trovato!” pensai. “Ora però è meglio che mi sbrighi a raggiungere gli altri”.
Incominciai ad avviarmi verso l’uscita quando dal punto dove avevo raccolto la pietra incominciò a brillare una luce che si fece sempre più intensa.
“Ma che succede ora?!” fu l’ultima cosa che riuscii a dire, perché una attimo dopo venni investito dalla luce e caddi indietro, battendo la testa e svenendo.
Quando mi risvegliai mi trovavo ancora in quella grotta a forma di cupola. Non notavo nessun differenza rispetto a prima, né in me né nel luogo circostante e quindi decisi che la migliore cosa era uscire e cercare la prof e i miei compagni. Stavo per varcare il passaggio che portava alla prima sala, ma fui bloccato da una folata di vento. Riprovai a passare ma era come se ci fosse un muro d’aria che m’impediva di passare.
”Che cosa strana…”pensai, e incomincia a cercare un modo per uscire. Mentre rimuginavo su come andarmene, sentii una voce profonda dietro di me che mi disse:
“Chi sei tu? Cosa ci fai qui?”
Mi girai, colto di sorpresa da quella voce così profonda, e quello che vidi per poco non mi fece venire un infarto: mi trovavo a pochi centimetri di distanza dal muso di un enorme drago.

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Capitolo 3
*** Benvenuto nel regno di Fiore! ***


II
Benvenuto nel regno di Fiore!

Denti aguzzi lunghi almeno un metro. Squame blu elettrico sfumate di un grigio simile a quello delle nuvole durante una tempesta. Occhi di un verde smeraldo che ti lasciano senza fiato con le pupille allungate e sottili, simili a quelle di un rettile. In breve, un drago. Magari anche molto affamato. E che mi fissava con fare minaccioso a pochi centimetri dalla mia faccia.
“Chi sei? Cosa vuoi?” mi chiese di nuovo con quella sua voce potente come il rombo di un tuono. Io non risposi, paralizzato dallo stupore e dalla paura.
“Cos’è, sei sordo per caso? Oppure muto? Insomma rispondi?” tuonò il drago. Non ebbi il coraggio di rispondere.
“Sei uno di quei maghetti da quattro soldi venuto qui per cacciarmi? Se è così ti dovrò fare fuori!!!”. A quelle parole il mio cervello si riaccese e dissi con tutto il fiato che avevo in gola: ”No, no, no, no, fermo!!! Non ti voglio fare niente!!!”. Sentendo le mie parole il drago fece una faccia alquanto stupita e mi chiese: “E allora cosa ci fai qui?”.
“Beh ecco…a dire il vero…non so nemmeno come io sia finito qui. Avevo trovato questa piccola pietra, ma appena l’ho toccata mi sono ritrovato qui” risposi, mostrandogli la piccola pietra verde e blu che avevo in mano. Appena la vide il drago fece un’espressione di puro stupore e disse: “Ecco dov’era finita!!!”. A quelle parole rimasi più confuso di come già non ero. Vedendo la mia espressione confusa il drago mi spiegò: “Quella è una Lacryma portale. Serve per trasportarsi in altre dimensioni. Comunque solo chi è dotato di potere magico la può utilizzare e ha tempi di ricarica davvero lunghi”. Una lampadina si accese nella mia testa: “Cioè mi stai dicendo che ho fatto un viaggio dimensionale? E che ho poteri magici?” chiesi stupito.
Il drago mi rispose: “Se non lo sai tu stesso come posso saperlo io???”
“Beh io so solo che ero in gita con la scuola in queste grotte, ho visto questa pietra, l’ho toccata ed eccomi qua a parlare con una creatura che credevo esistesse solo nei racconti fantasy” dissi tutto d’un fiato.
“Bene….Cioè, male. Allora raccontami cosa ti è successo in ogni minimo dettaglio così forse troviamo una soluzione”.
Io gli raccontai cosa era successo prima di arrivare lì. Una volta finito il drago mi disse: “Mmm…quindi mi stai dicendo che non hai nessun potere magico, o che comunque non ne sei a conoscenza?”
“Esatto” risposi.
“Strano perché i cristalli di questa grotta si illuminano sempre di più a seconda del potere magico che c’è intorno a loro”. Io osservai le pareti della grotta. Brillavano di blu, azzurro e viola, cosa che prima non avveniva.
“Wau, che figata!!!”
“Da quando sei arrivato brillano tantissimo” disse il drago. “Prima non brillavano così”
“Davvero? Ma tu sei un drago!!! Dovresti essere fortissimo!!!” dissi. Insomma, nei vari romanzi che mi era capitato di leggere e nelle antiche storie medievali i draghi sono esseri dalla forza inaudita, perché anche lui non dovrebbe esserlo?
“Io sono lo spirito di un drago. Non so come sia potuto accadere, ma il 7 luglio dell’anno X777 mi addormentai e mi risvegliai senza il mio corpo in questa grotta dalla quale non posso uscire da solo. Quindi il mio potere magico è molto ridotto rispetto a quando avevo un corpo”.
L’unica cosa che riuscii a dire fu: “Ah” con mascella che toccava terra dallo stupore.
“Comunque credo che io non possa aiutarti a tornare indietro”
“COME NO?!?!?!” dissi con un colpo al cuore.
“ Io non ho abbastanza potere magico per usare quella Lacryma e se tu la usassi da solo moriresti per l’enorme sforzo che comporta usarla da soli. E’ già un miracolo che tu non sia morto prima quando l’hai attivata. Inoltre se non eri consapevole di possedere del potere magico non saprai nemmeno controllarlo, il che rende praticamente impossibile utilizzarla”.
“Ma se l’ho fatto per venire qui, in qualche modo!!!” replicai.
“Una Lacryma portale di tipo dimensionale è mortale se usata da soli. Se usata in gruppo è più sicura, ma necessita comunque di un grande controllo della magia” spiegò il drago.
“In ogni caso devo tornare a casa. E se per farlo devo trovare qualcun altro per far funzionare quel portale prima inizio prima finisco!” dissi e corsi verso l’uscita. Venni però bloccato dallo stesso muro d’aria di prima.
“Voglio uscire!!!” urlai al drago.
“Non è una buona idea. Non sopravvivresti neanche un giorno là fuori con le tue capacità”
“E chi se ne frega!!! Devo tornare a casa!!!” dissi seccato.
“Ok se vuoi ti lascio andare, ma ti avverto: non ce la farai mai a tornare da dove sei venuto in queste condizioni. Là fuori ci sono dei maghi potentissimi e non tutti hanno buone intenzioni. Il muro d’aria che non ti fa uscire l’ho fatto io. E questa è solo una magia elementare. Se non riesci a contrastare neanche una semplice magia come questa non ce la farai mai” affermò il drago.
“E allora come faccio?” chiesi frustrato.
“Questo luogo in realtà è un rifugio dove degli antichi monaci hanno costruito una grande biblioteca piena di libri di magia. Potresti leggerteli un po’ e imparare qualche magia, se ti va. Io ti aiuterò. Sai, non incontravo qualcuno che non volesse cacciarmi da questo posto da almeno cinquant’anni. Sarebbe bello avere un po’ di compagnia”
Le parole del drago mi lasciarono stupito. Se era davvero così allora sarebbe stato meglio seguire il suo consiglio.
“E va bene” dissi.
“Evvai!!! Yuppi!!!” fece il drago, evidentemente contento della mia decisione. Poi aggiunse: “Vedrai, ci divertiremo un mondo insieme!!!” e così dicendo la sua immagine iniziò a tremolare e si rimpicciolì, fino a raggiungere le dimensioni di un uomo. Ora lo potevo vedere completamente: aveva il corpo snello, ma allo stesso tempo robusto, la coda lunga e terminante con due squame incredibilmente lunghe che formavano come due lame ai lati della punta della coda. Le ali non erano due, ma ben sei. Sottili e simili a lame di sciabola, erano lunghe quasi come l’altezza del corpo, escludendo la coda. Infine tutto il corpo era coperto di squame blu elettrico con sfumature grigie, mentre gli artigli erano nero lucido, così come i tre corni che gli spuntavano dalla testa e che si allungavano all’indietro sempre dritti.
“Ok seguimi” e si girò indicando un varco alle sue spalle che prima non avevo visto in quanto il drago lo nascondeva completamente con la sua mole. Seguii il drago e incominciammo una discesa a spirale verso il basso.
“A proposito io mi chiamo Maruko Stormil” dissi per entrare in confidenza con quello che sarebbe stato il mio maestro.
“Giusto le presentazioni! Perdonami per la mia maleducazione. Io sono Arashi no Ryu, il drago delle tempeste. Per gli amici semplicemente Arashi” affermò il drago.

“Benvenuto nel Regno di Fiore, Maruko Stormil”.

 

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Capitolo 4
*** Un Drago Per Maestro ***


~~III
Un drago per maestro

Arashi mi condusse nella parte inferiore della grotta. Quello che vidi mi lasciò scioccato: una sala enorme scavata nella roccia piena di scaffali che arrivavano fino al soffitto. Ogni scaffale era pieno di libri e non c’era nemmeno uno spazio vuoto su ogni ripiano. Insomma, la più grande biblioteca che avessi mai visto. Vedendo la mia espressione di stupore Arashi mi spiegò: “Questa era forse una delle più grandi biblioteche sulla magia, ma poi fu dimenticata. Vieni ti faccio vedere tutto” e così dicendo mi mostrò la grotta. Oltre alla sala con i libri c’era anche un grande dormitorio con letti per almeno dieci persone, un bagno con un’enorme vasca da bagno che può essere usata anche come sauna, una cucina, una dispensa con piante e piccole colture di cereali e alberi da frutto e infine un’armeria con armi, armature e oggetti magici di ogni tipo.
“Questa grotta era stata concepita per proteggere la biblioteca e per resistere ad assedi di ogni genere. Per questo è così ben fornita di ogni genere di cose” mi disse Arashi.
“Bene bene…allora quand’è che cominciamo l’addestramento?” risposi impaziente di imparare qualche magia.
“Beh io direi di iniziare a conoscere bene cos’è la magia e come si usa. Anche un po’ di storia e geografia del regno di Fiore non farebbe male” disse con fare aulico il drago.
“Mi spiegherai tutto tu?” chiesi con curiosità.
“No, per questo puoi anche leggere i libri della biblioteca. Così come per scegliere che magie utilizzare. Ce ne sono alcune davvero interessanti che ti potrebbero piacere” rispose Arashi.
“E quanti libri dovrei leggere?” chiesi mentre un velo di preoccupazione si dipingeva sul mio volto. L’idea di dover leggere tanto, anche se mi piaceva, non mi allettava in quel momento.
“Beh, se proprio vuoi sapere tutto della magia, direi che all’incirca dei libri della biblioteca dovresti leggerne…beh, praticamente tutti”.
Inutile dire che la mia mascella toccò terra. “COME TUTTI?!?!?!” urlai. “Sono un sacco di libri!!! Ad occhio e croce saranno almeno diecimila!!!” urlai come qualcuno che si è appena accorto di essere caduto in un tranello. “Non ce la farei mai neanche se campassi mille anni!!!”.
“Tranquillo ho una soluzione” e così dicendo tirò fuori un paio di occhiali da lettura con la montatura azzurra e un paio di ali ai lati delle lenti.
“Cosa sono?” chiesi incuriosito.
“Occhiali turbine. Permettono di leggere ad una velocità trenta volte superiore al normale” spiegò il drago.
“Figo!!!” dissi entusiasta. “E con questi quanto ci metterò a leggere tutti quei libri?”
“Beh, contando le ore di sonno e per mangiare direi all’incirca tra i dieci giorni ed un mese” affermò Arashi. La cosa mi sembrava ragionevole. Dieci giorni potevano andare, poi avrei imparato qualche magia e allora sarei potuto andare a cercare un modo per tornare a casa.
“Ok, ci sto” dissi. Arashi mi porse gli occhiali dicendo: “Allora sarà meglio che inizi da subito”. Non me lo feci ripetere e corsi a leggere il primo libro.

Passarono undici giorni. Il mio cervello fumava per le troppe informazioni raccolte. Ma alla fine avevo finito anche l’ultimo libro.
“Evvai!!! Ho finito!!!” urlai con tutto il fiato che avevo in gola e pieno di entusiasmo.
“Bravo compare!!! Adesso dimmi quale magia vuoi che ti aiuti ad apprendere e iniziamo subito”.
“Ad essere sincero non ne ho trovate tante. Anzi, l’unica che mi sembra interessante è quella chiamata ‘Transport’ che permette di sigillare qualsiasi cosa all’interno di oggetti per poterle trasportare facilmente…” dissi. “Non è che tu ne conosci qualcuna che non è scritta nei libri?” chiesi con un tono pieno di speranza.
Il drago mi guardò dritto negli occhi, prima di portarsi una zampa sul mento e guardando per terra, come se stesse pensando sul da farsi.
“Se vuoi io ne conosco una che può essere appresa solo da un drago, ma devi essere convinto di volerla apprendere” disse facendomi incuriosire.
“E che magia sarebbe?” chiesi con la curiosità che usciva da tutti i pori.
“La magia del Dragon Slayer” disse Arashi con tono solenne. “E’ una magia che dona la forza di un drago e permette di utilizzare l’elemento a cui il drago è affine” spiegò.
“Che super mega ultra figata!!!” dissi preso dall’euforia. “La voglio imparare!!!”.
“Ne sei proprio convinto? Guarda che non è una cosa facile” affermò il drago.
“Convintissimo. Così potrò creare correnti d’aria come hai fatto tu quando ci siamo incontrati la prima volta”
“E non solo…”. A quelle parole rimasi un po’ scioccato. “Come e non solo?” chiesi.
“Io non sono un drago del Cielo, ma un drago ibrido. Posso sia usare il vento che il fulmine. Io sono un drago delle Tempeste. Anzi, sono l’unico drago di questo tipo” rispose con un tono allo stesso tempo fiero e malinconico.
“Wow!!! E ce ne sono altri di draghi ibridi come te?” chiesi preso dalla curiosità.
“Si ma siamo molto pochi, anche perché i draghi ibridi erano discriminati dai cosiddetti draghi puri, quei draghi che possono usare un solo elemento” disse con tono triste.
“Devi aver sofferto molto” conclusi.
“Sì, ma avevo anche degli amici che mi sostenevano. Mi ricordo che i migliori amici che ho mai avuto erano Igneel, un drago di fuoco, Metallicana, un drago del ferro, e Grandine una draghessa del Cielo. Accidenti quante ne combinavamo insieme!!! Ahahaha” mi spiegò Arashi mentre una luce gli illuminava gli occhi.
“Eh eh sembra proprio quello che è successo a me” dissi.
“Cosa ti è successo?” mi chiese il drago incuriosito. Io gli raccontai come venivo sempre preso in giro, di come non riuscissi a trovare dei veri amici.
“Mi sembra di rivedere me da giovane” affermò il drago. Dopo una pausa di silenzio affermò. “ Ma adesso basta lasciarsi trasportare dai ricordi.  Devo farti diventare un Dragon Slayer!”.
“Bene iniziamo!!!” risposi con decisione.

Qualche settimana dopo.

“Hai preso tutto?” chiese Arashi.
“Sì” risposi.
“Beh quindi questo è un addio” disse il drago con le lacrime agli occhi.
“E chi l’ha detto?” chiesi. Arashi mi guardò con uno sguardo speranzoso, le lacrime che gli inumidivano gli occhi e gli rigavano le guance. “Ti avevo promesso che ti avrei portato fuori da qui ed è quello che farò” affermai deciso.
“E come?” chiese il drago speranzoso.
“Userò il ‘Transport’ su di te e ti metterò all’interno del mio corpo. In fondo sei uno spirito, quindi non mi arrecheresti nessun danno. E poi potremmo comunicare tramite le nostre menti, visto che sarai all’interno di me” spiegai.
“Ma sei un genio!!!!!” affermò il drago saltandomi al collo ed abbracciandomi (ovviamente era nella sua forma ridotta e si era reso tangibile, altrimenti mi avrebbe schiacciato e non mi avrebbe potuto abbracciare).
“Dai muoviti!!! Usa il ‘Transport’ e portami fuori da questa grotta!!!”
Misi la mia mano su di lui. Un sigillo magico comparve sul torso del drago e la sua immagine incominciò a girare come se fosse risucchiato in un vortice fino  a diventare un fascio di luce gialla che mi colpì al petto, sul pettorale sinistro, senza però provocarmi dolore.
“ehi che bel posticino!!!”. Sentii la voce di Arashi nella mia testa. “Sono felice che ti piaccia.” Avevo fatto in modo che nella dimensione all’interno del mio corpo trovasse tutto ciò che più gli piaceva, compresa una bella piscina riscaldata, cosa che gli piaceva tantissimo. Certo che ha volte è proprio strano. Un drago a cui piace fare il bagno in una piscina.
“Ok ma ora andiamo che voglio rivedere il mondo” disse euforico Arashi.
“Sì andiamo!!!”. Presi lo zaino, me lo misi in spalla e uscii dalla grotta. Una distesa verde si mostrò ai miei occhi. Ai piedi della montagna si vedeva una strada che portava ad un paesino poco distante da lì. Quello sarebbe stato il primo posto che avrei raggiunto.
E così feci il primo di tanti passi che mi cambiarono la vita.

 

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Capitolo 5
*** Di draghi rockettari e pub irlandesi ***


~~IV
Draghi rockettari e pub irlandesi

I miei piedi schiacciavano le foglie cadute al suolo e una leggera brezza portò il profumo di mirtilli e fragole di bosco. Inspirai profondamente l’aria mattutina e mi abbandonai alla miriade di profumi che trasportava. Mi fermai. Osservai il panorama che si presentava davanti a me: montagne, pianure, colline e fiumi, il tutto inondato dalla luce del sole.
“Non sembra neanche che sia autunno”.
“ E già”. Sentii una voce nella mia testa e per poco non mi venne un infarto. Dopo un momento di confusione capii che era Arashi.
“Ma sei pazzo??? Mi hai fatto prendere un colpo!!! Non ti fai sentire per mezz’ora e tutto d’un tratto ti fai  sentire così?! Pensavo ci fosse qualcuno che mi stesse seguendo!” gli urlai con tutto il fiato che avevo in corpo.
“Scusa, è che stavo sistemando alcune cose qui dentro” spiegò il drago con un tono da colpevole.
“Ah bene! Dai, fa vedere” dissi incuriosito.
Entrai nel ‘Transport’ di Arashi. Avevo lasciato la possibilità al drago di arredare a suo piacimento il luogo dove viveva (sì, perché dovete sapere che chi usa il ‘Transport’ può modificare la forma del suo interno o farla cambiare a piacimento di qualcun altro). Quello che vidi mi lasciò stupito: un’enorme taverna che assomigliava molto ad un pub irlandese. Il pavimento era in parquet color ciliegia, al centro c’era un’enorme bancone quadrato in legno marrone scuro con otto spillatori per la birra e una griglia per cucinare. In fondo al locale c’era un’enorme vasca da bagno con una copertura in legno dello stesso colore del bancone. Sui lati destro e sinistro c’erano due enormi maxi schermi con al di sotto due palchi. Quello  a destra era vuoto, se non per un microfono per il karaoke, mentre su quello a sinistra erano sistemati una batteria, tre chitarre, due bassi, un paio di tastiere, un pianoforte e un microfono. Sui quattro angoli che le pareti formavano con il soffitto c’erano quattro casse per la musica, una per ogni angolo. Infine per il locale erano sparsi dei tavoli rotondi con sei posti ciascuno.
“Accidenti, certo che ti sei dato da fare” osservai.
“Già. Adoro posti come questo, soprattutto se si beve una buona birra” disse Arashi.
“Ti piace la birra?” chiesi.
“Oh yes!” fece il drago, alzando i pollici e con lo sguardo sognante.
“Anche a me! Ma come mai hai messo tutti quegli strumenti?” chiesi incuriosito.
“Per suonarli” rispose il drago, come se fosse una cosa ovvia.
“Davvero suoni? Che strumento?”
“Tutti quelli che vedi lì”. E per l’ennesima volta Arashi mi spiazzò. Insomma, già è strano che un drago suoni uno strumento, figuriamoci se sa suonarne quattro.
“E in più canto” aggiunse. La mia mascella toccò terra.
“Perché fai quella faccia? Guarda che non è una cosa insolita che un drago si interessi di musica. Siamo esseri civilizzati, mica delle bestie ignoranti!”.
“Scusami, non mi aspettavo che ti interessassi di musica” dissi in imbarazzo “Ma che genere di musica preferisci?” chiesi.
“Un po' di tutto, ma se proprio devo dirla tutta la mia preferita è il rock!” rispose fiero Arashi facendo il simbolo delle corna con la zampa destra.
“Anch’io ascolto rock!” dissi eccitato “Però suono il pianoforte” ammisi. Insomma, normalmente chi ascolta rock il primo strumento che vorrebbe suonare non è certo il piano...
“Bene, potremmo fare dei duetti!” esclamò Arashi, sempre più eccitato.
“Non è una cattiva idea” dissi “Però adesso mi fai sentire qualcosa?” chiesi.
“Ok” disse il drago  e prese in mano una chitarra blu elettrico. Suonò un breve assolo hard rock e devo ammettere che suonava davvero bene. Quando finì gli feci un applauso e mi complimentai con lui: “Suoni davvero bene! La prossima volta ti faccio sentire qualcosa io”.
“Grazie mille!” rispose felice Arashi, mentre metteva la chitarra nella rastrelliera.
“Ora sarà meglio che mi rimetta in marci” dissi ricordandomi che dovevo raggiungere il villaggio ai piedi del monte Ryuu. Arashi però mi fermò:
“Aspetta un momento. Ho una cosa da farti vedere” e mi condusse dietro al bancone centrale. Mise una zampa sul bancone e disse, scandendo bene le parole: “Archivio, avvio”.
Davanti a noi apparirono cinque schermi trasparenti con il bordo arancione. Sembravano fatti d’aria ed erano sottili come fogli di carta. Lo stesso aspetto aveva la tastiera che fluttuava sopra al bancone e una struttura circolare alla destra di quest’ultima con il bordo che era decorato con sigilli magici.
“Cos’è?” domandai osservando rapito i monitor che fluttuavano davanti a me.
“Si chiama ‘Archivio’ e come dice il nome è una magia che permette di archiviare informazioni e di ricercarle. Inoltre può trasferire le informazioni ad altre persone, anche se c’è un limite a quante se ne possono passare. Ed infine può fungere da radiotrasmittente e anche da radar, ma queste due funzioni non possono essere usate all’interno del ‘Transport’ essendo questa una dimensione artificiale” spiegò Arashi.
“Wow! E’ un computer, per farla in breve” osservai.
“Un compu-che?”. L’espressione che fece Arashi trasmetteva tutta la sua confusione.
“Ah già, nel vostro mondo non esistono certi oggetti tecnologici. In poche parole è come l’archivio, ma non fluttua e non compare dal nulla” spiegai.
“Ok, ho capito” disse il drago. Dopo una pausa di silenzio chiesi:
”Ma come si fa a caricare le informazioni?”
“Se l’archivio è utilizzato direttamente da qualcuno, il mago può caricare i file direttamente dalla mente, ma in questo caso essendo collegato al bancone si caricano le informazioni con quello scanner” disse indicando il cerchio a destra della tastiera “O scrivendo con la tastiera. Oppure registrando con la voce” spiegò Arashi.
“Fico! Dai proviamo!” proposi io con l’eccitazione alle stelle.
“Cosa vuoi caricare?” mi chiese Arashi.
“Proviamo con il mio cellulare” proposi.
“quel coso che da noi equivale ad una lacrima trasmittente?”
“Esatto. Ormai è scarico, ma potrebbe funzionare”. Purtroppo non c’erano prese della corrente e nonostante avessi con me il caricatore non potevo usare la magia del fulmine per caricarlo perché era troppo potente e avrei fuso la batteria.
“Ok. Anche se è scarico basta che abbia una memoria” spiegò il drago.
“Bene. Esco e ti mando il cellulare, poi mi rimetto in cammino” dissi.
Uscii dal Transport e ritornai con la coscienza al mio corpo che era rimasto nella stessa posizione di prima. Presi il cellulare dallo zaino.
“Transport” e il cellulare vorticò e si trasformò in un fascio di luce gialla che mi entrò nel petto.
“E’ arrivato. Carico subito le informazioni” disse Arashi “Ci metterà un minuto”.
“Ok, intanto riparto” e ripresi a camminare. Dopo un minuto il drago mi contattò:
“Ha finito…certo che hai dentro tante canzoni. Posso ascoltarle?” chiese.
“Certo” risposi.
“Quale mi consigli?” chiese indeciso Arashi.
“I miei preferiti sono gli AC/DC” affermai mentre in testa incominciavano  a mescolarsi le canzoni del gruppo australiano. “Incomincia con ‘Back in Black’, è la più famosa” suggerii al drago.
“Ok” disse Arashi. Dopo qualche secondo sentii la canzone nella mia mente. “Così la puoi ascoltare anche tu” disse il drago.
“E’ vero! Mi ero scordato che tutti i suoni nel ‘Transport’ li posso sentire nella mente se io e tu lo vogliamo” esclamai.
“Bene, ma c’è un’ultima cosa che dovrei dirti: come sai la tua magia da Dragon Slayer non è completa. Ti si sono allungati un po’ i canini, hai i sensi maggiormente sviluppati e quando usi la magia ti diventano gli occhi verdi con le pupille allungate, proprio come i miei occhi. Questi sono segni che sai usare la magia del Dragon Slayer, ma alcuni incantesimi non sono completi. Mentre viaggiamo dovrai allenarti molto” disse Arashi con il tono di chi non ammette repliche.
“Lo so, ma vedrai, riuscirò a padroneggiare questa magia” dissi con determinazione.
“Bravo ragazzo” fece Arashi “Ora continiuamo il viaggio”.
Passammo l’ora successiva a chiaccherare ed ascoltare musica, fino a quando non ci trovammo ai limiti della pineta che si estendeva su per il versante del monte. Da lì iniziava una vasta pianura e cinquecento metri più avanti c’era l’entrata del piccolo villaggio. Aguzzai la vista e, grazie ai miei nuovi sensi sviluppati, riuscii a vedere chiaramente la via principale.
“C’è qualcosa che non va” dissi.
“Cosa vedi?” chiese Arashi.
“Quello è il villaggio Hitsuji, vero?” chiesi al mio maestro.
“Sì, è molto famoso per i suoi tessuti e vengono commercianti da tutto il Regno di Fiore per acquistare i suoi prodotti” spiegò il drago.
“Infatti ogni volta che facevo un giro fuori dalla grotta intravedevo un via vai di carrozze che entravano ed uscivano dal villaggio, e per tutto il giorno continuavano” dissi ricordandomi di ciò che vedevo quelle volte che mi avventuravo fuori dalla grotta.
“E qual è il problema?” chiese Arashi.
“E’ vuoto” risposi. Un velo di preoccupazione riempiva la mia voce. Dopo un momento Arashi rispose: “ Avviciniamoci con calma come se fossimo dei turisti, o dei commercianti o…insomma come se niente fosse. Ma mantieni la guardia alta”.
Mi avviai con attenzione verso il villaggio. Ciò che trovai laggiù non me lo sarei mai potuto immaginare.

 

 

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Capitolo 6
*** Il villaggio fantasma ***


~~V
Il villaggio fantasma

Arrivai all’entrata del villaggio. Un grande arco mi separava dalla grande strada principale ricoperta di pietre quadrate grandi come un pugno di colore grigio chiaro. Sui lati si sviluppavano due file di edifici multicolore di dimensioni diverse e si intravedeva la fine del villaggio, che coincideva con l fine dello stradone. Sembrava una di quelle piccole cittadine che si vedono nei film western, ma molto più colorata e molto più pulita. Attraversai l’arco su cui era scolpita la frase “Benvenuti al villaggio Hitsuji”. Come avevo già osservato quando ero uscito dalla pineta, non c’era nessuno per strada. Le finestre erano chiuse e, in alcuni casi, persino sbarrate dalle persiane.  Una leggera brezza soffiava da est, percorrendo tutto il villaggio dal fondo fino a me, per poi proseguire il suo viaggio verso il monte Ryuu. Tutto taceva e nonostante il sole splendesse alto nel cielo si respirava un’aria cupa e tetra.
“C’è sicuramente qualcosa che non quadra” osservò Arashi.
“Ovviamente. Il problema è che cosa…”
“Non senti niente?” mi chiese il drago.
“No, nonostante il nuovo udito più sviluppato non sento niente. Siamo nel silenzio più totale e in più non sento nessun odore che indichi la presenza di qualche essere vivente. E’ un villaggio fantasma” spiegai. Un brivido mi percorse tutta la schiena.
“Cerchiamo negli edifici. Magari non troveremo nessuno, ma almeno ci proviamo” suggerì Arashi. “D’accordo”. Scrutai gli edifici con la mia vista da drago. Notai che circa 300 metri più avanti sorgeva un edificio più grande di quelli che lo affiancavano. Riuscii a leggere la scritta sul porticato: saloon.
“Là c’è un bar. Direi di iniziare da lì” suggerii.
“Ottima osservazione. Andiamo, ma fai attenzione”. Nella voce profonda di Arashi si poteva notare una punta di preoccupazione. Neanche a lui piaceva quella situazione. Arrivai di fronte al saloon. Dall’interno non proveniva alcun suono. Aprii lentamente la doppia porta in legno ed entrai. All’interno c’era un grande bancone dietro al quale era posto un grande armadio senza ante, pieno di bottiglie di ogni tipo. Alle pareti c’erano delle cassepanche con dei lunghi tavoli di legno, mentre dei tavoli più piccoli erano disposti al centro del saloon. Una scala sulla sinistra portava al piano superiore.
“Non c’è niente” dissi.
“Lo vedo sullo schermo” aggiunse Arashi. Avevamo deciso che potevamo condividere ciò che vedevo. Le immagini che percepivo venivano trasmesse nel ‘transport’ e proiettate sui maxischermi sopra ai palchi. Ovviamente potevo interrompere il collegamento quando volevo. “Proviamo con un’altra casa” suggerì il mio maestro. Seguendo il suo consiglio stavo per voltarmi ed uscire, quando notai su un tavolo un posacenere con due sigarette spente, ma appena iniziate. C’erano anche un boccale di birra pieno ed un piatto di carne. “Vedi anche tu quello che vedo io?” domandai ad Arashi.
“Certo, e credo che stiamo pensando la stessa cosa…”. Misi la mano sopra al piatto…
“E’ ancora caldo” osservai.
“Chi c’era qui è dovuto andarsene di fretta e furia…”
“…e non molto tempo fa” conclusi io.
“Ma dove?” si chiese il drago. Mi fermai un attimo a pensare, portandomi una mano al mento e percorrendo a grandi passi il saloon, con lo sguardo fisso per terra. “Allora, ricapitoliamo cosa sappiamo finora. Sappiamo che…” i miei pensieri vennero interrotti da un odore nuovo ed un lontano suono di passi. Passi veloci e leggeri. Corsi fuori sulla strada principale in direzione dell’uscita del villaggio. Vidi una bambina che correva verso di me, con le lacrime agli occhi. Avrà avuto all’incirca cinque anni. Aveva i capelli castani, lunghi fino alle spalle, occhi blu scuro e indossava un vestito verde chiaro. Ai piedi un paio di scarpe con gli strappi. Correva come se stesse fuggendo da qualcosa…o qualcuno. Correva con gli occhi chiusi, troppo spaventata per aprirli. Quando li aprì mi vide e si bloccò a circa venti metri da me. Nei suoi occhi si poteva leggere chiaramente il terrore che provava.
“Ehi, ciao!” dissi con calma e dolcezza, salutando con la mano. La piccola era già spaventata e non volevo peggiorare la situazione. E magari sapeva qualcosa sul perché non ci fosse nessuno nel villaggio.  La bambina non rispose. “Tranquilla, non ti voglio fare del male” continuai. Nessuna risposta.
“Bene. Proviamo con un approccio più diretto” pensai. Mi abbassai, accovacciandomi. Misi l’avambraccio sinistro sul ginocchio, mentre portai la mano destra in avanti e la aprii con il palmo rivolto verso l’alto, come ad invitare la bambina a stringermela.
“Attento, non sappiamo cosa sia. Potrebbe essere una trappola o chissà che cosa”. La voce di Arashi mi rimbombò nella testa.
“Tranquillo, è solo una bambina terrorizzata”.
“A quanto pare è così, ma fai attenzione. La magia è imprevedibile”. Il drago della tempesta era veramente preoccupato.
“Mi sembra di sentire mio padre” dissi.
“Davvero?!”
“Sì…magari un giorno ti parlerò meglio di lui. Ora non mi sembra il momento più adatto…” risposi.
“Giusto figliolo. Manteniamo la guardia alta”. (Aspetta un momento. Mi ha appena chiamato figliolo? Così mi fa sentire un bambinetto!)
“Ok…papino” risposi ghignando.
“Non chiamarmi ‘papino’! Mi fai sentire vecchio!” sbraitò Arashi. Mi trattenni a stento dal ridere: Arashi quando si arrabbiava faceva troppo ridere.
“Chi sei?”. La voce della bambina interruppe la conversazione tra me ed Arashi.
“Io sono Maruko. Maruko Stormil. Vengo da un paese molto lontano, ma ho perso la strada per tornare a casa. Sono venuto qui per trovare un modo per tornare dalla mia famiglia” spiegai “E tu come ti chiami?”.
“Pam” rispose. Sembrava che ora si fosse tranquillizzata.
“Piacere di conoscerti Pam. Sei da sola qui?” chiesi restando accovacciato.
“Il nonno ha detto che devo andare via subito…non posso rimanere a parlare” e iniziò a correre verso di me. Era a circa cinque metri da me quando una poltiglia grigia la colpì ai piedi e rimase bloccata.
“Ecco dov’eri, piccola peste”. Un uomo uscì dall’edificio più grande del villaggio. Nel momento in cui uscì dall’edificio ebbi l’impressione di sentire molte voci provenire dall’interno della casa, ma poi non sentii più niente. L’uomo era vestito da punkettaro: anfibi neri, jeans blu strappati, maglietta rossa e giubbetto in pelle pieno di borchie e spille. Aveva l’anello al naso e tre piercing sull’orecchio destro, mentre sul sinistro aveva un orecchino a forma di teschio. I capelli erano rosso scuro e pettinati in una cresta a spuntoni. Non era molto muscoloso, ma sembrava comunque qualcuno contro cui è meglio non andare.
“E tu chi sei?” mi chiese accorgendosi della mia presenza.
“Strano, stavo per farti la stessa domanda” dissi freddamente. Quel tipo non mi piaceva per niente.
“Non sono fatti tuoi. Ora vattene” controbatté il rosso.
“E se non volessi?” chiesi mentre attivavo la magia del Dragon Slayer, pronto ad usarla.
“Ti prenderò a calci nel culo” rispose con un ghigno sul volto.
“Se vuoi che me ne vada lascia andare la bambina”. Non potevo lasciare quella bambina lì. Se avessimo combattuto sarebbe rimasta coinvolta nello sconto. E se l’avessi lasciata nelle mani del punkettaro chissà che gli avrebbe fatto. Al solo pensiero mi riempii d’ira.
“Scordatelo, ed ora vattene!”. Il rosso si stava scaldando.
“Dovrai costringermi con la forza” affermai mentre mi mettevo in posizione di combattimento.
“Con piacere. Ti farò in mille pezzi!” urlò il rosso e si preparò. Mise le mani davanti a sé e dei simboli magici incominciarono a girare intorno alle sue mani.
“Attento, non sappiamo che magia usi” consigliò Arashi. Il rosso stava per attaccare, ma si fermò e disse: “Mi dispiace che non sia io a farti fuori. Avevo voglia di ammazzare qualcuno”. Quella frase mi lasciò stupito. Sentii un cambiamento nell’aria sopra di me. Alzai lo sguardo. Un qualcosa di enorme stava per piombarmi addosso.

 

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Capitolo 7
*** Battaglia al villaggio Hitsuji ***


~~VI
Battaglia al villaggio Hitsuji

Alzai lo sguardo e vidi una cosa enorme che stava per piombarmi addosso. Riuscii a schivarlo all’ultimo spostandomi indietro. La cosa colpì il suolo creando un piccolo cratere di due metri di diametro e profondo un metro circa, alzando un gran polverone. Quando la nuvola di polvere e detriti si dissolse vidi ciò che mi era piombato addosso. Immaginate un armadio a tre ante che maneggia un martello grande il doppio di un uomo medio e che indossa vestiti militari. Ecco, più o meno era così: un uomo di due metri e passa, pelato con pantaloni neri ed una canottiera militare che metteva in risalto il suo fisico da body builder.
“Sei il solito ritardatario, Ikushi” disse il punkettaro.
“Mi ero addormentato, Oroken” rispose il palestrato.
“Sei inutile! Dovevi fare la guardia e assicurarti che nessuno venisse a dare fastidio e invece di svolgere il tuo compito ti fai un pisolino! Adesso chi lo dice al capo che abbiamo avuto un altro problema? Già questa mocciosa stava per scappare, se poi il capo scopre che qualcuno è entrato nel villaggio ci aspettano guai seri!”. Oroken era veramente irato con il suo compagno, che ribatté: “Ma di cosa ti preoccupi? Con la mia ‘beast force’ e la tua magia del calcestruzzo risolviamo tutto in un batter d’occhio! E poi tutti i cittadini sono nel municipio all’interno della ‘prison room’ del capo, quindi non possono aiutare questo moccioso”. Oroken si mise una mano sul volto dalla disperazione: “Sei, un, cretino!” sbraitò contro Ikushi. “Hai svelato le nostre magie al moccioso!”.
“Maruko, ho fatto una ricerca con l’Archivio sulle loro magie” mi informò Arashi.
“Dimmi tutto”.
“La magia di quello grosso, ‘beast force’, permette di aumentare la forza delle varie parti del corpo, come la tua ‘arm’, quella di colui che chiamano capo, ‘prison room’, permette di creare una stanza isolata da dove non esce niente, o di isolare una stanza già esistente” spiegò il drago.
“Questo spiega perché non sentivo la presenza dei cittadini” conclusi.
“Esatto. Prima sei riuscito a sentire le voci dei cittadini perché Oroken è uscito e deve aver aperto un’apertura nella ‘room prison’”.
“Mentre l’ultimo, Ikushi, immagino usi una magia che possa creare del calcestruzzo, modellarlo e solidificarlo a suo piacimento, vedendo come ha attaccato Pam” osservai. Arashi confermò la mia teoria.
“Sei in vantaggio Se vuoi ti posso aiutare per trenta secondi, ma poi dovrei tornare nel Transport
 Perché finirei il mio potere magico e non potrei più rendermi tangibile” continuò il drago. “Non serve”.
“Cosa hai intenzione di fare?”. Arashi sembrava sorpreso dalla mia risposta. “Ikushi non sembra veloce e Oroken con la sua magia può combattere meglio su grandi distanze che nel corpo a corpo. Con la mia velocità posso evitare Ikushi e avvicinarmi ad Oroken per costringerlo al combattimento ravvicinato”.
“Buona strategia. Se hai bisogno ti copro le spalle” disse il drago. Ikushi ed Oroken stavano ancora discutendo. Mi concentrai e feci un incantesimo: “Magia del drago del cielo: Vernier!”. Un’aura verde comparve intorno al mio corpo. Era formata da tante piccole gocce di energia simili a foglie che giravano intorno a me con un moto a spirale che saliva verso l’alto, per poi dissolversi oltre la mia testa. I miei due avversari, notando la mia magia, smisero di litigare e si concentrarono su di me, pronti a combattere.
“Bene bene, Vedo che qualcuno ha voglia di prenderle” ghignò Oroken con un sorriso tipico di chi è già sicuro di vincere stampato in faccia. “Ma prima liberiamoci di questa seccatura”. I sigilli magici ricomparvero attorno alle sue mani e dalla mano destra uscì un getto di calcestruzzo che prese la forma di una mano, prese la piccola Pam e la sollevò in aria, rompendo il blocco di materiale da costruzione che la inchiodava a terra. “Tornatene con gli altri!” urlò Oroken e con un movimento del braccio fece muovere il calcestruzzo, non ancora solidificato del tutto, e la piccola Pam venne lanciata in direzione del municipio. Se fosse andata a sbattere anche solo contro la porta sarebbe morta per la forza del lancio. Scattai in avanti e, nonostante fosse molto lontana, riuscii ad afferrarla al volo appena prima che si schiantasse. Non sembrava che Ikushi ed Oroken si fossero accorti immediatamente del mio spostamento così, appena presi Pam, mi infilai in uno dei vicoli tra le case.
“Stai bene?” chiesi alla bambina.
“S-sì, grazie” rispose stringendo forte la mia maglietta, ancora scossa dall’accaduto.
“Ascolta. Ora nasconditi qui da qualche parte e non fare rumore Io vado a sistemare quei brutti ceffi”.
“No, non lasciarmi da sola…”. Pam era ancora troppo spaventata. Allora decisi di metterla nel ‘Transport’, così sarebbe stata al sicuro.
“Arashi, non ti dispiace se ti mando un ospite, vero?” chiesi mentalmente al drago.
“Non c’è nessun problema. E’ anche la cosa migliore da fare” affermò. Terminai il contatto mentale.
“Pam, se vuoi ho un posto sicuro dove portarti per il momento. C’è anche un mio amico lì che ti terrà compagnia. Così sarai al sicuro” spiegai alla bambina.
“Ma il nonno e gli altri? Non li vedrò mai più?”. Nella sua voce si poteva sentire tutta la sua preoccupazione.
“Tranquilla. Ti porto al sicuro, sconfiggo i cattivi e salvo tuo nonno e tutti gli altri. Poi ti riporto d loro”. Dopo una pausa di riflessione Pam acconsentì, ma chiese comunque: “Dov’è questo posto?”.
“Dentro di me c’è una dimensione che ho creato. Ti porterò lì. Non preoccuparti, non farà male e i cattivi non potranno raggiungerti” la rassicurai.
“Va bene. Se questo ti aiuterà a salvare il nonno lo farò. Ti sarei solo d’intralcio nel combattimento se restassi qui”. Nonostante la giovane età, Pam aveva un modo di pensare quasi da adulto.
“Bene, iniziamo”. Gli misi una mano sulla spalla. “Transport” e Pam venne risucchiata dentro di me. “Arashi, occupati di lei” dissi al drago.
“Ce la fai a combattere da solo?” chiese il mio maestro.
“Tranquillo, se ho bisogno di aiuto ti faccio un fischio”.
“Come vuoi. Ora vai e falli a pezzi!” urlò Arashi.
“Con piacere”.
Ritornai sulla strada principale. Ikushi ed Oroken erano lì, che litigavano di nuovo per il fatto che mi avessero perso di vista. “Avete finito di litigare come due vecchie zitelle, o devo aspettare che mi diventino i capelli bianchi per prendervi a calci nel culo?” dissi. I due si voltarono e Oroken mi disse: “Certo che sei stupido. Potevi attaccarci e coglierci di sorpresa, ma hai preferito esporti per combattere in due contro uno”.
“Sì, avrei potuto, ma non mi sarei goduto il momento in cui vi avrei massacrato. Se c’è una cosa che odio è chi maltratta i più deboli! Vernier!”. E riattivai la magia della velocità.
“Bene. Sarà divertente romperti tute le ossa. Andiamo Ikushi!” urlò Oroken. Il punkettaro creò un blocco di calcestruzzo avanti ai piedi del compagno che lo frantumò con il martello, creando un’enorme nuvola di polvere. Volevano ridurre la mia visibilità, ma a quanto pare non avevano fatto i conti con i sensi di un drago. Sentii il suono di qualcosa che fendeva l’aria davanti a me che si avvicinava. Vidi che erano dei proiettili di calcestruzzo, grossi come palle di cannone. “Bene, è ora di rischiarire l’atmosfera” dissi, e misi le mani in avanti, coi palmi rivolti verso il davanti, con le dita unite. “Ali del drago del Cielo!”. Dalle mie mani si sprigionarono due correnti d’aria di colore verde, ma abbastanza eteree da poter vedere attraverso di esse, che colpirono i proiettili e li frantumarono e spinsero la nube di polvere verso Oroken, il quale prima di venire investito fece un incantesimo, creando un muro di calcestruzzo davanti a lui.
“Vediamo se quel muro resiste a questo”. Concentrai la magia del fulmine nella mano destra. “Lancia del drago del Fulmine: Raika!”. I fulmini formarono una lancia blu elettrico nella mia mano. Stavo per lanciarla verso Oroken, quando vidi un’ombra sotto di me che si ingrandiva sempre di più. “Non ha funzionato la prima volta, non funzionerà la seconda” pensai e mi mossi indietro un attimo prima che Ikushi mi schiacciasse con il suo martello. Lanciai la lancia di fulmini in direzione di Ikushi, ma lo mancai perché si stava accovacciando al suolo dopo aver sferrato il colpo col martello. La lancia però colpì il muro di calcestruzzo eretto da Oroken, esplodendo in un grosso fulmine che mandò in frantumi la difesa del nemico. Intanto Ikushi si era rialzato e si avventò su di me. Alzò il martello il martello verso l’alto e lo abbassò contro la mia testa. Lo schivai con un passo laterale e scattai in vanti. Oroken stava ricostruendo le sue difese, ma grazie al ‘Vernier’ fui abbastanza veloce per infilarmi nel varco che avevo creato nel muro prima che venga richiuso e mi ritrovai di fronte ad Oroken, il quale rimase sorpreso nel vedermi di fronte a lui: “Ma come?” disse.
“Pugno del drago del Cielo!” urlai. Intorno al mio pugno destro l’aria verde incominciò a vorticare sempre più velocemente, come a formare una sfera dove l’aria incominciava a girare a livello della nocca del dito medio per poi proseguire lungo il pugno ed infine librarsi nell’aria dal polso, continuando a girare in linee curve intorno all’articolazione. Colpii Oroken dritto in faccia. L’aria potenziò il mio pugno ed Oroken volò per circa trenta metri prima di cadere a terra svenuto e con il naso rotto.
“E uno è andato” dissi fiero. “Ora tocca al secondo”. Mi girai e vidi Ikushi che si dirigeva verso di me brandendo il suo enorme martello. “Meglio abbatterlo subito prima che ci raggiunga”. La voce di Arashi rimbombò nella mia testa. ” Buona idea”. Raccolsi la magia del fulmine nella mano: “Raika!” e lanciai la lancia contro quell’ammasso di muscoli. Nonostante la sua lentezza riuscì a schivare il colpo e continuò la sua corsa verso di me. Ormai era abbastanza vicino per potermi colpire e mosse l’enorme martello in orizzontale. Come avevo previsto non era molto rapido e lo schivai con facilità grazie anche al ‘Vernier’. Vidi che con quell’attacco il mio avversario si era scoperto e ne approfittai. Avvolsi il pugno coi fulmini: “Pugno del drago del Fulmine!” e lo colpii a livello della milza. La parte i canottiera colpita andò in cenere, ma oltre a qualche graffio non gli feci nulla. Anzi, non si mosse neanche. Rimasi abbastanza stupito ed Ikushi approfittò del momento di distrazione per affermarmi il polso. “Ora sei mio!” urlò e mosse il martello verso la mia testa. Prima che mi colpisse però riuscii a rispondere all’attacco:
“Magia del drago del Cielo: Armor!”
L’aura verde del ‘Vernier’ si dissolse e al suo posto ne comparve un’altra dello stesso colore, ma formata da quelle che parevano scaglie di drago, che unendosi formavano una sorta di armatura su tutto il mio corpo. Alzai il braccio libero nel tentativo di bloccare il martello con l’avambraccio ed il colpo arrivò. L’arma si scontrò col braccio ed un suono simile a quello di un’esplosione si propagò nell’aria, causato dalla potenza del colpo.
“Congratulazioni. Ti sei salvato, ma ho ridotto il tuo braccio a brandelli! Il prossimo colpo sarà l’ultimo!” ed iniziò ad alzare il braccio per sferrare un secondo colpo. Io sorrisi beffardo e gli afferrai il polso della mano con cui teneva l’arma. Ikushi rimase stupito: “Cosa? Come puoi avere ancora il braccio tutto intero?!”.
“Con la mia magia ‘Armor’ posso aumentare la mia resistenza ai colpi, e la mia pelle diventa dura come le scaglie di un drago” spiegai velocemente.
“Non è possibile! Stai mentendo! Nessuno può uscire illeso dalla mia magia…” disse il mio avversario in preda all’incredulità.
“Eppure eccomi qua” controbattei. Poi continuai: “E non sei l’unico che può aumentare la sua forza!”
“Cosa?”
“Magia del drago del Cielo: Arm!” urlai. Le scaglie dell’Armor svanirono per lasciare il posto a fiamme verdi che uscivano dal mio corpo e salivano verso l’alto, ma che non emanavano alcun calore, né bruciavano.
“Hai ragione. Questo colpo sarà l’ultimo” e inspirai profondamente, accumulando aria nei polmoni.
“Ruggito del drago del Cielo!”. Spalancai la bocca e da essa uscì un getto d’aria simile ad un tornado che colpì in pieno Ikushi. Lasciai la presa e l’energumeno volò via insieme al piccolo tornado che viaggiò parallelamente al terreno per poi schiantarsi al suolo, una cinquantina di metri più avanti, formando un profondo solco nella strada al termine del quale giaceva un Ikushi ferito ed inerme.
“Bella mossa usare l’Armor’ e subito dopo l’Arm’ per potenziare il ruggito del drago del Cielo osservò Arashi.
“Devi fare per forza la telecronaca di ogni cosa?” sospirai. Va bene fare qualche commento, ma sottolineare ogni singola cosa mi pareva eccessivo. “Come va lì dentro?”.
“Pam era in pensiero, ma adesso si è tranquillizzata vedendo che hai sistemato quei due” rispose il drago.
“Bene”. Un rumore di passi catturò la mi attenzione. Dal municipio si stava avvicinando un anziano signore. Era pelato e aveva una lunga e sottile barba bianca legata in una treccia. Pareva parecchio teso: tremava ed era sudato da capo a piedi.
“Chi sei?” chiesi rimanendo all’erta. Poteva essere una trappola.
“S-sono Rinen. Sono a capo di questo villaggio” rispose velocemente e con tono nervoso.
“Maruko! Pam dice che è suo nonno!” mi disse Arashi.
“Conosci un certa Pam?” chiesi al vecchietto. All’udire le mie parole l’anziano capo del villaggio abbandonò la paura e la tensione che lo pervadeva ed iniziò a parlare in maniera frettolosa, quasi ansiosa: “E’ mia nipote! Come fai a conoscerla? L’hai vista? Sta bene?”. Nei suoi occhi si poteva leggere la speranza e la preoccupazione per la sua nipotina.
“Sta bene. E’ al sicuro” risposi, nel tentativo di rassicurare Rinen.
“Ti prego, portami da lei!”.
“Calma, ti porto da lei”. Non aggiunsi altro, siccome non volevo metterlo ancora più in agitazione di quanto già non lo era. Chiesi quindi ad Arashi:
“Cosa ne dici? Ci possiamo fidare?”. Il vecchietto dava l’impressione di essere veramente chi diceva di essere, ma come si suol dire, la prudenza non è mai troppa.
“Mi pare sincero. Quando vuoi puoi far uscire la bambina” rispose il drago. Allungai una mano in avanti, col palmo verso il terreno.
“Transport!”.
Sul terreno si formò un cerchio magico dorato e dal mio petto partì un fascio di luce anch’essa dorata che colpì il cerchio magico. In quel preciso punto apparì Pam. Rinen, incredulo, rimase per un momento immobile, ma poi abbracciò la nipotina di slancio.
“Nonno!” urlò la bambina. “Pam! Non sai quanto sono felice che tu sia salva!” esclamò Rinen con le lacrime agli occhi. Quella scena mi fece commuovere e devo ammetterlo, per poco non i scappò una lacrimuccia. Un leggero rumore metallico attirò la mia attenzione. Era come otturato, come se fosse nell’acqua o dentro qualche sostanza. Mi guardai intorno. Non c’era acqua, quindi l’unico posto da dove poteva venire quel suono così ovattato era…da sotto terra.
“Spostatevi!” urlai. Feci un passo indietro, appena in tempo perché non venissi infilzato da una catena con al termine una lama che uscì dal terreno. Un’altra catena avvolse invece Pam e Rinen. Il resto della catena uscì dal terreno lasciando un lungo solco nel selciato, portando nonno e nipote all’interno del municipio. Il loro odore scomparve.
“Quanto è vero che chi fa da sé fa per tre. Ora mi occuperò io di te. Hai già deciso dove vorresti essere seppellito?”

 

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Capitolo 8
*** Il drago ed il generale d'inverno ***


VII
Il drago ed il generale d’inverno
“Quanto è vero che chi fa da sé fa per tre. Ora mi occuperò io di te. Hai già deciso dove vorresti essere seppellito?”. Una voce calma, fredda e sicura pervase l’aria ed un uomo uscì dall’edificio nel quale erano appena stati trascinati la piccola Pam e suo nonno. La nuova figura arrivò fino al centro della strada e si voltò verso di me. Lo osservai, scrutando ogni singolo particolare di quell’individuo: alto circa un metro e ottantacinque, non molto muscoloso, ma con un fisico atletico. Indossava un kimono grigio, legato in vita da una spessa corda nera, le cui estremità penzolavano sul suo fianco sinistro, confondendosi con i leggeri pantaloni del medesimo colore. Ai piedi dei sandali con la suola di legno, tipiche del Giappone feudale, e delle calze bianche coprivano i piedi e le caviglie, per poi sparire sotto ai pantaloni. Appese alla cintura, sul fianco destro, due katane erano custodite nei loro foderi. La prima era completamente bianca, mentre la seconda totalmente nera. In volto un’espressione seria, che non lasciava trasparire altro che un senso di quiete, come se l’uomo sapesse già cosa stava per accadere, come se avesse tutto sotto controllo. I capelli lunghi fino a metà schiena, lisci e di un grigio chiaro, quasi bianco, incorniciavano un volto con qualche ruga qua e là, dai lineamenti duri e severi, con una cicatrice che da sotto l’occhio sinistro solcava tutta la guancia, fino a sotto il mento. Ma ciò che mi colpì di più di quell’uomo furono gli occhi: due cerchi azzurro ghiaccio continuavano a fissarmi senza spostarsi, senza perdermi di vista nemmeno per una frazione di secondo. Il tipico sguardo capace di guardare nell’anima delle persone per poi ribaltarle come un calzino senza nemmeno dover proferire parola. Cercai di sostenere quello sguardo, ma non ci riuscii. Allora diedi una veloce occhiata al municipio, cosa che mi venne naturale pensando ai due poveri abitanti trascinati lì dentro pochi secondi fa. “Grazie per l’offerta, ma non ho nessuna voglia di morire” risposi, tornando a guardare l’uomo questa volta sostenendo il suo sguardo. Quegli occhi erano in grado di mettere ansia solo guardandoli, o forse era solo il modo di fissarmi dello sconosciuto: uno sguardo severo, di chi ha vissuto tanto a lungo da conoscere tutti i dolori della vita. Anche se dall’aspetto sembrava avesse quarant’anni, anno più anno meno.
“Dove sono gli abitanti?” chiesi con tono duro. Un leggero ghigno comparve sul volto dell’albino che alzò la mano sinistra e schiccò le dita. La parete frontale del municipio crollo, sfondata da un’enorme cubo di colore violaceo, che fluttuando si fermò alle spalle dell’uomo dagli occhi di ghiaccio. Al suo interno vi erano circa un centinaio di persone, probabilmente gli abitanti, che dopo essere caduti per l’improvviso movimento del cubo ora si stavano pian piano rialzando, accalcandosi contro la parete del cubo fissando me e l’uomo col kimono, chi picchiando contro le pareti violacee, chi rimanendo in silenzio, chi invece urlava, ma nessuno suono usciva da quella struttura. Nella massa di persone riuscii a distinguere Pam e suo nonno, appoggiati contro la parete di quella prigione che mi guardavano con sguardo preoccupato, ma allo stesso tempo speranzoso. La voce di Arashi rimbombò nella mia testa: “Non ne posso più! Dagliele di santa ragione, oppure esco e ci penso io a cambiargli i connotati!”. Era veramente furibondo, e gli avrei dato ascolto se la curiosità non prendesse il sopravvento. Strinsi le mani a pugno, tanto che probabilmente le nocche mi diventarono bianche, tenendo le braccia lungo i fianchi, e incrociai lo sguardo con l’albino.
“Perché lo fai?” gli chiesi con tono calmo, ma deciso. “Maruko che fai? Perché gli fai questa domanda?”. La voce di Arashi suonò di nuovo nella mia mente, e gli risposi: “Voglio sapere perché fa tutto questo. Deve avere una ragione, nessuno fa cose malvage senza un perché. Forse riusciamo a risolvere la faccenda in modo pacifico. Anche perché ho già usato abbastanza magia prima, non so se riuscirò a combattere ancora per molto…”. Purtroppo era vero, avevo già usato troppa magia, causa anche la mia poca confidenza con i combattimenti. In fondo quella era stata la prima volta che usavo la magia contro altri maghi.
“Capisco” disse il drago. Sembrava contrariato, ma ero certo che la sua sia solo preoccupazione. La voce dura dell’uomo tagliò il momento di silenzio creatosi nel villaggio: “Perché mi chiedi? Semplice: non hanno pagato le loro tasse, tasse che devono a me. E chi non riesce a pagare con i soldi, deve pagare con qualche altra moneta. Sto semplicemente riscattando quel che mi spetta”.
“Non mi pare che tu sia a capo di questo villaggio” osservai. “Cosa sei, un soldato?” chiesi senza pensarci due volte. Era anche la prima volta che uscivo al di fuori della grotta, e non sapevo niente delle condizioni politiche del regno di Fiore. Di certo non credevo che quell’uomo fosse un soldato da come trattava quelle persone in quel cubo fluttuante, ma non potevo di certo scartare l’ipotesi che vi fosse un regime totalitario a capo del regno. Neanche Arashi poteva dire con certezza in che condizioni stava il regno essendo stato per troppo tempo in quella grotta senza ricevere notizie dal mondo oltre quelle mura di pietra e cristalli. Lo sguardo dell’uomo si assottigliò, e la sua mano destra si strinse come in automatico attorno all’elsa della spada bianca, ma solo per un istante. Subito dopo riabbassò la mano che tornò lungo il fianco. “Un soldato dici? ...No, non lo sono. Ma lo ero. Ora sono solo un uomo che tenta di sopravvivere alla devastazione di questo mondo” incominciò l’uomo, con tono basso, quasi solenne, ma con una vena di rabbia. Dopo un momento di pausa continuò: “Sai ragazzo, certe volte fare troppe domande non è una scelta saggia. Ma voglio accontentarti. Io sono Safuyu Kenrai, conosciuto anche come il “generale d’inverno”. Forse mi conosci, un tempo ero un grande generale, uno dei capi dell’esercito di fiore. Seguivo e facevo rispettare la legge, ma un giorno i capi dei governo mi ordinarono di attaccare e distruggere una città i cui abitanti non riuscivano a pagare le tasse, a causa della povertà causata da un’epidemia che mise la città in ginocchio. Io mi rifiutai. Proposi di rimandare la riscossione delle tasse a quando la situazione sarebbe migliorata, ma i capi dello stato non ne vollero sapere. Così mi rifiutai di eseguire gli ordini. Venni condannato per tradimento ed ammutinamento. Riuscii a fuggire dalla prigione, ed ora per sopravvivere devo vivere come un ladro, un brigante, un fuorilegge. O loro o me. O il mondo o me. Uno dei due deve prevalere sull’altro. Sono ricercato in tutto il regno, nessuno mi aiuta. Chi mi ha offerto un auto in realtà voleva solo riscuotere la taglia che pende sulla mia testa”. Un altro momento di pausa, durante il quale Safuyu chiuse gli occhi, come a voler ricordare ciò che stava raccontando. Poi li riaprì, e due cerchi magici bianchi comparvero intorno i suoi polsi, come se fossero dei bracciali, ruotando lentamente come degli ingranaggi. Io di impulso mi misi in posizione, pronto per lo scontro. Le mie intenzioni di evitare il combattimento stavano bruciando lentamente come carne alla brace, ma tentai comunque a persuadere il generale: “Ma perché allora fare tutto ciò a queste persone? Se hai bisogno di denaro te lo posso dare io”. In effetti nella Grotta del Drago c’erano vari oggetti rivendibili, Avrei potuto darglieli e sperare che se ne vada per la sua strada. Ma fu tutto inutile. Il generale non vacillò e rispose con tono calmo e freddo: “Non mi interessa, ormai devo finire quello che ho iniziato, e non sono il tipo che chiede la carità. E come ho già detto già in troppi hanno tentato di dimostrarsi amichevoli nei miei confronti. Non mi fido di nessuno e non sarai tu il primo. E’ stato un piacere incontrare un ragazzo come te, sembri promettente. Peccato che la tua strada finisca qui. Addio”.
Mosse leggermente le dita della mano destra e una catena color cenere comparì dal suo dito indice, continuando ad essere generata da un piccolo cerchio magico sulla punta del suo dito. A capo della catena vi era una corta lama, piatta ed appuntita, oltre che molto affilata che si avvicinò a me a tutta velocità, seguita dalla catena, volteggiando nell’aria come un uccello. Puntava allo stomaco e la schivai con un passo a sinistra. Un’altra catena si generò dal medio destro del generale e con una traiettoria parabolica puntò alla mia gamba sinistra. Feci un passo indietro per evitarla e la lama mi mancò per un soffio. Erano dannatamente veloci e precise, ma con un po’ di attenzione e concentrazione si riuscii a schivare i successivi attacchi. Safuyu aumentò il numero di catene a cinque, controllandole tutte con la mano destra. Fui costretto ad utilizzare il ‘Vernier’ per evitare i suoi attacchi, portati da tutte le direzioni: fendenti, traiettorie paraboliche, sferzate. Ogni attacco mi costringeva a muovermi. Tentai di scappare nei vicoli tra le case, ma le catene continuavano a tagliarmi la strada, impedendomi la fuga ed impedendomi anche di avvicinarmi all’avversario. Safuyu continuava a rimanere impassibile, i suoi unici movimenti erano il continuo giocherellare con le dita con cui controllava le catene che si muovevano come serpenti nell’aria. Saltai una catena che puntava ai miei piedi e decisi di passare al contrattacco: raccolsi dei fulmini in entrambe le mani, generando due lance blu elettrico e le scagliai contro il generale: “Raika!” urlai mentre scagliai le due folgori che velocemente percorsero l’aria e avrebbero colpito il generale se quest’ultimo non creò due catene con due dita della mano sinistra con cui intercettò le due lance che esplosero in due fulmini che spezzarono le catene, subito rigenerate dal loro creatore. Continuammo così per minuti, non so quanti di preciso, scambiandoci colpi di catene e pugnali senza che lui riuscisse a prendermi e lance di fulmini senza che riuscissi a colpirlo. Il suo obbiettivo era chiaramente quello di indebolirmi e stancarmi e ci stava riuscendo Lo scontro precedente mi aveva fatto usare parte della mia riserva magica e dover mantenere il ‘Vernier’ attivo per riuscire ad evitare di finire infilzato come uno spiedino mi stava prosciugando le forze. Se avessi continuato così non avrei risolto niente, perciò decisi di provare il tutto per tutto. Evitai altre due catene e quando trovai un’apertura scattai in avanti. Le catene mi seguirono come in belve a caccia della loro preda. Le due che stavano di fronte al generale usate per difendersi dai miei colpi scattarono verso di me una dopo l’altra, puntando una al cuore ed una allo stomaco. Le evitai scartando di lato, prima da una parte e poi dall’altro. Mancavano dieci metri e avvolsi il pugno destro coi fulmini pronto a colpire e continuando ad avanzare. Solo allora notai un particolare che mi era sfuggito: su tutte le punte delle dita di Safuyu brillavano dei piccoli cerchi magici bianchi. In una frazione di secondo compresi che ero caduto in una trappola. Le tre catene mancanti sbucarono dal terreno, puntando ai miei polsi ed alla vita. D’istinto colpii l’aria in direzione del generale un attimo prima che venni catturato da quelle catene. Un fulmine partì dalla mia mano, ma mancai la testa di Safuyu di poco. Il generale rimase impassibile, osservandomi. Mi intrappolò con le sue catene, legandomi i polsi e tenendomi le braccia aperte, lasciandomi a penzoloni a mezzo metro dal suolo, mentre la terza catena mi stringeva la vita a livello dello stomaco. Ero stanco e con quel briciolo di magia sufficiente a non farmi svenire.
“Maruko! Cerca di recuperare le energie assorbendo l’aria! Io ti copro!”. Arashi mi avvisò un attimo prima che forzò il ‘Transport’, uscendo nella sua forma ridotta dal mio petto, rimanendo con la punta della coda attaccato a me, o meglio, all’interno del cerchio magico dorato sul mio petto. Si rese tangibile e grazie alla lunghezza della coda si allungò e sferrò un pugno al generale, ancora fermo a circa cinque metri da me. L’albino fu costretto a scansarsi di lato, a sinistra per poi usare le rimanenti catene per difendersi dall’assalto del drago, che sferrava colpi a destra e manca, ed un paio di colpi colpirono in pieno l’avversario che saltò indietro, uscendo dal raggio d’azione di Arashi. Io intanto, dopo un momento di distrazione dovuto al fatto che mi chiesi come mai l’albino non utilizzava le spade per difendersi, seguii il consiglio del mio maestro ed inizia ad inspirare profondamente l’aria. Perché dovete sapere che una particolarità della magia del Dragon Slayer è che chi la utilizza può recuperare forze e magia mangiando l’elemento che utilizza, e nel mio caso era l’aria, oltre all’elettricità. Iniziai ad aspirare più aria possibile, ma la catena attorno al mio stomaco si strinse, mozzandomi il fiato e bloccando il mio tentativo di recupero. Il tempo a disposizione di Arashi terminò e il drago dovette tornare all’interno della dimensione all’interno del mio corpo. Se non poteva rendersi tangibile era inutile rimanere fuori. Ormai ero bloccato, tenuto fermo dalle catene e senza un briciolo di magia, impossibilitato a reagire. Safuyu mi osservò per poi avvicinarsi di qualche passo, rimanendo comunque ad una distanza di sicurezza, per evitare qualsiasi pericolo dopo i due pugni ricevuto da Arashi. Il suo sguardo gelido mi studiò da capo a piedi, come in attesa di qualche mio tranello. Dopo qualche secondo, vedendomi inerme e senza più forze, si rilassò.
“Lo devo riconoscere ragazzo, hai del talento. In pochi mi hanno costretto ad usare tutte le dita” affermò con un leggero sorriso in volto.  Poi continuò: “Quindi, ora dimmi: dove vuoi essere seppellito?” disse mentre sguainava la spada nera, pronto a finirmi.
 

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Capitolo 9
*** L'artiglio del dolore ***


~~VIII
L’artiglio del dolore
L’ex soldato mi pose ancora una volta quella domanda, rimanendo ad una distanza di sicurezza. Beffardo sorrisi, un sorriso amaro per l’imminente sconfitta e stanco per gli sforzi dello scontro. “Eh, eh, se non ti dispiace non credo di voler essere seppellito. Ho ancora tante cose da fare” dissi sornione. Ma alla fine ciò che dissi aveva un fondo di verità: un mese e mezzo passato ad allenarmi come un pazzo, solo per poter uscire il prima possibile da quella grotta e trovare un modo per tornare a casa per poi morire lo stesso giorno in cui mi metto alla ricerca di una soluzione per tornare nella mia dimensione. Safuyu non sembrò venir toccato dalle mie parole, dato che afferrò l’elsa della spada nera con la mano sinistra e la sfoderò lentamente, in un gesto quasi religioso, mostrando al sole la lama dell’arma: un filo di quello che pareva acciaio, sottile e nero, si fondeva con la guardia ovale, anch’essa nera. Un metro e mezzo di pura sete di sangue. Se la morte fosse stata un’arma, sarebbe potuta essere quella katana. Con la spada in pugno il generale si avvicinò cautamente a me, fino ad arrivarmi a circa un metro, fissandomi negli occhi. Lo sguardo gelido non lasciava trasparire nessuna emozione, solo calma ed, allo stesso tempo, concentrazione. Proprio come ci si aspetterebbe da un generale. Con un leggero sorrisetto rispose al mio commento: “Com’è ilare la vita. Ognuno ha tante cose da fare, cose che vorrebbe compiere, ma il tempo che abbiamo è limitato. Oggi vivi, domani potresti morire. Lascia che ti dica una cosa, giovane: non aspettare domani per fare ciò che puoi fare oggi. La vita ti può giocare dei brutti scherzi e non sai mai quando ti potrebbe fare lo sgambetto. Guarda me. Il giorno prima ero un grande capo dell’esercito, il giorno dopo divenni un traditore ed un ricercato. Quindi non aspettare, perché questo potrebbe essere l’ultimo giorno che hai da vivere…e nel tuo caso è così. Quindi che tu lo voglia o no, ti seppellirò qui. E’ stato un piacere incrociare la lama con te...”. Un momento di silenzio, poi Safuyu mi chiese: “Come hai detto che ti chiami?”. Devo essere onesto. Ero ad un passo dalla morte, ma mi scappò da ridere. Un sorriso spuntò sul mio viso, e risposi divertito al generale: “Maruko, Maruko Stormil”.
“Maruko Stormil. Pure di fronte alla morte sorridi. Spero che quel sorriso abbia portato serenità a chi hai conosciuto. Ma tutte le cose belle finiscono. E’ ora di finirla”. Alzò la spada, pronto a decapitarmi. “Ti darò una morte veloce. Addio” e mosse la spada da sinistra verso destra, per tagliarmi il collo. Sentii un urlo. La voce era di Arashi ed un suo ruggito mi avrebbe distrutto i timpani, se il cervello ne avesse avuti. Un urlo di disperazione, di speranza, di…paura. Non so cosa successe, forse fu solo la paura di morire, o l’istinto di sopravvivenza, non saprei come descriverlo, ma alzai la gamba destra, colpendo con un calcio il braccio sinistro del boia. La lama deviò vero l’alto sfiorandomi la testa prima che il generale effettuò un balzo all’indietro, allontanandosi di qualche metro per poi continuare a camminare all’indietro, fermandosi a circa dieci metri. Due catene sbucarono dal terreno e si legarono attorno alle mie caviglie, per poi tirarmele verso il basso, impedendomi di usare anche le gambe. Adesso ero immobilizzato totalmente. Non potevo più muovermi, ad eccezione del collo. Un’ultima goccia di energia pervadeva ancora il mio corpo, una goccia di voglia di vivere, di testardaggine. Con un ghigno alzai lo sguardo verso Safuyu e gli dissi: “Mi spiace per te, ma sono più testardo di quello che appaio. Ho davvero troppe cose da fare per poter arrendermi proprio ora”. Il generale mi fissò con aria prima sorpresa, poi apatica. Dopo un momento replicò: “D’accordo. Allora ti ucciderò da qui”. Alzò la spada in alto, impugnandola come se fosse una lancia, con la punta della lama rivolta contro di me. Pronunciò alcune parole, come se fossero una preghiera, un’invocazione…o un incantesimo: “Graffia il cuore, lacera l’anima”. La lama iniziò a trasformarsi: inizialmente sembrò prendere fuoco, un fuoco nero che poi investì l’intera spada. Ma non era la spada a prendere fuoco. Era la stessa spada che diventò fuoco. Un fuoco che non sembrò scottare la mano del generale, che non sembrava risentire di quel calore. Le fiamme cambiarono forma e contorcendosi ed allungandosi assunsero la forma di una lancia, lunga almeno tre metri e con una punta lunga almeno trenta centimetri, sottile, con due diramazioni uncinate all’attaccatura del bastone. Le fiamme sembrarono come aumentare di densità, finché non divennero quasi palpabili, come una sostanza liquida…come delle ombre.
La voce di Arashi spezzò lo spettacolo a cui stavo assistendo ed esclamò, evidentemente sorpreso: “Quell’arma…non avrei mai creduto di rivederla”. La reazione del grande drago mi stupì non poco. “L’hai già vista prima?” chiesi. Una domanda retorica ed anche un po’ stupida, ma non ero proprio nelle condizioni di potermi permettere di controllare cosa mi uscisse dalla bocca.
“Quella spada, o forse non dovrei chiamarla così dato che assume forme diverse in base a chi la impugna, è stata ricavata da uno degli artigli di mio fratello Ainryuu. Anzi, è stata creata proprio da mio fratello che la donò al suo allievo a cui aveva insegnato la magia del Dragon Slayer. In punto di morte Ainryuu si spezzò un artiglio intriso del suo potere magico e creò quell’arma per permettere al suo allievo di salvarsi la vita…”. Nella sua voce si poteva notare una scaglia di nostalgia, ma non ci feci tanto caso. L’unica cosa che mi venne in mente di chiedere in quel momento fu: “Cosa?! Hai un fratello? Perché non me l’hai mai detto? Chissà cos’altro mi hai nascosto! Bugiardo!”. Lo dissi con tono sorpreso, ma anche abbastanza ironico, forse per sdrammatizzare il fatto che stavo per essere infilzato come un pollo sul girarrosto. Riuscii a strappare ad Arashi una leggera risata: “Ahahah. Anche in momenti come questo non ti smentisci mai, vero? Comunque, ora quell’arma è in uno stato come quello della tua ‘Raika’. E’ composta totalmente da magia. Ma non so nemmeno io perché te lo sto dicendo…Tu sei senza magia, io non posso più materializzarmi per le prossime ventiquattr’ore. Mi dispiace, ti ho messo io in questa situazione. Se solo…”. Stroncai il suo discorso, avevo intuito dove stava per andare a parare, ma non avevo proprio la voglia né il tempo di sentire le sue parole.
“Aspetta, hai detto che è come la ‘Raika’?” chiesi. Una lampadina si accese nella testa. Forse avevamo una via d’uscita. “Sì, come la tua lancia. Perché?”. Sorrisi beffardo, per poi rispondere al drago: “Ho un’idea”.
La reazione di Arashi non tardò ad arrivare ed esclamò immediatamente: “Ed allora muoviti! Ma non esagerare…”. Una nota di speranza risuonava nella sua voce, ma arrivò il momento di doversi concentrare su quella dannata arma. Se avessi anticipato la mia mossa o se l’avessi ritardata anche solo di poco sarebbe stata la fine. Il generale si preparò a scagliare la sua arma e la lanciò, puntando alla mia testa. Inspirai. Ed espirai. La lancia Si avvicinò velocemente. Arrivò a pochi centimetri dalla mia testa. Decisi che era il momento: inspirai profondamente, risucchiando l’aria ed addentando letteralmente la punta della lancia, mangiandola letteralmente, come avevo intenzione di fare con l’aria. Infondo se la lancia era costituita da particelle magiche non vidi il perché non potessi mangiarmela. Sentii la lancia sciogliersi in bocca, trasformandosi in aria, per poi mandarla giù. Sentii immediatamente tornarmi le forze, mi sentii carico di energia quanto non mai. L’espressione sorpresa del generale fu l’unica volta che vidi la sua maschera imperturbabile venire scalfita. Quello fu il momento giusto per finirla: senza neanche liberarmi delle catene concentrai tutto la mia scorta di magia appena ricaricata nei polmoni, per poi espirarla tutta in un’unica volta. “Ruggito del drago dei fulmini!” urlai un attimo prima di espellere quell’ammasso di energia dalla bocca, che prese la forma di un’enorme spira di fulmini del diametro di almeno sei metri che in poco tempo coprì la distanza tra me e Safuyu. Il generale tentò di difendersi dal colpo avvolgendo le sue catene davanti a sé, formando uno scudo di ferro ed acciaio che, purtroppo per lui, non resistette e venne distrutto. L’enorme fulmine colpì in pieno il generale. Non lo sentii nemmeno urlare e lo vidi a terra, supino, coi vestiti bruciacchiati e le braccia aperte che giacevano a terra, dopo che i fulmini si erano diradati per poi sparire nell’aria. Le catene che mi tenevano bloccato, sospeso a qualche centimetro da terra, sparirono come brina al sole, lasciandomi cadere. Appena toccai terra mi avvicinai al generale, rimanendo comunque a circa due metri da lui per sicurezza. I suoi occhi erano aperti e le sue iridi glaciali osservavano il cielo azzurro. “A quanto pare sarò io ad essere sepolto”. La sua voce apparve stanca, un po’ roca. Sembrava davvero senza forze. “Non avrei mai creduto che qualcuno potesse rivaleggiare con quella spada…” disse dopo un attimo di silenzio. I suoi occhi si posarono su di me. Mi fissò per qualche secondo. Io non dissi niente, anche perché non avevo nulla da dire. Poi Safuyu interrompette il silenzio che si era creato: “Devi aver sofferto molto, vero? Te lo leggo negli occhi. Ora capisco perché sei riuscito a battermi…Il dolore provoca odio, e l’odio è la fonte delle vendette e delle guerre, oltre che la fonte del potere. Più odi più sei forte. Più soffri e più riuscirai a superare gli ostacoli futuri…Eh, ma per te queste suoneranno solo come parole vuote. Ora, lasciami morire con dignità. Un unico colpo, dritto al cuore. Fallo, ti prego. Disonorato, cacciato e braccato. Ed ora sono stato sconfitto, quella poca dignità che mi rimaneva è stata sbriciolata. Non ho altro motivo per vivere…”. E chiuse gli occhi, in attesa del colpo di grazia. Che non arrivò. Gli dissi: “Hai ragione, ho sofferto in passato, tanto. E concordo col fatto che l’odio possa essere la fonte di poteri terribili, che causano guerre e sofferenza. Ma, credo anche che non importa d dove provenga quel…potere. Ciò che conta è l’uso che se ne fa…”. Venni interrotto dal generale, che controbatté:
“Ed io ne ho fatto un cattivo uso. Non merito di continuare a…”. Come lui fece con me, io lo interruppi: “…ma tutti meritano una seconda opportunità. E in te credo ci sia ancora del buono. Quindi ora mettiti al servizio degli altri e cerca di redimerti, se ti senti così in colpa”. Quegli occhi gelidi si riaprirono con fatica, prima di tornare a guardarmi. Poi fissarono il cielo, per poi chiudersi di nuovo.
“Mph, dovrebbe essere il vecchio a fare la predica al giovane…In te c’è davvero del potenziale. Usalo. E fai ciò che io non ho fatto”.
“Certo, lo farò”. Ancora adesso non so perché feci quella promessa. Tutto ciò che volevo era tornare a casa, non di certo fare l’eroe. D’accordo che sono anche una persona anche fin troppo buona, ma ero dicerto il tipo che si mette una calzamaglia e va in giro a salvare la gente. Eppure, dentro di me, sentivo che quelle parole erano quelle che volevo dire. Il generale perse i sensi. Il grande cubo viola scomparve e i cittadini tenuti prigionieri, si avvicinarono. Mi sentii sollevato vedendo che non c’era nessuna persona ferita gravemente. Mentre tre uomini presero delle corde e legarono il generale come un salame, il vecchietto a capo del villaggio si avvicinò a me. Sentivo lo stomaco subbugliare, forse tutta l’adrenalina dello scontro stava svanendo e sentivo già i primi dolori, anche dove le catene mi avevano bloccato. Rinen arrivò vicino a me, mentre mi portavo la mano destra sopra lo stomaco. Mi disse: “Grazie. Grazie mille. Ci hai salvato. Come possiamo sdebitarci?”.
“Non serve, veramente. Ho solo fatto quello che andava fat…”. Mi venne un conato di vomito che trattenni a stento, accompagnato da un sonoro “ugh”. Il vecchio Rinen sembrò accorgersi delle mie condizioni e mi chiese: “Sta bene? Vuole riposarsi? Mi sembra un po’ pallido. Venga, la accompagno” e con un gesto della mano mi invitò a seguirlo. “No stia tranquillo, non serve, sto bene” risposi, mentendo ovviamente. La nausea aumentava sempre di più e non riuscii a trattenermi. Vomitai, forse per l’eccessivo sforzo…o forse per qualcos’altro. Ciò che mi uscì dalla bocca fu una sostanza liquida, nera come la pece, che si riversò a terra. Iniziò a girarmi la testa, le forze venivano sempre meno. L’ultima cosa che vidi fu quel liquido nero che mi parve muoversi. Poi persi i sensi e tutto divenne nero.
 

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