Un'immensa
distesa di prato mi circondava, ero un puntino nero sdraiato fra
tantissimi fiori. Chiusi gli occhi e respirai profondamente tra i
mille profumi che emanavano.
Il
cielo era dipinto di azzurro e qualche nuvola sparsa qua e
là lo
rendeva - dal mio punto di vista – un mondo di fantasia. Mi
girai
di lato e con un grande sorriso pensieroso, iniziai a giocherellare
con i petali di una margherita, stando ben attenta a non staccarli. I
miei pensieri avevano come sottofondo il delicato canto di un uccello
e il fruscio del vento che faceva ondeggiare dolcemente tutti i fiori
del prato.
Mi
alzai lentamente ed iniziai a sistemarmi le trecce da cui spuntavano
piccoli ciuffi che ricadevano in un boccolo. Il sole era accecante,
ma allo stesso tempo gradevole.
Portai
una mano sul berretto che portavo sopra il capo e lo abbassai
leggermente, giusto per coprire gli occhi dai raggi. Sbattei
più
volte le palpebre e notai - in lontananza – una figura
completamente bianca, proprio sotto un albero. Strizzai gli occhi ed
iniziai a correre verso di lei.
Le
trecce, che poco tempo prima avevo sistemato, stavano ondeggiando
disordinate tra il vento che mi permetteva di sentire meno caldo.
Dopo
cinque minuti di corsa, la distanza che ci divideva era davvero
pochissima. Inclinai il capo ed iniziai a osservare il ragazzo che
avevo proprio davanti gli occhi. Lui rivolgeva la sua attenzione
verso le montagne, senza badare alla mia presenza.
Lo
sfiorai delicatamente e un brivido mi corse lungo la spina dorsale.
Chiusi istintivamente gli occhi.
Non
appena li riaprii qualcosa era cambiato, qualcosa che fece
accellerare il mio battito di colpo: gli abiti del ragazzo erano
cambiati, insieme alla sua pettinatura, era tutto più...
terrificante. Impossibile che si fosse cambiato in pochi secondi.
In
un batter d'occhio iniziai a sentirmi ancora più debole di
quanto
non lo fossi già, iniziai a tremare e spalancai gli occhi.
Un tuono
rimbombò di colpo. Alzai gli occhi e mi accorsi che, non
solo il
ragazzo era cambiato velocemente, ma anche il cielo: era ricoperto da
grandi nuvole nere. Mi guardai intorno in cerca di riparo, ma non
trovai nulla. Sentii le goccioline di pioggia cadere sopra il mio
berretto sempre più forte, e il ragazzo era ancora
lì,
completamente immobile, a pochi centimentri di distanza da me.
Improvvisamente
un tuono colpì due rami di un albero alla mia sinistra e
cominciò a
incendiarsi, prolungando il fuoco a poco a poco su tutta la distesa
di erba. Iniziai a correre inseguita dalle fiamme che si diramavano
bruciando l'erba e i fiori che più mi piacevano. Inciampai e
caddi a
terra. Cercai più volte di rialzarmi ma c'era qualcosa che
me lo
impediva, qualcosa come un'incantesimo, e mentre mi sforzavo di
tornare in piedi, le fiamme mi circondavano avvicinandosi sempre di
più.
Improvvisamente
sentii la pressione di una mano che mi scuoteva lentamente, come se
volesse svegliarmi senza procurarmi fastidio. Sussultai e alzai la
testa dal lettino di Jennifer mentre mi stropicciavo gli occhi. Non
appena la mia schiena tornò dritta, scrocchiò e
mi morsi il labbro
per non mugolare.
«Mi
scusi se l'ho svegliata, ma non sembrava stesse sognando qualcosa di
bello.» disse qualcuno alla mia sinistra. Mi voltai scoprendo
il
volto di una giovane infermiera che mi rivolgeva uno sguardo
preoccupato. Aveva dei lunghi capelli biondi raccolti in una leggera
coda di cavallo che le ricadevamo accuratamente dietro la schiena.
Gli occhi erano scuri, quasi neri, e portava un rossetto rosso
acceso.
La
donna strofinò la sua mano contro la mia schiena.
«Sta bene?»
La
sua voce mi rassicurava, come se fosse fatta apposta per aiutare le
persone. Le sorrisi dolcemente e rivolsi uno sguardo veloce a
Jennifer. Dormiva beatamente con i suoi lunghi capelli biondi
sparpagliati sul solito cuscino bianco dell'ospedale.
«Umh,
si. Ho soltanto fatto un brutto sogno.» rabbrividii pensando
ai due ragazzi e alle fiamme che mi stavano raggiungendo, in quel
momento
ringraziai mentalmente l'infermiera per avermi svegliata.
La
donna sfilò degli occhiali dalla tasca del camice da lavoro,
e se li
appoggiò sul naso. Erano dello stesso colore del rossetto,
cosa che
lo fece risaltare ancora di più. «Beh, se ti
può far sentire
meglio, sono soltanto dei sogni.» si aggiustò gli
occhiali. «E per
la maggior parte delle volte tutto ciò che accade in essi,
non può
accadere nella realtà.»
Annuii
lentamente. «Giusto.»
La
donna fece per uscire dalla porta ma si bloccò di colpo,
girandosi.
Diede un'occhiatina prima a me, e poi a Jennifer. «Sei la sua
migliore amica?» mi chiese mentre poggiava le mani sui
fianchi.
«Si.»
mi alzai dalla sedia sistemandomi buffamente il maglione. Non appena
ricordai a chi apparteneva, i miei occhi balzarono sul suo lettino.
Dal suo volto sembrava rilassato e i capelli spettinati lo rendevano
- ai miei occhi – molto tenero. Le lenzuola erano tirate
verso la
sua mano, che teneva proprio sotto il mento, e le labbra erano
incurvate in un sorriso. Mi sentii avvampare e rivolsi lo sguardo
verso l'infermiera, che mi guardava divertita.
«Se
vuoi che la tua migliore amica mangi qualcosa di commestibile, ti
consiglio di andare a prenderle un cornetto al bar.» la donna
mi
fece l'occhiolino e uscì definitivamente dalla stanza.
Mi
lasciai cadere su una sedia e poggiai le dita sulle tempie,
massaggiandole. In quella situazione avrei voluto continuare a
leggere il libro sugli angeli, ma non appena poggiai le mani su di
esso, mi ricordai di ciò che mi aveva consigliato
l'infermiera pochi
secondi prima. Scossi il capo e uscii a passo veloce. Il corrodoio
era principalmente vuoto, ma dalle stanze si potevano sentire le
chiacchiere dei pazienti che parlavano con i famigliari.
Presi
l'ascensore e non ebbi il coraggio di girarmi verso le specchio,
sapevo già di non essere uno bello spettacolo. Iniziai a
giocherellare con un braccialetto mentre aspettavo di arrivare al
piano terra, e non appena le porte si aprirono mi precipitai verso
l'uscita dell'ospedale.
L'aria
fredda del mattino mi fece rabbrividire e portai istintivamente le
mani nelle tasche. Il bar più vicino si trovava dall'altra
parte
della strada, perciò mi toccava attraversare. Fortunatamente
le
strade erano completamente vuote, forse a causa dell'orario.
Una
volta arrivata di fronte al bar mi fermai pochi minuti per
osservarlo. Apparentemente poteva sembrare una piccola casa di
montagna, ma se si guardavano i minimi particolari si poteva capire
con semplicità di cosa trattava. In alto, spostata
leggermente verso
sinistra, c'era un'insegna con su scritto ''Edward's Bar''. Tutte le
lettere si illuminavano di rosso tranne le ultime due, probabimente
fulminate.
Mi
guardai intorno ed entrai spingendo la porta.
«Buongiorno.»
dissi quasi in un sussurro.
Il
dentro era decisamente più accogliente rispetto a come
appariva al
di fuori e si poteva sentire il calore che emanava il camino
nell'angolo della stanza. Mi appoggiai con i gomiti sul bancone del
bar, aspettando di essere notata da qualcuno.
Da
una porta uscì un ragazzo che si posizionò dietro
il bancone,
sembrava quasi sorpreso di vedermi, come se era improbabile che
qualcuno vennisse a quell'ora. Aveva i capelli neri scompigliati
verso sinistra, grandi occhi verdi e una spruzzatina di lentiggini.
Mi
rivolse un sorriso. «Allora?»
«Umh,
sì, due cornetti e un caffè.»
Il
ragazzo si voltò per preparare il caffè.
«Alla tua destra ci sono
i cornetti, puoi prenderli.»
Annuii
e allungai la mano per prenderne due, uno con la cioccolata e l'altro
con la crema. Presi una bustina e ce li infilai dentro, appoggiandoli
sopra il bancone.
«Come
ti chiami?» mi chiese mentre mi porgeva la tazzina con il
caffè. La
presi stando bene attenta a non farla cadere e ne bevvi un sorso.
«Kayla.»
gli sorrisi. «E tu?»
Il
ragazzo si passò una mano fra i capelli dandomi una vista
perfetta
dei suoi occhi. «Daniel.» rispose mentre le sue
guance si tingevano
leggermente di rosso. «Cosa ci fa una ragazza come te in giro
alle 6
e mezza del mattino?»
«Vengo
dall'ospedale.» risposi posando la tazzina ormai vuota sul
bancone.
Il
ragazzo annuì come se si fosse pentito di aver formulato
quella
domanda. «Sono € 3.50 »
Presi
i cornetti, frugai nelle tasche e tirai fuori le monete.
Daniel
si morse il labbro e mi diede lo scontrino. «Grazie
mille.»
Diedi
un'occhiatina fuori dalla finestra e notai che il vento si era alzato
di più. Tirai fuori un cappello e lo misi mentre sentivo il
peso del
suo sguardo. Abbottonai il ciubbotto e annuii soddisfatta.
«Devo
andare, ciao Daniel.»
«Ci
si vede in giro.» disse il ragazzo.
Mi
diressi verso la porta, ma prima di uscire definitivamente, mi voltai
verso quel ragazzo, Daniel, e le parole uscirono da sé.
«Preferisco
chiedertelo. Devo tirare o spingere? Mi sbaglio sempre,
ovunque.»
dissi mentre mi sentivo avvampare.
Dalla
bocca del ragazzo fuoriuscì una piccola risata.
«Devi tirare,
bella.»
Sobbalzai
e salutandolo con la mano, uscii dal bar.
Dalla
schiena del ragazzo spuntavano le grandi ali nere degli angeli delle
tenembre, le sue invece, erano bianche e portava apposta un giacca
bucata sulle schiena per lasciarle fuoriuscire.
Lui
le sorrise ancora una volta mentre le posava la mano sotto il mento.
- Guardami – sospirò - C'è qualcosa, ma
non vuoi dirmelo, me lo
sento. -
Eileen
rivolse un secondo sguardo verso la ragazza che le era stata
affidata. Ray stava continuando dipingere, ignara della loro
presenza. Avrebbe voluto parlarle, come si parla tra amiche, ma tutto
ciò non era realmente possibile. Ray non poteva vederla e
lei doveva
rimanere all'oscuro, doveva agire di nascosto per aiutarla, tutto
qui.
Tornò
nuovamente a guardare l'angelo delle tenembre, quell'angelo che amava
più di se stessa e che evidentemente stava aspettando una
sua
risposta.
-
No, ti sbagli. Non ho nulla. - gli rispose senza riuscire a
trattenere lo sguardo fisso nei suoi occhi. Luke la stava ancora
guardando con uno dei suoi sguardi provocatori. Forse non le credeva?
Probabile.
-
Non ti credo. - le disse il ragazzo spostandosi leggermente i capelli
verso destra.
Eileen
scosse il capo. Non poteva dirgli nulla di tutto ciò che
provava,
doveva tenerlo per sé, ma in questo caso per
sempre.
Il
braccialetto che contornava il polso del ragazzo di illuminò
e a
poco a poco divenne nero, segno che toccava a lui.
-
Luke. - lo richiamò. - É il tuo turno.- disse
indicando il suo
bracciale.
Il
ragazzo seguì l'indice della ragazza e annuì
deciso. Chiuse gli
occhi portando in avanti il braccio sinistro. Pronunciò
alcune
parole e sul palmo iniziò a formarsi una nube grigia che
tendeva a
diventare nera.
Luke
sorrise divertito e fra la nuvola iniziarono a formarsi dei lampi.
Con un gesto veloce la lanciò verso Ray che tutto d'un
tratto
scoppiò a piangere. Questo era il compito di quell'oggetto,
ovvero
far raffiorare nella mente della ragazza un ricordo brutto, che la
spingeva a piangere.
-
Quando fai quella cosa – disse muovendo le mani come pochi
secondi
prima aveva fatto lui. - Potresti evitare di sorridere? -
Si,
amava Luke ma i modi di fare degli angeli delle tenembre non le
faceva impazzire.
Il
ragazzo scoppiò a ridere. - Fa parte dell'incantesimo. -
spiegò con
convinzione. - Niente sorriso, niente lampi. -
Eileen
roteo gli occhi e si alzò velocemente mentre si sistemava la
gonna.
- Ora scusami, ma tocca a me. -
A
quel punto sbattè le sue ali bianche e volò
lentamente verso Ray
che piangeva bagnando il dipinto che pochi minuti prima stava
completando. Eileen le si accostò verso di lei e le diede un
abbraccio.
Lo
stato d'animo della ragazza cambio velocemente e iniziò ad
asciugarsi le lacrime con un fazzolettino mentre Eileen tornava a
sedersi sulla sedia accanto a Luke. Ray sorrise buttando il
fazzolettino e riprese tranquillamente a disegnare.
Chiusi
il libro e mi girai verso destra per guardare l'orologio che segnava
precisamente le 9:03. Jennifer stava ancora dormendo, mentre Justin
non era nel suo letto, e neanche nella stanza.
Sospirai
e mentre riposavo i libro, sentii il cellulare che stava vibrando. Lo
estrassi dalla tasca e risposi.
«Pronto?
Mamma?»
«Come
è andata questa notte? Hai dormito? E Jennifer?»
«Si
si, abbiamo dormito entrambe.»
«Perfetto,
verso che ora torni?»
«Non
lo so con precisione, ti faccio sapere.»
«Okay,
ciao tesoro.»
«Ciao
mamma.»
Riattaccai
e infilai il telefono nella tasca. Proprio in quel momento la porta
della stanza si spalancò rivelando Justin, con le stampelle.
Dalla
sua espressione facciale si poteva capire che fosse sorpreso di
vedermi.
«Oh,
ciao Kayla.» disse mentre si posava lentamente sul letto. Mi
avvicinai verso di lui, insicura. «Ciao, come stai?»
Justin
sorrise. «Calcolando che stavo passeggiando con mio fratello
per il
corridoio e lui mi ha lasciando praticamente da solo mentre
rimorchiava, si, alla grande.» si passò una mano
fra i capelli
mentre le sue guance si coloravano lentamente di rosso. «Per
fortuna
portavo con me le stampelle.»
«E
adesso dov'è?» iniziai ad innervosirmi. Jason non
era per niente
gentile con suo fratello, per quanto avevo sentito e visto io.
«Con
un infermiera, a rimorchiare.» fece roteare gli occhi e poco
dopo si
posarono sulla maglia che indossavo. Ricordai improvvisamente che era
stato lui a prestarmela quella notte ed avvampai. Lui si
inumidì le
labbra e rivolse nuovamente lo sguardo verso i miei occhi.
«Oh,
scusami, ho scordato di ridartela.» dissi indicando la maglia.
Era
la verità, mi sentivo così comoda da pensare che
fosse mia e me ne
ero completamente dimenticata. Quella notte avevo dormito pochissimo,
ma malgrado la posizione scomoda, non mi ero lamentata di nessun
dolore.
Justin
scosse il capo mentre mi rivolgeva un tenero sorriso. «Non
c'è
problema, puoi tenerla.» disse mentre si aggiustava gli
occhiali sul
naso. «T-ti sta bene.»
Sobbalzai.
«Grazie, veramente.»
Dopo
la mia risposta aprì lentamente la bocca, ma non
riuscì a
pronunciare nessuna parola poiché dalla porta della stanza
entrò
Jason. Il ragazzo era vestito completamente di nero e se ne stava con
un gomito poggiato sulla porta. Dopo svariati secondi riuscii a
capire che il soggetto che stava fissando ero io. Tutto ciò
che uscì
dalla mia bocca fu un misero 'ciao', detto quasi in un sussurro.
«Wow,
che felicità.» disse Jason mentre si avvicinava
sicuro verso di
noi.
Mi
alzai di colpo sorridendo ad entrambi ed mi sedetti sul letto di
Jennifer che nel frattempo si era svegliata. Le portai i capelli
dietro le orecchie mentre si stiracchiava lentamente.
«Buongiorno.»
le sussurrai dolcemente. Lei mi sorrise di rimando e si
sistemò il
cuscino che probabilmente le dava fastidio.
«Jennifer,
devo andare.» mi alzai e allungai la mano verso una sedia per
prendere il mio libro. «Tornerò a trovarti domani
dopo la scuola se
riesco a finire in tempo tutti i compiti, okay?»
Lei
annuì alzando il pollice. «Okay, ci vediamo. Ti
voglio bene.»
Era
chiaro che non fosse del tutto sveglia, ma sapevo che ciò
che aveva
detto era realmente vero.
«Ti
voglio bene anche io.»
La
salutai scuotendo la mano e mi voltai verso Justin e Jason.
«Ciao
Justin.» gli sorrisi. «Ciao Jason.»
Uscii
velocemente dalla stanza mentre sentivo i due che mi rispondevano
quasi urlando.
Mi
sistemai le trecce e presi l'ascensore. Il telefono vibrò di
colpo.
Da:
Jennifer
Piccola
domandina veloce: Cosa ne pensi dei gemelli Bieber? Xoxo.
Cosa
ne pensavo? Oh, era semplice: uno era l'opposto dell'altro, ed
evidentemente la cosa non piaceva a nessuno dei due.
Okay,
inanzitutto mi scuso per l'enorme ritardo di un mese, circa.
Il
problema è che dopo la scuola vado sempre da mia
nonna
per aiutarla visto che si è operata da poco, e la sera
torno
verso le 18:30 tipo. In poche ore devo studiare
e
finire tutti i compiti del giorno dopo e chiaramente non ho
molto
tempo da dedicare alla fanfiction e al computer.
Scusatemi
cwc.
Anyway...
Ecco
il terzo capitolo e devo dire che non mi piace per niente.
È
corto, noioso e non ho neanche avuto il tempo di rileggerlo. Spero
almeno
che
a voi piaccia, anche se ne dubito.
Se
volete, lasciatemi qualche recensione ;) mi farebbe molto piacere!
Un
abbraccio, Giulia.
P.s:
Grazie a tutte le persone che hanno recensito o messo nelle
seguite/preferite/ricordate la mia storia. <3
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