Goodbye Blue Eyes

di Fifth P The Catcher
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Sam by Cam ***
Capitolo 3: *** Sam by Sam ***
Capitolo 4: *** Sam by Jack ***
Capitolo 5: *** Commemorations ***
Capitolo 6: *** Goodbye Blue Eyes ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


NOTA DELL’AUTORE:  Sono mesi e mesi che ho l'icona di questa ff sul desktop, solo ora ho trovato il coraggio di pubblicarla. L’ho immaginata come un episodio dentro la mia testa, ed è stato difficile trasporre tutti i particolari che vedevo nella mente e tutte le emozioni che sentivo, ma ci ho provato, all’inizio quasi più per conservare il mio “sogno” che per altro; per questo ho aspettato tanto.
Voglio precisare che trovate nella mia ff riferimenti (ovviamente involontari) ad altre ff, prendeteli come un complimento, perché vuol dire che quelle parole mi sono veramente entrate nel cuore. Allo stesso modo, anche se è “presto” per dirlo, ritengo doveroso precisare che le ultime righe della ff sono una ripresa parziale e volontaria di un libro, per omaggiare Sam, che, pur essendo un personaggio di fantasia, è per me un vero e proprio modello, come uno degli scrittori che mi ha ispirato di più nella vita ed a cui devo molto di quel che sono (ed al quale erano rivolte quelle parole).

Scusate per la mia prolissità (si dice!) anche nell’introduzione e buona lettura! :)

P.S.: Dimenticavo la cosa più importante: siamo nella decima stagione, precisamente alla fine dell’episodio Line in the Sand, tuttavia in questa ff Jacob è ancora vivo e Daniel è sano e salvo alla base.

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- Mitchell, mi ricevi?
Silenzio.
- Mitchell, sono Teal’c, mi ricevi? Qui con me c’è Vala. Stiamo bene. Voi?
Silenzio.
Passano inesorabili i secondi. Teal’c e Vala si guardano, senza poter fare nulla; ovvio, Cam e Sam sono ancora invisibili, fuori fase. Ma ecco un bagliore, un pezzo di edificio che ricompare. Teal’c e Vala si precipitano verso la porta, entrano.
Mitchell è in ginocchio, le mani sul viso. All’inizio i due non capiscono, poi spostano lo sguardo sul lettino da campo messo lì accanto. Vi giace una giovane donna, capelli biondi, tagliati corti, come ogni soldato deve averli. È Sam.
La situazione non lascia spazio ad equivoci. Teal’c abbassa la testa, in segno di rispetto, per onorare una “valorosa combattente”; ma non riesce a trattenere le lacrime, che un tempo avrebbe controllato, di fronte non al soldato, ma alla sua amica. Vala rimane a bocca aperta. Che altro fare? Non osava avvicinarsi né a Cam, né a Sam.
Alla fine fu proprio Cam a parlare. Alzò la testa, mostrando il viso rigato dalle lacrime, e fece segno ai suoi due compagni di prepararsi per tornare sulla Terra. Una squadra sarebbe poi tornata a prendere tutti macchinari.
Uscirono. La luce del sole al tramonto li feriva: come poteva esserci uno spettacolo così bello in un giorno così brutto? Si avvicinò Thilana, il capo villaggio, insieme con i pochi sopravvissuti all’attacco. Tutti sorridevano; come biasimarli? Si erano appena salvati da morte certa.
Anche qui non servono spiegazioni. Mitchell, quasi urlando, impone agli abitanti del villaggio di non entrare per nessun motivo nella stanza dove stava lavorando Sam. I suoi occhi minacciavano una strage se il suo ordine non fosse stato rispettato. Nessuno avrebbe osato disubbidire.
Avrebbe potuto lasciare Teal’c a guardia, ma la verità era che voleva il supporto dei suoi compagni, sapeva che da solo non ce l’avrebbe fatta a tornare alla base, a guardare il generale negli occhi e dirgli quello che era successo.
Il colonnello si incamminò verso lo stargate. Prima di uscire dalla città, non potè fare a meno di girarsi, di guardare la stanza dove aveva passato le sue ultime ore una delle migliori persone che avesse mai conosciuto.
Solita storia: digita l’indirizzo, trasmetti il codice dell’iride; ma questa volta, Cam provò paura nell’attraversare il disco di pietra. Per la prima volta, provò paura.
Dall’altro lato, ad aspettarli c’era, come solito, il generale Landry, sempre con quel suo sorriso beffardo. Mitchell percorse la rampa a testa bassa, poi alzò lo sguardo, e gelò il generale. Il sorriso di Landry mutò in una smorfia strana, un misto di sorpresa e timore. Gli occhi del colonnello erano color celeste chiaro, freddi come ghiaccio, lucidi di lacrime.
Il generale riuscì a balbettare un vago “cosa è successo?”, ma aveva capito sin da subito quale era il problema. Così ordinò ad un soldato di chiamare un team medico al più presto.
- Il team medico è inutile, generale. – era stata Vala a parlare.
- Sam è.. – cercò di proseguire Mitchell, senza riuscire a finire la frase.

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Capitolo 2
*** Sam by Cam ***


Proprio oggi doveva svolgersi la cerimonia? Mitchell era furioso. Era appena uscito dall’ufficio del generale, dove si era sentito dire che era troppo tardi per annullare la cerimonia in programma per quella sera - occasione per mostrare il progresso del programma Stargate ed, allo stesso tempo, per fare qualche promozione - e che già molti degli illustri ospiti, tutti militari di alto rango, erano già arrivati, dopo lunghi viaggi, da tutte le parti d’America. “Eviteremo di mandarla troppo alle lunghe, ma va fatto oggi, non abbiamo scelta.” aveva detto Landry. Il generale gli aveva anche detto che l’sg3 aveva già riportato indietro il dispositivo di Merlino ed il corpo di Sam, insieme ai ringraziamenti ed alle condoglianze di Thilana e degli abitanti di p9c822.
Nella testa del colonnello turbinavano la rabbia ed il dolore, così, sovrappensiero, per poco non andò a sbattere contro il generale O’Neill.
- Piano Mitchell. Non ammazzarmi cadendomi addosso. Ehi, tutto bene? Mi sembri strano, ragazzo.
Doveva essere una battuta spiritosa, vero? Jack, non puoi capire. Non sai. Ma non ce la faccio a dirtelo. Stai andando da Landry, vero? Se sapessi, non saresti così felice. Oh, quanto vorrei che non lo sapessi mai. Non posso…
Mitchell sentì le lacrime gonfiarsi negli occhi; doveva andarsene in fretta, o sarebbe stato costretto a dare spiegazioni. Non sarebbe stato lui a dire della morte del colonnello alla persona che voleva più bene a Sam.
Biascicò un “Scusi, signore, ho da fare. Ci si rivede.” e poi passò oltre Jack, quasi correndo.
Non avrebbe voluto, ma le gambe lo condussero nel laboratorio di Sam, dove erano stati da poco riposti tutti i marchingegni di Sam. Sopra ad una pila di libri, svettava il portatile. Quel portatile. Era ancora macchiato di sangue, il sangue di una Sam che, pur morente, stava salvando lui e tutto il villaggio dalla distruzione totale. Si ricordò delle lettere, gli sembrò quasi di sentire la voce di Sam, che mormorava la password con un filo di voce..ed ecco che già si ritrovava seduto per terra, nell’angolo più nascosto del laboratorio, con il portatile sulle ginocchia: aveva un compito, doveva esaudire l’ultima volontà di Sam.
Le lettere erano tante: per Cassandra, Jacob, Hammond, Mark (solo in seguito Cam seppe che era il fratello di Sam), Jack, ma anche per Landry, Daniel, Teal’c, Vala e per lo stesso Mitchell. Il colonnello aveva appena aperto la sua lettera, quando sentì dei passi; non fece in tempo ad alzare la testa che vide il generale O’Neill. Il cuore gli balzò in gola: Jack sapeva, sicuramente sapeva, ovvio, era appena stato da Landry. Nei suoi occhi, Cam lesse la stessa rabbia che lui aveva avuto al villaggio, lo stesso sguardo gelido con il quale aveva freddato prima Thilana, poi Landry. Cam provò paura per la reazione di Jack: tutti alla base sapevano, e anche Mitchell, dopo qualche tempo alla base, aveva sentito le voci sui due.
“Non posso scappare.”: fu questa la prima  cosa che Cam pensò. Doveva dare spiegazioni, anche se non aveva nessuna colpa. Doveva dire a Jack come era morta. Doveva raccontare le ultime ore di Sam.
- Jack, signore..mi dispiace per quello che è successo - non riesco ad essere meno banale? - e..sono pronto a dirle..sì, beh, ecco..cosa è successo.. - quanto sono patetico.
Cam si stava per alzare, quando, invece, Jack si inginocchiò.
- Chi?
- Un soldato Ori. Lei stava lavorando sul macchinario di Merlino, che non funzionava bene..a quanto mi ha raccontato, ha sentito un fruscio, si è girata ed ha visto il soldato, già pronto a spararle..poi è successo tutto in fretta, lei ha cercato di evitare il colpo, ma è stata raggiunta comunque..poi sono arrivato io ed ho ucciso quel bastardo…
Se Jack stava soffrendo, non lo dimostrava. Gli occhi erano duri come pietra, fissi, immobili. Era facile pensare che fosse abituato a perdere i compagni, per quanto ci si possa abituare a queste situazioni; in fondo era un militare di grande esperienza, che prima del progetto Stargate era stato in tutto il mondo, dalla Germania all’Iraq, e sicuramente ne aveva visti di compagni morire.
-…grazie all’aiuto di Sam, sono riuscito ad attivare quell’arnese, ma solo per la nostra stanza..fuori gli Ori hanno conquistato il villaggio. Non so, quanto le ha detto il generale?
- Continua.
- Ho subito medicato la ferita, ma era profonda, troppo profonda. Le assicuro, ho fatto il possibile..ma..- ecco, già mi scendono le lacrime - ..per terra era pieno di sangue e..
- Quindi..è morta subito?
- No..è passato del tempo..non ricordo quanto. Per quello che vale, sappia che è morta dopo aver salvato molte vite; è solo grazie a lei se sono riuscito ad attivare il macchinario su tutto il villaggio..Saranno passate un paio d’ore..non stava bene, per la maggior parte del tempo è stata svenuta..mi ha detto di avere delle lettere..e qui ce ne è una anche per lei..senta, lo so quanto ci teneva a lei, anche per me è una grave perdita e non sa quanto…
- Basta Mitchell. Lei non sa NIENTE!
Così Jack si alzò e prese il portatile dalle ginocchia di Cam.
Ha ragione. Non riuscirò mai a capirlo.
 
Quella sera alla base l’aria era tutt'altro che felice, tutti gli ospiti erano stati avvisati, tutti gli uomini della base sapevano, nessuno aveva voglia di festeggiare. Però tutti, ligi al dovere ed affascinati dalle personalità che sarebbero intervenute quella sera, tutti c’erano quella sera.
L’SG1 era stata esentata dal partecipare, ma Mitchell aveva deciso di esserci. Dopo aver parlato con O’Neill, si era rinchiuso nella sua stanza, per evitare di dover sentire gli occhi compassionevoli di tutti puntati su di lui; aveva persino disobbedito ad un ordine, quello di andare da Landry per raccontare cosa era accaduto sul pianeta, ma, d’altra parte, il generale non lo aveva nemmeno mandato a cercare. Solo che verso le 20, quando si stava per dare il via alla cerimonia, Cam cambiò idea: ormai gli sembrava che quelle quattro mura lo volessero uccidere soffocato, un minuto in più in quella stanza ed avrebbe vomitato. Così si tolse i vestiti della missione e si infilò la divisa blu, tutta pulita, tutta scintillante..tutta apparenza. Come apparenza era il suo viso inespressivo, mentre dentro avrebbe voluto continuare a gridare ed a piangere come quando aveva cinque anni.
Arrivò nella sala dello Stargate quando già Landry era sulla rampa, e stava salutando quell’illustre generale, quell’onorevolissimo sottosegretario e così via.
D’istinto cercò con gli occhi i suoi compagni, ma non c’erano, come era prevedibile; d’altra parte non erano nemmeno soldati, nessuno li avrebbe obbligati a stare lì nemmeno in un giorno normale.
Poi cercò il generale O’Neill, ma anche lui non c’era; godeva della fama di non rispettare sempre le regole e gli ordini, e sicuramente dell’intervento alla cerimonia ormai non gliene fregava niente, non gli importava di quello che avrebbero pensato gli altri. Ma anche lui, come biasimarlo?
Mitchell si chiese cosa stava facendo lì e provò l’impulso di tornarsene nel suo appartamento, ma era troppo tardi: un paio di tizi in divisa blu e con svariate stelline sulle spalle già lo avevano “puntato” e gli stavano esprimendo le loro condoglianze e dicendo quanto fossero rattristati e bla bla bla..
Aveva voglia di rispondergli come Jack aveva fatto poco fa con lui e come avrebbe sicuramente fatto se si fosse trovato al posto suo, magari mandandoli anche a quel paese, ma si frenò all'ultimo, aiutato dall'arrivo provvidenziale di Landry.
Poco dopo la cerimonia iniziò, Landry salì sul podio, posizionato proprio al centro della rampa, e fece gli “onori di casa”, dispensò benvenuti e ringraziamenti qua e là a nomi sconosciuti e, sinceramente, poco importanti. Poi parlò di Sam, come era giusto fare. Cazzo, quei generali se ne stavano seduti nei loro uffici senza muovere mai il culo, tranne per andare a cene e cerimonie, e ora stavano lì senza neanche sapere veramente quanto lei  avesse fatto per tutta l’umanità, compresi loro.
La cerimonia proseguì, altri discorsi, medaglie, promozioni..Cam non ricordava quello che era successo dopo. Forse per colpa di tutta la birra che si era scolato al pub della città vicina, violando tutti i regolamenti, che gli impedivano di ubriacarsi in servizio.
Ma, sinceramente, poco gli importava.

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Capitolo 3
*** Sam by Sam ***


Caro Jack,
      se stai leggendo questa lettera è perché non ci sono più. Sì, questa è una lettera d’addio, nel caso non dovessimo più rivederci; facciamo un lavoro pericoloso, entrambi lo sappiamo, entrambi dobbiamo essere pronti. E tu devi essere forte. Ma io so che lo sei.
Voglio scriverti questa lettera perché troppe volte, soprattutto negli ultimi tempi, da quando non sei più nell’sg1, ho temuto di morire senza poterti dire troppe cose che voglio che tu sappia.
In questa lettera non ci sono regolamenti e divise, anche se dovessero leggerla quelli dell’Air Force, ammesso che ce ne sia una qualche utilità, non credo che potrebbero punirci in qualche modo. Insomma, basta aspettare, qui posso urlare quello che a voce non ti ho mai potuto dire, almeno in pubblico. Io ti amo Jack, ti amo con tutta me stessa, ti amo. Lo sappiamo entrambi, ma quanto è bello poter dire queste parole, liberamente, senza nessun peso, anche solo in una lettera.
È sin dalla prima missione, a Chulak, che ho visto qualcosa di speciale nei tuoi occhi; il tempo non ha fatto altro che mostrarmi sempre più evidentemente cosa provavo. Spero che per te sia stato lo stesso.
Non credo che io sarei mai riuscita a superare la tua morte. Ricordo ogni volta con orrore e spavento quei tremendi giorni, quando hanno ucciso Janet e ti hanno ferito. Ogni tanto mi capita di avere incubi, di rivivere al rallentatore quel momento, il colpo che ti centrava, tu che cadevi a terra privo di sensi, il rombo degli alkesh, gli spari, le grida, poi tutto diventava confuso e nero, ed il dolore continuava per ore. Altre volte avevo temuto di perderti, ma in quei casi c’era almeno la sicurezza che tu fossi vivo.
Dico tutto questo perché so che anche per te sarà un momento difficile e so come ti sentirai. Teal’c mi ha parlato della tua frustrazione quando non mi trovavate. Ma, ti prego, continua a vivere, fallo per me, in nome del nostro amore. Lo so che è chieder tanto, ed a parole è tutto più facile, io stessa non saprei come andare oltre. Ma confido in te, tu sei molto più forte di me, è per questo che, prima di tutto, ti ho sempre ammirato molto. Non dico che sarà facile, ma ce la puoi fare e devi tentare, in ogni caso. Tu vali molto di più di quanto credi, lo sai, e non perderlo mai di vista.
È solo grazie a te che sono andata avanti quando ero intrappolata prima sul pianeta del sito alfa, poi sulla Prometheus. E ti devo confessare una cosa: lì, sulla nave, (sarà stata colpa della botta alla testa) c’eravate tutti: tu, Daniel, Teal’c e Jacob. E mi avete detto che eravate creature del mio subconscio, ma sembravate così reali..ho davvero pensato che ci fosse un qualcosa di superiore che vi aveva mandati per aiutarmi..
E tu ti sei definito una “scommessa sicura” e hai detto, o ho detto, che forse il problema, durante tutto questo tempo, sono stata io. Spero di non esserlo stata, perché in quel caso sarei la persona più stupida del mondo. Pete è stato un errore, l’ho capito. È stato quasi una reazione di quello che è accaduto sulla Prometheus; anche papà lì mi disse che meritavo di amare e di essere amata. Ha detto che mi imponevo un amore irraggiungibile per evitare di essere ferita dall’amore. Forse era vero, forse all’inizio, dopo no; è stato durissimo vedere papà spegnersi giorno dopo giorno dopo la morte di mamma, anche se, a quel tempo, lo odiavo perché lo ritenevo colpevole dell’incidente. Ma colpe non ne aveva, ed il suo era un amore profondo, lei era tutto per lui. Anche in questo caso è grazie a te che l’ho capito. Ho compreso che avevo bisogno di qualcuno, che è inutile non amare per paura di soffrire.
Pure tu mi hai detto che io merito di meglio, ma tu sei quanto di più bello mi sia mai capitato, anche se non siamo mai potuti stare insieme apertamente. Mi hai insegnato cosa vuol dire veramente amare qualcuno.
Non so se ti ricordi quel giorno in cui sono venuta a casa tua, e tu eri nel giardino a cuocere la carne sul barbecue e bere birra e c’era la Johnson con te. Ero venuta lì perché volevo parlare apertamente, non mi importava delle regole, sentivo che non potevo andare avanti, dovevamo trovare un modo.. Poco prima Pete mi aveva portato a vedere la casa che voleva comprare, per andarci a vivere dopo il matrimonio, ma avevo capito che non la volevo quella casa dipinta di giallo come nei miei sogni di bambina, avevo capito che, anche se lui era una persona splendida e mi amava molto, io non sarei mai stata veramente felice con lui. Poi, dopo, papà mi disse che le regole non avrebbero mai dovuto impedire la mia felicità.
Sentivo, sapevo, che era vero e ora non so perché non ho il coraggio di andare oltre, e mi maledico di non farlo.
È difficile concludere questa lettera..ci sono troppe cose che vorrei dirti, eppure è così difficile parlarne. Ogni parola che scrivo è un colpo al cuore, perché vorrei potertela dire a voce.
Fai tesoro dei momenti che abbiamo passato insieme, degli sguardi rubati, degli abbracci. Speravo che un giorno sarebbe potuta andare meglio tra noi due, ma il destino ha voluto così.
Non mi dimenticare, non dimenticare la mia voce, i miei occhi, il mio calore. In te vivrà tutto ciò che rimane di me, sei rimasto solo tu a testimoniare quello che sono veramente, nel profondo.
Ti auguro tutto il meglio, perché sì, te lo meriti. Quello che desidero di più al mondo è che tu stia bene, anche senza di me.
Addio.

Per sempre tua,
Sam

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Capitolo 4
*** Sam by Jack ***


La conosceva, la propria faccia, anche senza guardarsi allo specchio. Ci era già passato una volta, quando Charlie era morto, ed era stato il periodo più terrificante della sua vita. E sapeva che il suo sguardo era inespressivo, gli occhi persi e distanti, il completo vuoto. Vuoto. Ecco come si sentiva. Privo di ogni emozione o sentimento. Avrebbero potuto prenderlo a calci, tanto non l’avrebbe sentito. E, anche se l’avesse fatto, non gli sarebbe importato molto.
Dodici anni fa era stato sull’orlo del baratro, vicino a raggiungere suo figlio, dovunque fosse andata la sua anima dopo quel tragico giorno. Sinceramente, non sapeva come fosse riuscito a superare quei giorni. Forse l’aveva salvato proprio il progetto Stargate: si era buttato su quella missione suicida senza pensarci due volte, magari per trovare una pallottola vagante che sostituisse il coraggio che gli mancava per premere il grilletto, ma alla fine quella folle avventura lo aveva aiutato a superare quel momento. Poi però era finito tutto, ed il dolore si era fatto sentire ancora più forte; non aveva più nemmeno Sara. Era solo. Il suo unico compagno? L’alcool.
Ora era lo stesso.
Era ripiombato nello stesso identico incubo.
Negli anni, qualcosa era cambiato. Il progetto Stargate lo aveva veramente trasformato, aveva trovato amici, fratelli..ed una persona da amare.
Non avrebbe mai creduto di potersi innamorare di nuovo, dopo l’esperienza con Sara, che, nel profondo del cuore, continuava ad amare (Come biasimarla per averlo lasciato? Lui stesso era il primo ad incolparsi per quello che era accaduto a Charlie); il cuore del generale Jack O’Neill era stato indurito dalla guerra del Golfo, dalle brutali prigioni afghane, dai massacri inutili di buoni amici e compagni, dall’abbandono delle due persone alle quali teneva di più al mondo. Eppure due occhi celesti avevano fatto breccia su di lui sin dal primo momento. Aveva provato un brivido quando il capitano Samantha Carter era entrata nella Briefing Room, quando aveva sentito la sua voce..l’amore che provava per lei, l’aveva capito col tempo. Ed era arrivato ad un punto in cui non poteva più farne a meno. Legalmente, loro due non erano niente. Praticamente, erano due parti della stessa anima, due pezzi combacianti di un puzzle. Apparentemente opposti, lei geniale e studiosa, lui eterno dribblatore di qualsiasi studio.
Il loro, un eterno fingere. Spesso lui si era chiesto se quel loro pretendere di essere solo due persone che lavoravano insieme non sarebbe finito per diventare realtà. E, ad un certo punto, Sam aveva trovato Pete. E lui Kerry. Ma l’aveva mai amata veramente? Probabilmente era solo troppo ferito dal fatto che Sam avesse trovato un’altra anima gemella. Ma non gliene faceva una colpa, perché non poteva pretendere che lo aspettasse per anni ed anni, a tempo indeterminato, senza poter amare qualcun altro.
Era convinto che lei si meritasse qualcosa di meglio di lui, ma la verità era che non potevano fare a meno l’uno dell’altro. Che preferivano un amore a metà, celato a tutti, piuttosto che un amore aperto con qualcun altro. Che ad entrambi bastava uno sguardo o una pacca sulla schiena per avere la forza di andare avanti, giorno dopo giorno.
Jack non riusciva veramente a capire perché non aveva fatto tempo fa quello che sarebbe stato giusto fare: ritirarsi, e, al diavolo i regolamenti, sarebbe potuto diventare marito di Sam! Era stata proprio Kerry a dirgli che sarebbe stato un enorme errore rinunciare a Sam solo per degli stupidi regolamenti. Ripensandoci, non sopportava affatto come avesse reagito alle parole della donna, lasciandosele scorrere via. Aveva ragione pienamente, Kerry. E lui non aveva fatto niente. Perché quel “ritirati” gli era sembrato tanto assurdo quel giorno? Era ovvio come la luce del giorno, era quella la via più semplice, eppure lui aveva scelto per sé e per Sam la via più difficile, quella che vedeva intrecciarsi i loro due percorsi solo quando quelli degli altri erano con occhi ed orecchie ben lontane.
Ma ormai.
 Jack stappò l’ennesima birra. Bevve un sorso. E poi scagliò la bottiglia contro il muro. Fu investito da gocce dorate di birra, schegge verdi di bottiglia e pezzi di intonaco.
Era a casa sua, per terra, appoggiato al muro. Non aveva nemmeno acceso le luci.
Aveva ancora la divisa blu, con tanto di medaglie.
Quella divisa che si era messo qualche ora addietro, prima di prendere l’aereo che da Washington lo aveva portato a Cheyenne Mountain per assistere alla cerimonia (ma in realtà era solo una scusa per respirare ancora l’aria della base e rivedere i suoi vecchi compagni).
Quella cerimonia dalla quale era scappato, per rifugiarsi nel suo chalet, dove tante volte era andato a pesca. Certe volte anche con lei.
Aveva da poco finito di leggere la lettera di Sam. Ed era in lacrime. Sì, lui, il generale e soldato esperto, proprio lui, stava piangendo.
Aveva fissato per un tempo che gli sembrò infinito quel sangue sul portatile.
Non riusciva a pensare a come potesse essere accaduto. Forse si aggrappava al sogno vano che tutto questo fosse falso, che si sarebbe svegliato tra poco nel suo letto.
Ma no, il dolore era troppo forte.
Visse fuori dal tempo per un tempo imprecisato.
Ricordava che, ad un certo punto, era squillato il telefono di casa e la segreteria gli aveva fatto sentire la voce di Daniel. Una voce preoccupata e malinconica che gli chiedeva come stesse, se avesse bisogno di parlare, che loro c’erano in qualsiasi momento. E poi, quasi con paura, la voce concludeva così: “Infine volevo solo farti sapere che la commemorazione..per Sam..l’hanno fissata per domani. Ti..ti aspettiamo e..ovviamente, se vuoi dire due parole, domani intendo, beh, hai tutto il diritto di farlo..ok Jack..a domani, ciao.” La voce concludeva timorosa, quasi scoraggiata.
Non gliela faceva ad alzarsi, i muscoli erano indolenziti per la posizione e si ribellarono con fitte di dolore quando tentò di rimettersi in piedi. Il mondo girava, era tutto confuso. Si chiese chi fosse e dove si trovasse. Non sapeva perché, poco dopo, si trovava in macchina a guidare verso non-sapeva-dove.
Arrivò a Cheyenne Mountain. Gli bastò mostrare un cartellino pescato nella tasca della giacca per poter entrare nella base, non senza uno sguardo incerto dell’aviere all’ingresso.
Meccanicamente si fece guidare da un altro aviere fin dentro all’ascensore e poi giù, nella terra, per 28 piani. Barcollò lungo i corridoi, senza sapere dove andare. Il mondo girava.
- Jack!! - una voce familiare chiamò il suo nome. - temevamo che non saresti venuto, ci stavamo..preoccupando..Jack? Ma..che ti è successo?
- Cosa? - balbettò O’neill, in preda alla confusione più totale.
- Perché sei ridotto così, Jack? Lo sapevi che c’eravamo se ti volevi sfogare..
Daniel. Ecco di chi era la voce, pensò Jack, che la collegò alla figura sfocata davanti a sé.
Un lampo.
Sam.
Dove si trovava.
- Devo trovarla! Dov’è? DOV’È?! - Il suo fu più un lamento che altro. Poi si mise a camminare, barcollando qua e là sul corridoio.
- Jack, non ti reggi in piedi, non puoi andare lì così.. - fu la preghiera di Jackson, alla quale Teal’c si aggiunse dicendo “Daniel Jackson ha ragione, O’neill.”
- DOVE?!? DOVE?!! dove?!
- Oddio..ok, Jack, calmati. Ora andiamo a schiarirci un po’ le idee, ok?
Jack annuì, lo sguardo perso nel vuoto.
- Teal’c, puoi andare da Landry a dirgli che Jack arriverà in ritardo? E poi..dovresti cercare o Hammond..o Jacob..a Jack serve aiuto, serve qualcuno che lo scuota. Io intanto lo porto a cambiarsi. Ci vediamo agli spogliatoi, ok?
Il jaffa annuì e se ne andò a passo spedito. Daniel, con estrema pazienza, guidò Jack verso gli spogliatoi, dove, con l’aiuto di un aviere, trovo una divisa pulita per Jack e lo convinse a cambiarsi ed a lavarsi il viso. Ma nemmeno il miglior truccatore di Hollywood sarebbe riuscito a coprire il rossore degli occhi di Jack, le occhiaie, il dolore scolpito su tutto il suo viso.
Daniel quella mattina credeva di non poter sentire più dolore di quanto non ne provasse già; ma si sbagliava: vedere Jack in questo stato, ecco, questo era insopportabile. Era come vedere morire lentamente una persona, senza poter fare niente per lei; un po’ come era successo, a parti invertite, quando Daniel era morto, cinque anni addietro.
Alla fine i due sedettero, in silenzio. Poi si sentirono dei passi, e dalla porta comparirono Hammond e Jacob, entrambi in divisa nera, e Teal’c.
Gli sguardi furono eloquenti: i due generali capirono subito quale era il punto, e gli bastò un’altra occhiata per decidere che la persona con cui Jack doveva parlare era Jacob.
Hammond avrebbe saputo dire a Jack come andare avanti di fronte alla perdita di un compagno, ma Jack, da navigato combattente quale era, sapeva già come gestire questo aspetto. Qui si trattava di perdere la persona amata, era tutta un’altra cosa.
Così Hammond, Daniel e Teal’c se ne andarono, lasciando i due uomini da soli.
Ci fu silenzio, lungo silenzio. E gli occhi vuoti di Jack si scontrarono con quelli tristi di Jacob. Jack invidiava l’autocontrollo del tok’ra. Gli occhi. Quelli di Jacob assomigliavano così tanto a quelli della figlia, nonostante fossero marroni come il caffè. Gli occhi di Sam. Dolore. Quegli occhi che “avrebbero fermato una rivoluzione”, che sarebbero bastati quelli per farti cadere ai suoi piedi. ed ora doveva dire addio ai suoi occhi celesti e puri, ai suoi capelli biondi, corti e morbidi, alla sua bocca delicata, che amava tanto vedersi aprire in un sorriso..
I due si abbracciarono, lasciarono scendere le lacrime. Non servivano parole, bastavano gli sguardi. Entrambi sapevano l’impossibilità della vita senza di lei, entrambi sapevano che il mondo continuava a girare, incurante del loro dolore.
Ma alla fine Jacob parlò. Doveva sapere.
- Vi amavate quindi?
- Sì. - Pausa - Sì..lei..lei era tutto, lei mi ha dato un motivo per andare avanti. Sono stato uno stupido a non ritirarmi dal servizio..sarebbe stato tutto più semplice se l’avessi fatto.
Jacob annuì. Altro silenzio. Poi parò, con la voce rotta:
- Non meritava tutto questo. Darei cento volte la mia vita per la sua..lei aveva TUTTA LA SUA VITA DAVANTI! Non aveva quarant’anni! Non so se riuscirò a..superare questa cosa..quale padre riuscirebbe a superare la morte della propria figlia? E poi lo dovrò dire a Mark, suo fratello. Con quale coraggio lo guarderò negli occhi e gli mentirò, gli dirò che sua sorella è morta in un banale incidente mentre lavorava in un laboratorio? Quanto vorrei poterli dire che lei era un eroe, che è riuscita a salvare milioni di persone, che anche il suo ultimo atto è stato utile a salvare delle vite.. Scusa dello sfogo Jack; la verità è che anche io ho bisogno di qualcuno con cui potermi liberare, qualcuno a cui non debba mentire.
Lo capiva, eccome se lo capiva. Non poté evitare di pensare a Charlie. “Nessuno dovrebbe sopravvivere ai propri figli” aveva pensato in quel periodo... Ed invece il destino si divertiva a sovvertire le regole. Ed ancora una volta, un padre era stato costretto a vedersi portato via tutto quello che di più prezioso aveva.

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Capitolo 5
*** Commemorations ***


Fuori, come in tutto il complesso di Cheyenne Mountain, l’atmosfera era pesante. Tutti erano scossi per la perdita di uno dei pilastri portanti della base. La morte di un membro dell’SG1 sembrava una cosa impossibile, quelli là sembravano dotati di sette vite, come i gatti, ogni volta che credevano fossero morti, poi rispuntavano fuori, (più o meno) integri, mentre nel frattempo avevano salvato la vita di tutti.
E già l’NID progettava un’inchiesta sulle procedure seguite dal generale Landry; la morte di Carter, per loro una scusa come un’altra per cercare di tagliare i fondi al progetto Stargate.
Non era retorico affermare che alla base c’era tutto il personale, perché la folla non occupava solo la sala dello Stargate, ma anche buona parte dei corridoi circostanti. Da Atlantide erano venuti Rodney McKay e la dottoressa Weir. Da Chulak erano venuti Bra’tac e Rya’c, in rappresentanza della nazione dei Jaffa liberi. C’erano anche dei civili: Cassandra, che, dopo aver perso la madre tre anni prima, ora perdeva l’altra persona a cui teneva di più, Pete, che la amava ancora moltissimo, nonostante come fosse finita la loro storia, l’agente Barrett, che non aveva mai smesso di sciogliersi ai piedi del bel colonnello, e persino Woolsey. Mark, il fratello di Sam, non c’era, perché l’Air Force non l’aveva autorizzato, e probabilmente non l’avrebbe mai fatto, costringendo sia Landry sia Jacob a mentire ancora.
Sulla rampa dello Stargate un podio e una corona di fiori. Al centro della stanza una bara ricoperta dalla bandiera a stelle e strisce.
Il generale Landry inizia a parlare, e subito scende il silenzio sulla stanza.
Fuori dagli spogliatoi, c’erano tre persone, che parlavano sottovoce tra di loro.
- ..era questo quello che temevo ogni volta che mandavo una squadra su un pianeta alieno. Che una persona innocente morisse.. - affermava tristemente Hammond, che, in cuor suo, sentiva la responsabilità della morte di Sam quasi come se fosse stato lui ad ordinarle di andare su quel pianeta.
E Daniel, mentre annuiva, dentro di sé si chiedeva se la sua presenza avrebbe potuto cambiare qualcosa: non si considerava un grande combattente, ma, pensava, sarebbe stato utile anche solo se avesse preso il colpo del guerriero Ori al posto di Sam..ed invece se ne era stato comodamente alla base per lavorare sulla traduzione di un manufatto degli Antichi..
Teal’c, come al solito in silenzio, ascoltava con un peso sul cuore le parole degli altri.
Dagli spogliatoi venivano dei bisbigli confusi, le parole sussurrate di Jack e Jacob.
Venne un soldato, che con gentilezza comunicò ai tre che la cerimonia stava per iniziare.
Hammond si prese il duro compito di interrompere Jack e Jacob.
- Stanno per iniziare..
I due lo guardarono. Jacob si alzò a fatica. Jack a malavoglia.
Poi i cinque raggiunsero la sala dello Stargate. La folla, al solo vederli, si aprì, e li lasciò raggiungere la prima fila, dove li aspettavano tutti i più importanti.
Landry aveva appena iniziato: “...le parole non bastano ad esprimere tutto il nostro dolore…e la gratitudine che le dobbiamo..è solo grazie a lei che…”
Dopo il generale, parlò Mitchell, che raccontò a tutti come Sam, seppur agonizzante, aveva salvato un intero villaggio.
Poi Daniel, che parlò con il cuore, che parlò non del soldato, ma della persona che lei era.
Infine Hammond, che a metà discorso si dovette interrompere per asciugare le lacrime.
Né Jack, né Jacob intervennero, come molti si aspettavano. Ma come potevano trovare le parole per far capire a tutti cosa avevano perso? Sarebbe stato impossibile per gli altri capire..
Dopo i discorsi la rampa fu sgomberata e lo Stargate fu aperto. E, mentre il suono malinconico della tromba squarciava il silenzio ed i cuori di tutti, sei uomini in divisa scura, O’Neill, Mitchell, Landry, Hammond, Jacob e Reynolds, piegavano la bandiera americana, in 13 parti, come pretendeva il protocollo, e la lasciavano andare nello Stargate, seguita dalla corona di fiori.
Alla fine della cerimonia, mentre tutti se ne andavano in silenzio ed a testa bassa, Jack trovò il coraggio di avvicinarsi alla bara. Era insopportabile saperla così vicina, ma irraggiungibile, questa volta per sempre. Appoggiò una mano sul legno lucido, ed a quel punto crollò: smise la maschera impenetrabile che aveva mantenuto per tutta la commemorazione, abbassò la testa e mormorò “Ti amo Sam”. Chissene dei regolamenti, chissene se probabilmente aveva gli occhi di mezza base puntati addosso..
Ormai erano rimasti in pochi nella sala dello Stargate. Daniel avrebbe riaccompagnato Cassandra a casa, nel suo appartamento pagato dall’Air Force, che ora sarebbe stato ancor più solitario senza le abituali partite di scacchi del sabato tra le due donne. Teal’c andò con il figlio e Bra’tac a Chulak.
Degli altri, nessuno aveva voglia di parlare. Hammond si offrì di accompagnare Jack e di stare un po’ insieme, sperando di salvarlo, almeno per un po’, dall’ennesima ubriacatura, ma non fece resistenza quando Jack biascicò un “Grazie signore, ma non mi va..buona notte a tutti” e se ne andò.
Anche Vala e Cam si congedarono in silenzio, mentre i due generali si reacarono nell’ufficio; Landry non sapeva proprio che scrivere nella lettera ufficiale di condoglianze per il fratello del colonnello Carter e chiedeva aiuto al più “esperto” collega. Si salutarono alle tre di notte passate.

Si rividero due giorni dopo, in un cimitero alle porte di Washington. La stessa Sam aveva chiesto nel testamento di essere sepolta lì, proprio accanto alla madre.
Quella era la cerimonia religiosa e pubblica, dove Sam non era la persona che aveva salvato centinaia di vite umane, ma una scienziata  morta in un insulso incidente di laboratorio.
Quel giorno c’erano tutti i membri dell’SG1, oltre che molti soldati dell’SGC, i due generali ed i civili già presenti alla commemorazione “privata” alla base, ma anche molti volti sconosciuti agli occhi dei ragazzi dell’SG1, principalmente ex compagni di Sam al liceo ed all’accademia. Ovviamente c’era Mark, con i figli e la moglie. C’era anche il comandante in capo dell’Aviazione degli Stati Uniti, un generale “a cinque stelle”, che molti quel giorno guardarono con timore e rispetto, chiedendosi cosa avesse fatto di così speciale la “loro” Samantha per meritarsi addirittura la presenza di una persona così illustre. Certo, che cosa si può fare di così speciale nell’osservare la telemetria dello spazio profondo?
Nel vedere così vicine la madre e la figlia, i primi a crollare furono Jacob e Mark. E così accadde che si incontrarono gli occhi di un padre con quelli di un figlio, niente di più. E Mark aveva lo stesso sguardo di quando aveva cercato conforto negli occhi del padre al funerale della madre, di quando voleva dimostrare di essere coraggioso non solo a sé stesso, ma anche alla sorella, più grande ma così debole in quel momento, ed al padre, di quando aveva tentato di non piangere, ma, alla fine, non ci era riuscito e si era stretto al petto della sorella.

Quattro giorni prima

La casa di Mark, una tranquilla casa, tipicamente americana, in una tranquilla strada di un silenzioso quartiere di San Diego.
Jacob trovò a fatica parcheggio poco lontano dalla casa del figlio e percorse lentamente i metri che li separavano. Il caldo di certo non aiutava. Forse avrebbe voluto correre, per non avere il tempo di pensare, ancora una volta, alle parole da dire al figlio, per non lasciarsi sopraffare dalle emozioni. Lui non sapeva niente, lui si aspettava solo una visita pomeridiana di un padre che, nonostante avesse ricominciato a far parte della sua vita, vedeva assai di rado.
Mark era seduto nel salotto, ad intrattenere Lisa, mentre sua moglie, in cucina a preparare la torta di mele, teneva d’occhio David, che già, alla sua piccola età, si dimostrava un cuoco provetto, a detta della madre. Mark era abbastanza felice di quella visita, forse per il “contagio” dei figli, così eccitati di vedere il nonno, magari sperando in un qualche ninnolo per loro. Mark non si aspettava di ricevere notizie tristi, una lettera di condoglianze ufficiale e quattro biglietti, per lui e per la sua famiglia, per un volo a Washington, per assistere al funerale di sua sorella, tre giorni dopo.
Appena sente suonare il campanello, si precipita alla porta, trainato per una mano dalla piccola Lisa.
Dall’altra parte, Jacob aveva impiegato un minuto buono per riuscire a premere quel campanello.
La faccia sorridente di Mark che si scontra con lo sguardo serio del padre. Un punto interrogativo si forma sul viso del ragazzo, Lisa già chiede, a mezza voce, che succede. Vorrebbe confortarla, Jacob, ma non ci riesce, sul suo viso si forma più una smorfia che un sorriso tranquillizzante. “Come mentire anche a lei, quando dovrò dire così tante bugie nella prossima ora?
 Già dalla cucina si sente la voce squillante di David e quella della madre, che gli dice: “Su, David, lavati le mani e poi vai a salutare il nonno.” Poi aggiunge “Buonasera signor Carter. Metto in forno la torta e vengo a salutarla come si deve.”
Mark e Jacob si capiscono al volo, basta uno sguardo. Quello sguardo.
- Su, Lisa, vai un attimo dalla mamma, che io devo parlare in privato con il nonno. Poi veniamo in salotto e giochiamo tutti insieme ed il nonno ci racconta cosa ha fatto in questo tempo che non ci siamo visti.
- Sì! E io gli racconto della recita scolastica! - esulta lei, felice, prima di correre dalla madre.
- Che succede, Lisa? - fa lei.
- Niente mamma, il papà ed il nonno devono parlare da soli.
La donna sporge il viso fuori dalla cucina, solo per vedere le facce mute dei due. “Qualsiasi cosa sia, non è un buon segno questo.
Al piano superiore, nello studio, Mark esita a parlare. Così come Jacob.
Alla fine Mark riesce a chiedere, in un sussurro, con la voce rotta:
- C-c-cosa succede, papà?
È difficile risponderti, figlio mio. Succede che tua sorella è morta, che se ne è andata l’altra donna della mia vita. Succede che io sono rotto in mille pezzi. Succede che ti sto per mentire, che, ancora una volta, l’esercito e le sue regole ti feriranno, come ti avevano ferito alla morte di tua madre. Succede che vorrei dirti tante cose ed invece te ne dirò poche. E già so che a te non basteranno. Ecco cosa succede.
Silenzio, un lungo silenzio. Jacob risponde:
- Si tratta..- sospira - ..si tratta di tua sorella.
Mark si volta, guarda negli occhi il padre. Aveva già vissuto quel momento, quando, 27 anni prima, era tornato a casa col bus dalle lezioni di football e si era visto quello sguardo sul viso del padre. Non servivano le parole, aveva ancora quel volto stampato nella mente, una cicatrice ancora aperta.
Abbraccia il padre, non trattiene le lacrime. Si rivede bambino, quel bambino di nove anni che non voleva credere al padre, che, quella notte, era riuscito a dormire solo grazie al conforto della sorella, che l’aveva accolto nel suo letto. Avevano pianto insieme, quella notte, si erano fatti forza a vicenda. Si erano promessi di rimanere sempre uniti, avevano odiato insieme l’esercito e quel padre che, per il lavoro, aveva condannato la loro madre, l’unica ad esserci mentre il generale Jacob Carter era nei quattro angoli degli Stati Uniti. Poi l’esercito aveva portato via anche la sua amata sorella e non capiva perché: non odiava anche lei i militari e le guerre? Cosa era cambiato? Non l’aveva capito allora né lo capì mai dopo. Con il tempo si era mantenuto in contatto con la sorella, ma erano rare le volte in cui si incontravano, anche solo per un caffè. Per buona parte del tempo erano stati separati da oltre 3000 km, lui a San Diego, dove aveva trovato un lavoro redditizio, lei a Washington, prima in accademia, poi al Pentagono.
Sulla porta compare la moglie di Mark, che ormai aveva intuito che c’era qualcosa che non andava. Mark va dalla moglie, abbraccia forte pure lei, di nuovo si rivede al funerale della madre, quando si era stretto alla sorella.
I bambini, come dirlo ai bambini? Quella zia che vedevano poco, ma che aveva sempre un sorriso ed una parola dolce per loro.
Quasi gli avesse letto nel pensiero, la donna disse: “Ci penso io ai bambini.” E se ne andò. Non era affar suo - pensava - intromettersi tra un padre ed un figlio, ma doveva pensare ai due figli, che ormai non si potevano tener buoni solo con una caramella ed una ninna nanna. Era il modo migliore per aiutare il marito, quello di levargli il peso di dover dire la notizia anche ai due piccoli.
Nello studio era sceso di nuovo il silenzio, intervallato dai singhiozzi di Mark.
Jacob aveva pensato mille e mille volte nella sua testa le parole da dirgli, ma ora aveva la gola secca ed il cuore stretto in una morsa, e, di quelle parole, non gliene venne in mente nemmeno una. Aveva un tono di voce quasi distaccato quando disse:
- Fra tre giorni si terrà il funerale. È a Washington, per questo ti ho portato dei biglietti aerei..vuole essere seppellita vicino alla madre..
- E quindi? Sei venuto solo per dirmi questo? - replicò lui, asciutto.
- No, ti porto anche la lettera del generale Landry, il comandante di Sam. Non c’è scritto niente di interessante, le solite storie sul valore e..
- Tu non mi stai dicendo molto di più! - obiettò Mark, interrompendo bruscamente il padre, urlandogli quell’accusa in faccia.
Ci fu silenzio. Jacob sospirò.
Temeva quel momento, temeva che, come era prevedibile, Mark non si sarebbe accontentato di una semplice notizia, nemmeno di poche spiegazioni confuse. E lui non poteva offrirgli molto di più.
- Vuoi sapere come è morta.. - la sua era quasi una costatazione piuttosto che una domanda.
- Non è forse un mio diritto? - sbraitò di nuovo Mark.
- Sì. Sì, lo è. Ma io so che tu non ti accontenterai di sapere che tua sorella è morta in modo eroico, e che, per questo e per altro, il presidente in persona le voleva offrire una sepoltura ad Arlington, che ho rifiutato perché lei è stata ferma nel suo testamento.
- No, hai ragione, non mi basta.
- Non ti posso dire altro.
A Mark venne una risata sarcastica.
- Di nuovo questo maledettissimo esercito e le sue maledettissime regole? È per salvare queste regole di merda che mia sorella è morta?!
- Eppure dovresti già saperlo che quello a cui lavorava è classificato top secret..
- Certo..la telemetria radar dello spazio profondo! - altra risata sarcastica - Come si può essere eroi in un laboratorio? - gli urlò di nuovo.
Jacob sospirò. Si aspettava anche questa obiezione. Come biasimarlo? Sentiva una fitta al petto ogni volta che era costretto a mentire al figlio ed a non rendere giustizia alla figlia. Ovviamente lui sapeva per cosa era morta Sam, ma Mark non avrebbe mai potuto capire che persona era sua sorella, che era passata dall’essere l’angelo custode del fratello minore ad esserlo di tutta la galassia.
- Senti, non ti posso promettere niente..ma cercherò di farti avere un’autorizzazione. È vero, tu meriti di sapere. Però ora, ti prego, accontentati. Accontentati di quello che ti ho detto. E perdonami.
- Come faccio a perdonarti?? - gli gridò Mark di rimando - Dopo la mamma anche Sam!
Quell’urlo. Quella accusa implicita. Era come gettare il sale su una ferita già aperta. In verità si era anche arrabbiato: ora che stava così male, che avrebbero dovuto unirsi per affrontare quel dolore, ora il figlio si metteva a lamentarsi e ad accusarlo? Non gli aveva insegnato niente la morte della madre? Poteva capirlo quando era piccolo, ma ora..ora doveva crescere.
- Ci vediamo a Washington. Spero. Ecco qui i biglietti, è tutto pagato. Ciao, Mark.
Questo fu il suo saluto. Una voce rassegnata. Passi che scesero lentamente le scale. Un saluto silenzioso alla moglie di Mark ed un mezzo sorriso ai due bambini.
In fondo Mark sapeva che non era stata colpa del padre. Né per la morte della madre, meno che mai per quella di Sam. Accusare il padre era solo un meccanismo di difesa. Perché era lui che si sentiva colpevole: per tutte le volte che avrebbe voluto parlare, ed invece non l’aveva più fatto, anteponendo il suo orgoglio al bisogno di affetto; ed ora che vorrebbe, ora non ne ha più la possibilità.
Quella sera David e Lisa dovettero andare a letto senza il bacio della buonanotte del padre, quel giorno dovettero diventare un po’ più grandi, per il loro padre, che quella notte invece tornò bambino.
Mark non si presentò a cena e nemmeno a letto, passò la notte a sfogliare vecchi album di famiglia, ad inondarli di lacrime, e non sapeva nemmeno perché lo stava facendo.
Quella notte la moglie più di una volta sbirciò oltre la porta socchiusa dello studio, per poi tornare ad un sonno tormentato.
Quella notte, invece, Jacob la passò in aeroporto, ad aspettare il primo volo per Colorado Springs, contea di El Paso. A guardare i volti dei turisti affaticati con le valigie al seguito e degli impiegati sempre di corsa.
 

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Capitolo 6
*** Goodbye Blue Eyes ***


Jack tornò a casa, nel suo appartamento a Washington, e, per la prima volta dopo giorni, non provò l’impulso di attaccarsi a qualsiasi bottiglia di vetro che contenesse alcool. Si gettò sul letto, stremato dalla quasi completa assenza di sonno di quei giorni. Si addormentò subito, ma i suoi sogni si trasformarono presto in incubi confusi, fatti solo di paura, buio e grida. Poi, in mezzo al buio, una figura, più luminosa di tutti i fantasmi che le stavano attorno.
- Sam..sei tu? -chiese, con un filo di speranza
- Certo Jack.
- Sei..sei ascesa? - sapeva la risposta.
- No.
- Però te lo meriteresti. - provò lui.
- Lo sai che non lo farei.
Annuì. Non si trattava del rigoroso pragmatismo degli scienziati, del loro credo basato sul “se non vedo e tocco (e non capisco le leggi fisiche dietro di esso) non ci credo”, si trattava che Sam non sarebbe riuscita a vivere relegata in un angolo di cielo, potendo vedere la sofferenza ed il dolore ma non potendo intervenire. Sam non voleva. Forse proprio per il suo essere scienziata, teneva bene a mente che la nostra vita è una, che è destinata a finire, senza seconde chances. Lei voleva giocare il gioco secondo le regole umane; immersa tutti i giorni in tecnologie futuristiche, era quella che comprendeva meglio i limiti che la natura ha imposto a noi uomini. Non aveva paura della morte, perché la sapeva implicita nella vita.
- Quindi? - chiese lui, spaventato del seguito. L’aveva davanti a sé, non poteva perderla di nuovo.
- Quindi questo è un addio, le nostre strade si dividono. Ma, non importa quanto lontani, saremo sempre vicini. Io ci sarò sempre per te, come tu ci sei stato per me fino ad ora.
- No..
La stava perdendo. Di nuovo e per sempre.
Lei lo prese tra le braccia, lui si lasciò trasportare. Sembrava tutto così caldo, così reale. Loro due, insieme, re e regina dello spazio e del tempo infiniti. Quel momento, una parentesi di illimitata disponibilità. In quel momento capiva cosa lei gli voleva dire: la sentiva così vicina, veramente non importava quanto fosse lontana.
Ma la sua figura svanì lentamente, come vento gli scivolò fuori dalle braccia. E tutto era finito. Rimase solo, per sempre.
Jack si svegliò. L’orologio sul comodino gli diceva che erano le sei di mattina. I nuvoloni scuri fuori dalla finestra che a breve sarebbe piovuto.

- - - -

Ieri, Sam, era una giornata splendida, il sole brillava ed illuminava tutta la Terra; ma io ero triste, perché tu te ne eri andata. Oggi il cielo è grigio e si preannuncia un temporale. Ma io non piango più, perché ho dentro di me quello che mi hai donato con il tuo amore: la vita. Presto ci rivedremo, ed allora, finalmente, potremmo essere liberi.
Addio, Sam.

Goodbye, blue eyes.
Farewell, sweet skies.















Angolo dell'autrice: Ok, è finita. Rileggendo questo capitolo ora, dopo quello che è successo in questi mesi, mi accorgo di quanto io sia cambiata dall'estate scorsa, ma anche di quanto stargate possa essere una delle poche cose belle che mi sono rimaste. Ma non è questo il momento di parlarne.
Questo era il "famoso" capitolo pieno di citazioni, di altre ff o di libri, e forse poteva esser fatto meglio, ma è quello nel quale volevo mettere di più, e, ovviamente (><), quello del quale poi rimango più delusa.
Nuntio vobis gaudium magnum: ho già tante altre storie scritte a metà, che spero di pubblicare quest'estate :3 (e voi: naaa, non la sopportavamo più questa qui! ><)
Last but not least, ringrazio, anzi, ringrazio infinitamente, le mie due lettrici, Vic Moretti e Creusa Jones.

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