Rules for a perfect life

di HisL0uis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Regola numero 1 ***
Capitolo 3: *** Regola numero 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


  PROLOGO

Alla fine fu quell’orsetto gommoso giallo a convincermi.
Certo, le cose con Niall non andavano da parecchio
ormai, da più tempo di quanto avessi osato ammettere con
chiunque, ma alla fine fu un’innocua caramellina gommosa
a rendere tutto più chiaro nella mia mente.
Per mesi avevo cercato di convincermi che tra noi fosse
tutto a posto. Ogni coppia attraversa periodi bui, è perfettamente
normale, specie quando si sta insieme da tanto.
Persino mia sorella Charlie, che vive una vita da sogno
in Inghilterra con il suo devoto maritino Josh e quegli
angioletti dei gemelli, una volta mi ha confidato di aver
attraversato una fase in cui anche solo la vista del marito
scatenava in lei un odio viscerale. Successe per un breve
periodo dopo l’arrivo dei gemelli: la povera Charlie aveva
affrontato non uno, ma ben due parti strumentali, cui si era
aggiunta anche l’umiliazione di un conseguente prolasso
uterino, tutto per colpa di “quel pervertito”, così cominciò
a chiamare Josh dopo il parto.
Il guaio era che Josh le aveva promesso solennemente
di insistere per un taglio cesareo d’emergenza quando fosse
arrivato il momento, che l’emergenza fosse reale oppure
no. Ma quando il momento era effettivamente arrivato, non
aveva tenuto fede alla promessa. Era invece rimasto lì, a torcersi
quelle mani da inetto fresche di manicure mentre il ginecologo
– che (secondo Charlie) aveva un’innaturale predilezione
per i parti naturali, quando possibili – la rovinava
sul tavolo operatorio! E aveva avuto pure la sfacciataggine
di svenire quando il primo gemello, con quello strano cranio
alieno a forma di cono provocato dal forcipe, era stato
estratto a forza dal corpo di mia sorella tra calci e strilli.
Riacquistata la lucidità, Charlie  aveva riconosciuto che
forse ciò che aveva subìto non era effettivamente colpa di
Josh , ciononostante a volte la notte se ne stava sdraiata
architettando modi per ucciderlo. Una volta aveva letto di
un uomo che aveva strangolato la moglie mentre dormiva
tranquilla e in seguito aveva dichiarato di averlo fatto nel
sonno e di non ricordare nulla. Aveva sostenuto senza esitazione
davanti al giudice e alla giuria di aver agito inconsapevolmente…
e la cosa straordinaria è che era riuscito a farla
franca! Gli avevano creduto quando aveva detto di non essersi
reso conto che stava soffocando quella povera anima,
che ora era tormentato dal senso di colpa e dal rimorso e
che doveva prendere diciassette farmaci diversi per cercare
di superare la disgrazia.
Charlie  mi ha confessato che quel piano aveva cominciato
a stuzzicarla… sembrava così semplice e addirittura plausibile.
Non lo riteneva nemmeno così difficile da mettere in
pratica – era un membro attivo nel gruppo teatrale della sua
comunità e aveva vissuto un momento di gloria interpretando
una vedova affranta ne Il violinista sul tetto. Aveva persino
ricevuto recensioni favorevoli sul giornale locale. Ciliegina
sulla torta, si era già creato un precedente in una corte di
giustizia… poteva farlo, di questo era certa. E se fosse stata
costretta a prendere diciassette pillole diverse dopo l’accaduto,
pazienza. Evidentemente era il suo destino.
Charlie  mi ha detto che soltanto quando il dottore le diagnosticò
una grave forma di depressione post partum e le
prescrisse delle pilloline blu capì di essere stata a un passo
dal mandare a rotoli la sua vita perfetta. Era stata una follia
– tutto quanto – e finché continuava a prendere le pillole
riusciva a rendersene conto.
Tutto questo mi aveva dato un barlume di speranza, poi
mi ero ricordata che io e Niall non avevamo figli, quindi
non c’era alcuna depressione post partum da incolpare per
come mi sentivo. Oltretutto, depressione o meno, Charlie
aveva davvero delle ottime ragioni per odiare Josh perché
era un pervertito: ci aveva provato con me due Natali
prima. Lui naturalmente aveva detto che si era trattato di
un incidente, ma io sapevo che aveva fatto cadere le patate
arrosto sul pavimento con il solo scopo di guardarmi sotto
la gonna.
E così avevo passato un’infinità di notti ad ascoltare il fastidioso
inspirare ed espirare di Niall , e a interrogarmi
sul da farsi. Innanzitutto avevo cercato con tutta me stessa
di ignorare le mie emozioni e di tirare avanti, timbrando
ogni giorno il cartellino all’agenzia immobiliare Hanly &
Company, nella speranza che le cose cambiassero. Dopotutto,
il mondo intero era in preda all’incertezza e all’instabilità
per via della crisi economica globale. Non ero di
certo l’unica con dei problemi. Anche Niall – è architetto
– era nella stessa situazione, mi dicevo. Passava quasi ogni
serata a leggere statistiche sulla disoccupazione e a borbottare
fra sé che tutti avevano la testa sul ceppo e non era
rimasta alcuna speranza.
Ne saremmo usciti, però, lo sapevo. Per forza: eravamo
stati fidanzatini dai tempi dell’infanzia e si sa che chi sta
insieme fin dall’infanzia non si lascerà mai, è una regola. Il
solo pensiero mi faceva star male in modi che non avevo
mai creduto possibili. Non potevo – non volevo – neanche
pensare a una separazione. Questa stranezza doveva essere
una fase, una cosa che avremmo superato. Si doveva resistere
e discuterne dopo, molto tempo dopo, quando saremmo
stati di nuovo follemente innamorati e in grado di ammettere
l’uno con l’altra che avevamo attraversato un periodo di
stanca. Probabilmente ne avremmo riso quando saremmo
stati una vecchia coppia sposata. Perché a rigor di logica
era quello il passo successivo: il matrimonio. Era ciò che
tutti si aspettavano – un grandioso matrimonio in bianco.
Era quello che facevano due persone innamorate. Non ci
pensavano nemmeno, a lasciarsi, se erano perfette l’una per
l’altra.
Ma la verità era che cominciavo a pensare di non amare
più Niall. Come avrei potuto quando quasi tutto ciò
che faceva mi irritava… dal modo in cui si svegliava (sganasciandosi
di sbadigli finché le mascelle non scricchiolavano
rumorosamente, per poi tirar su col naso, con quelle narici
perfettamente depilate con le pinzette) al modo in cui si addormentava,
con il respiro che si faceva via via più pesante a
ogni piccolo sbuffo? Spesso sentivo il desiderio di afferrare
il cuscino e premerlo con forza su quella bocca che continuava
a sbavare, solo per ridurlo finalmente al silenzio. Avevo
persino iniziato a compilare una lista dei motivi per cui
avrei dovuto lasciarlo: non potevo sopportare di vedere in
bagno ogni mattina il suo spazzolino accanto al mio; odiavo
il modo in cui versava attentamente il latte sui cornflakes;
pensavo di ficcargli in gola l’«Irish Times» se avesse borbottato
ancora una volta le parole “crisi economica”.
Avevo infilato la lista in fondo alla mia migliore borsa di
Prada e avevo continuato ad aggiornarla, di tanto in tanto,
per mesi. Ma non avevo mai fatto nulla basandomi su questo,
perché dopotutto nemmeno io ero perfetta. E comunque
si trattava di un terribile sbaglio. Non c’era più slancio
nella nostra relazione, e allora? Niall era sempre stato
prudente per natura, non era di certo una scoperta recente
per me. La sua idea di una serata eccitante era guardare tre
episodi di fila di Grand Designs. Non era il tipo da partire
su due piedi per folli avventure… niente bungee jumping o
safari in Africa per lui. No, era stabile, affidabile e tremendamente
prevedibile, e la cosa mi era sempre andata bene.
Finché non eravamo arrivati al punto in cui tutto ciò che
faceva e diceva aveva cominciato a indispormi o irritarmi al
di là di ogni immaginazione. Mi odiavo per questo. Niall
era un brav’uomo, una brava persona. Non era colpa sua.
Ma con il passare del tempo trovavo sempre più difficile
continuare a fingere che tra noi andasse tutto bene.
Come spesso succede, la goccia fece traboccare il vaso un
tranquillo giovedì sera. Eravamo seduti ciascuno a un’estremità
del divano: io stavo facendo zapping e lui stava lavorando
sul portatile a un qualche progetto complicato. In
preda alla delusione più totale per il lavoro, per il clima
economico sconfortante e per il fatto che i miei capelli non
sarebbero mai stati lucenti come quelli di Cheryl Cole, sulla
via di casa avevo comprato una confezione gigante di orsetti
gommosi e stavo allegramente masticando, intenzionata a
finire l’intero pacchetto. Non mi sentivo neanche particolarmente
in colpa perché, come tutti sanno, gli orsetti gommosi
sono privi di grassi e quindi praticamente salutari.
La prima volta che Niall si era allungato per prenderne
uno senza chiedere il permesso, mi ero morsicata un labbro
per non dire nulla. Dopotutto eravamo una coppia… una
coppia che stava insieme da molti anni, non due partner
occasionali; la condivisione era una cosa scontata tra noi.
Anzi, sapevo che nel profondo del cuore avrei dovuto desiderare
intensamente di dividerli con Niall. Avrei dovuto
fare l’impossibile per imboccarlo con gli orsetti. Rimpinzarlo
allegramente, ecco cosa avrei dovuto fare, invece me ne
stavo lì a stringere il sacchetto, marcando il territorio con
la ferocia di una bambina di due anni. Masticavo con cupa
determinazione: non avrei ceduto nemmeno un orsetto senza
una lunga ed estenuante battaglia, e se necessario sarei
ricorsa anche ai capricci.
Niall, naturalmente, non sapeva quanto fossi seccata…
il che, nella mia furia irrazionale, non mi sorprendeva neanche
un po’: perlopiù sembrava all’oscuro di tutti i suoi difetti.
Per esempio, non riuscivo a capire come facesse a non
rendersi conto che usare il filo interdentale diverse volte al
giorno era un’abitudine bizzarra e sgradevole, ma a lui sembrava
perfettamente ragionevole usare un filo aromatizzato
alla menta sulla propria persona, persino in pubblico, e si
dedicava a quest’attività incurante di chiunque gli passasse
davanti. Non c’era da meravigliarsi che non vedesse nulla di
male nel continuare a infilare liberamente la mano dentro al
sacchetto che tenevo in grembo senza nemmeno un “posso?”,
proprio come aveva sempre fatto. La mia collera aveva
raggiunto il punto di ebollizione quando lui era arrivato
alla quarta pescata, e quando si infilò in bocca quell’orsetto
giallo, qualcosa dentro di me scattò.
D’un tratto tutto fu chiaro. Seppi con estrema certezza che
non avrei più potuto rimanere con lui. Perché, se non me ne
fossi andata, avrei passato i vent’anni successivi a pentirmene.
Avrei persino finito per pensare all’omicidio – come attrice
non ero nemmeno lontanamente paragonabile a Charlie
– e non sarei mai sopravvissuta in una di quelle prigioni
femminili. Avevo visto Bad Girls in TV, sapevo cosa sarebbe
successo: qualche maschiona, con i capelli ossigenati grazie
al gel per il gabinetto, avrebbe insistito per farmi da protettrice
e se non avessi accettato avrebbe finito per strapparmi
le unghie una per una. In galera non sarei durata nemmeno
cinque minuti.
In quel momento, mentre Niall masticava ignaro di tutto,
con le labbra umidicce che schioccavano rumorosamente,
presi la mia decisione una volta per tutte: lo avrei lasciato.
Quell’orsetto gommoso giallo aveva messo fine alla nostra
relazione e non c’era modo di tornare indietro.
Continua …

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Capitolo 2
*** Regola numero 1 ***


 

Regola numero 1

Mantieni un atteggiamento professionale

Sei mesi dopo «Anne, c’è qualcosa in te stamattina…», dice Louis, mentre

lotto per sfilarmi il cappotto e affrontare un’altra triste giornata all’agenzia
immobiliare Payne & Company. «Sembri… diversa».
«Non c’è niente di diverso in me, Lou», replico io. Tranne forse il fatto che –
non so come – dall’ultima volta che ho usato questo dannato cappotto ho messo
su cinque chili di ciccia sulle braccia, con queste alucce flaccide che mi ritrovo.
Altrimenti perché mi stringerebbe come una morsa sui bicipiti? È una lotta
faticosa uscire da quest’affare, proprio come lo è stata incastrarmici dentro questa
mattina.
«No no, c’è qualcosa», continua lui, imperterrito, mentre cerco disperatamente
di liberarmi dal soprabito. «È solo che non riesco a capire cosa… Ecco, non
dirmelo, lascia che ci arrivi da solo… sono gli stivali? Nuovi, vero?».
Faccio finta di non averlo sentito mentre con uno strattone riesco finalmente a
sfilare le braccia dal cappotto, lo lancio a caso in direzione dell’appendiabiti e
crollo, ansimante, alla mia scrivania. Far finta di non sentire è la tattica che usa
sempre mia sorella Charlie quando i gemelli fanno i capricci.
Quando si gettano a terra e urlano fino a diventare blu, cosa che fanno entrambi
molto spesso per un’ampia varietà di ragioni – che vanno dai Cheerios che non
sono abbastanza rotondi alla marmellata di fragole che non è abbastanza rossa –
Charlie fa finta di diventare temporaneamente sorda, tutto qui.
Certo, questo significa che spesso è costretta a fingere di essere sorda per la
maggior parte della settimana.
Però è un fatto universalmente riconosciuto che ignorare un bambino pestifero e
non considerarlo finché non cambia atteggiamento è un’ottima linea di condotta.
E Louis è un bambino troppo cresciuto che non riesce a comportarsi come si deve
nella maggior parte delle circostanze, quindi ritengo che questa regola si possa
applicare anche a lui.
«No, forse non sono gli stivali», riflette lui, cambiando approccio. «Allora è la
tua pelle… hai messo l’autoabbronzante? È per quello?».
Non vuole proprio mollare. Forse dovrei chiuderlo nello sgabuzzino per
punizione. Quello potrebbe funzionare.
Charlie mi garantisce che è un sistema infallibile, quando ignorano il fatto di
essere ignorati, cioè. Badate bene, Charlie stessa spesso si chiude nello
sgabuzzino da sola, per fumarsi una sigaretta in santa pace, in cerca di un po’ di
tranquillità… a volte dice che è l’unica cosa che l’aiuta a superare la giornata,
quello e le sue pilloline blu.
«Ti sto ignorando», dico ad alta voce, accendendo il computer. Continuo a
ignorarlo per un po’: il segreto è la costanza.
«No… non è la pelle». Mette una mano sotto il mento e comincia a tamburellare
con le dita sulla guancia, fingendo di essere assorto nei propri pensieri. «Cosa
potrebbe essere? Fammi pensare, fammi pensare…».
Alzo gli occhi al cielo; so esattamente dove andrà a parare.
«Potrebbe essere… non è che per caso sono… i capelli?».
Sorride scioccamente.
«Oh, vedi di crescere», borbotto io, e lui si lascia andare a una risata isterica per
questa scemenza. Okay, forse stamattina ho esagerato con la lacca, ma solo perché
mi sono svegliata tardi e non ho avuto tempo di fare una doccia. È tipico di lui
notare certe cose, è un tale metrosexual. Tiene persino un vasetto di gel per capelli
nel cassetto in alto, in caso di emergenze di styling.
Mi do una rapida occhiata nello specchio che tengo sulla scrivania per poter
controllare di non avere la metà del pranzo incastrata tra i denti. La situazione è
peggiore di quel che avevo pensato: ho cercato di cotonate il groviglio che avevo
in testa per creare una cofana discreta, ma il risultato non è elegante come avevo
sperato. Sembra che un animale molto peloso e decisamente stecchito si sia
acquattato sulla mia testa e che sia già subentrato il rigor mortis. È un disastro.
È tutta colpa di quella Demi Lovato, che dà alla gente la falsa speranza di poterle
assomigliare.
Non succederà mai, non importa quanta lacca usi.
«Posso toccarli?», dice Louis con finta eccitazione, sghignazzando. «Sai com’è,
per vedere se si muovono».
«Perlomeno io li ho, i capelli, Wiliam», contrattacco io, «a differenza di te…»,
cercò la parola perfetta per ferirlo, «…Crapapelata».
«Ehi!». Si afferra il petto all’altezza del cuore, come se gli avessi provocato una
ferita grave, e io cerco di non ridere.
E ho fatto centro con due colpi ben assestati. Uno: Lou è suscettibile riguardo
ai suoi capelli – da quando ha perso un capello la scorsa settimana ha cominciato a esaminarsi la testa ogni giorno per controllare l’arretramento dell’attaccatura dei
capelli. Due: il nome per esteso di Louis è Louis Wiliam, ma lui preferisce farsi
chiamare Lou perché crede che suoni più sexy. Gli piace credere di essere uno
stallone: se ne va in giro con pantaloni troppo stretti, per mettere in evidenza il
bel sedere che si ritrova, e si considera un dio del sesso. Beve persino il
caffè da una tazza speciale con su scritto “Strafigo” con gli stencil (o almeno lo
faceva finché non ho giocherellato con la Dymo e non ho cambiato la scritta con
“Ho un culo da urlo”).
La considero una mia responsabilità ricordare a Louis quanto sia lontano
dall’essere uno strafigo. Molto, molto lontano. Per essere uno stallone uno deve
fare regolarmente sesso con molte donne e il suo record in quel campo è piuttosto
desolante. Certo, a sentire lui, fa sesso in continuazione… almeno tre volte a
settimana con donne disponibili che – dice – gli cascano ai piedi negli squallidi
locali che frequenta, ma ci sono pochissime prove che sia davvero così. Sicuro,
deve essere un bell’impegno ingegnarsi a cercare nomi fittizi per tutte le
splendide ragazze che a quanto pare lo trovano irresistibile, ma io devo ancora
vedere la prova schiacciante del suo leggendario magnetismo sessuale o del suo
successo con le “gallinelle”, come le chiama lui.
Per esempio, nessuna di queste conquiste è mai venuta in ufficio a cercarlo e lui
non riceve mai telefonate misteriose da donne con la voce sensuale. Anzi, non
riceve mai nessuna telefonata, se si esclude sua madre che lo avvisa quando ha
finito di stirargli la roba e vuole sapere quando andrà a cena da lei. Louis è il
classico esempio del cocco di mamma, e fiero di esserlo, una cosa per cui mi
piace tormentarlo di continuo… o perlomeno è stato così finché non ho
conosciuto sua madre. È un tantino inquietante.
«Mi hai ferito, Anne». Fa una faccia triste, afflitta. «Mi hai ferito
profondamente».
«Oh, sta’ zitto, scemo». Rido, facendogli una boccaccia.
«Hai cominciato tu».
So che la mia frecciatina non lo sfiora minimamente. Questo continuo
battibeccare è una piccola tradizione tra noi.
È cominciata il mio primo giorno alla Payne, cinque anni fa, ed è continuata più
o meno senza sosta fin da allora. Io arrivo, Louis commenta come sono vestita, il
mio aspetto – e qualche volta persino il mio profumo –, io lo mando a quel paese
e poi continuiamo la nostra giornata. Sebbene curioso, è un confortante rituale che
apprezzo molto in questi tempi di desolazione e incertezza in cui nessuno sa cosa
ci aspetta dietro l’angolo. A detta dei giornali, nel nostro futuro ci sono
disoccupazione, strani virus e un possibile Armageddon, così insultarci a vicenda
è una cosa su cui Lou e io possiamo fare affidamento, anche se a quanto pare il
mondo intero sta precipitando da uno strapiombo cosmico.
E poi nemmeno io prendo sul serio le sue battutine, perché so che, al di là delle
prese in giro, Louis è proprio un bravo ragazzo e farebbe di tutto per aiutare chi è
in difficoltà. Non che abbia intenzione di fargli sapere che lo penso,
naturalmente… la sua testa è già abbastanza montata così.
Mi volto verso il computer e un’ondata di terrore mi travolge. Di sicuro sarà
un’altra giornata orribile, in cui cercherò di riempire otto ore fingendo di essere
occupata. Un tempo mi piaceva lavorare qui, ma da quando il mercato
immobiliare è andato in malora questo ufficio non è più il posto allegro di una
volta. Ai vecchi tempi, la gente gettava soldi in giro come se fossero passati di
moda, e non dovevi neanche impegnarti per vendere una casa, perché si vendeva
da sola. Qualche anno fa i clienti facevano la fila, supplicandoti di vendergli
qualunque cosa, ma adesso che il boom ha ceduto il passo al fallimento, gli
acquirenti sono più rari dei denti di una gallina e bisogna praticamente buttarsi
sulle macchine sportive per suscitare un briciolo di interesse per qualcosa. Ed è
proprio questo che stanno facendo alcuni venditori, tanto sono disperati.
Macchine, barche, tv al plasma… nominate qualunque cosa e loro proveranno a
venderla se ciò significa concludere l’accordo alla svelta. La scorsa settimana un
venditore disperato si è persino offerto di cedere in comproprietà un attico a
Marbella pur di liberarsi di un appartamento che aveva acquistato come
investimento nel centro cittadino.
Ne ho viste di tutti i colori da quando il mercato è imploso e sfortunatamente, il
più delle volte, persino queste tattiche non producono alcun risultato: la gente non
sta comprando nulla e nemmeno la lusinga di roba gratis la persuaderà a separarsi
dai suoi contanti. In compenso, chiunque voglia comprare non riesce a ottenere un
finanziamento dalle banche. Lou e io abbiamo passato molte ore ad analizzare in
modo inclemente questi banchieri e a fantasticare su quale sarebbe la giusta
punizione per aver rifiutato ipoteche a potenziali compratori. È un gioco
divertente, decidere quali mezzi di tortura potremmo usare (la ruota resta la mia
preferita) e, cosa più importante, aiuta passare il tempo.
Negli ultimi mesi “passare il tempo” è diventato l’obiettivo principale delle mie
giornate perché, invece di vendere davvero qualcosa, adesso mi dedico perlopiù
ad archiviare immobili, in continuazione. Louis è determinato a guardare il lato
positivo… ma del resto, come gli dico sempre, essere stupidamente ottimista è la
sua occupazione principale.
Ora, invece di godersi il brivido della vendita, si concentra per trarre piacere in
altri modi… perlopiù molestando sessualmente chi osa venire in ufficio, incluso il
postino. Per fortuna il postino – un simpatico ometto di mezza età di nome Oscar,
che ha sette figli, una moglie e due amichette – la prende con una risata.
Intanto Liam, il nostro capo, se ne sta quasi tutto il giorno con lo sguardo
perso nel vuoto. È sprofondato in una brutta depressione da quando il mercato è
collassato. Nemmeno Louis riesce a tirarlo su di morale mandandogli estratti dai
siti porno. Niente riesce a strappargli un sorriso; anche se Lou continua a fare del
suo meglio.
La sua teoria è che Liam, ora più che mai, abbia bisogno di vedere tettone
ossigenate che se la spassano tra loro. Continua a dire che sta solo cercando di
rendersi utile, ma sappiamo entrambi che non funziona, perché Liam ha ancora
lo sguardo fisso nel vuoto per la preoccupazione e lo stress dovuti al lavoro. Non
posso dire di biasimarlo: come molte altre società in giro, l’agenzia ha problemi
seri. Abbiamo ottantanove case invendute sul mercato, e novantanove locali da
affittare. Siamo in una fase di stallo e, grazie alla crisi economica, è poco
probabile che ne usciremo a breve termine. Per usare un termine altamente
tecnico del gergo immobiliare, siamo fottuti.
«Allora… come ti vanno davvero le cose?», chiede Lou in tono sdolcinato,
scivolando verso di me a bordo della sua sedia con le ruote. «Hai conosciuto
qualcuno di interessante durante il weekend, vero?».
È la stessa battuta che usa ogni lunedì mattina da quando ho rotto con Niall. È
convinto che abbia bisogno di uscire e darmi da fare, prima di ritornare vergine e
dimenticarmi come si fa. Non vuole sentire che sono rimasta a casa da sola, a
guardare le repliche di Friends (di tanto in tanto immagino di essere Jennifer
Aniston nella quarta serie, quando aveva quelle extension bionde e la pancia
piatta come una tavola). Però mi piace stare a casa: l’appartamento che Liam
mi affitta come parte del mio stipendio è così comodo. È in un condominio in cui
ha investito con un imprenditore locale ed è stato come la manna dal cielo quando
ho lasciato Niall. Liam mi chiede una bazzecola di differenza, cosa di cui gli
sono davvero grata: cercare di pagare un affitto intero con uno stipendio non più
rimpinguato dalle provvigioni sarebbe stato impossibile.
«Ho passato un bel weekend», rispondo.
«E dài, non lesinare sui dettagli. Hai conosciuto un tizio in città e lo hai esaurito
a suon di sesso selvaggio, vero?», suggerisce Louis, facendomi l’occhiolino. «Hai
bisogno di un caffè forte per stare sveglia?» «No, grazie», replico impassibile.
«Credo che me la caverò».
Il caffè è l’ultima cosa che voglio. Il mio stomaco è già abbastanza incline alla
nausea per l’ansia di non sapere cosa ci riserverà il domani. Non sono certa
di riuscire a sopportare un’altra ora in cui fingo di essere occupata, mentre
archivio di nuovo ogni proprietà in vendita.
«Non mi chiedi com’è stato il mio weekend?», mi domanda imbronciato Louis.
Non vede l’ora di raccontarmi la roba succosa: le sue gesta notturne.
«Com’è andato il tuo weekend, Lou?», chiedo obbediente.
A Louis piace raccontarmi delle sue conquiste fittizie ogni lunedì mattina, e di
solito cerco di ignorarlo. Visto che non ho nulla di urgente di cui occuparmi al
momento, però, sono disposta a dargli corda per un po’. Ho proprio bisogno che
qualcuno mi tiri su di morale e una storiella su una delle sue altamente
improbabili relazioni potrebbe andare.
«Be’», si avvicina, «non sei l’unica ad aver avuto un weekend sfrenato, non so
se mi spiego».
Gonfia il petto.
«Anch’io sono piuttosto distrutto».
«Sul serio?», dico, cercando di sembrare completamente disinteressata.
«Già». Si sporge sulla scrivania per raccontarmi di più.
«Ho conosciuto questa pollastra australiana sabato sera.
Era una vera furia».
«Lasciami indovinare… era un’hostess, vero?» «Sì, come fai a saperlo?». Louis
non coglie il sarcasmo nella mia voce.
«Fammi pensare, Lou. Potrebbe essere perché quasi tutte le donne con cui
presumibilmente finisci a letto sono delle hostess?».
Lui mi sorride, soddisfatto di sé. Crede fermamente di essere una leggenda e io
do la colpa a sua madre per aver gonfiato il suo ego.
«Le bamboline con il trolley mi adorano, Anne, che posso farci? Forse perché
le porto ad altitudini straordinarie… l’hai capita?». Ruggisce per la battuta ormai
ben collaudata.
Dio lo benedica: Lou crede di essere un grande comico.
È convinto di poter dare del filo da torcere a Graham Norton, se solo volesse.
«Continua», dico con un sospiro.
«Oh, okay». Sembra deluso dalla mia reazione incolore a quello che lui
ritiene umorismo brillante. Ma si riprende piuttosto in fretta. «Allora, dunque,
siamo a letto e non indovinerai mai cosa mi ha chiesto».
Mi sorride di nuovo a trentadue denti, e io cerco di non sorridere in risposta.
Non voglio incoraggiarlo troppo, anche se sono solo un tantino interessata. I suoi
racconti, anche se completamente inventati, di solito sono esilaranti.
Ma non lo informerei mai di questo, naturalmente.
«Fammi pensare… È voluta andare nei Paesi Bassi?» «Eh?». Non ha afferrato la
mia battuta e decido di non provare a spiegargliela.
«Non so cosa ti ha chiesto», mi arrendo. «Dimmelo tu».
«Okay. Be’, mi ha chiesto di far finta di essere Crocodile Dundee!» «Crocodile
Dundee?» «Sì. Come in quel film, hai presente quel tizio che viveva in Australia e
combatteva a mani nude con coccodrilli feroci?» «Sì, mi ricordo quel film». Dio,
ma come fa a inventarsi certa roba?
«Allora, lei ha questo cappello, capito? Sai, come quello di Crocodile Dundee».
«Un wallaby hat?» «Proprio quello!». Sorride raggiante. «Allora lo metto e
comincio a entrare nella parte, capito?» «Non proprio, ma vai avanti».
Il pensiero di Lou con in testa un wallaby hat e nient’altro addosso è piuttosto
inquietante.
Cerco di cancellare quell’immagine dalla mente.
«Comunque, sono lì che faccio la lotta con un cuscino, fingendo che sia un
coccodrillo divoracristiani».
«Facevi finta che il cuscino fosse un coccodrillo?» «Sì, stavo improvvisando,
sai, per dare un po’ di pepe alla situazione».
«Giusto».
«Allora, me ne sto lì a dare una lezione al cuscino, gridandogli contro e
dicendogli che ha i giorni contati, quando questa pollastra esce di testa».
«Esce di testa?» «Sì, comincia a gemere e mugolare… è stata una cosa davvero
animalesca».
«E poi cos’è successo?». Sto aspettando la battuta finale.
Forse un branco di hostess è saltato fuori dall’armadio e ha illustrato le
procedure di sicurezza completamente nudo?
«Be’, lo abbiamo fatto, naturalmente». Louis sembra confuso.
«E allora, tutto qui? Questa è la tua grande storia? Tu che hai fatto finta di essere
Crocodile Dundee e hai fatto sesso con un’hostess?» «Be’, sì». Mi sorride. «Non
è fantastico? Riesco a malapena a camminare stamattina… mi ha quasi
disintegrato, cavolo!» «Ed è tutto qui?».
Sembra deluso dal fatto che non sono più impressionata.
«Sì, tutto qui. Perché, tu cos’hai fatto?» «Non so di che parli». Di certo non
voglio toccare l’argomento.
«Be’, ovviamente hai avuto un weekend più sfrenato del mio». Lou sembra
devastato all’idea di non essere il maschio più sessualmente avventuroso del
pianeta. Gli piace pensare di essere il Re delle Notti di Sesso Sfrenato; è per
questo che si fa fare la ceretta alla schiena da Ultimate Wax Off ogni quattro
settimane. Lui nega, naturalmente, ma io so che è vero. L’ho visto uscire da lì più
di una volta.
«No, non direi», mormoro io, armeggiando nervosamente con la tastiera del
computer.
«No, dài, raccontamelo. Fammi indovinare…». Comincia a rallegrarsi. «Forse
hai giocato a Tarzan e Jane con qualche sconosciuto?».
Mi concentro sullo schermo.
«Aha!». Lou trafigge l’aria tra noi con il dito indice. «Se mai c’è stato uno
sguardo colpevole, eccolo qui! Ci ho preso in pieno, vero?» «Non essere
ridicolo». Nonostante i miei sforzi, sento il calore raggiungermi il viso.
Ovviamente, questa è l’unica mattina in cui non ho avuto tempo di usare il
correttore speciale verde, quello che nasconde i capillari rotti e il rossore alle
guance.
«Oh, Maggie, stai arrossendo! Dio, cos’hai combinato?
Doveva essere roba vietata ai minori! Non è che per caso l’hai filmata, vero?».
Sembra decisamente eccitato.
Il telefono squilla e io sollevo con gratitudine la cornetta prima di essere
costretta a rispondergli. «Payne & Company, come posso esserle utile?», dico,
mettendo più entusiasmo possibile nella voce. Potrebbe essere l’unica chiamata
che ricevo in tutta la giornata, quindi è di vitale importanza apparire amichevole e
disponibile. Non che faccia alcuna differenza, naturalmente: il mercato è defunto,
quindi in un modo o nell’altro sembrare amichevole e disponibile con tutta
probabilità non ha la minima importanza.
«Sono Christina De La Mount ».
La voce in linea è secca e professionale e il cuore mi crolla a terra, facendo
“ciao ciao” allo stomaco contratto durante il suo tragitto verso il basso. Christina De La Mount è la più grande stronza della città, forse dell’intera nazione. Da mesi
ormai cerca di vendere quel suo orribile palazzo, senza successo, e dire che non è
contenta della situazione è un eufemismo. È stato costruito all’apice del boom dei
primi anni Novanta ed è la più orripilante ostentazione di ricchezza che abbia mai
visto. Ed è tutto dire, perché ci sono un sacco di templi del cattivo gusto da queste
parti.
I nove bagni di Christina sono decorati con rubinetti placcati in oro, nella cucina fatta
su misura le superfici di lavoro sono di marmo tagliato a mano e, come le piace
ricordarmi ogni volta che parliamo, ci sono pavimenti di solido mogano per tutta
la casa. Lou adesso la chiama Solido Mogano De La Mount, tra le altre cose.
Christina ha pagato una somma di denaro scandalosa a un borioso designer di interni
per raggiungere quella che lei ritiene l’apoteosi del lusso, ma il problema è che
tutto questo “glamour” non è riuscito ad attrarre neanche una sola offerta da
potenziali acquirenti. Ci sono state delle visite, ma l’opulenza degli interni –
sommata all’allucinante prezzo richiesto – non ha suscitato il minimo interesse.
Christina crede che sia tutta colpa mia, e non teme di farmelo sapere. Mi chiama
spesso per rimproverarmi perché crede che non abbia portato abbastanza clienti.
Non ho presentato in modo adeguato sul mercato quel suo orribile palazzo. Non
ho incalzato con efficacia i potenziali acquirenti. L’unica ragione per cui la sua
casa è ancora sul mercato, a quanto pare, è la mia incompetenza e non ha niente a
che vedere con i suoi agghiaccianti gusti in materia di arredo e con i cinque
milioni di euro da lei richiesti. Se fosse per Rita, io dovrei scarpinare su e giù per
la strada con un cartello sandwich addosso, per pubblicizzare la sua casa
ventiquattr’ore al giorno. Anche così probabilmente non sarebbe soddisfatta,
perché Christina è una figlia del boom economico irlandese che non capisce perché
non può ottenere quello che vuole – cosa che è sempre riuscita a fare in passato.
In silenzio mi maledico per essere stata così ansiosa di rispondere a questa
chiamata. Perché non ho lasciato che la prendesse Louis? È molto più bravo di me
a gestire Christina… soprattutto perché lei va in brodo di giuggiole per il suo fascino
ogni singola volta. Quello che lei non sa è che ogni volta che lui la incanta a suon
di parole e la rassicura che il suo raffinato palazzo verrà venduto molto presto,
mima il gesto di infilarsi due dita in gola e vomitare.
«Buongiorno, Christina», dico cercando di sembrare professionale.
«Parlo con Anny?» «Anne», la correggo.
Christina non ricorda mai il mio nome. So che lo fa di proposito per partire con il
piede sbagliato.
«Abbiamo ricevuto delle richieste per River House?», chiede freddamente,
andando dritta al sodo. Christina non bada ai convenevoli. Le piace anche usare il
“noi” regale… come in “non abbiamo provato con sufficiente impegno” o
“dobbiamo fare meglio”.
«Mi lasci controllare, Christina», rispondo, il più educatamente possibile. «Vado a
prendere il fascicolo. Mi dia solo un minuto». La metto in attesa prima che possa
controbattere e cerco di pensare.
Devo guadagnare tempo. So perfettamente che non c’è stata una singola
richiesta dall’ultima volta che abbiamo parlato prima del weekend. Anche Christina lo
sa, perché se ci fosse stato anche solo un briciolo di speranza l’avrei chiamata e
glielo avrei detto subito. Mi chiedo se sia il momento di prendere il toro per le
corna, insistere perché renda più sobri gli interni troppo sfarzosi e abbassi il
prezzo di partenza. Allora sì che potremmo ricevere qualche proposta. E
dobbiamo anche fare qualcosa per il nome, quella è una questione fondamentale:
anche se si chiama River House, quell’ammasso imponente non è affatto vicino al
fiume. L’acqua più vicina – un irrisorio fiumiciattolo che si prosciuga ogni estate
– è almeno a una ventina di chilometri di distanza, una cosa per cui i pochi
potenziali acquirenti che hanno visitato la casa nei mesi scorsi si sono
enormemente risentiti. L’unica ragione per cui si chiama River House è che a
Christina sembrava maestoso. Si è persino fatta fare una lastra di pietra calcarea con il
nome inciso a mano e l’ha messa accanto al cancello elettrico personalizzato.
Vorrei avere il coraggio di dire tutto questo a Christina, ma so che se lo facessi lei
andrebbe su tutte le furie – di nuovo – e non sono dell’umore giusto per ascoltare
le sue scenate stamattina. E poi non è che abbia davvero bisogno di vendere la
proprietà: ha ereditato milioni alla morte dello zio, quindi non ha nemmeno un
mutuo da estinguere. È in una posizione di gran lunga migliore rispetto ad alcuni
altri venditori che cercano disperatamente di sbarazzarsi di case che non possono
più permettersi. Forse se cercassi di parlarle usando un po’ di tatto – lanciandole
giusto qualche suggerimento – reagirebbe meglio.
Apro la sua pratica e noto subito un postit in cima alla pagina. Quasi non riesco
a crederci: sembra che Lou abbia ricevuto una telefonata venerdì, mentre io ero
fuori per un sopralluogo. Il suo scarabocchio è a malapena leggibile, così non
riesco a capire cosa ci sia scritto, ma il mio cuore batte forte per la speranza.
Forse le cose andranno per il meglio. Forse qualcuno vuole vederla. Louis sta
parlando all’altra linea e non posso rischiare di tenere Christina in attesa molto a lungo,
quindi non ho tempo di interrogarlo sulla richiesta. Dovrò bluffare, dire che c’è
stata una richiesta e che riceverà i dettagli da Lou più tardi.
«Christina?». Premo il pulsante per prendere di nuovo la linea.
«Sì, sto aspettando. Devo dire che non mi stupisce essere lasciata in attesa. Se
lei fosse una vera professionista avrebbe saputo l’esatta situazione di River House
senza dover consultare alcuna pratica».
Resisto all’impulso di sbatterle il telefono in faccia. È davvero una megera.
«Pare che qualcuno sia interessato alla proprietà», continuo, imponendomi di
non sembrare stizzita. «Secondo quanto riportato sulla pratica, abbiamo ricevuto
una chiamata venerdì».
«Davvero?». Rita si rianima. «Perché non mi ha contattata immediatamente?
Avrei dovuto essere informata!» «Be’, non ne sapevo nulla. Devo solo parlare
con…».
Prima che possa finire, mi interrompe in malo modo: «Non voglio ascoltare
nessuna delle sue scuse, Anny. La pago per occuparsi di River House, giusto?
Questa interruzione nelle comunicazioni è di un’ estrema incompetenza ». Il suo
tono è glaciale.
«Ero fuori sede per lavoro, Christiana», ribatto, cercando di restare calma. «Louis ha
risposto alla chiamata, quindi devo solo chiedere a lui i dettagli».
«Capisco». La sua voce è meno severa: ha un debole per Lou, questo è poco ma
sicuro.
«Mi aggiorno e la richiamo non appena possibile».
«Si assicuri di farlo, Anny», dice, tirando altezzosamente su col naso.
«Altrimenti sarò costretta a rivolgermi altrove per i miei affari. Sono molto
insoddisfatta del livello del vostro servizio. Ci aspettiamo di meglio».
Riattacca e io scaravento il ricevitore al suo posto.
«Mi chiamo Anne, stupida vacca!», urlo in direzione del telefono.
«Anne, perché così eccitata?». Lou inarca un sopracciglio nella mia
direzione. «Non che mi lamenti. Non c’è niente che adori di più del vederti
accaldata e sudata».
«Chiudi il becco, Wiliam, o ti denuncio per molestie», sbotto in tono scontroso.
Solido Mogano è riuscita a mettermi di un umore peggiore di prima.
«Non vedo l’ora, cara. O, se preferisci, possiamo giocare al tribunale. Io farò il
giudice e tu puoi essere una ragazza molto cattiva… che ne pensi? Ecco, non dico
che sarebbe eccitante come giocare a Tarzan e Jane, ma farò del mio meglio».
Si lecca le labbra in modo impudente e io non posso fare a meno di ridere,
nonostante il cattivo umore.
«Anne, Louis». Proprio in quel momento, Liam appare davanti a noi, ha il
viso pallido, quasi spettrale. Nelle ultime settimane il suo aspetto è diventato
sempre più malaticcio… ma oggi sembra proprio uno straccio.
«Ti senti bene, Liam?», gli chiede Lou.
«Non proprio», risponde Liam, con voce roca. «In realtà devo parlare con
entrambi. Potete venire nel mio ufficio, per favore?».
Scompare immediatamente, senza aggiungere una parola.
Louis e io ci guardiamo in preda all’ansia prima di alzarci in silenzio dalle nostre
sedie. Cerco di impedire al panico che sento nel petto di travolgermi, ma so che
probabilmente ci siamo. Non è abitudine di Liam chiamarci nel suo ufficio e,
dalla sua espressione, non sembra sul punto di offrirci dei bonus di rendimento e
macchine aziendali.
«Testa alta, Anne», mi sussurra Louis, afferrandomi la mano. «Forse non è
quello che pensi. E anche se fosse, non è la fine del mondo».
Gli rivolgo un sorriso e annuisco, ma mi sembra di fluttuare sopra il mio corpo,
di osservare la scena dall’alto. Se Liam ci ha chiamati per dirci che il nostro
lavoro è andato, per come la vedo io è la fine del mondo.
Ho già lasciato l’uomo che tutti consideravano l’amore della mia vita. Mamma e
papà erano così sconvolti quando alla fine gliel’ho detto che sono dovuti andare in
vacanza a Marbella per riprendersi. Come accoglieranno questa notizia? E poi c’è
Charlie. Ho passato mesi ad ascoltarla mentre insisteva sull’enorme sbaglio che
avevo fatto lasciando Niall… Lei dice che è un “ottimo partito” e che è
assolutamente insostituibile, specie alla mia veneranda età. Non ho mai pensato
che avere 27 anni fosse così male, ma del resto non mi ero resa conto che a
quanto pare è l’esatta età in cui ogni uomo decente smette di guardarti. Charlie si
è affrettata a informarmi della cosa, dice che è per questo che si tiene stretta
Josh per la vita, anche se l’ha abbandonata nel momento di maggior
difficoltà.
Adesso non solo sarò senza un uomo, ma pure senza lavoro. Una vera
tragedia… il che tecnicamente significa che sono un’eroina tragica. Ironia della
sorte, nemmeno questo pensiero è sufficiente a rallegrarmi mentre incespico alla
cieca verso l’ufficio di Liam per sentire quale sarà il mio destino.

CIAO RAGAZZE !

FINALMENTE HO AGGIONATO !
Avverto che non sarò regolare con gli aggiornamenti perchè vorrei ricevere un tot. di recensioni prima, quindi tu che sei lì se vuoi leggere il continuo della mia storia fai una recensione di più di 10 parlole ^o^
Così vi lascio ciao ragazze. CREDITI BANNER: https://www.facebook.com/pages/Graphic-Worldϟ/369699706475620

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Capitolo 3
*** Regola numero 2 ***


 
Regola numero 2

Prepara sempre un piano B

 

«mi spiace davvero, ma sembra che dovrò lasciare a casa entrambi». Il viso di
Liam è cinereo. Ci spiega, come se non ne fossimo già dolorosamente
consapevoli, che il crollo del mercato immobiliare ha creato alla Payne &
Company seri problemi finanziari e che non ha più senso continuare a tenerci qui
quando può benissimo sbrigare da solo la patetica quantità di lavoro rimasto.
«È tutta colpa mia», continua, con voce rotta. «Se solo non avessi investito in
quel dannato complesso di appartamenti, adesso sarei in grado di affrontare tutto
questo. Ma sono fottuto – il mio socio parla di restituire le chiavi alla banca. Ho
perso i miei soldi, riesco a malapena a mandare avanti l’agenzia e sto rovinando
anche le vostre vite. Cristo, questa è la cosa peggiore».
Si prende la testa tra le mani, disperato, e mi si stringe il cuore. Come farà ad
andare avanti senza di noi? Non sarà in grado di gestire i clienti che gli urleranno
contro al telefono. Dovrò ritrovare la segreteria telefonica prima di andarmene,
così potrà filtrare le chiamate peggiori.
Dove sarà finito quell’aggeggio? Mi pare di averla infilata nel sottoscala
l’ultima volta che Louis ha lasciato tutti quei messaggi sconci. Dovrò andarla a scovare.
D’un tratto mi colpisce il pensiero che forse sono in stato di choc… Non è forse questo che fanno le persone sotto choc? Concentrarsi su dettagli insignificanti,
tipo dove hanno messo la segreteria telefonica?
«Ehi, frena, Liam. Non stai rovinando le nostre vite».
Louis gli dà qualche colpetto sul braccio. So che questo gesto fisico di conforto
va contro ogni suo principio; Lou non crede nell’essere eccessivamente espansivi con persone del proprio sesso: mi ha raccontato che una volta questo lo ha portato a un incontro davvero imbarazzante nella toilette di un locale che si chiama Follow me con un uomo che indossava un paio di pantaloni di pelle attillati. «Non tutto il male viene per nuocere. Questa lieve battuta d’arresto potrebbe essere ciò
di cui tutti abbiamo bisogno per riconsiderare la direzione che hanno preso le
nostre vite».
Sorrido a Louis piena di gratitudine per il suo tentativo di far sentire meglio
Liam. Sta mentendo, ovvio. Questo male non sta solo nuocendo, è un totale
disastro, ma non c’è ragione di dirlo a Liam, ed è carino da parte di Lou
cercare di non gettare sale sulle ferite altrui. Liam non ha bisogno di sentirsi
dire che è responsabile della rovina dei nostri progetti futuri: è già abbastanza
sconvolto così.
Cerco di soppesare come mi sento adesso che il “e se?” è diventato un “per
certo”. È come se stessi fluttuando sopra il mio corpo, come se tutto questo non
stesse affatto accadendo a me. Non è una sensazione spiacevole: in un certo senso
mi ricorda quella volta in cui ho fumato l’erba con la banda dei fighetti dietro il
cortile della scuola, quando avevo quindici anni. Alla fine è saltato fuori che in
realtà era solo tabacco e mi sono resa ridicola dicendo a tutti che mi sentivo
completamente fatta. È stato allora che Jenna O’ Braien  è scoppiata a ridere e ha
detto che mi stavano solo prendendo in giro.
È stato davvero imbarazzante.
Non ho mai ammesso niente di tutto questo con mamma e papà. Cosa diranno
quando gli racconterò del lavoro?
Sono ancora distrutti perché ho rotto con Niall, questo li manderà fuori di testa
di sicuro. Sono certa che quando ero bambina non pensavano che mi sarei rivelata
un tale disastro.
«Davvero?». Liam solleva la testa dalle mani e guarda Louis speranzoso.
È vulnerabile come un bambino. È proprio triste vederlo in questo stato. Ha
sempre avuto il cuore tenero, il che probabilmente è un altro motivo per cui non
ha tratto vantaggio dalla vendita di grandi proprietà quando altri non ci avrebbero
pensato due volte. Ha investito in condomini quando tutti gli altri stavano uscendo
dal mercato. Adesso sembra un uomo sconfitto. Oltre al pallore malaticcio, ha gli
occhi iniettati di sangue e ha pure perduto peso: le sue guance paffute sono quasi
scomparse. D’improvviso mi rendo conto di non ricordare l’ultima volta in cui
l’ho visto mangiare uno di quei sandwich pancetta e lattuga che gli piacciono
tanto, anzi, non ricordo nemmeno l’ultima volta in cui l’ho visto mordicchiare un
biscotto. Chiaro, è troppo stressato per mangiare.
A differenza di me. Charlie dice che il fatto che mangi tanto quando sono sotto
pressione è sintomo di qualche questione psicologica irrisolta: sostiene che
inconsciamente sto cercando di cancellare il dolore con il cibo.
Charlie adora leggere libri di selfhelp – dice spesso che potrebbe diventare una
psicoterapeuta quando i gemelli saranno grandi e non dipenderanno più da lei per
ogni cosa – dopotutto, se riesce ad assimilare così tanta conoscenza sul bagaglio
emotivo delle persone quando non la lasciano nemmeno fare pipì in pace, chissà
quali traguardi potrebbe raggiungere. So che è questo il pensiero che le permette
di andare avanti quando uno dei gemelli fa la popò sul tappeto del soggiorno per
l’ennesima volta in una settimana.
«Certo!», risponde allegramente Lou. «Questo inconveniente potrebbe essere la
nostra occasione d’oro!».
È strano, ma sembra quasi… sinceramente allegro. Sono piuttosto
impressionata. Se non sapessi come stanno le cose, potrei iniziare a credere
anch’io al suo discorsetto d’incoraggiamento. È chiaro che mentire su tutte le
donne della sua vita lo reso un esperto.
«Sì. Io, personalmente, mi rifiuto di farmi abbattere da tutto questo grigiore
finanziario», continua Lou, con un ampio sorriso. «So già cosa farò dopo».
«Sul serio?».
Mi volto a guardarlo e mi rendo conto che è serio. Non sta scherzando. Crede
davvero che questa potrebbe essere una specie di opportunità. È evidente che ha
già pensato a un piano B.
«Sì», annuncia. «Me ne andrò in Australia!».
Sorride a entrambi, soddisfatto di sé.
«In Australia?», ripeto allibita. È la prima volta che lo sento parlare di una cosa
del genere… Come mai non me l’ha detto? «Perché l’Australia?».
D’un tratto sono un po’ seccata. Avrebbe dovuto confidarsi con me. È stato
quasi… quasi subdolo da parte sua non farlo. Forse se l’avesse fatto avrei pensato
a dei progetti concreti anch’io, invece di sperare distrattamente che tutto tornasse
a posto.
«La domanda non è perché, mia splendida Anne. È perché no? Ho sempre
voluto andarci e questa è l’occasione perfetta. Mio cugino Giorge dice che laggiù
c’è ancora lavoro e, cosa ben più importante, le pollastre australiane sono uno
sballo. George dice che le cose a tre sono all’ordine del giorno e lui non è James Bond, quindi riuscite a immaginare come me la caverò io?». Louis si frega le
mani, sorridendo al solo pensiero.
«Non posso credere che tu stia pensando con quello», lanciò un’occhiata
sdegnosa all’inguine di Lou, «in un momento del genere».
Perché per lui tutto ruota intorno al sesso? È una cosa malsana. Forse ha un
problema serio. Le sue storielle bizzarre sono divertenti, ma se fosse vera anche
solo la metà di quel che racconta, potrebbe essere un vero e proprio
sessodipendente.
«Annie, Annie, Annie», Lou scuote la testa con finta serietà, «lo sai che
sono orgoglioso di pensare con questo».
Si guarda la zip dei pantaloni e spinge con i fianchi nella mia direzione,
sorridendo, giusto in caso non abbia colto bene il punto. È il suo cavallo di
battaglia, la mossa che prova all’infinito davanti allo specchio della camera da
letto. Dice che è molto più efficace quando lo fa senza niente addosso.
Fortunatamente non ho mai visto quella versione.
«Be’, credo che tu sia matto», dico con tono inflessibile.
«Matto da legare».
Sono davvero infastidita dal fatto che non mi abbia mai accennato al suo grande
piano prima d’ora. In un certo senso avevo creduto che non avesse pensato a
un’alternativa… che si sarebbe trovato in difficoltà, come me, in caso fosse
accaduto il peggio. Sentire che le cose stanno diversamente mi ha proprio
sconvolta.
«Anzi», continuo, incapace di fermarmi, «ho letto sui giornali la scorsa
settimana che non ci sono lavori nel settore immobiliare in Australia, quindi ti stai
illudendo se credi di andar lì a far fortuna.
Non succederà mai».
Tecnicamente, tutto questo non è vero. Non ho mai letto niente del genere, ma
Louis non può saperlo. Non legge mai i giornali, a meno che non ci siano foto di
ragazze svestite, s’intende. Mi sento un tantino in colpa per aver mentito, ma per
qualche motivo il pensiero che Lou abbia un piano alternativo ora che siamo stati
colpiti dal disastro è proprio snervante. Lui è uno che vive alla giornata, uno
incasinato. Non pianifica mai nulla. Vive giorno dopo giorno, minuto dopo
minuto… quindi com’è possibile che abbia considerato questo possibile sviluppo?
Non ha senso.
«Forse no», Louis mi sorride in modo enigmatico, «ma chi dice che resterò in
questo settore?
Chi dice che non farò qualcosa di completamente diverso?»
«Tipo cosa?», lo incalzo. «Non sei qualificato per fare nient’altro. Non eri
qualificato nemmeno per lavorare qui, tra l’altro». Faccio una smorfia.
«Maggie, perché così negativa?». Fa schioccare la lingua in segno di
disapprovazione. «È un tratto davvero poco attraente in una ragazza tanto
attraente».
«Credo tu faccia bene ad andare», dice Liam d’un tratto.
La sua voce mi coglie di sorpresa: mi ero quasi dimenticata che fosse nella
stanza, tanto ero occupata a indispettirmi con Lou per il suo stupido ottimismo.
«Visto?». Louis mi fa l’occhiolino. «Quest’uomo ha l’atteggiamento giusto.
Dicci di più, Liam!».
«Be’… ho sempre desiderato viaggiare», riflette Liam con calma, «ma non ho
mai avuto il tempo di farlo. Sono sempre stato troppo occupato con questo posto».
Indica con aria smarrita il proprio ufficio. «Adesso è troppo tardi». Sembra
disperato, lì seduto alla scrivania, dove pile di cartelle fanno a gara per trovare
posto. Liam ha un sistema di archiviazione tutto suo che nessun altro è mai
riuscito a decifrare. Il suo ufficio è come una zona di guerra, ma se cerca un
appunto riesce sempre trovarlo in meno di trenta secondi. Il suo originale metodo
di caos organizzato sembra semplicemente funzionare alla perfezione per lui.
«DLiam, amico mio», dice Louis in tono autorevole, spostandosi dietro di lui per
dargli una pacca sulla spalla, da uomo a uomo, «non è mai troppo tardi».
«No, la mia occasione è andata», si rammarica Liam.
«Sono troppo vecchio per bighellonare in giro per il mondo. E ora non potrei
nemmeno permettermelo, anche se volessi. Ho lavorato tutta la vita e il risultato è
un grosso, grasso nulla. Non riesco a credere di essere un tale fallimento».
La sua voce si spezza e io sento gli occhi pieni di lacrime.
È terribile vederlo in questo stato. «Non essere così duro con te stesso, Liam»,
dico con voce strozzata.
Ha un’aria così abbattuta… so che gli si spezza il cuore perché le cose sono
andate in questo modo.
«Immagino di aver fatto del mio meglio», scuote di nuovo la testa, «ma devo
essere l’unico agente immobiliare d’Irlanda a non aver fatto un mucchio di soldi
durante gli anni del boom. Questo non fa di me una colossale testa di cazzo?».
Mi irrigidisco. Liam non usa mai parolacce, mai.
«Adesso non avrò nemmeno soldi sufficienti a garantirmi la pensione», dice.
«Di sicuro potremmo concederci meno lussi di quanto aveva sperato Yvonne. Dio
solo sa quale sarà la sua reazione quando scoprirà la verità».
«Vuoi dire che non sa ancora niente?», chiede Liam, guardandomi per valutare la
mia reazione.
Cerco di mantenere un’espressione neutra per nascondere ogni segno di
eventuale sorpresa, ma la verità è un’altra: il fatto che non le abbia detto nulla non
mi sconvolge più di tanto. Yvonne è la seconda moglie di Liam. Si sono sposati
esattamente tre anni dopo che la sua prima moglie, Clarie, è morta di cancro al
seno, e Liam l’ha sempre trattata come una specie di principessa. L’ha coperta
di regali e di denaro sin dal giorno in cui si sono conosciuti.
La mia personale teoria è che stesse cercando di rimediare per l’esistenza frugale
che lui e Clarie avevano condotto: hanno cresciuto tre figli e li hanno mandati al
college, ma non si sono mai concessi vizi. Clarie è morta senza aver mai goduto di
nessuno dei privilegi della ricchezza, e sono convinta che Liam sia tormentato
da un’irrazionale senso di colpa per tutto ciò che si è persa, al punto da voler
cercare di rimediare. Ancora oggi non spende nulla per sé, ma Yvonne ha
condotto un’esistenza agiata da quando lo ha incontrato. Dirle che l’agenzia è
fallita e che la sua vita dorata sta per subire una brusca battuta d’arresto sarà
molto difficile.
«Non esattamente», ammette imbarazzato Liam. «Si è accorta che le cose
sono diventate… un po’ più difficili del solito. Ma non sono riuscito a dirle tutto.
Non sapevo come l’avrebbe presa».
«Devi avere più fiducia in Yvonne», gli dico. «Non ti ha sposato per i tuoi
soldi».
Lou solleva lo sguardo su di me alle spalle di Liam, ma cerco di non reagire.
Siamo sempre stati d’accordo fin dall’inizio sul fatto che Yvonne sia una vera e
propria arrivista. Ogni volta che fa la sua comparsa in ufficio indossa le più
recenti creazioni d’alta moda e ha una borsa all’ultimo grido, il tutto
perfettamente corredato da un ghigno di superiorità. Questo cambiamento della
loro situazione economica la distruggerà e Liam ha ragione a preoccuparsi: se i
fondi si prosciugano, lei potrebbe decidere di andarsene e portare con sé la sua
collezione di borse firmate. Il povero Liam uscirebbe annichilito da una cosa
del genere: sembra che la ami davvero, anche se non ne capisco il motivo. È
superficiale, manipolatrice e priva di fascino. E poi non è nemmeno così bella…
se togliamo le extension, l’abbronzatura artificiale e le tette finte, è piuttosto
insignificante. La teoria di Lou è che Liam sia disposto a sopportare tutto per il
sesso perverso che lei è in grado di offrirgli… ma del resto Lou ha una teoria di
origine sessuale quasi per ogni cosa.
«Voleva assolutamente una piscina coperta», dichiara Liam in tono funereo.
«Ormai non potrà più averla».
«Vi ho detto che avrò una piscina in Australia?», lo interrompe Lou. «È una
Jacuzzi. Giorge dice che è lì che di solito si fanno le cose a tre».
«Louis!» Gli lancio un’occhiataccia per farlo stare zitto.
«Le piscine sono enormemente sopravvalutate, Liam», continuo. E creano
dipendenza da autoabbronzante… Vorrei dirlo, ma mi fermo appena in tempo.
Non c’è ragione di peggiorare le cose: Liam scoprirà fin troppo presto che
Yvonne è devota solo alla sua carta Visa Platinum.
«Proverò a dirlo a Yvonne», replica Liam, disperato.
«Ha gusti costosi. Se non riesco a mantenere il tenore di vita che si aspetta, non
so cosa succederà. Potrebbe anche lasciarmi».
«Oh, smetti di essere così melodrammatico», dico in tono vivace. Devo
mantenere la sua mente occupata in qualche modo o finirà per piangere sulla
scrivania. «Non ti lascerà mai, è pazza di te».
Questa è un’altra spudorata menzogna. Non credo che Yvonne ami Liam,
credo che ami quello che pensava lui avesse. Ora che è sparito tutto,
probabilmente non sarà più in grado di fingere.
Lou mi rivolge un’altra smorfia, ma io continuo imperterrita. Sarebbe inutile
dire a Liam che sua moglie è una stronza a ventiquattro carati che lo scaricherà
in un baleno per un altro tizio una volta scoperto come stanno davvero le cose.
«Lo credi davvero?». Liam tira su col naso, e so che sta cercando di
riprendersi.
«Ma certo», confermo, «perché non dovrebbe? Non sei niente male».
Liam mi rivolge un sorriso tremolante, il primo da quando siamo entrati nel
suo ufficio. So che non c’è pericolo a flirtare con lui in questo modo: è abbastanza
vecchio da poter essere mio padre, dopotutto.
«Ho del denaro per entrambi». Si ricompone e ci porge due buste al di sopra
della scrivania.
«Non è quanto avevo sperato di darvi, ma può sempre tornare utile».
«Grazie, capo», gli dice Lou, e io mi mordo un labbro per non piangere.
So che Liam avrà fatto l’impossibile per mettere insieme questi soldi per noi.
La cosa spaventosa è che mi dovranno bastare finché non riuscirò a trovare un
nuovo lavoro. E non c’è molta speranza che questo accada presto, perché non ci
sono posti di lavoro. I giornali sono pieni di articoli sulla situazione disperata
nella quale si trovano migliaia di persone. Cinquecento candidati speranzosi si
sono presentati per un posto da cassiere in un supermercato del centro l’altro
giorno. La cosa triste è che non so nemmeno come funziona una cassa digitale:
non avrei avuto alcuna possibilità.
Prendo l’assegno da Liam e mi chino per abbracciarlo.
«Tu starai bene, Anne? Che farai?».
Mi sembra di nuovo troppo angosciato per dirgli la verità, e cioè che non ho la
minima idea di cosa farò dopo.
Non ho più Niall su cui fare affidamento. Sono tutta sola in ogni senso. Forse
Charlie aveva ragione. Forse avrei dovuto tenermelo stretto.
Cerco di scacciare questo pensiero dalla mente. Non eravamo fatti per stare
insieme, no davvero, e non ha alcun senso adesso fingere che non sia così solo
perché ben presto potrei diventare povera. Anche se la cosa mi tenta, solo per un
secondo.
«Non lo so ancora di preciso», rispondo tenendomi sul vago.
«Magari verrà in Australia con me», scherza Lou, e lo colpisco con la busta
della mia liquidazione.
«Non ci sperare, Crapapelata», dico. «Che cosa farai tu adesso, Liam?» «Non
ne sono sicuro». Si passa una mano tra i capelli con un’espressione addolorata.
«Chiuderò i boccaporti, suppongo. Resterò qui, presidierò l’ufficio nella speranza
che le cose migliorino. Vorrei solo che ci fosse abbastanza lavoro per tenervi
entrambi. Voi due siete stati i migliori impiegati che abbia mai avuto, altroché».
La sua voce si spezza.
«Dài, Liam, risparmia tutte queste smancerie per la lettera di referenze!».
Lou cerca di sollevargli il morale.
«Comunque, sappiamo tutti che il lavoro da fare era ben poco, i compratori
venivano a bussare alla porta. Tutto quello che dovevamo fare era porger loro una
penna per firmare sulla linea tratteggiata!».
Liam ride cupamente. «Hai ragione… quelli sì che erano bei tempi. Credete
che andrà mai meglio di così?».
D’un tratto sembra disperato. «Credete che le cose miglioreranno?».
Non ho mai visto Liam in questo stato. Di solito è estremamente lucido. Mai
arrogante, non lo è mai stato – non come alcuni degli agenti immobiliari che
affollavano il mercato quando le cose andavano bene – ma è sempre stato
pacatamente sicuro di sé. Ora, di fronte alla rovina finanziaria, è un rottame
troppo sensibile.
«Ma certo, Liam». Faccio del mio meglio per rassicurarlo. «Le cose andranno
di nuovo alla grande, e molto presto, lo sanno tutti. Ci riassumerai in un baleno».
«Sì, forse hai ragione», mormora lui, sorridendo debolmente a entrambi, e io mi
rendo conto di colpo che Liam è invecchiato di almeno dieci anni negli ultimi
sei mesi. Dai suoi occhi traspare un’evidente preoccupazione e i capelli gli sono diventati un pò grigi intorno alle tempie.
Lo stress ha proprio preso il sopravvento su di lui.
Infilo in tasca l’assegno. «Adesso datti una sistemata», gli dico. «È ora del piano
B».
«Il piano B?». Il viso di Lou si illumina.
«Esatto», affermo con una certa sicurezza. «Piano B. Andiamo a farci un drink
per tirarci su di morale».
«È questo lo spirito giusto, Maggie!». Louis sorride allegramente e Liam
riesce a fare una risatina.
Siamo sempre riusciti a trovare un piano B ogni volta che le cose si mettevano
male, tipo quando Solido Mogano HydeSmythe cominciava a rompere. Abbiamo
affogato tutte quelle rotture di palle in un sacco di pinte.
«Ah, non lo so», mormora Liam. «Ho un sacco da fare qui». Fa un cenno
impercettibile ai documenti. «Voi andate… bevetene uno anche per me».
«Liam», dice Louis, «non penso ci sia nulla di troppo urgente che non possa
aspettare un po’ – non credi?» «Be’, ho delle cose da fare…», ribatte Liam, ma
so che è tentato, glielo leggo negli occhi.
«E dài, un bicchierino non farà male a nessuno. Solo uno». Lou è molto bravo a
blandire la gente con le moine, a quanto pare è in questo modo che riesce a
portarsi a letto così tante donne: le sfinisce finché non accettano.
«Oh, d’accordo allora». Liam fa un sorriso forzato, poi si alza dalla scrivania.
«Sei terribile».
«Così si fa!», esclama Lou ad alta voce. «Vado a prendere la giacca».
Corre fuori dall’ufficio, ed è allora che Liam mi prende la mano. «Anne, mi
dispiace davvero tanto», dice con gli occhi lucidi.
«Ah, Liam, andrà tutto bene».
«No, non sono certo che tu capisca…».
Che c’è da capire? Non ho più un lavoro, questo è chiaro come il sole.
«È per l’appartamento».
«L’appartamento?» «Sì… se il mio socio è deciso a consegnare le chiavi alla
banca, sarò costretto a chiederti di andartene». Deglutisce, cercando di controllare
l’emozione.
«Oh». La mia voce è uno squittio. A questo non avevo pensato.
«Puoi venire a stare da me e Yvonne per un po’, lo sai, finché non ti rimetti in
sesto. A Yvonne probabilmente piacerebbe un po’ di compagnia femminile: voi
due potreste parlare di roba come… scarpe, magari». La sua voce si affievolisce
incerta.
Mi gira la testa mentre la gravità della situazione mi colpisce in tutta la sua
forza: non ho un lavoro. Lavorare qui è tutto ciò che so fare, non è che abbia una
moltitudine di altri talenti su cui fare affidamento per guadagnarmi da vivere. Non
ho nemmeno mai fatto la cameriera. Non che ci sia richiesta di cameriere ora che
anche il settore della ristorazione è ridotto in ginocchio.
E adesso non ho nemmeno più un posto dove vivere.
Andrò a vivere sul divano del mio ex capo. Finirò a parlare di scarpe con quella
sanguisuga di sua moglie. Oddio.
Un’ondata di puro terrore mi travolge e mi sento male. E se non riuscissi a
trovare un lavoro? E se dovessi passare il resto della mia vita con il sussidio?
Devo affrontare i fatti: nessuno assume agenti immobiliari. Nessuno assume
nessuno, da nessuna parte.
«Anne?». L’espressione di Liam è piena di angoscia.
«Non preoccuparti per me, Liam», gli dico, prendendo un bel respiro ed
esibendo un finto sorriso. «Mi inventerò qualcosa. Adesso andiamo a farci un paio
di drink».
Il suo viso si rilassa per il sollievo. È un peso in meno sulle sue spalle non
doversi preoccupare troppo per me.
È grato per il fatto che io abbia una specie di piano per sopravvivere.
Mi getto la borsa in spalla e lo prendo a braccetto, cercando di reprimere la
paura che mi si gonfia nel petto.
Liam può anche pensare che me la caverò, ma la realtà è che non ho affatto un
piano. Anzi, non ho assolutamente idea di cosa farò.

CIAO AMORI MIEI !!!!!!!!!!!!!

ciau,  questo è il secondo capitolo, spero vi piaccia e spero che recensiate , se volete datemi i link delle vostre storie sono curiosa di leggerle !
vi lascio così se recensite vi amerò per sempre =D
ciau XXXXX CREDITI BANNER: https://www.facebook.com/pages/Graphic-Worldϟ/369699706475620

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