Elle in love

di Lady Liv
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Innamorata ***
Capitolo 2: *** Bertie dal fiocco rosso ***
Capitolo 3: *** Il nome dei gabbiani ***
Capitolo 4: *** Nessun'altra ragione ***



Capitolo 1
*** Innamorata ***


 

 

 

 

CAPITOLO 1

Innamorata

 

 

 

La tenda di seta aggrappata davanti al terrazzo del castello volteggia piano indisturbata, simile ad un'ala di libellula, lasciando filtrare la luce del primo mattino, fresco di cielo azzurro e caldo di sole.

Tutto sarebbe immerso nel silenzio più assoluto se non fosse per il cinguettio soave dei pettirossi, finchè una voce non squarcia l'aria primaverile. -Principessa Adelle! Principessa Adelle!- chiama la voce. La curiosità e i battiti insistenti del mio cuore, – che si è messo a galoppare come se volesse vincere il campionato mondiale d'ippica – mi spingono ad avvicinarmi alla tenda per scostarla. Il terrazzo brilla di rugiada e le colline erbose si stendono ai miei piedi giù in basso insieme ai monti coperti di folta vegetazione.

Mi affaccio dal davanzale del mio terrazzo e vedo un giovane bruno con magnifici occhi celesti. È vestito con una larga camicia bianca e un paio di alti stivali di cuoio. Sul capo porta un ingombrante cappello di velluto con una piuma svolazzante che in altre circostanze avrei trovato ridicola, ma ora mi spinge ad assumere un'espressione beata. Lord Tradeshire!

-Scendete presto, orsù, madamiselle! Non mi fate stare in pena un altro straziante istante e colmate il vuoto della vostra assenza!

-Scendo immediatamente, mio prode salvatore, mia anima gemella!- cinguetto. -E calandomi da questo impervio e fiero terrazzo, vi dimostro il mio coraggio infinito!- esclamo tenendomi melensa una mano sul cuore. Detto questo mi arrampico senza il minimo sforzo sul davanzale e mi butto giù senza esitazione. In circostnaze normali mi sarei felicemente spiaccicata per terra, ma miracolosamente precipito esattamente tra le braccia del giovane, che mi dice: -Tesoro caro, ora niente potrà più dividerci!

Le sue labbra si avvicinano sempre di più alle mie e chiudo gli occhi già immersa in quel bacio, quando lui assume improvvisamente la voce della mia bambinaia Louise.

-Insomma, principessa, quante volte vi devo pregare di svegliarvi?- gracchia.

-Come dite, prego?- sbotto esterefatta.

-Ho detto che vi amo immensamente, mia dolce fanciulla!- dichiara solennemente Lord Tradeshire con la sua propria voce. Con un profondo respiro di sollievo mi calmo: evidentemente ho sentito male. Ed ecco che un'altra volta le nostre labbra stanno per unirsi quando il giovane esclama di nuovo: -Altezza, per l'amor del cielo, svegliatevi!

Balzo all'indietro e per poco non cado dalle braccia del mio cavaliere. -Gentil giovinotto, potreste farmi la cortesia di ripetere?- domando amabilmente respingendo lo sconcerto.

Ma questa volta lui non recupera la sua voce, anzi: si mette a sbraitare simile in modo inquietante a Louise. E... orrore degli orrori! Gli è spuntato pure il nasone della bambinaia!

-Iddio santissimo, che disgrazia vi colpisce, o nobile amato?!- replicai inrridita.

-Principessa Adelle! Misericordia, milady!- esclama per la terza volta Lord Tradeshire.

-Milady!- esclama Louise. Poi tira un sospiro si sollievo molto simile al mio di poco prima. -Santo cielo, cara, mi avete fatta dannare! Ringrazio il signore che vi siete svegliata, finalmente!

Mi guardo intorno in preda al panico. La camera reale è noiosamente identica al solito e la tenda volteggiante non è quella del mio terrazzo, bensì quella del letto a baldacchino su cui mi ritrovo. No, no, no! NO! Dov'è finito Lord Tradeshire? E il mio castello, il mio terrazzo, dove sono? Dove sono io?

Con un ultimo sospiro di rassegnazione mi accascio mollemente tra i cuscini di piume.

Sì, purtroppo mi sono svegliata.

-Per la miseria, Louise! Da quando in quà non è più possibile godere di un attimo di pace?- borbotto indignata. Che sfortuna, proprio mentre stavo per baciare Lord Tradeshire! Mugolo afflitta affondando la faccia nel cuscino, ma Louise mi solleva implacabile.

-Forza, padroncina, è ora di alzarsi! Vi attende una giornata molto faticosa... per caso vi siete dimenticata di che giorno è oggi?

Sospiro sognante scuotendo la testa e mi nascondo sotto le lenzuola per non farle vedere che sono arrossita. La mia voce giunge soffocata mentre sussurro: -Come potrei dimenticarlo? Aspetto questo momento da tutta la vita!

La sento ridacchiare, ma sono sicura che nei suoi occhi ci sia uno sguardo contrariato: Lord Tradeshire non le è mai andato giù. Forse è per questo che oggi è di cattivo umore. Lo noto dal suo grambiule. Quando indossa quello col pizzo c'è sempre qualcosa che la disturba. E in questo caso si tratta del mio sospirato matrimonio.

Mia madre, la regina Tullia, è sempre stata una donna severa e intransigente per quanto riguarda il protocollo e mi ha tirata su educandomi a gran dama. È molto fredda, ma mi consola il fatto che non lo sia solo con me. La mia sorella maggiore, Scarlet, per esempio: è una ribelle, ma non come me che non mi faccio problemi a dire la mia opinione su tutto. A lei non giene importa proprio di mettere al corrente il mondo esterno di ciò che le frulla nel cervello, non perchè sia presuntuosa, ma semplicemente non considera all'altezza chi le sta intorno. In un certo senso la penso come lei, ma non lo posso dire a nessuno.

È per via del mio vizio di dire sempre quello che penso che non vado giù alla regina, lo so bene. Una principessa non può permettersi di farlo. Ho passato tutta la vita a cercare di trattenermi per compiacere mia madre, ma è come se per lei non andassi mai bene.

Sospiro. Janet: lei sì che è davvero perfetta. Non secondo me, ma secondo la regina. E tutto il resto del regno. Siamo gemelle, ma è come se non lo fossimo, per quanto mi riguarda. È come se non fossimo sorelle e basta. Lei non si deve nemmeno sforzare di piacere, le viene naturale. Prima di tutto, riesce bene in praticamente ogni cosa e poi ha un innato talento per fare il capo, e questa è una dote che fa impazzire nostra madre. Neanche a dire che io sono tutto il contrario di lei: non so danzare come fa lei nonostante abbia preso lezioni fino ad oggi, il ricamo non mi va giù e l'ago chissà come finisce sempre nel posto sbagliato (il mio indice), quando suono il flauto traverso ci manca poco che mandi in frantumi i vetri della finestra della sala da musica e con i pretendenti proprio non ci so fare. Non è colpa mia: è che sono tutti talmente vecchi, inamidati e presuntuosi che non riesco a trattenermi dall'essere acida con loro. Oa d inveirgli contro quando mi sbaciucchiano la mano per salutarmi. Odio quest'usanza. Soprattutto perchè i pretendenti hanno in comune il vizio di sbavare, e posso assicurare che non è una cosa piacevole. Quesata cosa non giova molto alla mia reputazione nel regno, ma d'altra parte neanche Scarlet è vista tanto di buon occhio: infatti, da qualche tempo ha preso l'abitudine di andare a cavallo e questo ha fatto un enorme oggetto di scandalo. Nostra madre si è infuriata all'inverosimile.

Ma io non ho intenzione di smettere di respingere quei vecchi sbaciucchioni. E non solo perchè sono vecchi sbaciucchioni: soprattutto perchè il mio cuore appartiene già a Lord Tradeshire. Il chè è l'unica cosa che mi fa benvolere dalla regina, dato che è lei che mi ci ha promesso in sposa. E oggi, finalmente, quella promessa si compirà: Adelle Tradeshire... non suona meravigliosamente?

Sospiro di nuovo con aria sognante e mi lascio sprofondare nel materasso. Louise tira via le coperte con uno strattone e io rotolo giù dal letto dritta sulla folta moquette rosa, che attutisce la caduta. Ho una specie di fissazione per il rosa. O meglio, per tutti i colori a parte il nero, il grigio e il marrone. Forse è in reazione alla scarsità d'interesse del regno - e di conseguenza anche di mia madre - verso i colori. Nel senso che con tutti i bei vestiti di cui dispone in quanto regina dell'intera galassia si veste solo di marrone o di nero. A volte di grigio. È assolutamente monotona. E la cosa peggiore è che le piacerebbe estendere questa caratteristica pure alle sue figlie, tra cui a me.

Ad ogni modo, accetto al mano che Louise mi porge e mi sollevo in piedi, lasciandomi condurre dietro il separè della mia camera. Louise mi toglie la camicia da notte e lotta con i nastri delle calze prima di riuscire ad infilarmele.

-Si può sapere cosa stavate sognando, principessa? Non ho mai fatto tanta fatica per svegliarvi prima d'ora! E voi siete la persona più dormigliona che conosca!

Arrossisco, ma non certo perchè mi ha ricordato di essere una pigra senza speranze. Mi schiarisco la voce. -Dovremmo decidere quale abito indossare... che ne dici di quello con le maniche a tre quarti e la gonna vaporosa?

Louise mette le mani sui fianchi e mi guarda con un guizzò divertito negli occhi chiari. -Sarò ance una vecchia cameriera ma di certo non sono stupida. E voi, principessa, dovreste conoscermi da abbastanza tempo per capire che cambiare argomento con me non funziona.

Sospiro e in un attimo mi trasformo da tizozne ardente a fanciulla spensierata in balia dell'amore. Sospiro di nuovo, con più enfasi. -Ah, Louise! Sapessi! C'era questo meraviglioso castello con questo enorme terrazzo, no? E indovina chi c'era di sotto...

La bambinaia fa per aprire bocca, ma non gliene lascio il tempo: -Lord Tradeshire!!! E quindi io mi sono buttata giù dal balcone e sono finita dritta in braccio a lui, e così noi due stavamo giusto per baciarci quando...

Louise interrompe la mia rivisitazione ad occhi aperti rimproverandomi scandalizzata: -Gesù, principessa! Non oso immaginare che scandalo sarebbe se la gente venisse a sapere che parlate di cose del genere!

Sbuffo con noncuranza per dimostrargli ce me ne infischio di ciò che pensa la gente e mi raddrizzo mentre mi stringe il corpettoo con dei nastri. Indovinate di che colore?

-Ti prego, non metterci pure tu, Louise! Già quei tre grassoni dei consiglieri reali mi fanno una testa così!

-Non è appropriato definirli in questo modo, padroncina. Non dimenticate che rivestono un sempre un grado molto alto.

-Oh, chi se ne frega del loro grado, Louise!- sbotto facendola trasalire. -In un modo o nell'altro riescono sempre a inculcare idee malsane nella testa del Re! Ma questa volta andrà meglio, ne sono sicura!

Louise sospira. Ne avevamo parlato già così tante volte che ormai aveva capito che era inutile discutere. -Spero solo che Lord Tradeshire sia quello di cui avete veramente bisogno...

Mi volto di scatto sgranando gli occhi. -Ma certo che lo è!- esclamo con enfasi. Poi sollevo gli occhi sognante e dichiaro con un sorriso: -Lui è tutto ciò che desidero! E oggi ci sposeremo, finalmente! Riesci a crederci, Louise??

-Come potrei non riuscirci, principessa? Me lo avete ripetuta almeno una cinquantina di volte. Dunque, adesso davvero è l'ora di scegliere l'abito. Io propongo quel meraviglioso vestito grigio perla che vi ha regalato vostra madre per il compleanno. La addolcirà di sicuro vedervelo indosso. A proposito, ha espresso il desiderio di vedervi non appena vi foste svegliata.

Guardo dubbiosa la gruccia che mi mostra e storcio le labbra. -Non lo so, il fatto è che preferirei qualcosa di più...

-Colorato- conclude la bambiania con un sorriso rassegnato. -Bene, vediamo cosa c'è quì dentro- e si abbassò a frugare dentro un cassettone. Ne emerse sfoderando un raffinato abito ricamato con strette maniche lunghe, un'ampia scollatura a cuore ornata di merletto e la gonna coperta da un velo di seta semitrasparente. Il tutto di un adorabile rosa.

-Non c'è che dire, sai proprio il fatto tuo!- esclamo sfiorando la stoffa estasiata.

-Ottimo. Alzate le braccia- ordina, e m'infila il vestito. Completa l'opera con un paio d'immancabili guanti di pizzo, considerati all'ultiam moda nel nostro regno. Io li trovo odiosi. Fanno sudare le mani e fai fatica a grattarti quando senti prurito. Ma tutte le donne di alto rango sociale devono indossarne, e io non faccio eccezione, purtroppo.

Louise mi tampona il decolletè e il viso con un fazzoletto carico di cipria candida, che alza una nuvoletta bianca e mi fa starnutire. Mi siedo davanti alla specchiera della mia camera e la osservo spazzolarmi i capelli con pazienza. Sono ondulati con qualche boccolo e neri. Li odio con tutte le mie forze. Li vorrei di quell'adorabile biondo oro come ce li ha Scarlet, che puntualmente non si rende conto della fortuna che ha e li tiene sempre nascosti sotto un cappuccio, dicendo che le danno fastidio. Se non fosse per il protocollo, sono certa che si raperebbe alla maschio. Guardo tristemente il mio riflesso e lo sguardo di un paio d'occhi color nocciola mi risponde malinconico. Sono più chiari di quelli di Janet, che invece ce li ha di un vivo castano che fa puntualmente impazzire tutti i giovani del regno.

-Non dovreste cucciarvi tanto per i vostri capelli, altezza- mi dice Louise con voce dolce, come se mi avesse letto nel pensiero. -Siete ritenuta da tutti una rara bellezza.

Ma io sospiro. -Che me ne faccio della bellezza se la regian a da dire praticamente su ogni cosa che faccio? È così ingiusto!

-Certo che lo è, cara- dice Louise pettinandomi i capelli. Il moto deciso e continuo sulla cute mi rilassa e mi lascio sprofondare nella sedia imbottita. Un altro bel pisolino ci starebbe volentieri. La bambinaia comincia ad intrecciarmi le ciocche scure e a fissarle in cima alla testa.

-È proprio necessario?

-Non è necessario affatto, milady. Ma lo sa com'è fatta sua madre. Ma non dimenticate che la severità è un'ottima qualità per una regian. Dovreste prenderne esempio, tesoro.

Rabbrividisco al pensiero che un giorno potrei essere gelda come mia madre e ribatto: -Non intendevo quello.

-Oh!- la bambinaia aggrottò le sopracciglia cespugliose con aria interrogativa. Le indicai i capelli che stava legando. Solo qualche boccolo sfuggiva dall'acconcitura e mi ricadeva ai lati del viso.

-Oh.- ripete. -Lo sapete meglio di me, principessa. Mi meraviglio che me lo chiediate. Riuscite a immaginare la faccia di vostra madre se vi presentaste al suo cospetto con i capelli sciolti?- ridacchia all'idea, ma non c'è proprio niente da ridere. Un'altra regola, l'ennesima: le nobili devono portare sempre i capelli legati. Ma queste sono bazzeccole in confronto alle vere regole, che discriminano le donne da praticamente ogni attività che non faccia parte dell'ambito domestico. Il massimo che ci è concesso è di uscire in giardino, di fare un giro in piazza o al mercato in comagnia delle nostre serve e di frequentare la chiesa la domenica e nei giorni festivi. È una vita da prigioniera, ma almeno posso dire di passarmela molto meglio di certe povere ragazze che ogni tanto vedo elemosinare in strada. Sì, loro sono libere di comportarsi come gli pare, ma a che prezzo?

Mi sforzo di non pensarci più e mi ritrovo a chiedermi cosa stia facendo Lord Tradeshire in questo momento. Chissà se ha intenzione di chiedere la mia mano... un'occhiata allo specchio mi rivela che sto sorridendo come un piccolo sole estivo.

Louise finisce di acconciarmi i capelli, mi sistema un piccolo diadema d'argento, mi fa infilare un paio di scarpette bianche e mi dà un bacio sulla testa.

-Siete pronta, principessina. Buona fortuna.

-Grazie, Louise!- sorrido e la avvolgo in un abbraccio che la coglie di sorpresa, poi mi precipitò fuori dalla stanza mentre la sento ridere dietro di me. In un attimo attraverso il corridoio delle stanze della famiglia reale e finalmente mi ritrovo davanti alla sala del trono.

-Buondì, principessa Adelle. Avete passato una buona nottata?- chiede Daddish, la guardia della regina, dopo avermi salutato con un profondo inchino. Ha da sempre una cotta per Scarlet e cerca in ogni modo di accalappiarsi le mie grazie per arrivare a lei. Ma purtroppo per lui, non ci riesce. Daddish è un insopportabile presuntuoso e non permeterei mai che sposasse mia sorella. Ovvaimente sarebbe tutta un'altra cosa se l'oggetto delle sue attenzioni fosse Janet: insiem formerebbero una bellissima coppia, vanitosi come sono entrambi.

-Favolosa. Mia madre si trova nella sala?

-Sicuro, vostra altezza. C'è qualcosa che posso fare per voi?

-Nulla, vi ringrazio... Ah, in effetti una cosa c'è!

Daddish mi guarda speranzoso.

-Aprire la porta e farmi passare- dico senza pietà.

Mette su il broncio e spalanca il pesante portone. La sala del trono è enorme, con i pavimento di granito nero e bianco, il soffitto affrescato con angeli e giardini fioriti e alte colonne d'oro a sostenerlo. Infondo si trovano due grossi troni. Uno è occupato da mia madre. L'altro è vuoto.

La regian Tullia è una donna alta e snella come un fuscello. I capelli biondi sono costantemete tirati n un severo chignon intrecciato e sormontati dalla corona, mentre gli occhis ono piccoli e nocciola come i miei. La pelle candida del viso quadrangolare è coperta di cipria e ha un'ampia fronte che corruga ogni volta che mi vede. Oggi indossa un'ampia gonna nera con una pelliccia di ermellino e i soliti tacchi dorati come la pesante collan che porta al collo.

M'inchino fino a terra prodigandomi in un'ampia riverenza, nonostante trovi la cosa a dirpoco ridicolo dal momento che sono sua figlia e la principessa.

-Vostra altezza.- dico. -Volevate vedermi?

-Alzati, mia cara.

Obbedisco e la guardo mentre scandaglia ad occhi socchiusi la stoffa rosa del mio abito. -Ancora non sei capace di abbigliarti come una dama del tuo rango. Rosa, bah! Dove si è mai visto?- sbuffa. -C'è bisogno che ti ricordi che oggi ti sposerai?

-No, madre- sussurro.

-Molto bene. A proposito doi abiti, oggi arriverà la sarta reale con la tua veste nuziale. Vedi di provarla e se noti qualche malfattura ordinagli di rifarla, chiaro? Ti concedo di scegliere una punizione adeguata.

Annuisco titubante.

-Ora scendi per al colazione e dì di farloa nce a tua sorella Scarlet. È una ritardataria senza speranze. Non riesco a credere che un giorno sarà regina.- le sue labbra si stringono con disapprovazione e sospira. -Mi chiedo perchè non sia toccato a Janet questo ruolo. Lei è assolutamente perfetta. E di sicuro non indosserebbe mai il rosa.- mi rimbrotta con sguardo pungente.

Mi congedo ed esco dalla sala del trono. La camera di Scarlet è al secondo piano, accanto alla mia. Busso alla porta e la voce di mia sorella mi invita ad entrare. Si sta allacciando gli stivali da caccia. I suoi capelli dorati sbucano fuori dal cappuccio della mantella verde scuro e se li nasconde con un gesto fulmineo.

Entro pian piano e mi chiudo la porta alle spalle. La camera di Scarlet ha il parchè di noce lucidato e il soffitto con travi a vista, che profumano la stanza di legno aiutati dal camino nell'angolo, a quest'ora spento. Davanti c'è una poltroncina carica di vestiti sporchi e alzini da lavare, che giacciono pure disseminati quà e là sul pavimento. Il suo arco con le frecce e la faretra sono state appoggiate distratamnte al davanzale della finestra insieme alla sciarpa di lana e il suo impermeabile nero è appeso al letto a baldacchino sfatto. Una borsa da viaggio di pelle marrone è aperta ai suoi piedi.

Scarlet nota che la sto guardando e la ficca con un piede sotto il letto, priam di rivolgermi un'occhiata strana, che non le ho mai visto. È un incrocio tra nervosismo e imbarazzo.

-Scar... perchè c'è una borsa da viaggio vicino al tuo letto? E... perchè indossi mantella e stivali? Dobbiamo scendere a fare colazione, poi viene la sarta, e poi... poi c'è il mio matrimonio...

Mi guarda dispiaciuta, smette di armeggiare con i lacci degli stivali e mi vierne incontro. Resto di stucco quando la sento avvolgermi in un abbraccio, perchè non è mai stata molto espansiva. La sua mantella punge e sa di aghi di abete. Affondo il viso nei suoi capelli, determinata a godermi quel raro momento d'intimità. Poi Scarlet si stacca e sospira. Questo mi fa accellerare il battito cardiaco, perchè mia sorella sospira solo quando sta per dirmi qualcosa che mi farà stare inevitabilmente male.

-Scar?

-Elle, sto partendo- dice con voce dolcissima, sfiorandomi la guancia con la mano guantata. Gliela afferro. -Cosa? Non puoi andartene adesso! Devi aiutarmi a scegliere l'abito! Sei sicura di tornare in tempo per il matrimonio?

Mi guarda a lungo. Mi sta sfuggendo qualcosa. Qualcosa che pian piano riesco a capire e che mi lascia senza fiato.

-Non tornerai per il matrimonio, vero?

Scuote la testa silenziosamente.

-Non tornerai nemmeno domani.

-No.

-Nè dopodomani nè il giorno dopo e nè... mai?- bisbiglio con il cuore in gola. Sento le lacrime che mi pungono gli occhi e le reprimo con forza.

-Perchè?

Scarlet sospira e guarda fuori dalla finestra della sua stanza. -Non ce la faccio più, sorellina. Non capisci che quì non abbiamo nessun futuro?

La guardo senza capire.

-Rifletti, Elle, sei una ragazza intelligente. Ma hai solo sedici anni... sei sicura di volerti sposare con una persona che non conosci nemmeno? Come fai a dire che ne sei innamorata?

Balbetto: -Io... la mamma ha sempre detto che Lord Tradeshire è perfetto per me... e poi anche il resto del regno è di questo parere. E non è vero che non lo conosco! L'ho visto una volta a cavallo mentre andava a caccia.

Mia sorella diventa rossa improvvisamente e sbotta: -Nostra madre, sempre nostra madre! Cosa vuoi che en sappia lei di quello di cui hai bisogno?

-Ma l'hai detto tu, è nostra madre!- dico con gli occhi spalancati.

-Guarda in faccia la realtà, Adelle! Non ci ha mai voluto bene! Neanche a Janet, siamo solo delle pedine che le permettono di gaudagnarsi una buona reputazione nel regno e se capitasse che una di noi faccia qualcosa che favorirebbe il contrario lei ci ostacolerebbe. Siamo solo questo, capisci?

-Ma che dici? Io non...

-E anche il tuo matrimonio! Hai mai pensato da che famiglia proviene questo Lord Tradeshire?

Suoto la testa intontita.

-Ricca! Ricca sfondata e soprattutto potente ed importante, la più nimportante nel regno dopo la nostra! Sai cosa vuol dire? Che la regina ti sta vendendo!

Rimango in silenzio. Non lo voglio ammettere, ma sono scossa e molto turbata da quello che ha detto. Scarlet mi guarda er un po' riprendendo fiato. I suoi occhi azzurri sono elettrici e mandano scintille. Aggiunge più dolecmente: -Tesoro, vieni con me. Scappiamo, ci rifacciamo una vita- propone. Come se fossimo in gardo di fare una cosa del genere. -Oppure sarai costretta a sposarti e ti aspetta una vita da padrona di casa, segregata nel tuo bel palazzo, feste e balli in cui dovrai lodare con tutti tuo marito e fingere di essere felice. Non potrai ma essere te stessa, Elle, non così.

Non riesco più a guardarla negli occhi, adesso. Ho paura di quello che intende fare, paura di cosa troverei là fuori. Non sono mai stata fuori dalle mura del palazzo e la regina s'infurierebbe a morte scoprendo che sono scappata proprio il giorno del matrimonio. Emetterebbe un bando e offrirebbe oro a chi ci trovasse. E ci avrebbero trovate, di sicuro.

-Non posso partire con te, Scar.- sussurrai. -Non posso e basta. Il mio destino è sposare Lord Tradeshire e la mia casa sarà per sempre questa. Ma non posso nemmeno costringerti a fare altrettanto.- mi costringo a sorridere e le strngo forte la mano. -Buona fortuna, Scarlet Rose Fynthoufish. Ti raccomando stai attenta- quset'ultima frase la bisbiglio appena, ma sono ccerta che mia sorella la sentirà. Lei rimane impassibile per un attimo. Forse sta valutando l'ipotesi di incatenarmi alla carrozza e portarmi via. Ma evidentemente questa idea non le garba poi tanto perchè mi abbraccia e dice: -Arrivederci, sorellina. Se cambierai idea sappi che mi troverai nel vecchio cottage abbandonato di Sawfridge. E se non sono lì, tu cercami nelle campagne intorno, chiaro? E ricorda che ci sarò sempre per te.- Scarlet non ha mai pianto, nemmeno quando nostra madre ha fatto tagliare la testa al suo pony maculato Fiera. Nemmeno quando l'esercito è tornato dall'ultima battaglia senza papà. Eppure potrei giurare di aver visto una lacrima solcarle la guancia proprio in questo momento. Se la spazza via con un gesto fulmineo della mano, quasi terrorizzata dell'idea di debolezza che potrebbe suggerire.

Poi sorride l'ultima volta, si cala il cappuccio della mantella sulla fronte e afferra la borsa da viaggio. Esce dalla stanza. Mi lascia sola.

Perlustro al sua camera come se potessi rivederla seduta alla sua sedia a dondolo di vinimi, sdraiata con i piedi all'aria sul tappeto a leggere vecchi libri polverosi, o sulla terrazza aggrappata al davanzale a guardare il cielo. Sospiro malinconica. Improvvisamente neanche l'idea dell'imminente matrimonio riesce a tirarmi su. Esco piano dalla stanza chiudendomi la porta alle spalle.

La sala da pranzo è piena delle chiacchiere di Janet che parla con le sue nsopportabili amiche: Lindsay ha i capelli biondi come il sole e li tiene legati in una morbida crocchia dietro la nuca. Porta un sobrio abito grigio topo con un ingombrante fiocco in vita e le maniche a sbuffo e continua a giocherellare con il merletto della scollatura, sporgendosi sfacciatamente verso il cameriere, un giovane novello che fa di tutto per nbon guardarla, ma è impossibile: Lindsay è considerata una delle fanciulle più belle del regno e non a caso. Odette è altrettanto graziosa, mora, con ricci voluminosi che le incorinciano la fronte e sono raggruppati in cima alla testa. Il suo vestito è così nero e cupo che mi semba molto adeguato al tempo fuori dal palazzo: le nuvole si stanno arddensando nel cielo e tutto si sta facendo più scuro e grigio. La ragazza mi vede entrare e da di gomito all'amica. Janet si volta e mi osserva con il suo ghigno dispettoso.

-Tesoro, sei venuta alla fine!- bela lisciandosi il corpetto candido striato di grigio perla. I boccoli neri sono acconciati in due morbide treccie arrotolate ai lati del capo e i suoi occhi splendono vispi. -Incominciavamo a temere che quella vecchia serva si fosse dimenticata di svegliarti. Ance se devo ammettere che non mi sarebbe dispiaciuto: la tua presenza mi fa arricciare i capelli.

Sbuffo mentre mi siedo strisciando rumorosamente la seda sul pavimento di marmo. La regina è appostata di fronte a me e mi guarda implacabile. -Janet, mia cara.- l'ammonisce, ma suona più come se le avesse appena detto che è fiera di lei per le sue parole. Invece a me dice: -Perchè ci hai messo tanto, Adelle?

Deglutisco. -Ehm, non trovavo Scarlet da nessuna parte, altezza.

Lei scuote il capo con disapprovazione e si dedica a spargere marmellata di mirtilli sulla sua brioche dorata. -Ah, quella ragazza! Non sopporto più i suoi continui ritardi. Non capisco proprio da chi abbia preso.

Già, anch'io. Invece l'acidità di Janet è un fatto facilmente comprensibile per chi conosce la regina.

-Mi spiace, madre- mugugno controvoglia. Affogo il mio disprezzo nella cioccolata calda e mi ci tuffai. Uffa, sono riuscite a far sembrare trascurabile anche la cioccolata! Ma come fanno? Brontolo qualcosa d'incompresnibile tra me e me mentre mastico la mia pasta di mandorle.

-Una principessa non parla quando a la bocca piena- mi redarguisce gelida la regina. Io mi trattengo dal fulminarla con lo sguardo. Da dove viene tutta quella insofferenza? Di solito ci sono abituata, no? Immagino perche fosse perchè Scarlet se ne era andata anche per causa sua e rimasi in silenzio.

-Sapete, madre, credo di aver scelto che tinte indossare per il matrimonio di mia sorella!- interviene Janet solare.

-Ah sì, mia cara? E quali?

-Grigio polvere e blu ceruleo. Non sono colori splendidi?

-Assolutamente, figliola. E tu, Adelle?

Grugnisco qualcosa.

-Insomma!- si spazientisce Tullia. -Non ti ho insegnato forse a parlare in maniera adeguata?

-Scusa, madre. Ho detto che indosserò il bianco, come tutte le altre spose della terra- dico con uan punta di acidità che purtroppo a Janet non sfugge.

-Dovresti portare più rispetto a nostra madre, sorella cara. Dopotutto è merito suo se quest'oggi godremo della tua cerimonia nuziale.

Le rivolgo un'occhiataccia. -Lo so bene, Janet.

La regina mi guarda infastidita. -Adelle, quante volte ti ho detto che tu non sarai una sposa come le altre?- oh, ci risiamo... ma perchè non imparo a chiudere la mia boccaccia una buona volta? -Oggi dovrai risaltare tra tutte, splendere di luce propria. E per farlo, ho fatto confezionare dalla sarta reale una magnifica veste nuziale dorata.

-Scusate, cara madre, ma cosa mi avete chiesto a fare di che colore volessi vestirmi se poi avete già scelto voi?- avrei voluto chiedere, ma pensai che potesse ssere scortese e tenni la bocca chiusa. Poi la spalancai per ficcarmi in bovca un enorme pasticcino al cioccolato. Mmm, sublime goduria!

-Che modi, Adelle- mirimprovera Tullia. E te pareva. Sospiro rarrabbiata, mi levo il pasticcino dalla bocca, che ora è bello cosparso di saliva, ne stacco un pezzetto e lo mangio masticandolo lentamente come farebbe una vera dama. Se io fossi una vera dama.

-Non capisco perhè la sarta non è ancora arrivata. Doveva essere quì già da un quarto d'ora- s'indispettisce. Povera sarta, immagino già la lavata di capo che l'attende. Ma in quel momento la porta della sala da pranzo si spalanca e il ciambellano di corte entra affannato con la pelata che brilla di sudore e le guance arrossate. Si chiama Mr Martin e soffre di una strana sindrome di timidezza acuta che lo fa balbettare e arrossire praticamente in ogni cosa che dice. Voglio dire, che cerca di dire. Provo una certa compassione per lui, perchè non è capitato proprio in un bel momento: mia madre è costantemente irritabile e scontrosa, ma in particolar modo quando qualcuino non rispetta un orario, e in questo caso sarà meglio che Mr Martin le dia buone notizie riguardo alla sarta. Per il bene delle sue orecchie... l'ultima volta erano talmente bordeaux che ho temuto davvero che gli sarebbero scoppiate da un momento all'altro. Adesso è lì che si tormenta il cappello piumato come al solito e si sistema gli occhialetti sul naso schiarendosi rumorosamente la voce. Poi si prodiga in un rofondo inchino pronunciando: -Vostra maestà...

-Vi è concesso di alzarvi, ciambellano- lo inchioda la regina con uno sguardo inceneritore. A volte funziona meglio di un falò. Almeno per la faccia del poveretto. -Dunque?

Mr Martin suda copiosamente e si guarda attorno nervoso. -Ehm, mia regina... purtroppo la sarta reale... complicazioni impreviste...- balbetta.

-Che tipo di complicazioni?- ringhia lei interrompendolo. Ora temo che le spunti il fumo dalle orecchie. Povero ciambellano.

-Io... ecco, mi hanno comunicato... malata gravemente... non può presentarsi... assolutamente dispiaciuto...- mi nascondo la faccia tra le mani mentre dalla fessura tra le dita scorgo Janet che lo guarda come fosse ritardato e le sue amiche che sghignazzano. Improvvisamente mi chiedo come abbia fatto in tutti questi casi a non notare la somiglianza di Odette ad una volpe rossa e di Lindsay ad un oca tarnazzante.

-Si spieghi meglio, ciambellano! In quanto regina di questa galassia non tollero simili imprevisti, mi ha capita?

-Assolutamente dispiaciuto... mia regina, dispiaciutissimo...- ripete Mr Martin.

-Lo credo bene. E ora sarà meglio che mi dica cosa intende fare per provvedere a questa inaudita mancanza.- Inaudita mancanza, le faccio il verso mentalmente.

-Già provveduto, maestà... sostituto... molto valido, maestà....- biascica il ciambellano mentre la pelata gocciola in maniera quasi inverosimile. Oh, no. Le orecchie si avvicinano pericolosamente al bordeaux dell'ultima volta!

Per salvarlo, dico: -Madre cara, permettetemi di occuparmi personalmente della cosa. Incontrerò il sostituto e mi accerterò che sia valido.

Mr Martin mi rivolge un'occhiata grata e rivolge l'attenzione sulla regina, che ci pensa un po' e poi annuncia: -Sì, credo sia un'ottima idea. Tutto questo albetio mi ha provocato una tremenda emicrania- sospiro di sollievo, abbandono miomalgrado la mia colazione e, guardando tristemente il vassoio dei muffin alle more, mi avvio verso l'uscita. Ma sento Tullia alle mie spalle che mi ferma dicendo: -Tuttavia, credo anche ce sia saggio che tua sorella ti accompagni. Lei sì che ha un po' di sale in zucca.

Orrore degli orrori! Mi volto sconvolta e vedo Oca e Volpe che sorridono malefiche mentre una Janet molto compiaciuta si sistema un ricciolo sfuggito all'acconciatura, si liscai l'abito e si alza aggraziatamente da tavola per raggiungermi, il tutto mentre la sua gonna di seta fruscai deliziosamente intorno alle sue caviglie e il suo profumo di borotalco e acqua di rose inonda la stanza.

Sospiro rassegnata. -Okay.- dico rtiluttante.

-Che modo di parlar è?- mi rimbecca Tullia mentre roteo gli occi senza farmi vedere. -Mioddio, cos'avrò mai fatto di male per ritrovarmi una figlia tanto...- e continua su questo tono finchè non sento la sua voce sbiadire e mi ritrovo la sala da ranzo alle spalle e Janet che cammina leggiadra al mio fianco.

-Allora, dove si trova questo nuovo sarto?- chiede stizzita a Mr Martin. Mi lancia un'occhiata accusatoria, come se fossi la causa dell'interruzione del suo prezioso pasto. Ovvaimente è contenta di dare sfoggio dela predilezione di nostra madre per lei, ma la conosco abbastanza da sapere che è molto infastidita. Anche se non ci vorrebbe certo un genuio, a guiudicare dalle occhiate inceneritorie che m'indirizza. Ha ereditato il falò della regina.

-Sostituto sarto... aspettarvi... stanza da cucito...- farfuglia Mr Martin. Lo seguiamo fino alla "stanza da cucito". Detto così ci si immaginerebbe uan stanzetta-magazzino, un piccolo deposito di tessuti dove le sarte ricavano sedute davanti al focolare tra rotoli di stoffa, metri e forbici da cucito. Bene, in realtà niente di tutto questo succede. La stanza da cucito è un enorme salone estremamente organizzato e sempre in ordine, dov e la gente schizza ad un alto all'altro chiamandosi a gran voce l'un l'altra, sciamandfo intorno a modelli e manichini, circondando i tavoli da lavoro infiniti e appuntando nuovi schizzia lle enormi bacheche appese alle pareti rosa confetto. In verità funge anche da una sorta di salone di bellezza molto utile per prepararci alle feste più importanti e alle cene a cui siamo spesso invitate da gente ricca e importante del regno. Quì è dove mi trasformeranno nella sposa perfetta.

Il ciambellano ci fa strada blaterando e balbettandoa proposito di quanto sia dispiaciuto per l'imprevisto e di quanto sia affidabile il nuovo sarto. Alla fine cedo e lo lascio parlare senza più ascoltarlo. Arriviamo davanti ad uno dei rari tavoli da lavoro non affollati. È disseminato di boccette d'inchiostro e acquarelli variopinti, fogli da disegno disordinati e truccioli di matita temperata. Sopra il meraviglioso schizzo di un lungo abito di pizzo candido è curvo un giovane. È seduto tutto storto, deve essere scomodo, ma è troppo concentrato per mettersi in un'altra posizione. Mi dà le spalle e posso vedere solo la sua testa di capelli biondo miele scarmigliati e la camicia di lino grezzo. Non sono abituata a vedere abiti così semplici quì a palazzo, perciò sono curiosa di vederlo in faccia.

Il ciambellano si schiarisce la gola e Janet incenerisce il ragazzo con un'occhaita penetrante che ha la forza di staccarlo dal suo mondo per afrlo voltare. E appena lo fa resto senza parole.

La sua pelle è liscia, con a malapena un accenno di barba e le labbra piene sono rosee come le guance. È giovane. Forse ha addirittura la mia età. No, probabilmente qualche anno in più. Cerco di decifrarlo scrutandolo attentamente. Diciassette, al massimo diciotto, decido. Ma non è solo questo che mi ha colpito. Ha gli occhi più spettacolari che io abbia mai visto, di uno stranissimo grigio-azzurro che mi fa tornare in mente i giorni in cui papà era ancora vivo e portava me e Scarlet nel bosco d'inverno, a fare pupazzi di neve. Il cielo era di quel colore, in dicembre. I fiocchi di neve volteggiavano rendendolo appena più pallido. Eppure gli occhi del giovane sembravano più vitali di quel cielo.

Si rende conto che lo sto fissando e ricambia lo sguardo. Improvvisamente distolgo il mio e arrossisco come una stupida. Janet invece sembra aver dimenticato che lui è il motivo per cui ha dovuto lasciare al sua colazione e ora lo gaurda con un sorriso di miele e occhi seducenti.

Mr Martin apre la bocca per parlare, ma lei lo interrompe: -Tu devi essere il nuovo sarto- gli dice sporgendosi in avanti e baciandolo sulle guance. Mi accorgo che quel gesto non sbalordisce solo me, ma anche lui. -Ehm, in realtà solo un sostituto momentaneo...- la sua voce profonda sembra rievocare per al seconda volta il bosco fitto e la neve volteggianmte. Mi costringo a spazzare via questo pensiero e mi concentro su Janet. Ora sta dicendo: -Io sono la principessa Janet Mary-Claire Fyntoufish.- sorride radiosa come il sole. Lui la guarda leggermente confuso e imbarazzato. Poi lei sembra ricordarsi della mia esistenza e con una smorfia annoiata aggiunge: -Oh, e questa è la mia gemella.

Quando gli occhi grigio-azzurro del ragazzo si posano su di me mi sento come se qualcuno mi avesse sollevata in aria e stessi volando con le gambe penzoloni. Cerco di darmi un contegno. Okay, cerco di far credere che mi sto dando un contegno. Poi mi presento di malavoglia, perchè odio il mio nome tutto insieme: è terribilmente lungo. -Adelle May Fintoufish- dico con voce tremante. Cosa mi prende? EHILÀ, là dentro nel mio cervello, COSA MI PRENDE??? Ma dal mio cervello non arrivano segnali. Nel senso che si è spento. Letteralmente. Mi ritrovo a pensare a come sarebbe volare nel cielo grigio-azzurro degli occhi del nuovo sarto. Poi mi ricordo di essere innamorato dell'uomo che di quì a qualche ora sposerò e allora vado in confusione. Provo di nuovo qualche approccio col mio cervello, ma si ostina a non volermi spiegare cosa diavolo mi sta succedendo.

Poi una mano morbida e calda prende la mia e un paio di labbra sfiora la mia pelle. Il gesto si ripete con mia sorella. Trattengo il fiato mentre il ragazzo dice: -Vostre altezze, è un onore fare la vostra conoscenza. Il mio nome è Noah Allark, sono un semplice sarto.- sorride. E io mi sciolgo.

Mi rendo conto che tutti mi stanno fissando solo quando Janet mi riporta alla realtà con uno dei suoi sguardi inceneritori stile falò. Il ciambellano si schiarisce la voce. Perchè mi guardano? Ah, forse è per il fatto che oggi mi sposo e che mi sto sciogliendo davanti al sorriso di un sarto. Ma loro questo non possono saperlo. Giusto? All'improvviso ho al certezza che mi si legga in faccia ciò che sto pensando e avvampo.

-Ehm... quindi sarai tu a confezionare il mio abito da sposa?- domandò farfugliando da perfetta idiota che sono. Ma lui mi rivolge un altro sorriso disarmante e risponde: -Sì, vostra altezza. Anche se, ecco, in realtà ne avrei già confezionati una decina. Dovreste solo scegliere quello che vi piace di più e poi potrò fare le ultime modifiche.

-Oh.- dico. Quanto sono brillante e creativa. Ridacchio nervosamente e questo mi fa sembrare ancora più deficiente. Mi darei una manata in faccia se non evessi tutta questa cipria addosso e rischierei così di lasciarmi una bella impronta a cinque dita sulla fronte. Oh, e anche perchè gli altri mi giudicherebbero non tanto apposto.

-Molto bene, molto bene- farfuglia Mr Martin togliendomi dall'imbarazzo come ho fatto prima io con lui. -Io... ora... andare... faccenda molto importante da sbrigare... principessa in buone mani...- biascica. Janet rivolge un ultimo sorriso a Noah e segue il ciambellano di corte fuori dalla stanza da cucito dicendomi candidamente: -Buona fortuna, sorellina. Non vedo l'ora di ammirare il vestito che sceglierai-, anche se suona molto come una minaccia.

Per un attimo le faccio ciao ciao con la mano con uns orriso idiota stampato in faccia (sto ancora pensando agli occhi del sarto). Poi realizzo cosa hanno intenzione di fare., e allora... NO! Cosa diavolo gli viene in mente? Lasciarmi da sola con questo tipo dalla voce profonda, gli occhi grigio-azzurro e il sorriso disarmante è estremamente irresponsabile! E poi lo sanno che non posso resistere ai capelli biondo miele! Okay, non lo sanno, e neanch'io fino a qualche minuto fa, però è comunque una follia! Guardo terrorizzata la mia gemella uscire con le sue gonne fruscianti dal salone e mi dico ce non c'è niente da fare. Così mi volto riluttante verso Noah, che si piazza le mani sui fianchi dopo essersi arrotolato le maniche della camicia e sospira come per farsi forza al lavoro che lo attende.

-Allora! Dunque, principessa, ho un sacco di modelli da mostrarvi!- detto questo inizia a sventolarmi sotto il naso tutti i fogli che ci sono sul tavolo e anche altri, tutti decorati dai suoi meravigliosi schizzi. Sarei molto affascinata dai modelli se Noah non la smettesse un attimo di rovesciarmi addosso informazioni su informazioni a proposito di come li ha realizzati e di com'è elegante o morbida o aderente o sofisticata questa o quella stoffa. Parla così veloce e i modelli sono così tanti che non ci caisco un emerito accidenti. Okay, lo ammetto, forse sono anche un po' distratta dalle sue labbra mentre formulano quelle parole... no! Mi do un pizzicotto senza ce lui mi veda. Ora dovrei essere piuomeno sveglia. E invece no, perchè le sue iridi chiare mi rapiscono di nuovo e quando lui mi ciede quale colore preferisca per l'abito nuziale dico senza pensarci: -Grigio-azzurro. Come il cielo a dicembre.

Per un attimo resto imbambolata a fissare la visione che mi ha spinto a pronunciare queste parole, poi mi rendo conto di quello che ho detto e divento una stufa a carbone. Ora assomiglio molto al mio amico ciambellano, per quanto riguarda le mie orecchie.

-Non c'è questo colore tra i modelli che ti ho mostrato...

-Eh, ehm, lo so, è che io, ecco...- farfuglio mentre il mio cuore batte forte. Ma poi Noah assume un'espressione pensierosa e solleva un dito facendomi segno di aspettare. Si china a cercare qualcosa sotto il tavolo da disegno, ma è evidente che c'è così tanta confusione là in basso che non troverà mai quello che vuole. Ad un certo punto sembra accorgersene pure lui, perchè emerge da sotto il tavolo con un sospiro. Poi dice: -Solo un attimo, milady.- e scompare di nuovo tra le cartacce, le penne e gli sbuffi di polvere.

Finalmente sento un verso di trionfo e lo vedo rialzarsi stringendo un foglios tropicciato, ceh stende sul piano da lavoro con le mani. Mi accorgo che ha delle belle mani, lisce e aggraziate, con dita affusolate e unghie ben curate. Trattengo involontariamente il respiro quando vedo l'abito che ha disegnato sul foglio. È lungo, con una gonna fatta di balze di raso e di pizzo, un corpetto finemente ricamato con bottoncini d'argento e nastri e un'ampia scollatura, con maniche lunghe fatte interamente di pizzo. Il tutto di un meraviglioso celeste tendente al grigio perla che splende di inserti d'argento scintillante. Se è già così bello sulla carta mi chiedo come sarà dal vivo.

-Che ne pensate, altezza?- mi giunge in un soffio la voce del sarto.

-È... è semplicemente... magico!- esclamò al colmo della gioia. M'immagino già con quello splendido abito addosso che danzo e piroetto al ballo in onore della mia cerimonia nuziale, tra le braccia di Lord Tradeshire... poi mi ricordo di che colore è l'abito e mi tornano in mente gli occhi di Noah. Oh mio dio, sto impazzendo o cosa? Non mi sono mai interessati i ragazzi! Certo, a parte forse il mio promesso sposo, ma lui non conta. Lo devo sposare e basta, tanto valer che me ne innamori il prima possibile. E anche se l'ho visto solo una volta, so di esserne innamorata. Innamorata. Scandisco lentamente questa parola a beneficio della mia mente troglodita, così che non si faccia venire più strani pensieri.

Innamorata.

... ma si può innamorarsi di ciò che ti obbligano ad amare?

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Bertie dal fiocco rosso ***



Ciao a tuttiiii!!!! :D Scusate, prima di iniziare a leggere vorrei ringraziarvi per aver dato un'occhiata alla mai storia! è la mia prima ff e spero davvero tanto che vi piaccia, quindi vi prego, se avete un po' di tempo e voglia, lasciatemi una piccola recensione! Solo per sapere se vi piace o no, e per capire quali parti modificare per migliorarle.

Un'altra cosa: sicuramente ci sarà qualche errore di battitura, siate pazienti! :) e infine volevo ringraziare anche tutte le persone che hanno letto il primo capitolo, anche quelle a cui non è piaciuto! E anche Lady Yoru per aver recensito, grazie mille :) Detto questo smetto di annoiarvi... buona lettura! ^^





CAPITOLO 2

Bertie dal fiocco rosso





Avevo ragione a chiedermi come sarebbe stato l'abito visto dal vivo.

Perchè con questo addosso sì che sembro una vera principessa, ed è la prima volta che non mi trovo meno carina di Janet. Piroetto ancora una volta davanti allo specchio dello spogliatoio della stanza da cucito e poi lancio uno sguardo alla porta. Noah ha detto che deve vedere come mi sta per fare le ultime modifiche, perciò sono costretta ad uscire... ma il punto è che non ci riesco! So che probabilmente è passata un'eternità da quando sono entrata nel camerino, ma la verità è che sono così imbarazzata! E non è da me! Insomma, chi se ne frega di quello che pensa il sarto di come sto, no? NO! È questo che continuo a pensare: cosa penserà di me Noah una volta che uscirò da quì e mi vedrà con addosso il suo capolavoro? Arrossisco all'istante e, nonostante sia sola, mi porto istintivamente le mani al viso per nasconderlo. Poi tiro un respiro profondo e mi richiamo sull'attenti. Faccio qualche passo in direzione della porta dello spogliatoio e la mia mano trova senza di me la maniglia.

Apro e vedo Noah appoggiato allo schienale della sedia che studia in silenzio quella che deve essere una sorta di mappa. Sembra molto concentrato e i capelli color miele gli ricadono davanti agli occhi. Mi avvicino curiosa e vedo che la cartina comprende dei luoghi che non ricordo appartengano al regno. Aggrotto le sopracciglia, pensando che sono la più brava in geografia tra le ragazze che partecipano all'incontro educativo del mercoledì. C'insegna una donna grassa di nome Mrs Agnes, severissima. Lo si capisce anche solo dal fatto che la regina la ritenga un'ottima professoressa. Sto osservando la carta ingiallita e mezza strappata della mappa quando Noah alza lo sguardo, facendomi sentire come se mi avesse beccata a spiarlo. E in effetti è così.

Sgrano gli occhi. -Io... stavo solo...- balbetto imbarazzata.

La faccia di Noah è attraversata da emozioni contrastanti mentre mi guarda. Dapprima m'indirizza uno sguardo strano, come chiedendosi da quanto lo stessi guardando, poi assume subito un'espressione ancora più strana, un po' sconcertata, e infine una gentile, mentre, con gesto fulmineo, mette via la mappa nella sua bisaccia di cuoio.

-Complimenti, milady,s ite incantevole... e non è solo merito del vestito.

Aaaah! Non doveva dirlo! Adesso sono diventata un pomodoro umano e lui se n'è già accorto! Nooo, che imbarazzo, no, no, no!

Si accorge della mia reazione e la sua espressione gentile e affascinata vacilla e scompare all'istante. -Perdonatemi, Altezza.- dice a disagio distogliendo lo sguardo. -Non volevo apparire insolente.

Sono sorpresa. -E perchè mai dovreste apparirmi insolente, signore?

Ma Noah cambia di nuovo espressione mettendosi a ridere, ma nella sua voce c'è uan nota dura e gelida che mi turba. I suoi continui sbalzi d'umore mi lasciano perplessa. -Signore? Nessuno mi chiama così, milady.

-Preferite che vi chiami per nome?- dico confusa.

-Noah va benissimo. Era il nome di mio padre.

Per un attimo mi sento terribilmente a disagio davanti al suo sguardo duro, ma poi so cosa dire. -Anche Elle va benissimo. Mia sorella mi chiama... mi chiamava così.

Lui mi fissa a occhi sgranati. Già, molto probabilmente non si aspettava che la principessa dell'intera Galassia gli dicesse tranquillamente di chiamarla con il suo diminutivo. Elle. Mi è sempre piaciuto, ma mi chiedo se ho fatto bene ad espormi in questo modo. Cosa penserà adesso? Vengo colta da un attacco di panico. Poi noto qualcos'altro indurire lo sguardo di Noah e lui serra la mascella. -Non mi permetterei mai di...

-Non preoccupatevi,- lo interrompo. -Noah. Ormai nessuno più mi chiama così e sarebbe piacevole se voi lo faceste. Non credete che potremmo comportarci da... amici?- perchè improvvisamente mi sento così timida? Non lo sono mai stata! E, ripensandoci, la mia ultima proposta di chiamarci per nome non mi sembra più tanto geniale... e se lui non volesse essere mio amico? Oddio, cosa starà mai pensando mentre mi fissa con quegli impossibili occhi di dicembre? Mi sento sprofondare dentro me stessa mentre sostengo il suo sguardo, paonazza.

E sento la sua voce dire: -Perdonatemi, milady, ma non mi sembra molto appropriato. Qualcuno potrebbe non apprezzarlo.

È come se mi avesse sbattuto una porta in faccia. A questo punto, non riesco più a sostenere il suo sguardo, così chino il mio e dico imbarazzatissima: -Ehm. Ecco, forse... forse avete ragione- sussurro insieme a qualcos'altro di meno comprensibile. Ma la sua voce mi pietrifica un'altra volta. -Non volevo darvi l'impressione di non essere d'accordo, principessa. Ogni vostro desiderio è un ordine. Se volete farvi chiamare Elle vi chiamerò così.

Sospiro. Non è proprio quello che voglio, però mi accontento più che volentieri. Lo guardo, sorrido e faccio una piroetta su me stessa, facendo volteggiare la gonna del mio splendido vestito. -Ho deciso, allora. Scelgo questo.

Noah mi restituisce il sorriso, con un'unica punta di stupore. -Sono contento che vi piaccia, Alte... ehm, Elle... siete sicura di non voler nemmeno vedere gli altri?

Faccio cenno di no con la testa, ma subito dopo annuisco. Cosa mi prende? Non posso assolutamente indossare questo abito! I suoi occhi che mi persegitano mentre danzo al ballo del mio matrimonio... cerco di scacciare questo pensiero e, nel farlo, assumo un'espressione neutra. -In effetti, credo che non lo sceglierò.

Sorpreso, il sarto commenta con un: -Oh. Bè, allora permettete che vi mostri gli altri, milady.

Gli lancio un'occhiata e lui capisce al volo. -Elle- si corregge.

Rido soddisfatta e lo seguo mentre si dirige verso un enorme guardaroba, ma la risata mi muore in gola quando lo vedo serrare i pugni. Quando apre uno degli scomparti, un turbinio di seta, raso e taffetà candido mi travolge. Rose di stoffa, inserti dorati e perle cospargono gli abiti. Noah scorre le grucce e ne tira fuori una. Regge un magnifico abito bianco, fatto interamente di pizzo, con una gonna lunga e aderente che si allarga intorno alle caviglie in uno strascico. Ha le maniche tutte traforate e termina sotto il collo con un meraviglioso merletto trasparente. Ne sono estasiata e accarezzo la stoffa senza parole.

-Avete buon gusto- commento in un sussurro.

-Bè, sono solo un sarto. Questo non l'ho disegnato io, l'ho solo cucito.

Per qualche arcana ragione, non riesco a fare a meno di pensare che deve aver disegnato lui l'abito celeste e grigio perla. Così glielo dico: -Però quello che indosso sì, vero?

Il ragazzo mi guarda confuso e preso contropiede. -Ehm, io... non-non ho...- capisco che spotrebbe trovarsi nei guai se si scoprisse che ha infilato una sua creazione senza permesso nel corredo di abiti nuziali della principessa. -Tranquillo- dico con un occhiolino. -Non lo dico a nessuno.

-Mmm, grazie... Elle.- ma lo dice con un'espressione che mi lascia perplessa. È come se la mia gentilezza lo irritasse. Spazzo via questo esniero, convincendomi che è solo una mia impressione e sorrido radiosa indicando il vestito di pizzo bianco. -Bene! Dunque, posso provarlo subito?

-Certo. Vi accompagno al camerino.

Appena esco dalla stanza da cucito mi precipito nell'ingresso dove trovo una guardia che incarico di mandare a chiamare Mara, la mia migliore amica. Ho bisogno di parlare con qualcuno di questa specie di strano disturbo del cervello che mi ha colpito dal primo momento in cui ho visto quel maledetto sarto. Aspetto impaziente seduta tra i cuscini del letto della mai camera, mentre mi tormento un lembo dell'abito, ansiosa. Sento bussare e mi affrettò ad esclamare: -Avanti!

Mara entra, con indosso un delizioso vestito turchese, bianco e beige. Indossa la mantella di lana color porpora di sua madre, una delle principali protagoniste dell'aristocrazia del regno, di nome Dyna. Le onde molli dei suoi setosi capelli castano scuro rivelano che le suea ncele hanno ceracto per l'ennesima volta dia rricciarglieli, ma con scarsi risultati, dato che sono così lisci che i boccoli resistono a malapena per uan ventian di minuti. Sono i suoi occhi a dettarne la vera belleza: brillano vispi e lucenti di un vitale color mogano, incastonati in un viso ambrato. Mara ha la mia età ed è costretta come mea presenziare a noiosi ricevimenti e balli di gente supponente e ricca sfondata, ma io so che in cuor suo desidererebbe – proprio come me – fare tutt'altro nella vita. E con tutt'altro intendo davvero tutto fuorchè ciò che fa, a una sola condizione: che riguardi Finn, il ragazzo con cui si vede spesso e di nascosto. Ma questo è un segreto e nessuno lo dovrà mai sapere, perchè Finn è il figlio del mugnaio del villaggio e finirebbe sotto la frusta se qualcuno lo accusasse di essersi avvicinato a Mara.

-Insomma, May, si può sapere perchè mi hai fatta chiamare?- dice in questo momento venendomi incontro. -Tra parentesi, ti sono debitrice: ero a lezione di cucito... e sai quanto può essere noiosa Mrs Lewtton!

-E tu sai bene che odio essere chiamata con il mio secondo nome, Eliza- la scimmiotto io utilizzando il suo, ma le faccio comunque segno di sedersi accanto a me battendo con una mano sul letto. Storce il naso infastidita per come l'ho chiamata, ma accetta l'offerta.

-E allora? Sputa il rospo!

Sospiro. -Ecco, in un certo senso ha a che fare con la tua lezione di cuicito...

Mara assume un'espressione delusa. Poi scatta sull'attenti. -Aspetta un attimo... non mi dire che hai scelto il tuo vestito da sposa! IO VOGLIO VEDERLO- strilla eccitata mentre i suoi occhi si accendono come lucciole.

-Bè... sì, ma non è di questo che ti volevo parlare.

-Quindi? Di che cosa volevi paralrmi?

-Oggi sono andata a scegliere l'abito con Janet, e...

-Quella vipera! Ha strappato quello che avevi scelto, vero? L'ho sempre detto che è impossibile che siate gemelle... voglio dire, vostra madre l'avrà trovata da qualche parte nel paese delle streghe, di sicuro, perchè è proprio...

-Mara, frena quella lingua un mometo!- la interrompo priam che continui a ruota libera. Quando iniziava a paralre non ce la si cavava più.

La mia amica mette su il suo tipico broncio alla non-mi-ascolti-mai-sono-una-povera-ragazza-incompresa-e-molto-offesa, ma io la ignoro. Poi arrossisco e mi volto per non farmi scoprire. Ma, ahimè, non sono abbastanza veloce! Mara mi osserva stupita ed esclama maliziosamente: -Non dirmi che il tuo principe ti ha fatto una visitina prima del matrimonio...

Questo mi fa arrossire ancora di più e allo stesso tempo sentire in colpa, pensando al nuovo sarto. -Ehm... no.

-Insomma!- sbraita. -Si può sapere cosa diavolo è successo?

A quel punto inizio a balbettare, pericolosamente simile a Mr Martin: -Io, ecco... la sarta... ritardo... sostituto carino... troppo carino...

-Troppo carino chi? E che cosa centra la sarta?

-Il sostituto della sarta!- sbotto rossa di vergogna. Ma ho bisogno di parlarne qualcuno o scoppierò, percui non mi pento di aver fatto questa scelta. E poi io e lei ci conosciamo praticamente da sempre e sarebbe inconcepibile tenere nascosto qualcosa all'altra. A volte mi chiedo se non sia lei la mia vera gemella dal momento che si sentiamo talmente unite che è come se fossimo l'una parte dell'altra e che non so davvero cosa farei se lei non ci fosse. Arrischio una timida occhiata al viso della ragazza e vedo con imbarazzo che è rimasta pietrificata, con la bocca aperta e gli occhi che mi fissano sbalorditi.

-Aspetta una ttimo- ripete, cercando di darsi una calmata. -Vuoi dire che...

Annuisco sconfortata e crollo affondando al testa nella sua gonan vaporosa. Mugolo qualcosa di poco comprensibile e dico: -Mara! Aiuto!

-Aiuto un cavolo!- la sento sbottare mentre sobbalzo. Immaginando la faccia di sua madre se la sentisse parlare in questo modo mi scappa da ridere. E poi penso a quella che assumerebbe mia madre se sapesse ce parlo con qualcuno di quanto sia carino il mio sarto e scaccio un brivido. Meglio che non la sappia, quindi. -Elle, ti rendi conto che è un sarto? E che tu sei al principessa? E, soprattutto, che oggi ti sposerai con un altro tizio? E della faccia di tua madre se scopre anche solo che hai espresso un apprezzamento su un operaio?

-Sì...- biascico al sicuro con la faccia premuta tra le balze di morbida stoffa. -è per questo ne sto parlando con te! Sei la mia migliore amica... Mara, dimmi, sto impazzendo? È per questo che da quando ho visto i suoi occhi non riesco a pensare ad altro che a lui? Mi sento così superficiale!- Mi lascio sfuggire uno sbuffo di frustrazione e, facendomi forza, emergo dalla gonna di Mara, la quale sembra essersi leggermente addolcita. Mi accarezza la testa con fare materno come fa di solito con il suo barboncino Borotalco quando cerca di indurlo a non azzannare chiunque gli si avvicini. È tempo sprecato, sia con lui che con me, me ne rendo conto e la cosa mi sconvolge talmente che la lascio fare senza una parola.

-Ehi, non preoccuparti così! Tanto cosa potrà mai succedere? Già questa sera sarai sposata con l'uomo dei tuoi sogni e non ci penserai più. Quindi adesso fammi un bel sorriso e raccontami TUTTO dell'abito che hai scelto!

Le regalo un sorriso incerto e inizio a parlare miomalgrado. Qunato vorrei che succedesse davvero ciò che ha detto Mara! Ma qualcosa mi dice che non sarà così facile cancellare i ricordo degli occhi di quel giovane dalla mia mente... e dal mio cuore. Sì, percè anche se lo conosco da meno di mezza giornata, il pensiero dels uo viso, del suos orriso, della sua voce mi perseguitano e non posso farci niente, nonostante mi senta terribilmente stupida e continui a ripetermi di dimenticarmi di lui.

Mara si ferma a mangiare con noi e anima il pranzo con le sue ciacchiere gioiose. Janet passa la durata della pima portata a lancairmi frecciatine sui soliti sciocchi argomenti con cui mia ssilla quotidianamente, come ad esempio il fatto che mi abbuffi in amniera poco educata e della seconda a parlare del nuovo vestito su misura che indosserà alla mia cerimonia. Quando il cameriere novello serve un grosso vassoio colmo di dolci il mio radar incorporato individua l'obiettivo del giorno, ovvero una enorme ciambella ripiena con panan montata e fragole. I miei occhi scintillano, lo stomaco tambureggia a ritmo della melodia celestiale che mi risuona nelle orecchie e la caimbella si avvicina lentamente alle mie fauci spalancate quando...

-Adelle, si può sapere dove si è cacciata tua sorella?

Arrossisco fino alla punta delle orecchie e chino lo sguardo borbottando qualcosa d'incoerente. Poi, prima che mia madre possa rimproverarmi di nuovo, dico: -Non so, forse è andata a caccia con le sue ancelle.

La regina scuote la testa corrucciata e riprende a mangiare silenziosa. Sto per imitarla, la ciambella mi sta chiamando a sè con voce melodiosa e...

-Stavo pensando una cosa, sorellina cara.

Fulmino Janet con uno sguardo assassino e abbaio: -Cosa, mia adorata sorellina?

Lei si prodiga in un sorrisetto diabolico e fa: -La tua espressione nel vedere il nuovo sarto è stata alquanto, mmm, spiazzante, direi...

La ciambella si blocca a mezz'aria e con orrore scorgo mia madre voltarsi a fissarmi a occhi socchiusi e lanciarmi una lunga occhiata penetrante. -Spiazzante in che senzo, mai cara?- domanda molto lentamente.

-Janet voleva solo dire che ero affascinata dai modelli che produceva, madre...

-Non intendevo quello, sorellina- replica la mia gemella guardandomi con falsa innocenza. -Mi è sembrato che fossi piuttosto affascinata dalla sua persona, più che altro.

La regina apre la bocca proprio nel momento in cui imploro il sedile imbottito della sedia su cui sono seduta di risucchiarmi, ma inaspettatamente chiunque ci sia lassù in cielo mi vede e per la seconda volta oggi il ciambellano fa irruzione in sala da pranzo, sudato, rosso e balbuziente come al solito.

-E ora cos'è successo, si può sapere?!- tuona Tullia balzando in piedi e battendo furiosa le mani contro il piano del tavolo. Le posate cadono a terra tintinnando e un paio di cameriere si affretta a raccoglierle e sostituirle.

-Mia regina... addolorato d'interrompere... Lady Dyna, chiamato... Lady Mara Eliza, andare a casa... carrozza pronta per accompagnarla...

Fornisco al traduzione con voce apatica, ancora terrorizzata da ciò che mia madre avrebbe voluto dirmi. -Lady Dyna ha fatto arrivare una carrozza per scortare Lady Mara Eliza a casa propria- poi vedo Mr Martin che si trastulla il bordo del cappello con sguardo basso mentre si morde il labbro e aggiungo: -E lui è terribilmente addolorato di averci interrotto... maestà.

Mia madre non fiata per un attimo, poi si ricompone, si scrolla dignitosamente l'abito, si risiede a tavola con grazia e impugna la forchetta con fare molto raffinato. Dopodichè si schiarisce la gola un paio di volte e annuncia rivolta alla mia migliore amica: -Mia cara, credo che tu debba andare. Sono stata lieta di averti ospitata per pranzo e ricordati di portare i miei saluti alla tua famiglia.

Mara sorride educatamente e si inchina, facendomi di nascosto un occhiolino. Fa per andarsene ma io colgo la palla al balzo e la fermo. -Madre, desidero accompagnarla fino a casa! Tornerò in tempo per i preparativi delle nozze, lo prometto.

-Ah, no, signorinella, non credere di scamparla!- squilla la voce della regina. Mi affloscio su me stessa. Addio alla mia unica remota possibilità di eviatre il peggio e di farla franca ancora una volta. E ora come mi comporto? Opto per la versione innocente e dura di comprendonio. Sbatto un po' le ciglia, faccio la faccia dolce, inclino il capo da un lato e chiedo candidamente in stile cucciolo di foca abbandonato: -Scampare cosa, maestà?

Dio deve avermi proprio preso a cuore, perchè per la seconda volta mia madre non fa in tempo a parlare. Infatti Mara interviene: -Vostra altezza, vi prego... avevo intenzione di fare un salto alla fiera del paese prima di tornare a casa... mi farebbe molto piacere se la principessa mi accompagnasse, anche perchè ho visto l'altro giorno uno splendido fermaglio per capelli che si abbina perfettamente all'abito che ha scelto vostra figlia.

Sono sicura che non acconsentirà, ma con mio grande stupore Tullia fa un cenno rassegnato con la testa e sospira. Sgrano gli occhi sbalordita alla stessa maniera di Janet, che lancia un'occhiata indispettita alla madre e prende a rassettarsi con gesti stizziti la gonna e i capelli già perfetti.

-Vi ringrazio, madre!- trillo tutta contenta, e un attimo dopo sto saltellando allegramente al fianco di Mara lungo le vie del paese, mentre passeggiamo tranquille ammirando le bancarelle variopinte della fiera. La gente mi osserva stranita mentre saltello con aria beata e Mara mi sibila di contenermi, ma per tutta risposta mi limito a sorriderle radiosa, prima che scuota il capo rassegnata. Cerchiamo un fermaglio per capelli per dimostrare le sue parole e ne troviamo uno magnifico, con una piccola libellula fatta di perle che davvero si abbina al mio vestito nuziale. Soddisfatta, accompagno Mara a casa sua e mi avvio sovrappensiero verso la strada del ritorno, rimuginando sul dialogo che ho avuto con Mara riguardo alla partenza di mia sorella e risento le sue parrole che mi dicono che forse sarebbe stato meglio per il mio bene che fossi partita con lei, nonostante le sarei mancata terribilmente. A questo punto incomincio a chiedermi se quella che ho fatto sia stata la scelta giusta. Mara mi ha anche messo di fronte ad un altro aspetto della faccenda: infatti ora che Scarlet se ne è andata il trono spetterebbe a me dal momento che sono più grande di Janet di venti minuti... cerco di focalizzare l'immagine dellla regina e riesco a pensare solamente a quanto l'idea che un giorno dovrò diventarlo mi terrorizzi. Questo soprattutto perchè essere autoritaria e imparziale non è mai stato il mio forte e neanche sono mai stata la persona più responsabile e organizzata di questo mondo...

Ho quasi raggiunto le mura che circondano la reggia quando alle mie orecchie giunge una voce familiare. È un tuono e un battito d'ali nello stesso momento. Morbida e possente insieme. Dolce e rofonda.

Non ci sono dubbi su a chi appartenga.

E neanche sul fatto che provenga da dietro le mie spalle.

Faccio dietro front senza pensarci per imboccare uno stretto vicolo secondario, solitamente deserto, ma poi mi blocco. Cosa sto facendo? Cosa voglio fare? Devo tornare a casa a prepararmi per il mio matrimonio, non fermarmi a chiacchierare in un vicolo con il mio sarto! E se anche fosse lui, cosa gli direi? Non ho nemmeno idea di cosa parlare! Ma quando sento il grido di una guardia del palazzo il mio corpo scatta reagendo senza il mio consenso e mi precipito verso la voce. Un paio di guardie stanno ceracndo di fermare un carro bestiame che corre a velocità ultrasonica lungo la via intricata. Riesco solo ad appurare che Noah è alla guida. Poi un particolare leggermente più pressante si fa strada nel mio cervello annebbiato.

Il carro sta per travolgermi.

Con un gridolino spaventato mi butto a lato della strada e capitombolo lungo il marciapiede. Il cuore mi batte all'impazzata e mi sembra di avere al gola in fiamme per quanto mi manca il respiro. Mi costringo a calmarmi e rialzarmi da terra, ma non faccio in tempo a fare un passo. Vedo che il carro si è schiantato contro un muro, ma non sembra aver subito gravi danni. I due cavalli che lo trainavano annusano tranquilli il terreno in cerca di qualche ciuffo d'erba, mentre le guardie circondano il veicolo e urlano a Noah di scendere. Io seguo la scena a bocca aperta come una completa cretina, finchè non vedo il suo sguardo disperato schizzare verso di me e incrocio i suoi occhi di cielo dicembrino.

Succede tutto così in fretta che la mia mente non riesce a realizzarlo: il sarto sferra all'improvviso una gomitata nello stomaco della guardia che gli stava legando i polsi e ne atterra una seconda con un calcio.Ne evita un altro paio e corre nella mia direzione. Non mi rendo conto di ciò che ha intenzione di fare finchè le sue mani trovano le mie braccia, ma non sono delicate e morbide come me le immaginavo. In questo momento sono piombo che m'impedisce qualsiasi movimento e non importa quanto mi dimeni o strepiti ordinandogli di liberarmi. Non lo fa. Poi mi accorgo che mi sta puntando la lama di un pugnale contro la gola. Spalanco gli occhi incredula e passo in rassegna freneticamente le guardie di palazzo, che ora mi hanno accerchiato e fissano con orrore l'arma di Noah. È allora che la sua voce vibra accanto al mio orecchio: -Un solo passo falso e potete dire addio alla vostra principessa, signori.

Dopo un attimo di silenzio, in cui l'unico rumore è il battito impazzito del mio cuore nel petto, il capo della gaurdia reale si fa avanti e dice: -E dunque, cosa vuoi?

Con la coda dell'occhio noto il sorriso che increspa il volto del sarto, che risponde: -Niente di più semplice: che mi lasciate uscire dal paese senza arrestarmi.

-E ci ridarrai sana e salva Lady Adelle May?- chiede titubante l'uomo mentre aggrotta le sopracciglie. Trattengo il fiato. Perchè anche mentre Noah mi tiene un coltello puntato alla gola non riesco a fare a meno di sentirmi elettrizzata dalla sua vicinanaza? È assurdo!

-Certo- assicura lui mantenendo il suo sorriso. Ma la sua presa non si allenta. Mi sta stritolando i polsi, che percepisco incandescenti sotto il suo tocco. -La farò scendere dal carro non appena avrò varcato le mura della città.

-Sarà meglio per te, giovanotto- borbotta la guardia immusonita. La conosco: è il capitano Katan, il padre di Daddish, un tizio stempiato e massiccio con occhi porcini e grossi baffi grigi che scorazzano da tutte le parti mentre parla. Nonostante abbiamo vent'anni e passa di differenza una volta era uno dei miei principali pretendenti. No l'ho mai potuto vedere, soprattutto perchè oltre ad avere la fastidiosa abitudine di sputacchiare mentre conversavamo amabilmente, è sempre stato presuntuoso e supponente peggio ancora del figlio. Lo guardo indossare una smorfia di disapprovazione. Non gli capita tutti i giorni di essere messo alle strette. Infine sospira e con un cenno infastidito acconsentisce: -E sia. Ma guai a te se le torci un capello, chiaro?

Noah annuisce con un sorrisetto e passa tra le guardie con noncuranza, come se stesse passeggiando traquillo in un parco. Un agile balzo ed è all'interno del carro, tendendo la mano libera dall'arma per cingermi la vita in modo da aiutarmi a salire, ma la mia reazone è istintiva gli mollo uno schiaffo indignato e faccio da sola. Ha pure la faccia tosta di offrirmi il suo aiuto mentre la lama del suo pugnale è ancora ad un soffio dalla mia gola! Com'è possibile tutto questo? Lui indirizza un'occhiata divertita e serra la porta del carro, prima di recuperare una pezzo di corda con cui mi lega i polsi allacciandola ad un gancio appeso alla parete, in uno dei gabbiotti destinati agli animali

-Mi perdonereste, milady, se sapeste quanto è necessario- sussurra. Involontariamente ricomincio a trattenere il fiato. Il suo volto si trova a pochi centimetri dal mio. Posso vedere il mio non tradire alcuna emozione mentre è riflesso nelle sue pupille. È così vicino che potrebbe baciarmi... ma poi si allontana e io deglutisco a fatica. Poi sbuffo a gran voce per dissipare l'imbarazzo. Come se non bastasse mi prude la testa e non posso grattarmela perchè ho le mani legate. La strana sensazione di eccitazione che mi ha provocato la sua vicinanaza è sparita, sostituita da una fredda indignazione. Solo questa mattina mi ha trattata con gentilezza complimentandosi addirittura per il mio aspetto e ora mi trovo rinchiusa in un carro bestiame come ostaggio! E non posso nemmeno grattarmi la testa! Ridicolo. Una vocina dentro di me mi ricorda che è anche colpa mia se mi trovo in questa situazione: se non fossi stata tanto stupida da infilarmi in quel maledetto vicolo ora non sarei quì. Mentre Noah induce al galoppo i due cavalli che trainano il carro, una puzza nauseabonda a cui non avevo fatto caso mi investe le narici. Trovo il coraggio di sollevarmi in ginocchio e sbircio oltre il gabbiotto in cui mi ritrovo, solo per vedere una specie di piccolo animale roseo che grugnisce felicemente immerso tra ciuffi di paglia. Al collo ha un fiocco rosso accartocciato ed emette un debole grugnito soffocato, molto tranquillo, come se stesse borbottando qualcosa fra sè e sè. Arriccio il naso. Ecco da dove proviene la puzza.

-Oh, hai notato Bertie- esclama Noah dal suo posto alla guida. Da quì riesco ad intravedere la macchia bionda dei suoi capelli scarmigliati e la camicia di lino.

-Bertie?- chiedo scettica inarcando un sopracciglio prima di rendermene conto.

-Allora ce l'hai la lingua.

-Parlavo anche questa mattina a Palazzo, ricordi?

-Già. Ma adesso non siamo a palazzo.

Abbasso lo sguardo sul maiale e sospiro. -No, non siamo a palazzo- ripeto in un sussurro. Ma mi faccio coraggio pensando che non appena questo maleodorante carro uscirà dal paese sarò libera di fare ritorno a palazzo.

-Non ti sembra la porcellina più carina che tu abbia mai visto?- chiede Noah strappandomi ai miei pensieri. Bertie mi rivolge un soave grugnito incoraggiandomi la risposta, ma LA ignoro.

-È il maiale più puzzolente che abbia mai visto- lo correggo gelidamente. Poi aggiungo, quasi tra me e me: -Non che ne abbia visti tanti, di maiali...

Il ragazzo ridacchia amaramente. -Ci scommetto, principessa.

Distogliendo lo sguardo faccio una smorfia. -Perchè lo fai? Perchè scherzi così con me? Non mi hai forse minacciato con un coltello e legata in una.. una... cabina per suini?

Noah smette di ridere e si volta verso di me, mentre i suoi occhi incontrano i miei. Non li abbasso, lo guardo con sguardo di sfida, fiera come non sono mai stata. Esigo una risposta e lo sa bene. Sospira. -Non credete che mi faccia piacere minacciarvi e legarvi da qualche parte, milady. Ma è necessario.

-Questo lo avete già detto- replico. Ma intuisco che questa è l'unica risposta che riceverò. Infatti il sarto torna a rivolgere la sua attenzione alla strada e per il resto del tragitto non mi degna di un'occhiata. Mi sa' che Bertie si è offesa, perchè ha smesso di grugnire e se ne sta accovacciata nell'angolo più lontano da me. Stupido maiale permaloso.

Finalmente le possenti mura della città si delineano ai nostri occhi insieme alle torrette delle guardie, che ci scrutano accigliate. Katan deve avergli comunicato il loro accordo, perchè le gigantesche porte di legno e ferro si aprono con cigolii strazianti finchè non ci ritroviamo il desolato paesaggio desertico ad accoglierci fuori dal paese. Il carro avanza con calma e ci lasciamo le porte alle spalle. Inizio a inquietarmi. Non dovrei già essere libera di andarmene a questo punto? Decido di mantenere il sangue freddo e attendo in silenzio per un altro po'. Dopo che abbiamo percorso qualche decina di metri inizio a tamburellare nervosamente con le dita sul pavimento di legno scadente. Ma inutilmente. Passano i minuti. Manciate piene di minuti. Scatto in piedi e protesto con voce stridula: -E allora? Non ti sembra di aver messo abbastanza distanza tra noi e il paese?

Noah non risponde. Attendo con il cuore in gola, ma niente.

-Tu- ringhio a quel punto. -Apri quella boccaccia e parla, muoviti.

-Cosa vi aspettate che dica?

-Lo sai.

-Volete che vi dica che fermerò il carro e che vi lascerò scendere? È questo che volete, vero?- Lo fisso in silenzio, confusa, e annuisco. Il suo sguardo si fa duro, ma percepisco un fondo di triste pietà nel grigio celeste delle sue iridi, così enigmatiche. La sua voce è talmente bassa che quasi non la sento quando dice: -Questo non succederà, mi dispiace.

Resto senza parole. Mi ci vuole un istante prima che realizzi cosa ha intenzione di fare: infrangere l'accordo. Non fermerà il carro. Non mi farà scendere. Non sarò libera di nuovo. Non tornerò a palazzo.

Non sposerò Lord Tradeshire.

Una rabbia gelida si impossessa lentamente in tutti i miei arti e i muscoli s'infiammano. Una vampata di orgoglio mi pervade la mente e sbraito: -Chi ti credi di essere a decidere per me la mia vita? Ognuno è libero di scegliere da sè cosa fare e qual è il suo posto, e il mio è a palazzo! Non può essere altrimenti! Tu non puoi farlo, non puoi!- Inveisco contro di lui in ogni modo immaginabile, sferro pugni alla parete del carro, calci alla staccionata che delimita il mio gabbiotto, tiro con tutte le mie forze la fune che mi trattiene, grido, strepito, ma è tutto semplicemente inutile.

-Lasciami andare, hai capito? LASCIAMI ANDARE! Subito!- urlo a squarcaigola. -AIUTOOOOOOOOO- Qualcuno dovrà pur sentirmi, no? -AIUTATEMI UN PAZZO MI HA RAPITA E LEGATA IN UN CARRO INSIEME AD UN MAIALE, AIUTOOOOOOO- Niente. Niente di niente. Ma cosa diavolo sta facendo quell'idiota di Katan?! Che voglia di... di...

-Lasciamiandarelascamiandarelasciamiandareeeeeee! Lsciamilasciamilasciamiandareeeee!!!- cantileno urlando come un'ossessa. Ho uno strepitoso talento nello stressare la gente fino all'esasperazione. Scarlet lo diceva sempre. Pensando a lei e a come solo quella mattina voleva portarmi via con sè una lacrima mi scivola lenta lungo la guancia, ma la lascio lì, non me ne importa niente. Poi però cambio idea e me la asciugo: quello che voglio di meno è mostrarmi debole agli occhi del mio rapitore. No, non succederà! Stringo i denti, mi ricompongo, mi dò un contegno e... -Lasciamilasciamilasciamiandare, lasciamiiiiii- riprendo gridando. Ma Noah sospira, strappa un fazzoletto in due parti e se le ficca rispettivamente nelle orecchiee. Spalanco la bocca indignata e sbalordita. Non posso crederci! Questo non era mai successo! La mia tecnica di esaspearzione non aveva mai fallito prima d'ora! Ma non mi dò per vinta. Mi rimbocco le meniche rosa confetto del mio abitino e indosso un'espressione quanto più possibile combattiva. Apro al bocca e incomincio a sparare insulti a raffica, ma sfortunatamente non sembrano scalfirlo nemmneno un pochino. Perfetto, me lo aspettavo... è per questo che ho creato un piano C! Mi butto per terra e inizio a lamentarmi fingendo di essermi slogata la caviglia. Questo funziona sempre con Louise. Sogghigno diabolica, attenta a non farmi vedere.

-Ahi! Credo di... credo proprio di essermi slogata una caviglia!- esalo tenendomi disperatamente per il piede. -CHE MALE- scandisco ad alta voec a beneficio di Noah, che ha ancora il fazzoletto nelle orecchie. M'imbroncio quando dice: -Principessa, smettetela con queste scene ridicole. Vi trovate in un metro quadrato di spazio, è impossibile che vi siate slogata una caviglia.

Mi sgonfio come un palloncino bucato. Sospiro e mi accascio contro la parete, facendomi scivolare fino a toccare il pavimento col sedere. Mi raccolgo le ginocchia al petto e resto zitta, a pensare, a occhi chiusi. Con il silenzio arriva la paura. Che cosa succede adesso? Cosa succede? Dalla finestrupola in cima alla parete il cielo appare bruno e violaceo, aspro. È sera. Passerò al notte in questo carro? Nessuno mi verrà a ceracre? Certo che sì, mi dico. Ti troveranno... ma perchè non ci credo nemmeno io? Inizio a piangere e non mi fermo più.


Devo essermi addormentata.

Sento qualcosa di ruvido sfiorarmi la guancia e sobbalzo a occhi sbarrati. Noah è vicino a me e mi sta sistemando uno straccio sulle spalle. Deve essere la sua idea di coperta. Una sensazione di calore e tenerezza m'invade la pancia, ma la scaccio subito. Lui è la persona che mi ha rapita strappandomi dalla mia famiglia e dalla mia città, impedendomi di sposare colui che a quest'ora doveva già essere mio marito. Non merita che io provi queste sensazioni così assurde nei suoi confronti e al cosa è malsana anche per me. Soprattutto per me.

-Non volevo svegliarvi- sussura Noah. È accovacciato nel mio gabbiotto e mi guarda con una strana espressione. Devo essere patetica: non devo dare il meglio di me seduta lì raggomitolata tra la paglia, con la gonna spiegazzata e i capelli che Louise mi aveva pazientemente intrecciato in cima alla testa che ora scivolano via in riccioli dall'acconciatura. La cipria è stata lavata via dalle lacrime. Oh, e mi manca un guanto: l'ho lanciato a Bertie in un moto di disperazione per cercare di far cessare i suoi brontolii e miracolosamente ha funzionato.

Mi sento insopportabilmente fragile ridotta in questo stato: non mi è mai capitato in tutta la mia vita che il mio aspetto non sia impeccabile e non ho mai nemmeno fatto caso a quanto la cosa potesse essere rassicurante.

Rabbrividisco e mi stringo convulsamente nella coperta. Evitando lo sguardo del sarto, gracchio: -Cos'hai intenzione di farmi?


Ooookay, che dire? Spero vi sia piaciuto ma non mi offendo se mi fate notare un errore, anzi ne sarei contenta! Quindi vi richiedo di recensire! Lo so, sono asfissiante u.u Pazienza! :) Oh, dunque, devo fare una nota: ho recentemente cambiato il mio ID in Lady Liv, ma prima mi chiamavo BiancaWriter e prima ancora BiancaWriterIncallita, quindi.. non so, solo per farvelo sapere! (?) Ok, allora un bacio e spero a presto :D Bianca

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Capitolo 3
*** Il nome dei gabbiani ***


Ciao a tutti, rieccomi con un nuovo capitolo! Devo scusarmi infinitamente, perchè questa volta ci ho messo davvero tanto tempo a scriverlo, la verità è che non avevo molte idee su come far continuare la storia (e questa non è una bella cosa dal momento che sono solo al terzo capitolo), ma adesso per fortuna ho superato il cosidetto ''blocco della scrittrice''... anche se non sono una scrittrice xD Okay, passiamo ad altro... come vi ho già scritto nel precedente capitolo, mi piacerebbe davvero un sacco se mi scriveste il vostro parere sulla ff, anche solo due parole! Chiuqnue volesse esprimere la sua opinione è ben accetto! Detto questo, ringrazio ancora Lady Yoru per aver recensito entrambi i capitoli precedenti e anche la sua amica Lady Tsuky per averli letti insieme a lei! Non sapete come mi renda felice sapere che la storia piaccia a qualcuno :)

Mi scuso anche per eventuali errori di battitura che mi sonos fuggiti (sono una frana a scrivere sul computer u.u) Okay, molto bene, ora smetto di annoiarvi e vi lascio al capitolo, sperando che non vi annoi ancora di più... Ci si legge sotto ;)





CAPITOLO 3

Il nome dei gabbiani






Noah sospira e aggrotta la fronte corrucciato. Mi guarda per un po' e il fatto che io non riesca a decifrare la sua espressione mi intimorisce, ma alla fine dice: -Non voglio farti del male.

Queste parole sembrano riempirmi interamente il corpo e hanno l'effetto di una grossa tazza di cioccolata calda davanti al camino in una serata di inverno, quando fuori nevica e tu sei tutta infreddolita. Senza farlo apposta sorrido.

-Questo non vuol dire che ti lascerò andare.

Oh. Fantastico. Sono ultracontenta adesso. -Ma che senso ha trattenermi con te in questo carro?- domando furibonda, i pugni serrati.

-Nessuno potrà toccarmi con te come ostaggio. Mi dispiace.

Resto in silenzio. In effetti gli farei piuttosto comodo. Ma questo non giustifca niente. Sto per ripartire con una carrellata di insulti quando mi fermo, pensando che non porterebbe a niente. Piuttosto sono curiosa di sapere perchè le guardie non lo volessero fare uscire dalla città, così glielo chiedo, ma lui tace. Attendo pazientemente e alla fine si arrende e ammette: -Okay, ho rubato il carro dove ci troviamo adesso e mi hanno scoperto.

-Aspetta, vuoi dire che con tutti i carri che potevi rubare ti sei preso questo ammasso di legna ammuffita?

-Ehi, vacci piano. Guarda che sono stato fin troppo fortunato a trovarne uno nei dintorni che non avesse il portellone chiuso col catenaccio. Il proprietario deve essere un idiota.

Stringo le labbra infastidita e tra noi cala il silenzio.

-Dove stiamo andando?

-Non sono affari che vi riguardano, principessa.

-Certo ce mi riguardano! Sono chiusa in un carro bestiame e non so nemmeno se ne uscirò! Come potrebbe non riguardarmi dove diavolo siamo diretti?

-Calmatevi, per favore. Vi garantisco che una volta raggiunta la meta vi lascerò libera.

Lo guardo negli occhi cercando di stabilizzare il respiro e a poco a poco la mia rabbia svanisce come è arrivata, vedendo la sincerità di cui sono intrisi.

-Dovete essere affamata- dice Noah in un sussurro dopo un lungo silenzio. Sì, in effetti, e anche molto. Il mio stomaco brontola come per darmene atto e lo copro involontariamente con le mani. Distolgo lo sguardo, ma non sono abbastanza veloce e vedo gli angoli delle labbra del sarto incurvarsi all'insù. Non voglio ammettere che ho fame, quindi stringo i denti e scuoto la testa. Ma non gliela do a bere. -Ti ho conservato qualcosina. Tieni- e mi lancia un involucro di carta. Non lo afferro e cade per terra di fianco a me, mentre gli lancio un'occhiatina avida e deglutisco.

-Mangia- ordina Noah perentorio raccogliendolo e ficcandomelo in mano.

Sospiro; tanto prima o poi dovrò pur mangiare o morirò di fame. Quindi mi arrendo e lo srotolo. Vedo comparire due pezzi di pane secco con in mezzo una sottile fetta di formaggio e qualche pezzo molliccio di pomodoro, e storco il naso. Non ho mai mangiato niente di così povero, ma temo che me lo dovrò far andare bene. Lo esamino attentamente con occhio critico e dopo aver constatato che non sembra esserci niente di dannoso nascosto all'interno, lo mordo cautamente. Ma la fame ha la meglio e lo divoro in un paio di morsi, mentre evito lo sguardo di Noah che non mi ha ancora abbandonata.

-Che c'è?- farfuglio a bocca piena. -Non hai mai visto qualcuno mangiare?

-Credetemi, ho visto mangiare persone di gran lunga più affamate.

Mando giù lentamente il boccone e lo guardo allontanarsi in silenzio, la mascella contratta. Il carro riprende a traballare sulle sue quattro ruote mentre mi succhio le dita impiastrate di succo di pomodoro, incredula. Cosa direbbe mia madre vedendomi in certe condizioni? Decido di lasciar perdere quell'idea e sospiro, stringendomi nella coperta logora con un brivido. Dalle fessure tra le assi di legno della parete del carro filtrano spifferi gelidi che mi solleticano la nuca e ficco anche la testa sotto la coperta.

È mattina tarda quando mi sveglia un sonoro trambusto. Strizzo le palpebre intontita e mi alzo sui gomiti, cercando di capire da dove venga quel frastuono: da fuori, non c'è dubbio. Sembrano versi di animali, probabilmente di uccelli. Non ho mai sentito versi del genere, così striduli e festosi... ispirano allegria. Per un attimo, mentre guardo entusiasta il cielo azzurro fuori dalla finestrella mi spunta un sorriso a fior di labbra e dimentico la situazione in cui mi trovo. Grandi uccelli bianchi e neri planano insieme e si rincorrono stendendo le lunghe ali flessuose. Hanno una testa tonda e bianca e un becco giallo-arancio. Sembra che sorridano.

La voce del mio sarto mi giunge da fuori: -Ehi!

Sussulto e lo vedo: semisdraiato tra l'erba, fuori dal carro. A guardare il cielo con un vago sorriso. Mi sta chiamando: -Ehi, dico a voi, principessa!

Assumo un'espressione burbera e borbotto: -Mmm. Cosa vuoi?

Noah ride del mio tono scocciato mentre stringo le labbra irritata e lo sento dire: -Che aspettate ad uscire da quel carro? Ormai ne avrete la nausea...

È vero: non vedo l'ora di mettere piede fuori di quì. Soprattutto perchè, ora che ci faccio caso, Bertie ne ha appena sganciata una veramente letale e sto per svenire.

Raccolgo la coperta – che durante la notte deve essermi scivolata via – e me la drapperggio intorno alle spalle a mo' di scialle. Sto per far notare al sarto che perchè io possa raggiungerlo ci sarebbe bisogno che mi slegasse quando noto che i miei polsi non sono più costretti dalla fune, che giace a terra abbandonata. Sorpresa, apro la bocca per dire chissà cosa il mio cervello malato abbia elaborato ma la richiudo subito. Sposto lo sguardo sul cancelletto del mio gabbiotto. Sembrerebbe aperto. Piano e con estrema cautela, faccio per spingerlo e quello si apre in parte con un raccapricciante cigolio. Lo spalanco del tutto ed esco, costeggio la parete passando accanto ad una sfilza di cassette accatastate l'una sull'altra, su cui sono state appoggiate una candela ormai sciolta e una scatoletta mezza vuota di fiammiferi primo prezzo. Lì accanto c'è un secchio di alluminio a cui è accostato uno spazzolone per le pulizie e quà e là ciuffi di paglia giallognola disseminano il pavimento polveroso.

Mi sollevo la gonna mentre scavalco con disgusto qualcosa di maleodorante che temo provenga dal didietro roseo di Bertie e poi mi blocco: finalmente mi trovo davanti alla porta sgangherata del carro, e non è tutto!

La porta è aperta.

Traggo un profondo respiro e scendo con un saltello, atterrando nell'erba che fruscia sospinta dal vento, accarezzandomi i piedi. Per amor di precisione un piede fasciato dalla scarpetta e l'altro nudo, sempre grazie a Bertie, (per favore, non mi odiate se gli ho tirato una scarpa sul muso, è che non la smetteva più d'insozzare l'aria già poco respirabile con quelle sue bombe assassine).

Alzo il viso e chiudo gli occhi beata, inspirando profondamente e pensando che non ci sia niente di meglio al mondo dell'aria fresca sulla pelle. Poi qualcosa mi riporta bruscamente alla realtà. Questa volta sono io che ricevo un paio di scarpe in testa. Stivali, per l'appunto, e pure piuttosto orribili: grossi, pieni di pieghe, con lungi lacci spessi e marrone fango. Ne sollevo uno tenendolo con la punta delle dita e guardo Noah con un sopracciglio inarcato.

-Bè? Non siete contenta, milady, del mio regalo?- È seduto tra alcuni massi in mezzo all'erba e poco lontano i due cavalli brucano tranquilli dei ciuffi verdeggianti.

Sbuffo e bofonchio tra me e me qualcosa di incomprensibile mentre lo raggiungo a passo di marcia.

-A cosa dovrebbero servirmi questi cosi da uomo?

-Lo scoprirete presto.

Quanto lo odioooooo! -Puoi almeno dirmi dove diavolo siamo?

-Lande di Candal.

Strabuzzo gli occhi e lo fisso a bocca aperta. Devo aver sentito male. Sono certa che questo posto non fa parte del regno di mia madre. -Cosa?

-Avete capito bene, madame.

-Madamoiselle, se permetti. E solo grazie a te!- gli ricordo con un broncio lungo fino a terra. Lui alza gli occhi al cielo e mi fa segno di sedermi accanto a lui. Scuoto la testa e rimango in piedi a fissare per terra cocciuta, prima di sentirlo sospirare.

-Perchè siete tanto sorpresa di trovarvi in questo luogo?- domanda curioso dopo un po'.

Mi stringo nelle spalle, tutto d'un tratto mi sento in imbarazzo.

Noah mi scruta perplesso. -Che c'è?

-Proprio niente- mormoro arrossendo. Un guizzo negli occhi di lui mi dimostra che ha capito e dopodichè la sua risata – arricchita da una punta di stupore – me lo conferma. Lo fulmino con lo sguardo ma non riesco a evitare che esclami: -Non mi direte che non siete mai uscita dal regno, milady!

-Infatti non è così- mento. Sto ancora fissando per terra e mi accorgo che il ragazzo è a pochi centimetri da me solo quando mi bisbiglia in un orecchio: -Permettetemi, Adelle, di dirvi che siete una pessima attrice.

Sobbalzo e mi scosto precipitosamente da lui, rossa come un pomodoro, mentre nel cervello riecheggia la sua ennesima risata divertita. Noah torna a sedersi in mezzo all'erba verde e questa volta mi siedo accanto a lui. Guardiamo il cielo senza proferir parola e di nuovo mi perdo nell'inseguimento delle rotte di quegli uccelli, che gridano rauchi e si rincorrono come ragazzini dietro un pallone.

-Si chiamano gabbiani.

Mi volto sorpresa verso il sarto. -Eh?

-Gabbiani. È il nome di quegli uccelli.

Torno a rivolgere lo sguardo alle loro aggraziate ali bianche e tra me e me mormoro senza quasi rendermene conto: -Gabbiani... mi piace.

-Non li avevate mai visti, eh?

Mi rabbuio. Per la seconda volta è riuscito a farmi notare la mia ignoranza. Ma scuoto la testa lo stesso. Ha ragione: mentire non è mai stato il mio forte.

-Non dovete vergognarvene: nemmeno io li ho mai visti.

-E allora come fai a conoscere il loro nome?- faccio di rimando, guardandolo di sottecchi sospettosa.

-Me ne parlava da piccolo mio padre. Era un ornitologo.

-Oh. E ora dov'è tuo padre?- mi pento di questa domanda un attimo dopo averla pronunciata. Perchè chiacchiero tranquillamente con questo sconosciuto, che per giunta mi ha presa come ostaggio e rinchiusa in un carro con un maiale incline a scoreggiare? È assurdo, lo so, ma in un certo senso la sua presenza – e i suoi occhi celeste-grigio – mi trasmettono una sensazione di calma indescrivibile e allo stesso tempo mi riempono il cuore di ansia ed emozione. So che è la cosa peggiore che mi possa capitare in una situazione del genere, ma per quanto desideri negarlo è così.

Sto giusto rimuginando sulla mia pazzia cerebrale che mi accorgo che questa volta tocca a Noah rabbuiarsi, in risposta alla mia domanda su suo padre. La consapevolezza mi riempe il cuore insieme ad una colata densa di compassione, che mi spinge a sussurrargli: -Mi dispiace. Non dovevo chiederlo, avrei potuto immaginare... scusami.

Il ragazzo scuote la testa, un'espressione improvvisamente dura e adulta a corrugargli il volto, e risponde: -Non scusatevi. Non è colpa vostra s'è morto.

Non riesco a trattenermi dallo scoccargli un'occhiata stranita. Cosa vuole dire? Certo che non ho alcuna colpa se suo padre è morto! Non lo conoscevo nemmeno, come potrebbe essere colpa mia?

-So che anche voi avete subito una perdita del genere.

Sospiro e mi raccolgo le ginocchia tra le braccia, poggiandoci sopra la guancia. -Sì. Anche mio padre... un tumore- dico stringendomi nelle spalle, quella insulsa parola a riassumere i lunghissimi anni di dolore passati al suo capezzale, passati a sperare e ad avere paura, quegli anni che fino ad ora ho cercato di accantonare in un angolino della mia mente, rifiutandomi di andare a recuperare.

-Quanti anni avevate?- La voce del sarto è tornata dolce, adesso, e mi scalda il cuore in un modo inconcepibile, che odio e amo insieme e che mi spinge a voltarmi dall'altra parte per non mostrargli lo sguardo tormentato che si è impossessato dei miei occhi.

-Sette. Mia sorella maggiore dieci. Per lei è stata molto più dura... aveva un rapporto speciale con il re.

Mi rivolge un'occhiata strana e chiede: -Perchè lo chiamate così?

-Così come?

-Il re. Perchè non semplicemente "padre" o "papà"?

A disagio, mi stringo di nuovo nelle spalle. -Non lo so... ci hanno educate così, credo. Sono stata abituata a portare rispetto ai miei genitori e a non dimenticare mai che nonostante fossi loro figlia restavano comunque il mio re e la mia regina, ecco tutto.

Lo guardo annuire assorto e tornare a guardare i gabbiani, che ora si sono quietati e ciambellano pigri sul filo delle nubi all'orrizzonte, insieme ai compagni. Non so perchè, ma quell'immagine mi trasmette un'insopportabile malinconia. Improvvisamente mi alzo da terra e torno al carro. Con voce fredda e piatta, senza emzione, dico: -Sbrighiamoci a ripartire. Prima arriviamo dove dobbiamo arrivare e prima sarò libera di fare ritorno a casa.

Il sarto non solo non mi risponde ma non si degna nemmeno di voltarsi a guardarmi in faccia. Resto ancora per un attimo a fissare il suo profilo e i suoi occhi chiari che scrutano il cielo e poi balzo sul carro trascinandomi dietro il mio paio di stivali nuovi (si fa per dire. Sono piuttosto malconci, quindi proprio nuovi non devono essere) e mi dirigo al mio gabbiotto indossando una cupa espressione rannuvolata. Una manciata di minuti dopo Noah mi raggiunge e mi posa accanto un altro involucro di carta accompagnato da una tazza d'acqua calda e foglie di menta che potrebbe spacciarsi per tè.

-La colazione- dice solo, e poi torna alla guida, ridestando la coppia equina dal loro pasto e incitandola a ripartire. Abbasso lo sguardo sull'involucro che ora stringo tra le mani e scosto i lembi di carta mordendomi le labbra senza volerlo. Vedo comparire un paio di biscotti un po' sbricciolati e una caramella a stringa alla fragola. L'addento titubante e curiosa miomalgrado. È dura e gommosa, ma buona. Ha un sapore dolciastro con una punta asprigna, singolare. Mando giù il boccone e prendo un sorso di tè, prima di dedicarmi ai biscotti, pensierosa. Intanto il carro ha ripreso ad avanzare. Appoggio la testa alla parete e chiudo gli occhi rassegnata, scossa dal moto traballante del veicolo, che sobbalza insieme a me ad ogni buca e dissesto del terreno. Non mi resta altro da fare se non aspettare. Per tenermi occupata in qualche modo inizio a giocherellare distrattamente con la gonna del mio abito spiegazzato, seguendone con l'indice gli splendidi ghirigori rosa e scintillanti. Un debole grugnito mi fa distogliere l'attenzione e vedo Bertie aprire il cancelletto con il muso ed entrare nel mio gabbiotto trotterellando e grugnendo allegramente. Si avvicina a me con noncuranza e mi zampetta intorno per un po' finchè non individua il punto giusto in cui acciambellarsi e mi appoggia il suo grosso naso rosa in grembo fissandomi con quegli occhietti neri e piccoli come spilli. La guardo di rimando, pensando che perlomeno ho un compagno di sventure.

-Cosa ti succederà una volta che saremmo arrivati, eh?- mormoro prima di rendermene conto. Bertie emette una specie di gemito triste che mi stringe il cuore. Fantastico! Ora ho la prova di essere definitivamente uscita di testa: sto parlando con un maiale e, cosa non trascurabile, lui mi risponde. Oh, dimenticavo: mi sento triste per questo maiale... perchè?!

-Principessa- drizzo le orecchie nel sentire la voce profonda di Noah. -Siete sveglia?

-Mmm- brontolo. Non so cosa mi sia preso poco fa, forse a turbarmi è stato parlare dei miei genitori e di quanto siano stati lontani dall'idea di mamma e papà durante la mia infanzia e quella delle mie sorelle...

-Stavo pensando che, se vi fa piacere, potreste sedermi accanto...

-Scordatelo, idiota di un sarto fasullo che non sei altro- abbaio fuori di me. Cioè, questo tipo prima mi rapisce e costringe a dormire accanto a un maiale e poi vuole sedersi vicino a me. Mi sembra un po' folle, a dire il vero.

-Non fatela tanto lunga, insomma. L'ho detto solo perchè mi fate pena, ecco tutto...

Scatto in piedi facendo cadere per terra il muso di Bertie, che protesta indignata. Raggiungo il posto di guida e tuttavia non mi siedo. Resto a fissare Noah con il fuoco che mi inonda la gola. Il mio sguardo irato lo colpisce a segno; lo capisco dai suoi occhi, seppur facciano di tutto per restare impassibili.

-Se davvero provassi pena mi avresti già lasciata andare da tempo- gli ringhio contro. -Quindi non dirmi mai più che provi pena per me o giuro che te ne farò pentire!

Noah ha recuperato la sua aria da duro e mi squadra freddamente. -Sì? E come pensate di fare, Elle?- il suo è un sussurro, ma il sole sentirlo pronunciare quell'appellativo così intimo mi manda in bestia.

-Non osare chiamarmi così! Non più, capito?

-Eppure siete stata voi a darmene il permesso- ribatte fermo. Non mi stacca gli occhi di dosso e, per quanto mi odi per questo, la cosa riesce a mettermi a disagio.

-Quel permesso non vale più!- urlo arrabbiata, anche per il fatto che è riuscito ad intimorirmi con quel suo sguardo gelido.

-Come desiderate, principessa- sussurra cortese. Il suo modo di fare mi da sui nervi e allo stesso tempo spegne le fiamme che un momento prima avevo nel cuore. Mi lascia senza parole e non so più cosa dire. A questo punto non posso far altro che fare dietro front per tornare al mio gabbiotto senza una parola.

Quando il cancelletto si apre con il solito cigolìo da far accapponare la pelle, sfioro Bertie con un'occhiata miomalgardo rattristata, ma lei grugnisce altezzosa e zampetta via con fare indignato. Sospiro lasciandomi cadere per terra con un tonfo. Come mi manca la reggia! I suoi interminabili corridoi, i soffitti affrescati sorretti da altissime colonne, i pavimenti in marmo candido, i saloni ampi dove oragnizziamo balli e ricevimenti... dove avrebbe dovuto avere luogo il mio matrimonio. Cosa starà facendo adesso Lord Tradeshire? Mi sorprendo a chiedermi se mi stia cercando, magari in sella a Drago, il suo meraviglioso e invidiatissimo purosangue bianco. Sospiro malinconica.

La mattinata passa lentamente che è una noia quasi quanto quella caratteristica delle lezioni di Mrs Lewtton. Sono passate parecchie ore dall'ultima sosta quando finalmente il carro si arresta di nuovo. Sbircio oltre il recinto per chiedere a Noah spiegazioni.

-Siamo già arrivati?- domando speranzosa.

-No. Ma ho pensato che avremmo potuto fermarci in questo paesino per mangiare qualcosa, dato che le provviste scarseggiano.

Mi astengo dal commentare che essendo solo al primo giorno di viaggio non è una bella cosa che le provviste scarseggino... ma sono contenta di poter mettere piede fuori dal carro per un po' e ho anche piuttosto fame. Non mi sono mai fermata a mangiare fuori dal palazzo, eccezion fatta per ricevimenti o inviti a cena a casa dell'alta aristocrazia. Sono curiosa, ma anche leggermente intimorita all'idea di trovarmi in una trattoria locale.

-Vi consiglio di indossare gli stivali- dice Noah senza guardarmi mentre lega il carro ad una quercia nel bel mezzo della pianura. Sbuffo contrariata, ma accetto il consiglio e m'infilo le scarpe, abbandonando a malincuore la mai scarpetta rosa infondo al gabbiotto.

Scendo dal veicolo sgangherato e vedo Noah salire in sella a uno dei cavalli, – marrone cioccolato – e battere affettuosamente con la amno sul possente collo. La bestia nitrisce e scrolla la criniera e il ragazzo ride iniziando a sussurrargli qualcosa all'orecchio. Sono affascinata. Sembra che i due stiano parlando proprio come due amici e dai gesti di Noah traspare una profonda dolcezza. Un pensiero si affaccia nella mia mente e Scarlet fa capolino insieme a una domanda: c'era anche tra lei e il suo cavallo un'amicizia così? Anche lei lo accarezzava e rideva con lui? Provo a immagianre cosa abbia provato quando la mamma lo fece uccidere e rabbrividisco, chiedendomi come avrebbe reagito Noah al posto di mia sorella.

-Bè, non statevene lì imbambolata. Prendete pure Lily.

La voce del sarto mi riscuote e lo guardo confusa. Poi focalizzo l'attenzione su Lily. Intende ovviamente l'altro cavallo: il più strano che abbia mai visto. Mi avvicino timorosa per osservare il suo manto nero e beige chiazzato di bianco e di grigio. Sembra che un pittore nervoso abbia mandato tutto all'aria scaraventando la tavolozza dei colori contro la tela. La criniera è color crema, di un morbido biondo pallido tendente al bianco panna. Ha occhi grigi e trasparenti, che non ho mai visto priam in un cavallo.

-Che razza è?- chiedo perplessa.

Noah si stringe nelle spalle. -Boh, lo sa Dio. Credo sia un incrocio tra due razze.

Annuisco assorta, ma non mi muovo di un centimetro.

-Allora? Che aspetti a salirci?

Senza staccare lo sguardo dal cavallo, arrossisco. -Ehm... diciamo che non credo di essere molto brava a cavalcare, ecco...

-Non c'è problema. Tanto andremo piano, per oggi. Non credo che le tue guardie del corpo ci siano ancora alle calcagna.

Mi volto a fissarlo senza parole. -In che senso? Vuoi dire che...

Mi rivolge una lunga occhiata.-Già. Ci stavano seguendo, ma li ho seminati.

M'impongo di mantenere la calma. Stringo i pugni fino a conficcarmi le unghie nei palmi e sento i denti scricchiolare da quanto tengo serrata la mandibola. Avrei potuto gridare, fermare il carro in qualche modo, lanciarmi giù... e invece non l'ho fatto. E non so se mai me ne si ripresenterà l'occasione. Sospiro: ormai quel che fatto è fatto.

-Non siete ancora salita sul cavallo- mi fa notare Noah.

Gli indirizzo un'occhiata risentita. Non mi va di salire su un animale, soprattutto al pensiero di cosa direbbe Tullia se sapesse che ho fatto una cosa del genere. Ma... d'altra parte, muoio dalla voglia di provare anch'io quel legame speciale che leggo negli occhi celesti e argentati del sarto. Resta però il fatto che non ho mai nemmeno sfiorato un cavallo.

Mi schairisco la gola imbarazzata.

Noah mi lancia l'ennesima occhiata, ma questa è più incredula che altro. -Aspettate un momento... avete cavalcato almeno qualche volta in tutta la vostra vita, vero?

-Certo...

Il suo sguardo si riempe di sollievo.

Mi mordo il labbro e abbasso lo sguardo. -Okay, no, non l'ho mai fatto.

Strabuzza gli occhi ed esclama: -Cosa?!

-È così- mugugno.

Tace per un po. Un bel bo'. Inizio a preoccuparmi. Cosa farà, mi caricherà a forza sul cavallo? All'idea mi coglie il panico. All'improvviso Lily non mi sembra più una dolcissima cavallina dagli occhi grigi e trasparenti, ma più qualcosa che potrebbe farmi capitombolare per terra spaccandomi il cranio a metà. Una situazione per niente carina.

Alla fine Noah sospira e si accinge a scendere dal suo cavallo per elgarlo allo stesso albero a cui a assicurato il carro e per avvicinarsi a me. Indietreggio sconvolta. Allora ci ho azzeccato!

-Stammi lontano! Non ho intenzione di salire su quel coso e spiaccicarmi al suolo!- sentenzio.

Ma lui rotea gli occhi esasperato e mi sorpassa. Lo guardo saltare in sella a Lily e tendermi una mano. Inarco un sopracciglio.

-Dài, aggrappati. E metti il piede quì per issarti in groppa davanti a me.

Apro al bocca per protestare ma mi ha già afferrato la mano e non mi resta nient'altro da fare che seguire sue istruzioni mentre mi arrampico come una scimmietta un po' impedita sulla povera Lily. E... finalmente sono seduta in sella, con le gambe divaricate. Inorridisco immaginando la faccia che farebbe la regina al solo sapere che sono salita su un cavallo e cerco di non pensarci. Infatti, c'è qualcosa di più urgente che richiede la mia massima concentrazione per riuscire a mantere un battito cardiaco per quanto possibile stabile. E non parlo del fatto che l'equino si sia messo a galoppare placidamente, ma delle braccia di Noah che mi circondano la vita per arrivare a stringere le redini. Sento il suo respiro sulla nuca e, senza volerlo, arrosssisco di nuovo.

-Allora, è stato così terribile?

Scuoto al testa impacciata. -Per ora. Quando andremo più veloce non so proprio cosa succeder... AAAAHHHH, ma cosa diavolo faiiiiiii sei scemooooooo?!

Noah ride come un matto mentre lancia il cavallo al galoppo, questa volta incitandolo a correre. La treccia abbarbicata ancora per magia in cima alla mia testa cede e si scioglie e i capelli mi ricadono in bocca e sugli occhi mentre rincorrono il vento.

Grido, ma pian piano le mie urla si trasforamno in risate, perchè non ho mai fatto niente di così divertente in tutta la mia vita.

Mi ci vuole un attimo per realizzarlo, non senza una punta di sbigottimento: sono felice. Come non lo sono mai stata. E il merito è tutto del ragazzo dietro di me, a cui mi stringo per non venire disarcionata. È tutto così... assurdo. Non riesco a credere che sia proprio io, che questa sia la mia vita. Voglio dire, solo un giorno fa ero una perfetta (okay, quasi perfetta) dama aristocratica: indossavo le calze di pizzo e i guantini col merletto, avevo il viso incipriato per bene, i capelli raccolti alla perfezione e mi muovevo aggraziata per la reggia salutando educatamente i cortigiani e i consiglieri che incontravo. Stavo per sposare un ricco nobile e coronare il massimo desiderio di mia madre: non avermi più tra le scatole. E ora, invece, guardatemi: sono in sella ad un cavallo, – neanche un purosangue, per giunta –, con un paio di stivalacci da uomo ai piedi, che rido come una pazza con un guanto sì e uno no, i capelli sciolti e spettinati, il vestito sgualcito più di uno straccio mentre sfreccio in mezzo ad una pianura mezza abbracciata al mio sarto... non posso essere io. Epppure è così.

Questa sono io, finalmente.

E la cosa peggiore è che non sono più così sicura di voler tornare indietro...


Dunque! Allora, cosa dire di questo capitolo? Di sicuro non ne sono molto convinta e spero che non risulti piatto e noioso o che Elle sembri troppo infantile... anche se, rileggendolo, mi da un po' quest'impressione. Nel caso vi interessi, il mio personaggio preferito inq uesto capitolo è Bertie ^^ W BERTIE! Ok, non vi fate una cattiva idea di me, per favore u.u Detto questo, aspetto con ansia un vostro parere o un consiglio e chiedo ai miei lettori silenziosi di non essere poi così silenziosi! Mi fa piacere sapere che leggete la mia storia, ma mi farebbe ancora più piacere sapere cosa ne pensate :) Quindi ora vi saluto e spero a presto! Un bacio!

Bianca

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Capitolo 4
*** Nessun'altra ragione ***



CIAAAAAO A TUTTI!!! Come prima cosa voglio ringraziare tantissimo Lady Yoru per aver recensito anche questo capitolo ma soprattutto la sua amica Lady Tsuky e Anna_Ira perchè sono delle nuove recensitrici (esiste questa parola, vero?...Sono un caso senza speranze - . -") e poi ne approfitto per implorare i miei appprezzatissimi lettori silenziosi di recensiere e darmi qualche consiglio o magari solo per farmi sapere se il capitolo è piaciuto o non è piaciuto e per informarmi su quale sia la propria parte preferita... davvero, non sapete cosa significherebbe per me che anche uno solo di voi recensisse! Mi darebbe molto coraggio u.u Okay, ora smetto di prosciugarvi le vene come al mio solito XD Alloooora... il capitolo. Sì, dunque, a dir la verità non ne sono affatto sicura, perchè trovo certe scene un po' banali e certe frasi ripetitive. Alla fine troverete una sorpresa, spero non sia troppo scontata! Comunque, per chi fosse un po' scettico, spiegherò meglio la faccenda nel prossimo capitolo, ve lo prometto. Bene, vi lascio al capitolo! A dopo! ^^


Bianca







CAPITOLO 4

Nessun'altra ragione





-Dovrebbe essere quì- dice Noah, svoltando oltre un vicolo del paesino che abbiamo raggiunto a cavallo. Cerchiamo di orientarci in questo dedalo intricato di vie da almeno venti minuti, ormai, tutto per seguire l'indicazione di un cartello sgangherato nei pressi delle porte del villaggio: ''Osteria del vecchio Giò'', quaranta miglia a destra.

Ed eccola quà, la nostra osteria, la prima osteria in cui io abbia mai messo piede in vita mia. È piccola, con le pareti esterne di legno e le imposte dipinte di verde scrostato proprio come il tetto di rosso. La porta è socchiusa e da dentro arriva un vago frastuono condito da risate senza volto. Un cartello che porta il nome del locale penzola placidamente accanto all'entrata. Noah si avventura verso di essa ma poi si accorge che non sono al suo fianco e si volta per sorridermi. -Bè? Credevo aveste fame.

-È così...

-Non preoccupatevi, non vi mangiano mica- sorride e mi regala un occhiolino. Mi sembra più spensierato del solito. Poi mi rendo conto di quanto sono stata stupida a formulare questo pensiero: come posso paragonare il suo umore di adesso al suo solito se lo conosco a malapena da un paio di giorni?! Eppure mi pare di conoscerlo da sempre... Scuoto la testa come per scrollarmi di dosso le parole che ho pensato e, stringendo i pugni con determinazione, lo raggiungo e fisso la porta dell'osteria come fosse un mostro a tre teste che devo sconfiggere.

-Ovviamente non c'è bisogno che diciate in giro di essere la principessa e che vi ho rapita, no?- mi guarda, e il suo è uno sguardo d'avvertimento. È strano come la mia impressione su di lui cambi in fretta: un attimo prima mi sembra essere mio amico, – ci sono volte in cui ne sono persino quasi attratta (okay, lo ammetto, senza il 'quasi') –, mentre l'attimo dopo la realtà mi piomba addosso e mi ricorda che sono solo la sua prigioniera...

Annuisco con un piccolo brivido e dopo un profondo respiro mi accingo a spalancare la porta. Il vociare a gran voce del locale mi frastorna mentre faccio vagare lo sguardo lungo lo spazio della stanza, una stanza disseminata di tavolini e sedie in legno o ferro battuto messe a casaccio, accanto ad un bancone stracolmo di bottiglie contenenti liquidi marronati o biancastri o ancora rosso magenta e giallo, dal proumo forte e frizzante, che mi pizzica il naso, andandosi a mescolare con il puzzo di fumo di pipa che aleggia tra i clienti intenti a sbronzarsi o a rivolgere apprezzamenti poco educati in direzione delle cameriere. Le pareti sono tappezzate da vecchi poster mezzi scollati che pubblicizzano una certa marca di birra e dal soffitto pende un vecchio lampadario traballante che ospita candele accese ad illuminare l'ambiente, nonostante sia ancora giorno.

Mentre trattengo involontariamente il respiro, sento qualcosa di caldo insinuarsi tra le mie dita e che con enorme stupore scopro essere la mano di Noah. Deve essersi accorto che non sono molto a mio agio. All'improvviso sono terrorizzata più da quel contatto fisico che non dal resto della situazione. La sensazione che mi trasmette la sua pelle mi piace fin troppo. Non voglio che lui lasci andare la mia mano e allo stesso tempo voglio che lo faccia. Mi rassegno e scivolo via dalla sua presa rassicurante, fingendo di dovermi grattare la nuca. Non fa commenti.

Ci avviciniamo miomalgrado ad un tavolo e ci accomodiamo l'uno di fronte all'altra. Intreccio e sciolgo le dita più volte mentre mi costringo a distogliere lo sguardo da un tizio in sovrappeso alla mia sinistra che non smette di lanciarmi occhiate lascive facendo dondolare pigramente la bottiglia di vodka vuota in una mano.

Dopo una manciata di minuti ancora nessuna traccia della cameriera al nostro tavolo. Noah si alza e dice: -Aspettatemi quà, vado a ordinare al bancone. Cosa volete mangiare?

Alzo le spalle e le lascio ricadere. Il ragazzo alza gli occhi al soffitto. -Non fate la difficile, per favore. Non è il momento.

-Quello che ordini tu.

Noah annuise e mi volta le spalle. Mi circondo la vita con le braccia cercando di estirpare la pelle d'oca, dato che questo posto mi trasmette una sensazione inquietante che non saprei definire. M'impongo di tenere lo sguardo fisso sul tavolo davanti a me, finchè una voce non mi fa sobbalzare.

-Cosa ci fa quì tutto solo un pulcino come te, piccolina?

È un uomo di mezza età, stempiato e con una gran pancia che continua a grattarsi con calma mentre mi guarda con occhi da pesce lesso. È lo stesso ciccione di prima e sembra piuttosto ubriaco. Lancio un'occhiata alla bottiglia che tiene in mano... non è più vodka, stavolta è brandy. O meglio, era brandy.

...Cosa vuole da me?

Gli rivolgo un mezzo sorriso, giusto per educazione. -Ehm, in realtà non sono sola. Io...

-Sai che hai proprio un bel faccino? Che ne dici di unirti a me e ai miei amici? Hanno organizzato una bella festa, stasera...

-Mmm, mi piacerebbe, ma mi vedo costretta a declinare l'invito, purtroppo. Vedete, al momento ho un impegno urgente.

L'uomo mi rivolge un'occhiata stranita. -Parli come un'aristocratica!- ridacchia, si pulisce naso e bocca con la manica sudicia e poi scrolla le spalle ammiccando. -Chissenefrega. Allora, vuoi venire, dolcezza?

Sì, certo, nei tuoi sogni, brutto idiota balenoide. -Io non...- Mi guardo intorno per individuare qualcosa da sbattergli sul naso. Bingo!

-Non c'è niente di cui avere paura, tesoro, vedrai che ti divertirai un mondo...- mi afferra un braccio e sto per colpirlo in pieni con il portatovaglioli quando un'altro braccio compare dal nulla, andandosi a scontrare con la faccia dell'uomo. Più precisamente, è un pugno, che ha appena fatto sanguinare il naso del ciccione al posto mio. Mi giro di scatto con il cuore a mille e, come c'era da aspettarsi, ecco Noah, con i pugni serrati in posizione di difesa.

-Mi spiace rovinarvi il divertimento, signore, ma la signorina è con me.

Tradotto: gira al largo, grassone. Qualcosa nel suo sguardo mi spaventa, nonostante dovrei essere rassicurata dal furore che sembra provare nei confronti di quel'uomo sudicio. Eppure la sua rabbia mi colpisce in pieno e rabbrividisco quando sferra il secondo colpo dopo che il suoa vversario si è ripreso e lanciatoglisi addosso con una smorfia furibonda a deformargli al faccia. Ora la maggior parte dell'osteria ci guarda e grida, fischia, incita i due a colpirsi e il peggio è che l'oste non sembra affatto preoccupato per il fatto che il suo locale sta per diventare l'ambientazione di una rissa. Evidentemente questi sono avvenimenti all'ordine del giorno, per lui.

Al terzo colpo non riesco più a trattenermi: mi butto su Noah e gli stringo il braccio guardandolo negli occhi. -Basta, Noah!- dico implorante e per un terribile attimo lui non sembra calcolarmi, perso com'è nella sua furia. Poi incontra i miei occhi e pian piano il fuoco svanisce. Vedo che è ritornato da me, il suo sguardo ora è una morbida e dolce mattina di metà dicembre e capisco che si è reso conto che non ha senso continuare a fare a pugni con quel tipo. Mi guarda, guarda l'avversario per terra e poi fa scorrere lo sguardo sui volti perplessi e silenziosi dei presenti. Infine si decide ad abbandonare la posizione d'attacco e sospira.

-Meglio che ce ne andiamo, Adelle- sussurra, e lo seguo mentre oltrepassa la porta della locanda.

Per strada non parliamo, siamo entrambi persi nel nostro silenzio, pieno di parole. Stiamo entrambi ben attenti a non sfiorarci e nemmeno ad incrocaire lo sguardo dell'altro. Camminiamo fianco a fianco semplicemente, Noah con le mani in tasca, io sollevandomi leggermente la gonna per evitare di inzupparla di fango. Finchè da qualche parte trovo il coraggio di parlare.

-Noah, volevo dirti...

Il suo sguardo gelido e impenetrabile brucia quel bricciolo di determianzione che avevo. - Cosa volevate dirmi, principessa?

La voce mi trema con mio imbarazzo mentre sussurro: -Volevo ringraziarti per... ecco, poco fa all'osteria... non so cosa sarebe successo se non fossi intervenuto.

Non oso guardarlo in faccia e ogni cellula del mio corpo vibra di tensione nell'attesa che risponda. Quando lo fa, la sua voce è fredda e distaccata: -Non dovete ringraziarmi. L'ho fatto perchè mi servite come ostaggio, ricordate? Non c'è nessun'altra ragione in campo.

SBAM! È come se mi avesse sbattuto una porta in faccia. Resto a bocca aperta a fissarlo, muta, sbalordita e intontita dal dolore che mi hanno provocato le sue parole. Non avrei mai pensato potessi esserne talmente condizionata da provare simili sensazioni, eppure è così. Perchè?

Ci fermiamo ad una bancarella che vende caldarroste fumanti e ne compriamo un cartoccio pieno dalla donna vcche le vende, una vecchia rugosa imbaccuccata in uno scialle di lana rossa che mi fa pensare alla mia amica Mara. Mangiamo le nostre castagne mentre raggiungiamo i cavalli, ustionandoci le dita e la lingua e disseminando bucce marronastre in giro per i vicoli stagnanti.

Lily è contenta di vedermi. Nitrisce di gioia appena mi vede e mi ficca il muso sotto l'ascella, dov'è più caldo. Accarezzo la sua criniera soffice piacevolmente colpita e mi isso in sella dietro al sarto. Mentre galoppiamo insieme il vento mi brucia le guance e mi frusta i capelli. Non mi sono ancora abituata alla sensazione di tenerli sciolti a solleticarmi la schiena. Cerco di non pensare che lui si trova a pochi centimetrio da me, ma come al solito non ci riesco, e questo mi fa imbestialire.

Quando arriviamo davanti alla quercia, il cavallo di Noah lo accoglie festosamente almeno quanto Lily ha accolto me, ma io non posso sopportare di assistere alla dolcezza dei gesti che il sarto gli rivolge, perchè l'istinto me li fa paragonare al freddo distacco che permeava la sua voce mentre mi ricordava che ero un suo ostaggio e nient'altro, per lui. Salto sul carro senza degnare Noah di uno sguardo. Siamo tornati a ignoraci e odiarci come all'inizio e la cosa peggiore è che non mi fa piacere. Non mi fa affatto piacere. Anzi, se proprio devo dirla tutta, il suo silenzio durante il resto della giornata passata in viaggio mi logora nel profondo e a questo non credo ci sia rimedio. Mi chiedo cosa mi stia succedendo, se stia impazzendo sulserio, questa volta.

Forse nel mio caso la pazzia non ha intaccato il cervello, ma il cuore.

Mi addormento pensando alle stelle fuori dalla finestrella del carro e a quanto siano simili a quelle che mi piaceva tanto osservare con Scarlet – la mia Scar – sulla terrazza del palazzo. Persino quell'odiosa oca di Janet mi manca un po', per quanto sia restia ad ammetterlo e mi domando cosa ne pensi del mio rapimento. Probabilmente ne è felice: ora il titolo di erede al trono spetta a lei...

...Un attimo! Il titolo di erede spetta a lei... lei che è sempre stata la favorita di nostra madre... nostra madre, che si è sempre lamentata di me e Scarlet e della sfortuna che ha avuto il regno nell'avere quest'ultima come aspirante regina.

Tullia non si aspettava di certo che Scarlet se ne sarebbe andata, ma non credo che sarebbe stata felice neanche se fossi stata io ad aspirare al titolo di regina. Immagino lo sarebbe stata invece se qualcosa avesse impedito una cosa simile, favorendo la salita al trono di Janet.

Qualcosa che mi avrebbe eliminata una volta per tutte dalla scena.

Qualcosa che nessuno si sarebbe mai aspettato.

Qualcosa di cui nessuno avrebbe mai potuto sospettare.

Qualcosa come un improvviso rapimento.

-Noah.

-Mmm? Non ditemi che avete ancora fame dopo tutte le castagne che vi siete schiaffata in pancia!

-Ha-ha, molto spiritoso, davvero. No, mi chiedevo piuttosto il motivo che ti ha spinto ad uscire dal paese.

Guardo attentamente il volto del ragazzo rabbuiarsi. -Non vi riguarda- dice immediatamente, quasi d'istinto.

Abbasso lo sguardo. -Lo immaginavo.- dico, e sospiro. Come faccio a chiedergli s'è stato pagato da mia madre per il mio rapimento? Ha iniziato a piovere. Miriadi di piccole gocce battono insistentemente contro le pareti del carro come se lo volessero sfondare e qualcuna riesce ad intrufolarsi attraverso certi spiragli nel legno e a riaggiungermi, ma non me ne curo granchè.

-Volevate dirmi solo questo?

-Ecco, no, in realtà...- prendo coraggio e sto finalmente per parlare quando vedo un lampo roseo-rosso saettarmi davanti e cado a terra, sollevando ciuffi di paglia nell'aria rarefatta del carro. Bertie grugnisce a gran voce proprio come stesse ridendo e scrolla le piccole orecchie coperte di peluria. Rimango a fissarla sbigottita e interdetta mentre mi zampetta allegramente addosso e mi annusa con curiosità.

-Ma che razza di... si può sapere dove diavolo hai trovato questa sottospecie di strambo maiale? Non solo fa da insetticida istantaneo ma aggredisce pure la gente!

Noah ride, ma capisco che lo fa forzatamente. -L'ho comprata ad una fiera un paio d'anni fà.

-E come mai non l'hai ancora fatta arrosto?

Bertie e il suo padrone trasaliscono nello stesso momento. Oh, certo, Elle, continua a pensare che quel maledetto maiale capisca ciò che dici, vedrai che con ogni probabilità finirai rinchiusa in un manicomio!

-Pensavo di farlo al più presto.

-Mmm, ovvio. Non penserei mai e poi mai che tu gli sia affezionato...

Noah si volta in modo da celarmi la sua espressione, mentre dice: -Infatti.

-Sì? E posso sapere allora perchè ha questo fiocco rosso?- domando indicandolo con scetticismo e un sorrisetto malizioso, mentre attendo una risposta. Che non arriva. Il carro si è fermato. Il sarto se ne sta seduto con la testa inclinata quasi a sfiorare le ginocchia e anche da quì riesco a intravedere il petto fasciato dalla blusa che si alza e si abbassa ad un ritmo troppo veloce. Ha il fiatone. Le sue mani si stringono convulsamente intorno alle briglie mentre emette un rantolo che mi spaventa.

-Noah? Tutto bene?- chiedo abbandonando la mia aria canzonatoria. Sembra che stia male davvero.

-Vuoi stare zitta un attimo?- sbraita all'improvviso balzando in piedi. Solo allora vedo che i suoi occhi sono arrossati e lucidi e la bocca contorta in una smorfia proprio come se stesse cercando di non piangere. Mi alzo piano scostando Bertie dalla mia pancia, che non fa una piega, come se avesse avvertito anche lei la tensione del momento. Oltrepasso il cancelletto del gabbiotto e faccio qualche passo verso il ragazzo. Ora sì, lo vedo: ha perso il controllo del respiro; è come se non avesse più fiato in corpo.

-Calmati adesso- sussurro. -Va tutto bene, no?

-No che non va tutto bene, no! Niente è mai andato bene!- grida facendomi sobbalzare. -Ma cosa può capire una principessina viziata che ha avuto tutto ciò che voleva senza alzare nemmeno un dito!

Lo fisso a bocca aperta come un'idiota senza parlare. È questo che pensa di me? Bè, come dargli torto?, penso amaramente. Non mi conosce nemmeno ed è questo ciò che la gente di solito pensa rispetto all'aristocrazia, e in parte è vero: non ho mai dovuto sgobbare in vita mia, mai ho dovuto provare cosa significhi avere fame o essere affaticati. Non ho mai saltato un pasto o ho avuto una notte insonne. Ma ci sono altri tipi di dolore e quelli, sì, li ho provati. E Noah non può giudicarmi senza nemmeno sapere chi sono.

Non voglio ammetterlo, ma scoprire che lui ha una così bassa considerazione di me è a dir poco doloroso. Vorrei tanto urlargli in faccia che non mi conosce, che è lui quello a non sapere niente di niente, ma non credo ne avrei le forze. Probabilmente è molto meglio non ribattere e lasciargli sbollire qualunque cosa lo abbia preso.

Così non lo fermo quando spalanca con uno strattone la porta del carro ed esce con un balzo fuori sotto la pioggia battente.

Resto in piedi in silenzio a fissare la porta aperta senza sapere cosa fare. Poi mi accovaccio tra la paglia con un sospiro e accolgo Bertie tra le mie braccia per scaldarla. Esprime il suo sconcerto con un mugolio sorpreso e poi decide di approfittare di questo insolito momento di bontà: si accuccia contro di me ficcandosi sotto lo scialle sbrindellato che uso anche come coperta la notte e per un po' restiamo lì così, senza muoverci. È assurdo, ma questa porcellina sembra l'unica capace di capirmi davvero... ora è quì al mio fianco, come se percepisse il mio stato d'animo e volesse starmi vicino.

La pioggia è diminuita, adesso. Una sottile carezza tessuta di lacrime sfiora il prato del boschetto dove ci siamo fermati e quando scendo dal carro lancio un'occhiata alle foglie cariche di pioggia che sembarno scodelle piene d'acqua cristallina. Mi guardo intorno per individuare Noah e lo vedo seduto su un tronco d'albero ricoperto di muschio, con la testa tra le mani.

Mi avvicino pian piano e mi siedo accanto a lui senza una parola. Se si è accorto della mai presenza, non lo da a vedere. Rimaniamo in silenzio ada scoltare la voce della pioggia, che sussurra alle piante attorno incantesimi e canzoni sconosciute, che mi fanno battere i denti. Poi capisco che mi sto congelando dal freddo e deve averlo capito pure Noah, perchè con un basso sospiro si sfila la casacca e me la appoggia sulle spalle. Piacevolmente sorpresa da quel gesto, mi faccio piccola piccola avvolgendomi nella stoffa calda e inspiro il profumo di legno affumicato e caramello che trattiene. È il profumo di Noah? Arrossisco a questo pensiero e sobbalzo quando lo sento mormorare: -Si può sapere perchè siete scesa dal carro, milady? Vi prenderete di sicuro un malanno sotto questa pioggia.

Oh, no, e ora cosa gli dico? Opto per la verità. -Non sopportavo l'idea che tu stessi male. Dovevo fare qualcosa...

Si gira verso di me, inchiodando quegli occhi così profondi e scintillanti nei miei, intimiditi da tanto furore che il suo sguardo sembra esprimere. -Qualcosa, principessa?- dice, mentre recupera una ghianda ammaccata da terra e se la fa rimbalzare piano sul palmo della mano. -Qualcosa di che genere?

Già. Cosa ho intenzione di fare? Non posso fare niente, per il semplicissimo motivo che non so nemmeno cosa lo abbia turbato in quel modo. Ma devo dire qualcosa, devo! Perchè mi guarda così intensamente che non posso non rispondergli.

-Magari potresti fare tu qualcosa.

Sorride amaramente. -E cosa mi suggerite di fare, milady?

-Bè, potresti partire con lo sfogarti e raccontarmi cos'è che ti ha tanto rattristato...

Serra la mascella e distoglie lo sguardo di scatto. -È fuori discussione.

Sospiro. Non so cosa mi abbia spinta a sperare che avrebbe potuto confidarsi con me. Illusa. Passa così tanto tempo mentre aspetto lui aggiunga anche solo una parola che alla fine convinco che forse desidera talmente tanto che io non ci sia da cercare di farmi scomparire semplicemente ignorandomi. Decido di accontentarlo e lasciarlo ai suoi penseri e così mi alzo dal tronco e faccio per tornare verso il carro, ma dita forti e calde si serrano intorno al mio polso, impedendomi anche solo di muovermei di un centimetro, tanto mi hanno lasciato di stucco.

Trattengo il fiato mentre mi volto e il suo viso è di nuovo vicinissimo al mio. Ora posso specchiarmi nei suoi occhi limpidi e celeste-dicembre e il mio sguardo cade involontariamente sulle sue labbra. Mi costringo a distoglierlo e finisco per arrossire. Noah si avvcina ancora un po' e sento il cuore battermi all'impazzata nel petto mentre prego che non se ne accorga. Questa volta sono io ad avvicinarmi e, contro ogni regola e dimenticando completamente la ragione, sto per posare le mie labbra sulle sue.

Ma quando apro gli occhi, lui non c'è più. Si è allontanato di nuovo e io mi sento morire dall'imbarazzo. Mi schiarisco la gola tremendamente a disagio e lo sento sospirare a sua volta. -Ho cambiato idea, se il vostro invito è ancora valido.

-Ehm, a proposito di cosa?- chiedo, ancora rossa di vergogna.

-Non avevate detto che avrei potuto confidarmi con voi?

-Oh, sì- mi affretto a rispondere un po' intontita e accolgo la sua offerta quando lo vedo battere sul tronco accanto a sè, invitandomi a sedermi di nuovo.

Trae un profondo respiro. -Adelle, io vi devo delle scuse.

Eccolo. So cosa sta per dirmi, me lo sento. E ho paura. Perchè so anche cosa significherebbe: che non solo mia madre mi detesta, ma anche che mi detesta così tanto da pagare qualcuno perchè mi allontani dal regno e dalla sua vita per sempre.

Noah dice: -Infatti non avrei mai voluto prendervi in ostaggio, ma sono stato costretto. Vedete, io dovevo assolutamente uscire da quel paese per salvare la mia sorellina.

Il respiro che ho trattenuto in gola fuoriesce con un sibilo da quanto sono sollevata. -Tua sorella? Quindi non centra niente la regina?

Assume un'espressione confusa e poi indagatrice e poi il suo viso si distende di nuovo. Chiede cautamente: -Cosa dovrebbe centrare vostra madre in tutto questo?

Dentro di me ringrazio il cielo perchè non è come immaginavo e mi accorgo di sentirmi un po' in colpa di aver pensato che Tullia potesse arrivare a tanto.

-Niente, non preoccuparti... piuttosto, parlami di tua sorella. Chi la tiene prigioniera?

Stringe la labbra enigmatico. -In un certo senso lei è... prigioniera di sè stessa.

Aggrotto la fronte confusa e domando: -In che senso?

-Sarà più facile capirlo quando lo vedrete con i vostri occhi- si alza facendo forza sulle ginocchia e si sgranchisce la schiena indolenzita. -Bene, credo proprio che adesso sia ora di rimetterci in cammino... la pioggia è cessata- osserva poi guardando in alto e tendendo una mano nell'aria. In quel momento mi accorgo cheil cielo ha assunto lo stesso identico colore dei suoi occhi e non riesco a reprimere un sorriso, per qunato mi risulti stupido provare felicità per una cosa del genere.

Poi mi viene in mente una cosa. -Ehi, aspetta! Non mi hai ancora detto perchè ti sei arrabbiato poco fa. Cosa centra tua sorella con il fatto che sei affezionato a Bertie e che ha un fiocco rosso al collo?

Noah si pietrifica per un attimo lì dov'è ma poi con un ultimo sospiro si volta a guardarmi. Nel suo sguardo leggo un'immensa tristezza, che mi fa quasi desiderare di rimangiarmi ciò che gli ho chiesto.

Poi lui dice dolcemente: -Elle- e il mio nome pronunciato dalla sua voce suona come una carezza, che mi lascia impreparata rispetto a ciò che sta per aggiungere...

-Bertie è mia sorella.


Eccomi di nuovo come al solito! Allora, stranamente non ho nulla da dire se non chiedervi di nuovo di recensire (per favooooore!), quindi non vi faccio perdere tempo... un bacione a tutti e garzie ancora a tutti quelli che leggono! :) Oh, e scusatemi se ci metto sempre un po' troppo tempo a pubblicare i capitoli! Cercherò di fare più in fretta la prossima volta.


Bianca


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