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di peppersoul
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Splash...
Splash
Splash
Le onde s’infrangevano sullo scafo ritmicamente. Lo yacht bianco era ancorato al largo, nel bel mezzo del mare Mediterraneo. Non c’era un filo d’aria, il sole accarezzava con i suoi raggi le acque scure e rilucenti, l’imbarcazione e la famigliola che vi alloggiava.
«Che palle…» sbottò per l’ennesima volta Artemis. Distesa supina, l’I-pod nelle orecchie, si stava letteralmente sciogliendo al sole. Cosa ci faceva lì, sperduta in mare, sullo yacht di famiglia con i suoi genitori? Si stava ponendo quel quesito irrisolvibile da quando i suoi l’avevano letteralmente issata sulla barca, per poi iniziare una crociera che sarebbe durata per ben due settimane. Quello era solo il terzo giorno. Le ore sembravano non passare mai. Il giorno precedente avevano attraccato al molo di una solare cittadina marittima che, come Artemis aveva prontamente fatto notare, era risultata decisamente abbandonata. Le poche persone che avevano visto erano state la commessa al mini market, il cassiere e il cameriere di un piccolo e malandato bar e una coppia di anziani, seduti su una panchina all’ombra di un olivo. Il tutto rendeva il paesino ben poco allegro, rispetto a com’era sembrato inizialmente. Si fermarono lì per ben due ore e, dopodiché, si affrettarono a salpare, carichi di provviste, rotocalchi e settimane enigmistiche per la madre di Artemis e giornali per il padre. La ragazza aveva provato a cercare qualche giornalino, ma i pochi che aveva trovato risalivano al mese scorso ed erano pure impolverati.
Così avevano ripreso la “crociera”. Ogni sera si fermavano al porto di qualche città marittima, per dormire e la mattina seguente, dopo una rapida colazione a base di croissant e caffelatte fatte in un bar lungo il molo, tornavano in mare aperto, dove passavano tutta la giornata.
E dire che le intenzioni di Artemis erano state ben diverse, prima di essere stata resa partecipe del progetto dei suoi: avrebbe fatto una vacanza coi fiocchi, insieme ai suoi amici, al mare. Si era già immaginata le giornate passate in spiaggia, ad abbronzarsi mentre chiacchierava con le altre riguardo ai più recenti pettegolezzi; a giocare a beach volley, a calcetto e col frisbee; a nuotare; a bere bibite ghiacciate e a mangiare deliziosi hot dog e hamburger. La sera, poi, si sarebbero scatenati in discoteca oppure al lunapark.
Invece, il suo ragazzo l’aveva tradita con la sua peggior nemica e i suoi l’avevano praticamente costretta ad andare in vacanza con loro. Il morale di Artemis non poteva essere più basso.
«Artemis, tesoro, hai messo la crema protettiva? Oggi il sole scotta più del solito e tu hai la pelle chiara» la richiamò dai suoi pensieri la madre, Electre. Era una donna piccola e magrolina, con una svolazzante chioma di capelli castano scuro e la carnagione olivastra. Nonostante la costituzione magra aveva un bel seno e labbra carnose. Si avvicinò spedita alla figlia, brandendo un tubetto di crema con protezione +30. Fece per aprirlo, quando Artemis si mise a sedere di scatto sulla sdraio sbuffando, e le bloccò la mano.
«Sì, l’ho messa, mamma. Lasciami un po’ stare, non sono in vena» borbottò mentre si alzava e se ne andava, dando le spalle alla signora. Andò a sedersi sulla prua dello yacht, sistemandosi gli occhiali da sole sul naso e alzando il volume dell’I-pod. Guardò per un po’ di tempo il mare, annoiata. All’improvviso un paio di mani la presero da dietro, facendole fare un salto dallo spavento. Ci mancò poco che l’I-pod finisse in acqua. Artemis si voltò furente e vide chino su di lei suo padre Nikandros, gli occhi neri, le folte sopracciglia grigie e la criniera di capelli brizzolati mossi da quel poco di vento che si era finalmente alzato. L’uomo era quasi nero da quanto era abbronzato, la fronte attraversata da profonde rughe d’espressione, il fisico robusto si intravedeva dalla camicia a motivi floreali sbottonata. Indossava un paio di bermuda a quadretti color verde prato e delle infradito arancioni.
«Mia figlia dovrebbe ascoltare la voce del mare e non quella di certi stupidi esibizionisti infiocchettati!» ruggì. Le strappò dalle orecchie gli auricolari, togliendole di mano l’I-pod.
«Papà! Ma cosa cavolo…» iniziò a protestare Artemis, balzando in piedi per affrontare il genitore.
«Di musica del mare ne ho già ascoltata abbastanza, direi! Ridammi l’I-pod!»
«Povero me! Perché proprio a me è capitata una figlia degenere?» sbraitò assumendo una finta aria sofferente e colpendosi teatralmente la fronte con una mano. Artemis lo squadrò, spazientita. Era abituata alle sue sceneggiate. Ormai non attaccavano più. Con fare eloquente, tese la mano aperta verso l’uomo, che stava ancora agitando il suo I-pod.
«Lo sai benissimo che avevo ben altri progetti per quest’estate e voi, come sempre, avete rovinato tutto, trascinandomi per l’ennesima volta in un’assurda e noiosa crociera. La musica è l’unica cosa che mi aiuti a resistere a non buttarmi in mare, dato che il cellulare qui non prende. Ridammi il mio I-pod!»
«Ma, figlia mia, il dolce e idilliaco suono del mare ti farebbe meglio» continuò imperterrito il padre, infilandosi l’ultima speranza di sopravvivere della figlia nella tasca dei bermuda.
«E poi, visto che ormai sei qui, tanto vale lasciar perdere e godersi la vacanza»
«Eh, no. Non farò la brava figlia accondiscendente, sempre ubbidiente e sorridente con i propri genitori. Questa è un’ingiustizia bell’e buona e io non mi rassegnerò a questa stupida vacanza!»
«Dimmi, allora, che alternative hai?» le chiese canzonatorio Nikandros, per poi andarsene sorridente, lasciando la figlia più arrabbiata di prima sul pontile.
«Ah, no, non finisce qui» borbottò furente Artemis, stringendo i pugni. Andò furiosamente sottocoperta e si lasciò cadere sulla propria brandina, dopo aver chiuso la porta a chiave. Guardò sconfortata il soffitto della cabina. Rotolò sul fianco e allungò il braccio per prendere il cellulare dalla tasca della borsa accanto alla branda. Guardò le tacche sul display: niente, non c’era campo. Borbottando parole incoerenti, scagliò il cellulare sul fondo dello zaino e rotolò a pancia in su. Sospirò. Mancavano ancora dodici lunghissimi e noiosissimi giorni. Poi avrebbe rivisto i suoi amici. E certamente anche il suo ex e quella Strega. Perché le aveva fatto questo? Si morse il labbro inferiore, sforzandosi di non piangere. Non aveva intenzione di versare altre lacrime. Si alzò e andò a sedersi davanti allo specchio. I suoi capelli color castano rossiccio, lunghi fino alle spalle, erano tanti e crespi e sembravano eternamente spettinati. Si passò nervosamente una mano nella chioma ribelle, cercando di sistemarli inutilmente. I suoi occhi, grandi e color cioccolato, la guardavano tristemente, come se la compatissero, mentre gli angoli della bocca a forma di cuore erano rivolti verso il basso. Qualche lentiggine costellava la pelle chiara. Non era magra come sua madre, né robusta come il padre, ma aveva un fisico tonico, dovuto allo sport che Nikandros la costringeva a praticare quotidianamente. Di seno arrivava a malapena alla taglia seconda. Più si guardava allo specchio, meno vedeva somiglianze con i suoi genitori. Più si guardava allo specchio e più si chiedeva come un ragazzo carino come il suo ex avesse potuto mettersi con lei. Sospirò. Beh, adesso di certo, quel maledetto se la stava passando bene con Miss Trota 2010. Già, la sua rivale, l’antagonista della sua fiaba, quella Strega. Tutta curve e sorrisini maliziosi. Tanto divertente, spiritosa, affascinante e bella, quanto falsa, maldicente e *beep*.
Sì, li aveva beccati, lei e il suo ex, a limonarsi selvaggiamente sul tavolo della cucina di casa sua, durante la sua festa di compleanno. Si ricordava benissimo la scena: lui seduto sul tavolo, con lei avvinghiata al suo corpo come un polipo. Quando si erano accorti della sua entrata, circa dopo un lunghissimo minuto, lui si era staccato in fretta, ansimante e tutto scomposto, la t-shirt stropicciata, i capelli spettinati e il viso ricoperto da macchie di rossetto rosa shocking. Lei, infilata magicamente nella sua mini linguinale e nel suo top di pelle, che la guardava sorridendo. Artemis era rimasta per un po’ imbambolata, a chiedersi se fosse solamente un brutto sogno o la dura realtà. Ma dopo qualche secondo, si era avventata come una furia sulla rivale, cercando di strapparle i capelli. I ricordi da quel momento erano molto confusi.
Sentì un sapore acido farsi strada in gola e cercò di pensare ad altro. Si alzò dallo sgabello e si ributtò sulla brandina, con il viso sprofondato nel cuscino. Magari morire soffocata lì, in quel dannato yacht, in mezzo a quel cavolo di Mar Mediterraneo, sarebbe stata la cosa migliore dell’intera vacanza. Ma sua madre arrivò giusto in tempo per metterle i bastoni tra le ruote. Tre timidi colpi alla porta.
«Artemis, amore, apri» la chiamò dolcemente Electre, dall’altra parte della porta. Artemis rimase a faccia in giù sul cuscino, contemplando l’idea di soffocamento. Altri tre colpi, questa volta più insistenti.
«Tesoro, apri, per favore. Ti voglio solo parlare un attimo». Ecco un buon motivo per non aprire.
Sua madre, però, non sembrava intenzionata a desistere, quindi, tanto meglio sentire cos’aveva da dire di tanto importante per togliersela subito di torno. La ragazza si alzò e, un po’ barcollando, andò alla porta. Fece scattare la serratura e guardò sua madre da uno spiraglio.
«Cosa c’è?» le chiese con un tono per nulla gioioso.
«Mi dispiace che tu stia passando una brutta vacanza. Davvero, amore mio, l’unica cosa che io e tuo padre vogliamo è vederti fel…Aspetta!». Artemis, non appena aveva sentito la frase “Vogliamo vederti felice”, aveva richiuso la porta.
«Se realmente aveste voluto la mia felicità, avreste dovuto lasciarmi andare in vacanza con i miei amici. Invece mi avete costretta a fare come tutti i sacrosanti anni questa noiosa vacanza in famiglia, nel bel mezzo del nulla!» sbottò la ragazza chiudendo definitivamente la porta e tornando a sedersi sul letto. Electre sospirò, sconfortata.
«Comunque stasera ci fermiamo in una città…Su un’isola…» sussurrò prima di andarsene.
 
Quella sera Electre e Nikandros riuscirono a far uscire dalla cabina la figlia, per andare a cenare in città. L’aria tra i genitori e Artemis, però, non era delle migliori, anzi: la ragazza ostentò un atteggiamento scontroso e taciturno per tutto il tempo, mentre i due tentarono inutilmente di avviare una conversazione. Persino i camerieri del ristorante dove avevano cenato evitarono lo sguardo di Artemis. Quando finalmente tornarono allo yacht immacolato, si sedettero nella cabina contenente un televisore a schermo piatto, un divano, una poltrona, diversi quadri e qualche pianta. Nikandros si stravaccò sul divano, accese la tv e la sintonizzò sul canale greco che a quell’ora stava dando il telegiornale. Accanto al marito, prese posto Electre, mentre Artemis, annoiata al massimo, imitava il padre, lasciandosi cadere sulla poltrona rossa. Stavano mandando l’ennesimo notiziario riguardante la ripresa della pirateria nella zona mediterranea, negli ultimi tempi. I pirati avevano assaltato qualche mercantile, un’imbarcazione di allegri ricconi vacanzieri e una barca a vela. Delle persone riportavano ferite da armi da fuoco. Alcuni versavano in situazioni più gravi, altri meno, ma nessuno di loro era a rischio di vita. Dopo cinque minuti, durante i quali Nikandros diede con impeto il suo parere su quegli “sporchi pronipoti di Calico Jack”, l’attenzione del telegiornale si spostò sui vari delitti avvenuti in Grecia negli ultimi giorni. Quando il notiziario fu finito e la madre optò per la visione di un insulso telefilm, Artemis si alzò e, dopo aver biascicato un “Buonanotte”, andò a chiudersi in cabina.
Prese il cellulare e notò con soddisfazione che aveva di nuovo campo. Ne approfittò per chiamare una sua amica, rimasta a casa per le vacanze, in Grecia, e si fece raccontare tutte le novità. Ovviamente il suo ex e la Strega adesso stavano insieme. Per il resto, nulla di nuovo. Dopo circa un’oretta di più o meno felici chiacchierate, si salutarono e Artemis, colta da un’improvvisa stanchezza, crollò addormentata sul cuscino.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Il giorno seguente passò come i tre precedenti, senza che nulla di nuovo accadesse. Electre aveva convinto il marito a lasciare dormire Artemis, e così erano andati a fare colazione e a visitare la città. La ragazza si alzò alle dieci passate. Si sentiva meglio del solito, forse proprio perché aveva dormito di più. Si alzò e, in shorts e canotta, ciondolò fino alla cabina più grande dove, insieme al salotto, c’era un ripiano che fungeva da mini cucina. Artemis aprì il piccolo frigorifero, stipato da cima a fondo di cibi e bevande. Aveva giusto voglia di qualcosa di fresco. Dopo aver scavato a fondo, riuscì ad impossessarsi di una vaschetta di gelato alla stracciatella. Col barattolo sottobraccio e il cucchiaio nell’altra mano, si mise seduta comodamente in poltrona a guardare la televisione e divorò quasi tutto guardando un film divertente. Si fece mezzogiorno e mezzo e i suoi non erano ancora tornati. Troppo bello per essere vero. Artemis, in bikini verde smeraldo, uscì da sottocoperta e si andò a sistemare sulla sdraio. Si spalmò con cura la crema protettiva +30 su tutto il corpo, facendo attenzione a non lasciare scoperto un solo centimetro. Spesso si chiedeva come mai, nonostante fosse greca, fosse così diversa dalla classica morettina abbronzata. I suoi capelli castani erano quasi rossi, la sua pelle chiara...Ed era pure dotata di lentiggini! Forse il suo pedigree non era così greco come il padre affermava ogni volta che se ne presentava l’occasione. Amava vantarsi di appartenere al mondo greco e affini, alla culla della filosofia, del sapere, della democrazia e via dicendo. Anche Artemis era fiera di essere greca, il suo stesso nome era appartenuto alla dea della caccia e dei boschi, quella che i latini chiamavano “Diana”. Ma non sopportava quando Nikandros lo sbandierava ai quattro venti, come se pretendesse che le srotolassero un tappeto rosso davanti ai piedi e spargessero petali di rosa al suo passaggio. Lei stava bene così, non amava i riflettori. Il cellulare posato sulla sdraio accanto a lei vibrò. Artemis ,dopo essersi pulita la mano dalla crema protettiva sul telo da bagno, lo prese per vedere chi le avesse scritto. Era un MMS da parte di un Numero Sconosciuto. Aspettò che si caricasse l’immagine, pensando a chi potesse averle scritto e soprattutto che cosa le avesse inviato, quando vide l’oggetto: Saluti dai tuoi Monike e Christophe ;-).
Sotto si era caricata l’immagine della Strega e del suo ex, teneramente abbracciati. Si trovavano in un villaggio turistico. Proprio dove Artemis sarebbe dovuta andare con Lui e le sue amiche. Lei indossava un minuscolo bikini nero, che le copriva a malapena il seno e il sedere abbondanti, la vitina da vespa circondata dal braccio di lui, che portava un paio di bermuda a motivi floreali e degli occhiali da sole. Probabilmente si erano fatti scattare la foto da qualche persona di passaggio e la Strega gliel’aveva prontamente inviata. Vedendo le loro espressioni felici e innamorate, Artemis provò un moto di vomito. Eliminò il messaggio e scorse la rubrica alla ricerca di “Christophe<3”, per sbarazzarsi anche del suo numero. Chiuse di scatto il telefonino e lo buttò per terra. Si alzò e andò a sedersi sulla prua dello yacht, a guardare l’acqua. Perché? Perché non poteva godersi le vacanze come una diciassettenne qualsiasi? E dire che la giornata le era sembrata migliore delle altre fino a tre minuti fa. Dondolò pigramente i piedi che pendevano dallo scafo. Osservò una donna a capo di una marmaglia di bambini, che si stavano dirigendo velocemente in spiaggia. Probabilmente si trattava di un gruppo appartenente a una qualche colonia estiva locale. Il posto era pieno soprattutto di famiglie in vacanza e bambini che partecipavano alle colonie.
L’attenzione di Artemis fu catturata da un gruppo di ragazzi, più o meno della sua età, che giocavano a pallavolo in acqua, nuotavano, si schizzavano o trascinavano sott’acqua. Sembravano divertirsi un mondo mentre lei si stava annoiando. Per giunta era sola soletta. Si calò gli occhiali da sole sul naso e si appoggiò alle paratoie dello yacht, continuando a far dondolare le gambe. All’improvviso, un pallone da beach volley la colpì  sulla testa, facendola barcollare, e rotolò sotto la sdraio alle sue spalle.
«Ma che diavolo…» sbottò confusa e arrabbiata, cercando con lo sguardo il responsabile di quella pallonata mentre si massaggiava la testa.
«Scusami» sentì gridare da qualcuno. La voce proveniva dal gruppo di ragazzi che prima stava guardando. Aveva parlato un tipo non troppo alto, con i capelli biondo scuro che mandavano riflessi dorati sotto la luce del sole. Aveva stampato in volto un sorriso beffardo e gli amici sghignazzavano alle sue spalle. Artemis si sentì sprofondare, ma subito dopo risorse fiera e vendicativa come la leggendaria fenice.
«Beh?» chiese con tono infastidito, vedendo che la continuavano a fissare.
«Potresti ridarci la palla?» le chiese di nuovo il ragazzo di prima, sempre con quel suo sorriso canzonatorio, mentre gli altri riprendevano a ridere, senza preoccuparsi troppo di non farsi vedere. La ragazza arrossì e si alzò di scatto.
«Subito» sbottò cercando di mantenere un’aria gelida, che potesse mettere in soggezione i tizi. Sfilò la palla da sotto alla sdraio e tornò sulla prua dello yacht. Con il pallone sottobraccio, cogliendo tutti di sorpresa, si tuffò, sparendo nelle acque cristalline. I ragazzi si agitarono, cercando di individuarla, quando questa riemerse schiaffando la palla nello stomaco del tipo biondo.
«Ecco qui» disse, sorridendo sarcastica, mentre le gocce di acqua salata le scivolavano giù dalle ciglia pizzicandole gli occhi. Il ragazzo barcollò un attimo, ma ricambiò con uno sguardo sbalordito. Artemis scivolò fuori dall’acqua, sentendosi ancora gli occhi di tutti i tipi incollati addosso. Aveva mosso i primi passi sulla battigia ciottolosa quando il ragazzo biondo parlò:
«Ehi, scusa davvero per prima. Ti va di unirti a noi?»
«Al momento non mi va, magari facciamo un’altra volta» rispose lei senza nemmeno voltarsi, sorridendo compiaciuta. Salì per la scaletta dello yacht e tornò a distendersi sulla sdraio per asciugarsi. Il bernoccolo non le faceva più male e le era tornato il sorriso sulle labbra. Chiuse gli occhi e si mise su gli auricolari, facendo partire una canzone di Beyoncé. Canticchiò mentalmente il testo, quando cadde in uno stato di dormiveglia.
Dopo diverse canzoni, non sapeva quante ne avesse ascoltate, si alzò di scatto sentendo qualcosa di gelido posarsi sulla pancia riscaldata dal sole. Si tolse scocciata gli occhiali e si ritrovò davanti al biondo di prima, che la stava guardando sorridendo divertito. In mano teneva un sacchetto di uva bianca, grondante acqua e nell’altra reggeva un paio di bottigliette di Coca Cola.
«Ti va di mangiare assieme?» chiese, vedendo la ragazza fissarlo ancora semi imbambolata.
«Ma da dove sbuchi?» chiese lei di rimando, scioccata.
«Da dove, secondo te? Ovviamente mi sono arrampicato sulla scala che hai usato prima» rispose con fare ovvio «Ma se vuoi che me ne vada, lo faccio subito». Artemis lo guardò ancora per un po’, sconcertata. Tutto sommato aveva bisogno di distrarsi. Era appena uscita da una delusione amorosa veramente pesante e cosa ci sarebbe stato di meglio di una breve avventura estiva?
«No, no…Puoi restare se mi offri l’uva» rispose alla fine Artemis, mettendosi seduta.
«Anche tutta» ridacchiò il biondo. Da vicino era meno attraente: aveva una massa di capelli ricci, il viso spigoloso, le sopracciglia folte, gli occhi verde bottiglia. Però sulla sua pelle non c’erano brufoli e il fisico era quello di un nuotatore professionista, anche se non era molto abbronzato. Non era poi così male, anche se non si trattava di un dio sceso in terra. Il corpo era la sua vera bellezza.
«Ah, comunque mi chiamo Damian» si presentò, mentre prendeva posto per terra davanti alla ragazza. Le porse un grappolo d’uva «E tu saresti…».
«Artemis» rispose lei prima di mettersi in bocca due grossi acini succosi.
«Che bel nome. Ti chiami proprio come…»
«La dea della caccia, si lo so» concluse lei. Glielo dicevano tutti, tranne gli stranieri che non conoscevano la mitologia del mondo greco.
«Non sei di qui, vero?» le chiese Damian.
«No, vengo dal continente. Abito ad Atene»
«Wow, Atene? Non ci sono mai stato ma è un must. Insomma, tutti dovrebbero vedere la capitale del proprio Stato almeno una volta, no?»
«Anche secondo me» convenne Artemis.
«Lo so che non bisognerebbe fare questa domanda alle donne, ma…Quanti anni hai, Artemis?» ridacchiò Damian.
«Sfacciato!» iniziò a ridere anche la ragazza «Comunque diciassette. Li ho fatti questo dieci luglio». Si ricordò improvvisamente della festa per il suo diciassettesimo compleanno e rabbrividì. «Tu, invece?» chiese nella speranza di concentrarsi di nuovo sulla conversazione.
«Diciotto, ma li ho compiuti a Febbraio».
«Ah, ma allora sei un vecchietto» esclamò falsamente scioccata.
«Ragazzina impertinente, porta rispetto ai più anziani!» disse Damian, imitando la voce di un nonnetto sdentato.
Continuarono a chiacchierare per quasi due ore e Artemis, finalmente, riuscì a distrarsi e a sentirsi serena e felice per la prima volta dall’inizio dell’estate fino a quel momento.
«Allora, credi che stasera riuscirai a venire alla festa in piazza?» le chiese Damian, mentre stava scendendo dallo yacht.
«Penso proprio di sì» rispose Artemis seguendolo. I suoi quasi certamente l’avrebbero lasciata andare. Volevano la sua felicità, giusto?
«Bene!» esclamò Damian con uno sfavillante sorriso a trentadue denti «Allora a stasera, ti aspetto sul molo alle nove e mezza».
«Ciao…» lo salutò guardandolo allontanarsi. Si stiracchiò e scese sottocoperta a sistemarsi.  Verso le cinque tornarono Electre e Nikandros, entrambi carichi di pacchetti. Evidentemente si erano dati alle compere da turisti. Erano sfiniti e dopo aver scaricato le borse sul tavolo, si precipitarono a lavarsi e a cambiarsi. Mentre si rimettevano a posto, Artemis frugò nelle varie buste, mettendo a posto un po’ di roba: trovò un libro, due riviste, una nuova enigmistica, due penne, qualche cartolina, cibo, bottiglie d’acqua, prodotti per il corpo, etc…Prese l’enigmistica, una penna e iniziò un cruciverba facilitato, spaparanzata sul divano.
Dopo circa quaranta minuti i due genitori uscirono dalla loro camera-cabina, lei vestita con una tuta fucsia, lui in un paio di bermuda arancioni e polo bianca.
Alle sette e mezza uscirono a cenare in un ristorante molto carino, sul lungo-mare. Aveva un’aria costosa, ma i soldi per la sua famiglia non erano un problema. Lo dimostrava lo yacht bianco come la neve fresca, che era ancorato al molo. Sembrava un grosso iceberg galleggiante sulla superficie del mare. Consumarono un’ottima cena a base di pesce. Quando si fecero le nove, Artemis decise di approfittare dell’umore allegro dei genitori, soprattutto di Nikandros, per chieder loro se poteva uscire.
«Papà, mamma» iniziò sorridendo dolcemente ad entrambi «Oggi, come vi ho detto, ho passato una giornata piacevole e divertente. Soprattutto grazie a dei ragazzi che ho conosciuto in spiaggia, stamattina».
«Siamo felici per te, tesoro» disse subito la madre, guardandola gioiosa.
«Mi hanno anche invitato ad una festa che si terrà stasera in piazza. Posso andare?» continuò Artemis, sbattendo un po’ le ciglia, supplichevole. La madre sorrise, promettente. Il padre, invece, raddrizzò ancora più del solito la schiena e squadrò sospettoso la figlia.
«Quando dici ragazzi, intendi esclusivamente maschi o anche ragazze?» chiese burbero.
«Certo» rispose prontamente Artemis «Tutti e due». Di certo avrebbe conosciuto anche delle ragazze, amiche di Damian. Quindi, non aveva detto una vera e propria bugia. Nikandros la guardò con fare circospetto ancora per un po’, ma alla fine anche lui diede il suo consenso e la figlia gli saltò al collo, stringendolo in un caldo abbraccio. Quando furono le nove e mezza, Artemis salutò i genitori e camminò lungo il molo, cercando con lo sguardo Damian. Si fermò sotto a un lampione, mentre gruppi di ragazzi sciamavano verso la piazza ridendo e chiacchierando ad alta voce. Si sentiva di nuovo sola. Passò un quarto d’ora, ma di Damian neanche l’ombra. Iniziò a temere che l’avesse scaricata per andare con i suoi amici o qualche fighetta. Del resto non sarebbe stata la prima volta. Passarono altri cinque minuti e Artemis, col morale sotto ai tacchi, iniziò ad incamminarsi verso lo yacht. Ma perché, poi? Voleva dire che si sarebbe divertita con qualcun altro. Si bloccò sul posto e tornò sui suoi passi, andando ad andatura spedita verso la piazza, da dove proveniva una musica fragorosa. Più di una volta le sembrò di vedere una zazzera di riccioli biondi in lontananza, ma ogni volta che si avvicinava, si rendeva conto d’essersi sbagliata. La piazza era piena di ragazzi urlanti e scatenati che, sotto alle luci colorate e seguendo il ritmo della musica martellante, danzavano e saltavano. Si lanciò nella mischia, calpestando e venendo calpestata. A furia di gomitate, cercò di farsi largo nella folla, ma ogni volta veniva spinta fuori, ai margini. Mentre stava provando per l’ennesima volta ad intrufolarsi tra i vari ballerini improvvisati, qualcuno la prese con forza per il braccio e la trascinò lontano dal caos. Riconobbe il ragazzo dalla massa compatta di ricci biondi.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


«Beh?!» scattò arrabbiata Artemis, liberandosi con uno strattone dalla presa del biondo.
«Come sarebbe a dire “beh”? Cosa ci fai qua?» chiese con fare indignato, Damian.
«Sono qui per divertirmi, ballare, gridare…Tutte cose che posso fare benissimo anche da sola, senza la compagnia di uno che prima ti invita e poi va con i suoi amici e le fighette!» rispose per le rime la ragazza, che si era arrabbiata ancora di più davanti all’espressione incredula del giovane.
«Ma se ti ho aspettato per mezz’ora davanti al tuo yacht?» esclamò Damian. Artemis si zittì: davanti allo yacht? Ma non aveva detto sul molo? E lei che se lo era percorso tutto a piedi nella speranza di vederlo. Che stupida.
«Come, oh…Ecco…» farfugliò, incapace di spiegarsi. Damian la stava guardando adirato, senza capire.
«Io non ti ho aspettato davanti allo yacht, ma in un altro punto lungo il molo. Verso la piazza. Ho anche fatto il molo a piedi, sperando di incontrarti, ma non ti ho visto mi sa…»
«Anche secondo me» sbottò il ragazzo, con le braccia incrociate sul petto. Aleggiò un silenzio pesante tra i due, che accrebbe l’imbarazzo di Artemis.
«Mi dispiace, credevo di far la cosa giusta, ma ho mandato a monte la serata» disse infine, rassegnata. «Beh, io vado. E` stato un piacere conoscerti, Damian. Ciao».
«La serata è appena iniziata, non hai rovinato proprio nulla» controbatté lui. «Beh, forse solo un pochino» si corresse, sorridendo ironico. Anche ad Artemis scappò un sorriso.
Con Damian che si faceva largo tra la folla, riuscirono a trovare un po’ di spazio per ballare e si scatenarono. Era la prima volta che Artemis rideva così tanto da quando Christophe l’aveva tradita. Quando iniziarono a non sentire più le gambe, si allontanarono dalla pista e si sedettero su un muretto, sotto a degli ulivi, sempre ridendo come matti.
«Ah» sospirò Damian, appoggiando la schiena al tronco dell’albero «Balli davvero bene».
«Grazie» lo ringraziò compiaciuta Artemis. Del resto, sua madre aveva convinto il marito a farle studiare danza fin da piccola. Aveva provato un po’ di tutto: danza classica, moderna, hip-hop. Persino tango e danza del ventre, però questo lo aveva detto solo a una sua amica, perché al pensiero s’imbarazzava. Non era quindi il caso di raccontarlo a Damian, che la stava guardando interessato e ammirato al contempo.
«Tu invece sembri un bastone in equilibrio precario, te l’hanno mai detto?» scherzò la ragazza per togliersi dal centro della conversazione.
«Sì, ma nessuno mi ha mai paragonato a un bastone pericolante!» rise lui, facendo il finto oltraggiato. Artemis pensò che forse era stata troppo buona a dargli del bastone instabile. Era più dinoccolato un mattone abbandonato in piedi al centro di una piazza. Ma da dove le uscivano quei paragoni?
«Comunque» riprese Damian, guardandola sorridente «La serata mi sembra stia andando piuttosto bene, no?».
«Decisamente» concordò Artemis «Però, non dovevi presentarmi ai tuoi amici?». In effetti non si era visto ancora nessuno del gruppo di ragazzi che stava giocando con Damian in spiaggia quel pomeriggio.
«Ti secca rimanere sola con me?» chiese scherzando il ragazzo, però visibilmente interessato.
«No» rispose lei, forse un po’ troppo velocemente. «Sei un’ottima compagnia».
«In che senso?» chiese Damian sempre sorridendo divertito e con una strana luce negli occhi. Improvvisamente sembrò farsi più grande, più vicino. Artemis si concentrò sulla risposta:
«Sei un ragazzo simpatico, allegro…Anche se un po’ troppo sfacciato e sicuro di sé».
«Ahi, questa faceva male» ridacchiò, fingendosi dolorante.
«No, dai, tutto sommato sei davvero un bravo ragazzo» si unì anche lei alla risata.
«Ah, beh, sapere che questa è la tua considerazione di me, mi rende felice»
«Era da quel che mi sembra una vita che non ridevo così, o anche solamente che non stavo bene in compagnia di qualcuno»
«E perché? Nessuno dei tuoi amici è fantastico come me, vero?»
«Sì, certo» sorrise di sbieco Artemis, tirandogli una pacca sulla spalla.
«No, seriamente, cosa c’è?» chiese poi facendosi un po’ più serio.
«Ecco…mettiamola così: la ferita è ancora aperta» disse la ragazza stringendosi tra le proprie braccia, come se una fitta in pieno petto l’avesse piegata in due.
«Problemi di cuore? Quello che ti piaceva è uno stronzo?»
«Sai che oltre ad essere troppo sfacciato e sicuro di te, sei pure impiccione?»
«Scusa, non voglio turbarti, volevo solo rendermi disponibile ad ascoltarti» si giustificò Damian.
«Ok, tranquillo» sospirò Artemis. Considerò che dopotutto sfogarsi le sarebbe stato d’aiuto. Tanto Damian non l’avrebbe più rivisto.
«E va bene» iniziò, raddrizzandosi sul muretto «In pratica il mio ragazzo mi ha tradito il giorno del mio compleanno, in casa mia, con una ragazza che odio fin da quando l’ho conosciuta per la primissima volta. E adesso stanno insieme. Oggi, per esempio, si sono fatti scattare una dolce foto dove sono abbracciati davanti all’ingresso del villaggio turistico. Lì ci sarei dovuta andare io con il mio ex e la mia compagnia. Comunque, quella…Insomma, la sua nuova ragazza ha avuto il gentile pensiero di inviarmi la foto con i suoi saluti». Aveva detto tutto d’un fiato. Era leggermente più sollevata. Almeno non si sentiva gli occhi punti dalle lacrime.
«Oh, cavolo…Che…Che bastardi…» farfugliò Damian, evidentemente a disagio.
«Già» concordò monosillabica Artemis.
«Ma…Cioè…Non so che dire, scusa…» borbottò incoerentemente il ragazzo.
«Tranquillo, non è un problema. E` già tanto che tu mi abbia ascoltato». Nessuno dei due parlò per un po’. Artemis guardò incuriosita la strana espressione imbarazzata che si era formata sul volto spigoloso di Damian.
«Cosa c’è?» gli chiese, senza capire.
«Ehm…Ecco…Posso…Potrei vedere…» balbettò. Si vedeva che era rosso anche nell’oscurità.
«Insomma, dì cosa vuoi chiaro e tondo» disse spazientita Artemis.
«Posso vedere la foto che ti ha mandato? Se ce l’hai ancora» buttò lì, guardando apparentemente le gambe di Artemis. La ragazza lo guardò sbigottita. Ma a cosa cavolo gli serviva vedere la foto? Voleva controllare se in effetti la Strega fosse più attraente di lei? Se il suo ex avesse fatto una scelta intelligente? Voleva vedere la Strega e il suo fisico mozzafiato?
«Mi dispiace, l’ho cancellata» rispose gelida Artemis «Sai, non mi piaceva particolarmente come foto. Se me ne manderanno un’altra più bella, dove magari non indossano neanche più i costumi e si trovano su una sdraio, mi ricorderò di inviartela».
«Dai, non era per quello che credi tu» ribatté offeso Damian.
«E a cosa dovrei credere, secondo te?» gli chiese sarcastica. Si alzò dal muretto ed iniziò ad allontanarsi, mentre Damian la rincorreva cercando di giustificare la richiesta.
«Eddai, Artemis! Volevo solo vedere se…» cercò di prenderla per il polso, ma la ragazza strappò la mano dalla sua presa e lo guardò adirata: si era fidata per un attimo di qualcuno ed ecco il risultato. Preferita ad una Strega che distava chilometri da loro e che Damian non aveva mai visto, oltretutto.
«Volevi vedere se il mio ex ha fatto una buona scelta. Beh, ti risparmio la fatica di vedere la foto e ti dico subito di sì» lo interruppe finendo per lui la frase.
«Non volevo dire questo. Volevo vedere se sono più carino del tuo ex» sbottò Damian, adesso anche lui arrabbiato. Cosa credeva? Che fosse un donnaiolo? Beh, forse ogni tanto…Ma mica in quel modo esagerato!
La guardò serio e vide un tentennamento nello sguardo di ghiaccio di Artemis. La ragazza non capiva. Poteva provare a fare delle deduzioni, ma nessuna di queste sembrava essere sensata. Pensò di chiedergli il motivo di ciò, ma decise che fosse meglio non proferire parola. Quella discussione si stava facendo fin troppo complicata per i suoi gusti.
«Perché?» chiese infine, più a se stessa che a Damian. «Perché sembro fare di tutto per rovinare questa serata? Prima e anche ora. Meglio che vada.»
«Aspetta» la fermò Damian, trattenendola per il polso di nuovo.
«Cosa? Guarda, devo proprio andare: i miei non sono molto abituati a farmi uscire fino a tardi, figuriamoci con gente che conosco a malapena da un giorno»
«I tuoi non se la prenderanno se resti fuori cinque minuti in più per una volta» controbatté lui «E poi sono abbastanza affidabile. Certo, non sempre però…» disse scherzando.
«Davvero, sono stanca Damian. Domani devo ripartire. E` meglio se ci salutiamo qua»
«In questa situazione così triste? Non è nel mio stile» protestò.
«Ma conosco un modo per risollevare almeno quanto basta la serata» disse all’improvviso, sorridendole. Artemis si chiese se Damian fosse in grado di fare i miracoli, quando si accorse che lui si stava avvicinando sempre di più.
Damian aveva le idee chiare: i suoi baci non avevano mai deluso nessuna e non voleva lasciar andare quella ragazza così triste. Le sarebbe rimasto un bel ricordo e il pensiero di lui l’avrebbe seguita per del tempo. Era nato conquistatore, si disse. Si chinò lentamente sulla ragazza, che improvvisamente sembrò più minuta. Quando la vide chiudere gli occhi, nonostante l’espressione intimorita, la baciò. Aveva le labbra un po’ secche, ma profumava di qualcosa di dolce…Forse vaniglia o cioccolato. La sua bocca sembrava non volersi aprire, chiusa a chiave, come se non volesse ricambiare il bacio, arrendersi a lui. Si sentì infastidito: non gli era mai successo. Mordicchiò piano le labbra della ragazza, prima di riprendere a baciarla. Niente. Il viso tra le sue mani era rigido. Si staccò quanto bastava per guardarla negli occhi, seccato.
«Insomma, che problema c’è?» chiese. Artemis sembrò esitare a rispondere, come se Damian potesse approfittare del fatto che aprisse la bocca per poterla baciare.
«Scusa» disse infine. Era il secondo ragazzo con cui si era baciata. Anche se non era stato proprio un bacio. Le sue labbra erano rimaste sigillate e non aveva sentito nulla, a parte la confusione nella sua testa. Aveva bisogno di distrarsi sì o no? Insomma, Artemis, datti una svegliata!
Senza preavviso lo baciò. Lo sentì per un attimo rigido, ma subito dopo si sciolse anche lui al bacio. Damian la accolse, piacevolmente sorpreso; pensò che fosse una di quelle che vogliono far penare i ragazzi prima di starci, una di quelle che si divertono a tirare la corda. La cosa gli piacque. Ma non aveva veramente capito la reazione della ragazza, che cercava di rifuggire il ricordo del suo ex. Damian baciava in modo diverso da Christophe: ogni tanto interrompeva il bacio per mordicchiarle le labbra e subito dopo ricominciava. Il suo ex, invece, era molto calmo, baciava lentamente, con dolcezza. Al pensiero dei baci di Christophe, Artemis si staccò bruscamente da Damian, che la guardò con un’espressione contrariata.
«Credo sia ora che torni» disse Artemis timidamente, rompendo quel silenzio imbarazzante che si era eretto come una barriera invisibile tra loro.
«Va bene». Damian non sembrò far resistenza. Si alzarono dal muretto e iniziarono a farsi strada tra l’assembramento di persone, ogni tanto urtando e sgomitando. Arrivarono sul molo e presero a ripercorrerlo verso lo yacht bianco latte. Artemis non aveva la minima intenzione di parlare. Damian, imbronciato, sembrava ugualmente disinteressato a sostenere una conversazione. S’imbatterono in un gruppetto di uomini ubriachi, che stavano barcollando lungo il molo nel verso opposto al loro, brandendo una bottiglia di vino. Artemis cercò di spostarsi dall’altro lato di Damian, ma non voleva passare per una codarda. Decise di ignorarli.
«Hic…Ehi!» singhiozzò quello più vicino ad Artemis e Damian. La ragazza sussultò appena, ma continuò a guardare ostinatamente avanti.
«EHI!...Hic…» insistette l’uomo ubriaco. Lui e gli altri sbronzi al seguito si erano girati a inseguire i due ragazzi, che continuavano ad ignorarli. Ormai mancava poco allo yacht.
«EHI! STO PARLANDO CON VOI!» sbraitò improvvisamente il tizio, mentre gli altri due si davano gomitate e ridevano sguaiatamente. Damian si voltò appena per tirargli un’occhiataccia.
«Vai a sdraiarti da qualche parte. Sei più ubriaco fradicio di un paio di mutande immerse in una tinozza di vino» sbottò, prima di rigirarsi e prendere Artemis per mano, accelerando l’andatura.
«Hic…Brutto moccios…Hic! Lasciaci la tua fidanzatina, con noi si divertirebbe di più…». I suoi compagni grugnirono più forte di prima, spalleggiandosi e indicando la ragazza. Artemis rabbrividì e si avvicinò all’amico. Damian s’adirò:
«Vecchiaccio, tu e i tuoi compagni fareste meglio a portare i vostri culi da un’altra parte» disse minaccioso. Strinse la mano di Artemis, che lo aveva strattonato preoccupata per la possibile reazione degli uomini a quelle parole. Ormai mancava pochissimo allo yacht. Con una sorta di ruggito – grugnito, l’uomo si avventò sui due e prese la ragazza per il polso. Artemis squittì impaurita e allo stesso tempo disgustata. Damian si voltò a liquidare l’uomo con uno sguardo glaciale.
«Lasciala andare, schifoso pezzo di…»
«No, Damian! Peggiori solo le cose se lo provochi» lo fermò appena in tempo la ragazza, pestandogli il piede. Il suo polso era ancora attorniato dalle grasse e unte dita dell’uomo ubriaco. I compagni si erano avvicinati alle sue spalle e stavano guardando divertiti la scena, ridendo come maiali e sbavando, mentre continuavano a mandar giù vino. Al peggio Artemis avrebbe urlato con tutto il fiato che aveva in gola. Cercò di divincolarsi dall’uomo, ma questi sembrava non sentire nemmeno i deboli tentativi di sottrarsi alla sua presa. Erano quasi sotto lo yacht. Forse se Damian fosse corso a chiamare Nikandros si sarebbero salvati. Ma in quel frangente lei cosa avrebbe fatto? Se l’avessero trascinata via con loro? No, no, no. Doveva pensare a qualcos’altro e alla svelta. Forse avrebbe potuto gridare subito, ma se nessuno l’avesse sentita?
Intanto Damian sembrava in procinto di saltare addosso all’ubriaco e ai suoi due amici, tanto quanto lo sbronzo sembrava volesse saltare addosso alla ragazza. Al diavolo, avrebbe provato lo stesso! Prese una grande boccata d’aria e urlò: «AIUUUUTOOOOOOOOO!». Gli uomini si spaventarono quando sentirono le improvvise grida della ragazza e iniziarono a sbraitare correndo qua e là, atterriti, confusi, disorientati dall’alcool. Solo quello che teneva Artemis per il braccio non si scompose, anzi, strinse la presa e strattonò via la ragazza. Damian gli si buttò addosso, ma fu scaraventato a terra da uno dei due ubriachi che prima erano impazziti.
Artemis desiderò potersi strappare il braccio e scappare via con Damian, mentre l’uomo continuava a ridere sguaiatamente e ad avvicinarla a sé. Perché non passava nessuno? Perché era uscita con Damian quella sera? Perché l’aveva fatto restare sulla barca per fare amicizia? Perché non era rimasta a casa con gli amici? Perché Christophe l’aveva tradita? Perché quelle vacanze facevano così schifo? Perché, perché, perché?
All’improvviso un paio di forti braccia la presero per la vita e la strattonarono dietro, strappandola alla presa dell’uomo sbronzo, che barcollò e s’inciampò nei propri piedi, cadendo sui suoi compari. Artemis fu gettata con poca grazia indietro e rotolò sul marciapiede in cemento del molo, rischiando di cadere in acqua. Sentì un dolore acuto all’altezza della spalla destra, su cui era caduta, e alla testa, che aveva battuto per terra. Si sentì un po’ disorientata, mentre il dolore acuto alla fronte le annebbiava appena la vista. Tutti i suoni arrivavano soffocati, i contorni delle immagini difficilmente distinguibili a causa del buio, la luce del lampione distante. Coglieva a fatica i rumori di quella che sembrava una lotta, mentre ombre nere le passavano davanti. Cercò di ripararsi la testa. Non voleva venir colpita di nuovo. Alla fine vide due raggi accecanti toglierle la vista per un attimo, un suono squillante e sentì qualcosa sfiorarle la testa. 


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NOTE DELL'AUTRICE: Hey peeps! Piacere di parlare con voi direttamente, ovvero, non attraverso il mio racconto.
Mi fa piacere che abbiate letto fino a qui, anzi, che alcuni abbiano anche solo aperto la mia sotria.
L'ho scritta ben 5 anni fa, quando mi trovavo tra la prima e la seconda superiore. 
Sono successe così tante cose da quella volta! E proprio ieri ho ritrovato questa fiction, abbandonata tra pile di documenti e cartelle, meh...
Non so perché, ma ho deciso di pubblicarla. Forse perché qualcosa di quello che ho raccontato in questa storia, si è avverato nella mia vita negli anni a seguire.
Forse più semplicemente perché finalmente ho deciso di sentire un parere da parte di altre persone, quindi: NESSUN INDUGIO! Mi farebbe piacere sentire le vostre opinioni (anche se potrebbero fare male hahaha)

Un bacio, la vostra Pepper! xxxo

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Doveva avere perso i sensi. Oppure si era semplicemente addormentata. Ma i ricordi della notte precedente erano confusi e sfocati. Si ricordava l’accaduto fino a quando Damian era finito disteso a terra e il gruppetto di ubriachi la stava portando via. Oddio, gli ubriachi! Che le avevano fatto? Si mise a sedere di scatto e si tastò in ansia tutto il corpo, come a voler controllare che fosse ancora tutta intera. Avvertì un dolore acuto in testa e un altro appena accennato alla spalla destra. Si guardò intorno: era nella sua cabina azzurra, al sicuro sulla sua brandina. Doveva essere ancora notte fuori, poiché era tutto buio. Quando si voltò vide il volto rotondo e preoccupato di sua madre, che la stava osservando da vicino. Le labbra piene tremavano, i grandi occhi neri la guardavano ansiosi. Abbracciò con cautela amorevole la figlia.
«Per fortuna che è arrivato tuo padre! Altrimenti chissà cosa ti sarebbe potuto succedere, amore mio!» piagnucolò la donna, sempre stringendo in un caloroso abbraccio la ragazza.
«Cos’è successo a Damian? Che fine hanno fatto quegli ubriachi?» chiese subito Artemis, ricambiando la stretta della madre.
«Damian è andato a deporre testimonianza con tuo padre al commissariato e poi è stato accompagnato a casa. Quegli uomini disgustosi sono stati arrestati, stai tranquilla, tesoro. Appena si farà chiaro, partiremo e ci allontaneremo da quest’isola. Staremo sempre in mare aperto e la notte attraccheremo solo per riposarci. Non dovrai più scendere». Artemis da un lato parve sollevata, dall’altro delusa. Avrebbe voluto salutare Damian, anche se grazie a lui gli ubriachi li avevano attaccati. Era felice di lasciare quel luogo, ma non voleva rimanere rinchiusa nella barca e probabilmente, quando sarebbero rientrati ad Atene, in casa. Non ebbe il tempo di spiegare a sua madre che non ci sarebbe stato di bisogno di tenerla segregata, che entrò suo padre, la stritolò facendole scricchiolare la spalla acciaccata e le disse le stesse cose di Electre. Artemis pensò che non era il momento giusto per affrontare la questione. L’avrebbe fatto quando le acque si fossero calmate del tutto. Con la scusa di dormire, fece uscire i propri genitori dalla cabina e guardò il display del cellulare. 03:30. Beh, tanto valeva tornare veramente a dormire. Non ci volle molto perché si addormentasse, tanto stanca era.
 
Si risvegliò con il sole già alto nel cielo. Si stiracchiò e provò solo un leggero fastidio alla spalla destra. Ormai era quasi del tutto a posto. Le erano rimasti dei graffi. La testa era ancora un po’ dolorante e aveva un bernoccolo, ma per il resto tutto ok. Si alzò con cautela dalla brandina, prese il cellulare e vide l’ora. 11:23. Le era arrivato un messaggio dalla sua amica, Clio. Decise di chiamarla dopo aver fatto un’abbondante colazione. Aveva bisogno di sfogarsi e di sentire le novità dalla terraferma. Andò nella cabina più grande e aprì il mini – frigo: avrebbe potuto finire la vaschetta di gelato. Ma aveva voglia di fare una “colazione classica” da telefilm, come uno di quei bellissimi spot pubblicitari, dove si vede la tavola imbandita di ogni ben di dio, il sole che entra dalla finestra, una bellissima mamma, sottile e leggiadra come un giunco, servire la colazione ai propri figli e al proprio amato marito. Il tutto accompagnato da una musichetta orecchiabile e un tripudio di sorrisi a trentadue denti (anche se i bimbi ne hanno di meno di solito). Artemis prese la caraffa di succo d’arancia dal frigo e lo richiuse con un colpo d’anca, afferrò un bicchiere dalla mensola e s’infilò sottobraccio la scatola di cereali avviandosi canticchiando verso la tavola. Mise tutto in ordine, con tanto di cesta di frutta al centro, mega tazza e cucchiaio, e si sedette dopo aver fatto partire la radio. Stavano trasmettendo “I’m walking on sunshine” di Katrina and the Waves. Perfetto. Mangiò di gusto e sparecchiò ballando e cantando. Il giorno precedente era solo un lontanissimo ricordo. Oggi le sarebbe andata meglio, ne era certa! Spense la radio e corse fuori dallo yacht, a prua, la sua postazione preferita. Salutò entrambi i genitori, che si stavano abbronzando, mano nella mano, distesi sulle loro sdraio. Non le sfuggirono i loro sguardi preoccupati, ma decise di ignorarli: quel giorno sarebbe stato magnifico! Chiamò Clio e raccontò a grandi linee gli avvenimenti del giorno precedente, glissando sui particolari. Quando questa iniziò a parlarle di Christophe e Monike, Artemis cambiò rapidamente discorso, chiedendole riguardo la sua situazione amorosa e dandole corda, mentre la sentiva cinguettare riguardo quanto amasse il suo ragazzo, di quanti regali si facessero, di come era bello far l’amore ogni giorno, etc.
Alla fine, la salutò che si era fatta l’una. Aveva più fame di prima. Erano in mezzo al mare, quindi niente ristoranti, ma se la sarebbe cavata ugualmente. Prese una ciotola e la riempì di frutta di tutti i tipi, che condivise con i suoi. Nikandros ed Electre, però, sembravano sempre in ansia per la figlia ed Artemis cercò di schivarli per tutto il giorno, temendo che potessero intaccarle il buon’umore e la giornata mirabolante che si era progettata. Prese più sole di quanto ne avesse mai preso in un’estate intera, si tuffò nelle fredde acque blu quando voleva rinfrescarsi e ballò in soggiorno, con le cuffie infilate nelle orecchie, cantando e mangiandosi un ghiacciolo all’arancia, che aveva improvvisato come microfono. Si fecero le sette di sera e Artemis andò a sedersi a prua, con le gambe ciondoloni fuori dallo yacht. Il tramonto sul Mediterraneo era strepitoso e, allo stesso tempo, rilassante. Sentiva il proprio corpo rilassarsi, come se si stesse sciogliendo davanti a quello spettacolo mozzafiato. Scese sottocoperta, a cenare con i suoi, che nel frattempo sembravano essersi tranquillizzati riguardo al suo stato psicologico. Si sedette festosa a tavola, chiedendo alla madre cosa ci fosse per cena. Electre ci pensò un attimo su, per poi rispondere che avrebbero mangiato della carne e della verdura grigliata. La prima parte del menù la ispirava, ma ad Artemis le verdure non piacevano proprio. Le veniva il voltastomaco appena sentiva l’odore delle verdure cotte o grigliate e ne metteva una in bocca.
«Amore, potresti andare a tirare fuori il barbecue mentre io preparo le verdure e la carne da cucinare?» le chiese Electre mentre accarezzava con affetto una guancia della figlia e le scostava una ciocca di capelli fulvi dal viso. Artemis sbuffò e guardò la madre, implorante.
«Ma non può farlo papà? Pesa troppo quel coso e una volta mi è caduto sul piede»
«Me lo ricordo, però tuo padre si sta lavando e sai che ci mette molto. In più sarebbe carino fargli trovare tutto pronto quando arriverà per cenare, non trovi?»
«Sì, sì, tutto molto bello» sospirò la ragazza «Ma se perderò un piede mi avrete sulla coscienza».
«Correrò il rischio» le sorrise sua madre, mentre la faceva alzare dalla sedia e la spingeva fuori.
Artemis si avviò all’inizio un po’ strascicando i piedi. Si era stancata quel giorno, però ne era valsa la pena. Era stata veramente bene e adesso si doveva concludere con una squisita grigliata di carne. Sentì il rumore di un vetro in frantumi e subito dopo Electre lamentarsi arrabbiata. Sua madre era sempre stata una persona un po’ pasticciona e questa sua caratteristica l’aveva ereditata, sfortunatamente. Suo padre, invece, pareva avere sempre tutto sotto controllo, anche se spesso si dimostrava noioso e petulante. Nikandros ed Electre si amavano moltissimo e non si stancavano mai di dimostrarlo reciprocamente e anche agli altri. Di questo Artemis andava fiera. I suoi erano una delle poche coppie che non si erano separate e che non l’avrebbero mai fatto. Nella sua classe quasi la metà dei suoi compagni aveva genitori separati, divorziati e si ritrovava con matrigne e patrigni.
S’infilò nella stretta e stipata stiva, dove era stato letteralmente incastrato il fornello del barbecue. Fece un po’ di fatica a farlo uscire e gemette all’idea di doverlo trascinare su per la stretta e ripida scala. Con molta cautela lo issò e dopo cinque minuti, durante i quali aveva rischiato di farlo cadere all’indietro più volte, sbucò fuori da sottocoperta e si mise a spingere il barbecue vicino alle sdraio, dove avrebbe mangiato con i suoi genitori gli spiedini, seduta a guardare il mare di sera. Forse avrebbe anche potuto restare a dormire là quella notte, bastava che si avvolgesse in un telo da bagno e che si portasse il cuscino. Sarebbe stato il top di quella giornata. Mentre preparava il tutto per la grigliata, s’infilò le cuffie dell’I-pod nelle orecchie e iniziò a spostare le sdraio e a posizionare la griglia. Per un attimo guardò il mare diventato nero, con il sole ormai quasi totalmente sommerso. Il cielo sfumava dal lilla al blu notte e le prime stelle luccicavano timidamente. In lontananza, quasi sulla linea dell’orizzonte, Artemis scorse una piccola sagoma nera: sembrava un’altra imbarcazione. Forse anche quello era uno yacht o un grande motoscafo. Con un’alzata di spalle tornò ad occuparsi del proprio lavoro.
Dopo un po’ vide sua madre comparire dalle scale, con in braccio un vassoio pieno di pezzi di carne e verdure tagliate a fette.
«Inizia cucinarli» le disse posando il vassoio su una sdraio e tornando sottocoperta.
«Ma non so neanche come si cucina la carne in padella…» le gridò dietro Artemis.
«Girala ogni tanto, non deve bruciare» spiegò Electre e la figlia vide sparire la sua bruna chioma svolazzante sottocoperta.
«Grazie del suggerimento, eh» borbottò la ragazza accendendo il grill. Decise di iniziare a cucinare le verdure: se le avesse bruciate non sarebbe stato un problema. Mise delle fette di melanzana sul barbecue, sollevandole con una forchetta e tenendole a debita distanza. Quando queste sfrigolarono al contatto con i ferri caldi, Artemis fece un salto indietro, temendo di scottarsi.
Nel tentativo di girarle, ne fece cadere per terra. Altre tre bruciarono e una scia di fumo si innalzò dal barbecue, diffondendo un odoraccio di bruciato che fece arricciare il naso alla ragazza, improvvisatasi cuoca. Ritentò, ottenendo un discreto miglioramento. Spostò le poche verdure sopravvissute su un grande piatto, mentre le altre le infilò in un sacchetto di plastica. Erano rimasti i pezzi di carne ma le sarebbe seccato bruciare anche quelli. Avrebbe chiesto aiuto alla madre. Scese sottocoperta a chiamarla e la trovò intenta ad abbrustolire nel tostapane delle fette di pane, mentre preparava una grande ciotola di insalata mista.
«Mamma, ho provato a cucinare le verdure, ma ne ho bruciate mezze. Potresti aiutarmi con la carne?»
«Oh, cielo, Artemis. Le verdure si bruciano più facilmente della carne, dovevi iniziare con questa! Per fortuna avevo preparato altre fette di verdura»
«Già, che fortuna» sbuffò la ragazza per il disappunto. Anche l’ultima speranza di non mangiare verdure era svanita a causa di sua madre, troppo ostinata e previdente. Electre superò la figlia e salì le scale, mentre Artemis la seguiva leccandosi i baffi. Amava la carne, soprattutto grigliata.
Mentre saliva, perse una infradito e si fermò a rinfilarsela, borbottando. Perché era così imbranata? Ah, giusto, dote ereditaria. Sempre che si potesse definire una qualità.
Sua madre doveva già essere su, strano che non l’avesse ancora sentita chiamare “Artemis, insomma, che disastro! Vieni a vedere come si fa!” o qualcosa di simile. Suo padre sbucò dalla sua cabina, lavato e vestito con abiti nuovi. La guardò sorridendo.
«Bene! Allora: che si mangia?» disse fregandosi le mani e scompigliandole i capelli. La ragazza cercò di risistemarseli alla bell’e meglio, fulminando Nikandros con un’occhiataccia.
«Grigliata di carne e verdure» rispose mentre lottava per ricacciare dietro l’orecchio un ricciolo ribelle. Il padre sembrò diventare ancora più allegro di prima.
«Bene! Allora andiamo a cenare, figlia mia!» le disse superandola velocemente e scompigliandole di nuovo i capelli. Artemis emise un sibilo disperato e rinfilò le dita sottili nella cascata di riccioli rossicci. Senza uno specchio avrebbe combinato ben poco. Si avviò a passo spedito in camera, augurandosi di trovare ancora qualche boccone di carne al suo ritorno: Nikandros era una buona forchetta e, come lei, non andava matto per le verdure. Quindi, c’era il rischio che Artemis si ritrovasse il piatto pieno di melanzane e pomodori grigliati. Al solo pensiero accelerò e si ritrovò in men che non si dica dinanzi allo specchio nella sua cabina. Con le dita prese a sistemarsi la chioma infuocata, senza mai riuscire a trovare un’acconciatura che la soddisfacesse. E che cavolo, perché le erano toccati quei capelli? Se soltanto avesse provato ad infilarci il pettine, probabilmente, si sarebbe dovuta tagliare una ciocca per sfilarselo. Aveva provato ad usare la piastra una volta, a casa di Clio, e la situazione era un po’ migliorata. Se li era legati in uno chignon, lasciando qualche spennacchio fuori e un ciuffo sul viso. Appena era tornata a casa, però, sua madre l’aveva sgridata insieme al padre, facendone una tragedia greca. Dopodiché, Electre l’aveva letteralmente trascinata in bagno, dove le aveva lavato i capelli, che erano tornati subito indomabili.
All’improvviso sentì un colpo provenire da sopra: sembrava un botto, simile ad uno sparo. Cosa stavano facendo quei due? Avevano fatto saltare il barbecue? Era meglio andare a vedere.
Si diresse velocemente alla porta e si bloccò, con gli occhi spalancati a guardare un uomo sconosciuto scendere per la scaletta. Artemis non fece in tempo a defilarsi in camera, che questo l’aveva già vista e le si era lanciato contro. La ragazza si nascose dietro alla porta dopo averla chiusa e si appiattì alla parete, tremando sconvolta. Chi diavolo era?! Cos’era tutto quel baccano che sentiva provenire da sopra? E il botto di prima era stato davvero uno sparo?
La maniglia della porta si abbassò e Artemis trattenne il respiro, diventando tutt’uno con la parete. L’uomo entrò lentamente, con un ghigno aperto in volto; subito dopo, si avviò tranquillamente al centro della cabina, guardandosi intorno. Artemis approfittò del momento per sgusciare fuori dalla stanza e correre a rifugiarsi da qualche parte, ma sentì dietro di sé i passi veloci dello sconosciuto e la sua voce roca gridarle qualcosa. La ragazza sperava solamente che non avesse una pistola. Accelerò, svoltò a destra e s’infilò nella prima cabina, richiudendosi rapidamente la porta alle spalle. Sentì i tonfi dei passi dell’uomo avvicinarsi e superarla. Silenzio.
Anzi, si sentiva ancora un rumore. Un rumore ritmico e assordante. Il battito frenetico del suo cuore terrorizzato. Aspettò per quel che sembrò essere un’eternità. Si fece coraggio e aprì poco alla volta la porta, sbirciando dallo spiraglio formatosi. 

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NOTE DELL'AUTRICE: Hey peeps! Grazie a tutti quelli che hanno letto finora, mi avete reso davvero felice!
Prima di caricare i prossimi capitoli, ho intenzione di aspettare un po', sperando che il seguito dei lettori aumenti! (Ambiziosa? No, speranzosa hahaha)
Nei prossimi due giorni penso che caricherò ancora un capitolo e poi si vedrà.
Nel frattempo spero di poter leggere qualche commento o impressione, mi farebbe piacere!

Un bacione, la vostra Pepper! xxxo

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Il corridoio era deserto. Inspirò profondamente e con grande cautela scivolò fuori dal suo nascondiglio, rimanendo incollata con la schiena alle pareti e facendo attenzione a non far rumore. Percorse così pian piano l’intero corridoio, controllando che non ci fosse l’uomo a tenderle un agguato dietro ad ogni angolo. Il suo cuore batteva così veloce, che avrebbe potuto collassare da un momento all’altro.
Raggiunse la scaletta. Cos’avrebbe fatto? Attese per un po’, sentendo le goccioline di sudore scivolarle fastidiosamente lungo la pelle. Inspirò ed espirò. Di nuovo. E ancora. Ancora una volta. Alla fine, posò piano la mano su un piolo della scaletta e iniziò ancora più lentamente a salire. Arrivata in cima, più spossata di prima, sbirciò fuori, da dove proveniva del chiasso poco rassicurante: un gruppetto di uomini stavano mangiando la cena sua e dei suoi genitori, e sembravano divertirsi un mondo. Un brivido le percorse la schiena, facendole stringere la presa su un piolo della scala: dov’erano i suoi genitori? Controllò velocemente in giro, sentendosi crescere la preoccupazione nel cuore, quando li vide: Electre era seduta vicina a Nikandros che, legato, perdeva sangue da una gamba e sembrava incosciente. La donna piangeva disperata, mentre accarezzava la testa del marito e cercava di tamponare come poteva la ferita alla gamba con il vestito lungo. Alla vista del sangue del padre, Artemis si sentì svenire dal dolore e per la rabbia. Non resistette più e uscì fuori da sottocoperta, correndo incontro ai genitori. Si lasciò cadere al fianco di Nikandros e prese anch’ella ad accarezzargli amorevolmente il viso ruvido, imperlato dal sudore.
«Ehi, tu!». Artemis non pensò neanche a voltarsi, mentre continuava a guardare addolorata il padre. All’improvviso, si sentì prendere con forza per il braccio destro e fu tirata su di peso. Si voltò a fronteggiare il maledetto che aveva sparato a Nikandros. Anche se fossero stati cento, l’avrebbero pagata. Artemis si trovò dinanzi a quello che doveva essere un ragazzo, sicuramente più che ventenne, alto e abbronzato, il viso squadrato, gli occhi chiarissimi e i capelli neri raccolti in una coda. L’espressione era dura, arrabbiata. La mano di Artemis, come se fosse stata indipendente dal resto del corpo, schizzò verso il volto del ragazzo e lo colpì con forza, producendo un sonoro schiocco. Tuttavia sembrò non smuoverlo minimamente. Infatti, il tizio la stava ancora guardando arcigno e aumentò la presa sul polso della ragazza, che gemette. Artemis sentì gli altri ridacchiare e li vide darsi di gomito, indicandola. Parlavano una strana lingua, incomprensibile per la ragazza.
Artemis sentì la rabbia diffondersi come un’ondata di lava bollente in tutto il suo corpo. Strattonò il braccio imprigionato, cercando di liberarsi dalla presa del presunto “Samir” (così l’avevano chiamato gli altri), ma questo era molto più forte di lei. Gli diede un calcio tra le gambe, facendolo piegare in due e gli sfuggì correndo verso i suoi genitori. I compagni di Samir ridevano sguaiatamente, ma nessuno di loro sembrava intenzionato a fermarla.
Il ragazzo si era ricomposto e, imprecando, le si era lanciato addosso, bloccandola per le braccia, mentre lei si dimenava e scalciava l’aria gridando.
Le chiese qualcosa in quella strana lingua parlata dagli altri pirati, soffiandole nell’orecchio, carico di rancore.
«Bastardo, lasciami!» gridò lei in risposta, agitandosi ancora di più e urlando.
Gli altri si davano di gomito mentre li accerchiavano per poter osservare meglio la scena. Samir sbatté Artemis a terra e le rifilò uno schiaffo che le fece voltare la faccia. La ragazza aveva le lacrime agli occhi dal dolore e dalla rabbia. Non voleva arrendersi e cercò di rialzarsi, ma venne ributtata a terra con un calcio, derisa dal gruppo. I capelli spettinati le ricadevano a ciocche scomposte sul viso chiazzato di rosso, gli occhi sgranati.
Mentre ricadeva a terra per l’ennesima volta, il suo sguardo s’incrociò con quello della madre in lacrime, che chiedeva pietà. Artemis non seppe per quanto a lungo fu picchiata, ma le parve un’eternità. Alla fine, stramazzò al suolo, in una posizione quasi innaturale e non riuscì più a rialzarsi. Sentì gridare Electre, ma non poteva muoversi. Provò di nuovo la sensazione di veder le cose attorno a lei svanire, mentre i contorni delle figure sfumavano fino a  farle diventare totalmente confuse; i suoni giungevano ovattati e ad un certo punto le fu impossibile distinguerli. Perse i sensi.
 
***
 
Il rumore del mare. Lo sciabordio delle onde, che ritmicamente s’infrangevano sullo scafo per poi ritirarsi. Una leggera brezza che le accarezzava con delicatezza il corpo. Il sole le riscaldava la pelle, che produceva gocce perlate di sudore. Queste scivolavano lungo la fronte, le braccia, le gambe, la schiena, infiltrandosi sotto i vestiti. L’odore pungente dell’aria salmastra le aveva invaso le narici, mentre ascoltava il verso distante dei gabbiani. Attraverso le palpebre chiuse, la luce del giorno le colorava di rosso la vista, che ogni tanto si oscurava al passaggio di una nuvola.
Ormai il mare era diventato il suo elemento, la sua seconda casa. Fin da quando era piccola, i suoi genitori l’avevano portata in vacanza al mare. Del resto, come si faceva a vivere senza di questo? Per giunta se eri Ateniese? Artemis si ricordava la sensazione di felicità e piacere che provava ogni volta che entrava in acqua. Quell’emozione meravigliosa che aveva fatto sua da quando era nata. L’acqua l’aveva sempre accompagnata nel corso della sua vita e le creature del mare l’avevano sempre affascinata. Quando era una bambina, sua madre le leggeva fiabe e leggende sull’oceano e i suoi abitanti. Artemis amava in particolare quella su Atlantide, la mitica città scomparsa, inghiottita dal mare, che forse tutt’ora viveva sul fondale oceanico.
La prima volta che era stata all’acquario, non avrebbe più voluto uscirne. Era persino riuscita a convincere l’addestratore degli animali marini a farla nuotare con un delfino. E da quel felice giorno, aveva continuato ad andare a trovare i suoi amici speciali dell’acquario appena trovava un attimo libero. Aveva stretto in particolare un tenero rapporto d’amicizia con un delfino, Zenit, e un’otaria, Afrodite. Solitamente s’intrufolava dalla porta sul retro e rimaneva con i piedi in ammollo a confidarsi e a giocare con loro fino a tarda sera, con la scusa di andare a trovare suo nonno.
Il nonno era a dir poco fantastico, secondo Artemis. Il migliore che si potesse chiedere. Le consigliava ottimi libri e la copriva con i suoi genitori ogni volta che glielo chiedeva. In più la invitava a pranzo almeno una volta alla settimana (e la nonna cucinava da dio!).
Poi c’era la sua amica Clio, l’eterna innamorata, anche se di ragazzi sempre diversi. La ascoltava, le stava accanto ed era il suo sole personale. Un ruolo importantissimo. Clio, però, non aveva lo stesso rapporto di Artemis con il mare. Una volta era andata con quest’ultima all’acquario, ma non era riuscita a stare a più di tre metri da Afrodite. In più, Zenit non l’aveva presa di buon occhio. Artemis aveva provato a condividere la sua relazione speciale con lei, ma aveva visto che non era possibile. C’erano solo lei, il mare e nessun altro. E questo le andava più che bene.


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NOTE DELL'AUTORE: Hey peeps! Nuovo capitolo per voi! Il prossimo prometto di caricarlo tra lunedì e martedì, parola di Pepper! Le recensioni fanno sempre piacere, soprattutto perché mi danno la giusta motivazione per continuare a pubblicare. Un bacione a tutti! Buona serata! xxxo

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