Tempesta Elettrica

di Ormhaxan
(/viewuser.php?uid=104641)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01: Prologo ***
Capitolo 2: *** 02. Brown Sugar ***
Capitolo 3: *** 03. Dear Prudence (Pt. I) ***
Capitolo 4: *** 04. Dear Prudence (Pt II) ***
Capitolo 5: *** 05. Feeling Good ***
Capitolo 6: *** 06. Wind of Change ***
Capitolo 7: *** 07. Welcome to the Jungle ***
Capitolo 8: *** 08. Shake It Out ***
Capitolo 9: *** 09. New Shoes ***
Capitolo 10: *** 10. Love is only a Feeling ***
Capitolo 11: *** 11. This Picture ***
Capitolo 12: *** 12: F-word ***
Capitolo 13: *** 13: Notti Bianche ***
Capitolo 14: *** 14. Last night I dreamt that Somebody loved Me ***
Capitolo 15: *** 15. The Hardest Part ***
Capitolo 16: *** 16. See Emily Play ***
Capitolo 17: *** 17. Something Rotten ***
Capitolo 18: *** 18. Friends and Lovers (Pt. I) ***
Capitolo 19: *** 19. Friends and Lovers (Pt.II) ***
Capitolo 20: *** 20. Tomorrow ***
Capitolo 21: *** 21: Stand by Me ***
Capitolo 22: *** 22. Blue Velvet ***
Capitolo 23: *** 23: Espiazione ***
Capitolo 24: *** 24: Strawberry Swing ***
Capitolo 25: *** 25: This too shall pass ***
Capitolo 26: *** 26: Where Does The Good Go? ***
Capitolo 27: *** 27: Norwegian Wood ***
Capitolo 28: *** 28: Bloom ***
Capitolo 29: *** 29. All I Want ***
Capitolo 30: *** 30. Epilogo (Or Phones, Notes, Postcards and a Brand-new Life) ***



Capitolo 1
*** 01: Prologo ***


TE4


STORIA RIVISTA, EDITATA E AMPLIATA IL 13.01.2021



Berkley, California, 2011

 

“Candy!” la mia amica Laura si avvicina a me, veloce come un razzo e  mi prende per un braccio; mi scuote con forza, quasi fossi una bambola di pezza e punta il dito in direzione di un ragazzo con capelli color cenere tagliati a spazzola. E’ alto e con un fisico niente male, cammina sicuro lunto il sentiero di mattoni rossi che divide il verde prato all'inglese tagliato perfettamente, ma a differenza della mia amica, che lo guarda estasiata, io mantengo un atteggiamento rilassato, impassibile. “Candy, guarda quello!”

Sono sedute nel cortile antistante alla mia università di Berkley, in California, dove studio architettura da tre anni, approfittando di un ora di pausa dalle lezioni. La mia università è una delle più prestigiose della California, la più antica di tutte, ma grazie ai miei voti alti e alla mia uscita dalle scuole superiori con il massimo del punteggio non ho avuto problemi ad entrare ed essere ammessa. A tutto questo si è aggiunta la buona parola che mio padre - uomo stimato e conosciuto in tutta lo stato – ha messo con il rettore dell’università, suo vecchio amico e compagno di golf occasionale della domenica.

Se adesso vi state chiedendo chi mai io sia, vi toglierò subito il dubbio presentandomi. Mi chiamo Candice Roberts, - i miei amici mi chiamano Candy - e nei miei primi 22 anni di vita non ho mai dovuto pregare nessuno per avere ciò che volevo. Come vi ho già detto, mio padre è un magnate nel mondo della finanza e della moda ed è l’amministratore delegato di una famosa catena di negozi che vende abiti di alta moda in tutto il mondo. Ed è proprio grazie alla sua posizione privilegiata nel campo della moda che ha conosciuto, venticinque anni fa, mia madre, una ex modella francese con occhi blu da cerbiatta e capelli lunghi e neri. Mia madre ha dieci anni in meno di mio padre, cosa che fece piuttosto scandalo nella società perbenista dell’epoca, ma questo non gli ha impedito di conquistarla, sposarla, portarla in America e formare con lei una famiglia. Sin da piccola sono stata cresciuta nel lusso, nello sfarzo della nostra villa a Beverly Hills: da che ho memoria ricordo la mia casa pullulare di camerieri, tate e inservienti che mi servivano e riverivano dovunque andassi; mentre questo accadeva, mia madre frequentava i club più esclusivi della città, diventando una presenza suggente e distaccata come mio padre, da sempre stacanovista e gran sostenitore del lavo svolto fino a tarda notte. Nonostante il suo lavoro, però, mio padre mi ha sempre voluto bene e ha soddisfatto ogni mia richiesta, persino quella di avere un pony tutto mio per il mio nono compleanno. Lo so, ero una ragazzina viziata in tutto e per tutto, a detta di molti spocchiosa e distante, ma più di ogni altra cosa tutti coloro che avevano incrociato la loro strada con la mia fino a quel momento mi etichettavano come figlia di papà - una figlia di papà che frequentava altri figli di papà, ovviamente. Sfortunatamente per me non potevo dar loro torto.

Quello che, invece, non avrei mai potuto immaginare neanche lontanamente in quel momento, in quel mese di Ottobre del 2011, mentre me ne stavo distesa a godere del sole autunnale insieme alle mie compagne di corso, era che la mia vita sarebbe cambiata drasticamente e irrimediabilmente nel giro di un paio di settimane, quando l’azienda di mio padre andò in banca rotta dopo che il suo socio, un uomo meschino che non mi era mai piaciuto, scappò con la maggior parte dei soldi in qualche paradiso fiscale chissà dove.

“Laura, cara, lascia perdere quel tipo” continuò Barbara con la sua voce languida “Me lo sono sbattuto il mese scorso e, credimi, ce l’ha davvero piccolo”
A quella confessione tutte noi scoppiamo a ridere, e continuiamo tranquille a spettegolare sulle ragazze che incontriamo e sui ragazzi che ci guardano con  quello sguardo da macho che ci fa ridere a crepapelle ogni volta.

Quando mi sposto in biblioteca dell’università per studiare come faccio sempre tutti i pomeriggi, sento un paio occhi puntati su di me. Inizialmente non ci faccio caso, continuando a passeggiare tra i corridoi di marmo e legno pregiato che adornano quel luogo da più di cento anno, ma alla fine la curiosità prevale e, cercando di dare nell’occhio il meno possibile, alzo lo sguardo fino ad incontrare qualche tavolo più avanti quello di Richard Bloom. Richard è uno degli studenti più popolari di Berkley: primogenito  e figlio prediletto di un magnate di origini inglesi – nonché grande amico di mio padre, si capisce - da mesi mi muore dietro e cerca in tutti i modi di catturare la mia attenzione e le mie simpatie – se per simpatie si intende entrare nelle mie mutante, si capisce. Mi saluta con un cenno veloce della mano mano, mostrando il suo miglior sorriso sghembo, e per risposta io ne abbozzo uno tirato. Richard non è male come tipo, almeno questo devo concederglielo: capelli scuri tagliati corti, a spazzola, naso dritto e leggermente all’insù e occhi verde bottiglia; sa come vestirsi, firmato dalla testa ai piedi e il suo lieve accento inglese fa palpitare anche i cuori più freddi. Il suo unico, grande difetto è l’egocentrismo: parlerebbe di lui, della palla a nuoto – è capitano della squadra da due anni – e di come la sua famiglia sia ricca e agiata per ore, il che mi dà noia e mi ha fatto pensare più volte all’omicidio. In verità, sono pochi i ragazzi che dai miei diciassette anni – anno in cui ho dato il primo bacio ed ho avuto la mia prima storia, una storia estiva capitata durante una vacanza in Messico con le mie amiche – mi hanno interessato davvero, e sicuramente Richard non è uno di questi. Noioso: ecco come lo definirei, un tipo noioso e seccante, che non sa ammettere la sconfitta e ricevere un no in risposta. Ritorno al mio libro di architettura seicentesca, alla preparazione del mio esame che sarà tra qualche settimana e mi dimentico subito di quel galletto, sperando che capisca una volta per tutte che con me non c’è e non ci sarà mai storia.

La mia vita procede così per altre settimane, tra lezioni e preparazioni d’esami; tra feste con le amiche e shopping tra i negozi. Tutto è tranquillo, sta andando per il verso giusto, o almeno così penso fino a quando un giorno, una mattina per essere precisa, vengo svegliata da Laura, la mia compagna di stanza e succitata migliore amica, in modo piuttosto brusco. All’inizio non ci faccio molto caso, sicura che quello sia l’ennesimo tentativo di Laura di narrarmi nei minimi dettagli la sua ultima avventura notturna con chissà chi, ma l’ennesima protesta e tentativo di restare con la testa affondata nel cuscino la mia mente codifica le parole della mia amica e mette insieme le parole “telefono”, “mamma” e “urgente”. Sbadigliando mi alzo dal letto e inizio a pensare che ci sia qualcosa di strano in quella chiamata: mia madre non chiama mai la mattina presto, in effetti mi chiama di rado e solo nei weekend; perplessa, guardo il calendario e mi accerto che sia solo martedì. La questione si fa sempre più strana e preoccupante.

Candice!” la sua voce dall’accento francese è squillante quando rispondo salutandola con voce impastata di sonno, il suo tono è più alto del solito. Mia madre è l’unica che mi chiama Candice, nome preso da sua madre, una nonna dal viso austero che ho conosciuto solo in foto “Candice, mon cherie, devi tornare immediatamente a Los Angeles” mi dice senza troppi giri di parole e andando subito al sodo. Mia madre è sempre stata una donna diretta, questo glielo concedo.
“Perché mai dovrei tornare?” chiedo, perplessa e piuttosto seccata dal tono autoritario con cui si è appena rivolta a me “Ho lezione oggi e tutta la restante settimana e...” le parole mi muoiono in gola e una brutta sensazione prende piede dentro di me “E’ successo qualcosa a papà per caso? Ti prego dimmi che sta bene?”
“Sì, lui sta bene ma…” la sua voce si incrina lievemente, sembra quasi sull’orlo delle lacrime o, ancora, di una crisi di nervi “A dire la verità qualcosa è successo. Candice, non fare domande: prendi il primo volo per Los Angeles, anche in prima classe se necessario e torna qua appena puoi, chiaro?”
Non mi darà le risposte che cerco, adesso ne sono certa. Sospiro e, anche se lei non mi può vedere, annuisco e accetto. Senza salutare chiude bruscamente la chiamata ed io rimango ad ascoltare il “tu-tu-tu”  infinito del telefono, la cornetta ancora stretta nella mia mano destra.

“Tutto bene, Candy?” mi chiede Laura, la voce fintamente preoccupata, mostrando un altrettanto falso interesse che è solo una scusa per impicciarsi nei miei affari personali “E’ successo qualcosa a tuo padre?”
Scuoto la testa: “No, lui sta bene ma devo tornare a Los Angeles. Mia madre non mi ha detto il motivo e io brancolo nel buio più totale.” e anche se così fosse non te lo direi, penso, senza dirlo. Laura è una gran pettegola e se le confidassi qualcosa sono certa che il mio “segreto” sarebbe sputtanato su Facebook, twitter e su ogni chat di qualsiasi social network di sua conoscenza. No, non posso fidarmi di Laura, non posso fidarmi di nessuno. “E’ meglio se preparo le valige. Se i professori ti chiedono qualcosa di loro che sono dovuta tornare urgentemente a Los Angeles.” concludo mentre tiro da sotto il letto la mia valigia rigida di Louis Vuitton e inizio a riempirla con i primi vestiti che mi capitano davanti.

**


Tre ore dopo sono seduta su una comoda poltrona di pelle grigia situata nella prima classe dell’aereo che mi sta riportando a Los Angeles, in quella lussuosa villa che ancora per poco avrei chiamato casa. Arrivata in aeroporto trovo il nostro autista personale, Gregor, ad aspettarmi fuori dal gate. Mi saluta cordiale, e da bravo autista qual è si propone immediatamente di prendermi la valigia che io, stanca e con la testa piena di pensieri, gli lascio con molto piacere. Entrata nella spaziosa macchina dai vetri oscurati mi metto comoda e mi sfilo per alcuni minuti i piedi dalle ballerine di vernice rossa che indosso da quella mattina. Provo a chiedere a Gregor se sa qualcosa di ciò che sta accadendo a casa, il motivo per cui mi ha madre mi ha chiamato e ordinato di tornare a Los Angeles senza preavviso, ma lui scuote la testa da bravo soldatino addomesticato e dice che no, non sa assolutamente nulla.

Arriviamo alla villa dei miei genitori quasi mezz’ora dopo a causa traffico intenso che, come ogni giorno, blocca le strade della Città degli Angeli. Entrando in casa le mie narici si riempiono del profumo di cucina speziata che conosco tanto bene, segno che la signora Potter sta cucinando una delle sue prelibatezze per cena. Annuso meglio e sorrido: se il mio olfatto non mi tradisce, quello che sento è profumo di stufato, uno dei miei piatti preferiti. Mia madre non ha mai messo piedi in cucina, non si è mai avvicinata ai fornelli neanche per sbaglio, e durante tutta la mia vita è stata la signora Potter a cucinarmi pappine prima e pranzi e cene succulenti dopo. Da un certo punto di vista, quella donna sulla cinquantina, di costituzione robusta e con qualche ciocca di capelli argentata all’altezza delle tempie, è stata per molti aspetti più materna di quando la mia vera madre sia mai stata.

“Candice!” la padrona di casa sbuca dalle scale e si precipita a salutarmi con un aria trafilato: nonostante il suo trucco impeccabile e il suo tailleur rosa cipria il suo aspetto è diverso dal solito, il suo viso sconvolto. Mi abbraccia stretta, come non fa da anni e da quel gesto così inusuale per una donna distaccata come lei realizzo che è davvero successo qualcosa di grave.
“Mamma…” mi allontano appena da lei e la guardo sottecchi “Mamma, mi sembri sconvolta. Cosa sta succedendo?”
“Oh, tesoro” mi prende il viso tra le sue mani appena rugose e fredde e mi sorride malinconicamente. “Vieni, spostiamoci nello studio. Andiamo da tuo padre.”


Mi sposto insieme a mia madre nel grande studio dove mio padre è solito rinchiudersi quando è a casa. Come ho già detto, mio padre vive di lavoro e anche quando sta a casa non smette mai di stare attaccato al telefono e circondarsi di scartoffie di ogni tipo, anche quelle più inutili. Quando entriamo lo troviamo seduto dietro l’immensa scrivania di cristallo che ha fatto commissionare cinque anni prima: se ne sta ricurvo, il capo poggiato sulle mani giunte e gli occhi socchiusi come in preda a un attacco di emicrania; sembra essere in un mondo tutto suo, in una specie di trance, e se non lo conoscessi abbastanza bene azzarderei addirittura che stia pregando quel Dio a cui non ha mai creduto. Quando alza gli occhi rimango sconvolta dal suo sguardo vitreo, dal viso scavato; sembra essere invecchiato di dieci anni dall’ultima volta che l’ho visto, due mesi prima.

“Candy, tesoro” si alza dalla poltrona, lo fa quasi con fatica e mi abbraccia e mi bacia sulle guance “Che gioia per i miei occhi stanchi vederti a casa.”
“Papà, come stai?” chiedo con timore crescente e lui mi sorride. Sembra spossato, direi addirittura sofferente, come fosse un reduce di guerra.
“Vieni, sediamoci” faccio come detto e mi siedo insieme ai miei sul grande divano di pelle nera posto poco lontano dalla scrivania. Sono sempre più tesa. “Tesoro” inizia mio padre, guardando prima mia madre e dopo me “Sei grande ormai, una donna fatta e finita, quindi ti dirò le cose come stanno senza prenderti in giro o addolcirti la pillola” prende un profondo respiro e continua: “Da oggi in poi la nostra vita, la tua vita, cambierà totalmente.”
Io mi acciglio: cosa sta dicendo? Cambiamenti drastici, misteri, ma cosa succede? “Siamo al verde, in banca rotta!” continua, svelando l’arcano mistero “Non abbiamo più soldi, almeno non abbastanza per permetterci questa vita ed entro tre settimane dobbiamo lasciare la casa. So che ora sarai sconvolta, ma devi capire che niente di tutto questo è dipeso da me e che farò tutto ciò che è in mio potere per salvare il salvabile e dare a te e a tua madre una vita dignitosa.”

Sgrano gli occhi e boccheggio: non può essere vero, non deve essere vero. Guardo mia madre prima e mio padre poi, sconvolta. Sono sul punto di scoppiare a ridere istericamente e chiedere dove siano nascoste le telecamere, ma quando incontro nuovamente lo sguardo velato di mio padre capisco finalmente che o, non è uno scherzo: quello che ha appena ditto è la verità, la dura e triste realtà.
“Mi dispiace tanto tesoro mio, credimi. Odio me stesso per quello che ti sto facendo, ma ora dobbiamo essere forti e restare uniti.”
Forti. Uniti. Come posso rimanere forte in questo momento? Questo è l’inizio di un incubo, del mio personale incubo; è la fine della mia della mia vita che, da quel momento in poi, non sarebbe mai più stata la stessa.
 

*

Salve e grazie a tutti coloro che sono arrivati fin qui. Lo so, questo prologo è molto generico ed è solo un piccolo assaggio per farvi conoscere la protagonista, Candy.
Dal prossimo vedremo come la sua vita cambiarà ed entrerà in scena anche il protagonista maschile, Logan. Vi invito, se vi va, a lasciami una recensione con i vostri pareri, o anche più semplicemente per farmi notare errori e darmi consigli. Alla prossima ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 02. Brown Sugar ***





 

Storm

 


Tabacco, erba, filtro, leccata, rollata. Mi porto la canna alla bocca, estraggo lo zippo dalla tasca dei miei malridotti jeans. Strofino il pollice sulla superficie scanalata, striscio, ed ecco l’esplosione giallastra simile ad un fuoco d’artificio, la fiammella dai variegati colori che si sprigiona e illumina la stanza semibuia come un faro illumina la notte. Avvicino lo zippo alla cartina, e quando questa prende fuoco aspiro, riempiendomi i polmoni di quel fumo grigiastro che ributto fuori sotto forma di nuvolette qualche istante dopo. Lo guardo diradarsi nell’aria fino a scomparire, e socchiusi gli occhi caccio la testa all’indietro, inumidendomi le labbra e assaporando il retrogusto dolciastro che impregna le pareti della mia bocca.

In sottofondo la voce di Mick Jagger canta una della canzoni più belle e più controverse della sua band, i Rolling Stones: Brown Sugar. Primo singolo del loro nono album registrato in studio, Sticky Fingers, e scritta dallo stesso Jagger con la collaborazione dei uno dei miei miti, Keith Richards. La canzone parla di sesso, perdita della verginità, sadomasochismo e, ultima ma non ultima, della droga, dell’eroina. E’ una canzone che fa disdegnare i molti, ma a me.. oh, a me muove qualcosa dentro. Tocca le corde della mia anima, proprio come la musica dovrebbe fare.

Sia chiaro, io non ho mai fatto uso di quella merda, l’eroina, ma nei miei ventitré anni di vita non ho disdegnato cannabis, hashish, funghi allucinogeni e, in alcuni occasioni, LSD. Ho anche sniffato, due o tre volte, ma questo è tutto. La polverina bianca, denominata anche neve, mi provoca uno strano effetto, un’euforia malsana che non so controllare e che, puntualmente, sfocia in cazzate allucinanti. No, meglio una sana canna rollata con gli amici, il retrogusto dolciastro che ti lascia in bocca, il senso di beatitudine che annebbia il tuo sguardo e la tua mente. La cannabis mi aiuta ad aprire la mente, e nei momenti di blocco totale l’LSD mi catapulta in mondi sconosciuti, nella tana del coniglio bianco, dove il brucaliffo e lo stregatto astratto mi accolgono a braccia aperte come due amici di vecchia data.


Ah, Brown Sugar, how come you taste so good?” mi ritrovo a cantare insieme al vecchio Mick, mentre prendo l’ennesimo tiro dalla canna mantenendo gli occhi chiusi. Non sarà eroina, ma quell’erba è così buona.
“Storm, cazzo, smettila di fare l’egoista e passa anche agli altri!” la protesta di uno dei miei migliori amici, Kurt, mi arriva ovattata, lontana mille miglia.
Apro gli occhi con fare stanco, guardando il mio amico con la coda dell’occhio: sotto l’effetto della droga quel fottuto biondino è ancor più simile a Kurt Cobain, il suo mito e re indiscusso del movimento nato negli anni ’90 a Seattle chiamato Grunge. Kurt, proprio come Cobain, ha i capelli biondi e lungi fino alle spalle, gli occhi chiari e la pelle lattiginosa. Come Cobain è uno spirito tormentato e veste con camicie di flanella troppo grandi per lui. Come Cobain ama la musica, l’arte, la poesia. E’ il mio migliore amico, il fratello che non ho mai avuto, e insieme abbiamo fatto le migliori cazzate della nostra vita.
“Tieni, stronzo” mi allungo in avanti, tendo il braccio e gli passo la canna “E vedi di non finirtela, intesi? Per stasera temo sia l’ultima”
Do un’occhiata al tavolino, al guscio di noce di cocco essiccato utilizzato per miscelare il tabacco e la canapa ormai vuoto, al sacchetto di plastica trasparente altrettanto vuoto e tristemente mi accerto della veridicità delle mie parole: è finita, ce la siamo fumata tutta.

Mi lascio cadere a peso morto all’indietro, ritrovandomi steso sul divano più incosciente che cosciente, e passandomi una mano tra i miei capelli sbuffo. Devo ancora abituarmi ad averli corti, e spesso mi ritrovo a pensare di aver fatto una cazzata a tagliarmeli. Mi mancano i miei capelli, le onde castane che mi accarezzavano la schiena e si scompigliavano al vento. Mi manca il senso di protezione che mi davano, come se qualche ciocca in più potesse nascondermi dal resto del mondo. La mia nuca adesso è scoperta, e mi provoca uno strano senso di vulnerabilità, mentre ciuffi scarmigliati ricadono senza un verso preciso sulla mia fronte, solleticandomi gli occhi.
In sottofondo i Rolling Stones hanno lasciato il posto ad una voce femminile che identifico essere quella di Joan Jett, cantante e chitarrista, ex chitarra solista delle Runaways. La canzone, se le mie orecchie non mi ingannano, è la celeberrima cover di “I love Rock n’ Roll” eseguita nella sua versione più cattiva e selvaggia.

“ I love rock n' roll, so put another dime in the jukebox, baby.” canticchio, prima di scolarmi un generoso sorso di vodka che qualcuno mi ha passato.
Apro gli occhi e noto con mio grande piacere che il tavolino è stato adibito a cubo da discoteca. Su di esso, Molly Simpson, vestiti succinti e caschetto biondo, ha iniziato a ballare con mosse degne di una spogliarellista. E’ uno spettacolino trash, eppure quel culo che si muove sinuosamente fa risvegliare il mio amico chiuso nei pantaloni. Non scopo da più di due settimane, e l’astinenza si sta facendo sentire. Quando Molly mi guarda le faccio segno con una mano di avvicinarsi e lei, da brava cagnolina in calore, scende dal tavolino e si avvicina con passo sinuoso. Molly ha da sempre una passione per me, e anche se sa perfettamente che da me non avrà mai nulla al di fuori di qualche saltuaria scopata, continua a esaudire tutte le mie richieste.

“Storm!” pronuncia il mio nome con tono civettuolo e si siede a cavalcioni su di me.
“Ciao, Molly” saluto a mia volta, sbiascicando le parole. Gioco distrattamente con una ciocca dei suoi capelli, e passo un pollice sulle sue labbra carnose rese ancor più marcate dal rossetto rosso.
Senza aggiungere altro – lei sa perfettamente cosa voglio – serro una mano dietro la sua nuca e la bacio con irruenza, ficcandole la lingua in bocca. Fregandomene delle persone accanto a noi, dei loro possibili sguardi, inizio a spogliarla. Le sue mani sottili vanno subito al cavallo dei miei jeans, aprono la zip e in men che non si dica mi sta facendo un lavoretto di mano. Scopiamo su quello sgangherato divano: lei rimane seduta a cavalcioni su di me ed io, seduto sul divano con la testa reclinata all’indietro, le artiglio i fianchi e le do il ritmo giusto.

Quando tutto finisce me la tolgo di dosso, mi risistemo e mi avvio verso una delle camere da letto di quello sgangherato appartamento all’ultimo piano di un palazzo altrettanto sgangherato e mal ridotto a nord del Sunset Bouleverd. Trovo un materasso libero nella terza stanza che controllo, e a peso morto mi ci butto sopra, addormentandomi all’istante.

Mi risveglio che è l’ora di pranzo, e per un momento sono colto dal panico. Fosse stato un qualsiasi giorno della settimana mi sarei perso le lezioni in università, invece è domenica il che significa che sono in ritardo per il pranzo domenicale con mia madre. Nella stanza ci sono come minimo altre cinque persone; tutti dormono ancora, chi vestito e chi no, e faccio una faticaccia ad uscire da lì senza fare rumore. Una volta uscito da quella casa in cui sembra sia scoppiata la terza guerra mondiale prendo il primo tram utile e me ne torno nella mia, di casa. Più che casa la mia è un monolocale all’ultimo piano di un palazzo senza ascensore situato in una delle traverse del Sunset. Il monolocale è collegato ad una scala che conduce ad una specie di soffitta che ho allestito come mio atelier.

Mi reputo un fotografo, un aspirante fotografo, e per vivere lavoro come fattorino in un ristorante cinese. Esatto, il mio capo è un cinese emigrato in America quindici anni fa. E’ un buon diavolo il mio capo, Mr. Chen, e mi paga anche bene. Lavoro per lui tre sere a settimana, e all’occorrenza mi paga anche straordinari per lavare i piatti nelle sarete di pienone. Durante la mattina, invece, studio alla UCLA, Università della California di Los Angeles, alla facoltà delle Arti e dell’Architettura. Oltre ad essere un fotografo sono un grande appassionato della pittura, in particolare dell’Espressionismo Astratto americano degli anni ’50, e un grande estimatore di Jackson Pollock e Franz Kline.

Arrivato a casa mi fiondo in doccia, nella speranza di togliermi dalla pelle quella sensazione di sesso occasionale e ore piccole, mi lavo i denti e mi vesto con le prime cose che mi capitano sott’occhio. Prendo le chiavi della mia macchina – un rudere scassato, unico mezzo di trasporto che posso permettermi al momento – ed esco di casa con la speranza di non rimanere imbottigliato nel traffico per la prossima ora.
Mia madre abita a Van Nuys, un distretto a nord ovest di Los Angeles situato nella San Fernando Valley, e per anni ha lavorato come cameriera nelle case delle famiglie ricche e agiate di Los Angeles. Mio padre è morto quando avevo nove anni e da quel momento è stata mia madre l’unica ad occuparsi di me, a fare doppi turni e spaccarsi la schiena per darmi un’istruzione e un futuro migliore del suo. Devo tutto a mia madre, alla mia eroina, e spesso mi domando cosa avrei fatto senza di lei.

La porta d’ingresso della piccola villetta a schiera si apre non appena mi immetto nel vialetto di casa. Parcheggio la macchina davanti all’entrata del garage, e quando scendo dalla macchina mi ritrovo faccia a faccia con mia madre, una donna dal fisico robusto, appena entrata nei sessanta, che mi aspetta sotto il patio anteriore.

“Logan O’Connell, è mezz’ora che ti aspetto: si può sapere dove sei stato?” chiede, mani ai fianchi e viso corrucciato.
“Scusa, mamma, ma sono rimasto incolonnato nel traffico” la scusa del traffico funziona sempre, ma non sono sicuro che questa volta se la sia bevuta. Le do un bacio sulla guancia e le porgo un mazzo di margherite bianche che ho comprato il giorno prima da venditore di fiori un ambulante.
“Per questa volta ti sei salvato con i fiori” mi avverte, odorando le margherite “Ma la prossima volta non scappi, intesi?” mi da uno scappellotto e continua “Entra. Se aspettiamo ancora un po’ il pranzo si fredda.”

Ogni domenica mia madre apparecchia il tavolo in salone, imbandendo la tavola con svariate prelibatezze. Il pranzo domenicale è l’unico pasto decente che riesco a rimediare durante la settimana, e ne approfitto per mangiare più che posso. Se mi va bene, mia madre mi darà gli avanzi del pranzo per la cena e il giorno successivo. Attorno al tavolo parliamo del più e del meno, ridiamo e scherziamo, e il tempo passa velocemente.
Sono in attesa del dolce, della squisita torta di mele che solo mia madre sa fare, quando il mio sguardo cade sul quotidiano lasciato sul tavolino e sulla sua prima pagina. Lo apro e inizio a leggere: sulla prima pagina c’è il faccione di uno degli imprenditori più ricchi della città, James Roberts, e sopra di questa un titolo gigante scritto in grassetto.



“L’impero Robers va in fallimento. Botiques chiuse in mezzo mondo e famiglia sul lastrico.”



A quanto sembra il suo socio lo ha lasciato con un buco di milioni di dollari e il povero diavolo è stato costretto a vendere tutti i suoi beni pur di pagare i creditori e salvare la botique di New York e due di Los Angeles. Al lato c’è un’altra foto dell’uomo con la sua famiglia: alla sua destra c’è una donna che leggo essere sua moglie, una donna alta, magra, di dieci anni più giovane di lui. E’ di origini francesi ed è un ex modella. Alla sua sinistra, invece, c’è una ragazza che il giornale indica come sua figlia. Si chiama Candice, ed è l’unica figlia dell’imprenditore. E’ magra come la madre, più bassa di lei e sembra spensierata, felice. Sorrido, infastidito: ha il classico portamento da ragazzina viziata e sono sicuro che, in tutta la sua vita, non ha dovuto lavorare neanche un giorno, né faticare per ottenere qualcosa. Ho sempre odiato quelli come lei, quelli come loro, e una parte di me è felice delle loro disgrazie.
“Il Karma, alla fine, fotte tutti!” mi trovo ad esclamare, prima di rimettere il giornale al suo posto, sul tavolino.
In quell’esatto istante mia madre ritorna in salotto con la torta fumante, e ben presto dimentico quell’articolo, James Roberts, il suo fallimento, sua moglie e la sua figlioletta viziata, Candice.



*


Angolo Autrice: Salve, gente. Confesso che inizialmente questo secondo capitolo avrebbe dovuto essere dal POV di Candice, un seguito del prologo, ma all'ultimo ho deciso di anticipare il terzo (scritto dal POV di Logan) e posticipare quello di Candice. Come avete visto Logan è completamente diverso da lei, conduce una vita sregolata e agli antipodi rispetto a quella di Candy. Per quanto riguarda il titolo della storia, invece, è preso dal libro di poesie di Jim Morrison, cantante dei Doors, Tempesta Elettrica. Inoltre, se non l'avete notato da soli, Storm (ovvero il soprannome di Logan) in inglese significa proprio Tempesta. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e, se vi va, vi invito a lasciarmi una vostra recensione. Spero di non aver commesso errori, nel caso siete liberissimi di farmeli notare. Un grazie va a chi ha recensito lo scorso capitolo e a quelli che hanno insierito la storia tra le preferite\seguite. Al prossimo capitolo! ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 03. Dear Prudence (Pt. I) ***









Guardo i miei genitori nello stesso modo in cui guarderei due estranei, con distacco e diffidenza. Mio padre ha appena concluso il suo discorso catastrofico, ed io mi sento scombussolata e confusa; le sue parole mi hanno travolto come una valanga e la mia mente fa ancora fatica a comprendere quello che sta succedendo.
La nostra vita cambierà totalmente aveva detto, aggiungendo sempre più particolari sul come sarebbe cambiata.
Nel giro di tre settimane avremmo dovuto traslocare, lasciare la casa dove sono cresciuta, la casa in cui ho mosso i primi passi, perso il primo dente, dato la mia festa di sedici anni. Era stata una festa grandiosa, sfarzosa, in pieno stile Roberts e ricordo che per mesi, a scuola, non si parlò di altro. Ma la perdita della casa è poca roba se paragonata alla vendita del mio adorato stallone nero di otto anni, Black, con il quale ho vinto premi prestigiosi in tutto lo stato. L’equitazione è sempre stata la mia passione sin da bambina: mio padre mi ha regalato il mio primo pony all’età di nove anni e dal primo istante in cui ero salita in sella qualcosa in me era cambiato. In sella ad un cavallo mi sento libera, selvaggia, senza regole. In sella ad un cavallo posso scordarmi delle regole di mia madre, della mia posizione sociale; in sella ad un cavallo ero semplicemente Candy, una ragazza spensierata come tante.
Come se tutto ciò non fosse una punizione abbastanza dura, mio padre mi da il colpo finale dicendomi che avrei dovuto lasciare Barkley, la mia prestigiosa università, per iscrivermi alla UCLA, l’università pubblica di Los Angeles. Io, Candice Roberts, avrei terminato i miei studi in un’università pubblica. Era un’eresia.
Sgrano gli occhi: tutti a Barkley mi avrebbero deriso alle spalle, si sarebbero presi gioco di me. Sarei diventata lo zimbello di tutti, il gossip numero uno sulla bocca di tutti. Il solo pensiero mi infiamma le guance e vorrei nascondermi il più lontano possibile, dall’altra parte del mondo.

“Non potete farmi questo!” mi trovo ad urlare, alzandomi di scatto dal divano “La mia vita sarà rovinata, lo capite?”
Sono sull’orlo delle lacrime, ma sbaglio nel pensare che una sceneggiata del genere possa cambiare le cose: “Io non andrò ad una squallida università pubblica. Mai!”
“Bene, allora vorrà dire che non ci andrai affatto. - la voce di mia madre è calma, fredda come il ghiaccio - I soldi che abbiamo sono appena sufficienti per pagarti l’università pubblica, ma se tu non vorrai andarci li spenderemo per altre cose.”
“No, no! Io..” mi avevano messo spalle al muro: o università pubblica o nulla, ed io non avrei mai accettato il nulla. “Va bene, va bene. Andrò alla UCLA.”
“Ottima scelta.” mia madre annuisce appena “Dovrai trovarti una sistemazione... - si china in avanti e afferra un giornale - Ecco, qua potrai trovare un alloggio”
“State scherzando, vero?” sorrido, algida, mentre i miei genitori continuano a guardarmi senza mostrare alcun tipo di emozione. Sembrano due statue di marmo.
“Vorrei tanto che fosse così, Candy, ma questo non è uno scherzo. - è mio padre a parlare, la sua voce sembra sempre più stanca - Non posso fare più nulla per te, bambina. E’ tempo che tu ti dia da fare, che conosca il mondo.”
“Quindi dovrò vivere con altre ragazze, in qualche casa fatiscente e senza confort?”
“Non essere melodrammatica, Candice.” mia madre si accende una sigaretta “Nessuno è mai morto per questo. E poi vivere con altre persone potrà solo farti bene. Conoscerai nuove persone, ti farai le ossa. Io e tuo padre provvederemo al pagamento degli studi, ma questo è tutto. Per vivere dovrai vedertela da sola.”
“Lavorare? Dovrò trovarmi anche un lavoro?” i miei annuiscono nello stesso momento, ed io sono tentata di darmi uno schiaffo: deve essere un sogno, deve esserlo. “Io.. io ho bisogno di stare da sola. Scusatemi.”

Attonita, cammino lungo l’atrio, salgo le scale e raggiungo quella che, ancora per poco, sarebbe stata la mia camera. Aperta la porta la luce del sole proveniente dalla finestra mi acceca e sono costretta a chiudere gli occhi e ripararmi il viso con una mano. Mi guardo attorno: la mia camera è proprio come l’ho lasciata. Un senso di pace pervade le pareti, rendendo la stanza una specie di limbo, un piccolo eremo in cui posso rilassarmi. Il grande letto a baldacchino dalle tende di lino troneggia al centro della stanza. E’ perfettamente in ordine, le lenzuola non hanno una sola piega, e i cuscini profumano di buono, di pulito. Mi lascio cadere all’indietro, a peso morto e chiudo gli occhi. Mi è mancato il mio letto, il mio soffice e rassicurante letto. Riapro gli occhi e noto tre scatoloni vuoti abbandonati in un angolo della stanza, accanto all’armadio: non c’è bisogno di chiedere perché sono là, la loro funzione mi è subito chiara. Devo riempire gli scatolini con le mie cose, impacchettarle, e portarli chissà dove.

Mi alzo dal letto, improvvisamente spossata, e aperta l’anta di uno dei mobili poco lontani, estraggo il vinile di uno degli album più belli della storia dell’intera musica, album omonimo composto dalla mia band preferita, I Beatles, nel 1968, noto a tutti come White Album. Lo posai sul giradischi, piano, e ci appoggiai sopra la puntina di lettura, il pick-up, facendo partire la musica. Il primo brano è “Back in the USSR” composto come la maggior parte dell’album dalla coppia Lennon, McCartney.
Con la musica dei quattro di Liverpool in sottofondo prendo coraggio e inizio ad imballare le mie cose. Decido di iniziare con i pochi vestiti che ancora avevo a casa – la maggior parte era ancora a Berkley, nella mia “ormai non più” stanza della mia “ormai non più” università. Il solo pensiero di tornare là, di affrontare tutte quelle persone, di sopportare le loro occhiate, le domande di quell’impicciona di Laura mi provocava un senso di nausea. Metto i vestiti nello scatolone, piegandoli con cura: ogni vestito costa un occhio della testa, è stato disegnato dai più grandi stilisti del mondo della moda e mi ritrovo a pensare che, se mai mi ritrovassi al verde, ne potrei vendere qualcuno a buon prezzo.
Dopo i vestiti è il turno dei libri, dei miei amati libri disposti secondo regole ben precise. Tra le mie mani passano i romanzi di Kundera, di Jane Austen, Allende, Murakami, Sartre, di tutti i miei autori preferiti. Fin da bambina ho sempre trovato sollievo nella lettura, in quei racconti alla volte avvincenti, alle volte fantastici o strappalacrime che avevano la capacità di farmi dimenticare il mondo circostante e catapultarmi in uno totalmente nuovo.
Terminati i libri passo ai vinili: ho sempre amato i vinili, una passione che mi ha trasmesso mio padre. E’ stato lui a farmi scoprire la musica dei Beatles quando ero ancora una bambina, a farmi vedere Yellow Submarine, film d’animazione con protagonisti i quattro di Liverpool. Ricordo di esserne stata catturata, di averlo visto e rivisto fino alla nausea. Amo i Beatles con tutta me stessa, e nelle giornate grigie e tristi sono gli unici capaci di farmi sentire meno sola.

The sun is up, the sky is blu, it’s beautiful and so are you..” mi ritrovo a cantare, mentre in sottofondo si alternano le note di Dear Prudence, una delle mie canzone preferite. “Dear Prudence, won’t you come out to play?”
Metto anche l’ultimo vinile, un album di Eurinice Waymon, nota a tutti come Nina Simone, nello scatolone; lo chiudo e, preso lo scotch da imballaggio, lo sigillo.

Quando finisco quel duro e ingiusto lavoro il sole sta tramontando ed io mi sento stanca. Mi butto sul letto, sentendo improvvisamente le palpebre farsi pesanti, e nello stesso istante in cui scemano le ultime note di Julia, ultima canzone del lato B del White Album, chiudo gli occhi e mi addormento.


 
**


Vengo risvegliata un’ora e mezza dopo da mia madre che, neanche troppo gentilmente, mi scuote per una spalla e mi chiama. Riapro gli occhi, mettendo a fuoco e l’unica cosa che mia madre mi dice prima di uscire dalla mia stanza è di scendere da basso per la cena. Sbadiglio, ancora stanca, e anche se nel mio stomaco non è presente neanche una piccola traccia di fame mi trascino al piano di sotto, dove la tavola è stata imbandita di tutto punto e i miei genitori sono già seduti attorno all’imponente tavolo di mogano. Mi impongo un sorriso lascivo, privo di qualsiasi emozione, e mi seggo anche io. Dopo neanche due minuti mi viene servito uno stufato che, in situazioni normali, avrei divorato in pochi minuti; ma le circostanze non sono normali e tutto quello che voglio in quel momento è infilarmi sotto le coperte e dormire per cento anni. Invece prendo la forchetta e il coltello e mi impongo di mangiare: ogni boccone che passa faccio sempre più fatica a buttarlo giù e dopo sei, sette forchettate decido di averne abbastanza.

“Scusatemi, ma non ho fame. - annuncio mentre mi tolgo il tovagliolo bianco dalla gambe e lo poso sul tavolo. - Posso tornare in camera mia?”
I miei si scambiano una fugace occhiata e poi mio padre dice: “Ma certo, vai pure. Sicuramente sarai stanca. - sorride, ma il suo sorriso è più simile ad una smorfia di dolore che ad un sorriso - Buona notte.”
“Buona notte anche a voi.”

Tornata in camera mi spoglio, mi infilo la mia camicia da notte di cotone e mi infilo sotto le coperte. Chiudo gli occhi e sospiro, pensando a quello che dovrò fare l’indomani, ovvero terminare di imballare le mie cose e cercare una casa. Una casa: il solo pensiero mi manda ai matti. Io non ho mai convissuto con nessuno: nel campus a Berkley ho diviso per tre anni la stanza con Laura, certo, ma non ho mai pulito né tantomeno fatto le faccende domestiche. Non so cucinare, e il solo pensiero di pulire delle pentole o, peggio, un gabinetto, mi fa venire il voltastomaco. Mio padre mi ha detto che penserà lui al trasferimento nella nuova università, alla UCLA, e tutto ciò che dovrò fare sarà presentarmi tra due settimane alla facoltà di Arte e Architettura alle nove del mattino.
Mi giro su di un fianco e con un piede urto qualcosa: accendo la luce e vedo abbandonato ai piedi del letto il giornale che quel pomeriggio mi aveva dato mia madre. Lo prendo e inizio a sfogliarlo; è pieno di annunci pubblicitari, annunci di affitti di case per studenti e non. Continuo a sfogliarlo, leggendo annunci di tutti i tipi, nomi che non mi rimangono impressi e stufa lo chiudo e lo lancio per terra. Non ho voglia di pensare a queste cose, non ora. Ci penserò domani mattina, dopo una sostanziosa colazione e una sana dormita. Spengo nuovamente la luce, mi accoccolo meglio sotto le coperte e mi addormento dopo qualche minuto.

 

**


Cinque giorni più tardi sono ancora alla ricerca di una casa che soddisfi le mie aspettative. Fino ad ora ho chiamato un paio di numeri, visto qualche casa, ma nessuna di esse mi ha lasciato soddisfatta. Mentre me ne sto in giardino a sorseggiare una bevanda fresca e sfogliare per l’ennesima volta quel dannato giornale, il mio sguardo cade su di un annuncio che fino a quel momento non avevo notato. Più che l’annuncio in sé, è il nome della ragazza a colpirmi: Prudence. Prudence Reed, ventiduenne laureanda in Letteratura Straniera, in ricerca di una ragazza con cui dividere l’affitto. L’annuncio dice:


“Cercasi coinquilina con cui dividere l’affitto. Appartamento situato a Westwood, a cinque minuti dalla UCLA e dieci dalla Santa Monica Blvd. Astenersi perdigiorno!”


All’annuncio segue l’indirizzo dell’appartamento e il numero di telefono di questa Prudence. Increspo le labbra e rileggo più volte l’annuncio, indecisa sul da farsi. Sembra un’ottima offerta e, almeno all’apparenza, questa Prudence pare essere una ragazza con la testa sulle spalle. Sì, l’avrei chiamata. Afferro il cellulare, compongo il numero e attendo. Alcuni secondi più tardi, una voce femminile assonnata e leggermente sbiascicata rispose.


_____________________________________________________________________________________________________________________

Salve a tutti! Secondo capitolo dal POV di Candy, dove abbiamo scoperto qualcosa in più su di lei. Il prossimo, che sarà la seconda parte, verrà narrato da un nuovo POV, quello di Prudence, un new entry della storia. Conosceremo anche lei, e vedremo come la sua vita si intreccerà con quella di Logan e Candy. Spero che la storia vi stia piacendo, e vi invito a lasciarmi una recensione. Mi farebbe piacere avere una vostra opinione. Al prossimo capitolo ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 04. Dear Prudence (Pt II) ***








Prudence





“Prue, ho bisogno di due birre rosse al tavolo diciotto!” esclama con voce alta la cameriera dai capelli neri mentre poggia le mani sul bancone e si sporge in avanti, in attesa di una mia risposta.
La guardo con la coda dell’occhio, sporgendomi con la schiena all’indietro e mantenendo salda la presa sul bicchiere di birra e sul pomello dorato collegato al rubinetto dal quale sta fuoriuscendo il liquido ambrato. Quando la birra è al colmo, lascio andare il pomello e con una spatola tolgo la schiuma in eccesso; faccio una rotazione di trecentosessanta gradi col corpo e poggio il bicchiere sul bancone, davanti al tipo con il muso da cavallo.
“Arrivano!” esclamo a mia volta, con la stessa intensità di voce, e afferrati alti due bicchieri di vetro ripeto la procedura.

Mi chiamo Prudence Reed, ho 22 anni, e lavoro da oltre un anno in uno dei club più famosi di Los Angeles, il Whisky a Go Go. Situato nella zona di West Hollywood è uno dei più antichi locali di LA, un ritrovo di anime rock. Proprio tra queste quattro mura sono stati scoperti i Doors, leggendario gruppo capitanato da uno dei miei miti, Jim Morrison. Ci lavoro come barista e, credetemi, ho dovuto penare per avere questo posto. Lavorare al Whisky non significa solo distillare birra, servire hamburger e pulire tavoli, ma anche poter ascoltare tutti gli artisti più in voga del momento, poterli incontrare, parlarci. Sul palco del Whisky sono passati i Motley Crue, i Guns n Roses, i Led Zeppelin e altre miriadi di band che hanno fatto la storia. Lavorare al Whisky mi fa sentire fortunata, anche se la maggior parte delle persone non la penserebbe come me. Io, però, me ne sono sempre fregata dei pensieri della gente, dei loro pregiudizi: io vivo alla giornata, vivo intensamente ogni attimo come fosse l’ultimo.

Sono nata in una comunità Hippie situata a Santa Cruz, a due ore e mezza da LA. I miei genitori sono due Hippie incalliti, ed io sono la loro figlia più piccola. Oltre me hanno altri tre figli, due maschi ed una femmina, e ad ognuno di noi hanno insegnato la tolleranza, l’amore e il rispetto per ogni essere vivente. Sono contro la violenza, la guerra e ogni tipo di pregiudizio: per me non esistono le differenze etniche, le classi sociali; siamo tutti uguali, nessuno escluso.

Frequento il terzo anno di università alla UCLA e vivo in un modesto appartamento situato a Westwood. Studio lingue straniere, nello specifico Spagnolo, Italiano e Giapponese. Quest’ultima lingua la studio da pochi mesi, e posso dire di conoscerla davvero poco. Per fortuna ho Arashi Koizumi come amico. Arashi studia Psicologia alla UCLA, frequenta il secondo anno. Ha 21 anni ed è figlio di Giapponesi emigrati in America. Suo padre è un famoso psicologo e Arashi ne sta seguendo le orme. Certo, è anche un hipster incallito con la passione della musica indie e dei film Italiani degli anni ‘50 che fuma troppa erba, ma su quest’ultima cosa io non posso mettere bocca. Io, Prudence Reed, ventiduenne laureanda in lingue straniere, fumo erba da quando ho diciassette anni. Più volte ho cercato di smetterla, e un paio di volte ho ottenuto grandi risultati, ma arrivata all’università ho conosciuto Kurt e Storm e tutti i miei buoni propositi se ne sono allegramente andati a puttane.

“Prue!” mi sento chiamare da una voce maschile, e alzato lo sguardo mi ritrovo proprio Kurt e Storm dall’altra parte del bancone.
“Ciao, ragazzi.” Li saluto, sventolando una mano a mezz’aria e sorridendo. Vederli non è una sorpresa, anzi. Ogni sabato sera, poco prima della fine del mio turno di lavoro, Kurt e Storm passano sempre dal Whisky e mi riaccompagnano a casa. Sono sempre gentili con me, premurosi e li considero come due fratelli maggiori. “Il solito, giusto?” annuiscono all’unisono e senza aggiungere altro li preparo due pinte della loro birra preferita: la Guinness.
“Serata piuttosto tranquilla.” Nota Kurt, mentre gli servo la sua birra.
“Fortunatamente sì. Questo weekend non ci sono state esibizioni live.” Porto in alto le braccia e sbadiglio: sono quasi le tre di notte e sono stanca morta. “Non avrei retto un altro sabato come quello appena passato.”
“Stacchi alle tre, giusto?” chiede retorico Storm, prima di prendere un sorso della sua birra nera. Io annuisco. “Dopo ti va se veniamo da te? Giusto per stare insieme e fumarci qualcosa.”
“Tu pensi sempre a quello, uh?” alzo un sopracciglio e Storm sghignazza. Alzo gli occhi al cielo, arrendevole, e aggiungo “Va bene, ma basta che non si trasformi nel solito via vai di gente, chiaro?” li punto un dito contro, minacciandoli.
“Tranquilla, non ci sarà alcun festino…” Kurt ghigna e si corregge “Non oggi, almeno.”
“Siete proprio due coglioni” scuoto la testa: che male ho fatto per avere due impiastri come loro tra i piedi? “E sia. Ci vediamo fuori al locale alle tre e quindici. Ora è meglio se torno al lavoro, non voglio avere grane per colpa vostra.”

Terminato il mio turno esco da dietro quel dannato bancone impregnato di birra e lascio il mio posto ad uno dei ragazzi che solitamente servono ai tavoli. Come il bancone, anche io puzzo di birra e mi appunto mentalmente di fiondarmi sotto la doccia una volta a casa. Le birre rovesciate non mancano mai, sono un classico, un evergreen, e dopo tutti questi mesi passati a distillarle dovrei essermi abituata a queste cose, no? No! Non mi sono abituata proprio per nulla, soprattutto non mi sono abituata alla birra versata sulle mie adorate Dr. Martens nere.
Mi sposto nei camerini, dove mi tolgo il grembiule e la maglia nera uguali agli altri grembiuli e maglie nere degli altri camerieri che lavorano nel Whisky, e rimetto i miei vestiti. Saluto un paio di ragazze, do loro la buona notte ed esco dall’uscita posteriore.
Uscita in strada un vento freddo mi colpisce il viso accaldato e si insinua tra i miei dreadlocks. Sì, i miei capelli sono un ammazzo di dreadlocks scompigliati e tenuti a bada da una fascia posta poco sopra la fronte che me li tiene tirati indietro. Ho fatto il mio primo dread all’età di 15 anni, o forse dovrei dire che è stato uno dei miei fratelli maggiori a farmelo. Spesso i miei fratelli mi utilizzavano come cavia per i loro esperimenti, e quello dei dreads è stato solo uno dei molti.
Mi alzo il bavero della giacca e inizio a guardarmi attorno, alla ricerca di Kurt e Storm. Li vedo poco lontano, a qualche metro dall’ingresso del Whisky, e aumentato il passo li raggiungo.

“Prue, finalmente!” esclama Kurt, impettito. “Ti stiamo aspettando da un secolo.”
“Non sai che le donne si devono sempre far attendere?”
“Donne?” si alza sulla punta dei piedi e mentre si guarda attorno chiede retorico: “Dove, dove?”
Io gli do un pugno sul braccio, fingendomi offesa, e lo insulto: “Stronzo!”
“Dai, bambini, non bisticciate” Logan si intromette tra noi e, prese le chiavi della macchina, ci fa segno di seguirlo.

Un’ora dopo siamo a casa mia, stravaccati sul divano a bere vodka. Logan è alle prese con una canna, l’ennesima che si sta rollando stasera, e Kurt è già mezzo sbronzo. Anche io sono un po’ alticcia, ma non me ne importa: l’indomani mattina non ho lezione e potrò dormire tutto il giorno.
“Cazzo, sono sbronzo!” annuncia Kurt, passandosi una mano sul volto.
“Ma dai? Non l’avrei mai detto.” Rido e il biondo mi dedica un dito medio.
Storm mi passa la canna che ha appena acceso, concedendomi l’onore del primo tiro, e nella stanza cala nuovamente il silenzio. Kurt si stende sul tappeto, ai piedi del divano e con una delle sue frasi “poetiche” distrugge quel clima di pace e serenità che si è formato.
“Prue, lasciatelo dire: da questa angolazione le tue tette sembrano davvero gigantesche!” si porta le mani al petto e le chiude a coppa, così da sottolineare meglio il concetto.
“E tu, quando bevi, sei più arrapato del solito.” Rispondo a tono, e in risposta Kurt scoppia a ridere. Non lo sopporto quando è ubriaco; diventa uno stronzo e cerca in tutti i modi di convincermi a fare sesso con lui. “A volte mi chiedo che problemi tu abbia.”
“E tu sei una frigida, ecco cosa sei” sbiascica, puntandomi un dito contro “Dovresti lasciarti andare, ogni tanto. Dimmi, da quanto tempo non ti fai una sana scopata, eh?”
“Non sono cazzi tuoi, Kurt. E poi lo sai che io non sono come voi: non riesco a sbattermene uno diverso a sera, una persona che non conosco.”
“Beh, se vuoi puoi sempre farti sbattere da noi” puntella i gomiti a terra e si alza appena con la schiena “Possiamo fare una cosa a tre, oppure Storm potrebbe guardarci mentre scopiamo.”
“Crepa, biondo!” Storm parla per la prima volta: i suoi occhi sono privi di emozioni, la sua voce piatta “E smettila di dire queste stronzate. Prue è nostra amica, non una che puoi portarti al letto.”
Kurt sbuffa, ancora e rotea gli occhi. “Siete due guastafeste.”
“E tu sei decisamente ubriaco” si alza dal divano e mi guarda “La stanza è ancora libera, vero?” chiede ed io annuisco “Perfetto!” prende Kurt per un braccio e lo fa alzare “Vieni, stronzo, andiamo a dormire.”
Logan mi da un leggero bacio sulla guancia e, riacciuffato Kurt, mi augura la buona notte e se ne va in camera insieme al nostro amico.

Rimango sveglia ancora un po’ e tolgo i residui di cicche di sigarette e filtri spenti dai posaceneri e svuoto il restante contenuto di vodka nel lavandino della cucina. Ripenso alle parole di Kurt e mi sento uno schifo. Conosco Kurt da anni, ancor prima di Storm, e da subito siamo diventati inseparabili. Gli voglio bene, alcune volte penso addirittura di amarlo, ma lui è troppo diverso da me. Lui è un animo tormentato, è autodistruttivo, e tra noi non potrebbe esserci nulla. Quello di cui sono certa è che mai andrò al letto con lui, mai cederò alle sue deliranti richieste. Quelle richieste vengono fatte da un’ubriacone, non dalla persona gentile e affettuosa che conosco, dal ragazzo che è per me una seconda famiglia.
Una volta tolte le bottiglie e le sigarette dal tavolino decido che è tempo di andare a dormire. Con passo stanco mi dirigo verso la mia stanza, e messo il pigiama mi infilo sotto le coperte. Mi chiedo quanto ancora andrà avanti questa storia, quanto tempo passerà prima di trovare una nuova coinquilina. La ragazza con cui dividevo l’appartamento si è defilata da un giorno all’altra. Aveva avuto un illuminazione, così aveva detto, e voleva andare a Las Vegas con il suo ragazzo, sposarsi al cospetto di un sosia di Elvis, trovare una casa nei pressi di una fattorie e sfornare qualche marmocchio. Sorrido ad occhi chiusi nell’oscurità della notte: quella era davvero fumata, ma spero per lei che i suoi sogni si avverino. Per me, invece, spero in una nuova coinquilina con la testa sulle spalle, una ragazza acqua e sapone senza troppi grilli per la testa. Una nuova amica: ecco chi spero di conoscere nel mio prossimo futuro, una buona amica.


 
**


Il cellulare posto sul comodino accanto al letto inizia a squillare spietato. Sono ancora nel mondo dei sogni, e non ho alcuna intenzione di svegliarmi; il telefono continua a squillare, ed esasperata sbuffo, apro gli occhi e, afferrato quel dannato affare elettronico, rispondo alla chiamata.

“Pronto?” la mia voce sembra provenire dall’oltretomba e mentalmente mi rimprovero per aver bevuto e fumato la sera prima.
“Salve, sto cercando Prudence Reed” mi risponde una voce femminile. Sembra una tipa a modo, e dall’accento capisco subito che è Californiana, probabilmente di LA.
“Sono io” rispondo, mettendomi a sedere. Mi stropiccio uno occhio e continuo: “Come posso aiutarti?” cavolo, sembro una di quelle tizie che lavorano nei call center.
“Ho letto il tuo annuncio sul giornale, quello riguardante l’affitto, e vorrei sapere se la stanza è ancora disponibile.”
Tutta d’un tratto sono sveglia, sveglia come non mai. Hanno chiamato, finalmente qualcuno ha chiamato per la casa.
“Sì, è ancora disponibile” sorrido tra me e me, vittoriosa “Puoi venire quando vuoi… ehm, come hai detto che ti chiami?”
“Non l’ho detto.” Precisa lei, presentandosi subito dopo “Mi chiamo Candice, Candice Roberts.”
“Bene, Candice, se ti va puoi venire anche oggi stesso.”
“Perfetto. Dammi un paio d’ore di tempo, va bene?” le dico che non ci sono problemi, che può venire quando vuole. “Va bene, allora a più tardi.”
“A più tardi” faccio eco, e chiudo la chiamata.

Scosto le coperte, buttandole dall’altra parte del letto, e infilate le pantofole mi fiondo verso la stanza da letto in cui, sono sicura, stanno ancora dormendo Kurt e Logan. E infatti eccoli là, che dormono della grossa su di un letto non loro, mezzi nudi e con i capelli sparati da tutte le parti. Cerco di svegliarli, scuoto prima l’uno e poi l’altro, ottenendo i risposta dei mugugni indecifrabili. Sto per passare alle maniere forti, quando Logan apre gli occhi e mi guarda con fare interrogativo.

“Alzatevi, presto. Tra due ore arriverà una ragazza per vedere la casa e vi voglio fuori di qui tra mezz’ora.”

Logan continua a guardarmi: non so se ha capito o meno ciò che gli ho detto, fatto sta che scuote senza troppa gentilezza Kurt, svegliandolo. Il biondo impreca, lo manda al diavolo, ma alla fine i due si alzano, scroccano una colazione veloce e, fortunatamente per me, vanno via. Rimasta sola, mi rimbocco le maniche e inizio a rassettare la casa da cima a fondo. Sono decisa a giocarmi tutte mie carte, e se ogni cosa andrà per il verso giusto entro la fine della giornata avrò una nuova coinquilina.




*


Angolo Autrice: Salve a tutti. Eccomi di ritorno con un nuovo capitolo, un capitolo narrato da un nuovo punto di vista. Come sicuramente avrete notato la copertina è diversa, e rappresente i co-protagonisti della storia: Kurt (il biondo a sinistra), Prue (la ragazza a destra) e altri due nuovi personaggi che ancora devono fare la loro comparsa. Di uno di loro, Arashi, ne ha parlato velocemente Prue, mentre la ragazza rossa entrerà in scena più avanti. Non vi svelo il suo nome, nè la sua parte: lo scoprirete leggendo. Ringrazio tutti coloro che fino a questo momento hanno letto la storia, l'hanno messa tra le seguite e hanno recensito. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi invito a lasciare una recensione. Alla prossima ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 05. Feeling Good ***






 


It's a new dawn, It's a new day, It's a new life
For me [...] And I'm feeling good

Candice
 




Salve, sto cercando Prudence Reed.” esordisco con voce pacata quando la ragazza dall’altro capo risponde.
Sono io. - Prudence ha la voce impastata di sonno:- Come posso aiutarti?”
Ho letto il tuo annuncio sul giornale, quello riguardante l’affitto, e vorrei sapere se la stanza è ancora disponibile.”
Sì, è ancora disponibile. - risponde e un lieve sorriso compare sul mio volto - Puoi venire quando vuoi… ehm, come hai detto che ti chiami?
Non l’ho detto.” Preciso e poi mi presento: “Mi chiamo Candice, Candice Roberts.”
Bene, Candice, se ti va puoi venire anche oggi stesso.”
“Perfetto. Dammi un paio d’ore di tempo, va bene? Prudence dice che non ci sono problemi, che posso andare a vedere la casa quando voglio “Va bene, allora a più tardi.”
A più tardi” conclude, e chiudo la chiamata.

Ho delle ottime sensazioni riguardo a quell’appartamento, un sesto senso che inconsciamente mi dice tutto andrà bene. Per una volta sono positiva, e senza perdere tempo finisco il mio the freddo e preso il volantino torno in casa. Mi faccio una doccia, mi lavo i capelli e li asciugo accuratamente. Apro l’armadio, ormai mezzo vuoto, e prendo un paio di jeans e una maglia con scollo a barca dalle righe orizzontali bianche e nere. Ai piedi metto delle all star nere, e trucco leggermente gli occhi con del mascara e un filo di ombretto. Voglio essere semplice, fare una buona impressione. Normalmente mi sarei vestita con abiti più sgargianti, più costosi, invece per quell’occasione non voglio strafare, non voglio dare nell’occhio. Dopo tutto, d’ora in avanti la mia vita cambierà totalmente, diventerà più modesta e tranquilla ed sarà meglio per tutti che io inizi a cambiare tenore sin da subito.

“Candice, dove stai andando?” mi chiede mia madre, facendo la sua comparsa nell’ingresso, mentre io mi infilo la giacca.
“Sto andando a Westwood, a vedere un appartamento.” Mia madre rimane in silenzio, limitandosi ad annuire “Ho chiamato una ragazza, prima, una ragazza con cui andrei a convivere nel caso la casa mi piacesse, e mi ha detto che posso andare quando voglio.”
“Bene, allora vai.” ordina, enfatizzando la frase con un gesto della mano che mi ordina di uscire. “Ma vedi di tornare per cena, ok?”
“Certo, mamma. Sarò di ritorno entro le otto.”


Uscita di casa prendo un taxi che mi porta a Westwood. Con mio grande stupore appuro che non è troppo distante da Beverly Hills – quindici minuti, venti se contiamo il traffico – e che la zona sembra tranquilla e ben tenuta. Arrivati all’indirizzo, il taxi si ferma e pago l’uomo di origini indiane seduto al posto di guida. Scendo e mi ritrovo davanti ad un palazzo di quattro piani, di colore ocra; a questo si accede tramite un cancelletto di ferro battuto e un piccolo vialetto costeggiato da un prato all’inglese e alcuni arbusti di varia natura. Leggo i vari nomi posti  sul citofono esterno e trovato il nome che cerco pigio il pulsante e attendo che qualcuno venga a rispondere.
Sì, chi è?” chiede la voce squillante di Prudence.
“Sono Candice” rispondo e come per magia il cancelletto alla mia sinistra si apre.

Entro nel portone, e con somma gioia scopro che in quel palazzo c’è l’ascensore. Sorrido compiaciuta: gli ultimi due appartamenti che ho visitato erano sprovvisti di ascensore e questo era stato un’ulteriore motivo che mi aveva spinto a girare i tacchi e depennare il loro annuncio dal volantino. Entro in ascensore e pigio il pulsante con sopra disegnato il numero tre; l’ascensore inizia a salire, e velocemente mi specchio per controllare che i miei capelli siano ordinati. Quando si ferma con un piccolo sobbalzo, le porta si aprono automaticamente e mi ritrovo in un piccolo pianerottolo: davanti a me ci sono due porte laccate di marrone scuro e accanto a queste ci sono i pulsanti del campanello e delle targhette con sopra scritto il nome dell’inquilino. Noto che una delle due porte – quella alla mia destra – è socchiusa e letto il nome sulla targhetta capisco che è l’appartamento di Prudence. Mi avvicino a passo lento e quando sto per suonare il campanello ecco che la porta si apre, lasciandomi con il dito a mezz’aria, a pochi centimetri dal pulsante. Porto lo sguardo verso la porta e sgrano impercettibilmente gli occhi: la ragazza davanti a me è molto diversa da come me l’ero immaginata, sembra provenire dagli anni ’60.
Quella che identifico come Prudence Reed ha un viso leggermente squadrato, labbra sottili che si allungano in un sorriso, occhi verdi e una marea di dreads color cioccolato che le ricadono dietro la schiena e arrivano poco sopra ai glutei; è vestita con un gonnellone verde pastello e una casacca bianca dai bordi neri. Nonostante ciò, qualcosa nel suo viso mi ispira fiducia, sicurezza, e decido di non fermarmi all’apparenza e darle una chance.

“Tu sei Prudence, giusto?” chiedo retorica e lei annuisce. “Tanto piacere, io sono Candice.”
“Il piacere è tutto mio, Candice.” Fa un passo indietro e mi fa segno di entrare “Prego, accomodati.”
“Grazie.” Entro in un piccolo ingresso illuminato esclusivamente dalla luce della finestra del soggiorno alla sua sinistra. Prudence mi prende la giacca e la borsa e ci spostiamo nel soggiorno.
Anche il soggiorno è minimalista, semplice: c’è una libreria alla mia destra, un divano che ha visto giorni migliori, una tv, un tavolino, e più in fondo un tavolo da pranzo. A destra, poco lontano dalla libreria, c’è una porta che dà su di un piccolo cucinino.
“Vuoi qualcosa da bere?” mi chiede Prudence, spezzando il silenzio “Ho del succo di frutta, del the freddo, o se vuoi posso farti un caffè o della cioccolata calda.”
“Potrei avere un bicchiere d’acqua?”
“Acqua?” fa eco lei, aggrottando appena la fronte. “Ma certo, certo.” Sorride “Siediti pure sul divano, torno subito.”
Faccio come mi ha detto e mi siedo sul divano; è piuttosto comodo, più comodo di quanto pensassi. Continuo a guardarmi attorno, notando i quadri appesi alle pareti, delle riproduzioni di opere d’arte. Il mio sguardo si sofferma sulla riproduzione di un quadro di Vincent Van Gogh, “Notte stellata”, opera del 1889, una delle mie preferite.
“Ti piace Van Gogh?” chiede Prudence, tornata dal cucinino ed io annuisco “Anche a me piace moltissimo, e come forse avrai capito sono un’appassionata di arte.”
“Io studio architettura” confesso con una certa tranquillità “Fino a poco tempo fa studiavo a Berkley, ma dalla settimana prossima sarò a tutti gli effetti una studentessa della UCLA.”
“Anche io studio alla UCLA!” esclama, serafica “Studio Letteratura Straniera. E’ un’ottima università la UCLA, nonostante ciò che molti pensano. Certo, magari per te sarà difficile all’inizio, ma vedrai che ben presto la nostalgia di Berkley passerà”
“Lo spero.” Dico semplicemente, e la ringrazio mentalmente per non avermi chiesto il motivo del mio trasferimento. Tutti gli altri ragazzi, quelli delle altre case, non avevano perso l’occasione di impicciarsi dei miei affari, ma questa Prudence sembra diversa, sembra una tipa tranquilla, che non dà peso a queste cose.
“Quanti anni hai?” chiedo io, curiosa.
“Ventidue” risponde e poi chiede: “Tu?”
“Anche io. Sono nata e cresciuta qua a Los Angeles, anche se mia madre è francese.”
“Francese? Wow, allora avrai sicuramente un’ottima conoscenza della lingua.”
“Più o meno” confesso, grattandomi distrattamente la nuca: non sono un’amante della lingua francese, la trovo troppo smielata. “Non parlo francese da un po’ di tempo, da quando i miei nonni materni sono venuti a mancare.”
“Mi dispiace.” Dice e sembra sincera. Prende un sorso del suo succo di frutta e continua: “Io, invece, sono nata e cresciuta a Santa Cruz, a nord di LA. I miei genitori sono due hippie” confessa e finalmente comprendo il suo stile nel vestire. “Non hai problemi con la comunità hippie, vero?”
“No, nessun problema.” Rispondo ed è la verità. In effetti, ritenevo la comunità hippie estinta, ma a quanto pare così non è.
“Bene, in questo caso possiamo procedere” si alza dal divano e dice: “Vieni, ti faccio vedere il resto della casa.”

Il resto della casa è semplice e minimalista come il soggiorno e l’ingresso. Il bagno, però, è abbastanza grande per due persone, così come la stanza da letto. Le pareti della stanza sono bianche, il letto è da una piazza e mezza e oltre ad esso ci sono un armadio e un comò con tre cassetti. Prudence dice che la potrò personalizzare come voglio, di non farmi problemi di alcun tipo. Mentre mi fa vedere la casa continuiamo a parlare, e con lei mi sento più a mio agio di quanto non lo sia mai stata con Laura e con le altre ragazze di Berkley. Con lei non mi sento sotto processo, perennemente giudicata: con lei posso dire e fare qualsiasi cosa, essere semplicemente Candice.

“Allora, cosa ne pensi della casa?” chiede una volta tornate in soggiorno.
“E’ davvero carina, e poi è vicina all’università.”
“L’università è a dieci minuti a piedi, cinque se prendi l’autobus. Ma quest’ultimo te lo sconsiglio” arriccia il naso, quasi disgustato “La gente che non si lava è molta.”
Di rimando anche io arriccio il naso e mi appunto mentalmente di non prendere mai e poi mai l’autobus.
“Lo terrò a mente” dico e le sorrido sorniona. “Per quanto riguarda la casa, invece, credo proprio che tu mi abbia convinta.”
Gli occhi di Prudence assumono una nuova luce e la mora non nasconde la sua felicità: “E’ grandioso. Allora, se per te va bene, puoi iniziare a portare le tue cose anche da sabato. Per le carte da firmare ci penso io.”
“Grazie, sei molto gentile.” Le tendo una mano e la guardo negli occhi: “Allora affare fatto, coinquilina.”
Prudence stringe la mano: la sua stretta è forte, decisa e mi piace. Mantiene il mio sguardo e dice: “Affare fatto, coinquilina.”

 

**



Due giorni più tardi sono a Berkley per prendere la mia roba. E’ venerdì pomeriggio e l’università è mezza vuota: la maggior parte degli studenti torna a casa per il weekend, e questo mi da modo di camminare per il viale del giardino prima e per i corridoi degli appartamenti poi senza essere vista o dare nell’occhio.
Arrivato al mio appartamento infilo la mia roba in una valigia, e non so come riesco a farci stare tutto senza farla scoppiare. Prima di uscire do un’ultima occhiata a quella che per due anni è stata la mia casa e sospiro malinconicamente. Lascio la mia chiave al custode al piano terra ed esco dal dormitorio. Sto per tornare al mio taxi, taxi che in quel frangente mi ha aspettato fuori ai cancelli di Berkley, quando una voce femminile a me nota mi chiama. E’ Laura e nel vederla non posso non imprecare mentalmente. Mi raggiunge e, con falsa tristezza, mi dice che ha saputo di mio padre, del mio abbandono dell’università. Io le confermo tutto: mentire non servirebbe a nulla, non ora. Lo scaldalo della mia famiglia è su tutti i giornali, e nascondere la testa sotto la sabbia aumenterebbe i pettegolezzi. Si dice profondamente triste, Laura, e mi chiede cosa farò dopo. Io rimango vaga, le dico che non so: non ho intenzione di dirle della UCLA, di sputtanare i miei progetti. Per tutta la durata della conversazione è lei a parlare, mentre io mi limito a rispondere quando interpellata. Alla fine ci abbracciamo, e lei mi dice di farmi sentire, di tenerci in contatto. Le dico sì, ma so che una volta varcato il cancello dell’università io per lei non esisterò più.

Ci salutiamo ancora, e ognuna va per la propria strada. Raggiungo il taxi e, caricato il bagaglio, mi siedo sul sedile posteriore del veicolo. Do un’ultima occhiata a Berkley, a quella che fino a quel momento è stata la mia università, al simbolo della mia vecchia vita che si allontana e diventa più piccola ogni secondo che passa e, per la prima volta da quando mio padre mi ha annunciato quella disastrosa notizia, mi dico che non è la fine del mondo, che tutto sommato la vita continua, nel bene o nel male. Per la prima volta mi ritrovo a pensare che Berkley non mi mancherà, che la sua gente non mi mancherà; per la prima volta penso di averla superata, di essere pronta per un nuovo capitolo della mia vita.



*


Angolo Autrice: Nuova settimana, nuovo capitolo! Le due ragazze si sono conosciute, sembrano andare d'accordo, e da adesso in poi inizierà la loro convivenza. Non so ancora se il prossimo sarà dal POV di Logan o di Candy, forse di entrambi. Spero che, seppur semplice, il capitolo vi sia piaciuto. Vi invito a lasciarmi una recensione se vi va... non mordo, giuro!! :3 Alla prossima ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 06. Wind of Change ***







 
The future's in the air
I can feel it everywhere
Blowing with the wind of change


Logan + Candy



**


Il vento del Santa Ana soffia per le strade di Los Angeles, lo posso sentire attraverso i vetri della mia finestra. Sono seduto sul cornicione di marmo grezzo della finestra della soffitta collegata al mio monolocale da una scala lignea, mi fumo una sigaretta, gustando ogni boccata, mentre poco lontano da me una ragazza dagli scarmigliati capelli biondo tinto dorme nuda su di un materasso malconcio, coperta solo da un lenzuolo bianco. Non è la prima volta che porto Sylvia a casa mia, che le mostro il mio improvvisato atelier, che le scatto foto artistiche – molti le riterrebbero provocatorie e scandalose per il soggetto nudo, ma io me ne frego – e ci faccio sesso dopo aver bevuto insieme a lei un paio di bicchieri di whiskey o di vodka. Sylvia è quella che molti definirebbero come un “amica con benefici” e questa definizione, per quanto assurda possa essere, mi sta bene.
Io, da parte mia, ci definirei come due persone sole, in cerca di qualche ora di affetto, di piacere. Siamo due persone alla disperata ricerca di un abbraccio, del calore di un altro corpo. Io non la prendo in giro, non faccio promesse che non manterrò, come fa la maggior parte dei ragazzi. Io metto subito in chiaro le cose, e non solo con Sylvia, ma con tutte le ragazze che cercano di rimorchiarmi o che, al contrario, io cerco di rimorchiare. Se a loro vanno bene le mie condizioni passo alla fase successiva, in caso contrario porgo loro le mie scuse e declino la loro offerta.

Apro la finestra per buttare il mozzicone ormai consumato della sigaretta, e il mio viso viene letteralmente invaso da una folata di vento bollente: chiudo gli occhi, arriccio il naso, e richiudo immediatamente la finestra. Quel vento così caldo, tipico della stagione autunnale, non porterà nulla di buono. Presto le colline di Los Angeles prenderanno fuoco a causa dell’autocombustione, rendendo la città degli angeli una torcia naturale, e gli autocarri dei pompieri sfrecceranno per le strade, sirene spiegare al vento blu lampeggianti. Quand’ero piccolo, mia madre mi diceva sempre che il Santa Ana è un vento che porta cambiamenti, ma l’unico vero cambiamento della mia vita è avvenuto tanti anni fa, quando avevo solo nove anni.


Era inizio Dicembre, il Santa Ana aveva smesso di soffiare da un pezzo, ed io stavo tornando da scuola, ignaro di ciò che mi stava aspettando a casa. Rientrato, trovai mia madre seduta sul divano del soggiorno, in un mare di lacrime. Accanto a lei, in piedi, c’erano due colleghi di mio padre, due agenti di polizia come lui con cui mio padre giocava a carte ogni venerdì sera. Mio padre era un poliziotto, e non mi ci volle molto per capire ciò che era successo, per rendermi conto di quello che mia madre stava per dirmi: mio padre era morto durante una sparatoria.
Non ci fu bisogno di parole, di spiegazioni, e quando i due colleghi di mio padre si avvicinarono a me e mi guardarono con quegli occhi pieni di compassione, io scappai in camera mia, e rimasi là dentro fino a sera.
Non piansi al funerale di mio padre, in effetti non credo di aver mai pianto la sua morte: volevo essere forte per mia madre, per quella donna che mai, prima, avevo visto così fragile; la sua fragilità era come un’opera fatta di cristallo, pronta a spezzarsi se stretta con troppa forza. Capii che avrei dovuto essere io la sua roccia e da quel giorno tutto cambiò, io cambiai: quel giorno il bambino che era in me morì, e nacque il ragazzo che sono oggi.

Da quel giorno ho sempre cercato di tenere lontano tutto e tutti: ho pochi amici, amici fidati, che sono per me come dei fratelli. Ho Kurt, il fratello che non ho mai avuto, e Prudence, la sorellina minore che avrei tanto voluto. Loro sono tutto per me, tutto il mio mondo, e non ho bisogno di altro. Da un anno ho fatto la conoscenza di Arashi, un folle giapponese amante della musica indie che studia psicologia alla UCLA, e posso dire con fierezza di aver trovato in lui, dopo i primi battibecchi e scontri su quale sia la musica migliore, una persona generosa e affidabile. E’ un buon diavolo, Arashi, e anche se non sono ancora completamente certo delle sue tendenze sessuali, posso dire di essere diventato suo amico.

Fuori sta albeggiando: abbasso lo sguardo sul mio polso sinistro, dov’è allacciato il mio orologio, e appuro che sono le sei e mezza. Ho dormito solo tre ore, e tra due dovrò essere fuori casa. Il weekend è stato disastroso e non sono neanche riuscito a fare un salto da Prudence: la mia amica ha trovato finalmente una coinquilina, e questo significa che io e Kurt non potremo più andare a passare i sabati sera a sbronzarci a casa sua. Spero per lei che la tipa non sia folle come la precedente, né una spocchiosa figlia di papà che non è in grado neanche di lavare due posate.

Sbadiglio, portando le mani in aria, e decido che è ora di svegliare Sylvia. Scendo dal davanzale, e arrivato vicino al materasso mi abbasso sulle ginocchia e la scuoto delicatamente. Sylvia mugugna, ma apre gli occhi, sbattendo più volte le palpebre. Io le sorrido dolcemente, e per un breve istante penso che, se fossi un’altra persona, probabilmente le chiederei di restare, di mettersi con me e formare una coppia. Ma io sono io, e anche se lei è una ragazza d’oro, io non le chiederò mai di essere la mia ragazza. Io proprio non so come si fa ad amare, ho il terrore di amare una persona, di amarla a tal punto da annullarmi; sono terrorizzato all’idea di perderla, di riprovare quel dolore lancinante che ho sentito al centro del mio petto a nove anni, quando mio padre è morto. Io non so amare, io non voglio amare.

“Love will tear us apart” cantavano i Joy Division, e diavolo se non avevano ragione. L’amore rende deboli, l’amore rende stupidi, ma cosa più importante, l’amore ci fa a pezzi… sempre!


**



“Ancora ad aprire pacchi?” Prudence entra in camera mia con passo leggiadro, mi ronza attorno come un ape ronza attorno al fiore. “Ti piacciono i Beatles?”
Il mio sguardo cade all’interno dello scatolone, scatolone in cui ho messo i miei vinili. Sono due giorni che apro scatoloni e sistemo roba nell’armadio, nei cassetti, sugli scaffali e credo di non essermi mai stancata così tanto in vita mia.
“Sì, adoro i Beatles” rispondo, confessando la mia passione per il gruppo di Liverpool, e le chiedo a mia volta: “A te piacciono?”
“Solo un pazzo disprezzerebbe i Beatles!” esclama, sorridendo: “Quei quattro ragazzi hanno rivoluzionato la musica. Beatle preferito?”
“Senza dubbio George Harrison!” rispondo senza pensarci due volte. Harrison è sempre stato quello che mi ha affascinato di più, le sue canzoni sono profonde, la sua chitarra ineguagliabile. George Harrison è il mio mito.
“Io amo Ringo.”
“Ringo?” strabuzzo gli occhi, incredula: "Nessuno ama Ringo Starr!”
“Questo è il motivo per cui lo amo!”*
Scuoto la testa e sorrido: Prudence è una ragazza piena di sorprese e penso che non smetterà mai di sorprendermi.

Quella notte vengo svegliata dalla finestra della mia stanza che sbatte. A quanto sembra non l’ho chiusa bene, e a causa del vento non smette di sbattere. Seppur controvoglia, mi alzo dal letto e vado a chiuderla meglio. Fuori soffia il vento caldo del Santa Ana, e un solo spiraglio lasciato aperto basta per far entrare il soffio bollente del vento autunnale, vento che mi fa arricciare il naso e chiudere gli occhi a causa del suo calore. Ogni anno è sempre la stessa storia: nel mesi di Ottobre e Novembre le colline prendono fuoco, e spesso io e la mia famiglia siamo stati costretti ad evacuare per sicurezza la villa per un paio di notti. Mi ricordo che da bambina avevo paura degli incendi, ma crescendo ho trovato nelle mille sfumature di rosso qualcosa di maestoso, affascinante. Il fuoco purifica, o almeno era quello che credevano gli antichi. Mio padre, invece, mi diceva sempre che il Santa Ana è un vento che porta cambiamenti, ma mai, prima d’ora, la mia vita aveva subito così tanti cambiamenti. Che questa sia la svolta della mia vita, una seconda occasione? L’idea di quello che mi aspetta mi terrorizza: domani inizierò a frequentare la nuova università, un posto a me ignoto, totalmente diverso da Berkley. Dovrò anche trovarmi un lavoro, e spero con tutto il cuore di trovarne uno buono, di essere all’altezza delle mie aspettative. Non voglio fallire, non voglio essere mediocre: io non sono mai stata una ragazza mediocre. Da domani sarò catapultata nel mondo reale, nella giungla, come l’ha definita Prudence ieri sera, mentre stavamo mangiando una pizza sedute sul divano, e spero con tutto il cuore di non essere inghiottita da questa giungla, di non essere divorata dagli animali selvaggi che la popolano.

Ricaccio tutti quei pensieri, quelle preoccupazioni, in un angolo remoto della mia mente, e dopo aver dato un’ultima occhiata fuori, alle strade apparentemente silenziose della città degli angeli, me ne ritorno al letto, sotto le coperte che trovo ancora calde. Mi stringo al cuscino, chiudo gli occhi, e mi riaddormento. L’indomani mattina si aprirà un nuovo capitolo della mia vita, e io sono pronta a scriverlo.




*



*Citazione presa dal film "500 days of Summer (500 giorni insieme)".


Angolo Autrice: Salve, gente! Prima di tutto voglio scusarmi per il ritardo dell'aggiornamento, ma è un periodo incasinato e non ho molto tempo per scrivere. Dico subito che il pensiero sul vento, il Santa Ana, è un pensiero inventato da me per collegarlo col titolo del capitolo - titolo preso da una canzone degli Scorpions che consiglio a tutti di sentire. So anche che è stato un capitolo di passaggio, ma volevo scrivere qualcosa di più introspettivo, per far conoscere meglio il passato di Logan, i pensieri e i timori di Candy per il futuro che l'attende. Spero vi sia piaciuto, e ringrazio tutti i lettori silenziosi, quelli che hanno messo la storia tra le seguite\preferite. Vi invito a lasciarmi una recensione se vi va. Alla prossima ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 07. Welcome to the Jungle ***








Welcome to the jungle
We take it day by day
[...]
It gets worse here everyday
Ya learn ta live like an animal
In the jungle where we play


Candy



**
 

La sveglia inizia a suonare alle sette in punto. Mugugno, infastidita: non mi voglio alzare, voglio rimanere al letto per altre tre ore come minimo. Il weekend l’ho passato a svuotare scatoloni e mettere la mia roba nella mia nuova stanza, e mi sento a pezzi. Come se non bastasse, l’idea di alzarmi, vestirmi e uscire di casa per dirigermi verso quella che sarà da oggi fino a questa estate la mia nuova università, un’università pubblica dove mai, neanche nei miei incubi peggiori, avrei mai pensato di metter piede, mi avvilisce. Con un gesto brusco della mano spengo la sveglia e affondo il viso nel cuscino: non voglio alzarmi, non voglio. Se stringo forte gli occhi, penso, mi riaddormenterò e una volta risvegliata sarò a casa mia, nella mia villa di Beverly Hills, con i miei genitori e la signora Potter che, come tutte le mattine, mi preparerà la colazione. Ma tutto questo non accade: quando riapro gli occhi sono ancora là, nella mia stanza della mia nuova casa a Westwood, casa situata a dieci minuti dalla mia nuova università, la UCLA.

Qualcuno bussa alla porta. Non ho bisogno di chiedere chi è, so perfettamente chi c’è dall’altra parte. Prue socchiude la porta, e si intrufola nella mia stanza. Nonostante il pigiama e suoi dreads sciolti che ondeggiano qua e là ad ogni suo passo, Prudence ha un viso sereno, riposato; sembra essere abituata a questi orari infami e la invidio da morire.

“Sei sveglia?” mi domanda, sedendosi sul bordo del letto. Io mugugno in risposta: prima di una colazione sostanziosa non riesco mai a spiccicare parola e sono facilmente irascibile. Ma questo Prudence non lo sa, non ancora. “Dai, alzati altrimenti farai tardi per il tuo primo giorno di università.”
Aggrotto le sopracciglia: sembra una mamma che sveglia la propria figlia per il suo primo giorno di scuola. Mia madre non mi ha mai svegliata per nessun primo giorno di scuola: era la signora Potter a svegliarmi con la sua voce armoniosa, a prepararmi la merenda e augurarmi buona giornata.
“Dammi due minuti.” Mi trovo a dire, mentre mi stropiccio un occhio.
Prue annuisce silenziosamente e, alzatasi dal letto, esce dalla mia stanza senza aggiungere altro. Sorrido: quella ragazza è davvero strana alle volte, ma vivere con lei non mi dispiace, non mi dispiace affatto.

Mi alzo dal letto, mi sgranchisco il corpo, e mi sposto in bagno. Faccio una doccia veloce, doccia che mi aiuta a risvegliarmi completamente, e ritornata in camera apro il mio armadio e penso a come vestirmi. Opto per un look semplice: jeans a sigaretta, camicia bianca con sopra un maglioncino nero, e converse. A Berkley mi vestivo sempre con abiti costosi, alle volte eleganti, ma alla UCLA sarà tutto diverso. In questa nuova università voglio confondermi tra la massa, voglio essere invisibile e attirare il meno possibile lo sguardo della gente. Sarò una ragazza come tante, una studentessa come tante, e non la figlia di James Roberts, magnate della moda alla deriva. Sarò Candice, semplicemente Candy.

Esco di casa insieme a Prudence, la quale mi fa da cicerone per le strade a me ignote di Los Angeles. Non ho mai frequentato quella parte della città, e il suo aiuto mi torna prezioso. Prudence mi mostra scorciatoie, mi fa una piccola mappa su di un foglio così che io non mi perda, e quando, finalmente, arriviamo alla UCLA, sgrano gli occhi nel vedere tutta quella gente che popola l’università. I ragazzi sono molti di più rispetto a quelli di Berkley, ma ripensandoci meglio quest’ultima è un’università privata, un’università per pochi, mentre la UCLA è pubblica, alla portata di molte più persone. Per quanto quello spettacolo mi intimorisca, una parte di me esulta: non sarà difficile perdermi tra la folla.
“Ora vado!” esclama Prudence, richiamando la mia attenzione. “La tua sede è quella.” Indica con un dito un grosso edificio fatto di mattoni rossi: “Vai in segreteria, fatti dare una piantina e l’orario delle lezioni.”
Annuisco e dico: “Spero di non perdermi.”
“Non ti perderai, e nel caso dovesse succedere, chiedi a qualcuno. Gli studenti di Arte sono i più disponibili.” Mi sorride sghemba e mi saluta con due baci sulla guancia. “Buon primo giorno, Candy.”
“Buona giornata anche a te, Prue.”

Prendo un bel respiro e, con passo deciso, mi incammino verso la facoltà di Arte e Architettura. I corridoi pullulano di gente, di ragazzi di tutte l’età e di tutti i generi. E’ un ambiente totalmente diverso da Berkley, un ambiente saturo di anarchia, di follia. Un tizio punk con una cresta alta almeno dieci centimetri mi passa davanti, tagliandomi la strada. Sto per dirgli qualcosa, ma lui neanche mi calcola. Ognuno sembra perso nel suo mondo, nei proprio pensieri, e la cosa mi sconcerta. Tutti si affrettano per non arrivare tardi a lezione, assomigliano ad uno sciame di api impazzito, uno sciame di api che si è ribellato alla propria regina. E’ una giungla, e penso che sul cancello d’ingresso dovrebbero cambiare la scritta “Welcome to UCLA” con “Welcome to the jungle”.
Mi guardo attorno, nella disperata ricerca della segreteria, ma vedo solo aule attorno a me, aule gremite di gente. Sto per andare in panico, per fare marcia indietro ed uscire a gambe levate da quel pandemonio, quando una voce femminile squillante richiama la mia attenzione.

“Hai bisogno di una mano?” la ragazza davanti a me ha i capelli rosso fuoco dai riflessi arancioni, occhi di un verde scuro e alcune lentiggini sparpagliate sul piccolo naso dai lineamenti graziosi. E’ alta quanto me e il suo sguardo è vispo e curioso.
“Sì, sto cercando la segreteria.” Mi mostro sicura, non voglio che mi veda tentennare.
“Devi andare al secondo piano. Vieni, ti accompagno.” Senza aspettare una mia risposta, la ragazza dai capelli rossi mi da le spalle e inizia a camminare.
Rimango un secondo interdetta, ma quando capisco che sto per perderla di vista i miei piedi iniziano a camminare di loro spontanea volontà. Seguo la ragazza fino al secondo piano, fino alla segreteria didattica a lungo cercata.
“Eccoci, siamo arrivate!” esclama, sorridendo e indicando la porta alla sua destra. “Presumo tu sia nuova, uh?” annuisco: “Sei una matricola o cosa?”
“Mi sono appena trasferita da un’altra università.” Non nomino di proposito Berkley, non voglio che la ragazza, una sconosciuta, ficchi il naso nei fatti miei.
“Capisco.” Liquida e poi mi tende una mano: “Non mi sono neanche presentata: io sono Emily. Tanto piacere!”
Stringo la sua mano color latte e mi presento anche io: “Io sono Candice.”
“Bene, Candice, se non c’è altro io andrei.”
“No, nient’altro. Grazie mille per il tuo aiuto, senza di te starei ancora vagando per i corridoi al piano terra.”
“Ma figurati. Dopo tutto, sono la presidentessa del club di Arte Moderna, ed è mio dovere aiutare chi è in difficoltà.” Mi sorride con fare gentile: “A proposito, che facoltà frequenti: arte o architettura?”
“Architettura. Sono al terzo anno.”
Emily arriccia le labbra, sembra delusa, e dice: “Peccato, speravo fossi una studentessa di Arte, e invece…” scrolla le spalle: “Pazienza. Ci si vede, allora. Magari domani, a lezione di Arte Contemporanea. Quella è una delle materie che le due facoltà hanno in comune.”
“Spero anche io di rivederti.” Dico, e nonostante il mio desiderio di non dare nell’occhio e mantenere un profilo basso, spero davvero di rivedere Emily. “Grazie ancora per il tuo aiuto. Buona giornata.”
“E’ stato un piacere. Buona giornata anche a te, Candice.”

 
**


Esco dalla segreteria didattica con quello che Prudence definirebbe un fottio di inutili scartoffie. Oltre alla piantina della facoltà mi hanno dato gli orari delle lezioni e miriadi di opuscoli più o meno utili. Gli opuscoli sponsorizzano i vari club, le varie attività sportive e via discorrendo. Li leggerò a casa, penso, ma fatto sta che quei dannati opuscoli sono una vera grana. Mi fermo vicino ad un cestino e ci butto dentro quelli dedicati allo sport: sono una frana negli sport, eccetto nell’equitazione. Ma alla UCLA non c’è alcuno sport che preveda l’equitazione, e io non sono interessata a farne altri.

Seguendo la piantina della facoltà mi avvio verso l’aula in cui si terrà la mia prima lezione. A dire il vero sarebbe la seconda, visto che la prima l’ho saltata per cause di forza maggiore. Poco male, penso, attenderò fuori dall’aula leggendo alcuni opuscoli  e inizierò a farmi un’idea delle varie opzioni da scegliere. Nel tragitto dalla segreteria all’aula ho rischiato già un paio di volte di scontrarmi con alcuni ragazzi, ma è con il terzo – come si dice, non c’è due senza tre – che mi scontro, cadendo rovinosamente a terra.

“Merda!” una voce maschile impreca, e riaperti gli occhi mi ritrovo davanti ad uno spettacolo dalle sfumature apocalittiche: gli opuscoli sono sparpagliati per terra insieme ad altri fogli di provenienza a me ignota. Il ragazzo, da bravo cafone, neanche mi aiuta a rialzarmi. In fretta e furia riacciuffa la sua tracolla beige e i fogli su cui sono rappresentati svariati disegni.
Mi rialzo anche io, sebbene dolorante all’altezza dei reni e inizio a raccogliere le mie cose. Sottecchi guardo il ragazzo, un tipo strambo, vestito da rocker – anfibi, giubbotto di pelle e capelli scarmigliati – molto più alto di me.
“Ti sei fatta male?” mi chiede finalmente, puntando i suoi occhi verdi su di me. Il suo sguardo mi provoca un brivido, mi mette a disagio e sono costretta ad interrompere il contatto visivo.
“No, sto bene.” Rispondo con un filo di voce.
“Dovresti stare più attenta a dove metti i piedi, sai? Avresti potuto farti male…”
“Beh, questo vale anche per te. Non si corre nei corridoi.” Rimprovero, piccata: se pensa di dare tutta la colpa a me si sbaglia di grosso.
“Se è per questo non si dovrebbe neanche camminare con lo sguardo basso, puntato su di un libro.”
“Non stavo leggendo un libro ma la piantina di questa dannata facoltà!” preciso, nervosa. Questo tipo è uno sbruffone: ma chi diavolo si crede di essere?
“L’università è iniziata da un mese e ancora ti perdi per i corridoi?” alza gli occhi al cielo e scuote la testa: “Benedette matricole.”
“Non sono una matricola!” esclamo: ma per chi mi ha preso, per una cretina? “Mi sono appena trasferita, oggi è il mio primo giorno. Ma poi a te cosa frega, scusa?”
“Proprio un bel niente.” Risponde a tono, mantenendo quella faccia da schiaffi unica: “Ma la prossima volta stai più attenta, intesi? Non vorrai mica uccidere qualcuno, vero?” ride sommessamente e gli vorrei tanto dare un ceffone: “Ci si vede, novellina.” Conclude, salutandomi con un gesto del capo, e come se nulla fosse successo riprende a camminare.

Rimango nervosa per tutto il resto del giorno: quel ragazzo mi ha fatto andare in bestia e come se non bastasse dovrò recuperare un botto di cose. Il programma è diverso da quello che seguivo a Berkley, e se su alcune cose sono a buon punto, su altre non so nulla. Fortuna per me, per il resto della giornata non faccio altri strani incontri. Il ragazzo sembra essere scomparso nel nulla, il che è un bene per i miei poveri nervi. Quella faccia da schiaffi che si ritrova mi renderebbe ancor più nervosa, e quando anche l’ultima lezione della giornata è terminata mi lascio andare ad un sospiro di sollievo. Sono sopravvissuta a quella giungla, a quella bolgia infernale, e quando torno a casa e metto piede nella mia stanza, la visione del mio letto mi sembra la più celestiale del mondo.



_______________________________________________________________________________________________________

Angolo Autrice: Salve, gente. Questa volta sono riuscita ad aggiornare prima del previsto! ù.ù La morale di questo capitolo è: guarda sempre dove metti i piedi. Non si sa mai con chi ti puoi scontrare! XD Nel capitolo fa la comparsa un nuovo personaggio, Emily, ovvero la ragazza dai capelli rossi protagonista - insieme a Prue e Kurt - della copertina del cap.4! Sarà anche lei uno dei personaggi secondari della storia, e non escludo l'ipotesi di dedicare uno dei prossimi capitoli interamente a lei. Spero che la storia vi stia piacendo, e come sempre vi invito a lasciare una recensione. Alla prossima ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 08. Shake It Out ***








Regrets collect like old friends
Here to relive your darkest moments
I can see no way, I can see no way
And all of the ghouls come out to play 
And every demon wants his pound of flesh
But I like to keep some things to myself
I like to keep my issues strong
It’s always darkest before the dawn...


Prudence



**

 

Sono seduta all’ombra di un olmo secolare situato sul retro della facoltà di lingue. Sgranocchio il mio pranzo - un panino ai cereali che mi sono preparata io stessa prima di uscire di casa stamattina – in attesa dell’arrivo di Storm. Ci ritroviamo sempre sotto quest’olmo per l’ora di pranzo, unico momento libero della giornata universitaria, a chiacchierare del più e del meno, a raccontarci le nostre vicissitudini. Anche Kurt, come Storm, è in ritardo e di Arashi neanche l’ombra. Per un momento vengo assalita da un dubbio: che abbia sbagliato orario, travisato le parole dei ragazzi? Scuoto la testa: ma no, non è possibile.
Mi domando come se la stia cavando Candy nel suo primo giorno di università alla UCLA, se abbia conosciuto gente interessante. Forse, avrei dovuto affidarla a Storm, così da darle un punto di riferimento a cui rivolgersi in caso di necessità. Arriccio le labbra: Candy e Storm sono come il giorno e la notte e poi Storm ha un brutto caratteraccio e si dimostra schivo verso gli estranei. Non che Candy sia docile, anzi, ma rispetto al mio amico mi sembra più diplomatica. No, metterli insieme non sarebbe stata una buona idea e mi convinco che ho fatto bene a lasciarla da sola.

“Prue!” i miei pensieri e la mia attenzione vengono indirizzati verso quella voce maschile a me nota. Arashi si sta avvicinano a me, cartella a tracolla e scartoffie in mano, a passo svelto. Ha un’espressione trafelata in volto, le guance arrossate e il fiatone, e capisco subito che ha corso. “Perdona il mio ritardo, ma il professore non la smetteva di spiegare.”
“Non importa, lo capisco benissimo.” Lo tranquillizzo con un sorriso: quando vogliono i professori sanno come rendere un inferno la vita di noi poveri studenti, e il prolungamento delle lezioni è solo un piccolo ed insignificante esempio.
“Sei sola?” chiede, guardandosi attorno: “Kurt e Storm?”
“Non ne ho idea. Speravo fossero con te, e invece…”
“E invece sono in ritardo come al solito.” Arashi si sistema meglio gli occhiali sul naso, e abbandonate le scartoffie e la cartella sul prato, si siede accanto a me.
Arashi ha i capelli neri come la pece, occhi a mandorla e una statura piuttosto bassa per essere un uomo. E’ alto quanto me, ed è magro come un chiodo. Parla molto, spesso è logorroico, ma come sostiene lui il suo essere logorroico è sintomo della sua timidezza. Io non oso contraddirlo – dopo tutto è lui quello che studia psicologia – ma credetemi, quando parla con me è tutto fuorchè timido.
Quello che ancora non mi è chiaro del mio amico è il suo orientamento sessuale: in quell’anno e mezzo passato assieme non l’ho mai visto con una ragazza, e raramente l’ho sentito fare qualche apprezzamento, ma non ho mai avuto il coraggio di chiedergli qualcosa a riguardo. I giapponesi sono persone riservate per natura, e non parlando di determinate cose. E’ una cultura affascinante quella giapponese, non posso negarlo, ma sotto alcuni aspetti non riesco proprio a capirla.

“Prue!” eccoli là, i due amiconi inseparabili, che sventolano una mano in segno di saluto e sorridono spensierati. Mi domando se abbiano la vaga idea di che ore siano, ma molto probabilmente non lo sanno, quindi eviterò di porli tale domanda.
“Alla buon’ora!” esclamo, piccata, alzandomi nuovamente e salutandoli con due baci sulla guancia: “Sappiate che io ho mangiato senza di voi, brutti cafoni da strapazzo.”
“E’ colpa di Storm.” Mette subito in chiaro Kurt, indicando l’amico alla sua destra che, in risposta, gli da uno spintone.
“Sei sempre il solito ruffiano, biondo.” Protesta Logan, sbuffando: “Sì, è colpa mia, ma solo in parte.” Precisa, saccente: “Quella piattola di Emily Barrett mi ha fermato per i corridoi, e per l’ennesima volta ha tentato di persuadermi ad iscriversi al suo dannato club!”
“Ancora?” strabuzzo gli occhi: Emily Barrett è una delle ragazze più testarde che abbia mai visto, oltre ad essere una figlia di papà con i soldi. “Ma è davvero cocciuta!”
“Fosse solo cocciuta…” Storm sorrise sghembo, quasi con cattiveria: “Tutta l’università sa che Emily Barrett è una frigida da paura, che non la da a nessuno.”
“Solo perché ti è andata male, Storm, non vuol dire che sia frigida!” lo rimbecca Kurt, ricordandogli il suo tentativo finito male di portarsi al letto Emily.
“Guarda che l’ho fatto solo a causa tua, biondo. Sei stato tu a propormi quella scommessa, io ho solo accettato.”
“E perso!” corregge, scoppiando a ridere.
“Siete davvero degli esseri senza cuore quando volete.” scuotendo la testa con disappunto: voglio bene a Kurt e Storm, sono la mia seconda famiglia, ma certe volte mi vergogno per loro, di loro.
“Non ti ci mettere anche tu, Prue, ti prego. Oggi è stata una giornata orrenda: prima quella stramba tizia, quella matricola, che mi viene addosso e fa volare i miei disegni, poi Emily Barrett che mi perseguita. Non ho bisogno dell’amica saccente, grazie mille.”
“Giusto, la matricola!” esclama Kurt, come colto da un’illuminazione divina: “Devi ancora raccontarmi cosa è successo, quindi avanti, sputa il rospo.”

E così Logan racconta di questa stramba vicenda, di questa ragazza che gli è letteralmente andata addosso, di come questa non gli abbia neanche chiesto scusa. La descrive come una tipa arrogante, una saputella, ma la verità è che Logan proprio non sa gestire le ragazze con carattere, quelle che non si sottomettono, che non gli cadono ai piedi adoranti. Logan, da questo punto di vista, non ci sa fare con le donne, è un disastro totale.
Terminato il racconto di Logan, racconto spesso interrotto da Kurt e dalle sue battutacce, iniziamo a parlare di altro e presto quell’episodio della vita del mio amico sparisce dalla mia mente. Finita la pausa pranzo saluto i miei amici e mi incammino verso la mia facoltà, sperando che le restanti ore di lezione passino il più velocemente possibile.

 
**


Tornando a casa mi fermo ad un negozio di dischi non troppo lontano dal mio appartamento e compro il tanto atteso secondo album di una delle band inglesi più interessanti degli ultimi anni, Florence and the Machine, il cui ultimo singolo, Shake it Out, mi ronza in testa da settimane. La voce di Florence Welch è potente, unica, e se in un primo momento non l’ho apprezzata, successivamente me ne sono innamorata incondizionatamente. Lo ascolterò per la prima volta nella mia stanza, magari insieme a Candy: chissà se la mia coinquilina apprezza questa tipologia di musica, se conosce questa band inglese e l’adora come l’adoro io.
Quando torno a casa Candice è già tornata: la trovo nella sua stanza, stesa sul suo letto, e quando mi vede si mette seduta e mi fa segno di entrare.

“Sei tornata!” esclama, continuando a sorridere.
“Sono tornata. Tu sei tornata da molto?”
“Un’ora, più o meno.” Sbadiglia, sembra stanca: “Com’è andata la tua giornata?”
“Bene… normale, come sempre. Tu, invece, come te la sei cavata nel tuo primo giorno alla UCLA?” sorrido sghemba e mi sistemo meglio sul letto. “Dai, voglio sapere tutto, tutto quanto!”
“All’inizio ho davvero pensato di girare i tacchi e scappare da quella gabbia di matti.” Inizia a raccontare Candy ed io l’ascolto in silenzio: “Quella facoltà pullula di tizi strambi, ragazzi con capelli blu, creste, usciti da chissà dove. Ognuno pensava ai fatti suoi, mentre io stavo entrando nel panico. Non riuscivo a trovare la segreteria, ma poi una ragazza davvero gentile mi ha aiutata. Mi ha condotto verso la segreteria, si è presentata e mi ha anche invitata ad unirsi al suo club. Si chiama Emily, e mi sembra davvero una ragazza perbene, non come quell’idiota con cui…”
“Aspetta, aspetta, aspetta!” la interrompo bruscamente, lasciando il suo discorso a metà: “Hai detto che si chiama Emily?” Candice annuisce: “Per caso ha i capelli rosso fuoco, lentiggini sul naso?” annuisce ancora: “Oddio, sei incappata in Emily Barrett!”
“E chi sarebbe questa Emily Barrett?”
“Emily Barrett è la presidentessa del club di arte moderna, una tizia altezzosa, che si crede di essere chissà chi solo perché suo padre è ricco. Guada tutti dall’alto in basso, con sufficienza, e…”
“Quindi solo perché è ricca dovrei evitarla, giusto?” il tono della voce di Candy si fa più alto, sembra contrariata: “Solo perché uno non lavora in un pub, non è svantaggiato, è una brutta persona?”
“Non ho detto questo, io…”
“No, tu hai detto esattamente questo!” si alza in piedi, è furente, ed io sono sempre più basita: “Ti credevo diversa, sai? Ma a quanto pare sei come tutti gli altri.”
Candy esce dalla stanza, senza darmi il tempo di ribattere, e qualche secondo dopo sento una porta – quella del bagno – sbattere con forza.

“Candy? Candy posso entrare?” giro la maniglia della porta del bagno ma la serratura è chiusa: “Candy, non so cosa ho detto, ma qualsiasi cosa sia mi dispiace davvero. Se ti ho ferito in qualsiasi modo ti chiedo scusa..”
La porta del bagno si apre, si spalanca e noto subito lo guardo lucido della mia amica, le guance arrossate: l’ho fatta piangere, e mi sento malissimo.
“Candy, io…” non so cosa dirle: poche volte mi è capitato di restare senza parole, e questa è una di quelle volte.
“Scusami, non avrei dovuto reagire così.” Si scusa lei, asciugandosi con il dorso della mano una lacrima solitaria: “Tu non potevi saperlo, come avresti potuto?”
“Sapere cosa, scusami?” la guardo di sbieco, sempre più confusa, e mi chiedo chi in realtà sia la mia coinquilina.
“Io non sono chi credi che io sia. Io sono proprio come Emily, sono dieci volte peggio di lei, e se ho nascosto alcune cose di me, della mia vita, l’ho fatto solo per evitare questo, per evitare di essere additata da tutti ed evitata come la peste…”
“Non so di cosa tu stia parlando, Candice, ma di una cosa sono certa: sei turbata ed hai bisogno di calmarti. Perché adesso non ce ne andiamo in soggiorno? Preparo una cioccolata calda, e poi, se ti va, ascoltiamo insieme il nuovo album dei Florence and the Machine.”
Florence and the Machine?” mi guarda accigliata e capisco che no, la mia coinquilina non conosce la band inglese che tanto mi fa impazzire.
“Non li conosci, vero?” scuote la testa: “In questo caso li conoscerai ora.” Sorrido e le strizzo un occhio: “Vedrai, ti piaceranno e col tempo li amerai proprio come me.”
“Prudence, io non credo che sia una buona idea…”
“Io, invece, credo che lo sia. Una cioccolata calda aiuta sempre, e dopo averla bevuta ed esserti calmata ti lascerò raccontare tutto quello che vuoi, lo prometto.”


Ci spostiamo in cucina, e metto sul fuoco un pentolino nel quale inizio a preparare la cioccolata calda. Candice se ne sta appoggiata con la schiena al ripiano della cucina: ha lo sguardo basso, si fissa la punta dei piedi, e probabilmente sta pensando a ciò che mi dirà più tardi. Io decido di lasciarla ai suoi pensieri e continuo con la preparazione della cioccolata. Una volta pronta, prendo due tazze e ci verso dentro il liquido scuro e caldo; invito Candy a spostarci in soggiorno, e con lei mi siedo attorno al tavolo ligneo dove ci ritroviamo tutte le sere per cenare.
La tazza che stringo tra le mani è bollente, mi riscalda le mani: mia madre mi dice sempre che quando una persona è giù di morale, una bevanda calda è quello che ci vuole per farle ritornare il sorriso e dimenticare le preoccupazioni. Quando ero un’adolescente frustrata e perennemente arrabbiata, mia madre era solita prepararmi bevande calde ogni giorno, ma quella che mi preparava con più frequenza era la cioccolata calda, cioccolata che ricolmava di panna montata quando voleva farmi smettere di piangere.

“Credo di doverti una spiegazione…” inizia con un filo di voce Candy, lo sguardo fisso sulla tazza che, come me, stringe tra le dita sottili.
“Bevi la cioccolata, per le spiegazioni ci sarà tempo.”
“No, preferisco parlare ora. Sai, non sono una a cui piace rimandare le cose” storce la bocca in una smorfia: “Io sono sempre stata una bambina viziata, una ragazza viziata. Ho sempre voluto tutto e subito, e i miei genitori non hanno mai fatto nulla per cambiare questo mio modo di essere.”
“Quindi anche tu sei ricca, anche tu provieni da una famiglia agiata?”
“Molto più che agiata” sorride amara: “Hai idea di quanto costi la retta a Berkley?” chiede ed io scuoto la testa: “E’ un’università prestigiosa, riservata ai figli delle famiglie più abbienti, e la mia lo era..” soffia sul fumo che si dirada dalla cioccolata, ne prende un sorso: “Hai mai sentito parlare delle boutique Roberts?”
“Certo che sì. Solo a Rodeo Drive ce ne saranno almeno tre.”
“Adesso ce ne sono solo due, più una a New York.” Precisa lei, e per la prima volta mi guarda negli occhi: “Io ero l’erede di quelle boutique, dell’impero Roberts ma meno di un mese fa mio padre ha dichiarato fallimento, riuscendo a salvare poco e nulla, e nel giro di una settimana ho visto la casa dove sono nata, cresciuta, essere venduta al primo acquirente, i miei genitori disperati e tutto il mio futuro andare in pezzi. Pensavo che la mia vita fosse già scritta, ma a quanto pare non è così…”
“Candice, io non ne avevo idea…” adesso capisco, adesso tutto torna: la sua reazione alle mie parole, il suo pianto nascosto. Candice ha un passato importante alle spalle, un passato che sta cercando a tutti i costi di scrollarsi di dosso. Anche io, al posto suo, avrei tentato di ricominciare da capo, nell’anonimato di una nuova vita. “Ora capisco…”
“Mi dispiace di averti mentito, e capirò se deciderai di non voler avere niente a che fare con me. Sai, quando sono tornata a Berkley per prendere le mie cose ho visto la pietà negli sguardi di quelli che reputavo essere i miei amici, e mi sono ripromessa che mai più avrei tollerato tale sguardo. Non lo sopporterei.”
“Come potrei buttarti fuori casa? Sei la mia coinquilina, una brava ragazza. Non mi interessa il tuo passato, ognuno di noi ne ha uno: è il presente quello che conta, e sai una cosa? La Candice che ho davanti ai miei occhi mi piace, mi piace molto, quindi al diavolo il passato.”
“Davvero, davvero non ti interessa?”
“Non potrebbe importarmene meno. E poi, come si suole dire, è proprio il momento prima dell’alba quello più buio, ed io sono certa che il giorno non è poi così lontano.”
“Io… io non so cosa dire, Prue, davvero.”
“Un semplice grazie va bene, oppure quello che ti pare. Ad essere sincera, non credo tu debba ringraziarmi di nulla. Non ho fatto nulla.”
“Oh, invece lo hai fatto: non mi hai guardato con pietà, con compassione, e questo vale più di qualsiasi cosa” sorride, questa volta con gioia dipinta in volto: “E adesso fammi ascoltare questi Florence and the Machine, perché si da il caso che stia morendo dalla voglia di sentire le loro canzoni.”



__________________________________________________________________________________________________________


Angolo Autrice: Salve, gente! La verità sul passato di Candice è stata svelata e Prue l'ha accettata senza troppi drammi. Ma accadrà lo stesso con gli altri protagonisti? Chissà! Inoltre, ha fatto la sua prima apparizione Arashi, questo giapponese misterioso che conoscerete meglio col procedere dei capitoli. Spero che, nonostante le poche recensioni, la storia vi stia piacendo. Ringrazio tutti coloro che leggono in silenzio e che hanno messo la storia tra le seguite\preferite. Vi invito a lasciare una recensione, se vi va, e dirmi cosa ne pensate. Al prossimo capitolo! ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 09. New Shoes ***








I made my way to the kitchen,
but i had to stop from the shock of what i found,
a room full of all my friends dancing round and round,
and i thought hello new shoes,
byebye them blues.

Candy



**


 
Quel sabato pomeriggio esco di casa di buon ora. La mia prima settimana alla UCLA è terminata, e posso dire con fierezza di essere sopravvissuta a quell’inferno sottoforma di università. Emily, nonostante ciò che mi ha detto Prudence qualche giorno fa, si è dimostrata una ragazza perbene, con la testa sulle spalle e le idee ben chiare sul suo futuro: vuole diventare un’organizzatrice di eventi culturali, lavorare nei musei, a contatto con quell’arte che tanto ama. Ho molto in comune con lei, tanti punti su cui mi trovo lontana anni luce con Prudence; non le ho ancora parlato del mio passato, al contrario di Prue che ormai sa tutto di me, ma le ho rivelato il mio passato alla Berkley, il mio trasferimento forzato da parte dei miei genitori e causato da forze di causa maggiore. E proprio dai miei genitori mi sto recando questo pomeriggio, nella loro nuova casa situata all’attico di un modesto palazzo di cinque piani non troppo distante dalla mia, una casa che mi aspetto completamente diversa dalla mia villa di Beverly Hills ma che nello stesso tempo sono curiosa di vedere.

Arrivata, citofono e la signora Potter – l’unica di tutto lo staff che lavorava per i miei alla villa ad essere rimasta – mi risponde con la sua solita voce gioviale. Mi identifico e un istante dopo il portone si apre. Prendo l’ascensore, pigio il pulsante e in breve mi ritrovo sull’ampio pianerottolo collegato tramite una porta color ciliegio appena laccata all’appartamento dei miei genitori.

“Candice, cara.” E’ mia madre la prima ad accogliermi, con il suo solito portamento fiero, lo sguardo deciso e quell’aria da ricca borghese che neppure il tracollo finanziario ha intaccato.
“Ciao, mamma.” Saluto a mia volta, abbracciandola. Mi tolgo il cappotto e lo poso sull’appendiabiti dell’ingresso insieme alla borsa.
“Vieni, tuo padre è in salone.” Mi fa segno di seguirla e così faccio.
Mio padre è seduto sulla poltrona verde scura posta nel salotto della sua nuova casa, un salotto luminoso, piuttosto ampio, sulla cui parete sinistra svetta un’enorme libreria. Ed è proprio un libro quello che stringe tra le mani, un libro dalla copertina rigida color rosso porpora, un libro che ha tutta l’aria di essere impegnativo.
“Candice, sei tu!” esclama con stupore mio padre, alzando lo sguardo dalle pagine del libro e sorridendo appena.
“Ciao, papà.” Gli vado incontro e lo abbraccio, rendendomi conto per la prima volta di quanto mi sia mancato. “Come stai?”
“Si va avanti.” Minimizza lui, tornandosi a sedere. “Tu, invece, come stai?”
“Sto bene, sto bene. La prossima volta, però, mi piacerebbe ospitarvi nella mia nuova casa. Se non per due giorni, almeno per pranzo.”
“Vedremo.” Liquida mia madre, seduta accanto a me, e dal suo sguardo capisco che no, mia madre non metterà mai piede nella casa che divido da quasi due settimana con Prudence. Mia madre non si è mai mischiata con quelli che lei ha sempre definito “plebei” e non inizierà di certo adesso che suo marito e la sua famiglia sono in queste situazioni.

La cena con i miei passa tranquilla e anche la notte che ne segue. Anche se non vivo più con loro, la casa dispone di una camera per gli ospiti ben arredata, minimalista, e il letto che mi ospita per quella notte è morbido e caldo. Dormo come un sasso, come una bambina, e quando mi sveglio, l’indomani mattina, l’odore famigliare di pancake e caffè appena fatto mi riempie i polmoni nell’esatto momento in cui metto piede in cucina.
“Buongiorno, bambina!” la signora Potter mi saluta con il suo solito sorriso, la forma rotondeggiante e ben definita del suo viso mi mette allegria, mi dà sicurezza. Le sue mani tozze sono strette attorno al manico della padella in cui stanno cucinando i pancakes e ad una spatola con cui li sta girando uno ad uno con maestria. “Li mangi ancora questi, vero?”
“Puoi scommetterci.” Rispondo, riempiendomi una tazza con del caffè appena fatto: “Cottura media, con una valanga di sciroppo d’acero sopra e due o tre frutti freschi.”

Dopo colazione mi sposto in salotto, dove rivedo gli appunti che ho preso venerdì durante le ore di lezione, e non passa molto prima che mia madre entri nella stanza. Si siede dall’altra parte del divano, un paio di posti alla mia destra, e inizia a guardarmi, uno sguardo indagatore che rende il silenzio insostenibile. Sbuffo, poso la penna che tenevo tra le dita e la guardo: capisco subito che sta per iniziare una discussione accesa, un terzo grado che ha desiderato farmi dal primo momento in cui ho messo piede in casa, ieri pomeriggio, così decido di anticipare le sue mosse, come se questa fosse una partita a scacchi, e dico:
“Avanti, dì quello che devi e facciamola finita.”
“Non so di cosa tu stia parlando.” Assume un’aria da finta tonta, un atteggiamento tipico di mia madre: lascerà a me la prima mossa, l’onere di iniziare quella discussione. Mi sta mettendo spalle al muro, prevede ogni mia mossa, e anche se so benissimo di star facendo il suo gioco l’assecondo.
“E’ da ieri sera che sei silenziosa, troppo, e so perfettamente cosa ti frulla nella testa: vuoi impicciarti della mia vita, come hai sempre fatto, quindi accomodati pure.”
“Come al solito sei melodrammatica, Candice.” Si accende una sigaretta, un gesto pieno di boria, tipico di lei. “Sono tua madre, dopo tutto, e sapere con chi vive mia figlia mi sembra un diritto più che legittimo.”
“Lo sai dove vivo, e in due settimane non mi hai neanche chiamato una volta.”
“Sono stata impegnata. Il trasloco e tutto il resto.” Sbuffa fumo, nuvole grigiastre che mi fanno arricciare il naso. Mia madre ha sempre fumato da quando ho memoria, e forse è proprio per questo che odio il tabacco, i fumatori: mi ricordano mia madre, la distanza che c’è sempre stata tra di noi.
“Ma certo, certo.” Minimizzo, abbassando lo sguardo: “In questo caso, ti farà piacere sapere che la convivenza va bene. Prudence è una ragazza perbene, studiosa, e sa anche cucinare degli ottimi piatti.”
“Buon per te. Così non rischierai di far esplodere la cucina” sorride con fare di scherno ed io serro le labbra e mi mordo la lingua pur di non risponderle: “E cosa studia, sentiamo?”
“Lingue straniere. E’ molto brava: ha ottimi voti, e si mantiene da sola. Fa la barista in un locale di Los Angeles.”
“La barista?” mia madre strabuzza gli occhi: “Poveri noi, come siamo caduti in basso.” Scuote la testa con fare teatrale: “Fino ad un mese fa condividevi il tuo appartamento al campus di Berkley con Laura Moore, figlia di uno degli architetti più importanti della California, ed ora condividi la stanza con una barista.”
Vorrei dirle che Laura non vale neanche un capello di Prudence, che Laura Moore è una falsa approfittatrice, un'arrivista di prima categoria, ma tutto ciò che riesco a dirle è: “Anche la barista è un lavoro onesto, e se nel caso te lo fossi dimenticato, anche io dovrò cercarmi un lavoro al più presto.”
“Come potrei.” Sorride algida: “Spero solo avrai più buon senso della tua amica. E poi, diciamocelo, tu non sei capace neanche a spillare una birra o distinguere un espresso da un cappuccino…”
“Cosa stai insinuando con questo?” aggrotto le sopracciglia, sono al limite.
“Nulla, solo la verità: trovare un lavoro per te sarà molto difficile.” Cerca di prendermi una mano ma mi ritraggo: “Sai, un nostro amico cerca una segretaria, magari…”
“No, grazie. Non voglio avere nulla da che spartire con i vostri amici, né con nessun’altro riccone da strapazzo.” Mi alzo dal divano e raccatto i miei quaderni: “Ho chiuso con quella vita, e da qualche che so anche tu lo hai fatto.”
Mia madre boccheggia, punta nel vivo. Sa di non essere più la benvenuta ai club esclusivi, sa che le sue “amiche” parlano alle sue spalle, la deridono, ma è troppo orgogliosa per ammetterlo, per ammettere la sconfitta.
“Mi sono appena ricordata di avere un importante esercitazione domani, quindi è meglio se torno a casa. Scusati con papà, digli che mi dispiace.” Mi avvio verso l’uscita del salotto e mi fermo sullo stipite della porta. Guardo con la coda dell’occhio mia madre, la donna che mi ha partorito ma che raramente mi ha dimostrato affetto e tutto ciò che riesco a dirle è: “Buona giornata, mamma.”

 


**


Per tornare a casa prendo un tram. Non ho voglia di camminare, non ho voglia di vedere gente. Mi siedo al primo posto libero che trovo, vicino al finestrino, e guardo distrattamente fuori, la città che scorre velocemente alla mia destra. Ancora una volta mia madre mi ha fatto sentire una nullità, non abbastanza; ancora una volta mi ha fatto sentire addosso il peso di portare un nome così importante tra la gente, il nome dei Roberts. Sin da piccola mi ha costretta a stare perfettamente composta a tavola, a vestirmi elegante, come una perfetta bambola di porcellana. Ma io ero una bambina, santo cielo, non una bambola senza sentimenti. Tutto quello per lei non era importante, nulla per lei lo era. Io ero solo il suo trofeo da mostrare, la sua progenie, il futuro dell’impero Roberts, sebbene non fossi il maschio che tanto aveva sognato. Sì, mia madre ha sempre desiderato dare a mio padre un erede maschio, ma al posto dell’aitante giovane dai capelli biondi e gli occhi verdi sono nata io, una bambina gracile, spesso malaticcia, con capelli color cioccolato e dalla bassa statura. Tutto quello che ho fatto l'hoo fatto per compiacere lei, ma niente è stato mai abbastanza. Ma adesso basta, mi dico, adesso sono decisa a cambiare, a vivere finalmente la mia vita nel modo che riterrò più opportuno.

Il tram si ferma, è tempo di scendere. Arrivata davanti al portone del palazzo di casa afferro le chiavi dalla borsa e apro il portone. Faccio lo stesso con la porta di casa, evitando così di suonare e disturbare Prudence – non so neanche se la mia mica sia in casa – e per un breve istante mi domando se non abbia sbagliato a non chiamarla per avvertirla del mio rientro anticipato. Insomma, Prudence avrà pure amici, una vita fuori dall’università, e magari la notte appena passata ha portato qualcuno in casa, un ragazzo.
La casa è sommersa nel silenzio, eccetto per uno scroscio di acqua proveniente dal bagno. Prue è sotto la doccia, o almeno è quello che penso, e senza curarmene me ne vado in camera mia, dove lascio le mie cose e mi spoglio. Mi metto una maglia larga, aggrappata e un pantalone della tuta grigio; mi lego i capelli in una coda scarmigliata e mi infilo le pantofole. Fatto tutto esco dalla mia stanza e mi sposto nel salotto, dove mi ritrovo davanti a quello che ha tutta l’aria di essere un campo di battaglia: sul pavimento ci sono bottiglie vuote, vestiti, e sul tavolino ci sono bicchieri vuoti e mozziconi di quelle che apparentemente sembrano sigarette. Sul divano c’è un cuscino ed una coperta, e in un angolo è stata montata – non so come – un’amaca su cui un biondo capellone sta dormendo della grossa.

“E tu chi diavolo sei?” una voce maschile mi sorprende alle spalle, e giratami di scatto mi ritrovo davanti ad un tipo alto, con indosso solo degli boxer aderenti che, credetemi, lasciano ben poco alla fantasia. I suoi capelli sono bagnati, scarmigliati e i suoi occhi… i suoi occhi sono famigliari, mi mettono in soggezione.
“Io sono la coinquilina di Prudence. Tu chi diavolo sei?” metto le mani sui fianchi, cerco di non pensare al fatto che il tizio sia mezzo nudo davanti a me.
“Logan, un amico di Prue.” Liquida, continuando a fissarmi.
Dio, quegli occhi io gli ho già visti, potrei giurare che… oddio, fermi tutti, ma quello è? No, non può essere lui, non può!
“Oddio, ma tu sei il tipo che mi è venuto addosso lunedì mattina, il ritardatario!” la mia non è una domanda ma un’affermazione.
Il tipo, Logan, aggrotta le sopracciglia e mi scruta. Sembra perso in chissà quale pensiero ma poi, illuminato da lampo di genio, esclama: “Cazzo, tu sei la matricola che non guarda dove mette i piedi!”
“Non sono una matricola!” esclamo, piccata. “Oltre che ritardatario hai anche problemi di udito!”

“Si può sapere cosa succede? Cos’è questo baccano?” il biondo alle mie spalle sembra essersi svegliato; mi giro e lo vedo stropicciarsi un occhio. E’ carino, lo riconosco, ma sembra anche piuttosto fatto. “Cristo, Storm, mettiti qualcosa addosso!” protesta disgustato, coprendosi gli occhi con entrambe le mani.
Logan, o Storm che sia, ghigna e una volta avermi superata si rimette jeans e maglia.
“Ehi, ma questa chi è?” chiede ancora il biondino senza nome: “Storm, non ricordavo avessi rimorchiato stanotte” ghigna: “Ma buon per te amico, buon per te. E’ davvero un bel bocconcino.”
“Non ha rimorchiato proprio nessuno!” esclamo, esasperata: “Sono la coinquilina di Prue, Candice, e vorrei tanto sapere dove si trova la mia cara coinquilina in questo momento.”
“Prova nella sua stanza.” Mi dice Logan, o Storm, o come diavolo si chiama, indicandomi la stanza da letto di Prudence.
“Bene… grazie!” faccio marcia indietro, ma fatti pochi passi ecco che la porta di apre e, finalmente, Prue fa la sua comparsa. "Eccoti!”
“Candy!” Prue sgrana gli occhi, la sua voce è stridula: “C-cosa ci fai tu qua?”
“Sbagliato!” le punto un dito contro: “La domanda corretta è: cosa ci fanno loro qua?”
“Io… ecco.. posso spiegare.” Mette le mani avanti, sorride nervosa: “Non pensavo di rivederti prima di stasera, così…”
“Così hai dato un festino a mia insaputa, uh?”
“Avrei ripulito tutto, non… ecco…”
“E’ colpa nostra” una terza voce interviene, inserendosi nel nostro discorso. Mi giro e vedo Logan poco lontano da me: “Siamo stati noi a convincerla, lei non voleva. Siamo passati dal Whiskey, ieri sera, e visto che prima passavamo tutti i sabato sera da lei, a bere e divertirci, abbiamo fatto leva sui suoi sensi di colpa e..”
“E l’abbiamo costretta ad improvvisare un festino.” Completa il biondo dal nome sconosciuto, adesso anche lui perfettamente sveglio. “Non prendertela con lei, siamo noi che la portiamo sempre sulla cattiva strada.”
Boccheggio, non so che dire: non ho mai avuto amici così leali come quei due strambi ragazzi, e mi ritrovo ad invidiarla. Invidio dannatamente Prue, il legame che deve avere con quei due ragazzi. Io non l’ho mai avuto e forse mai l’avrò.
“Vi credo.” Dico, annuendo: “E poi non sono arrabbiata.” Guardo Prue e le sorrido: “Ma la prossima volta non tenermi allo scuro di tutto, intese?”
“Intese!” esclama, ricambiando il mio sorriso. Poi guarda i due ragazzi e, come colta da un’illuminazione, dice: “Che sciocca, non vi ho neanche presentato. Candy, loro sono Kurt” indica il biondo, a cui finalmente posso attribuire un nome: “E Logan. Ragazzi, lei è Candice, la mia nuova coinquilina.”
“Tanto piacere!” esclamo, sorridendo tesa. Quei due sembrano dei bravi ragazzi, ma c’è qualcosa in loro, specialmente in Logan, che mi rende nervosa.
“Bene, ora che le presentazioni sono fatte che ne dite di mangiare qualcosa? Bisogna recuperare le forze, ci aspetta un pomeriggio movimentato all'insegna delle pulizie.”
I due ragazzi non sembrano felici all’idea di rassettare la casa, ma non dicono nulla e, con la coda tra le gambe, seguono Prudence in cucina. Là bevono del caffè, sgranocchiano qualcosa, e iniziano a chiacchierare tra loro come se nulla di quello che è appena successo sia mai accaduto.

“Candy, tu cerchi ancora un lavoro?” mi chiede Prudence, inserendomi nel loro discorso, discorso a cui non ho dato ascolto.
“Sì, perché?” chiedo, curiosa.
“Come te la cavi con le scarpe?” chiede Kurt, ma io continuo a non capire: “Sai, mia sorella gestisce un negozio di scarpe a Brentwood, sulla Sunset, e sta cercando una commessa part time. Se ti va potresti provar là.”
“Non sarebbe male come idea.” Interviene Prue, incoraggiandomi: “Non per sminuirti, ma come cameriera non sei il massimo.”
“Lo so benissimo” arriccio le labbra e sbuffo: quella è un’occasione che non mi ricapiterà e necessito di soldi. “Quando posso presentarmi al negozio?”
“Anche domani stesso se vuoi.” Risponde Kurt, scrollando le spalle e bevendo un sorso del suo caffè.

Informo Kurt che andrò domani stesso, dopo l’università, al negozio della sorella, e dopo essermi fatta dare l’indirizzo preciso lo ringrazio e il discorso termina così. Improvvisamente il cattivo umore causato dal faccia a faccia con mia madre sembra essersi dissolto nell’aria, e la speranza si riaccende nuovamente in me. Se mi gioco bene le mie carte avrò quel lavoro, un lavoro in cui potrò sfruttare la mia conoscenza della moda e delle scarpe. Essere figlia di James Roberts, dopo tutto, ha ancora i suoi vantaggi. Smetto di fantasticare e ritorno con i piedi per terra: Prue e Kurt hanno iniziato un acceso discorso su chissà cosa, ma non sono loro che mi preoccupano, che attirano la mia attenzione. Logan se ne sta appoggiato con la schiena al ripiano della cucina e mi fissa: i suoi occhi continuano a mettermi in soggezione, a disagio, e anche se fingo di ignorarlo la tentazione di dargli un ceffone è forte. Fortuna per me, alcune ore dopo i ragazzi vanno via, lasciando me e Prue da sole, ma qualcosa dentro di me mi dice che è solo l’inizio, che mi ritroverò nuovamente a contatto con Logan, con i suoi occhi color ghiaccio capaci di far sussultare il mio cuore.




*


Angolo Autrice: Salve, gente. Mi scuso per il ritardo nell'aggiornamento, ma sono state settimane incasinate. Spero che il capitolo vi sia piaciuto: abbiamo scoperto nuove sfumature del carattere di Candy e abbiamo avuto un nuovo incontro\scontro con Logan. Ringrazio tutti coloro che leggono e che hanno messo la storia tra le seguite\preferite. Vi invito a lasciare una recensione, se vi va, e dirmi cosa ne pensate. Spero anche di non aver fatto errori: il capitolo è lunghetto e spero di averlo riletto bene. Alla prossima ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 10. Love is only a Feeling ***





 



Love is only a feeling
(Drifting away)
And we've got to stop ourselves believing
(It's here to stay)
'Cos love is only a feeling
Anyway.

Logan
 

**



“Buona notte, Mr. Chen, a venerdì.” Esco dall’uscita del retro che dà su di un vicolo buio e malandato, chiudendo la porta del ristorante cinese dove lavoro due volte a settimana alle mie spalle. Finalmente il mio turno è terminato, e posso respirare a pieni polmoni dell’aria che non sa di involtino primavera o riso alla cantonese. Per quanto la paga sia buona e Mr. Chen sia un buon diavolo, spesso lavorare là dentro mi sembra quasi impossibile; lavorare in quei pochi metri quadrati, destreggiandomi al meglio nel tentativo di non rompere nessun piatto, alle volte mi fa uscire pazzo. Non è questa la vita che voglio, ma questa è la vita che devo fare se voglio riuscire a pagare le bollette a fine mese. La borsa di studio è appena sufficiente a pagarmi la retta universitaria, e mia madre si è spaccata per troppi anni la schiena pur di riuscirmi a dare un futuro migliore, per non farmi sentire da meno rispetto ai miei compagni, per poterle chiedere in prestito dei soldi. Ma sono fiducioso: un giorno riuscirò a sfondare come fotografo, a coronare il mio sogno, e quando sarò ricco la farò vedere io a tutti quei ricconi che per tanti anni hanno sfruttato mia madre nelle loro belle case. Quando sarò ricco, comprerò un’enorme villa per mia madre, una villa a Beverly Hills, nel quartiere più lussuoso della città e la porterò a comprare i migliori vestiti sulla Rodeo Drive. Sì, un giorno sarò famoso, riuscirò a vivere con la mia arte, e tutti mi dovranno guardare dall’alto in basso.

“Storm!” Kurt mi sta aspettando poco lontano: ha la schiena poggiata sulla sua macchina, un rudere degli anni ’90 che ha comprato tre anni fa di seconda mano. Mi saluta sventolando una mano a mezz’aria, e con le mani in tasca e il passo svelto lo raggiungo.
“Scusa il ritardo, amico, ma stasera era giorno di paga, così…”
“Nessun problema, davvero. Nell’attesa mi sono fumato una sigaretta ed ho ammirato un bel paio di tette niente male.”
“Sempre il solito, biondo.” Scuoto la testa: Kurt non cambierà mai, ma è anche per questo che è mio amico. Siamo due cazzari, due spiriti liberi, e non ci importa di cosa potrebbe o non potrebbe pensare di noi la gente.
Salgo in macchina di Kurt: il mio amico accende il motore, ingrana la marcia e sfreccia a tutto gas diretto verso il Sunset. Non gli chiedo dove sta andando, non mi interessa; voglio solo bere qualcosa, staccare la mente per qualche ora e sparare due cazzate con il mio amico prima di tornare a casa e buttarmi a peso morto sul materasso che da più di sei mesi mi fa da letto.
Arriviamo in uno dei tanti locali del Sunset, un locale conosciuto ad entrambi: la birra è ottima là dentro, e anche le cameriere non sono niente male. Entriamo e una morettina con gli occhi da cerbiatto ci scorta ad un tavolo libero, mentre sia io che Kurt diamo un’occhiata al suo fondoschiena niente male. Ci sediamo, ordiniamo due birre bionde, e iniziamo a chiacchierare del più e del meno.

“Posso chiederti una cosa?” mi sono già scolato metà birra quando gli faccio quella domanda. Kurt annuisce, ed io continuo tranquillo: “Posso sapere com’è finita quella storia del lavoro tra te e la coinquilina di Prue?”
Kurt mi guarda di sbieco, perplesso: so che quella domanda può sembrare stramba, ma non è della coinquilina di Prue che mi interessa.
“L’ho presentata a mia sorella, lunedì, e a quanto sembra l’ha presa in prova per due settimane. Ma perché ti interessa?”
“Più che altro vorrei sapere cosa ha spinto te a proporle una cosa del genere. Non è da te, biondo.”
“L’ho fatto per Prue, nient’altro.” Confessa, prima di prendere un sorso di birra.
Bingo! Ho svelato l’arcano mistero. “Tu faresti di tutto per Prue.” Azzardo e Kurt si acciglia visibilmente.
“Certo che farei di tutto per lei, è la mia migliore amica.”
“Migliore amica un paio di palle!” esclamo, piccato. “Sappiamo entrambi che lei ti adora, che con un semplice schiocco di dita farebbe qualsiasi cosa per te… qualsiasi.”
“Dove vuoi arrivare, Storm?” chiede, nervoso.
“Voglio dire che, se tu non fossi così testa di cazzo e lei un po’ meno pudica, insieme sareste una bella coppia. Ma tu sei un coglione e lei non è tipo da avventure.”
“Lo so benissimo anche io, cosa credi? Prue non è mica la prima cameriera che mi fa gli occhi dolci in un pub, o una tipa rimorchiata in discoteca. E’ Prue, cazzo, è la nostra amica, e non potrei mai, mai, giocare con lei.”
“E questo ti fa onore.” Gli dico sinceramente, annuendo appena: “Nonostante tutto, temo che questo non basti. Credo che dovreste chiarire le vostre posizioni, mettere in chiaro le cose una volta per tutte.”
“Le nostre posizioni sono chiarissime: siamo amici e da tali ci comportiamo. Punto!”
Alzo le mani in aria, arrendevole: contenti loro. “Se ne sei convinto. Ma la prossima volta che ti ubriachi evita di proporle una sveltina, cose a tre, e chissà che altro. Sei imbarazzante!”
Vedo Kurt sgranare gli occhi: non ha memoria di tutto questo, e come potrebbe? Rimane in silenzio, senza ribattere nulla, e capisco di essere andato troppo oltre.
“Scusami, non volevo fare lo stronzo.”
“Non importa, man, davvero. E poi, tra i due credo di essere io lo stronzo.”
“Su questo hai ragione!” esclamo, punzecchiandolo di proposito, e dopo avermi fatto il dito Kurt scoppia a ridere, seguito a ruota da me. “Dai, alziamoci e andiamo a pagare: non so tu ma io ho bisogno di una dormita.”

Durante il tragitto Kurt rimane in silenzio, perso in chissà quali pensieri. Credo di intuirne qualcuno, ma decido bene di restare anche io in silenzio e lasciare il mio amico ai suoi dilemmi. Quando ferma la macchina davanti al mio appartamento ci salutiamo e, dopo avergli dato una pacca sulla spalla, gli dico:
“Non dannarti per quello che ti ho detto prima, non c’è alcun bisogno. Dopo tutto, l’amore è solo un’emozione come tante.”


**


L’indomani mattina mi sveglio di soprassalto, una sensazione spiacevole mi assale immediatamente. Mezzo addormentato, do un’occhiata alla sveglia, sveglia che a quanto pare non ho sentito o che, forse, ho dimenticato di mettere. Sono le otto e un quarto e tra quaranta minuti inizierà la prima lezione della giornata, della settimana, ed io sono in un fottutissimo ritardo.
“Merda!” impreco a denti stretti, buttando all’aria le coperte.
Mi fiondo in doccia, e impreco nuovamente per la freddezza dell’acqua; mi vesto con le prime cose che trovo nell’armadio, e afferrate le chiavi di casa e la tracolla verde militare mezza logora, esco dal monolocale.
Arrivo alla UCLA allo scoccare delle nove, con un fiatone degno di un corridore, e mentalmente penso che dovrei diminuire il numero delle sigarette. Riprendo a correre, e con le ultime energie che mi sono rimaste – non ho neanche fatto colazione, e la sera prima ho mangiato poco e nulla – arrivo in aula prima di svenire. Mi guardo attorno, e noto che il professore, quella vecchia mummia, non è ancora arrivato: esulto mentalmente e penso che qualcuno, su nei piani alti, deve volermi davvero bene. Però l’aula è gremita di gente, e trovare un posto libero è cosa ardua. Mi guardo intorno, alla ricerca di un posticino libero, e lo trovo al centro dell’aula, un posto esterno vicino al corridoio di sinistra: stringo le labbra in un sorriso e a passo svelto – non voglio rischiare che qualcuno me lo soffi all’ultimo minuto – raggiungo la mia ultima meta. E proprio quando sto per sedermi noto la ragazza seduta al posto accanto il mio, una ragazza con lunghi capelli color cioccolato tenuti sciolti sulle spalle e dei vestiti anonimi addosso che ho conosciuto la settimana precedente a casa della mia coinquilina, Prudence. La ragazza in questione, sentendosi con molta probabilità osservata, gira il capo verso di me, e sgrana impercettibilmente gli occhi dalla sorpresa.


“Ciao.”  La saluto, tranquillo e indico con un dito il posto accanto a lei: “Posso?”
La ragazza boccheggia, indecisa su cosa dire, ma alla fine annuisce con il capo ed io mi seggo accanto a lei. Ha un buon profumo, un mix di camomilla e pulito, e mi piace, mi piace molto. Peccato solo per quella sua spocchia che tiene perennemente stampata addosso, quell’aria da saccente “so-tutto-io” che proprio non sopporto.
“Ma lo conosci?” sento una terza voce bisbigliare, e con la coda dell’occhio - stando attento a non farmi vedere - scorgo una chioma rossa e fluente che riconoscerei tra mille.
“Ciao, Emily.” Saluto, senza neanche degnarla di uno sguardo. “E’ sempre un piacere vederti.” Mento, con la migliore faccia da schiaffi impressa sul viso.
“O’Connell! Da quanto tempo, eh?” sogghigna, anche lei ha un’espressione palesemente falsa.
“Un secolo.” Tengo il gioco, sorridendole a mia volta algido. “Anche tu conosci Candice?” guardo la ragazza, che se ne sta tra di noi senza dire nulla.
“Ci siamo conosciute la settimana scorsa. Aveva bisogno di alcune indicazioni.”
“Sì, ti capisco. La ragazza si perde facilmente.” Inarco un sopracciglio, e ghigno divertito. Candice mi fulmina con lo sguardo ma tace.
“Tu, invece, come fai a conoscerla?” chiede curiosa la rossa, incrociando la braccia.
“Amici in comune.” Liquido, senza darle troppe spiegazioni, e fortuna per me in quel preciso momento fa la sua comparsa il professore. Nell’aula cade un silenzio innaturale, e nel giro di due minuti la lezione ha inizio.

“Ehi, aspetta!” a lezione finita, mi sento chiamare da una voce femminile. Mi fermo e mi giro, trovandomi a pochi passi Candice.
“Cosa vuoi?” chiedo, forse in modo un po’ brutale.
“Volevo.. ecco.. volevo chiederti di dare questo a Prue.” Esce dal suo zaino un sacchetto trasparente, al cui interno sembra esserci un pranzo. “Ha dimenticato a casa il pranzo, e visto che tu e lei vi vedete sempre per pranzo…”
“Sì, infatti. Ci vediamo sotto il vecchio olmo, dietro la facoltà di lingue. Perché non vieni anche tu?” mi ritrovo a proporle, stupendo me stesso. La nostra cerchia è ristretta, sacra, eppure sto proponendo a questa ragazzina di cui non so nulla di pranzare con noi, con me.
“Grazie, davvero. Ma non ho idea di dove sia questo olmo.”
Alzo gli occhi al cielo e scuoto leggermente la testa: “Matricole!” esclamo, dando voce ai miei pensieri. “Vediamoci alle dodici e mezza fuori al cortile. Ti va bene?”
“Sì, va bene.”
“Bene. Ma non portare anche la tua amichetta. Non è gradita.”
“Sai, non so perché ce l’avete così tanto con Emily. E’ una brava ragazza, non ha mai fatto niente di male.”
“E’ fin troppo una brava ragazza.” La correggo: se solo sapesse quanto quella tizia è frigida non parlerebbe così. “In più è spocchiosa, una perfetta figlia viziata. Non è il nostro tipo, il mio tipo. Non mi piace, ecco tutto…” concludo, seccato.
“Non ti hanno mai insegnato a non giudicare un libro dalla copertina?”
“E questa cosa sarebbe, la perla di saggezza della giornata?” rido “Ascolta, ragazzina, non ho intenzione di dare spiegazioni, specialmente a te, quindi vediamo di chiuderla qua questa questione. Alle dodici e mezza fuori, e vedi di non farmi aspettare.” Concludo così la nostra conversazione, e dopo un veloce cenno di saluto riprendo a camminare verso l’aula della mia prossima lezione, scomparendo tra la marea di persone che affolla i corridoi.

 

**
 

“Sei in ritardo!” la rimprovero, piccato, mentre lei se ne sta davanti a me, con il fiatone e le guance arrossate. Per un momento la trovo carina, molto carina, così scarmigliata e affannata, ma quel pensiero dura un attimo, un veloce attimo.
“Scusami, sono mortificata.” Ha il fiatone, e la sue scuse sembrano sincere: “Il professore di architettura è un uomo prolisso, e uscire dall’aula prima della fine dei suoi infiniti discorsi è impossibile.”
“Ecco, un motivo in più che si aggiunge alla mia lista di motivi che mi hanno spinto a non iscrivermi ad architettura.”
“Sei anche tu all’ultimo anno?” chiede, mentre iniziamo a camminare.
“Sì, anche se sono un anno più grande della media. A diciotto anni mi sono preso un anno di pausa per poter racimolare qualche soldo da tenere da parte durante l’università. Col senno di poi, quell’anno mi è servito a ben poco.” La guardo per un istante e chiedo: “E tu, invece, da dove sei spuntata fuori? Che università frequentavi, intendo dire…”
“Berkley.” Dice, secca, e dal modo in cui si porge capisco che non vuole dire altro, che non mi dirà altro.
Berkley è un’università prestigiosa nello stato della California, non ai livelli di Yale, certo, ma ugualmente prestigiosa. E’ frequentata da persone ricche, figli di papà, quel genere di persone che ho sempre odiato. Mi chiedo chi sia lei in realtà, cosa nasconda sotto quell’aria da docile ragazza perbene. Forse lo scoprirò un giorno, ma per ora non mi interessa. Lei non mi interessa.
Arriviamo al vecchio olmo, dove ad aspettarci ci sono proprio tutti: Kurt, Prudence e Arashi. Prue è stupita nel vedermi con Candice, ma è anche contenta della mia proposta, una proposta azzardata, lo ammetto, che forse non avrei dovuto farle. Non mi piace avere estranei nel mio gruppo, non essere libero di fare e dire quello che voglio. Non sono mai stato una persona socievole, e sin da bambino diffido di tutto e tutti. Eppure Arashi sembra essere folgorato da quella ragazza, e subito i due iniziano a parlare come due vecchi amici. Anche Prudence passa la maggior parte del tempo con lei, mentre io me ne sto in silenzio a guardare quello spettacolo improvvisato e a mangiare il mio pranzo. Anche Kurt se ne sta in disparte insieme a me, ad analizzare quella ragazza, quella ragazza da cui proprio non riesco a distogliere lo sguardo. Sembro un fottuto maniaco. Il pranzo finisce presto, fortuna per me, e dopo aver salutato gli altri mi incammino verso la facoltà, dove mi aspettano altre due lezioni.

“Logan, aspettami!” mi chiama ed è la prima volta che usa il mio nome. Non so se la cosa mi infastidisce o mi piace, e questo mi fa incazzare.
Aspetto che mi raggiunga e riprendo a camminare con lei, insieme a lei: “Noto che Arashi ha fatto colpo.”
“Sì, è davvero simpatico. Di solito non attacco così velocemente bottone con le persone, ma con lui è stato diverso.”
“So bene cosa intendi: Arashi ha una strana influenza sulle persone.”
“Ascolta, Logan” cambia discorso, la sua voce si fa appena incerta: “So che il vostro è un gruppo stretto, e voglio rassicurarti: non ti starò tra i piedi. Inoltre, voi non siete proprio il mio tipo di persone.”
Mi fermo improvvisamente e la guardo accigliato: dovrei sentirmi offeso o cosa?
“Oddio, non fraintendere, non volevo insultarti in alcun modo. Solo…”
“Ehi, guarda che non mi importa. Neanche a me piace avere gente che non conosco tra i piedi, quindi fa ciò che vuoi. Non mi devi dare alcuna spiegazione, non mi devi proprio nulla. E poi, neanche io frequento gente di Berkley.” Forse sono stato troppo cattivo, forse ho calcato troppo la mano. Ma mi interessa davvero? Non lo so. “Però tu sei la coinquilina di Prudence, sei sua amica, quindi se ogni tanto vorrai stare con noi..” la campana della ripresa delle lezioni batte il primo rintocco in quel momento, ed io lascio la frase in sospeso. “Devo andare. Ci vediamo in giro, Candice.”
“Sì, ci vediamo in giro, Logan.”



______________________________________________________________________________________________________________

Angolo Autrice: Salve, gentaglia! Finalmente un nuovo capitolo dal POV di Logan. Spero vi sia piaciuto. E spero che la storia stia piacendo nonostante le poche recensioni dello scorso capitolo. Non so se aggiornerò durante le vacanze, è molto improbabile, quindi colgo l'occasione per augurarvi buone feste. Recensite, mi raccomando! :3 Alla prossima ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 11. This Picture ***









Beware this troubled world
Watch out for earthquakes
Goodbye to open sores
To broken semaphore
You know we miss her
We miss her picture


Candy


**



Los Angeles, un mese più tardi…


 
 
Sono passati due mesi dall’annuncio del fallimento dell’impero di mio padre, due mesi da quando mi sono ritrovata catapultata in una vita non mia, in una realtà che avevo intravisto per sbaglio durante i miei primi 22 anni di vita. Convivo con Prue da poco meno di due mesi, e da un mese lavoro in un negozio di abbigliamento e scarpe come commessa. Il negozio si trova a Brentwood, vicino la Sunset Boulevard, e anche se devo prendere due mezzi per arrivarci, posso dire con molta franchezza che il mio lavoro mi piace: la sorella di Kurt, Mary, è una tipa alla mano, sempre sorridente e disponibile. E’ stata colpita dalla mia conoscenza sugli abiti, sulle scarpe, e sulle firme di moda. Quando mi ha chiesto, stupita e piacevolmente colpita, l’origine della mia passione sulla moda, non le ho detto il vero motivo, optando per una motivazione più banale e forse scontata, una domanda in risposta ad una domanda: “La moda non è la passione di tutte le ragazze?”

E’ venerdì, non manca molto alle vacanze natalizie, e anche se fa freddo – non che 17 gradi sia una temperatura bassa, ma per noi californiani, abituati al perenne caldo e al sole, da un certo punto di vista lo è – il cielo è privo di nubi e mi sono svegliata di buon umore. E’ l’ultimo giorno di lezione prima delle vacanze, e non vedo l’ora di mettere piedi fuori da quella gabbia di matti, da quel manicomio adibito ad università. E’ da poco finita la prima lezione, mancano due ore alla pausa pranzo, e approfitto per fare un salto in bagno, svuotare la mia povera vescica, lavarmi le mani, rinfrescarmi il viso e aggiustare il trucco. Quando entro nel bagno delle ragazze – stranamente mezzo vuoto – due brunette mi squadrano, zittendosi improvvisamente. Riservo loro un’occhiata infastidita ma anche curiosa, e ignorandole mi infilo in uno dei bagni e mi chiudo a chiave.

“Ma quella era…” sento una delle due ragazze parlare, sussurrare, ma l’acustica del bagno mi permette di sentire abbastanza. La frase è volutamente lasciata in sospeso, ed è una seconda voce a concluderla:
“Sì, quella è la figlia di Roberts, quello della moda. Quel fallito di cui abbiamo letto sui giornali.”
“Povera, che pena. Fossi in lei mi sarei andata a nascondere sotto terra, o quantomeno mi sarei trasferita in Europa. Sua madre non è una modella francese?”
“Così ho letto. Certo che deve avere un bel coraggio a mostrarsi alla UCLA.”
“Da una altezzosa come lei cosa ti aspetti?” sento dei rumori, la voce prosegue: “Andiamo. Tra poco ricomincerà la lezione e non voglio fare tardi.”
Sento la porta del bagno aprirsi e richiudersi subito dopo; capisco di essere sola. Sola: la perenne condizione della mia vita. Mi sono sempre sentita sola, da quando ero bambina, ma adesso…
In quel bagno mi sembra di soffocare, mi manca l’aria: la gola diventa improvvisamente secca e gli occhi… No! Non posso piangere, non devo. Faccio scattare la serratura della porta, prendo la mia roba ed esco dal bagno. I corridoi sono affollati, mi manca l’aria, così decido di uscire da quell’inferno. Uscire, sì, ma per andare dove? Non so dove andare, dove ripararmi. Ho bisogno di esplodere, e di tornare a casa non se ne parla: esploderei prima di arrivarci, lo so.
E poi, improvvisamente, da un angolo remoto della mia mente, si accende una luce, la risposta, la soluzione che stavo cercando: l’olmo, il vecchio olmo dove Prue e gli altri si ritrovano per pranzo. E’ isolato, non ci va mai nessuno e, almeno per qualche tempo, spero di riuscire e starmene da sola, senza nessun ficcanaso tra i piedi.

Arrivo all’olmo correndo, affaticata. Ho il fiatone, il petto si alza e si abbassa come impazzito. Apro il palmo della mia mano, faccio cadere sul prato la borsa, i quaderni, in quello che è un rumore sordo. Non mi interessa, che si fottano i libri! Mi accascio, come priva di forze, contro il tronco dell’albero; mi lascio cadere fino a toccare terra, e solo allora mi prendo il viso tra le mani e mi permetto di piangere. Dio, è la prima volta che piango così, in questo modo disperato, la prima volta che butto fuori tutto, che mi permetto di abbassare le difese, che tolgo la maschera di imperturbabilità e fierezza che sento di portare addosso da sempre. Improvvisamente mi sento stanca, così stanca; mi sento invecchiata, e sento che qualcosa, dentro di me, sta morendo. E’ la vecchia me e a morire, e per la prima volta da due mesi realizzo che è tutto finito, che quella Candice non c’è più, che non tornerà mai più. Una parte di me è in panico, ma l’altra è sollevata: basta apparenze, basta compiacere gli altri, basta falsità. Ma senza quel mondo fatto di apparenze, di luci e abiti costosi, io chi sono davvero? Io sono ancora Candice, oppure tutto ciò che mi rimane è un nulla, un guscio vuoto? Io sono sempre stata quella Candice, e non so se sono in grado, se sarò in grado di essere diversa.


“Candice?” sobbalzo al suono di quella voce. Riapro gli occhi, e vengo accecata dalla luce del sole, luce che filtra tra i rami dell’olmo. Da quanto tempo mi trovo qua?
“L-Logan.” Sussurro, impacciata, e adesso sì che mi vorrei sotterrare. Che sia già l’ora di pranzo? “Cosa ci fai qua?”
“Cosa ci fai tu qua?” chiede a sua volta, e mi guada. Dio, non guardarmi così, non così, come se fossi un’appestata, una poveretta. Non guardarmi, ti prego!
“Avevo bisogno di stare sola.” A piangere tutte le mie lacrime “E’ già l’ora di pranzo?” chiedo, cercando in tutti i modi di dosare la voce. Tentativo pessimo! Anche un sordo capirebbe che ho pianto.
“No, manca ancora un’ora alla pausa pranzo.” Si avvicina, cauto, come un uomo si avvicinerebbe ad una bestia ferita e agonizzante. “Stai bene, Candice?”
Sorrido: che frase stupida da dire. No che non sto bene, ma lo ringrazio per lo sforzo. Dopo tutto, noi due siamo solo conoscenti, ma ugualmente Logan sta tentando di essere gentile.
“Sono stata meglio.” Rispondo, un sorriso amaro stampato in viso. Mi asciugo gli occhi, ma quando noto la scia nera che il mascara ha lasciato sulla mia mano ho la certezza che il trucco è colato. Sembrerò un fottuto panda ai suoi occhi!
“Nessuno dovrebbe piangere da sola, sai?” si avvicina e si siede accanto a me. Non mi guarda, ma mi sento ugualmente in soggezione.
“Non sto piangendo!” protesto ma lui mi lancia un’occhiata furtiva. Sì, ora si che devo sembrargli una completa deficiente.
“Le tue bugie sono pessime, lo sai? Hai gli occhi gonfi, il naso rosso e il trucco colato.” Apre la sua tracolla, e inizia a cercare qualcosa. Tira fuori un pacco di fazzoletti, ne tira fuori uno e me lo porge. “Tieni, soffia il naso.”
“Io…” boccheggio, non so cosa dire. La sua gentilezza mi spiazza sempre più. “Grazie.” Dico, afferrando il fazzoletto. “E’ stata una giornata orrenda.”
“Vuoi parlarne?” chiede ma scuoto la testa. Siamo troppo diversi, io e lui, e so che non capirebbe. “Vuoi continuare a piangere?”
Trattengo il fiato. Sì, vorrei piangere, ma non davanti a lui. Mi vergogno come una ladra, ed ecco che le parole di quelle due stronze rimbombano nuovamente nella mia testa: “Io..” il labbro trema, sto per ricominciare. “Merda!” mi mordo il labbro, stringo il fazzoletto fino a farmi sbiancare le nocche.
“Guarda che non devi parlare. Non devi dirmi niente. Ascolta: tutti abbiamo bisogno di una spalla su cui piangere, quindi, se vuoi, puoi piangere sulla mia.”
“Dici sul serio?” chiedo e dal suo volto capisco che sì, è dannatamente serio.
“Non mettermi alla prova, dolcezza. Non sono il tipo che ripete due volte la stessa cosa, quindi non farmelo ridire.”
“Oh, Logan!” afferro il suo braccio, ed ecco che ricomincio. Che scena patetica! “Sono una stupida, sono patetica.”
“Sei un essere umano, sei fatta di carne ed ossa, anche se in un primo momento non si direbbe” sorride, e per la prima volta sorrido anche io. “Oh, ecco un sorriso!” sogghigna, soddisfatto: “Ascolta!” mi prende per le spalle e continua: “Perché non usciamo di qua? Ho la macchina. Andiamo da qualche parte, ovunque. Ti accompagno anche a casa, se vuoi. Ma usciamo da questo inferno.”
“Perché lo stai facendo?” chiedo, ancora. Oggi non so fare altro che porre domande stupide.
“Perché, sotto sotto, forse, sono anche io un fottuto principe azzurro.” Si alza e mi tende la mano. “Dai, andiamo!” l’afferro e mi alzo. Logan mi aiuta a raccogliere le mie cose, mi porge i suoi occhiali da sole, così da nascondere i miei occhi gonfi, e inizia a camminare insieme a me verso l’uscita: “Se lo dici a qualcuno, anche a Prue, mi vendicherò!” minaccia, guardandomi dall’alto della sua altezza: “Ho una reputazione da difendere, io, e voglio preservarla. Intesi?”
“Intesi, Logan. La tua reputazione da duro è salva. Non dirò nulla, mi porterò il segreto nella tomba.”

 

**


“Sei strana forte, lo sai?” Logan mi guada di sbieco e sorride. Siamo seduti in un bar vista oceano a Malibu, e mentre lui sorseggia un caffè e mangia una ciambella, io prendo l’ennesimo cucchiaino di gelato dalla mia coppa variegata extralarge.
“Avevo voglia di gelato.” Mi giustifico, scrollando le spalle. Quando sono triste, il gelato riesce sempre a risollevarmi il morale. Il fatto che sia quasi inverno non conta.
“L’unica pazza, capace di mangiare gelato alle soglie del Natale, l’ho incontrata io.” Scuote la testa, rassegnato: “Povero me!”
“A me non va mica meglio: sono seduta con un tipo pseudo punk e impiccione.” Lo stuzzico, ma lui sa che gli sono riconoscente, lo capisco dai suoi occhi.
“Ingrata!” esclama, prima di portare nuovamente la tazza alle labbra. Rimaniamo in silenzio, e Logan afferra un giornale lasciato sulla poltroncina imbottita color porpora, proprio accanto a lui. Inizia a sfogliarlo con poca attenzione, dopo averlo poggiato sul tavolo, e in un istante l’atmosfera cambia. “Ecco dove ti avevo già vista!” esclama, sbattendomi in faccia il giornale, indicando con un dito un punto preciso. Il giornale è di qualche settimana fa, lasciato là per far svagare i clienti, e sulle pagine grigiastre è scritto con inchiostro un articolo su mio padre: “Candice Roberts. Ecco dove avevo già sentito il tuo nome!”
Trattengo il fiato: la fame mi è improvvisamente passata e l’angoscia è tornata prepotente. Ritorna il groppo in gola, il nodo allo stomaco. Mi alzo di scatto, e come una furia esco dal bar dopo aver acciuffato le mie cose.

Quando esco dal bar, l’aria fresca e la brezza marina mi colpiscono in pieno viso. Respiro a pieni polmoni, e senza sapere dove sto andando, inizio a camminare. Odio il mio passato, odio quel destino che si sta facendo beffe di me. Perché deve sempre andare tutto storto, perché? Molti direbbero che sia il karma, che la ruota ha finalmente girato, e forse, penso, quella gente ha ragione.
“Candice. Candice, aspetta!” Logan mi chiama ma io non mi fermo. Non voglio parlargli, dargli spiegazioni. Non voglio. “Candy!” mi supera, bloccandomi la strada.
“Che vuoi, Logan?” incrocio le braccia, mi metto sulla difensiva.
“Perché sei scappata, cosa ho fatto di male?”
“Nulla.” Punto lo sguardo in basso, sulla strada: “Voglio andare a casa.”
“Se è per quell’articolo, guarda che non devi dirmi nulla. Io..”
“VOGLIO ANDARE A CASA!” mi trovo ad urlare. Sembro una dannata pazza. Cosa mi sta succedendo? “Scusami, non volevo..”
“Lascia perdere.” È deluso, lo so, e me ne rammarico. Io distruggo tutto, sempre. Distruggo ogni cosa, e mi ritornano alla mente le parole di mia madre: io sono un pezzo di ghiaccio, io non sono capace di farmi degli amici. “Vieni, ti accompagno a casa.” La voce di Logan mi arriva ovattata, e catatonica annuisco e lo seguo senza fiatare.

Il viaggio di ritorno è immerso nel silenzio: Logan stringe il volante con forza, nervoso e tiene lo sguardo dritto sulla strada. Io mi torturo le mani, il labbro, e non dico neanche una parola. Lui è stato gentile con me, ed io ho rovinato tutto. Io rovino sempre tutto. Mi accorgo di essere arrivata a casa solo quando la macchina inchioda e si ferma. Mi guardo attorno, guardo Logan, il suo viso ancora fisso davanti a lui. Cerco qualcosa da dire, ma non riesco a dire nulla. Sospiro e apro la portella della macchina.
“Scusami, mi dispiace” dico con un filo di voce: non so se mi ha sentito, non so se quelle scuse saranno abbastanza per lui. Senza aspettare oltre scendo dalla macchina, richiudo la portella, e senza guardarmi indietro mi incammino verso il portone. Solo quando sento una brusca accelerata alle mie spalle mi giro, guardando impotente la macchina di Logan che parte e si allontana da me, svanendo dalla mia vista qualche secondo dopo.




__________________________________________________________________________________________________________

Angolo Autrice: Salve, gente! Chiedo perdono per il ritardo mostruoso, ma le feste non mi hanno lasciato molto tempo libero, e anche se mi ero ripromessa di aggiornare intorno al 3, alla fine sono finita ad aggiornare oggi! D: Capitolo movimentato anche questo, dove vediamo tutta la fragilità di Candy, una fragilità che la porta ad avere reazioni spropositate. Che dire? Ringrazio tutti coloro che leggono, seguono e hanno lasciato fino a questo momento una recensione. Continuate a dirmi cosa ne pensate! Le vostre opionioni sono importanti. Alla prossima ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 12: F-word ***





 
Because if you shoot a bullet, someone dies.
When you drop a bomb, many die.
You hit a woman, love dies. But if you say the f-word, nothing actually happens.

Logan



**


 
Vaffanculo!” Quando Candy scende dalla macchina pigio l’acceleratore e parto sgommando. Non ho una meta precisa, voglio solo mettere più distanza possibile tra di noi. Il suo comportamento, il suo essere così aggressiva, infantile, mi ha profondamente irritato e vorrei spaccare qualcosa. “’Fanculo!” Quella ragazzina è un’ingrata: io le ho teso una mano e lei, in risposta, mi ha morso. Sembra un animale selvaggio, un felino che ti soffia non appena ti avvicini anche solo per dargli un tozzo di pane. Rallento: mi chiedo se Prue sappia del suo passato, di chi è Candice realmente. Una ragazzina viziata, ecco chi è Candice Roberts, e ripensandoci non posso che darmi dello sciocco per non averlo capito; i suoi atteggiamenti da prima donna erano lampanti, e chiunque avrebbe capito che solo una spocchiosetta figlia di papà si sarebbe comportata così. Contraggo le mie labbra in una smorfia, un sorriso beffardo compare sul mio viso e capisco cosa ha spinto Candice a fare comunella con Emily Barrett: quelle due sono uguali. Vorrei darle un ceffone in questo momento, ma poi ripenso alla citazione di uno dei miei film preferiti, “I love Radio Rock”, pronunciate dal Conte, il mio personaggio preferito, e mi trovo a pensare che, l’unica soluzione possibile, sia dire un grande e sonoro “Vaffa..”

Continuo a guidare tra le colline di Los Angeles per un’ora circa, e solo quando il sole è totalmente svanito decido di fermarmi. Parcheggio in una traversa del Sunset Boulevar, e con passo svelto mi dirigo verso il locale dove lavora Prue, deciso a parlare con la mia amica. Quando entro il locale è già mezzo pieno, e lanciata un’occhiata al bancone vedo Prue impegnata a spillare birre per i clienti. Nel tragitto dall’ingresso al bancone ligneo due cameriere mi salutano e mi fanno gli occhi dolci ma io rispondo al loro saluto con uno freddo e distaccato, guardandole di sfuggita con la coda dell’occhio. In altre occasioni mi sarei fermato a parlare e flirtare un po’, ma stasera no, stasera non sono qua per rimorchiare. Mi siedo sul primo sgabello libero, e con un cenno della mano alzata a mezz’aria attiro l’attenzione di Prue che, in risposta, mi concede un frettoloso sorriso.

“Storm!” Prue mi saluta con voce squillante, sovrastando la musica in sottofondo: “Cosa ci fai qua? Non mi aspettavo di vederti al Whiskey stasera.”
“Avevo voglia di una buona birra e di vedere un volto amico.” Dico, sinceramente. Prue è una delle poche persone al mondo di cui mi fido cecamente, alla quale affiderei la mia vita: “Inoltre, vorrei parlarti di una cosa.”
“Una cosa?” Prue aggrotta le sopracciglia: io non le chiedo mai di parlare a meno che non sia successo qualcosa di grave. “Devo preoccuparmi?”
Scuoto la testa: “No, no. Non è niente di preoccupante, solo…” mi fermo e sbuffo dal naso: “Niente di che, giuro.”
“Come vuoi.” Scrolla le spalle ma non mi sembra poi così convinta: “Non posso staccare prima di mezz’ora. Mi aspetti, vero?”
“Sicuro!” esclamo, strizzandole un occhio e prendendo un sorso di birra.
Prue continua a guardarmi di sbieco, ancora titubante, ma non fa altre domande e torna a spillare birre per la restante mezz’ora.


Mezz’ora dopo, Prue mi raggiunge fuori, nel piccolo vicolo in penombra che costeggiava il locale. Senza darle tempo di chiedermelo, le porgo il mio pacchetto di sigarette, da cui ne estrae una, e lo zippo metallico che accendo con uno schiocco di dita e avvicino al suo viso, alla sigaretta che si accende e inizia a rilasciare piccole nuvolette di fumo che si uniscono a quelle della mia, di sigaretta, stretta saldamente tra le mie labbra.

“Allora, perché sei qua? Di cosa vuoi parlarmi?” chiede Prue, sbuffando fumo dalle narici. “Stamattina non sei venuto al vecchio olmo per il pranzo.”
“No, infatti.” Sbuffo anche io del fumo dalle narici, uno sbuffo più profondo del suo, pieno di frustrazione: “Ero con Candice.”
“Candice?” strabuzza gli occhi, incredula: “Che ci facevi insieme a lei?”
Il suo tono accusatorio non mi sfugge e metto subito le cose in chiaro: “Non farti strane idee, non ho alcuna mira sulla tua coinquilina.” Dico, secco e continuo: “L’ho trovata seduta sotto l’olmo, in lacrime.” Lo sguardo di Prue diventa più scuro, preoccupato: “Non mi ha detto cosa è successo, ma io mi sono ugualmente proposto di portarla via dalla UCLA e farla svagare. Siamo andati a prenderci qualcosa al bar, e abbiamo parlato molto, come due vecchi amici, ma poi..” ripenso al giornale abbandonato sulla poltrona accanto alla mia, e non posso non pensare a quanto, alle volte, la vita sia piena di sorprese, di strane coincidenze. “Sai chi è lei davvero?”
“Parli di suo padre?” chiede, una leggere sfumatura di insicurezza nella voce. Io annuisco e lei si gratta una guancia: “Sì, so tutto. Mi ha raccontato la sua storia poco meno di un mese fa.” Prende una boccata di fumo, continua mentre questo fuoriesce dalle sue labbra: “Avevamo avuto una piccola discussione su Emily Barrett, delle divergenze, ecco, ed io avevo fatto dei commenti sulla rossa che, inconsapevolmente, l’hanno ferita. Così abbiamo parlato, o meglio lei mi ha parlato, ed io ho realizzato che non mi interessa.” Butta il mozzicone per terra e spegne la sigaretta con la punta dell’anfibio che ha al piede: “Candice è una brava ragazza, è un’amica, e non mi interessa il suo passato. Ognuno di noi ne ha uno ed io non sono nessuno per giudicarla.” Si ferma e mi guarda sottecchi: “Tu, piuttosto, come fai a saperlo?”
E così le racconto tutto, del giornale, della sua reazione spropositata e di come mi ha aggredito: “Sembrava una pantera selvaggia, una cosa da non credere. Mi ha attaccato, senza motivo, e per un attimo avrei voluto darle una sberla.”
“Oh, Logan!” Prue scuote la testa: “Candice è complicata, è una ragazza che ha la tendenza a chiudersi a riccio, ad attaccare quando si sente minacciata..”
“Ma io non ho fatto nulla!” esclamo con voce più alta: "Le sono stato vicino, ho tentato di sollevarle il morale e…”
“Lo so, lo so, ma..” si passa una mano tra i capelli: “Candice non è una che si fida facilmente delle persone, e magari aveva paura di essere giudicata, di essere schermita, derisa.”
“Non mi ha dato neanche il tempo di spiegare, di dire nulla.”
“Le potrei parlare io, magari…”
“No!” la interrompo bruscamente: “Non voglio coinvolgerti. Anzi, fa finta di non aver mai parlato con me.” Scuoto la testa: “Non so neanche perché me la sto prendendo tanto. E’ solo una ragazza come tante; una lunatica, spocchiosa ragazzina.”
“Una ragazzina che è più simile a te di quanto non immagini.” Prue sussurra appena quella frase, eppure mi sembra come uno schiaffo in pieno viso: “Pensaci: anche tu sei scostante, diffidente, e quando qualcuno prova ad esserti amico, a conoscerti meglio, tu ti metti sulla difensiva e mordi come un animale in gabbia.” Sorride, è quasi divertita: “Sì, ora che ci penso siete entrambi due animali in gabbia, che agognano la libertà.”
“Quando sei così fottutamente poetica non ti sopporto, sai?”
Prue ride, i suoi rasta ondeggiano sulla sua schiena: “Forse perché ho ragione, e tu odi ammettere che qualcun altro possa avere ragione e tu torto.” Si avvicina a me e mi scompiglia i capelli: “Ora devo tornare dentro, e tu devi andare a casa.” Mi da un bacio sulla guancia, mi sorride, e io sorrido in rimando: “Ci vediamo domani.”

 

**


L’indomani sera Prue mi chiama sul cellulare, invitandomi a casa sua per un party tra amici. Ci saranno anche Kurt e Arashi, dice, e forse qualche altro amico in comune. Non posso mancare, mi dice, e alla fine accetto. So che ci sarà anche Candice, non me l’ha detto espressamente ma so che ci sarà. La cosa mi preoccupa un po’ e non so bene come gestirla: c’è dell’astio tra di noi, delle faccende irrisolte, e se le parlassi ho paura di come reagirebbe. Decido di non darci troppo peso, di non dannarmi, e di lavare i pensieri e le preoccupazioni sotto il getto caldo della doccia.

Arrivo a casa di Prue con quasi mezz’ora di ritardo: mi sono fermato a compare qualche birra e un paio di bottiglie di vodka sulla strada, e spero che questo basti per calmare il disappunto della mia amica. Prudence odia i ritardatari.
“Finalmente!” l’eco della sua voce riempie il pianerottolo e sorrido mentre la guardo sottecchi, ferma sullo stipite della porta. “Che fine avevi fatto?”
“Mi sono fermato a fare rifornimento. Mi perdoni?” Alzo la busta a mezz’aria e sorrido, sperando di convincerla.
Prue arriccia il naso, finge di pensare ad una risposta e, facendomi segno di entrare dentro dice: “Entra, prima che cambi idea!”
Io rido, stando attendo a non farmi sentire, e la seguo in casa.

“Storm!” due braccia esili mi cingono il collo e per poco non perdo l’equilibrio. Nella voce squillante e nel caschetto biondo che per un attimo mi acceca riconosco Sylvia, quella che per mesi è stata la mia musa, la mia confidente, la mia amica, la mia amante. Era partita per NY, o così mi avevano detto, ma adesso eccola nuovamente, con il suo sprezzante entusiasmo. “Sorpresa, mon cher! Ti sono mancata?”
Le sorrido ma non rispondo. Mi limito ad abbracciarla e baciarle le guance morbide e rosse come mele. Sì, mi è mancata, mi sono mancate le nostre chiacchierate notturne e il nostro sesso selvaggio in questo mese passato lontano.
“Com’è andata a NY?” chiedo, interessante.
“Bene, bene. Mi hanno presa e, tra due settimane, mi trasferirò a Parigi!”
“Parigi?” sgrano gli occhi, sorpreso, e lei annuisce.
“Già, ed è tutto merito delle tue foto. Si sono innamorati di me, e mi voglio ingaggiare come fotomodella!” mi abbraccia ancora e mi stampa un bacio sulle labbra. Kurt fischia, ed io gli faccio il dito. “Ti sarò debitrice a vita!”
Sorrido ancora, sinceramente contento per lei, e Sylvia mi bacia ancora. In quel momento, noto Candice seduta sulla poltrona del soggiorno, che ci fissa con sguardo vacuo e si morde un labbro. Mi sento quasi in colpa per aver baciato Sylvia, e non riesco a capirne la ragione.
“Stanotte sei mio, non accetto obbiezioni.” Sylvia mi punta un dito contro ed io annuisco. Magari, penso, una nottata di sesso mi aiuterà a ripulirmi la mente da tutte queste stronzate che mi stanno corrodendo il cervello.


“Posso parlarti?” mi sto riempiendo il bicchiere con del rum quando Candice, dietro di me, mi porge quella domanda. Non ci siamo neanche salutati al mio arrivo, abbiamo finto di ignorarci, eppure eccola qua, con lo sguardo basso e le dita strette attorno ad un bicchiere di plastica.
“Certo.” Rispondo, tranquillo, girandomi e fronteggiandola. “Ma non qui, c’è troppa gente. Andiamo fuori.”
Candice annuisce, senza ribattere, e usciamo sulla scala d’emergenza collegata alla finestra della cucina. Mi siedo sulle scale, mentre lei rimane in piedi, sempre più nervosa.
“Dimmi, ti ascolto.” La incito, aspettando una sua parola.
“Mi dispiace.” È telegrafica, non mi guarda quando pronuncia quelle due, apparentemente semplici, parole. “Mi sono comportata male con te, mi dispiace.”
Ragazzi, credetemi quando dico che mai e poi mai mi sarei aspettato delle scuse da lei, miss perfezione, Miss Candice Roberts. Che la fine del mondo si avvicini?
“Tu sei stato così carino con me, ed io ti ho aggredito. Avrei dovuto lasciarti parlare, lo so, ma mi sono sentita giudicata, ancora, mi sono sentita sotto processo e..” prende un respiro profondo: “Quando mi sento attaccata, quando non mi sento a mio agio, io divento aggressiva, attacco, e ferisco le persone.”
Nel suo sguardo rivedo la ragazzina spaventata e triste del giorno prima, quella rannicchiata sotto l’olmo della UCLA, e comprendo che è arrivato il momento di dire qualcosa.
“Non importa, è passato.” Mi alzo, mi avvicino a lei: “Sei stata brusca, lo ammetto, ma anche io non avrei dovuto reagire così, arrabbiarmi in quel modo. Abbiamo sbagliato entrambi ma, sai, anche io quando vengo attaccato divento brusco.” Le sorrido, e lei sorride di rimando. Ha un sorriso stupendo, diamine! “Se mai vorrai parlane, sappi che sono qua, che ti ascolterò.”
“Grazie, lo apprezzo molto.” Cade il silenzio e la vedo imbarazzata: non sa cosa fare, neanche io lo so bene. Alla fine allunga una mano e dice: “Amici, dunque?”
“Amici.” Rispondo, stringendole la mano, trovandola calda e morbida. “E adesso torniamo dentro. La serata è appena iniziata, e la vera festa deve ancora iniziare.”




_____________________________________________________________________________________________

Angolo Autrice: Perdono, perdono, perdono!!! Sono in ritardo pazzesco, lo so, ma è un periodaccio. Esami, tesi, e tanto stress. Ho poco tempo libero, e quello che ho lo passo a cazzeggiare, leggere FF su The White Queen, e dormire. Insomma, pochissima voglia di scrivere, ma non per questo ho abbandonato le mie storie. No signore, no! ù.ù La storia arriverà alla sua fine, su questo non ci son dubbi. Sto anche lavorando ad una nuova - a momento è ancora nella mia testa. Anyway, la smetto di sparlare e spero che il capitolo vi sia piaciuto. Il titolo, come la citazione, sono presi dal film citato "The Boat that rocked", conosciuto in italia come "I love radio Rock" uno dei miei film preferiti con il grande Philip Seymour Hoffman che, purtroppo, ci ha lasciato ieri! Bene, questo è quanto... ringrazio tutti coloro che leggeranno, che hanno messo la storia tra le seguite-preferite, e che lasceranno due righe. Alla prossima ;)
 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 13: Notti Bianche ***










"Un giorno tu ti sveglierai e vedrai una bella giornata. Ci sarà il sole, e tutto sarà nuovo, cambiato, limpido.
Quello che prima ti sembrava impossibile diventerà semplice, normale. Non ci credi? Io sono sicuro. E presto. Anche domani."


Candy



**



Quella mattina apro gli occhi e sorrido: è l’ultimo dell’anno, l’ultimo giorno di quel pazzo, surreale anno che mi ha sconvolto la vita. E’ buffo, così buffo. Pochi mesi fa mai avrei pensato di vivere in un appartamento con una pseudo hippie con rasta tra i capelli, di diventare amica di un capellone biondo che alza troppo spesso il gomito, di un giapponese che psicanalizza tutti e un artista con la passione dei Rolling Stones. Sì, io e Storm, Logan, siamo diventati amici, ottimi amici, e stare con lui mi rende felice, spensierata. Ho passato questi dieci giorni di vacanze natalizie a bere, ridere, scherzare, a vivere. Vivere: ecco cosa ho fatto. Mai prima d’ora mi ero sentita parte di qualcosa, di un gruppo, ma con Prue e gli altri tutto è diverso, ogni sera è diversa. E non mi interessa se il giorno dopo mi sveglio con un cerchio alla testa, la nausea per il troppo alcool, perché quello che importa è vivere, vivere adesso.

“Buongiorno, dormigliona!” Prue entra in camera, nelle mani un bicchiere di succo di frutta all’arancia: “Stavo per venire a svegliarti.”
“Che ore sono?” chiedo, intontita, stropicciandomi un occhio e stiracchiandomi.
“Tardi, molto tardi. Ma ti perdono: in questi giorni ti sto sballottando da un locale all’altro e, per quanto tu voglia fare finta di esserlo, so che non ti sei ancora abituata alla cosa, che non sei propriamente un animale da festa.”
“Ma lo diventerò, stanne certa!” esclamo con orgoglio, mettendomi seduta: “Stamattina mi porti a Rodeo Drive, uh?”
“Rodeo Drive? Ragazza, sei impazzita?” Prue scuote la testa, divertita: “Sono una squattrinata ragazza di provincia, io. Non sono una figlia di papà come te!” mi provoca ma senza cattiveria. Prue non direbbe mai nulla per ferirmi.
“E allora dove?” Prue ha deciso che è ora di rifare il guardaroba, di lasciare gli abiti firmati e trasformarmi in una fricchettona.
“Non posso dirtelo, è una sorpresa.” Mi strizza l’occhio e continua: “Se vuoi saperlo dovrai alzarti, vestirti e seguirmi.”

E così mi ritrovo, qualche ora dopo, in un negozio vintage gestito da un punk con i capelli blu e la sua ragazza, una tipa che sembra una bambola di porcellana, con grandi occhioni blu e boccoli biondi compresi. E’ lei che ci segue, che mi consiglia ed è adorabile. Si chiama Anne, ed è una vecchia amica di Prue. Mi fa provare decine di abiti, i più strani e disparati, ma quando arriva il momento di decidere mi dico di andarci piano, che non sono ancora pronta per i pantaloni di pelle e le borchie. Così compro un abito anni ’80, con scollo a cuore, senza spalline e un’ampia gonna in tulle viola con pois neri; mi sento Madonna all’epoca d’oro ed è strano: è strano che io, Candice Roberts, la ragazza che fino a sei mesi fa indossava solo Chanel e Dior, indossi abiti sgargianti e vintage, abiti che mai mi sarei sognata di indossare. Ma mi piace, mi piace la ragazza che vedo davanti a me, il mio riflesso nello specchio, e ancora una volta mi sento viva, sento che il passato è solo un ricordo.

 

**


“Emozionata per stasera?” mi chiede Prue, tutta entusiasta, saltellando per la stanza al ritmo di musica, una canzone degli Smiths che canticchia da tutto il giorno: “E’ il nostro primo capodanno insieme, ed io sono così contenta!”
“Anche io lo sono.” Confesso ed è la verità: “Mesi fa mi sentivo persa, sola, e mai avevo trovato un’amica sincera come te. Sai, a Barkley tutti volevano qualcosa da me, dagli altri. Non era vera amicizia, solo egoismo.”
“Non pensarci più, Candy. E’ passato!” esclama, notando il mio viso farsi più serio: “Adesso sei qua, con me, con questa folle ragazza che fuma troppe canne, e tutto andrà al meglio.” Continua a canticchiare, ed io annuisco e sorrido, tornando ad acconciarmi i capelli.

“Ci sarà molta gente stasera?” chiedo, mentre siamo dirette a casa di un amico di Prue, un tipo di nome Edward che non conosco. Ebbene sì, io, Candice Roberts, mi sto per imbucare ad una festa. Incredibile, no?
“Non ne ho idea.” Confessa con fin troppa facilità Prue, ridendo: “Probabilmente la metà di quelli che prenderà parte alla festa saranno estranei.”
“Prue!” la rimprovero, shoccata: non mi aveva detto questo, non sapevo. Ma Prue caccia la testa all'indietro e ride, ride come se fosse normale, come se lo trovasse divertente.

**


E così arriviamo a casa di questo tipo, Edward, ma più che una casa è una enorme villa con piscina e ci sono quelli che Kurt definirebbe come un “fottio di gente” che si riversa da ogni parte. Inizio ad innervosirmi: io non sono mai stata l’anima della festa, né mi sono mai sentita a mio agio in un ambiente troppo affollato. No, non è agorafobia, semplicemente non mi piacciono molto le persone, le persone che non conosco e da cui non so cosa aspettarmi. Dentro casa è tutto così surreale: la musica è sparata a tutto volume, non importa se sono solo le dieci, e la gente beve e balla, balla in modo ossessivo, balla come indemoniata. Io voglio tornare a casa, ma so che non posso. Prue ha ragione: non sono ancora un animale da festa, e non so se mai lo sarò.

“Candy!” Kurt si avvicina, bicchiere di birra in mano e sguardo brillo, e mi abbraccia: “Vi stavamo aspettando. Gli altri sono già arrivati.”
“Lo sai che le persone importanti si devono far desiderare!” esclama piccata Prue, alzando la voce di parecchi toni, e in risposta Kurt le fa il dito medio.
“Venite di là, c’è un fiume di birra, di birra buona!” urla quasi Kurt e senza dire nulla io seguo Prue che segue a sua volta Kurt.

Quello che segue è molto confuso: la musica è forte, mi assorda, e la gente mi passa accanto senza degnarmi di uno sguardo. Parlo molto con Arashi, scambio qualche parola con Logan, impegnato com’è a rimorchiare una brunetta tutta curve, mentre Prue e Kurt scompaiono dopo solo un’ora dal nostro arrivo, entrambi ubriachi. Finalmente, penso, Kurt è riuscito nel suo intento, a far capitolare Prue e portarsela al letto. Non so cosa accadrà domani mattina tra loro, ma ho un brutto presentimento a riguardo. Non manca molto alla mezzanotte ed io mi sento ubriaca: ho bevuto birra, parecchia, e la musica mi sta facendo impazzire. Ho bisogno di un bagno, di sciacquarmi la faccia, così mi addentro al primo piano in cerca di pace e di un bagno libero e possibilmente pulito.

“Ehi, dolcezza, tutto bene?” un tipo si avvicina a me, mi posa una mano sul fianco ma io la tolgo: “Hai bisogno di una mano? Se vuoi posso aiutarti.”
E’ ubriaco, forse fatto, lo capisco dal puzzo che emana e dai suoi occhi vitrei: strafatto a nemmeno tre ore dall’inizio della festa, questo sì che è un record mondiale. Cerco di sorpassarlo, di seminarlo, ma lui torna all’attacco, inarrestabile.
“Mi chiamo Louis, sono francese.” Ammicca, ma se crede che il fascino europeo attacchi con me si sbaglia: ho frequentato francesi per metà della mia vita e due belle paroline ed una erre moscia non mi fanno né caldo né freddo.
“Buon per te, davvero. Ora però devo andare!”
“No, non puoi!” mi prende per un gomito e stringe. Tento di levarmelo di dosso ma il francesino è forte, molto più di me: “Ci potremmo divertire, se solo volessi.”
“Ma non vuole, quindi vattene a ‘fanculo!” una terza voce risponde per me, e sono così sollevata nel vedere Logan poco distante. “Lascia la mia ragazza, o giuro che ti faccio un occhio nero e non solo.”
“La tua ragazza?” lascia di colpo la presa e porta le mani in aria: “Amico, scusa davvero. Non sapevo che... - ride istericamente - Beh, buona serata allora. Divertitevi!”

“Stai bene, ti ha fatto male?” chiede a pochi centimetri da me, e scuoto la testa: “Bene. Andiamo da qualche altra parte però, andiamo in un posto tranquillo.”
Logan mi prende per mano ed io lo seguo come incantata verso una meta ignota: mi conduce in una stanza da letto con bagno annesso, dove mi posso finalmente sciacquare la faccia e distendermi su di un morbido letto matrimoniale.
“Hai alzato il gomito, uh?” mi stuzzica, stendendosi accanto a me: “Sei davvero una pivella, ragazza.”
“Crepa, Logan!” esclamo piccata, una mano che mi copre gli occhi: “A differenza tua e dei tuoi amici non sono un’alcolizzata.”
“Io di sicuro non lo sono. Forse Kurt, ma non io.” Posa il capo sulla mia pancia e mi trovo a trattenere il fiato. Non siamo mai stati così intimi, mai, e la cosa mi fa uno strano effetto: “Domani starai meglio, lo prometto.”
“Per un paio di giorni eviterò alcolici. Forse anche per una settimana!” decido, parlando sia a lui che a me stessa. “Il mio fegato mi ringrazierà per questa saggia scelta!”
“Questo è sicuro!” ride, e in quel momento arriva un vociare rumoroso da basso, un vociare che richiama la nostra attenzione: “Lo senti?” Logan alza il capo e guarda l’orologio legato al suo polso: “E’ quasi mezzanotte.”
9, 8, 7…” le voci da basso stanno urlando il conto alla rovescia, mentre noi ce ne stiamo stesi sul letto senza sapere cosa fare o dire.
3, 2, 1! Buon anno!”
Esplode un boato gigantesco, mentre noi due continuiamo a guardarci e a non dire nulla, persi nello sguardo dell’altro, nei nostri pensieri.

“Buon anno, Logan!” esclamo, rompendo il silenzio e sorridendo dolcemente.
“Buon anno, Candy.” Ricambia lui, avvicinandosi a me e baciandomi su di una guancia, forse troppo vicino all’angolo della mia bocca.
Logan si allontana di qualche centimetro dal mio viso, continua a fissarmi con i suoi profondi occhi verdi, che trapelano tutto il suo desiderio, la voglia che ha di fare qualcosa di stupido e folle. E poi lo fa, fa quel qualcosa di stupido e mi bacia senza preavviso, le sue labbra incollate sulle mie in un bacio a stampo che dura un attimo, troppo poco. Vorrei dire qualcosa, protestare, ma tutto quello che riesco a fare è baciarlo ancora, affondare le dita della mia mano nei suoi capelli, stringermi a lui, mentre le nostre lingue iniziano a rincorrersi, le nostre labbra ad assaporarsi. Chiudo gli occhi, mi inebrio del suo profumo, rabbrividisco al tocco gentile della sua mano sul mio collo e lo bacio, lo bacio ancora e ancora, lo bacio con disperazione. Continuo a baciarlo per ore, a stringerlo a me, a sospirare quando si fa più audace, e non protesto, non mi fermo, mai. Mi addormento tra le sue braccia, con le labbra gonfie e la mente leggera, e in questo momento posso dire che il passato è ormai dimenticato, e che quando mi sveglierò, domani mattina, tutto sarà nuovo, cambiato, ma semplicemente giusto.




*

Angolo Autrice: Lo so, sono in ritardo mostruoso e non ho scusanti! Ma cercate di capire, sono appena uscita viva dalla sessione invernale di esami universitari - l'ultima prima della laurea - e non ho avuto molto tempo libero, o ispirazione per questo nuovo capitolo. Però adesso dovrei avere più tempo per dedicarmi a tutte le mie storie, e prometto che il prossimo arriverà entro dieci giorni\due settimane! Spero che la storia vi stia piacendo, e spero che qualcuno mi lascerà una recensione. Alla prossima ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 14. Last night I dreamt that Somebody loved Me ***






 

Last night I dreamt
That somebody loved me
Last night I felt
Real arms around me

Kurt



**

 


Non sono mai stato uno stronzo con le donne, non quel tipo di stronzo che tutti pensano. Io non me la faccio con tipe fidanzate, tipe che vogliono relazioni serie, e soprattutto non me la faccio con le mie amiche. Io non scopo con le persone a cui voglio bene, eppure quella mattina, quel primo dell’anno del 2012 mi rendo conto di aver fatto la più grande cazzata delle mia vita non appena apro gli occhi. Con non poca difficoltà metto a fuoco la stanza, una stanza anonima, in penombra, e mi guardo attorno alla ricerca di una ragazza addormentata o in procinto di vestirsi e andarsene. Noto il letto sfatto alla mia sinistra, i miei abiti abbandonati per terra, e ancora una figura esile accovacciata su di una poltrona, proprio accanto alla finestra da cui entra obliquamente un fascio di luce.

Prue stringe le gambe al petto, una sigaretta tra le dita di una mano, e mi sorprende vederla fumare – Prue fuma poco, non fuma mai di prima mattina. So che è successo qualcosa, lo capisco nonostante la mia mente ancora annebbiata, nonostante io sia mezzo nudo in quel letto non mio. Lo capisco dal suo sguardo perso in chissà quale pensiero, dal suo trucco colato che fa sembrare il suo viso ancor più pallido di come lo sia normalmente. Deglutisco, improvvisamente nervoso, e anche se vorrei dire qualcosa, attirare la sua attenzione, rimango in silenzio a guardarla fino a che lei non si accorge di me, sussultando lievemente.

“Kurt!” la sua voce non cela un filo di nervosismo, e noto le sue gambe muoversi nervosamente, il suo corpo che si sistema sulla poltrona improvvisamente scomodo.
“Prue,” sussurro di rimando, continuando a guardarla: “Che ore sono?”
“Tardi, forse l’ora di pranzo.” Risponde senza emozioni, tornando a guardare fuori: “Il sole è alto, è una bella giornata.”
“E’ quasi sempre una bella giornata a Los Angeles.” Faccio notare, e finalmente mi alzo da letto, la testa che mi gira appena quando poggio i piedi nudi sul marmo freddo del pavimento: “Prue…”
Sono a pochi passi da lei, mezzo nudo, e la mia amica torna a guardarmi, i suoi occhi percorrono il mio corpo e sospira pesantemente. Spegne la sigaretta nel posacenere posto sul mobile, ma non si alza, aspetta una mia parola, una domanda che alla fine non arriva.
“Vuoi sapere cosa è successo stanotte?” alla fine è lei a chiederlo, ed io annuisco, troppo codardo per parlare. Lo sono sempre stato, un codardo, sempre incapace di prendermi le mie responsabilità, di crescere, ma in quel momento mi odio come poche volte. “Non abbiamo fatto sesso se è quello che temi.” Prue si alza, e non posso non lasciarmi scappare un sospiro di sollievo: “Non che tu non volessi, sia chiaro.” Aggiunge successivamente e stringo le labbra: “Ma non te l’ho permesso. Non…” torna a guardare fuori, quel pezzetto di cielo che sembra darle tranquillità, quella tranquillità che io non riesco a trasmetterle: “Almeno uno dei due non era così ubriaco da permettere una cazzata simile!”
“Una vera fortuna, allora!” esclamo, e nel mio sorriso c’è un qualcosa di isterico: “Almeno uno dei due ha ancora dal sale in zucca.” Abbasso lo sguardo e mi gratto distrattamente la nuca, sentendomi per la prima volta a disagio davanti a Prue, alla mia migliore amica: “Credo, dunque, di doverti delle scuse per esserti saltata addosso. Perché sono stato io ad iniziare, non è così?”
Prue trattiene il fiato, si morde il labbro inferiore e scrolla le spalle: “Non ricordo. Ma anche se fosse questo non cambia le cose, non cambia il fatto che io ti abbia assecondato…”
“Eravamo ubriachi persi.” Faccio notare per l’ennesima volta, un tentativo stupido di giustificarci, di giustificare il nostro folle comportamento. “Non essere troppo dura con te stessa. Dopo tutto non abbiamo fatto sesso, non ci siamo spinti troppo in là. Possiamo far finta che non sia mai successo e ritornare ad essere amici come prima.”
“Lo credi davvero, Kurt?” la voce di Prue è poco più alta rispetto a prima, trapela nervosismo, frustrazione: “Credi che tutto si possa dimenticare, cancellare con uno schiocco di dita?” scuote la testa, ride algida: “Sei davvero uno sciocco.”
“Tu hai altre opzioni?” chiedo, incrociando le braccia al petto: “Che altro ci rimane?”
“Essere onesti con noi stessi. Ci rimane l’onestà, Kurt, ma tu hai troppa paura per vedere in faccia la realtà.”
Aggrotto la fronte senza capire: “Di cosa stai parlando? Non starai proponendo di chiudere l’amicizia, di chiudere il nostro rapporto?”
“E anche se fosse?” fa un passo avanti, i nostri visi si sfiorano, e se volessi potrei baciarla con una facilità incredibile. Non rispondo a quella provocazione, non ho intenzione di fare il suo gioco, e dopo qualche istante passato a guardarci negli occhi Prue si allontana nuovamente e inizia a raccogliere le sue cose.
“Cosa stai facendo?” chiedo, e nel sentire la mia domanda mi rendo conto di quanto sia stupida, di quanto io sia un cretino.
“Vado via. Candy starà in pensiero per me, ed ho bisogno di una doccia, di un’aspirina.”
“Ti accompagno, ho la macchina.” Mi offro, ma lei sembra non sentirmi. Quando è completamente vestita mi avvicino a lei e le afferro un polso: “Prue, dannazione!”
“Lasciami!” si ribella, scostandosi in modo brusco: “Non me la sento di parlare ancora, di passare un altro minuto con te.”
“Ma perché adesso mi tratti così, eh? Perché mi stai allontanando, cosa è successo stanotte che ti ha sconvolta tanto?”
“Non è successo niente, Kurt. Nulla che valga la pena ricordare, nulla che per te vale la pena ricordare.”
“Io non ti credo, tu mi stai nascondendo qualcosa.” La guardo chinarsi e afferrare la sua borsa, e anche se vorrei fermarla non oso sfiorarla ancora: “Prue, ti prego!”
“Lascia perdere, Kurt, lascia perdere. Vai a casa anche tu, fatti una doccia, e lascia perdere quello che è successo stanotte.” Mi prega, i suoi occhi sembrano velati da lacrime: “Se davvero ci tieni a questa amicizia lascia perdere e dimentica tutto.”

**


Chiamo Storm quella sera e lo prego di raggiungermi al Temple Bar, a Santa Monica. Ho bisogno di parlare con qualcuno, anche se già so che il mio migliore amico si incazzerà con me per quello che ho combinato con Prue, ma sono disposto anche ad una sua strigliata pur di buttare fuori tutta la mia frustrazione. E’ il 2 di Gennaio, è passato un giorno da quella discussione con Prue, ed io mi sento ancora un completo idiota perché, per quanto mi costi ammetterlo, se lei non mi avesse fermato io avrei fatto sesso con la mia migliore amica senza neanche pensarci due volte. Mi passo le dita di entrambe le mani nei capelli, tirandoli indietro, e stringo: forse Logan ha ragione quando dice che sono un sesso dipendente, che da ubriaco mi farei anche mia sorella.

“Ehi, stronzo!” la voce di Logan mi fa ritornare con i piedi per terra, e in risposta gli sorriso sghembo e gli faccio un dito medio.
“Sei in ritardo, coglione!” esclamo a mia volta, fintamente seccato: “Entriamo? Ho bisogno di una birra.”
“Allora siamo in due.” Aggiunge il mio amico, e insieme entriamo nel locale.


“Si può sapere perché mi hai fatto venire a Santa Monica?” mi chiede più tardi Logan, mentre sgranocchiamo delle patatine fritte e beviamo birra nera. “Non veniamo quasi mai qua, e la cosa mi puzza.”
“Dovremmo venirci più spesso, invece. Mi piace questo locale,” aggiungo e butto un’occhiata ad una della cameriere: “E le ragazze non sono niente male.”
“Finiscila di fare il coglione, biondo, e dimmi perché siamo qua!” ordina Logan, ed io abbasso lo sguardo e sogghigno.
“Non ti si può nascondere nulla, uh?” scuoto la testa: “Dimmi, hai sentito Prue in questi due giorni?”
Storm alza di scatto gli occhi dal cestino di patatine fritte, sembra improvvisamente a disagio e io penso al peggio: “No, non la vedo dalla festa. Perché, cosa ti ha detto?”
Mi acciglio, sempre più confuso. Cosa sa Logan che io non so, penso, e Prue com’è coinvolta in tutto questo guazzabuglio? “Nulla. Cosa avrebbe dovuto dirmi?”
“Niente, assolutamente niente.” Sventola una mano, come se stesse scacciando una mosca fastidiosa: “Lascia perdere.”
“Oddio, non avrai combinato anche tu qualche casino alla festa?” sgrano gli occhi, so che mi sono parzialmente tradito con quella domanda ma non mi importa.
“Anche? Perché, tu che casino hai combinato?” chiede Logan, che non si lascia sfuggire mai nulla. Dannato me!
“Ma la smetti di rispondere alle mie domande con altre domande?” mi sto irritando, e quindi decido di mettere fine a quella conversazione assurda: “Anzi, lascia perdere. Inizio io, ma tu giura, giura di non dare di matto!”
“Lo giuro!” esclama, e si porta una mano sul cuore: “Croce sul cuore.”

E così, preso un respiro profondo, inizio a raccontare tutto – tutto ciò che ricordo e che mi ha detto Prue, ovviamente. Logan mi ascolta in silenzio, mentre io butto fuori tutta la mia frustrazione, la mia rabbia verso me stesso, i miei comportamenti spropositati e sempre fuori luogo. Prue è sacra, me lo ripeteva sempre Logan, ed io avevo quasi fatto sesso con lei. Mi vergognavo per questo.

“Io non voglio perderla, Storm, non posso perderla! Lei è la mia migliore amica, è la mia famiglia!”
“Allora avresti dovuto pensarci prima di ubriacarti e provare a scopartela!” esclama Logan, cercando di trattenere la rabbia: “Prue ti vuole un bene dell’anima, e da mesi e mesi cerca di respingere le tue avance da ubriaco. Dio, Kurt, quando ti ubriachi diventi un’altra persona, sei odioso e vorrei spaccarti la faccia.”
“Credi che non lo sappia? Credi che io non mi faccia schifo? Cazzo, ho tentato di portarli al letto Prudence, Prue!” ancora una volta mi porto le mani tra i capelli: “Non posso perderla, non posso…”
“Dalle del tempo, vedrai che le cose si sistemeranno da sole.”
“Ne sei sicuro?” chiedo, per nulla convinto e lui annuisce: “Come fai ad esserlo?”
“Perché lei è Prue, e perdona sempre. E’ la ragazza più dolce del mondo, e poi perché spero che, perdonando te, perdoni anche me!”
“Perdonare te?” inclino il viso, aggrotto la fronte: “Perché dovrebbe perdonare te?”
“Perché ho passato quella stessa notte in una stanza poco lontano dalla vostra, steso su di un letto insieme a Candice.” Boccheggio, ma prima di lasciarmi la possibilità di dire qualsiasi cosa Logan continua: “No, non ci ho fatto sesso, ma avrò passato almeno due ore a baciarla e accarezzarla in modo non troppo casto.”
“Merda, merda!” sono basito, senza parole: “E poi, poi cosa è successo?”
“Poi ci siamo addormentati, e il giorno dopo le ho detto che ero ubriaco, che era stata una nottata piacevole, ma niente di più. Le ho detto di non farsi illusioni, che non voglio una relazione. Le ho detto che mi dispiace e l’ho accompagnata a casa.”
“E lei, lei cosa ha detto?” chiedo ancora, quella storia è quasi folle come la mia.
“Lei ha detto che capiva, ha detto di non preoccuparmi, che non lo avrebbe detto a nessuno ma…” si passa una mano sul viso, sospira: “Avresti dovuto vedere i suoi occhi, Kurt. Erano così tristi, così pieni di delusione e vergogna. Mi sono sentito morire, ma non ho fatto nulla. Niente!”
“E cosa pensi di fare adesso?” chiedo, una domanda da un milione di dollari.
“Andrò avanti con la mia vita. Che altro posso fare? Non posso di certo mettermi con lei; non la conosco così bene, e poi lo sai che non sono fatto per queste cose. Le relazioni con le persone e tutto il resto…”
“Ma lei ti piace?” Logan mi fulmina con lo sguardo ed io mi maledico per essere così curioso e ruffiano.
“E Prue? Prue ti piace?” una domanda con una domanda. Non rispondo, e neanche Storm risponde alla mia.

Ci limitiamo ad abbassare lo sguardo, riprendere a bere le nostre birre e perderci nei nostri pensieri. Una coppia di coglioni, ecco cosa siamo. Ci cacciamo sempre nei guai, nei guai peggiori, e spero che questi ultimi due errori non ci costino troppo, non mi facciano perdere l’amicizia di Prue, la sua fiducia. Non so come ne usciremo da questa storia, come ne uscirò io, ma spero davvero che le cose si sistemino, che il tempo guarisca tutto proprio come ha detto Logan.



*


Angolo Autrice: Salve a tutti! Questa volta sono riuscita ad aggiornare nei tempi che mi ero prefissata - più o meno! XD Nuovo capitolo, nuovo POV! Avevo tralasciato troppo Kurt e spero che con questo capitolo lo abbiate inquadrato meglio e apprezzato con i suoi casini e le sue paranoie. Come sempre vi invito a lasciare una recensione e ringrazio coloro che leggeranno e hanno messo la storia tra le seguite. Alla prossima ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 15. The Hardest Part ***






 
Prudence


**


Il sole mi acceca quando esco da quella dannata villa, e la sua luce acuisce il mio mal di testa. Continuo a camminare, sperando di non essere seguita, sperando che lui non mi segua: non ho le forze di affrontarlo, non di nuovo. Quello che è successo tra noi, in questa notte appena trascorsa, potrei definirla come la più grande cazzata della mia vita, un gesto folle, fatto perché ubriaca, sola. La verità è che in questi mesi mi sono sentita sola troppe volte, e questa solitudine ha preso il sopravvento su di me quando lui, ieri sera, si è avvicinato a me, mi ha scostato una ciocca di capelli, mi ha accarezzato il viso e mi ha abbracciato. Chiudo gli occhi per un istante, mentre sono in attesa alla fermata del bus, e se mi concentro sono sicura di poter percepire nuovamente il calore che quell’abbraccio mi ha dato. Riapro gli occhi, mi maledico mentalmente: non posso, non devo pensarci. Quello che è accaduto è stato un errore, un errore che ho saputo arginare prima che fosse troppo tardi.

Arrivo a casa venti minuti dopo, e mentre salgo le scale del palazzo penso a cosa dirò a Candice quando lei mi chiederà dove sono stata tutta la notte, quando dovrò affrontare il suo sguardo indagatore. E’ un’ottima amica, Candy, e in questi mesi è cambiata molto, ha lasciato alle spalle il suo passato, la ragazza viziata e diffidente che è stata; so che mi vuole bene, ed io ne voglio a lei, eppure non so se sarò in grado di dirle tutto, perché neppure io so cosa dire, cosa provare. Kurt è il mio migliore amico, eppure questa notte non è il mio migliore amico che ho desiderato, ma qualcosa di più…

“Candy?” chiamo non appena metto piede nell’ingresso e mi richiudo la porta alle spalle: nella casa regna un silenzio assoluto, e per un momento penso che neanche lei sia tornata a casa.
“Prue!” la porta della sua stanza si apre, e timidamente Candy fa la sua apparizione nell’ingresso. Anche lei ha una faccia stravolta, i suoi occhi sono arrossati. “Sei tornata. Iniziavo a preoccuparmi.”
“Mi dispiace, non volevo farti allarmare, ma ieri sera mi sono addormentata in una delle stanze da letto di quella dannata villa e…” inclino appena il viso, aggrotto la fronte e le chiedo: “Va tutto bene?”
“Sì, certo. Va tutto benissimo.” Sorride nervosamente, mentre si tormenta le mani: “Anche io temo di essermi addormentata in quella villa. Fortuna che Logan…”
“Logan?” chiedo in modo retorico, facendo un passo nella sua direzione: “Ti ha riaccompagnata lui a casa?”
“Sì, sì è così. Ci siamo addormentati nello stesso letto, dopo che lui ha allontanato un tipo molesto da me, e stamattina mi ha riaccompagnato.”
“Ma non è successo nulla tra di voi, vero?” Candice abbassa lo sguardo, incrocia le braccia attorno alla vita, ed io impreco: “Merda!”
“Non è successo quello che credi tu!” sbotta, mettendosi sulla difensiva: “Ci siamo solo baciati. Ma non succederà più, mai più.”
“Credimi, forse è meglio così.” Mi ritrovo ad ammettere, sospirando: “Logan è complicato, non è un ragazzo facile da gestire. Lui non sa gestire una relazione, passa da un letto ad un altro, da una ragazza ad un’altra, e ti farebbe solo soffrire.”
“Già, è proprio quello che mi ha detto lui qualche ora fa.” Increspa le labbra in una smorfia, forse per non farsi vedere triste, e poi scompare in soggiorno.
“Mi dispiace, Candy.” Le vado dietro, e lei mi guarda con la coda dell’occhio: “Mi dispiace davvero.”
“Ehi, non devi!” si gira con una mezza piroetta, si sforza di sorridere e muove una mano a mezz’aria: “Non sono una bambina. Ho quasi 23 anni, e so come gira il mondo. Credi che a Berkley non mi sia mai cacciata in simili pasticci?”
Io non dico nulla, continuo a guardarla, entrambe ci guardiamo dritto negli occhi e, cambiando discorso, Candice si posta verso il cucinino e mi chiede: “Vuoi un caffè? Non so tu, ma io ho bisogno di riavviare il cervello.”
“Perché no. Magari un caffè ci aiuterà a sopportare i postumi di questa notte.” E magari a dimenticare tutto, penso, senza dare voce ai miei pensieri.

**


E’ passata una settimana da quel giorno, da quella folle notte, e non ho più visto né Kurt né Logan. Con Candice non abbiamo più parlato del mio amico, ed io non ho trovato il coraggio per raccontarle di me e Kurt: mi vergogno troppo per farlo. Più passa il tempo e più mi convinco che quello che è successo è stato uno sbaglio, uno sbaglio dettato dalla mia fragilità. Avevo bisogno di qualcuno accanto a me, e quel qualcuno era Kurt; poi lui mi ha detto quella frase, mentre lo stavamo per fare, ed io ho capito che non potevo, che non avrei potuto andare oltre. Non era giusto per me, non era giusto per lui. Kurt mi manca, certo, mi mancano le nostre risate, le nostre discussioni, i nostri battibecchi. Mi manca il mio migliore amico, mi manca il modo in cui, col sorriso stampato in viso, si sedeva sullo sgabello del bancone, lo stesso bancone dietro il quale mi ritrovo adesso, in questa serata uggiosa di inizio Gennaio.

“Una birra rossa, per piacere!” esclama deciso una voce a me nota. Mi giro di scatto, e davanti a me mi ritrovo Logan, capelli arruffati e leggermente bagnati e sorriso sghembo stampato in viso.
“Logan!” esclamo a mia volta, e vorrei chiedergli cosa ci fa qua. “Che sorpresa.”
“So che non ti aspettavi di vedermi, ma ho appena finito il turno al ristorante, e mi andava una bella birra fredda.”
“Basta chiederla: arriva subito!” gli strizzo un occhio, cerco di far finta di nulla, e afferrato un bicchiere vuoto inizio a spillare la birra, la sua preferita.
“Ecco a te!” porgo la birra davanti a lui, e gli sorrido.
“Grazie.” Logan mi guarda sottecchi, e quando faccio un passo nella direzione opposta lui si allunga e mi prende un polso: “Dobbiamo parlare, Prue!”
Io sgrano gli occhi, fissando la sua mano attorno al mio polso, e poi torno a guardare il mio amico: “Parlare? Di cosa vuoi parlare, Logan?”
“Lo sai di cosa voglio parlare, Prue. Lo sai benissimo, e sai che lo avrei saputo.”
“Io…” boccheggiò, improvvisamente nervosa, e liberatami dalla sua presa dico: “Dammi dieci minuti.”

“Allora, la tua versione?” chiede a bruciapelo Logan, poco dopo essersi acceso una sigaretta fuori al vicolo che costeggia il locale.
“E la tua, invece? Quale sarebbe la tua versione?” mi sto mettendo sulla difensiva, lo sto ripagando con la sua stessa moneta.
“Oh!” esclama, poco sorpreso, e sogghigna: “E così Candice te lo ha detto.” Prende un tiro dalla sigaretta e sbuffando fumo continua: “Avrei dovuto immaginarlo.”
“E’ mia amica, ed è logico che me ne avrebbe parlato.”
“E tu? Tu le hai parlato di quello che è successo tra te e Kurt?” chiede lui, ed io scuoto la testa: “Ecco, questa è una cosa che non avevo previsto. Mi stupisci.”
“Non saprei cosa dirle. Non so ancora cosa dire a me stessa.” Sorrido algida, e Logan mi porge il suo pacchetto di sigarette. Una sigaretta aiuta sempre con i nervi. “Non sarebbe dovuto succedere, noi…” scuoto la testa: “Ci siamo fatti trasportare, ci siamo spinti troppo oltre.”
“E cosa hai intenzione di fare?” eccola, la domanda delle domande, quella che continuo a pormi da una settimana a questa parte.
“Vorrei che nulla fosse accaduto. Vorrei che le cose tornassero come prima.”
“Non si può tornare a prima, e tu lo sai bene. Lo sappiamo entrambi: possiamo solo andare avanti, scegliere di essere adulti e affrontare le situazioni.”
“Oh, Logan…” una lacrima sfugge al mio controllo, solca il mio viso: “Ho così tanta paura di perderlo. Ho paura che qualsiasi cosa faccia finirò per ferirlo.”
“Finirai per ferirlo ugualmente se non farai nulla.” Si avvicina a me e mi abbraccia. Io chiudo gli occhi e ringrazio il cielo di avere Logan nella mia vita: “Devi essere coraggiosa, la ragazza cazzuta che sei sempre stata.”
“Sono stanca di essere coraggiosa, forte. Così stanca.” Mi stringo di più a lui, affondo il mio viso nel suo collo: “Lui mi ama, me lo ha detto mentre… sì, ecco, lo sai.”
“Cosa?” Logan mi allontana, posando le mani sulle spalle: “Ha detto così?”
Annuisco: “Era ubriaco perso ma sì, lo ha detto. E’ stato allora che ho capito: era sbagliato, era tutto sbagliato. Ho capito che Kurt non potrà mai essere altro che il mio migliore amico per me, ho capito che io non lo amo, che non posso amarlo. Lui è come un fratello, e una relazione tra di noi sarebbe un disastro!”
“E allora perché?” Logan stringe gli occhi a due fessure, non capisce: “Perché hai permesso che succedesse?”
“Perché ero sola, Logan, sola!” sbotto, frustrata: “Perché pensavo che lasciandomi amare da lui avrei, non so…” scrollo le spalle: “Speravo di sentirmi meno sola, speravo di poter risolvere tutto, ma ho solo peggiorato le cose.”
Logan sospira pesantemente, porta lo sguardo in alto: “Devi dirglielo. Devi dirgli che non potrà esserci nulla tra di voi. Devi dirgli la verità, e presto.”
“Lo so, lo so bene.” Mi mordo un labbro: “Ma so che lo perderò.”
“No, non lo perderai. Kurt ti vuole bene, ci tiene a te tanto quanto tu tieni a lui, e capirà.” Stringe la presa sulle mie spalle, cerca di confortarmi a modo suo: “Non è la fine, Prue, solo un nuovo inizio.” Mi bacia il capo e mi abbraccia: “Devi avere fiducia, devi avere fiducia in me, nella vostra amicizia. Si risolverà tutto, vedrai. Magari non subito, ma col tempo…”
“Promettimi che mi starai vicino, che non mi lascerai almeno tu. Promettimi che qualsiasi cosa accada ti prenderai cura di lui.”
“Lo prometto, Prue. Voi due siete i miei migliori amici, la mia famiglia, e non si può voltare le spalle alla famiglia. Ci sarò sempre per te, per voi, qualsiasi cosa accada.”

 
**


Kurt arriva a casa in perfetto orario. Candice è dai suoi genitori questo pomeriggio, ed io potrò parlare con il mio amico senza interruzioni. Sono passati due giorni dalla conversazione che ho tenuto con Logan, e finalmente mi sono decisa ad affrontare le mie paure e guardare in faccia la realtà. Quando il biondo arriva a casa lo faccio accomodare, e una volta che entrambi siamo seduti in soggiorno, sullo sgangherato divano che conosce a memoria le forme dei nostri corpi, inizio a parlare.

“Immagino che tu sappia cosa mi ha spinto a chiamarti, a farti venire qua.”
“Lo so bene.” Cerca il mio sguardo e continua: “Dobbiamo parlare di quella notte.”
Annuisco, e preso un respiro ricomincio a parlare: “Mi dispiace di essermene andata in quel modo, di aver reagito così. Quello che è accaduto, o non è accaduto, mi ha sconvolta – il solo pensarci mi sconvolge ancora – e non sapevo come gestire la cosa, come riuscire a guardarti in faccia.”
“Eravamo ubriachi, è stato l’alcool a fare la maggior parte del lavoro, anche se ammetto di aver fatto anche io la mia parte.”
“Mi sentivo così sola quella sera.” Confesso, incurvando le spalle: “Era mezzanotte, e tutti si stavano baciando, ed io ho agito d’impulso. Ora, però, me ne pento.”
“Non dovrà succedere più: è questo che stai tentando di dirmi, Prue?”
“Sì, sì è quello che sto cercando di dirti.” Poso una mano sulla sua: “Tu sei il mio più caro amico, ma quella sera, mentre stavamo per fare sesso, ho capito che non provo nient’altro che semplice e sincera amicizia. Sarebbe stato uno sbaglio colossale venire al letto con te, e mi sono fermata appena in tempo quando tu…” mi mordo un labbro, imprecando mentalmente.
“Quando io, cosa?” chiede, accigliandosi, muovendosi nervosamente sul divano.
“Kurt, c’è una cosa che ti devo chiedere, e voglio che tu sia sincero: tu sei innamorato di me?”
Kurt trattiene il fiato, quella domanda lo ha spiazzato. I suoi occhi cerulei corrono per la stanza, una sua mano si poggia dietro la nuca: “Provo qualcosa di molto forte per te, sì.” Ammette, ma non mi guarda: “Non so se sia amore, ed è proprio questo che mi tormenta. Nonostante questo, il pensiero di perderti mi uccide.”
“Neanche io voglio perdere te, ma non posso ricambiare. Tu sei il mio migliore amico, ma stando con te prenderei in giro me stessa. Stare con te sarebbe un rimpiazzo, un gesto egoista per sentirmi meno sola. Io non voglio questo, non posso farti questo.” Allungo una mano e gli accarezzo il viso: “Perdonami.”
“Non c’è nulla da perdonare.” Si allunga verso di me e mi abbraccia. Lo sento sospirare, immagino i suoi occhi chiudersi e mi sento malissimo: “Tu avrai sempre un posto speciale nel mio cuore, ma adesso sono io che ti devo chiedere una cosa.” Si allontana da me, i suoi occhi puntati nei miei: “Devo chiederti del tempo. Ho bisogno di capire cosa voglio, ho bisogno di metabolizzare tutto questo.”
“Tutto il tempo che vorrai. Ti darò tutto il tempo.” Le nostre mani si stringono, e un brivido mi percuote al ricordo di quelle stesse mani sul mio corpo.

Kurt scioglie il contatto, si alza, e so che è tempo di lasciarlo andare. Mi abbraccia ancora una volta, mi sussurra che mi vuole bene, che non lo perderò, ed io lo stringo, forte, ricacciando dentro le lacrime che, prepotenti, vorrebbero uscire e rigare il mio viso. Lo guardo uscire silenzioso, chiudersi la porta alle spalle dopo avermi riservato un fugace sorriso, e quando lui va via posso finalmente permettermi di piangere, piangere perché finalmente mi sono tolta un peso, perché finalmente ho capito, ho guardato in faccia la realtà. Piango perché sono una stronza, perché non merito uno come Kurt nella mia vita; piango perché so che lui merita molto di più, perché so che un giorno troverà quella giusta, come io troverò il ragazzo giusto, il ragazzo che mi amerà incondizionatamente e che a mia volta amerò senza timore, senza ripensamenti, senza freni.



_________________________________________________________________________________________________

Angolo Autrice: Ho aggiornato prima del previsto, anche se forse questo non era quello che vi aspettavate. La verità è che inizialmente non doveva andare così la cosa, ma poi ho pensato che farli mettere insieme fosse così banale e scontato. Quindi no, non penso che questi due si metteranno insieme, e per Kurt ho in mente altro. Perdonatemi se ho stravolto tutto, spero di non ricevere pomodori e insulti! D: Grazie, come sempre, a tutti coloro che leggono e che lasceranno una recensione.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 16. See Emily Play ***




 




There is no other day
Let's try it another way
You'll loose your mind and play
Free games today


Emily


**


Mantenendo gli occhi chiusi sorrido lievemente al pensiero di essere finalmente tornata a Los Angeles, nella mia stanza situata al terzo piano di uno dei dormitori della UCLA, dopo quelle che si sono dimostrate le ennesime vacanze natalizie disastrose. Ho sempre odiato Pasadina, fin da quando ero una ragazzina di 13 anni, e con il trascorrere del tempo questa mia repulsione si è incrementata. Tornare a Los Angeles, alla vita di tutti i giorni, fatta di lezioni e di incontri con i miei colleghi del club di arte moderna – di cui sono la presidentessa da quasi due anni – mi permette di non pensare alla mia famiglia, ai miei genitori conservatori e talmente religiosi da sfiorare il fanatismo, alla mia perfetta sorella maggiore, già madre di due bambini a soli 25 anni. Essere alla UCLA mi permette di fare ciò che voglio, e non importa se le persone mi ritengono una ragazza odiosa, saccente, incapace di farsi degli amici o di trovarsi uno straccio di fidanzato. Io, sola con me stessa, sto benone, e non importa se gli altri mi chiamano con nomi crudeli alle mie spalle, se ridono di me: io sono superiore a tutti loro, io sono migliore di loro.

Arrivo in facoltà in perfetto orario, impaziente di iniziare la lezione di arte, di rivedere dopo tre settimane Candice, l’unica persona in queste quattro mura che posso considerare un’amica fidata. Candice è un po’ come me, è una ragazza con cui non è facile andare d’accordo, che difficilmente si lascia andare con gli altri, a cui non piace parlare della sua vita, del suo passato. Anche lei ha una situazione famigliare difficile, o almeno questo è quello che mi ha detto, e il suo rapporto con la madre è disastroso tanto quanto il mio rapporto con la mia. L’unica cosa che proprio non capisco di lei è come faccia a vivere sotto lo stesso tetto di Prudence Reed - quella specie di stramba hippie – e andare d’accordo con lei e con i suoi amici. Specialmente con i suoi amici!
Logan O’Connell è un perfetto idiota, e purtroppo per me ho dovuto condividere con lui molte lezioni, sopportare le sue mancanze di rispetto verso i professori, il suo provarci con ogni ragazza nel raggio di cinque metri. E, visto che gli idioti non vanno mai in giro da soli, ovunque vada Logan c’è sempre Kurt, quel tipo strambo, con la tendenza ad alzare troppo spesso il gomito, che frequenta la facoltà di Letteratura. Il solo pensiero della scommessa che hanno provato a fare un anno fa  – un giro di birra gratis per una settimana a chi riesce a rimorchiare Emily Barrett – mi fa rabbrividire e mi nausea ancora adesso, e ogni volta che le nostre strade si incontrano mi vien voglia di darli un pugno sul naso.

“Candy!” quando vedo la mia amica entrare in aula la chiamo e, alzata una mano a mezz’aria, le faccio segno di avvicinarsi.
“Emy!” lei mi abbraccia e si siede accanto a me: “Come stai? Come sono andate le feste?”
“Preferirei non parlarne.” Confesso, arricciando le labbra al pensiero dei giorni e delle notti passati nella chiesa antistante alla nostra casa, dove mio padre celebra ogni giorno la messa. “Odio tornare a casa, quel covo di pazzi!”
“E’ stato tanto terribile?” chiede, sembrando dispiaciuta per me.
“Mio padre è un pastore, vive per la sua chiesa, e tutto ciò che ritiene profano, ovvero diabolico, è bandito dalla nostra casa.”
“Mi dispiace tanto, Emy. Ma se può consolarti anche io ho avuto delle vacanze davvero orrende e al limite dell’assurdo.”
“Non mi dire? E cosa mai ti sarà successo?” chiedo, ghignando: “Sai, non credo che delle vacanze possano andare peggio di come sono andate le mie.”
“Oh, credimi, potresti essere sorpresa quando ti racconterò…” Candy si blocca improvvisamente, il suo sguardo corre all’ingresso dell’aula, alla porta che ha appena varcato Logan O’Connell. Noto i suoi denti mordere il labbro inferiore, vedo la sua espressione diventare nervosa e capisco che qualcosa è successo in queste settimane, e questo qualcosa implica Logan.
“Tutto bene, Candy?” chiedo, richiamando la sua attenzione. Lei annuisce in modo non molto deciso. “Problemi con quell’idiota di O’Connell?”
“Cosa?” la sua voce esce più alta di un tono, la tradisce: “No, va tutto alla grande. Perché mai mi chiedi una cosa del genere?”
“Perché da come lo stai guardando non si direbbe che vada tutto alla grande.” Noto il ragazzo lanciare un’occhiata veloce nella nostra direzione, Candy che abbassa immediatamente lo sguardo: “Candy, lo sai che puoi fidarti di me: sono tua amica!”
“Sì, lo so. Lo so bene, è solo che…” in quel momento entra in aula il professore – un tempismo perfetto, lo definirei – e la nostra discussione rimane in sospeso.  

 

**


E’ l’ora di pranzo, e io me ne sto seduta in biblioteca a leggere un libro – in verità è la seconda volta che leggo “One Day” di David Nicholls, ma amo così tanto questo libro che lo leggerei altre cento volte – e a mangiare il mio pranzo, quando sento dei passi e qualcuno che si avvicina. Quando noto la sedia davanti a me spostarsi, e una figura sedersi alzo lo sguardo dalle pagine e rimango stupita nel trovarmi davanti Kurt, quell’idiota amico di O’Connell. Il biondino mi guarda con i suoi occhi cerulei, sembra analizzarmi, e seccata chiudo con un rumore sordo il libro e chiedo:
“Cosa diavolo vuoi?”
“E’ sempre un piacere vederti, Emily.” Risponde lui in quel modo strampalato, continuando con quel discorso senza senso: “Anche io sto bene, e buon anno anche a te. Tu come stai?”
“Impegnata nella lettura, quindi se non ti dispiace dimmi cosa vuoi e vattene. Non ho tempo da perdere, io.”
“Dio, non mi sorprende che tu sia ancora senza ragazzo. Odiosa e sgarbata come sei non troverai mai uno disposto a portarti al letto.”
“Crepa!” esclamo, furente, alzandomi di scatto e iniziando a raccogliere la mia roba.
In risposta Kurt si sporge verso di me e mi blocca prendendomi un polso, un gesto che mi fa sgranare gli occhi per lo stupore. Oltre che stronzo è anche sfacciato.
“Scusami, sono stato sgarbato.” Dice, poco convincente: “Ti prego, siediti.”
Lo guardo di sbieco, indecisa se fare come detto o fregarmene e andarmene come meriterebbe. Alla fine sospiro e, imponendomi di stare calma, torno al mio posto.
“Mi sono seduta, contento? Adesso dimmi che diavolo vuoi e facciamola finita.”
“Devi firmarmi questi moduli.” Apre dei fogli leggermente stropicciati e me li pone: “Mi serve la tua firma per entrare ufficialmente nel tuo dannato club di arte.”
“Cosa?” rialzo di scatto il viso, boccheggio: “Non dirai sul serio, non puoi, tu…” rido algida e continuo: “Tu non fai neanche parte della facoltà di Arte e Architettura.”
“Lo so bene, cosa credi? Ma mi servono dei crediti extra, e posso procurarmeli solo iscrivendomi ad un corso extracurriculare, il che mi porta qua, a te.”
“E perché mai, tra tutti, hai scelto proprio il mio club, uh? Non avrai per caso fatto qualche altra scommessa con il tuo amico?” Kurt aggrotta la fronte ma non risponde: “Perché non chiedi alla tua amica Prue di farti entrare in qualche club di lingue, magari impari a rimorchiare in Francese, o in Italiano.”
“Ascolta!” esclama, battendo una mano sul banco, e improvvisamente sembra nervoso: “I motivi che mi hanno spinto a questa decisione sono fatti miei, tu devi solo firmare questo dannato modulo.”
“E se io non volessi?” mi sporgo verso di lui, non sono disposta a farmi intimorire da un idiota del genere.
“Allora andrò dal rettore, e spiegherai tu a lui i tuoi motivi che ti hanno spinta a rifiutare il mio ingresso nel club. Che ne dici, Emily, la preferisci come opzione?”
Stringo le labbra, furiosa, e a mio malgrado sono costretta a firmare quel dannato modulo, ad accettarlo come nuovo membro del club. Dannati crediti extra!
“Ecco, tieni!” gli passo in malo modo, quasi gettandoli, i fogli e continuo: “Spero tu sia contento, adesso.”
“Come un bambino il giorno del suo compleanno.” Risponde sarcastico, ripiegando i foglie e rimettendoli nella tasca da cui li aveva estratti. “Grazie, Emily. Parlare in modo civile con te è sempre un piacere.”

Non rispondo, limitandomi ad una smorfia, e Kurt ghigna divertito, dandomi successivamente le spalle ed uscendo in silenzio dalla biblioteca. Sbuffo, visibilmente seccata, e mi appoggio allo schienale della sedia, prendendomi i capelli tra le mani. Provo anche a riprendere la lettura, ma quando mi accorgo  di star leggendo lo stesso rigo per la quarta volta decido di lasciar perdere. Mi è anche passata la fame. Nervosa, sistemo le mie cose nella borsa, ed esco anche io dalla biblioteca; solo in quel momento mi ricordo che quel pomeriggio ci sarà il primo incontro dell’anno con il club, e che questo significa che sarò costretta a vedere quel cretino per tre ore come minimo.
“Dannazione, dannazione!” esclamo a denti stretti, imponendomi di stare calma.
Io sono Emily Barrett, mi ripeto mentalmente, sono la presidentessa di uno dei club più gettonati della facoltà, e non permetterò ad uno zotico come Kurt Collins di rovinarmi la giornata, di incasinarmi la vita.





*


Angolo Autrice: Nuovo mese, nuovo capitolo, nuovo POV! Emily è un personaggio a cui avrei voluto dare spazio da un bel pezzo, ma per una cosa o per un'altra non sono riuscita a farlo prima. Da adesso in poi, però, diventerà piuttosto importante nella storia. Come sempre ringrazio coloro che leggono in silenzio, che hanno messo la storia tra le seguite\preferite e coloro che recensiscono. Lasciatemi un vostro parere se vi va, magari la vostra impressione su Emy.
Alla prossima,
V,

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** 17. Something Rotten ***








Tell me.. Tell me...
It's clear
Perhaps you have forgotten
Don't fear, Don't fear
You're clean
All is forgotten
[...]
So you stand... So you stand..
This crown is broken rotten...
...There's something rotten in here...


Candy



**



Io davvero non capisco. Non capisco cosa sia successo, cosa stia succedendo tutt’ora: è tutto così assurdo, senza senso, e più passa il tempo più sento che ci stiamo allontanando, come due isole alla deriva, sempre più lontane. Sono passate ormai tre settimane da quella dannata sera di Capodanno, e sembra che ognuno di noi si sia chiuso in un mutismo surreale, abbia costruito un muro di mattoni d’argilla che è impossibile valicare. Io e Prue ci parliamo a malapena, e quando lo facciamo parliamo di argomenti frivoli, stupidi, di tutti i giorni. Quando siamo in università ci vediamo poco e niente, e la sera, quando io torno dal mio lavoro, lei è appena uscita per iniziare il suo lavoro al pub. Si è anche fatta mettere altri due turni settimanali: Prue insiste con la storia del denaro extra, insiste nel dire che ha bisogno di soldi, ma secondo me questa è solo una scusa. Prue si sta uccidendo di lavoro, progetti extra all’università, solo per non fermarsi e affrontare i suoi problemi. Quali siano questi problemi non lo so, e lei non sembra intenzionata a dirmelo, a sfogarsi con me.

“Kurt è entrato nel tuo club?” chiedo non poco stupita a Emy, mentre me ne sto con lei nello spogliatoio della UCLA dopo la nostra solita ora settimanale di nuoto.
“Tre giorni fa.” Precisa lei, mentre si aggancia il reggiseno e si sistema la gonna. In quel momento il mio sguardo cade sul suo fianco, nel punto in cui si intravedono le ossa del suo bacino, e noto un segno circolare, rossastro, simile ad una cicatrice.
“Come ti sei fatta quella?” chiedo, indicando con un cenno del capo la cicatrice. Emily abbassa lo sguardo, e senza rispondere si affretta a mettersi una maglia per coprire la sua ferita.
“Un incidente, tempo fa. Nulla che valga la pena ricordare.” Liquida, e cambia frettolosamente argomento: “Confesso che mi ha stupito scoprire quando quel biondino impertinente conosca bene l’arte, e anche se non credo saremo mai amici, avere un soggetto come lui nel club potrà soltanto giovare.”
“Kurt non è un cattivo ragazzo, credimi. Certo, a volte beve troppo, ma sa essere anche gentile, e un buon ascoltatore. Forse, se gli dessi una possibilità e dimenticassi di quella stupida scommessa…”
“No, grazie!” esclama piccata Emy, interrompendomi bruscamente: “Non si mischiano due elementi chimici diversi; a meno che tu non voglia provocare un’esplosione con i fiocchi.”
“Come vuoi!” alzo le mani in aria, arrendevole: “Torniamo in dipartimento. Dobbiamo affrettarci se non vogliamo fare tardi per la prossima lezione.”


Anche quel giorno l’ora di pranzo si dimostra essere l’ennesima prova della frattura nel nostro gruppo – o dovrei dire nel gruppo di Prue? – e nel cercare invano la mia amica e coinquilina mi imbatto per caso in Logan. E’ lontano pochi metri da me, e nel vederlo mi fermo anche io, indecisa se avvicinarmi e parlargli o continuare dritto e fingere di non averlo visto. Non parlo con Logan da quando è successo quel dannato casino, e stare da sola con lui, affrontarlo, mi mente in soggezione: Logan ha un carattere forte, sa come ribaltare a suo favore le situazioni, ma io non sono da meno. Anche io so essere forte, decisa, e poi è stato lui il primo a dirmi che quello che è successo non avrebbe cambiato le cose, che sarebbe rimasto mio amico.

“Hai visto Prue?” gli chiedo, attirando la sua attenzione. Sembra stupito nel vedermi, e la cosa non mi sorprende. “La sto cercando da venti minuti, senza successo.”
“No, non l’ho vista oggi. Mi dispiace.” Risponde, apparentemente calmo.
“Capisco. Allora forse dovrei chiedere a Kurt; lui sa sempre tutto di Prue.”
“Io non credo proprio, Candy. Non otterrai nulla chiedendo a lui, fidati.”
Lo guardo sottecchi, aggrottando la fronte: Logan sembra più nervoso rispetto a pochi istanti prima, e l’aver nominato Kurt e Prue nella stessa frase sembra aver fatto scattare qualcosa in lui.
“C’è qualcosa che dovrei sapere? Qualcosa che è successo tra quei due e di cui non sono stata informata?”
Logan tentenna, e il suo temporeggiare lo tradisce. Scuote con vigore la testa e risponde: “No, certo che no. Va tutto alla grande!”
“Alla grande?” le mie parole fanno eco alle sue: Logan non è il tipo che pronuncia certe parole, non in questo modo, e se pensa che io mi bevi questa storia si sbaglia di grosso: “Dannazione, Logan, ma per chi mi prendi? Da Capodanno siete tutti silenziosi, evasivi, e vi comportate come se fossimo estranei. Prue, specialmente, si comporta in un modo che non capisco.”
“Ascolta, Candy, se vuoi delle risposte da Prue forse dovresti porre queste domande a lei, non a me. Io voglio stane fuori da questa storia, e da me non avrai risposte.”
“Quindi ammetti che qualcosa è accaduto!” esclamo, sgranando impercettibilmente gli occhi, e Logan distoglie lo sguardo e gira di trequarti il viso. “Dio, Logan!” batto un piede per terra, sul prato all’inglese, attirando la sua attenzione.
“Smettila di fare la bambina!” esclama a tono il biondo, adesso seccato: “Sai, se non te ne fossi accorta il mondo non gira tutto attorno a te, e se le persone decidono di non dirti tutto un motivo ci sarà, non credi?” sorride algido e continua: “Se Prue non è ancora pronta per parlarti, forse dovresti darle del tempo. E’ questo che fanno i veri amici; loro non puntano i piedi come dei bambini viziati. Ma, dopo tutto, tu cosa ne sai di cosa significa essere una persona matura, di pazienza? Tu sei sempre vissuta nel lusso, hai sempre avuto tutto e subito, e non mi sorprenderebbe se…”
Non lo faccio terminare: lo schiaffeggio, forte, davanti a tutti, nel bel mezzo del cortile della UCLA. Non mi interessa se le persone ci guardano, se stanno ridendo, se domani sarò sulla bocca di tutti. Non mi interessa, non mi interessa niente.
“Tu non sai niente di me, niente.” Pronuncio quelle parole in un sussurro, vorrei continuare a prenderlo a sberle ma mi contengo: “Tu non sai cosa ho passato, non sai niente della mia infanzia, eppure ti permetti di dare giudizi. Tu… tu giochi con le persone, le illudi. Credi di essere perfetto, ma non lo sei affatto. Credi di poter giudicare gli altri solo perché questo ti fa stare bene, ti fa sentire forte. Ed io…” mi mordo un labbro, chiudo per un istante gli occhi: “Sì, è vero, nella mia vita non ho mai lavorato, ho avuto persone che cucinavano per me, che mi accompagnavano ovunque, ma questo non significa che abbia avuto un’infanzia felice.” Rido amaramente, abbasso lo sguardo: “Sai, per un istante, quando eravamo stesi su quel letto e tu mi baciavi, ho pensato che… ho creduto…” scuoto la testa, dandomi della sciocca: “Ma io che ne posso sapere di queste cose? Io sono solo una ragazzina viziata che non sa nulla del mondo, dei sentimenti.”
“Candy, io…” sfiora la sua mano con la mia, un contatto che dura un istante. Ritraggo la mano, come scottata, e lo guardo con occhi piedi di rabbia e lacrime.
“Vai al diavolo, Logan, e restaci!” esclamo infine, superandolo a passo svelto e allontanandomi il più possibile da lui.

 

**


Cammino spedita senza meta, piena di rabbia, di collera, di tristezza. Pensavo di essere parte di un gruppo, pensavo di aver trovato degli amici, ma adesso mi rendo conto che è stato solo un sogno che mi sono creata io, un’illusione. Forse Logan ha ragione, forse sono egoista, ma questo non mi rende migliore di loro. Non mi rende migliore di Prue, che ha deciso di evitarmi e fare finta che io non esista; non mi rende migliore di Logan, un ipocrita che si sente in diritto di giudicare tutti, un ragazzo privo di sentimenti, incapace di costruirsi una relazione.
Mi ritrovo davanti al campus della UCLA, dove vive Emily, e neanche so come ci sono arrivata: i miei piedi hanno fatto tutto loro, mentre la mia mente si è limitata a formulare pensieri sconnessi e ad imporre ai miei occhi di non far trapelare le lacrime. Attendo l’arrivo della mia amica fino a sera, e quando arriva mi trova seduta per terra, le braccia che circondano le gambe e lo sguardo assente.

“Candy, cosa ci fai qua? E’ successo qualcosa, stai bene?”
Alzo lo sguardo, i miei occhi sono velati, e goffamente mi alzo da terra e rispondo: “Posso stare da te per questa notte? Ho bisogno di pensare, e non voglio tornare a casa.”
“Ma certo, certo!” risponde prontamente Emy, estraendo dalla borsa le chiavi con cui apre la porta del suo monolocale. “Entra, e mettiti pure comoda. Io metto a fare del tea. Del tea aiuta sempre in questi casi.”

Quando ci sediamo sul piccolo tavolino posto nell’angolo, proprio sotto all’unica finestra della casa, racconto a Emy ciò che è successo tra me e Logan, partendo dalla sera di Capodanno per arrivare a poche ore prima, alla nostra discussione nel cortile e allo schiaffo che gli ho inflitto. Le racconto anche di Prue, butto fuori la mia frustrazione, i miei pensieri, e lei mi ascolta in silenzio.

“Capisci? Pensavo che la mia vita si fosse stabilizzata, pensavo di aver ottenuto la fiducia di Prue, ma a differenza mia, che le ho confessato ogni cosa, lei continua a tenermi nascosto le cose.”
“E quindi pensi che questo segreto riguardi Prue e Kurt?” chiede ed io annuisco: “Ora che mi ci fai pensare,” continua Emy, picchiettando la mano sul tavolo: “Quando ho nominato per caso Prue, tre giorni prima, Kurt ha reagito in modo strano. Ha avuto una reazione brusca, ed ha cambiato subito argomento.”
“Credi che sia successo qualcosa tra di loro?” chiedo, e la rossa scrolla le spalle: “Questo spiegherebbe molte cose: l’allontanamento improvviso di lui e Logan, l’insofferenza di Prue ogni volta che, in queste settimane, ho cercato di parlarle e avere delle spiegazioni.”
“Forse dovresti riprovarci. Prenderla in disparte, anche contro la sua volontà, e affrontare una volta per tutte il problema.”
“Così da farmelo rinfacciare per sempre?” chiedo, scuotendo la testa: “No, grazie. Non voglio essere più apostrofata come un’egoista, una che non sa rispettare le volontà degli altri. Semplicemente mi comporterò come loro: li ignorerò, e andrò avanti con la mia vita.” Mi lascio scappare un sospiro rassegnato e guardo Emy: “Non so cosa farei senza di te, Em. A momento sei l’unica amica che ho.”
“Consolati, la cosa è reciproca.” Si alza in piedi e mi abbraccia: “Lo sai che ci sarò sempre se avrai bisogno. Sempre.”
L’abbraccio, forte, e sorrido per un momento: sono stata fortunata ad averla incontrata, e grazie a lei in quel momento mi sento meno sola. Grazie a lei, questa orribile giornata mi sembra un po’ meno grigia e triste.




*


Angolo Autrice: Salve, gente! Capitolo piuttosto triste, me ne rendo conto. Le cose si complicano invece che risolversi, ma prometto che presto - presto quando non lo so! - si sistemeranno. Ancora una volta Emy ha avuto un ruolo importante nel capitolo e per Candy. A momento lei è l'unica certezza che ha, anche se le cose con Prue ho intenzione di sistemarle a breve. Grazie, come sempre, a tutti coloro che leggeranno e che hanno messo la storia tra le seguite\preferie. Lasciatemi una recensione se vi va. Mi farebbe piacere. Alla prossima ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** 18. Friends and Lovers (Pt. I) ***









I've seen the porcelain shell
Erect some (skeleter)
And I feel like we walk well together
Because in the end, we are friends and lovers.


Emily



**



Canticchio spensierata una canzone dei Pearl Jam che ho in testa da stamattina, e in piedi su di una scaletta di ferro continuo a sistemare i libri nella biblioteca che occupa una delle quattro pareti della stanza principale del club di arte moderna. Ogni mese è così, e ogni mese, nella prima settimana, mi ritrovo a risistemare in ordine alfabetico i libri che puntualmente i miei colleghi non rimettono al loro posto. Almeno prima c’èra Lucy che mi aiutava con queste faccende, penso, ma da quando la mia ormai ex collega si è laureata ed è fuggita da questo manicomio travestito da università, sono la sola ad occuparmi delle questioni burocratiche e di riassettare le stanze del club come meglio posso. Teoricamente potrei stabilire dei turni, obbligare gli altri a questo lavoraccio infame, ma quelli già mi odiano così, ed io non ho voglia di dar loro altri motivi per rendermi ancor più acida ed insopportabile ai loro occhi. A volte mi chiedo dove sbagli, cosa ci sia che non va in me; mi chiedo se debba essere più alla mano, sorridere di più o che altro. Magari potrei diventare popolare come la presidentessa delle cheerleader, quella stupida biondina di Barbara Coe, ma piuttosto che essere come lei preferisco spararmi un colpo in testa.

“Non sapevo ti piacessero i Pearl Jam!” esclama una voce alle mie spalle, e sono costretta ad aggrapparmi ad uno scaffale della libreria per non perdere il mio già precario equilibrio.
“Kurt, dannazione!” impreco, senza degnarlo di uno sguardo: “Stai tentando di uccidermi o cosa?” chiedo retorica, maledicendo il biondo per non aver bussato ed essere entrato di soppiatto nella stanza.
“Non dovresti fare certe cose. E’ pericoloso, specialmente per una ragazza.”
“Ti ringrazio per la premura, ma se proprio vuoi saperlo è da un anno che mi arrampico come un koala su scale e scalette per sistemare questa dannata libreria.”
“Un koala?” Kurt ride, trovando quel paragone divertente, e dai suoi passi capisco che si sta avvicinando: “Sei troppo isterica per essere un koala. I koala sono carini, e sono amati da tutti, mentre tu…”
“Io sono una stronza che si crede migliore di tutti. Una frigida scostante e isterica. Sì, grazie, lo so. Le persone non fanno altro che ricordarmelo ogni santo giorno.” Concludo al posto suo, guardandolo con la coda dell’occhio.
Nonostante siano passate tre settimane da quando abbiamo iniziato la nostra convivenza nel club, e malgrado io abbia promesso a Candice di provare ad andare d’accordo con Kurt, quel ragazzo fa di tutto per farmi saltare i nervi.
“Potresti essere una volpe. Una volpe dal folto manto rosso fuoco. Non a tutti piacciono le volpi, ma non si può negare che siano astute, veloci. Animali molto intelligenti e…” mi squadra da capo a piedi, lasciando di proposito la frase in sospeso, e con un sorrisetto sornione conclude: “E ammetto che sono anche degli animali molto, molto carini a vedersi.”
Grano gli occhi, girandomi completamente con il corpo, e mi domando se quella frase appena pronunciata sia un complimento o l’ennesima provocazione per farmi saltare deliberatamente i nervi. Sto per chiederglielo, ma mi accorgo di essermi girata troppo in fretta e un giramento causato dall’altezza mi coglie impreparata, facendomi perdere il già precario equilibrio. In un istante Kurt mi afferra per la vita, ed io mi aggrappo alle sue spalle, unico appiglio a disposizione. I nostri corpi si scontrano, e i nostri visi si sfiorano solo per un istante.

“Ti tengo!” esclama, rassicurandomi, posandomi delicatamente al suolo. “Ti avevo detto che era un lavoro pericoloso, ma tu sei testarda come un mulo.”
“Come una volpe!” lo correggo, continuando a tenere le mani sulle sue spalle: “Hai detto che sono una volpe rossa, e non ti permetto di darmi del mulo.”
Kurt sorride, scuote la testa, i suoi lunghi capelli biondi, e con premura mi chiede: “Stai bene, ti sei fatta male?”
“No, sto bene.” Abbasso lo sguardo, mi sento improvvisamente impacciata: “Credo di doverti ringraziare. O forse dovrei ringraziare i tuoi ottimi riflessi?”
“Puoi ringraziare entrambi.” Allontana le mani dalla mia vita, e anche io faccio lo stesso, allontanandomi di qualche passo dal suo corpo. “La prossima volta che c’è da fare questo lavoraccio chiamami. In due si fa più in fretta ed è meno rischioso.”
“Lo farò, stanne certo.” Arriccio le labbra e aggiungo: “Ma adesso non montarti la testa: non sono una di quelle stupide che non sa cavarsela da sola, che ha bisogno del ragazzo aitante anche solo per allacciarsi le scarpe, così da non spezzarsi una delle sue belle e perfette unghie laccate.”
Dio, ma perché sono sempre così stronza? Perché devo essere sempre sulla difensiva, come un animale ferito che teme per la propria pelle e non lascia avvicinare nessuno?
“Lo so bene, Emy, altrimenti non sarei entrato in questo club.” La sua voce è calma, impassibile. Si siede su di una poltrona, e inizia a sfogliare uno dei libri che ho poggiato precedentemente sul tavolo e che ancora devo sistemare.
“Pensavo che fossi entrato nel club per poter stare più lontano possibile da Prudence.” Ancora una volta mi vorrei mordere la lingua, ancora una volta ho parlato senza pensare. Kurt mi fredda con uno sguardo, ed è la riprova che qualcosa è successa tra quei due. “Sai, Candice si è confidata più volte con me in questi giorni, e mi sono fatta alcune teorie…”
“Tienitele per te. Non sono cazzi tuoi.” Brusco, chiude il libro e lo lancia sul tavolo: “Non so che idea ti sia fatta di me e Prudence, ma quello che succede o è successo tra noi non è affar tuo.”
“No, non lo è, ma credo che Candice abbia bisogno di una spiegazione, ma a quanto sembra la tua amica ha deciso di giocare al gioco del silenzio e il tuo amico Logan… beh, lui è un idiota!”
“Logan alle volte è impulsivo, ma che tu ci creda o no tiene molto a Candice.”
“Ma davvero?” inclino la testa e inarco un sopracciglio: “Strano modo di dimostrarlo: prima la tratta con sufficienza, poi dice che vuole diventare suo amico, poi cerca di portarsela al letto, e infine la ignora e la insulta.”
“Quindi sai anche di quello…” e con quello intende la loro avventura di fine anno. Io annuisco e Kurt sospira: “A quanto sembra sai davvero tutto.”
“No, non tutto.” Mi seggo anche io, e poggio il capo sullo schienale del divano: “Candice ti ha mai parlato di una certa Laura?”
“Mai. Mai sentito questo nome. Chi diavolo sarebbe questa?”
“Una sua vecchia amica di Berkley, o così mi ha detto. Si sono incontrate per caso tre giorni fa, mentre lei stava tornando a casa, e stasera lei l’ha invitata ad una festa esclusiva a Beverly Hills.”
“Una festa di ricconi, vorrai dire. Tutti sanno cosa accade a quelle feste… o dovrei chiamarli festini?”
“Chiamali come ti pare, io voglio solo che Candice sia prudente, che non faccia nulla di sciocco. Vorrei che qualcuno le parlasse, perché lei ha il diritto di avere delle spiegazioni.”
“Le cose non sono così semplici, e poi è Prue quella che dovrebbe parlarle. Lei ha scombinato ogni cosa, lei ha…” noto la sua mano chiudersi a pugno e capisco che c’è molto più di quello che sembra dietro quel ragazzo: “Ho fatto molto casini nella mia vita, Emy, ma con Prue ho sbagliato di grosso. Ho pensato, credevo che…” sorride amaro, torna a guardarmi e nei suoi occhi verdi per la prima volta leggo fragilità: “Non importa quello che pensavo, non più.”
“Ascoltami, non so quello che hai combinato, cosa ti abbia ridotto in questo stato, ma se c’è una cosa che ho imparato nei miei quasi 23 anni di vita è che niente, neanche la cosa più orrenda, è insopportabile. Ora è difficile, me ne rendo conto, ma col tempo le cose cambieranno, e troverai una via d’uscita a questo problema.”
Kurt mi guarda sottecchi, abbozza un sorriso e confessa: “Non ti facevo così saggia, Emily Barrett. Mi stupisci.”
“Non avrò la tua esperienza con il sesso, o con i ragazzi in generale, ma so cosa vuol dire star male, sentirsi impotente. Sono cresciuta in una famiglia conservatrice, bigotta; mio padre è un pastore, mia madre è una casalinga e una fanatica religiosa, e mentre a sedici anni tutte le mie compagne di scuola organizzavano feste spettacolari e ricevevano macchine appena uscite sul mercato, io ho avuto solo un tea pomeridiano con tre mie amiche ed una visita dal ginecologo…” quel pensiero mi fa ancora accapponare la pelle, tremare di vergogna: “I miei volevano accertarsi che io fossi ancora casta e pura, e mi sottoposero a quell’umiliazione orrenda. Mi sentii una bestia da soma, una di quelle capre che uno dei nostri vicini allevava poco fuori città. Fu così mortificante…”
“Emy, io…” Kurt boccheggia, guardandomi con pietà, in un modo che non sopporto. Non parlo mai della mia infanzia, della mia adolescenza, e trovarmi a parlare con un perfetto estraneo di uno dei miei momenti più intimi della mia vita ha sorpreso anche me. Che diavolo mi è saltato in mente?
“No, ti prego, non dirmi che ti dispiace. Non…” rido algida, porto gli occhi al cielo: “Non ti ho raccontato quella storia per essere compatita, ma per farti capire che se io ho superato quell’umiliazione, se sono riuscita a vivere per diciotto anni con dei pazzi come i miei genitori, anche tu potrai riuscire a ricucire il rapporto con Prue. E, magari, anche lei riuscirà a parlarne con Candice.”
“Le parlerò, prometto che le parlerò oggi stesso. Stasera lavora, e sperando di non combinare altri danni andrò da lei a parlare e le dirò che deve chiarirsi con Candice, deve renderla partecipe di ciò che le sta succedendo, anche solo raccontandole di quello che è successo tra di noi…” Kurt si morde un labbro, capisce di aver parlato troppo ed io non riesco a reprimere un sorriso compiaciuto: “Sì, piccola isterica, è successo qualcosa tra di noi ma non succederà mai più. Siamo solo amici.”
“I tuoi sentimenti per quella hippie non mi riguardano.” Gli dico con una punta di menefreghismo, e anche se lo penso davvero da un lato il pensiero che lui possa amarla mi infastidisce: “Pensa solo a risolvere questo casino, a far ritornare la vecchia Candice, perché la nuova mi preoccupa e non mi piace. Ho paura che faccia qualche cazzata, Kurt, qualche grossa, gigantesca cazzata. Dimostrami che c’è del sale in quella zucca bionda e, forse, potrei anche diventare tua amica.”
“E chi dice che io voglia diventare amico di una volpe isterica?” chiede retorico lui, ghignando, ed io mi fingo offesa. Lui ride di gusto, e la sua risata contagiosa fa sorridere anche me. “Dai,” ricomincia, porgendomi un libro, quello che ha sfogliato poco prima, “Finiamo di sistemare questi libri. Questa volta, però, stai attenta a non cadere!”



_____________________________________________________________________________________________________________________

Angolo Autrice: Salve, gente! Capitolo di passaggio, in cui ritroviamo Kurt e Emily. Scopriamo anche altro sul suo passato, e vediamo come si sta evolvendo il suo rapporto amore-odio con il biondo. Il prossimo, che arriverà dopo Pasqua, sarà più delicato e sarà dal POV di Candice. Succederanno parecchie cose, quindi preparatevi. Spero, inoltre, che la storia vi stia piacendo nonostante le poche recensioni dello scorso capitolo. Mi farebbe piacere avere vostri pareri, davvero.
Come avete notato ho fatto un nuovo banner, che raffigura Emily (che ha il volto di Holland Roden) e Kurt (che ha il volto del modello Viggo Jonasson).

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** 19. Friends and Lovers (Pt.II) ***









What's wrong with you is good
for what's wrong with me
and I think maybe we should stick together.
Because in the end, we are friends and lovers


Candy



**


Incontrare nuovamente Laura è qualcosa che non ho previsto. L’ho incrociata per caso a Beverly Hills, mentre camminavo senza meta per le strade del quartiere che mi ha visto crescere. Probabilmente è stata la malinconia mista alla tristezza di quei giorni a farmi tornare in quel posto, davanti alla vetrina di una delle boutique di mio padre, l’unica insieme a quella di New York ad essere rimasta aperta dopo il tracollo finanziario della mia famiglia. Ed è proprio nella boutique che l’ho incontrata, mentre stava pagando con una carta di credito platino i suoi acquisti, e se in un primo momento ho pensato di fare finta di nulla, di girare i tacchi e andarmene, l’istante dopo mi sono sentita chiamare e me la sono ritrovata davanti. Laura è sembrata felice di rivedermi, o almeno questo è quello che ha voluto farmi credere, e ha insistito per prenderci un caffè in uno dei bar che solitamente frequentavamo quando la mia vita non si era ancora trasformata nel cumulo di macerie che è adesso. Non so dire cosa mi abbia spinto ad accettare la sua proposta, a parlare con lei per le successive ore – probabilmente ho voluto staccare la spina per un po’ di tempo, far finta che Prue non esista, che i miei problemi con lei siano solo una cosa da niente – tantomeno riesco a capire cosa mi abbia spinta ad accettare il suo invito per una festa esclusiva in una villa privata che si sarebbe tenuta tre giorni dopo. Non appartengo più a quel mondo, nel mio profondo me ne rendo subito conto, eppure accetto senza pensarci: se non posso essere abbastanza per Logan e Prudence, penso mentre accetto con un sorriso stampato in viso, allora tornerò quella che sono stata un tempo, e sarò la ragazza piena di soldi che si veste griffata e partecipa agli eventi più esclusivi.

E’ passata una settimana dal nostro incontro, la festa è arrivata ed è terminata con una velocità pazzesca, e anche se ho fatto cose di cui non vado fiera – ubriacarmi e andare al letto con un ricco figlio di papà che conosco solo di vista – sono decisa a partecipare alla festa che si terrà questa sera, nuovamente a Beverly Hills, dove incontrerò per la terza volta in pochi giorni Laura e le mie vecchie conoscenze di Berkley. Davanti all’armadio aperto sto decidendo se indossare il mio vestito rosso Valentino, corto fino al ginocchio e senza spalline, o il mio vestito da cocktail di Dior; alla fine scelgo quest’ultimo, e una volta vestita mi trucco e mi infilo la mie Jimmy Choo che per troppo tempo sono rimaste chiuse in un cassetto a prendere polvere.


“Candy, dove stai andando?” mi chiede Prue, vedendomi uscire dalla mia stanza vestita di tutto punto.
“Ad una festa.” Liquido velocemente, mentre mi infilo il mio cappotto: “Non aspettarmi alzata.”
“Devi proprio?” chiede nuovamente, la sua domanda racchiude una preghiera: “Vorrei parlarti di alcune cose, chiarirci.”
La guardo con la coda dell’occhio, e penso che abbia un tempismo tremendo. Se mi avesse chiesto di restare giorni prima l’avrei fatto senza indugiare, ma ora…
“Mi dispiace, Prue, ma non posso proprio mancare. Parleremo domani.” Prendo la borsa e, prima di uscire, la saluto: “Passa una buona serata.”



**


L’aria è satura di fumo, e la mia mente è ottenebrata dall’alcool. La musica sparata a tutto volume impedisce alle mie orecchie di percepire qualsiasi altro suono, e neanche percepire il corpo di George Fitch, figlio di uno dei più potenti giudici di Los Angeles, che si struscia sul mio mi infastidisce. So che ci finirò al letto, proprio com’è successo tre notti fa, ma non mi importa. Può fare quello che vuole con me, ed io ho bisogno di non pensare a quanto la mia vita sia un fallimento. Mentre ballo a ritmo di musica mi ritornano in mente le parole di Logan, ed ho bisogno di altri due bicchieri del miglior champagne francese per mettere a tacere quella voce.
Sono una ragazzina viziata, penso, sono solo una figlia di papà che non sa niente del mondo, che non è in grado di farsi amici. Sono una ragazza superficiale, e quindi faccio ciò che le ragazze superficiali e stupide fanno: mi ubriaco e mi lascio cadere in questa spirale di perdizione.
“Vieni, andiamo da qualche altra parte.” Quelle parole mi vengono sussurrate all’orecchio, mentre una mano si intrufola sotto il mio vestito color pastello.
Non rispondo, non faccio nulla per impedire quello che succede dopo, e l’ultima cosa che ricordo è una mano che mi conduce verso una stanza buia, delle braccia che mi cingono la vita e il materasso morbido su cui vengo fatta stendere.


Riapro gli occhi il giorno dopo: la stanza è ancora semibuia, ed io sono completamente nuda e dolorante. Non ho idea di che ore siano, so solo che mi scoppia la testa, che il mio alito puzza e i miei capelli sono arruffati e impregnati dell’odore di fumo. Mi metto seduta e con lo sguardo cerco i vestiti sparsi sul pavimento, vestiti che raccolgo uno ad uno dopo che mi sono alzata. La testa mi gira, la stanza sembra ondeggiare, e quando mi infilo il vestito e le scarpe rischio di perdere l’equilibrio e noto i lividi violacei che contornano i miei polsi. Che diavolo ho fatto questa notte?

“Vai già via?” chiede una voce sbiascicata, facendomi sussultare.
“E’ tardi, e l’ora di pranzo è passata da un pezzo.” Informo, dopo aver controllato l’orario sul display del mio cellulare. Ho anche svariati messaggi da leggere e almeno 15 chiamate senza risposta, ma questo adesso non è importante. “Che diavolo mi hai fatto ai polsi?” chiedo, accarezzandomi il polso destro con la mano sinistra.
“Niente, ci siamo solo divertiti un pochino.” Ghigna il biondino, chinandosi verso il pavimento e raccogliendo una cinta nera, probabilmente quella dei suoi pantaloni: “Non ti è dispiaciuto affatto, credimi.”
Grano gli occhi, non posso credere a quello che ho fatto, e mi sento così sporca e piena di vergogna che vorrei solo nascondermi in questo momento.
“Devo andare.” Afferro la borsetta dal pavimento, e velocemente esco da quella stanza, dove giuro a me stessa di non rimettere mai più piede.
Quando esco, mi ritrovo davanti una casa devastata dai postumi della festa, bottiglie di alcool ovunque, cicche di sigarette spente nei luoghi più assurdi, persino sui quadri, e quando intravedo la mia figura riflessa in uno specchio appeso ad un muro, il mio trucco colato e il mio viso pallido, per poco non caccio un urlo. Sono orrenda, un disastro, e con un fazzoletto tento di aggiustare il trucco pesante e colato che contorna i miei occhi celesti, senza però molto successo. Quando esco in strada inforco gli occhiali da sole, e prendo il primo taxi disponibile, stando bene attenta ad evitare gli sguardi indagatori e leggermente disgustati del tassista, un uomo sulla cinquantina di origini messicane.

“Dove diavolo sei stata?” non appena entro in casa Prudence fa la sua comparsa nel soggiorno. Sembra sconvolta, preoccupata, eppure non mi importa.
“Ad una festa. Pensavo di avertelo detto.” Rispondo, mentre mi sfilo le mie scarpe e sospiro di sollievo. Quelle dannate cose mi uccideranno i piedi fino alla fine.
“Sono le quattro del pomeriggio!” esclama piccata, come se non lo sapessi: “Cosa diavolo hai fatto per tutto questo tempo?”
“E a te cosa diavolo importa?” chiedo a mia volta, seccata: “Non ricordo di essere diventata la tua sorellina minore, né tantomeno tu mi hai dato spiegazioni quando io te le ho chieste più volte.”
Mi tolgo gli occhiali da sole, infilandoli nella borsetta, e sento Prudence trattenere il fiato alla vista del mio viso disastrato: “Dove sei stata? Hai scopato con qualcuno, hai fatto qualche stronzata?”
“E tu? Tu ci hai scopato con Kurt?” in quel momento, solo in quel momento, mi accorgo della presenza di Logan e Kurt, fermi sullo stipite che unisce l’ingresso al soggiorno: “Sapete, siete tutti una massa di ipocriti, pronti a giudicare tutto e tutti, ma incapaci di giudicare voi stessi. Sembrate dei santi, la perfezione, ma la verità è che non siete poi così diversi da quelle persone con cui ho passato la serata!”
E poi accade: Prue mi schiaffeggia, forte, tanto che il mio viso si gira bruscamente verso destra e la mia guancia inizia a pulsare. Serro la bocca, poso per un attimo una mano sulla guancia e la guardo come fosse un’estranea.
“Candy, io… mi dispiace.” Cerca di avvicinarsi ma io mi scanso e in risposta le tiro a mia volta un ceffone. Non ho più voglia di farmi trattare così, di essere impassibile, di farmi mettere i piedi in testa ed essere criticata.
“Ok, basta, basta!” Logan si intromette, cercando di sedare i nostri animi, e rivolgendosi a Kurt ordina: “Prendi Prue, andatevi a fare un giro. Ci penso io a lei.”



**


Mezz’ora dopo sono seduta sul letto: ho i capelli bagnati e indosso solo una maglietta di tre taglie più grande, che mi copre fino alle ginocchia che circondo con entrambe le braccia. Prue e Kurt non sono tornati, non credo torneranno prima di stasera, e Logan… lui se ne sta in salotto, apparentemente tranquillo, ma io so che è solo questione di tempo prima che parta all’attacco. Chiudo gli occhi, li stringo forte e vorrei tanto piangere: mi vergogno per quello che ho fatto, per aver schiaffeggiato Prue, ma sono così piena di rancore che non ho saputo trattenermi. Ho paura, tanta, di perdere la mia amica, eppure non so come risolvere questa situazione. Sono caduta in un vortice, entrata in un labirinto da cui non riesco ad uscire, e più cerco di trovare una via d’uscita, più mi perdo in questo cunicolo senza fine.
Bussano alla porta: so chi sta entrando senza neanche vederlo, e quando lo sento sedersi sul bordo del letto alzo lo sguardo, incontrando i suoi occhi verde scuro. Mi stringo più forte le braccia attorno alle gambe, mi sento una bambina impaurita, e aspetto che Logan dica qualcosa.

“Come stai?” Inizia con una domanda apparente mente semplice, una domanda a cui non ho risposta: “Ascolta, non sono qua per giudicarti, quindi se vuoi sfogarti fallo pure.”
“Ma davvero?” chiedo in modo retorico, lasciandomi scappare una risatina piena di sarcasmo: “Ed io che pensavo che giudicare gli altri fosse la tua specialità.”
Logan sospira pesantemente: sa che mi sto riferendo alla nostra discussione di qualche giorno fa, avvenuta nel cortile dell’università, davanti a tutti.
“Sono stato uno stronzo in quella circostanza, e mi dispiace. Non pensavo ciò che ti ho detto, ed ho parlato senza pensare.”
“Eppure lo hai detto, e mi ha fatto male.” Confesso, senza mai guardarlo: non riuscirei a sostenere il suo sguardo, non ora. “Ma hai ragione, sai? Io sono proprio una ragazzina viziata, una figlia di papà che non sa nulla del mondo. Io sono solo apparenza e party esclusivi, ed è per questo che sono tornata nel posto a cui appartengo, a frequentare le persone come me.”
“Allora sei davvero una sciocca!” esclama brusco: “Sei una sciocca se hai creduto alle parole di uno stronzo come me.” Si avvicina, mi costringe a guardarlo: “Tu vali molto di più di quella gente, vali molto più di me ed io…” il suo sguardo si posa sui miei polsi: “Cosa diavolo hai fatto?”
“Nulla, nulla!” mi affretto a rispondere, incrociando le braccia al petto per nascondere i lividi violacei: “Niente che ti riguardi!”
“Ti hanno fatto male, hanno fatto qualcosa contro la tua volontà?” chiede con voce più alta, e quando non rispondo Logan si infuria e ordina: “Guardami, cazzo!”
“NO!” urlo, e scoppio a piangere: “No, non mi ha fatto nulla che non volessi, o almeno credo. Io… io ero ubriaca, non ricordo nulla…” un singhiozzo fa tremare il mio corpo, le mie mani tremano appena: “Ma poi a te che importa? Io sono solo una come tante che ti sei quasi portato al letto, una tipa facile che si fa abbordare dal primo che capita…” cerca di abbracciarmi ma lo respingo: “No, no! Tu… tu che diavolo vuoi da me, uh? Prima mi ignori, poi cerchi di essermi amico; mi porti quasi al letto, poi mi tratti in modo orrendo, e adesso… adesso cosa vuoi?”
Logan non risponde: torna ad abbracciarmi, e questa volta non ho le forze per respingerlo. Non voglio farlo. Mi faccio stringere, mi aggrappo a lui, come un naufrago che si aggrappa ad uno scoglio per non affogare. Logan mi bacia il capo, i capelli umidi, e lascia che io pianga sulla sua spalla. Questo ragazzo mi sta facendo impazzire, e più tento di stargli lontano più ho bisogno di lui.
“Voglio stare con te.” Mi risponde dopo alcuni secondi: “Voglio stare con te, adesso. Stendermi insieme a te sul letto e tenerti stretta. Io ci tengo moltissimo a te, Candy, ma sono fottutamente complicato…” mi bacia la fronte, mentre io continuo a nascondere il viso nell’incavo del suo collo: “Permettimi di prendermi cura di te.”
“Perché?” chiedo, e mi sento una bambina di cinque anni. Logan sorride, mi accarezza il viso e mi bacia a stampo. Il contatto dura solo un istante, è dolce, un semplice sfioramento di labbra.
“Smettila di fare domande sciocche, ragazzina. Lo sai il perché…” lascia deliberatamente la frase in sospeso, sorride sornione e per un attimo vorrei dargli un pugno. Invece mi stringo nuovamente al suo caldo corpo, alle sue spalle, e lo lascio fare, gli permetto di stendersi accanto a me, sotto le coperte, di accarezzarmi i capelli, baciarmi le guance, solleticarmi le gambe nude.
“Logan…” quanto pronuncio il suo nome sto per addormentarmi, ma prima di cedere al sonno ho bisogno di chiedergli un’ultima cosa: “Non mi lascerai, vero?”
“No, non ti lascerò.” Lo sento sorridere, forse gli sembro sciocca: “Dormi, ora. Prometto che non sguscerò fuori dal letto mentre dormi, e che al tuo risveglio parleremo di tutto ciò che vorrai.”
“Lo hai promesso…” sbiascico, sbadigliando, e ritorno ad afferrare tra le dita la sua maglietta. L’ultimo pensiero che mi passa per la testa prima di addormentarmi è che Logan sa di buono, di sicurezza e di casa, e che con lui al mio fianco mi sento al sicuro, protetta da qualsiasi cosa. Prima di addormentarmi, penso che vorrei rimanere abbracciata a lui per sempre.  



___________________________________________________________________________________________________________________________

Angolo Autrice: Salve, gente! Questo capitolo l'ho scritto e riscritto, pensato mille volte, e alla fine ho partorito questa cosa. Non mi convince al 100%, ma spero che a voi sia piaciuto ugualmente. Le cose tra Candy e Logan iniziano a sistemarsi, e nei prossimi capitoli, finalmente, ci sarà una svolta definitiva. Grazie, come sempre, a tutti voi che leggete e seguite la storia. Lasciate una recensione se vi va! Bye ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** 20. Tomorrow ***










By tomorrow we'll be lost amongst the leaves,
in a wind that chills the skeletons of trees,
and when the moon, it shines, I will leave two lines.
Just find my love, then find me.


Logan


**



L’ultima volta che ho guardato una ragazza dormire è stato molto tempo fa. Mentre guardo Candy, addormentata sul mio petto, torno indietro nel tempo: sono un ragazzino di sedici anni, e la lei accanto a me è una mia coetanea, compagna di scuola. Si chiama Angie, ed è una ragazza dolce e gentile, la mia prima storia seria. Ricordo di averla guardata per tutta la notte, dopo aver fatto l’amore con lei per la prima volta in vita mia. All’epoca sorridevo di più, penso, e con lei ho passato i dieci mesi più belli della mia vita; poi lei si è trasferita con i suoi genitori a Boston, e non l’ho mai più rivista. Torno al presente, e il ragazzino sedicenne ritorna ad essere una massa nebulosa nella mia memoria. Torno ad accarezzare i morbidi capelli di Candice, adesso completamente asciutti e sorrido nel vedere il suo viso arricciarsi a causa di una ciocca ribelle e fastidiosa che le ricade davanti agli occhi chiusi. Poso una mano sulla sua, molto più piccola della mia e le accarezzo i polsi violacei: è colpa mia se ha fatto quello che ha fatto, penso con tristezza, e mi odio per come mi sono comportato. Se fossi stato meno rude, più comprensivo, le cose sarebbero andate diversamente. Se non l’avessi allontanata, dopo averla quasi portata al letto la notte di Capodanno, forse la situazione con Prue si sarebbe già risolta e noi…
Porto gli occhi al soffitto: voglio davvero una relazione con Candice? Sono abbastanza forte da sopportarlo, da mettere da parte il mio egoismo e provare per una volta ad aprire il mio cuore ad un’altra persona? Forse Prue ha ragione, forse io e lei siamo troppo simili, ed è proprio questo che mi spaventa. Candy è una ragazza grintosa, con un carattere non sempre facile, che nonostante le apparenze non ha avuto una vita semplice. E’ testarda, cocciuta, e puntualmente ci ritroviamo a battibeccare come una vecchia coppia di sposati. Forse, penso, siamo fin troppo simili e una storia tra di noi ci potrebbe portare ad odiarci e farci del male; d’altra parte, il solo pensiero di starle lontano mi rende pazzo. Non so come chiamare questa attrazione, non so spiegarla neppure a me stesso: so solo che non voglio mai più ferirla, neanche per sbaglio, e che voglio proteggerla a tutti i costi.

Rimaniamo abbracciati per la successiva ora e mezza, lei addormentata profondamente ed io sveglio più che mai. Prudence e Kurt non sono tornati e io mi domando dove il mio amico l’abbia portata, se quei due abbiano colto l’occasione per parlare e cercare di risolvere tutti questi casini, la tensione che ancora aleggia come una nuvola dispettosa sopra di noi. Ad un certo punto sento Candice inspirare profondamente, il suo corpo muoversi accanto al mio, e quando riapre piano i suoi grandi occhi azzurri non posso fare a meno di sorridere. Dio, questa ragazzina mi manda in confusione il cervello e i pochi neuroni che ancora non mi sono bruciato con l’erba e bevendo litri di alcool.
Mi guarda stupita, come se non si aspettasse di ritrovarmi accanto a lei, e quando si lascia sfuggire un’esclamazione sorpresa non posso fare a meno di sopprimere una risata e chiederle:
“Sembri sorpresa di vedermi. Pensavi davvero che fossi andato via?”
Lei sembra pensarci, indecisa sulla risposta da darmi, e timidamente risponde: “Non ne ero sicura. Pensavo di ritrovare un bigliettino con qualche scusa scritta sopra o una roba del genere.” Guarda alle mie spalle, verso la sveglia che segna le sei e mezzo del pomeriggio: “Non pensavo rimanessi per due ore e mezzo steso su di un letto a guardarmi dormire.”
“Hai pensato male!” esclamo piccato ma non offeso. So di essere una persona molto ambigua, difficile da decifrare, ma non sono un bugiardo. “Ti ho fatto una promessa, se non ricordo male, ed io mantengo sempre le mie promesse.”
“Me ne ricorderò.” Abbassa lo sguardo, e quando sorride penso che sia bellissima. “E’ meglio se mi alzo,” continua, mettendosi seduta e provo un brivido di freddo quando il suo esile corpo si allontana dal mio: “Prue e Kurt?” chiede, ed io scrollo le spalle e le faccio capire che non ho idea di dove siano.
“Mi sento così in colpa per quello schiaffo, per averla fatta stare in pensiero.” Confessa, torturandosi le mani: “Non avrei mai voluto arrivare a tanto, non avrei mai pensato che la nostra amicizia…”
“La vostra amicizia non è finita!” la rassicuro con decisione, prendendole una mano e stringendola tra le mie: “Avete entrambe passato un momento difficile, ma con una lunga chiacchierata e delle scuse da parte di entrambe tutto si sistemerà.”
“Lo credi davvero?” mi chiede non troppo convinta ed io annuisco con decisione. Candice ritorna ai suoi pensieri, si morde il labbro inferiore e, guardandomi con la coda dell’occhio, mi chiede: “E noi? Tra noi come sono le cose?”
“Tu come vorresti che siano?” chiedo sornione, ponendole volutamente quella domanda scomoda.
“E tu?” chiede a sua volta, ed io non posso non ridere. Sembriamo due bambini, due testardi troppo orgogliosi per fare il primo passo e cedere alle domande dell’altro. “Cosa c’è di tanto divertente?” chiede con una punta di nervosismo, accigliandosi, mentre io continuo a ridacchiare e scuotere con vigore la testa.
“Questo, noi! Siamo due dannati testardi, troppo attaccati al nostro orgoglio per dare all’altro la soddisfazione di vederci cedere.” Con uno scatto mi alzo dal letto e mi sgranchisco la schiena: “Prue ha ragione: siamo uguali, e mi chiedo se questa nostra somiglianza possa essere un bene per…” ci penso: un bene per cosa? Cosa siamo io e lei? “Per qualsiasi cosa siamo o decideremo di essere.”
“Beh…” Candice si alza a sua volta, cammina verso di me: “Magari potremmo iniziare col conoscerci meglio. Non so praticamente nulla di te, della tua vita, e tu sai poco e niente della mia. Diamoci del tempo, impariamo a conoscerci, e vediamo cosa succede.”
Mi tende una mano, e guardandomi dritto negli occhi mi chiede: “Ci stai?”
Increspo le labbra, osservo per un istante la sua mano, le sue dita magre, e poi le stringo con forza. “Credo sia un’ottima idea, ragazzina.” La tiro senza fare troppa forza verso di me, e le accarezzo una guancia. “Sigilliamo l’accordo con un bacio?”
Candice stringe le labbra per non ridere, scuote la testa: “Pensavo che la stretta di mano bastasse per sigillare un accordo.”
“Sì, in genere sì, ma non si è mai troppo sicuri.” Concludo, e inclinato leggermente il viso mi sporgo verso di lei e la bacio a stampo. Le cingo la vita con le braccia, facendo aderire i nostri corpi, e anche se vorrei non riesco a non spostare le mie labbra sul suo collo, baciarlo e solleticarlo.
Candice ride sommessa, e portate la mani sul mio petto mi allontana: “Non prenderti troppa libertà, Logan. Hai detto un bacio, e un bacio è tutto ciò che intendo concederti a momento.”
Sbuffo, portando gli occhi al cielo, e anche se la cosa non mi rende pazzo di gioia l’accetto. Resisterle sarà difficile, ma voglio davvero andarci piano con lei e imparare a conoscerla, a scoprire tutto di lei. Scoprire… per un istante me la immagino nuda, ricordo la morbidezza della sua pelle, il sapore delle sue labbra e…
Basta, Logan! Devo smetterla di pensare queste cose, altrimenti non durerò un giorno.

“Ti va di uscire? Potremmo andare a farci un giro, andare in spiaggia.”
“No, grazie.” Risponde, decisa ma con dolcezza: “Preferisco restare a casa, aspettare che torni Prue. Ho bisogno di parlarle, chiarirmi con le una volta per tutte e…” fa una breve pausa, e portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio propone: “Potremmo vederci domani. E’ pur sempre domenica, e non abbiamo lezione.”
“Sì, perché no. Potremmo andare a Malibu, oppure potremmo andare in un pub che hanno appena aperto poco lontano da qui. Se ti va, ovviamente.”
“Mi farebbe piacere.” Sorride, si avvicina nuovamente a me, e sorprendendomi mi bacia, affondando le dita nei miei capelli.
“Non avevi detto un bacio e basta?” la provoco deliberatamente, inarcando un sopracciglio.
Candy mi guarda con fare colpevole, stringe le labbra e, con un’alzata di spalle come risposta esce dalla stanza. “Mi andava di farlo, tutto qui!” esclama una volta fuori, probabilmente per non mostrarsi imbarazzata. Penso che sia davvero una ragazza strana e imprevedibile, ma questo suo aspetto mi piace e mi stupisce positivamente.

“Allora a domani!” le dico, mentre me ne sto sullo stipite della porta d’ingresso con le mani in tasca e il bavero del chiodo alzato.
“A domani. C-ci sentiamo per messaggio, ok?”
“Dio, non sai proprio stare lontana da me!” esclamo dandomi delle arie, volendola provocare. “Che mai farò alle donne?”
Lei mi da un leggero spintone, ed entrambi scoppiamo a ridere. “Stupido!” mi apostrofa, abbassando lo sguardo e arrossendo.
Le prendo il mento con una mano, costringendola a guardarmi, e anche se so che non dovrei la bacio, ancora, questa volta con più passione e urgenza di prima. Ho bisogno di sentirla mia, di stringerla un’ultima volta, e quando la sento schiudere le labbra e darmi l’accesso alla sua bocca la vocina dentro di me esulta vittoriosa.
Quando l’aria nei nostri polmoni si esaurisce ci stacchiamo, piano, e facendo un passo indietro esco dalla sua casa e la saluto con un saluto militare improvvisato.
“Passa una buona serata, bimba. E non pensarmi troppo!”
“Non lo farò!” la sento rispondere, mentre scendo le scale: “Tu, piuttosto, vedi di non struggerti troppo pensando a me!”

Nel sentire quelle parole vorrei dirle che non lo farò, ma la verità è che passerò la serata e la nottata a pensare a lei, a sognarla, forse, e per questo non dico nulla, continuando a scendere di fretta le scale e a tenere a bada l’irrefrenabile voglia di tornare indietro e ricominciare a baciarla per ore.


**


Tre ore più tardi sono con Kurt in un pub, a sorseggiare una birra rossa. Il mio amico mi ha chiamato mezz’ora dopo aver lasciato Prudence a casa, un’ora dopo che io ho lasciato la loro casa. Per telefono ha detto di dovermi parlare, ed io gli ho dato appuntamento in uno dei tanti pub del Sunset che siamo soliti bazzicare. Seduto ad un tavolino, guardo di sottecchi il mio amico, anche lui intento a sorseggiare una birra e lanciare sguardi ambigui alle cameriere.

“Hai intenzione di dirmi com’è andata con Prue o dovrò cavarti le parole di bocca?” chiedo, quando sento la mia pazienza al limite.
Kurt sogghigna, prende un altro sorso di birra e tranquillamente risponde: “E’ andata bene, meglio di quanto mi aspettassi. Abbiamo parlato, molto, lei si è sfogata con me e oltre aver appianato nuovamente i nostri problemi, mi ha parlato di Candice.”
“La cosa non mi stupisce. Anche io e Candy abbiamo parlato del problema.” Tra un bacio e un altro, penso, senza dare voce a quelle parole, ai miei pensieri.
“Bene, bene. In questo caso sono abbastanza sicuro che entro domani si chiariranno e tutto tornerà come prima. Probabilmente in questo stesso momento staranno parlando.”
“E speriamo solo quello, perché questa vota non ci sarà nessuno a separarle.”
Kurt ride, ripensando alla scena tragicomica alla quale entrambi abbiamo assistito poche ore prima: “Spero non si saltino nuovamente addosso come due gatte. Quelle ragazze sono imprevedibili, hanno la capacita di mandarti ai matti.”
“Non dirlo a me!” esclamo con una punta di esasperazione, e Kurt aggrotta la fronte come sempre fa quando non capisce oppure è curioso: “So cosa stai pensando!” gli punto un dito contro e lui ghigna: “Sì, anche io e lei abbiamo parlato e sì, abbiamo finalmente messo le cose in chiaro.”
“E questo mettere le cose in chiaro significa?” chiede, incitandomi a continuare.
“Significa che domani ci vedremo, usciremo, e inizieremo a conoscerci per davvero. Significa che non riesco a starle lontano, che quando sto con lei ho un disperato bisogno di abbracciarla, tenerla al sicuro.” Sospiro frustrato: “Non so cosa mi abbia fatto quella ragazzina, ma qualsiasi cosa sia mi fa uscire di senno.”
“Cazzo, Storm, non ti starai mica innamorando di lei!” esclama, stuzzicandomi e in risposta gli faccio il dito medio.
“Non dire cazzate, io…” io cosa? Non mi piace, non mi sento attratto da lei? Certo che mi sento attratto da lei, certo che mi piace da pazzi, ma l’amore è un’altra cosa. “Lei mi piace, ma parlare di amore mi sembra davvero eccessivo.” Reclino la schiena contro la sedia, mi passo nervosamente una mano tra i capelli arruffati: “Ci andrò con calma, non farò niente di stupido, e quello che accadrà tra noi si vedrà col tempo. Di certo non voglio farla soffrire, ma non voglio neanche illuderla. Io non sono il ragazzo perfetto, e non so se sarò in grado di amarla come merita, di amarla affatto…”

Kurt mi osserva senza dire nulla: sa tutto di me, della mia vita. Sa quello che ho passato, la mia diffidenza verso le persone, le ragazze. Sa che non mi sono mai innamorato in tutta la mia vita, che ho sempre fatto di tutto per tenere lontano i sentimenti, per evitare di affezionarmi e soffrire. Ed io so che lui ci sarà sempre per me, come io per lui, e che qualsiasi cosa farò, anche la più sbagliata, lui mi rimarrà accanto e non mi giudicherà, mai. Io, da parte mia, spero di non deluderlo mai, di non dargli mai motivo di dubitare di me, e più di ogni altra cosa spero di aver preso la scelta giusta con Candice, di essere pronto per questa nuova avventura verso l’ignoto, questa stessa avventura che mi terrorizza e mi eccita nello stesso momento.



___________________________________________________________________________________________________________________________

Angolo Autrice: Salve, gente! Nuovo capitolo dal POV di Logan. Inizialmente avevo in mente un capitolo con doppo POV, ma poi ho preferito dare più spazio al nostro protagonista che, poveraccio, ho messo in secondo piano per troppo tempo. Quindi il cap dal punto di vista di Candy sarà il prossimo. Grazie, come sempre, a tutti coloro che leggono e che hanno messo la storia tra le preferite\seguite. Vi invito, come sempre, a lasciarmi una recensione. Alla prossima ;)


Qui le mie altre storie, tra cui la nuovissima "Rette Parallele". Dateci un'occhiata, mi raccomando! :3

Rette Parallele
How Soon is Now?

 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** 21: Stand by Me ***










Times are hard when things have got no meaning,
I've found a key upon the floor, maybe you and I will not believe in the things we find be hind the door.
So what's the matter with you? Sing me something new... Don't you know the cold and wind and rain don't know.
They only seem to come and go away. Stand by me, nobody knows, the way it's gonna be...


Candy



**



Prue torna a casa ore dopo, a serata inoltrata. Sentendo la serratura della porta scattare mi muovo nervosamente sul divano sui cui sono seduta, e poso il cellulare che ho tenuto stretto tra le mani fino a quel momento, indecisa se chiamarla, pregandola di tornare, o aspettare un suo ritorno spontaneo. Mi alzo quando lei entra nel soggiorno e mi guarda con i suoi occhi scuri, occhi che non trapelano alcuna emozione, che non riesco a decifrare. Rimaniamo in piedi, l’una di fronte all’altra, a fissarci e studiarci, in attesa che una delle due faccia la prima mossa, dica qualcosa che spezzi il silenzio e la tensione che impregnano le pareti attorno a noi, l’aria satura che sto respirando con fatica. Guardo la sua mano aprirsi, la borsa cadere a terra in un suono sordo e un attimo dopo sono tra le sue braccia, i suoi rasta sfiorano il mio viso e sgrano gli occhi per la sorpresa.

“Mi dispiace!” sussurra al mio orecchio, stringendosi forte a me, forse per paura che io scappi o che le dia un altro ceffone: “Non volevo che accadesse tutto questo, non volevo schiaffeggiarti, farti del male.”
Rimango colpita da quelle parole, dalla facilità con cui vengono dette, e mi do della sciocca perché, lo so, se entrambe fossimo state più lungimiranti e meno infantili in queste settimane appena passate, forse quelle stesse parole le avremmo pronunciate molto prima, risolvendo le nostre incomprensioni e risparmiandoci tanti malanni e tante cazzate. Io, perlomeno, mi sarei risparmiata tanti pianti e il grosso errore di tornare a frequentare – anche solo per poco – quei cosiddetti amici che con tanta fatica mi ero lasciata alle spalle.
“Anche a me dispiace, Prue.” Ricambio l’abbraccio, sento le lacrime pizzicarmi gli occhi: “Però adesso dobbiamo essere sincere l’una con l’altra, raccontarci tutto. Niente più bugie, sotterfugi: solo la verità.”
L’abbraccio viene sciolto lentamente, e guardandola negli occhi noto che anche lei è sul punto di piangere, proprio come me. Mi viene da ridere: siamo proprio due ragazzine, due sciocche ragazzine.
“Solo la verità.” Le sue parole sono un’eco delle mie e quando mi porge il mignolo per fare la pace rido di gusto per quel gesto tanto semplice quanto sincero. “Pace?” chiede, sorridendo anche lei, e annuendo stringo il mio mignolo con il suo, facendo ondeggiare le nostre mani a mezz’aria, proprio come farebbero due bambine dopo una lite nata a causa di qualche giocattolo conteso o non condiviso.

“Ti va di raccontarmi cosa è successo tra te e Kurt?” chiedo, dopo essermi seduta accanto a lei sul divano, mentre condividiamo una ciotola di popcorn che Prue ha cucinato in due minuti nel microonde.
Prue mi guarda sottecchi, un po’ imbarazzata e impacciata, e suo malgrado annuisce e inizia a raccontare quello che è successo tra lei e il suo amico, confermando i miei pensieri, le mie supposizioni. Sono stati insieme la notte di capodanno, o almeno questa è stata la loro intenzione primaria. Prue mi racconta di come, in un attimo di lucidità, lo abbia fermato dal commettere un’enorme, gigantesca cazzata, una cazzata che avrebbe deteriorato inevitabilmente la loro amicizia.
“Il nostro rapporto è sempre stato speciale, alle volte ambiguo,” continua la mia amica, appoggiando la schiena sullo schienale del divano e guardando in un punto indefinito: “Alle volte ho anche pensato di amarlo, mi ero quasi convinta di amarlo, ma quando ho avuto la possibilità di portare il nostro rapporto ad un livello superiore…” sospira pesantemente, e capisco che non ha ancora superato la cosa: “Non era quello che volevo, non sarebbe stato giusto. Io voglio bene a Kurt, davvero. E’ il mio migliore amico, mio fratello, ma non sarà mai il mio ragazzo, il mio amante. So di averlo ferito, di averlo illuso se vuoi, ma non posso corrispondere i suoi sentimenti…”
“Quindi lui ti ama, te lo ha rivelato?”
“Non proprio.” Risponde vaga la mia amica, accigliandosi: “Non credo che sia amore, ma un sentimento molto forte, questo sì. Credo che anche lui, come me, si sia illuso di provare qualcosa nei miei confronti, ma che in realtà non sia innamorato di me. Credo che per troppi anni ci siamo chiusi a riccio, escludendo coloro che non erano come noi dal nostro gruppo. Credo che questo ci abbia influenzato, ci abbia fatto credere cose che non sono vere. Credo… credo che presto incontreremo entrambi la persona giusta per noi.” Sorride, e invidio la sua positività, il modo in cui riesce a vedere il lato positivo anche nelle situazioni più orrende: “Magari Kurt l’ha già conosciuta ma ancora non si è reso conto che è lei la persona adatta a lui, quella che lo renderà felice.”
“E tu? Tu hai conosciuto qualcuno?” so che non dovrei porre certe domande, so che dovrei darle del tempo, ma io voglio che sia felice, che ritrovi il sorriso luminoso che in queste settimane ha perso il suo calore.
“No…” risponde, increspando le labbra e perdendosi per un istante in chissà qualche pensiero: “Ma presto, ne sono sicura. Presto conoscerò un giovane aitante, magari uno straniero.” Sorride sorniona e aggiunge: “Ho sempre avuto un debole per i ragazzi con l’accento inglese, per gli irlandesi. Per questi ultimi la colpa è di Logan, quel dannato damerino con sangue irlandese.” Ride, e io con lei: “Ma su questo dovresti capirmi, no? Dopo tutto anche tu hai sei stata rapita dal fascino irlandese.”
Arrossisco e abbasso lo sguardo. Beccata in pieno! Non che il mio debole per Logan sia un segreto, anzi, ma ripensando a quello che è successo tra di noi qualche ora prima non posso non arrossire come un’adolescente.
“Qualcosa mi dice che è successo qualcosa tra di voi mentre io ero via!” esclama sghignazzando e quando mi mordo un labbro, colpevole, Prue batte le mani in un unico, deciso colpo ed esclama: “Lo sapevo, ne ero sicura!”
“Smettila, smettila!” esclamo piccata, coprendomi il viso con entrambe le mani: “Cacchio, non può essere così evidente!”
“Cosa, il fatto che sei cotta a puntino?” Prue sogghigna ancora, e continua: “Mi dispiace dirtelo, Candy, ma è così. Sei davvero cotta, e per di più di Logan!”
“Assurdo, non è vero?” porto gli occhi al cielo e scuoto la testa: “Neanche nei miei sogni più remoti avrei immaginato di infatuarmi di uno come lui. Siamo così diversi noi due, e l’unica cosa che avrei voluto fare quando l’ho visto per la prima volta…”
“Fammi indovinare!” esclama, interrompendomi: “Tirargli un ceffone, vero?”
“Come hai fatto ad indovinare?”
“Semplice, perché anche io avrei voluto fare la stessa cosa la prima volta che l’ho incontrato tanti anni fa.”  Stringe le labbra, nel tentativo di sopprimere un sorriso compiaciuto al pensiero di quel ricordo: “Quando lo conosci Logan non è l’emblema della simpatia, e può essere il più stronzo degli stronzi, ma quando riesci a farti strada nella sua corazza di ferro scopri un ragazzo d’oro, sensibile e anche fragile.”
“In questo caso spero di essere a buon punto e di riuscire a conoscere presto tutte queste sue sfaccettature. Magari già domani sera…”
“Domani sera?” chiede perplessa, ed annuisco, afferrando un paio di popcorn che mangio con gusto: “Ti ha chiesto di uscire domani sera?”
“A dire la verità lui avrebbe preferito questa sera, ma io ho declinato e ho proposto di vederci domani.”
“Capisco…” il viso di Prue si fa pensieroso, ma dopo un attimo si avventa nuovamente su di me e mi abbraccia: “Sono così contenta che ci siamo chiarite, che tu non mi abbia mandato al diavolo per essere stata così stronza. E, ovviamente, sono contenta per te e per Logan. Magari questa sarà la volta buona…”
“La volta buona per cosa?”
“Ma per fargli mettere la testa a posto, ovviamente. Quel ragazzo è stato fin troppo allo sbando, ed è tempo che si trovi una ragazza affidabile e serie che gli stia dietro e che gli faccia smettere di fare certe cazzate!”
“E cosa ti fa credere che questa ragazza ideale sia io?”
Prue scrolla le spalle, mangia altri popcorn e con la bocca ancora mezza piena risponde: “Intuito, ragazza mia, intuito. E il mio intuito non fallisce mai!”


 
**


Accovacciata sul pavimento della mia stanza fisso da minuti l’armadio aperto davanti a me, i vestiti dai mille colori appesi alle loro grucce. Manca solo un’ora prima dell’arrivo di Logan, e sono in crisi. Tra tutti quei vestiti spiccano le marche più prestigiose – Versace, Valentino – e se meno di un anno fa non avrei dubitato neanche un attimo prima di indossarne uno, adesso il solo pensiero mi terrorizza. Logan, a differenza di tutti i miei precedenti ragazzi, è un ragazzo semplice, che non bada troppo al look, alla griffe, e a tutte quella cazzate. Io gli andrei bene anche con un jeans e una maglia, di questo ne sono certa, ma questo è pur sempre il nostro primo appuntamento e io voglio colpirlo, lasciarlo a bocca aperta.

“Problemi in paradiso?” chiede con voce civettuola Prudence, entrando nella mia stanza e guardando nella mia stessa direzione: “Abiti fantastici, davvero. Io prenderei il tubino rosso, ma anche il monospalla nero non è male.”
“E’ di Dior quel monospalla.” Confesso, come se fosse una cosa da nulla, come se quel capo non costasse quasi mille dollari.
“Dior o meno è davvero bello.” Lo estrae dall’armadio e tocca la manica in pizzo, l’unica del vestito: “Dovresti indossarlo. Logan uscirà pazzo quando te lo vedrà addosso!”
“Lo credi davvero?” chiedo, non molto convinta: “Non voglio che si senta in soggezione, che l’importanza dell’abito lo faccia sentire in qualche modo da meno.”
“Allora non digli che costa una fortuna. I ragazzi non capiscono nulla di abiti, e per loro un capo vale l’altro. L’importante è che ti slanci e che ti faccia delle belle tette!”
“Prue!” la riprendo, piccata, e un istante dopo stiamo ridendo. “E va bene,” continuo, prendendo il capo dalle sue mani: “Vada per il monospalla nero!”


Quando il citofono suona sobbalzo. Sono nervosa, tesa come una corda di violino, e mentre Prue mi informa che Logan è arrivato mi specchio un’ultima volta, alla ricerca di qualche imperfezione, e presi cappotto e pochette nera mi avvio verso la porta. “Fammi gli auguri!” esclamo mentre sto uscendo, e in risposta Prue alza entrambi i pollici in aria e mi sorride in maniera rassicurante.
Scendendo le scale maledico le scarpe troppo alte che ho ai piedi e spero e prego di non cadere rovinosamente. Esco in strada, e sorrido incontrando lo sguardo di Logan, che percorre ogni centimetro del mio corpo, soffermandosi sulle gambe coperte da una sottile calza color carne. Mi ritrovo faccia a faccia con lui, e non so bene come comportarmi: devo limitarmi ad un sorriso, magari un abbraccio, o forse dovrei fregarmene e baciarlo come desidero?
Opto per un tranquillo bacio sulla guancia, e la mia schiena è percorsa da un brivido quando la sua mano si posa sul mio fianco e mi stringe con decisione.

“Sei bellissima!” esclama con una punta di desiderio, e non posso non sorridere compiaciuta. Ascoltare Prue è stata la scelta migliore che potessi fare.
“Anche tu non sei male, Storm!” sorrido sorniona e lo guardo, soffermandomi sui jeans scuri che gli fasciano divinamente le gambe. Gli fanno anche un gran culo, penso per un secondo, richiamando all’ordine i miei ormoni in subbuglio. Se continuo così gli salterò addosso prima di arrivare al ristorante, penso, e non è questo che voglio.
“Pronta per andare?” mi chiede, e in risposta annuisco; Logan mi prende per mano e mi fa salire nella sua sgangherata macchina di inizio anni ’90, una macchina probabilmente ereditata da suo padre.
“Dove mi stai portando?” sono curiosa, lo sono sempre stata, e non nascondo un leggero sbuffo quando lui mi risponde in modo vago, mi prega di avere pazienza.


Arriviamo in un ristorante giapponese – come ha fatto a sapere che è il mio preferito?, mi chiedo mentre scendiamo dalla macchina – e dopo esserci accomodati ad un tavolo appartato in fondo alla sala ordiniamo sushi e sashimi e iniziamo a parlare del più e del meno, di cose futili.
“Beatles o Rolling Stones?” è un giochino stupido ma divertente quello che stiamo facendo, un gioco apparentemente banale che consiste nello scegliere una delle due opzioni che l’altro propone.
“Rolling Stones, senza alcun dubbio!” esclama senza pensarci neanche un istante, e capisco che questo è l’inizio di una discussione senza fine.
“Come fai a preferire i Rolling Stones? I Beatles sono mille volte migliori di loro!”
“Stai scherzando, spero. Paul non vale neanche un unghia del talento di Mick, e i loro testi sono così banali.”
“Banali?” sono sbalordita da quell’aggettivo: “Ma hai ascoltato i loro album? Sgt. Pepper’s, Abbey Road?”
“Li ho ascoltati tutti, e non mi hanno trasmesso neanche la metà delle emozioni che mi hanno trasmesso gli album degli Stones.” Afferra con le sue bacchette un boccone di sushi e lo mangia: “Rassegnati, bimba, su questo punto non troveremo mai e poi mai un accordo.”

 

**


“Posso chiederti una cosa prima di lasciarti andare?” siamo fermi sotto casa quando mi pone quella domanda. “E’ tutta la sera che vorrei chiedertelo, e ti prego di non prenderla come un rimprovero o un’accusa.”
“Chiedi quello che vuoi. Prometto di non arrabbiarmi o schiaffeggiarti.”
“Molto bene!” prende un respiro e guardandomi dritto negli occhi mi chiede: “Perché hai ceduto alle richieste di quella Laura, perché ti sei nuovamente fatta trascinare in quel mondo?”
Trattengo il fiato: non mi aspettavo quella domanda, ma capisco perché lo vuole sapere. Mi ha vista in quelle condizioni il giorno prima, e nelle ore trascorse insieme l’ho visto spesso osservare il segno violaceo ancora visibile sul mio polso.
“Mi sentivo sola, abbandonata. Volevo staccare la spina, e poi lei mi sembrava così contenta di rivedermi. Non so perché mi abbia avvicinato, cosa l’abbia spinta a chiedermi di partecipare a quelle feste. Forse era solo curiosa, voleva solo impicciare il naso nei miei affari… non so!” sposto lo sguardo fuori, verso i marciapiedi deserti: “E’ successo tutto così in fretta, anche…” mi stringo il polso sinistro con la mano destra, chiudo gli occhi: “Mi vergogno di quello che ho fatto. Mi sento sporca quando ci ripenso, una sgualdrina da quattro soldi.”

Logan mi prende la mano, bacia il palmo, il polso violaceo da ambo le parti, mi accarezza dolcemente il braccio e attirandomi verso di lui mi bacia nel modo in cui ho desiderato baciarlo dal primo momento in cui l’ho visto questa sera. Mi abbraccia, stringendomi senza farmi male e non posso non intrecciare le mie mani attorno al suo collo, affondare le mie dita tra i suoi capelli. Respiro il suo profumo, mentre le nostre lingue giocano e non vorrei smettere mai di baciarlo.
“Non pensarlo mai più!” mi ammonisce terminato il bacio: “Non sei sporca, non sei una sgualdrina. Tu sei bellissima, perfetta, e fragile come tutti.” Mi bacia la punta del naso e mi sorride: “Non parliamone più, vuoi?”
“Con tutto il cuore sì!” rispondo, tornando a baciarlo con trasporto, rabbrividendo di piacere quando la sua mano accarezza la mia gamba, mi solletica l’interno coscia. Lo desidero, tanto, ma non voglio bruciare le tappe, non ancora. Sospiro pesantemente nel sentire le sue labbra sul mio collo, la sua mano che… oddio, mi sta davvero accarezzando dove penso mi stia accarezzando?
“L-Logan!” la mia voce suona incerta, incrinata e mi odio per ciò che sto per fare: “Logan, fermati!” la vocina nella mia testa mi maledice, spera che il biondo non si fermi, e protesta quando lo fa, quando si allontana da me.
“Scusami!” abbassa lo sguardo, sembra un bambino colto con le mani nella marmellata: “Mi sono fatto trasportare.”
“Non è che non voglia, che non ti desideri, è solo che…”
“Non vuoi bruciare le tappe, lo so.” Conclude lui al posto mio: “Ti ho promesso che avremmo fatto le cose con calma, e anche se al momento la promessa mi sembra una gigantesca cazzata sono deciso a rispettarla.”
“Ed io ti sono grata per questo.” Mi sporgo verso di lui e lo bacio a stampo: “Ora è meglio se vado. Domani abbiamo entrambi lezione.”
“Ci vediamo per pranzo?” chiede, carico di aspettative, mantenendo sempre quell’aria imperturbabile.
“Ovviamente!” apro lo sportello della macchina e prima di richiuderlo mi abbasso leggermente e lo saluto: “Sono stata davvero bene stasera, e ti ringrazio. Buona notte, Logan.”
“Ne sono lieto. Buona notte, Candy.”




_________________________________________________________________________________________________________________________________

Angolo Autrice: Buondì, gentaglia! O buonasera, dipende da quando leggerete queste parole! Nuovo capitolo, dove finalmente tutto si è sistemato tra Prue e Candy! Era ora, no? Spero vi sia piaciuto, sia la prima che l'ultima parte, in cui abbiamo assistito alla prima uscita dei nostri ragazzuoli. Nel prossimo ci sarà un salto temporale di qualche settimana, e credo che ritroveremo Emily e Kurt. Grazie, come sempre, a tutti voi che leggete, seguite e lasciate una recensione!



 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** 22. Blue Velvet ***











She wore blue velvet
Bluer than velvet was the night
Softer than satin was the light from the stars


Kurt



**




Los Angeles, due settimane più tardi…
 



“Non è possibile!” con il palmo della mano colpisco con forza la dannata macchinetta, ottenendo solo un rumore sordo, un lieve movimento del vetro e un leggero formicolio alla mano. Quel rudere dovrebbe essere demolito, e invece è ancora qui, nei corridoi della UCLA, a derubare i poveri studenti dei loro soldi e negare loro bevande e cibaglia varia. Con disperazione guardo il mio snack incastrato tra gli ingranaggi dell’infernale macchina, e penso che questa giornata è iniziata in modo orrendo. Do un calcio, attirando fin troppi sguardi su di me: due ragazzine ridacchiano alle mie spalle e sbuffo seccato e più irascibile di prima.
“Problemi, biondo?” Logan si avvicina a me, mani in tasca e capelli arruffati dal vento che ulula fuori. Scrollo le spalle, e con la coda dell’occhio osservo il mio amico che, con assoluta tranquillità, dà un pugno ben assestato al lato della macchinetta e riesce a liberare dagli artigli d’acciaio lo snack. Si china, aprendo lo sportellino e affrettando con la mano il contenuto: “Ecco, tieni.” Mi porge lo snack e, ghignando, osserva: “Stai perdendo colpi, amico.”
“Fottiti!” rispondo, strappandogli di mano lo snack e aprendolo. Do il primo morso, e alzo gli occhi al cielo sentendo le mie papille esultare grazie al dolce sapore del cioccolato e del caramello. “Hai solo avuto fortuna, come sempre.”

“Hai impegni per questa sera?” mi chiede mentre saliamo le scale, e per un momento spero che, dopo due settimane passate a venerare quella che ormai considero la sua ragazza, abbia ritrovato il buon senso e qualche ora da passare con il suo vecchio amico a sbronzarsi e guardare il culo delle cameriere.
“Credo di essere libero.” Rispondo restando vago: non voglio dargli soddisfazione, non subito. “Che hai in mente?”
“Ad essere sinceri l’idea è di Candice,” increspo le labbra nel sentire il nome della ragazza, ma mi sforzo di celare il mio disappunto e lo lascio continuare: “E’ il compleanno di Emily, oggi, e Candy ha pensato ad una serata da passare tutti insieme in un disco-pub.”
“E da quando Emily Barrett è tua amica?” chiedo fermandomi improvvisamente, incrociando le braccia attorno al petto.
“Emily Barrett non è mia amica!” esclama piccato, e suo malgrado ammette: “Ma è amica di Candy, e questa è una cosa che devo rispettare. Ci sarà anche Arashi, credo, e forse qualcun altro.”
“Chi altro? Quella ragazza non ha amici, non che io sappia. Non è molto simpatica, e se non te ne fossi accorto quasi tutti non la sopportano.”
“Ma tu sì!” Logan sghignazza, guardandomi sottecchi ed io roteo gli occhi, per nulla contento della piega che sta prendendo quella conversazione.
“Dove vai?” chiede, quando ricomincio a camminare e con uno scatto repentino mi è nuovamente accanto: “Non vorrai negare!”
“Negare cosa, Storm? Io e Emily facciamo parte dello stesso club, è vero, e in questi mesi ho imparato a conoscerla meglio, ma non posso dirmi suo amico.”
Logan mi da una pacca sulla spalla, mi guarda dritto negli occhi e non so se sia meglio starlo ad ascoltare o dargli un pugno sul grugno e cancellarli quel sorrisetto da saccente che oggi non riesce a togliersi dalla faccia.
“Emily o no, credo che dovresti dimenticare completamente Prue e andare avanti.”
“Cosa cazzo c’entra adesso Prue?” mi sto snervando, e mi pento di non avergli dato quel pugno.
“Nulla. Dico solo che nessuno ti biasimerà se deciderai di spostare le tue attenzioni su di un’altra ragazza, anche se davvero non so cosa tu ci trovi in Emily.”
“Ancora con queste cazzate?” mi metto le mani tra i capelli, e penso che Logan voglia farmi incazzare questa mattina: “Ti ho già detto e ridetto che…” la campana che scandisce l’inizio delle lezioni suona – un tempismo perfetto, davvero – e il mio discorso viene interrotto e va a puttane.
“Lo so cosa mi hai detto, Kurt.” Fa qualche passo indietro e conclude: “Ci vediamo stasera, non accetto scuse.”

 
 
**


Scorgo da lontano la chioma rossa di Emily. Le lezioni per oggi sono finite, ma come ogni venerdì ci riuniamo nel club per fare il punto della situazione e parlare di eventi di arte moderna che sono stati organizzati in città. Alzo il passo, deciso a raggiungerla e fare un pezzo di strada insieme a lei, quando vedo una ragazza bionda andarle deliberatamente contro; i libri che Emy ha in mano cadono a terra, e dei fogli svolazzano qua e là in un turbinio d’aria. La osservo inginocchiarsi, acciuffare le sue cose, mentre quelle due – la bionda e la sua amica – se la ridono di gusto.

“Attenta a dove metti i piedi, sfigata!” la rimprovera la bionda, continuando a ridersela.
“Poverina, la mancanza di sesso le ha precluso la vista. Non ho ragione, verginella?”
Scoppiano in una nuova risata colma di scherno, e così come sono arrivate vanno via, lasciando Emily a raccogliere le sue cose nel mezzo del corridoio.
Mi passano accanto, e per un breve istante sono tentato di prenderle per capelli e schiaffeggiarle, dire a quelle due barbie che hanno il cervello di una gallina, che sono delle stupide bambinette che non sanno fare altro che ancheggiare e farsi qualsiasi ragazzo che riservi loro un semplice sguardo.

“Stai bene?” chiedo dopo essermi inginocchiato accanto a Emy, anche se non sembra molto felice di vedermi. Le sfioro una spalla, un gesto affettuoso per accertarmi che stia bene: lei si ritrae e senza degnarmi di una risposta si alza e continua a camminare. “Emy!” la chiamo, ma sembra non sentirmi, non voler ascoltare quello che ho da dirle.
Cammino dietro di lei, lasciando di proposito qualche passo di distanza tra di noi, e arrivati al club la osservo aprire la porta ed entrare. Entro anche io, decidendo di non farmi intimorire dal suo comportamento: è solo provata da quello che successo, e la conosco abbastanza bene da capire il suo atteggiamento. Si chiude a riccio se qualcuno l’attacca, e testardamente mantiene tutti lontano.
“Ho visto quello che è successo: vuoi parlarne?”
Mi guarda con la coda dell’occhio e scuote con decisione la testa. Ha optato per il mutismo, un atteggiamento che trovo infantile.
“Bene, in questo caso staremo qui fino a quando non ti deciderai a parlare!”
Mi siedo a peso morto sul divano, nel posto libero accanto al suo e poggio i piedi sul tavolino antistante, ben sapendo che è una cosa che non sopporta e che la fa andare in bestia. Sbircio con la coda dell’occhio nella sua direzione, cercando una sua reazione, ma neanche questo mio gesto sembra averla toccata.
“Non devi dare peso a quello che dicono le persone, specialmente due stupide come quelle. Non devi vergognarti di nulla, dare conto a nessuno.”
“Lo so bene, cosa credi?” gira di scatto il volto e mi guarda severa: “Non per questo fa meno male.” Sorride algida: “Ma tu cosa ne sai? Tu sei pieno di amici, puoi avere tutte le ragazze che vuoi e partecipi a feste da sballo ogni settimana.”
“Ed io che pensavo trovassi il mio stile di vita riprovevole!” esclamo, e schiocco la lingua sul palato: “A quanto pare mi sbagliavo.”
“Trovo riprovevole il fatto che salti da un letto all’altro, da una ragazza ad un'altra con estrema facilità…” si alza e si liscia la gonna scozzese che ha in dosso. Afferra un libro lasciato sul tavolino e lo rimette a posto nella libreria: “Eppure…” si morde un labbro, la sua mano stringe il libro: “Alcune volte mi sono domandata cosa si prova. Ad essere popolari e tutto il resto; a partecipare a queste feste.”
“Potresti scoprirlo stasera.” Allontano le gambe dal tavolino e mi metto in piedi: “Candy ha in serbo una festa per te, e Logan mi ha convinto a partecipare.”
“Una festicciola da quattro soldi, vorrai dire.” Le onde rosse dei suoi capelli si muovono con lo scuotere della sua testa: “Io intendo una vera festa, Kurt. Una festa dove la gente si ubriaca, si sballa, si…”
“Non ti piacerebbe, credimi. Quel genere di feste non sono fantastiche come pensi.”
“Solo per una volta!” piagnucola, stringendo i pugni: “Una volta sola. Ho 23 anni, dannazione, e in tutto questo tempo non ho fatto altro che aspettare qualcosa che non è mai arrivato. Ho visto la mia vita passarmi davanti, troppo impegnata ad essere una buona figlia, una brava ragazza, un’eccellente studentessa.”
“Arriva al punto, Emily: cosa mi stai chiedendo?”
“Portami ad una delle tue feste. Fammi vivere per la prima volta da quando sono arrivata alla UCLA. Voglio fare nuove esperienze, qualche follia…”
“Non ti piacerebbero, è una pessima idea. Pessima!”
“Fallo decidere a me! Se non vorrò restare te lo dirò, e potrai riportarmi a casa.” Artiglia la mia camicia sbottonata con entrambe le mani e sussulto. “Kurt, ti prego!” i suoi occhi sembrano quelli di una bambina, mi supplicano: “Per il mio compleanno!”
“Per l’amor del cielo…” sussurro portando gli occhi in altro: mi sto cacciando in un mare di guai e Candy mi ucciderà se per caso dovesse succedere qualcosa alla sua amica. Ma perché vengo immischiato sempre in queste storie? “Va bene, va bene!” porto le braccia in altro in segno di resa. “Mi arrendo, hai vinto tu. Ti porterò ad una festa!”
“Ah, grazie, grazie, prometto…”
“No!” le punto un dito contro, interrompendola: “Non promettere nulla se non questo: non prendere nulla di ciò che ti offriranno, non appartarti con nessuno, e soprattutto rimani dove posso vederti. Niente giochetti, niente cazzate. Intesi?”
“Intesi!” risponde, continuando a sorridere soddisfatta e iniziando a saltellare per la stanza: “Vedrai, non te ne pentirai.”
“Lo spero, lo spero tanto.” Sospiro, sforzandomi di sorridere. Vorrei tanto scappare lontano, ora, trovare un posto nascosto e seppellirmi.
 

**


“Mi ammazza, è la volta buona che qualcuno mi ammazza.” Penso, mentre tamburello distrattamente le dita sul volante della mia auto. Le ho mentito spudoratamente, e quando lo scoprirà Emily mi odierà e mi farà una scenata. Ma cosa avrei potuto fare? Candy è mia amica, e Logan mi ha fatto una testa tanta sul quanto lei ci tenga a passare la sera del compleanno della rossa insieme; e poi non le ho mai utilizzato la parola stasera quando le ho promesso di portarla ad una di quelle feste folli a cui ha deciso di voler partecipare per sperimentare le vita da sballo e le droghe leggere. Mi domando se sia il caso di chiudere i contatti con ogni essere umano portatore di vagina, perché sono mesi che queste mi stanno facendo impazzire. Prue è stata il mio tormento per settimane, e ancora adesso non sono completamente certo di essermela fatta passare; come se questo non fosse abbastanza, ecco che ci si mette anche Emily Barrett a complicarmi la mia già complicata vita.

“Scusa l’attesa!” sento la portella della macchina aprirsi e guardo Emily sedersi con l’eleganza di un gatto sul sedile del passeggero. Indossa un abito di velluto blu, e chissà perché mi viene alla mente la canzone degli anni ’50 “Blue Velvet”, una canzone che mia madre era solita cantare quando ero piccolo.
“Dove mi porti?” chiede civettuola, mentre accendo il motore.
“Non te lo dico. E’ una sorpresa.”

“Ma è un locale!” esclama ovvia Emy, mentre entriamo nel disco-pub in cui passeremo la serata – sempre che la rossa non dia di matto e decida di andarsene.
“Ottima osservazione, Watson!” mi guardo attorno, e scorgo poco lontano la figura di Logan. Accanto a lui c’è Candy e se la mia vista non mi tradisce il ragazzo che è con loro deve essere Arashi.
“Pensavo che mi stessi portando ad una festa, non in un disco-pub. La musica dance anni ’90 mi fa schifo, e poi…”
“Non ti ho portato ad una mia festa, ma alla tua festa di compleanno!” rivelo, liberandomi finalmente di quel peso: “Mi dispiace, rossa, ma non potevo permetterti di fare una cazzata, di mandare all’aria i piani di Candy.”
“Ma avevi promesso!” Emily stringe le labbra rosee, contrae il viso in un’espressione severa e delusa: “Sei un fottuto bugiardo!”
“E no, ragazzina, non ti permetto!” mi paro davanti a lei e l’affronto: “Ho detto che ti avrei portato ad una festa, ma non ho mai detto che l’avrei fatto stasera.”
“Tu… tu ti sei preso gioco di me!” i suoi occhi si sgranano, le sue mani si stringono a pugno, e per un secondo penso che uno di quei pugni mi raggiungerà dritto in faccia: “Sei un bugiardo, Kurt, uno stronzo bugiardo come tutti gli altri. Ti odio!”
“Come ti pare, ma adesso sforzati di sorridere e di farti vedere contenta. Candy ci tiene molto a te, anche se non capisco perché, quindi vedi di non mandare tutto a puttane.”


So che non dovrei bere, lo so, ma questa serata è un vero disastro! Emily ha continuato a punzecchiarmi con frecciatine velenose per ore, Logan mi ha fatto un ennesimo terzo grado su ciò che è accaduto tra noi, e Candy sta cercando in ogni modo di salvare il salvabile. Vorrei che Prue fosse qui: lei sa sempre cosa dire per risolvere le cose, ma purtroppo la mia amica è rimasta a casa. Prue non prova molta simpatia per Emy, ed Emy non prova simpatia per Prue. Non riesco a capirne il motivo – si saranno parlate sì e no tre volte – e non voglio neppure perderci la testa: io le ragazze non le capirò mai e ho deciso di gettare la spugna con loro anni fa.
Non colgo neanche l’occasione di farmi una ragazza che ha continuato a flirtare con me per tutta la sera – si è avvicinata mentre stavo ordinando una cosa al bancone, suadente e ammiccante. Se in un primo momento ho creduto, sperato, che la serata stesse migliorando, adesso ho la certezza che non c’è modo per salvarla. Non che non abbia provato a scoparmela, ci ho provato, ma ad un certo punto ho incontrato per sbaglio il mio riflesso nello specchio di quello squallido cesso e mi sono fatto schifo. Forse ha ragione Prue, quando dice che devo smetterla di cazzeggiare e crescere; forse Logan è stato più lungimirante di me quando ha deciso di smetterla con questa vita e mettere la testa a posto con una ragazza come Candy. Il problema è che io non ho nessuno come Candy, non vedo via d’uscita a questo mio stile di vita, e tutto ciò che sfioro si trasforma in cenere tra le mie mani.
Torno dai miei amici, e quando chiedo dove sia Emily i miei nervi saltano completamente: è al bancone, e sta flirtando, mezza ubriaca, con un tizio. Nessuno di noi lo conosce, e Candy e Logan sono troppo impegnati a ispezionarsi reciprocamente la bocca per badarci troppo. Arashi, invece, è andato via, ed io mi sento un terzo incomodo. Perché diavolo non mi sono sbattuto la ragazza nel cesso?
 

**


“Pensavo tornassi a casa con quel damerino biondo. Come si chiamava?”
Siamo in macchina, finalmente stiamo tornando a casa, ed io non potrei esserne più felice. Sono anche mezzo sbronzo, ma per fortuna so fingere bene ed Emily sembra non accorgersene. O forse anche lei sta fingendo?
“Non sono cazzi tuoi!” risponde piccata, mantenendo lo sguardo fuori dal finestrino.
“Bel nome, originale. Spero ti abbia dato il suo numero.”
“Sì, mi ha dato il suo numero. Sai, a differenza delle ragazze che frequenti tu, io non mi faccio sbattere nei cessi. Perché è questo che è successo tra te e quella biondina poco vestita, no?”
“Non sono cazzi tuoi!” rispondo, usando le sue stesse parole.
“E la tua cara Prue cosa ne pensa di tutto questo, uh? Non ti sei scopata anche lei?”
Freno di colpo e accosto: ne ho abbastanza delle sue stronzate, delle sue accuse. Emily poggia entrambe le mani sul parabrezza per non sbattere il capo, e mi guarda shoccata.
“Sei impazzito? Oltre ad essere ubriaco sei anche fatto?”
“E tu non sai fare altro oltre che giudicare le persone?” sono parecchio seccato, e anche se non vorrei mi ritrovo ad alzare la voce: “No, stronzetta, non ho scopato con quella ragazza stasera, né ho mai fatto sesso con Prue! Ma, forse, dovrei portarmi al letto te; una scopata ti renderebbe meno frigida e isterica!”
Una cinquina mi raggiunge in pieno viso, e tutto sommato penso di essermelo meritato. E’ stato poco gentile da parte mia dire quelle parole, lo ammetto.
“Stronzo! Sei un fottuto stronzo, ubriacone, bastardo! Pensavo fossi diverso, pensavo di essermi sbagliata sul tuo conto, e invece…”
“E invece sono proprio questo, dolcezza!” apro le braccia a croce, rido algido: “Sono uno stronzo a cui piace bere e intrattenermi con le ragazze. Sì, sono colpevole di questi orrendi, orrendi crimini, vostro onore; ora cosa vorresti fare a riguardo?”
“Nulla. Proprio niente.” Scuote la testa, mordicchia il labbro superiore: “Mi dispiace solo per te, davvero. Pensavo fossimo amici, ma ora che ti vedo per quello che sei provo solo tanta pena per te. Sei una persona così vuota…”
“Tu non sai niente, Emily Barrett. Niente!”
“E tu non sai niente di me, Kurt Collins, quindi perché non mi porti a casa e non la finiamo con questa storia? Sono stanca, davvero molto stanca.”
“Sai, Emy, credo che questa sia la cosa più intelligente che tu abbia detto dall'inizio di questa disastrosa serata, e sono pienamente d’accordo con te: finiamola qua.”



______________________________________________________________________________________________________________________________

Angolo Autrice: Salve, gente! Capitolo che ho scritto e riscritto, che non mi convince al 100%! Kurt è un personaggio abbastanza complesso - forse anche più di Logan, e scrivere dal suo POV mi piace ma mi incasina nello stesso momento. Spero vi sia piaciuto, e ringrazio come sempre tutti coloro che leggono e seguono. Siete davvero tanti, e se non vi scoccia vi chiedo di lasciarmi una recensione. Dopo tutto non vi costa nulla, e i vostri pareri aiutano anche me! Non so bene quando arriverà il prossimo, nè se continuerò a parlare di Emy e Kurt o se tornerò ai due protagonisti - vostri suggerimenti sono graditi. Alla prossima ;)



Qui le mie altre storie. Dateci un'occhiata, mi raccomando! :3


 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** 23: Espiazione ***









Quanti anni bisogna avere per capire la differenza tra giusto e sbagliato?

Emily



**


E’ una domenica sera come tante, e come ogni domenica sera me ne sto stesa sul divano mezzo logoro del mio bilocale, mangiando patatine al formaggio – quelle economiche, che compri a neanche un dollaro allo spaccio all’angolo – e rivedendo per l’ennesima volta le puntate di “Game of Thrones” , una di quelle che probabilmente finirà per farmi imprecare non molto finemente contro la stupidità dei personaggi o, peggio, finirà per farmi piangere.
Non ho più visto nessuno dopo quella che posso definire una disastrosa festa di compleanno, e in questi due giorni ho cercato il più possibile di dimenticare l’accaduto, di dimenticare specialmente Kurt e il suo brutto muso da stronzetto. Lancio un’occhiata al mio cellulare per un secondo, e ripenso al ragazzo che ho conosciuto alla festa e con cui ho flirtato per ore: non era niente male, penso, ma non credo che lo chiamerò. Non voglio immischiarmi in situazione scomode, e poi so già che la cosa non avrebbe un buon fine. I ragazzi, tutti i ragazzi, vogliono solo un viso carino, una ragazza che apra le gambe a comando e che sia una sgualdrina; cercano una persona diversa da me, una persona che non sarò mai.
“Brucerai nelle fiamme dell’inferno, peccatrice!”  per un breve istante mi sembra di risentire l’eco lontano delle parole di mio padre, le sue minacce e le sue mani tra i miei capelli rossi. “Hai i capelli del demonio!” mi diceva spesso queste parole quando voleva farmi soffrire, quando voleva incutermi timore con le sue parole di terrore sulla dannazione eterna. “Espiazione, espiazione! Questa è l’espiazione delle colpe che meriti!
Mi sembra quasi di risentire il calore ustionante del suo sigaro sulla mia pelle, il sapore salato delle lacrime che rigano il mio viso, le mie suppliche. Chiudo gli occhi, respiro profondamente e mi obbligo a calmarmi: è passato, mi dico; lui è lontano chilometri e non può farmi più niente.

Qualcuno bussa alla mia porta: sobbalzo per la sorpresa, e scrollandomi di dosso con una mano i residui di patatine che mi sono caduti sui pantaloni sbiaditi della tuta mi alzo e vado ad aprire. Girata la maniglia e tirata la porta, i miei occhi si sgranano per la sorpresa e mi domando cosa diavolo ci faccia lui qui, a quest’ora di sera.

“Kurt, ma che diavolo?” esordisco, mentre lui sorride sghembo e inclina leggermente il capo.
“Che diavolo ci faccio qua? Semplice, ti porto ad una festa.”
Senza chiedere il permesso sgattaiola come un ladruncolo nell’appartamento e inizia a guardarsi attorno con curiosità.
“Chi ti ha dato il mio indirizzo, come hai fatto a trovarmi?”
“Candice.” Risponde soltanto, e lo vedo sogghignare in direzione della tv: “Anche tu con Game of Thrones, uh?” si lancia a peso morto sul divano e inizia a sgranocchiare una manciata di patatine: “Grande serie, devo ammetterlo.”
“Si può sapere che stai facendo? E chi ti ha dato il permesso di sederti e mangiare?”
“Ti hanno mai detto che sei davvero una pessima padrona di casa?” chiede retorico a sua volta, scuotendo con disappunto il capo: “Dai, vestiti, altrimenti faremo tardi.”
“Tardi? Tardi per cosa, scusami?” sono sempre più confusa, nervosa.
“La festa, ricordi? Andiamo, mettiti qualcosa addosso, qualcosa di carino, e pettinati quel groviglio di capelli.”
“Io con te non vengo da nessuna parte, tanto meno ad una festa da quattro soldi.”
Lo guardo mentre si alza dal divano: sbuffando, incrocia le braccia attorno al petto e inarca un sopracciglio. Fa anche il seccato, adesso, ed io vorrei solo prenderlo per i capelli e trascinarlo fuori a calci.
“Ti avevo fatto una promessa, ricordi? Ti avrei portata ad una festa, una festa in cui la gente si devasta, e ho intenzione di mantenerla. Sono come un Lannister, mantengo sempre le mie promesse.”
“Quelli erano i debiti, idiota!”* esclamo piccata, continuando: “Grazie per l’interessamento, davvero, ma la risposta è sempre no. No e ancora no!”
“Pensavo ci tenessi davvero a questa cosa, ma forse mi sbagliavo…”
“Io, invece, pensavo non volessi più saperne di me…” confesso in un sussurro e mi mordo nervosamente un labbro: “Non dopo quello che è successo l’altra sera…”
“Ho esagerato l’altra sera e mi dispiace. Non avrei dovuto trattarti in quel modo, quindi ecco la mia offerta di pace: vieni con me alla festa, divertiamoci e facciamo finta che non sia successo nulla l’altra sera.”
“Io…” abbasso lo sguardo, osservando le punte dei miei piedi come se fossero lo spettacolo più interessante del mondo: “Non lo so, non so se sia una buona idea.”
“Andiamo, Emy!” Kurt mi prende per le spalle, scuotendomi leggermente: “Dov’è finita la ragazza cazzuta dell’altro giorno, quella che voleva provare delle emozioni, che voleva sentirsi viva per una sera?”
“Non lo so… credo sia ritornata nel suo guscio.” Sorrido, ma nel mio sorriso non c’è alcun calore, solo tristezza: “Ma se vuoi dimenticare l’accaduto dell’altra sera a me sta bene. Ho esagerato anche io e mi dispiace.”
“Bene, perfetto, un motivo in più per festeggiare!” esclama e mi prende una mano: “Andiamo, Emy! Ci divertiremo, e se così non sarà allora andremo via.”
“Davvero? Prometti che andremo via e che non mi lascerai per, non so, andare dietro a qualche ragazza avveniente e facile?”
“Lo prometto.” si porta la mano libera, la sinistra, sul petto: “Croce sul cuore!”

 

**


In macchina di Kurt, seduta sul sedile del passeggero, guardo le luci delle strade passarmi velocemente accanto, mentre distrattamente mi mordo il labro inferiore. E’ tutto così surreale: poco più di un’ora fa ero seduta sul mio divano, a mangiare schifezze e guardare la tv, e ora mi trovo in macchina con lui, con il ragazzo con cui credevo di aver chiuso per sempre. Mi domando cosa gli abbia fatto cambiare idea, cosa ci guadagni lui in tutta questa storia. Magari è annoiato, magari vuole solo svagarsi e perdere tempo con me gli sembra una opzione allettante abbastanza.

“Perché?” chiedo, lasciandomi sfuggire dalle labbra rosse quella semplice, apparentemente innocua domanda.
Kurt mi guarda per un istante con la coda dell’occhio, aggrotta le sue sopracciglia sottili e a sua volta domanda: “Perché cosa?”
“Questo!” esclamo in risposta, indicando prima me e poi lui: “Perché stai perdendo tempo con me, perché hai voluto per forza portarmi a questa festa?”
“Te l’ho già spiegato: io mantengo sempre le mie promesse, e poi…” indugia un attimo, un solo istante: “Tu mi piaci, Emy.”
Boccheggio, per la prima volta da tanto tempo sono senza parole. Quella semplice frase può significare tutto e niente allo stesso tempo, e io non so come gestirla. Decido quindi di non dire nulla, di lasciar cadere la conversazione, e torno a guardare fuori, le strade illuminate e il cielo notturno.

“Vieni!” ordina a voce alta Kurt non appena mettiamo piede in quella specie di attico situato in una delle strade che costeggiano il Sunset. “Non perdermi di vista, e non farti offrire niente, né bevande né tantomeno pasticche!”
“Mi hai presa per una sciocca?” chiedo retorica e leggermente offese, e in risposta Kurt sorride sghembo e mi prende per mani, trascinandomi in quella bolgia.

Durante il corso della serata bevo qualche birra, conosco gente di cui mi scordo il nome due minuti dopo e ballo, ballo a ritmo di quella musica ora anni ’70, ora anni ’80. E’ una musica che oscilla dai grandi classici della discomusic all’elettronica di fine anni ’90. Non credo di aver ballato mai in quel modo, di essermi mai lasciata andare così; è stano, ma con Kurt al mio fianco penso di poter fare tutto. E’ così diverso da me: spigliato, divertente, conosce ogni persona e ha gli occhi di tutte le ragazze addosso. Mi sento quasi gelosa alle volte, mentre altre non posso fare a meno di guardare con superiorità quelle svampite e farle diventare verdi d’invidia: stasera Kurt è solo mio e loro non possono far altro che stare a guardare.

“Collins!” mentre ce ne stiamo in disparte a bere della vodka alla pesca, un ragazzo alto, con i capelli lunghi e ricci si avvicina a noi. Accanto ha una ragazza bionda, palesemente tinta, ben poco vestita. “E’ un secolo che non ci si vede.”
“Solo qualche mese.” Precisa il biondo, senza scomporsi: “Come stai, Steven?”
“Me la cavo. Ti trovo bene, e come sempre circondato da belle ragazze.” Ammicca nella mia direzione, mettendomi a disagio.
“E solo un’amica.” Kurt mette in chiaro le cose, ma questo Steven non sembra voler mollare la presa.
“Ma certo, certo. Lo sono tutte, non è vero?” ghigna con fare superbo, e prosegue: “Cosa ci trovino le ragazze in te non l’ho mai capito. Non lo hai neanche così grosso!” ride sguaiatamente e anche la tipa si unisce al coro.
“L’importante è come lo usi, non quanto lo hai grosso!” esclama piccato Kurt, anche lui seccato: “Vieni, andiamo!” ordina e prendendomi nuovamente per la mano mi trascina verso l’uscita. Prima di lasciare quel caos, posso giurare di sentire un imprecazione a denti stretti uscire dalle sue labbra.


**


“Ti va di andare a Malibu?” mi propone quando torniamo in macchina.
“Non pensi di essere troppo ubriaco per guidare fino a Malibu?” chiedo a mia volta, ottenendo in risposta una risata rauca.
Un attimo dopo, Kurt mette in moto la macchina e parte sgommando verso le spiagge chilometriche poco fuori Los Angeles.
Arrivati a Malibu scendiamo dalla macchina e in silenzio seguo Kurt che, a passo lento, si dirige verso la spiaggia. Mi tolgo le scarpe prima di affondare i piedi nella sabbia, e mi fermo solo a pochi metri dal bagnasciuga, a qualche passo da Kurt. Osservo il biondo sedersi sulla sabbia, portare le gambe al petto e ammirare con sguardo perso l’orizzonte, il cielo nero che si fonde insieme al mare dello stesso colore. Non si sa dove finisca l’uno e inizi l’altro, ma ammetto che quel mistero e quel cielo stellato rendono l’atmosfera intrigante e speciale.

“Vuoi?” mi chiede qualche minuto dopo il biondo, e solo in quell’istante mi accorgo della canna che stringe tra le mani.
“Kurt, ma che diavolo fai?” mi guardo in giro, preoccupata: “Se ci vedessero…”
“Calmati, rilassati. Non ci succederà nulla. E’ solo qualche grammo di erba, non è la fine del mondo.”
“No, ma sarebbe la fine della mia borsa di studio, della mia reputazione!”
Kurt caccia indietro la testa e ride, trovando la cosa divertente: “Emy, se sempre la solita secchiona. Avanti, rilassati. Hai detto che avresti voluto fare nuove esperienze, no?” mi avvicina lo spinello e continua: “Avanti, allora, lasciati andare!”
Prendo un respiro profondo, guardo Kurt e poi nuovamente lo spinello, e mandati al diavolo i buoni propositi intreccio quella sottospecie di sigaretta illegale tra l’indice e il medio e ne prendo una lunga boccata.
“Merda!” impreco, tossicchiando fuori il fumo e Kurt sghignazza ancora una volta.
“Principiante!” mi sbeffeggia, fumando anche lui: “La prima volta capita a tutti. La seconda andrà meglio, e alla terza diventerai una esperta.”

Stesa sulla sabbia e con il capo posato sul petto di Kurt ammiro in silenzio le stelle: torno indietro nel tempo, a quando ero una bambina e passavo le ore fuori al patio della mia casa a guardare le stelle, le costellazioni, pensando a quanto il mondo fosse vasto, a quanto mi sarebbe piaciuto visitarlo. Ho lasciato per la prima volta la mia città per trasferirmi a Los Angeles, e non sono mai stata fuori i confini dello stato della California.

“Se mi vedesse mio padre, credo che mi scomunicherebbe.” Rompo il silenzio, continuando a guardare il cielo: “Direbbe che sono una peccatrice, la figlia del demonio. Forse mi picchierebbe, anche, o mi spegnerebbe il suo sigaro sulla pancia o sulla schiena.”
“Tuo padre ha fatto questo?” il corpo di Kurt si tende nervosamente, e mi accorgo di aver pronunciato quelle parole ad alta voce: “Emy…”
“E’ passato adesso, non preoccuparti.” Sorrido algida, cercando di rimediare: “E’ un uomo molto severo, e crede nelle punizioni corporali per l’espiazione delle colpe.”
Mi alzo la maglia, mostrando la cicatrice sulla mia pancia, all’altezza delle ossa delle anche: “Questo è il ricordo più evidente che mi ha lasciato. Sono stata una figlia disubbidiente, e lui mi ha punito di conseguenza…”
“Nessuno merita una cosa del genere, non importa cosa ha fatto.”
“Ero da una mia amica. Lui non approvava la nostra amicizia a causa dei suoi genitori; erano comunisti, loro, mentre noi eravamo una rispettabile famiglia cristiana…” sento le lacrime pizzicarmi gli occhi a quei ricordi: “Una sera ero a casa sua, stavamo giocando. Avevo undici anni e non mi sono resa conto dell’orario..” una lacrima dispettosa scorre sulla mia guancia: “Quando sono tornata a casa mi ha urlato contro, mi ha preso per i capelli e mi ha fatto questo.”
Mi copro il viso con le mani, singhiozzo. “E’ stato orribile!”
Kurt mi abbraccia, mi tiene stretta: non ho mai raccontato questa storia a nessuno, e mai avrei pensato che il solo parlarne potesse scaturire queste emozioni.
“Non piangere, è passato!” mi sussurra all’orecchio, e con i polpastrelli dei pollici mi asciuga le lacrime: “Sei qua con me, ora, e lui è lontano, non può farti male!”
Sento la sua mano scorrere sotto la mia maglia, accarezzare la mia cicatrice. Osservo come incantata il suo capo che si abbassa, sento le sue labbra baciarmi la cicatrice e trattengo il fiato. Le sue labbra sono così calde, mi toccano dove nessun’altro mai mi ha toccata. Il suo occhi incontrano nuovamente i miei, e quello che accade dopo è un attimo: le sue labbra sono sulle mie, ci stiamo baciando. Chiudo gli occhi, lascio che accada, e affondo le dita tra le onde morbide dei suoi capelli color dell’oro. Le sue labbra sono morbide, la sua bocca sa di nicotina, erba, di lui; schiudo le labbra, la sua lingua gioca con la mia. Non sono mai stata un’esperta in queste cose, sono sempre impacciata in queste situazioni, ma in questo momento no. Sono sciolta, rilassata, e vorrei non finisse mai. Per un istante mi tornano in mente gli sguardi invidiosi delle ragazze alla festa, e non posso che esultare silenziosamente: questa sera Kurt è mio, mio soltanto.

“E’ meglio se torniamo a casa…” sussurra a pochi centimetri da me quando il bacio termina. Sembra imbarazzato, anche io lo sono. “Si sta facendo davvero tardi.”
“Sì, credo che tu abbia ragione. Domani mattina non ho idea di come farò ad alzarmi dopo tutto questo devasto.”
“In qualche modo ce la farai. Io lo faccio da anni!” esclama nel tentativo di darmi la carica, e mi strizza un occhio. Sorride, e presa la mia mano intreccia le dita con le sue.
Camminiamo fianco a fianco nella sabbia fresca, senza dire una parola; neanche durante il tragitto da Malibu al mio bilocale ci diciamo nulla, ma quando arriviamo a casa mia e Kurt ferma la macchina, lui mi bacia, dopo una breve esitazione, le labbra e mi augura la buona notte.
Quando, poco dopo, mi ritrovo stesa sul mio letto, sotto le coperte, non posso fare a meno che sorridere come una stupida ragazzina alla sua prima cotta, e addormentarmi con la speranza di sognarlo e rivederlo l’indomani alla UCLA.



*



*Uno dei motti della casa Lannister, una delle case protagoniste della serie televisiva della HBO (e dei libri delle "Cronache del giaccio e del fuoco" ovviamente) "Game of Thrones\Il Trono di Spade" è: "Un Lannister paga sempre i suoi debiti."


Angolo Autrice: Finalmente ho aggiornato! Queste settimane sono orrende, ma ci sono riuscita. Cosa posso dire? Questo capitolo mi soddisfa parecchio: finalmente scopriamo Emily, scoprima il suo passato. Ha abbassato le sue difese, e ha concesso a qualcuno di prendersi cura di lei e starle accanto. E lo so che forse molti di voi non sono convinti di questa coppia, ma a me piacciono davvero troppo! :3
Grazie, come sempre, a tutti voi che leggete e seguite. Lasciatemi una recensione, pliiiiiis!! Alla prossima ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** 24: Strawberry Swing ***







Cold, cold water bring me round
Now my feet won't touch the ground
Cold, cold water what you say?
When it's such, it's such a perfect day
Such a perfect day


Candy



**

“Avanti, assaggia!” porgo a Prue il vassoio su cui ho disposto i muffin ai mirtilli che ho sfornato venti minuti prima, ottenendo in risposta un’occhiata perplessa e una smorfia: “Oh, non fare la difficile e prendine uno: prometto che non morirai.”
“E’ la quarta volta in questa settimana che provi a fare questi dannati muffin e, credimi, non capisco perché ti ostini tanto. Cucinare non è il tuo forte, perché insistere?”
“Perché oggi è un mese da quando io e Logan ci siamo messi insieme, e voglio stupirlo con questi muffin fatti con le mie mani.”
“Potresti sempre comprarli alla pasticceria a due isolati da qua e dirgli che li hai fatti tu. Sono sicura che non si lamenterà.”
“Ma sarebbe una bugia, una sporca bugia. Io voglio che siano i miei muffin, non quelli che qualcun altro. Andiamo, Prue, assaggiane uno e facciamola finita!”
Prue sbuffa, rotea gli occhi e finalmente si decide a prenderne uno e assaggiarlo. Lo addenta, masticandolo con lentezza, e trattengo il fiato nell’attesa di un responso.
“Allora?” chiedo, impaziente, intrecciando le dita: “Non tenermi sulle spine e dimmi come sono.”
“Sarò onesta, Candy: all’inizio pensavo che fossero come l’ultima volta, dei mattoni di cemento, ma questa volta…” sospende la frase, si rigira il dolcetto tra le mani: “Questa volta non sono male. Sicura di averli fatti tu?”
“Certo che li ho fatti io, diffidente che non sei altro. Piuttosto, credi che a Logan piaceranno?”
Prue scrolla le spalle, addenta nuovamente il muffin: “Se piacciono a me piaceranno anche a lui. Logan è una discarica, è capace di mangiare qualsiasi cosa.”
Sorrido, soddisfatta di quella risposta e di me stessa, e batto le mani come una bambinetta: “Bene, allora vado a vestirmi per l’occasione. Non voglio perdere altro tempo!” faccio un paio di passi verso la mia stanza, mi fermo quando un pensiero mi sfiora la mente, e girandomi nuovamente verso Prue chiedo: “Tu cosa farai stasera?”
“Non so. Forse ordinerò una pizza e mi vedrò un film. Sai, le solite cose che fanno le ragazze single quando tutte le loro amiche escono con i loro ragazzi.”
“Prue…” mi sento in colpa dopo le sue parole, e anche se vorrei aiutarla non so cosa poter fare, cosa dire per alleviare la sua solitudine: “Sono certa che la tua anima gemella non è poi così lontana.”
“Ne sono certa!” esclama con un sorriso dalle sfumature tristi la mia amica; non vuole farmi preoccupare, stare in pensiero e l’ammiro per la sua forza di volontà: “Ma fino ad allora occuperò il mio tempo mangiando pizza e schifezze varie. Magari potrei chiamare Arashi o…” si morde un labbro ed io capisco che stava per pronunciare il nome di Kurt. Da quando quest’ultimo ha confessato di provare interesse verso Emily, la sua intenzione di frequentarla in modo serio, Prue è diventata più pensierosa e taciturna di prima. Sta perdendo il suo migliore amico, lo percepisco dai suoi sguardi, dai suoi frequenti sospiri: non ammetterà mai la sua sofferenza, la verità, ma io so. “Non pensare a me, Candy. Vai da Logan e passa una meravigliosa serata.”



**


Prima di quel giorno ero stata solo due volte a casa di Logan, e mai più di un’ora. Quell’appartamento che lui definiva casa era sempre sottosopra, un vero disastro, e quando gli avevo consigliato di assumere qualcuno per pulire e rassettare lui mi aveva guardato male e mi aveva risposto dicendo che nessuno poteva toccare le sue cose.  Logan, quando vuole, sa essere davvero scontroso e ostile, e persino a me, la sua ragazza, ha proibito di entrare in alcune stanza del suo appartamento situato all’ultimo piano di un vicolo non troppo lontano dal Sunset. Quando arrivo nella stradina trovo il portone del palazzo socchiuso, e senza attendere oltre decido di non citofonare e salire direttamente fino all’ultimo piano – senza ascensore – con il mio piccolo vassoio di muffin in mano. Ferma davanti alla porta, suono un paio di volte il campanello e con un sorriso impaziente attendo che Logan mi apra. Pochi istanti dopo quella stessa porta si apre, ma non è Logan ad aprirmi, ma una ragazza della mia età, magra e vestita solo con un top nero e dei pantaloncini di jeans che coprono a malapena il sedere; il sorriso sul mio viso muore, la mia fronte si aggrotta e le mie labbra si serrano e si assottigliano.

“Ciao, posso aiutarti?” chiede con voce gioviale la biondina, mantenendo una mano sulla porta e il viso leggermente inclinato: “Sei qua per Logan?”
“Io… sì, sono…” la mia facoltà di parola sembra improvvisamente svanita nel nulla, il mio cervello si ammutina e non trasmette informazioni. Mi dico che non devo saltare alle conclusioni, che di sicuro c’è una spiegazione a tutto, ma il mio primo impulso è quello di gettare all’aria il vassoio di muffin e andarmene da là. Il secondo, invece, mi dice di entrare là dentro e dare un pugno su quella faccia da strafottente di Logan e urlargli contro di tutto. “Sono la sua ragazza!” esclamo finalmente, decisa a marcare il mio territorio.
“Oh!” l’esclamazione che le esce dalle labbra carnose non promette nulla di buono, il sorriso nervoso che ne segue ancora meno. “Allora forse…”
“Naomi, chi è alla porta?” la voce calda e sicura di Logan, proveniente dall’interno, lascia la frase della ragazza, che adesso so chiamarsi Naomi, in sospeso. “Candy! Che diavolo ci fai tu qua?”
“Che diavolo ci faccio qua?” la mia domanda è l’eco della sua, la risata che esce dalle mie labbra fortemente sarcastica: “Non pensavo di dover mandare un messaggio, chiedere un invito scritto per venire a casa tua.”
“Non intendevo questo, è solo che…” il suo sguardo si sposta da me a Naomi; la ragazza sembra imbarazzata, capisce di trovarsi nel mezzo di una discussione: “Non è come credi, è solo un’amica.”
“Bene, in questo caso non ci sono problemi se entro e resto per una mezz’ora, magari un’ora, no?”
“In verità io devo andare!” esclama con voce incerta Naomi, un istante prima di afferrare la sua roba e uscire dall’appartamento: “Ci sentiamo, Logan.”

“Da quanto tempo tu e Naomi vi conoscete?” chiedo una volta rimasti soli.
“Non iniziare, Candice, ti prego.” Logan sembra seccato, e neanche mi guarda negli occhi; raccatta alcune cose sparse sul divano e le porta in un’altra stanza.
“Non andare via mentre ti parlo, non trattarmi come una stupida!”
“Ti stai rendendo stupida da sola, se non te ne fossi accorta.” Mi guarda con la coda dell’occhio, e quel suo menefreghismo mi fa saltare i nervi: “Non è successo nulla tra me e Naomi, nel caso te lo stessi chiedendo. Era qui solo perché io le ho chiesto un favore.”
“Un favore, che genere di favore le hai chiesto?” questo suo essere evasivo e scostante è una sua caratteristica che mi ha sempre affascinato e dato ai nervi nello stesso momento: “Per una volta potresti essere chiaro, smettere di comportarti come il ragazzo del mistero? Il clichè del bello e dannato non funziona più!”
“Bene, come ti pare!” alza le mani in aria come farebbe un malvivente che si arrende davanti alla polizia: “Sì, ci ho scopato qualche volta con lei, ma è stato tanto tempo fa, prima di conoscerti. E no, non ha significato nulla: ci scopavo solo per noia, o perché ero ubriaco marcio, ma è sempre stato sesso senza pretese.”
“Lo sapevo, lo sapevo!” una smorfia compare sul mio viso, una risata amara fa increspare le mie labbra: “C’è una ragazza che conosci con cui non hai ancora scopato, Logan?”
“Sì, ce ne sono due, a dire la verità: una è Prue, e l’altra sei tu!” quella risposta è uno schiaffo in faccia, una specie di rimprovero per tutte quelle volte che, in questo mese, lui ha cercato di fare sesso con me ma io l’ho respinto.
Mi mordo un labbro, sento i miei occhi pizzicare, le lacrime spingere per uscire: mi sento così stupida, così ingenua e perennemente sotto esame. Logan è tutto ciò che ho sempre evitato, il ragazzo di cui mai avrei pensato di sentirmi attratta o, peggio, di innamorarmi. Quando sono con lui mi sento una novellina, il suo mondo continua ad essere un mistero, un luogo inospitale dove mi sento un’estranea.
“Mi dispiace, non volevo…” si avvicina, cauto, e tenta di accarezzarmi una guancia. Indietreggio, volto il viso per non farmi toccare: “Cady, ti prego…”
“Alcune volte penso che tu stia con me solo per noia, per provare qualcosa di nuovo. Alle volte penso che io per te sia un divertimento, una nuova esperienza: “Candice, la ragazza che un tempo era ricca ma ora è costretta a vivere tra i comuni mortali” non è questo che sono per te, Logan? Magari, dopo avermi scopata e aver segnato anche il mio nome sulla tua lista ti scoccerai di me, del nuovo giocattolo, e mi lascerai.”
“Ma ti senti quando parli? Stai dicendo un cumulo di stronzate. Io non ti lascerò, non sono lo stronzo che credi che io sia; non sono perfetto, ho fatto una marea di stronzate, ma devi credermi quando ti dico che non c’è nessun’altra, che non voglio nessun’altra accanto a me.” Con uno scatto improvviso mi afferra le spalle, stringe forte quando tento di divincolarmi: “Io non ti lascio andare, quindi smettila di fare la bambina. Guardami!” ordina osservando i miei occhi abbassarsi verso il pavimento: “Vuoi sapere il perché ho chiesto a Naomi di venire qua?”
“Non so se voglio…” rispondo, temendo il peggio, di scoprire qualcosa della vita di Logan che potrebbe non piacermi, spaventarmi.
In risposta lui sorride sghembo, lascia la presa sulle mie spalle e, entrato in una stanza buia, ne riesce pochi istanti dopo con un pacco da imballaggio marrone.
“Eccoti le risposte che cerchi!” svuota la scatola, da cui fuoriescono miriadi di polaroid, fotografie e rullini fotografici.
Chinandomi sulle ginocchia ne afferro un paio, osservandone i soggetti: sono tutti ritratti di persone, la maggior parte di donne, colti in momenti della giornata o messi in posa. Molte di esse sono fotografie di nudo artistico, dei giochi di vedo-non vedo e altre ancora presentano dei lavori di body painting davvero notevoli.
“Naomi è un’artista specializzata nell’arte del body painting e mi sta dando una mano per un mio nuovo progetto interamente dedicato a quest’arte. E’ ancora acerbo, in fase embrionale, ma io sono fiducioso.”
“Sono bellissime, Logan, tutte quante.” Sorrido e con una punta di antipatia aggiungo: “Non che mi faccia piacere pensare a te che scatti foto a tutte queste ragazze nude, ovvio, ma ammetto che hai talento.”
“Non sono andato al letto con tutte, se è questo che stai pensando.” Sorride sghembo e precisa: “Solo con alcune.”
“Fottiti!” gli do uno spintone, senza ottenere grandi risultati. “Perché non me ne hai mai parlato?”
“Non sapevo come l’avresti presa, e poi sono molto riservato su queste cose. Neanche Kurt e Prue le hanno viste tutte.”
“Mi stai dicendo che sono la prima?” chiedo retoricamente e lui annuisce. Gli accarezzo una guancia e lo bacio a fior di labbra: “Ne sono onorata.”
“Ed io sono contento che ti piacciano. La tua opinione è molto importante per me, tu sei importante per me, e ti prego di non mettere più in dubbi la mia lealtà nei tuoi confronti, la mia fedeltà e i miei sentimenti.”
“Non lo farò più, lo prometto.” Lo abbraccio e Logan mi stringe forte: “Ma quando ho visto Naomi, così bella e sensuale, ho dato di matto. Non sapevo cosa pensare, e mi sono tornate alla mente le parole di Prue su di te, sulla tua reputazione e…”
“Basta giustificarti, non devi. Anche io avrei dato di matto, credo, quindi non devi scusarti di nulla. Avrei dovuto dirti subito come stavano le cose.” Mi bacia il capo, la tempia, poi nuovamente le labbra. Le sue mani vagano sulla mia schiena, il bacio si fa più passionale, e rabbrividisco quando percepisco le sue dita fredde intrufolarsi sotto la mia maglia e accarezzarmi la pelle nuda.
Affondo le mani nei suoi capelli, stringo forte, e mugugno il suo nome sulle sue labbra allontanandomi appena.
“Non dirmi di fermarmi, non ora.” lo senso sussurrarmi all’orecchio, mentre le sue labbra si spostano sul mio collo: “Dio, Candy, ti desidero da impazzire.”
“E allora non fermarti!” esclamo, sorprendendo sia lui che me stessa, e torno a baciarlo con foga e passione.

Ci ritroviamo, senza neanche accorgercene, nella sua stanza da letto, mezzi nudi e bramosi dell’altro. Le sue sapienti ed esperte mani mi hanno già tolto la maglia e quando mi stende sul letto iniziano ad armeggiare con i miei jeans, che sfila in un colpo solo. Non è la prima volta che rimango in intimo davanti a lui, che lui rimane mezzo nudo davanti a me, ma è la prima volta che gli permetto di sfilarmi anche il reggiseno e baciarmi con devozione i seni. Mi inarco, sentendo la passione esplodere, e affondo le mani nei suoi capelli mentre lui continua la sua meravigliosa tortura. Nudi l’uno davanti all’altra, mi soffermo a guardarlo, mi arrendo alle sue carezze, al tocco delle sue mani e gli permetto di farmi sua. I nostri corpi si fondono, trovano un loro tempo e il piacere ci invade come un’onda, ci lascia appagati e senza fiato. Alla fine, Logan mi stringe tra le sue braccia, copre entrambi con un lenzuolo e mi accarezza la schiena mentre io faccio lo stesso con il suo petto ricoperto da una leggera peluria scura.
Non parliamo, le parole non servono in questo momento così perfett e mi lascio cullare dal respiro regolare di Logan, dalle sue carezze: chiudo gli occhi e, senza rendermene conto, mi addormento.


*


Angolo Autrice: Salve, gente! Chiedo immensamente perdono per il ritardo, ma questo è un momentaccio per la mia vita universitaria che sta volgendo al termine. Non so bene con che frequenza aggiornerò fino a metà luglio, quindi vi chiedo di portare pazienza. Grazie, come sempre, a tutti coloro che leggono, seguono la storia e lasceranno una recensione. Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e sia valsa l'attesa. Alla prossima ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** 25: This too shall pass ***








You know you can’t keep lettin’ it get you down
And you can’t keep draggin’ that dead weight around
If there ain’t all that much to lug around
Better run like hell when you hit the ground
Let it go, this too shall pass


Prudence



**


Non sono mai stata una persona negativa, una di quelle che vedono il bicchiere mezzo vuoto e che alla prima difficoltà gettano la spugna; ho sempre cercato di trarre il massimo dalla vita, vedere il lato positivo delle cose, ma adesso… adesso tutto sembra essere cambiata, io sembro cambiata, e non per il meglio. Probabilmente, anzi sicuramente, questa mia trasformazione è iniziata con l’inizio del nuovo anno, con quella dannata notte in cui il mio rapporto con Kurt è cambiato per sempre. Non fraintendete, Kurt è il mio migliore amico, e tra noi le cose si sono sistemate per il meglio, ma il problema è un altro, qualcosa di più profondo che tocca solo e soltanto me. Il problema è che tutti quelli attorno a me sembrano essere cambiati – non nel modo di essere, nei miei riguardi, giusto impercettibilmente, in un modo in cui solo l’amore riesce a cambiarti – catturati in un vortice di passione e sentimenti a me estranei. Candice ha trovato Logan, la persona più diversa e distante da lei, quella che giorni fa ha definito la metà del suo intero, e giorno dopo giorno sono sempre più legati; dall’altra parte, invece, c’è Kurt con i suoi sentimenti ancora contrastanti per Emily, quella ragazza ruvida esternamente, diffidante e saccente che, secondo il biondo, nasconde una fragilità e una forza che la rendono speciale. E io, io chi ho accanto a me, chi ho capace di farmi sentire speciale nel modo in cui Logan, con solo uno sguardo, fa sentire Candice? Nessuno.
Decido, quella mattinata di sabato, che è ora di voltare pagina, che è tempo di cambiare, di ritrovare me stessa, la Prue forte e caparbia che in questi mesi sembra essere sparita per lasciare il posto ad una Prudence pessimista e apatica. Inizierò dal look, dall’aspetto esteriore, e sebbene questa sia una decisione difficile da prendere, decido di tagliare i rasta, di tagliarli tutti e farmi un taglio alla maschietto.
“Tutti, voglio che spariscano tutti. Taglia senza risparmiarti, Pam, e trasformami in una nuova Prudence!” esclamo, seduta sulla sedia del negozio della mia parrucchiera di fiducia che, shoccata da questa mia richiesta, non può fare altro che eseguire l’ordine.

“Oddio, ma che hai fatto?” quanto torno a casa, Candice non riesce a credere ai suoi occhi. I miei dread, un tempo lunghi fino ai fianchi, sono spariti per sempre e hanno lasciato il posto a dei capelli color cioccolata corti come quelli di Logan.
“Avevo voglia di cambiare.” Rispondo, passandomi una mano dietro alla nuca, abbozzando un sorriso: “Non ti piacciono?”
“Certo che mi piacciono – si affretta a rispondere lei, e continua – solo che… ecco… sei così diversa.”
“Dicono che quando una ragazza vuole cambiare e iniziare una nuova pagina della sua vita inizia sempre dai capelli.” Scrollo le spalle, mentre mi tolgo il cappotto e lo poggio sull’appendiabiti: “Così ho pensato bene di rispettare le tradizioni.”
“Non vorrai anche cambiare casa o stato, spero, perché io non ho intenzione di lasciare andare la mia coinquilina.”
“Ma certo che no, sciocca!” esclamo scuotendo la testa: “Rimarrò a Los Angeles per ancora molti anni, a specializzarmi come interprete, e poi chissà, magari mi trasferirò in Giappone o in Italia.” Il mio occhio cade sull’orologio: tra un’ora e mezza inizia il turno al pub e mi devo sbrigare se non voglio arrivare tardi. “Prima di tutto questo, però, continuerò a spillare birre al Wishey; sempre se non mi licenziano per essere arrivata in ritardo a lavoro, si capisce.”
“Ti ricordi che stasera dormo da Logan?” mi chiede Candice, seguendomi verso la camera da letto, dove sto rovistando in uno dei cassetti in cerca di biancheria pulita.
“Come dimenticarlo?” chiedo retoricamente a mia volta, mostrando un sorrisetto sornione: “Hai detto che domani arriva un suo vecchio amico dall’Irlanda.”
“Sì, è così, e per qualche settimana vivrà con lui.” Ruota gli occhi, sembra leggermente seccata: “Non so come faranno a vivere in due in quel monolocale, e spero che l’irlandese non combini troppi danni e non gli prenda tutto il suo tempo libero. Tra l’università e i nostri lavori ci vediamo poco, e non abbiamo bisogno di un terzo incomodo a complicare le cose.”
“Vedrai che Logan troverà il tempo, lui trova sempre tempo per tutto.” Le sorrido e, chiuso il cassetto e l’armadio, mi congedo: “E ora scusami, ma mi aspetta una doccia prima di andare a lavoro. Ci vediamo domani mattina, baby.”


 
**


Il ragazzo misterioso entra nel Whiskey a notte fonda, si siede ad uno degli sgabelli posti davanti al bancone e ordina una birra. Guinness, prego. Lui ordina una Guinness, nera, decisa, quella che beve quasi tutte le sere nel suo pub di fiducia a Dublino. Non è propriamente bello, non se per bello tu intendi la bellezza raffaellita, ma nei suoi tratti spigolosi, nella sua mascella squadrata e nei suoi occhi azzurri come l’oceano Atlantico che circonda la sua Irlanda c’è qualcosa che ti colpisce e che ti attira come un canto delle sirene.

“Non sei americano.” La mia non è una domanda: ho capito dal primo istante che non è americano, che viene dall’Europa, probabilmente dalla Gran Bretagna.
“Irlandese. Sono arrivato stamattina da Dublino. E’ la mia prima volta nel nuovo continente, e non so per quanto rimarrò qua.”
“E cosa ti ha spinto a trasferirti nella città degli angeli?” chiedo, curiosa. Solitamente non parlo con i clienti, non sono quel tipo di barista stereotipo che ascolta tutti i problemi e i racconti di vita dei suoi clienti, ma quel ragazzo è diverso, c’è qualcosa in lui che mi incuriosisce, qualcosa che non so spiegare.
Lui scrolla le spalle, si gira tra le mani grandi e affusolate la birra rossa che, sotto mio consiglio, ha ordinato al posto della sua amata Guinness nera.
“Uno stage di sei mesi. Voglio diventare uno scrittore, e di sicuro a Los Angeles ho più possibilità di sfondare che nella triste Dublino.”
“Eppure la gente di Dublino ha ispirato molti scrittori.” Faccio presente, riferendomi a scrittori come James Joyce.
“Sarà, ma avevo bisogno di cambiare aria.” Prende un sorso di birra e, guardandomi sottecchi, confessa: “Non male questa birra; hai buon gusto, ragazza.”
“Prue, mi chiamo Prue.” Rivelo, allungando una mano verso di lui.
Il ragazzo misterioso la stringe, la sua presa è salda, i suoi polpastrelli sono callosi: “Iwan. Il mio nome è Iwan.”


 
**
 

“Stai andando via?” mi chiede ore più tardi, quando il mio turno finisce. E’ ancora seduto su quello sgabello, sorseggia la sue seconda pinta della serata.
“Il mio turno è finito – rispondo mentre esco da dietro al bancone e mi slaccio il grembiule nero che ho addosso – temo che dovrai fare a meno di me per questa sera, ma sappi che anche Jack, il barista che mi sostituisce, ha degli ottimi gusti in fatto di birre e alcolici.”
“Sarà, ma sono più che certo che non è carino come te.” Sorride sghembo, i suoi occhi brillano nonostante la luce soffusa. “Posso offriti da bere?”
“Non hai già bevuto abbastanza? - chiedo indicando la sua birra e aggiungo – Io non bevo mai in questo locale, non lo trovo professionale.”
“Allora andiamo da qualche altra parte; decidi tu dove, per me qualsiasi posto va bene. L’importante è che tu venga con me.”
“Voi irlandesi siete sempre così impertinenti?”
“La maggior parte sì, ma io ancor di più degli altri.” Si alza dallo sgabello e si avvicina a me. Mi guarda dritto negli occhi e, con una voce che stranamente mi infonde sicurezza dice: “So che ci conosciamo da due ore, o se preferisci che non ci conosciamo affatto, ma giuro che non sono un maniaco o un molestatore. Forse ogni tanto alzo il gomito, mi piace fin troppo divertirmi, ma non insisterò ulteriormente: capisco le tue perplessità e se preferisci tornare a casa piuttosto che passare il resto della serata con uno sconosciuto irlandese lo accetterò.”
Inarco un sopracciglio, lo guardo di sbieco e rimugino su quello che mi ha appena detto. Iwan sembra sincero, non sembra un maniaco, e c’è qualcosa in quel viso pallido contornato da capelli neri come l’ebano che mi attira e mi fa desiderare di passare la serata con lui, a bere una birra in qualche pub e, perché no, anche nuda in un letto a fare sesso sfrenato.
Devi lasciarti andare, Prue, sei troppo razionale. Cogli l’attimo, spegni il cervello e fatti guidare dall’istinto.” Nella mia mente mi tornano le parole di Kurt, quelle stesse parole che mi ha ripetuto centinaia di volte.
Sono sempre stata troppo razionale, ho sempre avuto paura di lasciarmi andare, di perdere il controllo, di fidarmi delle persone che non conoscevo; non sono mai andata al letto con un ragazzo conosciuto poche ore prima, magari ad una festa, non ho mai assunto droghe pesanti, terrorizza all’idea di quello che avrei potuto fare una volta disconnessa la mente.
“Perché non iniziamo con una sigaretta fuori?” chiedo, senza neanche sapere se lui fumi o meno. “Perdonami, non so neanche se fumi.”
“Ogni tanto, per noia. Non sono dipendente dalla nicotina, ma per una bella ragazza come te fumerei anche una stecca intera.”
“Non ti chiederei mai tanto, non sono così sadica. Anzi, a dire il vero sono una persona salutista, e ci tengo a queste cose.” Faccio schioccare la lingua sul palato, e puntando il pollice della mano destra alle mie spalle concludo dicendo: “Dammi dieci minuti, il tempo di cambiarmi. Ci vediamo fuori.”


“Tre sorelle?” sono stupita nell’udire quella notizia. Iwan ha tre sorelle femmine, di cui due più grandi, che vivono a Dublino.
“Ebbene sì, tre sorelle il cui divertimento principale è quello di farmi martire. Fortunatamente la maggiore, Eliza, si è sposata l’anno scorso e io ho avuto un po’ di tregua. Da bambini ce ne combinavamo di tutti i colori, ma come puoi ben immaginare ero sempre io quello a rimetterci.”
“Povero, povero ragazzo. Se può farti sentire meglio io ho due fratelli maggiori, ma loro mi hanno sempre trattato come una principessa.”
“Tipico dei fratelli maggiori; non ne sono affatto stupito.” Prende un tiro dalla sigaretta e, guardandomi con la coda dell’occhio, chiede: “Hai un ragazzo?”
Aggrotto la fronte, sopprimo una risata e scuotendo la testa rispondo: “E tu pensi davvero che, se avessi un ragazzo, starei qua con te, uno sconosciuto, a fumare tranquillamente una sigaretta?”
Iwan alza le braccia al cielo, colpevole, e ammette: “Domanda stupida, colpa mia. Solo non capisco come una bella ragazza come te possa essere single.”
“Forse perché non ho ancora incontrato quello giusto. E poi potrei farti la stessa domanda…” lascio la frase in sospeso, mi correggo: “Perché sei single, vero?”
Iwan ride, è la prima volta che lo fa in mia presenza, e non riesco a non pensare che abbia una risata meravigliosa: “No – risponde, dopo essere ritornato serio – non ho nessuna ragazza ad attendermi a Dublino.”
Cala il silenzio, un silenzio imbarazzante, carico di tensione e desiderio. Iwan butta il mozzicone di sigaretta consumato lontano, si allontana dal muro a cui era poggiato con la schiena e fronteggiandomi chiede: “Posso baciarti? Insomma, non vorrei sembrare un maniaco, ma mi piacerebbe davvero baciarti, Prue.”
“Se è quello che vuoi!” esclamo, alzando le spalle e guardandolo sottecchi.
“Non desidero altro da quando ti ho messo gli occhi addosso!” confessa, i suoi occhi sono pieni di desiderio, e un istante dopo le sue mani si chiudono attorno al mio viso e la sua bocca si appropria della mia, vogliosa e passionale.

Non sono mai stata una tipa facile, una che porta a casa ragazzi sconosciuti, ma quella sera mando al diavolo tutte le mie regole e lo porto a casa mia. So che non troverò nessuno, so che Candice non tornerà prima di domani pomeriggio, e questo mi incoraggia a percorrere questa strada proibita e invitante allo stesso tempo. Arrivati a casa con un taxi, ci avventiamo sul corpo dell’altro, dando vita ad un intreccio di mani che tolgono vestiti, di bocche che si cercano fameliche, di baci bollenti che percorrono il corpo dell’altro. E’ tutto surreale, accade così in fretta che neanche mi rendo conto di essere stesa sul mio letto, nuda, con Iwan sopra di me che mi bacia con devozione. Non ci perdiamo in preamboli, non voglio perdere tempo; mai prima d’ora mi sono sentita così euforica, così in connessione fisicamente e mentalmente con un ragazzo. Gemo quando troviamo il nostro ritmo, non mi importa se i vicini mi sentono, se mi sentono fino a New York: quella notte è la migliore della mia vita, e quando la passione scema mi sembra di essere appena tornata da un universo parallelo, mi sento appagata e in pace col mondo. Non so praticamente nulla del ragazzo steso accanto a me, del bell’irlandese che giace addormentato con il capo sul mio ventre, ma in questo momento non mi importa nulla. Sospiro: non ho rimpianti di quello che ho appena fatto e mantenendo un sorriso beato sul volto chiudo gli occhi e mi addormento.
 
**
 
 
“Cazzo!” sento una voce sbiascicata imprecare, e incuriosita apro gli occhi e osservo Iwan, il ragazzo che ho conosciuto al pub la sera prima, sgusciare dal letto nudo e iniziare a cercare i suoi vestiti.
“Cosa succede?” chiedo, mezza addormentata, attirando la sua attenzione.
“Prue! Perdonami, non volevo svegliarti, ma venti minuti fa avevo un appuntamento e sono in ritardo mostruoso.”
“Oh!” quell’esclamazione è tutto quello che mi esce dalle labbra. Butto un’occhiata alla sveglia, che segna le undici meno dieci, e anche se vorrei restare nel letto tutta la restante mattinata mi sforzo di alzarmi.
“Perché non ti fai una doccia? Ormai sei in ritardo, e uscire con l’odore di letto e sesso addosso non è molto consigliato.”
“Posso?” chiede inizialmente titubante, ma mi sorride grato quando annuisco e gli indico il bagno. “Ti adoro!” mi bacia velocemente le labbra e frettolosamente raccatta i vestiti e sparisce in bagno.

“Allora ci vediamo in giro.” Fermo sulla soglia della porta, Iwan sta per andare via, mentre io cerco di non sembrare troppo dispiaciuta della cosa. “E’ stata una bella nottata, indimenticabile. Non avrei potuto iniziare meglio questa esperienza.”
“Felice di essere stata una buona compagnia. Se vorrai sai dove trovarmi.”
“Contaci!” mi fa l’occhiolino e, avvicinato il viso al mio, mi bacia un’ultima volta con trasporto: “Ci vediamo in giro, Prue.”
“Ci vediamo in giro, Iwan.”
 

 
**

 
Tre giorni dopo sono nuovamente dietro il bancone del Whiskey ma di Iwan neanche l’ombra. Sebbene lo ritenga stupido, non ho fatto altro che pensare a lui in questi giorni, a lui che è diventato un pensiero fisso nella mia mente. Mi odio per questo, questo chiodo fisso che mi fa assomigliare ad una ragazzina alla prima cotta. Ma per quanto quella situazione fosse assurda, non era minimamente paragonabile alla sorpresa in serbo per me quella sera.

“Prue!” la voce gioviale di Logan attira la mia attenzione, e salutato con un cenno del capo finisco di servire un cliente e mi avvicino al mio amico.
“Logan, chi si rivede. Dove sei stato in questi giorni?”
“Sono stato occupato con un mio vecchio amico; non ci vediamo da anni, ma ci conosciamo da quando entrambi eravamo dei bambini.” Lo sguardo di Logan si sposta verso la porta, lo osservo alzare un braccio e salutare. “Eccolo, è arrivato. Vedrai, sono certo che ti piacerà. Iwan è davvero uno spasso e conquista tutti.”
“Scusa il ritardo, amico, ma il traffico di questa città è pauroso e…” il suo sguardo color del ghiaccio incontra il mio, le sue parole muoiono in gola.
“Iwan, posso presentarti Prudence, la mia migliore amica?”
Anche la mia capacità di parola sembra essere svanita improvvisamente e la mia gola si fa secca e ho necessità di bere acqua o, meglio, litri di vodka liscia.
Iwan si sporge verso di me, senza smettere di guardarmi, e posato un gomito sul bancone si avvicina e, sorridendo sghembo, esclama: “Ciao, Prue!”
In quel momento sento il mio cuore scoppiarmi nel petto e non so se saltargli addosso e baciarlo con trasporto, fare finta di nulla, o scappare fuori dal pub e andarmi a sotterrare il più lontano possibile.


___________________________________________________________________________________________________________________________

Angolo Autrice: Salve, gente! In ritardo mostruoso con l'aggiornamento, lo so, ma è già un miracolo se sono riuscita ad aggiornare oggi. Finalmente - e per la gioia di molti - ritroviamo Prue! E incontriamo anche un nuovo personaggio maschile, Iwan, arrivato direttamente dall'Irlanda. Cosa ve ne sembra di lui? Nei prossimi capitoli lo conosceremo meglio. Grazie, al solito, a tutti voi che leggete e seguite la storia. Lasciate un commento, mi raccomando. Bye ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** 26: Where Does The Good Go? ***








 
Look me in the eye and tell me you don't find me attractive,
Look me in the heart and tell me you won't go.
Look me in the eye and promise no love's like our love,
Look me in the heart and unbreak broken.
Where does the good go, where does the good go?


Prudence


**

 


Decido di aver bisogno di un drink – uno forte, non la solita birra che bevo durante le nostre serate al Whiskey – neanche un’ora dopo l’arrivo di Logan e del resto dei ragazzi. Gli occhi di Iwan continuano a fissarmi imperterriti come due fari luminosi nella notte – il loro colore, quell’azzurro simile al mare in tempesta mi fa impazzire! – ed io non riesco a sopportarli, non a mente lucida.
Senza dire una parola mi alzo e facendomi strada tra la gente mi avvicino a quel bancone dietro il quale, neanche due ore prima, stavo spillando birre ignara della sorpresa che il mio amico Logan mi avrebbe riservato in quella apparentemente tranquilla sera di fine inverno. Ancora non riesco a credere che, tra tutti i clienti che bazzicano il locale, tra tutti i turisti, gli amanti di buona musica rock, i solitari, i curiosi, io sia andata al letto con l’unica persona che avrei dovuto evitare, stare alla larga miglia e miglia; eppure l’ho fatto, sono riuscita ad incasinare ancor più questa mia vita incasinata, questo gruppo incasinato, ed ora me ne sto in piedi, con le mani appoggiate al bancone del locale dove lavoro ad ordinare una vodka liscia e sperare di reggere, nelle ore che verranno, quell’atmosfera pesante, più pesante dell’aria viziata mista a fumo che si respira ogni sera tra queste quattro mura.

“Fanne due! – interviene una voce alla mia destra, alzando una mano a mezz’aria per attirare l'attenzione del barista – Mi dispiace, non avevo intenzione di metterti nei guai.”
Iwan mi guarda con la coda dell’occhio, parla con me ma non mi presta troppa attenzione; so che non è colpa sua, non è colpa di nessuno dei due, e credo alle sue parole, al suo dispiacere sincero.
“Non potevi saperlo – gli dico, attendendo la dannata vodka – nessuno dei due avrebbe mai potuto immaginare questo, tutto questo.”
Iwan increspa le labbra in un mezzo sorriso, abbassa lo sguardo e la sua mano si sposta lentamente verso la mia, le sue dita sfiorano le mie e quando questo accade una scarica che definirei adrenalina, forse passione o desiderio, percorre tutto il mio corpo.
“Cosa stai facendo?” chiedo piccata, ritraendo la mano. I nostri amici sono seduti a neanche tre metri di distanza e possono vederci, potrebbero intuire qualcosa. “I nostri amici, i miei amici, sono proprio qui e se ci vedessero…”
“Se ci vedessero cosa, cosa ti importa? Logan non si è fatto troppi problemi prima di fidanzarsi con la tua coinquilina, e Kurt sta con un’altra nonostante continui a guardarti come un fidanzato geloso.” Iwan mi guarda con i suoi occhi profondi, con mia sorpresa ci ha inquadrato alla perfezione, in due ore ha capito tutto di noi, di ciò che siamo e che siamo stati: “Chi sono loro per giudicarti, Prue, per giudicare o impedirti, impedirci, di baciarci in questo momento, davanti a tutti?”
“E chi ti dice che io voglia baciarti?” chiedo retorica, incrociando le braccia al petto. Questo ragazzo è più tracotante del previsto, troppo sicuro di sé per i miei gusti, e ricordo a me stessa che di lui non so nulla, niente: “Sei stato solo la parentesi di una notte, mio caro, niente di più. Non voglio niente da te quindi lasciami in pace.”
In quel momento arrivano le nostre vodka: prendo la mia, me la scolo tutto d’un fiato. Sento la gola in fiamme, chiudo gli occhi e riposo il bicchierino vuoto sul ripiano, girando i tacchi subito dopo e tornando – cercando di tornare – al tavolo.
“In questo caso – riprende Iwan, afferrandomi per un polso e avvicinando il suo viso al mio, provocando in me stupore per tale gesto plateale – avresti dovuto dirmi addio, tre giorni fa, non ci vediamo in giro. A LA non vi insegnano queste cose, non sai che quando si vuol chiudere subito i contatti si dice una cosa tipo: “E’ stata una bella scopata, grazie, ma ora vestiti e addio?” Non lo sai, Prudence?”
“Iwan, lasciami ti prego…” sussurro con voce che trapela nervosismo, anche un pizzico di paura. Quel ragazzo è così strano, i suoi occhi blu in questo momento sembrano talmente grandi  da intimorirmi.

“Prue, tutto bene?” alle mie spalle arriva la voce severa di Kurt, la sua presenza inaspettata mi fa battere il cuore ancor più forte.
Guardo il mio amico, noto la sua fronte aggrottata, il suo viso severo; guardo Iwan, il suo viso tranquillo, il suo lieve sorriso dipinto sulle sue labbra. Ma perché mi caccio sempre nei pasticci, perché non mi faccio gli affari miei e non riesco a trovare una stabilità in questa vita incasinata? Il mio sguardo si dirige più in là, alle spalle di Kurt, verso il tavolo dove Emily – la sua ragazza – è seduta e ci sta guardando con aria non proprio contenta, con espressione seccata causata da, penso, quell’incursione a suo dire fuori luogo di Kurt nei miei affari, nella mia vita. Probabilmente è gelosa: sa del nostro passato, del rapporto che ci lega e mi dispiace per lei. Mi dispiace per lei, per Kurt che sembra ancora essere in parte diviso, per tutta questa situazione ingarbugliata che mi sta facendo andare in tachicardia.
“Dio, ma cosa vi prende stasera a tutti?” sbotto, portando gli occhi al cielo e aprendo le braccia a croce: “Cosa diavolo volete tutti da me, perché non mi lasciate in pace e vivete le vostre vite?” concludo, allontanandomi da loro, dirigendomi non so dove, finendo per chiudermi nel bagno riservato al personale, tra quelle piccole mura in cui posso lasciare tutto fuori – la musica, il vociare, Iwan e Kurt che si guardano in cagnesco – e concentrarmi su me stessa, sulla mia mente affollata da mille pensieri e il mio cuore che non vuole sapere di rallentare.


 

**



“Prue, Prue aprimi! – qualcuno bussa alla porta, so già chi è ancor prima che pronunci il suo nome – Sono Candy, aprimi!”
Sospiro profondamente, non so se sono pronta per un confronto con la mia amica ma non posso neanche rimanere per sempre in questo bagno, – o forse sì? – tenere la testa nella sabbia come farebbe uno struzzo colpito da un attacco di panico. Mi alzo con uno scatto delle braccia dal lavabo su cui mi sono seduta e apro finalmente la porta, permettendo alla mia amica di entrare e iniziare la sua carrellata di domande.
“Ti dispiacerebbe dirmi cosa ti è preso? Cosa ci fai qua dentro, e perché Kurt e Iwan hanno continuato per minuti a battibeccare e guardarsi come due cani rabbiosi?”
“Idioti! – esclamo in un sussurro, pensando a quei due che marcano il territorio come due animali della foresta, due primitivi che devono ancora scoprire l’uso della parola – Gli uomini sono tutti uguali, una massa di imbecilli!”
“Su questo non ci sono dubbi, – concorda Candy, alzando un sopracciglio – ma non è per questo che sono venuta a cercarti: cosa succede, Prue? A me puoi dirlo.”
“Lo so, lo so. – rispondo, passandomi una mano tra i capelli corti: ho già nascosto una volta le verità a Candy e poiché questo mi è costato quasi la sua amicizia sono decisa a non commettere nuovamente questo stesso errore – E’ solo che tutto questo è così assurdo e paradossale che neppure io riesco a crederci.”
“Questo, questo cosa?” Candy è confusa, ha tutto il diritto di essere. Dopo tutto lo sono anche io, sono davvero confusa e incasinata.
“Iwan! – esclamo, pronunciando il suo nome, quel nome che racchiude tutto – Lui, io… noi…” prendo un respiro profondo, rido istericamente per un istante: “Non avevo idea che lui… come diavolo avrei potuto? Cazzo, cazzo!”
“Prue, calmati e fammi capire bene: mi stai dicendo che lo conoscevi, che vi siete già conosciuti prima di stasera?” chiede ed io annuisco: “Cazzo!”
“Quattro giorni fa: è venuto al Whiskey, ha bevuto qualcosa, abbiamo iniziato a parlare, flirtare, e poi…” gesticolo con le mani, sembro una di quegli italiani che popolano il quartiere di “Little Italy” a New York.
“Abbiamo scopato!” confesso finalmente, e mi sento più leggera di qualche chilo: “Abbiamo fatto sesso, tre volte – faccio segno con la mano per sottolineare meglio il concetto, come se ce ne fosse bisogno poi – e sono stata così bene con lui che…” scrollo le spalle, non so cosa dire, cos’altro dire: “Mi è piaciuto, mi è piaciuto così tanto, e lui mi piace, mi piace molto, ma ora scopro  che è uno dei più cari amici di Logan, il suo amico d’infanzia, e vorrei solo fare i bagagli, prendere il primo aereo e andare lontano, magari a Timbuctù!”


Cala il silenzio: Candy non dice una parola, il suo cervello sta immagazzinando le informazioni appena ricevute, la sta elaborando ed io sono tornata a sedere sul lavabo, su quel ripiano di pseudo marmo che in quel momento mi sembra il posto più comodo – e sicuro - del mondo su cui sedermi. Temo di aver deluso Candice, ho paura che mi ritenga una pocodibuono, una che è capace di andare con il primo che capita solo per sfogare i suoi ormoni, anche se io so che non è così, che Iwan è stato più di questo, sarà più di questo.
“Candy…” la chiamo, azzardando quella prima mossa verso di lei, attendo una sua risposta, qualsiasi reazione.
“Diavoli, ragazza – dice finalmente, guardandomi dritta negli occhi – questa sì che è davvero una storia incasinata.” Si morde il labbro inferiore, poggia la sua schiena contro le piastrelle del bagno e torna a guardarmi, sul suo viso leggo tante domande, ma è solo una quella che mi pone: “Cosa pensi di fare adesso?”
“Adesso, in questo momento intendi?” chiedo a mia volta e lei annuisce: “Ora vorrei solo uscire di qui, andare a casa, mettermi in pigiama, sotto le coperte, dormire e svegliarmi domani mattina sperando di scoprire che tutto questo casino è stato solo un brutto sogno, uno scherzo della mia mente contorta.”
“Sì, potrebbe essere un’idea, ma dopo? Dopo cosa farai?” Candy continua a fare domande, ma io non sono sicura – anzi sono certa – di non avere la risposta.
“Io… - la guardo sottecchi, inspiro ed espiro lentamente scuotendo il capo – Non lo so, non ne ho la minima idea. ‘Fanculo!”
“In questo caso perché non torni fuori con me? Possiamo dire a Logan che non ti sei sentita bene, qualche cazzata inventata sul momento. Lui non ci crederà, ovviamente, ma farà finta di crederci e ti lascerà tempo di pensare.”
“Credo sia un’ottima idea, l’unica idea che mi sembra valida, quindi…” ancora una volta scendo dal ripiano, mi avvicino a Candy e mi scambio con lei un sorriso complice. Sono fortunata ad averla nella mia vita, l’ho sempre pensato ma in questo momento capisco che senza di lei sarei persa, non riuscirei ad affrontare il pasticcio in cui mi sono ficcata: “Andiamo e prendiamo il toro per le corna, ragazza!”


 

**



“Scusate l’assenza. Prue ha avuto un calo di pressione e abbiamo dovuto aspettare qualche minuto prima di uscire. Ma ora è tutto risolto e lei sta bene.” Candy mi guarda, sorride nervosa e cercando il mio assenso chiede retoricamente: “Non è così, Prue?”
“Esattamente così, sì!” esclamo con una voce che esce troppo stridula e poi mi accorgo che né Kurt né Emily sono seduti al tavolo: “Kurt ed Emy?”
“Sono andati via. – informa Logan con tono seccato, rigirando il bicchiere di birra bionda poggiato sul tavolo su se stesso – Problemi in paradiso a quanto sembra.”
“Oh, capisco…” assottiglio le labbra, capisco subito che i problemi sono stati causati da me, che Emily deve aver preso male quella pseudo scenata fatta da Kurt neanche mezz’ora prima e che probabilmente adesso staranno litigando animatamente da qualche parte, probabilmente nella macchina del biondo. “Mi dispiace…”
“Non dispiacerti, non per loro almeno. – riprende Logan, guardando prima me e poi Iwan, il bell’irlandese che se ne sta con gli occhi fissi sulla sua birra – Ma se vuoi puoi dispiacerti e pentirti per essere andata al letto con Iwan, cosa che potrei capire dato che non sapevi, non avresti mai potuto sapere, chi fosse.”
“Glielo hai detto?” sbotto, improvvisamente inviperita: “Come ti sei permesso, come… perché diavolo lo hai fatto? Non avevi alcun diritto, nessun diritto!”
“Certo che avevo diritto, ho tutto il diritto! Avrò anche vissuto a Dublino fino alla settimana scorsa, ma si dà il caso che conosco Logan da molto prima di te. E’ il mio più caro amico, oltre che il ragazzo che mi ha dato un tetto sulla testa, e se pensi che inizierò questa mia esperienza riempiendolo di bugie e cazzate come quella appena detta dalla tua amica ti sbagli di grosso, bellezza!”
“Io…” il cuore ricomincia a battermi forte: guardo Candy, che rimane in silenzio accanto a me, mortificata e dispiaciuta; guardo Logan, il suo viso che non lascia trasparire nulla; infine guardo Iwan e vorrei tanto prenderlo a sberle. Mi viene da piangere, vorrei tanto piangere e urlare ma mi obbligo a non farlo essere forte: prendo la mia roba, la mia borsa, il mio cappotto e la mia sciarpa e senza salutare nessuno mi allontano dal tavolo decisa ad uscire di scena una volta per tutte.


“Prue, Prudence!” sto camminando per strada, le braccia strette attorno al mio corpo a causa del freddo, quando sento Iwan chiamarmi.
Non mi fermo, non ho voglia di parlargli, non so neanche perché lui si ostini a seguirmi come un cane da caccia che insegue una preda.
“Che diavolo vuoi?” sputo velenosa quando lui mi chiama per l’ennesima volta, voltandomi per affrontarlo: “Non ti è bastato rovinarmi la serata, farmi passare per una stupida totale davanti ai miei amici?”
“Mi dispiace…” mi dice per la seconda volta quella sera, e per la seconda volta mi sembra davvero sincero: “Non volevo incasinarti, arrivare a tanto. Non so neanche perché mi sono così incaponito con te, fissato con una ragazza che praticamente non conosco ma è così. Quanto ti ho detto di essere stato bene quella sera con te lo pensavo davvero, non fingevo, non ho mai finto. E, ovviamente, non pensavo neanche che si arrivasse a tanto, e questo casino di proporzioni cosmiche.”
“Beh, forse avresti dovuto pensarci prima di molestarmi al bancone del bar, di provare ad afferrarmi un braccio per fare una scenata davanti a tutti.”
“Hai ragione, ho fatto una cazzata ma tu non volevi parlarmi mentre io sì: è tutta la sera che vorrei parlarti ma tu sfuggi, scappi via come l’acqua tra le mani.”
“Quanti bei paroloni: dimmi, in Irlanda parlate tutti così quando volete conquistare una donzella?”
“Non lo scoprirai mai.” Risponde, avvicinandosi e circondando la mia vita con un braccio: “Mi dispiace.” Ripete, baciandomi una guancia: “E se può farti piacere Logan non è arrabbiato, non con te almeno. Con me, beh, diciamo che mi ha riservato qualche parola di rimprovero, niente di troppo pesante.”
Mi bacia la mandibola, la tempia, ancora la guancia e poi le labbra: dovrei ritrarmi ma non lo faccio, non ne ho la forza, non lo voglio fare. Per quanto assurdo possa sembrare tra le sue braccia mi sento bene, viva, e il calore dei suoi baci mi indebolisce le ginocchia, inebria e ottenebra la mia mente.
“Ti odio, non ti sopporto.” Gli dico mentre mi bacia il collo, mentre le mie mani stringono una ciocca dei suoi capelli e il mio corpo dice tutt’altro, chiede e vuole tutt'altro.
“Bugiarda!” mi apostrofa divertito e mi bacia le labbra: “Mi piaci, Prue, mi piaci davvero, davvero molto e so che anche io ti piaccio, altrimenti non staremmo qui, per strada, a baciarci sotto la fredda luce dei lampioni.”
Lo guardo negli occhi, con un dito percorro il profilo del suo viso e sospiro arrendevole: “Hai ragione, mi piaci, ma ti odio per quello che hai fatto. – lo spingo leggermente indietro, ma la presa su di me è più forte, il mio tentativo vano – Stupido Irlandese!” lo apostrofo, fingendomi infastidita ma poi sorrido e mi stringo di più a lui, lo abbraccio a mia volta.
“Posso accompagnarti a casa?” mi chiede con il mento posato sulla mia testa, le sue mani che pigre accarezzano la mia schiena.
“Sì, puoi, ma questa volta non ti farò salire. Non te lo sei meritato affatto, e poi non sono la ragazza facile che pensi, quindi d’ora in avanti cambieremo musica.”
“Mai pensato che tu fossi una facile, dolcezza. – mi dice accarezzandomi una guancia -  Però se è questo quello che vuoi va bene: ti accompagnerò a casa, ti darò la buona notte e andrò per la mia strada.”
“Sembra un’ottima idea!” concordo, intrecciando una mano con la sua e iniziando a camminare: “E ora andiamo: fa freddo stasera e non voglio rischiare di prendermi un raffreddore a causa tua e delle tue smancerie da irlandese.”



________________________________________________________________________________________________________________________________

Angolo Autrice: Buosalve, gente! Chiedo immensamente perdono per il ritardo con cui aggiorno, ma questi mesi sono stati davvero un casino - prima la laurea, poi il trasferimento e l'inizio di una nuova università - e tra il poco tempo e la mancanza di ispirazione mi sono ridotta a questo! Spero che il capitolo vi sia piaciuto nonostante tutto - lo so, magari dopo questa attesa vi aspettavate di più e posso capire - e spero che ci sia ancora qualcuno disposto a seguire. Lasciate una recensione se vi va con le vostre opinioni, anche perchè noto che nell'ultimo non ce ne sono state molte e temo che la storia abbia perso interesse! :\
Alla prossima ;)

P.s. Ovviamente, come avrete capito, il banner rappesenta Prue e Iwan (che ha il volto del gallese Iwan Rheon, conosciuto per i suoi ruoli in Misfits e Game of Thornes).

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** 27: Norwegian Wood ***



 


 

 
Forse attorno al mio cuore c'è una specie di guscio duro e sono veramente poche le cose che possono romperlo e entrarci dentro. Forse non sono capace di amare.



Kurt + Emily


**




"Perchè non mi lasciate in pace e vivete le vostre vite?” Prue è inferocita, non l’ho mai vista in questo stato e facendosi largo tra la gente la osservo allontanarsi.
Credo di aver combinato nuovamente un casino con lei, l’ennesimo, ma non mi trattengo da lanciare un’occhiataccia verso quel bellimbusto di irlandese che mi guarda a sua volta con un sorrisetto stampato in viso.
“Lasciala in pace, Dubliner, non te lo ripeterò una seconda volta!” minaccio, e in risposta Iwan se la ride e scuote la testa.
“Se fossi in te, biondino, penserei meno a ficcare il naso in cose che non ti riguardano e penserei più ai tuoi, di problemi.” Con un cenno del capo, Iwan indica il tavolo alle mie spalle, dove fino a poco prima ero seduto, e continua: “Guarda, la tua ragazza sta andando via e non sembra molto contenta.”
“Cazzo! “ impreco, dandomi del completo imbecille, prevedendo nuovi guai e fraintendimenti tra me ed Emy. Non presto più attenzione a Iwan, dimentico immediatamente il nostro battibecco – i miei pensieri sono solo per Emy – e afferrata la giacca e salutati i miei amici  la seguo velocemente fuori dal locale.

“Emy! – la chiamo una volta fuori, senza ottenere risposta – Emily, aspetta ti prego!”
Lei non aspetta, non si ferma, non si gira; continua a camminare a passo svelto nonostante i tacchi che indossa, – ha indossato quelle scarpe per te, idiota!, ricorda la mia testa che, a quanto pare, è contro di me – mi ignora completamente e so di meritarmelo, so di averla ferita con il mio atteggiamento ambiguo, comportandomi come un ragazzo geloso nei confronti di Prue.
“Emy, ti prego fermati!” esclamo ancora, iniziando a correre e finalmente la raggiungo, la fermo bloccandola per un braccio e costringendola a guardarmi.
“Cosa?” sbotta lei, furiosa, e i suoi occhi sono velati, opachi, le sue guance arrossate e rigate da lacrime: “Cosa vuoi ancora, Kurt? Non ti è bastato umiliarmi davanti ai nostri amici, farmi passare per una sciocca?”
“Sai che non volevo ferirti, non ti ferirei mai di proposito: io ci tengo a te, credimi.”
“Come? – chiede retoricamente, abbassa la testa – Come faccio a crederti, se ogni volta che Prue entra in una stanza i tuoi occhi sono per lei, se prendi sempre le sue difese e ti precipiti ogni volta che lei ha bisogno? Dimmi, Kurt, come faccio a crederti, a fidarmi di te, quando è così evidente che tu provi ancora qualcosa per lei?”
“Sai che non è vero, sai che Prue è solo un’amica, che sono andato avanti. Sto con te adesso, voglio stare con te, voglio te.”
“Vorrei tanto crederti, davvero, ma… - scuote la testa, si morde un labbro e scrolla le spalle arrendevole – Non posso, non ci riesco, non dopo stasera.”
“M-mi stai lasciando? – sgrano gli occhi, non voglio crederci, non voglio – Non puoi lasciarmi, non… non te lo permetto!” afferro entrambe le sue spalle con le mie mani, scuoto il suo corpo inerme: “Guardami, cazzo, guardami!”
“Ti guardo – dice con un filo di voce, il suo viso è devastato dalle lacrime, il suo corpo scosso da singhiozzi – Ti sto guardando, Kurt, e mi dispiace…”
“Mi stai lasciando…” questa volta non è una domanda ma una consapevolezza, un’affermazione. Deglutisco a fatica, guardo un punto vuoto e cerco di realizzare: è colpa mia, lo so, è tutta colpa mia e me lo merito, merito di stare da solo.
“Credo di amarti.” confessa tra i singhiozzi, e in quel momento sento il mio cuore andare in mille pezzi. Lei mi ama, eppure mi sta lasciando. Mi ama e me lo sta dicendo per la prima volta tra le lacrime, probabilmente con il cuore spezzato simile al mio.
“Ti amo, – ripete, e mi accarezza una guancia – ma tu non sei pronto a lasciare andare Prue, non sei pronto, l’ho compreso questa sera, quindi sono io a lasciare andare te, perché è questo che si fa quando ci si innamora: si lascia andare.”
“Sì che lo sono, e se tu mi dessi solo una possibilità, solo una…”
“Se dovessi scegliere tra me e Prue, se dovessi salvare una delle due, solo una, chi sceglieresti? Salveresti me oppure Prudence.”
“Questa domanda è un colpo basso, lo sai che lo è, e non…”
“Rispondi!” esclama rabbiosa, interrompendomi bruscamente: “Me o lei? Mi ami, Kurt, oppure ami lei? Quando la notte sei steso nel letto e chiudi gli occhi pensi a me oppure a lei, vorresti fare l’amore con me oppure con lei?”
Boccheggiò: è tutto assurdo, surreale, sembra un incubo da cui non riesco a svegliarmi. E’ colpa mia, sono un disastro, un fallimento, e non so esprimere i miei sentimenti. Ci tengo a Emy, probabilmente sto iniziando ad amarla, ma ho paura, una fottutissima paura che mi attanaglia la gola.
“Io… io…” temporeggio, non so cosa fare, e sentendola ridere amaramente capisco di aver sbagliato. Ancora.
“Non importa, va bene. E’ finita, probabilmente non è mai davvero iniziata, ed io sono stata una sciocca romantica a pensare di poter essere felice con te, ad aver pensato, sperato che tu potessi, potessi...”
Emy si avvicina lentamente, mi sembra di vivere in un film, che tutto attorno a me sia rallentato con uno di quegli effetti in slow motion, e vorrei urlare, abbracciarla e tenerla stretta a me. La ami?, chiede la vocina dentro di me, e quando lei mi bacia per l’ultima volta, mi bacia con disperazione e le sue lacrime si posano sulle nostre labbra e assaporo il loro gusto salato, capisco che sì, la amo.
“Non andare – la supplico, continuando a tenerla stretta, a baciare le sue guance – Non andare, Emy, non lasciarmi. Mi dispiace, mi dispiace…”
“Lo so – risponde, sforzando un sorriso – ma questa è la cosa migliore per tutti, credimi. Abbiamo, ho bisogno di stare da sola, quindi ti prego, ti prego lasciami andare. Lasciami…”
La guardo, accarezzo i suoi folti capelli rossi che tanto adoro, mi inebrio per l’ultima volta del loro profumo di lavanda e quando la bacio per un ultima volta capisco che sono io, sono io quello che sta piangendo. Sto piangendo, non ricordo l’ultima volta che ho pianto ma fa male, fa fottutamente male.
“Allora vai. – sussurro, la mia fronte contro la sua – Vai, ti sto lasciando andare.”

Emy mi concede un ultimo sorriso, fa un passo indietro, poi un altro e sporto il braccio verso la strada fa accostare quasi per magia un taxi giallo che, una volta salita, riparte e sparisce nel buio della notte con la stessa velocità con cui è apparso, lasciandomi solo sotto la fredda luce gialla del lampione ad asciugarmi le lacrime e maledirmi per quello che sono: un totale fallimento.



 
**
 

Riuscirò a trovare qualcuno che mi ami al cento per cento per ogni giorno della vita. [...] Forse per via del fatto che ho aspettato tanto a lungo, io cerco qualcosa di assolutamente perfetto. Perciò non è facile.





Rimetto piede sul suolo californiano dopo un mese e mezzo passato a Boston a curare una mostra presso una galleria di arte contemporanea. Sono partita quattro giorni dopo aver rotto con Kurt, bisognosa di lasciarmi tutto alle spalle, stare da sola e capire davvero ciò che voglio. L’esperienza di Boston mi ha aperto un mondo, e la possibilità di ripetere presto l’esperienza a New York mi elettrizza. L’arte è sempre stata la mia vita, e poter vivere di essa è il mio sogno da quando ho quattordici anni.
Riguardo alla vita a LA, Candy mi ha scritto ogni giorno aggiornandomi sugli avvenimenti e i gossip: Prue e il nuovo ragazzo, Iwan, oramai sembrano fare coppia fissa e anche se io e la biondina non andiamo d’accordo per ovvie ragioni, sono contenta per lei e per la sua vita sentimentale. Anche le cose tra Candy e Logan vanno alla grande: i due sono più innamorati che mai e Candy sta pensando seriamente di trasferirsi da Logan non appena sarà possibile. Per quanto riguarda Kurt… beh, non ho mai chiesto di lui, quindi non ho idea di come se la passi. Lasciarlo è stata la decisione più difficile che abbia mai preso, e nonostante io lo ami ancora molto – ma chi voglio darla a bere? Sono ancora follemente innamorata di lui e ci sono notti in cui mi sveglio singhiozzando come una bambina – credo che la suddetta decisione sia stata saggia e giusta.


“Ciao!” una voce, la sua voce, quella che riconoscerei tra mille, mi fa sobbalzare. Sono tornata alla UCLA, al mio club di arte moderna, e sto scrivendo una mail seduta tranquilla sul divano quando lui entra e mi saluta. “Ben tornata.”
Alzo lo sguardo dal monitor del portatile, e tutto ciò che faccio è sorridere in modo imbarazzato e rispondere con un: “Grazie.”
“Ti trovo bene! – continua, entrando nella stanza e chiudendo la porta – Candy mi ha raccontato delle tue imprese a Boston, e sono molto contento per te.”
“Grazie – dico nuovamente e per un istante mi domando se quella sia l’unica parola che riesca a pronunciare – Anche tu stai bene, mi piace la tua camicia.”
La camicia, davvero? Dio, devo essere davvero rincitrullita e sembrare una completa idiota ai suoi occhi.
“Tu, invece, come hai passato il tuo tempo in questo mese e mezzo?”
“Pensando, studiando e dando esami. – risponde tranquillo, sedendosi accanto a me – Pensando, soprattutto.” Mi guarda con la coda dell’occhio, sorride sghembo e sfacciato posa una mano sul mio ginocchio. “Mi sei mancata.”
Giro di scatto il viso, probabilmente sono arrossita. Ho sempre amato la sua sfacciataggine, quella faccia da schiaffi che un tempo mi dava ai nervi ma che ora amo – lo amo da impazzire – e anche se vorrei levare la sua mano dalla mia coscia non lo faccio, non ne ho la forza.
“Non dici nulla?” chiede, inclinando leggermente il viso e sorridendo: “Non hai niente da dirmi?”
“Anche per me è bello rivederti, Kurt, e…” la sua mano sale, arriva al mio interno coscia e deglutisco a fatica, il mio cuore inizia a battere: “Kurt, ti prego.”
“Mi sei mancata, – ripete, avvicinandosi pericolosamente – da morire. Ti ho pensato tutti i giorni, tutte le notti: quando andavo a letto e chiudevo gli occhi pensavo, penso, solo a te, al tuo viso, alla tua risata, al tuo corpo. Penso sempre e solo a te, giuro!”
“Kurt…” so cosa sta facendo, ricorda perfettamente come me la nostra ultima conversazione e io non so cosa fare, non so, non… “Kurt, ti prego non farmi questo. No!”
“Chiedimelo ancora, chiedimi se amo Prue, chiedimi se provo qualcosa per lei, se sceglierei mai lei invece che te. Chiedimelo, Emy!”
Il suo viso è così vicino, così vicino che non riesco a pensare: il suo fiato caldo sfiora la mia pelle, le sue mani sono sul mio corpo, sulla mia spalla, sulle mie gambe, ovunque, ed vorrei baciarlo, vorrei scappare lontano, vorrei dirgli che lo amo, che lo odio, che voglio stare con lui, che non voglio vederlo mai più.
“La ami?” chiedo alla fine, ma la voce che sento non sembra neanche la mia, mi sembra lontana, flebile, incerta.
“No! – risponde sicuro lui, guardandomi dritto negli occhi – Non la amo, e sai perché?” chiede e mi trovo a scuotere la testa come una bambina: “Perché sono totalmente, follemente innamorato di te, Emy.”
“Dillo ancora! – ordino, prendendo il suo viso tra le mia mani, sporgendo il mio corpo verso il suo – Dimmelo ancora!”
“Ti amo.” Ripete con calma, sfrega i nostri nasi, mi bacia una guancia, poi l’altra, e finalmente, finalmente, le mie labbra.



 

**



Le mani di Kurt sono ovunque sul mio corpo, le mie labbra cercano le sue, il suo fiato caldo mi fa rabbrividire e inarcare la schiena. Andare via dalla UCLA e arrivare al mio appartamento è stato un attimo, non c’è stato bisogno neanche di chiedere permessi, di indugiare: la passione scoppiata subito dopo quel primo bacio avvenuto dopo quasi due mesi lontani ha chiarito perfettamente le nostre esigente, ciò che entrambi vogliamo. Sono pronta, sono pronta a concedermi totalmente a lui, a provare sensazioni mai provate prima, ad unire il mio corpo con il suo.
“Sei sicura?” mi chiede Kurt, trovando un briciolo di lucidità e smettendo di baciarmi il ventre. “P-posso aspettare, – continua, e anche se so che mente gli sono grata per averlo detto – Posso ancora fermarmi.”
“Ho aspettato troppo. – rispondo a mia volta, alzandomi leggermente dal materasso e baciandolo a fior di labbra – Ti voglio e tu vuoi me, quindi smettila di indugiare ancora e toglimi questo maledetto reggiseno.”
Kurt ghigna, sollevato e divertito allo stesso tempo, e aperto il gancio del reggiseno inizia a contemplare il mio corpo, accarezzare i miei seni, baciarli e non posso fare altro che chiudere gli occhi e affondare le dita nei suoi capelli biondi.
In tutta la mia vita non ho mai desiderato nessuno come desidero Kurt, nessuno prima di lui mi ha guardato con quello sguardo pazzo d’amore, mi ha sorriso come mi sorride lui; nessuno prima è stato dolce come si sta dimostrando in questo momento Kurt, mentre le sue mani mi accarezzano, le nostre gambe si intrecciano e le nostre lingue giocano. Lo desidero, è un desiderio malato, che fa male e mi fa scoppiare il cuore nel petto; lo amo, e l’amore che provo per lui è tale che supera anche il dolore che provo quando scivola lentamente dentro di me, fa crollare la mia barriera e mi prende con disperato amore. E’ tutto naturale, i nostri corpi si fondono alla perfezione, sembrano due pezzi di un puzzle che formano un tutto, e il mio corpo trova da solo il suo ritmo: le sensazioni che provo per la prima volta sono un misto di dolore ed estasi, qualcosa che non so descrivere, e anche se è la prima volta e fa male da morire lo rifarei altre mille volte.

Kurt si accascia, spossato, contro il mio corpo, nasconde il viso nell’incavo del mio collo, tra i capelli ramati sparsi sul cuscino e quando ritrova le forze mi sorride dolcemente e mi bacia.
“Mi sei mancato anche tu. – gli dico, accoccolandomi contro di lui – Mi sei mancato da morire e…” lascio la frase in sospeso, abbasso lo sguardo e arrossisco: “Ti amo.”
“Ti amo anche io, mia piccola volpe rossa.” Risponde, e comprendo che anche quel nomignolo con cui è solito chiamarmi mi è mancato terribilmente. “Non lasciarmi mai più, intesi?”
“Mai, mai più: permetterò a nessuno di mettersi nuovamente tra di noi, neanche alle mie insicurezze.”
“Voglio che tu sappia che non ti biasimo per quello che hai fatto; in verità, devo ringraziarti: lasciandomi mi hai aperto gli occhi, mi hai fatto capire ciò che voglio davvero, chi voglio davvero. E io voglio te, solo te. Ti amo, e per me questa è la prima volta, la prima volta che faccio l’amore con la ragazza che amo.”
Le sue parole sono così cariche di sentimenti che vorrei piangere, ma cerco di trattenermi mordendomi il labbro inferiore e abbracciandolo: “Allora possiamo dire che questa è stata la prima volta per entrambi?”
“Sì – risponde annuendo – possiamo dire così.” Con un dito picchietta il mio naso, mi bacia il capo e poi ancora le labbra: “Ti ho già detto che ti amo?”
“Non ne sono sicura, sai? – scherzo, scoppiando a ridere insieme a Kurt – Magari, per sicurezza, potresti ridirmelo.”
“Ti amo!" mi bacia e mi ripete quelle due parole ancora e ancora, fino a quando non lo zittisco definitivamente con un lungo bacio appassionato e iniziamo a rotolarci come due bambini nel letto troppo piccolo per noi, ridendo a crepapelle quando rischiamo per poco non cadiamo sul pavimento di legno della mia stanza.  


________________________________________________________________________________________________________________________

Angolo Autrice: Hola, gentaglia. Aggiornamento che arriva non troppo in ritardo, sicuramente prima del precedente, in cui vediamo una svolta significativa nel rapporto Emily\Kurt. Nel prossimo avremo un salto temporale di parecchi mesi, arriveremo alla laurea dei nostri protagonisti e scopriremo cosa ne sarà delle loro vite. Non so bene quanto ancora andrà avanti la storia, non so se finirla nel giro di qualche capitolo o farla più movimentata ed allungarla, anche perchè non vedo tanto entusiasmo da parte vostra come prima - le recensioni sono quasi nulle - e avendo altre storie in corso non vorrei perder tempo. Si accettano pareri, ovviamente, e anche recensioni. Non mordo, lo giuro.
Se vi va, inoltre, date un'occhiata alla mia nuova originale. Si chiama "Sunflower" e di seguito vi metto il link:

Sunflower



Alla prossima,

V.

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** 28: Bloom ***









In the morning when I wake
And the sun is coming through,
Oh, you fill my lungs with sweetness,
And you fill my head with you.

Shall I write it in a letter?
Shall I try to get it down?
Oh, you fill my head with pieces
Of a song I can't get out.



Logan


**

 
 
Los Angeles, qualche mese più tardi…
 
 



La luce del sole di primavera entra pigra dalla finestra, onde oblique oltrepassano le tende bianche e si posano a capo del letto in cui giaccio insieme a Candice, addormentata profondamente con il capo sul mio petto.
La sveglia suonerà a momenti, ricordandoci che è un nuovo giorno, arrivato il momento di alzarsi e andare in università per seguire le ultime lezioni che ci rimangono prima della fine di questo anno accademico, prima dell’estate, della laurea che avverrà in Settembre.
La mia vita sta cambiando velocemente, è già cambiata e non posso credere che sono già passate due settimane da quando Candice si è trasferita a casa mia, due mesi da quando le ho proposto di lasciare casa di Prudence – che a sua volta ha deciso di ospitare sotto il suo tetto Iwan, il mio più vecchio amico, quello che è diventato a tutti gli effetti il suo ragazzo – e vivere insieme in questo monolocale sgangherato pieno di polaroid, tele bianche e dipinte, macchine fotografiche e album da disegno abbandonati sui pavimenti come animali da compagnia accucciati accanto ad un camino.
Ai piedi del letto Gandalf, il gatto bianco e grigio che ho trovato per strada qualche settimana fa ed ho regalato a Candice, dorme acciambellato e apparentemente indisturbato dai dispettosi raggi del sole che rendono il suo manto grigio di una tonalità perlata, quasi bianca, e non posso non invidiarlo: lui non fa altro che dormire, mangiare e ancora dormire, e niente lo preoccupa.
Io, invece, al contrario suo ho la mente piena di mille pensieri: cosa ne sarà di me dopo la laurea? Cosa ne sarà della relazione mia e Candice? E, soprattutto, come faccio a dirle che sono follemente innamorato di lei?
Sì, la amo da impazzire, ma in quasi sei mesi non sono riuscito a dirglielo, a confessare i miei sentimenti e pronunciare quelle tre apparentemente semplici paroline che anche Kurt, il sempre cinico e talvolta misogino Kurt, è riuscito a dire alla sua Emily dopo averla quasi persa.
La sveglia inizia a suonare alla mia sinistra, facendomi sussultare e destandomi bruscamente dai miei pensieri e le mie domande esistenziali – neanche fossi il fottuto Amleto – e sento Candice svegliarsi, il suo corpo muoversi e stiracchiarsi per poi tornare ad accoccolarsi come una gattina addosso a me e iniziare ad accarezzare lievemente il mio petto con la punta delle sue sottili dita.


“Non voglio svegliarmi, non ancora! – protesta Candy con voce impastata di sonno, nascondendo il viso tra il mio petto e il mio braccio – Ho sonno!”
“Avanti, non fare la bambina come al solito. – la rimprovero, stendendomi sul lato e scivolando verso il fondo del letto fino a raggiungere il suo viso con il mio – Dobbiamo alzarci, e dobbiamo andare a lezione. Ormai manca poco alla fine…”
“Non mi importa, e poi è tutta colpa tua! – esclama, affondando la faccia nel cuscino – Tu e tutto quel tuo dannato sesso!”
Rido, scuoto la testa: tipico di Candice darmi la colpa per la sua mancanza di sonno e di forze, accusarmi di ridurla ad uno straccio per il troppo sesso, quando è lei quella tra i due che ogni sera mi stuzzica e mi tenta, mi fa cadere nella sua trappola con moine e occhioni dolci, con piccoli baci posati su punti strategici e movimenti che casualmente vanno a cozzare con parti sensibili del mio corpo.
“Non ho sentito lamentele questa notte, quando gemevi e continuavi a fare le fusa come una gattina in calore; quando intraprendente mi baciavi e mi accarezzavi dove sai bene tu e mi facevi perdere completamente il senno.”
Candice assottiglia le labbra, sorride sorniona, e lasciato il cuscino torna a stendersi sul mio corpo e inizia a baciarmi la mandibola, il collo e chiusi gli occhi mi lascio scappare un gemito di protesta: mi vuole uccidere e io la sto lasciando fare.
“Candy…” la chiamo, ammonendola ma lei sembra non sentirmi, continua a mordicchiarmi il lobo dell’orecchio destro mentre la sua mano scende giù, sempre più giù.
“Non cercare di resistere – soffia al mio orecchio lei, sedendosi a cavalcioni su di me completamente nuda – Lo so che mi vuoi quanto ti voglio io.”
“D-dobbiamo… dovremmo… - con la coda dell’occhio guardo Gandalf scendere dal letto, infastidito dai nostri movimenti molesti, e per un istante lo invidio – Faremo tardi, dobbiamo andare e…”
“Zitto, non mi interessa!” esclama piccata, chinandosi verso di me e catturando le mie labbra tra le sue, baciandomi con una passione che ricambio immediatamente.
Mi arrendo, soccombo ai suoi baci, alla morbidezza del suo corpo addosso al mio, tra le mie mani che le stringono i fianchi, ai suoi seni rosei che inizio a baciare e mi perdo in lei come ho fatto qualche ora prima, come faccio ormai da sei mesi.
Lei è tutto per me, il mio tesoro più prezioso, e quando stiamo insieme, quando facciamo l’amore come in questo momento, quando sono dentro di lei, mi sento vivo, sento di essere nel posto giusto, sento una felicità che mai ho provato in tutta la vita scaldarmi il cuore. Lei è mia ed io sono suo, ed io la amo, la amo come non ho mai amato prima, come non ho mai amato nessuno.


“Candy… - sussurrò il suo nome mentre la osservo rivestirsi seduta sul bordo del letto e lei mi guarda con la coda dell’occhio in attesa di ascoltare le mie parole – Io…”
Le parole non vogliono uscire, sono bloccate nella mia gola improvvisamente secca e sottile, incastrate tra le corde vocali e sulla punta della lingua. I suoi occhi verdi mi guardano, in attesa, e io deglutisco nervoso, inspiro profondamente e mi impongo calma, una sicurezza che non credo di avere.
“Tutto bene? – chiede lei, arretrando e raggiungendo il centro del letto per posare una mano tra i miei capelli arruffati – Sei pallido. Non ti avrò mica prosciugato per davvero tutte le energie con il sesso, spero. Logan, non starai diventando un pappamolle?”
“Dio, no! – esclamo piccato, ritrovando la voce – No, non sono diventato un pappamolle, e non mi hai neanche prosciugato le energie. Ad essere onesti non mi sono mai sentito più carico, felice e… innamorato.”
“Innamor... cosa? – il sorriso di Candice scema, i suoi occhi si sgranano e le sue labbra arrossate si schiudono dando vita ad un’espressione sorpresa – Cosa stai dicendo, cosa… Logan?”
“Sto dicendo… sto cercando di dirti quello che sto cercando di dire da giorni, ma non è facile. Ogni volta che ci ho provato ho fallito ma credo… ecco… sì… io…”
“Non devi dirlo se non vuoi, non sei costretto! – esclama, sembra quasi impaurita – Sai che a me non importa, sai che mi fido di te, dei tuoi sentimenti: non mi devi dimostrare nulla, provare nulla.”
“Lo so, lo so, ma qui non si tratta solo di te ma anche di me e di quello che voglio ed io voglio dirtelo. – mi sporgo verso di lei, le accarezzo il viso e la bacio a fior di labbra – Candice, io sono innamorato di te. Io ti amo.”
“Ed io amo te. – risponde con voce rotta e gli occhi lucidi, sorridendo nervosamente – Ti amo, Logan, così tanto.”
Mi bacia, intreccia le braccia attorno al mio collo e subito rispondo al bacio. Finalmente mi sono liberato da un peso, finalmente le ho detto tutto, confessato i miei sentimenti e sono pronto a portare la nostra relazione ad un nuovo livello, verso un futuro duraturo insieme, magari a New York, nella città in cui mi hanno proposto di produrre la mia fotografia ed esporla in una delle gallerie più famose della grande metropoli.
 
 
**
 
 
“Io davvero non so se questa è una buona idea, bimba!” esclamo una settimana più tardi, mentre sto alla guida della mia macchina e mi dirigo insieme alla mia ragazza verso casa dei suoi genitori.
Non ho mai conosciuto i signori Roberts, non so che tipo di persone sono – o, certo che lo so, ma non posso dire a Candice che mi aspetto di conoscere un ex riccone abituato a giocare a golf e fumare sigari e una donna, ex modella, con la puzza sotto il naso che avrebbe voluto far sposare la sua unica figlia a qualche damerino da strapazzo, qualche bellimbusto figlio delle sue amiche del club di qualcosa, una di quelle spocchiose megere che si incontrano il venerdì sera per giocare a carte, fumare sigarette e spettegolare su mezza Los Angeles – ma sono certo che quella sarà una lunga giornate e che il suo esito è quanto mai incerto.
“Sono passati sei mesi da quando ci siamo messi insieme, un mese e mezzo da quando conviviamo  e sai bene che sono stata costretta a dir loro di noi, quanto abbiano insistito in questi due mesi per incontrarti. Abbiamo rimandato fin troppo, e dato che ho conosciuto tua madre non vedo il motivo per cui tu non dovresti conoscere i miei di genitori.”
“Solo uno? – chiedo in modo retorico, ma lei mi fulmina con lo sguardo – Okay, la pianto di lamentarmi e guido. Solo, non lasciarmi da solo con tuo padre.”
“Con mia madre, piuttosto. E’ lei l’uomo di casa ed è una vera vipera quando vuole.”
“Oh, bene! – esclamo, rotando gli occhi – Questa sì che è una notizia consolante.”


“Candice, cara! – la madre di Candice, impeccabile nel suo vestito color crema accompagnato da tacchi alti e dei capelli perfetti, abbraccia la figlia nel portico della villa che loro definiscono “modesta” ma che io definirei più che altro imponente – E’ bello vederti dopo tanto tempo. Ci vediamo troppo poco, noi tre, e temo che tu abbia troppe distrazioni in questo periodo.”
Lo sguardo glaciale della donna si sposta su di me, e capisco di essere io la “distrazione” di cui parla, la minaccia che sta allontanando la loro preziosa figlia da loro e dalla loro vita da damerini che mi da la nausea.
“Ma sono passate solo tre settimane! – precisa la mia ragazza con un sorriso, cercando di sminuire la questione – E ci sentiamo appena ho tempo e lo sai.”
“Candy!” James Roberts esce a sua volta dalla villa e con braccia aperte invita sua figlia ad avvicinarsi e abbracciarlo, cosa che Candice fa senza indugiare.
“Papà, è bello vederti. – Candy gli bacia una guancia e poi si volta a guardarmi – Posso presentarti il mio ragazzo, Logan O’Connell?”
“Piacere di conoscerla, signore.” Inizio, sorridendo e allungando una mano in direzione dell’uomo.
“E così sei tu il famoso Logan.  – James Roberts mi stringe la mano, la sua presa è salda, ferma e mi intimorisce – Candice mi ha parlato tanto di te, ed ero molto curioso di conoscerti di persona. Ma avanti, entriamo dentro: il pranzo è quasi pronto e non vedo l’ora di fare quattro chiacchiere con te, ragazzo.”

“E così anche tu frequenti la UCLA come la nostra Candice. – mi dice sua madre durante il pranzo, mentre stiamo mangiando l’arrosto – Cosa studi di preciso?”
“Arte, studio arte ma ho dei corsi in comune con la facoltà di architettura. Ed è proprio durante uno dei corsi che ci siamo conosciuti, anche se successivamente abbiamo scoperto che Prudence, la mia più cara amica, era la sua coinquilina.”
“Un mondo piccolo, non trovate?” chiede retoricamente Candy, sorridendo e prendendo un boccone d’insalata.
“Fin troppo. – risponde sua madre, sorridendo algida. – E dimmi Logan, dopo la laurea quali sono i tuoi obbiettivi, cosa vorresti fare?”
“Vorrei diventare un fotografo professionista, far conoscere la mia arte in America, in Europa magari. Vorrei vivere di arte, se si presenterà l’occasione.”
“Arte! – esclama piccata la donna, in tono derisorio – Che ragazzo pieno di sogni.”
So che mi sta deridendo, che con quella frase sta cercando di sminuirmi agli occhi della figlia, di farmi perdere la pazienza e fare qualcosa di sciocco, ma io non casco nella sua rete: sorrido, torno a fissare il piatto e sebbene non abbia fame porto alla bocca un boccone di arrosto e riprendo a masticare in silenzio.
 

**
 

Il pranzo è terminato, e solo nel grande salone pieno di libri e quadri di pittori famosi – c’è anche un Dalì e sono più che sicuro che non sia un falso – sto aspettando il ritorno della mia ragazza e di quei simpaticoni dei suoi genitori.
I signori Roberts, molto carinamente, si sono congedati dieci minuti prima, portandosi dietro la loro adorata figlia, la mia ragazza, e si sono chiusi in quello che immagino essere uno studio. Non ho idea di cosa si stiano dicendo, e il silenzio innaturale che riempie questa stanza mi mette ansia e mi fa sentire un claustrofobico chiuso in un ascensore bloccato. Tutto in questa casa mi mette ansia, e spero di uscire quanto prima da qua dentro.
“No, non mi importa, non mi interessa! – sento Candice che parla ad alta voce, mi muovo nervosamente sulla sedia – Non lo farò mai, mai e voi siete degli sciocchi se pensate di potermi persuadere, comprare. Io lo amo, lo amo!”
Trattengo il fiato: stanno discutendo, stanno discutendo animatamente e il pomo della discordia sono io. Sento delle voci più basse parlare, vociare confuso, e poi la porta si apre di scatto, osservo Candice tornare come una furia nel salotto.
“Prendi le tue cose, Logan, stiamo andando via!”
“Candy, bimba, cosa sta succedendo?” chiedo, ma lei non risponde.
“Candice! – la madre la chiama, anche lei torna nel salotto seguita dal padre – Torna immediatamente nello studio, non abbiamo finito!”
“Sì, invece. Sì, abbiamo finito. Non ho niente da dirvi, non cambierò la mia versione, non farò marcia indietro né tantomeno lascerò Logan. – si avvicina a me e mi prende la mano – Ci amiamo, e non mi importa niente di quello che pensate.”
“Stai facendo un colossale errore, bambina, un gigantesco errore. Lui non potrà mai darti ciò di cui hai bisogno, non sarai mai felice per davvero con lui.”
“Invece sì, mamma. Sarò felice, schifosamente felice. Non ricca, questo no, ma sarò più felice con lui di quanto potrei essere con voi, di quanto sia mai stata felice con voi. Per ventitré anni mi avete fatta sentire sola, esclusa da tutti, mai abbastanza, ma ora non sono più sola, sono abbastanza per qualcuno, per Logan. –  mi guarda nuovamente, sorride per un istante – Arrivederci, mamma… papà. Non disturbatevi a venire alla mia laurea, non siete graditi.”
Conclude, uscendo insieme a me dal salone e prese le giacche usciamo da quella casa senza mai voltarci indietro.
 

Durante il tragitto non parliamo, non parliamo neanche quando arriviamo a casa. Candice è silenziosa, persa nei suoi pensieri e neanche quando salto di proposito una canzone dei Beatles, una delle sue preferite, per ascoltare una dei Rolling Stones protesta o batte ciglio. Mi sento in colpa, mi sento maledettamente in colpa, ma so che non posso fare nulla: è stata una scelta di Candice quella di allontanarsi dai genitori, anche se quella scelta è stata causata da me, dal suo imperfetto fidanzato indegno di stare al suo fianco.
“Mi dispiace… - le sussurro, sedendomi accanto a lei sul divano – Mi dispiace, è tutta colpa mia…”
“No, no. Non essere sciocco, non è colpa tua. – mi accarezza il viso – Tu sei perfetto, mi rendi felice e i miei sono due sciocchi illusi. Pensavano di avermi ancora in pugno, di poter continuare ad organizzare la mia vita, il mio futuro ma io ho dimostrato loro di non essere più la loro Candice, di essere cresciuta, diventata una donna.”
Mi bacia, posa il capo sulla mia spalla e continua: “Ti amo, Logan, sei la cosa migliore che mi sia capitata e non importa se non sei ricco, se non mi comprerai gioielli o borse o vestiti firmati. Io e te, qui, insieme: questo mi basta, mi fa sentire la ragazza più ricca del mondo e fino a quando staremo insieme questo mi basterà.”
“Quindi mi seguiresti ovunque, anche dall’altra parte del mondo?”
“Sì, anche dall’altra parte del mondo. – mi bacia dolcemente – L’importante è stare insieme, tu ed io. Il resto non conta.”
“Allora vieni a New York con me quando tutto questo sarà finito, quando ci saremo laureati e inizieremo una nuova vita.”
“New York? – Candice alza il capo dalla mia spalla, sbatte le palpebre – Perché proprio New York, cosa c’è là per noi?”
“Delle persone che sono interessate ai miei lavori. Hanno visto il mio portfolio e vogliono sponsorizzarmi, dedicare un angolo di una famosa galleria di New York alle mie foto, ai miei lavori e permettermi di crearne altri. – stringo le sue mani nelle mie, sorrido – Vieni con me a New York, Candy, vieni con me e viviamo insieme questa nuova avventura. Lo vuoi, amore?”
“Certo che lo voglio, certo che verrò – con uno slancio mi abbraccia e mi bacia – Tutto pur di stare con te, anche seguirti in capo al mondo.”
“Non in capo al mondo, solo dall’altra parte dell’America.”.




*


Angolo Autrice: Lo so, lo so, aggiorno con ritardo mostruoso e non ho scusanti alcuna. La verità è che fino a qualche giorno fa non sapevo se continuare la storia o chiuderla nel giro di 2-3 capitoli, ma alla fine ho optato per varie ragioni per la seconda opzione. Quindi sì, il prossimo sarà l'ultimo e poi ci sarà un veloce epilogo per salutare tutti i protagonisti di questa storia.
Spero che ci sarà qualcuno disposto a recensire ancora questa storia, a lasciarmi due righe e seguirla e, nulla, ringrazio anticipatamente chi lo farà.
Qui di seguito, per chi fosse interessato, ci sono le mie altre due storie originali "Rette Parallele" e "Sunflower" che vi invito a leggere e seguire:

Rette Parallele
Sunflower




Alla prossima,
V.

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** 29. All I Want ***





 



So you brought out the best of me,
A part of me I've never seen.
You took my soul and wiped it clean.
Our love was made for movie screens.


Candy


**




Los Angeles, Settembre 2012
 
 
 


“Hai più sentito i tuoi genitori?” mi chiede Logan, mentre ci stiamo preparando per il nostro grande giorno, il giorno che stavamo aspettando da mesi. Ci stiamo per laureare, lasciare per sempre la UCLA, il posto dove tutto è iniziato, e accingerci verso un nuovo capitolo della nostra vita, una pagina bianca ancora tutta da scrivere.
“No – rispondo, infilandomi la scarpa sinistra, senza guardarlo – Non vedo perché mai dovrei: dopo la discussione di quel giorno non hanno fatto nulla per rimediare, mia madre mi ha anche chiuso il telefono in faccia ben tre volte quando ho provato a chiamarla e…”
Chiudo gli occhi, prendo un respiro profondo e nonostante le parole che sto per dire siano dolorose concludo dicendo: “Non sono io quella nel torto ma loro, e considerando che la loro opinione sulla mia vita e su come la sto gestendo non cambierà mai non voglio più avere a che fare con loro.”
Sento Logan sospirare, so che si sente responsabile ma io non gliene faccio una colpa: i miei genitori non avrebbero mai e poi mai approvato un ragazzo diverso dai figli dei loro amici, quegli odiosi ricconi della upper class dai quali mi sono tenuta più lontana possibile dopo il fallimento dell’azienda di mio padre e il mio abbandono di Berkley per la UCLA, quel luogo inizialmente odiato ma poi amato, il posto grazie al quale ho conosciuto Emily, la mia migliore amica, e il ragazzo che amo e con cui mi trasferirò presto dall’altra parte dell’America, Logan.
“So che ti senti in parte responsabile per quello che è successo con i miei, – riprendo, accarezzandogli una guancia e guardandolo – ma come ti ho già detto mille volte non devi: tu non hai fatto niente di male, sei stato perfetto, sei perfetto e non vorrei nessuno al mio fianco quest’oggi, nella mia vita, al di fuori di te.”
“Sai, bimba, più ti conosco e più mi convinco che come architetto sarai sprecata: saresti una perfetta psicologa, o una roba del genere; ci sai fare con le persone, sei una motivatrice eccezionale e ti ringrazio per quello che hai appena detto, che continui a ripetermi. – si sporge verso di me e mi bacia – Ti amo.”
“Ed io amo te, moltissimo. – rispondo, lo bacio ancora – Ma dobbiamo andare, altrimenti arriveremo tardi alla nostra seduta di laurea e tua madre non ti perdonerebbe mai e poi mai.”
“Hai perfettamente ragione! – esclama, mi da una pacca sul ginocchio coperto da dei collant leggeri e si alza dal letto – Vado a riscaldare la macchina, ti aspetto in strada: non metterci troppo, intesi?”
“Intesi. – rispondo, annuendo – Dammi solo due minuti, il tempo di aggiustare il trucco, prendere la borsa e scendere. Ci vediamo alla macchina.”



 

**
 
 
In questo giorno di Settembre, il sole splende luminoso in cielo, neanche una nuvola dispettosa lo copre, e nel grande giardino della UCLA è stato sistemato un palco di legno e una fila sconfinata di sedie nere,  divisa precisamente a metà da un tappeto rosso che non ha nulla da invidiare a quello del red carpet della notte degli Oscar che si tiene ogni anno nel mese di Marzo non lontano da qui.
L’attesa è snervante, l’ansia cresce di minuto in minuto ma è bello sapere di non essere sola, di avere accanto a me il mio ragazzo, la mia amica Emily, tra il pubblico Kurt, che conseguirà la sua laurea in Febbraio, Prudence che ha affrontato quell’esperienza a testa alta solo pochi mesi fa, a Giugno, e che presto si trasferirà in Irlanda, a Dublino, per stare insieme al suo Iwan.
Tra il pubblico c’è anche la madre di Logan, Mrs. O’Connell, la quale ha già gli occhi lucidi per l’emozione e stritola tra le mani un fazzoletto di stoffa bianco. Infine, inaspettatamente, c’è anche mio padre, venuto in gran segreto alla cerimonia per supportarmi, per starmi vicino nonostante tutto, nonostante le divergenze.
In quel giorno di Settembre io, Candice Roberts, mi laureo con il massimo dei voti in architettura, vengo proclamata Dottoressa davanti ai miei amici, a mio padre, il quale mi guarda orgoglioso, e con un sorriso stampato in viso porto il braccio destro in alto e mostro la pergamena, il mio riconoscimento tanto agognato.

“Ben fatto, bambina! – esclama mio padre, quando la cerimonia finisce, e mi abbraccia forte – Sono fiero di te, orgoglioso.”
“Grazie, papà. Sai, non mi aspettavo di vederti.” Confesso, abbozzando un sorriso.
“Neanche io, ma alla fine ho cambiato idea: non potevo mancare, non potevo lasciarti sola in questo momento, anche se noto con piacere che sola non sei. – il suo sguardo si sposta oltre, alle mie spalle, verso Logan – E’ un bravo ragazzo, dopo tutto, e sono certa che ti renderà felice.”
I miei occhi si sgranano nell’udire una tale, inaspettata rivelazione, e grata sorrido: “Non hai idea di quanto queste parole significhino per me! – esclamo e lo abbraccio forte – Grazie, papà, grazie di tutto.”
“Voglio solo la tua felicità, Candy, l’ho sempre voluta e se lui ti rende felice chi sono io per privarti della tua gioia? – mi bacia una guancia, sorride malinconico – Mi mancherai, sai? Quando ti trasferirai a New York, intendo.”
“Mi mancherai anche tu, papà, moltissimo.” Lo abbraccio nuovamente, con più forza, più stretto, e chiusi gli occhi mi inebrio del profumo così familiare della sua acqua di colonia e per un istante mi sembra di ritornare bambina.
 
 

**



“Presumo che questa sia la nostra ultima serata al pub prima della partenza. – dico, seduta sulle gambe di Logan con una pinta di birra in mano, osservando i nostri amici riuniti per un ultima bevuta tutti insieme una settimana dopo la nostra laurea, tre giorni prima della partenza per New York – Mancano solo tre giorni…”
“Temo proprio di sì, mia cara, ma voi due non vi sbarazzerete così facilmente di noi! – esclama piccato Kurt, ghignando – Emy ha appena ricevuto una lettera dal Metropolitan di New York, la vogliono incontrare per un colloquio come mediatrice culturale, per proporle un posto nel Museo.”
“Emy, ma è fantastico! – esclamo, sporgendomi in avanti e posando una mano su quella della mia amica – Lavorerai in uno dei musei più rinomati d’America, coronerai finalmente il tuo sogno!”
Emily è cambiata molto in questi mesi, da quando ci siamo conosciute, da quando lei e Kurt si sono fidanzati, si sono innamorati: non è più l’insopportabile Emily, la ragazza spocchiosa che nessuno sopportava e soprattutto ha chiuso i ponti con la sua famiglia, con quel padre violento e retrogrado che le ha rovinato l’infanzia, l’adolescenza, che l’ha fatta vivere per troppi anni nel terrore.
“Non è ancora detto che mi diano il lavoro: come me molti altri hanno ricevuto quella lettera, e solo i tre migliori avranno il posto.”
“E tu sarai una di quei tre, amore! – esclama Kurt, baciandola a fior di labbra – Sarebbero degli idioti se non ti prendessero, farebbero uno sbaglio colossale.”
“Sarà, ma io non voglio farmi illusioni, darmi false speranze: andrò a NY tra due settimane, e poi vedremo cosa accadrà… - sospira, posa il capo sulla spalla di Kurt – Se non dovessi rientrare tra i primi tre non sarebbe la fine del mondo: la vita continua, ne avrò tante di occasioni. Dopo tutto, sono brava!”
“La migliore!” puntualizzo, conoscendo le capacità della mia amica.
“E mentre voi starete nella Grande Mela io diventerò un’irlandese modello, imparerò una nuova lingua e con un po’ di fortuna troverò un buon lavoro.” Interviene Prudence, anche lei in partenza per Dublino.
“Devi proprio andare? – pigolo, assumendo un’espressione triste – Dublino è così lontana, c’è un oceano che la divide all’America e poi… insomma, sei proprio sicura di voler andare, di lasciare l’assolata Los Angeles per l’uggiosa irlanda?”
“Temo di sì, almeno fino a quando Iwan non terminerà i suoi studi.  Dopo, chissà, magari torneremo in America, oppure ci trasferiremo a Londra, a Parigi, a Tokio!”
“Tu e la tua dannata passione per il Giappone! – Logan sospira, scuote la testa – So come andrà a finire, so che un giorno ti chiameremo e ci dirai che sei dall’altra parte del mondo, a mangiare sushi e chissà che altro.”
“Vedremo, non escludo nulla…” Prue lascia la frase in sospeso, sorride sorniona.
“In questo caso, – interviene Kurt, alzando a mezz’aria un bicchiere – propongo un brindisi: ai viaggi, al nostro animo di avventurieri che ci porterà lontano.”
“A noi!” esclamo, alzando a mia volta il mio bicchiere, avvicinandolo a quelli dei miei amici con i quali va a cozzare leggermente, provocando un rumore sordo.
Mi mancherà tutto questo, penso mentre sorseggio la mia birra, mi mancherà dannatamente ma sono sicura che, ovunque le nostre vite ci condurranno, non importa dove o quanto lontano, saremo per sempre amici, potremo sempre contare l’uno sull’altra.


 
**



“Okay, questa è l’ultima! – esclama Logan, infilando anche l’ultima valigia nel bagagliaio stracolmo della sua macchina che a fatica riesce a chiudere – Siamo pronti per partire!”
Occhi bassi, rispondo a Logan con un sorriso abbozzato e alzato successivamente il viso guardo per l’ultima volta il malconcio palazzo in cui ho vissuto con Logan per cinque mesi; inizialmente l’ho reputata una topaia, ma ora che è giunto il momento di andare, di lasciarmela alle spalle realizzo che mi mancherà quel posto, così come mi mancherà Los Angeles, il Sunset, il Whiskey a Go Go, i negozietti vintage che Prudence mi ha fatto scoprire in questo anno, i suoi parchi e le spiagge di Malibu.
“Candy, va tutto bene?” mi chiede Logan, apprensivo, posando una mano sul mio braccio.
“Sì, tutto bene. – rispondo, posando la mia mano sulla sua – E’ solo che mi mancherà questo posto, il tuo bilocale, tutto questo.”
“Mancherà anche a me, ma pensa che stiamo partendo verso un’avventura, una nuova vita che ci aspetta e, soprattutto, che saremo insieme.”
“Insieme. - ripeto, annuendo e alzandomi sulle punte lo bacio – Avanti, è meglio se andiamo se non vogliamo trovare traffico.”
“Sì, credo sia meglio.” Concorda, entrando in macchina, dal lato del guidatore.
Ci aspetta un lungo viaggio fino a New York, probabilmente faremo una sosta di una notte da qualche parte per strada, e arriveremo a destinazione non prima di domani.
“Logan?” lo chiamo una volta seduti in macchina, mentre sta armeggiando con le chiavi e lui mi guarda con la coda dell’occhio, in attesa della mia domanda.
Vorrei dirgli di non lasciarmi mai, dirgli che lo amo, che una parte di me è terrorizzata; vorrei dirgli di abbracciarmi, di stringermi e di promettermi che andrà tutto bene, che saremo sempre insieme qualsiasi cosa accadrà, ma so che chiedere questo non è possibile, che sarebbe sciocco, perché nessuno sa cosa riserva il domani, cosa potrebbe capitare alle persone, a noi stessi, ai nostri sentimenti.
“Nulla, nulla. – dico infine, scuotendo la testa – E’ solo che sono felice, davvero felice.”
Logan sorride, si sporge verso di me per baciarmi con dolcezza e a pochi centimetri dal mio viso sussurra: “Sì, anche io.”



 

*



Angolo Autrice: Salve a tutti! Finalmente sono riuscita ad aggiornare nei tempi previsti! La storia è finita, questo è l'ultimo, vero capitolo prima dell'epilogo finale che arriverà entro massimo la settimana prossima. Le vite dei nostri ragazzi hano preso nuove strade, strade che scopriremo nell'epilogo - ambientato nel 2015 -  dove li hanno portati.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e ringrazio tutti voi che dall'inizio seguite questa storia. Le recensioni fanno sempre molto piacere, quindi vi invito a lasciarmene qualcuna se vi va.
Per chi fosse interessato, di seguito ci sono le mie altre storie originali, tra cui la nuovissima "Nemesis: Relazioni Proibite" che ho pubblicato ieri.



Rette Parallele
Sunflower

Nemesis: Relazioni Proibite






Alla prossima,
V.

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** 30. Epilogo (Or Phones, Notes, Postcards and a Brand-new Life) ***






 


Phones, Notes, Postcards: A brand new Life




*
 
 
 
 
[New York, quartiere di Chelsea, casa Robins – O’Connell, Settembre 2013]
 
 

 

Attaccato al frigorifero sito nel piccolo cucinino, c’è quella che in un primo momento potrebbe essere scambiata per una cartolina, ma che, se vista bene, si identifica come un invito esclusivo ad una mostra. L’invito, stampato in bianco e nero, presenta sulla parte destra una fotografia di una ragazza, quella che i partecipanti scopriranno essere la ragazza dell’artista, e recita:
 



“Logan “Storm” O’Connell,
Tempesta Elettrica

personale a cura di: Emily Barrett
 
 
Vernissage
Giovedì, 26 Settembre ore: 18.30
27 Settembre/ 28 Dicembre

 



**




[New York, quartiere di Noho, casa Collins - Barrett, Marzo 2013]


 

Messaggio da Candice: “Sono così contenta per te! Essere nominata curatrice a soli 24 anni: un record! Sei sempre stata una tipa in gamba, e non vedo l’ora di festeggiare tutti insieme!”
Messaggio da Emily: “E’ un sogno che diventa realtà, ma anche tu con quel progetto nell’Upper non scherzi. Venerdì usciamo a bere, niente ragazzi! Xoxo”
 
 

**
 
 
 
[New York, quartiere di Chelsea, casa Robins – O’Connell,  Agosto 2014]
 
 

 

Attaccato al frigorifero sito nel piccolo cucinino, questa volta c’è davvero una cartolina appena arrivata dall’altra parte del mondo. A mandarla, una vecchia amica che ha appena realizzato il suo sogno. Sul retro della cartolina c’è scritto:
 


Konnichiwa, mie cari amici! I ciliegi sono in fiore qui a Osaka, e la vacanza non potrebbe andare meglio. Io e Iwan siamo innamorati di questo posto, e stiamo pensando di trasferirci. Dopo tutto, non ho studiato il giapponese per nulla.
Mi mancate tutti, spero di rivedervi al più presto, magari tra un anno al vostro matrimonio!
(Ancora non riesco a credere che Logan abbia fatto una di quelle proposte da film, con fiori, candele e tutto il resto! :D)
Un caloroso saluto dalla terra del sol levante.
Sayoonara! xoxo”
 
 

**
 
 

[Londra, quartiere di Notting Hill, casa Collins - Barrett, Novembre 2014]



 

“Questa è la segreteria telefonica di Kurt Collins e Emily Batter. A momento non siamo in casa, ma… *pianto di un bambino in sottofondo* Amore, amore la bambina sta piangendo! Puoi andare nella cameretta e controllare cosa vuole? Io finisco questo messaggio e… *imprecazioni* Insomma, lasciate un messaggio!”



Beep

 

“Emy, sono Candy! Ma quando vi deciderete a cambiare questa dannata segreteria? – sbuffa – Comunque, spero che voi e la piccola Nicole stiate bene! Vi chiamavo per dirvi che ho sistemato tutto per il volo, e che alla fine la cerimonia si farà a Los Angeles per facilitare le cose alla mamma di Logan. Non vedo l’ora di essere a LA tutti insieme e…” (fine messaggio)
 
 


**
 

 

[New York, Upper West Side, casa Robins – O’Connell, Ottobre 2014]
 
 



Attaccato al frigorifero della grande cucina illuminata dall’inusuale sole di Ottobre svetta un cartoncino color avorio appeso qualche settimana prima dalla padrona di casa, un architetto famoso e futura moglie di uno dei fotografi più quotati negli ultimi anni. Il cartoncino, un invito nuziale, recita:
 


Logan O’Connell & Candice Roberts
Sono lieti di annunciare il loro matrimonio presso la Cattedrale di St. John

Martedì, 25 Novembre 2014, h. 10.00
Los Angeles, California”
 
 


**
 
 



[Osaka, quartiere Kita, casa McCarthy – Reed, Gennaio 2015]
 
 
 

Messaggio da Candice: “Buon 2015! Lo so, lo so, là in Giappone la mezzanotte è passata da un pezzo ma qui a Londra siamo nel pieno dei festeggiamenti! :D
Dovresti vedere Nicole in questo momento: è cresciuta tantissimo e nonostante i capelli rossi assomiglia ogni giorno di più a Kurt. Ci mancate, spero di venire a trovarti in Giappone al più presto. Dai un abbraccio a Iwan, e fagli i complimenti per l’anello di fidanzamento. Love u, Prue! Xoxo”
Messaggio da Prudence: “Buon 2015, mia cara amica! Spero, lavoro all’ambasciata permettendo, di venire in America al più presto, di rivedere la piccola Nicole e viziarla per qualche giorno. Grazie a FB e alle foto postate da Kurt sono in costante aggiornamento sulla sua crescita e, sì, è una bambina splendida.
Un felice anno a tutti voi! Xoxo
P.s. Iwan ringrazia per l’aiuto nella scelta dell’anello, e anche la futura sposa ringrazia. Non avrei potuto desiderare anello, fidanzato e amici migliori!”
 
 

**
 
 

[New York, Upper West Side, casa O’Connell - Robins, Maggio 2015]
 
 
 


Attaccato al frigorifero della grande cucina illuminata da un tiepido sole di metà Maggio è attaccata quella che, in un primo momento, potrebbe essere confusa per una polaroid in bianco e nero scatta da Logan durante un servizio fotografico o una passeggiata a Central Park, ma che in realtà è ben altro. Se le si presta più attenzione, si può notare che quella attaccata al frigorifero da Logan stesso due settimane prima non è proprio una foto – anche se raffigura una persona – ma un’ecografia in bianco e nero come molte. Quella, è la prima, preziosa testimonianza della vita che sta crescendo nel ventre della padrona di casa, Candice Roberts, del loro bambino. E’ un maschio, lo hanno appena saputo, e si chiamerà George Keith O’Connell, in onore di George Harrison e Keith Richards, rispettivamente chitarrista dei Beatles e dei Rolling Stones, degli idoli dei suoi innamoratissimi genitori.


 

*



Angolo Autrice: Ed eccoci arrivati alla fine di questa storia! In questo epilogo ho lasciato parlare le piccole cose - messaggi, cartoline, etc. - al posto dei ragazzi che, trovandosi ognuno in luoghi completamente opposti del globo, avrebbero fatto fatica a dare un quadro generale delle vite proprie e degli altri. Spero che questa mia scelta vi sia piaciuta nella sua semplicità e, ancora una volta, ringrazio tutti voi che avete deciso di leggere questa storia in silenzio, avete deciso di seguirla e soprattutto tutti voi che avete deciso di recensirla. Grazie, grazie, grazie! :D
Per chi volesse continuare a seguirmi mi può trovare nel fandom della serie "The White Queen" oppure può seguire le mie altre storie originali, delle quali inserirò qui sotto il link diretto. Alla prossima o, come direbbe Prudence, Sayoonara! ;)
V.


Rette Parallele
Sunflower


Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2238654